La vera storia del musicista sull'oceano
ANTEFATTO
Mi capitava spesso di fissare una qualsiasi cosa o persona
posta nelle mie vicinanze e subito la mia mente, libera dai legami
con la mia volontà, mi portava via, lontano dalla realtà, in mezzo
al mare, sopra un'imbarcazione con le vele spiegate, gonfie di
vento.
Intorno a me il mare e il cielo, all'orizzonte il solo orizzonte.
Il mare che ti dondola dolcemente, io in piedi davanti al
timone ben saldo tra le mani, l'ebbrezza del vento sul viso, i
capelli scompigliati, il profumo della salsedine nelle narici, gli
occhi chiusi per ascoltare il battito del cuore... il mio cuore.
Io! Alla ricerca di me stesso.
Poi, improvvisamente, qualcosa mi faceva tornare alla realtà.
La realtà di un uomo di mezza età che, allo shockante trillo
della sveglia, si alza ogni mattina di buon'ora, si lava, si veste e si
mette alla guida di un'automobile percorrendo chilometri e
chilometri di strada per fare poi ritorno alla propria casa solo a
tarda sera..., lui e quello stramaledetto mal di schiena,
indesiderato compagno di viaggio.
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Arrivare e sognare solo il proprio letto, per dormire, nella
speranza di allontanare quei problemi che quotidianamente ti
attanagliano: quelli di lavoro... di casa....
Tutti i giorni viaggiavo da una città all'altra, giungevo con la
mia auto in mezzo al caos del traffico cittadino, districandomi tra
un veicolo e l'altro, tra un pedone e l'altro, alla disperata ricerca
di un parcheggio.
Trovare da parcheggiare, specie in pieno centro, non è cosa
facile, così, molto spesso, la ricerca si faceva snervante ed allora,
persa ogni speranza di trovare un buco regolare, mi vedevo
costretto ad abbandonare la macchina in divieto di sosta: un
giorno in doppia fila, un altro sulle strisce pedonali, un altro
ancora sul marciapiede.
Lo so, non si deve fare, ma quando senti che i nervi stanno per
saltare, ti ritrovi a fare cose che normalmente deplori (se fatte
dagli altri, naturalmente).
Lo sai benissimo che non puoi parcheggiare la macchina in
divieto di sosta, lo sai eccome ed è proprio per quello che hai
bisogno di un motivo che giustifichi quell'infrazione appena
commessa:
«Non ci metterò molto a tornare, che noia darà mai la
macchina?» e così ti senti tranquillo con la tua coscienza.
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Però, quando vedi quella mamma costretta a scendere
faticosamente dal marciapiede col suo passeggino perché tu!! Tu,
con la tua macchina, le impedisci il passaggio... beh, allora sì che
sei prepotentemente assalito da quel senso di colpa che ti fa
sentire un verme (senza offesa per quel viscido e strisciante
invertebrato, naturalmente).
Prima rallenti il passo, poi ti fermi a guardarla mentre a fatica
spinge il passeggino sulla strada, in mezzo al traffico, tra i veicoli
costretti a frenare o a fare peripezie per schivarla. E' proprio in
quel momento che il tuo cervello si rimette in funzione ed
elabora una nuova scusa:
«Non ci metterà molto a transitare, che noia darà mai a quei
veicoli?». E così, dopo che mamma e passeggino sono risaliti sul
marciapiede ad un millimetro dalla tua auto e solo dopo che sei
ritornato indietro per accertati che non ti abbia rigato la
carrozzeria, puoi riprendere le fila della tua giornata, quella che ti
ha portato in un luogo diverso da quello del giorno prima, che
sarà diverso da quello del giorno dopo e così via: da anni e per
anni.
Con in mano la valigetta piena di opuscoli informativi e
campioncini, arrivavo alla mia meta prestabilita e lì trovavo
persone in attesa del proprio turno cosicché, non appena venivo
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individuato, calava il gelo.
Di colpo, quelle persone smettevano di leggere, di parlare, di
pensare e si voltavano all'unisono verso di me. Non volava una
mosca... loro avevano capito al volo del perché io mi trovassi lì,
mica come quella sfaticata mosca che continuava ad arrampicarsi
su superfici lisce e riflettenti.
I loro sguardi prima mi fulminavano, poi mi polverizzavano.
Non nascondo che la cosa mi metteva a disagio, ma con gli
anni ci avevo fatto l'abitudine e così, facendo come niente fosse,
salutavo tutti quanti con un unico fugace saluto, mi avvicinavo al
bancone della segretaria e, dopo aver scambiato con lei qualche
parola, passavo davanti a tutti loro.
E' dura la vita dell'informatore scientifico di farmaci, devi far
buon viso e cattivo gioco, non ti devi curare di quegli sguardi, di
quei mugugni, hai solo un obiettivo: piazzare le tue medicine
perché ti hanno detto che sono le migliori sul mercato, quelle che
salveranno più persone.
Dopo aver illustrato al medico i prodigi dei medicinali, senza
disdegnare qualche battutina spiritosa a sfondo sessuale ed il
commento sulle tette della segretaria, uscivo dalla sua stanza,
tiravo dritto nella sala di attesa senza guardare nessuno, un
cordiale saluto alla segretaria e quella mosca che prima non
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volava ora si posa su di me...:
«Dov'è che si posa la mosca?».
Nonostante gli anni, quel mestiere non ero proprio riuscito a
farmelo piacere, anzi, più andavo avanti e peggio era, così per
tutto l'anno aspettavo il periodo delle ferie: una settimana
all'anno, naturalmente ad agosto, in piena alta stagione, quando i
prezzi dei soggiorni sono alle stelle.
Andava bene lo stesso. Quell'anno mia moglie mi aveva
comunicato che la nostra meta vacanziera si trovava sul mare.
A me piace il mare per cui ero contento e poi avrebbe pensato
a tutto lei.
..........
Questa che vi apprestate a leggere è la cronaca di quella
vacanza, quella che ha dato una svolta decisiva alla mia vita,
quella dell'incontro col musicista della motonave 'Lupo di Mare',
la persona conosciuta col nome di OttoCentoNovantaNove.
A ripensarci bene, sono proprio in debito con
OttocentoNovantaNove: quello che dicevano non fosse mai sceso
da bordo, quello che, col suo vestito bianco, suonava da dio.
Sì! tutto sommato devo a quello strano artista il cambio di
rotta della mia vita.
Tutto sommato: «Grazie, OttoCentoNovantaNove».
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Capitolo UNO
Finalmente anche quell'anno era giunto il mese di Agosto e
con lui il momento tanto atteso per tutto l'anno: partire per la
vacanza.
Quell'anno mia moglie aveva deciso di andare al mare. A me il
mare piace, e anche tanto, ma con tutta sincerità, mi sarebbe
andata bene qualsiasi meta pur di staccare la spina e non pensare
al lavoro per almeno una settimana.
La sera prima della partenza, a bordo della mia automobile
sulla via di ritorno a casa, la mia mente era già partita facendomi
pregustare il mare, il sole, la spiaggia e il riposo... l'agognato
riposo: no problem! no fatik! (chiedo venia per il mio inglese non
certo impeccabile).
Già mi vedevo in spiaggia, all'ombra dell'ombrellone, sdraiato
sul lettino a leggere un buon libro, un giallo o un gotico che
importanza aveva, tanto non sarei andato oltre il secondo
capitolo, oppure, ancora, mi vedevo con una rivista di
enigmistica che, chissà perché, compro solo in vacanza.
Eppure non è male la rivista di enigmistica, si imparano tante
cose interessanti:
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«Lo sapevate che lo squacquerone è un formaggio romagnolo
a pasta molle, tenera senza crosta e con sapore di latte
leggermente acidulo?».
Poi ci sono le parole crociate, quelle facilitate naturalmente:
«Ventitré orizzontale: il pesce che dice le bugie - cinque
lettere... Quarantasette verticale: il dente che abbaia - sei
lettere...».
Per dire la verità, non le riesco mai a completare le
parole crociate, così provo con i Rebus:
«......»
bah! un vero enigma per me.
Sovente mi domando del perché continui a comprare la rivista
di enigmistica, in fin dei conti l'unica cosa che riesco a
concludere è la cosiddetta pista cifrata per scoprire la figura
nascosta:
«Unire con un tratto di penna i punti da 1 a 23:
1.____________.23» (che poi non ho ancora capito cosa ce li
mettono a fare i puntini intermedi, che tanto avanzano sempre).
A pensarci bene, forse con i fumetti sarebbe andato meglio...
per lo meno avrei guardato le figure...
Comunque, qualunque sia stato il passatempo: libro, rivista o
fumetto, la cosa che mi importava di più era soltanto una: la
vacanza.
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Già sentivo il profumo del mare, il calore della sabbia, vedevo
la mia vicina di ombrellone, il suo posteriore (non è certo colpa
mia se me la immaginavo di spalle) che mi stuzzicava l'appetito...
tanto che già percepivo l'odore del cibo provenire dalla tavola
calda dello stabilimento balneare, lì!, a soddisfare le mie voglie...
culi...narie (Ah! ah! ah!, ho fatto la battuta... come sarebbe a dire:
“quale battuta?”).
La sera precedente la partenza, mia moglie mi comunicò l'ora
in cui saremmo dovuti andare a dormire: le ventuno e trenta.
«Come le ventuno e trenta, non c'è sera che non andiamo a
letto prima della mezzanotte», le obiettai e così, alle ventuno e
trenta, come da dispaccio, mi ritrovai a letto a girarmi e rigirarmi
su me stesso: prima a pancia in su, poi a pancia in giù, poi di
fianco, poi mi veniva in mente un pensiero che cercavo subito di
allontanare con un altro pensiero che cercavo subito di
allontanare con un altro pensiero che cercavo subito di
allontanare con un altro pensiero che cercavo... finché, verso le
ventitré e cinquantasei e qualche manciata di secondi, sentii le
palpebre cedere.
Nel silenzio della notte mi stavo per addormentare quando
improvvisamente dalla mia destra ...dentro il mio orecchio...
sentii un fastidioso ed inconfondibile sibilo ...zzzzzzz....: era la
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zanzara.
Lo stramaledetto insetto succhia sangue mi stava ronzando
intorno, io allora cercai di difendermi muovendo in ordine sparso
le mani, finendo però per colpirmi violentemente l'orecchio.
Lei continuava a ronzarmi attorno, si dirigeva verso me, in
picchiata come uno Junker Ju-87 Stuka (1) ...zzzzzzzzzz..., poi
riprendeva quota ed infine giù, a sfiorarmi il naso ...zzzzzzzzzz...,
poi l'altro orecchio ed io, dopo l'ennesimo tentativo di
allontanarla conclusosi con l'ennesimo ceffone in faccia, accesi la
luce della abat-jour, afferrai il cuscino e mi alzai in piedi sul letto.
Mi sentivo come King Kong sopra il grattacielo mentre cerca
di abbattere gli aerei che gli volano intorno per colpirlo (2), ma
lui alla fine perde, io no, non me lo potevo permettere, e allora la
seguii con lo sguardo finché si posò sul muro, presi la mira,
lanciai il cuscino e la spiaccicai alla parete che si sporcò del mio
sangue, quello che la vampira aveva indebitamente succhiato da
non so quale parte del mio corpo.
Ora era lì, sul muro, le zampette per aria a far bella mostra di
se ed io lì di fronte a guardare con sadico piacere quel corpicino
immobile e quell'enorme chiazza di sangue.
Pensai a quell'esserino, condannato dalla natura a ronzare
fastidiosamente intorno agli esseri viventi per cibarsi del loro
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sangue, unica fonte di sopravvivenza, a come ciò lo rendesse
odioso, cacciato, lui che per vivere rischiava la vita... Provai un
po' di compassione... ma fu un istante, giusto il tempo di vedermi
nella mente la reazione di mia moglie alla vista del sangue sulla
parete, così mi affrettai ad andare in cucina a prendere un panno
imbevuto di acqua ed a ripulire accuratamente la scena del
crimine. Mia moglie non si accorse di nulla.
Finalmente mi potevo coricare di nuovo a letto, così spensi la
luce: da lì a poco, Morfeo mi avrebbe accolto tra le sue braccia.
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