LUIGI DE ROSA LA CONDIZIONE DELL’INFANZIA IN COLOMBIA EDIZIONI YOUCANPRINT Indice 7 Introduzione 15 Juan 19 Capitolo 1 Il processo di socializzazione in America Meridionale durante la colonizzazione dei secoli XVI e XVII. 33 Capitolo 2 Immagini e condizione dell’infanzia nello sviluppo storico. 51 Capitolo 3 La condizione in America del Sud. 57 Capitolo 4 La famiglia in Colombia. 69 Capitolo 5 Instituto de Bienestar Familiar Colombiano (IBFC). 79 Capitolo 6 I risultati della ricerca qualitativa in Colombia. 111 Conclusioni e analisi. 115 Interviste ai testimoni privilegiati. 191 Bibliografia. [email protected] http://blog.libero.it/castelloblu1 www.luigiderosa.org Introduzione Come fenomeno sociale, la quantità dei bambini di strada cresce in maniera inquietante in molte nazioni dell’America meridionale. In Colombia quelli tenuti in istituti sono circa 20.000; quelli in stato di abbandono, nelle strade, sono oltre 400.000; infine i minori in fuga dalle loro zone per motivi di scontri armati tra forze regolari, guerriglieri e paramilitari sono circa un milione. La popolazione giovane è la più colpita dalle restrizioni che durante gli ultimi anni hanno fatto crescere il debito estero, e non sfugge alle crisi politiche, ai danni dell'economia instabile, all'inefficienza delle istituzioni pubbliche, alla crudeltà del conflitto, ormai più che trentennale, con la narcoguerriglia. Le possibilità dell’infanzia colombiana d’inserirsi normalmente, con la crescita, nel mondo adulto, si sono ristrette. Le offerte educative sono scarse; la disoccupazione è alta; la famiglia, da qualche tempo, mostra segni di disgregazione. Le caratteristiche d’insicurezza sociale, l’aumento della violenza e dei crimini, le varie forme di frantumazione sociale provengono, in gran parte, dalle discriminazioni e dall’impoverimento che alla Colombia sono imposti dal sottosviluppo e dagli interessi delle organizzazioni criminali legati al prodotto “droga”. Negli ultimi venti anni, circa l’8% degli abitanti si sono trasferiti all’estero perché minacciati con le famiglie di sequestro o morte. Ciò ha fatto sì che ingenti capitali sono stati spostati in altri stati. La situazione politica e socio-economica che attraversa il paese si ripercuote in tutti gli ambiti della società, avendo come manifestazione, nelle città più grandi, oltre a fenomeni come la delinquenza, l’impoverimento, la crescita dei cinturoni di miseria intorno alle periferie urbane, anche il fenomeno del bambino di strada, che si presenta in varie forme, da meno tragiche a disperate, da meglio assistite a ignorate. Quando potei iniziare la ricerca sul “gaminismo”, (ora indicato come abbandono alla strada), dovetti permanere in Colombia ma non immaginavo la realtà vissuta da migliaia di bambini nel paese e non sapevo fino a che punto le persone che volevo intervistare avrebbero potuto aiutarmi o esporsi, data la situazione creata dagli attacchi ai civili da parte dei vari gruppi armati in lotta tra loro e con lo Stato. Attendevo che sul nastro trasportatore della sala arrivi comparisse la valigia, quando la mia attenzione fu richiamata dalla figura di un prete, ben piantato a dire il vero. Veniva da Roma come me. Cominciammo a parlare e mi domandò i motivi del mio arrivo. Mentre gli esponevo il desiderio di avviare una ricerca sociologica sull’infanzia, in grado di darmi un quadro reale sulle cause che portano il bambino alla strada, giunse sul nastro ruotante la sospirata valigia dove avevo premuto una quantità di testi e fotocopie. - Vede parroco, sono confuso perché non so dove è meglio cominciare, non ho alcun supporto da parte dell'università La Sapienza. Spero nella “Universidad del Meta”. Era come dirgli che, benché non fossi un emerito sprovveduto, credevo nel detto “aiutati che Dio ti aiuta” che spesso ha l’esatta funzione di assicurare loro che un qualcosa realmente si avveri. Gli occhi del prete brillarono un attimo nella penombra che cadeva su El Dorado per l’approssimarsi di un temporale tropicale, di quelli duri. - Qui ci bagneremo. Facciamo così, venga a trovarmi domani mattina, ecco l’indirizzo. Al portiere dica che don Paolo la sta aspettando e vedrò di darle dei suggerimenti. L’idea di un aiuto mi diede coraggio. Presi alloggio nei pressi dell’aeroporto, riordinai le carte e i miei numeri di telefono. La mattina seguente mi feci accompagnare da un taxi. Restavo fermo dinanzi al cancello e rileggevo la targa in spagnolo che dichiarava l’ubicazione della Commissione Episcopale. Un portiere, dopo avere verificato le mie intenzioni, mi disse di procedere diritto fino al cancello centrale, oltre il piazzale. Sarebbero venuti a prendermi. Un prete che indossava il clergyman uscì dall’ascensore e mi tese la mano con aria amichevole, mi sospinse nell’ascensore. - Sua Eccellenza il Nunzio Apostolico mi ha detto tutto. - Don Paolo è il Nunzio? - Monsignor Paolo Romeo, sì. Che figura! Ma come si fa ad arrivare in Colombia senza conoscere il nome del Nunzio? E pensando di iniziare una ricerca sui bambini di strada, per giunta! Il segretario mi fece sedere da un lato della scrivania. Chiamò una suora affinché mi portasse una tazzina di caffè italiano. Mi sentii sollevato: mi aveva fissato una serie di appuntamenti con persone che a Bogotà lavorano in enti e organizzazioni per il recupero dei bambini di strada. Mi dette una lettera di Monsignor Paolo Romeo. “Non si perda d’animo. Non dimentichi che qui il problema principale è la disgregazione familiare. Lasci da parte le biblioteche e gli enti di statistica e si metta subito nella strada accompagnato dalle persone che le ho annotato. Sono certo che in Colombia imparerà a usare bene la sua ferramenta. Buona fortuna”. Devo gratitudine a Sua Eminenza Monsignor Paolo Romeo. Mi ha impartito una gran lezione. Per tale ragione ho completato la colombiana. ricerca sulla condizione dell’infanzia * Ho dovuto, nel primo capitolo, necessariamente fare una sintesi dello sviluppo sociale e della dinamica familiare ai tempi della conquista. L’intuizione di un bambino coloniale diverso da quello europeo, muoveva la mia curiosità. Ho tentato le possibili comparazioni e ne è apparso il fenotipo. Il bambino colombiano attuale ne è l’erede e le precipue percezioni delle differenze etniche sono interessanti. Ho poi presentato, nel secondo capitolo, la condizione storica dall’infanzia in Europa, per comparare la diversità dei due tipi e ho evidenziato come, in massima parte, l’infanzia colombiana, non essendo derivazione diretta della lunga e multivariata esperienza che ha formato il bambino europeo, rimane diversa, nel modo di essere e di ritrovarsi, da quella italiana, certo più fortunata. Nel terzo capitolo, ho affrontato la problematica generale dei minori in Colombia, puntualizzando le caratteristiche del fenomeno e le risposte date attraverso i progetti nazionali e internazionali. L’immagine idealizzata del bambino, che in Europa l’adulto si è rappresentata, dal medioevo ai nostri giorni, (ossia fino al consolidamento del sentimento dell’infanzia all’interno della famiglia moderna), in Colombia si è formata in modo differente. La rappresentazione del bambino europeo non può essere presa come unico parametro per verificare il sistema dei valori di una società come quella colombiana. La natura simbolica e la natura reale, se si vuole confrontarle, devono essere vedute in ottica diversa da quella che è presentata in Italia, vuoi dai mass media, vuoi dalle istituzioni, (come ad esempio i Tribunali dei Minori, che nel rispetto delle Legge, e nel tentativo di garantire al massimo l’interesse e il benessere del minore abbandonato, applicano alla stessa maniera, per i bambini di tutto il mondo, parametri e limiti che, in un paese dilaniato come la Colombia, dove minori di ogni età, in numero impressionante, sono “non protetti”, vengono a perdere significato). In Italia, mediamente, sono solo un migliaio i minori in istituti, o presso famiglie in affido temporaneo, che i Tribunali possono dare in adozione. In Colombia, vertiginosamente, il numero sale a 400.000. Il problema non è solo colombiano. Riguarda ogni europeo. L’importante è togliere, prima possibile, quei minori dalla strada, perché non ci sono strutture pubbliche o private sufficienti per ospitare la gran quantità di bambini in abbandono. In Colombia, per facilitare le adozioni, la differenza di età tra minore e genitore, non esiste; nessuno si sogna d’imporla, non ha senso intrinseco. Fa più male sapere, a chi è a conoscenza di questa realtà, che il minore passa, prima dei dieci anni, nella prostituzione minorile, nel sicariato, nelle unità della guerriglia o, fondo del barile, dinanzi alle pistole spianate dagli squadroni di “limpieza social” che ne buttano i corpi crivellati nella spazzatura. Nuove impostazioni devono essere date alle iniziative a favore delle adozioni internazionali. Certo, bisogna agire sulle cause della rinuncia a educare e adeguare le misure d’intervento. Il disagio e l’emarginazione sono legati alla vita e alla crescita del bambino, perché l’estensione della povertà ha radici profonde. Si deve aggiungere che spesso l’uscita dal disagio è legata a cause culturali mediate dall’ambiente che determina il comportamento, le valutazioni, il modo di vita e i rapporti tra le persone e le istituzioni. L’impoverimento odierno delle periferie urbane non è un incidente di percorso, ma il risultato delle attuali strutture economiche, sociali, politiche. Una nuova animazione sociale è perciò necessaria come misura di prevenzione, poiché l’educazione di bambini in condizione di disagio è un fatto eminentemente sociale. Durkheim, in Educazione e Sociologia, scrive: “... in ogni società vi sono tante educazioni speciali quanti sono i differenti ambienti sociali. Persino nelle società ugualitarie, che tendono a eliminare le differenze ingiuste, l’educazione varia secondo le professioni. Non vi è dubbio che queste educazioni speciali si appoggiano su di una base comune, però esse variano da una società all’altra. Ciascun gruppo si forma un certo ideale dell’uomo, ed è questo che poi costituisce il polo dell’educazione, il solo mezzo con cui si preparano nel cuore del bambino le condizioni essenziali della propria esistenza...” In sostanza, ogni popolo ha la sua educazione, che gli è propria e che può servire per ben definirlo, allo stesso modo della sua organizzazione morale, politica e religiosa. L’educazione sociale è l’azione esercitata dalle generazioni adulte sopra di quelle che non sono mature per la vita comune. Essa ha per obiettivo sviluppare nel bambino stati fisici, intellettuali e morali, in altre parole socializzarlo. Il problema della sopravvivenza nella famiglia colombiana ha origini antiche; dalle formazioni delle prime aggregazioni sociali, formatesi subito dopo la conquista spagnola, alla famiglia costretta a vivere nei cinturoni di miseria. Dalle politiche parassitarie adottate dai paesi conquistatori, ai programmi economici del ventesimo secolo. I disagi si sono aggravati anche per l’instabilità politica, endemica; per la nascita della guerriglia, a metà del XX secolo, che prima era comunista e poi è stata narcoguerriglia, alleata delle organizzazioni criminali internazionali, dedite a massacri e a sequestri di persona, avendo perso, i capi stessi, gli ideali di una giusta rivoluzione popolare. La risposta alla guerriglia fu il paramilitarismo, che aggravò ancor più la crisi. La famiglia colombiana, indubbiamente, risente della crisi economica e sociale che, a sua volta, è figlia delle crisi politiche e della corruzione dilagante. Tale stato di fatti, è certo, perdurerà fino a che non vi sarà un vero interesse mondiale nei riguardi della morsa narcoparassitaria che affligge la Colombia. Il primo obiettivo, inevitabilmente, dovrebbe essere il soffocamento del mercato della cocaina prodotta. Si sa bene quanto ciò sia difficile, aldilà di ogni idea politica o religiosa. Il capitolo quinto descrive l’Istituto de Bienestar Familiar Colombiano, che da questo punto chiamerò IBFC. Esso è un ente che dipende dal Ministero della Salute ed è responsabile del benessere della famiglia e del minore. Sono esaminati le sue competenze, i suoi interventi e la maniera di utilizzare le organizzazioni non governative, dette ONG, che collaborano con il Ministero suddetto per l’attuazione dei progetti. Nel capitolo sesto, infine, sono presentati i risultati della ricerca qualitativa, dopo una breve descrizione della metodologia usata. L’analisi delle diciotto interviste ai testimoni privilegiati si sviluppa intorno a quattro temi: 1) la condizione dell’infanzia in Colombia; 2) il gaminismo; 3) le attività delle organizzazioni governative e non governative; 4) i progetti delle organizzazioni nel campo dell’assistenza al minore bisognoso. Il lavoro è chiuso dalle conclusioni. Spero che questa ricerca serva all’interesse del minore e stimoli un più mirato intervento di quelle organizzazioni umanitarie che vogliono aiutarlo. * JUAN Visitando un Progetto Pilota, che in forma sperimentale sostituisce il carcere minorile, mi colpì un’intervista, (fatta alla presenza del direttore del Progetto), che feci a un minore, Juan. D.: Juan, da quanto tempo sei ospite del Centro Pilota? R.: Da due mesi, signore. D.: Perché? R.: Mia madre mi picchiava perché rubavo delle cose dentro casa. D.: Non capisco. Ti picchiava? R.: Sì, mi legava e mi dava con un bastone. Sono scappato. A questo punto interviene il direttore del Progetto che mi chiarisce che Juan era scappato da casa, che aveva percorso molti chilometri a piedi con altri due suoi amici, anch’essi scappati, e si erano diretti verso il Centro Pilota, dove già una volta Juan era stato rinchiuso. D.: È vero che sei venuto qua volontariamente? R.: Sì. D.: E quanto pensi di rimanerci? R.: Fino a che non mi buttano fuori. Ho portato con me anche due amici. D.: Come ci stai qui dentro? R.: Sto bene. Però uno dei miei amici ieri è scappato. D.: Perché? R.: Non so perché. Però la “limpieza” l’ha ucciso stanotte. Rivolgo nuovamente lo sguardo al direttore e lui mi spiega che il ragazzo che è rimasto ucciso è evaso. Di notte viene tolta la sorveglianza alla rete di recinzione del Progetto Pilota che non vuole essere un carcere. I ragazzi devono capire che stanno lì per essere reinseriti, che non sono considerati delinquenti comuni. Sono come gli altri, devono agire per libera scelta. Gli chiedo ulteriori spiegazioni e il direttore mi dice che durante la notte è stato fatto un furto a uno dei magazzini dove è custodito il necessario per i ragazzi. Viveri, sapone, vestiario. Sono in corso le indagini. Probabilmente, chi ha commesso il furto ha dato incarico al nuovo venuto di andare all’esterno del Progetto Pilota per piazzare la refurtiva e procurare della droga. C’è stata una sparatoria della “limpieza”. D.: Il tuo amico si drogava? R.: No signore. D.: Secondo te perché gli hanno sparato la notte scorsa? R.: È successo altre volte. Non lo so. D.: Quanti anni hai? R.: Quattordici. D.: Hai fratelli? R.: Cinque. D.: Tua madre viene a trovarti? R.: No. Io sto qui per protezione. Il direttore mi spiega che il ragazzo non è un recluso, come gli altri, ma un ospite: per un caso eccezionale, si trova presso il Centro Pilota. Per proteggerlo dalla violenza materna. Mi dice che non è compito del Centro dare protezione; che sarebbe l’Istituto del Benestare Familiare a doversene occupare. Io continuo a fissare il direttore per avere altri dettagli. “Il Benestar Familiar non ha i mezzi per proteggere tutti i ragazzi vittime della violenza. Mi sto battendo per tenere qui Juan quanto più posso. Uscito, andrà nella strada perché non ha altre alternative”. Riprendo a parlare con il ragazzo. D.: Juan, dove vivevi? R.: Nella strada, signore. D.: Raccontami. La prima volta perché ti mandarono qui? R.: Perché prendevo a sassate mia madre. D.: Che cosa dicesti al giudice? R.: La verità. Che lei mi picchiava. D.: Lei ti picchiava e tu lanciavi i sassi. R.: Sì. Una volta mi ruppe un braccio. D.: Juan, hai qualcosa in particolare che desideri chiedere al direttore dell’istituto? R.: Sì. Che mi porti a casa sua. Solo la domenica. D.: Vuoi bene al direttore? R.: Siamo amici. D.: Sai leggere? R.: Sì. D.: Dove hai imparato? R.: Da solo. Qui dentro. D.: Cosa ti piacerebbe fare? R.: Studiare. D.: Cos’è la ferita che hai alla gamba? R.: Lavorando. D.: Dove? R.: Qui dentro. D.: Che lavoro ti hanno dato da fare? R.: Devo rinchiudere i vitellini nel recinto. D.: Qui non ti hanno curato? R.: Il direttore mi ha portato all’ospedale. D.: Che ti hanno fatto? R.: Il gesso. D.: E dov’è il gesso? R.: Me lo sono levato. D.: Perché hai tolto il gesso? Il ragazzo resta muto e il direttore rivela come il ragazzo si sia tolto il gesso per farsi riaccompagnare all’ospedale così da poter uscire alcune ore dal Centro Pilota. D.: Ma dimmi, come stavi nella strada? R.: Avevo degli amici. Facevano i lustrascarpe. Sono stati uccisi anche loro. Uno aveva diciotto anni. D.: Perché sono stati uccisi? R.: Parlavano molto. D.: Con chi? R.: Con la polizia. La guerriglia pensava che fossero spioni. D.: Come passavi il tuo tempo nella strada? R.: Toccando il sedere alle ragazze e scappavo. D.: Come ti guadagnavi da vivere? R.: Lustrando scarpe. Quando guadagnavo bene, mi pagavo una stanza, altrimenti dormivo nella strada. D.: Quanti eravate nella stanza? R.: Quaranta. D.: Hai ricordi di quando eri più piccolo? R.: No. Una volta mia madre picchiò mio padre. D.: Hai altri ricordi? R.: No. D.: Andavi a scuola? R.: Mi mandavano. Non frequentavo. D.: Ricordi qualche tuo maestro? R.: Una maestra dell’asilo. Mi promosse alla fine dell’anno. D.: Che altro ti piacerebbe fare? R.: Vorrei che qualcuno la domenica mi portasse a fare un giro fuori di qua. Mi piacerebbe. Capitolo Primo Il processo di socializzazione in America Meridionale durante la colonizzazione dei secoli XVI e XVII. 1.1 La relazione stabilita dalle potenze europee con la civilizzazione del Nuovo Mondo seguì un Modello di Dominazione preciso ove si mischiavano elementi economici e ideologici e anche religiosi. Le quattro fasi, scoperta invasione organizzazione dominazione, intersecarono tempi precisi e costarono sangue da una parte e dall’altra. Si piantò una complessa rete d’istituzioni che assicurava il governo delle popolazioni autoctone; libri e registri scritti dalla “Real Audiencia” dicono che i suoi membri furono considerati dagli spagnoli, persone di seconda classe. La società europea viveva, alla fine del quattordicesimo secolo, attanagliata dalla lotta per la proprietà, dalle guerre per il potere. Il contrasto tra povertà e ostentazione delle élite era forte. L’errore inevitabile dei paesi invasori, fatale per i popoli delle terre appena scoperte, fu di trasferirvi tali contrasti. Poco a poco civilizzazioni che non conoscevano né la fame, né la proprietà, né gli stermini delle guerre, furono contaminati dal fanatismo europeo e dalle ambizioni di avventurieri e politici. La forma disordinata in cui iniziò il processo di conquista del Nuovo Mondo dopo il secondo viaggio di Cristoforo Colombo, con l’entrata in vigore del così detto Sistema di Capitolazione - particolari facoltà rilasciate dalla corona di Spagna ai conquistatori - dette luogo a una serie infinita di soprusi e illeciti che si tradussero nel rapido annientarsi della popolazione aborigena, come pure in lotte sanguinose tra coloni e conquistatori, in seguito, per la divisione delle terre. Le prime istituzioni create dalla Spagna per i suoi possedimenti oltreoceano furono la Casa di Contrattazione (la prima fu quella di Siviglia del 1503) e, sopra di essa, il Consiglio delle Indie. La prima aveva obiettivi commerciali, il secondo, politico legislativi. Seguirono le “Governatorie” che erano, nell’intenzione della corona spagnola, organizzazioni amministrative dei nuovi territori, che dovevano accertare e vigilare affinché le terre scoperte non cadessero nelle mani di avventurieri e scopritori non al servizio della Spagna. I reali si servirono anche di navigatori stranieri; conferivano mandato affinché una spedizione partisse, ma capitava che il capo non fosse designato da loro, ma dalla Casa di Contrattazione o dal Consiglio, oppure che il capo spedizione morisse o fosse destituito o tradito dai suoi uomini, o che una spedizione spagnola scoprisse terre che nello stesso periodo erano percorse da truppe di altri stati ed era inevitabile che ne nascesse uno scontro spesso sanguinoso. La prima provincia di “Terra Ferma” fu quella di Panama, stabilita nel 1515 sotto Pedro Arias Davila e comprendeva numerose tribù native: Veraguas, Chagres, Cariaries, Carabaries, Panamaes, Uriraes, Dururies, Pacorosas, Comagre, Tubana, Darienes, Chames, Capeche, Chiruca, Pauca, Coiba, Quema, Nata, Cutara, Aburena, Sobrara, Burica, in maggior parte comandate da un cacique sottomesso agli aztechi o ai maya. Gli invasori, prendendo possesso di una regione, come prima azione ufficiale, facevano la ripartizione dei “solares”, appezzamenti che dovevano rispettare una maglia reticolare nel cui centro si trovava la Piazza d’Arme o Piazza del Re, fiancheggiata dalla casa del governatore, dalla chiesa, dal “Cabildo” o Giunta ecclesiastica, e dalla “Real Audencia”. Quest’ultima cos’era? I re di Spagna, per essere sicuri che oltremare tutto, o quasi, si svolgesse nell’interesse della corona, stimolarono la nascita delle “Audiencias” e le incaricarono di inviare visite periodiche nelle provincie per rilevare ogni irregolarità. Esse giunsero ad avere poteri sommi, al punto che potevano processare governatori e persino viceré. Ispezionavano le “haciendas” dove erano tenuti al lavoro gli indios e dispensavano tratti di corda senza troppo lesinare, giacché, nell’intenzione, vi era la volontà di tenere gli indios lontani dalle ambizioni che affliggevano i colonizzatori. Il piano primitivo delle nuove città contemplava la costruzione di mura difensive, in un primo tempo dagli attacchi degli indios, in un secondo tempo, in particolare lungo la costa, dai bucanieri inviati a bella posta da sua Maestà Britannica a solcare i mari delle Nuove Indie. Le nascenti città, in tal modo, parevano più fortezze che centri abitati in espansione. In tale contesto, metà militare, metà civile, prese forma la nuova società colombiana. 1.2 A differenza degli invasori inglesi e francesi dell’America settentrionale, gli spagnoli accettarono l’unione con le donne indigene come elemento essenziale per lo sviluppo della colonia. Si andò profilando l’identità “criolla”, in un mosaico che incorporò elementi autoctoni e ispanici, si sviluppava perciò il tipo latino-americano. Le due invasioni, a Nord e a Sud del nuovo continente, ispanica e inglese, iniziate con uno stacco di tempo di cinquanta anni, furono differenti principalmente per il carattere religioso dato alla conquista, (cattolica, anglicana o protestante), e per il diverso spirito colonizzatore che le accompagnava: era idea degli spagnoli, dopo averne tratte ricchezze, rimpatriare. I coloni inglesi partivano dall’Europa con le famiglie, decisi a non farvi ritorno. Le differenti forme culturali che vivificarono le colonizzazioni hanno portato a una differente maniera di sentire il colore della pelle nel Nord e nel Sud del continente americano. Di clan xenofobi in America meridionale non si è veduta formazione. Di fenomeni come l’apartheid, in America meridionale non se n’è sentita la necessità, anche se non si può negare che esiste una differenziazione sociale di carattere etnico. La prima voce che si levò ufficialmente, contro gli abusi dei conquistatori, fu quella del domenicano padre Antonio de Montesinos, durante un sermone pronunciato in una chiesa dell’isola detta Spagnola la notte di Natale del 1511. Un secondo frate, padre Bartolomé de las Casas, fece rapporto alla corona che attuò, in breve, leggi e cedole reali affinché i coloni trattassero gli indios al pari degli spagnoli, ma la distanza da Madrid fece restare tutto come prima, anzi, venendo a mancare mano di opera locale, si dette inizio a una massiccia importazione di africani, come schiavi. Da notare come questi fossero spesso più avanzati degli indigeni e dotati di abilità. L’educazione restò prerogativa dei missionari e le decisioni sinodali di Santa Fé, nel 1555, sono considerate la base storica sulla quale si cominciò a costruire la struttura per organizzare la vita sociale, religiosa e educativa d’indios, grandi e piccoli, nel Nuovo Regno. Nel 1573 si promulgarono le Nuove Leggi del Patronato che marcarono la divisione tra potere religioso e civile. Le leggi assegnarono ai religiosi il compito d’istruire i nativi. Fu possibile, dal 1576, ordinare sacerdoti i creoli, figli di spagnoli e indie, e solo dopo la petizione al re e al papa del vescovo Zapata il diritto fu esteso ai meticci, figli di spagnoli con negri. Nella seconda metà del sedicesimo secolo ci fu una preoccupazione più viva per l’educazione. Sul finire del secolo si rimise in funzione il seminario di San Bartolomeo a Santa Fe (Bogotà), chiuso per mancanza di fondi nel 1586. Dobbiamo, ora, renderci conto del significato della parola Castas. Con essa s’identificavano segmenti di popolazione dell’America ispanica, formati ognuno da individui procedenti da incroci tra spagnoli, indios e negri che si crearono sin dall’inizio del dominio coloniale, secolo XV, dando poi origine a una confusione di sottocaste che in più occasioni rappresentarono un serio rompicapo per i notai quando gli eredi impugnavano i testamenti, in forza delle percentuali di sangue provenienti dagli antenati originali. La monarchia spagnola tentò all’inizio di organizzare la complessa società coloniale attraverso la creazione di un sistema di governo basato sulla divisione della popolazione. I figli di soldati e donne indie facilitarono il radicarsi delle strutture di parentela indigena, basate sulla famiglia estesa, rinforzando tali alleanze come elemento chiave della conquista. Nello stesso tempo, quegli indios integrati nei valori della società ispanica, furono parte decisiva del suo trapianto. Lo spazio occupato dalla nuova popolazione creola e meticcia fu ampio e allo stesso tempo ambiguo a causa dell’estrema mobilità sociale. La vita di un creolo poteva svilupparsi nei pueblos, assimilandosi alla popolazione indigena, come nei paesini e nelle città, e situarsi in uno status sociale impreciso che permetteva di eludere l’ordinamento ufficiale - molto restrittivo nella distribuzione delle cariche pubbliche - per mezzo dell’acquisto del suo “biancore”, o per la prossimità economica alle élite formate da spagnoli peninsulari e spagnoli americani. L’ultimo scalino sociale era per la gente di castas. Il termine generico “casta” era di uso comune nel diciottesimo secolo, e poteva includere, a diversi livelli, meticci (bianco + india), mulatti (nera + bianco), zambo (india + nero), o le più disparate provenienze etniche, uniformate dal fatto di appartenere a uno status inferiore. Il numero di figli “incrociati” crebbe con tale rapidità che fu considerato dall’amministrazione coloniale come fonte permanente di conflitti, derivanti, secondo la suddetta amministrazione, dall’oziosità e dall’indolenza, caratteristiche assegnate a gente di casta e sottocasta. Geografia e territorio. Il suolo colombiano ha differenti qualità. Intanto cinque frontiere e due oceani, Atlantico e Pacifico, che bagnano, rispettivamente, a Nord e all’Ovest le due sponde. Una triplice cordigliera divide da Nord a Sud il territorio. La zona a est della cordigliera, fino alla foresta amazzonica, andando verso il Brasile, è pianeggiante e si presta all’allevamento del bestiame. I differenti gruppi d’indigeni che abitavano l’America Precolombiana generarono, data l’orografia e il corso dei grandi fiumi, una rete d’intercambi tra i gruppi, che permetteva di scambiare diversi prodotti e conoscenze, necessari alla sopravvivenza. Tale rete fu spezzata dai conquistatori e vaste porzioni di territorio furono isolate. Le zone di guerriglia, il paramilitarismo mutante, le coltivazioni illecite, sono eredità di quel macroscopico errore. Bogotà è divenuta la capitale accentratrice di ogni cosa, dal potere, di ogni tipo, alle popolazioni che vi accorrono da ogni angolo. La conseguenza, col passare dei secoli, è stata una lenta progressiva inevitabile perdita del controllo del territorio. Lo stato si è eclissato, così come fece la Corona spagnola. Prima della scoperta, la continuità dei diversi territori indigeni facilitò il mutuo servizio dei popoli che occupavano ecosistemi differenti. La vita di ogni giorno era intrisa di cultura locale, apprendimento, insegnamento e ciò per il valore della stessa vita. È la razionalità di quegli antichi scambi e il modo d’insegnare al ragazzo indigeno che può darci, se volessimo costruire un paradigma precolombiano, il destino promesso per quei popoli e quelle terre oggi bagnate di sangue a causa del narcotraffico. Risorse come il cotone, piante tossiche o medicinali, metodologie di cura erano gestite dagli sciamani. La trasmissione della conoscenza era per tutti i bambini; i più sensibili verso i fenomeni della natura erano chiamati dagli sciamani per un maggiore apprendimento del riconoscimento delle piante e dell’arte curativa, o della “sanazione” quando la guarigione aveva caratteristiche prodigiose. Ogni albero, ogni corteccia, ogni foglia, ogni seme esiste per un preciso scopo e non se ne può perdere la memoria. In Colombia, fatta eccezione per il popolo inca, nessun gruppo andino si avventurò per stabilirsi nella parte a est della cordigliera e pertanto le relazioni degli indios di questo lato non furono mai marcate dai conflitti, (come accadde in Perù o Bolivia). Non era l’Eden ma gli indigeni che vi dimoravano avevano stabilità. La dottrina delle superiorità razziale e della spada, portata dagli spagnoli, tentò di giustificare il sopruso, ma la mancanza delle appropriate conoscenze da parte dei conquistatori e la cecità sociale innescarono la disgregazione che porta oggi ai loro eredi una problematica più che mai violenta. 1.3 Com’era rappresentato il bambino al tempo della colonizzazione? Se ammirassimo il tipo di pittura sviluppato durante il diciottesimo secolo da artisti che vivevano nelle colonie spagnole, in particolare in Messico, potremo vedere il modo di fissare sulla tela l’idea che nella mente di quegli artisti si formava circa la rappresentazione della famiglia coloniale. Il gruppo dipinto era formato dal padre, dalla madre e da uno o due figli vestiti con gli abiti della casta di appartenenza. Un'iscrizione sul quadro identificava il censo e segnava un albero genealogico, dal primo incrocio del capostipite spagnolo con l’india e poi con la nera. Molti di questi dipinti furono ordinati dal viceré Fernando de Alencastre perché fossero inviati in Spagna come documento visivo. La conquista ebbe importanti conseguenze demografiche, la nuova popolazione aumentò continuamente di numero, sia in forma naturale, per l’arrivo di nuovi coloni, sia per gli incroci con le donne locali. A causa delle malattie portate dai conquistatori, la riduzione delle popolazioni indigene fu drammatica. In un secolo si ridusse da cinquanta milioni a tre. All’inizio della conquista la popolazione in Spagna era di circa sette milioni. Gli indios che abitavano l’Amazzonia erano circa sei milioni. Su di un territorio conquistato di due milioni di chilometri quadrati, quattro volte la Spagna, le malattie esantematiche uccisero un numero di persone sette volte gli abitanti della Spagna d’inizio XVI secolo. Nonostante ciò gli invasori popolarono duecento città e mantennero vaste “haciendas”, dove gli indios, lasciati in libertà a causa della loro vulnerabilità fisica, vennero man mano sostituiti dagli schiavi negri in arrivo dall’Africa. Furono importati nelle colonie spagnole circa 550.000 schiavi. I Vicereami in America meridionale inizialmente furono due: quello della Nuova Spagna che comprendeva Mexico, Santo Domingo, Guatemala, Guadalajara, le Antille, e l’America Centrale ad eccezione di Panama, e il secondo, Vicereame riconosciuto nel Perù, che comprendeva tutto il territorio continentale dell’America del Sud ad eccezione di Panama e della costa nord del Venezuela. Nel 1776 si creò il Vicereame della Plata che, per decongestionare quello del Perù, integrò Argentina, Paraguay, Uruguay e Bolivia. Il bambino sud americano, pertanto, nacque, crebbe, e si ritagliò una nicchia sociale in un mondo differente da quello ispano europeo; le indie che lo partorirono, gli uomini che lo crebbero, erano diversi: le donne che lo allattavano avevano conoscenze diseguali da quelle europee, e le stesse leggende che esse raccontavano trattavano di una natura magica sconosciuta in Spagna. L’educazione era principalmente una scuola di sopravvivenza, dove prima di ogni altro gesto naturale si interpretavano i segni della natura, generosa ma impietosa con i distratti. I suoi educatori erano sciamani o missionari, secondo le distanze o secondo le rivali correnti politiche le quali facevano sì che i missionari a volte erano benvenuti e a volte scacciati e richiamati imperiosamente in Europa. (Accade nel 1767 e nel 1851). Il nuovo bambino sud americano, là dove si creava adattamento reciproco, dovette dividere le sue conoscenze con i bambini indigeni e, nelle due direzioni, avvenne uno scambio proficuo di conoscenze. Quando un bambino si ammalava, in posti che distavano giorni di marcia dal centro più prossimo, era lo sciamano a curarlo, allo stesso modo e con gli identici rimedi che si davano al bambino indigeno della selva inesplorata. Nel cuore della Colombia, zona delle vaste pianure, si dette inizio a una fase di colonizzazione spirituale e di sottomissione della popolazione aborigena. Mentre nella zona Andina essa fu destinata alla produzione di alimenti, nella zona pianeggiante fu destinata all’allevamento. Elementi precolombiani si fusero con nuove risorse e viceversa. Oggi sono in molti, studiosi e osservatori, ad affrontare il bosco umido tropicale o la zona dei Piani come un mondo aperto alla creazione di formule sociali più umanizzate e armoniche. Le recenti leggi speciali per i popoli indigeni prevedono per il bambino un accesso doppio all’educazione e alla cultura. I maestri e i professori che insegnano nelle riserve devono essere bilingui e l’allievo, da grande, sceglierà se restare nella riserva, vivendo di caccia, pesca, agricoltura, o se trasferirsi nelle città. Non tutte le ottantaquattro organizzazioni indigene procedono di pari passo verso il miglioramento locale, usando un’agile gestione e interpretazione delle leggi speciali. Per ottenere benefici bisogna lottare e citare lo stato dinanzi alla corte internazionale. L’UNUMA, cui fanno capo quindici riverse indigene, è l’organizzazione più arretrata e bisognosa. S’identifica nella zona dei Piani ed è molto lontana dai benefici della burocrazia centrale. Nelle sue riserve vi sono scuole primarie, ma solo una, quella del Wacoyo, ha scuola media e superiore mandata innanzi da quattro suore, due italiane, una colombiana, una portoghese. Ciò rappresenta un’apertura da parte degli indigeni che, generalmente, non accettano la presenza di missionari e il loro sistema di lavoro. L’anziano comincia ad appostare sul giovane, sperando nella sua completa formazione scolastica per il vantaggio comune. Quei ragazzi che si diplomano presso Wacoyo devono però restare per dare insegnamento agli altri alunni e così, nella mancanza di generi di prima necessità, nessuno prosegue per l’università, lontana centinaia di chilometri: l’indigeno si istruisce come può e molti diritti restano lettera morta. I processi di occupazione mal diretti e orientati dallo stato, la colonizzazione originata dalla lotta di gruppi armati, l’altra colonizzazione indotta dalle compagnie di estrazione del petrolio, hanno generato processi di sfruttamento che prendono dal territorio indigeno e nulla danno. 1.4 Un decreto reale del 1514 autorizzò il matrimonio tra spagnoli e amerindi. L’unione dei negri d’Africa ebbe un altro processo: la corona non permetteva il loro matrimonio con persone di differente razza, ma fu permissiva e si deve qui segnalare che la chiesa cattolica disimpegnò un ruolo decisivo per un ordinamento della situazione, poiché preferiva matrimoni misti alla proliferazione del concubinato. Gli sforzi fatti dalle potenze europee per materializzare la conquista con insediamenti e missioni significarono che già nel 1776 l’Europa dominava una superficie del Nuovo Mondo molto più ampia di quella posseduta nel vecchio. Esistevano quattro zone di occupazione: nella costa atlantica dell’America settentrionale le colonie inglesi coprivano 2.072.000 chilometri quadrati ossia quindici volte l’Inghilterra; avevano una popolazione di circa due milioni di abitanti, della quale la quarta parte circa era costituita da schiavi negri. Non vi erano, in pratica, discendenti dell'originaria popolazione indigena. Nel Nord-ovest sorgevano cittadine con scarsa popolazione, il cui commercio erano le pelli, ed erano concentrate nella valle del Mississippi e del San Lorenzo sotto dominio francese. Nel Centro Nord vi erano i possedimenti spagnoli che partivano dalla parte Caraibica fino alla California, dove una catena di missioni univa San Francisco a Città del Messico. La quarta zona era quella della parte continentale dell’America meridionale, che da Panama scendeva fino alla Terra del Fuoco. La popolazione ispano-americana delle colonie ascendeva a dodici milioni di abitanti, dei quali solo una quinta parte era di nascita spagnola. La metà era indigena e la parte rimanente fatta di mulatti, creoli e negri. Benché la società coloniale spagnola fosse più aperta di quella iberica, data la nuova condizione sociale, nell’ambito della produzione mostrava una chiara stratificazione che si plasmava in una gerarchia sociale piramidale al cui vertice si posero gli spagnoli; creoli e mulatti di rango legittimato dalle istituzioni politiche; indios; meticci non legittimati; negri e mulatti liberi; e infine gli schiavi negri. 1.5 Sin dall’inizio della conquista la corona incaricò la Chiesa della cristianizzazione degli amerindi. Il sistema usato consisteva nel tenere gli indios in piccole comunità organizzate dette “reducciones” perché sviluppassero il senso cristiano. Tale sistema, anche se facilitava l’organizzazione del lavoro e la riscossione delle imposte, distruggeva la cultura e la religione dei popoli amerindi, poiché s’imponevano loro una differente religione e altri usi e costumi. Con l’alienazione spirituale la Spagna si aiutò nel controllo della popolazione molto più che le armi o con i governi municipali. I colonizzatori trovavano zone disabitate e vi si stabilivano riproducendovi la stessa organizzazione sociale e produttiva del paese di origine. I bambini che lì nacquero e crebbero, interiorizzarono modelli di apprendimento europei. Nelle regioni dove la popolazione indigena non accettò nessuna subordinazione, o non era abituata a vita sedentaria o al rispetto delle autorità imposte, ci si limitò alla conquista e allo sterminio degli abitanti. Quando s’incontravano comunità giunte a un certo grado di sviluppo e che pertanto avevano già radicato la divisione dei compiti, del lavoro e l’idea dell’autorità e del tributo, il compito del colono era più facile. I gruppi indigeni già sottomessi dagli Incas e dagli aztechi avevano appreso norme imposte loro dalle due classi dominanti suddette. Vi era tra Incas e Aztechi una netta stratificazione sociale, scuole differenti per bambini della classe dominante e della classe sottomessa, ma non era negato ai bambini l’accesso alla classe superiore durante la crescita: molto dipendeva dal coraggio e dalle capacità del bambino. Gli aztechi avevano come schiavi le genti vinte in battaglia, ma i figli degli schiavi nascevano come esseri liberi e pertanto potevano scegliere come vivere, in funzione, chiaramente, delle loro capacità. Ma la schiavitù continuò anche se sostituita gradatamente da quella dei negri in arrivo dall’Africa e durò fino al XVI secolo. Essa si confuse con il termine alleggerito di naboria, che nelle terre oggi corrispondenti al territorio colombiano, si riferiva a Nabori, un indio “liberato” che era tenuto come ragazzo di casa, addetto alle faccende domestiche. La schiavitù si mutava in servitù permanente; i bambini nascevano e crescevano nella fattoria del colono spagnolo; erano qui istruiti spesso da missionari e il colono doveva provvedere alla loro alimentazione e alle cure mediche necessarie. Le nuove leggi varate da Carlo V nel 1542 per disciplinare la situazione trovarono scarsa applicazione. L’autorizzazione (Encomienda) della corona data a un colono per esercitare il dominio sugli indios che rientravano nel suo territorio, era seguita dall’obbligo di fare il possibile per convertire gli indios alla fede cattolica e riscattarlo dalla schiavitù, dando educazione ai bambini nati. Le leggi di Burgos, firmate in tale città nel 1512 e conosciute come “Ordinanza per la Buona Amministrazione e Trattamento degli Indios” da applicare nelle colonie del Nuovo Mondo, avevano prescritto che per ogni cinquanta indios fosse scelto un “bambino monitor” da controllare come campione per verificare i profitti delle comunità indigene e stabilire se l’apprendimento della religione cristiana e la distribuzione dei sacramenti avvenissero regolarmente. La monarchia spagnola, volendo vegliare sulla purezza religiosa e morale, intese selezionare la popolazione emigrante e iniziò a proibire l’andata verso l’America a nuovi cristiani o recenti convertiti, ai giudei, ai musulmani, ai gitani e ai condannati dal tribunale dell’Inquisizione. Né lo permise ai vagabondi, anzi, si decretò affinché quelli trovati a mendicare oltre oceano fossero subito rimpatriati. Una Real Cedula del 1509 proibiva l’emigrazione degli avvocati senza uno speciale permesso, poiché alcuni erano stati accusati d’indurre i coloni alle liti, solo per dilapidarli. Inizialmente fu proibito l’ingresso agli stranieri che commerciavano. I Re Cattolici dettero particolari dispense ma le proteste dei coloni non mancarono mai. Non è possibile citare il numero esatto di spagnoli che emigrarono nel sedicesimo secolo, benché la Casa de Contratacion mantenesse registri di viaggiatori per l’America, perché non sempre sono affidabili: in molte occasioni i permessi si ottenevano in forma illegale. Si possono citare cifre di 250.000 imbarcati nel sedicesimo secolo ma non è possibile sapere quante di queste persone tornarono in Spagna dopo il loro soggiorno in America. Alcuni storici affermano che la depressione economica e sociale che afflisse il diciassettesimo secolo, nella sua prima metà creò circa 200.000 emigranti. L’emigrazione spagnola fu volontaria, montata dalla fama delle ricchezze della Nuova Spagna e dal Vicereame del Perù. Si conta che la percentuale di donne emigrate nella prima metà del sedicesimo secolo fu del 10% degli uomini, per salire fino al 20% verso la fine del secolo. Questa fu una delle principali cause che favorirono l’unione dei coloni con le indie e le meticcie. La monarchia giunse a pagare il biglietto e il mantenimento delle emigrate per i primi mesi, nei nuovi vicereami. Non mancarono i casi di uomini sposati, autorizzati dalle mogli al trasferimento senza di esse, in attesa che l’emigrante avesse casa e un campo, spesso coltivato con il lavoro degli indios. Un secolo dopo la scoperta, il cosmografo Juan Lopez de Velasco compilò una lista di 225 località la cui popolazione era di 150.000 persone. Esse si triplicarono in mezzo secolo confermando il dinamismo demografico del territorio. Capitolo secondo Immagini e condizione dell’infanzia nello sviluppo storico. 2.1 Nell’antica Pompei gli affreschi della Villa dei Misteri ci riportano l’iniziazione di bambini ai riti dionisiaci. Il bambino romano era fonte di preoccupazione per il genitore che teneva alla sua educazione. Spesso i figli erano mandati presso scuole greche. La società medievale europea aveva scordato tutto ciò. Dice Ariès che essa non aveva l’idea d'educazione né il sentimento dell’infanzia (Ariès: 1994). Cos’era accaduto? Il medioevo aveva dimenticato le scuole degli antichi, romani o greci, e non conosceva ancora un tipo di educazione più moderna. I fanciulli verso i sette anni erano mandati presso altre famiglie per apprendere arti o mestieri, come ci raccontano le miniature medioevali. Il bambino era il compagno naturale dell’adulto. I greci presupponevano il passaggio dal mondo dei bambini a quello degli adulti attraverso l’iniziazione e l’educazione e i romani ne avevano ricopiato il costume. Il medioevo non colse tale differenza né questo passaggio. I fanciulli erano confusi con gli adulti. Accade sul finire del Medioevo che l’attenzione alla vita del ragazzo si fa più forte e specifica, soprattutto nelle famiglie dei ricchi, i quali fuggono la promiscuità che i tempi imponevano. Le scuole, che dall’inizio del Medioevo erano rimaste comuni alle diverse generazioni, all’inizio dei tempi moderni si differenziano; alcune scuole erano per i bambini di elevato lignaggio, altre, come gli istituti o scuole di carità del seicento, destinate ai poveri. Nel Medioevo, dunque, il bambino entrava nel mare degli adulti e non si distingueva in esso. In quegli anni che molti chiamano di oscurantismo medioevale, in America, prima della scoperta, prima che due culture s’incontrassero, com’era considerato il bambino? I codici arrivati a noi, e con essi la cultura Maya e Azteca, danno grande importanza alla sua educazione: è educato alla moralità e al coraggio, doti gli permetteranno di essere un buon capo o di salire nella scala sociale. Non bisogna dimenticare, ad esempio, che i bambini nati dagli schiavi erano considerati liberi, indipendenti dalla sorte delle madri e potevano scegliere la loro strada sin da piccoli, studiare o divenire artigiani, o guerrieri se avevano abbastanza coraggio. L’idea di uguaglianza, gli antichi amerindi la applicavano alla nascita; se poi il corso della vita, nella fase della maturazione, cambiava il destino del bambino, ciò era per volontà divina. L’educazione dava importanza alla conoscenza della storia, della mitologia e della poesia e perciò un fanciullo doveva saper leggere, cantare, preparare discorsi. Tutto era scritto nei codici e il bambino era dunque parte integrante della società. L’amministrazione coloniale e religiosa permise l’uso della scrittura basata sui logogrammi tanto per utilità educativa ed economica, come per il conoscimento delle antichità indigene e ciò favorì l’evangelizzazione. Con il passare del tempo la cultura del bambino indio fu sostituita. Pertanto, ancora nel quindicesimo e sedicesimo secolo, per motivi religiosi, l’attenzione data all’educazione del bambino americano è maggiore che in Europa. Padre Bartolomeo della Casa era costantemente preoccupato della maniera di educare quei bambini indigeni o di sangue misto. Il suo maggiore scopo era d’insegnare il nuovo senza distruggere il vecchio e ciò fu spesso fonte di scontri con i potenti dell’epoca. Nel sedicesimo secolo, in Europa, il sentimento verso il minore si completa: nella vita quotidiana si delineano due vite, quella adulta e l’altra adolescente. Nel seicento il bambino smette di essere coperto come un adulto. Nel settecento il pargolo è vestito, si parla di moda infantile, il suo abbigliamento diviene più comodo, meno rigido. Sono ancora solo i bambini poveri e quelli del popolo più in basso che seguono a indossare gli abiti adatti agli adulti. Si pubblicano i primi galatei per insegnare le buone maniere. Finalmente appare il metodo, la gradualità nell’insegnamento, poiché gli umanisti erano convinti che l’educazione si ricevesse nel trascorrere della vita, nella lotta per il quotidiano. Nel nuovo mondo sono i missionari ad andare di villaggio in villaggio per fondare l’educazione a cui essi danno grande importanza. Agli inizi del settecento si aprirono collegi per le bambine povere. L’educazione femminile ebbe inizio grazie alla presenza di comunità religiose. Il primo collegio femminile, l’Enseñanza, aprì le porte il 23 aprile del 1784 con il patrocinio del vescovo Virrey. In America Latina, all’epoca della colonizzazione, data la scarsezza di strutture educative, il bambino non può essere separato dal mondo degli adulti, come in Europa, ma vive a stretto contatto con tutte le problematiche coloniali del tempo. I nuovi territori sono sconfinati e l’educazione è impartita, dove non arriva il missionario, dal colono, e se costui è buono, con mezzi, trova un insegnante che istruisca i figli propri e quelli dei suoi dipendenti. Questi casi di sostituzione di compiti, stato-cittadino, centralità-periferia, sono tuttora presenti, (una sorta di latenza dell’encomienda) là dove grandi latifondi chiedono l’impiego di lavoratori che si trovano distanti centinaia di chilometri dal posto abitato più vicino che dispone di una scuola. I piani economici non prevedono una ristrutturazione del territorio coltivato o di allevamento, creando sul posto scuole o università. La preoccupazione principale dei governi che si sono succeduti è stata l’industria che ha creato uno spostamento di milioni di persone, dal campo alla città, con nefaste conseguenze. La narcoguerriglia del ventunesimo secolo aggrava la situazione, distruggendo le poche scuole rimaste nei territori dove è scarsa o nulla la presenza dello stato e negando ai bambini il diritto all’istruzione e alla stessa famiglia il diritto a essere una buona base sociale. In Europa, come abbiamo visto, è dunque il crescere del sentimento della famiglia che sviluppa nella società il sentimento dell’infanzia. In America, assegnata la politica coloniale, è la necessità di dare una nuova fede, la cristiana, a rendere centrale il sentimento dell’infanzia. L’America vede un nuovo fenotipo di bambino. Regole altre sono stabilite da norme non codificate in Europa. Alla corona spagnola non basteranno cento anni per mettere ordine nella famiglia sud americana. Il re nulla può a migliaia di chilometri di distanza per ordinare un territorio molte volte più grande dell’Europa. Più vi è incrocio tra spagnoli e indios, più cresce il disordine. Alla fine del 1600 le castas e le sotto castas sono il risultato dei ripetuti incroci di etnie. Bianchi, indios, meticci, creoli, mulatti, e poi suddivisioni delle suddivisioni, in quarti e ottavi e così via. In Europa, dal 1700 in poi, anche se la famiglia scoprirà il “privato”, gran parte della popolazione, più povera e numerosa, viveva alla meglio e molti ragazzi dovevano procurarsi un lavoro per vivere. In America il bambino, la cui vita non è semplice, vive a stretto contatto con l’indio, ma il continente è ricco di risorse. Si muore però di malattie trasportate dall’Europa. 2.2 Nello scorrere dei secoli le rappresentazioni nelle favole per i bambini costituiscono una valida verifica del sistema di valori di una società. Le favole caratterizzano sia chi le esprime, sia chi in esse è raffigurato. De Lawue diceva che il racconto ha valore per la rappresentazione di ogni soggetto e che la rappresentazione del bambino nella favola ha il vantaggio di riguardare il passato di ognuno. Anche il gioco ha la sua importanza essendo il seguito o l’applicazione pratica della favola. È per il bambino americano una sorta di apprendimento teorico e applicazione delle nozioni che l’adulto, adattato alla selva, gli passava. Un modo per capire la natura e vivere in essa. Questo fu trasmesso al bambino meticcio, figlio dei nuovi conquistatori e delle indigene, e ciò lo salvò in più occasioni da morti accidentali. L’infanzia indigena è raccontata e idealizzata secondo le concezioni del rispetto della natura. Le favole degli indios parlano del bambino come attore principale, lo presentano spesso in forma magica: è parte della natura, e pertanto può trasformarsi in un pezzo di essa. Nelle favole amerinde non si parla di fate, ma di bambini eroi, di bambini spiriti, di bambini fatti di mais. Quei popoli che non conoscevano le terribili guerre che sfinivano l’Europa, non avevano necessità di creare un Merlino o una Morgana. Una leggenda chibcha narra l’amore di Tintoba per Sunuba, figlia di un potente capo tribù, promessa a un altro giovane guerriero. Incuranti del sacrilegio essi fuggono per realizzare il loro sogno, lasciando inascoltate le parole del gran sacerdote di Sogamoso. Giungendo nei pressi di una laguna Tintoba sente le membra divenire dure e lentamente si trasforma in cactus. Presso di lui, Sunuba, piangendo, cessa di essere bambina e diviene un giunco. Là si trovano. I Sikuani, indigeni itineranti che abitano nelle riserve colombiane attraversate dal Rio Meta, ancora raccontano ai figli le antiche favole degli avi, ma in esse è la natura a essere il tema centrale. “La madre dei pesci del fiume è la sirena Bakatsolowa. Quando appare Maggio i pesci, quelli di razza buona, salgono il fiume e vanno in cerca della sirena. Bevono la fermentazione del mais, che li rende allegri e perciò cominciano a cantare. (Le mamme cantano la canzonetta ai figlioletti). Poi i pesci portano via la sirena perché lei è la loro madre”. Origini di fiumi, storie di animali, di orchi, di alberi che danno frutta, di miracoli fatti dal fuoco, dell’inizio della folgore, dello spirito che vive negli animali e nella selva, questo cantano le favole dei Sikuani. Non vi sono guerra, armi, ricchezze favolose, come in quelle europee. Il valore simbolico è diverso. Principalmente educativo, è orientato alla natura ed è trasmesso dalla tradizione orale. La tradizione orale dei Sikuani, ancora viva, dimostra come l’educazione del bambino e il rispetto per la natura sono più sentiti in quelle terre ignote. Nel secolo scorso, il ventesimo, ove regna la civiltà, il racconto orale della favola è stato sostituito dal programma televisivo. La favola è porta dalla “madre televisione”, che non interagisce ma solo presenta scene, immagini cui il bambino, spesso, non è in grado di dare il giusto valore. In effetti, la televisione non permette ciò che gli indios precolombiani, come gli attuali, avevano ben radicato: l’educazione del bambino svolta dalla favola orale che permette al futuro ometto anche d’interagire con il grande. Mediante la favola, al bambino viene fatto capire che la natura non esiste come realtà esterna al gruppo sociale: caccia, pesca, raccolta di frutta e semi sono appropriazione di beni della natura; creature e acqua hanno un padrone invisibile e supremo, al quale bisogna rivolgere il rito ringraziamento, da compiere periodicamente. Al bambino è insegnato il valore di ogni pianta, perché da esse dipende la sua sopravvivenza. La cosmovisione si rinnova nella favola indigena ed è oggetto di attrazione di molte persone, antropologi ed ecologisti. La sociologia cosmologica indigena ha prodotto una vasta gamma di conoscenze ed è il prodotto di osservazioni ataviche e di sperimentazione. Il gioco è un altro modo del nuovo bambino americano di rapportarsi al reale. Tre grandi strutture caratterizzano i giochi infantili che si svolgono nella selva: l’esercizio fisico, il simbolo magico e la regola antica. Aldilà di una schematizzazione puramente analitica, il tentativo di classificazione dei giochi fa apparire l’interessante manifestazione della sua personalità. Il bambino come essere spontaneo che apprende il gioco della vita e della morte vivendo ogni giorno all’ombra del rischio, uno qualunque. Lo spirito della foresta o della vasta pianura penserà a lui, o morirà. Nel nuovo continente, il gioco tra bambini differenti per condizione o colore di pelle, ove la colonizzazione lo rende possibile, diventa azione aderente al ruolo dell'età, creato dall’insieme d'attese coloniali associate all’appartenenza di una particolare “casta”. Il bambino americano percepisce che, come un adulto, deve dominare la natura per non esserne travolto e il gioco lo aiuta in questo esercizio. Il fenotipo spontaneamente fa riferimento a una nuova base biologica per l’assegnazione di ruoli diversi secondo l'età. Il bambino indigeno non è adatto per il lavoro pesante, troppo fragile, ma il nuovo, incrociato, ricco di rigoglio ibrido, è più forte. Lavorerà meglio. La società ispano americana si aspettava dunque che il bambino raggiungesse l’età adulta avendo già un suo ruolo che richiedeva abilità fisiche e mentali per non soccombere dinanzi ad una natura diversa da quella del vecchio mondo. Qual è il gioco odierno del bambino colombiano? Molto diverso dal passato. Sospettare di tutto. Per molti minori è obbligatoria la fuga. Fuggire per non essere ammazzati. In Colombia, il numero di bambini in fuga dai paesi di origine a causa delle invasioni di narcotrafficanti è vicino al milione. Dopo, nei centri urbani dove arrivano, molti sono costretti, per sopravvivere, a mendicare o a vendere ai semafori delle cittadine e delle città ogni sorta di prodotti, dormendo di notte nei posti più insoliti e pericolosi, come la sponda di un fiume a carattere torrentizio che non avvisa nessuno della piena in arrivo. A loro è negato il diritto al gioco e in un punto della loro mente ciò farà sentire il peso negativo nei rapporti intersoggettivi. I bambini delle riserve indigene sono in un certo senso protetti dall’isolamento; ma restano lontani dalla gente comune e ricevono meno degli altri bambini. Sono nutriti male e non approfittano di un’istruzione “regolare”. Però socializzano meglio, con valori più fondanti che permettono il sogno. In Colombia, all’inizio del secolo ventesimo, la famiglia estesa era il nucleo sociale centrale e tutte le attività sospingevano genitori, figli, nipoti, zii e nonni verso un’unità completa. La relazione famigliare trascendeva l’unità domestica e impregnava tutte le attività sociali. Questa era la ragione per cui i bambini presenziavano le festività dell’anno che divenivano occasione di gioco e di divertimento. Partecipavano agli eventi religiosi, politici e sociali, ai rodei ed erano parte in causa. Spesso il gioco riproduceva, nell’immaginazione infantile, il mondo adulto in cui il bambino si trovava immerso e ciò acuiva la sua percezione delle strutture e delle funzioni sociali. I bambini della capitale vivevano in una città non ancora espansa, con molto contenuto rurale, e le due maniere di vita si fondevano nei giochi, dove si era grandi signori o lavandaie di panni nel fiume, o vaccari. Il gioco aveva come funzione primordiale quella di suggerire ai più piccoli il ruolo che avrebbero dovuto disimpegnare da adulti e l’imitazione era predominante più che l’invenzione. 2.3 In Colombia, la confusa industrializzazione, la narcoguerra in corso da decenni, non permettono un inserimento regolare del soggetto che, terminata l’infanzia, si approssima al mondo del lavoro. Le cifre di bambini che lavorano illegalmente o presi di forza dai gruppi banditeschi sono altissime e la causa sta nella difficoltà di sopravvivenza della famiglia, spesso numerosa e povera. I casi di abbandono sono numerosi, ma quello contadino è diverso da quello cittadino perché diversi sono i contesti sociali. Nelle città, la rinuncia al figlio minore è ricorrente: va a rubare, mendica, lavora presso padroni crudeli, fugge. Per molti ragazzi la strada diventa il luogo principe delle esperienze e della socializzazione, il posto dove essi annodano i legami con i coetanei e con certi strati deviati della società adulta. Non mancano casi dove il figlio viene donato o lasciato a persone o enti. Non si assiste, come nei paesi ricchi, stando alle cronache, (quelle italiane ad esempio), alla ripetizione di anomalie, a volte vere e proprie esecuzioni di neonati, dove la madre, rotto il cordone ombelicale, come estremo segno di disprezzo, butta il nascituro nella spazzatura, o lo sopprime. L’abbandono, perciò, è figlio della povertà, dell’ignoranza, dell’odio, della disperazione. Se alla povertà si aggiunge un vuoto sociale, la situazione si complica. La famiglia colombiana è in crisi, l’ordine dei valori è confuso in una nazione dove la vita umana è di scarso valore, a giudicare dalle cifre di morte violenta fornite annualmente dall’ente di statistiche dello stato, che non riesce a punire tutti i casi di violenza criminale. I minori risentono dei cambiamenti che la famiglia moderna subisce in modo traumatico: la struttura, rispetto al passato, è mutata, nuovi nuclei si formano senza regolare l’unione e spesso dopo il naufragio di una precedente unione che ha dato figli. Se il mondo dei grandi è la fonte dei modelli di ruolo di cui si alimenta l’infanzia, da esso scaturiranno atteggiamenti e comportamenti che saranno la risultante delle componenti interiorizzate dal sistema motivazionale. Correggere sarà perciò difficile. All’inizio del ventesimo secolo il maltrattamento infantile accadeva nelle case di ogni ceto. Quando era il padre a castigare, l’azione ricadeva sia sul figlio sia sulla madre. L’infanticidio per percosse era frequente. Solo per i sospetti dei vicini la polizia scopriva il delitto e il caso diveniva un fatto pubblico da mettere sotto osservazione come oggetto di studio o scritto di natura scientifica. I bambini erano il capro espiatorio di pene gravi che affliggevano gli adulti, sia maschi sia femmine. Nella guerra civile dello scorso secolo i bambini erano uccisi per ottenere informazioni sui nemici dell’opposta fazione. (Tale vile procedura viene applicata tutt’oggi dalle narcofazioni). Il maltrattamento infantile era poche volte motivo di preoccupazione sociale. L’infanticidio considerato inaccettabile, generalmente, denigrava la madre. Le cause che spingevano al gesto sia gli uomini sia le donne erano di solito la necessità disperata, provocata dalla miseria, e l’alcolismo. Pareva che il dovere di allevare un figlio senza l’appoggio paterno colpevolizzasse unicamente la donna. Se il gesto malsano era commesso dal padre, si parlava d’infermità mentale. In Colombia l’educazione è mutata; tali mostruosità non accadono se non sporadicamente. La vendita dei bambini appena nati o la donazione a persone danarose che possano prendersene cura, quando le madri non vogliono affidare il loro frutto all’IBFC, pare, a questo punto, il male minore, se porta vantaggio al neonato e gli salva la vita. È in atto un crescente processo d’individualizzazione sia economica sia culturale dei soggetti; la pluralizzazione degli stili di vita ha legittimato, da un punto di vista culturale, nuove forme familiari che si adattano alla costante riorganizzazione del quotidiano, alla diversa gestione della dimensione affettivo - relazionale che nel passato era confinata in zone molto isolate e lontane dalle città. Per quanto attiene alle funzioni educative, la crescita degli apparati scolastici e di altre agenzie di riproduzione socioculturale ha modificato il ruolo della famiglia. La formazione della personalità e dell’identità individuale è influenzata da agenzie extra-familiari, poiché la famiglia è inserita in un complesso sistema d’interdipendenze al cui interno le funzioni condivise con altre istituzioni costituiscono il presupposto del funzionamento della società. 2.4 Il bambino, durante il primo anno di vita, trae dal rapporto con la madre gli elementi psicologici fondamentali su cui costruirà la sua personalità. Ogni madre è “l’organizzatore psichico” del bambino. Nello sviluppo vi sono dei periodi particolarmente critici in cui le direttive della madre danno luogo alla formazione di una struttura psichica a un livello elevato. Data l’importanza della relazione e dell’evoluzione dei rapporti madre-figlio, il dibattito sulla formazione della personalità nei primi tre anni di vita è acceso. La personalità, comunque, si forma in famiglia, in particolare in quella nucleare, dove la reciproca dipendenza psicologica è rafforzata. La madre colombiana oggi o è troppo permissiva, o troppo autoritaria, ostaggio di una lotta quotidiana che la affligge e le conseguenze si vedono nel numero di minori lasciati alla strada o nel crescente numero di bambine in età scolare che restano incinte e devono lasciare gli studi. La famiglia appare come un organismo sociale che va adattandosi alla logica della società industriale cresciuta male e confusa. Ecco che l’educazione dei figli si trasforma e cambiano anche i rapporti tra adulti e bambini. Altri modelli, alieni, tendono a sostituirsi agli antichi modelli di comportamento. La guerriglia, il paramilitarismo mutante, offrono una paga che il mondo del lavoro non può dare. La socializzazione di un giovane comporta la trasmissione dei valori, delle norme e degli atteggiamenti dai membri più anziani a quelli più giovani. Di solito questo processo fa registrare un certo grado di contrasto, poiché la cultura è essenzialmente il prodotto di esperienze e tradizioni diverse. Così, fra generazioni è sempre esistito un conflitto latente, le cui manifestazioni sono state troppo spesso attribuite alla passionalità e all’idealismo dei giovani. In Colombia il contrasto non è tra generazioni, ma tra fazioni che propongono “eroi” come Pablo Escobar, Tito Fijo, Castagno, e altri soggetti. Le esperienze e i mutamenti nella vita dei giovani sono stati e sono così differenti da quelli delle passate generazioni, dove le pressioni della famiglia e della comunità locale avevano spesso la meglio nella risoluzione dei conflitti generazionali, a spese delle aspirazioni, delle ambizioni o dei sogni dell’adolescente. Oggi, il conflitto è influenzato da una vecchia povertà e da una nuova delinquenza senza regole. I bambini hanno un loro sistema cognitivo e semiotico che si sviluppa per tutta l’adolescenza, così non solo preferiscono forme di svago diverse da quelle degli adulti, ma reagiscono anche diversamente dinanzi a certi stimoli. La televisione colombiana ogni giorno passa immagini e informazioni di massacri a cui segue il silenzio delle istituzioni, soprattutto di quelle internazionali. L’indifferenza alla notizia di un massacro è la regola di una disattesa corretta informazione. Essi possono non capire o fraintendere il contenuto di un programma, se non hanno il background culturale necessario. 2.5 L’antisocialità minorile è in genere vista come un effetto della mancata o imperfetta socializzazione, attribuendola alle carenze della struttura familiare. Certamente, non si può negare che fattori delinquenziali minorili si riscontrano in seno a famiglie in cui è venuta meno la singolarità dei compiti educativi, o minate nelle proprie basi dalla scarsa moralità dei genitori, dall’isolamento dei nuclei, dall’aridità affettiva. Se il problema affonda le radici nella mancata o difettosa socializzazione del minore, non può essere trascurato quel che la delinquenza minorile si trova concentrata nelle aree più depresse delle grandi città e si manifesta attraverso atti compiuti da gruppi organizzati di coetanei. L’ingresso nelle bande non è limitato solo a soggetti in cui è carente il processo di socializzazione. Un aspetto del ruolo delle bande minorili nel comportamento deviato è quello di creare nell’adolescente il desiderio d’innalzarsi al livello dell’uomo adulto, ed è un esempio tipico di sub-cultura urbana. In Colombia, l’arruolamento volontario nei gruppi di guerriglia o paramilitarismo mutante è dovuto, nella quasi totalità dei casi, a bisogno di soldi, essendo gli ideali politici scarsamente rilevabili dato il particolare tipo di politica individualista ed esageratamente clientelare in atto, dove è sufficiente essere eletti deputati per avere diritto alla pensione da parlamentare, senza che sia necessario terminare la legislatura. Vi è il sospetto che alcune campagne politiche siano sovvenzionate con dollari del narcotraffico; la corruzione estesa a tutti i livelli crea mancanza di fiducia, compartimentazione. Se è impresa ardua individuare nel comportamento del bambino la linea di demarcazione che delimita la bravata infantile, sciocca e imbarazzante, ancorché fastidiosa, dall’atteggiamento delinquenziale, non meno lo è stabilire quella che separa la delinquenza dalla patologia criminale, per cui la “delinquenza” risulta essere un’etichetta troppo vaga per comprendere le azioni che ne conseguono. Molte forme di comportamento problematico sono tipiche in certe fasi dello sviluppo e non sono collegabili a eventuali degenerazioni. Piuttosto, le tendenze asociali si presentano soprattutto nei casi in cui il bambino è costretto a staccarsi da entrambi i genitori o vive in una situazione sociale e culturale come “deprivato”. Con la nascita del paradigma sociale, l’analisi dell’anomia e della criminalità minorile si è spostata dal singolo individuo, con le caratteristiche fisiche e psichiche, alla struttura sociale e culturale, al sistema delle norme. Venendo meno l’ottica individualistica, se n’è sviluppata un’altra, rivolta allo studio dei fattori extraindividuali. Durkheim, Simmel, Parsons, pur senza studiare direttamente i gruppi devianti, individuarono i meccanismi di produzione della devianza. Essi posero a fondamento dell’equilibrio sociale due specie di variabili: la coesione dei rapporti sociali e la coerenza delle rappresentazioni collettive. Per Durkheim nelle società tradizionali, la coesione sociale, quale legame verticale e orizzontale, era basata su un insieme di rappresentazioni collettive coerenti tra loro e capaci di unire gli individui. Nelle società moderne il problema critico è proprio l’incoerenza e la frammentazione delle rappresentazioni collettive. Per il sociologo tedesco è in questo vuoto che si produce l’anomia, la disgregazione sociale. Anche per Simmel il conflitto della società moderna si colloca nelle rappresentazioni collettive, perché si producono rapporti di esclusione e un’ostilità sociale generalizzata. Per Weber rimangono critici alcuni aspetti tipici della società, in particolare non sembrano sufficienti a coprire il vuoto provocato dal processo di razionalizzazione, né la legittimità legale razionale, né l’etica del capitalismo. In altre parole, la disgregazione sociale si associa a deficit di rappresentazioni collettive che involvono per mancanza di norme e producono perciò anomia. Viene meno la socialità fissata nell’organismo complessivo, attraverso la coscienza collettiva guidata dalle norme. I comportamenti devianti sono resi possibili da un insieme di variabili esogene e variabili endogene che agiscono sui singoli: crisi delle forme d’integrazione, limiti del controllo sociale, livelli di urbanizzazione e industrializzazione, indebolimento della struttura familiare, insufficienza della struttura scolastica, stili di vita centrati sul consumo, sradicamento legato alla mobilità geografica, crisi economiche indotte da svariate cause. I dati confermano che i detenuti in carceri minorili appartengono in maggioranza alla fascia più povera della società, anche se alcune teorie sottovalutano la criminalità quale effetto primario della povertà, di condizioni di vita anomale, della disgregazione familiare. Devo però osservare che quando si cerca di ricostruire il fenomeno della delinquenza minorile basandosi esclusivamente sulle statistiche ufficiali, non si compie un’operazione scientifica completa, ma si aderisce spesso a uno stereotipo. La Scuola di Chicago ha, infatti, documentato i rapporti tra criminalità e aree urbane e li ha interpretati sulla conformità di categorie quali la disgregazione del territorio, la disorganizzazione sociale. Le due categorie sono dominanti in Colombia e ne consegue che la devianza cresce nelle aree urbane caratterizzate dalla densità demografica, dalla presenza simultanea di culture diverse, dall’instabilità di sistemi culturali, dal degrado ambientale. La classe sociale di appartenenza, (retaggio delle antiche castas, oggi mutate e applicate in zone urbane definite in sei “estratti”, da quello più basso e miserabile a quello più alto), è fattore decisivo per la delinquenza minorile. Le bande delinquenziali si collocano nelle comunità sub culturali, nelle minoranze etniche, dove sono minime le probabilità di realizzazione. La pressione sociale e le tensioni strutturali dei soggetti messi in ambienti marginali danno origine a diversi adattamenti collettivi, secondo le possibilità differenziate di accesso alle risorse. L’estensione dei fenomeni di guerriglia e contro-guerriglia, il narcotraffico, le nuove bande nate dalle ceneri del passato paramilitarismo disciolto dal presidente Uribe, da anni giocano su questi elementi, supportate dai grandi contrabbandieri della cocaina. Nelle file d’irregolari sono presenti minori di basso strato sociale, ragazzi fuggiti dai campi, principalmente. Quelli di città entrano nei reparti di spionaggio, fornendo nomi di persone da sequestrare per estorsione. In Colombia un comportamento di protesta adolescenziale sorge come conseguenza della mancanza di possibilità e come adattamento al disagio creato dai modelli di ricchezza proposti dai mass media, ma non raggiungibili da tutti: alle limitazioni segue l’impiego facile di mezzi illegittimi. Le proibizioni non sono interiorizzate, esse non rappresentano un ostacolo socialmente strutturato. Il paradigma della costruzione sociale della devianza, nella versione interazionista, afferma che la reazione pubblica e sociale al comportamento deviante si esprime a due livelli: quello informale, che si concreta in processi di stigmatizzazione e marginalizzazione e quello istituzionale, esperito dalle agenzie di controllo chiamate ad applicare le norme e dalle istituzioni incaricate del trattamento dei devianti. Volendo applicare il contenuto essenziale della teoria interazionista al fenomeno della devianza minorile colombiana si può sintetizzare il seguente punto: il bambino abbandonato alla strada percorre un cammino fatto di piccoli passi, ognuno dei quali è condizione dello svilupparsi di una determinata prospettiva che è premessa di nuovi peggiori comportamenti, con mutazione d’identità. Perciò, se la società colombiana definisce la condotta di minori marginali come deviante, e non interviene in modo completo e organico, deve sopportare le conseguenze del comportamento di questi esseri. Una tara è appunto l’indifferenza. È chiaro che le teorie del disagio e della devianza pensate per i paesi opulenti non sono del tutto applicabili ai paesi poveri. La Colombia è considerata appartenente al terzo mondo. Qui, però, le circostanze in cui nasce e si sviluppa la devianza sono diverse. Le microanalisi fatte in una città come Chicago non trovano riscontro per Bogotà. Nei paesi in via di sviluppo la devianza nasce dalla povertà, dalla necessità di sopravvivere e non è originata dalla meta del successo, dal confronto diretto, dalla frustrazione. Le teorie della trasmissione della cultura e dell’integrazione dicono che il meccanismo di apprendimento del comportamento deviante passa per vie diverse. Come nella maggior parte dei paesi Sud Americani, manca una vera classe media, la forbice tra ricchi e poveri e molto aperta, perciò ne scaturisce un’accettazione passiva del comportamento deviante; l’élite socioculturale non soffre in primo piano delle conseguenze immediate e visibili di un certo tipo di devianza. In Colombia i ricchi abitano in zone residenziali con sorveglianza armata, (estratto sei) il ceto medio - alto in quartieri decenti, (estratto 4-5) dove c’è comunque sorveglianza. Non c’è pertanto reazione alla devianza, ma inibizione della cultura, e la divisione delle città in estratti ne è portatrice. La povertà, la mancanza di famiglia, i livelli di cultura molto dissimili, fasce sociali, processi d’interazione differenziati, portano a una forma di devianza che, indubbiamente, nasce da un disagio, ma è diversa per il paese ricco e il paese povero. La devianza dei minori non è una devianza “espressiva”, come quella degli hooligan, un comportamento deviante che Cohen ben identificò nelle aree subculturali. Quella dei paesi poveri è strumentale, dovuta alla fame, alla miseria, al bisogno, là dove i reati servono a sopravvivere. La marginalità minorile non è solo conseguenza della povertà, della disgregazione familiare, della deprivazione culturale, ma anche del mancato riconoscimento di realtà culturali caratterizzate dalla diversità di valori di riferimento; essa è conseguenza della tendenza statale ad adottare soluzioni assistenzialistiche monche, che non valorizzano la capacità di auto-sviluppo dei soggetti. Capitolo terzo La condizione in America del Sud. 3.1 Per le Nazioni Unite, le conquiste ottenute in fatto di salute e di educazione danno ragione a tre su cinque dei paesi che lottano per tali obiettivi, facendo aumentare le probabilità di sopravvivenza dei bambini in situazione critica. Tra i successi più indicativi ottenuti, figurano l’espansione mondiale dei servizi d’immunizzazione, la virtuale eliminazione della poliomielite e della dracunculiasi (verme della Guinea); la somministrazione di sale iodato a 1500 milioni di persone; la conversione di varie migliaia di ospedali in strutture “Amici dell’infanzia”; il salvataggio di un milione di bambini per anno, aumentando le capacità familiari di trattare la disidratazione diarroica in seno alla stessa famiglia, implementando la reidratazione orale. D’altro canto l’ONU ha riconosciuto anche delle sconfitte. Lo zoccolo duro rimane la nutrizione. Quasi un terzo dei bambini di età inferiore ai cinque anni mostra nei paesi in via di sviluppo un peso inferiore al normale. Ma ci sono altre brutte vicende. Vediamo. - Sfruttamento sessuale. I modi per avviare minori alla prostituzione sono vari. Dalla coercizione, agli inganni, al sequestro, alla vendita. È implicito che lo sfruttamento sessuale attenta alla dignità, all’identità, all’autostima del minore, e mina la fiducia negli adulti. Inoltre mette in pericolo la salute fisica, psicologica ed emozionale dei bambini, viola i loro diritti e minaccia il loro futuro. Infine li priva di uno sviluppo sessuale naturale e spontaneo. Per le piccole vittime, la violenza, la sfiducia, la vergogna, il rifiuto, possono convertirsi in norma e finiscono per dipendere dai loro sfruttatori in quanto a stabilità emozionale e appoggio. Sebbene la prostituzione infantile sia un problema presente in quasi tutte le società, essa è tollerata in maniera tacita, mediante diversi livelli di complicità. I minori coinvolti sono adolescenti e in maggioranza bambine. La povertà e l’ingiustizia economica sono fattori comuni. I bambini provengono da ambienti poveri, dove le possibilità e opportunità economiche sono inesistenti. I membri stessi della famiglia possono venderli intenzionalmente a commercianti del sesso o per l’equivoco che gli stessi troveranno un lavoro al bambino. Ma la povertà combina spesso un’immagine svalorizzata del figlio e a volte lo si vende. Si è di fronte ad un mercato in piena attività, con clienti, rotte di distribuzione, posti di vendita e tutte le caratteristiche di un’industria organizzata. Per ultimi vi sono i gruppi di pedofili che ricevono attenzione dai commercianti di sesso minorile e meno dai mass media. Lo sfruttamento ha numerose cause soggiacenti, come l’ingiustizia sociale ed economica, le disparità ricchi-poveri, le migrazioni, l’urbanizzazione e la disintegrazione familiare. L’ignoranza, il consumismo, l’ansia di possedere, di comprare, esaltate dalla pubblicità e dai mezzi di comunicazione, spingono coloro che non valorizzano i propri figli a scambiarli con beni più desiderati. Altre volte gli stessi bambini vendono parti del corpo per mantenersi al livello dei loro pari in una società che dice loro che i beni materiali sono più importanti della dignità. Negli ultimi venti anni molti paesi in via di sviluppo hanno dovuto lottare con le profonde mutazioni dovute alla povertà, alle guerre, alle crisi politiche ed economiche come gli aggiustamenti strutturali e i pesanti debiti internazionali. Molte comunità sono state spiazzate e distrutte, sono aumentate le disparità e a vari livelli sono state destabilizzate le strutture e le relazioni familiari. È un paradosso, ma la povertà è maggiore e più difficile da superare che ieri. La pornografia infantile è una componente dell’abuso sessuale che abbraccia un segmento specifico e lucrativo del crescente mercato della pornografia mondiale. Questa è una violazione dei diritti che genera gravi conseguenze fisiche ed emozionali. Deterioramento dello sviluppo psicosociale ed emozionale, comportamento antisociale, depressione, timori, ansie, infermità, lesioni, violenza. È stata provata l’esistenza di un effetto modellatore che in molti casi fa apprendere ai bambini il relazionarsi dell’attività sessuale con la violenza e con l’uso della forza che provocano poi vincoli di dipendenza emozionale con gli sfruttatori. I bambini corrono il rischio di perpetrare essi stessi atti illeciti e di sottoporre ad abusi sessuali altri coetanei. Molti dei fattori che portano i bambini a farsi sfruttare dalla pornografia sono gli stessi che li spingono alla prostituzione. I più vulnerabili alla coazione, seduzione e alla forza fisica esercitata per il reclutamento sono i minori che provengono da famiglie povere o disintegrate, o da famiglie dove sono stati sottoposti a violenza e ad abusi. In Colombia, i rifugiati, le persone cacciate dal loro paese in seguito all’entrata in campo del narcotraffico, si sono viste obbligate a transitare per territori ostili, facili prede di battaglioni non regolari. I programmi locali di riordino strutturale hanno distolto quei fondi destinati ai vari settori sociali, facendo così aumentare le difficoltà sociali ed economiche. In molti casi, agli adulti come ai bambini, non rimane in alternativa che la prostituzione, in cambio di alimenti, panni, denaro o soccorso. Un’indagine pubblicata recentemente dalla Camera di Commercio di Bogotà indica che nella capitale vi sono 7000 prostitute di età inferiore ai diciotto anni. Si calcola che un terzo del totale delle prostitute ha meno di quattordici anni. Più della metà hanno contratto malattie veneree, meno di un terzo AIDS. - Lavoro minorile. Non esistono statistiche complete sul lavoro minorile perché nella gran parte dei casi i datori di lavoro si rifiutano di ammetterne l’esistenza o comunque sono difficili le rilevazioni statistiche ufficiali. A dispetto delle leggi internazionali e nazionali, si continua a sfruttare il lavoro minorile: bambini minatori, piccoli pastori che vengono fatti lavorare per quindici ore al giorno, servitori, braccianti in miniatura, ecc. - I minori soldati. Migliaia hanno combattuto nell’ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. La maggioranza ha da quindici a diciotto anni ma ci sono reclute anche di dieci anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell’età. Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente di narcotraffico. L’uso di un bambino imbottito di esplosivo per un attentato è segno della mancanza dimensionale dell’infanzia in una parte del loro cervello. Gli autori di tali scandalosi ma teatrali omicidi non hanno avuto infanzia, giacché non ne riconoscono i diritti. L’uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile l’arruolamento dei minori; oggi un bambino di dieci anni può usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi, inoltre, non chiedono paghe, e si fanno indottrinare e controllare più facilmente di un adulto, affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei territori nemici come spie). Inoltre la lunghezza del conflitto tra stato e narcoguerriglieri rende urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite e si ricorre a ragazzi che non hanno documenti che mostrino la loro età. Si dice che alcuni aderiscono come volontari e in questo caso le cause possono essere diverse: per lo più lo fanno per sopravvivere, perché c’è di mezzo la fame o il bisogno di protezione; oppure per rancori e odio verso le fazioni opposte che hanno provocato morti nelle loro famiglie; oppure per dare, arruolandosi, una specie di protezione alle loro famiglie, minacciate da una fazione o dall’altra. Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi. Oltre alle malattie ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o avere commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell’inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze, dopo essere state nelle bande armate, non riescono a sposarsi e spesso finiscono prostitute. Oggi migliaia di bambini partecipano alle guerre del narcotraffico come combattenti, spie, guardiani, messaggeri. Nel mondo, le guerre degli ultimi dieci anni hanno ammazzato 2.000.000 di bambini, 1.000.000 sono rimasti orfani, 6.000.000 feriti. La loro vulnerabilità si ripercuote sull’intera società, esige che vi sia posto per i bambini nelle agende di pace che si riferiscono specificamente alla protezione del minore, affinché non sia parte delle ostilità, in modo da garantire i diritti umani e il miglioramento del sistema della giustizia. Senza dubbio in Colombia i bambini non possono attendere. La quantità di persone sfollate, la spiacevole situazione di bambini costretti a partecipare alle ostilità, l’uso del sequestro come mezzo di pressione politica, fanno sì che 1.200.000 persone sono state cacciate dalle loro case. Capitolo quarto La famiglia in Colombia. 4.1 Agli inizi del ventesimo secolo Bogotà aveva 100.000 abitanti e manteneva l’aspetto di una città coloniale, dove le chiese erano le principali costruzioni intorno alle quali si svolgeva la vita cittadina. Il processo di espansione iniziò senza controllo, in modo disordinato, e in assenza di strutture pubbliche i quartieri periferici si allargarono sulla cordigliera, verso l’esterno della vecchia città, in condizioni d’insalubrità, mentre le grandi antiche costruzioni cittadine si suddividevano al loro interno creando affitti generalizzati. La parte orientale della città si riempì di ciminiere circondate da casupole. La zona nord riuscì a conservare un volto meno brutto e un’aria più pulita e ciò vi richiamò la vecchia classe abbiente dal lato orientale della città. La suddivisione, per ciò che riguardava le imposte municipali, nei così detti estratti, accentuò la divisione territoriale. Chiarendo meglio, l’alcaldia, il municipio, fece la revisione toponomastica e per la riscossione d’imposte, inizialmente, si assegnarono le tasse municipali per zona di domiciliazione, indirettamente e indipendentemente dal reddito fisico. Sarebbe a dire che conclusa la parte organizzativa urbana, si decisero gli estratti, (estractos), per incollarvi strettamente il presunto reddito delle persone, giacché dal punto di vista del direttivo fiscale del municipio, una persona ricca non abita una zona povera e viceversa. Le quote d’imposta, i costi di acqua, luce, gas, fecero (e fanno) riferimento alla zona di residenza e non al reale reddito fisico della persona. Ciò divide ancor più le città colombiane e il loro tessuto sociale, creando barriere che neppure gli antichi romani vollero. Un siffatto sistema classificatorio non potrà mai spingere lo Stato a intervenire sul miglioramento delle qualità di vita nei quartieri abitati da gente povera o di bassi ingressi salariali. Il risultato sono i grandi cinturoni di miseria che circondano le città della Colombia. È negata a priori l’integrazione sociale, assegnando a ognuno uno strato in cui annaspare. Perciò anche le scuole sono, di conseguenza e inevitabilmente, divise in scuole di poveri e scuole di benestanti, essendo la forbice salariale apertissima. Nel complesso fenomeno di accrescimento e concentrazione delle popolazioni contadine nelle città, con un andamento disordinato, la mancata applicazione dei piani regolatori, la lentezza della burocrazia, l’assenza di servizi e opere pubbliche, si ripercuote su tutta la struttura istituzionale. L’economia urbana soffre la pressione demografica giacché la domanda di lavoro supera l’offerta dei capitali industriali e commerciali. Le donne di ogni strato sociale sono entrate in competizione con gli uomini sul mercato del lavoro, acuendo le scarse possibilità d’impiego. Piccoli gruppi hanno accumulato grossi capitali, mentre la maggioranza delle persone è rimasta priva del salario minimo di sussistenza. Il loro adattamento è stato rapido e violento, scontrandosi con la cultura e i modi di vita cittadini. Il gigantesco accrescimento delle città si è trasformato in un processo multiplo e sincrono di espansione, di concentrazione o rimodulazione, che in una certa maniera attenua gli effetti della tremenda trasformazione e di ciò che essa riflette nella situazione sociale e culturale che la avvolge. L’integrazione delle persone cacciate dai campi, o allontanatosene di loro volontà, nella realtà urbana si è sempre rilevata fragile e parziale, a causa del basso livello di scolarizzazione e di professionalità di quanti emigravano in città. Ciò ha impedito l’accesso a settori capaci di offrire salari più alti e condizioni di vita migliori. Tal emarginazione, iniziata con la crisi delle attività rurali tradizionali, ha fatto crescere la pressione sul mercato del lavoro e sui servizi di base. Se a ciò si aggiunge l’instabilità, economica e politica, generata dalle organizzazioni criminali, che fanno della Colombia (dopo Bolivia e Perù) il terzo paese per la produzione e trasformazione di coca, ci si rende conto della difficile situazione sociale, politica, culturale ed economica che il paese sta vivendo da diversi decenni. Le conseguenze sono state la crescente disoccupazione; l’aumento del settore informale dell’economia; lo sviluppo di periferie urbane spontanee, dove il problema della casa è particolarmente grave, creando situazioni di promiscuità con elevato indice di rischio per le donne e i minori. Così immense baraccopoli, bidonville, ranchitos, sono nati senza regole, senza servizi igienici, senza elettricità, senza trasporti, in precarie condizioni di abitabilità. È aumentata la disoccupazione nelle fasce di età tra i venticinque e quaranta anni (dove una percentuale espressiva è costituita dai capi famiglia) e nella fascia tra i quindici e diciannove anni, corrispondente al gruppo di giovani più adatto a essere inserito nel mercato del lavoro e da cui gli eserciti paramilitari e narcoguerriglieri hanno fin qui reclutato i loro uomini. Vi è un successivo aspetto che emerge dalle origini storiche del paese e costituisce la relazione tra il colore della pelle e la povertà. All’interno di questo fenomeno, l’equilibrio già fragile dei nuclei familiari difficilmente resiste alle rotture. La recessione e la disoccupazione creano una sorta di psicopatologia specifica nella struttura familiare: il capo famiglia, senza lavoro o con un’occupazione marginale e mal retribuita, vive con senso d’impotenza e frustrazione che spesso provoca cambiamenti comportamentali (reazioni che fanno perdere al capofamiglia la propria autostima). Le relazioni interne alla famiglia si ridefiniscono. Il figlio che prima era considerato “quello che riceve” dal padre educazione e sostegno, diviene un soggetto con cui il padre, se è ancora presente, divide il ruolo di fornitore di sostentamento, poiché il contributo di ognuno diventa fondamentale per il gruppo familiare. Il basso tasso di attività, l’ambiguità e la relativizzazione dei ruoli di fronte all’aggravamento dei livelli di povertà, danno luogo a fenomeni di violenza tra i membri della stessa famiglia, contribuendo a disgregarla. Per tali cause si fa visibile il fenomeno dei minori abbandonati che solo nella strada hanno modo di sopravvivere, dato che hanno perduto i legami familiari e l’identità sociale. Molti adolescenti convivono con questa realtà. Marginalità, devianza, morte, sono per loro le uniche previsioni possibili. Sul medio raggio, i programmi di aiuto e recupero spesso non riescono a raggiungere il target. La vita di strada caratterizzata dalla sopravvivenza, segnata da gravi rischi fisici e sociali, rende ancora più drammatico e inevitabile il destino di ciascuno di loro. Solo attenti studi e oculati progetti, con la collaborazione statale e privata, e la sensibilizzazione dell’intera popolazione, potranno arginare il fenomeno. L’analisi dell’istituzione familiare parte dal riconoscimento che la scarsa offerta istituzionale di sostegno configura una struttura familiare che origina devianza e bambini di strada. Come risposta, la famiglia rimanda alla società il problema, ossia un’infanzia di strada che diviene deviante e criminosa. Questi presupposti obbligano a definire la posizione che ogni famiglia detiene nella scala occupazionale, a pianificare meglio le prestazioni sociali delle pubbliche strutture. Diviene pure indispensabile analizzare la funzione di socializzazione. La copertura di questa funzione è condizionata dalla struttura e dal modello d’integrazione familiare. La madre rimane la figura genitoriale stabile, anche se con un gruppo filiale eterogeneo, frutto di unioni successive con altri compagni. Il padre biologico lascia spesso la casa e un altro uomo s’inserisce come figura supplente. L’ambiente familiare si parcellizza nel conflitto di relazioni tra patrigno e familiari. Le urgenze vitali del gruppo, semi-coperte dal regime del patrigno, sono minacciate dai dissapori familiari. Quando si acuisce la tensione domestica, la madre deve scegliere tra i figli, carico oneroso, e il patrigno che aiuta l’andamento familiare. Spesso la decisione della donna è a favore di quest’ultimo. L’attuale struttura della società colombiana, dove una parte della popolazione vive una drammatica situazione socioeconomica ed è emarginata dai processi educativi, dà origine al fenomeno che anni fa è stato etichettato con la parola gaminismo, del quale sono vittime i minori. Gamin è una parola francese, che letteralmente si traduce con "ragazzo di strada". L’importazione della parola e la sua applicazione in senso peggiorativo da parte degli agenti del controllo sociale, ha marcato i ragazzi di strada, fino ad assumere un senso dispregiativo. Oggi, l’IBFC, organi di Stato e organizzazioni private evitano tale termine, usando per l’identificazione “Niñes de calle”. Gli sforzi a livello governativo e le opere promosse dal settore privato non hanno potuto finora arginare tale fenomeno, che crea disagio e insicurezza. Gruppi di gamines si succedono nelle strade per mendicare e vagabondare, cercando lavoro e inserimento in attività marginali. I minori della strada riflettono l’avvenire storico della società in cui vivono. Tale situazione colloca migliaia di bambini in universi sociali di grande vulnerabilità, e molte volte non hanno la minima possibilità di uscire. Ciò genera un sistema di relazioni conflittuali che ha dato come risultato i fenomeni socio-politici di violenza degli ultimi tempi, (dipendenza dalla droga, delinquenza, sicariato, bande o pandillerismo). Il polimorfismo della famiglia è frutto delle possibilità che le sono offerte. Pertanto nelle città gli immigrati s’identificano come gruppi sociali differenti. La famiglia urbana adotta una subcultura che si definisce nel tessuto istituzionale mediante meccanismi d’interazione permanente. Abbiamo, quindi, due tipi di famiglia in uno stesso strato sociale: una che abbandona i figli sulla strada e una che lo evita; in entrambe esiste possibilità di rottura di ogni legame con i genitori. Per comprendere le differenze bisogna considerare: la struttura familiare, il numero di membri per sesso e per età. La prima accusa peculiarità specifiche, come la frequenza con cui una donna è capo famiglia, e di conseguenza la disparità di rappresentazione per sesso nella famiglia. In un dato istante le famiglie nucleari sono incomplete per assenza del padre o perché in presenza di ragazze madri. A volte queste famiglie si ristrutturano con un padre suppletivo. Le città colombiane con maggiore indice di matriarcato sono Cali e Bucaramanga, con una percentuale del 60% di famiglie con a capo una donna. Spesso la donna capo famiglia è costretta a doppi lavori e la sua assenza da casa si riflette negativamente sulla stabilità familiare e sulla filiazione. La proporzione dei membri della famiglia per sesso presenta un maggior numero di donne e ciò per l’allontanamento sia dei mariti sia dei figli maschi. Inoltre, la prostituzione minorile, spesso sollecitata dagli stessi genitori, richiede la presenza delle ragazze in famiglia per ragioni di sostentamento. Le aree che originano più affido alla strada sono le cinque maggiori città colombiane, Bogotà, Medellin, Bucaramanga, Cali, Cartagena. A Bogotà, su 100 bambini di strada, sessanta sono nati nella capitale, mentre quelli immigrati sono ventidue. Cali è la città dove la presenza di bambini immigrati è notevolmente superiore a quelli nativi. Le famiglie che giungono a Cali e affidano alla strada i figli sono l’85%. Se il minore riesce a partecipare al ruolo di sostenitore economico della famiglia, insieme alla madre, acquisisce uno status di considerazione, ma spesso conflittivo con il capo famiglia. Nella dinamica dell’autorità familiare, la condizione di essere uomo si sovraimpone a qualunque altra considerazione. Già verso i dieci anni il grado di potere-comando (decisionale) del figlio maschio è maggiore di quello della madre e divenendo adolescente è pari a quello del padre, in particolare se il figlio diventerà un vero sostegno per la famiglia, con i proventi del suo lavoro, che può essere svolto alle dipendenze di un operaio più grande di lui, oppure nella strada, vendendo prodotti di ogni genere. Il potere dell’uomo, padre naturale o patrigno, primo compagno o successivo, restringe in queste famiglie la possibilità della donna in tutti i campi e genera un principio d’insicurezza nel rapporto di coppia, che il più delle volte si traduce in liti e maltrattamenti che ricadono sui figli, spesso della donna. Il principale punto di attrito tra padre sostitutivo e figli sta nell’esercizio dell’autorità. Circa il 50% dei figliastri non riconosce l’autorità suppletiva e ciò facilita la fuga del minore verso la strada. L’obbedienza al patrigno è motivata dalla soddisfazione del ruolo che egli assume. Tale riconoscimento è maggiore (38%) nelle famiglie che non permettono ai figli di andare sulla strada, mentre è minore in quei casi dove vi sono gamines (17%). Il contrasto tra donna è uomo cresce, dunque, secondo la presenza di figli sulla strada e del ruolo della madre nella famiglia, a ciò si aggiunge il contrasto tra padri e figliastri per l’esercizio dell’autorità e infine vanno aggiunte cause come la gelosia e l’esercizio del potere economico. La volontà di non avere più figli e la differenza di opinioni è altra causa di contrasto nelle famiglie con infanzia sulla strada. L’allarme è maggiore nelle famiglie patriarcali, gruppi dove il minore corre rischi più gravi, compreso l’abuso sessuale familiare. Il fattore economico non è molto importante al fine dell’espulsione dei figli. Nelle cause che determinano l’allontanamento, esso ha una percentuale del 10%. I rapporti con il patrigno, nel 22% dei casi, sono causa di avvio alla strada. Seguono la disaffezione, il maltrattamento, il mancato soddisfacimento dei bisogni primari, la personalità del minore che non si adatta alle norme di autorità del patrigno. Nel 20% dei casi è la madre ad allontanare i figli. Tale percentuale non sbalordisce se si tiene in considerazione l’alto indice di donne con ruolo di capo famiglia. Per molte il matrimonio è una via di fuga dalla dipendenza familiare. La valutazione di soddisfazione della vita matrimoniale con un compagno presente è stata di “felicità regolare” nel 57% dei casi e di molta felicità nel 14% dei casi. Il pentimento per il matrimonio si ha per il non mantenimento del ruolo da parte del compagno ed è nella misura del 25%. La causa del fallimento del matrimonio è attribuibile principalmente a cause occupazionali femminili che porta al consumo di alcool, con peggioramento della frustrazione femminile. Le donne maltrattate sono il 32%. Situazioni problematiche di conflitto, assenza del minore da casa, incidenti, fame, malattia, vengono a crearsi con l’assenza di entrambi i genitori. In condizione di sostentamento minimo il bambino è forzato a uscire da casa per soddisfare i suoi bisogni primari. Oltre a ciò, nelle baraccopoli, si creano spesso tensioni di vicinato. Ora, in assenza dei genitori, è molto facile che i bambini siano oggetto di rappresaglie, conseguenza della tensione esistente tra famiglie che coabitano. Le denunce all’Istituto di Benestare Familiare (IBFC) per l’internamento dei minori provengono in massima parte dalle madri che, spesso, non si rendono conto che il minore, nella famiglia, è divenuto solo una vittima di situazioni non adatte. Il ragazzo, a tal punto, rompe i vincoli familiari e si rende conto che nella strada può sopravvivere, che non morirà, che potrà aggregarsi a un gruppo di pari. Per le ragazze è più complicato, perché esse s’identificano come prostitute. Generalmente hanno subito violenze sessuali in famiglia. Bisogna tenere conto di una differenza: che mentre nei confronti del ragazzo la famiglia diviene espulsiva, nei confronti delle ragazze la famiglia, con l’aiuto della mercificazione del corpo, ne trae un beneficio e pertanto l’espulsione è quasi assente, poiché sarà lei ad andare via quando troverà il suo uomo. Il ragazzo matura nella strada soffrendo un processo d’isolamento, un processo inverso a cui è destinato quando abbandonato in una città. Dovrà adattarsi per sopravvivere; cambierà fisicamente e nel comportamento; creerà certe difese nel suo organismo e, come un cane, potrà nutrirsi anche con cibi avariati. (È questo fatto che spinge De Pineda a usare il termine “bestializzazione)”. Il gamin potrà dormire in un tombino, senza curarsi del puzzo di fogna. Non userà mai l’acqua. Non prenderà mai un medicinale. Mangerà dalla spazzatura. Comincerà a inalare il boxer, una colla che ha proprietà allucinogene e che sconvolge la mente e il corpo. Non avrà più rispetto di sé, né del mondo che lo circonda. Perderà un fattore importante per ogni uomo: la cognizione del tempo. Il gamin non sa nulla dell’ora, del giorno, del mese dell’anno. Perderà parte dell’uso della parola. Pensa che siano gli altri abitanti della città a essere diversi da lui. A tal punto il fenomeno d’inversione è completo e la città lo avrà già etichettato come “desechable”, disprezzabile; che si vuole vedere morto, con l’indifferenza manifesta, più presto possibile. Difficilmente il gamin dichiarerà la verità, teme di essere aggredito, ha paura. È un ragazzo che come altri ha un suo processo di socializzazione, elabora proprie leggi; è debole e forte, piange per un uccellino o litiga per un coltello, ma ha attraversato la barriera del rischio. A Bogotà è facile vedere bande di ragazzi minori di quindici anni, alcuni appena maggiori di quattro anni, spesso con ragazze inserite nel contesto, che sciamano per i quartieri, in balia del nulla. Mendicano, vagano, hanno una condotta irregolare perché hanno rotto con le norme familiari e presentano problemi d’iniziazione alla delinquenza, all’anormalità sessuale, alla droga, alla prostituzione. Verso i quattordici anni i ragazzi di strada mostrano un’intelligenza superiore a qualunque altro ragazzo della stessa età, superiore non tanto per il cumulo di nozione acquisite ma per la capacità di adattamento a un ambiente difficile. Il gamin ha una personalità che non accetta la frustrazione, non è capace psicologicamente di sopportare una madre crudele, un padre che lo abbandona. L’aspetto più caratteristico della sua personalità è l’instabilità e l’aggressività verso gli adulti, mentre sono solidali con il gruppo di strada in cui convergono. Il gruppo “la gallada” ha una struttura interna specifica. Essa intende un gruppo sociale formato da minori, il cui punto vitale di coesione è il raggiungimento di una sicurezza materiale, psichica e affettiva; costituisce l’unità basica di sopravvivenza. Il bambino ne risente l’influsso, ne riceve anche una certa sicurezza; è un gruppo sociale marginale, ma presenta una coesione interna per far fronte agli attacchi esterni; è un’organizzazione che nasce in modo naturale e che risponde alle esigenze. È prevista la lealtà di tutti verso ogni appartenente e uno sfruttamento paritario delle risorse raccolte. Le infrazioni che commettono possono essere marginali, come elemosinare, o delittuose, contro la proprietà o le persone. Rubano principalmente cose che possono piazzare presso i ricettatori in breve tempo. Quando il bambino cresce vanno aumentando anche le modalità dell’azione delittuosa. Le campagne per la salute mentale dell’infanzia presuppongono l’esistenza di un sistema scolare capace di prevenire i danni psicologici prodotti nel bambino abbandonato, poiché il problema dell’infermità mentale del bambino di strada costituisce un grave fardello. Si fanno grandi sforzi per abbassare la soglia della delinquenza minorile ricorrendo all’istituzionalizzazione dei minori. L’attuale legislazione colombiana sulla delinquenza del minore è principalmente preoccupata di non essere repressiva. Essa tenta di operare nel rispetto del codice minorile. Indubbiamente, esistono difficoltà di natura strutturale che non permettono l’applicazione di un atteggiamento totalmente protettivo nei confronti del minore che infrange la legge. 4.2 Come si presenta l’infanzia colombiana al sorgere del terzo millennio? Il quadro non è chiaro. Infatti, a volte mancano i dati ufficiali al DANE (dipartimento nazionale di statistica). O, se esistono, non sono a disposizione. O, spesso, contrastano con i dati di altri organismi. Sono qui di seguito riportati i dati della Fondazione Restrepo Barco perché i più aggiornati: In Colombia il 42% della popolazione colombiana è minore di diciotto anni, ossia 16.000.000 sono bambini e bambine. Di questi 5,6 milioni sono in povertà e 1,3 milioni sono in miseria. Il loro numero pare destinato ad aumentare, dato l’esodo massiccio dalle zone agricole provocato dagli scontri tra esercito regolare e guerriglia ´e paramilitari. I governi colombiani che si sono succeduti nelle ultime legislazioni, non hanno preparato piani d’intervento efficaci a favore dei bambini provenienti dalle zone di conflitto. In molti hanno pensato e pensano che il “desplazamiento” (sfollamento) dalle campagne, a causa dei combattimenti, sia temporaneo e che in breve dovrà risolversi, si spera, con il ritorno dei fuggitivi alle terre di origine. Ma il narcotraffico è un male difficile da debellare. Intanto il tempo passa e i bambini trovano, nelle città dove giungono, un ambiente che non è favorevole alla loro educazione e crescita. Insieme alle famiglie, quando ciò è possibile, alloggiano in baracche improvvisate. I genitori ricevono un minimo sussidio per un paio di mesi. In queste condizioni l’infanzia ha poche speranze di progredire in modo sano e le zone marginali delle città diventano un serbatoio anche per chi cerca mano d’opera per ogni tipo d’impresa. Se si osserva la situazione riguardante il lavoro infantile, troviamo che 2,5 milioni di bambini sono sfruttati dai genitori o da conoscenti. Nella zona urbana lavora il 15,6% della popolazione tra i dodici e i diciassette anni. In genere fanno da aiuto ai muratori, ma molti sono nelle strade a vendere ogni sorta di prodotti. Nella zona rurale l’indice sale al 33%. Più del 50% dei bambini lavoratori svolge solo questa attività e non studia. Di quelli che lavorano il 75% riceve una quarta parte del salario minimo legale, (circa 70.000 lire mensili), il 25% dei bambini sfruttati non riceve alcuna paga. La Fondazione Barco ha stimato in 21.000 i bambini vittime dello sfruttamento sessuale. L’intervento dello Stato per arginare questo tipo di fenomeno è basso. In tutto il paese 2,7 milioni di bambini non ricevono alcuna scolarizzazione. Il tasso di analfabetismo minorile è del 10% circa nelle zone urbane. Sale al 30% nelle zone rurali. Per quanto riguarda i conflitti voluti da bande di narcotrafficanti la situazione è la seguente: 6.000 bambini sono vincolati a una fazione o all’altra. Di questi minori il 19% ha ucciso; il 60% ha visto uccidere; il 78% ha visto cadaveri e mutilati; il 25% ha visto sequestrare; il 13% ha partecipato a sequestri; il 19% ha visto torturare; il 40% ha usato armi da fuoco. L’8,2% dei delitti al di fuori degli scontri armati, è stato commesso da minori. La terra sottratta ai campesinos serve sia a chi deve produrre coca, sia ai guerriglieri che attaccano i paramilitari e viceversa. E la spirale continua senza fine a spese di chi dovrebbe essere difeso e non lo è. I danni del “desplazamiento” sono ingenti e di diversa natura, da quelli economici, a quelli politici, a quelli sociali, a quelli psicologici, a quelli di salute. Le città, già congestionate non possono accogliere altre ondate di profughi. In alcune la popolazione è raddoppiata in pochi anni, come nel Meta, a Villavicencio, la capitale del Piano Orientale. Capitolo quinto L’Instituto de Bienestar Familiar Colombiano (IBFC): sinergie, competenze e interventi. 5.1 Dinanzi alla miseria, agli orfani, alla mancanza di protezione dei bambini, la capitale a inizio ventesimo secolo, attraverso le autorità, i medici, le dame di carità, creò una rete d’istituzioni per assisterli. Tali istituzioni erano generalmente massive, adattate in ampie case e davano assistenza, educazione, sussistenza. Le molteplici istituzioni religiose e private che esistevano con questo fine non erano sufficienti per la quantità di orfani. Dinanzi a tale evidenza la Giunta di Bogotà si vide costretta a creare nell’aprile del 1914 una sezione dipendente dal sindaco che fu detta “Oficina Municipal de Mendicidad” ed era diretta da un medico scelto dal sindaco. Quest’ufficio però non riuscì a coordinare le molteplici istituzioni private incaricate di dare assistenza; mancavano piani e progetti comuni per classificare i bisogni primari: alloggio, alimentazione, insegnamento e cure. Data la situazione, “l’Academia Pedagogica de Cundinamarca” spinse la Giunta a creare la “Sociedad Protectora de Niños” il cui principale proposito era l’unificazione dei diversi programmi per dare aiuto al minore. Nel 1968 fu creato l’Instituto del Bienestar Familiar Colombiano che dipende dal Ministero della Salud Publica. Fu riorganizzato dalla legge 7 del 1979. Suoi obiettivi primari sono l’attenzione al minore e alla famiglia. Propone e controlla progetti in due fasi: di prevenzione e di attenzione. Suoi organi direttivi sono la Giunta e il Corpo direttivo. Al suo fianco vi sono la Polizia Minorile e la Polizia Nazionale, e poi il Defensor di Familla, la Personerias Municipales, la “Comisaria permanente de familla”, il cui commissario è eletto dal sindaco. L’università dello Stato fornisce progetti per migliorare il suo funzionamento. La “Procuradoria” vigila in forma giuridica e amministrativa i suoi atti. Operatori e medici gli sono assegnati dal “Consejo Municipal o Distral”. Il Direttore dell’IBFC è membro permanente del “Consejo Nacional de Television”; inoltre la “Comision para la vigilancia de la television” è integrata permanentemente da un rappresentante dell’IBFC. Il Difensore del Popolo, organo dell’IBFC, attraverso la Defensoria Publica para niños, o il Personero Municipal per delegazione e sotto vigilanza del Difensore del popolo, avrà le seguenti funzioni: 1) Prestare attenzione alle inquietudini del minore, vegliare per i suoi diritti innanzi a qualunque violazione possibile e interporre azione di tutela o qualunque altra azione che sia pertinente. Intervenire in difesa dell’interesse del minore in qualsiasi processo giuridico o amministrativo. 2) Assicurare il consulto medico della donna in gravidanza e seguire la protezione per il futuro nascituro. 3) Analizzare i fatti occorsi, unitamente ai genitori o ai responsabili del minore di dodici anni che ha commesso un'infrazione penale e stabilire le misure preventive e educative da prendersi. 4) Agire presso le autorità competenti per ottenere l’amnistia o l’indulto dei minori svincolati dai gruppi armati. 5) Aggiornare il Servizio Nazionale IBFC in merito alla gestione realizzata in favore dei bambini. 6) Assegnare i bambini a persone che garantiscano amore quando si sia estinta questa possibilità, o a un centro di protezione integrale. 7) Sollecitare la collaborazione delle autorità competenti per assicurare l’effettività dei diritti minorili. 8) Stabilire le cause per le quali i minori non frequentano centri educativi e prendere misure per correggere la situazione. 9) Stabilire il trattamento medico, psicologico, psichiatrico o terapeutico, sia in forma ambulatoriale o d’internamento. 10) Sradicare il lavoro infantile; ottenere permessi di lavoro per i bambini nei casi autorizzati dalla legge. 11) Decretare e praticare le perquisizioni ove necessario. 12) Compiere le pratiche sollecitate dai giudici di famiglia. 13) Applicare sanzioni come dalle sue facoltà legali. 14) Conoscere i casi di reato commessi da minori, mediare, fare pesare la tutela alla persona che esercita podestà al fine di correggere il minore. 15) Rimettere il caso alla “Fiscalia” se il minore ha commesso atti delittuosi, senza pregiudicare con ciò i suoi compiti di “Consejos tutelar”. 16) Informare il Servizio Nazionale dell’IBFC delle gestioni che realizza in favore dei minori. 17) Agire in rete con le organizzazioni sociali che difendono i diritti del minore. 18) Mediare i conflitti interfamiliari e prendere immediate misure di protezione per il minore. Nello spirito dell’art. 4, legge 294/1996, tali compiti eviterebbero quei formalismi che richiedono lungo percorso giuridico. Il Giudice di Pace avrà le competenze del Difensore del Popolo e approverà con effetto vincolante le conciliazioni familiari e quanto segue: 1) Identificazione provvisoria dell’abitazione di uno dei membri della famiglia da separare. 2) Imposizione delle regole di comportamento dei membri della famiglia. 3) Fissare l’ammontare degli alimenti. 4) Stabilire le custodie dei membri della famiglia. 5) Stabilire le visite per il mantenimento dei legami familiari. 6) Stabilire le modalità per l’educazione scolastica. La “Defensoria” fa osservare che uno Stato il quale non garantisce il diritto e la giustizia, né il debito processo per i minori perché ha preferito istituzionalizzare il problema della delinquenza giovanile e criminalizzare la povertà, dove solo gli adolescenti di basse risorse sono privati della libertà come sanzione alle loro condizioni socio familiari, è uno Stato che volta le spalle all’infanzia. Il Principio di Corresponsabilità implica una filosofia per il trattamento dei problemi del minore deviante e genera un nuovo modello in cui prevalga la comprensione, l’amore e l’educazione sui classici strumenti di prevenzione e repressivi propri del diritto penale. La “Defensoria del Pueblo” ricorda agli organi di Stato che i minori devianti sono soggetti in pieno dei diritti umani. Lo Stato attraverso l'attenzione integrale deve rispondere pienamente agli obiettivi di socializzazione e rieducazione; non può continuare ad assegnare per contratto i minori "infrattori" a diverse entità religiose miste o private sotto il pretesto che esiste incapace statale di procurare quanto dovuto per diritto di Costituzione. Le istituzioni pubbliche colombiane, oltre l’IBFC, che contribuiscono alla protezione integrale del minore e della famiglia sono molteplici, forse troppe (Policia, Fiscalia, Alcaldia, Municipalidad, Personeria, Comisaria, S.I.S.B.E.N. (segreteria per la salute), Seguro Social, Instituto Medicina Legal, Ministerio Publico, Defensoria del pueblo, C.A.I.M.A. (Centro Atencion Integral al Menor Maltratado), Controlaria General de la Republica, Corporacion Reunir y Asociacion Colombiana para la defensa del menor maltratado, Ministerio de la Educacion, Consejo Tutelares, Jueces de paz, Jueces de familla. Inoltre istituzioni private controllate da IBFC, le ONG e infine il COFREM che trattiene il 4% dei salari per dare assegni familiari e dopolavoro. L’IBFC agisce come organo del Consejo Nacional de Proteccion Integral de la Niñes y de la Adolescencia. Elabora il progetto di Piano Nazionale per sottometterlo alla considerazione del Consejo. Controlla e indirizza i Municipi, tanto con riferimento alle prestazioni di servizi sociali, culturali, educativi per bambini in età prescolare, quanto all’elaborazione di piani, progetti e programmi di protezione integrale dell’infanzia. I programmi sono di prevenzione e di attuazione. Sono attuati sia in forma diretta sia attraverso la collaborazione di ONG, che possono essere interpellate dall’IBFC o possono a loro volta presentare progetti di appoggio all’IBFC. 5.2 I modelli generali d’intervento dell’IBFC, che lo stesso ente suggerisce alle ONG che collaborano, propongono tre aree d’intervento: 1) pre-abbandono 2) post-abbandono infantile 3) post-abbandono adulto. Per sradicare il problema è necessario agire su tutte e tre le aree in maniera simultanea. Questo modello presuppone uno sviluppo nel tempo, giacché si tratta di un vero processo i cui effetti devono essere progressivamente crescenti a partire dalla famiglia che produce tale anomia. Così gli interventi primari che devono influire sugli individui dalla sua età scolare, cominceranno a dare effetti quando gli alunni avranno raggiunto l’adolescenza e si saranno integrati in coppie di genitori efficienti nei loro ruoli psico-sociali che renderanno lo sviluppo dei bambini del tutto normale. Sono perciò necessari dei mutamenti trans generazionali. I modelli d’intervento richiedono un sistema di continua valutazione dei progressi ottenuti. Un intervento primario riguarda più specificamente le famiglie in crisi o in situazione caotica, abbracciando in tal modo il livello del preabbandono. L’obiettivo di tale intervento è la prevenzione, che cerca d’impedire che il funzionamento anormale dei ruoli di coppia e genitoriali rompa i legami familiari. Si tratta quindi di fare interiorizzare ai genitori una certa immagine di comportamento quando essi hanno sulle spalle il ruolo di sviluppatori dell’ego ideale del minore e della sua condotta. È naturale che, anche se si tratta di processi intrapsichici individuali, questa promozione dei ruoli psico-sociali non può effettuarsi in maniera isolata, ma in maniera di gruppo. Lo sviluppo del legame madre figlio è l’area di azione meglio conosciuta e dove più si sono tentati interventi nell’intento di normalizzare la situazione, poiché la deprivazione materna è stato uno degli elementi iniziali per la conoscenza del problema dell’abbandono. Durante il trattamento per il recupero si centra lo scopo di ottimizzare la diade madre-figlio, (matrice comportamentale e perciò duale primaria), senza disconoscere che lo sviluppo emozionale è anteriore allo sviluppo intellettuale e che la normalità della vita emozionale si assicura nella cornice della relazione materna. Il programma mira alla conservazione del vincolo così come alla sua ottimizzazione e alla sua qualità. In relazione alla crisi familiare vi sono famiglie più a rischio di altre e molto dipende dall’assunzione dei ruoli. In relazione alla comunità si deve evidenziare che certi gruppi familiari mancano d’identità comunitaria, sono disaggregati, in particolare se vivono in quartieri baraccopoli, senza obiettivi comuni che costituiscano una vera realtà comunitaria. La capacità strumentale dell’uomo e la capacità interpretativa della donna sono deficitarie, mancando le condizioni di cooperazione economica e di simultanea esclusività sessuale, (l'uomo mantiene più relazioni nello stesso tempo), evidenze che rendono la coppia instabile e con scarsa possibilità di prolungare l’unione nel tempo. Di solito queste coppie provengono da genitori a loro volta in crisi. In questi gruppi ad alto rischio vi è un’alta percentuale d’infermi mentali e di ragazzi di strada. Il caos familiare implica la distruzione della famiglia a causa della fuga di un coniuge e non permette lo sviluppo normale dei figli. Un altro intervento previsto dai modelli è la terapia del bambino abbandonato. Il suo obiettivo primario è di conseguire che il minore sia adeguatamente protetto. L’abbandono è un fenomeno bipolare poiché esistono un abbandonato e un abbandonante, il trattamento implicherebbe intervento sulla vittima e su chi la abbandona ma tale considerazione è spesso dimenticata nei programmi di riabilitazione. La povertà di funzioni parentali costituisce il nucleo intorno al quale si organizza il complesso processo di “abbandono non esplicito” del minore. In un gran numero di famiglie vi sono padri che non si comportano come tali, anche se soddisfano bisogni come l’alimentazione e l’alloggiamento. A volte essi si comportano come padri abnegati solo per soddisfare e compiacere il proprio narcisismo. Diremo che il recupero del minore va dall’integrazione della figura abbandonante alla sostituzione della funzione paternale, passando attraverso misure sociali che riducano il deficit di sviluppo psicologico. Si deve tentare in lui il cambio di norme di condotta anomale che adottò per catturare oggetti anaclitici, (originati dalle pulsioni remote) sviluppando il fattore delinquenziale come anormale funzionamento psicologico, conseguenza spesso di quel labeling fatto dalla società che non ha in sé caratteristiche riparatrici del deficit di sviluppo nei confronti dell’abbandonato. Certo è: il bambino non può abbandonare la famiglia, anche quando le condizioni familiari sono molto sfavorevoli per lui, se egli non ha raggiunto un certo grado di sviluppo che gli permetta di sopravvivere nelle pesanti condizioni della vita di vagabondo. A tal punto avrà raggiunto un certo livello di capacità psicologiche generali per adattarsi alla cultura della strada. Qualora il livello di funzionamento sia inferiore a tale capacità, sia perché il bambino è troppo piccolo o perché ritardato mentale, non sarà possibile l’adattamento alla cultura della “calle” e l’abbandono prenderà forme diverse e mortali. Il bambino lascia la famiglia principalmente quando è in pericolo la sua incolumità fisica all’interno del nucleo familiare. Quello che qualche anno fa era etichettato con la parola gaminismo ha una stretta relazione con quella che è definita “Sindrome del bambino maltrattato”. 5.3 Sono già stati considerati i livelli di preabbandono e postabbandono infantile e adulto. Tali livelli obbligano ad adoperare regole di azione più adeguate possibile alla situazione, ossia atti che in generale si mettono in opera per raggiungere un obiettivo preventivamente definito. Il buon funzionamento della famiglia, e perciò la protezione del minore, dipende dalla capacità della coppia di compiere azioni appropriate al loro ruolo sociale e giuridico. Pertanto lo sviluppo di tali ruoli consiste basicamente nel favorire i processi d’interiorizzazione di quelle immagini ideali che corrispondano a quei ruoli interni alla cultura data, così come alla facilitazione, attraverso il quadro sociale, all’espletamento del ruolo. Questo modo di raggiungere l’ottimizzazione dei ruoli psicosociali è assolutamente necessario, giacché i modi di condotta che li caratterizzano nascono da mancate condizioni oggettive, prodotte dalle distorte giustificazioni. Il nocciolo della questione sta nell’importanza dei termini economici in cui è stretta la famiglia che non riceve, né ridistribuisce le risorse della nazione e si trova quindi nell’impossibilità di ottimizzare il disimpegno dei ruoli psico-sociali e strumentali, data l’estrema povertà. Se citiamo il concetto di modernizzazione e diciamo che esso è strettamente legato al numero delle opzioni presenti nella società e sfruttabili da ogni suo membro, dobbiamo dire che nella società colombiana la modernizzazione non è neppure iniziata per la maggior parte della popolazione. La promozione ideale della coppia madre-figlio costituisce una modalità di azione capace d’influire sull’abbandono. Il buon funzionamento della diade dipende da certe caratteristiche del funzionamento della donna che in un dato momento della sua vita si trova a dover assumere il ruolo di madre. La valorizzazione dell’immagine materna ideale, l’incremento della capacità della donna per accettare i cambi emozionali che la maternità implica, il trattamento dei deficit e degli handicap che la maternità implica, ecc. costituiscono fattori determinanti per ottimizzare l’attitudine materna. Senza dubbio il fattore più importante è che il figlio sia desiderato e ciò dipende principalmente dal fatto che sia il concepimento sia la gravidanza siano accettati della madre, fatto che implica pieno controllo della femminilità e della sessualità, ciò significa il raggiungimento di una maturità adulta e il buon funzionamento psicologico. È ovvio che in qualunque circostanza l’accettazione del figlio richieda che la donna abbia opportunità di scegliere le condizioni in cui le sue relazioni sessuali sono riproduttive e non imposte con forza o per vendita. Una volta che i meccanismi difensivi dell’integrità familiare falliscono, si presenta la crisi. Qualunque sia la forma che assume, essa pone il gruppo dinanzi alla duplice alternativa: o di passare a un più stabile equilibrio, o di cadere nel caos. Non si deve scordare che esistono condizioni familiari, come infermità mentale, delinquenza, alcolismo, che riflettono la presenza di equilibri particolarmente instabili e che suggeriscono la necessità d’interventi speciali, cosa che richiede una conoscenza approfondita di tali sistemi familiari. Il nucleo familiare carente di uno dei due genitori significa, per il minore, lo stato di orfano. La supplenza familiare può essere data in forma pratica con l’adozione temporanea o definitiva, oppure con la permanenza in istituti adatti. Seguirà la restituzione della funzione psicologica del minore, poiché una disfunzione di tal genere affetta il normale sviluppo. Sarà necessaria la psicoterapia la cui diagnosi terrà conto della gravità del danno, dell’età, del livello di sviluppo, così come delle risorse disponibili e delle caratteristiche culturali del gruppo familiare, come pure del livello intellettuale ed emozionale empatico del bambino. La restituzione della funzione familiare passa attraverso fenomeni d’interazione che devono correggere il manomesso funzionalismo familiare eliminando condotta stereotipata e ripetitiva. Tra le tante azioni di supporto le ONG mettono a disposizione case di assistenza e ricovero; finanziano crediti per piccoli progetti produttivi assessorando le microimprese; promuovono la ricerca per il miglioramento delle tecniche agropastorizie; individuano gruppi di base a cui danno educazione civica partecipativa, valori culturali, cultura dello sviluppo sostenibile, programmi locali e municipali, prestazioni di servizi pubblici domiciliari; danno impulso al sistema di controllo interno degli enti governativi, ai processi di pianificazione e di gestione ambientale; prestano attenzione alla terza età e agli ammalati terminali, ai bambini portatori di AIDS. La realtà attuale necessita di persone con capacità di organizzarsi, le quali appoggino e promuovano lo sviluppo dell’identità, dell’autostima, dell’autonomia della persona e della collettività. Tali persone sono identificabili negli educatori, che possono aiutare gli alunni a raggiungere i suddetti obbiettivi, e che richiedono, in prima istanza, un lavoro in cui le persone vincolate ai processi educativi migliorino le capacità di risoluzione dei conflitti psicologici e sociali, che rinforzino le relazioni di solidarietà e di rispetto, che promuovano la partecipazione come responsabilità di primo ordine, con un auspicabile miglioramento della qualità di vita per ognuno, come compromesso collettivo per risolvere situazioni esistenziali, e nella libertà, la cui realizzazione è possibile con la conoscenza che ognuno avrà delle sue necessità e potenzialità. Capitolo sesto I risultati della ricerca qualitativa in Colombia. 6.1 Premesso che alcuni fatti sono considerati "infrattori" del codice in alcuni paesi ma non lo sono in altri, e che il termine di delinquenza minorile non ha alcuna relazione con fenomeni psicologici ma che attiene strettamente a un’entità giuridica che valuta il peso dell’infrazione, rimarchiamo che tale concetto contiene parametri arbitrari: da un lato si parla di minori "infrattori", dall’altro lato d’infrazione legale commessa dal minore. Si suppone di essere di fronte a una terminologia variabile che non tiene conto dei differenti ambiti e momenti socio culturali in cui l’infrazione viene commessa dal minore. Nella maggior parte dei casi l’atto deviante nasce nel regime della stretta necessità di sopravvivere del bambino. Le statistiche ufficiali dell’IBFC elencano che gli atti criminosi sono in realtà lo sforzo del minore di strada di sopravvivere con ogni mezzo. Perciò, quando si fa riferimento all’eliminazione della delinquenza minorile dalle strade cittadine, si deve indicare la partecipazione della società all’intera problematica del fenomeno delinquenziale, quindi di adeguata legislazione per eliminare quelle infrastrutture illegali che fanno valido l’atto deviante come mezzo di sopravvivenza: ricettatori e sfruttatori del minore. La cultura della strada offre possibilità di sopravvivenza e si fonda su una struttura economica, dove il delinquente maggiore approfitta del minore, struttura favorita dalla dinamica del gruppo, dove la coesione è la base del convivere nella strada in condizione di alta emozionalità. Le campagne fatte contro l’abbandono infantile devono generare programmi di cooperazione con le istituzioni appropriate. In Colombia vi è una necessità di riabilitazione del minore delinquente, una modalità che permetta il recupero e il reinserimento di molti giovani. È necessario che i vari Dipartimenti intervengano non solo su uno specifico problema ma simultaneamente e su differenti aree delle disfunzioni psicologiche che producono delinquenza. L’oggetto di questa ricerca è rappresentato dall’infanzia colombiana, passando per la sua condizione, l’attenzione delle varie istituzioni ai suoi problemi, i progetti messi a punto per venire in aiuto ai ragazzini colombiani. Si è cercato di ricostruire la realtà del minore disadattato, alla luce delle contraddizioni presenti nella società attraverso tre fasi: 1) la preparazione dell’inchiesta, 2) la raccolta dei dati, 3) l’analisi dei dati. Nella stesura finale è stato ricostruito il percorso della ricerca, dalla preparazione alla conclusione, precisando le linee di forza dell’inchiesta e dimostrando come esse conducano a un’interpretazione obiettiva dei risultati. Ciò ha comportato il tentativo di essere vicini alla realtà più di quanto le istituzioni colombiane permettano. Le interviste sono state fatte a operatori che lavorano giornalmente per l’infanzia colombiana. Sono state registrate a Bogotà e nell’area di Villavicencio. La durata complessiva delle registrazioni è stata di undici ore. Le interviste sono avvenute in lingua spagnola, presente un interprete che è intervenuto solo quando richiesto da una parte o dall’altra e le registrazioni sono state poi trascritte. Nelle interviste è emersa una crescente preoccupazione per il fenomeno del “desplazamiento”. La massa di bambini, circa 700.000 che vaga in cerca di una sistemazione dopo la cacciata dalle terre di origine per opera della guerriglia, preoccupa la popolazione. Il bambino di strada è una vittima della guerra e la gente spera che presto qualcuno risolva il suo problema. Dei diciotto testimoni privilegiati, undici lavorano in Villavicencio, sette a Bogotà. Di essi tre sono funzionari dell’IBFC; uno è consulente esterno dell’IBFC; quattro prestano i loro servizi presso ONG; uno è giudice minorile; due sono docenti universitari, rispettivamente di medicina familiare e di diritto canonico; uno è funzionario della Croce Rossa Internazionale; uno dirige un centro cattolico che ospita ragazzi di strada; uno è giornalista; uno è psichiatra infantile; uno è medico del Seguro Social; uno è pedagogo; uno è magistrato della Procura di Stato. Sin dall’inizio si è notato che, da un lato, i funzionari dell’IBFC ritenevano soddisfacente il comportamento del loro istituto, mentre dall’altro lato, gli specialisti delle ONG lamentavano l’insufficienza e la scarsità di mezzi dell’IBFC. Segno questo di un evidente contrasto nella valutazione delle possibilità dell’IBFC. Sia lo psichiatra sia il medico del Seguro Social hanno ritenuto insufficiente l’assistenza medica ai bambini di strada. Mentre giudice e magistrato hanno espresso parere positivo per l’applicazione del codice del minore nel rispetto dei suoi diritti. Nelle interviste è risultato che oltre la piaga della guerriglia, altre problematiche affliggono i bambini di strada: la droga, la violenza e il cattivo uso del tempo. Molti hanno riconosciuto che c’è indifferenza verso il bambino di strada. Il problema in evoluzione è il “desplazamiento”, che va a coprire quello iniziale del gaminismo. La verifica della correttezza di questo problema, scoperto in una situazione reale, è stata fatta durante le interviste. Prima delle interviste è stato esposto agli intervistati l’obbiettivo che s’intendeva realizzare. Il medico, intervistato per ultimo, è stato presente a tutte le precedenti interviste, essendo egli l’interprete designato. Le sedici domande poste ai testimoni. La prima è servita, nella maggioranza dei casi, a stabilire un primo contatto, conoscere l’intervistato, la sua professione, l’attività della sua organizzazione. La seconda tende a conoscere i progetti dell’organizzazione e quindi valutare il livello d’impegno nella problematica del minore. La terza vuole misurare l’estensione, la forza, l’organizzazione in termini di operatività dell’ente di appartenenza dell’intervistato. La quarta tende a disporre l’intervistato nell’universo problematico, enunciando la specifica conoscenza del problema e la sua opinione in merito all’IBFC. La quinta vuole appurare il merito e la considerazione delle tre distinte organizzazioni (le religiose, lo Stato e le private). La sesta ha lo scopo di verificare il grado di soddisfazione dell’intervistato nel suo campo di lavoro. La settima vuole fissare una serie di valori presenti nella società colombiana e connessi alla “salute” della famiglia. L’ottava è la chiave per la scoperta del nuovo problema connesso al "desplazamiento", problema che sta coprendo quello vecchio e insoluto del gaminismo. La nona riferita ai possibili interventi da fare prima che il minore diventi di strada, vuole verificare se le persone hanno coscienza dell’importanza del vincolo familiare e se esse sono a conoscenza di programmi d’intervento. La decima sonda se esista un vero interesse dell’IBFC verso l’infanzia di strada, essendo chiaro che i minori passati allo stadio di “desechables”, disprezzabili, da buttare, sono soggetti difficilmente recuperabili. L’undicesima sulla conoscenza delle cifre di ragazzi in abbandono tocca la sensibilità al tema della miseria che affligge un ampio strato della società. La dodicesima vuole stabilire se, nel sentito comune, il bambino di strada è generato dalla miseria o da scarsa cultura e conoscenza degli aiuti disponibili. La tredicesima vuole conoscere l’impegno dei mass media nella lotta all’abbandono. La quattordicesima tende a verificare la presenza del machismo in Colombia. In sostanza si cerca di verificare la solidità del ruolo filiare e di sposa. La quindicesima vuole verificare l’efficienza delle organizzazioni statali e se l’applicazione del codice del minore è operante, e se lo è, a quali livelli. La sedicesima misura i limiti del codice del minore, poiché oggi è in corso una sua rivisitazione. Scaturisce dal crescere del fenomeno del “desplazamiento”, poiché il codice del 1989 non poteva prevedere la fuga massiccia e continua di famiglie dalle zone di combattimento. 6.2 Analisi delle interviste. Le diciotto interviste sono state sottoposte a un’analisi del contenuto e i criteri adottati hanno fatto riferimento a quattro dimensioni di analisi: 1) La situazione dell’infanzia in Colombia. 2) Il gaminismo. 3) Le organizzazioni che curano i bambini in abbandono. 4) I progetti dell’IBFC e delle ONG. Emerge preoccupazione per l’attuale situazione di scontro tra Stato e Guerriglia. I funzionari e gli educatori sono del parere che l’aumento del numero di bambini “desplazados” faccia peggiorare la situazione, tra l’altro già pesante, dell’infanzia colombiana. Tutti sono coscienti che il denaro speso per i combattimenti, potrebbe essere impiegato per migliorare le condizioni di vita di molti bambini. Ma l’idea strisciante è che la corruzione non permetta una facile soluzione del problema. Molti riconoscono gli sforzi fatti dall’IBFC, ma nello stesso tempo sanno che i soldi stanziati per i progetti sono pochi, non bastano e che, nell’insieme, i progetti non sono integrali, ossia non accompagnano il processo di recupero dall’inizio alla fine. Un bambino tolto dalla strada, vi ritornerà in breve tempo, perché le strutture non possono sviluppare programmi che prevedano una sistemazione completa del minore. I programmi spesso s‘interrompono per esaurimento dei fondi messi a disposizione dell’IBFC o da donatori privati. Da molti intervistati è avvertito che il sistema di assistenza medica ai bambini di strada è quasi nullo e che lo Stato ha poco interesse a risolvere il problema del gamin che diviene adulto, ormai detto “spazzatura” dalla gente, in segno di disprezzo. I costi per il recupero di questi gamines sono troppo alti e pertanto la loro triste situazione passa in secondo ordine e si trascinano tra droga e alcool fino a consumare la loro esistenza. Sono molte le ONG che collaborano con l’IBFC, e che da questo istituto ricevono stanziamenti dopo l’accettazione dei loro programmi, ma quelle che meglio funzionano sono le religiose, poiché riescono ad ottenere ingenti donazioni da privati esteri. Molti intervistati hanno lamentato che non vi è sufficiente assistenza per le ragazze che restano incinte e che non vi è interesse a fermare la prostituzione giovanile. 6.2.1 La situazione dell’infanzia in Colombia. La Colombia ha circa 30.000 persone che abitano la strada. 12.000 sono bambini. La problematica del bambino di strada non è tutta uguale. Ci sono differenti tipologie di bambini in stato di abbandono con identificazione di stato e di ruolo. La capacità di rispondere in pieno alle problematiche dei bambini da parte dello stato è limitata. Alcuni intervistati segnalano come il problema sia molto grave (Intervista n. 2). Negli ultimi anni però l’attenzione delle istituzioni governative ai bambini pare aumentata (Intervista n. 18). I minori oggetto di attenzione da parte di enti statali e privati sono ad alto rischio, provenienti da famiglie disgregate o disperse per cause e fenomeni molteplici, che si vanno via via presentando e sommando nella struttura sociale, aggravando la situazione e i carichi di lavoro e d’impegno dell’IBFC e delle ONG. La problematica del bambino è multiforme e va affrontata nella sua globalità, pertanto è difficile da definire entro modelli obsoleti. Servono nuovi paradigmi che raccolgano in un unico schema la multifattorialità delle variabili che intervengono in un fenomeno tanto complesso quanto quello della società e della famiglia colombiana. Se da una parte nella società vi è una perdita di valori, dall’altra un certo numero di bambini smarrisce le norme di convivenza, solidarietà, riflessione. Le norme, dice un testimone privilegiato, devono essere interiorizzate dal minore con dinamiche graduali (Intervista n. 1). L’infanzia che fugge da casa è oggetto di violenza, abuso sessuale, abbandono, mancanza di affetto. A questo il bambino preferisce la vita di strada. Il maltrattamento è una diretta conseguenza della violenza interfamiliare, scaturita da ignoranza e difficoltà economiche che affliggono la famiglia. Il maltrattamento avviene anche fuori della casa: nel vicinato, nel gruppo dei pari, nella scuola. Molti degli intervistati sono coscienti che vi sono in Colombia 6.000.000 di bambini in povertà e che gli indigenti tra i cinque e i quattordici anni sono aumentati nel 1999 del 30%. Nella strada i bambini trovano qualcosa da mangiare, incontrano una sorta di protezione dal maltrattamento familiare. Nella strada i bambini perdono la maniera di utilizzo del tempo sociale. Quelli tra essi che preferiscono non fare più ritorno alle famiglie, accettano la strada e tutto ciò che essa offre. Quelli che vorrebbero cambiare vita e trovare nella loro famiglia un diverso ambiente, non possono che subire la miseria che avvolge la famiglia cui appartengono. I più hanno riferito che il bambino vuole cambiare, ma in famiglia le cose vanno molto male (Intervista n. 1). Altre volte non è una scelta del bambino quella di andare verso la strada, ma è la famiglia che ve lo scaccia. Nello stato è stata creata la “Rete di promozione al buon trattamento” che interviene per fermare il maltrattamento. Gli operatori, sia dell’IBFC sia delle ONG, intervistati sanno che si sta lavorando molto per il maltrattamento (Intervista n. 4). In certe famiglie si continua a educare con il vecchio metodo, quello delle botte, ed è opinione diffuse tra gli intervistati che ciò che i genitori appresero dai loro padri, danno. (Intervista n. 5). I genitori non si rendono conto di fare violenza ai figli se hanno confusione sul metodo educativo e correttivo. I medici intervistati hanno dichiarato che arrivano al pronto soccorso bambini con fratture, bruciature, anche dopo alcuni giorni dal trauma, e i genitori non si rendono conto (Intervista n. 6). In genere il castigo materiale è inflitto dal patrigno, mentre la madre usa il castigo psicologico, che va a ledere l’autostima del bambino. Infine i minori stessi attribuiscono alle botte un significato educativo, usato nei loro confronti, perché anch’essi non hanno visti adoperati altri metodi. I bambini vedono la realtà in modo differente dagli adulti. Per loro il castigo dei genitori è accettato in una logica preinteriorizzata e si danno una ragione del castigo. Altro motivo che spinge il bambino a scappare verso la strada è spesso l’instabilità familiare, dovuta alle relazioni della madre con altri uomini dopo il fallimento della prima unione e la figura del patrigno è determinante nel maltrattamento. Questi non accetterà facilmente i figli della nuova donna e le femmine specialmente sono a rischio di violenza carnale. Quello che interessa il bambino è l’amore. (“Una casa fatta con il fango e il cartone è un’oscenità per noi, ma per un bambino la cui famiglia non possiede altro, quella capanna è la sua casa e lì si sente protetto”- Intervista n. 15). C’è un altro problema, i figli dei carcerati. Questi bambini spesso non hanno alcuna assistenza se non quella della loro madre. Mancando il sostegno paterno, il bambino finirà per una via o per un’altra al “baliato” stradale, dovendo la madre andare a trovare un mezzo di sopravvivenza, qualunque esso sia. Alcuni intervistati hanno detto che i bambini presi in consegna dall’IBFC, dopo poco scappano, trovando essi repressivi i metodi dell’istituto (Intervista n. 15). Questi bambini finiscono spesso nel giro della prostituzione infantile. Molti dei bambini ammazzati da serial killer sono in prostituzione. Il bambino abbandonato perché il padre è in prigione, apprenderà che una regola di sopravvivenza è la delinquenza. Le necessità basiche, per molti bambini, non sono soddisfatte, molti mangiano una sola volta il giorno, vanno senza scarpe a scuola e dopo alcuni giorni lasciano le aule per motivi d’indigenza familiare. Il bambino di strada, mancandogli tranquillità ed equilibrio, deforma il suo modo di pensare e di agire coerentemente, diviene portatore di patologie e manifesta stati mentali confusi e aggravati dalle pessime droghe che inala e che bruciano i neuroni, come il collante boxer. La “stradizzazione del bambino” prende quindi avvio, in maggioranza, nelle famiglie. La fuga di un bambino non è subito denunciata alle autorità. Gli avvocati dell’IBFC hanno fatto notare che dopo un anno che mancano da casa sono dati per morti dai genitori (Intervista n. 5). L’epilessia è alta tra i bambini. L’attenzione alla salute mentale è scarsa, come emerge dalle preoccupazioni dello psichiatra intervistato (Intervista n. 16). Un rischio è la mancanza di affetto, che genera depressione e da questa all’esclusione il passo è breve. La speranza è la scuola, che può identificare la depressione del bambino è curarla. I figli dei trafficanti di droga sono ad altissimo rischio. (“I narcos sono psicopatici, i loro figli, in maggioranza, saranno trafficanti di droga, per eredità” - Intervista n. 16). La scuola, non preparata strutturalmente a tenere quei ragazzi che mostrano particolari problematiche, allontana i bambini ed è anch’essa iniziatrice del suddetto fenomeno. Gli operatori che lavorano con le ONG hanno dichiarato che la scuola non capisce le loro crisi emozionali (Intervista n.1). Il governo chiude le scuole e vuole mutare l’aspetto educativo senza rendersi conto che fare cambi di progetti educativi in un momento come questo è un rischio. Alcuni hanno dichiarato che poco interessa l’educazione dei bambini (Intervista n.4). La televisione ha sostituito la madre in molte famiglie e i bambini sono lasciati da soli innanzi allo schermo e gli educatori pensano che non possa capire quali valori prendere dal televisore (Intervista n. 4). I figli sono lasciati alla strada perché manca tempo per l’affettività e l’educazione. Tre milioni di bambini non ricevono scolarizzazione. Le scuole non preparano i bambini nella conoscenza dei loro diritti. E intervistati lamentano che manca l’informazione (Intervista n. 9). La scuola costituisce l’unica struttura che pone attenzione a certi fatti. Spesso è il maestro ad accorgersi che un bambino è malato, o che ha subito un abuso sessuale (Intervista n. 9). In molte famiglie si dà massima libertà al figlio, limitando quella della figlia. Quest’atteggiamento distorce l’apprendimento di modelli di parità necessari in una società moderna. In diversi hanno sostenuto che il bambino è cresciuto per un ruolo puramente strumentale, quello di fare soldi (Intervista n. 6). Il "machismo" è passato al figlio maschio: egli può fare tutto, ma la sorella no. La strada è ridondante di rischi per un ragazzino che spesso deve cercarsi un gruppo di pari in cui trovare, inevitabilmente, protezione e sottomissione al capo e sfruttamento. Di sera, e più di notte, la strada e i rischi avvolgono il bambino. Il bambino della strada ha rotto i legami familiari e sa che la strada gli offre di più. Se si provocano ferite, se si ammala, la cura dl ragazzo di strada dipenderà unicamente dal buon cuore del medico dell’ospedale, nella gran parte dei casi. È stato rilevato che un gamin pugnalato non è accolto in ospedale (Intervista n.1). I bambini che, una volta dichiarati in stato di abbandono, possono essere adottati, sono presi in protezione dall’IBFC che assegna loro una famiglia temporanea, detta sostituta, in attesa di quella definitiva. I diritti del bambino affidato sono controllati periodicamente da personale dell’IBFC. La sensibilità verso il bambino della strada è bassa. Spesso gli intervistati hanno marcato che la gente detesta il bambino della strada (Intervista n. 4). Pare che le persone siano assuefatte a vedere la stessa scena, ogni giorno, di bambini buttati sui marciapiedi o a chiedere elemosina. La sensibilità, se c’è, procede tra contraddizioni. Inoltre, la guerriglia provoca il fenomeno del “desplazamiento”, un esodo massiccio e violento verso le città, ovviamente verso una vita di miseria giacché le città non sono mai state preparate ad accogliere, in emergenza, tanta gente. Tutti conoscono il numero, 1.200.000, di fuggitivi, e sanno che di essi 700.000 sono bambini. Molti bambini sono allontanati da casa per evitarne il reclutamento coatto nella guerriglia. È stato detto che la paura dei sequestri di massa, pesca miracolosa-, fa sì che i genitori allontanino i figli verso altre città (Intervista n. 7). È inevitabile che in uno scontro armato i primi a essere colpiti siano i bambini. I testimoni intervistati sanno che la guerriglia attacca anche la popolazione (Intervista n. 10). I bambini, di una fazione o dell’altra, vengono raccolti nelle zone di conflitto dalla Croce Rossa e portati via per il soccorso. Nella nuova miseria i figli sono sfruttati dai genitori per aiutare il misero bilancio e saranno mandati a vendere nelle strade qualunque cosa o a elemosinare. (“E il bambino messo di fronte alle responsabilità, vorrà avere voce in famiglia, perché produce soldi in qualche modo”- Intervista n. 1). Poco è dato ai bambini che giungono dalle zone di conflitto e ciò è più chiaro soprattutto tra gli intervistati che non appartengono all’IBFC (Intervista n. 4). Tutti gli intervistati hanno lamentato che molti bambini sono presi dai gruppi irregolari (Intervista n. 7). Circa 4000 sono stati reclutati in modo coatto negli ultimi quattro anni. Si parla di 400-500 sequestrati l’anno per la guerra allo stato. I bambini che vanno volontariamente alla guerra sono quelli i cui genitori sono stati minacciati di morte dai gruppi fuorilegge in guerra. In nessun conflitto si sono impiegati tanti bambini quanto in Colombia, perché il conflitto è esteso e subdolo, impastato com’è, da trenta anni, con moventi politici, privati, criminali cui non sono estranei gli interessi internazionali. Una ragazza madre che si fa cogliere in flagranza di reato, superato un certo valore di oggetti rubati, è mandata presso un centro riabilitativo. Non può tenere con sé, nel centro, il figlioletto. Chiarisce un testimone: L’istituto non è adatto per la crescita del bambino (Intervista n. 5). Il figlioletto sarà preso in cura dall’IBFC. Neonati senza diritto a un nome ve ne sono. Se il “padre” nega al nascituro il diritto del nome, o nega il sostegno, dovrà essere la ragazza a sporgere denuncia presso il CAIMA o presso la Defensoria del Pueblo, per l’avvio del procedimento civile e penale. Ma spesso il padre non ha nulla da dare, solo il nome. Succede che ragazze madri attendano molti mesi prima di registrare la nascita, in attesa che il padre si decida ad assegnare il nome. Nel piccolo intento di evitare al bambino la vergogna di avere un solo cognome, quello materno, si cade nell’altro errore di non assegnarglielo affatto. Le ragazze che restano incinte e si presentano presso centri convenzionati, come le ONG, per avere orientazione sul parto o sulla rinuncia al figlio, sono di classe bassa in maggioranza, come dichiarano alcuni medici (Intervista n. 11). La loro gravidanza è spesso involontaria, per mancanza di educazione sessuale e di affetto. Si tenta, con le ONG che assistono le gravide, di evitare che facciano aborto. Le cifre, non ufficiali, di aborto clandestino sono di circa 500.000. Quelle violentate hanno subito il sopruso dai patrigni o dai vicini di casa. La preoccupazione delle ONG è di non sapere casa farà la ragazza rimasta incinta una volta che sarà uscita dal centro, dopo una visita medica o un suggerimento. Dovrà affrontare, da sola, la famiglia, che spesso la scaccia; la scuola, che spesso la scaccia; le amiche, che spesso la scacciano. La ragazza avrà poche scelte e pochissimo appoggio dalle istituzioni. Nella capitale vi è un solo istituto religioso che accoglie ragazze partorienti. Neppure l’aborto per violenza carnale è ammesso. Chi ci rimette è la ragazza di strato basso. La ragazza di buona famiglia, che casualmente restasse incinta, ha altre vie per praticare l’aborto. Miami è a quattro ore di volo. La prostituzione minorile non viene osteggiata con determinazione dalle autorità competenti. È stato dichiarato da alcuni intervistati che un pubblico funzionario che volesse affrontare questo problema avrebbe serie noie (Intervista n. 3). Mancano quelle istituzioni che aiutino la ragazza in prostituzione. Non ci sono programmi per trattare i casi di prostituzione. Nel frattempo che la ragazza incontri un qualunque centro sociale che la aiuti, continuerà a prostituirsi. La prostituzione affligge la Colombia. Molti intervistati hanno detto che il fatto grave è l’assenza dello stato che non raccoglie i bambini in prostituzione (Intervista n. 9). Manca, è stato detto, una responsabilità collettiva che impieghi sinergicamente gli enti e i ministeri e mancano fondi. L’abuso sessuale, se avvenuto in famiglia, difficilmente è denunciato. Gli intervistati sono concordi quando affermano che è denunciato solo se la ragazza ha rotto con la famiglia (Intervista n. 4). L’abuso è presente in tutte le classi sociali, ma il maggior numero di denunce è esposto dalla classe bassa. Si nota che la classe più irresponsabile è quella medio alta, perché i genitori non si presentano, per vergogna, all’IBFC o al CAIMA. Il fatto che sia la classe bassa a fare più denunce, significa che l’unico modo che la donna appartenente a tale classe conosce, per punire l’uomo, è la denuncia alle autorità. A ciò si deve aggiungere che una ragazza violentata che si presenti alle competenti autorità, non è ricevuta con discrezione, né le si offre aiuto psicologico, dovendo raccontare più volte, a diverse persone, l’accaduto e a richiesta mostrare le prove della violenza subita. Viene detto dagli intervistati che l’abuso è un problema primariamente culturale (Intervista n. 12). Si pensa che i bambini non siano importanti e di loro si fa ciò che si vuole. La ragazza che pratica l’aborto si caricherà inevitabilmente di risentimento verso la società. È facile passare da un aborto, a un secondo e alla prostituzione infantile, facili prede di persone senza scrupoli e che rischiano poco o nulla. I medici intervistati hanno dichiarato che secondo il dipartimento di medicina legale, le lesioni subite da bambini sono al primo posto come causa d’infortunio, data l’assenza dei genitori in casa. Spesso i bambini ricevono violenza interfamigliare (Intervista n. 14). Tutti gli intervistati sanno che molti bambini sono nel narcotraffico e sono preoccupati per il futuro (Intervista n. 4). Il denaro, quello buono, ha molto valore. I messaggi televisivi che propongono tutto per tutti, creano false attese e inducono bisogni in modo distorto in una società che ha che fare con gravi problemi politici, sociali, economici, educativi e dove ogni mattina la prima cosa da tenere d’occhio è il valore del dollaro e la svalutazione del peso. Le famiglie di bambini portatori di handicap possono ricevere un sussidio, ma sarà il difensore di famiglia ad assegnare il sussidio e sarà lui a sorvegliare che la famiglia usi il denaro per le cure e le protesi. È stato fatto notare che se la madre usa il denaro per altri scopi, il bambino è cancellato dal “programma di vincolamento” (Intervista n. 5). L’assistenza medica per i bambini poveri è scadente. La gran parte degli intervistati sa che se un bambino richiede medicinali e la famiglia non ha soldi, il bambino muore (Intervista n. 6). La delinquenza comune, sapendo che il minore è protetto dal Codice del Minore, assume ragazzi per commettere omicidi. Il sicariato infantile sta prendendo piede nelle grandi città. Alcuni intervistati hanno fatto notare che i criminali abusano di questa tolleranza, a danno dei bambini (Intervista n. 7). I bambini delle comunità indigene hanno problematiche diverse. Nella foresta e nelle riserve vigono altre regole. Ci sono leggi speciali che tengono conto delle tradizioni e dei riti delle varie tribù. Ogni tribù ha le sue leggi. Eppure sono bambini colombiani anch’essi a rischio. Mancano fondi per la loro educazione. La cura dei loro malanni è affidata allo sciamano. La scolarizzazione a insegnanti indigeni, ma dentro le loro comunità. Le scuole fatte in passato, in prossimità di alcune comunità, sono state chiuse o sono state assalite dalla guerriglia. Il bambino indigeno malato mentale ha qualcosa di magico e viene aiutato nella tribù. Il bambino cui si deve amputare una gamba o un braccio, è abbandonato e cacciato dal gruppo. In alcune tribù, se nascono due gemelli, uno solo sopravvive. Il futuro non è certo. Tutti gli intervistati sono coscienti della situazione di pericolo (Intervista n. 7). Quelli che ne usciranno avranno solo imparato violenza e non avranno avuto infanzia. Si nega il diritto all’infanzia di essere vera infanzia, ma s’insegna l’uso delle armi. Nascono più femmine. La mortalità maschile è molto alta. Nella classe alta, la natalità è bassa. Le donne del ceto basso fanno molti figli per sentirsi protette, per vincolare i loro uomini alla casa. Alla Colombia mancheranno molti uomini nella prossima generazione. Aumentano le domande di ragazzi che chiedono di entrare nei seminari. Si è creato un senso d’incertezza. Le differenti forme d’indigenza sono parte di una sintomatologia della crisi che cresce. Il problema riguarda in particolare i bambini che, nella miseria, faranno delle alternative della strada il loro stile di vita. Gli intervistati sanno che molti bambini sono disorientati (Intervista n. 13), che la società tende a stigmatizzare. Tende all’intolleranza e produce comportamenti erronei che fanno mancare una sana competitività tra i giovani. (Intervista n. 13). Il bambino si sta abituando a vivere con la violenza. E ciò è molto grave. 6.2.2 Il gaminismo. Fino a qualche anno fa i bambini, figli della strada, erano identificati con la parola “gamin”. Per evitare il labeling, le istituzioni colombiane si sono adoperate in ogni senso per cancellare dai testi la parola “gamin”, chiamando “bambini di strada” quei minori che hanno rotto ogni vincolo familiare e permangono notte e giorno nella strada; e chiamando “bambini nella strada” i minori che, in qualche modo, mantengono contatti familiari. (Intervista n. 1). L’ingiustizia sociale è una delle cause che produce il bambino della strada. Questa realtà è chiara a tutti gli intervistati (Intervista n. 18). In effetti è un problema strutturale che riguarda tutta la società colombiana e non può essere ascritto alle sole istituzioni dello stato. La mancanza di lavoro, di una solida figura paterna, spinge la famiglia ad abbandonare il bambino, che dovrà andare in cerca di cibo all’esterno dell'abitazione, sia questa una capanna, un "ranchito", o una casupola. Fame, maltrattamento e sfruttamento, le tre cause apparenti che spingono il bambino verso la strada. Ve ne sono molte altre, radicate nel tessuto sociale, a tutti i livelli. Gli operatori intervistati hanno detto che nella cultura di strada il bambino non si sentirà un oppresso (Intervista n. 18). Motivi socioeconomici, giuridici, politici, morali, etici sono causa dei bambini di strada. L’indifferenza degli altri stati è causa dei bambini di strada. La mancata campagna di sensibilizzazione dei mass media, per questo fenomeno, è anch’essa causa del bambino di strada (Intervista n. 12). I bambini di strada si riuniscono e si ritrovano nella “gallada”, conservando un pur rudimentale bisogno di organizzazione e protezione, un bisogno di comunione e di legge. Nella “gallada”, nella sua comunione normativa, si divide tutto: il cibo, il rottame di auto in cui ci si ripara per la notte, il collante, il maledetto boxer, con cui si drogano, o il "bazuco", peggiore del "boxer", e infine i tiri dei loro assassini. Il significato che il bambino dà alla strada è molto importante per lui. Gli intervistati hanno dichiarato che nella strada il bambino si sente sicuro (Intervista n.6). I ragazzi della “gallada” difficilmente escono dal gruppo, un gruppo composto di ragazzi di tenera età fino ai venti anni. I bambini di strada che, miracolosamente, raggiungono l’età adulta, superando malattie, droga, fame, verranno poi detti, dalla popolazione, “desechables”, rifiuti, spazzatura. Loro non hanno speranza. Alla fine saranno eliminati dalla “limpieza”. Gli operatori delle ONG si sono mostrati molto preoccupati per le uccisioni che ci sono state (Intervista n. 1). Il numero dei “desechables” non è noto. Molti intervistati si sono detti convinti che essi non sono oggetto dell’interesse dello Stato. Ci sono problemi più grandi: la guerriglia, il narcotraffico, la corruzione politica. Molti credono che un bambino vittima di violenza, povertà, sentimento di perdita e frustrazione, se esce dalla famiglia e viene assorbito dalla strada, si salverà (Intervista n. 1). Nell’origine del popolatore della strada c’è al primo posto la crisi della famiglia, poi la crisi sociale e culturale, poi quella politica economica. Della fuga verso la strada è responsabile la violenza interfamiliare, il “padrastrismo”, le unioni successive e ripetitive della ragazza madre e della moglie abbandonata. Ci sono poi l’indifferenza e la paura del ragazzo di strada. Nessuna assistenza medica per il ragazzo di strada, nessun programma perché costano troppo. È troppo tardi per qualsiasi intervento delle istituzioni. L’aiuto, quel poco che viene elargito ai ragazzi di strada, ai “desechables”, è dato da ONG private, sovvenzionate da stranieri, che offrono il minimo, un pasto e una doccia a quelli tra loro che hanno il coraggio o la lucidità di entrare in un’organizzazione senza fine di lucro, per un’ora, non di più. Poi di nuovo nella strada. Quando c’è pericolo di vita per un bambino di strada, l’ospedale deve dare soccorso, ma gli intervistati sanno che l’ospedale interviene solo in casi gravi (Intervista n. 17). Chi non è grave viene mandato via, perché non è “carnetizzato”, non ha tessera sanitaria. La privatizzazione del servizio sanitario, la scomparsa del medico di famiglia, l’alto costo dei medicinali, fanno sì che per un bambino curarsi sia una faccenda complicata, un diritto cui rinunciare. Tutti gli intervistati sanno che la “bazuchizzazione” è dilagante. Il "bazuco" è lo scarto della lavorazione della coca, costa poco, si trova facilmente e stende subito. Uccide in breve. Il “desechable”, ragazzo di strada, oggi più di ieri solo, non ha più nemmeno il cane, il vecchio cane con cui veniva in passato ritratto. Oggi, con sé, ha il "bazuco", preferibile al cane perché non passa le pulci e brucia il cervello in fretta. Il “desechable” non s’incontra nella banda, nella “gallada” o nella “pandilla”. È solo. Muore da solo (Intervista n.1). La sua vita si è accorciata. La mano nera gli dà la caccia. La sua presenza non è gradita. La violenza armata nelle zone di conflitto provoca la fuga verso le città, verso la miseria. I bambini giunti in città hanno scarsa assistenza dalle istituzioni, quelli che possono vanno ai lavori informali, quelli meno fortunati andranno verso i cinturoni di miseria; tra questi, i più bravi nel sicariato, nel narcotraffico, nella prostituzione. I meno bravi nella disperazione. La sensibilità verso i ragazzi di strada è bassa. Molti degli intervistati hanno detto che manca la coscienza sociale (Intervista n.15). Si è fatta l’abitudine a vederli per la strada. Hanno altresì dichiarato che il fattore economico ha il suo peso. La stabilità della famiglia è aggredita dall’incertezza, dalla precarietà, dalla sfiducia. La famiglia castiga e abbandona il figlio, sapendo che è sola e non riceverà aiuto da nessuno (Intervista n. 3). Per le ragazze in abbandono totale è stata creata da qualche anno, una struttura di aiuto, un’ONG, il CAIMA, che, come centro di attenzione al minore abusato, dà assistenza come può. I soldi che riceve sono pochi e i suoi sforzi a volte sono vani. Le ragazze violentate possono, se ne trovano il coraggio, rivolgersi al CAIMA. Le ragazze in prostituzione sono nel girone più basso. Se si rivolgono al CAIMA vengono picchiate nel migliore dei casi. Non esistono istituzioni per il ricovero di tali ragazze. Non c’è una legge protettiva per loro. Le ragazze in prostituzione non sono attenzione dello stato, come i ragazzi della strada. "Bazuco" e SIDA (AIDS) sono le vie di uscita. Non un solo soldo viene stanziato per loro. Gli unici interventi di aiuto sono dati da qualche sporadica ONG religiosa. Tutti gli intervistati sono concordi nell’affermare che la guerriglia sta provocando ogni giorno più “desplazados”. Che aumentano i miserabili e le ragazze in prostituzione perché non ci sono soldi per programmi imponenti. Che lo stato non si è preparato a questa logica di guerra (Intervista n. 4). Che i bambini di strada malati, senza soldi per le loro medicine, hanno scarsa assistenza. Che molti bambini di strada, raccolti dalla strada da ONG, non accettano le norme che regolano la vita nell’ONG e preferiscono riscappare alla strada, dove si sentono più liberi. Passare al furto, al piccolo crimine quotidiano, diviene una vera alternativa per la vita, in una società che ignora il bambino di strada e ne sente repulsione (Intervista n. 13). Di certo il numero dei bambini di strada è in aumento in seguito al concatenamento di molti eventi: la guerra dei narcotrafficanti e della Farc, la disoccupazione, la fuga dalle terre, la disorganizzazione nel distribuire gli aiuti dello stato, l’emarginazione ogni giorno più marcata di alcune fasce sociali. La rabbia, la delusione, l’esclusione, la povertà, sono tutti elementi di una miscela che porta il ragazzo al bordo della società e lo spinge nel pozzo senza ritorno dell’abbandono alla strada, o di attività illecite (Intervista n. 13). Molti intervistati si sono detti convinti che la crisi della famiglia è anch’essa causa dell’abbandono alla strada del bambino (Intervista n. 13). Crisi educativa, crisi ideologica, crisi morale, si fondono, lievitano nella crisi economico-politica che la Colombia sta vivendo da anni. Molte famiglie, per sopravvivere, sono costrette a mandare i figli ai semafori, per vendere qualunque cosa. Spesso, il mattino, i bambini prendono da certe persone cassette con caramelle e dolci. A sera riportano la cassetta, mancante di quello che hanno venduto, e ricevono un compenso. Capita pure che il bambino non sappia resistere, durante la lunga giornata del venditore, alla tentazione di un dolcetto, e giunta la sera, il compenso per ciò che ha venduto non basti a pagare ciò che il bambino stesso ha preso dalla cassetta, per lui, per la sua fame. L’immigrazione verso le città è motivo di crisi. Le famiglie finiscono nei cinturoni di miseria, ai margini delle città, o lungo i fiumi che attraversano la città, in condizioni di alto rischio per la salute. Là i figli sono abbandonati. Alcuni intervistati sono convinti che il gaminismo non nasce con la città, che sia un fenomeno importato (Intervista n. 16). Vengono riversati bambini della strada tolti alle grosse città con i camion, per “ripulire la facciata”. I rapporti familiari, a causa della situazione economica, spesso non sono dei migliori. Ci va di mezzo il bambino che avrà scarso rendimento a scuola. Le madri, depresse, non hanno comprensione per i figli. Alla fine verranno a trovarsi nella condizione di non volere più andare alle lezioni e finiranno nella strada, dove troveranno l’appoggio della banda. Molti sono convinti che il consumo di droga inizi nella banda (Intervista n. 16). L’adozione di un “bambino di strada”, a differenza di un “bambino nella strada” è molto complicata. La problematicità è alta. Il bambino, per essere adottabile, deve essere dichiarato in stato di abbandono dall’IBFC e deve essere internato. Molti sono certi che egli non accetta le regole dell’IBFC Per arrivare a ciò deve essere rieducato, ma mancano tempo e soldi per fare ciò che sarebbe giusto fare e il risultato è che il bambino della strada resta dove si trova: nella strada (Intervista n. 16). Le istituzioni intervengono in modo destrutturato, incapacitate dal loro stesso crescere e moltiplicarsi che, in qualche modo, compromette la buona volontà e la capacità dei tecnici. Alcuni intervistati sono certi che esiste un’atomizzazione dei livelli istituzionali che peggiora gli interventi (Intervista n. 13). Tutti gli intervistati hanno dichiarato che il lavoro sociale con il bambino della strada è molto più difficile che con l’altro bambino, detto: nella strada. Il recupero di un bambino rovinato dal "bazuco" ha alti costi per i servizi sociali. Pertanto questi bambini sono lasciati al loro destino (Intervista n. 13). Ma il bambino della strada non è uno psicopatico. Non è un delinquente nato. È il risultato degli errori dell’intera società. Su di lui si dovrebbe intervenire prima possibile. Gli intervistati hanno mostrato di sapere che l’assenza del padre e della madre, le difficoltà nello studio, il bassissimo reddito dei genitori, si accompagnano ad altre difficoltà, per cui i bambini vanno a vivere nelle “galladas”, rubano, si prostituiscono, consumano e spacciano droga. Che la delinquenza è il comportamento di chi si ribella alla legge stabilita dalla società e che il ragazzo di strada è stato sputato fuori dalla società e dalle sue norme. 6.2.3 Gli enti d’intervento. Gli intervistati sono coscienti che le istituzioni, governative e non, sono individuate in tre grandi aree: La Defensoria del Pueblo, l’IBFC, (Istituto Bienestar familiar colombiano), le ONG, (Organizzazioni non Governative). Come pure sanno che l’IBFC ha il compito di proteggere il bambino e la famiglia, essendo l’organismo principale del sistema nazionale di benestare familiare e che esso, a livello nazionale, prende contatto con le varie ONG che danno attenzione all’infanzia (Intervista n.1). L’IBFC riceve risorse dal Ministero della Salute e paga le ONG per i loro servizi. I bambini in grave stato di necessità vengono raccolti dall’IBFC che dà loro assistenza e provvede per l’adozione se vi sono i presupposti dell’abbandono definitivo. Tutti sono concordi nell’armare che il personale è volenteroso, ma mal retribuito. Come pure che tra le ONG vi sono gli istituti religiosi, in genere più organizzati e più ricchi di mezzi (Intervista n. 1). Gli intervistati hanno fanno notare che in genere i programmi sono abbastanza buoni, come, ad esempio, quello del CAIMA, per l’assistenza alle ragazze violentate (Intervista n. 3) e il programma pilota per il recupero di ragazzi che hanno violato la legge, detto Progetto Pilota (Intervista n.2). L’IBFC agisce in due campi: prevenzione e protezioneassistenziale a vari livelli, (alimentari, di salute, educativi, di sostegno, legali, di recupero di minori). L’istituto è solo coordinatore, non esecutore dei programmi. Di sua competenza sono le adozioni. Interagisce con altre istituzioni dello stato per la protezione e il rispetto dei diritti del minore, ma affida all’esterno lo sviluppo dei programmi d’intervento, i quali saranno poi vagliati da un Coordinamento inter-istituzionale. Quasi tutti gli intervistati hanno lamentato scarsità di sovvenzioni da parte dello Stato (Intervista n. 6). L’IBFC s’incarica di trovare le cosiddette “famiglie amiche” e “famiglie sostitutive” che affiancano le ONG nell’assistenza ai bambini in stato di abbandono. In genere i bambini che sono candidati all’adozione transitano attraverso le “famiglie sostitutive”, che spesso si affezionano al bambino e ne chiedono l’adozione definitiva. A tal punto non riceveranno più alcun sussidio dall’IBFC. Prima dell’affido l’istituto tenta con avvisi radio e stampa di rintracciare il genitore scomparso. L’IBFC provvede anche al primo aiuto per i “desplazados”, dando un sussidio di circa 300.000 pesos mensili, a famiglia, per alcuni mesi e a detta degli intervistati non governativi, tale sussidio è insufficiente (Intervista n. 10). L’IBFC ha nella sua struttura la figura del giudice di famiglia, il cui compito è principalmente quello di proteggere il minore che ha commesso infrazioni. Una critica mossa da molti intervistati e che l’IBFC non dà attenzione ai ragazzi detti di strada (Intervista n. 3), né alle bambine in prostituzione (Intervista n.4). Manca all’IBFC la capacità di completare i programmi, ossia di fare in modo che essi siano davvero integrali. (Intervista n. 2). Lamento generale è la mancanza di fondi, che è uno dei più gravi handicap del completamento dei programmi (Intervista n. 4). Altro lamento è che gli assistenti sociali non sono in numero sufficiente per verificare che il reinserimento di un minore rilasciato da un “centro di attenzione” veramente si concretizzi. Altra critica è la scarsa attenzione data a bambini figli di persone in carcere. Questi bambini avvertono principalmente come repressive le misure adottate dall’IBFC nei loro confronti (Intervista n. 15). Come pure la scarsa attenzione dell’IBFC sia nella prevenzione sia nell’assistenza verso bambini che presentano forme di patologia mentale (Intervista n. 16). Spesso è lasciato ai maestri il riconoscimento della malattia mentale e chiaramente, a quel punto, sarà tardi. La privatizzazione del servizio medico non aiuta l’infanzia povera. In molti sono convinti che la recente nascita dell’ONG CAIMA permetta un migliore approccio alla problematica della ragazza che ha subito violenza sessuale ed è segno di una maggiore sensibilità dell’istituzione verso queste ragazzine, che non sono costrette, come prima, a raccontare la loro esperienza, a poliziotti (Intervista n. 9). Le ONG lavorano sulla prevenzione, protezione, recupero. In genere conseguono risultati migliori dell’IBFC (Ciò è confermato in molte interviste, in particolare nella n. 1) In generale gli intervistati credono corretto il controllo e il rendiconto delle ONG all’IBFC. Ogni ONG è specializzata in un certo campo e nasce e si sviluppa se ha una buona équipe tecnica. Ricevono sovvenzioni dall’IBFC o da organizzazioni private. La loro nascita e la vita sono strettamente legate alla bontà dei progetti che, una volta accettati dall’IBFC, permetteranno l’assegnazione di fondi statali e il lavoro delle ONG. La gravità della situazione odierna rende insufficiente il numero di ONG che accolgono bambini (Intervista n. 14). Altro punto debole è che i progetti ONG approvati dall’IBFC, hanno una durata breve, sei mesi mediamente (Intervista n. 15). E sei mesi non sono sufficienti per completare il recupero o la socializzazione del bambino. Questo è uno dei motivi che impedisce l’attenzione verso il bambino della strada, già "bazuchizzato". Molti pensano che un esito armonico nell’attuazione dei progetti si possa avere, per esempio, con la vigilanza di un procuratore sui programmi (Intervista n. 2). Le ONG, private e religiose, danno aiuto ai “desplazados” più che l’IBFC È stato detto da alcuni che in Colombia, se da un lato si tenta di costruire qualcosa, con gente di buona volontà e preparata, da un altro lato si vanificano gli sforzi a causa della corruzione (Intervista n. 14). L’atteggiamento dell’IBFC è assistenzialista. Le cause che generano le problematiche sono indubbiamente note, ma situazioni economiche e politiche non permettono ampie soluzioni. 6.2.4 I progetti d’intervento. L’IBFC comunica con le ONG che possano dare assistenza ai bambini rimasti soli e senza genitori, in attesa di dare loro una famiglia che li accolga. Oltre a queste, operano ONG religiose che possono accogliere un gran numero di bambini, come la Città dei Ragazzi (Intervista n.2). I progetti delle ONG religiose sono sovvenzionati sia dell’IBFC sia da privati. Gli intervistati mostrano di sapere che un progetto integrale richiede molto più tempo di ogni altro progetto e sono al corrente delle difficoltà dell’attuazione di un progetto integrale (Intervista n. 3). In caso di maltrattamento da parte dei genitori, il giudice di famiglia può decidere, dopo una denuncia che può anche essere anonima, l’affido del bambino all’IBFC al fine di proteggerlo dagli stessi genitori. Lo stato di abbandono di un minore sarà comunque dichiarato, nei casi più urgenti, dall’avvocato detto “difensore di famiglia”. Sono state fatte campagne su TV e stampa affinché i minori conoscano i loro diritti. Capita, però, che i bambini di strada non sappiano leggere, né possiedano TV (Intervista n. 5). Gli intervistati che lavorano con istituzioni giuridiche hanno dichiarato che il minore deviante, in Colombia, in accordo con lo spirito del Codice dei Minori, sarebbe da quest’ultimo protetto. Gli sono date misure correttive, affidandolo, dove e quando si può, a centri sociali di recupero, dopo che il giudice dei minori ne avrà deciso il suo ricovero. Non essendo però tali interventi strutturati in modo completo, dopo un certo periodo si riavrà il minore rimandato alla famiglia, che non essendo stata fatta oggetto di attenzione da parte delle istituzioni, rimetterà il bambino in condizione di una nuova fuga verso la strada e verso il mondo della delinquenza. È confermato che il ragazzino sente la necessità di tornare alla strada (Intervista n.2). Principalmente, è nell’atteggiamento di chi è al servizio d’istituzioni statali, credere o affermare che il lavoro, gli impegni, i piani e i programmi dello stato sono abbastanza buoni per l’infanzia (Intervista n. 4). Molti intervistati sono a conoscenza che sono eseguiti programmi di salute sessuale e riproduttiva, ma criticano la preparazione professionale degli insegnanti, ritenendo il Ministero dell’Istruzione, per certi aspetti, improvvisatore (Intervista n. 6). Anche se sono presenti programmi di appoggio alle bambine vittime di violenza, sono insufficienti le strutture di appoggio alle bambine che restano incinte dopo una violenza. La legislazione in tale ambito è deficiente e non sono state introdotte leggi per proteggere i diritti delle ragazze rimaste incinte. Nella realtà, essendo l’aborto illegale, non si vede come si possano conciliare proposte di leggi protettive, tabù e religione. Le iniziative a favore delle ragazze sono lasciate alla discrezione delle ONG competenti in materia (Intervista n. 6). Il progetto CAIMA, (Centro de Atencion Integral al Menor Abusado), è stato avviato da pochi anni ed è considerato un buon progetto (Intervista n. 9). Il personale che lavora presso il CAIMA viene prestato da enti statali. Si occupa dei delitti contro la libertà sessuale e la dignità umana. È parte della Fiscalia General de la Nacion. Il principale obiettivo è di investigare sui delitti sessuali in maniera tecnica, non solo per fare chiarezza e individuare gli autori del crimine, ma dare trattamento biopsicosociale alle vittime, tenuto conto delle conseguenze che un tale atto può provocare nella vittima. Ha alle sue dipendenze psicologi, commissari, avvocati e medici legali. Si affianca al lavoro interistituzionale e interdisciplinare dell’IBFC, del Cuerpo tecnico de investigacion, della Policia de Menores per migliorare la qualità delle indagini e prevenire le irregolarità in cui si vengono a trovare le vittime dell’abuso sessuale. La scarsa preparazione degli insegnati porta a magri risultati. Nelle scuole s’impara poco sulla sessualità. Lavorano meglio le ONG che negli ultimi due anni hanno portato a termine un progetto di preparazione sulla pianificazione familiare per 2600 giovani che poi sono stati mandati a insegnare. Altro progetto è l’approccio delle ragazze di strada, (Gamines), ed è fatto dalle ONG con progetti approvati dall’IBFC (Intervista n. 11). La sensibilizzazione di giudici, avvocati, commissari di famiglia, avviene mediante congressi organizzati dall'ONG Pro Familla, che opera a livello nazionale, e dal CAIMA. Un buon progetto ecclesiale è quello dei Vescovi che hanno creato una rete di parrocchie per ospitare i bambini fuggitivi vittime degli scontri armati (Intervista n. 7). I centri di accoglienza sono divisi per sesso e il lavoro all’interno è organizzato anche da volontari stranieri. I progetti delle sessanta organizzazioni che sono presenti nel dipartimento del Meta, mostrano un’attenzione al minore a tutto campo. Ma esse non possono sostituirsi in tutto alle istituzioni dello stato ed essere l’alter ego dell’IBFC. I progetti sono di prevenzione, assistenza e recupero. Evidentemente, i progetti sono parziali e parcellizzati, il più delle volte vanificano gli intenti di lavorare in rete che si sono dati le maggiori ONG. Ogni progetto svilupperà al suo interno dei programmi mirati. Il bambino di strada difficilmente si rivolge a un’organizzazione. Dovrà essere il personale dell’ONG ad andare in caccia dei bambini, nella prima fase del progetto, e tentare l’aggancio. Poi si potrà lavorare all’interno della struttura e applicare il vero progetto, renderlo effettivo, positivo, producente. Ma prima si deve fermare il bambino, distrarlo dal fascino della strada per tirarlo nella rete di protezione. La seconda fase è quella dell’abilitazione, il bambino comincerà a imparare le norme. Nel caso di un’ONG che lavora per il recupero dei ragazzi di strada i programmi saranno di educazione, lavoro sociale e terapia occupazionale, psicologia, pedagogia, salute. Che cosa accadrà al bambino una volta rimesso fuori dall'ONG, non è dato sapere, perché non si hanno progetti a lungo termine e totalmente integrali, a causa dei costi altissimi. I programmi integrali con terapia occupazionale che formano il bambino di strada in previsione di un inserimento nel mondo del lavoro sono lunghi. Si devono esplorare le abilità del bambino, sondarne e valutarne la parte prevocazionale. Addestrarlo. Formarlo. Farne un cittadino (Intervista n. 1). Per le piccole prostitute esistono progetti di orientamento, ma mancano i mezzi di attuazione e i progetti restano morti. L’IBFC non ha le strutture per il trattamento della minore in prostituzione (Intervista n. 4). Anche il CAIMA è un’ONG di orientamento della minore, poiché i mezzi a disposizione del CAIMA sono scarsi. Per i bambini orfani i progetti di prevenzione e protezione si realizzano, per la prima fase, nelle famiglie sostitutive che accolgono il bambino e sono periodicamente visitate da assistenti sociali e per la seconda fase in organizzazioni che possono prepararli alla vita adulta. I progetti per i bambini abbandonati sono applicati per fasce di età: fino a due, da due a sette, da sette a dieci e così via (Intervista n. 2). Il grande problema resta il tempo. Il tempo concesso dall’IBFC per la realizzazione dei progetti è breve. È un tempo spesso dipendente dal mandato del politico di turno. Manca la previsione politica sul lungo termine. Uno dei progetti più ambiziosi dell’IBFC è quello detto di attenzione al minore deviante, che dopo la proclamazione del codice del minore ha visto la creazione di centri piloti misti, con ragazzi e ragazze, dove avviene il recupero del minore (Intervista n. 3). Il progetto anzidetto investe nella sua realizzazione il giovane, la famiglia, la comunità e le organizzazioni governative. Gli avvocati e i magistrati intervistati hanno detto di applicare l’articolo 204, che prevede il richiamo ai genitori affinché osservino le regole di comportamento idonee per il benessere del minore (Intervista n. 3). Il progetto permane in una fase continua di costruzione e valutazione e cerca fondamentalmente di contribuire alla formazione individuale e creativa del minore, facilitando il restauro della sua vita. Genera spazi di dialogo e costruzione collettiva, all’interno di ognuna delle istanze chiamate in causa, famiglia, istituzioni, gruppo, società. Integra e completa i processi istituzionali e sociali che si sono fatti per i giovani in difficoltà, con l’intento di arricchirli e trasformali ove necessario. Proporziona le basi concettuali perché in ogni dipartimento dello stato si costruisca un Progetto di attenzione integrale al minore deviante e contravventore, in accordo con il contesto culturale, economico, educativo del dipartimento e che trasformi il concetto di assenza di futuro per il minore che affronta la legge. Il progetto opera a livello macro, come orientatore di politiche, piani, programmi e compromessi interistituzionali che potenzi il sistema nazionale di attenzione integrale al minore. Opera a livello operativo dove si richiede la partecipazione effettiva di tutte le istanze compromesse nella costruzione di migliori condizioni di vita del minore deviante. Resta chiaro che dipenderà dal ragazzo uscire dal centro di attenzione. Se allo scadere del tempo non avrà dimostrato il ravvedimento, rimarrà ancora nel Centro Pilota (Intervista n. 3). Per il maltrattamento infantile l’IBFC ha messo in atto il progetto Aspas e la rete di promozione al buon trattamento. Con il primo si è voluta fare su vasta scala la sensibilizzazione verso la non violenza in seno alla famiglia, con l’intento di salvare i piccoli dalla violenza familiare. Il secondo progetto è mirato a ciò che il bambino ha intorno a sé. Vuole inculcare il rispetto per i diritti del minore indifeso (Intervista n. 5). I progetti d’inserimento di un bambino “incapacitato” nei programmi dell’IBFC sono gestiti dalla Defensoria del pueblo o dall’avvocato di famiglia, figura dell’IBFC che assegna il sussidio. Il bambino viene perciò vincolato a un programma di assistenza. Un controllo è fatto per accertarsi che i soldi siano spesi solo ed esclusivamente per la cura o le protesi. I programmi di sostegno ai bambini "desplazados" prevedono il loro alloggiamento presso famiglie amiche o presso ONG. Questo problema è particolarmente grave perché il numero dei bambini in fuga è molto alto. Sono programmi di breve termine, perché l’IBFC è convinto che la situazione si dovrà risolvere prima possibile. Alcuni operatori non sono d’accordo sui tempi di soluzione del conflitto (Intervista n. 8). Ciò mostra una certa sottovalutazione del problema giacché nessuno sa quando i "desplazados" torneranno alle loro terre, dato il progredire della guerra. I progetti di medicina preventiva sono presentati e svolti da un’ONG riconosciuta a livello internazionale: Pro Familla. I suoi programmi sono principalmente mirati all’individuazione delle cause che sono all’origine del maltrattamento e all’orientamento delle ragazze che restano incinte senza averlo desiderato. Nel primo caso Pro Familla raggruppa le famiglie che maltrattano i bambini e propone loro metodi di educazione. L’Organizzazione può anche sollecitare l’IBFC affinché prenda in carico un bambino maltrattato. Nel secondo caso Pro Familla cerca di evitate che la ragazza abortisca in modo clandestino, ma la orienta affinché partorisca in modo naturale e scelga liberamente se tenere o rinunciare al nascituro. Altro progetto dell’IBFC riguarda la scelta e la selezione di famiglie amiche, famiglie sostitutive. Una rete di assistenti sociali e psicologi bada a metterle in elenco. Le prime ospitano ragazzi per brevi periodi, ricevono un sussidio dall’istituto e possono ospitare più bambini nello stesso tempo. Le famiglie sostitutive accolgono bambini, ma hanno attese di adozione permanente, per cui possono essere paragonate a famiglie che stanno facendo un periodo di prova preazione. Le ultime sono famiglie che adottano a distanza, sono di ceto medio alto e danno mensilmente un sostegno per un bambino abbinatogli dall’IBFC e che è ospitato da istituti statali o privati. È questo uno dei casi di progetto su lungo periodo (Intervista n. 8). I progetti basati sull’altruismo spontaneo sono i meno presenti sul territorio. Forse è il progetto più grande in senso assoluto perché riceve scarsi sostentamenti (Intervista n. 18). Possono mancare i soldi, le strutture, può essere assente l’interesse politico, ma se alla base di un progetto, anche del più risicato, vi è la fiducia, la speranza, l’orgoglio, i risultati si otterranno e saranno superiori a quelli di una grande organizzazione legata, magari, al politico di turno (Intervista n.13). Le ONG lavorano molto sull’autostima, ritenendolo fondamentale per un ricollocamento del bambino in un dato ambiente. Un altro punto è lo stimolo della competitività tra i ragazzi, essendo questa importante per la socializzazione. Il codice del minore è forse il progetto più grande e ambizioso dello Stato. Indubbiamente è un progetto di un codice di difficile attuazione. Gli articoli per il minore ci sono proprio tutti, anche quelli per le comunità indigene, ma a volte resta inapplicato (Intervista n. 14). Con i suoi innumerevoli articoli il codice dovrebbe essere garante irreprensibile dei diritti del minore, ma i fatti e la realtà dimostrano il contrario, basta leggere i giornali o semplicemente guardarsi intorno in una qualunque città della Colombia. L’ignoranza e la disinformazione sono i principali nemici del codice. C’è poi la violenza di tutte le razze e di tutti i colori. (Intervista n. 14). Alcuni intervistati hanno evidenziato che mancano progetti per l’aggiornamento e l’autoformazione, in generale, dei maestri e degli educatori (Intervista n. 15). Anche volendo riconoscere il buon lavoro della Fundacion Restrepo Barco e della Fes, con i loro controlli di autoevaluacion y fortaleciemiento del personale che lavora nell’IBFC e nelle ONG (Intervista n. 9) alcuni ritengono non sufficientemente aggiornato il personale dell’IBFC rispetto alle nuove problematiche che affliggono la Colombia. Un progetto di preparazione giovanile è definito dalla CRI che raccoglie giovani, purché in grado di leggere e scrivere, e li addestra per il soccorso. A questi giovani la CRI garantisce corsi di studi e di formazione professionale (Intervista n. 10). Anche la CRI ha tra i suoi programmi “l’aggancio della gallada”, in modo da salvare il maggior numero di ragazzi di strada. La CRI si autofinanzia con la vendita di medicinali. CONCLUSIONI Dalla ricerca è emerso che sono molti i problemi che minano l’infanzia colombiana. Alla vecchia piaga del gaminismo se ne sono aggiunte altre e più gravi: la piaga dei bambini sfollati dalle loro case per gli effetti nefasti della guerra in atto da molti anni. Inoltre, vi è un aumento della violenza famigliare ed extrafamiliare di cui i bambini, per primi, sono le vittime. La precaria situazione politica, il pessimo stato dell’economia non permettono alle istituzioni di operare su ampio raggio e per lungo tempo con i progetti per l’infanzia. Un intervento incompleto dello Stato e la crisi che avvolge molte famiglie colombiane a causa della miseria, tolgono attenzione al minore che viene così, molto spesso, a trovarsi in condizione di abbandono. Le ricerche fatte dall’IBFC avevano, indubbiamente, avviato il controllo della proliferazione del gamin in ambito urbano e costituivano un piano di cambio cosciente e diretto che, primariamente, si avvaleva di politiche preventive centrate sulla famiglia. Lo stesso Codice del Minore, varato nel 1989, è stato recentemente sottoposto a revisione, data la sua non aderenza alla realtà. Se si accetta l’ipotesi, data l’odierna situazione, che è la cellula domestica, così importante, a generare abbandono, secondo le mancanze, si comprende che il risultato è la precarietà e il conflitto. Le istituzioni non hanno la capacità di agire in profondità sulle basi educative della famiglia, non per cattiva volontà, ma perché la situazione reale non lo permette. Resta difficile trovare una forma occupazionale stabile per i capi famiglia, come ricorso basico per il soddisfacimento delle necessità primarie. Resta difficile stimolare per la coppia un ingresso razionale nel campo lavorativo, cercando di evitare che il maschio lo voglia attuare in maniera esclusiva e privilegiata. È difficile migliorare le condizioni abitative del gruppo familiare, migliorare le condizioni fisiche e sociali del quartiere, premere per azioni istituzionali per la creazione d’infrastrutture concrete, sopprimere i costi accessori per l’educazione e coprire la mezza giornata libera di alunni sotto i dieci anni con attività dirette che li mettano in occupazione produttiva e socializzante. Rimane difficile organizzare il vicinato perché si crei il sentimento di gruppo e si giunga a mete d’interesse comune, giacché il sospetto per gli altri e la sfiducia stanno avendo il sopravvento. Educare la famiglia per la soluzione congiunta dei problemi, per ridurre i conflitti della struttura coniugale e creare tendenza sincretica, non è più possibile se vi è un attacco sferrato al cuore dello Stato, dalla guerriglia, che rende precario ogni attimo della vita colombiana. Dalle interviste è emersa la paura per la situazione quotidiana. I temi indagati, l’infanzia colombiana, i gamines, gli enti d’intervento, i progetti d’intervento, fanno emergere uno squilibrio. Ossia, mentre da un lato l’infanzia è sottoposta ogni giorno a più gravi condizioni di vita, dall’altro le istituzioni e i progetti non riescono a risolvere l’intera problematica minorile. I principali risultati della ricerca hanno messo in luce la crescente preoccupazione delle persone per le conseguenze che la guerra riversa sull’universo infantile. Hanno evidenziato in modo netto che gli aiuti sono insufficienti e che i finanziamenti per i progetti non bastano per portare a compimento quelli che, per la particolarità dei casi, dovrebbero essere integrali e applicati dall’inizio alla fine dello spazio d’intervento. È altresì emerso che lo Stato ha “scaricato” il gamin, lasciandolo al suo destino, alla sua droga, in attesa che qualcun altro intervenga per porre fine alle sue sofferenze. È stato verificato che gli operatori dell’IBFC e delle ONG lavorano con coscienza, i loro sforzi non ripagati, dato che la loro maggiore frustrazione è vedere vanificati i loro sforzi, poiché mancano le strutture per integrali per il completamento di un progetto. Promuovere e canalizzare le utilizzazioni istituzionali, oppure quelle dei vicini o del gruppo consanguineo esteso, appare ogni momento più difficile. Stimolare l’esercizio dei diritti della famiglia, della madre e dei figli diviene più complicato perché lo Stato non riesce ad affrontare in maniera seria il problema. Essendo in forte aumento il numero delle vocazioni sacerdotali, si può dire che la credenza religiosa fortifica i giovani in questo periodo d’incertezza. Prendiamo atto che la Colombia sta “sfornando” più sacerdoti di qualunque altra nazione. INTERVISTE A TESTIMONI PRIVILEGIATI. (Allo sbobinamento hanno fatto seguito la traduzione e la trascrizione senza alcuna correzione di forma e di stile e lasciando l’autenticità delle testimonianze nel modo in cui si sono apprese). intervista n. 1 psicologa di una ong. Domanda.: Mi può parlare della sua organizzazione? Risposta.: In Colombia l’IBFC ha il compito di proteggere il bambino e la famiglia. A livello nazionale l’IBFC contratta differenti istituzioni per dare l’attenzione ai differenti gruppi di bambini, per fascia di età e per la diversa problematica. Convidame, la mia organizzazione è “non governativa”, ossia è un’ONG, è indipendente ma controllata dall’IBFC Convidame significa Corporacion Nueva Vida para el Menor de y en la calle. Non ho detto gamin, come lo dice lei. Ho detto minore della strada e minore nella strada. Sono fatti doversi. Gamin è offensivo, non si usa. Siamo un’entità senza fine di lucro, a partecipazione mista, con autonomia amministrativa e personalità giuridica per compiere fini d’interesse pubblico e sociale. Compiamo azioni tendenti a dare protezione al minore oggetto di attenzione e propendiamo per il suo recupero riadattamento e socializzazione. Contiamo sull’appoggio di organi pubblici e privati. Il ministero della Salute, tramite l’IBFC ci paga un coupon per ogni bambino che teniamo qui. Quest’ultimo contatta la direzione quando vi sono bambini ad alto rischio di strada da attendere, valuta le modalità che noi offriamo, ossia che tipo di Attenzione possiamo dare ai bambini e si fa un contratto, sarebbe a dire che noi riceviamo dallo Stato una certa cifra. In questo momento abbiamo circa ventotto bambini nella nostra sede, li teniamo dalle otto alle diciassette. Sono bambini ad alto rischio, con famiglia disgregata. Qui non abbiamo la possibilità di accogliere altri bambini con gravi problematiche, come il bambino della “calle”, consumatore di droga, poiché la sede è piccola e non abbiamo i medici né le medicine per dare aiuto. Iniziamo il processo di socializzazione. Come? In cinque fasi. Qui operiamo le prime due fasi perché le ho detto che non abbiamo i mezzi e lo spazio sufficiente. La prima fase è quella ambulatoria. Si parte con un processo di aggancio, nella strada, nel quartiere, ed è un processo dinamico, creativo, di amicizia, educativo che si basa sul dialogo e sulla confidenza, il rispetto, la motivazione permanente e cerchiamo di propiziare un ambiente espansivo, spontaneo e di responsabilità. La seconda fase è quella di abilitazione. Questo processo di formazione comincia con la comprensione delle norme istituzionali di routine. I bambini devono acquisire le norme di convivenza, solidarietà e riflessione. Norme che devono essere interiorizzate dal minore a partire da dinamiche graduali previste dalla cornice metodologica. Noi portiamo il bambino ad apprendere facendo. E lì che gli diamo gli strumenti per cambiare, dialogare e creare. Per questa seconda fase sviluppiamo cinque programmi che sono di educazione, lavoro sociale, psicologia, lavoro-terapia, e salute. I bambini fanno dei lavori manuali bellissimi e con l’arte danno il massimo dell’espressione. Abbiamo però altre Comunità in Ambiente Aperto, che dopo vi porterò a visitare perché abbiate un’idea del nostro lavoro all’esterno. D.: Che cos’è un ambiente aperto? R.: Sono i cortili, gli spazi aperti messi a disposizione per i bambini da persone che abitano nel quartiere. In genere queste persone sono proprietarie del locale in cui vivono e che dispongono di uno spazio sufficiente per accogliere un certo numero di bambini che sono seguiti dal mattino alla sera da personale professionale e da volontari. Le allieve infermiere che assistono i bambini sono inviate da una scuola d’infermieri della città. Poi diciamo che le padrone di casa che cucinano i pasti per i bambini ricevono un sussidio dalla nostra organizzazione. Convidame è l’unica organizzazione che lavora direttamente in certe zone misere di quartieri squallidi, portiamo avanti il nostro programma di prevenzione e intervento direttamente nel quartiere e non stiamo copiando nessun modello cubano né altro. Cerchiamo di fortificare la comunità mandando dove servono i nostri educatori, tra l’altro mal pagati. In questa proiezione comunitaria in ambiente aperto proponiamo un modello di prevenzione che si realizza in settori che presentano un alto livello di “disprotezione” e di rilevanti condizioni di marginalità, come nei quartieri di Brisas del Guatiquia, Santafé, Delicias, Industrial. Noi siamo in contatto con altre istituzioni, come l’Alcaldia, la Gobernacion, la Comisaria de familla, e il CAIMA. (Il CAIMA è il centro di attenzione al minore abusato sessualmente. È uno dei contenitori legali dell’IBFC e vi si rivolgono i minori che vogliono denunciare abuso sessuale da parte di un adulto). Se il padre del ragazzo picchia la madre io lo devo mandare, il ragazzo, alla Comisaria. Se ha subito abusi, lo devo mandare al CAIMA. Se al bambino il padre non vuole riconoscere il cognome o gli alimenti lo rimettiamo all’IBFC. Come vede lavoriamo a rete. L’Alcaldia lavora con noi, perché le uniche istituzioni pubbliche sono appunto IBFC e Alcaldia. A esse compete realmente assistere i bambini della strada. Ma dico anche alla Gobernacion, ai politici. Questi, sì, dovrebbero realmente conoscere i nostri programmi, il nostro lavoro, per darsi conto che esiste una grande popolazione di bambini ad alto rischio e in pericolo. D.: Convidame è la sua organizzazione. Me ne può chiarire la filosofia? R.: Propiziare una ridefinizione dei valori nel minore. I valori. Questi si sono persi. Se vogliamo un nuovo tipo di società, dobbiamo arrivare a ottenere un cambio di attitudini che permettano una vita più umana. Dobbiamo sviluppare una pedagogia che risponda al proposito di formare nuovi uomini. In Colombia il machismo è imperante. Dobbiamo arrivare a uomini riflessivi, partecipativi, coerenti; capaci di essere protagonisti della trasformazione del paese e della loro vita. D.: I programmi sono di lungo termine o di breve termine? R.: Le spiego come noi lavoriamo in rete. Per quanto tempo? ... Il problema dei bambini a rischio non ha tempo. Noi accogliamo bambini con problemi molto gravi, con problemi di violenza, di abbandono, di maltrattamento, di mancanza di affetto. Lavoriamo con bambini di cinque e quattro anni. Però quello che noi chiediamo è che il bambino comprenda che la vita di strada non gli conviene. Con noi si prepara, comincia a studiare, a occupare il suo tempo in altre cose diverse dalla strada. Da qui, la famiglia e lui si vanno trasformando. Questa trasformazione se dura un anno, magnifico! però abbiamo famiglie che consumano droga, famiglie delinquenziali, famiglie che non soddisfano le necessità basiche, famiglie che si sostengono con la prostituzione, e allora dobbiamo procedere con il passo di una tartaruga. Rallentare il processo. Non possiamo fissare un tempo per il recupero di un bambino. Bisogna vedere cosa lo circonda. D.: Le caratteristiche del vostro programma? R.: Immaginiamo che sia arrivata una bambina. La dobbiamo conoscere. Aprire una storia, vincolarla a un programma. Quale programma? Ci sono programmi pedagogici. Se la bambina non studia o non ha mai studiato, qui inizia come kinder, ma per quelli che stanno qui si fa un rafforzamento scolastico e cerchiamo di livellarli. Per quelli che iniziano a studiare c’è la parte pedagogica, parallelamente vincolata alla parte ricreativa, culturale, e sportiva. Nelle ultime tre parti dobbiamo appunto ricreare, ossia riformarli. Gli insegniamo a utilizzare il proprio tempo e a ritrovarsi nella ludica e nell’arte. I ludi e le arti sono molto importanti per l’istruzione. La nostra è un’istituzione con pochi mezzi, ma nella parte artistica abbiamo fatto meraviglie. Ci è capitato che un’istituzione si sia interessata al nostro programma artistico e ci hanno donato tredici milioni di pesos per danza musica e pittura. Per i bambini fu grandioso. Abbiamo una sezione di psicologia dove lavoriamo con il bambino e la famiglia, per orientazione psicologica del bambino e scuola dei genitori. Abbiamo un programma di sessualità e vita integrata. Un programma di prevenzione della farmaco - dipendenza. D.: Al termine del programma di socializzazione, il bambino sarà pronto per ritornare in famiglia? R.: È difficile dare una risposta. Dobbiamo tenere conto del momento storico che vive la Colombia. Stiamo attraversando una tappa di violenza e di povertà molto grave. Non possiamo inculcare nel bambino l’amore per il lavoro, lo studio e la responsabilità. Alcune volte il bambino vuole cambiare, ma in famiglia le cose vanno molto male. E anche nella società. Perciò dobbiamo lavorare nella famiglia e con la famiglia. Perché se noi non aiutiamo la famiglia, e la famiglia non aiuta il bambino, ci troviamo innanzi un bambino a rischio, tra i tredici e diciassette anni. A questa età i bambini chiedono soldi. Soldi per aiutare la propria famiglia. Alcuni s’incontrano con la droga e con la delinquenza e con opportunità di commettere furti. D.: Quale sarebbe un buon intervento preventivo da parte governativa per arginare il rischio? R.: Sarebbe un buon programma la terapia occupazionale. Qui non lo possiamo realizzare per mancanza di mezzi. Che cosa è? 1) Esplorazione dell’abilità del bambino. 2) Sondare e valutare la parte propria prevocazionale, cosa vorrebbe imparare a fare. 3) Vocazionale. 4) Parte produttiva. Il bambino produce. Se noi formiamo un ragazzo fra tredici e diciassette anni che conosce le sue capacità, che le ha maturate e interiorizzate, abbiamo formato una vocazione. Il ragazzo esce a lavorare, a produrre ed è preparato. D.: Lei pensa che ci siano sufficienti centri per accogliere ragazzi a rischio? R.: No. Inoltre, con quanto ci proviene dall’IBFC per 130 bambini, ventiquattro qui e i rimanenti nelle Comunità di quartiere, dobbiamo pagare i nostri professionali, trovare medici volontari. Viviamo bussando di porta in porta. I centri sono insufficienti data la crisi della famiglia. Quando la famiglia è in crisi il bambino è espulso e buttato nella strada, perché la famiglia non può garantirgli il sostentamento di base. Per la crisi nella famiglia, non per povertà. Perché se in una famiglia c’è povertà, ma pure amore, ambizione per superare i problemi, la crisi si supera. Me se abbiamo di fronte droga, alcool, delinquenza, prostituzione, i figli andranno a imitare i genitori. D.: Il gaminismo, diciamo, è un fatto di cultura o di economia? R.: È un problema di cultura, valori e salute mentale. Noi colombiani non godiamo tutti di buona salute mentale. Una persona vittima di violenza, povertà, sentimento di perdita e frustrazioni, o che ha avuto un padre alcolizzato, che non ha cultura, è già stato in passato un bambino altamente depresso. Un ragazzo depresso che esce dalla famiglia e va alla strada viene assorbito dalla strada. A volte la strada lo salva dalle percosse della famiglia. D.: Il CINDE dichiara sei milioni di bambini in stato di povertà. Il dato è reale? R.: In Colombia ci sono quaranta milioni di abitanti. Penso di sì e credo che sono in forte aumento. D.: Quanti ragazzi in povertà soffrono di problemi mentali? R.: Io credo quasi tutti. La salute mentale si associa a stati interni di tranquillità. I colombiani non la conoscono, da cinquanta anni. I nostri bambini ogni giorno soffrono molto perché noi adulti, la generazione del 70, abbiamo sofferto molto. D.: Qual è la causa maggiore del gaminismo? R.: Ve ne sono molte. I popolatori della strada non sono solo bambini. Sono vecchi, anziani, prostitute. Gamin, come si diceva anni fa, non si usa più. Diciamo “popolatori della strada”. Gamin è un termine dispregiativo, come immondezza, niente da fare per loro, da buttare. Nell’origine del “popolatore della strada” c’è al primo posto la crisi della famiglia. Secondo, la crisi sociale e culturale in cui viviamo. Della crisi economica e politica del paese. Della violenza familiare. Del padrastismo, ossia del padre sostitutivo di quello biologico. Delle ragazze madri. Delle unioni successive, una dopo l’altra. D.: Sarebbe possibile intervenire prima di arrivare a tal punto? R.: Sì, questo è un nostro programma. Perché prima che il bambino subisca la stradizzazione, arriva Convidame e cerca di fargli capire che c’è una casa alternativa. Dobbiamo rinforzare i programmi di protezione e formazione, perché chi va nella strada, va a consumare bazuco, (lo scarto della cocaina, N.d.A.), marijuana, boxer (colla per le suole delle scarpe). I nostri ospiti ancora non consumano droga. È molto difficile recuperare un drogato. D.: Qual è la sensibilità della popolazione verso il bambino della strada e quale la sensibilità dei mass media? R.: È triste. Noi cittadini siamo indifferenti. Quando c’è indifferenza sociale e personale il bambino non trova rete di protezione. Il cittadino ha perso l’interesse di chiedere a un bambino: perché piangi? Lo Stato è molto indifferente. Il governo dice che aiuterà i bambini, i politici fanno i programmi per aiutare i bambini. Ma quali bambini? Se nelle scuole i bambini con problemi caratteriali vengono espulsi! Non capiscono le sue crisi emozionali. Sono rifiutati dallo Stato perché non esistono a largo raggio, in zone decentrate come Villavicencio, programmi con modelli bio-psico-sociali. Qui non abbiano centri dove curare drogati. In Bogotà ce ne sono. Ma i programmi con tale focalizzazione sono pochi, perché molto costosi per lo Stato che non può sostenerli. Il bambino di tredici e quattordici anni che consuma droga ha bisogno di medico e di psichiatra. Deve fare la disintossicazione. Ed è costoso. Altro problema: se un gamin viene pugnalato, non viene accolto in ospedale. Niente assistenza medica. Ragazzi con problemi seri non si curano solo con parole. Noi siamo aperti dalle otto alle diciassette. Che orario è questo? Il governo deve disporre istituti che funzionino ventiquattro su ventiquattro. Alle cinque p.m. noi rimandiamo alla strada i bambini. Alle cinque comincia nella strada la parte di vita più pericolosa per loro. Questo fatto ostacola l’ottenimento di buoni risultati. Nessuno chiede di togliere i bambini alle famiglie, ma i genitori devono essere più responsabili. E a noi mancano i fondi. D.: C’è relazione tra programmi centrali e periferici? R.: Certo. Al bambino si deve dare attenzione integrale. Su tutto il territorio. Se un bambino a rischio è in grave stato di necessità, deve essere affidato all’IBFC. D.: Come funziona la parte statale? R.: Bene perché hanno il settore tecnico che funziona. È pur vero che gli impiegati sono pagati male e a volte il lavoro è pesante. D.: E gli istituti religiosi? R.: Ricevono altre sovvenzioni. Pagano bene il personale. Vada a visitare il Cammino della Speranza, fondato dai tedeschi. Hanno tutto. Assistenza medica, ristorante, scuola, internato, cappellano, soldi dalla Germania, dall’E.U., dalla Caritas. Vada a vedere, la prego. Chiedi di padre Carlo. Presentò un progetto in Germania, a qualcuno piacque ed ecco che arrivano i soldi. Tanti. D.: Sono importanti, vero? R.: Ci permettono d’intervenire in tempo, sulla famiglia, sul bambino. Con buoni programmi portiamo avanti il bambino, lo proiettiamo nel sociale. Se interveniamo in tempo possiamo fare qualcosa di positivo. Se avessimo più soldi, potremmo accogliere più bambine, mettere i turni notturni con personale professionale. Fare terapia medica. C’è un preoccupante fenomeno di “bazuchizzazione” nella strada. Lì il bazuco brucia il cervello, le reni. L’idea di un gamin che vive nella strada con quattro o cinque cani non esiste più, è un’immagine del passato. La pandilla, la banda, è difficile da incontrare. Ora il gamin è un solitario. Solo con la sua solitudine, va in cerca di se stesso e consuma bazuco. Prima era uno che consumava alcool, boxer. Oggi è peggiorato, consuma lo scarto. Qui una dose di bazuco costa 300 pesos, (al cambio del nov. 99 circa 300 lire italiane). La sua vita si è molto accorciata perché il bazuco uccide in poco tempo. D.: La violenza contro i bambini. In Brasile abbiamo gli squadroni della morte. E in Colombia? R.: Qui opera la Mano Nera. Si dice pure limpieza social. Se siano i commercianti, o la polizia, o lo stesso Stato non si sa. Ci sono stati molti morti. Nella nostra città il fenomeno si è calmato. Di popolatori della strada tra i cinque e i dodici anni qui ce ne sono pochi. Di più vediamo adulti e adolescenti nella strada. Detti desechables, rifiutabili, o spazzatura. A Bogotà si vedono bambini di strada tra i dieci e i dodici anni. Qui da noi no, fortunatamente. D.: Perché? R.: Il nostro dipartimento è vittima della violenza armata, della guerriglia. La zona sud-est. Il desplazamiento fa si che la gente di Porto Rico, di Puerto Lopez e altri posti, venga nella nostra città. Il cinturone di miseria nella nostra città si è esteso per questo nuovo fenomeno, più grave che mai. D.: Il desplazamiento provoca gaminismo? R.: Certo. La violenza armata provoca la fuga e la fuga la miseria. La gente comincia a chiedere l’elemosina. A sfruttare i figli perché aiutino la famiglia. Che possono fare d’altro lato? E il bambino messo di fronte alle responsabilità vorrà avere voce in famiglia perché produce soldi in qualche modo. E inizia la discussione. Da noi capitò un vecchio in fuga. Ci ha chiesto aiuto. Il figlio è stato ucciso dagli scontri con la guerriglia. Dalla violenza. Dissi aiutiamolo. Pordios. D.: Vorrei chiedere ancora una cosa... R.: Basta. È meglio se venite con me a vedere la nostra Comunità al barrio industriale, nella strada della morte. Ma state tranquilli. Con me non correte pericolo. Vado da sola lì dentro ogni giorno. I delinquenti ormai mi conoscono. Ha con lei la macchina fotografica? La porti la prossima volta. intervista n. 2 consulente dell’ibfc. D.: Come funziona il Bienestar Familiar? R.: Il Bienestar Familiar ha due grossi campi: la prevenzione e la protezione. Cerca di diminuire il rischio dei bambini che soffrono di maltrattamenti, che sono nella prostituzione, nella droga, nella strada, nel delitto. Lavoriamo da oltre quindici anni. Il più grande progetto è quello che raccoglie minori di cinque anni da mamme non sposate o che non hanno famiglia. L’ente sviluppò un programma educativo per strati molto umili, dove si aiutano le madri bisognose. Un altro programma è quello dell’alimentazione nelle scuole per minori di dodici anni. I programmi sono a livello nazionale e dipartimentale. Quelli nazionali offrono differenti servizi secondo lo sviluppo di ogni dipartimento. Generalmente l’IBFC contatta le ONG, ma chiarendo che le ONG non esistono su tutto il territorio nazionale. Io, per esempio, ho sviluppato il progetto CAIMA, centro per i minori che subiscono violenza sessuale. Il programma si sviluppa in campi distinti, socializzazione per i minori che hanno infranto la legge, poi recupero dei minori della strada e nella strada. Il CAIMA è il primo esperimento in Colombia. Il personale del CAIMA, dietro spinta della Fiscalia, è scelto tra tutte le istituzioni, ogni ente mette a disposizione un esperto e si è creato un intergruppo di lavoro. Nel CAIMA si sviluppa un processo di aiuto al minore violentato, e da qui, dopo la denuncia del minore, la stessa Fiscalia provvede all’arresto del violentatore. Se il violentatore è un giovane sotto i diciotto anni, egli sarà mandato dal giudice dei minori che lo invierà a un centro di recupero. D.: Perché l’IBFC non opera direttamente, ma con ONG, come ad esempio il CAIMA? R.: Le ONG hanno équipe di tecnici che mettono in opera la politica d’intervento. In Bogotà c’è la sede nazionale, dove si sviluppa la politica per l’infanzia e tutte le riforme escono da un gruppo di esperti dell’IBFC Esso ha una struttura che arriva ad amministrare i grandi progetti di prevenzione e protezione. Ha degli esperti per area ma non ha il numero di persone né le infrastrutture per sviluppare in proprio i programmi. La legge colombiana dice che non è solo compito dell’IBFC, ma che deve essere lo Stato e le varie istituzioni ad aiutare l’infanzia. Anche la società civile si deve integrare, perché in essa operano le ONG, che sviluppano proposte mirate. Io penso che dal punto di vista dell’efficacia l’IBFC fa buoni contratti, nel senso che quando vi sono alcune situazioni in cui né il municipio, né la Governacion, né l’Alcaldia, possono risolvere il problema che si presenta, l’IBFC contatta un’ONG esperta nel campo che ci preoccupa. Per esempio, nel progetto del Minore Deviante, nacque e si sviluppò un coordinamento interistituzionale. Si contrattò un’ONG di esperti e precisamente operatori in comunità terapeutica di scuola italiana. Essi fecero una coniugazione di tecniche per lavorare con i minori infrattori che arrivano al centro di riabilitazione. Il direttore del centro è il coautore del progetto rieducativo. D.: Le ONG operano in maniera differente dalle istituzioni religiose? R.: Le religiose sono ONG con una linea di lavoro diversa. Per esempio la nostra Benposta, la città dei ragazzi, ha origine in Spagna. Ha delle proposte sviluppate qui in Colombia, in tre istituti e in tre città diverse. Le città dei ragazzi offrono alle istituzioni un servizio. In che senso? IBFC offre un internato per la protezione dei bambini abbandonati, ma questi crescono internati nei centri dell’IBFC pur non essendo gamines e non avendo nessuna problematica associata alla droga. Sono semplicemente ragazzi che sono rimasi soli, a prescindere da tutti gli sforzi fatti per dargli una famiglia. A tal punto si contrattano posti alla città dei ragazzi al fine di dare assistenza integrale ai suddetti bambini, che non devono restare ai centri IBFC, e si dà loro, con l’internato, tutto l’appoggio per il loro sviluppo. Ci sono ragazzi che compiuti diciotto anni sono sistemati nella società e fanno la loro vita come cittadini. Ma sono contratti che IBFC mantiene solo per un determinato tempo. Poi, abbiamo il problema dei bambini scappati dalle zone di conflitto, che hanno necessità di protezione poiché i loro genitori sono restati nella zona di conflitto. Le parlerò del fenomeno del “desplazamiento” più tardi. Tornando alla distinzione tra prevenzione e protezione, diciamo che la Città dei Ragazzi è ONG di protezione. La prevenzione viene fatta nelle abitazioni di “famiglie sostitutive” dove vi sono madri che ricevono una mensilità dall’IBFC per il mantenimento del bambino loro affidato temporaneamente. Altre madri aiutano a tenere il bambino abbandonato per qualsiasi motivo fino a che non si decida sulla sua situazione. Tutte le ONG sono iscritte all’IBFC e sono da questo controllate. Ad esempio un’ONG che voglia esercitare nel campo delle adozioni, anche se a capitale privato, deve sempre attenersi alle regole internazionali di adozione e sottostare alla vigilanza di IBFC che dirige la politica e la metodologia. D.: I risultati ottenuti dalle ONG sono positivi? R.: La capacità di rispondere alle problematiche del bambino da parte dello Stato è limitata: il problema è molto grave e si va accentuando ogni ora. In secondo luogo se ci sono più norme che possono vincolare le ONG, queste vanno rispettate, però a volte si sbaglia nella selezione di dette organizzazioni, o per negligenza politica o amministrativa. Quando un’istituzione riunisce tutte le caratteristiche per lavorare con i bambini, i risultati sono positivi. Però il lavoro con i bambini non s’inventa da un giorno all’altro, perché è un lavoro di riabilitazione, di socializzazione, terapeutico, che implica pure vincolare la famiglia e quando la famiglia si è persa, è molto difficile arrivare al successo. Ma dopo avere operato le suddette fasi, recuperato il bambino, non esiste un’altra fase di transizione per entrare nella società. Sì, c’è un processo, ma mancano i soldi per un processo completo. Diciamo che un minore deviante, dopo il verdetto del giudice, debba trascorrere due anni in un centro di riabilitazione. Là si farà un lavoro interno con esperti, cercando di inserire anche la famiglia. Ma se mancano soldi il progetto non può essere completato. Parliamo del minore “nella” strada. Lui è inserito in un processo di recupero. Poi dovrà tornare al suo quartiere, pieno di carenze, maltrattamento, dove c’è una famiglia che non lo vuole. Il ragazzino sente la necessità di tornare alla strada. Ciò perché non esiste la possibilità di avere processi di transito in cui inserire il minore, dato il loro alto costo. D.: È importante che un’organizzazione diventi ONG? R.: Sì. È importante per la parte tecnica, punto di forza delle ONG. Sia in campo nazionale che internazionale, un’organizzazione presenta la sua proposta all’IBFC, che valuterà con la sua équipe interdisciplinare la nuova organizzazione. D.: Qual è la sensibilità della gente di fronte al bambino di strada e nella strada? R.: Lo vede come un problema. Dobbiamo stare attenti a che non vengano violati i loro diritti. L’esito positivo sta nel coordinamento istituzionale armonico che si può avere per esempio con la vigilanza di un procuratore sui diritti dei bambini e sui programmi. Nel quotidiano la gente ha paura del minore gamin, lo sente come un problema di vergogna sociale. D.: Perché è difficile trovare famiglie che ospitino i bambini che, dopo essere stati in un’ONG, vengono rimandati alla strada? R.: Nel dipartimento del Meta ci sono circa cinquanta “famiglie sostitutive”. Però non hanno un contratto fisso con l’IBFC, ma ricevono mensilmente un sussidio. Ci sono bambini che sono accolti all’IBFC per proteggerli dagli stessi genitori, ma la legge dice che il padre biologico ha la priorità, anche se tra le madri vi sono delle prostitute. Spesso i genitori non rinunciano completamente al figlio, spesso confondono le botte con l’educazione. D.: Perché non si prova a educare i genitori? R.: Il problema è enorme. L’educazione è un programma costosissimo e deve avere chiarezza tecnica, coordinamento di diritti umani. È un programma dove non si può dare un tempo politico. La politica deve sapere educare i bambini, una politica che faccia suo il problema e aiuti a trovare la giusta soluzione. D.: I centri di educazione e protezione sono sufficienti? R.: Per questo la politica dovrebbe lavorare in previsione di prevenire i rischi. Il governo attuale ha formulato una politica detta Aspas 2000, che invita alla pace in famiglia e che prevede scuole per i genitori in ogni municipio, coinvolgendo tutta la società per far rispettare i diritti dei bambini. D.: Il bambino della strada è un problema di origine culturale oppure economica? R.: Da un punto di vista sociologico il primo. Il paese in questo momento attraversa un pessimo periodo. L’apparato statale è il maggior detentore di mano di opera intellettuale, c’è molta disoccupazione perché lo Stato segue la politica del fondo monetario internazionale. Dove non c’è lavoro che classe di famiglia può uscire? In prevalenza la famiglia che castiga e abbandona il figlio. D.: Lei pensa che il fenomeno della guerriglia influenzi il gaminismo? R.: Non mi azzarderei a dirlo perché io sono stata in una delle “zone di estensione”, iniziando il processo di pace, come funzionario del governo per fare una valutazione d’impatto. Gli sfollati delle zone di conflitto sono aiutati dall’IBFC con 357.000 pesos per soddisfare le loro prime necessità. Queste famiglie sfollate, maggiormente, sono composte di campesinos che restano uniti e preferiscono dormire sotto un ponte anziché separarsi. A tali famiglie viene offerto di lasciare i figli in “famiglie sostitutive” e a loro di andare alla diocesi. Sono famiglie che non chiedono, sono spaventate, perseguitate. Le vediamo ai semafori a vendere frutta e mandano i loro figli la mattina a scuola. Tali famiglie non generano gamin. Tali bambini sono molto maltrattati, ma restano nella famiglia. D.: Dove c’è più maltrattamento, nella famiglia del campo o in quella della città? R.: Risulta uguale. La città offre l’anonimato, l’alternativa del telefono, così che si può fare una denuncia di maltrattamento senza dovere lasciare il nome. Qui c’è una rete che si chiama Contro il Maltrattamento Infantile. Le reti hanno i numeri telefonici di tutte le istituzioni e qualsiasi cittadino può telefonare. intervista n. 3 giudice minorile D.: Come giudica un minore deviante? R.: Il giudice distingue delitti e contravvenzioni. Giudica secondo la gravità del fatto compiuto. Il giudice del minore, come dice il codice, giudica per i delitti commessi da ragazzini di età tra i dodici e i diciotto anni. Per loro, dopo il giudizio di primo grado, è previsto l’appello. Il giudice minorile è una figura differente dal giudice di famiglia dell’IBFC. Quest’ultimo giudica per i delitti compiuti dai minori di dodici anni. Inoltre, il giudice di famiglia giudica anche per quegli atti detti “contravvenzioni” - atti, perciò, diversi dai delitti compiuti dai ragazzini di età tra i dodici e i diciotto anni. Non è previsto l’appello quando giudica il giudice di famiglia. Perché non è previsto? Perché il giudice di famiglia non infligge il carcere, ma immediate misure di recupero. Però in nessun caso il codice parla di castigo del minore. Non è come nel campo penale, dove si cerca unicamente la riparazione del danno causato. Nel giudizio minorile l’IBFC prevede un giudice civile e penale unico, detto per l’appunto “ Promisquo de familla” data la sua duplicità di capacità e competenza nell’emettere il giudizio. La rieducazione avviene in locali adeguati, dove il minore deviante possa avere un trattamento psicologico che lo aiuti e dove gli sia data attenzione integrale. D.: Esistono i riformatori? R.: La parola è sparita. Vi sono centri rieducativi di organizzazioni non governative. Il minore va in enti istituzionali solo quando abbia commesso in maniera ripetitiva gravi delitti. I centri rieducativi sono di carattere aperto, semichiuso e chiuso. Il minore vi è inviato secondo la gravità del delitto. Al Centro Pilota abbiamo una ragazza di anni sedici che ha rubato in una casa più di cinque milioni di pesos. Vi deve permanere due mesi, ma uscirà dal Centro solo se dimostrerà di avere interiorizzato le norme che regolano la vita sociale. D.: Ha figli questa ragazza? R.: Sì, una figlia. D.: Non è un male separare madre e figlia? R.: In questo caso vale il parere della psicologa dell’IBFC Il fatto di essere separata dalla figlia fa sperare che il suo istinto materno la aiuti ad accettare le norme sociali per uscire dal Centro. C’è anche da dire che il Centro non è attrezzato per ospitare una bambina di tre mesi. Le misure del giudice in genere s’integrano con le altre dell’articolo 204 del codice del minore che prevede misure pedagogiche e di prevenzione. In questo momento si sta rivedendo il codice del minore perché prima vi era il solo processo d’istanza unica. Oggi vi è anche la seconda istanza e alcuni articoli vanno rivisti nell’interesse del minore. Il 204 prevede anche il richiamo ai genitori affinché osservino le regole di comportamento idonee per il benessere del minore, come l’ubicazione istituzionale e la riabilitazione. Quando un minore commette delitto e viene colto in flagranza ed è minore di dodici anni, il giudice lo manda al difensore di famiglia per competenza. Se la polizia mi porta un minore tra i dodici e i diciotto anni, la decisione di mia competenza è rapida ed io decido per il centro di accoglienza e per quanto tempo. Resta chiaro che dipenderà dal ragazzo uscire dal centro. Se allo scadere dei due mesi non avrà dimostrato il ravvedimento, rimarrà lì ancora e via così. Il Centro Pilota che lei conosce non ha sorveglianza notturna, la rete non è vigilata. Se i ragazzi scappano per andare a rubare di notte e vengono individuati non avranno buona possibilità per uscire dal Centro. Se nel frattempo diventano maggiorenni passano alle istituzioni di pena. D.: Che succede a un minore preso durante la sua assenza? R.: Se il giudice è assente, la polizia trattiene il minore presso la stazione di polizia. Mi rendo conto che mancano locali dove trattenere il minore in attesa di incontrare il giudice. Ciò non è un bene per il ragazzino che a volte è in contatto, lì dentro, con delinquenti adulti pericolosi. D.: I giudici sono severi? R.: Il mio giudizio, lo ripeto, non è di punizione. Devo agire come un secondo padre. Le cose cambiano quando una persona danneggiata da un minore si costituisce parte civile. La causa si fa in un’altra corte, ma questa deve comunque tenere conto della mia prima sentenza. D.: Quali risultati si ottengono con la tecnica del recupero? R.: I risultati ottenuti sono buoni. Le misure correzionali ora sono diverse. Prima dell’approvazione del nuovo codice i minori venivano mandati in vere università del crimine, per castigo. E che ne poteva uscire? D.: Lei può decidere per le adozioni di minori? R.: Gli articoli 44 e 45 della costituzione garantiscono i diritti del minore e lo Stato deve intervenire per garantirli. Quando un minore è dichiarato in stato di abbandono dal difensore di famiglia viene affidato all’IBFC. La protezione viene anche data al minore che si trova in situazione irregolare o è dichiarato tale dalla “Comisaria de familla o dal Defensor de familla”. La prima tappa, completamente amministrativa, è tutta a carico dell’IBFC. Poi subentra l’avvocato privato per le pratiche di adozione. D.: Le istituzioni rispettano i diritti del minore? R.: Il giudice dei minori non ha podestà per intervenire presso altre istituzioni perché ottemperino alle loro mansioni nei confronti dei minori. Io posso obbligare un padre a dare gli alimenti per il figlio, punirlo se non lo fa. È la “Procuradoria” che deve intervenire verso la pubblica istituzione inadempiente nei riguardi del minore. D.: C’è la coordinazione del giudice con altri enti? R.: Ci dovrebbe essere. È importante lavorare con lo psicologo nell’ambito della famiglia, preparare un reinserimento del minore. Ma non si fa. Non si terminano i programmi per via dei fondi. D.: Il codice del minore, i loro diritti, sono conosciuti dai bambini? R.: Abbastanza. Qui si è fatta una buona campagna affinché i minori conoscessero i loro diritti. In televisione e sui giornali. D.: C’è molta prostituzione minorile in Colombia? R.: Un fatto molto grave. Un funzionario pubblico che volesse affrontare questo problema avrebbe serie noie. Non è piacevole farsi dei nemici in certi ambienti. No. Qui c’è una doppia morale incredibile. C’è il problema economico da non sottovalutare. C’è una grande indifferenza. La gente non collabora. In Colombia la donna è sottomessa. Per la prostituzione in città dovrebbe intervenire l’alcalde. Ma come? Certo va a scontentare altri. Qui vogliamo ricevere tutto senza dare nulla. Ma siamo noi stessi che dovremmo risolvere i nostri problemi, con un po’ di sacrificio e recuperando valori e avendo meno miseria morale. D.: Cosa si può fare per la Colombia? R.: Causare un dolore che duri pochissimo tempo. Un’azione fatta bene, dolorosa, certo, ma sul breve tempo. Le faccio un esempio: se si deve pavimentare una strada, le auto in sosta vietata devono essere rimosse e tutti urlano, i commercianti al primo posto perché calano le vendite. Però è importante tappare le buche stradali. E allora? Fare multe e rimozioni e riappare le buche e tutto in breve tempo. D.: La violenza familiare? R.: Con la legge 194 del 1996 il giudice di famiglia può imporre rimedi e obbligazioni per modificare il comportamento nella famiglia. Può cercare di risolvere i danni quando c’è violenza. Si applica o multa o arresto. La violenza in Colombia è alta. C’è sempre stata. D.: Lei prende in considerazione denunce anonime? R.: Ogni cittadino ha il dovere di fare denuncia se a conoscenza di violenza contro un minore o una madre. Il giudice sarebbe di fronte a un caso di violenza non denunciata dal soggetto passivo. Il funzionario addetto dovrà fare le opportune verifiche per appurare la realtà dei fatti. In genere s’invia un assistente sociale per verificare la veridicità della denuncia anonima. D.: Qual è la causa primaria delle liti? R.: La mancanza di dialogo. È una delle principali cause di liti. Moglie e marito litigano, vengono qua senza essersi parlato, non conoscono i loro stessi problemi, non verificano e litigano. L’ultimo caso è di una coppia dove la moglie voleva la separazione dei beni e il marito non voleva dargliela. Leggendo il loro atto di matrimonio mi sono reso conto che i due erano già in regime di separazione dei beni. E questo è solo un esempio. Viene poi la parte economica. La vita non è facile, complica i rapporti familiari. Quando i soldi non bastano, e spesso si produce conflitto. Ci vuole molto amore per superare certi contrasti in questo momento che stiamo vivendo qui. D.: Ha qualche dato sulla “limpieza social”? R.: Le posso dire che c’è più controllo. Però ci si dovrebbe preoccupare di più dei bambini della strada. Si fa poco. intervista n. 4 funzionaria dell’ibfc. D.: Esistono provvedimenti per lo sfruttamento della prostituzione minorile? R.: No. E se ci sono non vengono applicati. D.: L’IBFC può intervenire in qualche modo per frenare tale problema? R.: Per le ragazze in abbandono totale, esiste la figura del difensore di famiglia. D.: La gente ha paura nel riferire alle autorità competenti uno sfruttamento minorile della prostituzione? R.: Io posso dirle che per il minore in prostituzione non ci sono istituzioni che abbiano programmi per trattare i casi di prostituzione. Esiste da poco il CAIMA che cerca di fare qualcosa. Non esiste una misura coercitiva, perché la minore in prostituzione non dovrebbe esistere, ma essere sottoposta a un trattamento orientativo perché cambi la sua mentalità e il suo modo di agire. Abbiamo a disposizione la possibilità di dire alla ragazza di studiare, di guadagnare per il suo sostentamento, ma lo Stato non garantisce in questo. Nel frattempo che la ragazza si reca presso un centro sociale che la consigli e la assista, ella continuerà a prostituirsi per sostenersi. D.: l’IBFC ha qualche progetto per aiutare le piccole prostitute? R.: Ci sono i progetti di orientamento, ma mancando i mezzi di attuazione, ossia di trattamento, essi sono cosa morta. L’IBFC non ha le strutture per il trattamento della minore in prostituzione, le sue strutture sono principalmente per aiutare il minore abbandonato dai genitori, totalmente o parzialmente. È la stessa struttura familiare che c’è in Colombia che è malata. Per esempio, che si sta facendo con i “desplazados”? Che si fa per i figli di questa gente che arriva nelle città? Non gli si offre nulla. Come palliativo gli si offre una cucchiaiata di minestra. La soluzione seria sarebbe che i “desplazados” tornassero alle loro campagne. Lo stesso possiamo dire con la minore in prostituzione. Se non si va dentro la famiglia, all’origine dello squilibrio, dove c’è la disintegrazione, come fa la ragazza a trovare buoni consigli? Spesso nella famiglia i genitori, i fratelli sono nel giro della prostituzione. Orientamento e trattamento della ragazza sono due fatti che dovrebbero operare congiuntamente ma ciò non avviene, lo stesso CAIMA è solo di orientamento. Per la prostituzione l’IBFC attua in collaborazione con la polizia, la “Procuradoria” di famiglia, il giudice di famiglia. Se una minore minorenne viene trovata in esercizio di prostituta sarà competente il Bienestar Familiar, ma è molto difficile fare qualcosa quando non si hanno strutture specializzate per tale problematica. D.: Ci sono ONG che lavorano al problema prostituzione? R.: No. D.: Bambini abbandonati. L’IBFC ha locali per ospitare bambini abbandonati? R.: Sono in contratto. Come ONG. D.: Perché l’IBFC non interviene direttamente con le sue strutture? R.: Perché non è facile. D.: Per mancanza di fondi? R.: Sembra che la Stato non sia un buon amministratore. D.: Ho impressione che l’IBFC dia maggiore sostegno al minore nella “calle” che al minore della “calle”. È così? R.: Le istituzioni che s’interessano di minori della o nella “calle” dipendono Alcaldia e non hanno soldi per mancanza di approvazione di preventivi. Il bambino della “calle” è un minore che fa uso di boxer, che ruba, che ha rotto i legami familiari, di solito perché è maltrattato. La strada gli offre molto di più della famiglia. I bambini nella “calle” invece non hanno rotto i legami parentali, sta nella strada, magari con qualunque tipo di lavoro, ma la sera torna alla sua famiglia. Le ONG che accolgono ragazzi “nella calle” la sera li rimandano alle loro case. Per i minori “della calle” il processo di recupero, se ci sono risultati, è molto lento. Quando questi minori della strada vengono portati in un’istituzione essi non vi restano perché nella strada non ci sono né regole né norme e i minori della “calle” pensano di essere completamente liberi. Per il minore “della calle” il trattamento deve essere diverso da quello usato per il minore “nella calle”. Abbiamo bisogno di persone con buone attitudini a lavorare con questi bambini. C’è bisogno di spazi, di sussidi, e non ci sono perché il minore “della calle” non da voti politici. Il settore del recupero del minore di strada deve avere personale ben preparato e che abbia un amore speciale per i bambini. Il gruppo di bambini dovrà essere piccolo, con pochi bambini, al massimo cinque. Non ci si può attendere buoni risultati da un educatore che lavori con dieci o venti bambini per volta. Siccome all’Alcaldia non interessa avere buoni successi in questo ramo, e siccome l’IBFC è solo il coordinatore e non l’esecutore dei programmi, si sta perdendo tempo. D.: L’IBFC lavora indipendentemente? R.: È un Istituto con strutture decentrate. Lavora con il minore e con la sua famiglia. Con le adozioni. Lavora nel campo preventivo e assistenziale. Nella parte preventiva abbiamo l’assistenza che corrisponde alla prevenzione diretta come i centri o le case di accoglienza infantile, che da attenzione prescolare. Nei locali dove si assistono i minori di aree più marginali, l’assistenza è più integrale. L’integrità primaria è nella salute, nell’aspetto pedagogico, nella parte nutrizionale. D.: Il “desplazamiento” provoca miseria? R.: Io penso che questa violenza sta provocando la nascita di altri cordoni di miseria intorno alle città. Ecco. Abbiamo una nuova miseria. La gente bussa alle case per chiedere da mangiare o da vestire. Ma il fatto nuovo è che molti abitanti della strada, che lo sono stati da sempre, oggi si vanno convertendo e confondendosi ai “desplazados” per un loro tornaconto. Provoca prostituzione. Teniamo presente che la problematica che sta vivendo il nostro paese è in atto da molti anni, da più di trenta. È antica. Prima, nei paesini non era così grave. I ricatti e le minacce perché il contadino lasciasse la terra erano meno feroci di oggi. D.: Erano minacce di paramilitari o di guerriglieri? R.: No. Trenta anni fa non esisteva il paramilitarismo, che è recente. Trenta anni fa esisteva la sinistra, ed era solo un problema tra fazioni politiche. D.: Lei pensa che il “desplazamiento” finirà in breve tempo? R.: No. Con quali mezzi? Con quali soldi vanno a coltivare e dove? E che vanno a coltivare? Coca? Se non c’è una legge agraria che protegga il “campesino”! Non esiste che il “desplazado” ritorni al campo perché essi sono tanti e sono in tutte le città e il governo non fa nulla. A chi interessa che ci siano “desplazados” è solo alla guerriglia, per creare problemi al governo centrale. Fino a che non ci sarà una vera volontà politica che cerchi la pace, e smettano di perseguitare i “campesinos”, non ci sarà soluzione. D.: Perché il governo non responsabilizza i municipi? R.: E quanti alcaldes sono stati trucidati dal tempo del governo del presidente Samper? La guerriglia è andata sollecitando nelle varie zone voti regionali ma il presidente Samper non lo permetteva. Questo governo invece lo permette. D.: Quando termineranno i dialoghi di pace adesso in atto nella capitale tra governo e guerriglia? R.: Nessuno ha idea. La guerriglia è molto forte. Essa prende forza dai campesinos, prendono i loro figli. I politici sono corrotti, la gente ha paura di parlare e denunciare, le nostre leggi sono crollate sotto il peso dell’ambizione di molta gente. Ci interessa l’educazione dei bambini? Che possiamo fare se il governo chiude le scuole e vuole mutare l’aspetto educativo senza rendersi conto che fare cambi di progetti educativi in un momento come questo è un alto rischio. L’infanzia che futuro ha? Narcotraffico, denaro facile? Tutti vogliono vivere di quello che la televisione trasmette. Pensi che in molte famiglie il bambino viene lasciato da piccolo e da solo innanzi al televisore. Ma come fa a capire quali valori prendere? D.: La televisione ha colpa in quello che qui succede? R.: Molta colpa. Per un popolo grandemente non emancipato, con un altissimo analfabetismo, si proiettano modelli americani non attuabili da queste parti. D.: Quali sono le cause della violenza nella famiglia? R.: Io penso che questa violenza sia in accordo e conseguenza della violenza politica. D.: Una ragazza madre che ruba per mantenere il proprio figlioletto può finire in una casa di correzione? R.: Sì. D.: Può tenere con sé il figlioletto? R.: No. Perché l’istituto non è adatto per la crescita del bambino. Tali centri hanno modelli pedagogici per la madre e la possono aiutare. Si prevede un controllo psicosociale della famiglia della ragazza per il suo giusto reinserimento una volta uscita dell’istituto. D.: Se una minore resta incinta di un maggiorenne ha qualche tipo di protezione? R.: Sì. È la ragazza o i suoi genitori che devono denunciare il fatto. Le leggi ci sono perché il padre riconosca il figlio e provveda al suo sostentamento. È la ragazza che deve fare la prima mossa denunciando chi la messa incinta. L’IBFC fa un consiglio e lo cita affinché accetti le sue responsabilità. D.: Qual è la sensibilità della gente di fronte ai bambini della strada? R.: La gente detesta il bambino della strada. La sensibilità è molto diminuita e va a momenti, con molte contraddizioni. A volte, ad esempio, il Bienestar Familiar viene chiamato da qualcuno per raccogliere un bambino che sta chiedendo l’elemosina. L'operatore sociale si presenta sul posto, è insultato dalla gente presente al fatto che lo accuserà di volere prendere il bambino per darlo in affidamento dietro compenso. D.: La sensibilità del momento, volubile verso il minore di strada, varia da città a città? R.: No. Nelle piccole città c’è sensibilità volubile. Nelle grandi città c’è l’indifferenza più totale. D.: Quanti sono i bambini scomparsi? R.: Difficile rispondere. Nel periodo di dicembre, in chiusura dell’anno scolastico, molti denunciano la scomparsa dei figli, che in realtà si vanno a nascondere perché sono stati bocciati e temono il castigo familiare. Altri se li prende la guerriglia, altri vanno nel narcotraffico. D.: I bambini sfruttati sono protetti? R.: Quando arriva la segnalazione, s’interviene. D.: Abusi sessuali sui minori. R.: Difficilmente un abuso sessuale subito in famiglia viene denunciato. Ma solo se la ragazza ha rotto i legami con la famiglia. L’abuso sessuale è presente in tutte le classi sociali, anche se le maggiori denunce vengano dalla classe bassa. La classe medio alta è la più irresponsabile. Ci sono stati casi di ragazzi i cui genitori non si sono presentati all’IBFC perché si vergognavano. D.: Funziona bene l’IBFC? R.: Io potrei dire che funziona bene. Ha molti progetti per il benestare del minore. Direi che manca di mezzi, di personale. Ha una parte che corrisponde alla protezione extragiudiziale e una parte che lavora con il minore e la famiglia, assistendoli nei processi legali, domande per alimenti, adozioni, paternità responsabile, riconoscimento del minore. Ci sono progetti di prevenzione come quello del minore abbandonato. intervista n. 5 avvocato dell’ibfc. D.: Qual è il ruolo dell’avvocato di famiglia? R.: Il compito principale dell’avvocato di famiglia è dare protezione al minore e di fare prevenzione quando si è alla presenza di violenza familiare, mediante l’avvio di un processo amministrativo di protezione, quando un minore si trova in situazione di abbandono o di pericolo. Si deve parlare di emergenza quando il minore è stato completamente abbandonato dalla famiglia. Il principale diritto del minore è la famiglia e l’IBFC si preoccupa di dare una famiglia al bambino o di assegnare una madre sostituta, scelta da noi, pagata da noi, e che attende anche ad altri bambini, nel frattempo che il Bienestar Familiar trovi una situazione definitiva per il bambino. Questo che le ho descritto è un processo di protezione del minore. Ma questa è solo una fase del processo, perché il minore ha altri diritti, come il nome e il cognome. Noi cerchiamo il padre e ci preoccupiamo d’identificare il bambino, anche attraverso i registri di nascita e con l’aiuto della polizia. La ricerca dei genitori di un bambino abbandonato è fatta su tutto il territorio nazionale, mediante i periodici, ed è pubblicata la foto del minore trovato senza famiglia. Si fa anche per radio. È capitato che bambini di Bogotà, scappati dalla città con un autobus, sono stati dati per morti dai genitori che dopo un anno non li hanno visti riapparire. Non per disattenzione della famiglia. Lei immagini, semplicemente perché il bambino prese un autobus e se ne andò in un’altra città. Il bambino resta al Bienestar fin quando non si rintracciano i genitori e siano stabilite le condizioni in cui il minore andrà a vivere. Se i genitori non compaiono dopo gli appelli fatti dall’istituto, passato un anno si avvia il processo di adozione, che è la misura massima di protezione per il minore. Prima avevano in Colombia adozione semplice e adozione piena. Oggi esiste solo l’adozione piena. L’adozione semplice non garantiva tutti i diritti del nuovo figlio rispetto ad altri fratelli acquisiti. Pertanto è stata abolita e i diritti, tutti i diritti, compresi quelli ereditari, sono uguali tra fratellastri. È un’adozione irreversibile, al contrario di quanto previsto dall’adozione semplice, che non esiste più. D.: C’è un periodo di prova per l’adozione? R.: Sì. Un comitato visita periodicamente il bambino in adozione e verifica il suo stato. A prescindere che sono fatte prima dell’adozione le dovute verifiche sulla coppia che desidera adottare un minore. D.: Che succede con bambini più grandicelli abbandonati dalla famiglia? R.: Facciamo il caso di un bambino di tredici anni che si trovi in stato di abbandono. Il processo di protezione è lo stesso di un bambino di tenera età. Si ricercano i genitori nello stesso modo e dopo un anno, se essi non appaiono, lo si dichiara in abbandono totale e s’iniziano le pratiche che adozione. Le famiglie in genere preferiscono ragazzi piccoli da adottare. D.: Che succede se dopo che un bambino è stato dato in adozione ricompaiono i genitori biologici? R.: Sempre che essi dimostrino di avere le capacità di assicurare al minore i suoi diritti, riavranno il loro bambino, essendo prioritario il diritto del genitore biologico su quello acquisito. D.: È sempre il Bienestar Familiar ad assegnare i genitori adottivi che ne fanno richiesta? R.: Abbiamo anche il “consentimiento de adopcion”. Succede quando sono i genitori naturali a decidere quali dovranno essere, dopo la loro rinuncia al figlioletto, i nuovi genitori. Le ricordo che L’IBFC è un’équipe interdisciplinare è il suo principale scopo è di puntare all’unione della famiglia. Noi cerchiamo di capire se realmente la famiglia non può sostenete il figlio e pertanto essa decide di darlo in adozione ad altre famiglie. Come? Stimolando la comunicazione tra noi e loro; vincendo la loro paura di non parlare di fronte a un certo problema. Interveniamo in caso di maltrattamento infantile e nel nostro stato abbiamo creato la “rete di promozione al buon trattamento” che serve proprio a intervenire nei casi di maltrattamento. Si sta lavorando molto per il maltrattamento. I tempi sono mutati e i modi di pensare delle generazioni sono differenti. È facile che nascano incomprensioni nella famiglia quando non ci s’intende. Una volta le busse erano di aiuto per fare apprendere. Oggi è diverso, ma in certe famiglie si continua col vecchio metodo: quello i genitori appresero dai loro padri e non ne conoscono altri. Anche nelle scuole lo stesso maestro ti bacchettava se non apprendevi. La funzione di prevenzione che il maestro può esercitare è molto importante. Il maestro è una delle persone che meglio dei genitori può accorgersi quando qualcosa non va. Egli può vedere dal rendimento del bambino, dalla sua attenzione in classe se c’è qualche problema, magari proprio all’interno della stessa famiglia del bambino. Dopo che qui da noi giunsero i metodi europei e dopo la dichiarazione del codice del minore, del 1989, si è cominciato a muovere qualcosa. Il codice mette in risalto i diritti del minore, che sono prevalenti sui diritti di chi lo circonda. Quando un padre manda a lavorare suo figlio anziché mandarlo a scuola, egli gli sta negando il diritto all’educazione. Il Bienestar deve preoccuparsi di coscientizzare le persone dei diritti che hanno i minori. D.: Il minore sa di avere a disposizione un codice che prevede per lui una serie di diritti? R.: Sono stati fatti diversi programmi, anche spot televisivi e stampa, come manifesti, opuscoli. Vede, succede che ragazze madri attendano anche vari mesi per registrare all’anagrafe il figlio nato da una relazione, in attesa che il papà si decida a dargli il proprio cognome. Noi le abbiamo avvisate tramite la pubblicità che esse stanno negando in quel momento il diritto del bambino ad avere un nome, qualunque sia, della madre o del padre. Qui abbiamo il doppio cognome. E allora cosa succede quando il bambino arriva a scuola? Tu come ti chiami? E perché hai un solo cognome? Allora non hai padre! Lei capisce il problema? È con questa mentalità che dobbiamo lottare, prima di tutto per dare garanzia al minore di avere subito il nome. D.: Vi sono aiuti ai bambini down? R.: Possono nascere bambini normali e speciali, con sintomatologia mentale. Il Bienestar Familiar ha una protezione speciale per questi minori speciali. Quando la famiglia non ha i mezzi per curare i bambini, egli verrà “vincolato” alla protezione dell’IBFC e alla madre sarà dato mensilmente un assegno per l’assistenza medica. D.: Fino a che età, o per quanto tempo viene dato il sostentamento per il minore con handicap? R.: Normalmente per un anno. Perché per un anno? Perché ci sono troppi ragazzi con problemi e mancano fondi per tutti e poi perché in un anno si può verificare se ci sono stati miglioramenti del ragazzo. Il tempo dipende dal difensore di famiglia che di volta in volta valuta la situazione del bambino e della famiglia. Il difensore di famiglia, una volta assegnato il sussidio, deve controllare che, se il bambino ha bisogno di un certo apparecchio, la madre glielo compri e non spenda il denaro per altre cose. Ecco perché un anno. D.: Che succede se un genitore spende i soldi assegnanti per un apparecchio per cose diverse? R.: Il bambino è cancellato dal programma di “vincolazione”. D.: Quanto è forte il diritto di un genitore di chiedere aiuto alla Stato quando ha un figlio down? R.: Oltre all’IBFC e ai suoi programmi vi sono altre istituzioni possono aiutare, come la “Defensoria del pueblo” che può fare “vincolamento” di fronte a una problematica di questo tipo. D.: Qual è la differenza tra “Defensoria del pueblo” e “Defensoria de familla”’ R.: Se una persona ha un problema giudiziale o amministrativo si rivolge alla “Defensoria del pueblo” che può orientarla per trovare la soluzione del suo problema. È a livello generale per tutta la popolazione, non solo per l’infanzia. D.: Esiste la polizia minorile? R.: Sì. Il loro lavoro è di tutelare il bambino e intervenire quando necessario, quando il minore è in abbandono. Essa può richiedere l’intervento del difensore di famiglia. Riassumendo, la polizia minorile, il difensore del popolo, il difensore di famiglia possono chiedere l’intervento dell’IBFC per la sistemazione del bambino in lasciato in mezzo alla strada o in pericolo. D.: Lei pensa che nelle attuali condizioni della Colombia, l’IBFC stia compiendo al cento per cento il suo lavoro di protezione all’infanzia? R.: No. Cerchiamo di fare ciò che possiamo. Gli stanziamenti sono quelli che sono e i programmi sono innumerevoli. I programmi ci danno soddisfazione ma mancano i soldi per portali avanti. Il lavoro del difensore di famiglia è di entrare nella famiglia per tentare di sistemare tutta la sua problematica. È un grosso lavoro. Custodia, alimenti, liti familiari, violenza, conciliazioni familiari. Il difensore di famiglia non è l’unico a intervenire nella problematica familiare, egli è parte di un gruppo interdisciplinare, composto di avvocati, psicologi, lavoratori sociali, nutrizionisti, tutti uniti per la salute del minore. Quando c’è da rimettere un bambino in seno alla sua famiglia, prima mandiamo l’operatrice sociale. Ma la decisione del suo reinserimento verrà presa in modo congiunto da tutta l’équipe. D.: Qual è l’inquietudine dell’IBFC per i bambini che restano fuori dal programma di assistenza? R.: Le rispondo con un esempio. Passiamo lungo il greto di un fiume e notiamo una casupola di cartone. Tutti i suoi occupanti vanno al mattino a fare qualche piccolo lavoro e tornano la sera alla “casita” di cartone tutti uniti. In quelle case c’è unione. Con i pochi pesos racimolati da tutti comprano un poco di mangiare per la sera. Lì c’è amore. Non lusso ma amore. Il Bienestar Familiar non ha il diritto di andare sul margine del fiume, nella “casita” di cartone per dire agli occupanti che essi vivono miseramente, quando sappiamo che lì c’è amore e quando sappiamo che nelle famiglie con molti soldi i figli sono poco considerati, gli si danno soldi, solo soldi, e poi a nessuno interessa quello che fa o che amicizie frequenta, perché il padre è preso dal lavoro e la madre deve fare i tornei di bridge. La famiglia si attua in accordo con le condizioni e con le possibilità di vita, in base all’amore che c’è in essa. Noi come Bienestar controlliamo che il bambino vada a scuola e abbia la sua istruzione. D.: Le persone che abitano ai margini dei fiumi o sotto i ponti sono desplazados? R.: Non tutte. Sono di diversa condizione. I desplazados sono alloggiati in apposite strutture. L’IBFC prende i bambini dei desplazados e li mette in “hogares familiares” (famiglie amiche). Con i desplazados lavorano anche la C.R.I. e la Sanità. D.: Per quanto tempo vengono ospitati i bambini desplazados negli “hogares familiares”? R.: Non c’è un limite. Fino a che la loro famiglia non trovi una sistemazione. Ci sono molti bambini desplazados. Il Bienestar aiuta questi bambini ma non le loro famiglie. Per queste ci sono altre istituzioni, ma dobbiamo anche tenere conto che in questo momento in Colombia la mancanza di lavoro è un problema gravissimo. D.: Il minore che infrange la legge. R.: Che facciamo con un minore che commette un omicidio? Ha infranto la legge ed è identificato come deviante. Noi prendiamo misure di protezione. Lo mettiamo in un centro specializzato. Il Centro del minore contravventore e deviante dove lavora un gruppo di recupero composto di personale specializzato che darà una rieducazione a questo ragazzo affinché possa reinserirsi nella società. La decisione del suo ricovero nel centro la prende il giudice di famiglia detto “promiscuo”, perché ha competenza in campo penale e civile. Il compito del Bienestar è di monitorare come prosegue il recupero del minore rimesso al centro. D.: Si conseguono buoni risultati di recupero? R.: È una soddisfazione vedere ragazzi che oggi sono all’università dopo la rieducazione nei centri e molti già laureati. D.: Quando la polizia prende un minore in fragranza di reato, dove lo conduce? R.: Il bambino non può essere condotto né in carcere, né in una stazione di polizia. Ciò è decretato del codice del minore per proteggere i suoi diritti. Egli deve essere condotto da un giudice di famiglia. Il giudice deciderà quale intervento avviare come misura di protezione e di recupero. Se il reato commesso non è molto grave, per esempio un furto del valore di 50.000 pesos, il ragazzo non va messo nel centro, ma gli verrà fatto un discorso affinché comprenda la sua situazione e sarà libero di presentarsi presso assistenti sociali per la sua rieducazione. Se invece ruba per più di 5.000.000 di pesos verrà mandato al centro di recupero. D.: Come può un minore dare il giusto valore all’oggetto da rubare? R.: Un ragazzo o una ragazza che rubano gioielli, vanno a rivenderli da un ricettatore. Essi sanno quanto possono ricavare dalla vendita a costui. È necessario avviare tali ragazzi ai centri di recupero, altrimenti andando avanti con gli anni, diventeranno esperti criminali. D.: Che succede se il giudice non è disponibile al momento del fermo di un minore deviante? R.: Lo si conduce al centro di attenzione, e il giorno successivo dal giudice di famiglia. D.: Il Bienestar Familiar dà aiuto ai ragazzi una volta usciti dai centri di recupero? R.: In genere i ragazzi vengono ancora seguiti dagli assistenti sociali per verificare il loro reinserimento nella famiglia e lo stesso comportamento della famiglia nei confronti del ragazzo. intervista n. 6 docente universitaria di medicina familiare preventiva. D.: Che peso ha il maltrattamento infantile? R.: Il motivo principale che spinge il bambino a scappare da casa è di solito un’instabilità familiare dovuta alle relazioni della madre con altri uomini dopo il fallimento della prima unione. La figura dal patrigno è spesso determinante nel maltrattamento del bambino. La tipologia della famiglia colombiana è cambiata moltissimo negli ultimi tempi. Prima, quando la famiglia era stabile intorno alle figure principali padre, madre, figli, sottoposta all’autorità del padre-padrone, anche se vi era un forte maltrattamento, l’atteggiamento dei membri della famiglia era diverso. Tutti sopportavano tutto. Oggi invece la donna ha diversa mentalità, non accetta più di essere maltrattata, lascia il marito e si unisce a un altro uomo, il quale porta con sé, spesso, i suoi figli. In questa nuova famiglia entra a predominare la figura del patrigno che accetta i suoi figli consanguinei, ma non accetta i figli della sua nuova donna, per i quali non ci sarà amore, né alimenti, né vestiti, né educazione e se si tratta di femmine, molto spesso sono violentate. Gli abusi si contano anche su bebè. La donna che ha i figli violentati, data la situazione di precarietà, non farà denuncia alle autorità di tali abusi e violenze, data la primaria necessità della pura sopravvivenza di lei e dei suoi figli biologici. Nelle classi povere nessuno ha una casa propria, tutto il ciclo di vita è improntato al sopravvivere quotidiano, non vi è alcuna pianificazione, e l’ignoranza imperante non suggerisce alla donna di usare anticoncezionali, anche perché non vi sono soldi per comprare le pillole, dato il misero bilancio familiare. D.: Vi sono centri pubblici che fanno sterilizzazione? R.: Sì. Qualunque donna che va a partorire può chiedere al ginecologo di chiudere le tube, ma le donne non ne usufruiscono perché glielo vieta il “machismo” dei loro uomini. D.: Perché? R.: Perché l’uomo teme di perdere il controllo della donna. Non potendo più restare incinta, l’uomo teme che la donna possa avere rapporti con chiunque. La nostra medicina preventiva ha il compito di tentare un’educazione di queste famiglie per evitare che si concepiscano troppi figli nelle famiglie indigenti, con problemi di unioni successive al primo matrimonio. Ciò per evitare il maltrattamento della figliolanza, meno figli vi sono, meno maltrattamento vi sarà. Le necessità basiche per molti non vengono soddisfatte, mangiano una volta al giorno. Abbiamo bambini che vanno a scuola scalzi, senza quaderni, senza avere fatto colazione. Il maltrattamento per molti genitori e l’unica maniera di educare, essi non hanno altra conoscenza di altri metodi, pensano che le botte siano il solo mezzo per correggere i figli, perché essi stessi, dai loro padri ebbero lo stesso trattamento punitivo. Arrivano bambini al pronto soccorso con fratture, o con bruciature, anche dopo alcuni giorni dal trauma, e capita di trovarsi di fronte a genitori che non si rendono conto della violenza inflitta, poiché per loro è naturale l’uso del castigo corporale. Data la forma di cultura, succede che il bambino si stanchi della violenza e scappi da casa nella strada, dove non ci sarà un patrigno o una matrigna a picchiarlo. Il significato che il bambino dà alla strada è molto importante per lui, perché, al contrario della più ovvia normalità, nella strada si sente al sicuro, nella libertà e senza violenza familiare. D.: La causa principale di violenza familiare? R.: Alcolismo e machismo connessi a ignoranza. Anche la donna, la madre diciamo, crea machismo, perché ella permette ai figli maschi di andare alla strada, senza porgli divieti, purché la sera portino soldi a casa, ella cresce e abitua i futuri uomini di domani. Come? Dando massima libertà ai figli maschi, senza inculcargli il rispetto della parità dei sessi, creandolo per la parte strumentale, economica. Il bambino cresce con l’idea che può fare qualunque cosa se porta soldi. E sarà l’uomo di domani, in un cerchio ripetitivo di modi di fare scorretti. Inoltre in molte famiglie i genitori devono lavorare entrambi dal mattino a sera tardi e i figli sono lasciati alla strada e manca tempo per l’affettività e l’educazione per i figli, in una famiglia dove il marito o l’uomo patrigno, cresciuto nel concetto machista, non darà il minimo aiuto nelle faccende di casa o nell’educazione dei figli. Nelle classi sociali di livello più alto, i compiti familiari sono divisi tra i due genitori. Nelle classi basse la donna non è stata preparata a uscire da casa per un lavoro. Lei si trova spinta fuori di casa per un lavoro qualunque che le permetta di sopravvivere. Queste povere donne guadagnano quanto il marito, (che è spesso, anche lui, al salario minimo), ed esse vorranno in casa la stessa autorità del marito e nello stesso tempo avranno sulle loro spalle il lavoro della casa e l’educazione dei figli, il tutto in presenza di uomo che pensa in forma machista. In questa problematica come può svilupparsi il carattere di un bambino? D.: Che cosa è il machismo? R.: Intendiamo il machismo come il potere che ha un uomo nel senso della distinzione dell’azione. Per l’uomo tutto è permesso. Qui ci sono locali dove la donna non può entrare. Il bambino di quindici anni può uscire da casa e far e qualunque cosa, la femminuccia no. Ci sono delle ore della notte in cui una donna perbene non deve essere in giro, mentre per l’uomo non ci sono orari che lo vestono di una forma o dell’altra. Alla bambina insegnano le faccende di casa, al bambino mai. La cultura non è ancora cambiata, si dovrà insegnare al bambino a fare le stesse cose che fa la sorellina in casa. Il machismo è un fatto culturale molto marcato, specie in alcuni dipartimenti. È una deformazione dei valori. Ecco. D.: Rapporti tra medicina preventiva e IBFC R.: In questo momento abbiamo un programma che riguarda i genitori che maltrattano i figli. D.: Per tutti i genitori? R.: Genitori che risultano da unioni regolari. Le ripeto che i patrigni non intervengono nell’educazione dei figliastri. Perciò i nostri programmi educativi non possono riguardare patrigni che sono il risultato di unioni di fatto. Ora l’IBFC interviene quando c’è avvertimento che è in atto un maltrattamento di un figlio da parte dei genitori. Questo ente interviene togliendo il bambino alla famiglia. La medicina preventiva ha iniziato un raggruppamento delle famiglie che maltrattano i figli per individuarne le cause e intervenire per correggerne le spinte e rieducare i genitori, cercando di proporgli metodi di educazione mirati e basati sul valore dell’autostima. Abbiamo lavorato prima sui genitori scoprendo che spesso la madre è quella che castiga psicologicamente e il padre materialmente. Dopo il trattamento abbiamo chiesto all’IBFC di ridare alle famiglie i figli tolti, figli che hanno dimostrato di amare molto i genitori, anche se erano stati in precedenza percossi, fatto che ha confermato come i bambini avessero attribuito alle percosse un significato educativo, l’unico da essi conosciuto. Il nostro programma vale sia per i genitori sia per i bambini, deve essere un nuovo modo di fare educazione per il futuro. D.: In quale classe sociale il maltrattamento è più frequente? R.: Rispondendo con i dati alla mano devo dire nella classe bassa, perché è questa la classe che fa più denunce, ma ciò non vuol dire che realmente il maltrattamento sia più in atto in tale classe. Dobbiamo tenere in considerazione che la classe alta difficilmente denuncia un abuso sessuale o un maltrattamento. D.: Se il governo decidesse per aumento del salario minimo, ciò permetterebbe un calo della violenza sui bambini? R.: È relativo. Vede, c’è una parte della Colombia, il Chocò, (in maggioranza la popolazione è nera, N.d.A.), che è uno dei dipartimenti più poveri del nostro paese. Lì non esiste il maltrattamento, né l’abbandono, né la violenza sui bambini. È raro che vi sia qualche denuncia. Non è la violenza un fatto economico, ma è un fatto culturale. D.: Le ripongo la stessa domanda da un altro lato. Se le famiglie dov’è presente il fenomeno del maltrattamento venissero trasferite in un’altra città, magari dove siano presenti maggiori opportunità, il fenomeno diminuirebbe? R.: No. Non siamo dinanzi a un fenomeno ambientale, ma culturale. Non è l’ambiente circostante il massimo fattore di violenza familiare. Il maltrattamento viene da un modo di vedere diverso. Ad esempio, se uno psicologo va in una famiglia, egli sicuramente individuerà certe forme di maltrattamento di natura psicologica. Un giudice vedrà dal suo punto di vista il maltrattamento corporale. Lo stesso è nella famiglia, dove la madre vede il maltrattamento in un modo, il padre in un altro e il figlio in un altro ancora. Il maltrattamento è multiforme, è sociale, è politico, è economico, è mancanza di solidarietà, di vincolo sociale. Nei piccoli paesini certamente vi è più solidarietà che nei grandi centri. D.: Secondo lei, i dati statistici pubblicati dagli enti ufficiali, sono dati reali, o quanto si discostano dal reale? R.: Non sono reali al 100% e non lo potranno essere fino a quando ogni bambino, ogni donna, non sarà a conoscenza dei propri diritti. Pochi sono quelli che conoscono i propri diritti. Il fatto che sia la classe bassa quella che sporge il maggior numero di denunce, non significa che tale classe conosca i propri diritti. L’atteggiamento, la propensione alla denuncia, vuole essere principalmente un modo per castigare l’altro, forse l’unico modo e va visto nel costume, nell’educazione: tu mi picchi io ti denuncio. D.: Quante denunce può ripresentare una stessa donna? R.: In genere una sola volta. Qui i processi sono molto lenti. Per esempio, una bambina violentata come si sente quando va a sporgere denuncia? Lei si sentirà ancora più violentata che nel fatto già accaduto, perché dovrà ripetere la violenza subita a oltre venti persone e alla fine, la ragazza si sentirà peggio di prima, fino a che dirà: basta, non m’importa nulla, io me ne vado. D.: Ciò è un fatto di burocrazia o incapacità delle istituzioni? R.: Incapacità delle istituzioni, principalmente. Si è tentato di fare la denuncia su nastro registrato, in modo da non fare ripetere alla ragazza violentata la stessa denuncia più volte a persone diverse, ma vi sono stati casi di corruzione in cui la cassetta è stata manomessa. D.: Come sta la situazione di assistenza medica ai minori? R.: La legge 100 prevede che tutti gli ospedali diano assistenza. Ma non va così. Se incontri al pronto soccorso un medico di cuore che si commuove, forse si ha un risultato, ma se un bambino ha necessità di medicinali e la famiglia non ha soldi, spesso il bambino muore. La Colombia è in un momento terribile, negli ospedali non ci sono medicinali, bende, ferri. L’unica farmacia internazionale di questa città fornisce tutta la zona orientale della Colombia e ha un fatturato molto alto. Le medicine costano moltissimo e pochi se le possono permettere. D.: Le infermiere che ho veduto lavorare nelle strade, in un quartiere molto povero della città, chi le manda e chi le paga? R.: Nessuno le paga. Sono universitarie che devono fare tirocinio. L’università sceglie i quartieri più bisognosi e vi manda le allieve di medicina e infermeria. D.: Che fanno queste ragazze? R.: Principalmente prevenzione e nutrizione. Ma qui nasce il problema. Perché se viene detto a certe persone che devono fare dieta equilibrata con proteine, vitamine, zuccheri e altro, ma queste persone non hanno mezzi per pagarsi queste belle cose, è tempo perso. L’IBFC, a costoro, dà settimanalmente delle farine combinate, con una dose equilibrata di tutto ciò che serve a un corpo umano, nel nostro clima tropicale, e che succede? Che dopo molte settimane le persone si stancano di mangiare solo farina e la danno al cane, perché, badi bene, qui ogni famiglia povera ha un cane. È un fatto pure questo. Il cane riceve la farina dell’IBFC. intervista n.7 docente di diritto canonico. D.: Qual è l’attuale situazione sociale in Colombia? R.: La situazione sociale è molto grave in Colombia perché la violenza è aumentata. Prima avevamo violenza dal narcotraffico e dalla guerriglia, oggi dobbiamo aggiungervi quella del paramilitarismo, nato come fattore armato d’opposizione alla guerriglia e, anch’essi, i paramilitari, si sono nominati liberatori del popolo. Con quale risultato? Che sia gli uni sia gli altri si sono accaniti contro i campesinos, perché se favorisci l’uno sei nemico dell’altro e viceversa. In questo momento la campagna è più vuota che due anni fa. Teniamo presente che la Colombia è un paese preminentemente agricolo e la fuga dai campi crea scompenso. Nel dipartimento del Meta sono stati sottratti dalla guerriglia 10.000 capi di bestiame agli allevatori. Anche gli allevatori fuggono dagli allevamenti di bestiame. Siamo alla presenza di sequestri di persone, sia campesinos, sia allevatori, sia industriali, sia investitori stranieri. Oggi la milizia bolivariana, i guerriglieri, sono già operanti in Bogotà, e fanno attentati e sequestri. È stato minacciato ultimamente il presidente della commissione episcopale. La gente comune non ha più chi la difende. Il governo fa quello che può, ma la guerriglia è molto forte ora e il governo ha consegnato alla guerriglia 40.000 chilometri quadrati di territorio con città e popolazione. E lì sopra comandano loro e fanno ciò che vogliono. Vengono scacciati insegnanti, suore, si chiudono o distruggono scuole. Il governo disattende la costituzione, non garantendo i diritti del singolo cittadino e la Carta Magna è lettera morta. D.: Si può giungere a un accordo di pace che dia sollievo al popolo? R.: No. Io non credo che ciò avverrà. La guerriglia chiede il potere centrale e ciò non può essere. Il governo sta facendo sforzi per la pace, ma non sarà possibile. Il cartello di coca più grande della Colombia in questo momento è nelle mani della F.A.R.C. In Italia avete avuto le B.R. ma avete risolto. Qui non si risolve nulla. C’è molta corruzione. La guerriglia mascherata da ideali marxisti leninisti sta dissanguando la Colombia. Ma essi non hanno ideali, è solo finzione. Come si può immaginare il livello di degradazione quando sono massacrate, al campo, famiglie e presi ragazzi di dieci anni che vengono portati al monte a fare bombe antiuomo e ragazze prese per fare nascere i figli della guerriglia? In Italia non avete idea e poco vi è detto. Qui la guerriglia ha più di 4000 bambini reclutati in modo coatto. Bambini e bambine. Se il bambino non va al monte è massacrata la famiglia, perciò il bambino deve andare. Se non hai soldi da dare alla guerriglia devi dare i figli. Non hai scelta. È grave perché si sta eliminando una generazione. Quelli che ne usciranno avranno solo imparato a uccidere, non avranno avuto infanzia. Cosa potranno fare domani da grandi? Conoscono solo la violenza. La gente qui a paura, paura di parlare, perché se parli male della guerriglia ti ammazzano, sicuramente. Dov’è finita la democrazia? La libertà in Colombia è finita molti anni fa. Come cresci un bambino senza libertà? D.: Qual è il programma ecclesiale per aiutare i bambini del desplazamiento per la violenza? R.: Abbiamo fatto una rete di parrocchie che sono connesse con la Pastoral Social, il vescovado, che ha creato la città del bambino e lì vengono ospitati i bambini fuggitivi. La città delle bambine è a Porfia, un altro quartiere della città. Così lavoriamo sia con bambini della città sia con bambini venuti dal campo, dividendo maschi e femmine perché le strutture a disposizione sono quelle che sono. D.: Mi parla dei diritti del minore? R.: Qui abbiamo una ricchezza in materia legislativa per i diritti del bambino, della famiglia, dello studente, del contadino, della donna, del cittadino, ma è tutto fermo, perché essendo in guerra, lo stato non può garantire nessun diritto a nessuno. In nessuna rivoluzione si sono impiegati tanti bambini e bambine come in questa guerra colombiana. A me piacerebbe che i paesi europei dicessero basta alla vendita di armi per fermare l’eccidio in atto in questa parte del mondo. La Germania ha sospeso gli aiuti alla nostra diocesi per i giovani seminaristi. Gli aiuti sono stati dirottati per armare il F.N.L. e la denuncia è venuta dai vescovi italiani e tedeschi. Che cosa possiamo fare per la gioventù con tali presupposti? Gli aiuti alla guerriglia da parte di Germania e Spagna avvengono alla luce del sole, apertamente. D.: La famiglia colombiana. R.: La famiglia colombiana sopporta tutto. Ma la famiglia del campo è smembrata, distrutta dalla situazione di guerra e violenza. La paura che i figli sono rapiti dalla guerriglia fa si che i genitori li allontanino verso posti più sicuri, verso altre città. C’è un altro dato preoccupante: la mortalità maschile è alta, la mortalità infantile è alta, la violenza causa un grandissimo numero di morti. Violenza di guerriglia e violenza sociale. Qui nel giro di pochi minuti è distrutto un paese fondato ai tempi degli spagnoli. Il numero di piccoli dipartimenti distrutti dalla guerriglia sono superiori a quello dei paesi distrutti durante la seconda guerra mondiale. Le vittime più colpite sono i bambini che perdono tutto, genitori, casa, amici, scuola, assistenza. Le prossime generazioni colombiane saranno piene di risentimento perché non si permette loro, oggi, una vita umana come è nel diritto di ogni bambino. Che cosa fa un bambino che per tutta la vita, da bambino, ha ammazzato perché così gli hanno insegnato, cosa farà dopo? In Europa non hanno idea di quanto ci accade. Ora se parliamo dell’educazione della famiglia, la chiesa sta facendo qualcosa, ma abbiamo bisogno di aiuto internazionale, ma non aiuti alla guerriglia, ma al popolo bisognoso, perché siamo giunti a un punto di non ritorno, molto serio e grave. Io sta parlando perché conosco chi mi sta intervistando, ma se le mie parole venissero rese pubbliche in questo paese, io sarei un uomo morto. Qui non si può parlare liberamente perché non sai chi è la persona che hai di fronte. Ci sono infiltrati da tutte le parti. E la costituzione dice che siamo uomini liberi. L’Europa deve interrompere le forniture di armi. Subito. Dando armi è come mettere il lupo a vegliare sugli agnelli. Sono preoccupato per l’infanzia, sta sparendo. Ci sono bambini che non sanno né leggere né scrivere, ma maneggiano un fucile come fossero soldati. D.: La chiesa cattolica che fa? R.: Il Papa in testa è preoccupato per l’infanzia colombiana e per gli aiuti. Ma molti aiuti vengono manipolati e prendono la strada degli armamenti non ufficiali. D.: Il desplazamiento che cosa provoca? R.: Il desplazamiento. Una parola conosciuta internazionalmente dice che un uomo è emigrante quando muta da uno stato a un altro. In Colombia ora siamo emigranti nel nostro stesso paese. Perché la guerriglia arriva al campo e ti caccia via. Il desplazamiento produce zero, eleva il livello della disoccupazione oltre la soglia del 22% della popolazione totale, uno dei più alti nel mondo. Oltre la disoccupazione produce violenza, prostituzione, insicurezza, rapine, delitti perché la gente senza lavoro non sa che fare e la guerriglia crea la destabilizzazione in una situazione già grave, annullando la capacità di reazione del mondo del lavoro alla situazione. La gente qui paga la guerriglia per lavorare. I ragazzi con che voglia vanno a scuola se sanno bene che possono essere ammazzati o sequestrati. La gente che sta lasciando la Colombia spaventa. I capitali vanno via all’estero. Dove? In Spagna e USA. Qui i colombiani che vanno via all’estero sono professionisti, non è la stessa fuga dall’Argentina o dal Cile di anni fa, qui c’è fuga di cervelli, di giudici, di magistrati, di capitani d’industria, di funzionari governativi, avvocati, gente preparata che viene rifiutata. La fuga della povera gente è verso gli Stati confinanti e non credo che Brasile, Perù, Venezuela, Ecuador, Panama, sopporteranno a lungo. D.: Al Bienestar Familiar asseriscono che il problema dei desplazados è temporaneo. Che ne pensa? R.: Non può essere temporaneo perché la terra dei contadini è stata presa da altri. Quando gli sarà restituita? Chi lo sa. I funzionari del Bienestar Familiar sono funzionari pubblici. Credono nel governo. E bisogna capire che in questa guerra non è il ricco che perde. D.: Il sicariato infantile. R.: Sia la comune delinquenza che la guerriglia assoldano minori per azioni criminose volte a eliminare nemici. I minori sono protetti dal nuovo codice del minore, che essendo essenzialmente di protezione, non prevede pene ma recupero per il minore che commette omicidio. Molti criminali abusano di questa tolleranza e usano i bambini per le loro azioni. Negli Usa in questo momento ci sono diciassette minori che aspettano nelle carceri la maggiore età per essere sottoposti alla pena di morte. Ma qui il minore che uccide sa che non avrà alcun carcere da scontare. Tutti i sicari dei narcotrafficanti sono minori di età. È la stessa legge colombiana che produce sicariato. Qui c’è molta impunità e l’impunità è la coltivazione della violenza e di ogni tipo di criminalità. D.: C’è guerra civile in Colombia? R.: Non è dichiarata pubblicamente ma c’è. D.: Chi comanda in Colombia? R.: Ora la paura. Il presidente non parla della guerra perché verrebbero immediatamente a cessare gli aiuti esterni. La guerriglia non farà mai la pace con lo Stato. D.: Mi può parlare della limpieza social? R.: Dati reali statistici non esistono ma sarebbero interessanti. Molti sono i ragazzi uccisi dalla guerriglia negli attacchi ai centri abitati. Sono le vittime della violenza. In Colombia non c’è alcuna forma di sicurezza. D.: Il machismo e la violenza. R.: Il machismo è finito dodici anni fa. La guerra ha fatto molte vittime in Colombia e in maggioranza tra gli uomini. Ci sono più donne che uomini. La popolazione è fatta dal 57% di donne e continuano ad aumentare perché c’è alta mortalità infantile e perché è alto il numero di uomini che si uccidono nella guerra. Non sto dicendo che l’uomo colombiano sta sparendo ma facendo riferimento ai miei battezzati devo dire che battezzo molte più bambine che maschietti. Anche se faccio riferimento agli studenti di diritto vediamo che il 90% sono donne. La violenza familiare: c’è violenza ed essa è figlia anche della miseria, perché quando non c’è da mangiare i primi a soffrire sono i figli, cui si aggiunge l’alcolismo, anche femminile, collegato alla violenza nella famiglia. C’è anche il “madre solterismo”, ossia le donne madri che vivono senza uomo e devono tenere conto di tutte le necessità. La cultura colombiana si è sviluppata in fretta ma in modo errato, prendendo il peggio dei modelli proposti dai nordamericani. Le donne che non lavorano perché non ne hanno bisogno, mandano ugualmente i figli agli asili, perché in casa il bambino dà fastidio e il bambino impara tanto bene la lezione che poi manderà i genitori in un ospizio una volta che saranno vecchi. Sono i valori che stanno sparendo in Colombia, quelli della famiglia soprattutto. La famiglia unita è sparita. Il terzo genitore in una famiglia colombiana Qual è? La televisione. Una televisione spazzatura, che propone violenza, null’altro che violenza gringa. Anche la stessa alimentazione basica del colombiano è mutata. I fagioli li facciamo venire dal Venezuela e la carne dal Brasile perché in un paese con milioni di vacche la guerriglia non permette più di fare il mestiere di vaccaio a nessuno. La classe media sta sparendo. Governo e guerriglia la stanno smembrando. Dobbiamo solo sperare che prevalga l’orgoglio della famiglia, lo spirito dei padri che ritorni, che risorga per la salvezza della famiglia. In Spagna in cinquanta anni sono state approvate solo sei sette religiose straniere. In Colombia il presidente Pastrana in un mese ha approvato settanta sette religiose straniere. Questa non è la maniera per salvaguardare i valori della famiglia, già smembrata. D.: Ci sono abbastanza matrimoni religiosi? R.: Quaranta anni fa in Colombia non si conoscevano le unioni libere. Il parroco faceva un po’ tutto e il suo primo intento era di salvare l’unione intervenendo dove poteva. Oggi la situazione di miseria e la mancanza di lavoro annientano l’unione. Però i battesimi sono in aumento, perché in questa baraonda la gente trova nella fede un valore. Anche coloro che seguono le sette protestanti vengono a battezzare i figli perché siano iscritti nei registri della chiesa cattolica. Posso dire che sono aumentati i ragazzi che entrano nei seminari e la Colombia sta dando più preti dell’Italia. intervista n. 8 funzionaria dell’ibfc. D.: Quali sono i tempi necessari per un’adozione in Colombia? R.: Normalmente sei mesi salvo complicazioni. In questo periodo di attesa il bambino viene ospitato in famiglie sostitutive appositamente selezionate dai nostri operatori sociali, in attesa che il minore trovi la famiglia che farà adozione definitiva. In queste famiglie provvisorie si fanno visite periodiche per controllare lo stato del bambino ospitato. D.: Le famiglie che ospitano i bambini ricevono compenso? R.: Non proprio. Ricevono un bonus per gli sforzi che fanno per il mantenimento del bambino. D.: Ci sono altre forme di adozione? R.: Le famiglie padrine. Sono famiglie di livello economico alto che donano periodicamente un assegno al bambino per la sua educazione in istituti normali e speciali, a scelta della famiglia che aiuta. D.: La famiglia padrina può scegliere il bambino da aiutare? R.: No. Il Bienestar decide l’assegnazione anche sulla base del programma stabilito per il bambino, perché noi lavoriamo anche sul lungo periodo. D.: Le famiglie che vogliono diventare “padrine” vengono scelte tra altre famiglie? R.: No. Esse decidono solo di aiutare un bambino, ma non hanno nessun contatto con il bambino. D.: Altre forme di adozione? R.: La famiglia amica. Esse hanno bambini con loro permanentemente, e hanno già fatto domanda di adozione e tale domanda è stata già approvata. In queste famiglie amiche si pongono bambini generalmente grandi con la speranza che i componenti la famiglia gli si affezionino e lo adottino. D.: Lei pensa che la lista di famiglie che sono disposte ad accogliere bambini è abbastanza ampia per accogliere bambini in caso di grandi calamità? R.: Noi non lavoriamo così. Quando si presenta un’emergenza, l’Alcaldia dispone gli alloggi per le famiglie che restano senza casa. D.: E se i bambini perdono tutta la famiglia nella calamità? R.: Il Bienestar li mette nelle famiglie sostitute in attesa che si trovino familiari più stretti. D.: Perché il governo sta apportando modifiche al codice dei minori del 1991? R.: Nel ‘91 si tenne conto delle disposizioni dell’ONU, ma in quell’anno non si poteva conoscere la rapida modifica della società colombiana, né si tenne conto di tutta la tipologia di bambini in stato di necessità a cui dare la protezione. Non si potevano abbracciare tutti i punti della risoluzione per il minore “disprotetto”, ma quelli più pressanti come il minore sfruttato, abbandonato, in prostituzione, abusato sessualmente, che infrange la legge, maltrattato, orfano. Le modifiche vogliono ampliare la protezione in accordo alla nuova situazione della comunità colombiana. Ci sono bambini che non rientrano nelle sette categorie di minori “disprotetti” che attualmente il codice del minore prevede. Il codice non prevede il minore “desplazado” per la violenza, minore che oggi abbiamo per la forma violenta che ha assunto la guerra nel nostro paese. Oggi stiamo cercando con una legge di non far prestare servizio militare ai minori infrattori, ma di fargli svolgere servizio sociale che è molto più produttivo per la formazione del ragazzo. D.: A quanti anni si presta servizio militare? R.: Ai diciotto anni. D.: Che cosa provoca il “desplazamiento”? R.: La violenza armata. D.: Quanti sono i bambini fuggiti dalla loro terra? R.: Le cifre dicono circa 700.000. D.: Il “desplazamiento” dal campo alla città può provocare altri fenomeni di miseria? Come si può intervenire? R.: Sì. Ma siccome la situazione è tanto imprevedibile, e il fenomeno è il risultato di scontri armati, non si sa dove avverranno i prossimi scontri e non si sa come e dove intervenire. Gli scontri potrebbero essere nel campo o nella città, ma la gente che si troverà nel mezzo tenterà la fuga e lì comincia la deambulazione per le città e nessuno aveva previsto questo fenomeno e non ci sono programmi per assistere queste persone. Il governo ha decretato in accordo all’articolo 386 per questa gente per i primi bisogni, ma gli stanziamenti non sono sufficienti. Il governo ha stabilito che a ogni istituzione dello stato competa la responsabilità del problema dell’esodo dalle terre. Ma non si è potuto tenere conto della rapidità del fenomeno e il decreto non è ancora legge e non ci sono strutture adatte alla situazione di emergenza con centri di attenzione umanitaria definitivi. Si sono unite tutte le ONG per dare appoggio ai fuggitivi ma anche queste organizzazioni non hanno grandi disponibilità o programmi. D.: Il “desplazamiento” si può avere per cause naturali? R.: Sì, però in questo caso dobbiamo parlare di “dannificati” e rientrerebbero in un altro programma. D.: I bambini “sfollati” hanno gli stessi rischi di divenire bambini della strada? R.: Non si può dire che tutti vadano a essere bambini di strada. Certo che il rischio esiste. Dipende dalla famiglia, dai mezzi di sostentamento che troverà. Molti bambini andranno al lavoro informale, lavando vetri di auto, vendendo frutta. In qualche modo si vincoleranno alla strada ma si spera non per sempre. D.: I valori della famiglia del campo sono diversi da quelli della famiglia di città? R.: Sono vincoli più solidaristici. Lo vediamo da ciò che accade ai desplazados che restano tutti uniti e si mettono a vendere qualunque cosa per la sopravvivenza. D.: Quanto durerà il fenomeno? R.: Non si sa. D.: C’è aiuto economico per le famiglie fuggitive? R.: Sì. L’IBFC ha creato appoggi per i gruppi più vulnerabili, programmi per donne incinte, per bambini minori di due anni, programmi per minori da due a sette anni. Sussidi per anziani attraverso le ONG o attraverso i municipi. Gli si da appoggio alimentare e di salute, ma il problema più grave resta l’alloggio. L’IBFC le aiuta per pagare un affitto ma solo per due mesi perché noi consideriamo le famiglie transitorie, perché esse hanno casa sulla loro terra e vi dovranno fare ritorno. D.: Le statistiche danno 9.000.000 di bambini in povertà. Sono reali? R.: In Colombia? Non hanno dati esatti. Le sue cifre sono del 1996. La situazione si è molto deteriorata. Sono aumentati. D.: Quanti bambini segue l’IBF? R.: Gli strati sociali in Colombia vanno da zero a sei. Dal basso verso l’alto. Zero, uno e due non soddisfano le necessità basiche e sono le nostre frange prioritarie. Tendiamo a coprire il 100% di queste frange ma non arriviamo a coprire tutto e ci aiutano in questo le ONG, contattate dall’IBFC della capitale. Abbiamo la Cofinanziazione, ossia che l’IBFC mette il 70% e lo stato, attraverso gli enti territoriali, il restante 30% ma bisognerebbe aumentare il supporto degli enti territoriali per distribuire più aiuto. D.: Ricevete aiuti stranieri? R.: Quando facciamo programmi di appoggio a comunità straniere, riceviamo sussidi. D.: Ad esempio? R.: Quando lavoriamo con “Save the children” o con la Caritas. Ci sono ambasciate straniere che cofinanziano istituzioni, per esempio le scuole d’agricoltura e allevamento finanziate da Olanda e Germania. D.: Se un italiano volesse aiutare l’organizzazione Convidame, a chi deve inviare il denaro? R.: Convidame è un’ONG, non interviene l’IBFC e può ricevere direttamente denaro da chiunque. Il supporter può anche decidere il programma per cui vanno spesi tali soldi. intervista n. 9 funzionaria del caima (centro atencion integral menor abusado) D.: Cos’è il CAIMA? R.: Il CAIMA è un centro per il minore abusato sessualmente. È controllato dalla “Fiscalia Nacional”. È l’unico nel suo genere ed è gestito da personale specializzato a trattare un tema delicato come l’abuso. Qui vengono i minori violentati che denunciano i loro violentatori e ricevono assistenza. Ma siamo di fronte a bambini non protetti, malnutriti, che provengono da un ceto sociale quasi sempre basso, spesso malati. Dietro una denuncia ci muoviamo con gli assistenti sociali che vanno nella famiglia dov’è avvenuta la violenza e spesso ci troviamo di fronte a patrigni, in un’abitazione dove vivono ammucchiati sei o sette figli e la promiscuità è assoluta. Noi cerchiamo di far valere i diritti dei bambini come dettato dalla legge del 1991. D.: L’abuso sessuale in quale strato sociale è maggiormente fatto? R.: Dove c’è ignoranza, promiscuità e miseria. La causa è da vedere come conseguenza delle continue unioni della madre, che passando da uomo a uomo metterà le sue figlie in presenza di un patrigno che prima o poi abuserà di esse. D.: I bambini conoscono i loro diritti. Le scuole li insegnano? R.: No. Le scuole non preparano i bambini nella conoscenza dei loro diritti. Se ci fosse un ente d’informazione e di preparazione anche per i genitori, sarebbe diverso. Manca l’informativa ai genitori che non sanno come comportarsi in caso di violenza a un loro figlio. Spesso sono i maestri che scoprono l’abuso sessuale subito da un bambino. I diritti del minore dovrebbero essere affissi in tutti gli uffici pubblici e i mass media fare più propaganda. D.: Ci sono istituzioni che accolgono le minorenni in stato di gravidanza? R.: Sono private, religiose. D.: Differenza tra maltrattamento infantile e abuso sessuale. R.: Il maltrattamento non è un crimine, l’abuso sessuale è considerato crimine. D.: Il machismo. R.: Ce n’è molto. Le donne qui sono ancora un oggetto da usare. D.: La prostituzione infantile. R.: È una piaga della Colombia. Il fatto più grave è l’assenza dello Stato che non raccoglie i bambini in prostituzione per dare loro una vita e un avvenire migliore. D.: La causa della prostituzione. R.: Bassa cultura, mancanza di affetto, miseria. D.: Ci sono studi sulla cultura del costume sessuale dell’uomo colombiano? R.: No. Nell’ultimo congresso nazionale di psicologia si è cercato di puntare sulla necessità di far cadere i tabù del sesso, di portarlo nelle scuole per la sua conoscenza, e di responsabilizzare la donna per l’uso del suo corpo. D.: I programmi del CAIMA. R.: È necessario capire la responsabilità di tutti gli enti pubblici e ministeriali per prendere più seriamente la problematica dell’infanzia, perché ogni bambino violentato oggi sarà un violentatore domani. I programmi si sostengono con i soldi e soldi non ce ne sono. Il CAIMA è l’unico istituto nel suo genere di assistenza al minore abusato. D.: L’IBFC vi aiuta? R.: Giusto se riceve qualche bambina che noi gli inviamo. D.: Perché il CAIMA non presenta progetti a enti europei per averne sostegno economico? R.: Credo che sia l’unica cosa che ci rimane data la nostra situazione. intervista n. 10 funzionario della c. r. i. D.: Come opera la CRI nel dipartimento orientale della Colombia? R.: Operiamo in tutto il piano orientale, sarebbe a dire che copriamo con i nostri interventi mezza Colombia e non solo il dipartimento del Meta. La mia zona di operazione è grande due volte l’Italia. In questo momento stiamo lavorando freneticamente per portare medicine e soccorso nelle zone di combattimento, che sono estese. D.: I gruppi che si stanno scontrando vi lasciano lavorare senza crearvi problemi? R.: Abbastanza tranquillamente. Noi diamo soccorsi a tutti, senza esclusione, a guerriglieri, paramilitari, civili. D.: Da quanti anni operate in questo campo? R.: Da circa cinque anni io personalmente, ma la Croce rossa da più di venti anni. D.: In generale, ci sono bambini tra i feriti? R.: Certamente. Oggi la guerriglia attacca in città, tra la popolazione. È inevitabile che ci siano bambini colpiti. Chi ha fortuna si nasconde dove può, ma i più colpiti sono bambini. D.: Quanti ospedali ci sono nella sua zona? R.: Due. Ripeto, in un territorio grande due volte l’Italia. Uno a Villavicencio e l’altro a San José del Guaviare. D.: Ricevete soldi dall’estero? R.: No. Ci autofinanziamo con la nostra farmacia che ha un fatturato giornaliero di sette milioni di pesos. D.: E gli aiuti internazionali? R.: Arrivano solo quando presentiamo programmi di salvataggio di bambini nelle zone di conflitto e dopo che vengono approvati a livello internazionale. D.: La CRI che iter segue per aiutarvi? R.: Si presenta un programma alla CRI, i governi e i preti delle varie nazioni mandano aiuti. I governi Svedesi e Olandesi ci stanno aiutando molto, loro accettano più rapidamente i nostri programmi ma chiedono accurati controlli di gestione. Per la zona di Antiochia, una zona con molti combattimenti, i paesi europei hanno collaborato molto per l’attuazione di programmi fatti per dare aiuto ai bambini delle aree di combattimento. Le spiego: noi raccoglievano i bambini orfani e li concentravano in locali della croce rossa, dove ricevevano assistenza medica e psicologica, dato che i bambini erano traumatizzati dalle violenze a cui avevano assistito, anche alla morte dei loro genitori. Questo programma che ebbe l’aiuto di tutti i governi europei dava attenzione integrale all’orfano e il personale che vi prendeva parte era esclusivamente personale della croce rossa. Ora i programmi sono mirati ai bambini desplazados, ma sono diversi dai precedenti, dove s’interveniva prima e direttamente sul posto di conflitto. Ora s’interviene molto in ritardo, quando già il bambino è stato portato da qualcuno nella città e già ormai vive nella strada. Bisogna dire che ora i programmi sono improvvisati all’ultimo momento. Noi raccogliamo alla meglio questi bambini e li consegniamo a istituti religiosi. D.: La CRI lavora con l’IBF? R.: L’IBFC ha i suoi programmi. Ci sono dei casi in cui lavoriamo congiuntamente. D.: Per esempio? R.: Quando raccogliamo bambini o bambine guerriglieri. In questo caso il tipo di sostegno che essi devono ricevere è particolare e qui interviene, attraverso l’IBFC, il CAIMA. Si usano mezzi della croce rossa per lo spostamento dei bambini per evitare attacchi sia della guerriglia sia dell’esercito. D.: Chi valuta l’entità dei danni di un disastro? R.: L’Alcaldia valuta. La croce rossa riparte gli aiuti. D.: Per quanto tempo vengono aiutati dagli enti statali i bambini? R.: Dall’IBF? Per tre mesi al massimo. D.: Vi è capitato d’intervenire in aiuto di comunità religiose? R.: Sì. D.: Ricevono attacchi dalla guerriglia? R.: Se non s’impicciano degli affari della guerriglia non ricevono assalti. Ci sono però le comunità di stampo americano protestante che vengono scacciate dalla guerriglia perché sospettate di essere fatte da spie della CIA. D.: C’è violenza in Colombia? R.: Dappertutto. D.: E il dialogo di pace ora in atto? R.: La guerriglia vuole parlare di pace senza lasciare di fare la guerra. D.: Come recluta i bambini la guerriglia? R.: A partire dai nove anni. Sono minori che non conoscono televisione, non si sono mai allontanati dalla fattoria, non conoscono delicatezze da mangiare. La guerriglia offre loro queste cose e poi gli chiede se desiderano tornare al campo o se restare con loro alla macchia. Cosa può rispondere un bambino? Questo è il modo più semplice. C’è l’altro del reclutamento coatto e i fucili sono più grandi dei bambini. D.: Che fa la stampa? R.: La stampa colombiana fa troppa pubblicità alla guerriglia, perché va solo a caccia di notizia, ma non vede se il governante cerca di fare qualcosa di positivo in questo combattere continuo. D.: Cosa si dice del desplazamiento? R.: Che le zone torneranno ai proprietari. Ma la gente ha imparato che l’esercito va a liberare una zona, ci resterà al massimo tre giorni e poi se ne riandrà. La gente ha capito il gioco e non se ne andrà più dalle città. La situazione qui è grave. D.: La croce rossa di Ginevra, che fa dinanzi a questa gravità? R.: Nelle zone di alto conflitto c’è una delegazione della croce rossa internazionale. Queste delegazioni intervengono dopo due o tre giorni dalla fine di ogni combattimento. Aiutano i superstiti per tre mesi e dopo niente. Quelli che non vengono più aiutati, non hanno altro tipo di sopravvivenza che il provento del rubare. Io conto più di un milione e mezzo di desplazados in Colombia. D.: Qui chi lavora nella Croce rossa? R.: Solo volontari che non ricevono un soldo. Ci sono due tipi di volontari: maggiori di diciotto anni e bambini a cominciare dagli otto anni. Qui abbiano 120 bambini che lavorano come volontari cui noi diamo i mezzi per la loro educazione scolastica, interamente a carico nostro. D.: Chi sceglie i volontari? R.: Li scegliamo noi, quasi tutti nella classe media. Abbiamo bisogno che essi sappiano leggere, scrivere, altrimenti non possono darci aiuto all’occorrenza. D.: Aiutate qualche tipologia di bambini in modo particolare? R.: I bambini di strada. Abbiamo ambulanze di pattuglia notturna che vanno nei quartieri poveri a dare aiuto. D.: Quante ambulanza avete? R.: Abbastanza. Ci sono state donate da paesi europei. Con questi mezzi ogni notte andiamo di pattuglia. D.: Di notte quante ambulanze sono in servizio per i bambini di strada? R.: Tre o quattro. In aiuto al drogato e alla donna in pericolo. È molto complesso lavorare con i ragazzi della “gallada”, difficilmente essi escono dal gruppo, che è composto di ragazzi di età dai dieci ai venti anni ed è un gruppo misto. Dobbiamo andare noi. In maggioranza si feriscono per liti. Ma ci sono anche malattie veneree. D.: Quanti aerei di soccorso avete? R.: Due. Sequestrati alla guerriglia. Gli unici in tutta la Colombia. intervista n.11 ginecologa di un centro pro famiglia- villavicencio. D.: Pro famiglia è la sua organizzazione. Che cosa fa? R.: È un’organizzazione privata, riconosciuta a livello mondiale, che tratta tutta la problematica della famiglia. Progetta, presenta, amministra e dirige i differenti programmi necessari per le molteplici problematiche della famiglia. D.: In questo centro medico in cui ci troviamo ora, quale programma è attuato? R.: Pianificazione familiare e sessualità. D.: La problematica delle ragazze incinte che vengono presso questo centro di assistenza. R.: Il centro apre una cartella clinica per iniziare il rapporto di assistenza alla ragazza. Molte ragazze vengono qua per il timore di essere incinte e qui si fanno i test di gravidanza. Se risulta una gravidanza si cerca di trovare la soluzione migliore, ossia capire se la ragazza vorrà tenere il bambino o rifiutarlo dopo la nascita. Se la ragazza ha una famiglia noi cerchiamo di fare da intermediari per far sì che la ragazza possa avere comprensione dai suoi familiari. Certo non possiamo parlare di aborto perché la legge lo vieta, ma non tutte le ragazze che vengono da noi portano a termine la gravidanza. D.: Di che classe sociale sono le ragazze che vengono presso questo centro? R.: Classi basse. D.: L’età media? R.: Tra quattordici e sedici anni in maggioranza. Ce ne sono anche di più piccole e qualcuna maggiorenne. D.: La maternità di esse è volontaria o involontaria? R.: Involontaria, per completa ignoranza dei metodi contraccettivi di entrambi, maschio e femmina. In molti casi la ragazza cerca il rapporto sessuale come rifugio, per mancanza di affetto in famiglia, come unico modo per ricevere affetto. D.: Mi parla dei casi di abuso sessuale? R.: Da noi si presentano pochi casi di ragazze abusate sessualmente. La maggioranza di quelle che vengono da noi sono già attive sessualmente da tre anni o più. Il CAIMA si prende cura degli abusi sessuali. Chi ha subito abuso sessuale passa prima per la Fiscalia, la medicina legale, la polizia, poi va al CAIMA. Se qualche ragazza violentata viene da noi, passiamo il caso alla “Comisaria de Familla” che seguirà poi l’iter previsto. Per l’abuso sessuale quasi sempre è la famiglia a sporgere denuncia alla magistratura. In molti casi che noi abbiamo seguito di gravidanza prematura si è visto che le ragazze sono state violentate dai patrigni o da vicini di casa. D.: Che educazione hanno le ragazze? R.: Ottavo, nono grado. (seconda, terza media, N.d.A.). Ma non è escluso che vengano ragazze universitarie. D.: C’è educazione sessuale nella famiglia colombiana? R.: No. Dal 93 si sta cercando d’inserire nelle scuole l’educazione sessuale. I genitori temono di parlare di sessualità in famiglia perché essi stessi non hanno avuto alcuna educazione in merito e non sanno come affrontare il tema. Il ministero dell’educazione fu d’accordo a inserire nelle scuole l’educazione sessuale, ma il problema è che bisogna educare prima i professori perché la possano insegnare. È importante arrivare a parlare la stessa lingua quando si tratta di educazione sessuale, perché il maestro molte volte è la prima persona che può rilevare un abuso sessuale subito da un bambino. Siamo però in una fase di transizione, dove si cerca di canalizzare questa educazione sessuale, perché prima c’era il tabù e dopo si è cominciato a parlare liberamente di sesso, e il ragazzo crede di essere emancipato con queste nozioni e pensa di fare sesso liberamente. D.: Dov’è che più manca educazione sessuale? R.: A tutti i livelli. Ora stiamo costatando che molte di queste gravidanze sono frutto d’informazione sessuale incontrollata. D.: L’aborto è vietato in Colombia? R.: Sì. Ma si fa e questo è il punto grave. Non sappiamo che succede alla ragazza una volta uscita da questo centro, dove va e che ha deciso nella sua testa. Se ha deciso di abortire andrà in qualunque posto facciano aborto clandestino che è la causa più elevata di mortalità di ragazze incinte. D.: Dati non ufficiali danno circa 450.000 aborti annuali. Sono reali? R.: Sì. D.: Che succede alla ragazza incinta che resta nella famiglia? R.: Ugualmente avrà di fronte la scuola, gli amici, la società. Le conseguenze di una gravidanza non pianificata. La ragazza può essere cacciata da casa, o ci sono casi di coppie di genitori che si colpevolizzano vicendevolmente e la coppia entra in crisi conflittuale. Un altro problema avviene nella scuola, dove gli stessi professori, per il buon nome della scuola, invitano la ragazza a cambiare scuola, pertanto molte ragazze nascondono la gravidanza fino al settimo mese. I ragazzi che mettono incinte le ragazze non sono responsabili della loro paternità e dicono alla ragazza che il problema è esclusivamente suo. Molte vivono così una situazione di maternità completamente sole, respinte dal ragazzo, dai genitori, dalla società. D.: I provvedimenti della legge in questi casi. R.: Molta burocrazia e poco, di fatto, all’atto pratico. Noi forniamo alle ragazze un decalogo che le informi dei loro diritti in modo che sappiano cosa fare nella situazione e questo decalogo lo distribuiamo anche nelle scuole. Noi organizziamo incontri anche tra ragazzi di diverse scuole per dibattiti su questo tema. D.: Qui le ragazze arrivano volontariamente? R.: Sì e di tutte le classi. D.: Che tipo di assistenza medica procurate? R.: Di natura ambulatoriale. Non siamo attrezzati per interventi. Per casi di una certa gravità inviamo le ragazze agli ospedali pubblici. D.: Le ragazze gamines vengono presso il vostro centro? R .: No. Siamo noi che andiamo da loro, in genere presso i centri che alcune ONG come Convidame organizzano nei quartieri poveri. D.: Avete programmi per le ragazze vittime del desplazamiento? R.: Stiamo preparando un programma a basso costo per orientarle e aiutarle. Il programma è stato portato avanti con l’aiuto di un privato. Questo mese finirà l’aiuto e non sappiamo se il programma proseguirà. Il desplazamiento oggi riguarda tutta la Colombia e mancano fondi per i programmi su vasta scala. D.: Come vi giungono gli aiuti per i programmi? R.: Presentando progetti anche all’estero attraverso la direzione generale di Bogotà. D.: Come scegliete i possibili donatori? R.: Ci sono gruppi di persone all’estero che ricevono i nostri programmi, li valutano e poi assegnano un donatore. La nostra organizzazione lavora con le ragazze da più di trentacinque anni e quest’anno le è stato assegnato un premio in denaro che ci aiutato. Abbiamo vinto il premio perché abbiamo abbassato l’indice di natalità. Siamo al secondo posto nel mondo come organizzazione mondiale per la pianificazione delle nascite. La nostra è un’entità privata e non abbiamo nessuna relazione con l’IBFC I nostri contatti con l’IBFC sono unicamente per la pianificazione. Abbiamo preparato negli ultimi due anni 2600 ragazzi e ragazze sulla pianificazione, sull’educazione sessuale, sull’orientazione e sono stati mandati a educare persone in altri centri. D.: Che relazioni ci sono tra la vostra organizzazione e lo Stato? R.: Lavoriamo con il ministero dell’educazione e della salute e facciamo dei convegni con il loro personale. È stato fatto nel 1993 un decreto governativo per inserire nelle scuole pubbliche l’educazione sessuale. Però il problema sta in chi insegna la materia, perché, come ripeto, non sono sufficientemente preparati. Il nostro programma si è potuto sviluppare solo dopo gli incontri con giudici, avvocati e commissari di famiglia perché con loro si è creato un solo punto di vista ed è stato ottimizzato il modo di fare propaganda e lavoro. Se ad esempio viene da noi una madre maltrattata, noi, Pro famiglia, possiamo oggi iniziare una denuncia e subito si apre il processo, senza attesa di tempi lunghi come succedeva prima. Noi abbiamo creato una rete di servizi, ampliato le conoscenze dei nostri servizi presso i vari enti e ogni ente sa quello che facciamo, cosa succede presso di noi e cosa noi vogliamo che essi facciano per noi. La recente legge 360 parla della libertà sessuale e della dignità umana e le sanzioni previste. La recente legge 294 parla della violenza familiare. Oggi si cominciano ad applicare per i diritti della donna e del minore. D.: Ci sono centri di accoglienza per ragazze prossime al parto e senza famiglia? R.: Sì. A Bogotà. I nascituri vanno subito in adozione se la madre fa subito rinuncia. Parliamo del CRAN. intervista n. 12 funzionaria dell’ong fes (fundation estudios superiores). D.: Quali sono i problemi dell’infanzia di strada in Colombia? R.: Non si può solo parlare dell’infanzia di strada, del gamin come si diceva anni fa. La problematica infantile è multiforme e va vista nella sua globalità e gravità. Io sono preoccupata per il suo lavoro perché il mio timore è che lei non riesca a focalizzare l’aspetto di questa vasta problematica che è tuttora l’infanzia colombiana. Vorrei però pregarla di non dimenticare che dietro l’infanzia sofferente ci sono uomini e donne che lavorano seriamente per aiutare i bambini. Non approvo ciò che è già successo in passato, quando operatori di televisioni europee si sono rivolti alla nostra organizzazione per fare dei reportage, ma non sono stati chiari, anzi! Venire qua in Colombia per filmare la miserevole condizione di alcuni quartieri della città, presentare in Europa la tragica realtà dei bambini e fare ciò solo per avere un servizio televisivo che faccia effetto sulla massa, noi non possiamo che biasimarlo. Le ricordo che dietro ogni bambino che soffre c’è un gruppo di persone che lavora per lui e pertanto il lavoro di queste persone va rispettato aldilà degli interessi privati di ogni giornalista o ricercatore che si rivolge a noi. I lavori e gli studi fatti in passato sul gaminismo erano fatti nell’ottica dell’assistenzialismo, direi: poverino il bambino povero! Ma i tempi sono mutati e il problema infantile è molto grave. Ora rispondo alla sua domanda circa gli orfani di questa guerra. Non ci sono statistiche di orfani di guerra. Né abbiamo statistiche sugli abusi sessuali perché le denunce fatte non rappresentano la totalità dei casi di abuso sessuale. Tanto meno abbiamo statistiche sull’aborto, perché l’aborto è proibito per legge in Colombia. Se io faccio un aborto sarò l’ultima persona a denunciarlo e il medico che lo pratica sarà l’ultimo anche lui. Gli aborti clandestini dichiarati sono quelli che si mutano in processi di setticemia e che finiscono perciò in un ospedale, ma sono quelli delle ragazze povere, perché chi può pagare va in clinica privata o a Miami. D.: L’aborto è illegale? R.: Totalmente. È permesso solo per ragioni mediche. Ma il problema è: chi è che deve stabilire queste ragioni mediche. D.: La gravidanza che origina da una violenza sessuale può essere interrotta? R.: No. È assurdo ma qui è così. Il progetto dell’America Latina è far si che vengano rispettati i diritti dell’infanzia, di tutta l’infanzia, indipendentemente dal fatto che i bambini siano ricchi o poveri. Non ci possiamo fermare a dire: poveri bambini. No, dobbiamo lottare perché siano rispettati e garantiti i loro diritti. Il nocciolo sta nel continuo attualizzare le problematiche in ragione dell’evolvere di una situazione. D.: Oltre i progetti fatti per i bambini, ci sono progetti fatti per la famiglia? R.: La famiglia e lo stato sono corresponsabili del benessere del minore. Ogni ONG è specializzata in una data problematica. Ci sono ONG che lavorano sulla famiglia. I bambini soffrono di maltrattamento in ogni classe sociale. Non è solo un fatto economico. Sarà un differente tipo di maltrattamento, ma esiste. Nella prostituzione lavorano ragazze ricche e povere. Questo è un problema sociale e non possiamo criminalizzare la povertà. Non si può affermare che un episodio accada solo perché la gente è povera. Un fatto accade per mancanza di educazione, di cultura, di gestione della famiglia. Bambini sfruttati, lo stesso! Li abbiamo in classe bassa e classe media. Diverso tipo di sfruttamento ma pur sempre sfruttamento. Orfani di guerra ne abbiamo moltissimi, per la guerriglia, per il narcotraffico, per la violenza, per la miseria. Abbiamo bambini desaparecidos, bambini desplazados dal conflitto, di ogni classe sociale. Questo è il motivo per cui io non volevo che lei si soffermasse solo sullo studio del gaminismo, uno studio già iniziato venti anni fa, ma la situazione del gamin continua uguale con l’aggiunta di nuove problematiche. La situazione sociale da venti anni non è migliorata, è peggiorata. D.: Quanti tipi di progetti per l’infanzia ci sono? R.: Molti. Per ogni problematica che tocca il minore. Ma i problemi sono più grandi delle istituzioni e delle persone che lavorano a questi progetti. D .: Si ottengono buoni risultati con i progetti? R.: Sì, ma come ripeto i problemi che abbiamo in Colombia sono più grandi delle stesse istituzioni. Noi avevamo progetti per i quali venivano stanziati 200 milioni di pesos, ma erano insufficienti e per questo la nostra ONG si fonde con la Restrepo Barco. Noi facciamo statistiche, indagini, non lavoriamo direttamente con i bambini. Noi lavoriamo con istituzioni che lavorano con i bambini. D.: Si sa quanti soldi dà Unicef alla Colombia, per i bambini? R.: No, impossibile saperlo perché nessuno lo dice. Unicef non lavora con lo stato colombiano; il governo non c’entra. Unicef lavora attraverso organismi non governativi. L’aiuto dipende dai paesi stranieri. Ci sono progetti finanziati da molti paesi europei. Neppure c’entra l’IBFC. Il denaro arriva direttamente alle ONG. Noi sappiamo che la Colombia è un paese sottosviluppato e che riceviamo assistenza da altri paesi, ma uno straniero che viene qua non può capire subito la problematica e noi non abbiamo solo bisogno di soldi ma pure d’idee. D.: Il desplazamiento crea altri bambini di strada? R.: Chiaramente. D .: Quanto durerà questo fenomeno? R.: Dieci anni? Chi lo sa. D.: L’abuso sessuale su ragazza minore. R.: È un problema primariamente culturale. Noi avemmo l’invasione spagnola, che non fu solo conquista di terra, ma anche di donne. La cultura tramanda certi modi di fare, di trattare la donna come oggetto e l’abuso accade sia nel campo sia nella città. Siccome si pensa che i bambini non sono importanti, di loro si fa ciò che uno vuole. Ma non è solo problema della Colombia. La donna fino a poco fa non era valutata. La violenza, la prostituzione, eccetera, non passano per un solo fattore, ma ci sono molte cause che non sono solo economiche, ma sociali, culturali, isteriche e altre. Per un investigatore sociale è difficile l’indagine se egli non vive dentro la stessa problematica che vuole studiare. La comparazione delle scienze esatte e delle scienze umanistiche non è facile. D.: Che succede a un progetto quando cambia il politico di turno? R.: Nel settore pubblico più che nel privato, quando cambia il capo, il progetto esistente va a morire. Ma si deve riconoscere che il paese è più maturo che in passato e ora ci sono delle proteste. intervista n. 13 direttore di ong missionaria (Bogotà). D.: Quale approccio adoperate con i bambini di strada? R.: Il metodo più naturale è l’amore. Se un bambino raccolto da noi nella strada e portato nella nostra sede non volesse restarci, noi lo lasciamo andare, con gran dolore ma lo lasciamo andare. Con l’amore abbiamo mutato il carattere di bambini molto aggressivi, di strada. Molti bambini presi nella strada, ritornano alla strada se non sentono che si da loro amore e non solo un alloggio o una scodella di zuppa. Noi diamo loro un ambiente personalizzato, a loro misura. Lavoriamo con la psicologia, tentiamo di fargli capire che la sua situazione, quella della strada non è una situazione di normalità come lui crede. Essi non hanno idea del tempo, noi cerchiamo di posizionarli nel tempo e di far loro comprendere che c’è un futuro, un futuro che li attende. Qui lavoriamo in équipe e le valutazioni di ogni singolo bambino sono fatte da più educatori. Il nostro metodo pedagogico si basa molto sul lavoro manuale e artistico che tenga molto impegnato il bambino. Li educhiamo in maniera che essi si sentano partecipi della comunità, e facciamo sì che essi lavino il loro piatto, la loro biancheria, che rifacciano la mattina il letto. Non usiamo il castigo. Ogni bambino ha una sua diversa problematica e il nostro lavoro consiste nel tentare di comprenderli. In Colombia pochi si attendevano un aumento così grande dell’indigenza che colpisce soprattutto i bambini. Stanno cambiando i valori umani. Se da un lato sta aumentando la vulnerabilità, da un altro sta aumentando la sensibilità verso il problema. Si è creato un senso d’incertezza verso il futuro per una generazione di bambini che sta in fase di crescita. Le differenti forme d’indigenza sono parte della sintomatologia della crisi che viene crescendo nella popolazione. Questo è un problema che riguarda tutti, ma in particolare i bambini. Data la loro situazione naturale, psicologica e sociale, il loro stile di vita, nella miseria, si converte in un’alternativa di sostentamento e sopravvivenza, vedendosi obbligati a delinquere e ad assumere sostanze allucinogene che li configurano nell’ambiente in cui vivono. Sono bambini disorientati e rifiutati dalla società, invischiati in atti delinquenziali, essi sono soli o in bande e formano una popolazione in aumento dato il desplazamiento fatto dalla guerriglia nelle zone di conflitto. Le famiglie del campo scappano verso le città e aumentano il numero delle persone in miseria perché le città non offrono protezione, né il minimo per sopravvivere degnamente. L’equilibrio sociale si sta rompendo, i bambini tra cinque e quattordici anni, bisognosi, sono aumentati nell’ultimo anno del 30%. Questa crescita sarà parallela all’aumento della violenza nelle zone povere della città. Se continuerà così, la futura società sarà formata in buona parte da uomini violenti e risentiti. Nella sola Villavicencio abbiamo 32000 bambini in povertà e 7600 in miseria. Secondo il dipartimento di medicina legale a partire dai cinque anni le lesioni ai bambini sono al primo posto come causa d’infortunio, data anche l’assenza permanente o temporanea dei genitori e la mancanza di responsabilità di molti di questi ultimi che li sfruttano a ogni livello, per lavoro e per prostituzione e creano nei bambini rancori e risentimenti fino a che non scappano dal locale dove alloggiano. I giovani che sono nella delinquenza nascono in frange sociali che non hanno avuto spazio per la partecipazione e il riconoscimento sociale, non sono riconosciuti come soggetti che hanno una loro identità di vita. Le circostanze associate con la problematica della violenza giovanile sono la mancanza di accesso e l’esclusione; la delusione che viene dalla scuola; la condizione di disimpiego; la povertà; le scarse prospettive d’integrazione al mercato formale che permetta livelli degni di ubicazione psicosociale; di efficienti possibilità socioculturali che permettano l’apertura verso la società e l’interiorizzazione di norme e valori. Tutto ciò si associa alla crisi familiare, educativa, economica, ideologica se dobbiamo tenere conto della presa che ha fatto il narcotraffico nella società. Altro punto sono le atomizzazioni e frammentazioni sociali nei livelli istituzionali dei differenti quartieri, scuole, municipi che implicano la mancanza d’integrazione della comunità, un basso livello di autostima, d’immaginazione sociale, di sicurezza sociale e psichica di ogni persona. Manca interrelazione e maniera di comportarsi come un’unica società. I concetti predominanti sono escludenti e stigmatizzanti e producono comportamenti intolleranti e schemi mentali erronei. Manca una sana competitività fra i giovani. D.: Perché la vostra organizzazione non vuole divenire un’ONG? R.: Perché vogliamo autonomia e perché abbiamo una visione evangelica. Apriamo i nostri centri dove vediamo la necessità, poiché quelli dell’IBFC non sono assolutamente sufficienti. D.: Gli operatori che lavorano con i bambini di strada sono abbastanza motivati? R.: Sì. D.: La crisi familiare. R.: Nella famiglia c’è più crisi di qualche anno fa e molto è dovuto alla situazione che sta attraversando tutto il paese. D.: Le cause che originano il bambino della strada? R.: La decomposizione familiare che a sua volta dipende da cause molteplici, come le condizioni sociali ed economiche. C’è anche, come detto, lo sfruttamento degli stessi genitori verso il bambino. A ciò non sono estranee la mancanza di cultura e l’ignoranza delle persone. D.: Si può intervenire prima che il ragazzo diventi delinquente? R.: Andargli incontro nella strada con amore e farlo partecipe di tutto. D.: L’IBFC aiuta più il bambino della strada o il bambino nella strada? R.: Il bambino della strada è molto più difficile del bambino nella strada. Richiede più lavoro e maggiori spese. Il bambino nella strada ha pur sempre un padre e una madre, e in qualche modo la sera torna presso i suoi familiari. Il bambino della strada ha perso ogni legame con la famiglia di origine ed è molto difficile dargli un’educazione. La parola gamin non si usa più. Sono bambini, minori che vanno visti come esseri umani, non come oggetti di protezione ma come esseri di protezione. Sono prodotti dalla miseria, dalla mancanza di lavoro, dalla mancanza di cultura, dalla scarsezza di valori, dalla famiglia distrutta, dalla disattenzione politica. D.: La sensibilità delle persone dinanzi ai problemi dell’infanzia? R.: La gente vede nel gamin un ragazzino cui fare beneficenza, ma il gamin deve apprendere, attraverso noi, a guadagnare le cose di cui ha bisogno, non a elemosinare o a rubare. Altre persone hanno paura del gamin, alcuni chiamano la polizia. C’è violenza verso il gamin, perché la stessa legge ha atteggiamento punitivo verso il gamin. I mezzi di comunicazione lo presentano come oggetto di commiserazione, non come entità con diritto umano. Il codice del minore approvato nel 1991 stabilisce i diritti del bambino, ma siamo ancora lontani. D.: Quale caratteristica deve avere un progetto per bambini? R.: Che sia un progetto che dia appoggio integrale al minore. Integrale vuol dire completo e per lungo periodo, per tutte le sue necessità, non solo per la minestra per un mese. Appoggio integrale che stabilisca valori sociali, religiosi, fisici, spirituali ecc. intervista n. 14 Giornalista. D.: Come vede la situazione politico-sociale in Colombia? R.: Una domanda molto complessa. Primo: la corruzione. Secondo: il conflitto armato. La corruzione intesa come l’incapacità dello Stato di garantire il sostentamento minimo alla popolazione. I politici guardano più agli interessi privati che a quelli della nazione. C’è una debolezza nella classe dirigente che non risponde alle direttive dello stato. C’è un compromesso individuale che accentua il problema della corruzione. I politici prendono beni dello stato per loro e non li usano per i cittadini. Altro problema è il conflitto armato che dalla decade degli anni 70 alla decade degli ottanta si è acutizzato, passando dalla sola guerriglia alla presenza di un altro gruppo armato di difesa privata, che è conosciuto come paramilitarismo. Abbiamo due eserciti di guerriglia, uno di paramilitari e uno dello stato. È un conflitto molto complicato che sta interessando tutta la Colombia e porta con sé miseria e morte. C’è paura, in città come nei campi. La gente che si schiera da un lato viene massacrata dall’altra fazione. D.: Le ONG riescono effettivamente ad aiutare i bambini in stato di miseria o di abbandono? R.: Non sono sufficienti gli aiuti portati con i loro programmi perché ogni giorno il conflitto diviene più grave. Aumentano i desplazados. La gente arriva alle città ma non ci sono strutture adeguate ad accoglierli e l’IBFC non ha mezzi per tutti. D.: Il suo giornale ha mai proposto un programma per aiutare i bambini desplazados o sensibilizzare l’opinione pubblica? R.: Pubblichiamo articoli sul problema. È che la gente si abitua alla violenza, a vedere la miseria. I notiziari televisivi propongono continuamente violenza e la gente ci fa l’abitudine. Abbiamo collaborato con Convidame per promuovere il loro lavoro e raccogliere del denaro per i bambini. Quando usciamo con un articolo umanitario lo facciamo disinteressatamene, ma non posso dirle quanta gente risponde al nostro appello e quanti soldi arrivino a Convidame. D.: Che pensa della famiglia colombiana? R.: La famiglia è diversa per molti aspetti, ma in questo momento la maggiore preoccupazione è la crisi economica. Molte famiglie si spaccano per andare in cerca di lavoro, chi da un lato chi dall’altro, inclusi i figli che devono collaborare per il sostentamento della famiglia. D.: Che diritti ha una bambina in prostituzione? R.: C’è il codice del minore. Ma c’è anche il tramite giuridico che è molto lento e complesso, con molta burocrazia. È tutto scritto ma è tutto di difficile attuazione, specialmente in quei casi in cui si dovrebbe intervenire subito. Molte volte le bambine sono ignoranti e non conoscono i loro diritti, ma anche nelle loro famiglie non si conosce il diritto. I difensori del popolo sono disponibili per accogliere le denunce. C’è anche assenza dello stato nel difendere queste ragazze. D.: La principale violenza contro le bambine da chi proviene? R.: Dai patrigni e dall’ignoranza. Maltrattate e violentate nella famiglia. Anche il conflitto armato fa danni principalmente ai bambini. Spesso i bambini vengono usati come scudi umani in una lotta incontrollabile. Sono anni che c’è guerra e siamo abituati a vedere e a sentire questi fatti. D.: C’è volontà nel processo di pace in atto? R.: Non vediamo un reale interesse della guerriglia a terminare con la guerra. Speriamo. Forse si arriverà alla pace. intervista n. 15 magistrato della procura di stato. D.: Mi parla dell’aiuto ai bambini di strada? R.: Il fattore più importante è la preparazione delle persone che devono lavorare con dei bambini. E mi riferisco a tutti. Non si può né si deve usare la violenza. La formazione dei maestri è importante in questo momento che viviamo, con i problemi che abbiamo. L’insegnamento deve formare l’uomo colombiano già nella scuola. Ma si deve cominciare dai maestri. Sono stati fatti progetti di autoformazione per i maestri, come quello di Teresa Armento per conto dell’Università Cattolica, ma i progetti spesso non vanno a termine per mancanza di fondi. In Colombia c’è molta violenza. Molti, nascendo e crescendo, nelle stesse famiglie, ricevono violenza e poi da adulti non sanno che ridare violenza. Nelle forme di maltrattamento infantile si riconoscono anche quelle credute educative. I genitori, nello strato medio basso, non conoscono altro metodo e per loro è naturale che sia così. I bambini vedono la realtà in maniera diversa dagli adulti. Per loro, il castigo dei genitori può essere accettato in una logica pre- interiorizzata, e lui stesso, il bambino che vive in un dato ambiente sociale, si dà una sua ragione del castigo che gli è inflitto. Quando si vuole intervenire a modificare questi atteggiamenti, bisogna farlo con molta attenzione, perché si possono spezzare degli equilibri che si sono formati nella famiglia. Un bambino che vede il padre preso dalla polizia (perché ha picchiato il figlio), né può avere un trauma più grave di quello che gli potrebbero procurare le botte. Una casa fatta con il fango e il cartone è un’oscenità per noi, ma per un bambino la cui famiglia non possiede altro, quella capanna è la sua casa e lì dentro il bambino si sente protetto più che in una scuola dove gli fanno pesare la sua condizione. Si deve fare attenzione ai progetti che poi s’intendono applicare su larga scala. Prima di fare ciò sarebbe necessario vivere più da vicino con queste persone, con questi bambini bisognosi, per non soffocarli con le varianti alla loro vita che porterebbero i programmi. Un progetto deve essere completo per avere un buon esito, ma il governo non dispone di bilanci tali che permettano l’attuazione di programmi che abbraccino tutto lo sviluppo di cui necessità la nostra società. Mancano la preparazione e l’organizzazione dove magari arrivano i soldi per portare avanti un progetto. D.: Qual è la soluzione? R.: Una democrazia dove tutti imparino i loro diritti e tutti imparino i loro doveri. D.: Una soluzione per i bambini di strada? R.: L’IBFC propone progetti che hanno durata di sei mesi. Non si può lavorare con i bambini di strada su questi tempi così corti. Servono tempi più lunghi. I processi umani di comportamento richiedono di molto tempo. La socializzazione si fa con la ripetizione e poi ancora con la ripetizione. Il progetto di padre Nicolò ci ha dimostrato che solo la metodologia adeguata dà dei risultati. Ma padre Nicolò lavora da moltissimi anni e i suoi progetti sono sul lungo termine. Quando un gamin va da padre Nicolò e questi lo educa e lo porta a conseguire una laurea, anche se capita che il labeling continui a marchiare il giovane laureato con il suo passato di gamin, e che il giovane non trovi impiego, è l’intervento dello stesso padre Niccolò a trovargli un impiego. Ciò ha richiesto un lavoro e un’organizzazione trentennale, ma dà buoni risultati. D.: Perché lo stato non adotta il modello di padre Nicolò? R.: Perché padre Nicolò ha dato tutto. Lo stato no. Qui c’è molta corruzione. Nei programmi per bambini non c’è nulla da guadagnare, si tratta di dare. E perciò interessa poca gente. I politici hanno interesse nei programmi a breve termine, il cui periodo non superi il loro mandato e ciò per ovvie ragioni di opportunismo. In Colombia è molto facile per un genitore che non ha lavoro avere problemi con la giustizia. Dove andranno i figli di queste persone? L’IBFC non è un ente educativo. La sua natura è repressiva, perché i funzionari non sono sufficientemente preparati per educare, quindi si viaggia verso la repressione. I bambini presi in consegna dall’IBFC dopo un poco scappano. Dove vanno? A dare sostegno alla loro famiglia, poiché il genitore è in carcere. Che lavoro faranno? Furto e prostituzione, le vie più facili per arrivare a un guadagno sicuro. L’ultimo drammatico caso del serial killer di bambini, centoquaranta in pochi mesi, rivela che la maggior parte di questi trucidati erano nella prostituzione per sostenere la famiglia giacché il padre era in carcere o senza lavoro. Il sistema giuridico non è adeguato per la protezione del bambino. Se un genitore esce dal carcere, di certo non troverà un lavoro onesto, dati i suoi antecedenti. Cosa potrà dare come insegnamento al figlio? Il bambino apprende una regola: che delinquere è un modo per sopravvivere. Apprende dal padre che la sanzione ricevuta dalla legge è principalmente restrizione del diritto civile e politico. L’infrastruttura giuridica non è adeguata a riabilitare né l’adulto, né a dare protezione al minore. D.: La sensibilità della gente di fronte al problema dell’infanzia. R.: Non c’è opinione in merito. La società cerca principalmente protezione per se stessa, dato il contesto. Ha paura di parlare di certi problemi. Manca la coscienza sociale. Si usa spostare in massa, con dei pullman, i gamin da una città all’altra, ma questo non risolve il problema. La Colombia è una e il problema pure è unico. D.: C’è guerra civile in Colombia? R.: Sì. Le disparità sono troppo grandi. Oggi lo stato ha iniziato un dialogo con la sovversione. Perché? Perché è uno stato con molti problemi e deve sedere al tavolo con i guerriglieri perché non ha altra scelta. La Colombia è in guerra da molti anni e sarà difficile estirpare la violenza poiché essa ci viene come eredità. La gente si sente indifesa e ci sono diverse manifestazioni di risposta a certi stimoli che provengono da tutta una serie d’interrelazioni sociali. Per esempio, le donne del ceto basso fanno molti figli perché esse, facendo figli con uomini diversi, si sentono protette e garantite, perché non hanno altro sostentamento. Nella classe alta la natalità è bassa. Nella classe bassa non ci si fanno domande prima di procreare. Si fanno i figli naturalmente e basta. Più cultura hai e più pensi. Meno cultura hai e meno pensi ai problemi che ti circondano. Qui, da circa due anni, la chiesa ha iniziato a sensibilizzare la donna affinché pianifichi le nascite e non metta altri figli nella miseria. Però per un curato di campagna non è facile fare questo tipo di propaganda. Come fa a dire a una contadina di fare pochi figli, se nel campo le braccia servono e la mortalità infantile è altissima. Nel campo dove, la contadina, che avesse un rapporto sessuale con il profilattico, sarebbe capace di pensare che sta commettendo aborto. D.: Ha qualche cifra riguardante l’aborto in Colombia? R.: I dati, i 500.000 aborti di cui si parla, sono della classe alta. La classe bassa non si rivolge alle cliniche, ma lo fa in clandestinità. Non concedere l’aborto è violare i diritti della donna quando la gravidanza non è desiderata. Le bambine qui restano incinte molto precocemente. Molti genitori della bambina puerpera, danno il loro nome al nascituro che così viene a essere il fratello e non il figlio della bambina che l’ha partorito. Ma ciò snaturalizza i ruoli dei componenti la famiglia. L’aborto clandestino procura danni sia alla ragazza sia alla stessa società, perché la donna che fa l’aborto si carica di risentimento verso la società. I giovani non hanno educazione sessuale perché non gli viene data, ma si pretende da loro la responsabilizzazione di fronte a una gravidanza che magari non è voluta. Il problema dove si gonfia? Il primo aborto si può capire: la famiglia aiuta la bambina a farlo. Ma al secondo aborto la problematica non riguarda più il ginecologo che pratica l’aborto. Siamo prossimi alla prostituzione e quindi sarebbe necessario l’intervento di uno psicologo. Spesso è la famiglia che decide se la bambina deve avere o no il figlioletto, il giovanissimo padre non viene interpellato e anche qui si sbaglia, in quanto si violano i diritti di divenire padre, ove desiderato. D.: La ragazza che resta incinta è protetta? R.: Non molto. Spesso è cacciata di casa per vergogna. Da parte della famiglia del padre-bambino viene affermato che è stata la ragazzina a sedurlo. A tal punto la ragazza madre ha già un figlio senza futuro, perché non ci sono istituzioni che accolgono la ragazza madre. D.: Cosa mi può dire dei bambini nella guerriglia? R.: La gioventù colombiana si sta esaurendo. La guerra ne richiede molti. Nella guerriglia ci sono ragazzi di tredici anni. A noi mancherà una generazione. Molta gente è scappata fuori dalla Colombia, soprattutto i professionisti e i loro figli. Per paura. Si spera in un cambiamento, si spera che la pace vada in porto, si spera che i politici corrotti vengano perseguiti, si spera che la narcoguerriglia termini. intervista n. 16 psichiatra infantile. D.: Qual è la sua opinione sul gaminismo? R.: È un fenomeno principalmente dovuto all’immigrazione. Riguarda le grosse città dove la gente della campagna si è rivolta e dove non ha trovato inserimento, finendo nel cinturone della miseria. Come risposta al fenomeno del gaminismo, una delle più violente è stata la “Mano nera”, un’operazione di pulizia sociale che elimina fisicamente i gamines. Il gaminismo non nasce con una città. Il gaminismo è un fenomeno importato, dalla campagna o da un’altra città per opera delle squadre di “pulizia”. D.: La salute mentale nei bambini delle famiglie povere. R.: La gente povera si da conto di avere un bambino con problemi solo quando questi inizierà ad andare alla scuola dell’obbligo, quindi verso i sei anni. I poveri non possono mandare i figli all’asilo, quindi una diagnosi precoce non è possibile. Sono i maestri ad accorgersi che qualcosa non va nel bambino. Si trovano di fronte a una creatura aggressiva, che non rende, che è difficile da controllare. I genitori non si accorgono del dramma del loro figlio. Spesso nelle famiglie che abitano lontano dalla città, le visite mediche non sono usuali. Non è raro che i genitori chiudano il bambino in una gabbia per evitare che si provochi ferite o che lo stesso aggredisca i fratelli o i vicini. Nel nostro dipartimento esiste un solo reparto psichiatrico che può accogliere bambini affetti da psicosi o altre sindromi. Ancora: abbiamo problemi con le comunità indigene. Non accettano bambini che subiscono mutilazioni. Essi vengono abbandonati nella giungla. Quando sono portati qui, per noi inizia un doppio lavoro: prima con il bambino e poi con la sua tribù affinché lo riaccolga. D.: Il maltrattamento infantile. R.: La parte più grave è la non assistenza del minore. La legge protettiva esiste sulla carta, ma mancano i soldi per fare ciò che andrebbe fatto. Un bambino ricoverato da noi richiede cure lunghe, ma succede che sono gli stessi genitori che spesso vengono a riprendersi il bambino da noi. Le turbe mentali non si originano solo per miseria, o abbandono, ma anche per la guerra in atto. Un bambino che vede trucidata la sua famiglia, o che viene lui stesso ferito a morte, subisce un trauma che non è facile da curare. I familiari sopravvissuti pensano che le nostre cure siano tempo perso e si riprendono il bambino. Una successiva problematica è che le cure sono costose e i rimedi che applichiamo, le medicine in altri termini, non sono proprio delle migliori. La Colombia è al primo posto nel mondo per l’epilessia temporale. La causa principale è legata al parto. Ciò si potrebbe evitare se ci fosse attenzione pre-natale. In molti casi si deve applicare il cesareo, ma bisogna saperlo. Molte spesso il maltrattamento del bambino inizia durante la gestazione, per denutrizione della madre, per alcolismo del padre, per mancanza di medicinali. Molti bambini sono frutto della violenza carnale, e si crescono senza desiderio, con fastidio. Prima della nascita già c’è maltrattamento. Alla mancanza di affetto seguono le psicosi organiche transitorie, che fanno quello che è detto il “bobo”, il ritardato. D.: Qual è l’attenzione dell’IBFC verso questa problematica? R.: Non esiste. Non c’è gente preparata. L’università statale non produce psichiatri infantili. Quelli esistenti si sono laureati all’estero ed esercitano privatamente. Forse il primo centro di psichiatria infantile della Colombia sarà aperto nel 2000. Un piccolo ospedale infantile di psichiatria a Bogotà è per pochi bambini, diciamo pure, privilegiati. Siamo in un circolo. La produzione di psichiatri per l’infanzia cresce con l’aumento della domanda di psichiatri infantili. Ma ci deve essere la coscienza della malattia infantile. Cosa che non esiste. Perché il piccolo malato mentale è ancora qualcosa di magico, il bambino che non mostra coerenza è frainteso e si crede che egli stia giocando o che stia fingendo. Perciò sono maltrattati dai genitori che li vedono bizzosi e la catena si allunga fino a che un maestro non si rende conto che qualcosa non va nel bambino. In Colombia non c’è tecnologia medica per la neurologia. L’istituto neurologico di Bogotà dei padri gesuiti ha visto il primo apparecchio per la risonanza. Non c’è rispetto verso il diritto del bambino malato mentale se non si riconosce la sua malattia. Gli stessi genitori ai quali è suggerito di accompagnare il figlio da uno psicologo, da uno psichiatra, reagiscono male, si risentono, la prendono come un’offesa alla famiglia. Purtroppo non tutte le tare sono sanabili. La psichiatria e la psicologia non possono arrivare a curare ogni disturbo o malattia, ma non volere accettare che un bambino può essere malato è grave. Qui in Colombia succede che anche un bambino con doti fuori dal comune, diciamo un bambino genio, viene respinto dalla stessa scuola perché ritenuto irrequieto, insopportabile. I maestri non captano che hanno di fronte un bambino con intelligenza superiore alla media. C’era nella capitale un istituto statale per bambini prodigio, ma è stato chiuso per mancanza di fondi. In altri paesi il genio è salvaguardato dalle istituzioni, qui è un problema da evitare. D.: L’infanzia indigena presenta qualche tipo di problemi mentali? R.: Le comunità indigene hanno lo stregone e i bambini sono curati con rimedi naturali dallo sciamano. Almeno fino a che non si presenta l’estrema gravità. La malattia mentale del bambino indigeno è vista diversamente da quella del bambino non indigeno. Perché il piccolo indigeno è visto come portatore di qualcosa di magico. Non è appellato con la parola “bobo”. Anche nei piccoli paesi della costa il malato mentale è accolto dal tessuto sociale e viene aiutato. È la cultura che stabilisce la forma di malattia mentale. Nei paesi industrializzati aumenta l’indice di depressione. Diciamo che più si sviluppa la società e più si studia il problema mentale. In un paese come il nostro dove la mortalità infantile è molto alta, vuoi per malattie, vuoi per denutrizione, non c’è posto per dare l’attenzione ai problemi mentali dei bambini. È triste ma è realtà. Quando una popolazione giunge a un buon livello di vita, allora dà attenzione ai problemi di salute mentale. Il rischio più grande per i bambini in Colombia è la mancanza di affetto, che genera depressione. Qual è la sintomatologia del bambino depresso? Non piange, non pensa alla morte, come l’adulto. Sono aggressivi, timidi, malati immaginari i bambini depressi; non fanno sport. Perciò sono sospesi o mandati via dalle scuole, dai collegi, per le molte assenze. La conseguenza è un cattivo rapporto con i genitori, il bambino finirà per andarsene nella strada, dove troverà cattive amicizie, e comincerà con il boxer, con la droga, una maniera per vincere la sua depressione. Le madri, a loro volta, sono depresse, non hanno mai avuto comprensione e spesso generano figli depressi. Nella strada il bambino deve sopravvivere e se vuole sopravvivere deve sottostare alla legge del più forte, dove il più aggressivo ha più possibilità, a sua volta, di sopravvivere. Adottare uno di questi bambini non è sufficiente, perché egli ha disturbi della personalità e deve essere seguito con le appropriate cure. D.: Lei, come psichiatra, chiamato dall’IBFC per i test previsti per le adozioni di minori, riferisce ai genitori adottanti la malattia che turba il bambino? R.: Sì. Perché per un bambino con disturbi della personalità è importante continuare la terapia, anche se va a vivere in altra nazione con genitori adottivi. Un disturbo della condotta va curato a fondo, altrimenti si avrà uno psicopatico. L’uno per cento della popolazione è psicopatico e non c’è guarigione. Il bambino della strada non è uno psicopatico, ma il capo banda sì, è persona psicopatica e approfitta dei bambini più piccoli. Il bambino di strada non è un delinquente nato, ma è stato formato dalla società, che ha mancato nelle sue responsabilità. Vediamo dal punto di vista della genetica. In una prigione americana, per esperimento, fu fatto un esame genetico per vedere i cromosomi su alcuni detenuti. Un certo cromosoma in più, x y+y, rivelava un soggetto psicopatico. Il 40% presentava trisomia. In Colombia, uno studio condotto in una prigione, ha rivelato che i detenuti che presentavano trisomia avevano disturbo antisociale della personalità. Ora un altro aspetto. La sociobiologia dice che il problema è culturale-biologico. I sociobiologi dicono che non è la genetica che determina la cultura, ma è la cultura che determina la genetica. Da questo punto di vista un narcotrafficante con alto tenore di vita, genera molti figli, con donne diverse. Siccome gran parte dei narcos sono psicopatici, i loro figli saranno trafficanti di droga, per eredità genetica prima e per l’ambiente che li circonda dopo. Sul bambino di strada, che non è psicopatico, si deve intervenire per aiutarlo prima possibile. Manca la cultura. A Bogotà c’è un laboratorio di genetica, dove si fanno gratuitamente esami di cromosomi. Ma nessuno ci va. Quando mi arriva un bambino difficile, aggressivo, violento, a un certo punto devo iniziare a studiare i genitori, la loro mappa cromosomica. E spesso capita che essi si accusino tra di loro, per mancanza di cultura. Sarebbe bene richiedere, per ogni matrimonio, anche il certificato genetico da far controllare da un medico. Si eviterebbe di mettere al mondo bambini ritardati o con altri problemi. Qui in Colombia si può parlare di pianificazione delle nascite solo dal 1991. Prima era vietato. Com’è ancora vietato l’aborto. Lei non immagina i mezzi e gli strumenti disgustosi che vengono usati per procurarsi un aborto. La prima causa di mortalità di donne incinte qui è l’aborto clandestino a causa di ciò che provoca alla donna. Chi ha soldi va in clinica e trova il modo per abortire. Il problema è della gente povera. Uno dei costi ospedalieri più incisivi è dato dalle cure per tentare di salvare le donne che tentano di abortire per conto loro. D.: Il bambino preferisce il gioco o la televisione? R.: Il gioco, lo sport, sono importanti per l’equilibrio di un bambino. Parigi, Londra, hanno parchi bellissimi dove i bambini possono giocare in modo creativo. In Colombia i parchi non esistono. Esistono le “fincas”, ma sono associate alla “ganaderia”, oppure al lavoro dei campi. I bambini a Bogotà sono segregati in casa, innanzi a un televisore. Ora se un bambino ha un televisore, vuol dire che ha pure da mangiare. Ma sarebbe meglio se uscisse anche a fare una passeggiata, una corsa in un parco. Dall’altro lato abbiamo i bambini che vendono frutta ai semafori, dal mattino alla sera, e quando tornano alla loro baracca, certamente il televisore non lo trovano. C’è un altro fatto: che forse gli adulti hanno inconsciamente un po’ di fastidio per quei bambini che sanno tutto di computer. Ma dobbiamo aggiungere che c’è anche il culto della televisione, perché propone modelli, cantanti, marche di scarpe e un bambino prende dalla tv queste informazioni, le fa sue per non essere deriso dai compagni che ne sanno più di lui in fatto di marche di scarpe; la tv diventa così mezzo di comunicazione tra i bambini, diventa veicolo di una certa cultura. Certo, la tecnologia ha un prezzo, magari in neuroni. Il cervello dei bambini è sottoposto a un eccesso di lavoro. Prima fu inventata l’automobile e dopo la cintura di sicurezza. I genitori devono fare molta attenzione ai videogiochi, perché alcuni sono portatori di messaggi troppo violenti. Il computer, Internet, sono pur volendo giochi, ma è necessaria la presenza dell’adulto. Inutile dire che computer, Internet, eccetera, sono una bazzecola di fronte alle brutte notizie passate dai telegiornali di ogni giorno, senza contare che la ripetizione della ripetizione della violenza crea l’abitudine nel bambino. Una curiosità per lei che è europeo. Le favole dei Grimm, Hansel e Gretel, portano con sé valori di alto contenuto. Ma in Colombia sono difficili da trovare e se le trovi sono carissime, una cifra che un operaio non può minimamente permettersi. La favola è importante per un bambino e certamente il bambino sarebbe più felice di ascoltare la madre che stare dinanzi al televisore perché c’è un contatto differente, più carico di significato. intervista n. 17 medico del seguro social. D.: Come funziona il Seguro Social e l’assistenza ai bambini. R.: Il Seguro Social partì negli anni 60, copia parziale di quello messicano. La prima idea fu di creare un ente che desse attenzione medica, assicurazione infortunistica e pensioni ai lavoratori. Dovevano supportarlo tre entità: lo stato, i lavoratori, le imprese private. Lo stato non ha mai dato un centesimo, in trenta anni, al Seguro Social. Lo stato, in passato, ha però fatto pressioni sugli organi direttivi del Seguro Social per far ottenere prestiti miliardari a istituzioni statali, diminuendo così il capitale dell’istituto. A questo punto al Seguro giungono i versamenti dell’imprenditore e del lavoratore, rispettivamente 2/3 e 1/3, ossia il 12% del suo salario: l’impresa paga l’otto e il lavoratore paga i quattro. L’inizio del Seguro: dare assistenza 100% al lavoratore per infermità comuni e infortuni del lavoro. Alle donne si dava assistenza per la maternità, prima e dopo il parto e ai bambini durante il primo anno di vita. Alcuni anni fa, nel 1990, nuovamente il Seguro ritornò a copiare dal Messico e riprese quella che si chiama Medicina Familiare, dove si ampliò la copertura a tutta la famiglia. Adesso il Seguro copre tutta la famiglia e i figli fino a diciotto anni o superiori ai diciotto ma con problemi mentali permanenti. Ha aumentato, con la legge 100, la copertura medica. Nel 1993, con la privatizzazione della medicina, lo stato cedette le sue obbligazioni della salute al capitale privato e passò al privato il servizio medico, tanto che ora il servizio medico si gestisce in funzione della redditività. Il Seguro Social agisce attraverso l’assistenza privata. Questi servizi medici sono raggruppati nelle E.P.S. (Empresa Publica Salud): sarebbe a dire imprese che prestano servizi per la salute. Con le E.P.S. il servizio medico per i bambini è migliorato. Pochi anni fa se una minore restava incinta perdeva il diritto a essere assistita dal Seguro Social. Ora la minore è assistita in ogni situazione. La licenza di maternità è stata portata a novanta giorni. Anche il padre può avere la stessa licenza. Tutte le vaccinazioni per i bambini sono fatte dal Seguro Social. D.: I bambini di strada hanno diritto al Seguro Social? R.: Sì. C’è il Regime Sussidiato, detto anche C.I.S.B.E.N., che assicura gli strati bassi, uno e due. È un ente assicurativo municipale che si regge con l’apporto dei grandi contribuenti. Le persone povere hanno diritto alle cure mediche. La legge 100 penalizza chi, medico o clinica, non presti assistenza d’urgenza ai poveri senza assicurazione. D.: Si danno assegni familiari ai lavoratori? R.: Soldi per ogni figlio? Non esiste. Solo carnet per assistenza medica. Posso dire che nelle Forze Armate, per ogni figlio che nasce, il padre riceve un aumento di stipendio del 30% e se si sposa del 50%. Lo scapolo che si sposa e fa figli vede aumentare sensibilmente il suo stipendio. Ma solo nelle forze armate. Un poliziotto guadagna, al salario minimo, quanto un operaio, ossia circa 240.000 pesos. Però nelle forze armate hanno medicine e ricoveri pagati dallo stato. D.: I figli delle impiegate domestiche, visto il loro salario previsto dalle leggi e dai contratti, più basso di quello dell’operaio medio, che tipo di assistenza medica ricevono? R.: Il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare sia la domestica sia i figli, se quest’ultima è capofamiglia, anche se i figli non risiedono presso la casa di chi dà lavoro alla domestica. La legge prevede che dove lo stato non copre, sia il privato a coprire e qui i giudici sono molto rigidi per le manchevolezze fatte per questo tipo di assicurazione. C’è un paradosso: il Seguro Social è controllato dallo Stato, ma non riceve un soldo dallo Stato. Lo Stato non assicura i lavoratori, ma controlla che i privati assicurino i lavoratori. D.: Atteggiamento di un medico privato di fronte a un’urgenza di un bambino di strada. R.: Quando c’è pericolo di morte ogni medico è tenuto a intervenire. Quindi solo casi gravi. Chi può essere visitato per appuntamento viene rimandato. C’è molta richiesta d’interventi di urgenza e non è possibile visitare anche i casi normali. C’è attesa anche per i casi gravi perché, materialmente, non c’è possibilità d’intervento immediato per tutti. Si va in ordine di gravità. Ai bambini gravi, per regola, è data precedenza sull’adulto. Si fa pur sempre una valutazione di gravità. Prima dell’istituzione del Seguro Social era presente la figura del medico di famiglia. Si creava una buona intesa tra il medico e la famiglia. Spesso il medico diveniva padrino di uno dei figli. Ora è sparito. Per i malanni si va in clinica o al consultorio. Nel 1956 il medico di famiglia fu abolito. Subentrò il Seguro Social con il suo modello messicano. Nel 1976 si configurò, nel Seguro Social, il gruppo multimedico. Questo nuovo gruppo, dotato anche di ambulanze, faceva interventi di urgenza sul luogo. Ogni gruppo assisteva 120 famiglie e non poteva assistere famiglie che non erano di sua competenza. Ma dopo alcuni anni anche il gruppo multimedico fallì, sempre per mancanza di fondi, e fu abolito. Ora non esiste più un centro di salute mobile. Gli affiliati del Seguro Social fanno la scelta del medico in una lista di cento, ma devono ogni volta recarsi presso il Seguro Social per l’assistenza e la diagnosi. D.: Che si fa per i bambini con problemi mentali? R.: Spesso le famiglie non si rendono conto che il loro bambino ha un problema mentale. Non c’è cultura. Il fatto è ignorato, sottovalutato. La sordità la si scopre solo quando il bambino va a scuola. Lo stesso per le capacità intellettive. Non abbiamo psichiatri infantili. Riconoscere un danno cerebrale è difficile. Una situazione la si ricostruisce attraverso il racconto o l’interrogazione della madre. Ci sono problemi mentali congeniti, altri legati al parto traumatico per mancanza di assistenza prenatale. Il parto delle contadine è affidato a mani inesperte, spesso con gravi conseguenze. D.: Qual è la causa del maltrattamento infantile? R.: Spesso è difficile da capire. Un padre che ha percosso il bambino asserisce che una contusione è accaduta in maniera fortuita. Solo dopo molteplici interventi di cura può nascere il sospetto del maltrattamento. Un bambino che viene maltrattato deve essere condotto ripetutamente al pronto soccorso. Il medico passerà all’IBFC l’informazione e questo ente manderà presso la famiglia un assistente sociale per verificare se c’è maltrattamento infantile. D.: Come interviene l’IBFC per i bambini bisognosi? R.: C’è assistenza. Dove non interviene il Seguro Social interviene l’IBFC. Ad esempio in caso di labbro leporino. Ma ci sono anche istituzioni private senza fine di lucro che pagano gli interventi chirurgici per questi bambini. intervista n. 18 pedagogo in italia presso la casa generalizia salesiana. D.: Come funzionano le istituzioni governative per i minori? R.: Le istituzioni governative si stanno dando da fare più che negli altri anni. C’è maggiore attenzione per l’infanzia. I problemi politici però permangono. Quello che più preoccupa il governo è di mostrare che qualcosa fa. Mancano però i programmi integrali. Programmi che seguano i bambini dall’inizio dell’azione di recupero fino al loro completo reinserimento nella società; programmi che li aiutino a comprendere la realtà, il perché di certi fenomeni e di certi accadimenti, a intendere il loro passato, a recuperare i valori. Essi, invece, dovrebbero essere veri protagonisti. Dopo il loro recupero ci sarà il problema del loro reinserimento, perché manca una struttura sociale che li accetti completamente e li formi. Molte volte, anche se trovano lavoro, mancherà loro il senso della responsabilità, a causa di una scarsa formazione di base. Ci sono altre istituzioni non governamentali che rispondono a programmi più integrali, più strutturati e che tengono in conto la gran problematica della Colombia. Esse cercano di agire sia sul ragazzo sia sulla famiglia del ragazzo. I salesiani con Bosconia accolgono più di 10.000 ragazzi con differenti problematiche. Si cerca di dare una risposta strutturale alle loro problematiche, facendoli sentire protagonisti. Padre Niccolò con il suo programma varato nel 1970 ha eseguito il suo programma integrale, accompagnando e aiutando i bambini fino a che non si sono realizzati e reinseriti nella società. Il nostro aiuto è rivolto ai bambini più bisognosi, di strada, in prostituzione, in guerriglia, desplazados, dannificati, violentati, disoccupati, tossicodipendenti, paramilitari. Cerchiamo di essere con loro anche se sono in situazioni illegali. Noi crediamo nel recupero dei ragazzi per ristrutturare la loro esistenza. Un modo per aiutare i ragazzi è quello di creare una rete che abbracci tutte le aree problematiche. La nostra maggiore risposta alle problematiche era nel dare educazione. Nelle scuole arrivano bambini della classe povera, ma non della più povera. Questa classe non va a scuola. Non né ha alcuna possibilità data l’estremo stato d’indigenza. Noi abbiamo fatto tempo fa un programma scolastico per cento ragazzi poveri, dando loro tutto. Dopo una o due settimane solo trenta frequentavano la classe. Ciò significa che organizzare dei programmi senza guardare alla problematica della famiglia è puramente inutile. Con la rete noi vogliamo creare differenti centri, con caratteristiche mirate e adatte alle disparate situazioni che accompagnano i bambini. Ossia istituti, officine, centri giovanili e di preparazione ove il bambino impara e lavora e comprenda la problematica della strada. D.: Avete operatori di strada? R.: A Bogotà i nostri programmi partirono dalle carceri minorili. Capimmo che dovevano iniziare dalla strada. Entrare nelle loro bande. Di notte. Perché di giorno ognuno di loro ha un modo proprio di sopravvivenza. Di notte si riuniscono nella “gallada” e solo allora li puoi avvicinare, dopo che ti sei guadagnato la loro fiducia. Le nostre équipe sono formate da un minimo di tre operatori, un educatore, un assistente sociale e un terzo membro che può essere un medico o uno psicologo. L’importante però è guadagnarsi la loro fiducia affinché vengano presso i nostri istituti, dove avranno assistenza, e nessuno li obbliga a restare. Arrivano, si lavano, si nutrono, sono curati da un medico, fanno un po’ di socializzazione e poi se ne vanno. Fino a che non decideranno di restare. D.: Che pensa del bambino della strada? R.: Il bambino di strada nasce quando c’è ingiustizia sociale e non solo in Colombia ma in tutto il mondo. È un problema strutturale della nostra società, che riguarda tutti. Se in famiglia il bambino soffre la fame, andrà nella strada a cercare. Se viene maltrattato dai genitori, andrà nella strada a cercare protezione. Fame, maltrattamento, tensioni, sfruttamento, spingono il bambino verso la strada. La strada è il posto ideale dove il ragazzo si sentirà libero. Là si creerà la cultura di strada, dove il bambino non si sentirà oppresso, dove parlerà un linguaggio riservato ai soli abitanti la strada, incomprensibile agli estranei. Sono stati pubblicati dei libri sul linguaggio dei bambini di strada, sull’idioma parlato nella “gallada”, sulle regole della “gallada”. Il bambino di strada africano nasce da una problematica differente. Nasce dal rifiuto legato a motivazioni tradizionali. Ad esempio, se in una famiglia, il padre perde il lavoro, o va male un affare, la colpa viene data al più piccolo della famiglia, specie se è maschio, che sarà cacciato di casa e per forza sarà un bambino di strada. Non potrà più tornare in famiglia, dato che, secondo la credenza, egli è portatore di influssi negativi. I motivi che creano bambini di strada sono socio economici e poi familiari. D.: Com’è il recupero dei bambini della “gallada”? R.: È un recupero estremamente difficile. Bisogna prima di tutto avere fiducia nel giovane. Questi ragazzi di strada vivono per la strada e consumano boxer, che brucia i neuroni. Il nostro compito è di aiutarli fino a dove possiamo. Il governo dovrebbe creare delle strutture dove inserire questi ragazzi con il cervello bruciato dal boxer. Il programma di don Niccolò funziona con i tre stadi che sono: la prevenzione, l’attualizzazione e la conclusione del programma di recupero. Molti ragazzi di Bosconia sono oggi ben inseriti nella società. D.: I bambini colombiani ricevono sufficiente assistenza dallo Stato? R.: No. Non c’è neppure per gli adulti. Negli ultimi tempi le persone che lavorano fanno assicurazioni private. I poveri non hanno assistenza. D.: Sei milioni di bambini poveri in Colombia sono reali? R.: Sì. Il 20% della popolazione colombiana è in miseria. D.: La famiglia colombiana che fase sta vivendo? R.: Una fase di transizione, dove alla base ci sono ancora valori morali e religiosi. Tradizionali. Che sostengono la famiglia e i figli. I ragazzi che sono nella guerriglia o nel paramilitarismo o nel narcotraffico, sanno di sbagliare, ma sanno pure che non hanno altra alternativa. Questo mostra che ci sono alla base dei valori. D.: Si può intervenire prima sul ragazzo? R.: Nella famiglia. Sì. A livello politico, sì. Bisognerebbe creare un gruppo unico istituzionale che lavorasse a 360 gradi sulla famiglia. Politico, industriale, privato, religioso ecc. per creare una nuova politica di protezione per la famiglia. D.: Esiste protezione per il bambino ancora in grembo? R.: Non ho le statistiche sugli aborti. Però la realtà è una: non c’è educazione per la coppia al fine d’insegnare loro il controllo delle nascite e a essere responsabili, perché la coppia deve sapere che il mantenimento di un figlio costa. D.: Ci sono educatori capaci d’insegnare educazione sessuale? R.: Nel 1978 fu inaugurato l’insegnamento dell’educazione sessuale. Ma il problema serio era che non c’erano professori preparati a dare tale insegnamento. Qualunque professore poteva insegnare educazione sessuale e per di più senza testi scolastici scelti dal ministero. Questo nelle scuole pubbliche. Nelle private, che coprono il 30% della struttura scolastica, gli insegnanti sono preparati. Tuttora non abbiamo persone sufficientemente preparate per tale insegnamento. Prima bisognerebbe preparare gli insegnanti per questa materia. Mancano le basi per insegnare a una coppia il minimo per arrivare preparati al matrimonio. Gli educatori sarebbero i genitori, ma essendo presenti i tabù, chi educa i figli? D.: Esiste ancora il machismo? R.: Il machismo è sempre esistito in forma camuffata. La donna lavorava solo in casa, cresceva i figli, non amministrava soldi, non era sentita nelle opinioni, poche donne facevano carriera. Ora si sta cambiando. D.: Nei cinturoni di miseria, intorno alle città, esiste machismo? R.: Sì. Il machismo è un fatto culturale. Più basso è il livello culturale e più forte è il machismo. L’uomo che non ha educazione non darà mai spazio alla donna. Però la donna comincia a capire che ha dei diritti e non sta più zitta, oggi la donna si ribella: se deve menare le mani, le mena. D.: La “limpieza social” uccide ancora? R.: I privati organizzano operazioni di “pulizia sociale”, verso bambini e barboni. Sono mercenari privati che uccidono: paramilitarismo. D.: Quali sono le conseguenze del “desplazamiento”? R.: Destabilizzazione in tutto lo Stato. Più di 300.000 persone vagano da città in città. D.: Le cifre parlano di 1.200.000. R.: Sì. In totale. Ma 300.000 sono le persone che non hanno travato alcuna assistenza o alloggio e non hanno una fissa dimora. D.: L’IBFC aiuta i “desplazados”? R.: Principalmente sono le organizzazioni private e religiose che danno aiuti ai “desplazados”. Chi soffre di più in questa situazione sono donne e bambini. Dovremmo già parlare di un’infanzia senza infanzia e di una gioventù senza gioventù. La situazione che sta vivendo la Colombia non permette ai bambini di vivere la loro condizione, il ruolo di bambini. I giovani non hanno cosa attendersi dal futuro. Ogni giorno la situazione peggiora e non c’è una fine del problema. Si distrugge economia, valori, tempo per la formazione dell’individuo. La domanda che affligge i ragazzi è: quale futuro ci aspetta? D.: Serve creare altre istituzioni per bambini? R.: No. Qui si tratta di creare un nuovo modo di lavorare con i bambini. Le istituzioni governative sono assistenzialiste. Si preoccupano dei bisogni primari. Invece si devono creare reti d’intervento, dove il bambino possa entrare e svilupparsi fino a trovare un lavoro e sia responsabile. BIBLIOGRAFIA Armenta T.: 1994 Prevencion de Violencia e Maltratto Escolar, Bogotà P.U.J. Fundacion Barco.: 1999 Hacia una politica de proteccion de la niñes, Bogotà, Fundacion Barco. Cinde: 1993 El caso Colombia, Bogotà. Cinde: 1998 Niñes e violencia, Bogotà. 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