Il percorso Sulla sinistra del Tagliamento scorre una “vaga riviera la quale chiamano il Varmo, ed è così cara e allegra a vedersi, come silvestre verginetta che non abbia né scienza, nè cura della propria leggiadria”: così descrive il fiume Varmo lo scrittore Ippolito Nievo, che soggiornò per lungo tempo a Camino al Tagliamento. Il fiume Varmo nasce a S. Vidotto in via Sorgente da una piccola olla sorgentifera ora prosciugata, per l’abbassamento che le falde acquifere Una suggestiva immagine del Varmo hanno subito negli ultimi anni. La scomparsa delle sorgenti si fa risalire principalmente allo sfruttamento idrico sotterraneo da parte dell’acquedotto di Biauzzo e dei numerosi pozzi per l’irrigazione dei campi che si trovano in queste zone di risorgenza. Partendo da via Sorgente, dopo un breve tratto, si incontra il primo rigagnolo del Varmo prodotto dall’apporto di varie pompe “a getto continuo”, sfruttate per uso domestico. A valle dell’area di risorgenza, nella piazza del paese, il corso riceve le acque del canale artificiale Ledra. In questo tratto prende corpo il fiume vero e proprio, con un letto largo due metri ed un percorso rettilineo. Dopo l’abitato il suo alveo si piega verso occidente, e il fiume assume un andamento meandriforme fino a raggiungere il centro di Camino, dove prosegue verso il piccolo centro abitato di Glaunicco. Attraversa dapprima la suggestiva località “il Mulino”, quindi si addentra nella campagna e giunge fino alla peschiera “ Le Gru”, dove il suo alveo si è notevolmente ampliato per l’apporto della roggia di Gorizzo . Quando ha raggiunto il territorio di La confluenza a Madrisio Varmo, la roggia assume l’aspetto di un vero e proprio fiume, con una portata più consistente ed un ampio alveo arginato che prosegue il suo corso fino alla confluenza con il Tagliamento, a Madrisio. Qui attraversa un piccolo lembo di bosco naturale, ultimo residuo della vasta foresta planiziale che un tempo occupava tutto il territorio della Bassa Friulana La storia Plinio ricorda il Varamus, attuale Varmo, che attraversa entrambi i nostri comuni e che in epoca romana aveva probabilmente un corso parallelo e indipendente dal Tagliamento, gettandosi nell’Anaxum, lo Stella, a sud del territorio di Varmo. Il conte Vettore Savorgnano di Belgrado riproduce, in un disegno del 1612 (di fianco riportato) su carta ed acquerello, il percorso di un ramo del Tagliamento dopo la grande inondazione, a seguito della quale il fiume devia verso est, fino a raggiungere lo Stella, occupando l’alveo del Varmo e probabilmente anche il vecchio percorso di quest’ultimo. Plinio il Vecchio Disegno del secolo XVI raffigurante il Tagliamento nella inondazione del 1612. ASVD:R: Ud Fr b 6,d.4 (Soc. Filol. Friulana) La poesia Aghis dal Var Aghis dal Var claris ‘ne volte e dolsis Il soreli a foropàus Tra i pendacuj di vencjâr E il neri tajà vie di un merlo, In dreturis di piere ué costretis Ma bielis ancjemò Parcè che il sîl us rît di stéss e chel Nissun lu dome in ta la vongule da ‘l cuièt uestri portajmi vie ancje me e po lassaimi in ta la prime polse Acque del Varmo Acque del Varmo chiare una volta e dolci il sole a trapassarvi tra le ramaglie pendule di salice e il nero dritto volare via di un merlo, in dritture di pietra oggi costrette ma belle egualmente perché il cielo vi ride lo stesso e quello nessuno lo imprigiona nell’onda della quiete vostra portate via anche me E poi lasciatemi al primo vostro fermo da Cansonetutis di E. Bartolini IL TEATRO La nota novella “Il Varmo” di Ippolito Nievo ci ha ispirato la sceneggiatura di un lavoro teatrale avente per tema l’incontro immaginario dei due ragazzini del racconto, Sgricciolo e Favitta, con due giovani d’oggi sulle rive del fiume immortalato dallo scrittore. INTRODUZION Inte note di Gianmarco Gaspari che al à vût curât l’edizion pal Gazetin o cjatìn scrit che la novele “ Il Varmo” e je stade publicade dal Nievo sul periodic udinês “L’annotatore friulano” diret da Pacifico Valussi , intai numars che a van dal 20 di marz al 22 di mai dal 1856. Tes intenzions dal autôr, che in chê volte al veve 25 agns, la novele e veve di fâ part di un volum di contis paesanis, cul titul di “Novelliere campagnolo”. Il progjet nol è lât mai a bon fin, ma tal 1956, Iginio De Luca al à ricostruît la filusumìe dal Novelliere, cul tiarç volum des Oparis nievianis, publicât di Einaudi, mitint ancje cheste conte.Par plui di cualchidun la frutute dal racont, Favitta, e je spudade de Pisana, intes “Confessioni”, cussì ancje il fogolâr di Gradiscje nomenât tal racont, al sarès chel dal Priorât, doprât instès tal famôs libri, par descrivi la cusine di Frate. 2004: Il Varmo La scena è spoglia . In un angolo la narratrice racconta . In sottofondo si sente il suono della chitarra. Musica rococò. N. “ Nel mezzo di questo territorio da parecchie sorgenti, che forse pigliano vita per sotterranei meati dal vicino Tagliamento, sgorga una vaga riviera la quale chiamano il Varmo, ed è così cara e allegra cosa a vedersi, come silvestre verginetta che non abbia nè scienza, né cura della propria leggiadria:” Si spengono le luci su Federica e si accendono in mezzo alla scena, che rappresenta un paesaggio campestre, sulle rive del Varmo. Sul fondo della scena viene proiettata l’immagine del mulino di Glaunicco. BALLETTO Luci sulla scena. Sulle rive del fiumiciattolo, visualizzato con semplici effetti luminosi, passeggiano, mano nella mano, due ragazzi d’oggi: Marco e Giulia. Si fermano in mezzo alla scena perché hanno visto un libro per terra: Giulia lo raccoglie e nota che mancano le prime pagine. Lo sfoglia e legge un passo: G.: D’ognuna di queste cotali meravigliose bellezze …mmmm il Varmo fa cortese omaggio in passando al meschinissimo villaggio di Glaunicco. …… Oh bella! Il libro parla di questo posto…. (Va avanti nella lettura) mmmmm…… Né un mulino che è lì presso toglie per nulla di vaghezza a quella semplice scena……. Ma guarda, curioso, nomina anche il mulino, dove siamo appena stati a prenotare il nostro pranzo di nozze! Si spengono le luci e si riaccendono sulla narratrice: “ Quel mulinetto non ha ora che una sola macina da polenta, ma in tempi meglio avventurati triturava del bel frumento, e così finamente e a giustizia di peso che l’era salito a gran rinomanza. Mastro Simone ch’era il mugnaio se ne gloriava a buon diritto, e benché dei molti figliuoli non gli fosse restato che il maggiore il quale s’era accasato a parte, pure campavasela colla moglie in qualche agiatezza; e all’agiatezza, tutti lo sanno, s’accompagnano l’allegria e la pace del cuore molto volentieri. Quello era il tempo quando uno staio di farina gialla costava un saluto, e il vino correva a rigagnoli e Dio mandava a proposito la pioggia, il sereno, la vita e la morte.”. Si spengono le luci sulla narratrice e si accendono in mezzo alla scena, illuminando Marco e Giulia, intenti a leggere il libro G.: Leggi Marco, qui dice che al mulino abitavano Simone, il mugnaio, sua moglie Polonia e Fortunata, la loro figlioletta, detta Tina. (Continuano a scorrere le righe del testo) G.: Mamma mia, qua dice c’è stata una pestilenza e il vicino di casa di Simone è morto lasciando una vedova e un figlioletto…. Oh, poveretta è morta anche lei. Marco (le prende il libro) . : Che strazio, fammi leggere!…..Mmmmm Beh, dice anche che Simone porta il ragazzino, di nome Pierino, a casa sua e lo adotta…….. In quel mentre si sente un canto di ragazzi fuori scena e poco dopo appaiono due bambini che entrano in scena cantando una villotta. Marco e Giulia si girano di scatto: G.: Ciao ragazzi, da dove venite? Tina:Vualtris, pluitost, sêso di Vignesie? G.: Perché? Sg.: Parcèche fevelais par talian G. : No, no sono friulana T.: E alore parcè no cjacaristu cemût che tu mangis? G.: Ma a casa mia si parla italiano T.: Mmmh, brute usance M.: Si può sapere da dove siete sbucati? T.: Jo o soi a stâ tal mulin e lui lu à puartât miò pâri a cjase me, dopo che je muarte sô mâri .Jo o ai non Tina, ma ducj mi clamin Favitta e lui al è Pierino, ma ai disin Sgricciolo Si spengono le luci e si accendono sulla narratrice. N.: Il vecchio Simone rientrò in casa Brut rimbambît di vecjo, di dolà vegnial chel traendosi per mano uno zingarello così sbrendul? sudicio e selvatico che parea proprio, come si dice, il figliuol di nessuno, e sotto l’ascella aveva un involto di cenci i quali erano tutta l’eredità del povero Pierino.In vedere quel diavoletto così nero lurido e sparuto, e quel mucchio di stracci, la Polonia si mise le mani nei capelli, e prese a strillare …. Luci sulla scena con Polonia, Simone e Pierino: Po.: Brut rimbambît di vecjo, di dolà vegnial chel sbrendul? Nond’avino avonde di ce bassilâ cence vê altris fastidis? Il frut spaurît si plate daûr di Simon e lu prèe: Sg.: Us prei puartaimi là di mê mâri Simon lu cuiete. S. Sta bon frut, (Si volte viers la femine ) e tu, ce ti zovie vosâ. Il frut ti cjaparà in odi e cussì tu varâs dôs crôs al puest di une. Se invessit tu lu tratis cu lis buinis, come che al fos tiò fì, tu lu tiris sù tânt che un toc di pan e cuant che al deventarà grandùt, ti darà une man tal curâ lis bestiis, o tal tignî a ments la frute, cuant che tu vâs al marcjât a Rivignan. E in plui, intai dis di vèe lu mandarin a pescjâ e tu podarâs preparâ chês friturutis di gjavedôns che ti fasin sumiâ. Si spengono le luci sulla scena e si riaccendono sulla scena dei quattro ragazzi ( Marco e Giulia ridono) T.: (stizzita) Parcè ridêso? G.: Perché avete due soprannomi ridicoli: Sgricciolo e Favitta T.: ( Ancora più stizzita) Al è pôc ce ridi, no o sin Tu âs di cjatâ une sglàvare… libars come i passarîns che svuàlin disôre i cjamps. Lo Sgricciolo corre aprendo le braccia a mo’ di ali. M.: Stai fermo , veh, che sembri Montella Sg.: Cui êse Montella? M.: Un giocatore di calcio Sg.: Un zujadôr? Di calcio? E ce zûc al êse? Noâtris o zuin a passarîns, no savin ce che al je il calcio. M.: Come sarebbe a dire a passarîns? Sg.: Cumò tal fâs viodi (Si china alla ricerca di un sasso) Tu âs di cjatâ une sglàvare… (Vede che l’altro rimane un po’ incerto) … Supo, no stâ dîmi che no tu sâs ce che e je une sglàvare, un clap biel taront e plac M.:Ah, sì Sg: Colte che tu l’âs cjatât tu lu butis cussì su l’aghe ( lo lancia nell’acqua) M.: Ma che cosa c’entrano i passarîns? Sg.: Stupit, no viostu che la sglàvare e slitte su l’aghe e e salte come un ucelùt? M.: Aah, hai ragione A Giulia suona il telefonino. La Favitta fa uno scatto all’indietro come se fosse stata punta da un’ape T.: Oh, Diu ce striament êsal? Giulia prende in mano il telefonino e risponde, mentre Tina e Pierino la guardano sbigottiti G.: ( Finisce la conversazione e chiude il telefonino. Passa una mano davanti agli occhi dei due ragazzi esterrefatti) Sveglia! non avete mai visto un telefonino? T.: Malafenò, ce dal bambìn êsal? M.. E’ uno strumento che serve per comunicare con persone che stanno in un altro posto Sg.: Us lu ae dât il diaul? M. : Ma che cosa dici ? Il telefono è stato inventato da Meucci più di un secolo fa Sg.: E pos stai, ma jo no ai mai viodût un imprest dal gjenar La Tina guarda con curiosità i vestiti di Giulia. Questa indossa un paio di jeans rattoppati e pieni di scritte T.: Dispo, tu parcè setu vistude di omp? G.: Io, vestita da uomo? Ma che cosa ti salta in mente? T.: Tu as lis barghessis, no sin migo a carnevâl? G.: Ohe, ma cosa dici, ma dove vivi? T.: (Pronta) A Glaunic di Cjamin, e o soi fie di Simon e Polonie, paròns dal mulin. G.:Eppure avrei scommesso che il padrone del mulino si chiama Gino e non Simone. T.: Tu ses fûr cu la cassèle tu, miò pâri al fâs di nom Simon di cuant che al è nât e te Sveglia! Non avete mai visto un telefonino? sô vite no lu à mai gambiât G.: Va bene, va bene , non riscaldarti per così poco.(Si volta a guardare lo Sgricciolo che è scalzo) Perché non hai le scarpe tu? Sg (vergognandosi guarda la Favitta) No ai bisugne di scarpis jo, o voi discòlz come la siore Polonie. Le luci si spengono e si accendono in un’altra parte della scena, dove appaiono Simone e la Polonia. P.: Viôt cun ce raze di pîs cragnôs che o ai di lâ a messe S.: Sumo Polonie, us ai pur comprât un par di scarpis l’ultime volte che o soi stât a Codroip P.: Lis scarpis gnovis no van puartadis inta chei pantans chì S.: E i scafaròts e i zocui e i sandui che o vês sot il jet, che parin un esercit? P.: I scafarots si piardin tal pantàn, i zocui a ruvinin i pîs e cui sandui si cjapin i polès veso capit, vecju insiminît? S.: (Al met la pipe in bocje, al fas un gjest di stize) Al è miôr che o ledi a controlâ tal mulin. Si spengono le luci e si riaccendono sulla scena dei ragazzi. Fuori scena si sente una musica assordante e poco dopo appaiono alcuni ragazzi, amici di Marco e Giulia che si mettono a ballare. Hanno un impianto stereo ed alcuni sentono la musica con le cuffie e il compact disc. Marco e Giulia si uniscono al ballo degli amici, mentre lo Sgricciolo e la Favitta rimangono impietriti di fronte alla confusione creata dal gruppo e guardano con stupore i ragazzi mentre ballano. La Favitta, ad un certo punto vince il timore, si avvicina agli altri ragazzi e li imita, muovendo alcuni passi incerti di danza, poi, pian piano si fa più sicura e si butta a capofitto in una danza sfrenata. Lo Sgricciolo è rimasto fuori dal gruppo e guarda a bocca aperta. Finito il ballo i ragazzi salutano e se ne vanno, mentre la Favitta si lascia cadere per terra ridendo. Lo Sgricciolo finalmente si scuote: Sg.: Dispo astu mangjât sbissis? O ti ae muardût un sarpînt? T.: Puar batocjo, impare ancje tu a moviti, che tu mi sameis un mani di scove Sg.: (Al alze lis spalis e al fas un gjest cu la man, come par disi di lassâ piardi) T.: (A Giulia) Ma dolà erie la bande che e sunave la musiche? G: Ma no, stupidina che cosa c’entra la banda? Suonava uno stereo Sg.: E dolà al vevie i struments Stereo? M.: Non è mica una persona Stereo, è un apparecchio a batterie che produce musica T.: No pos crodilu, un casselòt cun drenti ducj i struments e i sunadôrs? Ma dolà stavino? G.: (ride) Non ci sono né strumenti, né suonatori, c’ è un CD sul quale è incisa la musica T: (rabbiosa) Tu, tu, tu brute pandole tu volis cjapâmi in zîr, ma no mi fâs menâ ator jo, satu. A cui croditu di dâle a intindi. Pfh, cence struments e sunadôrs! Robis di chel altri mônt! (Si cuiete) Ce musiche sunavino? G.: Hip hop T.: Aah, o ai capit ( sculetta a sinistra) Hip… (sculetta a destra) Pop G.: (Per non innervosirla di nuovo) Sì, sì, un pressappoco così M.: Dai Giulia, muoviamoci che dobbiamo ancora andare a Rivignano T.: Ce lêso a fâ, no je migo zornade di marcjât? E po’ no rivais , al je masse tart M.: Ma cosa dici? Con questo bolide (e segna la moto parcheggiata poco più in là) ci andiamo in 5 minuti. T e P. guardano stupiti la moto ed esclamano: Ce trabicul êsal chel lì? M. : E’ un’Honda RC2 11 valvole Sg.: Honda e ce? Torne a disi M.: Tanto non capisci niente lo stesso (Accende il motore e lo Sgricciolo e la Favitta urlano spaventati e scappano) G.: Ma dove andate? Venite qua ( I due ragazzi stretti l’uno all’altro si Ce trabicul êsal? avvicinano lentamente timorosi) T.: Ferme chel diaul di robe Marco e Giulia ridono M.: Ma ditemi, che cosa c’entra il mercato? T.: Stupidàt, no sâstu che a Rivignan si va al marcjat par vendi la robe M.: Che roba? T.: Ma sêstu rimambît: a vendi ûfs e pes M.: Pesce? E dove prendi il pesce? Sg.: Intal Var, mone, jo e la Tina cjapin un grun di gjavedôns e sgjardulis, e cuant che al ven su dal mar, o pescjìn ancje l’aurìn, chel però tal Tiliment T.: E cuant che me mari si è ben sglonfade di fartàe di gjavedôns, chel che al reste lu vendìn al marcjât G.: No, ma noi non andiamo al mercato, a Rivignano c’ è il fotografo che ci farà le fotografie per le nozze Sg.: No, no, spete un moment, no podês cjacarâ cemût che us comude par no fâsi capî. . Êse robe di mangjâ fotografìe? G.: (Spazientita) Ma non sapete niente voi? Venite dalla luna? Sg.(ride di gusto) Noaltris de lune? E vualtris, cun chei striaments che o vês puartât? G.: (Spazientita estrae dal portafoglio la carta d’identità e fa vedere la sua fotografia ai due ragazzi) Ecco, guardate, questa è una fotografia T.: (Guarda incuriosita) Ma cheste tu sês tu ! La fotografìe al è un ritrat alore? G.:Sì, sì una specie, è troppo complicato spiegarti M.: Sì una specie di ritratto che per il matrimonio ci costerà la bella sommetta di 500 euro Sg.: Carantâns us domandin, francs e centêsims, a Rivignan M.: Sì, ai tempi di Marco Caco, non c’è più la lira, al posto suo ci sono gli euro M.: (Prende qualche moneta e banconota dal portafoglio) Lo Sgricciolo e la Favitta si avvicinano e guardano con curiosità i soldi Sg.. ( prende in mano un euro) Ce si comprie cun cheste patache? G.: Quasi niente, per prendere qualcosa di decente, ci vogliono almeno 50 euro Sg.: E trop valino? M.: Come 50 di questi ( E segna l’euro che lo Sgricciolo ha in mano) T.: Podio comprâmi lis tôs barghessis cun chei lì? G.: (scuote la testa) Non sempre… T.: Marie Vergine ce mont, par cjoli un par di barghessis sbregadis e pezotôsis, no bastin ducj chei bês? Alore cuissà trop che e costin lis barghessis interis : G. : A volte costano meno Mandi fantats, us ai puartât il menu pes T.: Mah, il vuestri al è un mont cul cûl par gnocis aiar A questo punto entra in scena, fischiettando, il ristoratore del Mulino di Glaunicco R.: Mandi fantats: us ai puartât il menù pes gnocis. Us doi chestis dos pussibilitâts Legge i due menu. Dopo presentato i due menu, i ragazzi ne scelgono uno, il ristoratore prende nota, li saluta e se ne va. T.: Ducj chei bês lì par mangjâ? A no no nus bastarés une vite par pajâlu M e G. : ( ridono) Ma siete proprio dei pidocchiosi T.: (Sustade): Tu cjacaris tu che tu as lis barghessis a sbrendolon G. : Sì, ma sono trendy Sg:Ma ce ditu po’, jo non viôt tre, a mi parin ugnulis G. : E’ inutile parlare con voi, siete di un altro mondo. Beh, stateci bene ragazzi. Ciao Marco e Giulia se ne vanno: Si spengono un attimo le luci e si riaccendono, mentre entra in scena Giorgietto il figlio del mugnaio di Gradiscutta. Le luci si spostano sul nuovo arrivato Videro due occhietti vispi e puntuti…. e si accendono sulla narratrice : “Videro due occhietti vispi e puntuti trasforare una siepe e i due garzonetti si diedero a correre a quella parte col braccio arcato e un bel sasso in mano, il quale null’altro aspettava che un piccolo cenno di mala volontà per punire quell’importuno. Ma quegli occhietti perciò non mossero palpebra; anzi di lì a poco dalla medesima siepe sbucarono due braccia, e poi due gambe con tutto il resto, e un bel contadinello con un paniere in mano s’avanzò verso loro con viso ilare e aperto. I due selvatichetti avezzi a mettere in rotta con una vociata amici e nemici, rimasero sbaiti per tanta confidenza e prima la Favitta si fece incontro allo sconosciuto: T.: Ohe, specie di saradele, ce venstu a fâ, a cjapâ aghe o claps? Gi.: ( Si cjale ator) Tabaistu cun me? T. : Sì, sì, cjacari propit cun te. No êse vere Pierin, che se nol vûl rispuindi a dovê iai lavarin la muse tal Var? Gi.: A mi, lavâmi la muse tal Var?. Tu, tu fevelis propite tu mieze cartuce ? Chì mi soi fermât par miò plasè e chì mi mi fermi par faus un dispiet T.: (A zighe) Aaah, tu tu vûs fâmi un dispièt? Tu vedarâs tu cumò. Êse vere Pierino che il dispièt lu puartarà a cjâse lui cumò? Fai viodi di ce paste che tu sês fat , dai une biele petenade! E tu ( viers Giorgietto) sta in vuaite! Eco il dispiet che mi puarti a cjase…. G.: Jo di chì no mi mûf! T.: Cioh! Vidìn ce chest clap ti insegne un poce di creance (e i tire un clap) G.: (al fâs une smorfie, parcèche i è rivade la claponade tal comedòn) Ah, cussì tu tu la intindis G.: Vignêt indenant se o vês cûr T : Ti mostrarìn che o vin cûr e coradèle ( e va cuintri Giorgetto, ma cuant ch’e sta par cjapâlu, lui, svelt i fâs il sgambèt e la mande par tiare . Svelt daur di je lo Sgricciolo al sta par meti lis mans intor a Giorgetto, ma chel altri lu sbrunte e lu fâs colâ) G.: Eco il dispièt che mi puarti a cjase e vualtris o saressis chei che vevin di lavâmi la mûse! Sg.: ( rabiôs si jeve in pîs e i da cuintri) Sì, sin nô che ti la fasarin viodi (a barufin e Giorgetto a la fin lu bute te aghe. Si volte viers la Favitta ) e cumò ti tocje a ti ( al va cuintri la Favitta, a fasin barufe fin che la Favitta s’inçopede,e cole par tiere e reste ferme cence dà segns di vite. Lo Sgricciolo al cor a tirâle su, sigant . G.: Setu cussì batocjo, no tu viodis che fâs fente. (al cjape un poce di aghe in man e la spruze su la muse de frute. Chê si jeve in sentòn di scat) Astu viudût che je plui vive di te. Al cjape su il cjapiel che al jere colât par tiere, al cjale i doi fruts: Cussì imparaits vualtris ucelùts di barascàn a stiça il falchet ( e s’invie fur di scene )….. La Favitta lu clame: Ehi tu, ce atu nom ? T.: Ehi, Giorgetto spetimi…. (i cor incuintri e lu cjape pe man) Si distudin lis lûs su la sene e si impîn a iluminâ un stran personàz che al cjamine planc. A jentrin in sene Giulia e Marco clamânt “Sgricciolo, Favitta dove siete? Ippolito Nievo: “ Quella Favitta è un’augellina da macchia, che per serbare la carissima libertà darebbe ben volentieri l’ali e la coda; ma più assai della stessa libertà un’altra cosa le sta a cuore, di tenere cioè il primo e il miglior posto al di sopra Ehi Giorgieto, spietimi…. degli altri……..” G.: Ma che strano discorso. Che cosa è successo allo Sgricciolo e alla Favitta? Dove sono andati? I.N. Che cosa è successo? Orbene la Favitta e lo Sgricciolo, rimasti soli pensarono bene di maritarsi, ma il dabennuomo, che per iscrupolo avea rifiutato una fanciulla fresca e mansueta, s’accontentò di sposare una vedovella arcigna e appassita con una figlioletta di tre anni per soprammercato. G.: Lei chi è, scusi ? I.N. : ( sorridendo) Il mio nome è Ippolito Il mio nome è Ippolito…….. (sempre camminando si allontana e scompare nel buio. Giulia, sbigottita guarda Marco e alzando le spalle): Chi era quello? Che gente da manicomio! Lo prende per mano e se ne vanno. Fin La narratrice: La Favitta, il nostro augellin di bosco, come avete intuito, sceglierà come sposo Giorgetto, figlio del mugnaio di Gradiscutta, ma rimasta vedova con una figlioletta a carico, tornerà alla fine dal suo fedele compagno di giochi, lo Sgricciolo . La nostra storia finisce qui, ma non la nostra voglia di metterci in gioco con altre esperienze teatrali. I atôrs si presentin: Favitta: O soi la Favite e lui al è Giorgetto, fì dal mulinâr di Gridiscjute Giorgetto: Tâs lengate, che o soi bon di presentâmi dibessôl Sgricciolo: Il miò nom al è Pierino, ma mi clamin Sgricciolo e no capìs parcè… Giulia: Giulia Marco: Marco Ostêr : A son doi fantats che fasaràn il gustâ di gnocis tal miò ristorânt Polonie: Ce, ce tal miò ristorânt. Tal nestri mulin pluitost, anzit miò di me Che o soi Polonie e dal miò omp, che al è Simon Simon: E à fat dut je! Veh, che al rive chel secjemirindis che nol à nuje altri ce fâ che cjaminâ dut il dì su e ju pes rivis dal Var (al ven denant palncut Ippolito Nievo) Narratrice: Nô us vin contât la storie inventade dai fruts des classis 2A e 2B ispirâts di chel personaz lì ( e a mostre Ippolito Nievo) Indirizzati dalla professoressa Mirmina, appassionata studiosa del Nievo, abbiamo condotto una ricerca sulla vita dello scrittore e soprattutto sulla sua permanenza a Camino, presso i parenti proprietari della villa di Gorizzo. CUI ERIAL NIEVO? Ippolito Nievo al è nât a Padue il 30 novembar 1831. Al a passât la sô infanzie a Udin, dolà che la sô famèe si è trasferide tal 1837, dongje il cjscjèl di Colorêt di Montalban. Tal ’44, al è lât a stâ a Verone par studiâ e lì al a scuviaert i grâncj autôrs romantics come Foscolo e Manzoni. Tal 1849, a Creme e podopo a Pise, indolà che al jere stât par finî i studis, al à vût a ce fâ cu lis teorîs mazzinianis. Tal 1851, Ippolito Nievo si è iscrit ai cors di giurisprudenze de Universitât di Pavie e ju à finîts a Padue. Il cjscjel di Coloret Italie” dal Galilei”. Nievo, leterature e dal pâri che Cussì, che cjacarin provincie. Intânt, a jerin vignudis fûr lis sôs primis provis leterâris come il so scrit ”Studis su la poesie popolâr in 1854 e il so dram “I ultims agns di G. apene laureât, al a decidût di dâsi ae al giornalîsim, lânt cuintri la volontât lu voleve nodâr. Nievo al a publicât lis sôs novelis, de vite di campagne, tai giornâi de Jenfri il 1857 e il ’58, Ippolito al à scrit il so plui grânt libri Il cjscjel di Frate intitolât “Lis confessiôns di un talian”, ambientât tal cjiscjel di Frate. Tal 1859, a Turin, al è lât a finîle tai i cjacjadôrs a cjaval di Garibaldi,e cun lôr al à combatût a Varês e a San Ferm. Dopo la pâs di Vilefrancje, Nievo al à scrit l’opuscul “Vignesie e la libertât d’Italie” e si è trasferît te cjase di Fossât. L’an dopo, al à fat part dai Mil, che a son sbarcjâts a Marsale, dolà che si è guadagnât il titul di prepost all’Indipendenze da Cjacjador di Garibaldi part di Garibaldi e dolà che al a dât aes stampis “Amôrs Garibaldîns”. Tal 1861, dopo che al a vût une licenze, al è e lât in Sicilie. Ippolito Nievo al è muart tornant indaûr, su la nâf che je lade a fônts. Ippolito Nievo nacque a Padova il 30 novembre 1831.Trascorse l’infanzia a Udine dove la sua famiglia si trasferì nel 1837 vicino al Castello di Colloredo di Montallano. Dal ’44 si trasferì a Verona per compiere gli studi ginnasiali e qui avvenne la sua scoperta dei grandi autori romantici come Foscolo,Manzoni… Dal 1849, anno in cui si trasferì prima a crema e poi a Pisa per completare gli studi venne a contatto con teorie mazziniane.Nel 1851 si iscrisse ai corsi di giurisprudenza dell’università di Pisa e li completò nel ’55 a Padova.Intanto erano già apparse le sue prime prove letterarie come il suo saggio “ Studi Sulla poesia popolare massimamente in Italia” del 1854 e il suo dramma “ gli ultimi a Anni di G. Galilelei. Nievo appena laureato decise di dedicarsi totalmente alla letteratura e al Giornalismo andando contro la volontà del padre che lo voleva notaio. Così Nievo pubblicò dalle novelle ispirate alla vita di campagna nei giornali di Provincia.In seguito tra il 1857 e il ’58 Ippolito scrisse il suo maggiore romanzo intitolato “La confessione di un italiano”. Nel 1859 a Torino si arruolò tra i cacciatori a cavallo di Garibaldi coi quali combattè a Varese e a San Fermo. Dopo la pace di Villafranca scrisse l’opuscolo “Venezia e la libertà d’Italia” e si stabilì nella casa di Fossato .L’anno seguente fece parte dei Mille che sbarcarono a Marsala dove si guadagnò il titolo di preposto dell’ Intendenza da parte di Garibaldi e dove diede alle stampe gli “Amori Garibaldini”. Nel 1861 dopo aver ottenuto una licenza sbarcò in Sicilia. Morì durante la traversata di ritorno in seguito al naufragio dell’imbarcazione sulla quale viaggiava. IPPOLITO NIEVO A CJAMIN Il Nievo al à vût stât un grum di tîmp intal cumun di Cjamin, par vie che a Gurìz al veve parîncj te vile che e jere dai Colloredo-Mels fintremai dal 1359 . Te vile, a lu ospitave Ermes Mainardi, fì di Elisabetta di Colloredo che e jere la sôr de none dal scritôr. Ippolito Nievo al a batût la nestre zone in lunc e in larc e unevore di tîmp, soredut a Cjamin, Guriz e ancje Glaunic, lì che al faseve passegjadis su lis rivis dal flum Var. In tal tîmp che il Nievo al è stât a Cjamin, al à cugnussût Antonio Giavedoni che al è deventât ministradôr dai siei bêns a Mantue e che al jere a stâ tal “borc dai siôrs”, La vile di Guriz intune stampe cumò clamât “via Tagliamento”. Giavedoni al jere un om sevêr ma just che al à ispirât a Ippolito il ritrat di Antonio Provedoni. A Cjamin al reste ancjemò sculpît sul steme dai Giavedôns, il pessùt tantis voltis nomenât tal racont il Varmo. Dongje Cjamin e je la Plêf di Rose, ancje chê ricuardade dal Nievo in doi raconts “La Pieve di Rosa. Storia di un Villaggio” e “I fondatori di Treppo”. La Plêf di Rose e je une glesie che veve sot di sé un grant teritôri di cà e di là de aghe, parvìe che prime e dipendeve de Badìe di Sest e podopo de arcidiocesi di Udin. Tornant a Cjamin, il Nievo al lave spès al vecjo mulin di Glaunic, lì che al à ambientât la conte dal Sgricciolo e de Favite. In dì di vuè il mulin al è stât trasformât in ristorant e il cumun di Cjamin al à picjât une targhe che e ricuarde, cu lis peraulis di Ippolito Nievo, l’impuartance e la storie di chest lûc. Un toc plui indenant, su la strade che puarte a Gridiscjute, al è ancjemò il puntùt simpri menzionât tal stes lîbri, mentri che inte confluence de Marzie cul Var, o cjatin il bosc di Caligaro , plen di plantis tipichis de zone de risultivis, lì che a saressin lâts a zujâ i doi fruts de conte. Cualchi centenâr di metris plui in là si va incuintri a chel altri mulin di Gradiscjute, tal cumun di Vil di Var. Culì il Nievo al descrîf un grant fogolâr, simbul de vite rurâl dal Friûl, che forsit al à viodût tal Priorât e che ai è plasût tant di vêlu nomenât ancje tes “Confessions”, come fogolâr di Frate. La vile di Guriz Il Nievo ha risieduto per parecchio Colloredo-Mels, proprietari della villa di parenti. Lo ospitava Ermes Mainardi sorella della nonna dello scrittore. passeggiate nella nostra zona, e Glaunicco, dove si recava per lunghe Varmo.Nel periodo in cui ha ha conosciuto Antonio Giavedoni, amministratore dei suoi beni a dai siôrs” . Giavedoni era un uomo severo, ma al Nievo la figura di Antonio Provedoni. tempo a Camino poiché i Gorizzo dal 1359, erano suoi figlio di Elisabetta di Colloredo, Questi amava compiere lunghe soprattutto a Camino, Gorizzo camminate sulle rive del fiume frequentato Camino, lo scrittore diventato in seguito Mantova, che abitava nel “borc giusto e saggio, tanto che ispirò La Plêf di Rose A Camino rimane ancora lo stemma di questa famiglia che riporta scolpito il noto pesce “gjavedon” , più volte nominato nel racconto Il Varmo. Nei pressi di Camino c’è la Pieve di Rosa, al cui interno si può ammirare un affresco popolare che riporta l’immagine della Madonna, anch’esso menzionato negli scritti di Nievo. La Pieve è una chiesa che in tempi passati esercitava il suo potere su un vasto territorio, di qua e di là dell’acqua, poiché prima dipese dall’Abbazia di Sesto al Reghena e poi passò all’Arcidiocesi di Udine. Tornando a Camino, il Nievo si recava spesso al vecchio mulino di Glaunicco, dove ambientò il racconto dello La ruede dal mulin di Glaunic Sgricciolo e della Favitta. Oggi il mulino è stato trasformato in un rinomato ristorante che ha mantenuto le tracce dell’antica storia. L’amministrazione comunale vi ha posto una targa che riporta attraverso le parole dello scrittore l’importanza e la storia del luogo. Un po’ più a valle di Glaunicco, sulla strada che porta a Gradiscutta esiste ancora il ponticello menzionato dal Nievo nel racconto, mentre alla confluenza della Marsia con il Varmo si estende il bosco planiziale dei Calligaro, ricco di essenze tipiche della nostra zona di risorgiva e luogo di giochi dei due protagonisti della novella. Poco più a sud ritroviamo il mulino di Gradiscutta, all’interno del quale però non esiste il grande focolare immaginato dal Nievo, forse ispirato da quello reale del Priorato di Varmo, lo stesso che descrisse nella cucina di Fratta, nel famoso romanzo “Le cconfessioni..” I RAPUARTS CUI GJAVEDÔNS Nievo al veve rapuarts cun Giuseppe, miedi de famèe, e in particolâr cun Antonio, che al ministrave i siei bêns di Mantue. A Cjamin e je ancjemò la cjase dolà che al jere a stâ Antonio, tal “borc dai siôrs” e, ta une cjase de stesse famèe, si cjate conservade la lapide de tombe di famèe, cul steme che al puarte come simbul un “gjavedon”. Intal cimitêri e je la tombe di Antonio, muart a 90 âns. Cheste famèe e je une des plui vecjs e impuartantis dal paîs. Antonio al è nomenât di Nievo pe prime volte ta une letare dal 1 lui 1842, mandade a sô mari di Verone. Al faseve ancje di consiliêr de famèe e al doveve vê unevore di credit, se Ippolito al à scrit a un cert pont: “Vorrei aver qui Giavedoni per consigliarmi”. Cjamin ai plaseve tant al Nievo soredùt il borc dai siors, lì che jerin un grum di bielis cjasis . Ricuardin ancje che dai Savorgnan . Nievo aveva rapporti con Giuseppe, medico di famiglia e in particolare con Antonio che amministrava i suoi beni nel mantovano. A Camino c’è anocora la casa dei Giavedoni nel “borc dai siors” dove viene conservata la lapide della tomba di famiglia con lo stemma che porta Sul fondo la casa dei Savorgnan come simbolo un ghiozzo (gjavedon), mentre nel cimitero c’è la tomba di Antonio, moryto a 90 anni. Questa famiglia era una delle più vecchie e importanti del paese. Antonio è nominato dal Nievo per la prima volta in una lettera del 1 luglio 1842, mandata alla madre a Verona. Faceva anche da consigliere di famiglia e doveva avere anche molto credito, se Ippolito ad un certo punto, di fronte ad un impegno particolarmente oneroso scrive: “Vorrei aver qui Giavedoni per consigliarmi”. Camino piaceva tanto al Nievo soprattutto il borgo dei signori, dove si allineavano le più belle case del paese. Ne ricordiamo una fra tutte: la residenza dei Savorgnan LA RAPPRESENTAZIONE TEATRALE DI “2004, IL VARMO” Fine