Cibi transgenici Analisi delle biotecnologie nel settore agroalimentare Stefano Simonazzi 1 Indice 1. Introduzione 2 Genesi degli alimenti transgenici 4 1.1. Nascita e ingresso sul mercato 1.2. Metodi per la produzione di piante transgeniche 1.3. Possibili utilizzi 2. 4 7 9 Rischi e vantaggi 11 2.1. Schieramenti a confronto 2.2. Rischi e rimedi 11 13 2.2.1. 2.2.2. 2.2.3. 2.2.4. 2.2.5. 2.2.6. 2.2.7. 2.2.8. 3. Perdita della biodiversità Inquinamento genetico e comparsa di nuovi virus Nascita di erbacce resistenti Comparsa di nuovi insetti Danni all’ambiente Resistenza agli antibiotici Allergie verso i nuovi cibi Modifica delle proprietà nutritive La questione economica 17 3.1. Brevettabilità: biopirateria e Terzo Mondo 3.2. Monopolio economico 17 18 4. 20 Situazione politica 4.1. Il problema dell’etichettatura 4.2. Il controllo della sicurezza 20 21 Conclusioni 22 Bibliografia 23 2 Introduzione L’agricoltura ha da sempre sostenuto lo sviluppo delle comunità umane ed è sempre stata oggetto di particolari studi sul miglioramento delle tecniche di produzione. Tale miglioramento si è concretizzato con la selezione di alcune specie di piante più produttive che ha portato allo sviluppo di coltivazioni intensive, basate sull’impiego di prodotti chimici e di fertilizzanti sintetici e sulla meccanizzazione; tutto ciò ha portato cospicui vantaggi, ma ha evidenziato problemi legati allo sfruttamento del suolo, all’erosione e all’inquinamento ambientale. La riflessione sull’uso delle risorse impiegate in agricoltura ha portato ad individuare pratiche agronomiche che assicurino la sostenibilità, cioè la compatibilità delle pratiche agricole con le esigenze ambientali. Ma come si può raggiungere gli scopi sopraindicati di aumento della produttività e miglioramento della qualità, senza incrementare l’estensione delle superfici agricole e gestendole a favore dell’ambiente? L’utilizzo delle biotecnologie e in particolare del miglioramento genetico è una della possibili risposte. Le biotecnologie rappresentano un metodo in più a disposizione dell’agricoltura: esse rendono possibile l’inserimento nelle piante di specifici geni, anche provenienti da specie assai diverse, la cui funzione è nota, affinché questi vengano espressi ed ereditati nelle generazioni successive. Il miglioramento genetico quindi non è altro che un sistema per ottimizzare la selezione naturale. Le biotecnologie non sono un’invenzione dei giorni nostri, ma rappresentano tecniche nate con l’uomo: più di tremila anni fa alcune popolazioni cinesi e i Sumeri della Mesopotamia sapevano già sfruttare i microrganismi per produrre pane e una rudimentale birra. Il miglioramento genetico è invece una caratteristica intrinseca della natura: da quando esiste la vita sulla Terra i microrganismi si scambiano geni, trasmettendosi informazioni per la loro stessa sopravvivenza. Le biotecnologie possono accrescere il rendimento e la resistenza alle malattie e aiutare gli agricoltori ad adattarsi a un peggioramento delle condizioni del suolo o agli effetti avversi dell’inquinamento atmosferico. Il controllo biologico delle infestazioni potrebbe sostituire i prodotti chimici convenzionali con una nuova generazione di agenti “naturali”, rispettosi dell’ambiente e accuratamente mirati che salvaguardino l’acqua, i suoli, i cibi e la salute degli stessi agricoltori. Le tecniche biotecnologiche applicate in agricoltura stanno portando alla “costruzione in laboratorio” di nuovi alimenti i cosiddetti “cibi transgenici”; questi ultimi si presentano come cibi migliorati dal punto di vista della durata, del gusto, del valore nutritivo (più vitamine, sali minerali, meno colesterolo, meno grassi, ecc.), che potrebbero potenzialmente risolvere le piaghe che affliggono i paesi sottosviluppati. Questi nuovi alimenti però non riescono a mettere d’accordo tutti in quanto potrebbero rappresentare dei rischi per la salute, per le colture tradizionali e per l’ambiente stesso in quanto non si possono prevedere gli effetti che le nuove piante, da cui si ottengono questi cibi, avranno sull’ambiente. Altro delicato punto su cui si discute è l’impatto che i cibi geneticamente modificati avranno sull’economia mondiale. Alcune multinazionali, grazie allo sfruttamento dei brevetti su nuove piante modificate, potrebbero ottenere il monopolio di questo mercato con gravissime conseguenze per gli agricoltori, che per restare competitivi a livello di produzione si vedrebbero costretti al pagamento di ingenti cifre, per i paesi che non hanno avviato programmi di ricerca in questo settore e soprattutto per i paesi del terzo mondo che non 3 potendo sfruttare questa nuova tecnologia, appositamente creata per loro, vedrebbero aumentare ancora il divario con i paesi più sviluppati. 4 1 Genesi degli alimenti transgenici 1.1 Nascita e ingresso sul mercato Le tecniche biotecnologiche non nascono nella nostra epoca ma già seimila anni prima di Cristo l’uomo ha imparato a sfruttare l’azione dei lieviti e dei microrganismi per produrre i cibi fermentati: birra, vino, yogurt, eccetera. Negli anni trenta viene sviluppata una teoria sul gene e una decina di anni più tardi viene individuato il Dna come materiale ereditario. A distanza di mezzo secolo si comincia a pensare ad alcune applicazioni di ingegneria genetica in campo agricolo e nel 1983 nasce la prima pianta transgenica di tabacco. Nel 1985 viene autorizzato il rilascio sperimentale di batteri manipolati e l’anno successivo vedono la luce le prime piante transgeniche coltivate in campo aperto sulle quali sono eseguiti i primi test sulla resistenza a insetti, virus e batteri. Il debutto del primo cibo transgenico si ha nel maggio del 1994 quando nei supermercati statunitensi compare “Flavr Savr”, un pomodoro creato dalla Calgene in cui la capacità di raggrinzire in seguito a maturazione è geneticamente proibita. Questo pomodoro ha vita difficile sul mercato: resta maturo a lungo ma in compenso è duro come un sasso e il suo sapore non è esaltante. A pochi mesi di distanza un migliaio di supermercati statunitensi cominciano a distribuire il pomodoro della linea “Fresh World Farms”, manipolato e brevettato dalla Dna Plant Technology per migliorarne colore, gusto, consistenza e durata. Anche questo si mantiene per due settimane senza marcire. Poco dopo è raggiunto dal collega “Endless Summer”, capace di durare sei settimane senza cedere alle insidie della maturazione. Contemporaneamente, la Zeneca Plant Science produce un concentrato di pomodoro, primo cibo transgenico a sbarcare in Europa: è il 5 febbraio 1996quando un centinaio di negozi inglesi cominciano a venderlo. Il successo è discreto nonostante l’etichetta dichiari apertamente l’origine transgenica del prodotto. Nel 1996 le piante transgeniche invadono definitivamente il mercato(tabella 1). Patate, pomodori, colza, ravizzone, meloni, cotone,tabacco, mais e soia si diffondono sui campi coltivati in Canada, negli Usa, in Giappone, in Argentina(tabella 2), mentre altre qualità transgeniche vengono coltivate a scopo sperimentale. Oggi le piante transgeniche autorizzate ad essere coltivate nell’ambiente senza ulteriori controlli sono già almeno una quarantina, appartenenti a una dozzina di specie. In Europa quelle autorizzate per la coltivazione sono sette (anche se in alcuni casi singoli Paesi si sono rifiutati di accettarle sul proprio territorio): mais, soia, radicchio, ravizzone, melone, zucca, tabacco; ma sono in corso esperimenti su decine di varietà. 5 Tabella 1: Sperimentazione in campo di piante transgeniche a livello mondiale; numero totale dal 1986 al 31/12/1995 Argentina Australia Belgio Belize Bolivia Bulgaria Canada Cile Cina Costa Rica Cuba 78 46 97 5 6 3 486 39 60 17 18 Danimarca Egitto Finlandia Francia Germania Guatemala Ungheria Italia Giappone Messico N. Zelanda 16 2 10 253 49 3 22 69 25 38 15 TOTALE Norvegia Portogallo Russia Sud Africa Spagna Svezia Svizzera Thailandia Olanda U. K. USA Zimbawe 1 5 11 22 30 18 2 2 113 133 1.959 1 3.647 Fonte: Istituto sperimentale di Cerealicoltura – Roma Tabella 2: superfici coltivate con piante transgeniche – 1997 Coltura Mais Colza Soia Cotone Paese USA Argentina Canada Totale 5.040.000 Canada 1.000.000 Totale 1.000.000 USA Argentina Canada 4.000.000 140.000 20.000 Totale 4.160.000 USA Australia 1.350.000 170.000 Totale Pomodoro Tabacco Patata Superficie (ha) 4.900.000 120.000 20.000 1.520.000 USA Cina 4.000 1.700.000 Totale 1.704.000 Cina 1.800.000 Totale 1.800.000 USA – Canada 40.000 Totale 40.000 TOTALE 15.264.000 Fonte: Istituto sperimentale di Cerealicoltura – Roma 6 In Italia avvengono esperimenti autorizzati su tredici specie transgeniche (principalmente mais, pomodoro, tabacco e cicoria), tuttavia circa il venticinque percento della soia e del mais importati dagli Usa contiene semi transgenici che entrano (sotto forma di lecitine, sciroppi di glucosio, emulsionanti, eccetera) nella composizione del sessanta percento dei prodotti comprati al supermercato: cioccolata e dolciumi, bibite, gelati, pizza e pasta surgelata. Lo sbarco sul mercato non è però avvenuto così facilmente. Come abbiamo visto, negli anni Novanta le piante transgeniche invadono i campi coltivati di tutto il mondo e fanno capolino nelle nostre cucine. Inizia in questo momento la guerra tra chi è a favore della ricerca ma contrario al rilascio nell’ambiente di nuovi organismi, chi è contrario altresì alla ricerca, per l’impatto che questo settore può avere sull’economia e chi vede nella manipolazione genetica di piante e alimenti la panacea di tutti i mali dei paesi sottosviluppati. Così gli anni del boom transgenico vedono anche il susseguirsi di numerose manifestazioni di protesta, specialmente negli Usa e in Europa settentrionale. Nel 1994, contemporaneamente all’ingresso sul mercato dei primi pomodori transgenici, un gruppo di attivisti contrari alle biotecnologie divulgano un articolo scientifico secondo il quale frammenti del Dna transgenico possono essere incorporati nei batteri intestinali. Si diffonde il panico nell’opinione pubblica. Nel 1995 Usa e Gran Bretagna rifiutano di etichettare i cibi contenenti ingredienti transgenici. In risposta, Danimarca, Svezia, Germania e Austria minacciano di bloccare l’autorizzazione in Europa della soia manipolata. Nel frattempo gli ambientalisti suscitano scalpore diffondendo due articoli specialistici che dichiarano la possibilità di un “inquinamento genetico”. Nel 1996 lo scontro si fa più acceso, e mentre in diverse località d’Europa settentrionale gruppi di attivisti distruggono una ventina di coltivazioni sperimentali, la Commissione Europea autorizza la commercializzazione del mais transgenico della multinazionale Novaris. Ma Austria, Lussemburgo e Italia emanano un decreto che ne proibisce la diffusione sul loro territorio, la Francia dichiara che accetterà il nuovo mais solo se ne verrà garantita la distinguibilità da quello “naturale”, mentre Gran Bretagna, Norvegia e Danimarca attendono dati scientifici definitivi sulla sicurezza. Nell’agosto del 1997 il Giappone blocca la commercializzazione di pomodori transgenici, a ottobre la Norvegia proibisce la diffusione sul proprio territorio di alimenti modificati e a novembre Greenpeace occupa a Rotterdam una nave contenente soia transgenica. Nella primavera del 1998, in Germania, birrai e consumatori chiedono sia vietato produrre birra con lieviti geneticamente modificati. A settembre una sentenza in Francia blocca di nuovo il mais Novaris, già autorizzato dal Ministero dell’agricoltura: la documentazione è giudicata “insufficiente a valutare i rischi per la salute pubblica”. In ottobre il governo indiano proibisce l’importazione di semi manipolati dalla Monsanto, perché dopo il primo raccolto non germogliano più, obbligando i contadini a ricomprarli ogni anno. Nel Natale del 1998 la polemica compare sulle prime pagine di tutti i quotidiani italiani: militanti dell’Alf (Animal Liberation Front: Fronte di liberazione degli animali), organizzazione animalista clandestina, avvelenano col topicida alcuni panettoni Nestlè e li inviano alle agenzie di stampa. Il panico si diffonde e le vendite crollano in pochi giorni. Causa del sabotaggio, l’ammissione fatta da alcuni dirigenti della multinazionale riguardo la possibile utilizzazione di mais e soia transgenici tra gli ingredienti dei dolciumi. Oggi la battaglia continua più accesa che mai, fino a giungere a vere e proprie dimostrazioni in cui sono costrette a intervenire le forze dell’ordine, come è avvenuto a Seattle nel novembre scorso in occasione del vertice Wto, all’interno dei trattati per il Millenium Round. Le coltivazioni trangeniche ad uso agricolo non si sono però arrestate di fronte a queste manifestazioni e oggi oltre tredici milioni di ettari nel mondo sono destinati a questo tipo di colture. 7 1.2 Metodi per la produzione di piante transgeniche Le piante transgeniche sono quelle in cui è stato introdotto un gene estraneo che può provenire dalla propria specie o da altre specie. I pomodori, come le mele, le banane e molti altri frutti, continuano a maturare anche dopo la raccolta. Gradualmente cambiano colore, consistenza, sapore, fino a diventare immangiabili e marcire. L’intero processo avviene per azione dell’etilene il quale è contenuto in un ormone della crescita e innesca quelle reazioni interne di maturazione che degradano le pareti cellulari della frutta e le espongono agli agenti esterni. La soluzione biotecnologia a questo problema è molto semplice: inibire tramite alcuni geni la produzione di etilene nelle piante, rallentando drasticamente la maturazione dei frutti. Vediamo allora nel dettaglio come avvengono questi “trasferimenti di geni”. La tecnica più diffusa per introdurre geni nel nucleo delle cellule vegetali, si basa sulla capacità di un batterio, l’Agrobacterium tumefaciens, di trasferire parte del proprio patrimonio genetico alle piante che infetta. Questo parassita attacca le radici e introduce nelle cellule un plasmide1 che induce la formazione di un tumore, il “callo del colletto”. Il plasmide si comporta nella cellula vegetale come un disco di programma in un computer, obbligando la pianta a produrre tutto che è codificato nella propria sequenza di acido nucleico, a seguito di un’integrazione dell’informazione che è permanente. Manipolando il Dna del batterio, in modo da eliminare i geni che provocano la malattia nella pianta e sostituendoli con geni portatori dell’informazione genetica che si desidera trasmettere alla stessa, si ottiene una pianta con le caratteristiche desiderate. Non tutti i vegetali sono vulnerabili all’Agrobacterium. Per intervenire su cereali come riso, mais e frumento sono state inventate tecniche alternative. Una di queste è stata chiamata “metodo del cannone” (figura 1) e consiste in un vero e proprio bombardamento delle cellule con proiettili di materiale genetico. Si preparano microscopiche particelle di tungsteno o di oro, le si rivestono di Dna e le si sparano con un getto di elio a 1500 km/h contro la cellula vegetale. Le dimensioni dei proiettili sono tali da non provocare lesioni irreversibili alle strutture cellulari, e anche se le particelle metalliche restano nel citoplasma 2 non interferiscono con le funzioni cellulari. Il cromosoma 3 della cellula vegetale ingloba il frammento di Dna e la cellula acquisisce così la capacità di generare la sostanza codificata dal gene introdotto. Non è detto, però, che tutti i colpi vadano a segno. In questo caso sono necessari sistemi che permettano di capire quali cellule bombardate hanno inglobato il materiale genetico nel loro nucleo. Un sistema comune è quello di unire, insieme al Dna da introdurre, geni in grado di produrre sostanze rivelatrici. Un esempio di questi geni è dato dal gene che codifica per l’enzima 4 glucoronidasi; la presenza di questo enzima permette di ottenere la colorazione blu nelle cellule che lo contengono. Altro metodo per introdurre geni nel nucleo di una cellula vegetale consiste nel sottoporre la cellula a brevi impulsi elettrici che provocano l’apertura temporanea dei pori della membrana e la rendono permeabile al Dna estraneo. 1 Plasmide : molecola di Dna circolare extracromosomico, presente in diverse specie batteriche, che spesso si trasmette da un batterio all’alto. 2 Citoplasma: protoplasma di una cellula con esclusione del nucleo. 3 Cromosoma: struttura contenente una molecola di Dna che trasmette l’informazione genetica. 4 Enzima: catalizzatore organico; proteina che accelera le reazioni biologiche a temperatura e pressione ambientale. 8 Facendo riprodurre le cellule manipolate, prima in provetta e successivamente nelle serre, i ricercatori ottengono piante adulte transgeniche. Figura 1: Cannone a particelle Immagine tratta da Focus Extra n.1, numero speciale, autunno 1999. I vegetali sono inoltre in grado di sviluppare una sorta di reazione immunitaria nei confronti di un virus che li attacca, lo riconoscono immediatamente e lo bloccano. I biologi usano questo metodo per produrre varietà resistenti alle malattie: introducono nel loro Dna alcuni geni di origine virale, così la pianta è in grado di riconoscere e combattere il nemico fin dal primo tentativo di infezione: una specie di “vaccinazione”. Questo procedimento viene definito “resistenza derivata da patogeni”. Se gli aggressori non sono virus ma insetti, si inserisce nelle cellule vegetali un gene prelevato dal Bacillus thuringiensis, un microrganismo che produce una tossina insetticida, rendendo le foglie velenose solo per i parassiti. Questo batterio, classificato nel 1901, divenne famoso quando nel 1915 un ricercatore tedesco lo isolò, scoprendo una sua speciale capacità: il bacillo avvelena gli insetti che divorano le foglie delle piante su cui vive, producendo tossine che alterano il funzionamento della membrana digerente e sconvolgendo le capacità dell’insetto di alimentarsi. Il fatto più notevole è che le tossine del Bt sono “armi intelligenti”: micidiali per alcuni insetti, completamente innocue per altri e senza alcun effetto sui mammiferi, essere umano compreso. Nel 1927 viene prodotto il primo spray insetticida a base di Bt. 9 1.3 Possibili utilizzi Nei prossimi anni decine di piante transgeniche entreranno nei nostri campi e centinaia di cibi modificati si riverseranno nelle nostre cucine. Vediamo quali potrebbero essere allora i possibili utilizzi di questa nuova tecnologia. La Fao al Forum mondiale svoltosi a Roma nel novembre del 1996 parla chiaro: I vantaggi derivati dall’uso delle biotecnologie sono molteplici. Per esempio la resistenza agli insetti nocivi porta a un aumento della produzione e a una diminuzione dell’uso di insetticidi. […] I processi biotecnologici e in particolare la modificazione genetica, si sono dimostrati particolarmente efficaci per lo studio di tecniche finalizzate all’aumento della produzione di alimenti e del contenuto di sostanze nutrienti. 5 La necessità di aumentare la produzione alimentare mondiale senza intaccare le risorse che ne sono alla base richiede sistemi che permettano di praticare un’agricoltura intensiva, ma nel pieno rispetto ambientale. L’ingente impiego di erbicidi, considerato insostituibile nell’agricoltura intensiva, rappresenta un costo e può costituire una fonte di inquinamento. Il fatto di rendere tollerante ad un erbicida una coltura commercialmente interessante, consente di usare la sostanza in questione in fase di post-emergenza, cioè dopo la germinazione della semente, in modo mirato e a dosi basse, dunque con costi produttivi molto ridotti. Le piante coltivate sono indispensabili per la vita umana, ma permettono la sopravvivenza di una moltitudine di insetti: ogni anno infatti circa il 13% della produzione agricola viene letteralmente divorata. Nei paesi del Terzo Mondo , per esempio, i raccolti vengono spesso distrutti da ingenti infestazioni di insetti (ad esempio le cavallette giganti dell’Africa), mentre nei paesi più sviluppati esiste la possibilità di produrre opportuni insetticidi ed utilizzarli. Se si valutano le piante più coltivate, come mais, cotone e riso, si vede che solamente per queste tre colture viene impiegata quasi la metà degli insetticidi prodotti in tutto il mondo. Ma non è tutto: bisogna considerare anche i problemi legati all’ambiente derivanti dall’uso di questi preparati. Le biotecnologie, quindi, creerebbero un grande risparmio economico e soprattutto un minor inquinamento ambientale. La funzione della modificazione genetica degli alimenti può essere altresì quella di migliorarne le caratteristiche nutrizionali. Le proteine, i carboidrati e i grassi contenuti negli alimenti possono essere prodotti in forma o in quantità diverse per rendere più ricco e più digeribile il prodotto. Non solo, si stanno realizzando alimenti dietetici che soddisfano requisiti specifici in rapporto a precise malattie o allergie. Nel dicembre del 1997 due gruppi di ricerca, uno in Giappone e l’altro in Svizzera, hanno annunciato la creazione di piante di riso transgenico a contenuto di ferro triplicato. Quella da ferro è la carenza alimentare più grave e diffusa nel mondo: ne soffrono oltre un milione di persone, specialmente nei paesi non industrializzati, dove il consumo di carne e alimenti diversificati è scarso. I biotecnologi sperano che il riso con il ferro incorporato possa diventare una carta vincente per integrare la dieta di popolazioni a rischio. Un principio che vale per tutte le produzioni di piante transgeniche e che le rende per questo particolarmente utili, è la possibilità di partire dai semi. Il loro facile trasporto permette di trasferire nei paesi del Terzo Mondo varietà ad alto valore aggiunto. Si tratta infatti di paesi 5 Citato in un’opuscolo di propaganda della Monsanto Company dal titolo: “Biotecnologie. Una promessa per il futuro: i risultati di oggi, i progetti di domani”. 10 dove è diffuso il problema della conservazione che impedisce parecchi scambi commerciali e la distribuzione di importanti derrate alimentari, con un conseguente danno alle popolazioni locali, generalmente già bisognose di migliorare le loro condizioni di vita soprattutto nelle zone dove la malnutrizione è endemica. Altra promessa della biotecnologia moderna è la creazione di piante capaci di sopravvivere al freddo, alla siccità, ai terreni salini. Le piante producono naturalmente sostanze produttive contro gli stress esterni. Nel 1996 è stato creato un tabacco transgenico capace di produrre una di queste sostanze utili e in grado di resistere ad alte concentrazioni di sale nel terreno. Ricercatori del Max Planck Institut di Colonia, dell’Università di Verona e dell’Istituto sperimentale di orticoltura di Montanaso Lombardo, hanno messo a punto una tecnica per far fruttificare pomodori, melanzane e ciliege senza fecondazione. Questo può significare due grandi vantaggi per il coltivatore: tutta polpa e niente semi o noccioli e possibilità di riproduzione della pianta in tutte le stagioni. Altro obiettivo dell’industria genetica vegetale è quello di migliorare i tempi di produzione. La maggior parte degli alberi fioriscono e fruttificano solo dopo alcuni anni. Gli scienziati del Salk Institute di San Diego hanno prodotto i primi prototipi di alberi dalla fioritura istantanea. Altra speranza dei biotecnologi è quella di produrre piante che sappiano clonarsi da sé in modo da poter avere copie perfette della madre; cosicché le qualità più produttive non sarebbero perse. Le piante transgeniche troveranno impiego nelle industrie, nei laboratori e nelle strade di città, trasformate in macchine viventi per la sintesi o la trasformazione di sostanze utili: plastica, oli, enzimi, metalli, sali e persino medicine, vaccini, componenti del sangue umano. Si è riusciti a creare in questo senso, una varietà transgenica di piante contenenti ben il quattordici percento del proprio peso in plastica, senza intaccarne la normale crescita. La più sorprendente applicazione di queste tecnologie è quella riguardante la produzione di proteine umane: presto sarà possibile vaccinarsi mangiando cibi transgenici! Già nel 1992 ricercatori dell’Università del Texas avevano coltivato piante transgeniche in grado di produrre l’antigene (ingrediente fondamentale del vaccino) per l’epatite B; da allora si sono succeduti esperimenti in cui le piante hanno prodotto componenti per i vaccini contro il colera, la rabbia e diversi virus. Nel 1995 sono state create piante di tabacco e di patata contenenti una proteina capace di scatenare la produzione di anticorpi contro le infezioni intestinali provocate dal batterio Escherichia coli, infezione che è una delle cause principali di mortalità per i bambini nei paesi in via di sviluppo. Altro esempio delle meraviglie promesse dalla agrobiotecnologia è quello della fitodecontaminazione del suolo. Acque e terreni sono sempre più spesso inquinati da metalli pesanti estremamente tossici, frutto delle attività industriali (cadmio, piombo, mercurio, cromo). Eliminarli dalle aree inquinate costa caro. In natura le piante prelevano dal terreno le sostanze minerali di cui hanno bisogno e nei terreni inquinati possono assorbire anche gli elementi tossici. Il risultato è morte sicura, eppure alcune specie sono particolarmente resistenti e non soccombono: il loro segreto è nei vacuoli, una specie di sgabuzzino cellulare in cui la cellula accumula riserve nutritive, sostanze di difesa e ospiti scomodi da isolare, appunto i veleni esterni. I biotecnelogi stanno modificando tali meccanismi delle piante per produrre esemplari capaci di crescere sui suoli contaminati e già sono nati un lievito capace di accumulare grandi quantità di cadmio, e una pianta in grado di crescere persino in presenza di mercurio. Le biotecnologie sembrano avere la chiave per salvare il mondo ma non sono esenti da possibili rischi e da conseguenti critiche sia dal punto di vista ambientale e medico, sia dal punto di vista politico ed economico, come vedremo nei prossimi capitoli. 11 2 Rischi e vantaggi 2.1 Schieramenti a confronto Come abbiano visto non tutti sono concordi sul giudizio delle biotecnologie. Vediamo allora qualche rappresentante delle opposte opinioni. La formazione a favore dei cibi transgenici ha dalla sua molti personaggi celebri. Tra gli italiani troviamo Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco, premi Nobel per la medicina, mentre negli Usa diversi Nobel, pionieri delle tecniche di ingegneria genetica, si sono addirittura trasformati in veri e propri manager ai vertici di compagnie biotecnologiche; uno fra tutti Herbert Boyer. Dan Glickaman, ministro dell’agricoltura statunitense, definisce la biotecnologia un “salto quantico” verso la sicurezza alimentare del pianeta, una tecnica “per aumentare in maniera straordinaria i raccolti senza esaurire le risorse naturali”, senza la quale “saremmo costretti a sfruttare intensivamente le foreste e i terreni agricoli erodendoli”. 6 La Monsanto ribattezza la biotecnologia “una promessa per il futuro” e in un’opuscolo divulgativo 7 ne spiega così gli scopi: Una fabbrica sofisticata capace di costruire sostanze indispensabili per l’esistenza umana. […] Se nel prossimo millennio la speranza di vita supererà, come dicono gli scienziati, i centoventi anni, lo si dovrà soprattutto ai grandi traguardi ottenuti con l’uso delle biotecnologie, decine di prodotti di altissima utilità per proteggere la salute, migliorare la produzione di cibo, tutelare l’ambiente. La Fao considera favorevolmente le nuove biotecnologie, in quanto “la tecnologia del Dna ricombinante può avere maggiore importanza per i paesi in via di sviluppo che per quelli industrializzati e può rappresentare un mezzo per produrre sufficienti quantità di cibo sicuro e nutrizionalmente adeguato per una popolazione sempre crescente”. 8 6 Dal discorso al Forum Mondiale per la sicurezza alimentare organizzato a Roma dalla Fao, 13 novembre 1996. 7 Vedi nota 5. 8 Dai documenti del Forum Mondiale di Roma, 13 novembre 1996. 12 Per molti ricercatori gli alimenti transgenici sembrano essere l’unico modo per perseguire lo sviluppo dei paesi poveri. Francesco Salamini, biotecnologo e direttore del Max Planck Institut di Colonia, sostiene 9 : Oggi, grazie al mais geneticamente modificato, in Italia si coltivano un milione di ettari e ne ricaviamo dieci milioni di tonnellate di prodotto. Cinquant’anni fa due milioni di ettari producevano due milioni di tonnellate: se non avessimo quei semi ora dovremmo arare intorno al Colosseo. Gli oppositori dei nuovi cibi manipolati reclutano alleati tra le file di medici, fisiologi e biochimici ma anche ecologi, agronomi e botanici. Un autorevole istituto, contrario al rilascio di organismi geneticamente modificati (OGM), è il Rafi, Rural Advancement Foundation International (Fondazione internazionale per il progresso agricolo). Gli economisti e gli agronomi dello Iatp, Institute for Agricolture and Trade Policy (Istituto per una politica agricola e commerciale), temono che gli OGM danneggino la biodiversità e le fragili risorse dei paesi del sud del mondo, mentre al Forum sullo stato del Mondo di San Francisco un gruppo di intellettuali e scienziati ha stilato, nel novembre del 1997, una petizione in cui si chiede una moratoria sul rilascio in natura di organismi modificati. Tra i firmatari più celebri il fisico e scrittore Fritijof Capra, il filosofo della scienza Ervin Laszlo, i biologi Richard Strohman e Brian Goodwin, uno dei direttori scientifici del Santa Fe Institute. Il gruppo di oppositori ha al suo attivo diverse organizzazioni non governative: Greenpeace e Wwf, mentre in Italia spiccano Lagambiente, Lega antivivisezione, Crocevia, Comitato scientifico antivivisezione e un testimonial d’eccezione: il premio Nobel per la letteratura Dario Fo. Molti di questi gruppi di ambientalisti pensano che migliorare l’efficienza agricola non sia la condizione necessaria e sufficiente per garantire la sicurezza alimentare ai popoli della Terra. Anzi la necessità di produrre sempre più cibo secondo loro è un mito. Di cibo c’è n’è più di quello che serve a sfamare la popolazione umana, semmai viene consumato male e i terreni agricoli non sono sfruttati correttamente. Ad esempio, il settantotto percento del mais coltivato nel mondo viene dato in pasto ai polli o al bestiame, per lo più consumati nei paesi ricchi. Secondo gli ambientalisti la vicenda del cibo transgenico ha il sapore del déjà vu, perché già mezzo secolo fa istituti di ricerca occidentali e compagnie multinazionali promettevano una soluzione rapida e tutta tecnologica al problema della fame. L’asso nella manica allora non si chiamavo Dna ricombinante ma “Rivoluzione verde”. Scrive a questo proposito Vandana Shiva 10 : Senza dubbio le biotecnologie possono accrescere la produttività di alcune piante di uso agricolo. Tuttavia i poveri e gli affamati sono tali non perché ci sia troppo poco cibo nel mondo: sono poveri e affamati perché, inevitabilmente, non hanno accesso ai mezzi economici per comprare il cibo o coltivarlo da sé, specialmente a causa del fatto che sempre più contadini nei paesi del sud del mondo perdono il possesso delle proprie terre. […] Aumentare la produzione agricola lasciando intatte le cause strutturali della povertà e della fame non è una ricetta per nutrire il mondo, ma per continuare ad affamarlo. 9 Espresso, 2 aprile 1998. Shiva V., Egziabher T.G., Von Hildebrand M., “Lettera aperta ai ministri dell’Unione Europea”, diffusa via Internetnel mese di agosto 1997. 10 13 Un discorso a parte merita la Chiesa in quanto anche se alcuni gruppi religiosi vedono nella biotecnologia moderna una interferenza indebita in faccende di competenza divina, un “crimine contro la creazione”, una possibile nuova Babele in cui è l’uomo a cambiare il linguaggio di Dio, la Chiesa ufficiale vede di buon occhi esperimenti su piante e cibi. Scrive il cardinale Ersilio Tonini 11 : L’etica non è la scienza dei no. […] Non bisogna rinunciare alle opportunità che la scienza ci offre solo per paura del nuovo. […] Il Papa già nel 1984 ha detto che la ricerca attorno al Dna non è solo lecita, ma doverosa. Una nazione che trascurasse questo settore compirebbe un peccato più che mortale: diventerebbe responsabile di danni enormi per le future generazioni. Proviamo ora ad analizzare quali sono i possibili rischi che gli alimenti transgenici potrebbero causare. 2.2 Rischi e rimedi Secondo molti ambientalisti il rilascio in natura di organismi geneticamente modificati è pericoloso, perché è impossibile valutare in laboratorio l’interazione tra il nuovo essere e l’ambiente. I rischi riguardano la comparsa di “supererbacce” e di “superparassiti” , la nascita di nuovi ceppi di virus pericolosi o di malattie resistenti agli antibiotici, l’estinzione di specie naturali,il diffondersi di allergie ai nuovi cibi. Greenpeace afferma: “Gli organismi viventi si riproducono e si diffondono ma non possono essere revocati, rilasciatene uno sbagliato nell’ambiente e il disastro sarà irreparabile”. Vediamo ora in dettaglio quali sono questi rischi e come è possibile evitarli. 2.2.1. Perdita della biodiversità Diecimila anni fa la Terra era abitata da cinque milioni di persone che basavano la propria alimentazione su cinquemila piante. Oggi siamo sei miliardi ma usiamo solo centocinquanta piante alimentari. L’ ottantacinque percento delle varietà vegetali usate fino all’inizio di questo secolo sono praticamente estinte. Questo problema è noto come erosione delle biodiversità. La biodiversità è un indispensabile “serbatoio genetico” che consente la vita sul globo. Se sulla Terra esistesse una sola varietà di mais la sua sopravvivenza sarebbe in grave crisi: un parassita infestante potrebbe infatti distruggere tutte le colture. Negli Usa ad esempio, tra il 1970 e il 1971, gran parte del raccolto di mais fu devastato da una sola malattia. Gli avversari delle biotecnologie ritengono che il problema dell’uniformità genetica si acuirà notevolmente con l’entrata sul mercato delle varietà transgeniche. Secondo il premio Nobel Renato Dulbecco l’erosione genetica è una realtà, ma non è colpa delle biotecnologie, che si limitano a ripetere in laboratorio procedimenti conosciuti da millenni: un processo di selezione delle specie più resistenti e produttive 12 . 11 12 AA.VV., Biotecnologia, cit. pag. 28. Monocorda E., “Si può brevettare la vita?”, L’Espresso, 2 aprile 1998. 14 La biotecnologia secondo i suoi promotori, potrebbe invece fornire gli strumenti per salvaguardare la biodivesità 13 : L’ingegneria genetica potrebbe essere impiegata per proteggere la biodiversità. Le biotecnologie possono infatti venire utilizzate per immagazzinare le informazioni sul patrimonio genetico delle varietà vegetali e animali tradizionali in apposite banche dei geni. 2.2.2 Inquinamento genetico e comparsa di nuovi virus Altro argomento controverso è quello delle possibili conseguenze ecologiche dovute al rilascio di organismi transgenici nell’ambiente. Modificare un gene, o introdurne uno nuovo, porta a organismi dalle caratteristiche non del tutto prevedibili. I geni funzionano in una complessa rete di interdipendenze. La risposta dell’organismo alle modificazioni genetiche è, come direbbe un matematico, non lineare: inserire due copie dello stesso gene non necessariamente raddoppia l’effetto mentre, eliminandolo non sempre si sopprime del tutto la proteina che esso codifica. Vero è d’altro canto che, come abbiamo visto, la biotecnologia moderna non fa nulla di diverso da quello che l’agricoltore compie da sempre: selezionare piante con caratteristiche ottimali. Inoltre ogni organismo modificato prima di essere rilasciato nell’ambiente viene studiato in laboratorio per anni e in tutti i suoi aspetti. Non è tutto. I nuovi organismi debbono essere esaminati anche dal punto di vista ecologico. Le loro relazioni con le altre specie, una volta rilasciati nell’ambiente, sono tutte da valutare. Il punto forse più acceso riguarda, però, un nuovo tipo di inquinamento, ovvero quello genetico, dovuto all’ibridazione tra specie, un processo noto come Hgt, Horizontal gene transfer (Trasferimento genetico orizzontale). Per gli ambientalisti e alcuni esperti in ecologia si tratta di un presagio inquietante di possibili disastri. I transgeni utilizzati per creare una patata potrebbero perciò propagarsi in altri organismi naturali, con conseguenze pericolose per l’ambiente e per la salute umana. Per la Union of Concerned Scientists, i geni virali usati come promotori in molte piante transgeniche potrebbero ricombinarsi con geni simili di virus esterni alla pianta, per andare a produrre nuovi organismi immuni alle terapie e in grado di colpire altre specie. Tutte le principali organizzazioni sanitarie e di controllo, nazionali ed internazionali, nonché la Fao, hanno valutato essere minimo il rischio di ricombinazione dei virus e considerano la tecnologia transgenica sicura dal punto di vista del trasferimento genetico. Il fenomeno Hgt, dicono, avviene normalmente in natura e la presenza di organismi transgenici non cambierà in meglio né in peggio le sue caratteristiche. 2.2.3. Nascita di erbacce resistenti È probabile che geni introdotti artificialmente nelle varietà commerciali si diffondano in piante selvatiche e da qui nell’ecosistema con il rischio immediato della comparsa di “supererbacce”. I geni per la tolleranza agli erbicidi, trasferiti alle piante selvatiche, possono portare alla comparsa di erbe infestanti dannose dal punto di vista commerciale e difficili da combattere. La pianta si diffonderebbe al di fuori dei campi coltivati, con il risultato di soppiantare rapidamente le specie selvatiche simili, portandole all’estinzione. 13 AA.VV., Biotecnologia, cit., pag. 25. 15 Le colture transgeniche sono però tenute sotto strettissima osservazione e in zone controllate per ridurre al minimo questa eventualità. 2.2.4. Comparsa di nuovi insetti Un altro problema è quello della comparsa di nuovi insetti più devastanti. Gli insetti, come i microrganismi, possono sviluppare resistenza agli stessi mezzi chimici o biologici con i quali vengono combattuti Le piante transgeniche resistenti ai parassiti pongono problemi analoghi. È probabile infatti che si sviluppino presto insetti resistenti per esempio alla tossina del Bt, rendendo vana un’arma utile da decenni agli agricoltori. Le compagnie biotecnologiche e nazionali hanno studiato alcune strategie per ritardare l’insorgere di razze di insetti resistenti al Bt e ritengono che la più valida consista nel creare un rifugio, accanto alla zona coltivata con colture Bt , cioè una porzione di terreno nel quale si semine la stessa pianta ma “non Bt” e che non viene trattata con nessun insetticida al Bt, così da generare una popolazione non resistente al Bt e non sottoposta ad alcuna pressione selettiva. Quando gli insetti resistenti che provengono dai campi Bt si accoppiano con gli insetti sensibili al Bt, la progenie è a sua volta sensibile al Bt, in quanto questo è il carattere geneticamente dominante. 2.2.5. Danni all’ambiente Un’altra questione riguarda l’uso degli erbicidi che, secondo alcuni, con la tolleranza indotta geneticamente potrebbero essere impiegati in quantità maggiore. L’esperienza pratica dimostra però il contrario: si può distribuire l’erbicida in maniera più razionale e si riducono notevolmente le quantità utilizzate. Anche per quanto riguarda l’uso di risorse non rinnovabili le opinioni sono contrastanti in quanto gli ambientalisti affermano che il loro uso aumenterebbe con l’introduzione delle nuove biotecnologie in agricoltura, ma i risultati delle ricerche mostrano piante che richiederanno un minor impiego di acqua, di concimi chimici e di energia; inoltre l’aumento della produttività aiuterebbe a rallentare il disboscamento delle foreste. 2.2.6. Resistenza agli antibiotici Altro punto dibattuto è quello della resistenza agli antibiotici. I batteri, come anche gli insetti, hanno la capacità di sviluppare rapidamente forme di resistenza agli agenti tossici con i quali vengono attaccati. Il pericolo nasce per le piante transgeniche dal fatto che una procedura tipica, con cui i ricercatori riconoscono i segmenti del Dna da trasferire da un organismo all’altro, è quella di “marcarli”, aggiungendo un gene capace di conferire resistenza a un certo antibiotico. Frammenti del gene marcatore resistente all’antibiotico potrebbero finire per essere trasferiti ad altri organismi, per esempio tramite l’alimentazione o il trasferimento genetico orizzontale, creando ulteriori ceppi di batteri resistenti agli antibiotici. Per quanto riguarda il trasferimento di Dna durante l’alimentazione, questo è altamente improbabile poiché il Dna viene distrutto dagli acidi gastrici. Considerando invece l’Hgt il rischio sul, piano teorico, consisterebbe nell’eventualità che il gene della resistenza all’antibiotico passi dal genoma 14 della pianta transgenica vivente a un batterio che abbia attaccato la pianta stessa e che a sua volta esso lo trasmetta ad una specie 14 Genoma: eredità genetica propria di una determinata specie. 16 diversa, patogena per l’uomo. Ciascuno di questi eventi è molto improbabile se considerato singolarmente e quindi la possibilità del verificarsi della concatenazione di tali eventi diventa estremamente bassa. 2.2.7. Allergie verso i nuovi cibi Secondo alcuni esperti i cibi transgenici possono provocare nel consumatore allergie verso cibi prima del tutto innocui. Il rischi di allergie viene amplificato dal fatto che i cibi modificati a volte contengono Dna proveniente da organismi mai utilizzati prima per l’alimentazione umana. L’ingegneria genetica può trasferire negli alimenti modificati geni a loro estranei ma capaci di scatenare allergie in chi è sensibile. Facciamo un esempio: chi sa di essere allergico alle noci, può smettere di mangiarle e non avere problemi. Ma se un gene di una noce viene trasferito in piante di soia, può capitare che semi di soia finiscano col contenere proprio quelle proteine della noce che provocano allergia nelle persone sensibilizzate; Le quali però non sono consapevoli del rischi. Riguardo l’interazione complessa tra geni non è sufficiente sapere quali transgeni siano contenuti in un cibo per poterne prevedere l’allergenicità; bisognerebbe analizzare, una per una, tutte le proteine da un nuovo organismo e non verificare soltanto l’allergenicità delle proteine corrispondenti ai transgeni introdotti. Dal canto loro, le compagnie produttrici di alimenti modificati ribattono che le analisi effettuate prima di mettere un nuovo prodotto sul mercato sono numerose e severe, nel rispetto delle norme stabilite dai principali organismi sanitari nazionali ed internazionali. 2.2.8. Modifica delle proprietà nutritive Ci si chiede, inoltre, se la facoltà di assorbimento da parte dell’organismo delle sostanze nutritive non possa essere ostacolata o diminuita dalla manipolazione genetica. È possibile che durante il prolungamento artificiale del periodo di maturazione vengano decomposti dei componenti cellulari, ad esempio vitaminici, causando un impoverimento delle proprietà nutritive delle pianta. Anche questo rischio sembra però remoto in qunto gli attuali studi si stanno movendo in senso opposto: cercare di aumentare le proprietà nutritive degli alimenti. 17 3 La questione economica 3.1 Brevettabilità: biopirateria e Terzo Mondo Tanto i sostenitori quanto i nemici delle biotecnologie sottolineano come l’aspetto economico sia cruciale nella discussione sulle biotecnologie, dal momento che il loro impatto è potenzialmente enorme. La ricerca vende bene ma costa carissima. Produrre una nuova pianta significa spendere milioni di dollari e non avere la certezza di alcun tipo di rientro, se non i diritti di sfruttamento della “scoperta” attraverso il brevetto. La brevettazione, d’altro canto, potrebbe causare una diminuzione ulteriore delle biodiversità, in quanto tutti, per restare competitivi, si rifornirebbero dallo stesso produttore di sementi modificate; potrebbe accrescere il debito di dipendenza economica dei paesi poveri, costretti ad acquistare ogni anno le sementi dai paesi evoluti; potrebbe inoltre far perdere le terre dei piccoli proprietari, i quali non hanno sufficienti mezzi per accedere alle nuove tecnologie, a favore dei grandi latifondisti. In realtà le leggi sulla difesa dei diritti di proprietà intellettuale sono lasciate solo in minima parte alle scelte delle singole nazioni, in quanto sono inserite all’interno degli accordi internazionali sul commercio. La possibilità di brevettare sequenze genetiche e parti di organismi viventi esiste e sta scatenando una vera e propria febbre dell’oro. La ricerca si sta facendo frenetica nelle foreste e nei villaggi del Terzo Mondo, dove istituti di ricerca dei paesi industrializzati e compagnie private, stanno studiando le proprietà delle piante utilizzate dai gruppi indigeni. Obaidullah Khana, vicedirettore generale della Fao, ha condannato senza mezzi termini queste pratiche, per le quali ha coniato il termine di biopirateria. La brevettazione della biodiversità rischia di aprire la strada a un nuovo colonialismo nei confronti dei paesi del sud del mondo. Il problema della biopirateria esiste ed è serio; basti pensare che almeno un quarto delle medicine esistenti provengono dalle piante selvatiche e dalla conoscenza tradizionale dei popoli indigeni. La stragrande maggioranza del materiale genetico dei semi, studiato nei laboratori e brevettato, deriva dalle foreste tropicali o dal lavoro di incrocio e selezione che i contadini indigeni praticano da sempre. Nell’ultimo periodo si è visto un flusso di geni dal sud al nord del mondo, totalmente gratuito. Le grandi compagnie private hanno, però, scoperto un modo ulteriore per far fruttare questo flusso: prelevare da questi paesi geni per nuove sementi e rivendergliele comprensive di diritti d’autore per il brevetto. 18 La maggior parte dei ricercatori considera cruciale per il progresso scientifico la brevettazione delle invenzioni biotecnologiche. Se non c’è possibilità di giungere al brevetto in un dato settore, dicono, nessuno investirà per fare ricerca in quel settore, oppure le compagnie finanziatrici di ricerche copriranno col segreto industriale ogni scoperta, col danno di tutti. Scriveva Renato Dulbecco 15 : 6-10 anni di lavoro e una spesa tra 100 e 200 milioni di dollari e il successo è tutt’altro che certo. Nessuna ditta potrebbe intraprendere l’impresa se non fosse sicura di avere un ritorno adeguato, che solo il brevetto può garantire. Uno dei problemi è connesso ai cosiddetti “brevetti pigliatutto”, cioè al monopolio che il brevetto può assicurare a una data compagnia su applicazioni vastissime. In Europa l’Agracutus (oggi acquistata dalla Monsanto) detiene il brevetto su qualunque pianta di soia transgenica, manipolata con qualunque tecnica e contenente qualunque gene estraneo. Ancora Renato Dulbecco 16 : È facile parlare in termini romantici. La realtà è che se le ditte non avessero insistito e investito su tali brevetti, non ci sarebbe nulla. Scriveva a questo proposito Edo Ronchi, ministro dell’ambiente 17 : Il brevetto attribuisce la possibilità di sfruttamento commerciale a chi ne è titolare, traduce la ricerca in vantaggio economico e quindi incentiva, paga e orienta la ricerca stessa, concesso il brevetto è difficile impedire e, qualche volta persino controllare la commercializzazione. Non si tratta di bloccare la brevettabilità di ogni prodotto transgenico rinviando i controlli al dopo, alla sola commercializzazione. Si tratta invece di stabilire quali invenzioni biotecnologiche non possono essere e non devono essere brevettate, quali controlli vanno fatti prima della brevettazione e chi li deve fare, sapendo che decisioni simili non possono essere prese contemporaneamente in tutto il mondo e che ogni singolo paese e l’Unione europea devono assumersi le loro responsabilità in tutte le sedi, internazionali e nazionali. Forse è vero: il brevetto è indispensabile affinché le compagnie continuino la ricerca, ma è vero anche che questo non deve portare a fenomeni di monopolio. Non deve impedire inoltre il perseguimento dello scopo per il quale le colture transgeniche sembrano essere nate: risolvere, o almeno alleviare, il problema della malnutrizione e della fame nel mondo. In questo senso un organismo di controllo è indispensabile affinché fenomeni di sfruttamento economico non si verifichino fra i detentori del brevetto e i paesi poveri che ne richiedono l’utilizzo. 3.2 Monopolio economico La possibilità di aumentare il rendimento dei prodotti della natura con le nuove bioscienze è assolutamente straordinaria. Logicamente, le maggiori potenzialità si riscontrano nelle piante 15 Corriere della sera, 12 maggio 1998. Corriere della sera, 13 maggio 1998. 17 L’Unità, 21 luglio 1999. 16 19 finora meno valorizzate. Tuttavia le biotecnologie possono portare alla sovrapproduzione di beni finora meno valorizzati, con grande rischio per l’economia mondiale che vedrebbe crollare il valore delle colture che oggi sostengono l’economia (figura 2). Figura 2: Stime in milioni di dollari relative al mercato delle verdure geneticamente modificate negli Stati Uniti. Valore attuale Cavolfiore Sedano Carota Broccoli Mais Cipolla Lattuga Patate Valore dopo miglioramento genetico Pomodori 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0 Fonte: Genetic Tecnology News, febbraio 1998. Il crollo dei prezzi delle produzioni agricole costringerà i piccoli proprietari ad acquistare le nuove sementi modificate dalle grandi compagnie biotecnogiche, le quali per aumentare sempre più i loro guadagni, stanno investendo nella produzione di nuove tecnologie volte a rendere sterili le sementi recuperate annualmente dai contadini per la semina successiva. Questa nuova tecnologia già soprannominata “Terminator” costringe i contadini a tornare al mercato commerciale dei semi ogni anno. Camilla Montecinos del Centro di educazione e tecnologia di Santiago del Cile afferma a proposito: “i governi dovrebbero rendere illegale l’impiego della Terminator perché è una tecnologia immorale che ruba alle comunità contadine il diritto millenario a conservare il patrimonio genetico agricolturale locale”. Questa tecnologia, se verrà consentita, non porterà solo sconvolgimenti dal punto di vista economico, ma anche ambientale. La “Terminator” minaccia la biodiversità, infatti i pollini di questa nuova generazione di piante sterili potrebbero finire alle piante circostanti rendendo sterili i semi di queste ultime. 20 4 Situazione politica 4.1 Il problema dell’etichettatura Un punto sul quale l’ingegneria genetica s’intreccia con la politica, è quello della libertà di scelta del consumatore. I cibi transgenici devono essere riconoscibili come tali affinché il consumatore possa scegliere se comprarli o no? A parole tutti sono d’accordo per il sì. Secondo la maggior parte dei produttori, però, l’etichettatura ha senso solo per i cibi con un profilo nutritivo diverso da quello dei loro analoghi “naturali”. È il famoso principio della “sostanziale equivalenza”, riconosciuto dalla Fao e dalla Food and Drug Administration statunitense ( Amministrazione su cibo e farmaci), principio in base al quale è del tutto inutile avvertire il consumatore su quale cibo sia di origine transgenica, a meno che le piante o gli animali, da cui è stato ricavato, non siano diversi dal punto di vista fisiologico o nutrizionale dalle varietà tradizionali. Secondo gli ambientalisti e numerosi gruppi di consumatori, tutto ciò viola profondamente il diritto alla libera scelta. A loro parere la sicurezza dei cibi transgenici non è ancora stata dimostrata con certezza e immetterli sul mercato in incognita rappresenta un esperimento inaccettabile condotto sulla pelle di persone ignare. Senza considerare che il consumatore ha il diritto di scegliere cosa mangiare anche in base alle proprie convinzioni religiose, etiche e politiche. In Europa la situazione dell’etichettatura è controversa. Il 28 maggio 1998 i ministri dell’Unione Europea hanno approvato una bozza di legge in cui si obbligano i produttori all’etichettatura. Gli ambientalisti non sono soddisfatti e accusano la direttiva di ipocrisia. Il problema risiede nella soglia “de minimis” che indica la quantità minima di Dna o di proteine geneticamente modificate presenti nell’alimento, al di sotto del quale la presenza di queste sostanze viene considerata accidentale e non fa scattare l’obbligo dell’etichettatura. Con questa legge, accusano gli ambientalisti, almeno il novantacinque percento dei cibi contenenti soia e mais transgenici non saranno etichettati, in quanto la legge non prevede neppure l’etichettatura sugli additivi alimentari né sui cibi sui quali non sia possibile accertare la presenza di ingredienti transgenici. Altra questione che suscita disaccordi è la disposizione che concerne la lista di prodotti esenti dall’obbligo di etichettatura perché contenenti Dna o proteine geneticamente modificate che però sono state distrutte durante il processo produttivo: per esempio gli oli raffinati estratti da mais e soia. 21 Una proposta della Commissione Europea, appoggiata da Svezia, Danimarca e Italia, consisteva nel porre nei casi incerti un’etichettatura riportante la dicitura “può contenere ingredienti geneticamente modificati”. La proposta è stata bocciata e la battaglia continua. 4.2 Il controllo della sicurezza I consumatori si dimostrano sempre più esigenti rispetto alle garanzie di sicurezza e sono interessati sia all’origine sia al metodo di produzione degli alimenti che acquistano. Spesso però risulta difficile raccogliere e decifrare le informazioni che ci arrivano dal prodotto. Il consumatore è quindi propenso a spendere di più per un prodotto che giunga a lui dopo controlli fatti da esperti. Chi è dunque che deve garantire la sicurezza di un prodotto? Da più parti arriva unanime la risposta che ad effettuare questo controllo non possono che essere organi statali. Le autorità pubbliche devono garantire che vi siano limiti che non possono essere superati, e che non saranno mai superati, anche se il loro superamento fosse economicamente vantaggioso. Vi devono quindi essere controlli veri, pubblici ed affidabili. La responsabilità ultima della direzione della nuova tecnologia deve rimanere affidata ai governi nazionali. Il 25 giugno 1999 la maggioranza dei Paesi europei ha votato per una nuova disciplina che regoli l’accesso degli Ogm nella Comunità, sostituendo quella che ha funzionato dal 1992 fino ad oggi; fino a quando non ci saranno nuove norme nessun nuovo organismo verrà autorizzato in Europa. I Paesi europei hanno proposto le nuove regole per gli organismi geneticamente modificati che dovrebbero entrare in vigore nel giro di un paio d’anni. In primo luogo chi chiede l’autorizzazione a vendere un Ogm in Europa dovrà fornire prove più dettagliate di quelle richieste finora, sul fatto che non sia dannoso all’ambiente o alla salute umana. I consumatori dovranno sapere cosa stanno mangiando e quindi su ogni prodotto che contenga Ogm, un’etichetta dovrà indicare la loro presenza in modo chiaro e preciso. Bisognerà poter “rintracciare” gli Ogm, cioè sapere se in qualsiasi prodotto, ad esempio una merendina che utilizza olio di soia, siano presenti Ogm. Un’ultima regola riguarda la durata delle autorizzazioni: finora una volta autorizzato, un Ogm poteva restare sul mercato comunitario per sempre. Con la nuova proposta l’autorizzazione sarà di dieci anni, dopo i quali il prodotto andrà sottoposto a nuovi esami. Queste in sintesi le proposte per salvaguardare la sicurezza dei consumatori senza chiudersi alle biotecnologie solo per la paura del nuovo. 22 Conclusioni Il rappresentante della Fao, John Lupien, direttore della divisione cibo e nutrizione dell’organizzazione internazionale durante una serie di conferenze organizzate a Melbourne affermava che 18 : Le preoccupazioni europee sulla pericolosità dei cibi GM sono più paura dell’ignoto che paura di crescenti problemi sulla sicurezza del cibo. L’atteggiamento dell’Europa sui cibi modificati sarebbe condizionata dai problemi della mucca pazza e della diossina trovata in prodotti alimentari. Fino ad ora l’Europa, ed ancor più l’Italia, ha sostanzialmente subito le biotecnologie. Dunque non stiamo delineando il possibile futuro. In realtà altri hanno già scelto. La nostra posizione è soltanto quella di decidere se subire per intero, rischi compresi, o attrezzarci per avere un ruolo valutando vantaggi e svantaggi. Tanti Paesi stanno già sfruttando l’onda delle biotecnologie e molte aziende italiane ed europee in genere si trovano spesso costrette a trasferirsi in altri stati per continuare le proprie ricerche. Cosa questa inammissibile per poter consentire una stabilità all’economia. La più grande minaccia è che qualche grande industria riesca ad ottenere il monopolio sulla biotecnologia. Per questo le industrie dovrebbero essere disposte a negoziare con i propri governi sussidi o incentivi non monopolistici in cambio di controllo sociale sulla direzione e l’applicazione delle biotecnologie. Le biotecnologie vanno governate poiché non sono un problema tecnologico o di innovazione. I benefici attesi dalle biotecnologie non debbono trovarci impreparati ai rischi che possono portare. In conclusione la modificazione genetica degli organismi in sé non è né buona né cattiva: dipende solo dall’uso che se ne vuole fare. Se ci sarà un approccio onesto e rispettoso verso chi dovrà usufruirne, ci potranno essere benefici per tutti. 18 Dal sito internet della Fao: http://www.fao.org 23 Bibliografia .Bastin P., Romani R., Elementi di biotecnologie generali e agrarie, Franco Lucisano editore,1998. .Castelfranchi Y., XLIFE: guida alle piante e agli animali transgenici, Avverbi, 1999. .Cernia E., Degen L., Le biotecnologie nel settore agroalimentare, La Nuova Italia Scientifica, 1995. .Ferri M. C., Biotecnologie, Edagricole, 1999. .Flowers, Lachkovics, Mooney, Shand, LE LEGGI DELLA VITA: Biotecnologie e sottosviluppo: l’impatto economico, Clesav di Cittastudi, 1991. .Sito Web Italiano Per La Filosofia: http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/swift_rs.html .Sito internet Fao: http://www.fao.org .Sito internet Greenpeace: http://www.greenpeace.it 24