CIS ASC Roma 1995 Questa collana Un sentiero non esiste prima che qualcuno lo tracci, camminando su una terra non ancora segnata da orme. Chi per prima lo individua, e lo calca, lascia impronte e spazi che agevolano chi viene dopo. Aprire una via nuova è proprio dei pionieri, di chi ha intravisto una meta desiderabile e si inventa un modo per arrivarci. Perché il percorso divenga sentiero o strada non è sufficiente però che una sola persona lo attraversi. Dietro i suoi passi si ricreerebbe l'ingombro a cancellarne il passaggio. Lo scopritore raggiungerebbe la meta, ma non si traccerebbe un sentiero. La meta sarebbe una conquista sua, isolata. E' necessario che immediatamente, mentre ancora permane il segno da lui lasciato, altri vi mettano il piede, e poi ancora altri, e poi altri, fino a che la terra diventi battuta: un cammino visibile, praticabile, indicatore della meta per chi voglia raggiungerla. Il sentiero aperto da Maria De Mattias, la Congregazione delle ASC, è stato subito ricalcato e incessantemente battuto nel tempo: tenacemente, sotto ogni stagione e ogni clima. Lei, Maria De Mattias, è stata la prima, ardimentosa e profetica, ma non la sola. Chi sono le altre? quelle che hanno creduto nella sua visione, che si sono fidate dei suoi passi, e, con lei e dopo di lei, hanno reso possibile il futuro? Ne conosciamo forse i nomi, ma al di là di poche eccezioni non sappiamo molto della loro vita, della incidenza che hanno avuto per la storia e la santità della Congregazione. Questa collana, ASC Profili, si propone di portarne alcune alla ribalta, dalle prime discepole, le compagne della Fondatrice, fino al presente. Il criterio di scelta non è relativo a valutazioni di ordine morale (le più buone) o storico (le più famose): sarebbe un criterio selettivo e difficile da stabilire; è invece un criterio di significanza: Adoratrici che risultano, in qualche modo, protagoniste, e di cui si hanno documentazioni o testimonianze scritte. Lo scopo non è semplice curiosità storica: è bisogno di conoscere un po' più da vicino la tradizione vivente della nostra famiglia; è esigenza di gratitudine; è desiderio di emulazione; è impegno di continuità. E', in altre parole, uno dei mezzi per alimentare la nostra fede, che vogliamo ricca di memoria e audace nella testimonianza profetica del Regno. ***** Il primo numero di questa collana è dedicato alla Fondatrice: Maria De Mattias. Il profilo della prima Adoratrice del Sangue di Cristo, viene presentato da Michele Colagiovanni, che ne delinea la personalità nella sue caratteristiche peculiari: ne emerge la elevatura straordinaria di una donna carismatica e santa. Tre documenti, riportati in appendice, completano la presentazione. Anche essi sono dei profili, tracciati da persone che vissero con Maria De Mattias: Giovanni Merlini, Antonio Necci, Maddalena Capone. I quattro autori hanno qualcosa in comune: l'esigenza della verità storica, la conoscenza profonda della protagonista e, anche, un grande affetto per lei. Sono, quindi, pagine di storia, pagine di vita, attraversate dal calore di chi Maria De Mattias non l'ha conosciuta astrattamente, ma l'ha incontrata, non come personaggio, ma come persona viva. Angela Di Spirito asc PREMESSA Questo opuscolo 1 Nelle pagine che seguono cercheremo di tracciare il profilo di una donna che, contro ogni previsione, fu straordinaria e tuttora lo è, a quasi cento trenta anni dalla morte. Il soggetto ci sembra degno di essere considerato sempre, ma soprattutto in un tempo in cui giustamente si persegue (in mezzo a tante contraddizioni) un recupero di valori per la donna e si è, di conseguenza, alla ricerca di modelli. Al fine di non far nascere equivoci, spieghiamo subito le parole chiave del nostro progetto. Sono: profilo, donna, straordinaria. Nella sua accezione più frequente, profilo indica i contorni di una cosa o di una persona. Diciamo per esempio: “Oggi il profilo delle montagne è molto nitido”. Intendiamo dire che si coglie bene quella linea ideale, che segna il confine tra la chiostra dei monti e il cielo. Oppure diciamo: “Quella persona ha un profilo tozzo, quell'altra un profilo snello”. Intendiamo dire che, lasciando da parte ogni altra connotazione e valutazione, le linee con le quali quelle due persone si stagliano nello spazio, formano, rispettivamente, una figura tozza o snella. Vi è anche una positura che noi chiamiamo di profilo e è quella che maggiormente mette in mostra le linee essenziali. Una persona colta di profilo è un soggetto posto in modo da esaltare le proprie linee essenziali: fronte, naso, labbra, mento... Verrebbe da concludere che profilo sia un termine relativo a elementi esteriori: quelli che prima di altri e con più facilità ci permettono di individuare, tra tante, una singola persona. Non è cos“ e non intendiamo assumerlo cosi“. Infatti, dalla capacità di darci la notazione essenziale di una realtà colta dallo sguardo, quel termine è passato a indicare anche il nucleo di caratteristiche che formano la personalità. Al profilo esterno, insomma, che ci permette di riconoscere un oggetto o una persona da molto lontano, corrisponde un profilo interiore, che ci permette di individuare una personalità della storia fra tutte le altre. Se uno studente dicesse: “Oggi il professore ha tracciato un bel profilo di Dante Alighieri”, nessuno penserebbe che il professore abbia disegnato sulla lavagna l'inconfondibile volto del poeta. Comprenderemmo invece che il professore ha esposto con sintesi efficace, la forte individualità dell'Alighieri nel panorama del suo tempo e nella storia della letteratura. Questo intendiamo fare noi del soggetto che tra poco assumeremo. Passiamo ora al termine donna, perché, come abbiamo già detto, di una donna si tratta. Potrà suscitare qualche perplessità il ritenere che esso abbia bisogno di precisazioni. Una donna è una donna! Questo è vero. E' anche vero però che essa, fino a qualche decennio fa, era soggetta a pesanti condizionamenti sociali. Vi è chi ritiene che debba ancor oggi compiere un cammino di emancipazione. Non tutti sono d'accordo da che cosa. C'è chi pretende che si liberi da compiti che altri ritiene valori irrinunciabili e chi auspica per lei comportamenti che altri giudicano schiavitù terribili. Al di là di tutto ciò, che costituisce il dibattito sul femminismo odierno, nessuno mette in dubbio che nella antichità e fino a un passato recente, la donna è stata vittima di parecchie ingiustizie e in uno status pesantemente subalterno rispetto al maschio. Anche là dove fu angelicata e resa una sorta di divinità, fu una divinità oggetto. 1 Questo testo fu pronunciato a Patrica (FR) il 26 aprile 1983 nel convegno "Giornate di Storia a Patrica", dedicato al Cento cinquantesimo delle Adoratrici del Sangue di Cristo. I testi dei lavori videro poi la luce nel corso dello stesso anno nel volume dal titolo: Per il Centocinquantesimo delle Adoratrici del Preziosissimo Sangue (oggi del Sangue di Cristo), Roma 1983, nel quale questo testo occupa le pagine 71-93. Per la presente edizione quel testo • stato rivisto e, soprattutto, depurato dalle annotazioni di carattere locale. Di quale donna ci occuperemo? Non servirebbe dirlo, perché è chiaro fin dal titolo qual è la donna di cui tenteremo di tracciare un profilo valido. Sarà un bell'esemplare dei problemi che affliggono l'identità della donna di sempre e della soluzione che essi possono avere. Intendiamo dire Maria De Mattias. Nacque il 4 febbraio 1805 a Vallecorsa, uno dei più oscuri paesi della Ciociaria, la terra più malfamata dello Stato Pontificio. Visse poco più di sessantun anno: mori infatti a Roma il 20 agosto 1866. Desiderosa di scomparire, ben più che sotto il moggio, fin“ sul candelabro. Analfabeta, divenne scrittrice valente di cose spirituali, maestra e fondatrice di scuole. Paurosa fino alla psicosi, fu apostola intrepida in grado di arringare le folle. Santa e in forte anticipo sui tempi, fu una pioniera che, con la pratica di vita e con l'insegnamento, aprì nuove strade alla donna in seno alla Chiesa. Ella oggi vive nella sua opera e nelle sue seguaci; oltre che, naturalmente, nella luce eterna di Dio. Con queste ultime parole abbiamo dato conto del terzo cardine del nostro lavoro: il termine strordinaria. Significa, ovviamente, “fuori dell'ordinario”; una donna d'eccezione. Ebbene: Maria De Mattias lo fu nel senso che riuscì a essere se stessa. E la cosa vale per tutti. Ogni persona è chiamata a essere straordinaria: anzi, unica e irripetibile. Purtroppo la società che ieri coartava, oggi massifica. Contro la voce di Dio che chiama a dire un s“ che corrisponde al proprio nome (cioè alla propria unicità), c'è l'invito della società a diventare un numero o a diventare singolare nella frivolezza. In questo senso, e soltanto in questo senso, ci accingiamo a tracciare un Profilo di Maria De Mattias. Addenseremo sul suo conto quegli elementi che la connoteranno con la massima peculiarità nel panorama storico e ecclesiale. Le fonti di questo profilo La fonte principe per individuare Maria De Mattias, è il suo carteggio. Ella scrisse molte migliaia di lettere. Se ne conservano e conoscono quasi tremila, di diversa lunghezza e contenuto. Novecentodue di esse furono edite in due volumi nel 1947. Altre quattrocentottantasei sono state pubblicate in un terzo volume nel l991.2 Un'altra fonte importantissima, per certi versi più della precedente è il Compendio della Vita della Serva di Dio Maria De Mattias Fondatrice della Congregazione delle Adoratrici del Preziosissimo Sangue, scritto da don Giovanni Merlini e pubblicato in Roma nel 1868 dai Fratelli Pallotta Tipografi in Piazza Colonna. Un terzo documento cui attingere è il Discorso funebre che lo stesso don Giovanni Merlini prepara per le solenni esequie della Fondatrice3. E' una miniera nel complesso esaurientissima, 2 Una parte di queste sono state “scoperte” da suor Maria Paniccia; alcune da me e alcune anche da Gioacchino Giammaria. Se qualcuno compisse la ricerca meticolosa che la Paniccia ha compiuto negli archivi dell'area geografica coperta dalla sua Provincia religiosa (che • quella di Acuto) anche nelle aree geografiche oggi gravitanti attorno alle altre Province religiose (in particolare Roma e Firenze), si potrebbero reperire quasi tutti gli scritti di Maria De Mattias. Rimarrebbe solo da valutare quanta parte del suo carteggio sia andata perduta. Un esempio di archivio privato che conserva lettere di Maria De Mattias, si ha a Patrica, con l'Archivio De Sanctis, scandagliato da Gioacchino Giammaria. La famiglia De Sanctis diede quattro suore all'istituto delle Adoratrici. Oggi le carte De Sanctis fanno parte dell'Archivio Comunale di Patrica. 3 I due scritti citati di don Giovanni Merlini, a differenza delle lettere della De Mattias, sono già un tentativo di tracciare un profilo. In questo senso affermiamo che, per il fine che ci prefiggiamo, i testi merliniani possono addirittura avere una importanza maggiore di quelli della De Mattias. Soprattutto se si tiene conto della conoscenza specialissima che il Merlini ebbe della nostra Protagonista. Il Compendio • stato successivamente ristampato. L'ultima edizione, a cura delle Adoratrici del Sangue di Cristo, • del 1984. Nelle citazioni faccio riferimento a questa edizione. perché ci offre, per così dire, la viva voce della Protagonista e la testimonianza di colui che più di ogni altro la conobbe; testimonianza, quest'ultima, resa in un duplice contesto: sotto l'emozione del momento (Discorso funebre) e con più sedimentata riflessione (Compendio). Queste fonti possono essere integrate (e di fatto verranno integrate) con testimonianze d'altra provenienza: per esempio i Processi canonici.4 Il Discorso funebre • edito in : GIOVANNI MERLINI, Lettere a Maria De Mattias, Roma 1974, Vol. II, pp. 682691; • anche riportato in I Appendice, in questo testo. 4 Si conservano nell'Archivio Generale delle Adoratrici (AGA). Un'altra fonte, che va tenuta in considerazione, • la raccolta delle lettere del Merlini a Maria De Mattias, edita in due volumi e citati alla nota precedente. I LA PERSONALITA' La materia prima Ogni persona nasce con un nucleo di elementi fondamentali e irrinunciabili. Tali elementi sono codificati nei quarantasei cromosomi, che discendono dal padre e dalla madre. Le successive vicende dell'iter educativo (nel quale inseriamo anche il contesto sociale) contano molto: ma il punto di partenza non può essere ignorato. Da un blocco di marmo nessuno scultore potrà ricavare una statua di legno e viceversa. Entrambi però potranno essere dei capolavori. Quale era il materiale di cui disponeva Maria De Mattias? Non abbiamo elementi per giudicare della conformazione fisica di Maria De Mattias. Fu di statura giusta; forse tendente al basso. Benché infermiccia, non ebbe difetti fisici. Riguardo all'avvenenza, senza dubbio godette di quella propria della buona gioventù, agiata e elegante. Per il resto, non possiamo dir nulla. L'interesse che ebbero per lei alcuni giovani e perfino un sacerdote, benché vivesse segregata in casa e sotto custodia, ce la accreditano di un fascino femminile notevole. Riguardo al carattere, don Giovanni Merlini ci assicura che Maria l'ebbe “molto vivo ed ardente”.5 Notiamo quel molto. Non si trattava di una vivacità ordinaria, riscontrabile in moltissimi bambini, ma di qualcosa di speciale, ben evidenziato dall'altro connotato: “ardente”. In lei dunque c'era del materiale incandescente, esplosivo. E aggiunge il Merlini: “Talvolta anche irrequieta”. Si noti che il teste era di una scrupolosità quasi maniacale nel definire cose e persone. Quelle pennellate sull'indole della ragazza vanno prese dunque con assoluta certezza. Quello che il Merlini non specifica è la ragione di tale irrequietezza, che però ci descrive con queste parole: “Andava spesso saltando e correndo per la casa e facendo pazzie comunque sempre innocenti». Perché quelle irrequietezze? Erano tutti così i De Mattias? Non ci pare. Manovrieri, con un alto senso del casato, con una spasmodica voglia di una patente di nobiltà, essi avevano il senso del decoro e dell'ordine. Tendenzialmente desideravano spegnere, piuttosto che accendere fuochi. Ardente, irritabile, invece, ci appare la madre, Ottavia De Angelis. Forse proprio da lei Maria aveva ereditato l'aspetto più appariscente della propria indole. Nessun biografo, neppure il Merlini, che pure convisse in parte quel tempo, ha messo in risalto o anche fugacemente fatto notare il contesto sociale nel quale Maria visse la propria infanzia e adolescenza; eppure quello fu un periodo ben caratterizzato, che non poté non avere risonanze e influssi sulla psiche di una bambina e di una ragazza. Intendiamo dire il Brigantaggio. La ragione del silenzio c'è e è plausibile: era un tema infamante per la popolazione e niente affatto gradito, in particolare, ai De Mattias. Maria visse dai sei ai venti anni avviluppata da questo fenomeno. Vallecorsa infatti, il paese dove ella nacque, fu uno dei centri nei quali più si resero attive le bande e la famiglia De Mattias, nel bene e nel male, risultò coinvolta.6 5 G. MERLINI, Compendio, p. 13. 6 Esisteva nelle popolazioni ciociare una vera e propria psicosi della pubblica infamia derivante dal brigantaggio. Cfr. il mio saggio: Il brigantaggio nelle carte De Sanctis. Giovanni De Mattias fu personaggio influente nella vita del suo paese; tra l'altro ricoprì la carica di Gonfaloniere in un periodo cruciale. Per queste ragioni subì una perquisizione domiciliare sotto accusa di contrabbando di tabacco e la carcerazione per connivenza con il Brigantaggio. Cfr. M. COLAGIOVANNI, Meo Varrone Alessandro Massaroni e il brigantaggio in Ciociaria, Roma 1977, pp. 177-211. Le pazzie innocenti e le scorribande attraverso le stanze di casa, che la bimba si concedeva, altro non erano se non la ribellione alle molte restrizioni che i tempi imponevano a tutti i rampolli di famiglie benestanti (per timore di rapimenti a scopo di riscatto). Nel caso dei De Mattias si aggiungeva il timore di faide locali; giacché il padre di Maria, Giovanni, più volte si era esposto con iniziative rischiose e qualcuno poteva avere dei conti da regolare con lui. A Maria non furono consentite neppure quelle “esplosioni controllate” che ella concedeva in casa alla propria esuberanza. Infatti Ottavia De Angelis, la poco espansiva madre, come ci attesta il Merlini, “mal soffrendo un tal procedere della figlia, la rampognava e percuoteva”. Dietro le parole dure del delicatissimo biografo dobbiamo vedere una contrapposizione traumatica tra madre e figlia, a suon di rampogne e percosse. In queste occasioni quale era la reazione di Maria? E' sempre il Merlini il testimone attento e minuzioso: “Essa montava in collera e piangendo diceva: Ma che male fo? Il padre però, che ben aveva conosciuta l'indole della figlia, tanto più pieghevole quanto meno si usava con lei di durezza, studiavasi di prenderla sempre con le buone”.7 Notiamo alcuni elementi importantissimi. Alla repressione materna Maria rispondeva con la collera. Collera è ribellione, urlo, pugni chiusi e denti stretti. Ma la sua collera non era furia distruttiva, animalesca. Conservava lucidità nel bisogno di capire e nella richiesta di capire: “Ma che male fo?”. Non c'è acquiescenza, sottomissione, anima di pecora. Non solo. Il padre, che secondo la testimonianza del Merlini, ben conosceva l'indole di Maria, aveva scoperto che ella si dimostrava tanto più pieghevole quanto meno si usava con lei di durezza. Dunque ella era debole con i deboli e forte con i forti. Non temeva lo scontro, la resistenza alle ingiustizie. Non era forte con i deboli e debole con i forti, come spesso accade. Tuttavia c'era ben poco da fare contro una violenza tanto gigantesca e diffusa. La propria casa, Vallecorsa, il mondo, erano prigioni concentriche entro le quali la ragazza si sentiva braccata, spiata, concupita. Qui bisognerebbe spendere ben più di qualche parola sulla condizione sociale del paese, giacché quando si dice brigantaggio “si dice tutto e niente”. Non si possono tacere due elementi: la quotidianità (non c'era giorno in cui non accadesse qualche violenza, di varia gravità) e la prossimità del fenomeno (non riguardava persone ignote, ma nomi e volti noti). Certamente l'episodio più clamoroso, per lei, fu quello del 1814, quando una banda fece irruzione in chiesa e sgozzò più persone, compreso il padrino di Maria De Mattias. La ragazza dovette fuggire in casa scavalcando pozze di sangue umano. La ribellione La sua vivacità, la sua ardenza, la portarono a concepire una ribellione ardita, che le assicurasse la vittoria. Poiché le circostanze di tempo e di luogo sembravano volerla indurre in una cattività di natura impositiva, ella decise di abbracciarne una di natura elettiva. Si appartò nella propria casa, ritagliò uno spazio tutto suo, che duplicò con lo specchio, nel quale ella divenne protagonista e controparte. La stanza reale e quella riflessa nello specchio divennero il suo mondo: dove la ragazza non era più prigioniera, ma libera. Non era più osservata come dentro una gabbia, ma assolutamente padrona di se stessa. Si accorse poi che dialogare con uno specchio era monologare. Non era quella una vittoria, ma una sconfitta; perché tutto diveniva inutile: come una palla di fucile che, esplosa in verticale, si innalza e poi torna a rinfilarsi nella canna da cui uscì. Che senso aveva quella sua vitalità, quel suo fervore, quella voluttà di essere, se si riduceva a un inviluppo in se stessa? 7 G. MERLINI, O. c., p. 13. Ruppe quell'isolamento, quella prigionia, iniziando a parlare con una Immagine: una Maternità di Maria. Era la scoperta di una madre che ella non aveva mai avuto. Maria di Vallecorsa incomincia a dialogare con un'immagine di Maria di Nazareth. Quel colloquio, di per sè non meno illusorio di quello intrattenuto con la propria immagine allo specchio, aveva un significato solo perché lasciava intendere un futuro. La Madonna, infatti, secondo la percezione di Maria De Mattias, le diceva: “Non temere, ti aiuterò”. 8 Dove quel verbo tanto importante (aiutare) espresso nel tempo futuro (aiuterò) e intimamente congiunto con la particella pronominale (ti) esprime tutto un programma. “Io aiuterò te”. Giustamente Maria, molti anni dopo, ripensando la propria vita, confida che sentì come “uno scudo di fortezza”9 che la ricopriva. Era l'approdo su un po' di terraferma da parte di un naufrago che a lungo ha lottato con la vastità delle onde in tempesta. In un contesto più femminile, e con le sue stesse parole, significava sentirsi “portare come leggermente e posarsi su certe sicure braccia”.10 Erano braccia materne; in parte ricevute in dono e in parte conquistate. Ella decise allora di fare della sua vita un dono. Non qualcosa che viene rapito, ma che viene dato. Non la donna oggetto, ma la donna soggetto della propria vita. Una donna protagonista, padrona di fare di sé quello che vuole, non quello che vogliono.11 Per dimostrare che così stavano le cose, comincia a fare delle “stranezze”: cioè delle azioni che erano sue e soltanto sue! Le sue stranezze contenevano anche quel non so che di rivincita, di dispetto. Che cosa è strano? Quello che gli altri non condividono! Quello che non si è mai fatto! Maria, sola davanti allo specchio, indulgendo alle vanità, faceva ancora sempre e soltanto quello che gli altri volevano. Lo faceva per sé, non per gli altri; ma era pur sempre quello che gli altri, altrove, facevano. Ma se ella avesse deciso di indossare un abito a rovescio, o gli scarponi della domestica, se avesse aborrito i monili d'oro che davano lustro al casato e ai suoi membri, questi comportamenti non sarebbero rientrati negli schemi precostituiti! Sarebbero stati suoi e soltanto suoi! Si mise a fare proprio così, mandando in bestia più che mai la madre Ottavia; ma ottenendo l'approvazione di quell'altra madre, quella che aveva detto: “Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua parola!”. Era veramente se stessa: viva, ardente, potente; anzi: prepotente. E infatti: ecco insorgere Ottavia a rimproverarla “fortemente”, e a dire chiaro e tondo che non consentiva a “quello spoglio”.12 I De Mattias avevano un decoro da mantenere. Sentiamo la reazione di Maria a quel nuovo tentativo di farle violenza, di reprimerla: “Essa però avendo fatto il primo passo non volle tornare indietro”. 13 Sono parole del Merlini, riprese dal racconto della stessa Maria. Ma il Merlini ci riferisce anche il motivo di quell'atteggiamento: “Per burlarsi del mondo”. E talvolta esagera davvero in quella ripicca: ma sempre “per burlarsi maggiormente del mondo”.14 Chi c'era in quel concetto di “mondo” contro il quale Maria lanciava i suoi sberleffi? C'era il contesto sociale nel quale viveva; tutto e tutti, probabilmente. Ella ci appare come una sorta di Farinata degli Uberti, che se ne stava a Vallecorsa come quello negli inferi, “come avesse il mondo in gran dispetto”.15 Solo che in Maria non c'era solo il dispetto, ma anche l'amore. Ella si ripeteva spesso: “Ho bisogno di Dio e non del mondo!”.16 8 Ivi, p. 18; M. DE MATTIAS, Lettere, Vol. II, p. 60. 9 Ivi, p. 17; M. DE MATTIAS, O. c. ,Vol. II, p. 61. 10 Ivi, p. 18; M. DE MATTIAS, O.c., Vol II, P. 60. 11 A Maria, infatti dava fastidio il così detto “controllo sociale” cioè il sentirsi osservata, valutata, minuziosamente ispezionata dagli occhi della gente. 12 G. MERLINI, O.c., pp. 24-25. 13 Ivi, p. 24. 14 Ivi. 15 DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, III, X, 36, con leggera modifica. 16 M. DE MATTIAS, O.c. , Vol. II, p. 60. La Riconciliazione E in quell'approdo minimo non si può non vedere il risultato dell'azione paterna. Giovanni De Mattias fu, infatti, il primo maestro di spirito della ragazza. L'unico che avesse saputo dare un senso a tante privazioni e a tanto male... Quel dispetto che Maria pensava di fare al mondo lo faceva a se stessa. Maria non tardò a rendersene conto. Non si può amare Dio per fare dispetto al mondo. Né amando il mondo si può fare dispetto a Dio che ne è l'autore! Dio non ha fatto dispetti al mondo, ma dopo averlo creato lo ha salvato a costo del proprio annientamento! Questo Maria lo aveva saputo più che dalle prediche e dai catechismi, dal padre. Giovanni De Mattias, infatti, le aveva spiegato con parole convincenti il significato dell'Agnello di Dio, il quale toglie il peccato del mondo. Questa immagine e più ancora il suo significato mettevano in crisi il comportamento da lei tenuto fin allora. Ribellarsi alle ingiustizie, va bene; ma se ci si ferma alla scaramuccia, si commette ingiustizia, aggiungendo male al male. Ribellarsi alle ingiustizie può essere una buona partenza; ma poi la giustizia si serve immolandosi nella testimonianza. Dunque in tutta quella sua vita rancorosa, che fin allora aveva condotto, non c'era senso. Opporsi alla mamma non aveva senso: bisognava onorarla. Opporsi agli uomini cattivi, inveire contro di loro per le cattiverie che compivano, non aveva senso: bisognava fare qualcosa per salvarli; anche a costo di rimanere sbranati come un agnello in mezzo ai lupi. Tutto ciò era chiaro e il non sapere che cosa in concreto occorresse fare non toglieva verità al ragionamento. Meglio seguire quegli slanci, insoliti per una ragazza della sua età, che la portavano a amare la Madonna e il Crocifisso e a assimilare la loro lezione. Ella si avvedeva che né l'Una, né l'Altro, potevano accettare quei suoi slanci, perché venivano da un animo che disprezzava e rifuggiva il mondo, per il quale essi avevano invece tanto patito. Luce da luce Certo è che Maria avrebbe continuato imperterrita nel suo drammatico isolamento (nonostante la lacerazione interiore che provava) se un fatto straordinario non fosse intervenuto nella vita vallecorsana: la predicazione di una Missione popolare da parte di Gaspare del Bufalo, Biagio Valentini e Vincenzo Spaziani: tutti e tre Missionari del Preziosissimo Sangue. E' sempre il Merlini il teste autorevole di questo episodio che realizza non solo la riconciliazione di Maria con il mondo, ma anche quella di Maria con se stessa. “Ella” - cioè Maria De Mattias diciassettenne - “al vedere lo zelo dello indefesso operaio, e le grandi fatiche che sosteneva per la gloria di Dio e salvezza delle anime, concepì un vivo desiderio di applicarsi pur essa a cercare la salute del prossimo”.17 Così scrive testualmente il Merlini e il teste è di tale meticoloso rigore che ogni parola è una pennellata. Innanzitutto notiamo che non si tratta di una rivelazione di carattere soprannaturale, ma del ritrovamento di una identità. Ella, al vedere ... E' Maria che ritrova il bandolo della matassa. Come? Al vedere! Non chiacchiere, non bei discorsi. Fatti, incarnati in un uomo: Gaspare del Bufalo. Le grandi fatiche.... Oh, le grandi fatiche delle donne vallecorsane! Intrepide in mezzo ai pericoli, per portare avanti la loro famiglia! Come le aveva invidiate, da dietro le finestre di casa, ella così ovattata, così garantita, così prigioniera! Ora Maria ammira le grandi fatiche di un uomo famoso, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Ella non aspira ai privilegi, come tutte le donne. Aspira alle fatiche di cui le donne del suo paese si sarebbero volentieri liberate, se avessero potuto. 17 G. MERLINI, Lettere a Maria De Mattias, Vol. II, p. 685. C'è un termine stupendo e involontariamente ardito, usato dal Merlini come conclusione di quello spettacolo veduto da Maria De Mattias diciassettenne: Concepì! Maria concepì. Ogni concepimento avviene certo per una novità che si aggiunge, ma a qualcosa che già è presente nell'utero. Qual è il frutto di tale concepimento? Maria concepisce un desiderio. Può sembrare riduttivo. Ma il desiderio che si rende presente in lei è stupefacente per una donna del suo tempo e nelle sue concrete condizioni: vuole essere Missionaria, come il grande Missionario; e si sente trascinata irresistibilmente verso quella realizzazione di sé perché è la sua identità finalmente scoperta. Nel desiderio, la cosa pare naturalissima. Ella era una donna dotata di una straordinaria comunicativa e di un bisogno formidabile di incontrare gli altri; ma che per una serie di contingenze storiche si era venuta a trovare in un isolamento senza fine. La missione le aveva consentito di ritrovarsi e ritrovando se stessa si riconciliò con il mondo, perché comprese il proprio posto in esso. Tutto ciò, più che altro, a livello di intuizione; come al vedere un approdo lontano e forse irraggiungibile. Ben altro sarebbe occorso perché venisse alla luce ciò che era stato concepito! Dentro il cliché, fuori del cliché Solo con la guida del Merlini ella incomincerà a muoversi concretamente verso la piena acquisizione della propria identità. E il risultato si vide subito. Maria divenne immediatamente il centro di attrazione per le coetanee, una importante collaboratrice dei Missionari che aprirono una loro residenza a Vallecorsa. Non essendoci ancora un locale idoneo per ospitare le sue iniziative, ella trasforma la propria casa (precisamente quella casa nella quale si era sentita in gabbia) in luogo di conferenze, preghiere e paraliturgie. Un porto di mare! Non era lei che si imponeva alle altre, bensì le altre che riconoscevano in lei un carisma di guida, di animazione. Finalmente le ragazze di Vallecorsa avevano una vita associata. Se fosse venuta a mancare Maria, ognuna sarebbe ritornata nel proprio privato. Nel far ciò Maria De Mattias andava rivelando la propria vera natura, quella che era stata compressa, ma non debellata da una serie di eventi coartanti. Nel far ciò, anche, ella andò rivelando al Merlini, suo direttore spirituale, di essere la persona giusta per “piantare e far venire a frutto” una nuova istituzione: quella delle Maestre Devote del Preziosissimo Sangue, ramo femminile dei Missionari. Sul titolo si discuteva ancora. Vi era chi, al termine Maestre Devote preferiva Adoratrici; e chi proponeva Figlie del Divin Sangue. Al di là del nome, si sapeva che dovevano essere maestre di scuola per l'educazione delle fanciulle: problema assai sentito in quegli anni. Maria De Mattias, dunque, dopo essere uscita da una prigione stava per entrare in un'altra? Stava cioè per calarsi in ruoli e situazioni minuziosamente previsti per lei? Nella seconda parte vedremo come, di fatto, ella sovvertirà gli schemi preparati. II IL VERO PROFILO DI MARIA DE MATTIAS Contestazione dei monumenti Passando a parlare più direttamente del profilo di Maria De Mattias, che vogliamo tracciare, riteniamo opportuno cominciare con il contestare tutti i monumenti che sono stati dedicati alla nostra protagonista. La ragione metodologica è chiara: per poter accettare e imprimere nella mente una immagine nuova di una realtà antica dobbiamo liberarci, appunto, di quella antica, che vi si è installata con ingombrante evidenza. I ritratti, in pittura o scultura, sono un tentativo di fissare (con i lineamenti fisionomici) il carattere di un personaggio, la sua psicologia, la sua attività. Il ritratto è un tentativo analogo a quello che stiamo facendo noi servendoci delle parole. Ebbene: allo scultore e al pittore non sempre bastano le linee del volto o l'abbigliamento a dire tutto quel che vorrebbe dire; allora fa ricorso alla scena, nella quale inserisce elementi-simbolo. Maria De Mattias è stata quasi sempre rappresentata, seduta o in piedi, con delle ragazzette attorno. Questo cliché risulta del tutto inadeguato, anzi falsante, ai fini di tramandare la fisionomia spirituale, la personalità, il profilo di questa donna. Anche se ella fosse rimasta quella dei primi anni dopo la Missione del 1822; se fosse cioè rimasta quella degli anni 1825-1828, già risulterebbero inadeguate quelle raffigurazioni. Alla scuola del Merlini, infatti, come già abbiamo detto, ella aveva incominciato a radunare attorno a sè delle coetanee, alle quali ben presto si unirono delle donne mature. Ascoltiamo il Merlini, testimone oculare: “Ed era giocondo il vedere non solo le giovanette, ma eziandio le grandi accorrere con santa gara e piene di fervore a queste pie adunanze”.18 E era questa la novità: il concorso straordinario e la presenza di persone più grandi di lei. Fenomeno molto vasto, se è vero che spesso gettava Maria nella costernazione, facendole apparire presuntuoso il progetto, frutto di illusione. Ma il Merlini, che ben aveva conosciuto quale fosse il disegno di Dio sul conto di quella ragazza, “l'animava a continuare” e quella “proseguiva obbediente a far quel bene con nuovo spirito, adoperandosi a tutto potere per la coltura di quelle anime. E formò anche il Ristretto delle Figlie di Maria”.19 Notare quel formò. Le Figlie di Maria erano uno dei Ristretti delle Case di Missione e ella certamente prese quell'iniziativa spinta a intraprenderla dal Merlini. Ma la realizzò proprio lei; e fu la sua prima “fondazione”; una sorta di prova. Dunque già in questa primissima fase della propria realizzazione, come personalità, Maria dimostra di essere assai di più di quel che tentano di farci credere i suoi numerosi monumenti, che la vogliono protagonista in mezzo a fanciulline. 20 Figuriamoci se quelle interpretazioni possono ritenersi adeguate a tramandare il profilo (l'uso di questo termine è intenzionale) di Maria De Mattias nella sua compiutezza, come si dirà nelle pagine seguenti. Ma, si dirà: nelle raffigurazioni non è possibile dir tutto. Molte volte bisogna ricorrere all'episodio. Del resto, anche Gesù è stato raffigurato nelle più diverse situazioni. C'è anche un Gesù attorniato dai fanciulli, come Maria De Mattias nei monumenti di cui si parla. Tutto ciò sarebbe vero se il Gesù tra i fanciulli fosse divenuto, per così dire, il profilo (notare ancora una 18 G. MERLINI, Compendio, p. 31. 19 Egli dice: “Ma animata a continuare proseguiva obbediente”. Colui che la animava non poteva essere che lo stesso Merlini. 20 I monumenti che conosciamo sono: Vallecorsa, Acuto (nell'orto della Casa Madre), Roma: Casa di San Giovanni (nel giardino), Roma: Casa Generalizia (all'ingresso), Carbonara di Bari (nel giardino della Casa Provinciale). volta l'uso intenzionale del termine) di Gesù. Ma non è così! In quel caso è davvero episodico; come lo è la pittura che lo raffigura tra i dottori nel tempio; quella che ce lo mostra mentre parla alle turbe; quella che lo ritrae nell'Orto degli Ulivi. Eccetera. Ma non è cosi per il Crocifisso. Quella immagine, lo capiamo subito (anche per il numero delle interpretazioni e delle repliche) ha una valenza che pretende di compendiare la missione terrena di Cristo! Allo stesso modo ci sembra di poter dire dei monumenti di cui sopra, dedicati a Maria De Mattias. L'alto numero delle repliche, con minime varianti, ha codificato una immagine; ha stabilito un profilo. Errato, purtroppo. Certamente nelle intenzioni dei committenti e degli artisti c'era la presunzione di connotare tutta la personalità della De Mattias; o, almeno, quanto più possibile di essa. Noi abbiamo detto di trovare fortemente inadeguate e anzi mistificanti quelle raffigurazioni. Vediamo di portare degli elementi, che mentre giustificano tale severa affermazione, diano al tempo stesso indicazioni sufficienti per una diversa icone di Maria De Mattias, che meglio consenta la denotazione della sua vita. Liberiamoci intanto di ogni pregiudiziale manufatto. Appunti per una icone Maria De Mattias fondò una Congregazione di Maestre, le quali aprirono scuole per fanciulle in numerosissimi paesi che ne erano sprovvisti. Questo è indubitabile e anche è l'unica affermazione che viene codificata nei Monumenti contestati; affermazione che con facilità l'osservatore decodifica. Cioè: questo è l'unico messaggio di quel discorso iconico che con i Monumenti si vuole e si riesce a fare. Ma non è mortificante, per la nostra Protagonista, alla luce di quanto abbiamo detto e di quanto stiamo per dire? Maria De Mattias fu veramente e essenzialmente una grande maestra per fanciulle e fondatrice di una Congregazione di donne essenzialmente “maestre per fanciulle”? Scrive il Merlini, volendocela mostrare in un profilo più congruo: “Ascoltatela allorché parla nelle Scuole a due e trecento donne ivi raccolte per sentire la parola di Dio”.21 Ecco già un diverso uditorio. Non le solite ragazzette (nei Monumenti, due o tre) ma delle donne, madri di famiglia o zitelle, ma donne; e in numero di due o trecento! (Da notare, e sia detto tra parentesi: anche quando faceva scuola, la scolaresca di Maria De Mattias non contava mai meno di cento alunne!). Maria De Mattias, appena terminata la scuola vera e propria, liberava i locali e li metteva a disposizione del popolo e dell'attività apostolica. La caratteristica della sua personalità, la nota peculiare del suo profilo, il quid che la contraddistingueva e la contraddistingue da altre donne celebri del suo tempo, non fu, non è, l'essere “insegnante”; ma questo secondo aspetto, di donna che parla alla gente radunata, che predica a tutte le categorie. Se vogliamo attribuirle il nome di Maestra, dobbiamo valorizzarlo al massimo e intenderlo nel senso in cui Gesù era maestro. Maestra di vita. In caso contrario, il termine che più le si addice è quello di Apostola. Dobbiamo qui dire che Maria De Mattias non inventò tutto ciò. Non lo creò dal nulla. Lo scoprì dentro di sé come una chiamata e lo trovò attorno a sè come esigenza dei tempi. Ma fu indubbiamente lei a realizzarlo. Risulterà dall'insieme del nostro lavoro. Maria De Mattias imitava i Missionari del Preziosissimo Sangue, che aveva incominciato a conoscere nella persona carismatica di Gaspare del Bufalo. Abbiamo una conferma curiosa di questa affermazione. Sappiamo che era tipico dei Missionari parlare al popolo dall'alto di un “palco” eretto nella chiesa. Non dal pulpito, non dall'altare, ma da un palco rialzato in mezzo al popolo. Ebbene, qualcosa di strano dovette accadere nella scuola di Acuto, dove Maria De Mattias riuniva il popolo (mancando ancora di una chiesa propria). Infatti nel dicembre del 1843 don 21 G. MERLINI, Lettere a Maria De Mattias, Vol. II, p. 689. Giovanni Merlini le scrisse: “Mi è stato detto che ha fatto il palco nella Scuola pia dove loro predicano alle donne. E' vero? Sarà, mi figuro, un equivoco”.22 Si noti che la meraviglia del Merlini e, eventualmente, il suo disaccordo, è sul fatto che le Adoratrici parlino da un palco, non sul fatto che parlino alle donne! A noi non interessa se sia stata vera o no quella diceria; ci fa anzi piacere che sia potuta sorgere e non ci dispiacerebbe affatto se Maria De Mattias abbia parlato da un palco. Conferme e approfondimenti Dunque noi, che siamo alla ricerca di un profilo che ci presenti Maria De Mattias in modo individuale e inconfondibile, abbiamo già sotto gli occhi una raffigurazione diversa da quella stereotipa dei Monumenti. La nostra protagonista offre quella di una donna attorniata da altre donne, madri di famiglia o nubili. Sui volti di questa folla c'è ricerca di consiglio, ansia di certezze. Maria De Mattias si presenta come depositaria di una parola di salvezza. Ebbene, anche questa è una immagine inadeguata. Maria vuole il popolo! Per questo sogna una chiesa propria, nella quale poter radunare la totalità della famiglia umana. Ci mette gli occhi addosso fin dal suo arrivo in Acuto: vuole la Chiesolina dell'Immacolata e alla fine l'ottiene. Ella realizza una comunicazione tra la Chiesolina e il Monastero, così che a sinistra dell'altare maggiore viene a trovarsi un Oratorio. Quello riserva alla comunità e alle donne, mentre la navata della Chiesolina, almeno nelle grandi occasioni, è lasciata agli uomini.23 La fama di Maria De Mattias si spande in un baleno nei paesi circostanti. Ella è indicata come “la donna che predica in Chiesa” o anche, più semplicemente, la donna che predica. La testimonianza più eloquente è proprio quella di Patrica. Siamo negli anni Quaranta del 1800. Maria De Mattias giunge in questo paese per prendere con sé due figlie del dottor Gioacchino De Sanctis. E' proprio una di esse, Rosa, che attesta come, già da alcuni giorni prima, tutta la popolazione era in subbuglio e incuriosita per quell'arrivo. Tutti volevano vedere la donna che predicava. Infatti si era sparsa la voce che insegnava e predicava molto bene!24 E si ascolti la testimonianza di don Antonio Necci, sacerdote di Acuto, coetaneo e collaboratore di Maria. “Nel mese di maggio del 1834È (pensate, l'anno del suo arrivo a Acuto!) “benché si facesse pubblicamente il Mese Mariano, pure ne incominciò un altro nella Scuola la Maestra, sminuzzando quelle adattate meditazioni per la gioventù con tal profitto (...) che tutte si confessarono e fecero la Comunione generale”.25 Poi anche il mese di giugno al Preziosissimo Sangue, il Carnevale Santificato, la Congregazione delle maritate, le novene, gli esercizi... La Congregazione delle maritate, spiega don Antonio Necci, “consisteva in una lezione sugli obblighi del proprio stato ed in una meditazione sopra le massime eterne”. 26 Ma su questo torneremo. Sembra di poter dedurre che per Maria la Scuola era una porzione del suo ministero e non il più congeniale. A volte ci sembra che se ne serva come un veicolo per andare più in là. Sentiamo dalla sua viva voce (per così dire) una riflessione a tal proposito, nei primi tempi di Acuto: “Questo nascente istituto non ha altro di mira che la sola gloria di Dio e la salute delle anime da Lui voluta. Noi faremo di tutto per richiamare i poveri peccatori dal cammino della perdizione. Spero che le donne e le figliuole che con tanto amore si portano da noi per imparare a conoscere a ad amare Dio si vogliano adoperare verso i loro mariti, e così vedere quella riforma tanto desiderata nei presenti tempi”.27 22 Ivi, Vol. I, p. 60. 23 M. DE MATTIAS, O. c., Vol. I, p. 224. 24 Processi: Romana seu Anagnina...: Summarium, p. 3, testimonianza di suor Rosa De Sanctis. 25 Ivi, Summarium addit., p. 169: Manoscritto del Necci. 26 Ivi, p. 171. 27 M. DE MATTIAS, O. c., Vol. I, p. 20. Curiose verifiche Che questo profilo di Maria De Mattias sia quello vero, per il quale veniva individuata e apprezzata è fuori di dubbio. Non si era mai visto nulla di simile né a Acuto, né in diocesi di Anagni; né suppongo, in un raggio di gran lunga maggiore, per non dire nel mondo. Rimasero sbalorditi sacerdoti e vescovi. E' tipico l'episodio, che chiameremo dell'Arciprete. Nel 1839 dopo cinque anni che Maria dimorava in Acuto, non aveva ancora a disposizione una chiesa. Ella però, come si è detto, aveva saputo ricavarsi uno spazio, vitale per la propria autorealizzazione, dentro la Scuola. Sentiamo il suo racconto: “Ieri, dopo aversi radunata la moltitudine delle donne per il mese mariano” (notiamo la precisazione moltitudine: attorno a Maria ci sono le folle, sempre), “venne l'Arciprete molto alterato prendendola con me, dicendo alle pie donne che non si devono ascoltare le donne, ma i sacerdoti; con altre molte cose che disse, e mi proibì di fare più funzioni, ma la semplice scuola. Io seguitai a stare in ginocchio con le mie figliuole. A me venne da ridere, ma non mi feci conoscere dal signor Arciprete. Le mie compagne e le buone donne chi piangeva e chi molto afflitta sospirava e si erano mutate di colore per la pena”.28 Alla proibizione dell'arciprete di predicare e all'ingiunzione di fare soltanto la scuola, Maria ride e le donne, l'intero paese, si ribellano. E' un raro esempio ottocentesco di contestazione ecclesiale, di presa di coscienza popolare in merito al diritto a essere protagonisti nella Chiesa. Notate che non è una rivendicazione campanilistica, ma di ruolo. E notate anche la serenità di Maria, la sua buona coscienza di essere nel giusto. La rivolta popolare induce poi l'arciprete a mutar consiglio.29 Ma l'allarme dell'arciprete passa agli ambienti di Curia, al Vescovo in persona. Dice il Merlini: “Essendo Vescovo amministratore di Anagni Monsignor Muccioli” (siamo quindi ai primissimi tempi) “il quale conosceva bene lo spirito di Maria (...) si fecero dei ricorsi contro di lei accusandola perché predicava”.30 Notiamo l'imputazione. E' la cosa che fa scandalo. Inaudita e eccezionale. Anche Gesù fu imputato della sua peculiarità: aver detto di essere Figlio di Dio. Proseguiamo a ascoltare la testimonianza del Merlini: “Il prudente Prelato, per accertarsi del fatto e conoscere come andavano le cose, spedì in Acuto un Padre della Compagnia di Gesù con istruzione che l'ascoltasse di nascosto e di poi ne desse a lui esatta relazione. Il padre l'udì e restò cosi“ soddisfatto che ebbe a dire al Vescovo che poteva lasciarla parlare quanto avesse voluto, perché era in essa lo spirito di Gesù Cristo. Non contento però il buon Prelato, a meglio assicurarsi, mandò un altro esploratore, e poi un altro con le stesse mansioni, e questi pure fecero elogi della maniera e dello zelo con cui essa parlava”. Nota il Merlini che uno di questi inquisitori, prima ancora di giungere a Acuto, sentì parlare nelle campagne con tanto entusiasmo di Maria, da convincersi che si trattava di una inutile persecuzione. Ma il Vescovo non si accontentò di quella triplice testimonianza, “benché peraltro sembrasse più che bastevole”. Volle aggiungere un'altra prova e mandò il P. Raffaele di Santa Margherita Agostiniano Scalzo, uomo veramente di Dio, il quale aveva residenza in Frosinone, nel Convento dell'Ordine suo alla Madonna della Neve. Questi andò come a diporto in Acuto, in giorno che la Serva di Dio doveva fare la conferenza alle donne, con somma diligenza e destrezza adempì all'assunto incarico; nel che fare restò cotanto edificato, che egli disse poi al Vescovo, che quella fondazione essendo opera di Dio, doveva aiutarsi e difendersi, e che si dovevano punire i falsi relatori. E fu allora che l'egregio Prelato lasciò che Maria seguitasse a parlare, istruire, e far del bene come avesse voluto”!31 28 Ivi, pp. 34-35. 29 Ivi, p. 41. 30 G. MERLINI, Compendio, p. 56 31 Ivi, p. 57. Una immagine più nitida Siamo quasi al quadro completo. Maria attorniata da folle di donne, parla a volontà. E' lasciata completamente libera perché il suo carisma è riconosciuto dal Vescovo. Ma l'immagine è ancora inadeguata. Quella folla, fatta di sole donne, non rispecchia il vero. Ella, come abbiamo detto, ambisce di rivolgersi alla Chiesa nella sua completezza. Osserviamo dunque meglio quella folla. Vedremo che la novità è ancora più straordinaria e, se ci riferiamo alla condizione dell'Ottocento, inconcepibile. E' una novità che turba la stessa oratrice. Ascoltiamo le sue parole al Merlini: “Mi trovo in timore per vedermi esposta a parlare di Dio a donne, uomini, preti, frati eccetera. E' possibile questo per una donna?”.32 Ora siamo al punto giusto del suo profilo. Ecce mulier, potremmo dire. Ecco la donna di cui stiamo parlando. Ritta, che parla alla Chiesa nella sua totalità. Si tratta, come dicevamo, di una novità tanto in anticipo sui tempi, da lasciare interdetta la stessa protagonista che stranamente ora sostiene le tesi dell'arciprete; quelle tesi che in altra fase del suo cammino ella aveva infrante, perché le trovava “roba da ridere”. Ecco l'uditorio di Maria: non tre o quattro ragazzette anodine, linde e pinte; ma ragazzette, donne, uomini, preti e frati; in massa; per lo più cenciosi e devastati dalla fatica, desiderosi di una via di salvezza. Certo non si può addurre, contro questa raffigurazione, la difficoltà di rappresentare una folla in scultura. E' l'atteggiamento che conta. La folla la si può immaginare. Chi non vede l'intero accampamento ebreo davanti alla statua del Mosè michelangiolesco, in procinto di alzarsi per emettere la sentenza contro gli adoratori dell'idolo? Chi non vede Golia, pur non rappresentato, davanti al nudo e corrucciato Davide, dello stesso autore, sul punto di metter mano alla fionda? Sono opere di Michelangiolo, d'accordo; ma si può sempre provare a dire una cosa vera, che, se rimane senza arte, almeno conserva la verità. Né migliore è il risultato delle statue o immagini solitarie. Le mani conserte al petto; o congiunte; o reclinate lungo i fianchi come a scaldarsi al fuoco. Sono tutte falsificazioni. Non occorre essere grandi artisti per dire cose vere. L'artista può rendere perfino bello il falso. Infatti se uno dei monumenti da noi contestato, fosse in sè e per sè opera d'arte, dovrebbe essere giudicato bello; ma non sarebbe per questo meno falsa l'affermazione in esso contenuta. Sarebbe una bella menzogna. Molti monumenti a Maria De Mattias sono delle brutte bugie.33 Il come Diamo per scontato che, a questo punto del discorso, sia ben chiara l'immagine che proponiamo di Maria De Mattias; immagine, lo ripetiamo, da noi intesa come codificazione iconica dell'intera personalità. Il discorso, tuttavia, resterebbe incompleto se noi non dessimo qui uno sguardo prima al suo atteggiamento esteriore e poi alle motivazioni interiori di quel suo inesausto parlare. Incominciamo dall'atteggiamento. Come predicava, Maria? Ce lo dice il Merlini. Acuto osservatore, con inclinazione per il disegno e la pittura, egli in pochi tratti ce la fa vedere viva e nitida. Scrive: “Essa stava d'ordinario in piedi con una sedia avanti, alla quale appoggiavasi; ed ivi 32 M. DE MATTIAS, O. c., Vol. II, p. 171. La domanda • rivolta al Merlini, il quale come vedremo incoraggerà Maria a seguire la propria vocazione. 33 Riguardo a queste statue solitarie, sappiamo citare le due di Vallecorsa (San Martino e Sant'Antonio); quella di Ceglie del Campo, nel giardino della casa delle Suore. A proposito dei quadri, non ci sarebbe molto da dire se non si fosse mosso qualcosa negli ultimi tempi: vedi chiesa di Carbonara con la pala della scultrice Matania, o la cappella della Casa Provinciale di Firenze. Una emozione fortissima si prova certamente davanti ai ritratti, che ce la mostrano disarmata e disarmante, disfatta dal male e dalle fatiche. E' probabile che un certo sforzo di sintesi biografica si possa trovare nel dipinto che la mostra ispirata, allo scrittoio. Al di là dell'enfasi questa immagine riesce a cogliere un aspetto rilevantissimo della sua vita; sul quale ci soffermeremo più in là. con la dottrina od altro libro in mano comunicava i suoi pensieri e sfogava i suoi affetti”. 34 Notiamo che Maria ha bisogno come di una balaustrata, di un parapetto; certamente un residuo di riservatezza. Ella ha anche un certo imbarazzo nell'uso dei gesti. Il libro e la sedia a cui si appoggia risolvono questo problema. Ma il libro non è certamente là per offrire un testo alla lettura. Sappiamo da innumerevoli fonti che ella parlava a ruota libera, se così è lecito esprimersi. E le parole fluivano dalla sua bocca con facilità. Dice sempre il Merlini: “Esprimeva i suoi concetti come le venivano dal cuore, né sapeva saziarsi; talché prolungava il suo dire sino ad un'ora ed anche a un'ora e mezzo, senza che l'uditorio si stancasse”.35 E lo stesso teste ci informa che Maria non parlava una sola volta al giorno, “ma fino a tre volte in un dì”.36 Quali argomenti tratta? Il Merlini è un testimone meticoloso, che lascia, pur nel suo stile compendioso, poco a desiderare. “Gli argomenti che tratta” - dice dunque il Merlini - “sono per lo più della passione di Gesù Cristo, di Maria Santissima o di qualche massima eterna”.37 A Patrica, alle suore di Brigida Contenta, per più giorni parla della virtù dell'umiltà, “con tanta chiarezza e precisione” - dice ancora il Merlini - “che il Parroco Pilotti ed il Canonico Marchioni, i quali vollero essere sempre presenti, ebbero a dire che non si poteva desiderare di più”.38 A San Donato Valcomino probabilmente le donne avevano di che lagnarsi riguardo alla fedeltà dei loro mariti. Maria De Mattias “parla lungamente sul dovere di rimuovere la causa del paccato, e mostra praticamente” - stiamo leggendo ancora una testimonianza del Merlini - “mostra praticamente come la donna spesso è causa dei mancamenti del marito e della famiglia”.39 Argomenti e tesi molto delicata e ardita, per quell'epoca; ma giusta. Riferisce il Merlini: “Dicono che fosse un incantesimo il sentirla svolgere l'argomento con somma naturalezza e semplicità”.40 Argomenti e modo di trattarli riscuotevano un immenso successo. “Venivano da quei contorni le donne, facendo fino a tre, quattro e cinque miglia per udir da lei la parola di Dio, alle quali si univano poi anche gli uomini come altrove. Anzi in detto luogo vi furono anche dei soldati, i quali presi da devozione vollero ascoltarla stando in disparte”.41 Molti altri fatti si potrebbero addurre per provare il successo della sua predicazione; che non poteva essere attribuita alla sola curiosità di sentir predicare una donna; ma a un qualcosa che traspariva dalla sua persona e dalla sua parola e rendeva assolutamente fascinoso il suo profetismo. Il perché Passiamo ora al perché profondo del suo bisogno di parlare. Nessuno meglio del Merlini può illuminarci. Egli dice a questo proposito: “Ardeva nel cuore di lei una carità verso Dio e verso il prossimo tale che non potendola tener chiusa nel petto era costretta manifestarla al di fuori”. 42 Ecco dunque il perché: era esuberanza, una piena incontenibile delle parole della Buona Novella. In Maria non c'è più astio per il mondo, ma volontà di salvarlo, perché Dio ha amato il mondo fino a dare il suo Figlio unigenito e questi ha tanto amato il mondo da versare tutto il proprio Sangue! 34 G. MERLINI, Compendio, p. 54. 35 Ivi: “Parlava poi con molta facilità di parola”. 36 G. MERLINI, Lettere a Maria De Mattias, Vol. II, p. 689. 37 Ivi. 38 G. MERLINI, Compendio, p. 54-55. 39 Ivi, p. 73. 40 Ivi. 41 Ivi; e anche Processi: Summarium, p. 73. 42 G. MERLINI, Lettere a Maria De Mattias, Vol. II, p. 689. Così si spiega come ella, mentre parlava, apparisse assorta e luminosa. Era una bocca di sorgiva e la sorgente zampillava nel suo intimo, secondo l'immagine evangelica. “Le accadeva pure” attesta il Merlini - “che per la veemenza del dire si vedesse tutta fuori di sé, e muovesse tutta l'udienza al pianto”.43 Mentre parlava, dunque, si ascoltava; anzi ascoltava la parola che sgorgava dalla sua bocca, proveniente dal Signore, passando per il cuore... Dettagli Come si può notare da quanto siamo venuti dicendo in questi ultimi paragrafi, individuato il profilo vero e proprio di Maria De Mattias, cioè la sua specialissima identità, stiamo passando alla captazione di particolari. L'atteggiamento del suo volto, i sentimenti del suo cuore. Proseguiamo su questa via con altre annotazioni, che servono a avvalorare e a completare il nucleo del nostro assunto. Oggi, chi voglia parlare a una grande folla, ha a disposizione gli altoparlanti. Al tempo di Maria, per parlare a una grande folla occorreva sforzare i polmoni. “Sente la stanchezza e l'indebolimento del petto, e vorrebbe tacere, ma la carità non vi consente e si sforza. Comincia e più non sente l'incomodo. Finisce ed eccola di nuovo in una debolezza estrema”.44 Chi non si accontenta di una folla, per quanto grande, ma sogna almeno potenzialmente di raggiungere tutti, oggi ha a disposizione le onde della radio e della televisione. Al tempo di Maria, bisognava viaggiare; portarsi da un luogo a un altro. E Maria lo fece: “Dirovvi dei frequenti e talora lunghi e disastrosi viaggi a cavallo ed a piedi fra i geli e le nevi, fra le piogge dirotte per pessime strade, alle volte di pericoli piene, e di questi parlando vi dirò che più volte si trova in pericolo di perdere la vita, che salva non senza speciale protezione di Dio”.45 “Parto per le montagne!” - scrisse una volta al suo direttore da Vallecorsa.46 Era diretta, in quella occasione, a Cascia (Si pensi al viaggio: da Vallecorsa a Cascia, per la via delle montagne!). Un rapporto speciale legava questa donna alle montagne. Una ragione è la rapidità. Scavalcando una montagna spesso si guadagnava tempo rispetto al tragitto che la aggirava. Ma c'era poi il fattore delle radici. Il suo paese natale, la sua popolazione, si identificavano con la montagna: l'indole rocciosa, la storia stessa di Vallecorsa, la cui gente trova da sopravvivere cesellando orticelli sui fianchi di monti ostili e magri. Molti forestieri vanno a vedere le piramidi d'Egitto; nessuno va a vedere i terrazzamenti sulle montagne di Vallecorsa: vi assicuro che è un lavoro non meno imponente! La capillarità nella recezione e la ubiquità nella diffusione, caratteristiche della comunicazione odierna, furono da Maria anticipate, almeno nel desiderio, e realizzate, nei limiti del possibile, a costo di grandi fatiche; che la logorarono anzitempo. 43 G. MERLINI, Compendio, p. 54; Processi: Summarium, p. 78: “Il suo spirito di fede ebbe una speciale manifestazione nella pratica che ebbe la Serva di Dio di tenere discorsi, anzi prediche nella Chiesa della sua Casa di Acuto, che era aperta al pubblico, e fungeva per il lasso di circa dieci anni da Chiesa parrocchiale, la quale era in restauro. In tali occasioni la Serva di Dio si trasformava completamente nel sembiante, e gli ascoltatori restavano incantati e conquisi”. Testimonianza di suor Nazarena Longo. Si noti la correzione istintiva della teste quando dice: “discorsi, anzi prediche”. 44 G. MERLINI, Lettere a Maria De Mattias, Vol. II, p. 689. 45 Ivi, p. 688. 46 M. DE MATTIAS, O. c. Vol. I, p. 221. III CARISMA PERSONALE? Può esistere un carisma personale? A questo punto possiamo porci il problema seguente: “Il carisma apostolico, che si rinviene con tanta evidenza in Maria De Mattias, deve essere considerato una personalissima chiamata, o passa all'Istituto da lei fondato?”. Il quesito non è di poco conto. Strettamente parlando, lo si direbbe estraneo all'impegno assunto in principio, di delineare il profilo di Maria De Mattias, e non del suo Istituto. Tuttavia non possiamo negare una stringente validità alla domanda. Anzi, ci sembra che essa debba essere considerata il versante di maggior rilievo del nostro lavoro. Senza tale domanda e senza una eventuale risposta affermativa alla seconda ipotesi, tutto si risolverebbe in erudizione. Avremmo, a questo punto, conosciuto una personalità della storia, meritevole di essere conservata nella memoria; ma il cui ruolo fin“ con la sua morte. Ella non comunicherebbe nulla alle donne di oggi, se non un tratto di storia concluso e la conoscenza di una personalità isolata. Siamo del parere che Maria non si limitò a occupare come donna uno spazio nuovo, ma lo propose e lo impose anche ad altre donne, in particolare alle sue seguaci. Esistono sicuramente dei carismi personalissimi, anche se ci riesce difficile immaginarne in senso assoluto. I doni che Dio fa a un uomo e a una donna sono al servizio della comunità e il loro esercizio si trasforma in una proposta per tutti, in forme più o meno pertinenti. Il buono è diffusivo di se stesso. Se sorge nella chiesa, come risposta a un carisma personale, una donna apostola, ciò corrisponde all'annuncio di una prospettiva; indica una strada praticabile da molte, se non da tutte le donne. Perfino le stimmate, che ci sembrano il caso limite di un carisma personale, hanno un riflesso sociale! L'argomento ha una forza più convincente quando la persona stessa, che fu dotata di tale carisma, indica con chiarezza la necessità della sequela. Cosa che Maria De Mattias ha fatto fondando una congregazione di donne, le Adoratrici del Preziosissimo Sangue (oggi del sangue di Cristo) precisamente con lo scopo di potenziare nello spazio e nel tempo l'opera da lei incominciata a Acuto. Un certo legame di affinità tra l'esperienza personale di un istitutore e l'istituzione da lui fondata può essere accettata in partenza. Non necessariamente, però. Nulla vieterebbe a un contemplativo di fondare un istituto di vita attiva, o viceversa. Un critico d'arte può disquisire di pittura e scultura, fondare una scuola di pensiero, senza aver mai maneggiato né pennelli né scalpelli (d'ordinario è proprio così). Per altro verso, chi potrebbe impedire a un gran pittore di istituire una scuola di danza? Ma fu questo il caso di Maria De Mattias? Certamente no. Carisma dell'istituto Maria De Mattias, oltre a essere una Missionaria, fondò un istituto di Missionarie. Prima di passare alla dimostrazione di quanto detto, specifichiamo che il termine Missionarie lo intendiamo come femminile di Missionari, secondo il modello dei seguaci di don Gaspare del Bufalo. Non fa obiezione il fatto che i Missionari non facevano scuola, giacché nel caso dei maschi la scuola aveva impostazione essenzialmente culturale; nel caso delle femmine, invece, essa era essenzialmente morale e religiosa. Nel primo caso, quindi, l'insegnamento avrebbe contraddetto la missionarietà; nel secondo la potenziava e le dava un ambito privilegiato. A sostegno della risposta affermativa al quesito iniziale, possiamo portare almeno tre prove: il contesto delle origini; la natura della vocazione di Maria De Mattias; il suo magistero verso le seguaci. Il contesto delle origini. Gli Articoli Fondamentali parlano chiaro. Il nuovo istituto doveva sorgere per far s“ che il Sangue di Gesù non fosse stato sparso invano. E poiché un mezzo molto efficace veniva reputato la scuola, “Quind'è” che quello principalmente prendeva di mira il novello istituto. I molti tentativi che furono fatti per realizzare tale nuovo istituto confermano quanto asseriamo. Le Adoratrici dovevano essere il corrispettivo femminile di quello dei Missionari. In particolare siamo informati delle vicende della fondazione tentata da Brigida Contenta a Patrica e da Teresa Priori a Terracina. A Terracina fu fatto il primo tentativo di fondazione, per opera di don Luigi Locatelli e dello stesso Albertini. La morte dell'Albertini e le non chiare idee del Locatelli fecero poi fallire l'attuazione. Il monastero di Terracina doveva avere, secondo il progetto originario, una chiesa annessa, dedicata al Preziosissimo sangue e il vescovo monsignor Carlo Manassi pose anche la prima pietra di tale chiesa pubblica.47 In occasione della visita compiuta dal vescovo di Ferentino monsignore Vincenzo Macioti a Patrica, nel 1837, questi disapprovò che la cappella delle suore fondate da Brigida Contenta avesse la porta sulla strada. La cappella contestata era stata fatta così di proposito, per consentire l'ingresso del popolo, secondo lo spirito della fondazione. Il vescovo trovava quella innovazione inaccettabile. Era il carisma dell'istituto del Preziosissimo Sangue: le cui aderenti avrebbero dovuto fare in modo che il Sangue di Gesù “non fosse stato sparso invano”.48 Il magistero di Maria De Mattias, poi, parla chiaro. Esso è contenuto nelle molte lettere che diresse alle sue figlie, sparse nelle Scuole. In esse le esorta a curare, oltre che la scuola vera e propria, le altre opere di apostolato.49 Del resto, frequenti sono le esortazioni molto generiche circa lo scopo dell'Istituto; nelle quali è evidente l'intento di additare lo scopo della vocazione delle Adoratrici. Per esempio diceva a suor Amalia Lauretti: “Si ricordi che Iddio l'ha chiamata in questo Santo Istituto per farsi santa e santificare le altre anime che costano Sangue al nostro Sposo Gesù Crocifisso”. E' vero che nelle stesse lettere è predominante la raccomandazione circa le Scuole vere e proprie; ma, oltre a quanto già detto, bisogna tenere presente un'altra considerazione: l'Istituto aveva con i Comuni un vero e proprio contratto e percepiva stipendi esclusivamente per l'attività scolastica. 47 M. COLAGIOVANNI, Briganti e santi a Terracina, Roma 1993. 48 M. COLAGIOVANNI, Ragazzi dell'Ottocento, Roma 1985, p. 70. Sulla fondazione delle suore di Patrica cfr. MARISA SIMONI, Brigida Contenta e le Adoratrici di Patrica, Roma 1983. 49 Nell'impossibilità di citare tutti i luoghi relativi all'affermazione fatta nel testo, indichiamo una pista, per nulla completa, riguardante il secondo volume dell'edizione: pp. 37-38; 41; 77; 94; 285; 312; 314; 335; 448; 499; 502; 516; 575. La preminente preoccupazione di Maria, pertanto, senza contraddire allo scopo primario dell'Istituto (giacché la scuola era allora essenzialmente catechetica) aveva una motivazione di opportunità e di giustizia. Esaminiamo inoltre la prassi seguita a Acuto nelle occasioni nelle quali Maria De Mattias era ammalata o assente. Se il carisma missionario fosse stato esclusivo di Maria, lei assente nessuna avrebbe dovuto sostituirla in quelle mansioni extrascolastiche. Ma le cose non andavano cos“. Scrive Maria De Mattias parlando di sé in terza persona: “In questo tempo della sua malattia non è stato tralasciato dalle sue compagne il Carnevale Santificato con tenere esposta la statua dell'Addolorata. La mattina circa le ore undici si dava principio con la Coroncina del Preziosissimo Sangue, poi un po' di meditazione, terminata la quale si cantavano con flebil voce alcune canzoncine sui dolori di Maria, poi una delle religiose a viva voce spiegava uno dei dolori della gran Madre di Dio (...). In questa tenera funzione vi è stata gran moltitudine di gente, zitelle e maritate; dietro alle donne vi erano circa cento uomini con molta divozione”.50 Ma forse il passo più significativo a questo riguardo è quello della lettera 277 dell'edizione. L'arciprete di Soriano era sdegnato con Maria De Mattias perché non aveva accettato una fondazione nel suo paese. Maria non aveva accettato perché don Giovanni Merlini non era entusiasta di quella proposta e non ne era entusiasta perché non c'era la volontà di affidare alle Adoratrici la Scuola. Maria, parlandone con il Direttore, gli fa osservare: “Lei dice che non si può fare la Scuola Pubblica, ma si può fare il bene pubblico con gli esercizi alle zitelle e maritate, e col tempo si può ottenere anche la Scuola Pubblica, secondo mi assicura il sullodato Signor Arciprete. Mi rimetto a lei”.51 Come si vede, a Maria non importa che non ci sia l'opportunità di fare la scuola a Soriano, giacché non sarà impedito alle sue suore di “fare il bene pubblico con gli Esercizi alle zitelle e maritate”. Né si deve pensare che l'opposizione del Merlini fosse dettata da motivi di principio. Egli temeva solo che senza le entrate sicure dello stipendio comunale le suore patissero ristrettezze. Infatti era assiduo nell'esortare le suore a svolgere le attività d'apostolato e, in una elencazione delle opere proprie delle Adoratrici, insieme alla Scuola cita: l'adorazione, l'ufficiatura della chiesa, la dottrina cristiana, gli esercizi spirituali, le congregazioni, l'educandato. Per non dilungarci troppo su questo punto, che stiamo trattando per inciso, concludiamo con una testimonianza di suor Caterina Pavoni, che della Fondatrice così riferisce: “Parlava delle persone che andavano nelle Missioni e soggiungeva: Giacché il Signore non ci dà questa sorte di andare tra gl'infedeli possiamo tuttavia fare quel che si fa nelle Missioni e ciò coll'istruire le anime nei paesi dove esse sono più abbandonate”.52 E' chiaro dunque che il compito che Maria De Mattias intendeva affidare alle sue seguaci era quello di essere missionarie. La grandezza della gittata Meraviglia, a identità compiuta, in Maria De Mattias, l'ampiezza della gittata del suo cammino. Da segregata nella sua stanza (alla cui porta aveva chiesto che il babbo mettesse una serratura) a trascinatrice di folle. Da ragazza terrorizzata dagli uomini, a donna che parla a intere popolazioni. Da donna analfabeta a donna di scrittoio, che in migliaia di lettere ci lascia un monumento di sapienza. 50Ivi, p. 251. 51 M. DE MATTIAS, O. c. ,Vol. I, p. 351; G. MERLINI, Lettere a Maria De Mattias, Vol. II, p. 550; e anche Ivi, Vol. I, p. 86. Si noti come la Scuola non occupi affatto, in ambedue le elencazioni, un posto di particolare riguardo. Anche nelle Case subalterne essa era una delle attività (Ivi, p. 86). 52 Processi: Summarium, p. 66; M. PANICCIA, l'Apostolato di Maria De Mattias nel contesto dei suoi tempi, in AA.VV, Maria De Mattias alla sequela di Cristo, Roma 1982, p. 32. Cerchiamo di vederla rinchiusa nella sua stanza, autoconfinata, postasi da se stessa sotto chiave; poi a Vallerotonda che predica da un balcone a tutto il popolo. O a Picinisco quando, a furor di popolo, la fanno salire su un tavolino sulla pubblica piazza (altro che palco nella scuola!) e predicare alla cittadinanza. Ma su questo aspetto abbiamo sufficientemente insistito. Vediamo brevemente il suo epistolario, che ci conserva quasi un'eco, una registrazione della sua parola. Maria De Mattias era analfabeta. Disse al Merlini: “Il mio genitore non volle mai permettere che le figlie femmine imparassero a scrivere. Posi la penna in carta per scrivere a Vostra Paternità ma non sapevo come formare la parola”.53 E allora ci domandiamo con grande stupore: Come fece questa donna a intrattenere quella vasta, differenziata e puntuale corrispondenza? Non si ricorra facilmente al miracolo per trovare soluzione a quesiti che sembrano ardui. Scrive ancora la stessa De Mattias. “Nello scrivere provo quasi sempre gran difficoltà, molte volte ci sudo per la ripugnanza. Quando non scrivo si turba il mio spirito; quando ho soddisfatto a questo, si dilata il mio cuore con pace; non so se mi spiego”.54 Si spiega benissimo. Era una esigenza fisiologica, per lei. Apparteneva a quel medesimo bisogno di essere se stessa che l'aveva condotta dalla segregazione della stanza di Vallecorsa, sui pergami improvvisati di cento paesi. Ce lo spiega ella stessa, quando confida: “Una volta parvemi di sentire nel cuore una voce quasi sensibile che diceva: Tu scriverai non per te, ma per gli altri!”. E' la conferma più lucida che si possa desiderare a quanto abbiamo cercato di dimostrare con questo nostro intervento. E' una tesi che andiamo sostenendo da tempo. Molte sono state le sante maestre nella Chiesa e, in ogni caso, ben altre sono state le pioniere di questa sorta di ministero donnesco. Poche al contrario (e probabilmente inesistenti) le donne che prima di Maria De Mattias abbiano saputo conquistare tanti e così nuovi spazi in seno alla Chiesa. Certo: Maria De Mattias non inventa il proprio ruolo; ma incarna quello codificato da don Francesco Albertini negli Articoli Fondamentali. Ma noi abbiamo cercato di dimostrare che si tratta di una felice coincidenza. Maria De Mattias poté realizzare quel modello tracciato sulla carta, perché aveva in sé i requisiti umani e la chiamata soprannaturale per farlo. Ne sono prova i molti altri tentativi falliti, con altre candidate anche più titolate.55 E tuttavia, anche se agevolata e, per così dire, condotta per mano a realizzare un modello per il quale era stata destinata, Maria De Mattias ci lascia pieni di ammirazione. Ci lascia più ammirati, sotto molti aspetti, di san Gaspare e del Merlini; giacché ella partiva da molto, molto più indietro: partiva dalla condizione femminile della subalternità, anche se questo concetto, per le donne ciociare, va preso in una particolare accezione.56 Ella, d'altra parte, condusse gli esiti della propria esperienza di donna ecclesiale ben oltre il dettato degli Articoli Fondamentali, come abbiamo dimostrato! Gaspare del Bufalo e Francesco Albertini portarono a un alto grado di perfezione modelli già esistenti e anzi comuni. Maria De Mattias dovette incarnarne uno del tutto nuovo per sé e per la totalità dei suoi contemporanei. La sua grandezza sta nel fatto che ancor oggi la sua vita farebbe scalpore. Questo, mentre è un enorme elogio per lei, forse è un rimprovero per tutte le donne nella chiesa. Esse oggi invocano ruoli preclusi da una tradizione millenaria, come per esempio il sacerdozio. Vogliono infilarsi in un otre nuovo per loro, senza aver ancora trovato il modo di essere vino. 53 M. DE MATTIAS, O. c. ,Vol. II p. 46. 54 Ivi. 55 Ci riferiamo qui in particolare alla contessa Caterina Bentivoglio Orsi, prescelta dalla prima ora. 56 M. COLAGIOVANNI, Donne ciociare protagoniste nell'Ottocento, in AA. VV, Madre Caterina Troiani educatrice e missionaria, Casamari 1987, pp. 49-88. Appendice I DISCORSO FUNEBRE DI GIOVANNI MERLINI II LETTERA DI ANTONIO NECCI A G. MERLINI III APPUNTI DI MADDALENA CAPONE 22 I DISCORSO FUNEBRE 1 DI GIOVANNI MERLINI (...) Allorché Iddio elegge alcuno onde servirsene per le opere di sua gloria è uso di preparar le vie e dispensare quei doni di natura e di grazia che sono necessari al conseguimento del fine. Così avendo egli voluto suscitare nella sua Chiesa un Istituto di Religiose che si occupassero del loro sesso, e presentare per questa parte un mezzo fra gli altri valevole per la bramata riforma, ed avendo prescelto Maria De Mattias, fu duopo che rivolgesse a questa la sua speciale protezione, e la prevenisse con favori speciali richiesti per si nobile e spinoso ufficio. E fu quindi che gli donò un cuor sensibile e facile all'impressione della grazia, uno spirito pronto ed energico, una angelica illibatezza di costumi, e si servì finanche delle debbolezze donnesche per tirarla a se interamente e fargli acquistare la vera e soda virtù. Miratela infatti in età di otto anni come gusta il racconto dei fatti scritturali che il Padre gli va narrando, e come si commove allorché sente che Abele Isacco Giacobbe ed altri erano figura di Gesù Cristo. Ella non è sazia, e chiede al Padre che gli rinnovi il racconto, e pieno sente il suo cuore di affetto verso Gesù. Sente parlare dell'Agnello pasquale e domanda cosa dir voglia. Inteso che era figura di Gesù Cristo. che come agnello innocente fu portato al calvario, e che ivi morì crocifisso dando il sangue e la vita per la nostra salute, non poté trattener le lacrime di tenerezza, ed il suo cuore si liquefacieva come la cera. Ma Iddio che andava lavorando quest'anima fortunata volle disgustarla del mondo prima ancora che lo conoscesse. Dispose pertanto che i genitori la portassero un giorno ad una conversazione, dove era il Delegato ed il fiore del Paese. La giovanetta vi si trattenne, e fu ancora con essi alla ben lauta Cena. Tornata a casa, invece di rallegrarsi cadde in una profonda malinconia, e ritiratasi in camera cominciò a sospirare, e a dire fra se = E perché questo? Cosa ho fatto? Se sono andata, è perché mi ci hanno portato. Ho fatta l'obbedienza. Ma gl'interni rimproveri si succedevano gli uni agli altri, e non gli davano requie; non sapendo donde venissero, perché, e cosa volessero significare. Riceveva un qualche conforto nel raccomandarsi a Maria SS.ma, ma non cessavano le sue pene le quali si erano rese oltremodo sensibili, e tanto che s'indusse a pregare il Padre di non volerla più condurre a simili feste. Ma questo era poco, perché non solo Iddio la voleva staccata dal mondo, ma anche da se medesima. Senza avvedersene, erasi affezionata alcun poco alle vanità, e sull'esempio di altre sue pari si andava adornando per non essere delle ultime; tutto però in Lei era simplicità e modestia. Tuttavia si tratteneva le ore allo specchio per acconciarsi i capelli. E poiché ivi appresso allo specchio vi era un Immagine di Maria SS. molto devota, spesso dallo specchio gli andavano gli occhi a quell'Immagine e sentivasi ripetere al cuore = Vieni a me = Ella sul principio non badava, e nel mirarla sovente, si sentiva rapita e versava calde lacrime di tenerezza, e così vivamente quella soave immagine gli restava impressa nell'anima, che spesso lasciato lo specchio si tratteneva genuflessa d'innanzi ad essa, e levandosi, sentivasi spinta a ritornarvi. Ma la Vergine santa che gradiva il buon volere della sua figlia sulla quale caduta già era la celeste ruggiada, prese ella stessa a dargli istruzioni nel secreto del cuore, e gli dava delle illustrazioni, rimproverandola delle sue vanità, e mostrandogli il suo caro Figlio ed il desiderio che 1 Titolo originale: Orazione funebre in morte della Fondatrice e Sup.a della Congr.e delle Adoratrici del p.mo Sangue di N.S.G.C... (non fu pi recitata). Con altra calligrafia scritto: “Composta e scritta dal Servo di Dio D. Giovanni Merlini. Tanto si attesta i 22 Nov. 1873...Rizzoli Dir.gle” G.Merlini non tenne il discorso perché all'ultimo momento celebrò il funerale il cardinal Vicario. 23 aveva di farsi amare dalle anime da lui redente con lo sborso del suo p.mo Sangue. In questo andare rimaneva per lunga pena attonita o come fuori di se cogli occhi fissi alla soave immagine, e tutti bagnati di lacrime, quando ad un tratto sente in suo cuore uno scudo di difesa. Era questo il Nome SS.mo di Maria Ella lo ha nel cuore, lo ha sulle labbra, e per questo nome adorato prova nuovo vigore lo spirito E mentre da piccola era di un carattere ardente e focoso, in questa occasione conobbe di avere acquistato una certa gravità e sodezza esteriore, e nel cuore una forza da non potersi spiegare. Così a gradi a gradi la grazia andava lavorando quell'anima che doveva formare tante Religiose, e coltivare tante altre donne che Iddio gli avrebbe mandate. Ma ciò non è tutto. Essendosi accesa nel cuore della serva di Dio il vivo desiderio di amar Gesù, andava bramosa di conoscere ciò che far doveva per piacergli, e questa grazia chiedeva con calde istanze. La Vergine SS.ma gli mostra il Calvario e la Croce, e la invita a salire. Maria a tal vista si spaventa e trema, ed oh! sono troppo debole esclama; non reggo, e cercava sottrarsi a tale invito. Ma Gesù gli andava sempre appresso con una amabilità infinita, e l'andava sempre più guadagnando. La maggior difficoltà che provava era quella di doversi privare di ogni gusto anche lecito, e di dover comparir singolare agli occhi del mondo, e voleva tutto tener celato nel suo cuore. Ma anche su questo la divina Madre accorse in ajuto, e gli disse = No, non temere = io ti ajuterò, e tosto sentissi leggermente portarsi come una bambina in sicure braccia, ed in quell'istante fa un offerta totale di se medesima a Dio, abbandonandosi tutta nelle mani di Lui. Ed è allora che sentesi tutto il cuore cambiato, e pieno di coraggio, e disposta ad ascoltare la voce del suo diletto con scoprimento grandissimo della sua amabilità per la quale invitata a seguirlo, provava una forza irresistibile. E per dargli a conoscere in qual modo voleva esser servito da Lei dispose che il Ven. del Bufalo si recasse in Vallecorsa per darvi la Missione. Ella al veder lo zelo dell'indefesso operaio, e le grandi fatiche che sosteneva per la gloria di Dio e salvezza delle anime, concepì un vivo desiderio di applicarsi pur essa a cercare la salute del prossimo, desiderio che andava crescendo al riflesso che tante e tante anime andavano in eterno perdute. E volendo il benignissimo Iddio più da vicino fargli conoscer che la chiamava a far questo bene non sola, ma insieme con altre, mentre ella stava come fuori di se, gli fece vedere uno stuolo di Religiose che tutte in Dio erano raccolte, e sentissi dire = Ecco le tue compagne = compagne che poi riconobbe nelle sue figlie. Ma non era giunto il momento da Dio prefisso per dar principio all'opera e d'altronde voleva Iddio raffinare in Lei la virtù, e renderla ancora più proporzionata a compiere i suoi voleri. E poiché è grazia il saper patir per Iddio con amore, così la purificò con le pene di spirito tanto più dolorose, quanto che vi giungono all'anima. Cominciò a temere di stare in peccato mortale, e non sa darsi pace. Piange sospira ed è nell'estrema amarezza. Viene assicurata, e quantunque nel fondo del cuore conservi la pace, il travaglio si accresce, e gli sembra che per le sue infedeltà non vi sia a sperar altro per essa. Sopraggiunge finalmente la calma, ed eccoti un nuovo assalto. E' tentata di ipocrisia e finzione, e gli pare fare il bene per pura apparenza, ed ostentazione. Finisce anche questa e si trova nella disperazione perché gli sembra essere tutto un male quello che fa. In mezzo a tante tribulazioni che soffre una nuova battaglia deve ancor sostenere contro l'inferno. Il demonio vuol persuaderla che è impossibile il poterla durare con quel genere di vita che ha intrapreso e che deve alla fin fine cader sotto il... Ma finalmente dopo tre anni di continua lotta arrivata fino ad agonizzare, riporta una compiuta vittoria non badando più alle molestie dello spirito, fidandosi totalmente del suo Signore a cui si era già per lo innanzi totalmente donata, e della sua SS.ma Madre. E qui chi non ammira il lavoro della grazia che con tanta maestria ritoglie gli ostacoli che impediscono in un anima lo spirituale profitto, e che piantando in lei le virtù le assoda nel crociolo della tribulazione e le rende perfette? Ma che direste poi se io vi scoprissi i doni di natura che il benignissimo Iddio volle aggiungere a quelli di grazia perché niente mancasse per renderla ottima Fondatrice, donna atta al governo di numerosa Comunità, e di figlie qua e là disperse per i vari 24 paesi onde promovere il bene della divina gloria? Voi nol crederete; e pur tant'è, e sol che poniate mente a ciò che dice a ciò che fa, voi la trovarete donna di talento ed ingegno fornita, di carità e dolcezza distinta, forte e benigna, savia ed accorta, ilara giojale ed allegra, compassionevole affezionata amorosa, semplice come la colomba, prudente come il serpente, giudiziosa assennata e di giusto criterio, adorna. In una parola trovarete in Lei un misto che innamora ed incanta. Che se a primo aspetto non vi si presentava con tali pregi egli era perché amava occultarsi agli occhi di tutti, e perfino a se stessa, che del resto non poteva essere a meno che non apparisse anche talora come in suo meriggio la luce. E tutto ciò posto che altro ci rimane se non vedere la fedele corrispondenza della Serva di Dio alla divina chiamata? Certo è che un cumulo di tante grazie prodicamente profuse su di quest'anima generosa non poteva rimaner senza effetto. Assicurata pertanto dal Ven. Gaspare del Bufalo che Iddio non la voleva in ritiro di un monistero di clausura come bramava ma a farsi santa in mezzo al mondo, ed avendo conosciuto dal suo direttore che Iddio la chiamava a fondare un novello Istituto di Adoratrici del p.mo Sangue, ed a far del bene al suo sesso col mezzo della scuola ed opere pie e che non vi era più luogo a dubitare, si abbandonò tutta nelle mani di Dio e nell'orazione stava aspettando un occasione propizia per dar principio. Contava allora 29 anni, e correva l'anno 1834 quando il Vescovo di Ferentino Mons. Lais gli offrì Acuto e S. Stefano e poiché quest'ultimo era troppo vicino alla Patria, si determinò e scelse il primo. Concertate le cose, si accinge alla partenza. Le vitture sono allestite. Maria ascolta la Messa fa la communione, prende una piccola refezione, ed il Padre l'accompagna fin fuori del paese, e gli da l'ultimo addio per non rivederla mai più in questo misero esilio, e piange. Maria fa forza a se stessa perché si sente altamente commossa nel gran distacco, chiede la benedizione, e monta a cavallo con animo grande generoso ed intrepido, si mette in viaggio. Il Padre l'accompagna con l'occhio e quando più non la vede, si ritira in Casa e dà in un dirottissimo pianto, parendogli di aver perduto un tesoro perdendo quella figlia che teneramente amava, e su cui per la vecchiaja aveva fondate le sue speranze. Maria intanto prosegue il viaggio e Iddio comincia a fargli gustare le pene di ministero Batte forte l'occhio in uno spineto, e si gonfia e nel dolore prosegue il viaggio ma all'indomani è guarita. Arriva a Ferentino, spiega al Vescovo il disegno della novella fondazione, e l'approva. Riceve la benedizione e va in Acuto. Ma oh Dio! Che mai potrà fare? La casa è angusta ed incommoda, mal difesa e sprovista del necessario. Il paese è povero, i mezzi sono scarsi. Benefattori di polso non vi sono. La Scuola è ridondante di scolare. Che mai farà? Ognuno si sarebbe sgomentato ed abbandonata l'impresa. Maria non così. Sa ben essa che le opere di Dio sono frutto di orazione di lacrime e di patimenti e sa ancora che sono come il granello di senapa, e vogliono crescere nel loro piccolo, che però anziché sgomentarsi ringrazia Iddio e benedice il Signore. Apre la Scuola, e si ajuta come meglio sa. Ad ogni modo però non perde di vista il suo disegno, ed tutta in attività. Benché peraltro lo spirito sia pronto l'umanità non regge, e gravemente si ammala, si teme la morte e che venga meno ogni trattato. Ma poco stante risana, e torna alle fatiche di prima. Adocchia fra le sue scolare alcune giovanette che gli sembrano adattate per l'opera, le riceve come educande ed addivengono le prime pietre dello spirituale edifizio. E poiché la prima Casa era disadatta altre ne prova e finalmente ecco sorto dopo tante difficoltà superate il Monastero delle Adoratrici, del prezioso Sangue. Ma con quali mezzi? Con quelli che gli presenta la providenza. E come? Con la sola fiducia in Dio. Ella dice = L'opera è di Dio e Iddio ci penserà. Intanto altre giovani si presentano a Lei, e domandano di essere ammesse. Maria le riceve con quella benignità che è tutta sua propria, le istruisce le incoraggisce, le conforta le anima, le mette sotto il Manto della Beatissima Vergine, in modo mirabile forma il loro cuore innamorandole del crocifisso Signore, e mandate alle Scuole che apre riescono a meraviglia. Egli è un prodigio non osservato da prima; ma pur tant'è. I sacri pastori si invogliano di questo Istituto le Communi lo preferiscono ad altri, le Adoratrici del divin Sangue son ricercate, e Maria è tutta intenta a contentar tutti per quanto può. 25 Ella ha aperte 56 scuole e più di 200 sono le giovani che hanno indossato l'abito dell'Istituto. Maria soffre nel veder tante povere figlie senza una educatrice, e vorrebbe accorrere al bisogno di tutti per tirare anime a Dio. Non altro interesse ella ha che quello di vedere amato Gesù, e la sua SS.ma Madre. Ed è per questo che se tornate per poco in Acuto la trovarete sempre in faccende in azione, e se volgete lo sguardo all'intero Istituto vedrete che sola sta portandone il carico. Il governo è tutto nelle sue mani e deve vigilar per tutto; sulle Religiose, sulle Scuole, sull'osservanza sulle opere pie, e per fino sulle temporalità. Nè questo era piccolo peso massime per una donna. E ciò non ostante porta volentieri la croce pensando che è cosa onorevole servire fra i patimenti il Signore, anzi pronta all'obbedienza con nuova lena le abbraccia con energia, e con assiduità sorprendente. Ed eccola infatti. Osservatela come si affatica per aprire, ordinare, e sostenere le scuole; nel distribuire i soggetti col procurare di render tranquille e contente le Religiose, sia della lor posizione, sia per le compagne sia per le privazioni che debbono incontrare, ne sa darsi pace. Ed oh! quante e quali sofferenze deve sostenere! Ella soffre per le sue figlie che penano, e le pene di tutte le fa tutte sue, Riserva per se tutto l'amaro, e da alle altre tutto il dolce che può. Ella è venduta per la gloria di Dio e bene de prossimi ne più pensa a se stessa, i suoi giorni sono a Dio consacrati, e non vuol vivere che per dargli gusto. E qui non dirovvi delle sue astinenze che con industria celava ne delle mortificazioni... del vestir povero, contentandosi di andar nell'inverno come nell'estate, anche in mezzo ai rigori della stagione. Dirovvi solo dei frequenti e talora lunghi e disastrosi viaggi a cavallo ed a piedi fra i geli e le nevi, fra le piogge dirotte per pessime strade, alle volte di pericoli piene, e di questi parlandovi vi dirò che più volte si trova in pericolo di perder la vita che salva non senza speciale protezione di Dio. Vi dirò che talora smarrisce la strada ed è costretta passar la notte in mezzo alle selve senz'avere un frustolo di pane da sdiggiunare o senza prenderlo per far la mattina al primo arrivo la S. Communione. Vi dirò che una volta è sorpresa per via da forte febbre e freddo di guisa che no più regge a cavallo. E' costretta a scendere e appoggiata a due care sue figlie proseguire a stento il viaggio. (Ma vi dirò... a che sto io a narrarvi tali cose che voi conoscete meglio di me e forse alcuna gli fu compagna!). Son cose queste che si erano rese usuali, e però non se ne teneva più conto. Ma intanto eran questi nuovi patimenti e travagli non pochi e non piccoli che la nostra Maria sosteneva ben volentieri per amor del suo Dio allorché andava ad aprire e visitare le scuole, e consolar le sue figlie che con anzietà l'aspettavano per trattar seco lei dell'opera del Signore; patimenti e travagli sostenuti con una malferma salute, con debbolezza estrema fino al non potersi reggere in piedi facendo forza a se stessa per non dimostrarlo. Aggiungete il lungo e continuato carteggio protratto fino a notte avanzata per provedere al bene dell'Istituto, delle scuole, e delle Religiose fino a stancargli il braccio e poi mi ridite se ella corrispose fedelmente alla sua vocazione. Se non che evvi in Maria qualche cosa di più. Ardeva nel cuore di lei una carità verso Dio e verso il prossimo tale che non potendola tener chiusa nel petto era costretta manifestarla al di fuori. Sentitela infatti nei privati discorsi come parla di Dio. Leggete le sue lettere e trovarete risplendere in esse lo spirito di Gesù Cristo. Ascoltatela allorché parla nelle scuole a due, a 300 donne ivi raccolte per sentire la parola di Dio. Ella è un Angelo che parla, con simplicità si, ma tutta ripiena di amor di Dio. Gli argomenti che tratta sono per lo più della passione di Gesù Cristo di Maria SS.ma o di qualche massima eterna, e se ne investe talmente che l'udienza commove, la fa lacrimare, e cercare un confessore per lavarsi nel Sangue dell'immacolato agnello. E notate che non parla alla rinfusa, ma con ordine e come si trattasse di cose imparate a memoria, e pur non erano che sentimenti li quali gli uscivano dal cuore, e direste quasi che avesse il dono della parola. Più. Non parla di rado, ma talvolta fino a tre volte in un dì; Nè per pochi istanti, perché spesso la dura fino ad un ora, ed anche più. Non sa saziarsi, e tutto il suo contento è parlare di Dio. Sente 26 la stanchezza, e l'indebbolimento del petto, e vorrebbe tacere, ma la carità non vi consente, e si sforza. Comincia, e più non sente l'incomodo. Finisce, ed eccola di nuovo in una debbolezza estrema. Soffre, ed è pronta a soffrire anche di più. E' consumata dalle fatiche, ed è contenta di dar per Iddio anche il sangue la vita. E dopo ciò che altro rimane a desiderarsi? Sebbene oh quante altre cose mi resterebbero a dire per dimostrarvela da donna forte di immenso pregio! Ma il tempo mi manca, e lasciando di tutto il giudizio alla Chiesa, solo dirò che sono ormai quattro anni da che ha provato una forte impressione nel cuore nel pensare a Maria addolorata, e sente talora nel petto un fuoco che non sa moderare. Si porta in piedi la debbolezza e le febbri, e vede che poco più gIi rimane di vita. Viene l'ultima volta a Roma, e nel partir da Acuto, e nel lasciare il suo monastero, gli sembra che Iddio non voglia altro da essa, e che là più non sarà per tornare. Si va adoperando alla meglio per ultimare ciò che può, ma le forze vengono meno, ed è costretta a giacere nel letto. Ella è già disposta a morire. Il suo spirito è in perfettissima calma, e no sentirete nel suo estremo penare che uno slancio di amore, ripetendo con grande affetto = Oh mio Dio = e niente più. Non vuol vivere, non vuol morire che come Iddio vuole; e purché possa dar gusto a Dio, altro non cura. Sente una gran smania, e se la porta in pace. Gli dispiace che non fa niente per Iddio, e desidera di più patire. Allorché l'affanno la tosse la febbre, o l'ulcera alla lingua non gli impedivano di parlare va dando dei salutari ricordi, dà delle disposizioni, e prosegue a regolar l'Istituto. Dalle Scuole fuori di Roma vanno con ansietà le sue figlie per rivedere l'ultima volta la loro tenera Madre e ricevere la sua benedizione. La trovano mal ridotta, e piangono per l'amara perdita, ne sanno dipartirsi da essa. Maria con serenità le dispone al distacco nella viva fiducia di rivederle in Paradiso e le rimanda al loro destino. Spesso si lava col Sangue dell'Agnello divino, si ciba ogni mattina del pane degli Angeli soffrendo per quanto può l'arsura che prova, e va rinnovando nell'interno del suo cuore l'offerta di se stessa a Dio. Ringrazia le sue Figlie dell'assistenza prestatagli nel decorso della sua malattia e lascia loro per memoria i pochi e piccoli oggetti che ha presso di se, e vuol morire perfettamente povera come da povera era volontariamente vissuta. Fra le altre benedizioni riceve anche quella che gli manda il S. Padre, e sta aspettando con somma rassegnazione l'ultima ora. Ed ecco che spunta il giorno. Sono le due e quarto dopo la mezza notte principio del 20 Agosto quando nel recitarsi le preci della Chiesa Maria si addormenta nella pace del suo Signore. (...) 27 II LETTERA DI DON ANTONIO NECCI A GIOVANNI MERLINI I.M.I. Viva il Divin Sangue R.mo Padre, Le accludo queste poche notizie dell'ottima, e santa Fondatrice De Mattias, come ho potuto debolmente ricordarmi; e mi vergogno in certa maniera, poiché io avendola trattata più di tutti sin dal principio, nulla mi ricordo. Non pensavo trovarmi in questa circostanza, né vi ho mai pensato. Veda un po' V. P.tà R.ma cosa scrivo. Sulla virtù dell'Umiltà Mi faceva leggere le lettere che scriveva per esser corretta anche innanzi le sue figlie. Innanzi ad esse sempre mi domandava come si leggevano o si esprimevano certe parole, e come si scrivevano. Per cui si faceva certi libercoli, e scriveva delle parole equivoche se ci voleva il c o g: se il t o il d, e ciò indifferentemente innanzi a tutti chi s'incontrava; e cos“ nelle parole dell'Officio della Madonna e di altre orazioni in latino; riputandosi sempre ignorante, ed aver bisogno di aiuto s“ in questo che per istruzione di tutto; per cui smpre voleva che le si dicesse, le si dichiarasse, e spiegasse, ed insegnasse. Come anche nel regime dell'Isituto oh! quanto teneva, e desiderava esser sgravata; bramava e richiedeva toglierle quell'incarico, dicendo non esser Lei buona, e perciò sempre sospirava che il Signore le inviasse Persona a ciò adatta. Pel bisogno della fabbrica si raccomandava a tutti per aiuto, onde in elemosina le favorissero la vettura pel careggio della Pozzolana e della Calce, per cui si portava anche pel Paese a chiedere, e raccomandarsi; e con quella sua buona maniera ed affabilità, glie le somministravano; benché ebbe delle ripulse, ma non si sgomentava in esse circostanze. Così nel careggio dei sassi Lei era la prima colle sue Figlie dell'Istituto nascente a trasportare i sassi sulla testa, prendendoli dal vicino monte, ed anche più lontano, ove erano andati gli uomini a cavarli in elemosine, e si riguardava indegna frà le sue Figlie e le baciava le piante. Sulla purità: Ne parlava sempre in modo particolare. Quante volte mi diceva che bramava star sola e ritirata, per cui non usciva che rarissime volte, e sempre cogli occhi bassi, e facendo orazione. Mi aggiungeva che le rincresceva di trattare con persone di diverso sesso, ma lo faceva per necessità. Tante volte metteva le cose in mie mani, onde trattassi con essi per Lei. Specialmente aveva il Garzone, con quale dovea trattare, oh! quanto era circospetta; già sempre gli faceva delle buone ammonizioni ed avvertimenti, ma più volte per sua delicatezza mi diceva che non lo poteva vedere, specialmente se conosceva qualche volta aver bevuto del vino, non lo trattava, ma fuggiva e dava a me l'incombenza di mortificarlo, e quindi trattare cosa che si doveva fare. Quando sentiva che in alcune Scuole v'interveniva qualche Religioso o qualche Sacerdote, che si fermava senza necessità, oh! quanto le rincresceva, e diceva: Questi benedetti Frati, questi benedetti Preti perché non si fanno i fatti loro? Con me anche sempre usciva con discorsi boni di tal fatti oltre ad altri di altre virtù e di massime religiose e in particolare, poiché dovevo sempre trattare con Lei e colle altre sue Figlie, per gelosia di questa Angelica virtù, che amava sommamente, oltre che vigilava, di tanto in tanto con qualche parola mi toccava sù di essa, ma però colla più alta riservatezza. 28 Sull' Obbedienza: era esattissima, e bramava sempre operare per obbedienza. Oh! quante volte me la domandava. Monsignor Trucchi, Vescovo di Anagni, la provò in più di un anno di non muover piede o far cosa senza il suo ordine, che osservò esattamente. Sulla ritiratezza già dissi sopra nella virtù della purità. Poche volte uscì a passeggio; e se andò, si portava sul Calvario, e sempre facendo orazione: e così nell'andare in Parrocchia a Messa sempre dicendo il S. Rosario per strada colle altre Monache, che conduceva due per due con grande esemplarità di chi l'incontrava ed osservava. Sulla Fede: questa grande l'aveva nei Misteri ed atti di Religione. Innanzi Gesù Sagramentato diveniva immobile. Avrebbe voluto star sempre ad adorarlo, ma non potendo per le sue particolari incombenze, faceva far l'Ore alle sue Figlie. In questi ultimi due anni si vedeva più spesso ad adorarlo e faceva l'Ore sane in quest' adorazione, essendo più sbrigata ad altre cose. In questi ultimi trè anni ebbe per la posta alcune lettere cieche, che la dissuadevano dal bene che faceva, le dicevano esser ingannata, che la sua Istituzione era falsa e false le massime che professava e che insegnava, per cui non poteva salvarsi in questa maniera, ma la consigliavano a lasciar tutto. Ma Lei, dopo avermene fatta vedere qualcuna di queste lettere, le brugiava perché degne delle fiamme, e restava sempre più confermata nella sua fede, e nelle massime di Religione, che invece di venir meno crescevano s“ per sè, che per comunicarle ed insegnarle ad altri. Sulla Speranza e confidenza in Dio, specialmente nel Sangue preziosissimo, in cui mi diceva che mettessi la di Lei Anima nel sacro Calice, nella divina celebrazione: ed in Maria SS.ma era cosa particolare, poiché tutta si poneva, erasi posta nelle sue mani, e sempre mi pregava che la raccomandassi a lei. Sulla Carità: Amor sopragrande aveva di Dio e del prossimo. Sù quello di Dio e di Gesù Cristo si vedeva brillare nelle istruzioni che faceva allorché parlava. Tante volte mi faceva chiamare per alcune cose del Monastero, e tante volte, ma molte volte incominciava questi discorsi se ne passava il tempo, né potevasi far altro. E poi si vede negli esercizi stabiliti e da Lei lasciati alle sue Figlie. Sulla Carità del prossimo: Allorché le veniva riferito qualche cosa da alcune delle sue non le dava mai ragione. Sempre le rimproverava già per impedire i difetti nelle Figlie, e poi voleva provar tutto, onde a tempo correggere. Per togliere i peccati poi oh! che avrebbe fatto: chiamava, avvertiva, istruiva; faceva venire confessori ad esercizi; le Missioni oh! quanto le desiderava: l'ultima che venne fù sua opera presso i Superiori. Incontrò amarezze per togliere un’abuso nello scorso anno sotto il suo Orto dietro la Chiesa, ma vi riuscì felicemente. Avrebbe voluto toglierlo in tutto il Mondo se fosse possibile: ed ecco l'Istituto che opera per Lei. Voleva soccorrere tutti; sentendo i bisognosi, s'inteneriva tanto che dava camicie, lenzuoli, e paglioni; ed io anzi la ritenevo, poiché conoscevo che tanti si abusavano della Carità, e l'ingannavano con le apparenze, e Lei non ben conosceva fra tanti i veri bisognosi. Voleva mettere i telai per sovvenire i bisognosi, ma non fece in tempo, mancandole comodi e braccia. Un anno prese della canepa per sovvenirli. Nella Prudenza era regolatissima, in tutte le cose prendendo tempo; nella Giustizia esattissima: con Dio coll'onoralo; col prossimo nel soccorrerlo, e gli rimetteva nell'interesse; con se stessa nel mortificarsi; per cui nella Temperanza vigilantissima, bramava di sempre patire Della Penitenza e mortificazione amantissima; godeva allorché si trovava in deficenza, o aveva qualche incomodo e persecuzione. Non voleva particolarità nel vitto. Se alcuna volta le facevano qualche cosa in caso di debolezza o di malattia, nol toccava, o lo faceva gustare ad altre ed a stento qualche volta la prendeva, e molte volte ci volle l'obbedienza, che mi veniva domandata dalle Figlie. Nella Fortezza fu grande; per togliere abusi e peccati, come dissi nella carità del prossimo; quindi nei 29 viaggi e nell'impiantare tante case, e specialmente per superare tanti ostacoli occorsi nella prima Fondazione, in questa Terra; per cui tutto soffrì e lungamente con particolare fortezza. Allorché usava qualche rigore colle sue Figlie che mi si lagnavano qualche volta, nel parlare con Lei mi ragionava in guisa, che non vi scorgeva difetto della durezza, ma prudenza e fortezza necessarie ad usarsi, per cui vedevo non esservi mancanza di Carità: anzi carità più perfetta, bramando che le sue Figlie conoscessero i propri difetti e si rassegnassero nelle circostanze al divin volere; ammirando averne tutta la cura e la carità. Paziente in tanti travagli e persecuzioni, che in tutte le sue opere vedevasi contraddetta e criticata, e non si sgomentava. Le bastava la confidenza in Dio, ed in Lui tutta si riponeva e rassegnava. Quindi nelle sue infermità ed incomodi non si lagnava, ma le riguardava come benedizioni e misericordie del Signore. Faticò continuamente nella Fabbrica, carreggiando sassi, come dissi sù nell'umiltà; stava sempre in piedi, in attività, in Scuola, in cucina, ad aiutare i muratori. Dovè soffrire i lamenti di un giovanotto nel carreggio de' sassi, che portando due sassotti legati collo spago sulla spalla, questo gli tagliò la carne della prima falange del dito medio della mano sinistra in guisa che gli scoppolò tutta la carne coll'unghia, restando scoperto l'osso, e quella appesa ad una piccola pelle nella parte esterna; e questo le gridava: Signora Maestra, ridammi il dito, e lo ripeté più volte: ridammi il dito, che poi rimesso, risaldò bene dopo poco tempo, senza alcun danno, e si conosce solo dall'unghia un po' piegata ad un lato. Esattissima nella Regola sull'osservanza, sempre la prima negli atti comuni; e quando era occupata, le rincresceva e diceva esser scandalosa, che nulla faceva di bene e temeva assai della sua spirituale salute. Confidentissima nella divina Provvidenza; e con questa ha fatto tutto ciò che ha lasciato fatto nella Fabbrica e negli acquisti del Monastero. Quando le si diceva perché desisteva dal lavoro, o di Fabbrica o di altro, rispondeva che la Provvidenza per ora non vi è, ma verrà. Le Feste voleva che si facessero con più devozione e amore verso Dio ed i Santi; per cui nella Festa del Protettore, in cui vi è qualche pubblica dimostrazione, Essa era maggiormente ritirata con le sue Figlie, onde dare più onore a Dio e al Santo. Qualche cosa permetteva alle sue Figlie, come il veder la Processione, ed anche i fuochi artificiali che si facevano ivi vicino, ma con riservatezza dentro le finestre. Per Divin Culto avrebbe speso chi sà che, onde con decoro fosse adornata la sua prima Chiesetta che le fu consegnata unita alla sua Fabbrica di Fondazione. Per adornare l'Immagine della Concezione strappò un panno di scarlatto rosso per coprire alcuni pilastrini dell'Altare, con dispiacere di altre persone e così anche per le tendine alle finestre; ma lei diceva che per Iddio tutto è nulla. Così nella pulizia degli Altari e di tutto del servizio del Divin Sacrificio. Rispettosissima dei Sacerdoti, a' quali sempre baciava la mano, e di tutti ne aveva molta stima. Anche della celebrazione del Divin Sacrificio spesso mi parlava con qual decoro e attenzione trattar doveasi; e perciò non le piacea quella sollecitudine nello sbrigarlo, ma che si ricercava più posatezza ed attenzione. Sulla frequenza dei Sagramenti; amava che si freguentassero i Sagramenti, ma nella Confessione specialmente diceva, che fosse in ogni otto giorni, e che fosse breve, ristretta al necessario, ma che fosse accompagnata dalle condizioni necessarie di dolore, e proposito vero. Perciò le dispiaceva il bizoghismo, quelle tante tornate al Confessionale, quel non essere mai soddisfatte e quelle angustie di quelle allorché non trovavano il loro Confessore. 30 Sull'Orazione: Amava di pregar sempre, di trattare con Dio, specialmente per la conversione dei Peccatori, che raccomandava a tutti e per la S. Chiesa. Avrebbe voluto star sempre in Orazione, e sempre stava alla Divina presenza, benché trattava, mentre si raccoglie dai suoi discorsi che erano sempre di spirito; così anche nelle lettere che scriveva, vi era sempre qualche cosa di devozione e di spirito. In questi ultimi anni in particolare si vedeva ritirata le ore in Orazione. Tante volte mi si lagnava che non potea ritirarsi a pregare. Nel trattare era tutta disinvolta, gentile, ed affabile, modesta s“, e composta in tutto, ma tutta di buona grazia; e le dispiaceva nel vedere i colli torti, e il non essere trattabile. Tutto ciò ho potuto ricordare. Veda un pò V. P.tà; se ricordassi altra cosa, vedrò in appresso; ma per quanto ho fatto non mi sovviene, poiché non sono mai stato con questo pensiero. La prego intanto a compatirmi e raccomandandomi alle sue Orazioni, pieno di stima e rispetto passo a confermarmi D V. P.tà R.ma Don Gio: Merlini Acuto, 16 Novembre 1866 D.mo ed Obbll.mo Servo Antonio Necci, Arciprete 31 III APPUNTI DELLA VITA DELLA MADRE SUOR MARIA DE MATTIAS FONDATRICE DELLE ADORATRICI DEL PREZIOSISSIMO SANGUE Io suor Maddalena Capone, Adoratrice del Preziosissimo Sangue del Nostro Signore Gesù Cristo, assicuro che quanto si scrisse nel ristretto della vita della nostra carissima Madre Fondatrice, Suor Maria De Mattias,2 è poca cosa in confronto della santità della sua vita, e del gran zelo mostrato nella santificazione delle anime. Io aveva nove anni, quando la Madre Suor Maria de Mattias venne nel mio paese nativo, Acuto. In poco tempo si guadagnò la stima e l'affezione di tutto il popolo, poiché ore ed ore si tratteneva a parlare di Dio a Donne, a giovani, a Fanciulle e più volte vi si intromisero furtivamente anche degli uomini ad ascoltare i suoi savi ammaestramenti; anzi io ho sentito qualcuno di questi esclamare: Altro che per noi non vi è nessuno... cioè che non vi erano uomini zelanti che facessero come la nostra carissima Madre. Subito aprì una scuola; questa ebbe all'istante un centinaio di alunne, fra queste vi era ancor io; ma la scuola era ristretta e non vi erano sedie; ci dovevamo sedere sopra ciocchetti di legna e per terra. Cominciò a prepararci per la prima Comunione; ma siccome eravamo tante, si faceva aiutare nell'insegnamento del Catechismo da una ragazza più grande. Ella era sempre accesa di carità e ripeteva sovente: Gesù, Gesù, Gesù sii benedetto, sii sempre con me. Il giorno della prima Comunione ci condusse ad un luogo detto il Calvario; per la strada ci ripeteva all'orecchio: Gesù mio vi amo...Gesù mio vi voglio bene... i suoi discorsi ci facevano dimenticare ogni altra cosa e spesso si piangeva di tenerezza. Alcuna di noi, in seguito, entrò come educanda. Il maggior numero dell'educande vestì poi l'abito. Al mattino ogni educanda non doveva uscire di camera senza aver fatta una breve meditazione. Prima di condurci in chiesa ci infervorava verso Gesù Sacramentato in modo che, quasi sempre, c'inginocchiavamo per chiedere perdono di qualche mancanza, commessa durante la giornata. Tornate dalla chiesa si doveva leggere il ringraziamento della S. Comunione. Ci faceva dire delle giaculatorie e queste erano: Illumina, Signor, scalda e rallegra, quest'alma tenebrosa, inerta e tetra. Santifica, Signor, quest'alma e poi, disponi pur di me come tu vuoi. Vi amo, o mio Gesù, poiché mi amasti ed ora, e sempre, e questo sol mi basti. E' inferma, o Dio, quest'alma a voi diletta, e da voi solo la salute aspetta. D'amarti, o di morir mio bene io bramo, il viver che mi giova se non ti amo. La vostra amica, o buon Gesù, languisce, soccorretela voi, si no perisce. Dall'amor tuo Gesù, soave e forte, non mi distaccherà nemmen la morte. Siate ognor con me, Gesù mio bene, il mio cuor gioirà fin tra le pene. Caro sposo Gesù, Voi tutto mio son tutta vostra, o mio Gesù, ancor'io. Se l'Angelico pane mi ha nutrita, angelica dev'esser la mia vita. 2 Il Ristretto cui la testimone fa riferimento • il Compendio della vita di Maria De Mattias, scritto da Giovanni Merlini. 32 Dammi, o mio Gesù, talento e zelo, per condur l'alme che hai redente al cielo. Dal piacer, dalla roba, e dall'onore, distacca o mio Gesù questo mio cuore. Queste giaculatorie si cantavano una per giorno e tutte le domeniche recitavamo il piccolo ufficio della SS. Vergine. Ella spesso ci faceva vedere la vita religiosa soave leggera, ma quando le mostravamo desiderio di abbracciarla allora ci faceva osservare le annegazioni che devono accompagnare la vita monastica. A questo suo dire un giorno io sortii colla giaculatoria: Dammi, o Gesù, talento e zelo, per condur l'alme che hai redento in cielo. Come hai detto? come hai detto? lesta lesta mi domandò, e mi fece ripetere le medesime espressioni, mentre ne sorrideva destramente. Un d“, mentre si mangiava, si fece rossa rossa ed esclamo: Amate Gesù! poi volta a me disse: V'è per te Gesù Cristo?... Ed io: V'è per tutti!... Ella tacque e sorrise. Dopo otto anni cominciò ad aprire alcune case: Vallecorsa, Morino, Pescasseroli e Vallerotonda. Durante la sua assenza, si piangeva da tutti noi e non si gustava più neppure il cibo. Io entrai come religiosa all'età di 19 anni. Tutto spirava povertà: si mangiava in un corridoio, sedute su un banco, col piatto in mano. Spesso andavamo a tavola, cioè sonava l'atto comune del desinare senza avere di che cibarsi, confidate solamente nella Divina Provvidenza che mai mancava. In uno di questi d“ la nostra Madre Maria De Mattias aveva dato pure la benedizione della mensa ed era cominciata la lettura, senza che a tavola vi fosse nulla. Ma ecco che si sente picchiare, apre la portinaia e da una persona le viene consegnato il necessario sostentamento per la Comunità. Un'altra volta io era economa e avvenne lo stesso. Una sera io era senza voce affatto, la Madre Fondatrice mi chiamò e mi fece trangugiare, in un po' d'acqua, alcuni fili della biancheria del nostro Venerabile Fondatore, Gaspare del Bufalo e, con maraviglia di tutte, al mattino io aveva di nuovo la voce naturale e potei disimpegnare il mio ufficio. Io sono stata testimone anche di quei miracoli che si leggono nel ristretto della sua santa vita. Mentre io stava nella casa di Palombara, venne in visita questa nostra carissima Madre. Io allora, in un momento in cui mi trovai a solo con Lei, con tutta ingenuità semplicemente le dissi: Madre Superiora, Lei una volta mi ha fatto tornar la voce e poi ha guarito pure... Uh! Gesù mio!... Zitta, zitta, tutta spaventata esclamò; poi commovendosi un poco, soggiunse: “In quell'anno mi si scatenò proprio il demonio!... Mi si scrive che non vogliono più le suore... Vado io e trovo tutta pace... anzi mi pregano, per carità, a farle restare”. Che dire poi del suo fervore nell'orazione? La sua posizione, il suo raccoglimento destava in noi venerazione e rispetto. Una volta, stando in Roma, mi condusse alla chiesa detta “S. Ignazio”. Era il venerdì della settimana santa. Ella, secondo il solito, s'inginocchiò, dritta sulla vita, a mani giunte. Alle parole: Vinea mea electa ego te plantavi: quomodo conversa es in amaritudinem, ut me crucifigeres, et Barabbam dimitteres. Sepivi te, et lapides eligi es te et aedificavi turrim ecc. cominciarono a uscirle dagli occhi gran copia di lagrime e queste liberamente presero a scorrere lungo le gote e sul vestiario, senza che Essa si fosse mossa dalla sua, quasi immobile, posizione. Termino col riportare un fatto miracoloso della nostra amatissma M. Fondatrice, narratomi dalla consorella Florida Carocci. Ecco le sue parole: Un giorno venne al monastero di Acuto una donna cieca e mi pregò di chiamarle la Madre Fondatrice. Io vi andai ed esposi l'infelicità e il desiderio di quella donna. Ma la Madre invece di andar giù e contentar quella meschina, prese un fazzoletto, toccò con quello le mani di una statua della Vergine SS. Addolorata e poi volta a me, disse: “Andate, portate questo fazzoletto, ditele che ci si tocchi gli occhi”. Portai l'imbasciata alla donna, ma questa si mise a gridare, dicendo: “No, no, 33 ditele che voglio proprio Lei”. Con istanza andai a chiamare di nuovo la Madre e questa scese giù. Appena vide la cieca, disse: “Non è niente, non è niente, ecco il fazzoletto che ha toccato la Madonna, eccolo mettetelo sugli occhi”. Ma “no, no” ripeteva la donna “Voi, Voi mi dovete toccare gli occhi”. Allora la nostra carissima Madre le toccò gli occhi, in atto quasi inconsiderato, giusto per contentarla. Ma non appena ritirò la mano, quella cieca gridò, correndo verso la porta: “Ci vedo!... ci vedo!...È. Maddalena Capone Suora del P.mo Sangue 34 INDICE Premessa Questo opuscolo Le fonti I - La personalità La materia prima La ribellione La riconciliazione II - Il vero profilo di Maria De Mattias Contestazione dei monumenti Appunti per una icone Conferma e approfondimenti Curiose verifiche Una immagine più nitida Il come Il perché Dettagli III - Carisma personale? Può esistere un carisma personale? Carisma dell'Istituto La grandezza della gittata Note Appendice Discorso funebre di Giovanni Merlini Lettera di Antonio Necci a Giovanni Merlini Appunti di Maddalena Capone 35