Unione Europea Fondo Sociale Europeo PAOLA PAGANA SCIENZA, TECNICA, OSSERVAZIONE E RICERCA NELLA SUGGESTIVA CORNICE DEL MONASTERO DI SAN PIETRO IN PERUGIA Perugia, Abbazia di San Pietro 2 Cortile d'ingresso (1614) 3 Chiostro maggiore (sec. XVI) 4 INTRODUZIONE Il presente lavoro prende in esame il pensiero scientifico dei monaci e la sua applicazione alla pratica. Il motto benedettino ORA ET LABORA invita il monaco a pregare e ad impegnarsi quotidianamente in attività specifiche nello studio delle diverse discipline, sia umanistiche che scientifiche. Il monastero perugino di S. Pietro, in certi momenti della sua lunga storia, è stato una vera propria fucina, un crogiolo nel quale si sono fusi insieme i vari saperi ed ha visto la realizzazione di alcune valide invenzioni. Il libero pensiero ferveva tra le antiche mura del monastero, si diffondeva nei chiostri, portava alla discussione, alla riflessione, alla messa in opera di progetti, alla realizzazione di invenzioni basilari allo sviluppo della scienza. Mai i benedettini hanno avvertito la frattura tra scienza e fede, tra la ragione, che è alla base della riflessione scientifica, e la fede stessa, ma emuli dell'antico discepolo Tommaso che il proprio padre, il conte Landolfo d'Aquino, aveva affidato alle cure dei monaci di Montecassino per la sua educazione, hanno sempre conciliato la fede con la ragione, hanno valorizzato la ragione capace di comprendere la realtà, pur vedendo in essa dei limiti. Consapevoli che esista un'infinità di cose che trascendono la ragione, hanno sfruttato quest'ultima, magari come "ancella" della fede, non contrapposta ad essa, ma sua alleata poiché non è possibile che alcuna verità di fede sia contraria a ciò che la ragione conosca in modo naturale. 5 E se Dio non è il semplice plasmatore della materia, come affermava Aristotele, ma il Creatore di tutto ciò che è, parla alle sue creature in due modi: attraverso le Sacre Scritture e attraverso il gran libro, sempre aperto, della Natura. Il libro della Natura, il libro dell'universo, come affermava Galileo Galilei, è sempre aperto davanti all'uomo ed è da lui conoscibile a patto che questi conosca il linguaggio in cui è scritto, il linguaggio della matematica. L'universo è scritto, affermava Galilei, con particolari lettere che sono il suo alfabeto: triangoli..... cerchi..... figure geometriche; lo studioso non può limitarsi all'apparenza, ma deve operare un lavoro di astrazione per conoscere la vera realtà delle cose. Scienza e filosofia, matematica e natura tenevano viva la mente dei monaci alcuni dei quali sono stati protagonisti del discorso scientifico. È sufficiente in questa sede, avendo citato Galilei, citare altresì un monaco, suo discepolo ed amico, che ha soggiornato nel monastero di San Pietro e qui, fedele agli insegnamenti del "Maestro" ed abile artefice del proprio sapere, ha inventato un utilissimo strumento per la misurazione delle piogge: IL PLUVIOMETRO Ho ritenuto importante, al fine di mettere in luce l'attività dei monaciscienziati, ricostruire "una breve pagina di storia" del monastero considerato come una cornice all'interno della quale era intenso il fervore scientifico, costante l'impegno dei monaci nello studio e nella ricerca. Ho lavorato alquanto su documenti d'archivio, fonti documentarie non sempre di facile interpretazione; ciò ha comportato, all'inizio, un impegno notevole, ha 6 presentato certe difficoltà, tuttavia il desiderio di gettare una luce su quel mondo monastico non completamente noto, di scoprire l'organizzazione, la mentalità dello stesso è stata così forte e stimolante da indurmi a superare qualsiasi ostacolo. 7 CENNI STORICI RELATIVI AL COMPLESSO ABBAZIALE DI SAN PIETRO SEDE DELLA FONDAZIONE PER L'ISTRUZIONE AGRARIA E DELL'OSSERVATORIO SISMICO "A. BINA" DI PERUGIA Ritengo necessario ricostruire il contesto storico dell'abbazia di San Pietro per comprendere le origini di quel luogo che, nel corso dei secoli, ha visto fiorire e svilupparsi il pensiero e l'attività scientifica a partire dai primi monaci impegnati in questo campo per giungere al periodo a noi contemporaneo. ********** Nel 1980 è stato rinvenuto, sotto il presbiterio della chiesa di San Pietro, un tempio paleocristiano. Ciò attesta l'esistenza di un'antichissima vita spirituale, in questi luoghi, e fa credere che siano stati proprio i primi seguaci del messaggio di Cristo in Perugia a scegliere il MONTE CAPRARO, questo il nome del lieve colle su cui sorge San Pietro, come luogo per i loro culti. San Gregorio Magno, nel III libro dei DIALOGHI, afferma che i cristiani di Perugia fecero edificare un tempio, una vera cattedrale, tra il V ed il VI secolo, con il sostegno delle autorità cittadine. Sempre San Girolamo, nel secondo libro dei DIALOGHI ci informa del terribile momento vissuto dalla comunità cristiana di Perugia, dei tormenti atroci, fatti patire da ERCOLANO nonché della sepoltura di questi UT HOC TOTILA (corpus) al vescovo IUXTA HONOREM 8 1 DEBITUM IN ECCLESIA BEATI PETRI APOSTOLI HUMARENT. Nel X secolo, la cattedrale di San Pietro conobbe un periodo di decadenza tanto che il vescovo, RUGGERO, trasferì il titolo alla chiesa di Santo Stefano sita all'interno delle mura cittadine. Nel 966, PIETRO VINCIOLI, membro di una famiglia nobile di Agello, un giovane benedettino, chiese ed ottenne da ONESTO, vescovo di Perugia, la donazione di quel Monte Capraro dove si trovavano i resti della vecchia cattedrale. Confidando nella provvidenza, il Vincioli diede inizio alla costruzione della Basilica e del Monastero che, naturalmente, non appariva nella forma attuale. Evidentemente l'entusiasmo ed i fondi erano tali da consentire la pronta realizzazione dell'opera. Il tempio, dedicato, per specifica volontà del Vincioli, a San Pietro Apostolo, fu consacrato, con ogni probabilità, nell'anno 966, lo stesso della donazione. Il piccolo CENOBIO si popolò rapidamente di monaci che diedero vita, sotto l'attenta guida del fondatore divenuto abate, ad una comunità fervida ed attenta. Da una pergamena del 1002, conservata nell'Archivio Storico di San Pietro, sappiamo che Papa Silvestro II prese le difese dei monaci, allora in contrasto con il vescovo di Perugia, CONONE. Il vescovo, forse irritato dal crescente fiorire della comunità monastica che andava assumendo sempre più, gradatamente, un ruolo importante oltre che in campo religioso, in quello morale ed economico, forse sentendosi leso nel suo personale prestigio, aveva 1 Luigi Siciliani: Consistenza ed evoluzione del patrimonio fondiario del Monastero di San Pietro in Perugia nei secoli XVI e XVII. Tesi di laurea; Università degli studi di Perugia, Facoltà di Economia e Commercio. Anno Accademico 1983-1984 9 finito per esercitare, sui monaci, angherie e vessazioni. Dalla stessa pergamena sappiamo che il Monastero possedeva chiese e terreni fino a Monte Vibiano Nuovo. È una pergamena del 1022 (ASPi. Archivio Storico San Pietro Perugia, Cass.I) ad informarci della conferma delle proprietà di certi possedimenti, a Pietro Vincioli, da parte del Papa, Benedetto VIII. Da ciò si deduce che il Vincioli, nel 1022, era ancora vivente anche se, con ogni probabilità, morì poco dopo. Nel 1045, l'abate BONIZZONE chiese ed ottenne, da Papa Gregorio VI, la convalida, tramite bolla, di numerosi beni. Il 17 aprile 1065, Papa Alessandro II, tra gli altri possedimenti confermò, specialmente, quelli di Sant'Apollinare e di San Biagio della Valle. Le legittimazioni di proprietà, avute tramite bolle papali, rafforzano il legame e la dipendenza da Roma, svincolando il CENOBIO dalle imposizioni spirituali ed economiche della giurisdizione locale. Era cura dei monaci, anche se la cosa poteva comportare un pesante onere finanziario, far ratificare dagli imperatori i beni della Comunità e metterli sotto la loro protezione. I più antichi documenti risalgono agli anni 983, 1002, 1024 e riguardano privilegi e conferme di possedimenti da parte di Ottone III ed Enrico II. Una pergamena del 1027 riporta un PRAECEPTUM di Corrado II. Se gli imperatori, con i loro decreti, riconoscevano possedimenti e diritti al Monastero e davano all'ABBAZIA l'appellativo di IMPERIALE era perché notavano che la stessa andava acquisendo, sempre più, accanto a quello 10 spirituale, un forte potere temporale e volevano guadagnarsi l'appoggio dei monaci. L'attività economica del monastero, sempre più fiorente, era registrata dai monaci con ordine e scrupolo. LIBRI CONTRACTUUM, LIBRI BENEFICIORUM, LIBRI VINEARUM, i libri dei ricordi, le pergamene, le planimetrie, i progetti, le carte geografiche, sono i documenti più importanti attestanti l'attività del Monastero, conservati presso l'archivio storico della fondazione per l'istruzione agraria. Se l'attività era intensa e buoni erano gli introiti, erano comunque troppo pesanti le imposte che gravavano sul Monastero e che finirono per inficiare le sue finanze. Per far fronte alla difficile situazione, i monaci si videro costretti ad affittare le tenute di Casalina e di Sant'Apollinare nonché a vendere alcuni terreni. La comunità monastica di San Pietro ruotava attorno a due poli: da un lato, notevole, il culto divino e la diffusione della cultura, dall'altro, importantissimo, l'impegno organizzativo ed il lavoro materiale. I monaci avevano caro, altresì, l'aspetto esteriore del monastero che, tra il XV ed il XVI secolo conobbe radicali lavori di ristrutturazione: fu rifatto l'altare maggiore e, con ogni probabilità, fu data all'abside la sua forma attuale. Fu proprio durante quei lavori, era il 1436, che venne rinvenuto e riesumato il corpo di San Pietro Vincioli, il fondatore dell'abbazia, che era stato sepolto sotto l'altare maggiore. Fu, inoltre, nel corso dei detti lavori, costruito il CHIOSTRO DEL POZZO, il nuovo refettorio, che attualmente è l'Aula Magna della 11 Facoltà di Agraria, ed il CHIOSTRO DELLE STELLE, su progetto dell'architetto GALEAZZO ALESSI. Le aule scolastiche presenti nel CHIOSTRO DEL POZZO sono la testimonianza dell'impegno intellettuale dei monaci, conforme alla regola di San Benedetto: ORA ET LABORA ET LEGE2. In questo monastero, in questi chiostri, ha aleggiato, nel corso dei secoli, lo spirito della sapienza, in essi hanno vissuto la loro vita, sospesa tra studi e preghiera numerosissimi monaci. Tra queste mura, in questi chiostri, fu un monaco particolarmente interessato alle problematiche scientifiche, sempre attento ad ogni evento e portato alla riflessione, dotato di forte intuizione, pronto ad esperimentare, praticamente, a verificare alla prova dei fatti, le idee, le ipotesi che andava formulando: don Benedetto Castelli, discepolo ed amico del filosofo-scienziato Galileo Galilei che, come vedremo, fu straordinario collaboratore del Maestro, e nel silenzio del chiostro andò maturando, varie teorie, effettuò esperimenti, esperimentò in particolare il PLUVIOMETRO, 2 una sua notevole invenzione Luigi Siciliani: op. cit 12 IMPEGNO DEI MONACI IN CAMPO SCIENTIFICO " La diffusione dello studio scientifico non ha mai rappresentato una stravaganza nel mondo religioso, tradizionalmente rivolto, in maggior misura, agli studi filosofici, teologici e, in genere, umanistici. La storia ecclesiastica offre esempi illustri di domenicani, barnabiti, gesuiti, minori.... i cui meriti sono spesso menzionati nei testi di storia delle scienze"3. Se i religiosi, in genere, non hanno disdegnato lo studio scientifico, occorre dire che i Benedettini, in particolare, hanno sempre mostrato notevole interesse per le meraviglie della natura soprattutto quando la conoscenza delle stesse contribuisce a glorificare il Creatore. Le scienze si, ma soprattutto la medicina ha costituito, per secoli, un impegno specifico del monaco. Ciò avveniva nel pieno ossequio della regola: INFIRMORUM CURA ANTE OMNIA, ET SUPER OMNIA ADHIBENDA EST. Forse allo stesso San Benedetto non era conosciuta la medicina: TUNC ABBAS FACIAT UT SAPIENS MEDICUS..... Numerosi Benedettini hanno considerato la cura del malato, l'assistenza all'infermo, uno specifico dovere. Preparavano da soli gli unguenti, le medicine, avvalendosi della conoscenza delle erbe, delle proprietà terapeutiche di varie piante. Ciò è attestato da Cassiodoro che, ritiratosi nel cenobio di Squillace dopo aver abbandonato la corte di Teodorico, voleva che i suoi religiosi apprendessero "l'arte salutare di studiare le virtù curative delle erbe 3 M.Mazzucotelli: La scienza nei monasteri; in Cultura scientifica e tecnica del monachesimo in Italia vol.I, cap.I 13 per farne farmaci per il bene dei poveri infermi"4. Cassiodoro ricordava ai monaci, uomini di cultura, esperti di lettere greche e latine, di non limitarsi a trascrivere le opere dei classici, ma a studiarle, a leggerle. Fondamentale, a tal fine, è l' "Erbario di Discoride ove sono descritte le proprietà delle erbe dei campi, ma anche le opere di Ippocrate, uno dei fondatori della medicina antica, e di Galeno altra grandiosa figura di medico dell'antichità. Dunque, dovere dei monaci era di trascrivere i codici antichi per tramandarli alla memoria dei posteri, ma anche, e soprattutto, studiarli per conoscere i segreti delle scienze, della natura. Nel corso del XIII secolo fiorirono numerose farmacie cassinesi i cui farmaci erano preparati in modo naturale: i monaci applicavano le loro conoscenze scientifiche per preparare rimedi veramente efficaci. Numerosi codici cassinesi dei secoli XIII, XIV, XV e XVI riportano moltissime ricette di farmaci preparati con erbe delle quali vengono spiegate le virtù curative. I monaci pur obbedendo al Concilio di Roma, del 1139, e di Tours del 1163, che proibiva loro l'insegnamento della medicina nonché l'esercizio pubblico della stessa, continuarono ad essere d'aiuto ai malati, specialmente ai poveri, perché questo non era stato loro vietato, con le medicine da loro stessi preparate. È ancora un codice del XII secolo (167-435) a parlare di anatomia e fisiologia. Sono sempre i codici ad informarci che nel XII secolo i monaci avevano dato vita, a proprie spese o con l'aiuto di benefattori, a vari ospedali. Ospedali e 4 B.Paoloni: Il contributo dato in 14 secoli dai Benedettini Cassinesi alle scienze fisiche, astronomiche, mediche e naturali; in La Meteorologia Pratica, anno VII n.6 Novembre-Dicembre 1926, p.195 14 farmacie dei monaci sono presenti nelle citazioni dei codici ancora nei secoli successivi. Parallelamente continuano gli studi di carattere scientifico. Un monaco di Montecassino, TEOFILO MARZIO, espertissimo di matematica ed astronomia, fu chiamato da Gregorio XIII a partecipare alla riforma del calendario. Erano del gruppo "uomini dottissimi" ma il Marzio prese veramente a cuore l'incarico e, come afferma l'Armellini (Biblioteca Benedictino Casinensis, sive scriptorum casinensis congregationis)5, fu il più grande sostenitore dei calcoli di Luigi Giglio, e dimostrò tutti gl'inconvenienti che, col tempo, sarebbero nati dalle riforme proposte da altri. Scrisse TRACTATUS DE NOVA REFORMATIONE KALENDARI, CONSULTATIONES SUPER EADEM REFORMATIONE CASINENSIS DE CONTROVERSIS ed un opuscolo THEOPHILI MONACHI SUPER KALENDARIO NARRATIO. Si occupò della riforma del calendario anche un altro monaco, Adriano Amaltea. Matematici, scienziati fanno conoscere il loro impegno nei diversi monasteri nel corso del XVI secolo. Uno di questi fu D. Girolamo Ruscelli inventore del sistema di trasporto per carri. Nel XVII secolo l'impegno dei monaci in campo scientifico non diminuì, anzi conobbe un notevole incremento. È questo il secolo in cui, come afferma D. Bernardo Paoloni, gli abati cassinesi sostengono la necessità di approfondire, in ogni ambito scientifico, il sapere dei monaci. 5 B.Paoloni: op.cit. p.11 15 Un monaco, di cui non si conosce il nome, è il primo ad occuparsi di astronomia. È autore di un libretto: DISCORSO NUOVO IN MATERIA DELLA GRANDE COMETA CHE SI VIDE NEL PRINCIPIO DI NOVEMBRE 1618 COLLA DICHIARAZIONE DELLA GRANDEZZA, E SUE QUALITA' E DELLI SUOI PRODIGI (Venezia 1619). Molti sono i cassinesi matematici vissuti in questo periodo nonché gli astronomi. Un monaco che godeva di grande fama come astronomo, Alderano Desiderio, autore di opuscoli, fu chiamato da Clemente XI, nonostante avesse novant'anni, per operare correzioni al calendario. Impedito a muoversi, data l'età, scrisse un libro molto apprezzato: CICLI SOLARI E LE LETTERE DOMENICALI. Non si può dimenticare che il XVII è il secolo caratterizzato dal pensiero scientifico, che vede protagonisti pensatori quali Galilei, Keplero, Newton, Torricelli, ma anche il benedettino D. Benedetto Castelli scienziato ed amico di Galileo ed inventore del pluviometro. Altro illustre cassinese del secolo è Benedetto Bacchini, maestro di Ludovico Antonio Muratori, fine teologo e filologo, ma anche esperto di fisica, meccanica e medicina. Bacchini, nella sua DISSERTATIO DE MOTIONIBUS MERCURII IN BAROMETRO,(Venezia 1730) mette in luce le sue profonde conoscenze di fisica e di meteorologia. Nella sua opera, detto monaco spiega fisicamente, tramite dimostrazione, le ragioni per le quali il mercurio sale e scende all'interno del tubo del barometro; parla, inoltre, in modo esauriente, della pressione dell'aria durante i temporali. Anche il XVIII secolo vede i benedettini protagonisti in campo scientifico, vi furono fisici e matematici e qualcuno, studiando le leggi di queste discipline ed 16 applicandole alla pratica, anticipò quelle conoscenze, precorse il cammino dell'areonautica. Tre monaci della Badia Fiorentina riuscirono a far sollevare un pallone, pieno d'idrogeno che, in pochi minuti, tra la meraviglia dei presenti, attraversò le montagne andando a cadere in territorio emiliano. Addirittura un altro monaco della stessa Badia aveva trasformato la sua cella in un piccolo laboratorio di aeronautica e lì, dopo aver inventato un altro pallone, si impegnava con tutte le sue forze in quegli esperimenti grazie ai quali tentava di risolvere il problema della dirigibilità. Se è vero che la meteorologia ha visto la luce all'interno dei chiostri benedettini, è altrettanto vero che la stessa nascita ha avuto la sismologia. È proprio un cassinese, D. Andrea Bina di Milano, monaco del monastero di S. Pietro di Perugia, l'inventore del primo sismografo della storia. Si trattava, certamente, di un sismografo non perfetto, ma capace di registrare i terremoti, stabilirne la direzione e l'ampiezza e dire se fossero ondulatori o sussultori. Il XIX secolo altresì conobbe l'impegno scientifico dei monaci che continuarono ad occuparsi di matematica, fisica, meteorologia, sismologia. (purtroppo moltissimi documenti di Montecassino sono stati perduti. Il Monastero che nei secoli medioevali aveva conosciuto le scorrerie dei Longobardi e dei Saraceni, nel 1795 aveva subito l'oltraggio dei Francesi che, incuranti della cultura e della storia, avevano disperso molte carte d'archivio usandole, in molti casi, come carta per avvolgere cibi o, addirittura, 17 bruciandole ha vissuto una pagina tragica alla fine della seconda guerra mondiale quando per l'errata interpretazione di un messaggio in codice, è stato distrutto). 18 DON GIROLAMO RUSCELLI E L'IMPORTANZA DEL SAPERE SCIENTIFICO All'interno dei monasteri, in modo più o meno evidente, in modo più o meno sistematico si svolgevano studi di diverso genere, umanistico o scientifico. Può suscitare qualche difficoltà, a volte, caratterizzare un monaco con un unico appellativo in quanto la cultura di questi è così vasta, poliedrica, che considerarlo cultore di una sola disciplina porta a sopravvalutare un aspetto di quel sapere che è legato alla complessità, alla molteplicità delle sue conoscenze e, dunque, alla ricchezza intellettuale della sua persona. Monaci eruditi in campo umanistico, ma anche scientifico si affacciano ad animare, culturalmente, la vita dei chiostri nelle varie epoche, ma soprattutto nei secoli XVI e XVII. I vari documenti, i diversi manoscritti, fanno conoscere gli studi, le riflessioni, l'impegno dei monaci nel campo della fisica, dell'astronomia, della meteorologia, dell'idraulica, della meccanica. I nomi di due monaci vissuti nel monastero perugino nel detto periodo, D. Girolamo Ruscelli e D. Benedetto Castelli sono indicativi della passione per le discipline scientifiche e dell'impegno profuso nella realizzazione di opere, di scoperte. Don Benedetto lega il suo nome, come vedremo, a varie invenzioni, tutte significative; don Girolamo, invece, soprattutto al trasporto di merci su carri trainati da buoi6. 6 M.Mazzucotelli: op.cit. pp. 16-17; 59; 60-62; 86-90; 92 19 Occorre dire che i monaci, sia pur dotati di straordinario interesse per gli argomenti scientifici, vivevano, pur sempre, all'interno del monastero la cui vita era scandita dalle preghiere elevate a Dio, nel rispetto delle ore canoniche. La giornata iniziava con le lodi già dal sorgere del sole. Era, dunque, necessario considerare lo scorrere del tempo, conoscere le leggi che regolano la misurazione del tempo: tutto ciò ha portato alla realizzazione di meridiane, ovvero di orologi solari. Non era certo semplice dar vita ad un orologio solare; il costruttore necessitava di una cultura che spaziasse in ogni campo: dalla matematica, alla geometria, all'astronomia. Doveva essere capace nei calcoli matematici, ma anche avere conoscenza della posizione del sole, dei movimenti della terra, delle variabili della sfera celeste, il tutto suffragato da buone conoscenze geografiche. È vero, è una necessità conoscere l'ora, ma, purtroppo, la costruzione dell'orologio non si può improvvisare. Ci vuole, a monte, una vasta e profonda cultura quale doveva possedere don Girolamo Ruscelli, cellerario7, abate di San Pietro, presidente più volte della Congregazione Cassinese, esperto di architettura, filosofia, letteratura, musica, ma ciò che più importa, ottimo conoscitore della matematica, aritmetica, algebra, astronomia, astrologia, cosmografia. Il fervore di sapere, di scoprire cose sempre nuove portò don Girolamo a realizzare strumenti scientifici di particolare interesse come astrolabi, sfere, 7 M.Montanari: Mille anni della chiesa di S. Pietro in Perugia e del suo patrimonio, Poligrafica F. Salvati Foligno, 1966, pp.145-153 20 compassi nonché orologi solari e, tra i tanti strumenti matematici, inventò anche quelli utili per una corretta delineazione geografica. L'abate Ruscelli, definito caratterizzato COSMOGRAPHIS, dalla SCIENTIIS OMNIBUS INSTRUCTISSIMUS "Matricula ARITHMETICIS ET Casinensis": MATHEMATICIS PLURA è altresì MANUSCRIPTA PERUTILIA RELIQUIT. INSTRUMENTORUM A SE INVENTORUM OPE AC BENEFICIO PLURIMA LOCA ET PROVINCIAS GEOGRAPHICE DELINEAVIT, PLURA ITEM HOROLOGIA SOLARIA VERTICALIA, HORIZONTALIA ET ANNULARIA FABRICATUS EST8. 8 M.Mazzucotelli: op. cit. pp.15, 72-72, 115 21 Don Girolamo Ruscelli..... un abate..... un letterato..... un astronomo..... un poeta..... un matematico Don Girolamo Ruscelli, nato a Perugia, probabilmente, nel 1538, da una famiglia benestante e pia, molto legata al Monastero di San Pietro9 si distingue per la profonda cultura scientifica e per le numerose esperienze di vita monastica: prima priore del monastero dei Santi Faustino e Giovita, a Brescia e, successivamente, promosso ad abate, fu nel monastero di San Martino delle Scale a Palermo, nella Badia di Firenze nonché a Subiaco. Ebbe l'onore di guidare, in qualità di abate, e per ben cinque anni, il monastero di Montecassino. Fu a Perugia, nello stesso ruolo, dal 1595 al 1598. Dopo un biennio trascorso, da abate, nei pressi di Mantova, nell'abbazia di San Benedetto Po, tornò a Perugia per rimanervi fino al 1603 quando fu mandato a Napoli a reggere il Monastero di San Severino dove, secondo l'Armellini, morì all'età di sessantasei anni, il 24 agosto 1604. Secondo la MATRICULA, Ruscelli è morto a Perugia: mortus est Perusii anno 1603. La "Cronaca m.s., dopo aver riportato la notizia della morte dell'abate, avvenuta a Perugia, continua.... nel dì 10 febrajo 1603 pieno di merito, riputato da tutti per dottrina, talenti e santità di vita". Il libro de' Morti della Chiesa di S. Pietro di Perugia (A) riporta la notizia del decesso di don Girolamo "Adì 17 febraro 1603 passò a miglior vita....". 9 ASPi - M. Bini: Memorie storiche del Monastero di San Pietro in Perugia dell'ordine di San Benedetto raccolte e redatte da un monaco di esso nel 1848. C.M. 439/IV 1848, p.156 22 L'abate Ruscelli fu per tre volte presidente della Congregazione: la prima nel 1592, mentre era abate di Montecassino; la seconda nel 1596, quando reggeva la "sua" abbazia di San Pietro in Perugia; la terza nel 1600 allorché, dopo aver governato il Monastero di S. Benedetto Po, gli fu rinnovato l'incarico del "suo" Monastero di Perugia10. I vari monasteri guidati da don Girolamo Ruscelli conobbero non solo un valente amministratore ed un' ottima guida spirituale, ma, in particolare, uno studioso, un uomo di vaste e profonde conoscenze. Nei sei anni trascorsi a Brescia, il Ruscelli si distinse come docente di matematica mentre, nel periodo cassinese, legò il suo nome a vari fatti: fece due sinodi diocesani, eresse il seminario diocesano in modo conforme ai deliberati del Concilio di Trento, fece costruire la strada di San Germano a Montecassino, le grandiose mura di protezione del monastero ed escogitò il modo, estremamente semplice, di suonare una grandissima campana che, come dice lo storico Crispolti, era sufficiente, per metterla in funzione, che fosse toccata anche solo da un bambino. "Letterato, astronomo, poeta, matematico" lo definisce il Bini nella sua "Cronaca", grande esperto di matematica in generale, di algebra in particolare, sfruttò le sue notevoli competenze nella costruzione di un CIMBALO che suonava perfettamente con ventuno corde ed aveva, come dice il Crispolti, la "tastatura divisa, così nel suono, come nel semisuono e risultano in tutto di 10 Ab. Pietro Elli O.S.B. Cronotassi degli Abbati del Monastero di San Pietro in Perugia conforme alla Cronaca ms. dell'abate D. Mauro Bini (+1849). Abbazia di San Pietro-Perugia-1994. p. 78 23 numero ottantuno tasti". Il Ruscelli ha operato tanto, ad avviso dello storico Crispolti, per dare l'opportunità ai "Musici" ed agli studiosi di poter suonare tutti i generi: cromatico, enarmonico e diatonico cose non possibili da fare, così perfettamente, con altri cimbali. Don Girolamo, "versatissimo" in matematica, eccelso conoscitore dell'algebra, dell'astronomia e della cosmografia uno di quegli uomini che raramente la natura produce, profondo teologo, filosofo e giurista fu anche medico11. Inventò e perfezionò vari strumenti matematici. Costruì sfere, astrolabi, trisesti e compassi, fabbricò orologi di vario tipo, in differenti luoghi, orologi solari verticali e orizzontali. Singolare la sua idea di segnare tanto il legno quanto il marmo senza alcun aiuto di forze umane, senza operai dunque, ma solo con l'aiuto della forza idraulica. Studiò le alluvioni e concepì il modo di evitarne i danni. Bisogna ricordare che don Girolamo, prima ancora di essere nominato abate, era stato celleraro del monastero di San Pietro. In quel periodo, esattamente nel 1565, forse riflettendo sulle immani fatiche degli uomini e degli animali e, soprattutto, sul "costume" di trasportare merci avvalendosi di bestie da soma a schiena e constatando la presenza, in zona,di varie ruote di carri di artiglieria abbandonate dai Francesi nelle cascine quando avevano attraversato il territorio perugino, pensò che tanto materiale non potesse andare sprecato. In virtù del suo ingegno costruì dei carri introducendo, così, nel monastero un nuovo uso di 11 B.Paoloni: Il contributo cit., 1926, p.204 24 trasportare i generi. Successe però, che don Girolamo fosse destinato, nel frattempo, al monastero di Subiaco e, per obbedienza, dovesse recarvisi. Un perugino, tal maestro Pompilio, a conoscenza dell' "invenzione" di don Girolamo, approfittò dell'assenza da Perugia del monaco. Dopo aver osservato attentamente la struttura dei carri ed aver studiato i sistemi di movimento degli stessi, cominciò a fabbricare, a sua volta, carri in tutto simili a quelli del monastero, ma si guardò bene dal dire di basarsi sul prototipo monastico, tutt'altro; andava dicendo di essere lui l'ideatore e l'artefice e, di conseguenza, come "inventore", ottenne dal Governo "la privativa di fabbricare li carri per un dato tempo". Rientrato a Perugia, nel 1569, ancora in funzione di cellerajo, don Girolamo volle continuare a fabbricare i carri secondo la sua invenzione, quei carri che erano già risultati più che utili al monastero, ma incontrò un ostacolo: Mastro Pompilio produsse il "privilegio della sua privativa". Don Girolamo, con pazienza e da uomo di Dio, portò Pompilio a capire la gravità della situazione in cui si era cacciato con le sue stesse mani e per sua volontà. Gli fece capire che era stato lui, don Girolamo, a costruire i carri e a metterli in azione e che l'invenzione era sua non di altri. Di conseguenza, avocando a sé il merito dell'invenzione, quale effettivamente era, aggiunse che il governo avrebbe, senza dubbio, revocato il "privilegio" a Pompilio una volta appurata la falsità della dichiarazione da questi prodotta. Il monastero, naturalmente, dimostrò agli organi di governo la paternità di don Girolamo relativamente all'invenzione dei carri. Mastro Pompilio, che 25 temerariamente aveva osato, ben sapendo di mentire, sostenere davanti al legittimo inventore, di essere lui l'ideatore dei carri, forse temendo per sé gravi conseguenze, preferì rinunciare alla "sua pretenzione". Il monastero ebbe modo di continuare a fabbricare i carri senza più incontrare ostacoli12. 12 Libri Diversi: Ricordi n. 38, Archivio San Pietro, Perugia, p.26 26 GALILEO GALILEI E BENEDETTO CASTELLI: UN' AMICIZIA VOTATA ALL' ESPERIENZA SCIENTIFICA All'interno dei monasteri era tangibile l'impegno dei monaci in campo scientifico; non può e non deve sorprendere che possa essere esistito un rapporto di fattive collaborazione fra i monaci, a loro volta pensatori e scienziati, e veri e propri pensatori, filosofi , scienziati. Non può meravigliare, dunque, il caso di don Benedetto Castelli (1577-1643) [al secolo Antonio] fortemente legato a Galileo Galilei da profonda stima ed amicizia. Galileo Galilei (1564-1642) ebbe nella sua "cerchia di discepoli ed amici..... anche alcuni monaci i cui contributi alle scienze astronomiche, e non solo a quelle, furono, a volte, importanti. Lungo tutta la sua vita, Galileo ebbe contatti con diversi monaci, di cui la storiografia galileiana ha evidenziato studi e realizzazioni"13. A sostegno dell'idea che vuole in perfetta sintonia Galilei ed il mondo monastico, è bene considerare l'ipotesi, certamente suggestiva, formulata da M. Ercolani all'inizio del secolo XX, sulla base di un'antica tradizione vallombrosana, che lo scienziato sarebbe stato iniziato allo studio proprio presso i monaci, i vallombrosani, nel monastero di Vallombrosa e in quello di Santa Trinita, a Firenze. È evidente, dunque, che Galilei considerasse i monaci dei capisaldi, delle vere basi del sapere. 13 M.Mazzucotelli: op.cit. p.58 27 Nominato, nel 1592, professore di matematica presso l'Università di Padova ebbe, tra i suoi allievi, il cassinese Gerolamo Spinelli (professo del monastero di Santa Giustina di cui divenne abate nel 163214 che, aiutato dal confratello don Benedetto Castelli, nel 1605, pubblicò il "Dialogo di Cecco Ronchitti da Brunzone in proposito della stella nuova". 14 M.Mazzucotelli: op.cit. p.59 28 Don Benedetto Castelli nato a Monte Isola (Brescia) il 4 settembre 1577 da antica e nobile famiglia, vestì l'abito monastico nel monastero di Santa Faustina in Brescia all'età di diciotto anni. Compiuti gli studi teologici e filosofici passò al monastero di Santa Giustina, a Padova, per seguire, presso l'università cittadina, quegli studi per i quali mostrava particolare inclinazione. A Padova diventò "uditore e discepolo" di Galilei. Frequentava la casa del Maestro, assisteva alle sue numerose esperienze, fra le quali quelle che furono alla base dell'invenzione del termometro. Descriveva quei momenti in una lettera inviata a Mons. Ferdinando Cesarini in data 20 settembre 1638. Lo strumento inventato si chiamava, ancora, termoscopio. Fu Evangelista Torricelli, che si avvalse della dilatazione dell'acqua anziché di quella dell'aria, a dar vita (secondo Catervi) al termometro. Nel 1607 prese parte, al seguito dell'abate dell'Ordine, al Capitolo Generale, tenutosi nella Badia di Cava dei Tirreni. Dal 1607 al 1610 sono scarse le notizie che lo riguardano, ma come afferma il professor Baltadori, docente 29 della Facoltà di Agraria di Perugia15 fu, forse, in quel periodo, a Montecassino. L'ipotesi è suffragata dal fatto che là si conservano16 due suoi manoscritti autografi: Intorno allo studio delle macchie solari, mai pubblicato e Galileo, delle cose che stanno sull'acqua. Quando Galilei lasciò Padova, e dunque si allontanò dal territorio della Repubblica di Venezia per portarsi a Firenze, il Castelli, non riuscendo a concepire una vita priva del sostegno del maestro, volle continuare a stargli vicino "per poter far di quei guadagni che si fanno con la conversazione di V. S. quali sono da me stimati sopra ogni bene di questo mondo"17. A tale attestato di stima, fa riscontro qualcosa di analogo, a firma dello stesso Galilei che, in data 30 dicembre 1610, scriveva, fra l'altro, a don Benedetto "...la felicità del suo ingegno non ha bisogno dell'opera mia né d'altre"18. Era forte la considerazione che il maestro aveva dell'allievo e viceversa. Castelli, come detto, sentiva il bisogno di consultarsi con il maestro ed avvertiva, a tal punto, la necessità di stargli vicino che quando Galilei si trasferì da Padova a Firenze, il monaco chiese, ed ottenne, il trasferimento alla Badia Fiorentina. A Firenze, don Benedetto divenne il più assiduo, e valido, dei collaboratori di Galileo: aiutò il maestro nelle osservazioni dei quattro più grandi satelliti di Giove, i cosiddetti PIANETI MEDICEI, per una più esatta determinazione dei loro 15 A.Baltadori: L'Abbazia di San Pietro in Perugia nelle Scienze matematiche, fisiche e naturali; Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, vol.LXIV fasc.II Perugia 1967, p.197 16 A.Amelli: Don Benedetto Castelli, brevi cenni sulla vita e sulle opere, in La Meteorologia Pratica vol. VII, n.6, novembre-dicembre 1926, p.248 17 A.Baltadori: op.cit.p.198 18 M.Mazzucotelli: op.cit.p.60; A.Baltadori, op.cit.p.198 30 periodi, nello studio delle macchie solari, escogitando un sistema semplice, ma ingegnoso, per poterle osservare con il telescopio. Il Baltadori afferma che è proprio del Castelli il metodo di osservare le macchie solari ottenendo la proiezione attraverso il telescopio sopra una carta per non offendere l'occhio. Castelli fu di grande aiuto al maestro nelle discussioni relative alla questione sulle cause del galleggiamento dei solidi. Tanto entusiasmo nello studio, impegno e competenza ebbero un grande riconoscimento: nel 1613 il Castelli ottenne, con il favore delle corte granducale e l'appoggio di Galileo, la cattedra di matematica nello studio di Pisa, cattedra che mantenne per tredici anni. È di questo periodo la ben nota questione relativa alla presunta incompatibilità tra la teoria copernicana e la sacra scrittura, suscitata da G.Boscagli e ribattuta da B.Castelli, cosa che provocherà la famosa lettera di Galileo Galilei a Castelli causa dei processi a Galileo19. Frattanto il Cardinal Barberini, grande estimatore del Castelli, era diventato Papa con il nome di Urbano VIII. Poco dopo il pontefice volle che il Castelli si trasferisse a Roma per poter contare su di lui per tutto ciò che fosse relativo all'idraulica e, soprattutto, come istruttore di Taddeo Barberini. Successivamente fu nominato lettore di matematica alla Sapienza e gli fu dato l'incarico "dello studio del regolamento dei corsi d'acqua in vari luoghi"20. 19 20 Benedectina, fascicoli di studi benedettini, anno XXIV, fasc.I, Gennaio-Febbraio 1977, p.151 La Meteorologia Pratica cit., 1926, p.249 31 Durante il soggiorno romano scrisse la sua opera più significativa, il Trattato sulla misura delle acque correnti. Uomo di grande e profonda cultura, si trovò più volte a sostenere discussioni su argomenti attinenti all'idraulica, ma anche ai fenomeni luminosi. Parlando con certi uomini di lettere che palesavano difficoltà a comprendere come "potesse la terra illuminare più la luna di quello che fa la luna la terra", il Castelli stabilì che "l'intensità del lume scemi nella proporzione in cui crescono i quadrati delle distanze" giungendo, così, ad una legge di fotometria21. È giusto riportare quanto afferma il Favaro, notato anche dal prof. Baltadori, a tal proposito: quella medesima considerazione del lume secondario della luna che gli era stata scorta a formulare questa legge, lo conduceva appresso ad una divinazione che sola basterebbe ad attestarne la mente superiore. Congratulandosi con Galileo per i nuovi "scoprimenti" da lui fatti a proposito della luna, il 14 novembre 1637 scrive d'esser riuscito, nel mese precedente, a vedere, in modo assai distinto, questo lume secondario quando la luna era vicino al primo quarto, e richiamandosi a quello che il Maestro aveva scritto nel SIDERUS NUNCIUS, e nel DIALOGO DEI MASSIMI SISTEMI, aggiunge testualmente: "giudicai ancor io a' giorni passati che ritrovandosi la luna meridionale dovesse essere illustrata dalla terra, e però mi venne in mente che le terre meridionali a noi incognite debbono essere vastissime provincie e che però riflettono gagliardo lume nella luna"; tale concetto riportava la piena 21 A.Baltadori: op.cit., p.198; A. Favaro: Benedetto Castelli nella storia e nella scienza; in La Meteorologia pratica, anno I, Gennaio-Febbraio 1920 p.10 32 approvazione di Galileo; e così parecchi anni prima che venisse effettivamente scoperto, il Castelli divinava la esistenza del continente australiano22. Tra Castelli e Galileo intercorse una fitta corrispondenza. Sono proprio le lettere a mettere in luce le discussioni, di carattere scientifico e le diverse ipotesi, rispettivamente formulate, relative ai vari problemi in oggetto. Galilei scriveva a Castelli di non provare gusto maggiore che nel leggere ciò che il discepolo gli inviava "producendo frutti del suo ingegno e non foglie indifferentemente raccolte da questa e da quella pianta sterile e non fruttifera, che arrecano cibi molto grati"23. Di Castelli, dice l'Armellini24 "facili ac simplici stylo scripsit, de verborum venustate et elegantia haud omnino sollicitus". Il legame tra don Benedetto e Galileo era così vero, intenso e trasparente da portare i due a considerarsi complementari o, forse, addirittura, un'unica persona. Il Castelli ebbe allievi di prestigio, pensiamo a Torricelli, a Cavalieri, a Borelli che presentò e mise in relazione con Galilei. Era tale la stima di Galilei nei confronti di Castelli che il maestro considerò il Torricelli e gli altri, non come allievi di un diverso studioso, ma come fossero stati suoi stessi allievi. Come Castelli aveva appreso e condiviso il metodo di Galilei, altrettanto può dirsi dei suoi discepoli che hanno derivato dal maestro la precisione, lo scrupolo nelle indagini, nella ricerca. Il Torricelli, ad esempio, allievo del Castelli a Roma, è l'inventore, nel 1643, del barometro. Per tale invenzione, come per il 22 A.Favaro: Benedetto Castelli nella storia e nella scienza, in La Meteorologia Pratica, anno I, , gennaiofebbraio, 1920 p.10-11 23 A.Favaro: Carteggio di don Benedetto Castelli con Galileo Galilei, in La Meteorologia Pratica, MaggioGiugno 1920, p.107 24 Meteorologia Pratica, cit./Armellini-Bibliotheca Casinensis, Assisii, MDCCXXXI 33 completamento di quella del termometro, l'allievo del Castelli può essere considerato, come afferma don Paoloni, "uno dei pionieri della moderna meteorologia". Nel momento più buio della vicenda umana di Galileo, il Castelli non abbandonò il maestro, ma mantenne viva e forte la vecchia amicizia, anche durante il processo; è vero che in quei tristi momenti il Castelli non fu fisicamente vicino al Maestro e che, a causa dei suoi tanti impegni, tornò a Roma solo a processo concluso, ma è altrettanto vero che fu sempre spiritualmente vicino a Galileo facendogli sentire, concretamente, la sua presenza con le lettere e, soprattutto, con l'alta considerazione di cui godeva presso la curia romana. Castelli, come membro dell'ordine Benedettino, fu nominato decano sin dal 1612 ed abate di varie Abbazie: Praglia, San Benedetto di Foligno, in Sicilia... Stimato ovunque, in particolare dalle grandi famiglie, come i Medici o i Barberini, riconosciuto per le sue alte doti e gratificato da incarichi accademici trascorse l'ultimo periodo della sua vita nel Monastero di San Callisto in Trastevere, dovendo stare a Roma per onorare l'incarico di lettore di matematica alla Sapienza. Colpito da una malattia alla vescica, appena un anno dopo la morte di Galilei, il 19 aprile 1643, il Castelli morì nel monastero di Trastevere. 34 ********** Di notevole interesse umano e scientifico è il carteggio intercorso tra Galilei e Castelli. Nelle quattro "lettere Copernicane" scritte da Galilei tra il 1613 ed il 1615, di contenuto apparentemente privato, lo scienziato pisano si occupa del rapporto tra sacra scrittura e teoria copernicana. La prima di queste lettere, scritta a Firenze il 31 dicembre 1613, è indirizzata al monaco benedettino don Benedetto Castelli. 35 LE INVENZIONI DI CASTELLI Don Benedetto, allievo ed amico di Galilei, fu grande studioso. Le materie, oggetto del suo studio, furono molteplici; in ogni campo seguì le indicazioni di Galileo, tanto nello studio che nell'applicazione25. Come afferma il Favaro, in una nota del 1920, "dall'ottica al calorico, dall'astronomia alla fisiologia, dal magnetismo alla meccanica , dall'algebra speculativa alla risoluzione di problemi pratici rispondenti ai bisogni, quasi diremmo della vita quotidiana, non vi fu argomento sul quale anche occasionalmente sia stata richiamata la sua attenzione ch'egli non abbia fatto oggetto di studio ed al quale non abbia recato una qualche e spesso anche notevole contribuzione"26. Il Castelli si occupò, in campo astronomico, dei calcoli per determinare i periodi dei pianeti medicei la cui scoperta, illustrata da Galilei nel NUNCIUS, SIDERUS era stata dedicata dal Maestro a Cosimo de' Medici, studiò le "macchie solari ottenute con la proiezione su carta chiara attraverso il telescopio"27, studiò le fasi di Venere nonché la luminosità secondaria della luna ed operò il riconoscimento della montuosità della stessa. Castelli ha ricevuto tanto dal Maestro Galilei, ma ha trasmesso altrettanto ai suoi discepoli, a quei giovani che si sono formati sotto la sua guida e che lui stesso ha introdotto presso il grande maestro. I giovani formatisi all'ombra del 25 M.Mazzucotelli: op.cit. p.61 M.Mazzucotelli: op.cit. p.61 27 M.Mazzucotelli: op.cit. p.62 26 36 Castelli, ma che poi brillarono di luce propria furono almeno tre: Bonaventura Cavalieri, Evangelista Torricelli, Giovanni Alfonso Borrelli. Don Benedetto si occupò d'idraulica. Era, allora, annoso il problema della regolazione delle acque di fiumi, paludi, acquitrini, delle inondazioni e della conseguente vita malsana degli abitanti interessati a questi fenomeni. Il Castelli si occupò della questione con il rigore scientifico che lo caratterizzava, esponendo le sue argomentazioni nel trattato DELLE ACQUE CORRENTI DELLA MISURA (Roma, 1628). Il monaco non era nuovo agli studi di idraulica, si era infatti occupato della materia nella RISPOSTA ALLE OPPOSIZIONI DEL SIGNOR LUDOVICO DELLE COLOMBE E DEL SIGNOR VINCENZO DI GRAZIA CONTRO AL TRATTATO DEL SIGNOR GALILEO GALILEI DELLE COSE CHE STANNO SULL'ACQUA O CHE IN QUELLA SI MUOVONO......(Firenze, 1615). L'interesse per la materia era talmente forte e le argomentazioni tanto valide che il trattato del 1628 conobbe varie edizioni, sia in italiano che in francese ed in inglese. All'edizione del 1640, il monaco aggiunse studi e considerazioni sulla bonifica delle paludi Pontine, sulla laguna di Venezia e sulla descrizione dei corsi d'acqua, piccoli o grandi. In una lettera, del 1639, a Monsignor Cesarini, Castelli afferma "applicando io tutto lo studio al servizio e obbligo mio, spiegai in quel trattato alcuni particolari non bene avvertiti e considerati fin hora (che io sappia) da nessuno, ancorché per se stessi siino importantissimi e di grandissima conseguenza". Il ragionamento che il Castelli espone, in teoremi e corollari, pone l'attenzione sulla velocità variabile dei corsi d'acqua nelle diverse sezioni del loro alveo ed 37 in tempi determinati. Il tutto è accompagnato da dimostrazioni e da esempi atti a concretizzare le possibilità di attuazione dei principi teorici. Castelli, con le varie osservazioni del trattato, non mira solo alle bonifiche o alla regolazione dei fiumi, laghi, canali, ma riserva gran parte di esse al metodo di misurazione e distribuzione dell'acqua delle fontane che spesso conosceva abusi e soprusi. 38 LE INVENZIONI DI CASTELLI A PERUGIA Occorre ricordare che è questo il periodo in cui don Benedetto risiedeva nel monastero perugino di San Pietro. Era il 1639 e c'era il Capitolo Generale della Congregazione. Evidentemente era da tempo che il padre Castelli avvertiva l'esigenza di misurare l'andamento delle piogge. In un giorno particolarmente piovoso, osservando lo scendere copioso della pioggia e meditando sul suo ritmo, non si lasciò sfuggire la ghiotta occasione: uscì in uno dei cortili del monastero avvalendosi, per il suo esperimento, del primo oggetto trovato, ma funzionale allo scopo, un vaso da notte che lasciò all'aperto per circa un'ora. L'esperimento, ben riuscito, indusse il Castelli a pensare che, con tale sistema, si potesse effettuare l'osservazione delle acque del Trasimeno in rapporto alle piogge. Era, quello, un periodo in cui il lago, per il perdurare della siccità, si presentava particolarmente povero di acque. Il Castelli, come riferisce don Paoloni28, si recò sul luogo avendo saputo che il lago Trasimeno, a causa della siccità, si era abbassato notevolmente. Verificato il fenomeno, notò che il lago, rispetto alla consueta altezza, era abbassato di circa cinque palmi romani e più basso rispetto alla soglia dell'emissario. Così stando le cose, dall'emissario non usciva acqua e ciò provocava enormi danni agli abitanti: basti pensare che i ventidue mulini, azionati dall'acqua del lago, non potevano funzionare e per macinare il grano era necessario portarsi in altri mulini, spesso lontani, con 28 B.Paoloni: I Benedettini e la meteorologia in Italia; in Cinquanta articoli di Meteorologia, 1909-1936 pp.191ss 39 grande disagio e dispendio di energie. Don Paoloni, che circa tre secoli dopo operò nel monastero di San Pietro e che, con lo scrupolo che lo contraddistingueva, si impegnò in studi scientifici e ricerche d'archivio, riflettendo sull'abbassamento delle acque del Trasimeno, accostò la circostanza verificatasi ai tempi del Castelli ad un'altra, del 1833, della quale aveva trovato notizia consultando le carte della Biblioteca Comunale di Perugia. Sfogliando i vari documenti, il Paoloni si era imbattuto in un fascicolo, che lui stesso definisce raro, dal titolo ONIOLOGIA, pubblicato nel gennaio 1834 a Perugia. In un articolo della sua rivista29 don Bernardo pubblicò la curiosa informazione: "nell'anno 1833 in tutta la nostra penisola nei mesi di inverno in ispecie talmente si è penuriata l'acqua, che si è dovuto ricorrere particolarmente in Firenze ai pozzi artesiani per suplire ai bisogni di vita. Or la quantità media della pioggia, la quale calcolata da un decennio è per Perugia annualmente di circa linee 390, nell'anno 1832 non fu che di linee 255. Le nevi, le quali furono grandi nel cadere nell'anno 1831, quasi del tutto mancarono nell'anno 1832, quindi l'acqua dei pozzi e delle fonti già molto diminuita, mancò in molti luoghi quasi interamente nell'anno 1833. Il lago Trasimeno abbassò il suo livello più piedi sotto la soglia del suo emissario, e nell'inverno, cosa non più avvenuta, al Tevere si penuriò l'acqua per poter macinare"30. È evidente l'analogia, dovuta alle avverse condizioni, tra i momenti vissuti e le difficoltà incontrate dagli abitanti, nei luoghi citati, nel XVII e XIX secolo. 29 30 B.Paoloni: op.cit., 1909-1936 p. 193 B.Paoloni: op.cit., 1909-1936 p.193 40 Tornando al Castelli, dopo il sopraluogo compiuto al Trasimeno, rientrò in Perugia; le condizioni atmosferiche cambiarono, seguì un'abbondante pioggia. Dal momento che la pioggia caduta era copiosa, il monaco-studioso sentì il desiderio di sapere se il livello del lago fosse cresciuto. Parla di questo in una lettera scritta a Galileo il 18 giugno 1639 ".....supponendo (come aveva hassai del probabile) che la pioggia fosse universale sopra il lago: ed uniforme a quella che cadeva in Perugia e così preso un vaso di vetro di forma cilindrica, alto un palmo circa e largo mezzo palmo ed avendogli infusa un poco d'acqua tanto che coprisse il fondo del vaso notai diligentemente il segno dell'altezza dell'acqua del vaso e poi l'esposi all'aria aperta a ricevere l'acqua della pioggia che ci cascava dentro e lo lasciai stare per ispazio d'un hora, ed avendo osservato che nel detto tempo l'acqua si era alzata nel vaso quanto la seguente linea considerai che se io avessi esposti alla medesima pioggia altri simili ed eguali vasi in ciaschèduno di essi si sarebbe rialzata l'acqua secondo la medesima misura: e per tanto conclusi che ancora in tutta l'ampiezza del lago era necessario che l'acqua si fosse rialzata nello spazio di un'hora la medesima misura.....". La lettera viene commentata con ironica umiltà in un'altra lettera di Castelli a Galileo del 13 agosto 1639: ".....ho fatta ristampare quella mia operetta (trattato) e nell'aggiunta ho inserito la lettera dell'orinale, misura del Lago Trasimeno, per honor mio e non per eternare il grannome di V.S. scolpito con caratteri eterni nel cielo, in terra e in mare....."31. 31 M.Mazzucotelli: op. cit.p.89; M.Velatta: L'opera di un benedettino a salvaguardia del Trasimeno, in: 41 Dalla riflessione di Castelli derivò l'invenzione di un apparecchio che lui stesso denominò PLUVIOMETRO. Il Pluviometro di Don Benedetto Castelli 1639 (foto Gilberto Scalabrini) Il pluviometro permette di effettuare misurazioni pluviometriche in forma statistica, di misurare l'acqua piovana in un certo intervallo di tempo. È giusto ricordare, come sottolinea padre Paoloni dalle pagine della sua rivista32 che il PLUVIOMETRO servì a Castelli non solo per i suoi studi pratici e di notevole interesse scientifico, sul comportamento delle acque del Trasimeno in rapporto alle piogge cadute, ma fu utile, al suo inventore, anche per altre ricerche. Abbiamo notizie di ciò dal passaggio di una lettera inviata in data 13 agosto 1639 dove il padre benedettino tornava a parlare della sua invenzione. Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria. Perugia, 1967 vol.LXIV, fasc. II p.204-223 32 B.Paoloni: op.cit., 1909-1936 p.194 42 Galilei si interessò tanto dell'invenzione del suo discepolo, come risulta dallo stretto rapporto epistolare, e, in particolare da alcuni passaggi di lettere ove loda anche il "Trattato della misura delle acque correnti" opera nella quale il monaco aveva inserito la lettera con cui descriveva a Galilei il suo pluviometro. Purtroppo, l'invenzione di don Benedetto non fu dovutamente apprezzata da parte di coloro che cominciavano ad eseguire le prime osservazioni meteorologiche strumentali. Nonostante i successi ottenuti grazie all'impegno personale, allo scrupolo razionale, il Castelli non dimenticò mai di essere un uomo di Dio, ricordò sempre che la ragione è importante, ma che l'uomo non potrebbe avvalersene senza la volontà di Dio, che questa è solo uno strumento, un mezzo, non un fine; il fine ultimo dell'uomo è Dio, la sua verità assoluta, per raggiungere il quale non serve la ragione ma unicamente la fede; anche l'impegno scientifico e le scoperte non possono essere avulse dall'universo spirituale: tutto è ad onore di Dio. A testimonianza di ciò è la parte finale di una lettera, inviata a Galilei, con la quale il monaco comunicava i suoi studi sul Trasimeno e terminava: "tutto sia gloria a Dio per esercitare il dono dell'intelletto ancora nella contemplazione delle meravigliose opere Sue, ut per visibilia quae facta sunt, invisibilia percipiantur"33, 33 B.Paoloni: op.cit., !909-1936, p.199 43 BENEDETTO CASTELLI: RAPPORTO EPISTOLARE CON GALILEI Come già detto Urbano VIII nutriva grande stima nei confronti di don Benedetto Castelli e lo consultò più volte per lavori di idraulica. Forse è così che si destò in don Benedetto l'interesse, e di conseguenza lo studio, delle acque correnti. Quando non era ancora salito al soglio pontificio, il Cardinal Barberini, prefetto delle strade collaborava con Castelli, idraulico ufficiale pontificio; per conto del Barberini, dunque, il Castelli si occupò del lago e del suo emissario, detto cava. Si ha notizia di ciò in alcune lettere del carteggio Galilei-Castelli. "Queste materie di acque, e per quanto sinora ho in diverse occasioni osservato, si trovano involte in tante difficoltà, e moltiplicità di stravagantissimi accidenti, che non è meraviglia nessuna, se continuamente da molti, ed anco dalli ingegneri stessi, e periti si commettono intorno a quelle importanti errori: e perché molte volte non solo intaccano gli interessi pubblici, ma ancora i privati, di qui è, che non solo appartiene a' Periti trattarne, ma bene spesso ognuno del volgo pretende darne il suo giudicio: ed io mi sono abbattuto più volte, necessitato a trattare non solo con quelli, che o per pratica, o per istudio particolare intendevano qualche cosa in queste materie, ma ancora con persone ignude affatto di quelle cognizioni, che sono necessarie per potere con fondamento discorrere sopra cotal particolare; e così molte volte ho incontrato più difficoltà ne i duri capi delli uomini, che ne' precipitosi torrenti, e vaste paludi. E particolarmente ebbi occasione gli anni passati di andare a 44 vedere la Cava, ovvero emissario del Lago di Perugia, fatta già da Braccio Fortebraccio, molti anni sono, ma per essere poi con grandissimi danni dal tempo stata rovinata, e renduta inutile, fu risarcita, con opera veramente eroica, e meravigliosa da monsignor Maffeo Barberini, allora Prefetto delle strade, ed ora Sommo Pontefice Romano (Urbano VIII). Ed essendo io necessitato per poter camminare dentro la Cava, e per altro, a fare serrare le cateratte della detta cava all'imboccatura del lago, non sì tosto le ebbi serrate, che accorrendo una gran moltitudine di gente de' castelli e terre intorno alle riviere del lago, cominciarono a fare doglianze grandi, rappresentando, che tenendosi serrate quelle cateratte, non solo il lago non aveva il suo debito sfogo, ma allagava tutte le riviere del lago con grandissimi danni. E perché a prima apparenza il loro motivo aveva assai del ragionevole, io mi trovai a mal partito, non vedendo modo il persuadere a tanta moltitudine, che quel pregiudizio, che essi pretendevano, che io facessi loro con tenere chiuse le cataratte due giorni, era assolutamente insensibile, e che con tenerle aperte, il lago non si abbassava nel medesimo tempo né meno quanto era grosso un foglio di carta: però mi convenne valermi di quell'autorità, che io teneva, e così seguitai a fare il mio negozio, come conveniva, senza riguardo nessuno a quella plebe tumultuariamente ivi radunata. Ora che il mio lavoro si fa, non con zappe, e con le pale, ma con la penna, e col discorso, intendo dimostrare chiaramente a quelli, che sono capaci di ragione, e che hanno inteso bene il fondamento di questo mio trattato, che era vanissimo il timore, che quella gente aveva 45 concepito. E però dico, che stando l'emissario, o cava del lago di Perugia nel modo, che si trova di presente, e camminando l'acqua per essa con quella velocità, che cammina; per esaminare quanto può abbassarsi il lago nello spazio di due giorni, dobbiamo considerare, che proporzione ha la superficie di tutto il lago alla misura della sezione dell'emissario, e poi inferire che avrà la medesima proposizione la velocità dell'acqua per l'emissario all'abbassamento del lago; e per istabilire bene, e chiaramente questo discorso, intendo dimostrare la seguente proposizione"..... Il Castelli che aveva approfondito le sue competenze idrauliche e le aveva applicate alla soluzione dei problemi del Trasimeno, scrisse, il 18 giugno 1639 a Galileo: "A giorni passati ritrovandomi in Perugia, dove si celebrava il nostro Capitolo Generale, avendo inteso che il Lago Trasimeno, per la gran siccità di molti mesi, era abbassato assai, mi venne curiosità di andare a riconoscere occultamente questa novità, e per mia particolare soddisfazione, ed anco per poter riferire a' padroni il tutto con la certezza della visione del luogo. E così, giunto all'emissario del lago, ritrovai che il livello della superficie del lago era abbassato cinque palmi romani in circa dalla solita altezza, in modo che restava più basso della soglia dell'imboccatura dell'emissario, e però non usciva dal lago punto di acqua, con grandissimo incomodo di tutti i paesi e castelli circonvicini, per rispetto che l'acqua solita uscire dal lago fa macinare ventidue macine di mulini, le quali non macinando 46 necessitavano tutti gli abitatori di quei contorni a camminare lontani una giornata e più per macinare al Tevere. Ritornato che fui in Perugia, seguì una pioggia non molto grossa, ma continovata assai, ed uniforme, quale durò per ispazio di otto ore in circa: e mi venne in pensiero di voler esaminare, stando in Perugia, quanto con quella pioggia poteva essere cresciuto e rialzato il lago, supponendo (come aveva assai del probabile) che la pioggia fosse universale sopra il lago, ed uniforme a quella che cadeva in Perugia; e così preso un vaso di forma cilindrica, alto un palmo in circa, e largo mezzo palmo, ed avendogli infusa un poco d'acqua, tanto che coprisse il fondo del vaso, e poi l'esposi a l'aria aperta a ricevere l'acqua dalla pioggia che ci cascava dentro, e lo lasciai stare per ispazio d'un'ora, ed avendo osservato che nel detto tempo l'acqua si era alzata nel vaso considerai che, se io avessi esposti alla medesima pioggia altri simili ed eguali vasi, in ciascheduno di essi si sarebbe rialzata l'acqua secondo la medesima misura: e pertanto conclusi, che ancora in tutta la ampiezza del lago era necessario che l'acqua si fosse rialzata nello spazio d'un'ora la medesima misura. Qui però mi sovvennero due difficoltà, che potevano intorpidare ed alterare un tale effetto, o almeno renderlo inosservabile, le quali poi considerate bene, e risolute, mi lasciarono, come dirò più a basso, nella conclusione vera che il lago doveva essere cresciuto nello spazio di otto ore, che era durata la pioggia, otto volte tanto. E mentre io di nuovo, esponendo il vaso, stava replicando l'operazione, mi sopravvenne un Ingegnero, per trattare 47 meco di certo interesse, del nostro monastero di Perugia, e ragionando con esso li mostrai il vaso dalla finestra della mia camera, esposto in un cortile, e li comunicai la mia fantasia, narrandogli tutto quello che io aveva fatto. Allora m'avvidi che questo galantuomo formò concetto di me che io fossi di assai debole cervello: imperocchè sogghignando disse: "Padre mio, v'ingannate: io tengo che il lago per questa pioggia non sarà cresciuto, né meno quant'è grosso un giulio". Sentendolo io pronunziare questa sentenza con grande franchezza e risoluzione, gli feci istanza che mi assegnasse qualche ragione del suo detto, assicurandolo che io avrei mutato parere alla forza delle sue ragioni, ed egli mi rispose che aveva grandissima pratica del lago, e che ogni giorno ci si trovava sopra, e che era molto bene sicuro che non era cresciuto niente. E facendogli io pure istanza che mi assegnasse qualche ragione del suo parere, mi mise in considerazione la gran siccità passata, e che quella pioggia era stata come un niente per la grand'arsura. Alla qual cosa io risposi: "Signore, io pensava che la superficie del lago, sopra del quale era cascata la pioggia, fosse bagnata", e che però non vedeva come la siccità sua, ch'era nulla, potesse aver assorbito, per così dire, parte nessuna della pioggia. In ogni modo persistendo egli nella sua opinione, senza punto piegarsi per lo mio discorso, mi concedè alla fine (cred'io per farmi favore) che la mia ragione era bella, e buona, ma che in pratica non doveva uscire. Allora per chiarire il tutto feci chiamare uno, e di lungo lo mandai alla bocca dell'emissario del lago, per ordine che mi portasse 48 precisamente ragguaglio come si trovava l'acqua del lago, in rispetto alla soglia della imboccatura. Ora qui, signor Galileo, non vorrei che V.S. pensasse che io mi avessi accomodata la cosa fra le mani per stare sull'onor mio, ma mi creda (e ci sono testimoni viventi)che, ritornato a Perugia la sera, il mio mandato portò relazione che l'acqua del lago cominciava a scorrere per la cava, e che si trovava alta sopra la soglia, quasi un dito; in modo che, congiunta questa misura con quella che misurava prima la bassezza della superficie del lago sotto la soglia avanti la pioggia, si vedeva che l'alzamento del lago cagionato dalla pioggia era stato a capello quelle quattro dita che io aveva giudicato. Due giorni dopo, abbattutomi di nuovo con l'Ingegnero, gli raccontai tutto il fatto, e non seppe che replicarmi". "Le due difficoltà poi, che mi erano sovvenute potenti a conturbarmi la mia conclusione, erano le seguenti. Prima considerai, che poteva essere, che spirando il vento dalla parte dell'emissario alla volta del lago avrebbe caricata la mole, e la massa dell'acqua del lago verso le riviere opposte, sopra delle quali alzandosi l'acqua si sarebbe abassata all'imboccatura dell'emissario, e così sarebbe oscurata assai l'osservazione. Ma questa difficoltà restò totalmente sopita dalla grande tranquillità dell'aria, che si conservò in quel tempo, perché non spirava vento da parte nessuna, né mentre pioveva, né meno dopo la pioggia. La seconda difficultà, che si metteva in dubio l'alzamento era; che avendo io osservato costì in Firenze, ed altrove quei pozzi, che chiamano smaltitoi, nei 49 quali concorrendo le acque piovane dei cortili, e case, non li possono mai riempire, ma si smaltisce tutta quella copia d'acqua, che sopravviene per le medesime vene, che somministrano lì acqua al pozzo, in modo, che quelle vene, che in tempo asciutto mantengono il pozzo, sopravvenendo altra copia d'acqua nel pozzo, la ribevono, e l'ingoiano. Così ancora un simile effetto poteva seguire nel lago, nel quale ritrovandosi (come ha del verosimile) diverse vene, che mantengono il lago, queste vene avrebbero potuto ribevere la sopravvenente copia d'acqua per la pioggia, e in cotal guisa annichilire l'alzamento, ovvero scemarlo in modo, che si rendesse inosservabile. Ma simile difficoltà risolsi facilissimamente con le considerazioni del mio trattato della misura dell'acque correnti; imperocchè avendo io dimostrato, che l'abbassamento di un lago alla velocità del suo emissario ha reciprocamente la proporzione, che ha la misura della sezione dell'emissario del lago alla misura della superficie del lago, facendo il conto, e calcolo, ancora alla grossa, con supporre,che le vene sue fossero assai ample, e che la velocità dell'acqua per esse fosse notabile nell'inghiottire l'acqua del lago, in ogni modo ritrovai, che per ingoiare la sopravvenuta copia d'acqua per la pioggia, si sarebbero consumate molte settimane, e mesi: di modo che restai sicuro, che sarebbe seguito l'alzamento, come in effetto è seguito. E perché diversi di purgato giudizio mi hanno di più posto in dubbio questo alzamento, mettendo in considerazione, che essendo per la gran siccità, che aveva regnato, disseccato il terreno, poteva essere, che quella striscia di terra, 50 che circondava gli orli del lago, ritrovandosi secca, assorbendo gran copia d'acqua del crescente lago, non lo lasciasse crescere in altezza. Dico pertanto, che se noi considereremo bene questo dubbio, che viene proposto, nella medesima considerazione lo ritroveremo risoluto; imperocchè, concedasi, che quella striscia di spiaggia di terreno, che verrà occupata dalla crescenza del lago sia un braccio di larghezza intorno al lago, e che per essere secca s'inzuppi d'acqua, e però questa porzione d'acqua non cooperi all'altezza del lago; conviene altresì in modo, che noi consideriamo, che essendo il circuito dell'acqua del lago trenta miglia, come si tiene comunemente, cioè novantamila braccia fiorentine di circuito; e pertanto ammettendo per vero, che ciaschedun braccio di questa striscia beva due boccali d'acqua, e che di più per l'allagamento suo ne ricerchi tre altri boccali, avremo, che tutta la copia di questa porzione d'acqua, che non viene impiegata nell'alzamento del lago, sarà quattrocento cinquanta boccali d'acqua, e ponendo, che il lago sia sessanta miglia riquadrate, tremila braccia lunghe, troveremo, che per dispensare l'acqua occupata nella striscia intorno al lago, sopra la superficie totale del lago, dovrà essere distesa tanto sottile, che un boccale solo d'acqua venga sparso sopra a dieci mila braccia riquadrate di superficie: sottigliezza tale, che bisognerà, che sia molto minore di una foglia d'oro battuto, ed anco minore di quel velo d'acqua, che circonda le bollicine della stessa acqua: e tanto sarebbe quello, che si dovesse detrarre dall'alzamento del lago; ma aggiungasi di più, che nello spazio di un quarto d'ora del principio della 51 pioggia, tutta quella striscia si viene ad inzuppare della stessa pioggia, in modo che non abbiano bisogno per bagnarla, di impiegarci punto di quell'acqua, che casca nel lago. Oltre che noi non abbiamo posto in conto quella copia d'acqua, che scorre in tempo di piogge nel lago dalla pendenza de i poggi, e monti, che lo circondano, la quale sarà sufficientissima per supplire a tutto il nostro bisogno. Di modo che, né meno per questo si dovrà mettere in dubbio il nostro preteso alzamento. E questo è quanto mi è occorso intorno alla considerazione del lago Trasimeno. Dopo la quale, forse con qualche temerità inoltrandomi troppo, trapassai ad un'altra contemplazione, la quale voglio rappresentare a V.S. sicuro che ella la riceverà, come fatta da me con quelle cautele, che sono necessarie in simili materie, nelle quali non dobbiamo assicurarci di affermare mai cosa nessuna di nostro capo per certa, ma tutto dobbiamo rimettere alle sane, e sicure deliberazioni di Santa Madre Chiesa, come io rimetto questa mia, e tutte l'altre, prontissimo a mutarmi di sentenza, e conformarmi sempre con le deliberazioni de i superiori. Continuando dunque il mio di sopra spiegato pensiero, intorno all'alzamento dell'acqua nel vaso di sopra adoperato, mi venne in mente, che essendo stata la sopra mentovata pioggia assai debole, poteva molto bene intravvenire, che cadesse una pioggia cinquanta, e cento, e mille volte maggiore di questa, e molto maggiore ancora intensivamente (il che sarebbe seguito, ogni volta, che quelle gocciole cadenti fossero state quattro, o 52 cinque, o dieci volte più grosse di quelle della sopra nominata pioggia, mantenendo il medesimo numero) ed in tal caso è manifesto, che nello spazio di un'ora, si alzerebbe l'acqua nel vaso due, e tre braccia, e forse più; e conseguentemente quando seguisse una pioggia simile sopra un lago, ancora quel tal lago si alzerebbe secondo l'stessa misura. E parimente, quando una simile pioggia fosse universale intorno a tutto il globo terrestre, necessariamente farebbe intorno intorno al detto globo, nello spazio d'un'ora un alzamento di due, e di tre braccia. E perché abbiamo dalle sacre memorie, che al tempo del diluvio, piovve quaranta giorni e quaranta notti, cioè per ispazio di 960 ore, è chiaro, che quando detta pioggia fosse stata grossa dieci volte più della nostra di Perugia, l'alzamento delle acque sopra il globo terrestre sarebbe arrivato e passato un miglio; oltre che le preminenze de' poggi e de monti, che sono sopra la superficie terrestre, concorrerebbero ancora esse a far crescere l'alzamento. E pertanto conclusi, che l'alzamento delle acque del diluvio tiene ragionevole convenienza con i discorsi naturali, delli quali so benissimo, che le verità eterne delle divine carte non hanno bisogno; ma in ogni modo mi par degno di considerazione così chiaro riscontro, che ci da occasione di adorare, ed ammirare le grandezze di Dio nelle grand'opere sue, potendole ancora noi talvolta in qualche modo misurare con le scarse misure nostre. Moltissime notizie ancora si possono dedurre dalla medesima dottrina, le quali tralascio, perché ciascheduno da se stesso le potrà facilmente intendere, 53 fermata bene che avrà questa massima; che non è possibile pronunziare niente di certo intorno alla quantità dell'acqua corrente, con considerare solo la semplice misura volgare dell'acqua senza la velocità, siccome per lo contrario: chi tenesse conto solamente della velocità senza la misura commetterebbe errori grandissimi, imperocchè trattandosi della misura dell'acqua corrente è necessario, essendo l'acqua corpo, per formare concetto della sua quantità, considerare in essa tutte tre le dimensioni, cioè, larghezza, profondità, e lunghezza: le prime due dimensioni sono osservate da tutti nel modo comune, ed ordinario di misurare le acque correnti; ma viene tralasciata la terza dimensione della lunghezza, e forse tal mancamento è stato commesso, per essere riputata la lunghezza dell'acqua corrente in un certo modo indefinita, mentre non finisce mai di passare, e come infinità è stata giudicata incomprensibile, e tale che non se ne possa avere determinata notizia, e pertanto non è stato di essa tenuto conto alcuno: ma se noi più attentamente faremo riflessione alla considerazione nostra della velocità dell'acqua, ritroveremo che tenendosi conto di essa, si tiene conto ancora della lunghezza, conciossiacosachè mentre si dice la tale acqua di fonte corre con velocità di fare, mille, o due mila canne per ora, questo in sostanza non è altro che dire, la tale fontana scarica in un'ora un'acqua di mille, o due mila canne di lunghezza. Sicché sebbene la lunghezza totale dell'acqua corrente è incomprensibile, come infinita, si rende però intelliggibile a parte a parte nella sua velocità. E tanto basti per ora di avere avvertito intorno a questa materia, 54 con isperanza di spiegare in altra occasione altri particolari più reconditi nel medesimo proposito". È questa la lettera che documenta l'invenzione del pluviometro e la sua applicazione. È, si, un apparecchio semplicissimo, ma come si dice dell'uovo di Colombo, nessuno vi aveva mai pensato. Sono, dunque, le lettere scritte a Galileo e le risposte di questi all'allievo ad informarci su varie problematiche idrauliche. Sono di notevole interesse le lettere dallo scienziato Pisano al Castelli in data 8 e 19 agosto e 1 settembre 1639. ********** 8 agosto "Mentre stavo aspettando lettere dalla P.V. Reverendissima, m'è pervenuto il trattato dell'acque correnti da lei ristampato con l'aggiunta delle sue curiosissime e ingegnose lettere, da lei a me scritte in proposito del lago Trasimeno e del diluvio universale registrato nelle sagre carte. Per lo che la ringrazio della memoria che tiene di me, e del procurare che il mio nome non s'estingua, ma si vada continuando nelle memorie delle future genti". 19 agosto "Sento con diletto l'applicazione che la Paternità Vostra Reverendissima fa con l'intelletto a nuove speculazioni dipendenti da questo suo ultimo trattato in proposito del lago Trasimeno, e starò con desiderio aspettando di 55 parteciparne, conforme a che ella me ne dà speranza. Quanto alla moltitudine delle gocciole cadenti sopra una superficie data, ed al modo di trovarla, le dirò solo la conclusione e l'operazione, lasciandone la dimostrazione al discorso di lei". 1 settembre "Con la gratissima sua ho ricevuto la scrittura in proposito del rimediare all'incomodo che talora si patisce nel macinare per mancamento d'acqua nel lago Trasimeno, e credami la P.V. Reverendissima che vi ho ricevuto grandissimo gusto vedendo con quanta accortezza e chiarezza ella espone un si rilevato benefizio che sarà, per mio credere, impossibile che non sia ricevuto e messo in opera dai Padroni: e come accade nei ritrovati bellissimi ed utilissimi, che il più delle volte sono facilissimi e brevi, così questo si riduce all'avvertire qual semplice canovaio che, quando la cannella di mezzo della botte non getta più, egli ne rimetta un'altra più abbasso, attesochè la botte non è secca, ma vi resta ancor del vino da trarsi, quando vi sia l'esito. Resto con desiderio di sentir gli altri suoi trovati, che in conseguenza di questi primi pensieri ne vengono". Sappiamo che in relazione ai ragionamenti fatti sul Trasimeno, Castelli aveva sottoposto a Galilei le sue opinioni sul diluvio universale. Non conosciamo le posizioni di Galilei a tal proposito, ma sappiamo che il Maestro, in data 21 dicembre 1613, aveva scritto al discepolo come usare la Sacra Scrittura nelle 56 scienze naturali, soffermandosi sul passaggio in cui Giosuè aveva gridato "sole fermati! ". Questa lettera, insieme a quella inviata a Cristina di Lorena nel 1615, provocò a Galilei la censura da parte del Sant' Uffizio. Certamente, senza l'opera di don Benedetto Castelli, molte cose, nel Trasimeno, non sarebbero andate come sono andate. Occupandosi il monaco di idraulica, di matematica, di argomenti scientifici conobbe gratificazione, ma anche opposizioni. Massimo Velatta, docente della Facoltà di Agraria che in occasione del "convegno storico per il Millennio dell'Abbazia di San Pietro in Perugia" svoltosi nell'aula magna della stessa Facoltà di Agraria il 20 settembre 1966, ha tenuto una relazione su "L'opera di un benedettino a salvaguardia del Trasimeno", considera il Castelli un "ingegnere idraulico ed afferma che, come per ogni ingegnere, le benemerenze idrauliche sono di "due ordini, che si fondono: nell'uno si ha la fisionomia istituzionale, nell'altra quella applicativa". Ed è all'aspetto applicativo che è legata l'opera di sistemazione del lago Trasimeno. Nell'opera "Della misura delle acque correnti", il Castelli mette in chiaro quei principi non considerati dai contemporanei. Importante è la possibilità di misurare, con il pluviometro, la pioggia caduta, di misurare la profondità, la lunghezza "dei corsi d'acqua fluente, la sua velocità per poterne dedurre la portata; la esistenza del fenomeno delle sesse dei laghi, l'importanza 57 della scabrosità delle pareti del fenomeno del moto dell'acqua nei condotti"34 Castelli, ad avviso del Velatta, ha commesso qualche errore nel tentativo di risolvere alcuni problemi della laguna veneta, ma, come afferma il Favaro, fu difeso, anche successivamente alla sua morte, con argomentazioni che lui stesso avrebbe rifiutato. Tra i contemporanei che si opposero al Castelli è sufficiente ricordare don Pietro Petronio da Foligno: "la sentenza ignoratu motu ignoratur natura, non viene ben applicata al caso del quale si tratta, perché dal moto dell'acqua non conosceremo la sua natura et se sia acqua di bagni, acqua dolce od acqua salsa"35. 34 35 M.Velatta: op.cit. p.221 M.Velatta: op. cit. p.222 58 ********** Ritengo giusto, prima di passare a parlare di d. Andrea Bina, che tanto impegno ha profuso nello studio scientifico ed ha legato, forse in modo indissolubile, il suo nome a quello del Monastero perugino, presentare, pur succintamente, due figure di uomini, di Chiesa e di Scienza, che hanno avuto, nell'ambito del cammino della ricerca, una parte di non secondaria importanza. Ho cercato di dare un breve sguardo all'attività dei figli di San Benedetto nelle Scienze matematiche, fisiche e naturali. Non penso sia possibile parlare dei Benedettini di San Pietro in Perugia, senza pensare agli altri monasteri, perché i Benedettini non appartengono ad una Abbazia, ma all'intera Famiglia dell'Ordine. I Benedettini furono sempre superiori, o almeno non inferiori, ai secoli in cui vissero anche per le Scienze matematiche, fisiche e naturali36. In mezzo alle vicende dei tempi, fra le immense difficoltà che anche il loro ordine ha incontrato a partire dalla fondazione, essi seppero partecipare al progresso del sapere umano, con dedizione ed entusiasmo, in perfetta armonia ed in corrispondenza al loro motto: ora et labora. 36 A.Baltadori: cit., p.202 59 ********** Fu semplicemente un monaco, ma dedicò la sua vita allo studio: don Benedetto Bacchini, normalmente ricordato come maestro di Ludovico Antonio Muratori; fu uomo di grande ingegno, versato sia alle scienze umane che matematiche. Come osserva il prof. A. Baltadori37, fu dotto non solo in teologia, Sacra Scrittura e filologia, ma anche in fisica, meccanica e medicina. Tradusse alcuni SAGGI di ANATOMIA e si cimentò in studi, di particolare interesse, relativi alle oscillazioni del barometro durante i temporali38. 37 A. Baltadori, Un secolo e mezzo di osservazioni meteorologiche a Perugia, in "Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria" vol. XLIII, 1946 38 A.Baltadori: cit., 1967, p.199 60 ********** Nel 1583, presso l'Università di Padova, si iniziò, come libero insegnamento, quello della meteorologia che entrò nel novero delle cattedre ordinarie nel 1678 con l'aggiunta della lettura dell'astronomia. Nel 1744 si stabilì che gli allievi i quali si fossero dedicati allo studio dell'Astronomia e Meteore potevano conseguire la laurea e gli altri gradi accademici nella stessa guisa come quelli che frequentavano le lezioni dei filosofi ordinari. Fu nominato titolare della cattedra di Astronomia e Meteore un benedettino, il professor Alberto Colombo. Nel documento di nomina dello stesso, si dice "che per la dottrina e per il talento suo distinto ha stabilito al proprio nome un ottimo e degno concetto anche appresso agli esterni letterati e, con l'erudite stampe date alla luce, fatta spiccare la piena cognizione che tiene nelle materie filosofiche, matematiche ed altre scienze"39. 39 A.Baltadori: cit., 1967, p.199-200; G.Crestani: L'insegnamento di Meteorologia all'Università di Padova di Giovanni Alberto Colombo in La Meteorologia Pratica anno VII, n.6, Novembre-Dicembre 1926 p.224 61 PROBLEMATICHE CULTURALI ALL'INTERNO DELL'ORDINE BENEDETTINO L'Abate generale Leonardo Mezzavalla aveva scritto, nel 1471, un trattatello sugli studi monastici dove affermava che i monaci dovessero studiare niente altro se non le sacre scienze40. Solo nella prima metà del Cinquecento venne introdotto lo studio delle lettere: grammatica, greco, ebraico. Alcuni monasteri cominciarono a specializzarsi in studi specifici. All'inizio del Seicento, tra i vari monasteri che videro il sorgere di un lettorato di filosofia e l'ampliamento di alcuni insegnamenti filosofici, come la logica e la fisica naturale, c'è quello di Perugia. In modo indiretto venne introdotto anche lo studio di materie che avranno, successivamente, un'affermazione autonoma: la matematica, la fisica, la cosmologia, la meteorologia......41. Le costituzioni cassinesi del 1520 e del 1580 stabilivano le discipline atte a costituire il contenuto formativo facendo leva, soprattutto, sulle "umane littere" con qualche concessione, indiretta, alla filosofia. Queste norme organizzative permangono ancora alla fine del XVII secolo: in quel periodo, nell'abbazia di San Paolo, sono organizzati corsi di teologia e sacri canoni, ma, molto probabilmente, attraverso l'insegnamento della filosofia si trattavano argomenti, non solo di discussione filosofica, ma anche relativa all'universo fisico. Alcuni padri, formatisi a Roma nel collegio di 40 41 M.Mazzucotelli: op.cit. p.20 M.Mazzucotelli: op.cit. p.20 62 Sant'Anselmo dove Andrea Bina ha insegnato teologia, o in San Paolo, sono cultori sia di filosofia e teologia che di materie scientifiche42. E' giusto, a questo punto, non ignorare la considerazione di A. Baltadori43 relativa alla cultura monastica. Lo studioso chiarisce che qualsiasi riferimento al discorso umanistico o scientifico dei Benedettini, non possa essere circoscritto ad una specifica località o ad una singola abbazia poiché i monaci formano un'unica famiglia i cui membri possono spostarsi da uno ad un altro cenobio, conformemente alla volontà dei superiori, quando si reputa opportuna la presenza di un certo monaco, in un certo luogo, in un determinato momento, per motivi di carattere culturale. 42 43 M.Mazzucotelli: op.cit. p.21 A.Baltadori: cit., 1967, p.193 63 ANDREA BINA - L'INVENTORE DEL SISMOGRAFO A PENDOLO Andrea Bina, nato a Milano il primo gennaio 1724, insegnante di filosofia nei monasteri benedettini di Padova, Perugia e Milano, è un significativo esempio di quest'anima benedettina che porta il singolo a conoscere spostamenti per motivi di studio e ad approfondire gli argomenti del suo interesse scientifico. Ancora giovane lettore di filosofia, nel monastero di San Pietro a Perugia, nel 1751 pubblicò, proprio a Perugia, il RAGIONAMENTO SOPRA LA CAGIONE DEI TERREMOTI ED IN PARTICOLARE QUELLO DELLA TERRA DI GUALDO DI NOCERA DELL' UMBRIA SEGUITO L'A. 1751 (...)44. Nel suo RAGIONAMENTO, il Bina, forte delle sue competenze di matematica e di fisica sperimentale descriveva, con minuzia di particolari, quel terremoto del 1751 che sembra essere la copia, per le diverse analogie, di quello che, nel settembre del 1997, ha colpito le stesse zone. Diceva il Bina "terremoto che in quest'anno 1751 ha presso che desolato la misera terra di Gualdo e che con replicati scuotimenti ha tribulato non solo l'augusta città di Perugia ma l'Umbria tutta, la Marca e li contorni di questa provincia...." l'opera è dedicata a Carlo Gonzaga dei duchi di Mantova a quel tempo Governatore di Perugia45. Bina, parlando dei terremoti, muove dalla loro genesi, studia questi, quali si sono verificati nelle diverse epoche della storia, in Italia, in Europa, nei diversi continenti, considerando analogie e differenze e valutando, per avvalorarle o confutarle, le differenti opinioni relative al Motus Terrae, a partire dall'epoca 44 M.Mazzucotelli: op.cit. p.269 M.Mazzucotelli: op.cit. p.269 45 64 classica, con le idee dei filosofi e dei naturalisti, per giungere alle opinioni dei matematici e dei fisici a lui, più o meno, contemporanei. Naturalmente, il terremoto non può essere considerato la punizione di Dio per le colpe commesse e, conseguentemente, la possibilità di purificazione per l'uomo, ma, saldo nelle sue razionali argomentazioni, il Bina, fa tesoro delle sperimentazioni effettuate dai fisici relativamente ai fenomeni elettrici per giungere alla ipotesi che i terremoti, ed i fenomeni ad essi connessi, sono da attribuire all'ELETTRICISMO accumulato nelle viscere della terra46. Il Bina valuta attentamente quelle "teorie elettriche" che cercavano di spiegare, oltre ai terremoti, i fenomeni vulcanici e la natura dei fulmini. La parte più interessante del RAGIONAMENTO del Bina è, senza dubbio, quella, presente verso la fine, dove, sinteticamente, descrive lo strumento, che lui stesso ha ideato, e che gli permette di conoscere il tipo e l'intensità delle scosse del terremoto, vale a dire il SISMOGRAFO. 46 M.Mazzucotelli: op.cit. p.270 65 Primo sismografo a pendolo del mondo ideato e costruito da Padre Andrea Bina nel 1751 "Sospeso a una trave della stanza di piano..... superiore un mobilissimo pendolo nella cui inferior estremità sia inserito un globo di piombo di notabile peso e in questo sia impiantato uno stilo di circa un pollice e mezzo di lunghezza colla punta verso il pavimento; si riempia di finissima arena o di qualche sostanza molle, ma di pochissima tenacità, una cassetta di legno all'altezza di due o tre pollici e questa si posi sull'acqua contenuta in un vaso di molt'ampiezza, cosicché galleggi, e la punta dello stilo sia un tantino intinta 66 nell'arena o materia molle. Dalli solchi ch'esso vi scaverà si potrà conoscere la qualità e l'impeto delle scosse....."47. Si tratta di un semplice pendolo che segna, tuttavia, una tappa fondamentale nella storia della sismologia. Come nel I secolo A.C. il poeta latino Lucrezio, basandosi unicamente sulle sue geniali intuizioni, aveva formulato suggestiva ipotesi sulla natura dei terremoti, dei fulmini e sul vulcanismo scongiurando l'intervento divino nei fenomeni naturali, altrettanto, nel XVIII secolo, un monaco benedettino che si avvaleva delle sue non comuni doti razionali, attento osservatore della natura, ha dato luogo ad una ingegnosa invenzione convinto che "li tremiti della terra.... potrebbero riporsi nella classe de' fenomeni naturali di cui è lecito speculare e rintracciare la causa fisica"48. Andrea Bina è altresì autore di un'opera pubblicata "ELECTRICORUM a Padova nel 1751, EFFECTUUM EXPLICATIO QUAM EX PRINCIPIIS NEWTONIANIS DEDUXIT, NOVISQUE EXPERIMENTIS ORNAVIT". Ancora a Perugia, pubblicò, nel 1753, una "lettera intorno all'elettrizzazione dell'aria in occasione di tempo cattivo....." e tradusse in latino la FISICA, opera del tedesco Christian Wolff che pubblicò in tre volumi: PHYSICA EXPERIMENTALIS CHRISTIANI VOLFI..... NUNC PRIMUM EX GERMANICO IDIOMATE IN LATINUM TRASLATA (Venezia 1753-1758). Fu docente di filosofia in Padova, Perugia e Milano, si occupò di scienze matematiche, fisiche e di idraulica; pubblicò a Milano, nel 1769, un opuscolo di ingegneria idraulica: RAGIONAMENTO SOPRA IL QUESITO QUAL SIA IL METODO 47 48 M.Mazzucotelli: op.cit. p.271 M.Mazzucotelli: op.cit. p.271 67 PIU' SICURO, PIU' FACILE E MENO DISPENDIOSO TANTO NELL'ESECUZIONE CHE NELLA MANUTENZIONE, PER IMPEDIRE E RIPARARE LA CORROSIONE DELLE RIPE DE' FIUMI ARGINATI E SOGGETTI AD ESCRESCENZE PORTATE DA DODICI A DICIOTTO PIEDI SOPRA L'ORDINARIA ALTEZZA, E SUPERIORI ALLA SUPERFICIE DELLE CAMPAGNE LATERALI, con il quale aveva vinto, nel 1768 il concorso indetto dalla Reale Accademia di scienze e belle lettere di Mantova49. Il Bina sottolinea l'importanza di prevenire la corrosione delle rive dei fiumi piuttosto che passare ai ripari una volta che si sia prodotti dei danni. Non si limita, però, a tale constatazione, ma parla dei mezzi con cui attuare la prevenzione nonché i materiali da usare nelle opere di protezione, come impiegarli ed espone il metodo più facile, economico e, soprattutto, sicuro, per la realizzazione delle stesse. Il tutto è esposto secondo un preciso ragionamento e con l'ausilio di rigorose dimostrazioni che tengono presenti concetti matematici e leggi di fisica. Le sue geniali intuizioni, il suo rigore argomentativo le sue specifiche competenze di carattere scientifico gli avevano valso l'incarico di docente di matematica e fisica sperimentale all'Università di Parma, ruolo che rivestiva negli anni in cui portava avanti le sue argomentazioni relative alla corrosione delle rive dei fiumi. Andrea Bina morì a Milano, nel monastero di San Simpliciano, nella primavera del 179250. Ad Andrea Bina, l'inventore del sismografo, invenzione effettuata nel 1751 a Perugia, è dedicato l'Osservatorio Sismico di Perugia. 49 50 M.Mazzucotelli: op.cit. p.93 M.Mazzucotelli: op.cit. p. 272 68 IL RAGIONAMENTO di Padre Bina Don Andrea Bina pubblicò, come detto, nel 1751, il RAGIONAMENTO SOPRA LA CAGIONE DEI TERREMOTI ED IN PARTICOLARE DI QUELLO DELLA TERRA DI GUALDO DI NOCERA NELL'UMBRIA SEGUITO L'A. 1751 indirizzandolo a sua eccellenza D. CARLO GONZAGA dei duchi di Mantova. Fa precedere il ragionamento da una lettera dedicatoria nella quale tesse l'encomio del Gonzaga dicendosi disponibile a celebrarne le doti, ma di trovare difficile questo compito data la moltitudine delle stesse. All'inizio del RAGIONAMENTO, il Bina, pur nella convinzione che i terremoti siano dovuti a motivi fisici e dunque naturali, non disdegna che gli stessi possano essere considerati FLAGELLI con cui Dio manifesta il suo sdegno e risveglia negli animi umani un salutare terrore per indurre l'uomo a detestare i propri misfatti. La Divina sapienza si propone molti fini, oltre a quello morale, cosicché i danni subiti sono compensati da infinita utilità. Bina prende in considerazione, per chiarire i concetti relativi ai terremoti, anche altri fenomeni, come il 69 fulmine che, a suo avviso, ha effetti positivi in quanto verificandosi durante i temporali, ad esempio in estate, mitiga la temperatura che, altrimenti, sarebbe funesta alla salute del corpo per l'eccessiva traspirazione che il caldo provoca, nonché per la dilatazione e l'allentamento a cui l'aria si ridurrebbe. Durante e dopo i temporali, l'aria si rinfresca non solo per le piogge copiose, ma per le esalazioni sulfuree da cui viene ripulita nella formazione dei fulmini. Bina ritiene che sia noto a tutti che il temporale si forma quando si urtano velocemente, e di conseguenza si frammischiano, si confondono i vapori ondeggianti nell'atmosfera che "come d'indole diverse, ed atta a concepire, nello sframmischiarsi, colore, straordinariamente riscaldano l'aria stessa". Perciò questi vapori si trasformano in fiamma e producono il fulmine che, con strepito, necessariamente, nel frammischiarsi, si raccoglie in uno spazio ristretto. Sottolinea, dunque, un altro vantaggio che deriva dal fulmine: esso purifica l'aria dalle "pingui, bituminose, salse, ed altre perniciose esalazioni" perché il fulmine è essenzialmente composto di zolfo ed è un misto di olio e sale acido. Bina osserva che continuamente evaporano, dalla terra, sostanze differenti, molte delle quali sono saline ed oleose come, ad esempio, quelle esalate dai cadaveri o dalle piante imputridite; nell'esplosione dei fulmini, molte di tali sostanze si disperdono nella "regione dell'aria", dove si fermano, mentre attraversano l'atmosfera e giungono sulla terra, unendosi alle particelle acquose che compongono la pioggia. Il terreno che riceve tutto ciò è ristorato, 70 soprattutto dalle sostanze oleose, grasse che ne incrementano la fecondità. Bina, dunque, è convinto che l'infinita sapienza di Dio determini tutto in modo tale che l'uomo possa trovare un risvolto positivo anche in ciò che, apparentemente, è negativo: è innegabile, infatti, che il fulmine brucia, spesso, e riduce in cenere tutto ciò che incontra. Di conseguenza, se si meditasse sulle ragioni dei terremoti non si potrebbe far a meno di constatare che tutto ciò che in essi è "di nocivo" non solo è compensato, ma superato dall'utile. Vuole confutare l'opinione di coloro che tendono a vedere il prevalere del male sul bene. Ad alcuni potrà sembrare opportuno considerare i terremoti alla maniera degli Assiri, ovvero un castigo di Dio, come riferisce Plinio, ma se così fosse si andrebbe a considerare Dio unicamente nella sua infinita potenza calpestando, del tutto, l'idea di Dio come immensa Bontà e Sapere infinito. Bina afferma che Dio non interrompe mai il corso della natura e per punire gli uomini non si serve solo delle "grandini, dei fulmini, dei terremoti". Anche se, i tremiti della terra non fossero altro che segni e strumenti della Divina vendetta, potrebbero, comunque, essere catalogati tra i fenomeni Naturali sui quali è lecito discutere e ritracciare le cause fisiche: ciò sarà l'obiettivo del discorso in oggetto. Afferma, inoltre, di non pretendere di aver scoperto la verità, soprattutto in considerazione del fatto che per molti fenomeni non si possono formulare che semplici congetture, pure ipotesi, essendo questi impenetrabili misteri attorno ai quali c'è il buio. 71 Bisogna, comunque, dire che esistono, per i terremoti, ingegnose spiegazioni anche se difettose. Padre Bina procede nella sua argomentazione (parte I) con precisi riferimenti storici. Il primo ci riporta al 1380 quando un francescano Danese, Bertoldo Schvvartz, pubblicò, in Europa l'invenzione della polvere d'Archibugio; tutti credettero che la natura avesse preparato una mescolanza simile della quale si sarebbe servita per dar luogo, nell'atmosfera, ai fulmini, alle folgori, alle meteore, per mantenere, nelle viscere della terra, i fuochi sotterranei e per somministrare le fiamme ai vulcani. C'è forte analogia, infatti, tra gli effetti della polvere, che scoppia in un tubo di metallo, dove era fortemente compressa, e quelli di un fulmine che si vede vibrare dalle nubi con forte rapidità e lo splendore rapido, fugace che abbaglia l'osservatore senza che questi avverta alcun rumore, e molto simile, nel suo comportamento, alla polvere da sparo. Allo stesso modo può dirsi del tuono che, con il suo rimbombo, atterrisce e ricorda il rimbombo della polvere racchiusa in un cannone. "Il rinculcare che fanno le armi da fuoco, durante l'esplosione ed il crepare quando sono caricate più del dovere, sono stati motivi bastevoli per farci accorgere che nello sparo la fiamma agisce con violenza non meno contro la pelle che contro il fondo e contro i lati del metallo. Anzi, il principio Newtoniano dell'azione uguale alla reazione ci persuade essere uguale la quantità del colpo che imprime la vampa alla palla, che dirompe, e sconquassa 72 gli ostacoli più sodi, ed al cannone, che dà indietro a pochi passi: dal che si deduce che se l'ostacolo, da cui rimane avvolta la fiamma della polvere accesa, fosse d'ogni intorno uniforme, e di ugual resistenza, e che è quanto a dire, se il Mortajo fosse nella bocca ermeticamente chiusa; una carica esorbitante di polvere lo ridurrebbe tutto in minutissimi pezzi e questi ne verrebbero qua, e là scagliati, quando che l'impeto della fiamma molto superasse la coesione con cui stanno unite le parti che compongono il metallo". Molto probabilmente è a questa considerazione che si deve l'invenzione delle mine con le quali si scuote la terra, si aprono brecce, si sollevano gli edifici. Cosa sono le mine se non canali scavati nel corpo della terra dove viene posta la polvere. Lo scavo nel terreno deve essere fatto in modo tale che la parte che dovrà sollevarsi dovrà essere la più leggera. Dal momento che lo sforzo della polvere rispetto alla resistenza da superare è grande, il terreno che sta sopra le mura si spacca e si proietta lontano a seguito dell'esplosione. Quando, invece, la mina è poco carica produce solo uno scuotimento del terreno che sta sopra di essa in modo del tutto simile a quello che, a volte, si verifica con il terremoto. Sembra, dunque, che con la realizzazione delle Bombe e dei fucili ci sia l'imitazione della Natura nel dar luogo ai fulmini, altrettanto, nei Terremoti la natura sembra avvalersi di un comportamento simile a quello della mina. Per cui, per spiegare i movimenti della terra, finiamo per immaginare grotte sotterranee, vastissime cavità riempite di un miscuglio di zolfo, di salpietra simile alla 73 polvere usata per i cannoni. Si può costatare, nei terremoti più devastanti, che fiumi e fiamme escono dalla terra e che i luoghi, maggiormente soggetti ai terremoti sono quelli ricchi di zolfo, di bitume, o che sono in zone vulcaniche. Cita alcuni storici, come Tacito, Seneca, Varenio e Sturnio che adducono molti esempi a tal proposito. Ricorda il terremoto verificato nell'anno 7 allorché tremò completamente l'Antiochia, la terra si spaccò in vari luoghi ed eruttò fiamme e fumo. Cita Plinio e Varenio a proposito di un terremoto verificatosi nella zona di Modena, quando alla presenza di numerosi cavalieri Romani e tanti viandanti, la terra crollò, si videro cozzare insieme ed in mezzo ad esse si sollevò, prima, un denso fumo e, poi, una viva fiamma. Nel 1537 la Sicilia fu tormentata, per ben undici giorni da un terribile terremoto che squarciò in diversi luoghi la terra e sollevò fiamme, qualcosa di simile accadde nel 1682 in Lorena e nel 1688 a Smirne. Nelle Isole Canarie, nel corso di un fortissimo terremoto, uscirono, ai piedi di una montagna, fiumi di fuoco e di materiale incandescente. In Perù, nel 1604, un terremoto terribile fece urtare insieme monti altissimi, distrusse boschi e città e uscirono, insieme, dal Monte Orate, fiamme e ceneri infuocate: il tutto in poco più di cinque minuti. Sempre in quella zona, nel 1742 si spaccò la cima di un monte della cordigliera che eruttò fiamme altissime alla presenza di osservatori mandati dal Re di Francia per prendere campioni di terra Nel capitolo III del suo ragionamento, Andrea Bina adduce l'esempio di alcuni vulcani, come il Vesuvio e l'Etna, le cui eruzioni sono attestate dagli antichi 74 storici, ma anche di fortissimi terremoti che nel XVIII secolo hanno devastato la Cina ed Il Giappone. Per quanto riguarda la Cina, vessata dai movimenti tellurici, riferisce una notizia, a dir poco, curiosa: molti abitanti, approfittando dei "pozzi di fuoco" non hanno bisogno di legna, e cuociono le loro vivande sfruttando gli stessi. Elenca i luoghi teatro dei terremoti devastanti: Cina, provincia Xensi (1718) una città ed una borgata inghiottite. Giappone, una città inabissata (1729), Pechino, più di 110000 morti (1730). Il Giappone e le isole adiacenti hanno molti vulcani, come il Perù, spesso teatro di terribili sciagure. Anche le Filippine, le More, le Molucche, a causa dei numerosi vulcani presenti nel loro territorio, sono soggette a continui tremori. Per quanto riguarda l'Italia, individua zone sismiche nel napoletano e nella Sicilia proprio per la presenza di vulcani attivi. Esistono, inoltre, altre zone d'Italia, come il Senese, il Ferrarese e la Romagna, che possono conoscere terremoti a causa della presenza, in esse, di zolfatare, fontane d'acqua bollente, di acque sulfuree o ricche di nitro. Nazioni come la Francia, la Germania, la Polonia e la Danimarca, ma anche l'Egitto, che hanno il sottosuolo privo dei detti minerali sono poco soggette ai movimenti tellurici, ma se questi vi si verificassero, sarebbero di poca entità. Nel capitolo IV il Bina medita sulle riflessioni di certi filosofi che vedono un'analogia fra gli effetti devastanti dei terremoti e quelli delle mine. 75 Non si può negare la causa comune, infatti molti terremoti hanno origine da una materia, infiammabile, sita all'interno della terra; il Bina, comunque, afferma di non considerare questa l'unica causa; infatti in certi luoghi dove si ritiene non vi sia presenza di zolfo o di vulcani si verificano crolli a causa di un incendio sotterraneo: anche se non si vedono, sono presenti, in quei luoghi, spelonche vaste e profonde, piene di zolfo e nitro che, accendendosi, fanno si che la terra tremi; non è comunque detto che questa sia la causa più conforme alla natura. Nel V capitolo accetta l'idea che anche luoghi, privi di zolfatare o vulcani possano tremare a causa dell'impulso che la natura infiammata imprime al terreno vicino in modo tale che il movimento di un certo terreno si comunichi a quello limitrofo e così di conseguenza. Il tremore si diffonde per una estensione tanto più grande "quanto più intensa è la forza elastica della fiamma e quanto più di peso è capace di sollevare". Questo tipo di terremoto, di consenso, è facile da riconoscere: quando il vulcano si scatena imperversando sui campi circostanti e si avverte, contemporaneamente, i paesi lontani e le "agitazioni" sono più miti man mano che ci si allontana dalla "sorgente" del terremoto. Ammette, il Bina, che secondo quanto detto, sia possibile avvertire il terremoto anche ad una certa distanza, ma non accoglie l'idea che certe estese devastazioni siano l'effetto dell'incendiarsi di una sostanza. Fa seguire un elenco di luoghi, colpiti da terremoti che, a suo avviso non rientrano in questa categoria: Perù, esteso per circa 500 miglia, vicinanze di 76 Lima, 1701 terremoto di Napoli, avvertito anche in Calabria ed a Malta, 1688 terremoto che distrusse l'Aquila e danneggiò considerevolmente Roma, 1703 terremoto di Napoli avvertito in più di 20 città dell'Italia meridionale ed anche in Roma nel 1732. È difficile pensare che tali terremoti siano scatenati da "qualche sotterranea mina". Se così fosse, la materia incandescente, che si trasforma in fiamma, dovrebbe trovarsi a grande profondità e sollevare, di conseguenza, una quantità incredibile di terreno. Le caverne che racchiudono questa sostanza, dovrebbero essere di dimensioni smisurate per contenerne una quantità tale che avesse la possibilità di dilatarsi ed esercitare una funzione di "molla". Non può esserci dubbio che queste "mine" debbono essere molto profonde perché i terremoti muovono le acque del mare e creano voragini nel fondo marino. Ciò può essere accaduto a Napoli. Gli abitanti di Gallipoli videro gonfiarsi il mare, senza il benché minimo movimento dell'aria, ed i flutti giganteschi, elevarsi verso il cielo: un bastimento inglese, all'ancora, affondò nel porto. A questo punto, il Bina si avvale di informazioni forniti da grandi del passato, filosofi, storici, naturalisti. Considera l'inabissarsi di alcune isole, in particolare quella di S. Vincenzo, secondo Platone la più vasta dell'Asia, dovuta all'aprirsi di voragini nel fondo del mare. Non manca di citare Plinio per attribuire alla stessa causa, la trasformazione di penisole in isole: Cipro, Negroponte, della Sicilia, nonché di altre che si ritenevano unite alla terraferma. Si basa sulle 77 testimonianze di Virgilio, Lucano e Claudiano per attestare il distacco della Sicilia dal territorio italico continentale. Riporta la notizia, storica, del terremoto verificatosi sotto il consolato di M. Antonio e Dolabella e sotto l'impero di Teodoro: si aprirono voragini così profonde da ingoiare completamente le acque del mare cosicché i pesci rimasero sulla spiaggia asciutta e le imbarcazioni si inabissarono fin nel fondo del mare. Se il mare si innalza, significa che la "causa" del terremoto è in profondità. In vari casi di terremoto il mare si è talmente gonfiato da ricoprire città ed isole: così scomparve, nel 1727, la città di Calào, a due leghe da Lima nonché varie isole, in epoche passate, poste in mare aperto, della quale fanno menzione autori latini come Diodoro, Ammiano e Marcellino (Rodi... Delo... certe isole delle Azzorre). Se le acque ed il fondo del mare sono sollevate da una "mina" sotterranea, seguendo la "regola" dei minatori, confermata dal Signor Chevalier, dall'ampiezza del terreno, si può dedurre la profondità. Riporta analiticamente il sistema di misurazione per concludere che se un terremoto si estende, dal suo centro, per una distanza di 6000 significa che "l'infiammazione", è a 6000 miglia di profondità. Dopo aver effettuato vari calcoli matematici, il Bina riporta l'esempio del terremoto di Gualdo, verificatosi da poco tempo, che ha conosciuto un'estensione di più di 60 miglia: la profondità sarebbe stata di 60 miglia. Le scosse di tale terremoto furono avvertite a Roma, nella zona di Firenze, ma anche ad Ancona e Pesaro. 78 Sarebbe assurdo ammettere che questo terremoto sia dovuto alla presenza di zolfo. Tanto nel terremoto di Gualdo che in altri sarebbe opportuno, dice il Bina, supporre globi concentrici alla terra, composti di materia infiammabile e di diametri uguali a lunghezze di molte miglia "e che in questo caso il terremoto dovrebbe sempre essere universale: mentre che preso che avesse fuoco un ammasso si immenso di sostanza accendibile, la forza espansiva della vampa non avrebbe ragione di agire in uno piuttosto che in tutti gli altri coni, in cui si concepisce diviso l'anello solido che la circonda". Nel VI capitolo continua nel ragionamento affermando che se il fuoco di una "mina" sotterranea non solo non è sufficiente, ma priva di fondamento in quei terremoti che si verificano in diversi paesi ed a notevole distanza, anche se, per quanto riguarda il tempo, sembrano avere una certa relazione. Se trema la terra di Napoli e, contemporaneamente, si avvertono scuotimenti in Spagna, non c'è motivo dice il Bina, di trovare una comunicazione fra i due effetti, ma la causa può essere nelle viscere della terra anche se i luoghi sono a notevole distanza. Si ha la tendenza a spiegare questo fenomeno con la presenza di vene sotterranee che serpeggiano qua e là. I terreni che li sovrastano, anche se molto distanti fra loro, sono completamente scossi. Nel VII capitolo riprende il discorso relativo alle tracce di zolfo che, perché prendano fuoco, è necessario che non siano interrotte da fiumi sotterranei, dai mari, né attraversate da corpi solidi. Dal momento che il fuoco procede 79 lentamente nello zolfo, sarebbe necessario il nitro, e che nessuna sostanza presente nella terra vi si introducesse. Dire ciò è come pretendere che la natura si attenga all'arte e mettere in atto i disegni degli uomini. Di conseguenza bisogna dare uno sguardo anche all'aria, dove sembra che la polvere si accenda in un attimo si vedrà che esiste un tempo considerevole nel divampare di conseguenza, i movimenti del Vesuvio e dell' Etna e di altri vulcani ancora non possono essere causati dalle vene di materia accendibile che, trasportano la fiamma, li infuochino contemporaneamente. Anche se la materia infiammabile, presente nelle vene, si incendiasse, occorrerebbe qualche giorno perché passasse dall'Etna al Vesuvio o ad altri vulcani. Nel capitolo VIII Bina afferma che la presenza di vene di zolfo nei vulcani si potrebbe dimostrare con le osservazioni del Barone Tschirnhaufeu. Costui, viaggiando in tutta l'Europa, salì sui vulcani e ne esaminò non soltanto l'esterno, ma anche le bocche, le cavità interne. Vide uscire un vapore, denso, che emanava lo sgradevole odore dello zolfo e, avendo allungata la mano, si accorse che si attaccavano ad essa sottili strati di zolfo. Scoprì che l'esalazione sulfurea scaturiva dai contorni delle caverne in cui terminavano molte vene, ricche di zolfo che si spargevano in vari luoghi. Ma siccome gli scavatori, spesso, trovano tali vene, non è verosimile che queste abbiano il ruolo di guidare la fiamma, aprendo un contatto tra le varie caverne sulfuree diffuse in tutta la terra. 80 Nel IX capitolo il Bina afferma che non essendoci canali o vene comunicanti non è possibile che si verifichino congiuntamente "fuochi o tremori" in regioni lontane. Se ciò accadesse, la causa sarà diversa "dall'infiammazione di materie combustibili racchiuse nelle ulteriori cavità della mole terracque". si sono, infatti, verificati terremoti, anche devastanti, in luoghi privi di cave zulfuree, di vulcani con scosse e repliche molto forti, senza che il terreno abbia dato segno di vampe sotterranee. Il Bina riferisce una notizia relativa alla Germania, ripresa da Sturmio, dove, nel luglio del 1686, si verificò un forte terremoto che infranse tutti i vetri e fece sì che i letti, nelle stanze, si muovessero come barche in mare. Nello stesso anno, in Tirolo, le scosse telluriche provocarono il crollo di vari edifici privati, pubblici e chiese nonché la morte di tanta gente. Ricorda il terremoto con ben ventisei repliche che, il 23 gennaio 1742, si abbatté su Livorno e quello con ventidue scosse, nello spazio di otto ore, che nel marzo 1745 colpì Spoleto: in detti luoghi non ci sono vulcani, zolfatare, vene di zolfo né vi furono avvisaglie di fuoco nelle ore che precedettero e seguirono le scosse. Nel X capitolo, dopo aver considerato la materia sulfurea non sufficiente allo scatenarsi dei terremoti si domanda se non sia forse l'aria a scuotere la terra, all'improvviso, con una certa velocità in virtù della sua forza elastica. Ricorda che tale era stato il pensiero di antichi pensatori quali Anassagora, Teofrasto, Calistene, Lucrezio, Strabone e, in generale, dei filosofi stoici. 81 Bina è convinto che una simile causa fosse l'unica da individuare, per spiegare i terremoti, da parte di coloro che ignoravano completamente la forza straordinaria contenuta nella "polvere da fuoco". Considerando che quando all'aria compressa all'interno di un telo viene dato libero sfogo, questa può lanciare una palla di piombo a notevole distanza e la forza del cannone diventa tale da abbattere qualsiasi fortificazione; nota che la forza maggiore deriva dalla maggiore compressione e conclude lodando gli studiosi moderni che, con la loro esperienza, hanno confermato le geniali intuizioni degli antichi filosofi ed hanno scoperto la legge e la proporzione secondo cui l'elasticità corrisponde alla forza comprimente. Il capitolo XI serve a Bina per ricordare le esperienze di alcuni fisici moderni, quali Boile, Alleio ed Ales, che hanno dimostrato che si possa ridurre la densità dell'aria. Ales, ad esempio,ricorrendo all'espediente del gelo, è riuscito a restringerla ad un volume 1838 volte inferiore a quello che occupa normalmente sulla superficie della terra. Conclude con la dissertazione premiata dall'accademia di Bordeaux di P. Bereaud sulla causa dell'aumento di peso, di certi corpi, con la calcinazione: 20 libbre di piombo, con la calcinazione ne acquistano 5 o 6. Nel XII capitolo nota la difficoltà a comprendere la grande forza necessaria a comprimere un fluido aereo: se la forza attraente delle parti della materia può comprimere e costipare l'aria, come scoprì Ales, perché non dovrebbe avere un maggior effetto avvalorata dall'azione del fuoco? Sembra al Bina che i suoi 82 contemporanei siano d'accordo nel sostenere che la materia elettrica non differisca da quella del fuoco e della luce. "Se pertanto le attrazioni del fluido elettrico divengono sensibili, e si manifestano a molta distanza, perché una materia inzuppata di fuoco non potrà crescere tanto in forza che basti a comprimere, dentro di sé, 100 volte più l'aria di quello che possa fare priva di tale aiuto? Altra difficoltà deriva dal carattere del fuoco che è capace di espandere e dilatare i corpi, in particolare l'aria. Bina prende di nuovo in considerazione Ales le cui esperienze provano che il fuoco, come lo zolfo, ha la forza di unire, addensare e legare strettamente l'aria "che si trova involta" e, in base al pensiero di Newton, afferma che dove finisce l'attrazione, li comincia l'effetto contrario di repulsione così è verosimile che le particelle dell'aria che devono il loro distaccamento ed incoerenza alla forza repulsiva che hanno fra loro, al cessare di queste, acquistino l'attraente. "Il fuoco medesimo, nel dilatare ha i suoi limiti" e una volta che li avrà raggiunti potrà forse "procacciarsi una forza contraria alla prima, di condensare e ridurre i corpi: come avviene per il freddo che, raggiunto un certo grado" termina di condensare le forze corporee e le rarefà egualmente che il calore: e come succede al vapore, che caldo supera in forza la polvere accesa e raffreddato perde in un istante ogni attività. Queste cose supposte, ben si vede con quanta ragione credette il celebre Amonton non potersi assegnare limiti alla condensazione dell'aria". 83 Nel XIII capitolo, il Bina continua dicendo che se la forza elastica crescesse in ragione della densità, se racchiusa in caverne e libera di espandersi, non solo farebbe tremare la terra, ma la squarcerebbe. A questo punto, Bina si domanda quale possa essere la forza capace di comprimerla prima e tenerla imprigionata per poi lasciarla libera di espandersi. Non trovando una risposta immediata, il padre benedettino torna a valutare, nuovamente, le opinioni degli antichi filosofi e, in particolare, dell'epicureo Lucrezio che attribuiva il terremoto alla condensazione dell'aria, al vento che, insinuandosi nella terra e penetrando nelle caverne con tanta forza, ne determinerebbe crolli sotterranei per cui la terra finirebbe per tremare. Subito dopo, nel XIV capitolo, confuta la teoria lucreziana. Secondo Bina è sufficiente riflettere sul fatto che le aperture attraverso le quali il vento entra nelle cavità sotterranee, non sono provviste di valvole, di conseguenza perché li l'aria dovrebbe condensarsi più che nelle abitazioni dove, chiuse tutte le imposte si lascia un piccolo spiffero attraverso cui possa penetrare il vento? Bina trova assurdo il pensiero riguardo il fatto che l'aria esterna non addensi quella sotterranea, ma "s'azzuffi con essa" e per questo scontro la terra tremi; ciò è assurdo perché il vento, per quanto impetuoso, è appena sensibile in una stanza e, quindi, anche in una grotta. Anche supponendo che le caverne lascino libero accesso al vento, questo ne verrebbe ributtata dall'interno, con forza uguale; quindi del supposto conflitto non ne risentirebbe il terreno sovrastante. 84 ********** Bina continua il "Ragionamento" con la saldezza del suo rigore argomentativo evidenziando o confutando, a seconda dei casi, le ipotesi di altri studiosi. In questo lavoro ho voluto presentare la parte iniziale del "Ragionamento", a mio avviso particolarmente interessante, per prendere atto e considerare il metodo di lavoro e di ricerca di Padre Bina. 85 LA METEOROLOGIA La meteorologia è una scienza d'osservazione, ardua, come affermava nel VI numero della rivista "La Meteorologia Pratica" il Prof. Pio Bettoni direttore dell'Osservatorio Meteorologico di Salò51 ma anche utile. Lo scopo IMMEDIATO di tale scienza è quello di studiare i fenomeni dell'atmosfera, ma il fine SUPREMO è di giungere alla conoscenza di quelle leggi generali alle quali è sottomessa la circolazione dell'aria e, di conseguenza, la circolazione delle acque. La conoscenza di queste leggi porta alla previsione del tempo. Riflettendo, non si può non considerare la meteorologia, alla stregua dell'astronomia, una scienza che, da sempre, ha interessato l'uomo. Pur non avendo la possibilità, ancora, di conoscerla e, dunque, di definirla, le antiche popolazioni ne avvertivano comunque la necessità, sentivano il bisogno di conoscere, sia pur in modo approssimativo, non scientifico, i rapporti tra nuvole e pioggia, ad esempio legando i fenomeni della natura a divinità antropomorfe. Gli Ebrei, ad esempio, basandosi sulla Bibbia, tentarono, a loro modo, di avere una conoscenza della materia. Nel libro di Giobbe ed in quello dei Re è detto, rispettivamente, che "Dio lega le nubi perché non erompano" e che "l'aria si condensa di nubi". Il salmo CXXXIV dice che "Dio fa venire le nuvole dagli estremi confini dell'orizzonte, e che ha formato la polvere per produrre la pioggia". La Bibbia, però, non è un 51 P.Bettoni: La meteorologia nella sua origine e nel suo sviluppo; in La Meteorologia Pratica anno VI n.2 Marzo-Aprile 1925, p. 50 86 libro di carattere scientifico, ma, come affermava Galileo Galilei, nella lettera indirizzata a don Benedetto Castelli, il 21 dicembre 1613, è scritta in un linguaggio semplice, con concetti semplici per "accomodarsi alla capacità de' popoli rozzi ed indisciplinati"; non può essere considerata un testo scientifico poiché di scienze è "una minima particella" e se Dio avesse inteso dare agli uomini la Bibbia con questo scopo, avrebbe riservato alle scienze, all'astronomia ben diverso spazio. La Sacra Scrittura ha valenza puramente spirituale, mentre la natura, libro sempre aperto, permette all'uomo la conoscenza di se stessa e delle leggi che la regolano. Dunque, il pensiero moderno non nega il valore dei testi sacri, ma indaga sulla realtà specifica, ragiona, formula ipotesi, esperimenta. Grazie agli studi di filosofi come Bacone, Cartesio o Pascal, ma, soprattutto, di Galilei, Castelli o Torricelli, si è affermato il metodo sperimentale che ha permesso l'invenzione di strumenti indispensabili allo studio dell'aria o della pioggia: il barometro, il termometro, il pluviometro. Non si può dimenticare che senza gli studi di Lavoisier, de Saussure, Blak ed altri ancora che si impegnarono in questo campo nel XVIII secolo, non conosceremmo la natura fisica e la composizione chimica dell'atmosfera, ovvero una miscela di gas di opposta natura, quali l'ossigeno e l'azoto cui si mescolano, in proporzioni minime, l'acido carbonico e l'idrogeno carburato, che l'acqua è dovuta alla combinazione chimica di idrogeno ed ossigeno. 87 Con A. Humbolt hanno avuto origine le osservazioni meteorologiche con metodo sperimentale e si approfondirono gli studi di elettricità atmosferica e le indagini sul magnetismo terrestre, specialmente dopo l'invenzione della pila da parte di Alessandro Volta. Si sapeva delle tempeste, delle grandi burrasche marine, ma non se ne conoscevano compiutamente le cause né si poteva dare annuncio, del loro sopraggiungere, ai naviganti. Matteo Fontaine Maury, che può essere considerato il fondatore della moderna meteorologia, intraprese lo studio della stessa in relazione ai vari paesi ed ai diversi punti del globo. Secondo il Maury, l'atmosfera è un mare d'aria, un oceano gassoso, che gira costantemente attorno alla terra che circonda ed avvolge da ogni parte, per dirla con lo Stoppani UNO, E AL TEMPO STESSO, INFINITAMENTE MOLTEPLICE. Secondo questa teoria è possibile congiungere il vecchio mondo con il nuovo e conoscere il giro delle correnti anche nella lontana atmosfera. Fu possibile, per il meteorologo, annunciare anche le tempeste delle coste americane. In Italia, nel 1856, il gesuita padre Angelo Secchi si avvalse del telegrafo elettrico per l'annuncio delle burrasche atmosferiche, grazie alla comunicazione giornaliera fra le città di Roma, Ancona, Bologna e Ferrara. Il padre Secchi, fortemente interessato, aveva studiato a fondo l'astronomia e si era occupato del sole, in particolare. Il suo interesse per la geodetica e la geofisica fu grande, fondò la spettroscopia astronomica, fece varie ricerche sulle nebulose e classificò le stelle. Padre Secchi incrementò gli studi di climatologia e 88 meteorologia statica e fece e suggerì ricerche di meteorologia dinamica il cui scopo è di investigare sui movimenti dell'atmosfera. A lungo la Meteorologia è stata confusa con l'astronomia; in realtà essa ha leggi ben precise, importantissime per prevedere il tempo, che possono essere considerate necessarie conseguenze dei principi della meccanica dei fluidi e della termologia. È proprio la termoidraulica a spiegare molti fenomeni meteorologici, la teoria dei Vapori è, poi, alla base delle leggi che regolano le precipitazioni. È dalla metà del XIX secolo, grazie al sostegno del R. Ufficio Centrale di Meteorologia, della Società Meteorologica Italiana e di altri enti, anche privati, che sono sorte, dislocate in diversi luoghi, sia montuosi che pianeggianti, solitari o popolosi, "stazioni" per le osservazioni di ciò che accade nell'atmosfera e la raccolta dei dati relativi. Da allora sorsero molti cultori della meteorologia, che sentirono forte l'impulso a lavorare per conoscere e diffondere le varie informazioni, tra questi è il benedettino padre Bernardo Paoloni. ********** Don Bernardo Paoloni ha fatto scelte, a volte, radicali per i tempi in cui visse, ha effettuato studi e ricerche di innegabile rilievo scientifico, ha collaborato con scienziati del calibro di Guglielmo Marconi, ha fondato una rivista che gli ha permesso la diffusione di idee e messaggi scientifici. Non sempre, 89 comunque, ha visto una facile accoglienza dei suoi propositi; al contrario, ha dovuto affrontare ostacoli notevoli che solo la forza del suo amore per il sapere, l'integrità morale, la lealtà e la sicurezza della veridicità delle sue scoperte lo hanno portato a superare. Don Paoloni è vissuto in un periodo politicamente non facile, ma non si è lasciato dominare dagli eventi o dalle ideologie dilaganti, ma nutrito delle sue certezze, ha guardato in faccia la realtà per vincerla ed ha raggiunto gli obiettivi che intendeva raggiungere. È riuscito, addirittura, a convincere il capo del governo di allora, Benito Mussolini, della bontà dei suoi propositi, dei suoi studi, ricerche ed invenzioni ottenendo dallo stato quelle sovvenzioni necessarie allo sviluppo della sua attività scientifica. I "Grandi" del tempo erano membri della SOCIETÀ METEOROLOGICA ITALIANA fondata dal Paoloni. 90 METEOROLOGIA E SPIRITO MONASTICO Prima di parlare, in modo specifico e sotto l'aspetto scientifico, di don Bernardo Paoloni, è utile fare alcune premesse di carattere storico generale sulla disciplina che lo vide protagonista. Si è già detto di Padre Benedetto Castelli e della sua invenzione, il PLUVIOMETRO, che, pur accettato positivamente da Galilei, purtroppo, non fu dovutamente apprezzato e considerato da coloro che cominciavano ad effettuare le prime osservazioni meteorologiche strumentali. Si sa che le più antiche osservazioni si svolsero tra il 1649 ed il 1651 a Clermont di Alverina, da parte di Perier che collaborava con un amico che, contemporaneamente, effettuava le stesse osservazioni a Parigi e con Chanut e Descartes che le eseguivano a Stoccolma. Si trattava di osservazioni puramente barometriche; nessuno dei detti studiosi pensò mai a misurare la pioggia. Nel 1654, erano trascorsi undici anni dalla morte del Castelli, su incarico del Granduca di Toscana, Ferdinando II, il padre gesuita Luigi Antinori organizzò la prima rete di stazioni meteorologiche, affidate tanto ai Gesuiti quanto ad altri ordini religiosi. Tra gli altri ordini vi furono i Benedettini Vallombrosani ed i Monaci Camaldolesi di Santa Maria degli Angeli di Firenze. Le osservazioni dei Vallombrosani, eseguite dal 1654 al 1667, firmate da d. Filiberto Casini fino al 21 luglio 1656 e da don Petronio Paceschi dal 1656 al 1657, venivano inviate come lettera, quotidianamente, ad un certo "Signore e 91 Padron Colendissimo" che può essere identificato con il principe Leopoldo. Tali osservazioni, rimaste inedite, sono state rinvenute, all'inizio del secolo XX, nella Biblioteca Nazionale, dal padre Boffito che ha provveduto a pubblicarle nella Rivista "La Meteorologia Pratica52. Le osservazioni dei Monaci Camaldolesi di Santa Maria degli Angeli, eseguite dal 1654 al 1670, invece, furono pubblicate da Vincenzo Antinori. Dal momento che le osservazioni erano eseguite scrupolosamente e venivano annotati i giorni piovosi, ma non la misura della pioggia, si può dedurre che il PLUVIOMETRO non era utilizzato. La necessità di misurare la pioggia era comunque sentita: nel 1661 Cristoforo Wren costruì, a Londra, un pluviometro registratore. Altri scienziati costruirono differenti modelli di pluviometro: nel 1670 Hooke, nel 1726 Jacob Leupold; nel 1789 Christian Gotthold Hermann. Nel 1678 Riccardo Townley iniziò una serie di misurazione della pioggia, per la durata di quindici anni, nel Lancastire, a Townley. Nel 1680 a Dijon, il Mariotte, iniziò una serie di osservazioni pluviometriche delle quali si avvalse per la soluzione del problema relativo alle origini delle sorgenti53. Tali pluviometri altro non sono che la base del pluviometro usato nel XX secolo in quasi tutti gli Osservatori italiani, dovuta al prof. Luigi Palazzo. 52 G.Boffito: I Benedettini di Vallombrosa nella storia della meteorologia. In: La Meteorologia Pratica, Anno VII, n.6, Novembre-Dicembre 1926 p. 245 53 G.Boffito: Gli strumenti della scienza e la scienza degli strumenti; Firenze, Libreria internazionale Secher, 1929, p.122; in: Cinquanta articoli di Meteorologia, 1909-1936 p.199 92 In questo contesto è bene ricordare l'opera di un grande benedettino (già citato per il suo impegno in campo scientifico) vissuto nel Seicento, grande studioso di meteorologia, docente di tale disciplina nell'Università di Padova dal 25 aprile 1746: il Padre Giovanni Alberto Colombo. Grande è l'importanza di questo monaco, primo docente di astronomia e meteorologia, rettore di quella cattedra che, come già detto, fu istituita nel 1744: ut qui meteoris cognoscendis operam darent, non secus ad lauream adire possent gradusque academicos obtinere ac si Philosophos ordinarios audirent54. La data del 1744 deve essere scritta a caratteri cubitali nella Storia della Meteorologia perché, con l'istituzione della cattedra, si riconosce l'importanza della disciplina. Il Padre Colombo, ricevuto l'incarico universitario, non si sentì "arrivato" ma, anzi, incrementò il suo impegno: pensò di dar vita, a Padova, ad un Osservatorio, ma non ebbe l'opportunità di veder realizzato il suo sogno perché se la sua idea fu accolta dalle superiori autorità già nel 1757 e fu approvata dal Senato Veneto il 2 maggio 1761, l'osservatorio vide la luce solo nel 1777, anno della morte di Alberto Colombo, e la direzione fu affidata al successore del Colombo nella cattedra di astronomia e meteorologia, il professor Toaldo. Anche in mancanza di un vero Osservatorio, erano state, comunque, effettuate, a Padova, delle regolari osservazioni udometriche, mai interrotte dal 1725, alle quali, molto probabilmente, aveva collaborato lo stesso Colombo55. 54 A.Favaro: I successori di Galileo nello studio di Padova, fino alla caduta della Repubblica "Nuovo Archivio Veneto", Nuova Serie, n.65, p.158. In: Cinquanta articoli di Meteorologia, 1909-1936, p.196 55 G.Lorenzoni: Sulle osservazioni udometriche eseguite in Padova dal 1725 al 1871, Padova, Tip. G.B. Raudi; 1872; in: Cinquanta articoli di Meteorologia, p.196 93 Don Paoloni, che ha eseguito una puntuale ricerca sulle osservazioni, pur dichiarando di non essere a conoscenza del numero degli Osservatori Italiani che prima del 1800 abbiano eseguito osservazioni udometriche, afferma che in una lettera di Angelo Bertacchi riguardante i manoscritti meteorologici di Pietro Antonio Butori e Giovanni Stefano Conti (estratto dal volume XXIV degli "Atti della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti", Lucca, 1885) "si parla di 5 grossi volumi manoscritti contenenti 50 anni di osservazioni meteorologiche, iniziate da Giovanni Stefano Conti a Lucca nel 1744 e proseguite dal fratello Carlo fino al 21 luglio 1794. Nel terzo volume, che ha principio il 1 aprile 1772, la pioggia raccolta in pluviometro della superficie di mezzo braccio fiorentino, è dato in libbre, oncie e denari"56. Si ha notizia di osservazioni pluviometriche iniziate dalla Specola Vaticana nel 1825, di quelle eseguite tra il 1841 ed il 1872, in Guastalla, da Giuseppe Passerini57, ma bisogna aspettare il 1865 perché la maggior parte degli Osservatori italiani iniziasse le sue osservazioni. Per quanto riguarda l'Osservatorio di Perugia, le osservazioni udometriche iniziarono molto tempo prima rispetto a quanto si può accertare storicamente. Non si può essere precisi a tal proposito perché gli antichi registri dell'Osservatorio sono andati perduti e la prima data utile allo scopo è quella del 1802, esattamente dal primo gennaio. Da quel momento in poi è possibile 56 Bollettino mensile della Società Meteorologica Italiana, vol. VI, Anno 1885-1886 p.132; in: Cinquanta articoli di Meteorologia 1909-1936 p.196 57 Domenico Ragona, vol. VI, parte I, 1884 degli Annali dell'Ufficio Centrale di Meteorologia;.B.Paoloni, op. cit. p.196 94 prendere atto di tutte le osservazioni effettuate che venivano registrate regolarmente; era registrata, una volta al giorno, la pressione barometrica, la temperatura, la quantità della pioggia mentre ben quattro volte, la mattina, il pomeriggio, la sera e la notte veniva eseguita l'osservazione del cielo. La pioggia veniva notata, per molti anni, in pollici cubici, linee e decimi di linea. Nell'Osservatorio di Perugia si usava il pollice francese, pari a mm. 27,070, mentre il pollice era formato di 12 linee e 12 pollici formavano un piede. Purtroppo, la mancanza degli antichi registri dell'Osservatorio, se non consente di datare le prime osservazioni, non permette neppure di precisare la fondazione dello stesso. Fu il professor Luigi Canali, nato a Perugia nel 1759, a dar vita, in questa città, ad un Osservatorio Meteorologico. Il Canali era un grande fisico, docente di tale disciplina (successe al professor Pellicciari) in quella Pontificia Università di Perugia della quale, nel 1825, divenne Rettore su nomina di Papa Leone XII. Nel 1795 diresse la collocazione dei parafulmini nella cattedrale di San Lorenzo ed in altri luoghi. Convinto dell'importanza dell'osservazione e della ricerca, volle un Osservatorio Meteorologico, anche se piccolo, che costruì a sue spese. È possibile che, nei primi tempi, l'Osservatorio avesse luogo nella stessa casa del Canali e fosse trasferito presso l'Università nel 1811 quando, con il governo Napoleonico, furono concessi all'Università i locali dell'ex Monastero dei Benedettini Olivetani. 95 L'inizio dell'esperienza di ricerca e osservazione meteorologica, comunque, si lega ai locali dell'Università, ciò è deducibile dall'iscrizione posta sotto il busto del Canali, nel museo dell'Università: HAEDIBUS FUNDAVIT58. TURRIM SPECULATORIAM HISCE IN È a partire dal 1 aprile dell'anno 1811 che le osservazioni risultano eseguite con regolarità e precisione e le pagine dei registri appaiono divise in tre colonne: mattino, giorno e sera, in corrispondenza delle quali venivano apposte le relative osservazioni. Il Canali, al quale con ogni probabilità si deve la conferma della concessione all'Università dei locali del Monastero, da parte di un pontefice benedettino, Pio VII (presso il quale si era recato, per effettuare la richiesta, insieme con il cavalier Vermiglioli), con breve del 23 maggio 1815, amava corredare le osservazioni con illustrazioni da mostrare al pubblico. Finché la salute lo sostenne, il Canali eseguì, in prima persona, le osservazioni meteorologiche: ciò è attestato dai registri, compilati di suo pugno, dal 1 gennaio 1802 all'ottobre 1835 quando fu colpito da apoplessia. Sia pur in precarie condizioni fisiche, il professor Canali continuò a dirigere l'Osservatorio fino al 20 ottobre 1841 quando fu colpito da un nuovo terribile attacco. Morì a Perugia il giorno 8 dicembre dello stesso anno. I funerali furono solennemente celebrati con gli elogi attestanti la stima di tutti, pronunciati da parte del Padre D. Vincenzo Bini, Abate Cassinese, professore emerito di metafisica all'Università di Perugia ed amico personale del Canali. 58 Giuseppe Bianconi: Del Prof. Luigi Canali e dei suoi funerali, in: Giornale Scientifico Agrario, LetterarioArtistico di Perugia ed Umbra Provincia. Nuova Serie, anno 1863, disp.2° pp.137-149; B. Paoloni, op.cit. 1909-1936 p.197 96 L'Osservatorio voluto da Canali ha avuto vita presso i locali di un Monastero Benedettino ha proseguito la sua attività in quelli di un altro fiorente Monasero, quello di San Pietro dove l'Abate Castelli aveva inventato il PLUVIOMETRO che, come osservava d. Paoloni, può costituire "il più bel monumento cui questo illustre benedettino poteva aspirare"59. Non solo l'Osservatorio di Perugia ha visto la luce in locali Monastici, ma, come detto in precedenza, i monaci hanno mostrato sempre interesse e si sono impegnati in questo campo. Si è parlato di Gesuiti, di Vallombrosani impegnati nelle osservazioni. Questa specie di "febbre" colpì anche il Priore dell'Imperiale Abbazia di Farfa, Padre d. Agostino Zanoni che a lungo pregò il Padre Bernardo Paoloni perché facesse sorgere, in quel luogo, un Osservatorio Meteorologico. Finalmente, nel 1933, grazie all'appoggio del professor Girolamo Azzi, direttore del laboratorio di Ecologia dell'Università di Perugia e del suo assistente, il dottor De Gasperi, gli stessi che, attorno al 1934, hanno compilato un lavoro analitico sui centotrentadue anni di osservazioni udometriche eseguite nell'Osservatorio di Perugia, fu possibile realizzare il "sogno". Il professor Azzi, a spese del suo laboratorio di Ecologia Agraria, fornì gli apparecchi indispensabili: barometro Fortin, termografo, geotermografo, ipografo Richard, pluviometro Fuess, eliofanografo Campbell, psicrometro, evaporimetro, termometri normali e a massima e a minima, tutto il materiale necessario a tali apparecchi. 59 B.Paoloni: cit., 1909-1936, p.198 97 Il Presidente della III Sezione del Consiglio Superiore del Ministero dei Lavori Pubblici, che sembrava aver preso a cuore il nuovo osservatorio, affidò allo stesso un ulteriore pluviometro ed una capannina meteorica e vi mandò alcuni funzionari. Anche se mancava l'anemografo si sperava di averlo presto poiché era stato promesso a padre Zanoni dal Preside della Provincia di Rieti, con lettera del 19 agosto 1933. "Come segno tangibile dell'interessamento della Provincia per la provvida istituzione". Per il buon funzionamento degli apparecchi, per il loro collaudo, il professor Azzi volle che rimanesse a Farfa, per molti giorni, il dottor Luigi De Gasperi. Quando l'Osservatorio cominciò a funzionare regolarmente, la sua direzione fu affidata al Priore del Monastero di Farfa, padre Zanoni, austera figura di asceta e scenziato, che si era promesso di far funzionare questo nuovo Osservatorio Benedettino con la stessa costanza e precisione di quelli che lo avevano preceduto. Il nuovo Osservatorio si proponeva di raccogliere e pubblicare i dati meteorologici, ecologici e fenoscopici relativi alle varie colture, in base a speciali formulari. I dati raccolti dovevano essere inviati, regolarmente, al Laboratorio di Ecologia del R. Istituto Superiore Agrario di Perugia. Come affermava don Paoloni "in questo modo si va sempre più estendendo quella rete di stazioni che, seguendo 98 il metodo e le direttive del prof. Azzi, hanno reso possibile lo studio razionale dell'ambiente fisico, in rapporto all'agricoltura, in diverse regioni d'Italia e dell'estero; studio fondamentale e necessario se si vuole praticare col maggior profitto la coltivazione delle piante agrarie più adatte all'ambiente di ciascuna regione"60. 60 B. Paoloni: cit., 1909-1936, p.198 99 BERNARDO PAOLONI PROFILO BIOGRAFICO Don Bernardo Paoloni è nato a Cascia nel 1876. Già durante gli studi monastici che lo vedevano impegnato, particolarmente, nella teologia, non mancò di mostrare una certa propensione per la meteorologia frequentando il laboratorio dell'abate Giuseppe Quandel, ossia il laboratorio di colui che aveva fondato l'osservatorio di Montecassino proprio nel 1876, l'anno di nascita di don Bernardo. A Montecassino, il 28 maggio 1905, il Paoloni si consacrò alla vita monastica diventando, tre anni più tardi, direttore dell'osservatorio esistente in quel monastero e distinguendosi nello studio dei disturbi atmosferici nelle trasmissioni radio. Don Paoloni, infatti, subito dopo la scoperta, da parte di Guglielmo Marconi, della radiotelegrafia, fu il primo a studiare tali disturbi ed a stabilire una scala per classificarli. Il Paoloni aveva instaurato con Guglielmo Marconi un forte legame dovuto ai comuni interessi scientifici, legame documentato da una fitta corrispondenza fra i due. L'impegno del monaco nella ricerca era costante, significativo, e fu riconosciuto dalle autorità scientifiche che ne sottolinearono l'importanza; il Consiglio Nazionale delle Ricerche, istituì, proprio sotto la direzione di don Bernardo, il SERVIZIO 100 RADIOATMOSFERICO ITALIANO che poteva vantare ventiquattro stazioni permanenti nel territorio italiano. Nel 1930 Paoloni fondò il SERVIZIO METEORICO SANITARIO ITALIANO, già sollecitato nel 1923, importantissimo, in quanto rappresenta, nel mondo, uno dei primi tentativi di studio e ricerca in campo bioclimatologico. Quando, nel 1931, il Paoloni passò da Montecassino a Perugia cessò di funzionare, nel luogo principe dei cassinesi, il SERVIZIO METEORICO AGRARIO istituito dallo stesso monaco nel 1914. Una volta a Perugia, don Bernardo continuò a seguire, con molto impegno, i servizi da lui voluti e, finalmente, nel 1937, grazie alla sua determinazione, dopo essere riuscito a superare numerosi ostacoli, riuscì a far funzionare pienamente quell'OSSERVATORIO SISMOLOGICO, da lui fortemente voluto, che intitolò all'inventore del sismografo (1751) ANDREA BINA. Una grande opera di don Bernardo Paoloni è, senza dubbio, la rivista METEOROLOGIA PRATICA, una continuazione del BOLLETTINO LA dell'osservatorio di Montecassino. Detta rivista è particolarmente interessante perché è, quasi, uno strumento di discussione dando spazio, nelle sue pagine, ai numerosi articoli del fondatore ed a quelli dei vari studiosi e scienziati che si occupavano di tale disciplina. Diede vita a varie pubblicazioni, ad un FOTOELETTRICO, ANEMOMETRO costruito e diffuso dalla Società Salmoiraghi, sostenne con entusiasmo e fermezza tutte le attività connesse alla meteorologia, difese e 101 propagandò l'ecologia agraria; morì nel monastero perugino di San Pietro, che aveva diretto per circa due anni, nel 1944. Servizio meteorico Padre Bernardo Paoloni, che lega il suo nome alla meteorologia, ha effettuato numerose invenzioni. Costantemente attivo, ha dato inizio al suo impegno scientifico nel monastero di Montecassino dove ha curato, e portato a grande sviluppo, l'osservatorio divenuto, sotto la guida del padre, uno specifico riferimento per la meteorologia italiana. Tra il 1909 ed il 1920, l'attività scientifica dell'osservatorio era fatta conoscere dalle pagine del MENSILE. BOLLETTINO Nel 1912 e nel 1913 hanno avuto vita, rispettivamente, la stazione aerologica ed il giardino botanico-forestale. Quest'ultimo, posto accanto all'osservatorio, era atto alle "osservazioni meteorico-fito-finologiche". Nel 1914 veniva istituito il "Servizio meteoricoagrario di terra del lavoro" che contava su circa sessanta "stazioni meteorico agrarie" facenti capo a Montecassino. Nello stesso anno, l'osservatorio di quel monastero diveniva sede61 di una stazione radiotelegrafica che collaborava con il genio militare per la rilevazione dei dati. E' il primo nucleo da cui partire per giungere, nel 1928, all'istituzione, in collaborazione con l'E.I.A.R.. e la scuola Enrico Cesi di Roma, del "Servizio Radiotelegrafico italiano". Tale servizio, 61 M.Mazzucotelli: op.cit. p.281 102 avvalendosi di apparecchiature radiotelegrafiche e radioatmosferiche, compiva osservazioni ed esperienze in tali campi. Si trattava dell'osservazioni dei disturbi radio dell'atmosfera, alle quali parteciparono venticinque stazioni dell' esercito, che venivano prodotte grazie all'applicazione dei quattordici gradi della "scala radioatmosferica Paoloni". Tutto questo poteva verificarsi in virtù delle richieste e dell'impegno di D. Paoloni. Guglielmo Marconi, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, apprezzò tanto l'opera del Paoloni da nominarlo, nel 1929, membro del "Comitato Nazionale Geodetico-Geografico" . 103 Documento relativo alla nomina di Paoloni membro del Comitato Nazionale Geodetico-Geofisico rilasciato dal presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche Guglielmo Marconi 104 Nel 1920, don Bernardo Paoloni aveva fondato la rivista LA METEOROLOGIA PRATICA rivista di meteorologia agraria, igiene, aeronautica che aveva sostituito il Bollettino del Monastero di Montecassino. 105 Tale rivista, il cui primo numero vide la luce il 1° gennaio 1920, non mancò di diventare, in breve tempo, il mezzo scientifico di collegamento degli scienziati del tempo, nella convinzione che la meteorologia potesse essere utile alla medicina. ****** Don Bernardo trasformò in pratica le sue convinzioni fondando a Venezia, il 12 maggio 1930, presso l'ospedale al mare di Lido, il "Servizio Meteorico Sanitario Italiano" ideato nel 192362. Era lì in atto il primo corso di talassoterapia e l'opera del Paoloni ricevette subito il plauso dei più illustri igienisti, medici e filosofi italiani63 tra cui i prof. Baglioni, Borrino, Gemelli, Tallarico e, in modo particolare, del primario dell'ospedale al Mare di Lido di Venezia, prof. Ceresole che ne fu il primo direttore. Il Servizio Meteorico Sanitario italiano aveva per scopo di studiare i rapporti esistenti tra i fenomeni patologici e quelli atmosferici nel tentativo di individuare la genesi di tante malattie e valutare l'influenza, su di esse, delle stagioni e degli eventi atmosferici. Perché la meteorologia potesse essere efficace alla medicina era opportuno, ad avviso di Paoloni, eseguire osservazioni sistematiche per anni, "in molti luoghi 62 B.Paoloni: Scopo e norme del servizio meteorico sanitario italiano; in La Meteorologia Pratica, anno XIII, n.1, Gennaio-Febbraio 1932 -X p.35 63 B.Paoloni. Origine, scopo e funzionamento del servizio meteorico sanitario italiano; in La Meteorologia Pratica, anno XXIII.1, Gennaio-Febbraio 1942-XX, p.43 106 e con criteri unici razionali"64. Il Servizio Meteorico Italiano entrava, con questo modulo, in una fase definitiva e promettente. La compilazione dei moduli decadici, facilissima, richiedeva circa un'ora al mese, poteva essere affidata a chiunque e fornire preziose statistiche per determinare dati importantissimi in ogni malattia: la morbosità e la mortalità nei diversi mesi, stagioni, e in rapporto ad ogni fenomeno atmosferico. Nel modulo era presente una terza colonna per l'aggiunta di un dato importante per alcune malattie croniche a proposito delle quali era importante stilare una statistica relativa al maggiore o minore numero di accessi in rapporto ai mesi e fenomeni atmosferici: si pensava, ad esempio, agli accessi di gotta, epilessia, o della tubercolosi, ai casi di emottisi. Il modulo aveva, al suo interno, due pagine da usare per osservazioni sanitarie e meteorologiche. Alla fine di ogni decade i moduli dovevano essere spediti a Paoloni a spese del Direttore della specifica Stazione Meteorico-Sanitaria (18 lire annue) che, in cambio, avrebbe ricevuto, gratis, la rivista LA METEOROLOGIA PRATICA. Il Paoloni, già impegnato presso l'osservatorio geofisico del Regio Istituto Superiore Agrario di Perugia, era fiducioso di poter conferire premi e diplomi a coloro che avessero effettuato, con maggior cura e costanza, le osservazioni. Era fondamentale, per il buon esito della ricerca, riempire i moduli; se non fosse stato possibile farlo quotidianamente, poteva essere fatto almeno alla fine della decade desumendo le informazioni dalle cartelle degli ospedali. Se non 64 B.Paoloni: op.cit., 1932, p.35 107 fosse stato possibile iniziare i rilevamenti all'inizio dell'anno, ma nel corso di esso, don Bernardo raccomandava di recuperare i dati al fine di non lasciare lacune e dar vita a veritiere statistiche. Scongiurava i collaboratori ad essere precisi e puntuali, a rilevare i dati con scrupolo e costanza altrimenti sarebbe stato del tutto inutile che questi avessero promesso di collaborare. Era fiducioso, Paoloni, del buon esito del suo impegno, era convinto che il servizio sanitario italiano facesse onore alla scienza italiana, in quanto era il primo del genere in tutto il mondo, ma, soprattutto, dovesse essere di grande utilità all'Italia ed alla scienza "contribuendo a fare in modo che la Meteorologia e la Medicina diventino sempre più sorelle e formino una nuova scienza: la CLIMATOTERAPIA" 65 METEORICO SANITARIO ITALIANO ecologia del . È necessario sottolineare che il SERVIZIO cominciò a funzionare, presso il laboratorio di R.ISTITUTO SUPERIORE AGRARIO, nel 1932, grazie al sostegno dell'Università di Perugia. Non solo il Ministero dell' Interno aderì al progetto del Paoloni, ma lo fecero molti istituti universitari66. Collaborarono con Paoloni numerosi ospedali, sanatori, case di cura e, soprattutto, medici privati, ma pochi perseverarono. Per questo motivo fu chiesta la collaborazione degli ospedali militari. Il motivo è semplice: l'ospedale militare svolge la propria attività in base ad ordini precisi e nessuno può permettersi di non obbedire, quindi, nessuno, in tali ospedali, avrebbe cessato di eseguire, e soprattutto lo avrebbe fatto con grande disciplina, le 65 66 B.Paoloni: op.cit., 1932, p. 36 M.Mazzucotelli: op.cit. p.282 108 osservazioni meteorico sanitarie in assenza di un contrordine. Elemento da non sottovalutare era che negli ospedali militari si potevano trovare i soggetti e gli ambienti più adatti alle osservazioni. Per le ricerche che Paoloni voleva effettuare erano, in verità, poco adatti gli ospedali civili per le differenze, enormi, dei pazienti sia per le condizioni organiche che psicologiche. Di gran lunga migliori gli ospedali militari perché in essi i pazienti erano, prima di tutto, dello stesso sesso, ma anche della stessa età. Inoltre, i pazienti militari, prima di ammalarsi, vivevano nello stesso ambiente, si cibavano allo stesso modo, vivevano allo stesso modo, eseguivano i medesimi esercizi fisici, ed erano esposti agli stessi eventi atmosferici. Bisogna altresì dire che i pazienti militari non presentano patologie croniche o di vario genere, a seconda del sesso, dell'età, dell'ambiente familiare come quelli degli ospedali civili. L'idea del Paoloni ricevette l'approvazione della Direzione Generale di Sanità Militare del Ministero della Guerra e seguì l'ordine, il 1° marzo 1939, a seguito del quale una trentina dei principali ospedali militari italiani entrarono a far parte del Servizio Meteorico Sanitario Italiano67. Le difficoltà ci furono, è innegabile, esse avevano cominciato a manifestarsi già l'anno successivo alla fondazione del servizio meteorico sanitario italiano, quando il prof. Ceresole, primario dell'ospedale del Mare di Lido68, aveva manifestato certe perplessità che avevano indotto il Paoloni a riflettere sull'opportunità o meno di continuare la ricerca. Tutto, però, era stato superato 67 .Paoloni: op.cit., 1942, p.44 B.Paoloni: I primi progressi del servizio meteorico sanitario italiano; in La Meteorologia Pratica, anno XIII, n.6 Novembre-Dicembre 1932 - XI p.264 68 109 grazie all'accordo con gli ospedali militari che permettevano di avere un campione omogeneo. Non solo i militari accolsero l'iniziativa di Paoloni, ma anche i collegi, nei quali vivevano i giovani della stessa età, dello stesso sesso, che crescevano insieme nello stesso regime di vita. Anche le colonie climatiche della G.I.L., specialmente quelle permanenti, erano adatte allo scopo. Le colonie ed i collegi erano validi anche per eseguire osservazioni psicologiche sui bambini e sui giovani. A questo scopo continuava ad essere utile l'ospedale al Mare del Lido di Venezia dove erano ricoverati bambini e giovani assistiti quotidianamente da validissimi medici sotto la guida del presidente dell' ospedale Prof. dott. Garioni. In conseguenza di ciò, parve giusto a Paoloni riportare la Direzione del Servizio presso l'ospedale del Lido, ove era stata fondata, affidato al Centro di Bioclimatologia, con sede nello stesso ospedale e ad un Comitato Direttivo di cui faceva parte Paoloni stesso. Il servizio andava assumendo, sempre maggiormente, una valenza scientifica. Un altro interessantissimo campo d' azione del Servizio Meteorico Sanitario Italiano è quello delle ricerche e degli studi sui rapporti tra l'ambiente atmosferico e lo stato psicologico dei lavoratori negli stabilimenti industriali, vale a dire il rapporto tra il tempo e la produzione nazionale. Il Servizio Meteorico Sanitario Italiano è sorto, come detto, per studiare le relazioni esistenti fra certe malattie e gli eventi atmosferici, nel 1932. 110 RAPPORTI TRA METEOROLOGIA E MALATTIE Nel 1920 padre Paoloni aveva parlato, per la prima volta, a Venezia, in occasione del Congresso internazionale di Meteorologia, dei rapporti tra questa scienza ed i mali dell'uomo. Aveva fondato la sua rivista "La meteorologia Pratica", proprio con lo scopo di unire medici e meteorologi nello studio dei rapporti esistenti fra le rispettive scienze. A distanza di dieci anni, tornato a Venezia, su invito del professor Ceresole, per una conferenza, tenuta il 12 maggio 1930 al "corso teoretico pratico di talassoterapia" presso l'Ospedale al Mare di Lido di Venezia, ricordava di aver partecipato a vari Congressi della Società italiana per il Progresso delle Scienze, a Napoli, Catania, Torino.... dove aveva incontrato illustri medici che lo avevano incoraggiato a perseverare nella sua idea; aggiungeva che era sua intenzione, e del prof. Ceresole, organizzare a Venezia, con l'aiuto dei partecipanti al convegno, un "Servizio Meteorico Sanitario". Riteneva giusto parlare, prima di addentrarsi nei discorsi dell'organizzazione di detto servizio, delle malattie che hanno rapporti con i fenomeni atmosferici e stabilire quali, in particolare, debbano essere oggetto di studio e ricerca. L'idea di un rapporto tra mali fisici e meteorologia è antico quanto detta scienza e la stessa medicina e, come per queste, non esistono leggi dalle quali questo possa procedere. Certo, i fenomeni patologici sono regolati da leggi fisse, anche se non del tutto note, come è per i fenomeni meteorologici che hanno le loro leggi, ma non chiare all'uomo in quanto hanno origine 111 nell'alta atmosfera dove, ancora, nel 1930, l'uomo di scienza non aveva fatto giungere "i suoi apparecchi registratori". Se si accetta l'idea che i fenomeni patologici risentano, sia pur in un modo diverso, dei fenomeni meteorologici, non è fondamentale, per la medicina, conoscerne le cause dal momento che le basta studiarne gli effetti. Poiché i medici, da sempre, non sono stati d'accordo, nel valutare il fattore meteorologico come "causa predisponente" di tante malattie, lo studio di tale rapporto non è mai stato fatto in modo serio e costante. Paoloni ricordava che Celso aveva considerato questo rapporto, ma la sua opera, dimenticata per ben cinque secoli e salva solo grazie ai monaci, riapparve soltanto nel sesto secolo quando Cassiodoro aveva raccomandato ai suoi monaci di studiare la medicina: tra i libri della biblioteca del monastero di Squillace, da lui fondato, c'era quello di Celso. Bisogna aspettare altri cinque secoli per trovare, presso la Scuola Salernitana, ove insegnarono vari monaci di Montecassino, che ne furono anche i fondatori, qualcosa di simile, e poter parlare, nuovamente, di Celso. Adesso, sottolineava Paoloni, sulle tracce di quell'insigne studioso che aveva conservato l'indole osservatrice della Scuola Romana ed aveva approfittato delle scoperte anatomiche e farmacologiche della Scuola Alessandrina, lui si trovava a Venezia per stabilire, insieme con i medici, "a quali malattie predispongono le stagioni e le vicende atmosferiche". Paoloni anticipava l'obiezione di molti: tanti sono i progressi compiuti dalla scienza nel corso di venti secoli, come è possibile che si possa pensare di 112 tornare tanto indietro, addirittura a Celso? Era convinto, Paoloni, delle sue posizioni e, sulla base di S. De Renzi69 affermava che Celso è da considerarsi "la delizia degli eruditi e dei medici di ogni paese" e che "gl'insegnamenti del vero non invecchiano mai". Pur considerando il notevole contributo dato alla medicina da scienze come la microbiologia e la chimica biologica, soprattutto per la soluzione di problemi di patologia, fisiologia, igiene, terapia, sottolineava, sulla base del Calò70 che non veniva adeguatamente valutato l'ambiente in cui vive l'individuo che si ammala. Sempre sulla base del Calò, Paoloni notava l'esistenza di malattie che, a rigore, non possono essere considerate infettive o costituzionali, ma potrebbero essere classificate, è una nuova categoria, tra le ambientali o climatiche. In molte malattie le variazioni atmosferiche sono così importanti da poter essere considerate, se non cause determinanti, almeno predisponenti. Paoloni ricordava che Roster, nel suo trattato "Climatologia dell'Italia", aveva studiato i fattori climatici sia in rapporto all'igiene che all'agricoltura: come, nella vegetazione, le cause determinanti sono nelle radici, nei semi e le predisponenti nella stagione che può essere o no favorevole allo sviluppo del seme, così, in molte malattie, le cause determinanti sono nei germi, nei bacilli dell'infezione, nell'organismo che tramite il sangue, il cibo o altro mezzo, ha albergato l'infezione mentre le cause predisponenti sono nel clima non adatto all'organismo. 69 S.De Renzi. D.A Corn. Celso: I libri otto della medicina volti in italiano, tomo secondo. Napoli, 1852 V.Calò: Sull'ipotesi dei rapporti fra i fenomeni meteorologici e la recente pandemia influenzale; in: La Meteorologia Pratica, anno I della rivista, Gennaio-Febbraio 1920, p.19 70 113 Proprio come il seme che, se anche gettato in un terreno di grande qualità, non darà frutto in assenza di un clima favorevole, altrettanto i germi, anche se ingeriti, non si svilupperanno se non troveranno il clima adatto, se non ci saranno quei fenomeni naturali capaci di indebolire l'organismo umano. Proprio come il troppo caldo ed il troppo freddo non permettono l'armonica crescita delle piante, così in un clima non adatto, il nostro organismo finisce per ammalarsi. Le variazioni repentine del clima costringono il nostro corpo ad un adattamento, ad uno sforzo, e quando le nostre forze non sono sufficienti, l'organismo subisce un'alterazione che può andare da un lieve malessere ad una vera e propria malattia. Tanto più le variazioni sono forti ed improvvise, tanto più le avvertiamo e ci sono dannose. È questo il motivo per cui ci si ammala maggiormente in quei luoghi in cui il clima è variabile piuttosto che in quelle a clima stabile. Paoloni affermava, con rammarico, che non sono stati mai condotti studi adeguati, né in Italia né altrove, atti a considerare il rapporto tra l'uomo e l'ambiente in cui vive, quell'ambiente che gli dà la vita e la salute, ma anche la malattia e la morte. Cercava, Paoloni, di colmare tanto grave lacuna esaminando, in primo luogo, l'influenza dei principali fenomeni atmosferici sull'organismo umano per passare, poi, ai rapporti con le stagioni, relativi fenomeni atmosferici e le malattie e, infine, dando suggerimenti come tali malattie vadano studiate da parte dei medici, con l'aiuto dei meteorologi: è questo lo scopo del Servizio Meteorico Sanitario italiano che avrà origine e centro proprio a Venezia. 114 Di per sé il caldo ed il freddo, anche se eccessivi, non sono cause predisponenti di malattie, ma lo diventano in unione all'umidità e ad alcuni venti. Il caldo asciutto, ad esempio, è ben sopportato dall'organismo umano. Da un'esperienza è stato riscontrato che l'uomo è in grado di resistere, per venti minuti, ad una temperatura di 100° mentre, in caso di caldo umido, mostra di non sopportare neppure i 40°. Questo perché in un'aria molto umida il corpo non può espellere l'eccesso del calore prodotto per mezzo dell'evaporazione poiché questa è ridotta in un'aria fortemente umida e soppressa completamente in un'aria satura. Mentre il caldo moderato, accompagnato da una discreta ventilazione, può essere considerato un fattore di benessere, il caldo umido provoca disturbi vari tra cui la riduzione del tono muscolare o la diminuzione dell'appetito. Il freddo moderato, più ancora di quanto lo sia il caldo moderato, è un fattore di benessere perché dà forza ai muscoli e stimola le funzioni respiratorie e digestive. Paoloni individuava la prova di quanto asserito, nel comportamento dei popoli del nord, o di quelli di certe zone dell'Abruzzo, regione tra le più fredde d'Italia, caratterizzato da coraggio a livello fisico e da energia nelle operazioni. Ad avviso di Paoloni le temperature minime esercitano un'influenza meno nociva delle massime, tanto sui sani che sugli ammalati. Se, però, il freddo è intenso ed è accompagnato da venti che lo sono altrettanto nonché da umidità questo esercita sui muscoli un'azione paralizzante provocando la diminuzione della vitalità di tutti gli elementi anatomici, rendendo i nervi cattivi conduttori fino a sopprimere il loro funzionamento ed affievolendo 115 l'attività degli organi respiratori71. È normale, dunque, che siano esposti maggiormente a rischio di contrarre malattie, durante l'inverno, i bambini e gli anziani per il loro fisico, rispettivamente troppo debole o troppo logorato. Diverse, per cause e conseguenze, sono le malattie da raffreddamento; infiammazioni delle mucose, delle vie aeree, delle sierose, dei muscoli, dei nervi.... Il tasso di mortalità aumenta con il freddo e con il periodo ad esso immediatamente successivo, mentre scende decisamente con il caldo. L'eccezione a questa "regola" è costituita dai bambini al di sotto dei cinque anni, il maggior nemico dei vecchi è il freddo, dei bambini è il caldo. È, comunque, l'umidità ad incrementare l'azione, sia del caldo che del freddo perché suscita un malessere tale da rendere facile l'attacco del male accrescendone l'intensità e ritardando o impedendo la guarigione. Si può considerare l'umidità in tre stati: freddo umido, caldo umido, umido stagnante. Il più dannoso è l'umido stagnante perché provoca il cretinismo accompagnato, sempre, da gozzo e scrofola: si tratta della più umiliante degenerazione della specie umana. Paoloni considerava, di seguito, l'azione del vento: un elemento capace di modificare gli effetti della temperatura nell'organismo umano. Senza soffermarsi sul ruolo che i venti, trasportando i microbi da un luogo all'altro, possono avere nella diffusione delle epidemie, sottolineava che sono i venti meridionali, noti come scirocco, in modo particolare quelli provenienti da 71 L. Preti: La patologia umana nei rapporti delle influenze meteorologiche; in La Meteorologia Pratica, anno II n.1 Gennaio-febbraio 1921 p.2-9 116 SSW e SE, indipendentemente dalla stagione, a modificare lo stato atmosferico elevando, e non di poco, la temperatura e lo stato idrometrico dell'aria. I venti sono la causa di emicranie, nevralgie, spossatezza, nonché di coliche intestinali; molti possono causare l'aggravarsi del malato e, di conseguenza, aumentare il tasso di mortalità. Uno studioso della materia, il Campani, di cui Paoloni conosceva l'impegno, era giunto alla conclusione, per quanto riguarda il ruolo dei venti nello sviluppo di malattie acute non contagiose, che è in inverno che l'azione del vento di NW e in estate di quello di SW coincide con la minore morbosità: è soprattutto nei periodi freddi che la velocità massima dei venti coincide con la minore morbosità. Basandosi su quanto affermato da uno studioso come Schrotter, nel 1923, all'Associazione dei patologi di Vienna, Paoloni sosteneva che un'improvvisa depressione barometrica produce, nei feriti e negli ammalati, elevamenti termici. Essendo quasi certo, inoltre, che quasi tutti i fenomeni debbano riferirsi all'azione dell'elettricità atmosferica, è possibile che questa influisca molto, anche direttamente, sui fenomeni fisiologici e patologici poiché, in natura, quasi non c'è nessun fenomeno che non sia preceduto o seguito da manifestazioni elettriche. Purtroppo, in questo campo, nell'epoca di Paoloni, non erano state, ancora, svolte le dovute ricerche ed indagini; era auspicabile che ciò venisse fatto poiché, in una simile disciplina, non sono ammesse ipotesi. Comunque, considerando positiva l'elettricità atmosferica a cielo sereno, mentre il suolo e tutti i corpi che su di esso poggiano sono elettrizzati negativamente, e considerato, come sembra, che 117 l'elettricità dell'organismo umano, in condizione di sanità, è generalmente positiva, non può essere indifferente, per l'uomo lo stato positivo o negativo dell'elettricità atmosferica. Nel caso di stato positivo dell'atmosfera, si verificano fenomeni d'eccitamento, mentre nello stato negativo dell'atmosfera si verificano fenomeni di depressione: di conseguenza si verifica intorpedimento muscolare, rallentamento circolatorio, generale sensazione di fiacchezza. Nei giorni di forte tensione elettrica, che precedono gli uragani, molte persone lamentano cefalalgia, dolori muscolari, senso di pesantezza, addirittura alcuni, all'avvicinarsi di un uragano, sono presi da un tal senso di angoscia da perdere la capacità di agire o pensare. I mesi di gennaio e febbraio, certo i più freddi dell'anno, ma anche marzo e aprile, fanno conoscere una tensione elettrica maggiore rispetto ai mesi più caldi. Ciò si può spiegare in modo semplice: forse l'umidità esercita grande influenza sull'elettricità atmosferica che, dunque, aumenta in inverno e diminuisce in estate. In inverno, quando la tensione elettrica è massima, le scariche elettriche sono meno numerose che in estate, l'elettricità potrebbe concentrarsi, favorita dalla grande umidità, verso il suolo. Invece, in estate, l'umidità minore, porta la tensione elettrica a diminuire. Però, e la cosa è frequente in estate, quando si avvicina un temporale, aumenta, in modo straordinario, la differenza di potenziale fra le nubi e la terra: coloro che si trovano nella zona influenzata dal temporale, sono attraversati, come fossero parafulmini, da una scarica, continua e silenziosa, che tende a ristabilire 118 l'equilibrio. Da questo possono derivare disturbi nelle persone di temperamento nervoso: bisogna considerare che le correnti elettriche "sono tra i fenomeni più vitali dei nervi, e che questi riacquistano il loro vigore quando riacquistano l'elettricità normale di cui hanno bisogno, altrettanto s'indeboliscono e, quindi, viene la malattia, se l'elettricità loro somministrata dall'atmosfera è anormale o per difetto, o per eccesso"72. Padre Paoloni, cercando di sensibilizzare il prof. Ceresole che lo aveva voluto alla conferenza di Lido di Venezia, intendeva farsi portavoce, insieme all'insigne professore e ad altri medici che avrebbero voluto perorare la nobile causa, presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche perché questo potesse attivarsi nello studio, indagine e ricerca dell'elettricità atmosferica; era convinto che le conoscenze relative ad essa avrebbero potuto essere di grande utilità per i medici. Dopo aver parlato, in generale, dei rapporti tra meteorologia e morbosità umana, padre Paoloni passava a considerare i rapporti fra le singole malattie ed i principali fenomeni atmosferici. È naturale che facesse ciò in rapporto alle conoscenze e competenze scientifiche del tempo. 72 B.Paoloni: La meteorologia nei rapporti con la morbosità umana; in La Meteorologia Pratica, anno XI, n.3, Maggio-Giugno 1930 - VIII, p.129 119 MALATTIE DELL' APPARATO RESPIRATORIO • POLMONITE: si manifesta, nelle forme più gravi, all'inizio della primavera. Quando Paoloni parlò al congresso dei medici di Venezia, la polmonite era ancora una malattia mortale, capace di mietere numerose vittime, soprattutto tra individui giovani, di età compresa tra i trenta ed i cinquanta anni. Provocava, anche se non seguita dalla morte, danno economico nelle famiglie. • BRONCHITE: frequente nei mesi freddi, soprattutto tra gennaio e febbraio. • BRONCOPOLMONITE: frequente nei mesi freddi, come la bronchite. Per alcune forme, le condizioni atmosferiche favorevoli possono essere una condizione ideale se non per la definitiva guarigione, almeno per il miglioramento. • PLEURITE: • TUBERCOLOSI POLMONARE: segue l'andamento delle precedenti. Anche se cronica, subisce l'influenza delle stagioni. Citando lo studio di Woringer73, Paoloni fa notare che il massimo di mortalità per tisi è nel mese di marzo, mentre il minimo è in settembre. I decessi sono doppi nel periodo invernale-primaverile piuttosto che nel periodo estivo-autunnale. Secondo una statistica militare, la differenza è ancora più forte. La causa occasionale delle emottisi, delle insorgenze termiche e congestive è costituita dalle 73 P.Woringer: L'azione del sole nelle malattie infettive. In: La Meteorologia Pratica, anno VII, n.2, MarzoAprile 1926, p.67-70 120 brusche depressioni atmosferiche; i venti secchi sono pericolosi perché capaci di provocare emottoici: dunque è consigliabile che i tubercolotici polmonari soggiornino in paesi poco esposti ai venti secchi. Non è facile dire, in poche parole, se sia preferibile, per i tisici, soggiornare in montagna o al mare. È vero che la tisi è rara a certe altezze, ma poiché ad un'altezza maggiore corrisponde un abbassamento di temperatura, l'aria fredda potrebbe determinare l'aggravarsi dei malati, soprattutto dei più gravi. Paoloni è convinto che al di là della migliore organizzazione, le stazioni svizzere non siano da preferire a quelle italiane. Ritiene che, forse, le stazioni climatiche migliori, le più efficaci per lenire o guarire il male, siano quelle di Venezia, Pisa, Sorrento, Castellammare, Pozzuoli, Salerno, Palermo.... MALATTIE DELL' APPARATO DIGERENTE • GASTROENTERITE: Nei mesi caldi, soprattutto con caldo umido, si diffonde, con notevole frequenza, la gastroenterite. Nei mesi di luglio- agosto, quando parlava Paoloni, si verificava la maggiore mortalità nei bambini al di sotto di un anno, in particolare a causa di malattie gastroenteriche. Nei mesi invernali, in montagna si verificano, spesso, forme di diarree così diffuse da far pensare a qualcosa di epidemico: colpiscono tanto i bambini che i vecchi. Citando il dottor Leonardi74. Padre Paoloni 74 E.Leonardi: Il freddo il caldo e la salute dell'uomo. Effetti sui neonati. In: La Meteorologia Pratica, anno IV, n.1, Gennaio-febbraio 1923, p.1-3 121 aggiunge che tutto ciò è la dimostrazione che opposte condizioni di temperatura possono produrre, sull'organismo umano, gli stessi effetti. MALATTIE DEGLI ORGANI DI MOTO • REUMATISMO: è frequente, nella forma più intensa, nei periodi di forte umidità, per cui, come risulta da indagini statistiche, si inizia in novembre, ha il suo culmine in gennaio, perdura, con grande frequenza, fino a maggio, diminuisce bruscamente in giugno e tocca il suo minimo nel mese di luglio. Padre Paoloni consiglia ai medici di approfondire quanto è stato semplicemente accennato dal professor Fazio nel suo trattato (Trattato d'Igiene, Napoli 1866) cioè che l'elettricità dell'organismo nelle affezioni reumatiche scompare improvvisamente per ricomparire gradatamente. Ad avviso di Paoloni è questo un fenomeno da porre in relazione con un altro fenomeno: alcune persone, affette da reumatismo cronico, avvertono il risvegliarsi dei disturbi all'avvicinarsi di un temporale. • ARTRITISMO: è una malattia da connettere alla precedente per il fatto che non pochi pazienti risentono dell'acutizzarsi della stessa in concomitanza di temporali e altri mutamenti atmosferici. Padre Paoloni riferisce ai medici i risultati dell'indagine condotta, in una clinica inglese, dei quali ha parlato il dottor De Luca in un suo articolo pubblicato nella rivista La Meteorologia Pratica: su un campione di 367 sofferenti di artritismo 122 infettivo non specifico, il 90 per cento presentava grandi sofferenze durante i temporali mentre nei giorni sereni quegli stessi pazienti, se si lamentavano, lo facevano moderatamente e, addirittura, in un periodo di bel tempo continuato lasciavano conoscere un sorprendente miglioramento. Al contrario, misurando per tre mesi, con un elettroscopio a foglie d'oro, lo stato elettrico dell'atmosfera, non si è trovata alcuna relazione. Padre Paoloni è dell'avviso di osservare l'elettricità atmosferica con il sistema auricolare e ricorda di aver introdotto lui stesso tale sistema quindici anni prima avvalendosi di apparecchi radiotelegrafici dove il "registratore" è rappresentato "dalla stessa mano dell'osservatore che scrive ciò che l'orecchio sente e l'intelligenza si sforza di capire". • GOTTA: è l'aria fredda e umida a favorire la dispersione calorica alla superficie del corpo umano e, di conseguenza, il verificarsi di forme reumatiche gottose frequenti, soprattutto, in primavera ed autunno. Purtroppo, come per altre malattie degli organi di moto, come fratture, artro-sinoviti, osteoropatie tubercolari.... mancano osservazioni scientifiche sull'andamento meteorico-patologico. MALATTIE DELL' APPARATO CIRCOLATORIO • APOPLESSIA: Padre Paoloni, citando De Renzi, afferma che queste si verificano soprattutto con estati caldissime e secche. 123 ESANTEMI • MORBILLO: si tratta di una malattia dell'infanzia che esplode in primavera. Però nei bambini non c'è regolarità nella comparsa e scomparsa della malattia, per cui non si può stabilire un rapporto con la stagione. Anzi, dato che la malattia può verificarsi anche in adolescenti o in adulti, in questi si presenta con frequenza tra dicembre e febbraio, raggiungendo l'apice in marzo e diminuendo regolarmente, da aprile a maggio; quelli estivi sono solo casi sporadici. • SCARLATTINA: ha le stesse caratteristiche del morbillo, tanto per i bambini che per gli adulti, irregolare nei primi, regolare, con andamento invernale-primaverile, nei secondi: lo stesso andamento può riscontrarsi nel vaiolo, nella parotite epidemica e in altri esantemi. MALATTIE INFETTIVE • TIFO: è una malattia che ha uno stretto rapporto con i fenomeni meteorologici della stagione estiva-autunnale, o meglio con la sola temperatura. Si è dimostrato che la pressione barometrica, la pioggia, l'umidità, i venti, non hanno rapporto con la diffusione del morbo, mentre questo è strettissimo con la temperatura dell'aria tanto che la linea di questa e la linea della diffusione della tiroide decorrono parallele con un minimo invernale ed un massimo estivo-autunnale. È sorprendente constatare come la malattia, del tutto assente o rara nel mese di gennaio, cominci a presentarsi in maggio, si diffonda in giugno 124 per raggiungere il massimo in agosto, settembre, ottobre per diminuire rapidamente nei mesi successivi. • INFLUENZA: non è facile definirne il momento dell'insorgenza, ma stando a quanto ha affermato il professor Madsen, danese, durante una conferenza tenuta al Corso internazionale d'igiene della Società delle Nazioni, che sulla base di statistiche risulta che nel periodo 1900-1917 il massimo dei casi d'influenza si ebbe in febbraio e il minimo in agosto, mentre nell'epidemia del 1918 la frequenza fu irregolare. Normalmente, anche in caso di pandemia (1889-1890) la maggior diffusione si ha nelle stagioni di passaggio, primavera e autunno, mentre nelle epidemie, una volta iniziatosi il ciclo e sviluppatosi anche con violenza, queste possono prolungarsi anche nelle stagioni successive, ma è certo che le stagioni favorevoli all'esplosione del ciclo infettivo sono la primavera e l'autunno. • MALARIA: Padre Paoloni non si pronuncia su questa malattia poiché non ha i dati adeguati per considerare il rapporto di essa con i fenomeni atmosferici. Attenendosi però alla relazione del professor Casagrandi, che si è occupato del morbo nella zona di Cagliari osservando che esso e la possibile mortalità sono più forti nelle annate piovose, Padre Paoloni considera che forse non è la pioggia di per se stessa a favorire la malaria, ma la conseguente umidità: è noto, infatti, che questa malattia imperversa nelle zone più umide. 125 MALATTIE DELL' APPARATO NERVOSO • EMORRAGIA CEREBRALE: basandosi su quanto scritto e pubblicato, nel 1922, nelle pagine di La Meteorologia Pratica, dal dottor Leonardi, Paoloni fa rilevare l'influenza tanto dal freddo quanto dal caldo. Come uno stimolo di freddo, all'esterno, produce la contrazione periferica delle arterie, e quindi la congestione interna, altrettanto uno stimolo di caldo può produrre la dilatazione periferica con anemia all'interno. È proprio questo il meccanismo che determina la morte, per emorragia cerebrale, nei mesi estivi. Padre Paoloni vuol sottolineare che più di vera e propria emorragia cerebrale si dovrebbe parlare di rammollimento cerebrale; a suo avviso la distinzione è importantissima agli effetti pratici di una terapia poiché si potrebbero consigliare particolari trattamenti terapeutici e residenze adatte, tanto in inverno che in estate, a seconda che la persona in oggetto sia un iperteso o un ipoteso. • POLIOMELITE: è un'infezione estivo-autunnale. Le varie epidemie si sono manifestate in estate e sono scomparse con l'inverno. • MENINGITE CEREBRO SPINALE: si manifesta in inverno, ha il suo apice tra febbraio e aprile, è più intensa con il tempo umido. È di tipo invernale-primaverile. Per quanto riguarda la MENINGITE TUBERCOLARE afferma, basandosi su quanto sostenuto dal dottor Cozzolino, che sia di tipo primaverile-estivo. 126 • EPILESSIA: si basa su una statistica del Lombroso per affermare che l'elemento degli accessi epilettici, come dei maniaci, si ha nei giorni di massima pressione barometrica con vento di sud. Aggiunge poi che De Renzi aveva notato l'aumento di eccessi di epilessia in estati molto caldi e secche come l'accumulazione all'approssimarsi di un temporale. • PSICOSI: Padre Paoloni ricorda quanto affermato da Lombroso (Pensiero e Meteore, Milano, 1878) relativamente all'influenza delle condizioni atmosferiche sullo sviluppo dell'alienazione mentale e quanto scritto dal professor Amaldi, direttore del Manicomio di Firenze, nella Meteorologia Pratica, per quanto riguarda gli stati dei maniaci e dei malinconici in rapporto al ritmo stagionale. Ricorda, il Paoloni, che ogni forma di alienazione mentale è una malattia, "uno stato morboso di qualche parte dell'apparato nervoso". Afferma che tutti gli psichiatri si trovano d'accordo nell'affermare la maggior frequenza dell'alienazione mentale in periodo estivo, mentre in primavera o autunno si ha il maggior numero di guarigione dei pazzi. Ad accrescere i parossismi maniacali contribuiscono la nebbia, l'umidità ed il vento del sud mentre la neve li porta a diminuire. Don Paoloni, che non poteva prevedere la legge 170 sulla chiusura dei manicomi, auspicando uno studio specifico sul rapporto malattia mentale e clima, si augura la costruzione dei manicomi in luoghi e in climi favorevoli alla guarigione o al miglioramento di dette malattie. 127 • SUICIDI: la cifra più alta si ha nei primi mesi caldi (giugno) e la più bassa in dicembre. Paoloni riporta le statistiche relative redatte da studiosi e sostiene, comunque, che non si è adeguatamente studiato il rapporto tra le funzioni mentali e la meteorologia. Inoltre padre Paoloni ricordava che il 21 aprile 1930 aveva ricevuto da prof. Devoto, al quale, ancora, non aveva risposto, un telegramma con il quale veniva invitato, a nome di tutti i medici radunati a Milano per trattare tale rapporto. Ma lui rispondeva adesso, da Venezia, a nome di tutti i medici ivi radunati, che non si debba solo trattare, ma decidere quali debbano essere i rapporti tra medici e meteorologi. Questa decisione e la data del 12 maggio 1930, deve considerarsi come la data dell'istituzione del Servizio Meteorico Sanitario Italiano che avrà la sua direzione all'Ospedale al Mare del Lido di Venezia. Padre Paoloni invitava i medici presenti ad essere i primi a raccogliere tutte le osservazioni necessarie allo studio proposto, a compilare statistiche, le sole in grado di fornire quei numeri che faranno della meteorologia una vera scienza, una scienza sociale in quanto tutti ne hanno bisogno. Padre Paoloni, precorrendo le richieste dei medici ed intuendo il loro interesse, passava ad esporre il programma, lo stesso presentato, nel 1923, a Catania, al Congresso delle Società italiana per il progresso delle Scienze. La comunicazione del programma e la conoscenza dello stesso era indispensabile ai medici per la collaborazione. Il programma si articolava in tre punti fondamentali: 128 1. È bene che gli osservatori meteorico-sanitari, i quali ben distribuiti, dovrebbero essere almeno uno in ogni regione e, possibilmente, là dove è già presente un osservatorio meteorologico questo perché i dati meteorologici relativi agli anni precedenti e le statistiche mediche conservate dai medici provinciali, sia pur con lavoro retrospettivo, saranno comunque utili negli studi da eseguire. 2. Le osservazioni e gli studi eseguiti in materia di meteorologia sanitaria dovranno essere rivolti a particolari malattie: a) dell'apparato respiratorio (polmonite, bronchite, pleurite, tubercolosi polmonare, tumori) b) malattie dell'apparato digerente (gastro-enterite, coliche, appendicite, epatite, ulcera, tumore) c) malattie degli organi di moto (reumatismo, artritismo, gotta, osteopatie tubercolari, fratture) d) malattie dell'apparato circolatorio (apoplessia) e) esantemi (morbillo, scarlattina, vaiolo, varicella, rosolia, parotite) f) malattie infettive (tifo, influenza, malaria, colera, eresipela, pertosse) g) malattie dell'apparato nervoso (emorragia cerebrale, meningite cerebro spinale, epilessia, psicosi, suicidi) 3. Incaricati di eseguire le osservazioni meteorico-sanitarie saranno il medico e il direttore dell'osservatorio più vicino, tra i due dovrà 129 sussistere la più stretta collaborazione soprattutto per la compilazione del modulo decadico. Il modulo, composto di due tabelle, permetterà di registrare, nella prima, i dati meteorici e, nella seconda, le fasi della malattia. 4. Una volta riempiti, i moduli, alla fine della decade o del mese, saranno inviati all'Istituto Meteorico Sanitario Centrale dell'Ospedale al Mare di Lido di Venezia dove, ugualmente, quotidianamente, saranno eseguite le stesse osservazioni meteorico-sanitarie. Sarà la direzione di detto Istituto ad elaborare, mensilmente, i dati ricevuti dai diversi osservatori ricavando tabelle e grafici per ogni malattia da mettere in relazione con le tabelle ed i grafici dei fenomeni atmosferici, naturalmente della stessa decade o mese, in modo da determinare i rapporti tra malattia e fenomeni atmosferici. 5. Sarà sempre bene notare se le osservazioni si riferiscono ad un paese, ad una famiglia, ad un ospedale o clinica. Sarebbe bene limitare le osservazioni al solo ospedale perché qui i pazienti godono dello stesso trattamento igienico ed è più facile indagare sulla genesi, sviluppo, recrudescenze o guarigioni, quali furono le cause effettive, o predisponenti, provenienti dall'atmosfera o quali furono le cause di origine puramente patologica. 130 Padre Paoloni concludeva il suo discorso con una nota d'orgoglio sottolineando che in quel giorno, finalmente, e su queste basi, stava nascendo il Servizio Meteorico Sanitario Italiano, il primo, in tutto il mondo, ad essere dotato di un programma tanto vasto e sapientemente coordinato. ********** Studiosi di gran nome si occuparono del problema. A tal proposito ritengo opportuno riportare "per intero" quanto scritto da padre Bernardo Paoloni, nella sua rivista, La Meteorologia Pratica: LE RICERCHE DI FEIGE E DI FREUND SUI RAPPORTI TRA FENOMENI METEOROLOGICI E REUMATISMI L'iniziativa presa dal Servizio Meteorico Sanitario Italiano di studiare l'influenza del clima in generale, o di determinati fattori meteorologici, sullo sviluppo e sull'andamento di molte malattie, è stata seguita con particolare interesse non solo dai più eminenti sanitari italiani, ma anche da illustri scienziati stranieri tra cui il Feige e il Freund, dei quali siamo lieti di far conoscere ai nostri collaboratori italiani le importanti ricerche da essi eseguite in Germania sull'influenza dei fattori meteorologici sul reumatismo. 131 Il Freud, medico a Bad Reinerz, nel 1925, essendo malato di reumatismo, poté, con osservazioni fatte su se stesso, seguire attentamente, minuto per minuto, le caratteristiche dei suoi dolori reumatici. Dette osservazioni costituirono un prezioso materiale di studio obbiettivo, materiale che venne poi elaborato dai due autori. Venne messo così in evidenza come nessun elemento meteorologico: pressione, temperatura, umidità. vento, ecc..., preso separatamente, stesse in relazione con l'inizio dei dolori reumatici. Il Feige, direttore dell'Osservatorio meteorologico di Breslau-Krietern, per altra via, sulla scorta di numerosissime osservazioni, poté stabilire che lo stimolo ai dolori reumatici veniva dato non dalla variazione di singoli elementi meteorologici, ma dal cambiamento della massa d'aria, come avviene per il passaggio dei fronti del Bjerknes. A tali conclusioni si arrivò sia studiando le reazioni in ciascun individuo preso separatamente, come prendendo collettivamente in esame i numerosi pazienti giacenti negli ospedali. Per le ricerche statistiche gli Autori si servirono delle denuncie di malattia della Cassa Ammalati (Krankenkasse) di Breslavia. Con i dati forniti da questo ente, si poté stabilire, in linea generale e in maniera ben netta, come ogni volta che si aveva un forte aumento di denunzie di ammalati, passava su Breslavia un fronte. Riporto un esempio significativo citato dagli AA. : 132 Il 25 aprile 1925 si dava la seguente notizia: Nella mattinata dolori reumatici deboli, verso sera dolori piuttosto forti". L'ultima notizia corrispondeva con le dichiarazioni della serie di osservazioni degli ammalati di reumatismo. La mattina del 25 aprile 1925 era meteorologicamente caratterizzata da un fronte che si estendeva lungo la linea Liegnitz-Praga-Linz, dove, a Ovest di questo confine, si aveva aria fredda polare e ad Est della stessa aria calda subtropicale. Nel pomeriggio del 25 questo fronte caldo era già sopra Breslavia, e avanzando verso levante, aveva improvvisamente portato al raffreddamento. La temperatura massima di questi giorni in Breslavia era di 9°C., mentre a Bad Reinerz, dove il fronte non era ancora giunto, il termometro segnava 13°C. A pomeriggio inoltrato il fronte aveva passato Bad Reinerz e alla sera del 25 stava in direzione Konigsberg-Lodz-Gleiwitz-Budapest. A ponente di questa linea, sopra quasi tutta la Germania orientale fino all'Elba inferiore e all'Oder, dominava la pioggia con correnti aeree da Ovest fino a Nord Ovest, mentre a levante si avevano correnti da Sud Ovest senza alcuna precipitazione. Da una parte e dall'altra del fronte la diversità della temperatura era evidentissima: infatti a Danzica si avevano 7°, contro 13° a Konigsberg; a Breslavia e a Posen 8° contro 17° a Varsavia e a Cracovia; a Presburgo 10° contro 17° a Kaschau. Nel lavoro originale vengono segnalati tutti i casi di passaggio di fronti e le relative conseguenze su gli ammalati; cioè comparsa di forti dolori al passaggio di fronti freddi, e in due casi questi fronti sono seguiti anche da temporali. 133 A volte si fanno notare per i dolori anche i passaggi dei fronti caldi, ma in questi casi si notano dolori leggeri o moderati. Alle volte anche le occlusioni e le divergenze portano dolori leggeri e di poca entità, come nel caso di fronti caldi. I giorni senza dolori erano senza eccezione caratterizzati da masse d'aria completamente omogenee, e precisamente, nella maggior parte dei casi, da masse d'aria calda. Esaminando le coincidenze fra le denuncie della Cassa Ammalati e il passaggio del fronte freddo o caldo e l'inizio di fohn, si vede chiaramente come in tutti i passaggi aumenti la morbilità; durante l'intervallo il numero delle denuncie diminuisce; solo dal 28 al 29 ottobre aumenta senza concorso di cause meteorologiche. L'aumento della morbilità dovuto al passaggio dei fronti o del fohn non si può spiegare con il solo andamento della temperatura, perché se la temperatura fosse la causa determinante i dolori, gli ammalati dovrebbero soffrire ogni volta che essi (per es. d'inverno) uscissero da una stanza riscaldata all'aria fredda, e questo anche se la differenza della temperatura fosse più grande di quella che si verifica durante il passaggio dei fronti. Questo fatto viene messo in chiara evidenza perché durante il passaggio di un fronte i dolori si avvertono anche nelle abitazioni. Come abbiamo detto, è evidente che non si tratta di un unico elemento agente, ma di un improvviso cambiamento della costituzione fisica della massa d'aria. 134 I dolori si verificano in un organismo ammalato di reuma il quale non ha la possibilità di reagire abbastanza rapidamente alla influenza della massa d'aria improvvisamente variata, come avviene invece in un organismo sano. Le funzioni fisiologiche non sono ancora ben conosciute, ma forse si tratta di fenomeni di chimica colloidale nelle cellule. Da numerosi lavori fisiologici su l'elettrostatica cellulare, e su l'elettropia, sappiamo che esistono molte malattie, nelle quali entrano in gioco l'elettricità e l'andamento dello stato di turgore delle cellule. Le correlazioni tra i fenomeni elettrici e lo stato colloidale dell'atmosfera sono trattate anche dallo Schmauss e dal Wigand. Ma non è possibile che l'elettricità fig. 1 dell'atmosfera sia l'unico fattore in gioco, perché è anche evidente l'influenza egli altri elementi meteorologici, i quali variano durante il passaggio del fronte. Se si definisce come temperatura equivalente W la somma t + 2f, dove t è la temperatura centigrada dell'aria ed f l'umidità assoluta espressa in gr/m.3, la grandezza W esprime, in certo modo, le proprietà caratteristiche delle diverse masse di aria nei riguardi igienici e medici, e, difatti, dall'esame della figura 1 135 si rileva come all'andamento della temperatura segua la curva di morbilità; la curva di morbilità mostra un ritardo rispetto a quella della temperatura equivalente, e ciò perché gli ammalati non vengono denunziati nello stesso giorno in cui sono colpiti dall'infermità, ma nei successivi. Il fatto dunque che molti reumatici dicono di poter prevedere il tempo e specialmente la pioggia, è probabilmente dovuto alla relazione esistente fra il passaggio dei fronti e gli attacchi reumatici. Osservando una sezione dell'atmosfera in istato di fronte freddo e caldo rispettivamente schematizzato secondo la teoria del Bjerknes, possiamo vedere come la pioggia cada quando si ha lo slittamento dell'aria calda davanti al fronte caldo (a) (pioggia generale; fig. 2). Se invece l'aria fredda irrompe sotto l'aria calda (b), la precipitazione si ha dietro il fronte freddo sotto forma di acquazzoni o temporali. Tali situazioni possono eventualmente venire prevedute dai reumatici, perché le precipitazioni cadono dietro il fronte, e in tal caso si hanno i dolori. Nel caso del fronte caldo invece il reumatismo non può prevedere la pioggia, perché questa cade prima dell'arrivo del fronte caldo. Il Feige e il Freund con il loro lavoro hanno dato pertanto un nuovo e originale contributo alla conoscenza di questi fenomeni. Vi sono dei casi apparentemente in contrasto con le idee sopra esposte; il che può accadere quando i dolori reumatici avvengano indipendentemente dai fronti, come nei casi di reumatismo di origine traumatica, di gotta, ecc. 136 fig. 2 Sarebbe forse opportuno non classificare queste malattie come un vero e proprio reumatismo; si verrebbe così a restringere anche il significato di reumatismo, che oggi è troppo generalizzato. Le ricerche portano alle seguenti conclusioni: 1. gli elementi meteorologici presi isolatamente non stanno in relazione con i dolori reumatici; 2. considerando invece il complesso della massa d'aria secondo la teoria frontologica, viene spiegata la stretta correlazione fra il passaggio dei fronti e i dolori reumatici; 3. i dolori diminuiscono dopo il passaggio del fronte freddo e in modo più rapido che dopo il passaggio del fronte caldo; 4. i dolori dei reumatici sono preceduti dalla diminuzione dell'acclimatizzazione dell'organismo reumatizzato alle variazioni fisiche della massa d'aria prima e dopo i fronti, mentre gli individui sani sono insensibili a queste variazioni; 137 5. i reumatici possono prevedere al massimo gli acquazzoni e i temporali, ma non le piogge minute generali.75 75 B.Paoloni: Le ricerche di Feige e di Freund sui rapporti tra fenomeni meteorologici e reumatismo in La Meteorologia Pratica, anno XV n.2 Marzo-Aprile 1934-XII, p.85 138 INTUIZIONI, REALIZZAZIONI ED INVENZIONI DI PADRE BERNARDO PAOLONI FOTOANEMOMETRO D. Bernardo Paoloni, al fine di chiarire l'importanza dello strumento da lui ideato ed avanzando la proposta per la realizzazione dello stesso, convinto della necessità di misurare la forza del vento, ricordava che già nel corso della prima guerra mondiale i soldati potevano avvalersi di anemoscopi portatili. Questi strumenti erano semplici, ma, al tempo stesso, ingegnosi; erano dotati di un apparato segnalatore che veniva collocato all'interno della trincea mentre, all'esterno, si trovava una banderuola, posta in alto, ben esposta ai venti; la direzione del vento veniva determinata dall'accenzione di una o due piccole lampadine dovuta ad una corrente prodotta dalla rotazione di un rocchetto, mediante una manovella, davanti ad una calamita: le lampadine che si accendevano corrispondevano alla direzione del vento. Conoscere da dove provenisse il vento e dove portasse era di fondamentale importanza per i militari, poteva risultare per essi un buon alleato, ma anche un crudele nemico se si pensa all'uso che si faceva, in guerra, dei gas asfissianti che, naturalmente, venivano trasportati dal vento. Questi apparecchi, anche senza l'aiuto di registratori, potevano misurare, a distanza, la velocità del vento, con precisione, ma avevano un difetto: non erano pratici ed erano costosi. Certo che Paoloni doveva aver nutrito forte interesse per la misurazione del vento se ricordava che, già nel 1910, non contento della direzione del vento fornitagli ad 139 ogni chilometro da un anemografo, aveva aggiunto nove perni alla ruota dentata mossa dalla vite perpetua del mulinello. Don Bernardo, sempre scrupoloso ed attento osservatore, aveva preso atto, prima di muoversi in prima persona, di tutte le conoscenze in materia e delle relative realizzazioni. Ricordava che L'Osservatorio di Badia di Casamari, fondato nel 1910, non era dotato di anemografo, ma si avvaleva della banderuola di un vecchio anemografo che il direttore dello stesso faceva accendere, nel suo ufficio, le lampadine corrispondenti alle otto direzioni del vento. Considerava anche l'esperienza dell'ingegner Ranzi, di Roma, che nel 1931, nelle pagine della "Meteorologia Pratica" aveva descritto un suo indicatore elettrico del vento. Preso atto di tutto, il Paoloni era categorico: tanto i dispositivi citati , quanto altri erano incompleti e difettosi: a tal punto che nessun osservatorio li aveva adottati, pur nel bisogno di avere uno strumento capace di determinare la velocità del vento. Don Paoloni aveva maturato la convinzione della necessità di avere un anemometro semplice, esatto, valido a determinare la direzione del vento e, cosa non indifferente, poco costoso. Dopo aver valutato tutte le problematiche legate all'aerologia, al lancio dei palloni piloti, alle difficoltà degli avieri ed ai loro bisogni in fatto di misurazione del vento e considerato che la misurazione dello stesso veniva effettuata con apparecchiature approssimative, il monaco ritenne più che necessario avere a disposizione un dispositivo capace di eliminare tutti i difetti degli anemometri, a mano e dei registratori. Era fermamente convinto di essere 140 riuscito nel suo intento con l'invenzione del FOTOANEMOMETRO ed era corroborato nelle sue idee dalla testimonianza di quegli avieri che avevano fatto uso del suo strumento. Fotoanemometro Paoloni custodito all'interno dell'Osservatorio Sismico "A. Bina" di Perugia 141 COME E' COSTRUITO E COME FUNZIONA IL FOTOANEMOMETRO fig. 1 Fotoanemometro Paoloni strumento trasmettitore Particolare del fotoanemometro 142 Alla ruota A, mossa dalla vite perpetua B (fig.1) sono stati applicati dieci perni, che fanno scattare dieci volte ogni chilometro, cioè ad ogni cento metri di vento, la leva C, la quale, ad ogni scatto, fa chiudere un circuito, corrispondente ad uno degli otto settori isolati dell'asse D della banderuola. Quando l'apparecchio è in funzione, una delle otto lampade elettriche, corrispondenti ai detti otto settori, rimane continuamente accesa, e spostandosi la banderuola, si smorza una lampada e si accende quella vicina, oppure se ne accendono contemporaneamente due, indicando così con maggiore precisione anche le direzioni NNE, ENE, ESE, SSE, SSW, ecc. Ad ogni cento metri, cioè come si è detto, ad ogni scatto della leva C, nello stesso tempo che sono sempre accese una o due delle lampade indicanti la direzione del vento, si accende la nona lampada, la quale illumina per un fig. 2 Fotoanemometro Paoloni (strumento ricevitore) 143 istante il piccolo disco del quadrante centrale della fig. 2. Questo è il quadrante di un contasecondi, il cui movimento di orologeria fa scattare ad ogni secondo la lancetta e riesce facile determinare quanti secondi intercedono fra due scatti consecutivi, ossia fra due illuminazioni del disco. Mentre l'apparato esterno è sempre in funzione, quello interno si mette in comunicazione con quello esterno per mezzo dell'interruttore solo quando occorre conoscere la direzione e la velocità del vento, e in tal modo non si ha alcun consumo di energia elettrica quando l'apparecchio non serve. Come è indicato nelle istruzioni delle due tabelle annesse ad ogni apparecchio, per mettere questo in funzione basta inserire il detto interruttore, osservare su quale secondo capita la lancetta del contasecondi allorchè s'illumina per la prima volta il piccolo disco, e poi su quale secondo essa capita di nuovo quando lo stesso disco si illumina per la seconda volta, notando quanti secondi sono trascorsi tra la prima e la seconda accensione; cioè in quanti secondi l'anemometro ha misurato 100 metri di vento. Si passa quindi alla tabella I, e se per esempio tra la prima e la seconda illuminazione del disco trascorsero 30S, si troverà nella tabella che a 30S dalla colonna A corrispondono nella colonna B. m. 3.3 al secondo e nella colonna C km. 12 all'ora. La tabella I serve per venti deboli o moderati, mentre per quelli che superano i 30-40 km. all'ora si ottiene maggiore precisione usando la tabella II, nella quale le cifre della colonna A non indicano più l'intervallo in secondi tra due osservazioni consecutive, ma quante volte il disco bianco s'illuminò in 100 144 secondi, e si troverà che ad ogni accensione (ossia ad ogni 100 metri di vento) corrisponde esattamente un metro al secondo. E' vero che, se per esempio in 100 secondi si verificano 10 accensioni, l'ultima di queste raramente avviene esattamente al centesimo secondo, ma dato che le segnalazioni di questo fotoanemometro avvengono ad ogni 100 metri, e non ad ogni mille come negli altri anemometri, sarà facile calcolare a stima un mezzo metro in più o in meno, secondo che l'ultima accensione sia avvenuta qualche secondo prima o dopo. Del resto, mentre questo piccolo difetto si riscontra in tutti gli anemometri elettrici, anche se registratori, è da notare che il fotoanemometro è stato ideato per sostenere principalmente gli anemometri a mano,coi quali, come è noto, si hanno delle differenze molto più grandi tra un' osservazione e l'altra, dovute non tanto all'incostanza del vento, quanto agli accennati difetti di essi e alle difficoltà di poterli usare bene. Chi poi volesse ottenere dal fotoanemometro una precisione ancora maggiore nella misura della velocità dei venti forti, cioè i decimi di metri al secondo, non ha che da eseguire dieci osservazioni consecutive in base alla tabella I, prendendo cioè nota dei secondi trascorsi tra l'una e l'altra delle dieci accensioni e dei metri al secondo corrispondenti a ciascuna osservazione e facendo poi la media dei dieci valori ottenuti. Tutto ciò, tra osservazioni e calcoli, non richiede più di tre o quattro minuti di tempo, se il vento è forte, mentre se è debole si potrà ottenere la stessa precisione con la media di sole due o tre osservazioni. In pratica sarà opportuno ripetere almeno due volte le 145 osservazioni, dato che la velocità del vento non è mai uniforme, e il fotoanemometro, come tutti gli anemometri elettrici, totalizza lo spazio percorso dal vento nelle singole raffiche, consentendo così il calcolo della media velocità in determinati intervalli di tempo. Per mostrare come le due tabelle siano riuscite razionali e complete, sono suddivise anche in rapporto ai dodici gradi della Scala Beaufort Internazionale, qui appresso riportate, per comodità di quelli cui possa interessare. SCALA BEAUFORT INTERNAZIONALE Grado Velocità Velocità Nome del vento Caratteri m/sec. km/ora 0 0-0.5 0-1 calma calma; il fumo ascende verticalmente I 0.6-1.7 2-6 bava del vento il fumo piega il vento II 1.8-3.3 7-12 brezza leggera vento sensibile; muovono le foglie III 3.4-5.2 13-18 brezza tesa foglie e banderuole sono agitate IV 5.3-7.4 19-26 vento moderato le banderuole sono tese; muovono rami V 7.5-9.8 27-35 vento teso muovono rami maggiori; le acque si increspano VI 2.9-12.4 36-44 vento fresco grossi rami agitati; il vento è avvertito dalle abitazioni VII 12.5-15.2 45-54 vento forte alberi agitati; difficoltà di cammino contro il vento VIII 15.3-18.2 55-65 burrasca moderata rami infranti; grossi alberi agitati IX 18.3-21.5 66-77 burrasca forte oggetti e tegole asportati X 21.6-25.1 78-90 burrasca fortissima alberi sradicati o schiantati XI 25.2-29.0 91-104 fortunale devastazioni gravi XII >29 >105 uragano devastazioni gravissime; distruzioni. 146 Come si è detto, sarà facilissimo osservare la direzione predominante del vento, perché si vedrà che appena inserito l'interruttore, resteranno costantemente illuminate una o due delle otto direzioni del quadrante, e sempre le stesse anche se il vento fosse a raffiche. E' chiaro che con un apparecchio così semplificato si può ottenere il calcolo della velocità e della direzione del vento al momento dell'osservazione meglio che con qualsiasi altro anemometro, e perciò esso potrebbe essere molto utile specialmente alle Stazioni Meteorologiche della R. Aeronautica. Queste infatti, dovendo comunicare ogni mezz'ora i dati del vento ai rispettivi Centri, possono utilizzare ben poco il grafico dell'anemometro registratore per la misura della velocità del vento in metri al secondo, non essendo facile calcolare esattamente quanti chilometri furono registrati nell'ultima mezz'ora. E' vero che per la misura della velocità del vento al momento dell'osservazione gli Avieri radioaerologisti hanno anche l'anemometro a mano, ma questo, come già accennato, spesso o non può essere usato a causa del tempo cattivo, o non dà misure abbastanza esatte, specialmente con venti molto deboli o molto forti. Di qui il bisogno che si sente nelle dette Stazioni di un anemometro elettrico che possa indicare a distanza facilmente, con molta esattezza e ad ogni momento la velocità del vento, e che di questo possa precisare con non minore esattezza le 16 principali direzioni della rosa dei venti; e tutto ciò sembra possa ottenersi, col fotoanemometro descritto. Volere specificare ancora più esattamente la direzione del vento, indicandolo cioè in gradi di bussola, è praticamente inutile, 147 oltre che impossibile se si vuole che l'apparecchio sia economico, semplice e di facile uso. Il fotoanemometro può avere due altre utilissime applicazioni negli Aeroporti. La prima è che un solo apparato esterno (situato in alto ed anche molto lontano, qualora fabbricati o altri ostacoli naturali influenzassero il vento presso l'Aeroporto, come spesso avviene) può far funzionare contemporaneamente e indipendentemente parecchi apparati interni simili a quello indicato nella fig. 2; per esempio, uno presso la Stazione Meteorologica, un altro nell'Ufficio del Comandante dell'Aeroporto, altri presso vari uffici interessati, o anche alla portata di qualsiasi aviatore o studioso, cui interessasse conoscere la direzione e la velocità del vento in qualsiasi istante della giornata. E questo sarebbe praticamente un grande vantaggio, data la facilità di usare l'apparecchio e la semplicità delle relative tabelle. La seconda applicazione sarebbe di mettere in comunicazione con l'unico apparato esterno un grande quadrante che funzioni giorno e notte per terra nel centro dell'aeroporto, per comodità di chi deve atterrare; oppure sulla parete più in vista di un edificio dell'Aeroporto, in forma di grande orologio, in modo da potersi osservare da chiunque, anche da lontano, la direzione e la velocità del vento, calcolando quest'ultima con le dette tabelle, che potrebbero essere distribuite in forma tascabile a tutti gli interessati. Tale applicazione sostituirebbe la manica a vento, che di notte non è visibile. Lo stesso fotoanemometro potrebbe essere molto utile per le Stazioni meteorologiche mobili, specialmente durante operazioni militari. A tale scopo 148 l'apparato esterno (di forma e di dimensioni piccole come quelle dell'apparato esterno dei comuni anemografi Richard) verrebbe applicato ad un robusto treppiede mobile che potrebbe essere collocato, su di una adatta terrazza, collegando con un cavo ben isolato l'apparato esterno con quello interno; mentre l'energia elettrica potrebbe essere fornita da qualsiasi presa di corrente stradale, o da accumulatori, usando lampadine che abbiano il vantaggio adatto. Anche in ambienti non aeronautici potrebbe essere molto utile il descritto fotoanemometro, come presso ogni porto di mare, a disposizione e a vantaggio di chiunque deve mettersi in mare specialmente per pesca; nelle Stazioni di Cura e Soggiorno; negli Stabilimenti balneari; negli Ospedali e nei Sanatori dove è spesso utile conoscere la direzione e la velocità del vento; come pure in qualsiasi Osservatorio dove verrebbe certamente considerato da tutti come l'anemometro più semplice e più economico, e nello stesso tempo il più esatto e il più pratico. Quello fatto costruire da Paoloni per la Stazione Meteorologica e Aerologica di Perugia, è costato circa 300 lire tra apparato interno e adattamento di un mulinello e di una banderuola di un antico anemometro. Per costruirne altri più piccoli e più precisi, tra apparato esterno e quello interno non si spenderanno forse più di 500 lire; somma ben piccola, tenendo presenti le parecchie migliaia di lire occorrenti per qualsiasi anemografo e i molti e grandi vantaggi che praticamente ha su questi il fotoanemometro proposto. 149 N.B. I difetti dei comuni anemometri a mano e le difficoltà di quelli registratori nella misura della velocità e della direzione del vento al momento dell'osservazione, hanno suggerito all'autore un fotoanemometro che alla semplicità e alla praticità unisce la più grande esattezza, e che perciò può essere molto utile non solo agli Osservatori, ma anche a tutti quelli cui interessa conoscere la direzione e la velocità del vento in qualsiasi momento della giornata. 150 Tabelle per il calcolo della velocità del vento con il Fotoanemometro Paoloni tabella I per i venti deboli e moderati Grado scala Beaufort m. 100 nello spazio dei seguenti minuti e sedcondi 0 4m 38s - 6m 24s 3m 37s - 4m 37s 0.3 0,4 1 1 2m 59s . 3m 36s 2m 32s - 2m 58s 2m 12s - 2m 81s 1m 56s - 2m 11s 1m 45s - 1m 55s 1m 35s - 1m 44s 1m 27s - 1m 34s 1m 20s - 1m 26s 1m 15s - 1m 19s 1m 9s -1m 14s 1m 5s - 1m 8s 1m 1s - 1m 4s 58-60 55 57 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1.0 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 2 2 3 3 3 4 4 4 5 5 5 6 6 6 I m./sec. per i venti forti km./ora Grado scala Beaufort m./sec. km./ora 28 27 26 25 24 23 22 21 20 3.6 3.7 3.8 4.0 4.2 4.4 4.5 4.8 5.0 13 14 14 14 15 16 16 17 18 19 18 17 16 15 14 5.3 5.6 5.9 6.3 6.7 7.1 19 20 21 23 24 26 13 12 11 7.7 8.3 9.1 28 30 33 10 9 10.0 11.1 36 40 VII 8 7 12.5 14.3 45 51 VIII 6 16.7 60 IX 5 20.0 72 3 33.3 120 A B C III IV V II 52.54 49 51 47 48 45-46 43 44 41-42 40 38-39 36 37 35 34 33 32 31 30 29 1.9 2.0 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 3.0 3.1 3.2 3.3 3.4 7 7 8 8 8 9 9 9 10 10 10 11 11 12 12 12 A B C VI m. 100 in sec. XI XII 151 tabella II per i venti forti Grado scala Beaufort V accens. in 100 sec. 8 9 m. / sec. 8 9 km. / ora Grado scala Beaufort 29 32 X VI VII VIII IX 10 11 12 13 14 15 10 11 12 13 14 15 36 40 43 47 50 54 16 17 18 19 20 21 16 17 18 19 20 21 58 61 65 68 72 76 A B C XI XII accens. in 100 sec. 22 23 24 25 m. / sec. km./ sec. 22 23 24 25 79 83 86 90 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 94 97 101 104 108 112 115 119 122 126 A B C (La Meteorologia Pratica , anno XX, n. 1 Gennaio-Febbraio 1939 pp. 33-34) 152 Istruzioni per l'uso del fotoanemometro 1) S'inserisce l'interruttore della corrente stradale, avendo cura di staccarlo di nuovo appena terminate le osservazioni, allo scopo di evitare inutile sciupio di energia elettrica quando l'apparecchio non serve. 2) Si osserva su quale secondo del quadrante del contasecondi capita la lancetta dello stesso allorchè s'illumina per la prima volta il piccolo disco bianco che è nella parte inferiore del detto quadrante, e poi su quale secondo essa capita quando lo stesso disco s'illumina per la seconda volta, notando quanti secondi sono trascorsi tra la prima e la seconda accensione; ossia in quanti secondi l'anemometro ha misurato 100 metri di vento. Esempio: se tra la prima e la seconda accensione della lampada del disco bianco trascorsero 30 secondi, nella prima parte della tabella I si troverà che a 30 secondi della colonna A corrispondono nella colonna B m. 3.3 al secondo e nella colonna C km. 12 all'ora. 3) Quando il vento è forte si ottiene maggiore precisione usando la tabella II, nella quale le cifre della colonna A indicano quante volte il disco bianco s'illuminò in 100 secondi, e si troverà che ad ogni accensione (cioè ad ogni 100 metri di vento) corrisponde esattamente un metro al secondo. Chi poi desiderasse una precisione ancora maggiore nella misura della velocità dei venti forti, non ha che da eseguire dieci osservazioni consecutive usando la tabella I, prendendo cioè nota dei secondi trascorsi tra l'una e l'altra delle 153 dieci accensioni e dei metri al secondo corrispondenti a ciascuna osservazione, e facendo poi la media dei dieci valori ottenuti. 4) Sarà facilissimo osservare la direzione predominante del vento, perché si vedrà che appena inserito l'interruttore della corrente stradale, resteranno costantemente illuminate una o due delle otto direzioni del quadrante dell'apparecchio, e quasi sempre le stesse anche se il vento fosse a raffiche76. 76 La Meteorologia Pratica, anno XVI, n.1 Gennaio-Febbraio 1935-XIII pp.69-70 154 IMPORTANZA DELLA METEOROLOGIA E DIFFUSIONE DELLA RIVISTA “LA METEOROLOGIA PRATICA” La meteorologia è quella scienza che si occupa dell'atmosfera e di tutto ciò che è ad essa relativo. Studia i fenomeni atmosferici e li valuta attraverso strumenti specifici. Il meteorologo osserva attentamente l'atmosfera e, in base al comportamento di essa, rileva il clima di un determinato territorio; ma fa di più: considera l'influenza del clima sugli esseri viventi, sia animali che vegetali. Si può parlare, dunque, di climatologia e biometeorologia. Convinto dell'importanza della materia, della necessità della conoscenza degli argomenti studiati, soprattutto per l'aeronautica, e rispettando la volontà dell'allora ministro della guerra, Bonomi, don Paoloni profuse tutto il suo impegno nella realizzazione e diffusione della rivista e non poteva che sentirsi soddisfatto quando molti comandi militari ne chiedevano le copie. Ciò poteva avvenire anche grazie alle disposizioni del generale Siebert, ispettore dell'Aeronautica Militare che raccomandava a tutti gli Enti, da lui dipendenti, "che contraessero abbonamento alla rivista di Montecassino allo scopo di divulgare e volgarizzare le cognizioni di meteorologia e rendere questa scienza familiare essenzialmente per il personale navigante...... che presso ogni comando vengano tenute regolarmente al personale dipendente conferenze di meteorologia, in modo che anche in tale materia possa perfezionarsi e completarsi la coltura del personale aeronautico"77. 77 Appunti e Notizie: in La Meteorologia Pratica, anno I, Luglio-Dicembre 1920, p.191 155 Don Paoloni non intendeva certo tenere lezioni dalle colonne della sua rivista; molto umilmente chiedeva la collaborazione di tutti i suoi lettori, soprattutto dei piloti, ai quali ingiungeva di inviargli, a scadenza mensile, delle relazioni sia relative a conferenze che alle condizioni atmosferiche incontrate durante il volo. Chiedeva, dunque, quei rilievi che solo il pilota, o il personale navigante, è in grado di fare. Tale richiesta presentava un duplice aspetto: entusiasmare i piloti, ai quali consigliava di tenere un "diario di bordo" da compilare in itinere o subito dopo l'atterraggio, ed avvalersi di una documentazione di prima mano, unica. I piloti venivano invitati a descrivere minutamente le condizioni atmosferiche nelle quali il viaggio si era svolto, a parlare delle eventuali difficoltà, a quale altezza esse si fossero verificate e ad individuarne le cause: nebbia, pioggia, venti. Paoloni era convinto, sia per lo studio della meteorologia aeronautica che per quella agraria che l'impulso fondamentale dovesse venire dagli addetti ai lavori: chi, più del pilota, può fornire informazioni sull'atmosfera? Chi, più di colui che trascorre la propria giornata tra i campi, può fornire informazioni su di essi in relazione agli eventi? Ad un anno di distanza dall'inizio delle pubblicazioni della sua rivista, don Bernardo non poteva che sentirsi soddisfatto. È forse dall'impulso dato dal Paoloni che prese piede la meteororologia aeronautica. 156 Nel 1923 erano attive 125 stazioni aerologiche militari che, dalle ore otto alle diciannove comunicavano alla Stazione Aerologica del traffico aereo, le proprie osservazioni. La stazione provvedeva alla previsione del tempo, a scopo aeronautico, utilizzando le dette osservazioni congiuntamente a quelle ricevute, tramite telegramma meteorico collettivo, degli Uffici Centrali Meteorologici di varie nazioni78. Le stazioni, 12 nel 1923, erano salite a 55 nel 1925, a 89 nel 1932 e a 199 nel 193979. Gli aeromobili in volo ricevevano, tramite emissione radiotelegrafiche, informazioni sul tempo effettuate da stazioni distribuite sul territorio nazionale (centri R.T.M.), ciò avveniva ogni trenta minuti circa. Si trattava di bollettini cifrati, e dunque era necessario che i radiotelegrafisti conoscessero la cifratura, comune a tutti gli stati. Le onde adoperate per questo servizio erano tre: 230 Kc. (m. 1071): 284 Kc. (m. 1056); 288 Kc. (m. 1041). In Italia trasmettevano su 288 Kc. (m. 1041) le stazioni di: Linate (ILY); Montemoro (IKJ); Lido di Roma (IKO); Castiglione del Lago (IKQ); Bengasi (IMX); Tripoli (IMT). Su 284 Kc. (m. 1056): Bologna (ILA); Lero (IKH); Gorizia (ILL); Venezia (ILS). Su 280 Kc (m. 1071): Brindisi (ILI); Capodichino (ILD); Elmas (ILE); Siracusa (IKA). 78 B.Paoloni: Come nacque e si è sviluppata in Italia la meteorologia aeronautica; in La Meteorologia Pratica, anno XX, n.5 Settembre-Ottobre 1939- XVII, p. 246 79 B.Paoloni: op.cit., 1939, p. 246 157 Le lettere tra parentesi indicano i nominativi radiotelegrafici dei centri R.T.M. Ogni stazione emetteva il bollettino di una circoscrizione nella quale erano dislocati vari posti di osservazione meteorologica. Detti posti comunicavano ogni mezz'ora al Centro R.T.M. corrispondente il loro Bollettino poco prima dell'inizio della emissione radio. Ogni centro emetteva tutto il gruppo dei bollettini della sua circoscrizione. Si riportano qui di seguito gli orari di trasmissione dei centri R.T.M. riferiti ai minuti di ogni ora: Trasmissione su 288 Kc. (m. 1041): Linate (ILY) 10-15, 40-45; Montemoro (IKJ) 15-20, 45-50; Lido di Roma (IKO) 20-25, 50-55; Castiglione del Lago (IKQ) 25-30, 55-60; Bengasi (IMX) 10-15, 40-45; Tripoli (IMT) 15-20, 45-50. Trasmissione su 284 Kc. (m. 1056): Bologna (ILA) 00-05, 30-35; Venezia (ILS) 05-10, 35-40; Gorizia (ILL) 15-20, 45-50; Lero (IKH) 20-25, 50-55. Trasmissione su 280 Kc. (m. 1071): Capodichino (ILD) 00-05, 30-35; Siracusa (IKA) 05-10, 35-40; Elmas (ILE) 10-15, 40-45; Brindisi (ILI) 25-30, 55-60. Oltre a detti bollettini definiti semiorari, veniva effettuata l'emissione dei triorari, cioè ogni tre ore. A differenza dei precedenti emessi dai centri meteorologici regionali, questi ultimi lo erano delle centrali di assistenza del volo e contenevano informazioni relative ad una vasta zona: oltre alla pressione, l'umidità, la temperatura, il tipo di nubi, l'altitudine, la tendenza barometrica. 158 I bollettini triorari erano utili agli aerei, ma anche allo studio eseguito nelle varie centrali per provvedere alle previsioni del tempo. Con l'intensificarsi del traffico aereo, si rese necessaria la creazione di organismi specifici, CENTRALI DI ASSISTENZA DI VOLO LE che studiassero le condizioni meteorologiche di un dato territorio per regolarne il traffico aereo. Un aereo, al momento di decollare, doveva avvisare, via radio, la centrale di assistenza di volo che aveva giurisdizione su quell'aeroporto e durante il volo entrava in contatto con i centri relativi ai territori attraversati. Nei momenti di urgente bisogno, gli aerei potevano immediatamente chiedere l'assistenza del centro del territorio che stava sorvolando. Le Centrali di Assistenza fornivano, inoltre, indicazioni relative alle formazioni di ghiaccio, alle rotte alternative nei momenti di cattiva visibilità, nonché le previsioni del tempo. ********** Nella sua rivista, LA METEOROLOGIA PRATICA, don Bernardo Paoloni80 riportava la notizia, certamente suggestiva, diffusa da differenti giornali francesi ed italiani, secondo la quale sarebbe stato un pittore, il francese Andrè des Gachons, ad escogitare un sistema di previsione del tempo basandosi sul colore e sulla forma delle nuvole. Il pittore, poiché aveva fissato, più di una volta, sulle sue tele i colori delle aurore e dei tramonti, aveva osservato certe 80 (B.Paoloni: Un nuovo sistema per la previsione del tempo; in La Meteorologia Pratica, anno I, LuglioDicembre 1920, p. 151 159 relazioni tra il tempo e le sfumature del cielo. Il colore delle nuvole "è dovuto alla loro intensità ed alla tensione igrometrica dell'atmosfera in cui circolano, dipendendo, in parte, dal raggruppamento e dal volume delle gocciole che rinfrangono o assorbono i raggi solari". Osservando, tre volte al giorno (mattino, pomeriggio, tramonto) il colore del cielo e confrontandolo con la direzione del vento e con le variazioni barometriche e termometriche, era in grado di prevedere, con esattezza, il tempo del giorno successivo e di quello ancora seguente. Faceva ciò per personale interesse, ma anche su incoraggiamento di alcuni membri dell'Istituto Oceanografico. Riportando tale notizia, il Paoloni ne osservava l'originalità, indipendentemente dal fatto che l'intuizione fosse stata di un artista e non di uno scienziato, di un meteorologo. Operando tali osservazioni, contemporaneamente, in vari luoghi, e comunicandole telegraficamente, si poteva procedere a previsioni anche generali. Certamente, i cambiamenti del tempo sono preceduti sempre dal cambiamento del colore del cielo, cioè un dato di fatto, attestato tanto dalla sapienza popolare, tramite vari adagi, quanto dai poeti come, ad esempio, il latino Virgilio che, nelle sue Georgiche, afferma l'importanza dell'osservazione dei colori del cielo al tramonto per prevedere il tempo che farà; a seconda dei colori, secondo Virgilio, si poteva stabilire il tempo delle ore notturne, verso quale direzione il vento potesse spingere le nubi, e quali cambiamenti potessero verificarsi. 160 Secondo Virgilio anche la luna, con i suoi colori, poteva permettere previsioni: "se la luna nuova ha le corna offuscate, indica gran pioggia; se è rossa indica il vento; se al quarto si mostra limpido non vi è dubbio che per molti giorni non si avrà né pioggia né vento"81. Don Paoloni sosteneva che mai la scienza avesse condannato certe credenze ed aggiungeva che, per quanto riguardava il colore del cielo e delle nuvole, fosse riconosciuta l'importanza anche dai meteorologi. Piaceva, quindi, a don Paoloni sottolineare la concordanza delle idee dei meteorologi, di Virgilio e del pittore Andrè des Gachons per quanto riguarda "l'aspetto del cielo e delle nubi alla levata ed al tramonto del sole". Si trattava, a suo avviso, di un sistema antichissimo di previsioni, approvato dall'esperienza e dalla scienza e si augurava che ogni governo avesse dato l'incarico ad un valido artista di ritrarre i colori e le sfumature del cielo, ma consapevole della inattuabilità del suo suggestivo desiderio ne esprimeva uno pratico: aggiungere alle tante osservazioni compiute negli Osservatori quelle che avrebbero potuto essere definite SEGNI della previsione del tempo da attuarsi tre volte al giorno (di mattina, nel corso della giornata ed al tramonto). A coloro che avrebbero potuto osservare che osservazioni siffatte avrebbero avuto una valenza di previsione locale, don Bernardo rispondeva nel rispetto del suo metodo: inviare, telegraficamente, i dati all'Ufficio Centrale di Meteorologia, in base ai segni di previsione locale di tanti punti d'Italia ed in base ai dati scientifici già telegrafati ogni giorno da moltissimi osservatori per 81 Virgilio, Georgiche I, vv. 463, 464, 427, 435 161 poterne derivare previsioni generali del tempo in varie regioni. Paoloni concludeva il suo articolo ingiungendo alle sue 50 Stazioni Meteorico-Agrarie della provincia di terra del lavoro di adottare, sin dal gennaio 1921, le tabelle che allegava. Era convinto che con queste osservazioni empiriche, anche con un numero ridotto di adesioni, e con quelle puramente scientifiche del suo osservatorio, di poter apportare un contributo notevole allo studio delle previsioni del tempo. TABELLA A Segni di previsione del tempo al mattino 1 Il cielo ad Oriente poco prima della levata del sole era sereno ma molto rosso, o giallo carico. 2 Il cielo ad Oriente poco prima della levata del sole aveva molte nubi rossastre disposte a strati. 3 Il sole è sorto rosso. (si può quasi guardare impunemente). 4 Il sole è sorto pallido. 5 Il sole è sorto limpido dall'orizzonte grigio chiaro. 6 Il sole è sorto coi raggi infranti dalle nubi scure. 7 Il sole poco dopo che è sorto si è nascosto negli strati di nubi che coprivano quasi tutto il cielo. 8 La levata del sole è stata preceduta da una nottata di forte vento. 9 Il sole non è comparso affatto e il cielo è tutto coperto. 162 TABELLA B Segni di previsione del tempo al tramonto del sole 10 Il sole tramonta rosso in modo che si può guardare senza restarne offesa la vista. 11 Il sole tramonta ceruleo. 12 Il sole tramonta macchiato. 13 Il sole tramonta limpido. 14 Dopo il tramonto l'orizzonte si fa color rosa o aranciato 15 Il sole tramonta con un firmamento azzurro-carico. 16 Il sole tramonta in sacca in mezzo a nubi di color porpora carico. 17 Il sole tramonta nelle nubi scure e non più riappare, e l'orizzonte rimane cerchiato di nubi. 18 Tramonto sereno e normale. 19 Dopo il tramonto nubi giallo oro e cielo azzurro. 20 Il sole dopo che è tramontato fa vedere una splendida raggiera. 21 La luna piena sorge molto rossa. 22 La luna piena sorge chiara. 23 La luna nuova (nei primi tre o quattro giorni) ha le corna offuscate. 24 La luna nuova (nei primi tre o quattro giorni) ha le corna limpide. 25 La luna che corre, ossia nubi così veloci, che fanno sembrare che corra la luna. 26 Corona (volgarmente pantano) lunare. 27 Alone (cerchio) lunare. 28 Venere, Giove, e altri pianeti, o le stelle più grandi, hanno una piccola corona. 163 TABELLA C Segni di previsione del tempo durante la giornata 29 Straordinaria trasparenza ottica: le montagne lontane sono nitidamente visibili. 30 Le nubi all'orizzonte sono bianche, con contorni non netti, quasi sfumati. 31 Molta foschia. 32 Cappa di nubi o nebbia sul monte che suole indicare la pioggia. 33 Molta nebbia in località vicine. 34 Cirri (nubi bianche, altissime, isolate e a forma di piume). 35 Nubi basse a brandelli e veloci. 36 Cielo costantemente coperto. 37 Il sole si va rasserenando. 38 Nubi temporalesche che si elevano in forma di montagna, o d'incudine, o di colonna (spesso appariscono per più giorni di seguito varie ore prima del temporale). 39 Nubi di color cupo rosso rame. 40 Cielo a pecorelle. 41 Notevole aumento di umidità. 42 Percezione più chiara dei suoni, delle campane lontane, del treno ecc... 43 È incominciato il vento che suol portare la pioggia. 44 È incominciato il vento che suol portare il buon tempo. 45 Molte stelle visibili e fortemente scintillanti. 46 Caldo eccessivo improvviso. 47 Piove, e il tempo cattivo non accenna a cessare. 48 Appare l'iride (s'indichi l'ora nelle note). 49 Segni fisiologici nelle persone(dolori reumatici o di vecchie ferite; malessere abituale al cambiamento del tempo, ecc...). 50 Qualunque segno di cambiamento di tempo dato da animali. 164 al in al Giorni mattino giornata tramonto notizie del tempo, ed altre osservazioni 12 7. 33 32 36 13 4.33 32.33 46 17 33 14 9.33 32.49 17.45 15 9.35 38 32.47 36 16 9 47 32.47 34.47 17 9.32.35 32 34 Bellissima e calda giornata su questo monte; mare di nebbia in pianura. Sebbene in parte sereno, il sole non è comparso mai. (luna quarta). Forte vento di E.N.E. al mattino. Fortissimo temporale dalle 9.15 alle 11.30. Pioggia quasi continua con vento di sud. Sera molti lampi. Pioggia nella notte. Vento debole di E.N.E. 18 9.47 32 17 Sera alto cumoli grandi e fitti da W. 19 9.33.47 32.36 32.36 Al mattino nebbia fitta e pioggerella. 20 9 47 32 47 36.47 Pioggia quasi continua dal mattino alla sera. 21 9.32 32.47 36.47 Nebbia fitta verso sera. 22 9.32 32.36 36.37 Serata in parte serena. 23 7.33 33.37 17.37 Tramonto quasi sereno. 24 5 37 _ 14.37 Bella giornata e senza vento. 25 5 30 26 1.5 30 27 4 33 33 34 17 33 Come ieri quassù, ma in pianura aumenta la nebbia. 28 3.33 32.33 17 32 (a) Bella giornata quassù; in pianura più nebbia di ieri. 29 4.33 33 17.33 (b) Come ieri quassù; in pianura un mare di nebbia alta. 30 9.32 33 17(c) 31 9.32.33 32 17.19(d) (a) Tramonto Temporale e pioggerella nelle ore notturne 14.15.19 Orizzonte leggermente aranciato all'aurora: ottima giornata. 18.19 Bellissima giornata e senza vento affatto. Giornata abbastanza bella e più calda dei giorni passati. Pioggerella al mattino. in sacca, ma le nubi erano poche e molto scure. 165 (b) Non sembrava che il sole fosse tramontato in sacca, ma subito dopo il tramonto si è visto che il cielo ad occidente era coperto di alto strati che si sono fatti prima rossastri e poi sempre più neri. Verso le ore 20 incominciava a sparire il mare di nebbia e a coprirsi tutto il cielo. (c) Subito (d) Al dopo il tramonto le nubi erano rossastre di sotto e scure di sopra. contrario di ieri, le nubi dopo il tramonto erano in basso nere e in alto rossastre. Paoloni, lungimirante, aveva capito che un mezzo importante per permettere, a chi avesse voluto, di conoscere o far conoscere gli sviluppi della ricerca e dell'attività scientifica, era la stampa. Monaco presso il Monastero di Montecassino, già dal 1909 aveva dato inizio alla pubblicazione, periodica, del BOLLETTINO dell'Osservatorio di Montecassino che, nel 1920, univa ad un nuovo periodico, a pubblicazione bimestrale LA METEOROLOGIA PRATICA, "rivista di Meteorologia Agraria, Igienica, Aeronautica, Marittima ecc... e il Bollettino dell'Osservatorio di Montecassino" il cui primo numero uscì nel gennaio-febbraio 1920: era il XII anno del Bollettino di Montecassino. Don Paoloni, presentando la rivista dalla prima pagina del suo primo numero, constatava, con un certo non celato stupore, che la sola Meteorologia, una delle più "giovani emanazioni dell'umano progresso" non avesse, ancora, una rivista specifica che la facesse conoscere ed amare. Certo, qualche pubblicazione in materia esisteva, ma si trattava, unicamente, di scritti del R. Ufficio centrale di Meteorologia e della Società Meteorologica Italiana. 166 Don Paoloni, nel suo articolo introduttivo, richiamava l'attenzione su quanto scritto nella prefazione al Bollettino del 1919: "È necessario che la Meteorologia Igienica metta i suoi fondamenti più che sulla scienza empirica, sull'esperienza del passato, la quale ha scritto le sue leggi più che nei libri, nella mente semplice, ma intuitiva del popolo. È necessario che il medico e il meteorologo più che su troppi libri di carta, studino sul libro della natura, come fa il volgo, le leggi della nostra esistenza e della nostra salute. Ad avviso di don Bernardo è importante tanto che lo scienziato "conosca ciò che insegna la natura quanto che il profano conosca ciò che insegna la scienza. Da qui, giungere allo scopo della rivista è semplice: rendere popolare la Meteorologia utilizzando, a vantaggio della Meteorologia scientifica, le conoscenze del popolo, frutto dell'esperienza. Don Paoloni era consapevole dell'importanza e della difficoltà, ad un tempo, dell'impresa che si accingeva a compiere, ma era fiducioso poiché contava sulla collaborazione di insigni uomini di scienza che gli avevano promesso il proprio contributo. "LA METEOROLOGIA PRATICA tratterà, dunque, in forma piuttosto popolare, di tutti i rapporti che esistono tra l'agricoltura, il commercio, l'aeronautica e l'igiene ed i fenomeni atmosferici, e dei vantaggi che possono ricavarsi dallo studio di detti rapporti".È un programma intenso, pur nella sua semplicità e umiltà. Don Paoloni presentava ai lettori del primo numero della rivista l'organizzazione della stessa, ordinata in parti ben distinte, ognuna delle quali avrebbe conosciuto articoli specialistici a firma di grandi nomi del tempo. 167 La Meteorologia, dunque, può essere suddivisa in cinque parti: METEOROLOGIA AGRARIA; METEOROLOGIA COMMERCIALE; METEOROLOGIA IGIENICA; METEOROLOGIA AERONAUTICA; METEOROLOGIA ENDOGENA. Per ognuna di queste branche della stessa scienza, don Paoloni era prodigo di informazioni. Per quanto riguarda la prima sottolineava i rapporti fra i diversi periodi biologici ed i fattori meteorologici nonché le relazioni fra questi e la patologia vegetale. Era convinto don Bernardo che, al di là di tutto, "ciò che l'agricoltura desiderava...... è la previsione del tempo per sapere se è bene anticipare o ritardare la semina o altri lavori..... o almeno la previsione di perniciose gelate.....". Don Paoloni vedeva strettamente legata alla Meteorologia Agraria, la Commerciale in quanto, scopo di quest'ultima è "studiare le relazioni tra la vita vegetale ed i fenomeni atmosferici, e di suggerire i metodi culturali a seconda delle condizioni climatiche delle varie regioni.... studiare le relazioni tra gli stessi fattori atmosferici e il reddito delle piante rispetto alla produzione media annuale". Mentre la meteorologia agraria si occupava di cereali, viti, olivi, agrumi ed alberi da frutto, quella commerciale si occupava di bachicultura, apicultura, tabacco, canapa, lino, fiori, alberi da bosco, ma anche di pesca. Per quanto riguarda la terza branca della meteorologia, l'Igienica, Don Paoloni ricordava come Ippocrate attribuisse grande importanza alle forze della natura e si limitasse a dirigere l'opera della natura aspettando il compimento delle sue leggi. Mentre per Asclepiade invece il tempo o la natura non avevano alcun 168 influsso sulla malattia, ma tutto era nelle mani del medico. Celso, invece, grande medico antico come i due precedenti, "conservando l'indole osservatrice della scuola Romana" e facendo tesoro di tutte le scoperte sia anatomiche che farmacologiche della Scuola Alessandrina, aveva separato la scienza dai pregiudizi, dalle superstizioni, dagli errori, gettando le basi della medicina pratica e razionale. Celso, inoltre, aveva affermato, all'inizio del primo libro della medicina, che non solo ai sani, ma anche ai malati potesse interessare prestare attenzione alla natura del clima e delle stagioni e, nel primo capitolo del secondo libro della stessa opera, dava inizio all'argomento dicendo "a quali malattie predispongono le stagioni e le vicende atmosferiche"82. L'opera di Celso, dimenticata per ben cinque secoli, sarebbe andata perduta se non fosse stata conservata dai monaci. Fu Cassiodoro che, nel VI secolo, ingiunse ai suoi monaci lo studio della medicina e di farlo avvalendosi dei testi presenti nel monastero, tra i quali nominava proprio quello di Celso. Paoloni citava, ancora, la famosa scuola medica salernitana che ebbe tra i suoi fondatori, sul finire del X secolo, alcuni monaci di Montecassino. Si augurava don Bernardo, che di nuovo, un monaco di Montecassino, qual era lui stesso, che consigliava sulle orme di Celso "a quali malattie predispongono le stagioni e le vicende atmosferiche, potesse essere ascoltato. Forte di tanto passato, don Paoloni non poteva che sostenere l'importanza e lo studio della Meteorologia Igienica, di quella scienza che permette di "studiare la grande influenza che 82 B.Paoloni: La Meteorologia Pratica, anno I Gennaio-Febbraio 1920, p. 4 169 spiegano le varianti meteoriche negli organismi, e le cause meteoriche della genesi e dello sviluppo delle principali epidemie e delle malattie predominanti in ciascuna stagione83. Relativamente alla quarta branca della Meteorologia, quella Aereonautica, il Paoloni ne sottolineava il ruolo specifico avuto già nel corso della prima guerra mondiale e ricordava che dalla Stazione Aerologica di Montecassino, la prima impiantata in Italia dopo quella di Vigna di Valle, continuava a rendere il proprio contributo all'Aereonautica Civile, certamente, con le continue osservazioni, ma anche attraverso le pagine della Rivista al fine di diffondere la cultura meteorica e l'amore per la Meteorologia fra gli aeronauti. La cultura meteorologica, ad avviso del Paoloni, è assolutamente necessaria affinché l'aereonautica continui, senza disastri, nei suoi progressi. Proprio come un buon marinaio è in grado di "leggere" sulle onde del mare l'approssimarsi di una tempesta, così un buon aeronauta deve essere in grado di conoscere l'atmosfera e quelle condizioni meteoriche "che gli favoriranno od ostacoleranno il viaggio"84. Secondo Paoloni è l'ignoranza della Meteorologia, ma anche il disprezzo o la poca importanza data alla stessa che avevano portato al verificarsi di tanti disastri aeronautici. Relativamente all'ultima branca della scienza meteorologica, l'Endogena, il Paoloni, pur confidando nei moderni, sensibilissimi, sismografi e pur considerando i notevoli progressi operati dalla 83 84 B.Paoloni: cit., 1920, p. 4 B.Paoloni: cit., 1920, p. 6 170 sismologia, dichiarava di non poter ignorare, ancora nel 1920, l'importanza di quel telegramma inviato da Fron il 24 gennaio 1872, a Roma, Vienna e Costantinopoli, "che presagiva, in base alle condizioni atmosferiche, il forte terremoto che, realmente, avvenne il giorno appresso": tutto ciò non può essere annientato dalla voce dei moderni sismologi proprio come non possono essere distrutte le prove ed i fatti che il De Rossi (fine secolo XIX) aveva raccolto nel suo volume "La Meteorologia Endogena" e nei Bollettini da lui stesso pubblicati. Certo, sono stati effettuati nuovi studi "sulla natura dei fatti che riproducono la forza endodinamica, da Stoppani giudicata come vivente", studi che meritano di essere conosciuti. In considerazione di tutto ciò e preso atto che ogni ramo del sapere, dall'arte alla letteratura, dall'agricoltura alla medicina, poteva vantare una propria rivista, don Bernardo Paoloni aveva voluto dare, anche alla meteorologia, un suo organo di diffusione e lo fece fondando la rivista "La Meteorologia Pratica". 171 COMPORTAMENTO DEGLI ANIMALI TRA POESIA, SCIENZE ED ANTICHE CREDENZE Don Paoloni si trovò ad affrontare un "problema" non previsto, sorto a seguito di un articolo da lui pubblicato sulla rivista dell' "Osservatorio di Montecassino nel 1920. Nel marzo dell'anno successivo, dalle pagine della stessa rivista, tornò sull'argomento per chiarire, ulteriormente, i concetti da lui esposti. Il discorso verteva sugli eventi naturali e sul presentimento degli animali. È normale che, parlando di un simile argomento, affiorino, alla mente dello studioso, le conoscenze acquisite nel personale percorso di studi classici ed è bello constatare come possano convivere, nella stessa mente, convinzioni filosofiche-letterarie e scientifiche. Il poeta latino Virgilio, nelle sue opere, aveva fatto riferimento, più di una volta, al tempo ed agli animali, ma, secondo Paoloni, " non bisogna dare a ciò che dice Virgilio più importanza di quella che gli dà lui stesso". Ricordava che nel corso di una riunione della Società Francese per il progresso delle scienze, dunque in Francia, era stata letta, nel 1892, una memoria della quale si sosteneva che la tempesta che aveva costretto Enea ad approdare sulla costa Africana di Cartagine, descritta con precisione da Virgilio nel primo libro dell'Eneide, "si svolse secondo il poeta con la precisa successione di fasi e di direzione dei venti, che le leggi dei cicloni, note soltanto da non molti anni, dimostrano corrispondere al passaggio di perturbazioni siffatte". 172 Paoloni, razionalmente, si diceva in accordo con il Disa secondo cui Virgilio fu dotato di un forte senso scientifico del metodo sperimentale che lo aveva portato a grandi e geniali conclusioni85. Ricordava, il Paoloni, che il segretario generale della società francese dell'agricoltura, nell'adunanza del 1894, rendendo omaggio a Virgilio, ricordando il suo verso: felix qui potuit rerum cognoscere causes!, affermò che "possiamo dirci felici" in quanto fruitori di mezzi ben diversi da quelli di cui poteva avvalersi Virgilio stesso. Relativamente al comportamento degli animali, il Paoloni affermava, sempre sulla scorta del Disa, che certi indizi forniti da Virgilio possono avere valore locale. Virgilio aveva accennato ai vari modi di comportarsi, all'avvicinarsi del maltempo, da parte di folaghe, rane, rondini, cornacchie.... e, chiedendosi perché l'uomo, certo più dotato degli animali, non si attenesse al comportamento di questi per le previsioni, si dava una risposta semplice: tutto è dovuto alla speciale sensibilità degli animali. Don Paoloni rilevava che la Revue Scientifique, appena pochi mesi prima del suo articolo, aveva reso conto dei risultati ottenuti dalle osservazioni compiute in molti anni relativamente alla connessione fra l'abbondanza delle vespe ed il carattere del successivo inverno. Notava, ancora, l'osservazione del già citato Disa, non difforme dalle riflessioni di Cooper e Mayne Reid, relativa alla sensibilità dei selvaggi: ebbene, il selvaggio può essere considerato, per sensibilità, alla stregua degli animali; l'uomo civile, invece, sarebbe giunto ad attenuare questa sua facoltà 85 E. Disa: Le previsioni del tempo da Virgilio ai dì nostri. Bocca, Torino, 1900, p.22 173 per lasciar spazio, per lo svolgimento eccessivo di certe attività, ad altre facoltà cerebrali, ad una vita intellettuale e passionale che lo avrebbe portato a prendere il contatto con il suo proprio essere primitivo. Dunque Virgilio aveva intuito una verità fisiologica nel mettere a confronto le sensibilità degli uomini e delle bestie. Paoloni non si dilungava sugli autori classici che hanno prestato attenzione all'argomento, ma preferiva passare direttamente ad un suo contemporaneo, l'entomologo Enrico Fabre, che ha dedicato tanto del suo tempo allo studio del comportamento animale ed ha eseguito esperimenti su un uccello, GEODRUPO STERCOARIO, notando che questi "regola tutte le sue azioni a seconda del tempo che farà". È stato il Fabre a notare il comportamento della PROCESSIONARIA del pino: dotata di due bottoncini sul dorso, estremamente sensibili, che scompaiono alla minima irritazione, esce solo di notte. Secondo Fabre quei bottoncini sono una specie di Arnia, uno strumento di meteorologia, che comunica all'animale il tempo del giorno successivo. Così è per altri animali, dotati di specifiche qualità meteorologiche, specialmente i volatili che, secondo il Marescalchi86, proprio perché vivono nell'aria, possono ottimamente fornire indicazioni sul tempo; in conseguenza di ciò, (siamo agli inizi del XX secolo) si può auspicare che, con lo sviluppo dell'aviazione, l'uomo potrà diventare il migliore previsore del tempo. Paoloni, riportando le opinioni di Fabre e Marescalchi, aggiungeva che gli aerei non sono il frutto di un istinto brutale, ma dell'intelligenza dell'uomo e che questi, solcando i cieli, non lo farà 86 A.Marescalchi: La previsione del tempo in campagna in La Meteorologia Pratica anno II, n.1, GennaioFebbraio 1921, p.23 174 con l'istinto animalesco, ma in virtù della sua mente prodigiosa e dei mezzi a disposizione, per cui le previsioni non saranno qualcosa di irrazionale, ma dovute ad analisi e riflessione. Nonostante ciò desiderava ricordare le qualità della rana che, pur morta negli esperimenti del Galvani, era classificata dal professor Righi (inizi '900) come il primo avvisatore di onde elettriche. Aggiungeva che se la teoria di Galvani fu, al momento, schiacciata da Volta, i risultati ottenuti dal Du Bois-Reymond e dall'italiano Matteucci, relativi all'elettricità animale, hanno dimostrato l'esistenza, negli animali vivi, di correnti muscolari87. Aggiungeva che il Negro88, in base ai suoi studi, intendeva annoverare la rana non solo tra i risanatori, ma tra quelli più sensibili e sosteneva che il Galvani "per le esperienze fatte nel campo dell'elettricità atmosferica deve anche essere ricordato con venerazione quando si studiano i fenomeni elettro-atmosferici". Continuando nelle sue riflessioni, padre Paoloni notava che molti animali, anche con notevole anticipo, presagiscono sia cambiamenti di tempo, soprattutto temporali, che terremoti. Varie sono le ipotesi formulate a tal proposito, soprattutto in relazione al presentimento dei terremoti, ma la più accettata "è che il sistema nervoso degli animali viene stimolato da onde magneto-elettriche che si sprigionerebbero dal suolo prima che si avverte la scossa". Don Paoloni riportava l'ipotesi che, secondo Alfano, spiegherebbe, al 87 Guglielmo Marchi. L'elettricità nei suoi principali fenomeni. Hoelpi. Milano 1913, in La Meteorologia Pratica, annoII, n.1, Gennaio-Febbraio 1921, p.23 88 C.Negro. La rana nell'elettricità atmosferica. Rivista di fisica matematica e scienze naturali, diretta dal Cardinal Maffi. Ottobre 1905, pp.298-300 175 momento tutti i fatti: "GLI ANIMALI PREAVVERTONO la scossa, perché sentono un disturbo nel loro sistema nervoso per il passaggio dell'energia diffusa dall'ipocentro durante il periodo di preparazione della manifestazione sismica"89. Pur trovandosi nella zona dell'epicentro, alcuni animali non preavvertono la scossa perché di sistema nervoso meno sensibile rispetto ad altri della stessa specie che, invece, riescono a preavvertirla. Al momento della scossa sopravviene, in alcuni animali, la calma perché il consumo di energia necessaria potrebbe aver esaurito l'energia elettrica dell'ipocentro. Questa stessa causa spiegherebbe il medesimo malessere che colpisce alcune persone nervose anche prima delle scosse: alcuni si sono svegliati mentre stavano dormendo, altri hanno avvertito come un insolito malore alle gambe e un senso di nausea allo stomaco..... Se l'ipotesi è ben fatta, se i fenomeni non sono dubbi, deve dunque aversi nella zona epicentrale, dice l'Alfano, un passaggio di onde eteree che potrebbero essere svelate da appositi apparecchi. Se queste onde avranno una velocità molte volte maggiore di quelle sismiche, noi potremo avere un preavviso per le scosse almeno pochi minuti prima. Il lampo sismico, le aurore boreali, le tempeste magnetiche sarebbero bene spiegate con questa serie di scariche oscillatorie capaci di sviluppare onde elettromagnetiche. 89 G.B.Alfano. Sismologia moderna. Hoelpi. Milano, 1910 p.250 176 Ciò che dice Alfano dei terremoti si può dire anche, e forse molto più, del tempo, rispetto agli animali. Abbiamo visto sopra che la rana - e così molti altri animali - è un risonatore elettrico, ossia un coherer, assai sensibile. E appunto nel coherer, sono fondati esclusivamente i tentativi in parte riusciti, del Maccioni, dello Stiattesi e di altri moderni sismologi, per preavvisare il terremoto. Appunto sul coherer sono fondati esclusivamente gli apparecchi del Ragona, del Baggio-Lera, del Tommasina, del Popoff, del Turpain, del Fenyi, e tutti i ceraunografi ed altri segnalatori e registratori di temporali; alcuni dei quali annunziano il temporale varie ore prima che giunga sul posto dove funziona l'apparecchio. E se è vero che la rana, a testimonianza dello stesso Righi, è un sensibilissimo avvisatore di onde elettriche, farà meraviglia se, studiando meglio il comportamento di tanti animali nelle diverse condizioni atmosferiche, se ne ricaveranno delle norme che né Galvani né Matteucci né alcuno degli scienziati viventi ha saputo finora ricavare?90. Paoloni completava le sue argomentazioni con l'augurio che presto l'umano possa essere in grado di escogitare un rilevatore, sensibile e perfetto, che gli permetta di prevedere il tempo, ma soprattutto i terremoti, in modo razionale, scientifico, sicuro, senza affidarsi all'istinto degli animali. Affermava ciò solo dopo aver ricordato la riforma di Copernico (1530) nell'Astromeccanica e la fondazione del vero sistema planetario, le leggi di Keplero e le teorie di 90 B.Paoloni: Perché gli animali presagiscono il tempo e i terremoti; in La Meteorologia Pratica, anno II, n.1 Gennaio-Febbraio 1921, p.21 177 Laplace. Se tutto ciò è stato, perché non credere che ancora possano nascere nuovi Keplero, nuovi Newton, capaci di dare alle scienze nuovo impulso? Nuova forza? ********** Parlando del comportamento degli animali non si può dimenticare l'articolo apparso nella "Domenica del Corriere", una rivista settimanale, del 9 novembre 1924 dove si affermava che sono le bestie i più naturali segnalatori, ed anche i più sicuri dei fenomeni sismici, in forza dello stimolo del loro sistema nervoso da parte delle onde elettromagnetiche che si dovrebbero sprigionare qualche tempo prima della scossa tellurica preceduta, a sua volta, da tempeste magnetiche, aurore boreali e lampi sismici. Durante la "preparazione" del terremoto, l'energia elettrica, diffusa dal focolare sismico, scuoterebbe il sistema nervoso degli animali provocando loro malessere ed agitazione. A suffragio di tale ipotesi veniva ricordata la grandissima agitazione mostrata circa venti minuti prima del terremoto di Lisbona del 1755, dagli animali, in particolare i cavalli ed i polli che, rispettivamente, cercavano di uscire dalle scuderie o, arruffando le penne, starnazzavano in preda al terrore. Non solo gli animali, continuava l'articolo, avevano mostrato un comportamento abnorme, ma anche alcune persone, particolarmente sensibili, 178 si erano svegliate di soprassalto, nel cuore della notte, accusando dolori alle articolazioni, alle gambe o nausea. Il professor Giovanni Agamennone, direttore del R. Osservatorio Geofisico di Rocca di Papa, non era assolutamente in linea con quanto riportato dalla nota rivista ed affermava, in un suo articolo, Animali e Terremoti, pubblicato nella rivista La Meteorologia Pratica,91 che stando a tale teorie, dovrebbe verificarsi, nella zona EPICENTRALE, un passaggio di onde eteree che potrebbero essere segnalate da appositi strumenti e dunque, se tali onde hanno velocità maggiore delle onde sismiche potrebbero consentire agli strumenti la segnalazione prima del fenomeno tellurico. Se così fosse, gli apparecchi segnalatori sarebbero costituiti su queste basi e anche gli animali sarebbero gli inconsci, ma veritieri, annunciatori dell'evento sismico. Purtroppo, secondo Agamennone, non si può dimostrare la reale esistenza delle onde elettro-magnetiche e prima di parlare di mezzi segnalatori del terremoto, bisogna appurare questa verità. Ricorda, il prof. Agamennone, che sono stati ideati vari apparecchi segnalatori del terremoto permettendo a riviste scientifiche, ma soprattutto a giornali politici, di pubblicare articoli sensazionali e far credere alla gente che, finalmente, è possibile prevedere i terremoti. Affermando che l'idea delle manifestazioni elettromagnetiche non è nuova, ma del Serpieri e che nell'ottobre del 1909 a Padova, al terzo congresso degli scienziati, il Mondello aveva presentato una sua memoria: "Sulla presenza di onde elettromagnetiche precorritrici del 91 anno VI, n.3, Maggio-giugno 1925 p.119 179 sisma" ricordava il reverendo padre Odorico Grima, O.F.M. del Convento di Sant'Antonio di Gozo, a Malta, che, nel dicembre del 1924, aveva comunicato, all'Ufficio Centrale di Meteorologia, l'invenzione e la realizzazione, sin dal 1922, di un apparato sismico, basato sulla radio-telegrafia e radiotelefonia ed aveva reso nota la cosa al Padre Alfani ed agli altri con i quali aveva effettuato sperimentazioni. Al di là di questo, e riportando l'attenzione sui moderni inventori, Agamennone affermava che se gli strumenti fossero validi e capaci di preannunciare in tempo utile, anche di pochi minuti, il sopraggiungere del sisma, tanto da permettere agli abitanti di mettersi in salvo, il problema sarebbe risolto. Purtroppo, negli ultimi venti anni, non è stato possibile constatare nulla di simile. Si deve, altresì, dimostrare la relazione fra tempeste magnetiche.... aurore boreali.... e terremoti. A proposito del lampo sismico, cui era stata tolta importanza dallo studio, profondo, di un illustre sismologo, F. de Montessus de Ballore, affermava di aver eseguito ricerche, in prima persona, in Calabria sui luoghi di tragici terremoti verificatisi nel 1887 e nel 1905 rispettivamente a Bisagno e Monteleone C. Era indignato l'Agamennone nei confronti dello stesore dell'articolo apparso nella "Domenica del Corriere" che riteneva non a conoscenza dei più recenti studi, ricerche ed indagini svolte sull'argomento. 180 Per non parlare del Cancani92 basti pensare a Montessus de Ballore che, direttore del servizio sismico del Cile, zona sismica, aveva studiato, da vicino, il comportamento degli animali e, dopo ben venti anni di accurate osservazioni e ricerche, aveva concluso dicendo di non aver trovato un solo caso vero che provasse il presentimento degli animali. Va considerato che gli animali, soprattutto i quadrupedi, vivono a stretto contatto con il suolo ed in perenne stato di quiete, non sono disturbati da pensieri, assillati da preoccupazioni come lo è l'uomo. Qualche volta possono mostrare inquietudine molto tempo prima del terremoto, ma può essere che abbiano percepito qualche scossa premonitoria sfuggita alle persone. Se il preannuncio dato dagli animali, come nella maggior parte dei casi avviene, fosse solo di qualche frazione di minuto, ciò è dovuto al fatto che gli animali percepiscono anche le fasi preliminari del movimento tellurico, anche se si tratta solo di tremiti; la persona "invece" si accorge soltanto al momento delle oscillazioni, la seconda fase, che si registrano nei grandi terremoti. È evidente che intercorra un notevole intervallo di tempo fra la fase premonitrice e la seconda, tanto più grande all'origine dello scuotimento e, di conseguenza, l'eccitazione degli animali. Non bisogna, però, pensare che ad ogni comportamento anomalo di un animale possa far seguito un evento sismico come per le persone, come in precedenza detto, sensibili che possono 92 A.Cancani: Sul così detto presentimento degli animali nei terremoti, in Bollettino della Società Sismica Italiana, voll.II pp.66-74, Modena, 1896 181 manifestare qualche malessere. Non è detto che ad un improvviso destarsi, dovuto a dolori altrettanto improvvisi, debba corrispondere un terremoto. A conclusione della sua lunga argomentazione, il prof. Agamennone tornava a parlare delle onde elettromagnetiche, che definiva molto ipotetiche e, riflettendo, affermava che se queste si originano nello stesso istante in cui scoppia la scossa "il loro anticipo alla superficie terrestre, per rispetto alle onde sismiche irradianti dall'IPOCENTRO, non potrebbe essere che assai limitato in quanto che quest'ultime son dotate di una velocità ragguardevole". Riportava, immediatamente dopo, un esempio: "se si assegnasse al focolare sismico la profondità certamente esagerata di 200 km e una velocità di soli 5 km al secondo per la propagazione del moto attraverso gli strati terrestri, le onde elettro-magnetiche, ben più veloci, non potrebbero giungere all'epicentro che con un anticipo di soli 40 secondi, e di poco più per la zona maggiormente colpita attorno al medesimo; e allora il preannuncio diverrebbe praticamente inutile! Se poi queste tanto invocate onde elettro-magnetiche possono essere realmente generate nel focolare sismico un quarto d'ora, o una mezz'ora e anche qualche ora avanti una scossa, come pretendono gli inventori degli strumenti capaci di preannunciarla, noi ne attendiamo la dimostrazione teorica o, quanto meno, quella sperimentale mediante il funzionamento dei loro apparati. E se essi, con onestà e serietà scientifica, potranno realmente provare il potere portentoso degli strumenti da loro espressamente ideati, costruiti e taluni, si dice, perfino coperti da brevetto, noi ci inchineremo dinanzi 182 l'evidenza dei fatti, rinnegando il nostro attuale scetticismo e non lesinando le nostre più ampie lodi ai fortunati inventori. Ma teniamo a dichiarare che le prove devono essere esaurienti, e cioè, che le conferme dei preannunci dei loro strumenti non devono essere del genere di quelle delle famose predizioni che da un anno e mezzo a questa parte ci va regalando il ben noto neo-sismologo di Faenza. All'opera dunque!"93. 93 G.Agamennone: op.cit., 1925, p.122 183 SVILUPPI DELLA METEOROLOGIA A distanza di anni dal "progetto" don Paoloni ricordava di aver pubblicato, nel primo fascicolo del 1921, esattamente nella "Rubrica per aviatori e dirigibilisti" che da quel momento ebbe vita, la prima conferenza, inviata dal Colonnello Armani, comandante del 2° Raggruppamento Aeroplani da bombardamento di Milano, tenuta dal tenente aviatore Virgilio Rivolone, al personale del Raggruppamento. Furono pubblicati, in altri fascicoli, in altri tempi, conferenze tenute presso differenti comandi dell'aeronautica e, soprattutto, interessantissimi articoli di Meteorologia a firma degli studiosi più competenti in materia: Giuseppe Crestani, Filippo Eredia, G. Galeotti, Pericle Gamba, ..... e dello stesso Paoloni. Nel 4° fascicolo del 1927, venne pubblicata una lettera di uno dei tanti, ma importante per il ruolo che ricopriva, collaboratori de "La Meteorologia Pratica". La lettera, datata 1 settembre 1927, portava la firma di Italo Balbo, sottosegretario di Stato al Ministero dell'Aeronautica. Balbo, che scriveva relativamente alla sua "Crociera Aerea Mediterranea", raccontava, con minuzia di particolari, le varie difficoltà atmosferiche incontrate ed il modo in cui le aveva affrontate e superate, dichiarava la sua ammirazione per la rivista diretta da don Bernardo e chiedeva, al Padre, di pubblicare la lettera nelle pagine della stessa rivista. Balbo si mostrava convinto della necessità, per l'aviatore, di avere le competenze necessarie a sfidare i venti, la pioggia, i temporali, il freddo.... la 184 nebbia, e conoscere, gli stessi fenomeni, spesso pericolosi, per poterli evitare in tempo. Divenuto Ministro della guerra, il Balbo diede sempre maggior importanza alla meteorologia. In un discorso tenuto alla Camera il 5 maggio 1933, lo statista affermava "....Recentemente ho indirizzato una lettera molto severa ad un valoroso giornalista che, pubblicando una specie di decalogo dell'aviatore, scriveva fra l'altro che il pilota moderno deve partire con qualunque tempo, senza ascoltare i moderni bollettini meteorologici". A dimostrazione di quanto tenesse alla meteorologia, basti ricordare l'incarico conferito a Filippo Eredia e ad altri notevoli meteorologi di curare l'organizzazione, che fu scrupolosissima, delle sue differenti "Crociere aeree" e, in modo particolare, della seconda duplice "Trasvolata Atlantica del Decennale". Don Paoloni, nell'articolo da lui pubblicato....... ci teneva a ricordare che, al ritorno da quella "missione", il 12 agosto 1933, alle parole da lui rivolte, tramite la rivista: QUI / SUNT / ISTI / QUI / UT / NUBES VOLANT? Il Balbo aveva risposto con un lungo telegramma che cominciava: CIVES ROMANI SUMUS! La meteorologia conobbe un momento di grande considerazione, che segnò una tappa importante per il suo sviluppo, nel 1934. Si tennero in quell'anno, per volontà del direttore generale dei Servizi del Materiale e del Ministero, Generale Felice Porro, sei riunioni di Geofisici e di Assistenti di Aerologia, dei quali era a capo il direttore dell'Ufficio Presagi del citato Ministero, il prof. Eredia. A tali riunioni parteciparono, su invito, pochissimi meteorologici non 185 appartenenti all'Aeronautica tra i quali era lo stesso Paoloni in qualità di direttore di una Rivista "che aveva dato tanto impulso e tanto contributo alla Meteorologia Aeronautica. Gratificante fu per Paoloni l'ordine dato dal generale Porro di pubblicare tutti i resoconti delle sei Riunioni sulla rivista LA METEOROLOGIA PRATICA. Ciò avvenne, gli articoli, che occuparono circa quaranta pagine, costituirono "una rassegna di tutto ciò che fino allora si era fatto in Italia e all'estero nel campo della meteorologia aeronautica. L'esperienza delle riunioni e la volontà di rendere pubblico il contenuto delle stesse, fece avvertire la necessità di avere una rivista che si occupasse dell'argomento, per non ostacolare la normale organizzazione della già esistente rivista del Paoloni. Si riteneva giusto pubblicare, per esteso, "i numerosi ed importantissimi lavori che i Geofisici ed Assistenti venivano presentando a quelle Riunioni". Si sentì la necessità di avere una rivista specialistica che fosse l'organo ufficiale dell'organizzazione, ormai grandiosa, che presso il Ministero si era andata sviluppando, sempre maggiormente, grazie all'impegno dei generali Porro ed Infante e del prof. Eredia. L'organizzazione fu denominata UFFICIO CENTRALE DELLE TELECOMUNICAZIONI E DELL'ASSISTENZA DEL VOLO. AERONAUTICA, Venne fondata la RIVISTA DI METEOROLOGIA diretta dal prof. Eredia, grazie al quale, sin dal 1938 era sorto l'istituto di Aerologia, presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Roma, diretto dallo stesso prof. Eredia. Forse la nuova rivista non avrebbe avuto la diffusione che ebbe se don Bernardo Paoloni non avesse contribuito alla sua 186 conoscenza e diffusione, suscitando curiosità per la stessa presso i suoi lettori con la pubblicazione, ne LA METEOROLOGIA PRATICA, delle sintesi dei più importanti lavori, con l'approvazione del Ministero e del prof. Eredia. Nonostante la nascita della nuova Rivista, LA METEOROLOGIA PRATICA non solo ha continuato ad avere i sussidi dal Ministero, ma ha continuato ad avere abbonati tutti gli Enti aeronautici ai quali potevano essere utili gli studi in materia. La nuova rivista, diretta dal prof. Eredia, era certamente di alto livello scientifico, pubblicava tutte le informazioni utili alla navigazione aerea, gli esiti degli studi fatti per rendere sempre più sicuro il volo, ma avendo un "taglio" fortemente scientifico, non trattava in forma facile, accessibile a tutti, quegli argomenti che tutti i piloti, siano essi militari o civili, dovrebbero conoscere. È giusto che chiunque decida di pilotare un aereo sia informato su ciò che è stato dibattuto e scoperto in materia di sicurezza dei voli. È questo il motivo per cui don Paoloni ha voluto inserire, nella sua rivista, tutti gli articoli, di argomento meteorologico, riguardanti i voli, scritti in forma semplice, quasi elementare. Don Paoloni, che mai ha mancato di senso pratico e concretezza, ha notato come lo studio dell'atmosfera in generale come quello di particolari fenomeni (pioggia, gelo.... umidità.... elettricità atmosferica.... temporali.... nebbie....) riguardino non solo il traffico aereo, ma anche quello marittimo nonché l'agricoltura, sottolineava la necessità di avere un piccolo trattato, elementare, di meteorologia che pur avendo come punto specifico di riferimento l'aeronautica, sarebbe stato più che utile, ad un tempo, agli aviatori, 187 ai marinai, agli agricoltori come ai pescatori ma anche "al personale addetto alle osservazioni delle stazioni aerologiche, nei semafori della Marina, nelle stazioni meteorologiche dei luoghi di Cura, soggiorno e turismo e, in generale, a tutti gli osservatori meteorologici". Venne incaricato di scrivere il trattato in oggetto, il dott. Francesco Musella, geofisico principale della R. Aeronautica che, negli anni 1938-1941, aveva pubblicato, ne LA METEOROLOGIA PRATICA, tanti suoi articoli atti ad illustrare, "con descrizione particolareggiata e figure.... un centinaio di strumenti meteorologici. Il dott. Musella, per il suo opuscolo: DESCRIZIONE DI STRUMENTI METEOROLOGICI, AEROLOGICI E OCEANOGRAFICI COSTRUITI DALLA "SALMOIRAGHI" ha estrapolato, da LA METEOROLOGIA PRATICA tanti articoli funzionali allo scopo seguendo lo stesso metodo per la realizzazione dell'intero trattato. 188 LA METEOROLOGIA PRATICA A PERUGIA E NASCITA DELL'OSSERVATORIO Il trasferimento da Montecassino a Perugia, nel giugno 1931, non riguardò soltanto don Bernardo Paoloni, ma anche la sua rivista. Il monaco, infatti, portò con sé la Direzione della Meteorologia Pratica, lasciando a Montecassino l'amministrazione. Tale decisione aveva una sua logica: la rivista non avrebbe potuto fruire, sull'austero e solitario monte, degli aiuti di cui abbisognava e dei quali, invece, avrebbe potuto avvalersi in Perugia contando sul professor Girolamo Azzi in particolare, sugli assistenti del Laboratorio di Ecologia e sui tanti professori del R. Istituto Superiore di Agraria la cui sede era proprio nei locali del Monastero perugino di San Pietro. Bisogna ricordare che con il trasferimento a Perugia la rivista modificò lievemente il frontespizio in "LA METEOROLOGIA PRATICA- Rivista di meteorologia e scienze affini" e divenne l'organo ufficiale della Società Meteorologica Italiana di cui Paoloni, proprio nel 1931, in occasione del cinquantenario di fondazione, era stato nominato segretario generale94. Trasferito a Perugia, don Bernardo, dunque, poteva provvedere, ben diversamente, alla sua rivista; l'Osservatorio di Montecassino, dal canto suo, non aveva perduto, con il trasferimento, il contributo ed il sostegno di Don Bernardo che continuava a tenere contatti con quel monastero, soprattutto con quel giovane monaco cui aveva affidato la guida dell'Osservatorio Geofisico. 94 M.Mazzucotelli, op. cit., p.286 189 Occorre notare la positività della scelta di don Bernardo, quella di affidare ad un altro, quando lui era ancora vivente, un incarico che egli stesso aveva ricoperto, con soddisfazione, per ben venticinque anni, e che avrebbe, ancora, potuto continuare a ricoprire: così operando, permetteva ad un giovane di fare il proprio apprendistato sotto la sua guida; tornava, infatti, spesso, a Montecassino per dare al giovane confratello tutte le informazioni necessarie, per guidarlo, per raccogliere i suoi dubbi e dare chiarimenti. Al contrario, se avesse scelto di dirigere, fino alla morte, l'osservatorio avrebbe potuto rischiare di far morire, con lui, tutte le informazioni scientifiche in suo possesso non avendone messo a parte alcuno. A Perugia, don Bernardo, avvalendosi della collaborazione del prof. Azzi, si occupò della Rivista e, insieme, dell'Osservatorio Geofisico del R. Istituto Agrario. Nella sede Abbaziale perugina venne impiantata, poco dopo l'arrivo di don Bernardo, una stazione geodinamica che, oltre ad essere tanto utile allo studio dei terremoti dell'Umbria permetteva di ricordare che, proprio in quegli stessi locali, il benedettino cassinese don Andrea Bina, nel 1751, aveva inventato e fatto funzionare il primo sismografo a pendolo. Questo dotto benedettino si era dedicato, non solo, allo studio della sismologia, ma anche a quello dell'elettricità atmosferica e, come ricordato in altra parte del lavoro, aveva pubblicato, sempre nel 1751, un opuscolo sui terremoti e, nel 1753, una Lettera intorno all'elettrizzazione dell'aria. Era l'inizio del XX secolo quando don 190 Bernardo profondeva tutto il suo impegno nello studio e nell'osservazione dell'attività sismica, dei terremoti, in quello stesso luogo che, circa due secoli prima, aveva conosciuto l'impegno, nello studio delle stesse problematiche di don Andrea Bina. Don Bernardo si impegnò congiuntamente nello studio dei terremoti e in quello dell'elettricità atmosferica studiando quest'ultima con il metodo della radio, da lui iniziato nel 1914. Don Bernardo portò con sé, a Perugia, anche la Direzione del Servizio Radioatmosferico Italiano, da lui fondato nel 1928 lasciando, però, un centro della direzione all'Osservatorio Geofisico di Montecassino ed un altro alla R. Scuola di Radiotecnica "Federico Cesi" di Roma.95. Padre Bernardo Paoloni aveva lasciato, con beneplacido di Papa Pio XI, il Monastero di Montecassino per trasferirsi in quello di San Pietro in Perugia con lo scopo di far sorgere, qui, un Osservatorio Sismico memore che era stato proprio in questo stesso luogo che Andrea Bina aveva inventato e fatto funzionare il primo sismografo a pendolo della storia. Una volta a Perugia il Paoloni si era subito attivato per dar corpo al suo progetto. Un primo tentativo era andato fallito nel 1933 perché, per mancanza di mezzi, era stato scelto un locale già pronto, ma poco adatto e poco accessibile. Padre Paoloni, determinato a raggiungere il suo scopo, decise di ritentare e, nel 1935, espose il suo desiderio a S.E., il professor Giuseppe Tassinari, sottosegretario di Stato al Ministero dell'Agricoltura e Foresta che accolse la richiesta e ordinò al 95 Appunti e notizie; in La Meteorologia Pratica anno XII n.2, Marzo-Aprile 1931 - IX p.84 191 professor Emilio Oddone, direttore del R.Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica, di far costruire, per Perugia, un sismografo astatico a componenti orizzontali. Nonostante il sismografo fosse subito costruito e mandato a Perugia, non mancarono quelle enormi difficoltà che impedirono il suo impianto e, di conseguenza, il suo funzionamento. In quello stesso periodo, era il 22 giugno 1935, si verificarono a Foligno movimenti tellurici con frequenti repliche, anche se ad intervalli. Il Ministero dei Lavori Pubblici nominò una commissione presieduta dall'Ispettore Compartimentale Superiore del Genio Civile, ingegner Antonio Alicata, per studiare il fenomeno e proporre, eventualmente, provvedimenti relativi alla costruzione di nuovi edifici. Della commissione faceva parte il nuovo direttore del R.Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica, professor Pericle Gamba. La detta commissione effettuò varie visite e sopralluoghi e deliberò l'apertura di pozzi per determinare una sezione geognostica della località e l'impianto di alcuni sismografi nella provincia di Perugia allo scopo di accertare la posizione dell'epicentro. A seguito di ciò si decise di collocare uno di questi sismografi in un locale molto ampio e altrettanto adatto, quasi sotterraneo, del Monastero di San Pietro, messo a disposizione della commissione dal Rev.mo Padre Priore della stessa, Don Pietro Cantoni. Si realizzava, così, il desiderio di Padre Paoloni. Le due grandi sale, complessivamente di circa centotrenta metri quadrati e due stanzette, messe a disposizione, dovevano essere adattate; le spese 192 dell'adattamento furono sostenute, in gran parte, dal Ministero dei Lavori Pubblici. I lavori furono eseguiti in poco più di un mese dalla ditta Fernando Rosi di Perugia sotto la direzione dell'ingegner Gaetano Pascucci, capo dell'Ufficio del Genio Civile e del suo coadiutore, ingegner Benvenuto Martinelli. La sala più grande, i cui artistici capitelli e volte si possono far risalire alla fine del XV secolo, veniva adibita a laboratorio dove, coadiuvato dai militari dell'aeronautica, del Genio della Sanità, don Paoloni poneva la direzione del nuovo osservatorio, di tutti i servizi scientifici a lui affidati nonché della stessa rivista La Meteorologia Pratica. Stazione R.T Sperimentale del Servizio Radioatmosferico Italiano 193 Direzione del Servizio Radioatmosferico Italiano 194 OSSERVATORIO SISMICO “ANDREA BINA” Nel 1931 don Bernardo Paoloni si trasferì dal Monastero di Montecassino a quello di Perugia. Qui, con la collaborazione del direttore del laboratorio di ecologia del R. Istituto Superiore Agrario, Girolamo Azzi, fondò la stazione geodinamica per lo studio dei terremoti dell'Umbria, che intitolò ad Andrea Bina e collocò nei locali del Monastero di San Pietro96. Il 22 gennaio 1937 si riunirono, nei locali del monastero benedettino di San Pietro in Perugia, il Padre Priore don Pietro Cantoni; l'ispettore superiore compartimentale del Genio Civile, ingegnere Antonio Alicata; il Direttore del R. Ufficio Centrale di Meteorologia Centrale e Geofisica di Roma , professor Pericle Gamba; l'ingegnere capo del Locale Genio Civile, commendatore ingegnere Gaetano Pascucci coadiuvato da un membro del suo stesso ufficio, il cavaliere ufficiale geometra capo Benvenuto Martinelli. La riunione aveva lo scopo di stabilire i rapporti tra il monastero ed il personale che avrebbe dovuto occuparsi delle osservazioni e di quello che si sarebbe occupato della manutenzione del sismografo. Fu stabilito di affidare la manutenzione dei locali all'ufficio del Genio Civile di Perugia e le osservazioni a don Bernardo Paoloni. Fu stabilito, inoltre, che il reverendo avrebbe eseguito le sue osservazioni attenendosi alle direttive dell'ufficio del Genio Civile di Perugia e dell'istituto di Meteorologia e Geofisica di Roma. I contraenti l'accordo pensarono anche 96 M.Mazzucotelli: cit, p.286 195 alla eventualità di un possibile trasferimento di don Bernardo ad altra sede o ad un qualsiasi impedimento che avesse potuto ostacolare il normale svolgimento delle sue funzioni. Qualora don Paoloni non avesse potuto più onorare l'incarico ricevuto ed il Priore non fosse stato in grado di provvedere alla sua sostituzione, il Genio Civile, in mancanza del raggiungimento di un accordo con il Padre Priore per provvedere alla continuità del servizio, si sarebbe visto costretto a trasferire la stazione sismica ad altra sede. La nomina di don Bernardo, che naturalmente accettò l'incarico di eseguire tutte le osservazioni, che gli sarebbero state indicate, sotto le direttive del Direttore dell'Ufficio di Meteorologia e Geofisica di Roma e del Genio Civile di Perugia, prevedeva un compenso annuo di cinquecento lire. Detto compenso, fino al 31 dicembre 1937, sarebbe stato corrisposto, come spesa di primo impianto, con le somme messe a disposizione dal Ministero dei Lavori Pubblici per l'istallazione del sismografo e negli anni successivi sarebbe stato corrisposto dall'ufficio centrale di Meteorologia e Geofisica di Roma. Della seduta fu redatto regolare verbale letto e sottoscritto da tutti gli intervenuti. La sintesi del documento, che prevedeva l'accettazione da parte di don Bernardo, è stata firmata dallo stesso don Paoloni congiuntamente a A. Alicata, Pericle Gamba, G. Pascucci, B. Martinelli. Altro documento di sintesi, ma redatto in considerazione dell'impegno da assumere da parte del priore del Monastero "Qualora il detto don Paoloni per 196 causa di trasferimento o per altro motivo non potesse più adempiere a tale incarico e da parte del Rev.mo Priore non si potesse provvedere convenientemente alla sua sostituzione, il Genio Civile diversamente alla continuità del Servizio, trasferirà la stazione sismica altrove". Tale documento, sottoposto alla firma del priore, don Pietro Cantoni, riporta, congiuntamente, le firme di Alicata, Gamba, Pascucci, Martinelli e don Bernardo Paoloni. Esiste, custodito nella Biblioteca dell'Osservatorio, il documento, datato 21 marzo 1937, attestante l'avvenuto pagamento effettuato da parte dell'ingegnere Capo del Genio Civile di Perugia, in favore del Direttore dell'Osservatorio Sismico, della somma di cinquecento lire quale compenso annuo, per il 1937, "della manutenzione e funzionamento del sismografo affidato in seguito agli accordi del 22 gennaio 1937. 197 sismografo Wiechert Padre Bernardo esercitava, con scrupolo e attenzione, le sue funzioni; sono conservati attestati di pagamenti da lui eseguiti nei confronti di fornitori dell'Osservatorio, come Tasso Tassini che aveva ricevuto, il 10 luglio 1940, trentatré lire per un lume a gas acetilene per affumicare la carta dei sismografi; Alfredo Sorcetti che il 7 agosto 1940 aveva ricevuto quarantaquattro lire per venti chilogrammi di carburo di calcio (a due lire e venti) e sessanta lire per cinque chilogrammi di pece greca (a dodici lire); Francesco Iachetto che il 5 luglio 1940 aveva ricevuto la somma di 125 lire per venti litri di benzina "Super Esso" (a cinque lire e sessantaquattro centesimi), oltre il costo del recipiente, per uso fissaggio sismogrammi. Don Bernardo, ligio al suo dovere, compensava dovutamente i suoi fornitori, ma esigeva che altrettanto facesse, chi di dovere, nei suoi confronti. Il 3 maggio 1941 inviò una fiera lettera di protesta all'Ufficio Centrale di Meteorologia e climatologia con sede in Roma per rivendicare il sussidio relativo agli anni 1939-1940. Dell'avvenuto pagamento esiste la ricevuta, sottoscritta dal direttore dell'osservatorio sismico, in data 21 marzo 1937-XV su carta intestata "Facoltà di Agraria della R. 198 Università-Osservatorio Sismico A.Bina-Perugia", ove si legge: il sottoscritto dichiara di aver ricevuto, dall'ingegnere Capo del Genio Civile di Perugia, la somma di lire 500 quale compenso annuo per il 1937 della manutenzione e funzionamento di un sismografo che gli è stato affidato, come da accordi presi in data 22 gennaio 1937-XV; le quali lire 500 fanno parte delle somme messe a disposizione del Ministero dei Lavori Pubblici per la istallazione del detto sismografo, ma anche la deficienza per gli anni seguenti nonché l'astio dimostrato nei suoi confronti dal professor Pericle Gamba, direttore dell'Ufficio Centrale di Meteorologia Centrale e geofisica. Il Paoloni, ribadendo la regolarità del sussidio corrispostogli per l'anno 1937 affermava, con forza, la posizione negativa assunta nei suoi confronti dal prof. Gamba che in data 27 settembre 1938 (prot. n. 11139/15) gli scriveva "Con ordinativo n. 17, cap. 35, ordine di accreditamento n. 3, vi ho spedito lire 500 quale compenso per il primo semestre di quest'anno 1938 per il funzionamento di codesta stazione sismica". Dal momento che il Paoloni si era lamentato in quanto esigeva il versamento completo annuo delle 500 lire a lui spettanti e non la corresponsione in due rate semestrali, adducendo il precedente dell'anno 1937, aveva avuto risposta, dallo stesso direttore del R. Ufficio Centrale (lettera prot.n. 13454/15 del 16 febbraio 1939) che così si esprimeva "Il compenso annuo per il Servizio Sismico, che resta a questo Ufficio fino al 30 giugno p.v. lo riceverete da me, come tutti gli altri osservatori sismici corrispondenti. 199 Le lire 250 del secondo semestre 1938 non potevano essere spedite fino alla liquidazione dell'anno finanziario che termina al 30 giugno. Dato che continua la vostra collaborazione, anziché un semestre vi sarà inviato il compenso di tutta l'annata 1luglio 1938 - 30 giugno 1939". La cosa, però, non andò così: il Gamba fece avere al Paoloni, nel marzo 1939, le 250 lire relative al secondo semestre 1939 lasciando del tutto scoperto il primo semestre 1939. Don Paoloni non poteva fare a meno di notare l'astio, sempre crescente, del Gamba nei suoi confronti al punto che, con lettera (prot.n. 145 34/15) del 18 aprile 1939 comunicava a don Bernardo la decisione presa di ritirare, prima del 30 giugno 1939, tutti i sismografi a lui affidati, da restituire all'Osservatorio di Rocca di Papa che passava all'Istituto di Geofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La lettera citata, riguardante don Paoloni e da lui considerata uno sfogo di astio, si concludeva "il compenso per il vostro lavoro nel primo semestre di quest'anno 1939 vi sarà a suo tempo liquidato insieme a quello degli altri Osservatori Geodinamici nostri corrispondenti". Don Bernardo Paoloni, nella lettera citata del 3 maggio 1941 ricordava di aver ottenuto da Pietro Badoglio, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di continuare a tenere i sismografi che gli erano stati, a suo tempo, affidati; il Professor Gamba, vistosi costretto ad obbedire ad un ordine superiore, "per vendicarsi non mi volle più mandare le 250 lire del primo semestre 1939 e molto meno quelle dei semestri seguenti". Don Paoloni ribadiva il motivo per 200 cui, con lettera datata 28 giugno 1940, aveva riferito al Ministro Tassinari i torti ricevuti dal Prof. Gamba, chiedendo ed ottenendo, per l'Osservatorio Sismico tanto le 500 lire del 1939 quanto quelle per il 1940. Concludeva la sua lettera all'Ufficio Centrale di Meteorologia e Climatologia con una netta presa di posizione "Avendo ricevuto oggi, 2 maggio, l'avviso di pagamento di lire 500 emesso da voi in data 27 marzo 1941, considero pertanto queste lire 500 quale sussidio per il servizio sismico del 1939 e sono in attesa delle lire 500 per il 1940". Don Paoloni tornava a rivendicare il suo diritto ad un sussidio già il 26 luglio 1940 (prot.n. 5283) e il 12 settembre 1940 (prot.n. 1475) quando aveva già denunciato i non avvenuti pagamenti per i detti anni e ribadito il suo notevole contributo all'Ufficio Centrale di Meteorologia e Climatologia citando le 240 registrazioni sismiche effettuate nel 1939 e le 233 compiute dal gennaio al settembre 1940 e sottolineando il notevole impegno profuso nell'analisi di tante registrazioni, nella manutenzione e nella continua sorveglianza, spesso di notte, dei due sismografi ed il controllo orario del cronometro, due o tre volte al giorno. Già allora chiedeva le 500 lire annue non ricevute ed il rimborso delle spese da lui sostenute per il servizio sismico. 201 Padre Bernardo Paoloni difronte ad uno strumento ********** Riuscendo a far funzionare a pieno ritmo, nel 1937, l'osservatorio sismologico di Perugia, don Bernardo Paoloni sembrava obbedire ad un recondito progetto determinatosi già dal momento della sua nascita. Nel 1876 il Paoloni vedeva la luce nel piccolo, ma austero centro montano di Cascia mentre a Montecassino prendeva vita quell'osservatorio del quale lui stesso, all'età di trentadue anni, sarebbe divenuto direttore. Un filo sottilissimo, impercettibile, lega la vita di Paoloni al monachesimo cassinese ed alla ricerca sismologica. A Perugia, dunque, avvalendosi della collaborazione del direttore del laboratorio di ecologia del Regio Istituto Superiore di Agraria (questa la direzione di allora) Girolamo Azzi97 fondò la STAZIONE GEODINAMICA per studiare i terremoti dell' Umbria, che collocò all'interno del monastero. È lo stesso don Paoloni, che dalle pagine della sua 97 M.Mazzucotelli: op.cit., p.286 202 rivista LA METEOROLOGIA PRATICA (anno 1937) parla della concessione dell'osservatorio. "Qualche lettore di questa Rivista ricorderà forse che sul n. 2 del 1931 della stessa scrivevo che uno degli scopi per cui, col beneplacido del Santo Padre Pio XI, avevo deciso di trasferirmi dalla Badia di Montecassino alla Badia di S. Pietro in Perugia era di far sorgere in questa un Osservatorio Sismico; nel luogo stesso cioè dove nel 1751 il Benedettino D. Andrea Bina inventò e fece funzionare il primo sismografo". Con la determinazione che lo contraddistingueva, don Paoloni riuscì ad ottenere ciò che voleva, ad avere il suo osservatorio, ad ottenere dalle autorità competenti, quelle concessioni, quei permessi indispensabili alla sua attività, a far si che il sottosegretario di Stato al Ministero dell'Agricoltura e Foresta, S.E. il professor Giuseppe Tassinari ordinasse al professor Oddone di costruire, appositamente per l'osservatorio di Perugia, un sismografo astatico a componenti orizzontali. E il sismografo fu subito costruito e spedito, ma varie difficoltà hanno sempre impedito di poterlo impiantare. Don Paoloni, direttore dell'osservatorio, esercitava congiuntamente tale funzione a quella di direttore di tutti i servizi scientifici meteorologici, da lui voluti e curava con scrupolo la pubblicazione degli articoli scientifici, a firma dei più insigni studiosi del tempo, che apparivano nelle pagine della sua rivista. Aveva posto la sua base operativa in quella bella, grande sala con capitelli, mentre nell'altra sala, affermava don Paoloni, nel 1937 "il prof. Agamennone, che nonostante i suoi 79 anni è ancora l'anima della sismologia italiana, per 203 incarico della detta Commissione ha già impiantato un suo sismografo a tre componenti e due sensibilissimi suoi sismoscopi, ma vi è posto per altri apparecchi sismici che si spera di avere presto dal nuovo Servizio Sismico del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Tra pochi giorni ci sarà impiantato pur un buon apparecchio radio per regolare un ottimo cronografo, il quale per ora è regolato attraverso la vicina Stazione R.T. Sperimentale del Servizio Radioatmosferico Italiano. Sismografo Agamennone Il nuovo Osservatorio Sismico, pure essendo nei locali monastici della Badia di S. Pietro, ha la porta d' ingresso in uno dei chiostri della Facoltà di Agraria della R. Università, il Preside della quale Facoltà, prof. Carlo Foschini, come pure il Rettore Magnifico, On. prof. Paolo Orano, considerano le istituzioni scientifiche da me dirette come facenti parte della stessa R. Università e le incoraggiano in tanti modi. 204 In tal modo l'opera mia, per quanto modesta, si riallaccia a quella ben più gloriosa del discepolo ed amico di Galileo, D. Benedetto Castelli, Abate Cassinese, che nel 1639 inventò il pluviometro in questa Badia di S. Pietro; di D. Andrea Bina, che pure qui nel 1751 inventò il sismografo, e che fu anche lui Abate Cassinese; l'Abate di S. Pietro D. Vincenzo Bini, autore delle Memorie istoriche della Perugina Università degli studi (volume di 670 pagine pubblicato nel 1816), della quale fu uno dei più illustri professori, e di tanti benemeriti Benedettini di questa storica e ormai millenaria Badia di San Pietro di Perugia"98. Come si nota da questo passaggio, che ho voluto riportare integralmente, don Paoloni non amava far sfoggio della sua cultura e del suo ruolo, non ci teneva ad essere additato come punto cardine della sismologia e meteorologia, ma, umilmente, si poneva sulla scia dei suoi predecessori, quasi fosse, per lui, un obbligo morale continuare quel lavoro di studio e ricerca che aveva visto impegnati, nei secoli precedenti, altri monaci cassinesi. Uomo costantemente e notevolmente impegnato nel campo scientifico, godeva della stima degli accademici quanto della considerazione degli uomini di governo, dei politici, dei militari. Fu, allo stesso tempo, uomo di scienza e di fede, riuscì a far convivere in lui l'anima del ricercatore e quella dell'uomo di chiesa e se, come detto, fu grande la stima di cui godeva negli ambienti elevati del tempo, parlo a livello temporale, fu altrettanto forte la considerazione che ebbe all'interno della curia romana. Addirittura, nel 1928, sarebbe stato nominato 98 B.Paoloni: L'Osservatorio Sismico "Andrea Bina" di Perugia; in La Meteorologia Pratica, anno XVIII n.1 Gennaio-Febbraio 1937 - XV, pp. 45-46 205 vescovo di Norcia, se lui stesso, per amore dei suoi studi che non intendeva, per nessun motivo, interrompere, non si fosse adoperato, con tutte le sue forze, per allontanare da sé quella nomina che avrebbe potuto gratificare altri, non lui, così votato alla ricerca scientifica. Se ha voluto allontanare la nomina episcopale, il Paoloni non ha mai cessato di sentirsi monaco in tutto il suo essere. Ciò appare palese da una sua comunicazione del 1932 quando, con tristezza e rammarico, dichiarava il motivo per cui non aveva potuto assumere la direzione del servizio meteoricosanitario da poco istituito: "i molti miei doveri monastici e di ministero sacerdotale, ai quali niente posso preporre, come mi ordina la Regola di San Benedetto: nihil operi Dei praeponatur, non potevano permettermi di assumere anche la direzione di questo nuovo e importante servizio..."99. La figura di don Paoloni, il padre dell'Osservatorio Sismico di Perugia, si conosce attraverso le sue pubblicazioni apparse nel "Bollettino della Società Meteorologica Italiana", ne "La Meteorologia Pratica", nel "Bollettino mensile dell'Osservatorio di Montecassino". Molti contributi del Paoloni alla scienza sono stati raccolti dallo stesso in due tomi, custoditi presso l'Osservatorio Sismico "A.Bina", intitolati rispettivamente, "La mia modesta opera nel campo delle ricerche radioatmosferiche dal 1913 al 1941" e "Cinquanta articoli di meteorologia". Il primo tomo fa conoscere vari articoli riguardanti le osservazioni 99 radioatmosferiche rilevate in ventiquattro stazioni M.Mazzucotelli, op. cit., p.289 206 radioatmosferiche militari, e soprattutto, importantissima, la copia del decreto ministeriale del 24 gennaio 1914 con cui veniva concesso, al Monastero di Montecassino, il permesso per la realizzazione e l'impianto di una stazione radiotelegrafica per le ricerche scientifiche. Nel secondo tomo, invece, sono contenuti tutti i lavori pubblicati nelle pagine de "La Meteorologia Pratica" dal 1909 al 1936100. Don Bernardo Paoloni è stato un grande del suo tempo, amico e collaboratore di Guglielmo Marconi che, nell'agosto 1930, scriveva "Quanto al servizio Radio Atmosferico, fondato da Paoloni, debbo dire che svolge un'azione preziosa...."101è stato un insigne studioso, soprattutto dei terremoti. La sua figura, purtroppo, non è adeguatamente conosciuta. Sarebbe bene, anche ai fini di una maggiore valorizzazione dell'Osservatorio "A.Bina", studiare analiticamente la figura di questo uomo, di scienza e di fede, attraverso le sue scoperte, i suoi scritti, operando una ricognizione completa di tutte le sue opere in modo tale da poter avere una biografia precisa e definitiva di colui che ha permesso a Perugia di avere un Osservatorio Sismico. 100 M.Mazzucotelli, op. cit., p.287-288 R.Calandra: La stazione sismica di San Pietro in Perugia, in Nuova Economia n.10, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Perugia p.5 101 207 LA MORTE DI DON BERNARDO PAOLONI ED IL RECUPERO DELL'OSSERVATORIO Con la morte di don Bernardo, la rivista da lui diretta e che aveva costituito, per anni, un importante organo di divulgazione delle teorie e delle conoscenze scientifiche cessò la sua attività, La Meteorologia Pratica conobbe la sua fine. Anche la stazione geodinamica, fortemente voluta dal Paoloni, conobbe l'interruzione della sua attività scientifica. Si trattava solo di un'interruzione, protrattasi, purtroppo, a lungo, dal 1944 al 1971. Il merito di aver riattivato la stazione geodinamica, di aver dato nuova vita a quell'osservatorio che aveva conosciuto tante vicissitudini, spetta a due monaci benedettini del monastero di Perugia che credevano fortemente nell'opera dei propri predecessori e volevano continuare la loro azione di studio dei terremoti. Grazie all'intraprendenza di padre Pierto Inama, ma soprattutto alla determinazione del giovane padre Martino Siciliani, nel 1971, P. Martino consulta i pregevoli testi custoditi nella biblioteca dell'osservatorio "A. Bina" 208 l'Osservatorio ha potuto riprendere la sua funzione. Fu, forse, il verificarsi di numerose vicende sismiche in Umbria a ridestare, negli organi competenti, Enti e Studiosi, un interesse sempre crescente per la materia. I monaci, decisi a riattivare l'Osservatorio, trovarono un valido sostegno nel professor Enrico Medi, direttore dell'Istituto Nazionale di Geofisica. Detto istituto fornì, al nuovo Osservatorio, moderne attrezzature ed adeguata assistenza. Gli apparecchi furono affidati a padre Martino Siciliani che, da allora, ha sempre curato la registrazione e l'elaborazione dei dati. Il "nuovo" Osservatorio, che ha mantenuto la denominazione "Andrea Bina", ha continuato ad avere la sua sede nei locali del Monastero di San Pietro di Perugia. Come detto, venne dotato di nuove apparecchiature che, ancora oggi, sono visibili, ed anche funzionanti, nelle sale dell'Osservatorio stesso. Voglio ricordare il sismografo WIECHERT 200 il GRUPPO SISMOGRAFICO DI TIPO GALITZIN. Sismografo Wiechert 209 Un sensore del sismografo sismografo Galitzin Apparato scrivente del sismografo Galitzin 210 ********** Attualmente, l'Osservatorio "A.Bina" continua la sua attività di registrazione dei terremoti e rilievo di attività sismica. Anche il Bina, come la maggior parte dei moderni osservatori, è dotato di "reti sismiche remote" cioè di stazioni collocate in località lontane dal centro di acquisizione. Le stazioni, sincronizzate da un unico orario, sono istallate in luoghi silenziosi, lontani da strade o ferrovie, da fonti di rumore, sismico o elettromagnetico, che potrebbero disturbare la registrazione dei terremoti. Le stazioni devono essere posizionate nei pressi, o in corrispondenza, di luoghi sismici attivi poiché aumentando la distanza tra ipocentro e stazioni, aumenta l'approssimarsi sui calcoli seguiti per determinare i parametri principali del terremoto: epicentro,magnitudo, meccanismi focali. L'Osservatorio Bina è provvisto di uno dei più evoluti sistemi di registrazione sismica, costruito in Canada, utilizzato in Italia ed in altri stati. Si tratta della Rete Telemetrata Nanometrics, voluta in questo Osservatorio dalla Regione Umbria. Le stazioni remote, con schede a 24 bit e sincronizzate con sistema GPS possono essere collegate all'acquisitore centrale o via radio, o tramite rete satellitare o per mezzo di internet. L'Osservatorio, inoltre, dal 1995, gestisce un'altra apparecchiatura, fornita dal Servizio Sismico Nazionale: una rete costituita da dieci stazioni Mars-88 FD, collegate a sensori Mark L4 - 3D. Gli strumenti, costruiti in Germania, sono 211 sincronizzati con sistema DCF. Le stazioni Mars-88, non essendo collegate con l'Osservatorio in tempo reale, memorizzano, in una memoria interna o due floppy disk, i dati che vengono periodicamente prelevati, normalmente ogni quindici giorni; nel caso di gravi situazioni sismiche, i dati vengono prelevati due volte al giorno. 212 BIBLIOGRAFIA Abate Pietro Elli O.S.B.: Cronotassi degli abbati del Monastero di San Pietro in Perugia conforme alla Cronaca ms dell'Abate D. Mauro Bini (+1849). G. Agamennone: Animali e terremoti. Abbazia di San Pietro-Perugia, 1994 La Meteorologia Pratica 1925 G. Agamennone: L'inventore del sismografo a pendolo. La Meteorologia Pratica 1926 G.B. Alfano: Sismologia moderna. Hoelpi. Milano, 1910 A. Amelli: Don Benedetto Castelli, brevi cenni sulla vita e sulle opere. La Meteorologia Pratica 1926 ASPi (Archivio San Pietro Perugia) A. Baltadori: L'Abbazia di San Pietro in Perugia nelle scienze matematiche, fisiche e naturali. Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, vol. 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La Meteorologia Pratica 1926 218 INDICE Introduzione 5 Cenni storici relativi al complesso abbaziale di San Pietro sede della Fondazione per l’istruzione Agraria e dell’Osservatorio Sismico “Andrea Bina di Perugia 8 Impegno dei monaci in campo scientifico 13 Don Girolamo Ruscelli e l’importanza del sapere scientifico 19 Don Girolamo Ruscelli...un abate...un letterato...un astronomo... un poeta...un matematico 22 Galileo Galilei e Benedetto Castelli: un’amicizia votata all’esperienza scientifica 27 Don Benedetto Castelli 29 Le invenzioni di Castelli 36 Le invenzioni di Castelli a Perugia 39 Benedetto Castelli: rapporto epistolare con Galilei 44 Problematiche culturali all’interno dell’ordine benedettino 62 219 Andrea Bina: l’inventore del sismografo a pendolo 64 Il Ragionamento di Padre Bina 69 La Meteorologia 86 Meteorologia e spirito monastico 91 Bernardo Paoloni 100 Servizio meteorico 102 Rapporti tra meteorologia e malattie 111 Le ricerche di Feige e di Freund sui rapporti tra fenomeni Meteorologici e reumatismi 131 Intuizioni, realizzazioni ed invenzioni di Padre Bernardo Paoloni: Fotoanemometro 139 Come è costruito e come funziona il fotoanemometro 142 Istruzioni per l’uso del fotoanemometro 153 Importanza della meteorologia e diffusione della rivista: “La meteorologia Pratica” 155 Comportamento degli animali tra poesia, scienze ed antiche credenze 172 220 Sviluppi della meteorologia 184 La Meteorologia Pratica a Perugia e nascita dell’Osservatorio 190 Osservatorio Sismico “Andrea Bina” 195 La morte di Don Bernardo Paoloni ed il recupero dell’Osservatorio 208 ********** 221