Quotidiano fondato nel 1718 Il giornale dell' Illuminismo e dell'epoca scientifica Direttore : Paolo Cutolo Sede: Liceo Tito Lucrezio Caro - Napoli Il Giornale del '700 Edizione limitata Costo del giornale : ½ Tornese IL '700 E L' ILLUMINISMO L' ILLUMINISMO NAPOLETANO L'origine L'illuminismo si va diffondendo nel Elevando a ideali la ragione, la libertà e l'uguaglianza, la borghesia operava una sorta di sublimazione dei concreti obiettivi della sua lotta per il predominio nella società; ma al di là della considerazione dei limiti trasformazioni di grande momento anche nella lingua e nello stile letterario. I due centri più vitali dell'illuminismo italiano furono Milano e Napoli. Nella prima città le riforme economiche e amministrative del governo austriaco e nella seconda la politica anticuriale e antifeudale della monarchia borbonica stimolarono positivamente la nuova cultura e al tempo stesso furono da questa orientate e condizionate. Fra i rappresentanti più notevoli della nuova filosofia vanno ricordati i fratelli Verri, Beccaria, Carli, padre Soave, Romagnosi per l'Italia settentrionale, e Galiani, Genovesi, Filangieri, Pagano, Russo per l'illuminismo napoletano. Per l'influenza che l'illuminismo ebbe in politica sui sovrani del XVIII sec. (da Federico II di Prussia a Maria Teresa d'Austria, da Caterina di Russia a Giuseppe II d'Austria) Alla fine degli anni Ottanta si è avuto un ritorno ai concetti fondamentali dell'illuminismo, che sono stati ripresi nel dibattito intellettuale per contrapporli a certe tendenze irrazionalistiche della cultura contemporanea, di tipo esoterico e teosofico. mezzogiorno dell'Italia quando ormai vanno esaurendosi le due grandi correnti di pensiero che hanno dominato la cultura napoletana nei primi del settecento,il cartesianesimo e il rinato platonismo;ma è decisiva anche l'incoronazione al trono di Napoli di Ferdinando IV di Borbone.Infatti questo è un sovrano aperto alla cultura illuministica,che ama circondarsi dei più importanti letterati dell' epoca, come O I G G A M O L' ILLUMINISMO FEMMINILE A NAPOLI A Napoli nel settecento vi fu una vera e propria esplosione di genio femminile. Come a Parigi,dove una delle più ricche espressioni e delle spinte più grandi alla creatività del secolo riformatore fu dovuta a quelle grandi dame colte e sensibili che fecero dei loro salotti il centro di aggregazione delle più elevate menti del tempo e di irradiazione di sapere filosofico scientifico e letterario,anche a Napoli i salotti delle signore aristocratiche erano fucine di idee e di cultura.La Macciocchi,nella sua A I P O C * Genovesi,Filangieri,Pagano e molti altri. Questo è ciò che avviene fino al 1799, anno in cui, in seguito ai moti della rivoluzione francese,Ferdinando di Borbone fa strage degli illuministi in piazza del Mercato,fra i quali vi è anche Eleonora Pimmentel Fonseca. Nonostante ciò, a buon ragione si può dire che Napoli sia stato uno,se non il più importante dei centri illuministici di Italia. lettura al femminile della storia di quel secolo,dice che a differenza di Roma,dove le donne erano ancora tenute lontane dal sapere a causa della chiusura della chiesa,a Napoli si verificò una vera e propria scuola di genio femminile,in cui le donne si cimentarono nella conquista delle scienze e delle discipline tradizionalmente maschili. Oltre alla Pimentel Fonseca,politica,poetessa e martire del '99,ricordiamo:la filosofa Eleonora Barbapiccola che aveva tradotto Cartesio e sottolineava l'urgenza e la legittimità del diritto delle donne ad applicarsi nello studio della filosofia.Faustina Pignatelli,principessa di Colubrano,astronoma,dot tissima in matematica e fisica,una delle poche italiane che figurasse iscritta per i meriti scientifici dei suoi lavori nei registri di scienze di Bologna.Scienziata e poetessa era Aurora Sanseverino,duchessa del L a u r e n z a n o . E….malgrado tanto ingegno, le donne non potevano accedere all' Università,nè insegnarvi o esercitare una professione.Se scrivevano dei libri dovevano naturalmente stamparli a proprie spese. IN REGALO CON QUESTA EDIZIONE IL CD DELLE MUSICHE DEL '700 NAPOLETANO Stampato nelle Arti Grafiche Fiengo - Napoli dell'illuminismo è da ricercare nella cultura filosofico-scientifica del XVII sec. in Inghilterra e nei Paesi Bassi, ma la sua diffusione europea si verificò nel XVIII sec., prevalentemente attraverso la mediazione della cultura francese, che potè contare su condizioni politico-sociali stimolanti, su personalità di rilievo eccezionale, come Voltaire, Diderot, d'Alembert, e su strumenti di diffusione di efficacia esemplare, come l'Enciclopedia. Nel giudizio degli illuministi il mondo interiore dell'umanità contemporanea offriva un impressionante panorama di assurdità, di superstizioni e pregiudizi, così come l'organizzazione politico- sociale rivelava stridenti incongruenze e intollerabili ingiustizie. Tuttavia questo atteggiamento critico si accompagnava a una profonda fede nella ragione quale onnipotente strumento di liberazione dall'errore. Perciò il filosofo dell'età dei lumi fu un intellettuale di nuovo tipo, profondamente consapevole della sua responsabilità sociale e dei suoi doveri verso l'umanità. Collocandosi storicamente fra le due rivoluzioni moderne che si è soliti qualificare come "borghesi", quella inglese del 1688 e quella francese del 1789, l'illuminismo voleva instaurare un regno della ragione dal quale fossero aboliti i privilegi nobiliari ed ecclesiastici e gli arbitri dell'assolutismo ed eliminate tutte le deformazioni ideologiche. QUALCUNO CHE HA CONTATO QUALCOSA: ELEONORA PIMENTEL FONSECA dati,frutto di un'accurata documentazione.Secondo il parere di molti, il rilievo che la figura della Pimentel ha avuto da parte degli studiosi d' Italia e della stessa storia di Napoli,non è proporzionato alla grandezza e allo spessore del personaggio è L a bibliografia riguardante la marchesa Eleonora Pimentel Fonseca è veramente notevole;già moltissimi suoi contemporanei avevano scritto su di lei esaltandone le doti di poetessa e di donna di alto ingegno.Croce ne ebbe grande ammirazione e le dedicò moltissime pagine e, in tempi più recenti Striano ne ha fatto la protagonista di un avvincente romanzo storico,”Il resto di niente”,ricco di riferimenti,nomi e perch , cosa non facile da accettare,”ella superò di gran lunga tutti gli uomini”. L'Eleonora politica aveva già fatto la sua prima precocissima comparsa a 14 anni con il poemetto "Il trionfo della virtù", dedicato al marchese di Pombal,primo ministro del Portogallo,di cui approvava il programma altamente riformatore. In seguito alla vertenza tra il re e il papa per la Chinea,che Ferdinando IV non voleva più riconoscere, la Pimentel si impegnò nella traduzione dal latino della dissertazione di Nicolò Carovita “Nullum jus Pontifici Maximi in Regno Neapolitano,contro i diritti vantati dal Vaticano sul Regno di Napoli nel 1707.L'ottimo L' OPERA BUFFA E LA CANZONE NAPOLETANA NEL '700 Nel settecento i napoletani, per creare canzoni attingevano alla musica colta. Come reazione al melodramma serio si era andata affermando quella che verrà definita opera buffa: mentre il melodramma tradizionale si ispirava prevalentemente agli astratti eroi della mitologia e della storia della Grecia e di Roma, l ' opera buffa, strettamente collegata alla commedia dell' arte e al teatro delle maschere, puntò su borghesi e popolani realisticamente tratti dalla vita quotidiana anche se messi in caricatura. Si trattò, tutto sommato, di una vera e propria rivoluzione, dal momento che lo spettatore non veniva più trasportato in lontani paesi e in epoche remote; rimaneva in una piazza o in un vicolo di Napoli brulicanti di personaggi contemporanei. Ebbene, i Napoletani non esitarono a saccheggiare le musiche dell' opera buffa, comprese quelle composte dai maestri quali Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa, Giambattista Pergolesi e Nicola Piccinni, per ricavarne canzoni: la celebre “Palombella zompa e vola”,ad esempio, è tratta dall' aria di Brunetta della “Molinarella” di Nicola Piccinni. Anzi la “Molinarella ossia il cavaliere Ergasto”, rappresentata nel 1766 al Teatro Nuovo sopra Toledo su libretto di autore rimasto ignoto, è sopravvissuta al logorio degli anni non altro che per la cadenza dell' aria di Brunetta, che i Napoletani hanno fatta loro. Effettivamente, quella deliziosa melodia, alla quale il tono di sol minore conferisce malinconia e dolcezza, ha ogni requisito per sorridere alla musa popolare. A loro volta gli autori dell' opera buffa inserirono spessissimo,nelle loro composizioni, canti popolari in voga; un espediente, questo, per ottenere facili ovazioni.Ci sono non meno di settantacinque canti popolari inseriti in opere buffe. Leonardo Vinci, ad esempio, accolse il canto popolare “Chiane la nenna” nella sua opera “Lo canto Fauzo”, rappresentata nel 1719 su libretto di Aniello Piscopo. Non si sottrasse a quest 'usanza Giovanni Paisiello il quale infatti accolse in “Le trame per amore”, composta nel 1783 su libretto di Francesco Cerlone, un notissimo canto popolare. Sul finire del settecento, fiorì a Napoli , da autori ignoti, “Lo guarracino”, forse la più antica tarantella, che peraltro ha il vanto di aver interessato molti importanti letterati dediti a variamente interpetrarla, nonchè naturalisti e scienziati. Agili, eleganti ed esilaranti sono i suoi versi mentre la musica, che pure si annuncia bene, essendo da ripetere infinite volte, quanto il numero delle ottave, finisce, malgrado sia divertentissima, per esaurire chi canta e tramortire chi ascolta. Fu così che una danza popolare come la tarantella riuscì a entrare nei salotti degli aristocratici. l a v o ro d i E l e o n o r a f u inizialmente apprezzato dai monarchi, ma le parole da lei espresse nelle note:”Il regno non è patronato(…)è amministrazione e difesa dei diritti pubblici della nazione,conservazione e difesa dei diritti privati di ciascun cittadino” contenevano già quella che sarebbe stata la sua adesione ai principi della rivoluzione.Il suo allontanamento ideologico dai metodi sempre più assolutisti della corte andava ormai prendendo piede e sempre più le sue simpatie si rivolgevano alla Francia rivoluzionaria.Dopo la congiura e gli arresti del 179294 e l'impicaggione di tre giovinetti Galiani, De Deo e Vitaliani,Eleonora,sospettata di aver rapporti con gli ambienti dei patrioti, fu presto tenuta sotto controllo della polizia borbonica, e infine arrestata il 5 ottobre 1798, unica donna, insieme a tutti quelli che vanivano considerati “pericolosi” per le loro idee. Durante la sua prigionia scrisse l' "Inno alla Libertà", che sarà poi cantato durante la repubblica e che è andato perduto. Fuggiti i sovrani per l'imminente arrivo dei Francesi, fu liberata dai suoi amici i primi di gennaio del 1799.Da quel momento, ammirata per essere stata la sola patriota donna i n c a rc e r a t a , c o m i n c i ò a partecipare alle riunioni del Comitato centrale. Due giorni prima dell' arrivo dei Francesi fu proclamata la repubblica.Sorta la necessità di creare un giornale politico quale voce della Repubblica,Eleonora ne fondò uno esemplare e di avanzatissima concezione:il “ M o n i t o re N a p o l e t a n o ” . Arrestata con la fine della Repubblica,fu giudicata e condannata a morte per impiccagione.Dopo aver pronunciato in latino le parole o r m a i d i v e n t a t e famose:”Forsan et haec olim menimisse iuvabit” (“Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo”), il 20 agosto del '99 salì sulla forca. In Piazza del LA CUCINA NAPOLETANA DEL '700 Tra il 1680 e il 1715 le mode,le scienze, le arti, i gusti del nord-ovest europeo cominciarono a prevalere su quelli del centrosud, e molte attività commerciali, e con loro la ricchezza, si spostarono dal Mediterraneo al mare del Nord.L' Italia cominciò ad essere emarginata dalle grandi direttrici dei traffici. Insieme alla sua funzione politica decadde gradualmente la sua mensa rinascimentale e la tavola romano-toscana in favore della tavola francese. I vecchi piatti apparivano troppo grevi per il piacere moderato dell' età dell' Illuminismo. Marie-antonin Careme fissava alla data del trattato di Utrecht (1713) il cambiamento del gusto. Una nuova scienza dei sapori veniva elaborata in pochi decenni e le sue regole fissate nella Francia della Reggenza (1715-1723). La nuova tavola “alla francese” aveva poco cibo nei piatti, molte portate, molte salse. Il vasellame era ricco, leggero ed elegante. Era l' epoca dei cibi delicati e delle diete, un ' epoca di trasformazioni che i pensatori cattolici e in genere i conservatori criticavano. Era il “secolo del lusso”. La moda francese si diffondeva rapidamente in tutta Europa, compresa l' Italia e il Regno di Napoli. Napoli divenne luogo di confronto delle grandi cucine europee dopo il 1768, data del matrimonio di Ferdinando IV di Borbone con Maria Carolina d' Austria. La nuova regina impose a corte il gusto francese, imitata dall'aristocrazia e dalla grande borghesia che, adattandosi, come sempre, alla moda di corte, assunsero al loro servizio i “monsieurs, come venivano chiamati i cuochi, in napoletano “monzù”. In pochi decenni presero nome francese alcuni cibi napoletani: è ragù, gattò, crocch . I cucinieri reali distribuivano le interiora al popolo e le donne che se la contendevano erano chiamate "zandraglie". Comunque la tavola napoletana mirava principalmente a soddisfare il palato, ma anche a soddisfare la UN CHICCO MAGICO - IL CAFFE’ DI PIETRO VERRI - 1764 - 1766 IL Settecento: L'Architettura a Napoli e in Italia meridionale Napoli è una grande capitale europea: la sua cultura pittorica e gli scavi di Ercolano attirano studiosi di antichità e artisti da ogni parte. La sua è un'architettura dialettale, ma nello stesso tempo raffinata e colta. Importante versione napoletana del rococò è l'opera di Domenico Antonio Vaccaro (1681 - 1750), il quale non solo è architetto, ma anche pittore e scultore. Nel chiostro di Santa Chiara usa come materiale architettonico la maiolica colorata e figurata dell'artigianato locale. Diversa è l'opera del Fuga a Napoli. Egli si occupa di datare la città di alcune fondamentali attrezzature, tra cui l'Albergo dei Poveri: un edificio colossale con 354 metri di fronte, e i Granili: anticipazione dei moderni edifici industriali. I Granili contenevano i granai pubblici, un arsenale, una fabbrica di cordami. Ma è nella facciata dei Gerolamini che si può vedere come il Fuga sapesse modulare le sue strutture nell'aperta e luminosa spazialità naturale, senza concedere nulla al pittoresco confuso dell'ambiente napoletano. Facciata della chiesa dei Gerolamini Ferdinando Fuga Albergo dei Poveri Ferdinando Fuga Carlo VII di Borbone, nuovo re di Napoli e di Sicilia, concepisce l'idea di far costruire una grande reggia a Caserta. L'incarico viene affidato a Luigi Vanvitelli (Napoli, 1700 Caserta, 1773). Il suo piano comprende, oltre al palazzo, il vasto parco, la città, l'acquedotto. Il Vanvitelli progetta un immenso edificio rettangolare con quattro cortili: piazze divise da quattro bracci che si incrociano formando al centro un Chiostro di Santa Chiara, veduta Domenico Antonio Vaccaro Particolare del rivestimento in maiolica grande portico. La facciata posteriore è più variata di quella anteriore, in quanto è mossa dai semipilastri che dividono le numerose finestre. All'esterno il piano terreno a bugnato fa da alto basamento all'ordine colossale di semicolonne e paraste ioniche dei piani superiori. Tre vestiboli ottagonali, allineati sull'asse dell'edificio e della grande cascata regolano i sistemi di circolazione. Lo scalone d'onore porta al vestibolo ottagonale del piano nobile, sul quale si aprono gli appartamenti decorati a stucchi di gusto già neoclassico, e alla cappella reale, che ricorda quella di Versailles, ma è più armoniosa. Il parco è il completamento del palazzo. In esso si fondano elementi del giardino all'italiana con la natura boscosa sul colle, dal quale discende l'acqua che alimenta fontane successive, animate da bei gruppi di statue. IL Settecento: La Pittura a Napoli Nell'ambiente napoletano, sulla via del facile decorativismo barocco, si pongono alcuni pittori: Francesco Solimena (Canale di Serino, Avellino, 1657 - Barra, Napoli, 1747), Francesco De Mura (Napoli, 1696 ivi, 1782), Giacomo Del Po (Roma, 1652 Napoli, 1726) e Corrado Giaquinto (Molfetta, Bari, 1703 - Napoli, 1765). Francesco Solimena ricorre, nelle sue opere, ad un'architettura con grandi arcate per dar spazio al fondo e con gradinate in primo piano per far precipitare la composizione sugli spettatori. Si serve di un'illuminazione forte, da riflettore, che rompe con squilli di colore. Le sue figure sono retoriche: la figurazione non comunica un contenuto ma solo il proprio movimento, in quanto Solimena non vuole suscitare nessun sentimento determinato, ma uno stato emotivo; non vuole far pensare, ma riempire gli occhi e trasmettere un dinamismo in atto. Francesco De Mura segue Solimena, ma il Accanto a questi artisti che proseguono la tradizione della pittura di soggetto storico o mitologico, opera, a Napoli, Gaspare Traversi (Napoli, 1732 c. - ivi, 1769), il quale riprende il tema delle "bambocciate". Famoso per il suo singolare realismo e l'ironia caricaturale delle sue tele di soggetto profano, in cui fissa scene di vita contemporanea con un gusto teatrale che fa pensare alla vivacit dei presepi napoletani di quel periodo. Fra le sue opere, la pi nota Il ferito: un giovane, confortato da una donna che gli sostiene il viso, si solleva la camicia, affinch un medico possa esaminare la ferita. In questo quadro l'attenzione concentrata sul fatto. Per ottenere questa concentrazione le figure, in primo piano, sono solo tre e viste da una posizione ravvicinata, mentre le altre, sul fondo privo di architettura, si notano appena e, fra esse, un uomo guarda con indifferenza da un lato. Massacro dei Giustiniani a Scio Francesco Solimena Il Paradiso - Corrado Giaquinto suo repertorio si logora e si assottiglia. In De Mura la formula decorativa prevale su quella inventiva. Diversamente, Giacomo Del Po e Corrado Giaquinto cercano di rinnovare l'emozione visiva. La struttura dell'immagine viene alleggerita con nuove gamme coloristiche, intonate sulle note fredde e squillanti. Il ferito - Gaspare Traversi Sogno di Giacobbe - Francesco De Mura Cesare Beccaria : “ Dei Delitti e delle Pene “ Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene , l' opuscolo pubblicato nel 1764 da Cesare Beccaria è indubbiamente il testo più noto dell' intero illuminismo italiano ; ed è anche il più importante , se si considera la sua fortuna in Europa e la sua influenza sui pensatori successivi . In esso convergono alcune delle idee sociali più significative della nuova cultura che andava affermandosi , espresse in uno stile raffinato e limpido al tempo stesso , un modello di esposizione per i nuovi filosofi . Interessante è il fatto che quando venne pubblicata l' opera , l' autore aveva appena 25 anni e che quel successo restò l' unico nella sua lunga carriera di scrittore e filosofo : tutti gli altri suoi scritti sono pressapoco sconosciuti . Cesare Beccaria nacque a Milano nel 1738 da una famiglia ricca e nobile e a vent' anni si laureò in Legge presso l' Università di Pavia . Le nozze del 1761 con Teresa Blasco , di condizioni umili , portarono alla rottura con la famiglia e fu solo grazie all' intervento di Pietro Verri , al quale intanto Beccaria si era avvicinato , che potè in seguito avvenire la riconciliazione . Il carattere riservato e riluttante di Cesare Beccaria , tanto nelle vicende private quanto nelle pubbliche , ebbe nei fratelli Verri , e soprattutto in Pietro , un fondamentale punto d' appoggio e di stimolo . Alle frequentazioni con Pietro , non a caso , è ispirata la prima opera edita da Beccaria , il trattato Del disordine e de' rimedi delle monete nello stato di Milano nel 1672 , uscito a Lucca nel 1762 appunto . Con questo scritto Beccaria prendeva una netta posizione in una delicatissima questione finanziaria , entrando così in polemica con i conservatori . Nello stesso anno , poi , gli nacque la figlia Giulia , la futura madre di Alessandro Manzoni . Isolate e sporadiche furono le collaborazioni di Beccaria alla rinomata rivista " Il Caffè " , ma tutte di altissimo valore teorico . L' adesione alle idee degli illuministi francesi , da Montesquieu a Diderot a Rousseau , e la collaborazione intensa con Pietro Verri dovevano dare i loro frutti e li diedero con la pubblicazione del capolavoro di Beccaria , Dei delitti e delle pene . Lo scritto venne dato alla stampa nel 1764 a Livorno , presso lo stesso editore che pochi anni dopo avrebbe pubblicato la prima edizione italiana dell' Enciclopedia di Diderot e D'Alembert . Beccaria preferì far comparire come anonimo l' opuscolo , temendo ripicche personali e ritorsioni e , infatti , parecchie furono le reazioni di condanna , soprattutto da parte della Chiesa cattolica , che nel 1766 inserì l' opera nell' Indice dei libri proibiti , senza però arrivare a bruciarla pubblicamente , come invece era stato fatto per l' Uomo macchina di La Mettrie . Tuttavia Beccarie ottenne anche molti pareri favorevoli : in Italia il libro fu strenuamente difeso dai fratelli Verri sul " Caffè " e in Francia i philosophes più prestigiosi lo tradussero e salutarono come un vero e proprio capolavoro , Voltaire in primis . Questo gli fruttò l' invito ad andare a Parigi , dove arrivò in compagnia di Alessandro Verri nell' ottobre del 1766 . Ma il suo carattere schivo e riservato gli rese sgradevole l' accoglienza festosa dell' ambiente parigino , mentre la nostalgia dell' amata Milano e della famiglia lo inducevano ad un rapido rientro in patria , interpretato un pò da tutti come una sorta di fuga inspiegabile . Questo fece vacillare i suoi rapporti con i fratelli Verri , che gli rinfacciarono l' indolenza e il carattere provinciale : finiva così la fruttuosa collaborazione col gruppo degli illuministi lombardi . Dal 1769 Beccaria occupò per due anni la cattedra di Economia civile presso le Scuole Palatine di Milano ( e , una volta morto , verranno pubblicati gli Elementi di economia pubblica ) . Dal 1771 fini alla morte ( avvenuta il 28 novembre 1794 ) si dedicò alla carriera amministrativa , dando il suo apporto alla politica riformista della monarchia asburgica che regnava su Milano . Nel 1770 intanto aveva pubblicato le Ricerche intorno alla natura dello stile , in cui riprendeva le riflessioni comparse sulla rivista " Il Caffè " : il pensiero sensista è applicato a meglio comprendere i meccanismi tramite i quali si svolge la comunicazione umana , e in particolare quella letteraria . Beccaria in ambito letterario si schiera in favore di una letteratura rinnovata nello stile , fedele al bisogno di esprimere concetti concreti ( cose ) secondo procedimenti razionali . Anche Cesare Beccaria , come Pietro Verri , concepiva la cultura in termini utilitaristici , ossia quale strumento di intervento concreto sulla realtà con il fine di migliorare le condizioni materiali di vita degli uomini : e qui emerge tutto il suo spirito illunministico , il quale a sua volta mutua la concezione utilitaristica da Francesco Bacone e dal suo " sapere per potere " . Il tema di Dei delitti e delle pene , propostogli da Pietro Verri , ben si apprestava ad affrontare da un punto di vista specifico e circoscritto la questione della giustizia , e dunque della politica e della società , e infine del rapporto tra società e benessere . Per questa ragione , attaccando apertamente il comportamento dei vari stati intorno alla questione della giustizia , Beccaria metteva in discussione l' intero assetto del quale quel comportamento era espressione , finendo con l' adombrare , nelle proposte di un rinnovamento giudiziario , una società fondata su valori interamente alternativi . DEI DELITTI E DELLE PENE Dei delitti e delle pene è diviso in 42 brevi capitoli , ognuno dei quali tratta un aspetto specifico della questione dibattuta . Lo scopo dell' opera nel suo insieme è di dimostrare l' assurdità e l' infondatezza del sistema giuridico vigente . Beccaria non esita a farlo passare come un sistema puramente repressivo e rappresentato nei suoi ingiustificati rituali di violenza . Invece di essere al servizio della giustizia , il sistema giudiziario si rivela finalizzato ad un mostruoso meccanismo di potere e di soprusi , dietro il quale si profila l' ingiustizia che caratterizza l' intera società che lo esprime . Non il benessere , ma la sofferenza della maggior parte dei cittadini è infine il risultato di una struttura così irrazionale . In particolare Beccaria tuona contro la pena di morte , vertice di inciviltà gestito dallo stato , e contro le pratiche di tortura , inutili e anzi spesso fuorvianti rispetto alla verità e comunque a loro volta barbare . Gli argomenti addotti da Beccaria sono grosso modo gli stessi , davvero difficili da confutare , che ancora oggi vengono ripetuti contro la prosecuzione di pene capitali e di torture : la tortura è quell' orrenda pratica con la quale si sottopone il presunto colpevole a parlare ; ma se il compito della giustizia è di punire chi commette ingiustizia , la tortura fa l' esatto opposto perchè colpisce tanto i criminali quanto gli innocenti , cercando di costringerli con la forza ad ammettere atti da loro non compiuti ; e poi sotto tortura anche un innocente finirà per confessare reati che non ha commesso pur di porre fine al supplizio . La tortura poi è ingiustificata perchè si applica ancor prima della condanna : Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice . E, paradossalmente, con la tortura l'innocente è posto in peggiore condizione che il reo: infatti l'innocente se viene assolto dopo la tortura ha subito ingiustizia, ma il reo ci ha solo guadagnato, perchè è stato torturato ma , non avendo confessato, è risultato innocente e si è salvato dal carcere! Dunque l'innocente non può che perdere e il colpevole può guadagnare, nel caso in cui venga assolto. Ancora più complessa è la questione della pena di morte , ossia della vendetta istituzionalizzata : Beccaria riconosce la validità della pena di morte in Stati particolarmente deboli in cui i criminali fanno ciò che vogliono . Però nel 1700 , con il progressivo rafforzarsi degli Stati tramite l' assolutismo illuminato , la pena di morte diventa assolutamente inutile : se lo Stato è forte , allora punirà senz' altro il criminale , il quale , sapendo che agendo in quel modo verrà punito , non infrangerà la legge : egli non la infrangerà anche in assenza della pena di morte ; secondo Beccaria occorrono pene miti , ma che vengano sempre applicate : se la pena è minima , ma il criminale sa che dovrà scontarla e non potrà farla franca , allora non infrangerà la legge : la pena di morte diventa quindi assurda e inutile proprio perchè lo Stato è forte , capace di punire i criminali . L' importante è che le pene vengano sempre apllicate , altrimenti il cittadino corretto e rispettoso della legge , vedendo che i trasgressori la fanno franca e non vengono puniti dalla legge , comincerà ad odiare la legge stessa e a trasgredirla anch' egli , proprio perchè si sentirà preso in giro dallo Stato che vara leggi e poi non le fa applicare . A sostegno della sua battaglia contro la pena di morte , Beccaria porta un altro argomento : la pena , per definizione , ha due funzioni : 1 ) correggere il criminale per riportarlo sulla retta via ; 2 ) garantire alla società la sicurezza , già a suo tempo propugnata da Hobbes . Ma la pena di morte ( pur rendendo più sicura la società ) , evidentemente , non può certo correggere il criminale , in quanto lo fa fuori : la risoluzione del tutto sta , per riagganciarci a quanto detto , nello Stato forte e autoritario che impone pene miti , ma garantisce la loro applicazione ; allo stesso anche l' ergastolo non corregge il criminale ed è , a mio avviso , ancor peggio della pena di morte , la quale si pone come obiettivo il liberare la società di un delinquente ; l' ergastolo , invece , si pone come obiettivo esplicito il correggere il criminale : ma a che serve tenerlo tutta la vita in carcere ? Che correzione può avere ? Va senz' altro notato come la pena di morte , che era sempre stata una sorta di spettacolo per il popolo che si riuniva nelle piazze per assistere ai pubblici squartamenti , nel 1700 cominci a risultare odiosa al popolo : è il sentimento decantato da Rousseau che entra in gioco . Tuttavia la critica di Beccaria mossa al sistema giudiziario è intrecciata con quella mossa alla Chiesa : se è vietato il suicidio , come può essere legittimata l' omicidio tramite la pena di morte ? Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll'altro, che l'uomo non è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera? . Così inizia la critica sistematica di Beccaria contro la pena di morte ; non è in assoluto nella storia la prima volta che si muove una critica alla pena di morte , ma è la prima volta che contro di essa vengono mosse obiezioni radicali e sistematiche . Questa critica alla pena di morte indica una svolta nel senso comune , svolta che ebbe anche innegabili effetti pratici : per esempio nel 1786 Pietro Leopoldo aboliva in Toscana la pena di morte . La prima argomentazione contro la pena di morte è che essa non è legittima. La tesi a sua volota si divide in due punti: in primo luogo, essa offende il diritto che nasce dal contratto sociale , stipulato per garantire la sicurezza degli individui contraenti, non per deprivarli della vita. In secondo luogo, la pena di morte è contraria al diritto naturale secondo il quale l'uomo non ha la facoltà di uccidere se stesso e non può quindi conferirla ad altri. Dopo aver dimostrato che la pena di morte non è legittima, ossia che non è un diritto, Beccaria passa alla seconda argomentazione, per cui essa non è necessaria: anche questa si articola su due livelli: in primis, si dimostra che la pena di morte non è necessaria laddove regnino ordine politico e sicurezza civile; in secondo luogo si dimostra che essa non esercita una sufficiente funzione di deterrenza relativamente a furti e a delitti. La dimostrazione di questa tesi è empirica: le impressioni più profonde non sono quelle intense ma brevi (la pena di morte) , bensì quelle più deboli ma di lunga durata (il carcere). Beccaria critica anche la religione accusandola di agevolare il delinquente nelle sue ree intenzioni, confortandolo con l'idea che un facile quanto tardivo pentimento gli assicuri comunque la salvezza eterna. Ma se la pena di morte non è un diritto e non è un deterrente, essa è anche inutile: lo Stato, infliggendo la pena di morte, dà un cattivo esempio perchè infatti da un lato condanna l'omicidio e dall'altro lo commette, ora in pace ora in guerra. Ma Dei delitti e delle pene non si limita a criticare lo stato di cose presente , benchè questo aspetto risulti decisivo in prospettiva storica ; in effetti Beccaria non manca di avanzare la proposta di una nuova dimensione giudiziaria , secondo la quale lo Stato non ha il diritto di punire quei delitti per evitare i quali non ha fatto nulla : la vera giustizia consiste nell' impedire i delitti e non nell' infliggere la morte . In tal modo viene posto il problema della responsabilità sociale dei delitti commessi , introducendo una concezione del tutto nuova della giustizia e dei doveri dello Stato , nonchè dei rapporti tra società e singolo . Beccaria propone inoltre delle punizioni che non siano vendette , ma risarcimenti , tanto del singolo verso la collettività quanto di questa verso il criminale : le pene devono pertanto , come dicevamo , essere socialmente utili e " dolci " , volte al recupero e non alla repressione . Un altro elemento decisivo dell' opera è la distinzione tra reato e peccato . Il reato risponde ad un sistema di leggi liberamente concordato tra gli uomini : innegabile è l' influenza su Beccaria di Rousseau e delle sua concezione della società come contratto ; dunque il reato deve essere definito in un' ottica laica e terrena , storica e immanente . In questo modo viene rifiutata l' identificazione tradizionale tra diritto divino e diritto naturale , di cui i sistemi legislativi sarebbero l' espressione diretta . Viene , anzi , smascherato l' interesse di potere che si nasconde dietro a una tale concezione . Questa laicizzazione della giustizia è anche la più forte ragione del rifiuto della pena di morte : era infatti proprio arrogandosi il diritto di esprimere insieme la legge umana e la legge divina che gli Stati potevano condannare a morte un presunto colpevole , quasi come se fosse Dio stesso a punirlo. Certo Beccaria ha piena coscienza della difficoltà che ha il popolo di comprendere le leggi, tanto più che ciascun uomo ha il suo punto di vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha un diverso , ed è per questo che condanna l'oscurità delle leggi, scritte in una lingua straniera al popolo , convinto che se tutti potessero intenderne il significato il numero dei delitti e dei reati diminuirebbe notevolmente. Le leggi devono essere accessibili a tutti, tutti hanno il diritto di conoscerle e , di conseguenza , di rispettarle; ma Beccaria sa bene che ai suoi tempi le cose non vanno così e che in realtà la maggior parte delle leggi non sono che privilegi, cioè un tributo di tutti al comodo di alcuni pochi. Egli è altresì convinto che il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, nè di disfare un delitto già commesso, bensì il fine dunque non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini. E Beccaria non esita a tuonare contro le accuse segrete che portano gli uomini a mascherare i propri sentimenti e ad errare smarriti e fluttuanti nel vasto mare delle opinioni: bisogna dare al calunniatore la pena che toccherebbe all'accusato! Con le accuse segrete, infatti, basta avere in antipatia una persona, magari la più onesta che ci sia, per farla andare in carcere con false accuse infondate. Assurdo per Beccaria è anche il giuramento, proprio perchè non ha mai fatto dire la verità ad alcun reo e poi mette l'uomo nella terribile contradizione, o di mancare a Dio, o di concorrere alla propria rovina. Il giuramento è inutile, perchè non avvengano delitti basta solo che il delinquente colleghi automaticamente l'idea di delitto a quella di pena : compiuto il delitto egli otterrà inevitabilmente una pena; ed è proprio per questo che occorre la prontezza della medesima, perchè il lungo ritardo non produce altro effetto che di sempre più disgiungere queste due idee: il criminale, compiendo un delitto e non vedendosi punito, finirà per non associare più il delitto alla pena. Fatto sta che la pena deve sempre e comunque essere dolce, ma in ogni caso va applicata proprio perchè la certezza di un castigo, benchèmoderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell'impunità. 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