FIRENZE - 13 e 14 marzo 2010
V Convegno Nazionale SIOMI
Con il patrocinio di:
Regione Toscana
Comune di Firenze
FNOMCeO, Fed. Naz. Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri
FOFI, Federazione Ordini Farmacisti Italiani
FISM, Federazione Italiana Società Scientifiche
FIMMG, Federazione Italiana Medici Medicina Generale
FIMP, Federazione Italiana Medici Pediatri
SIMG, Società Italiana di Medicina Generale
SIP, Società Italiana di Pediatria
Relatori & Moderatori
Il giorno di apertura del convegno coincide con l’undicesimo anniversario della fondazione della SIOMI, Società Scientifica nata con l’obiettivo di promuovere l’integrazione fra la medicina cosiddetta convenzionale e l’omeopatia.
Questo compito statutario è stato perseguito in questi anni con la coerenza che ci eravamo proposti e ci ha portato a occupare un ruolo di
riferimento nel settore medico-scientifico di competenza. Un progetto
culturale coronato di recente con l’istituzione del Master di Medicina
Integrata presso l’Università di Siena e con il progetto per il costituendo
Ospedale di Medicina Integrata di Pitigliano. L’evoluzione culturale
della Società si è caratterizzata nei temi di avanguardia discussi nei precedenti convegni nazionali triennali che, ricordiamo, sono stati: “Verso
una medicina integrata”, “La medicina integrata dalla ricerca all’applicazione clinica”, “La complessità in medicina” e “L’Umanità in medicina”. Questo V Convegno nazionale si intitola “Ripensare la cura” e
riguarda lo studio e la riflessione sulle potenzialità di applicazione dell’
omeopatia come alleata della medicina convenzionale particolarmente
nelle malattie oggi più diffuse e spesso orfane di risorse terapeutiche di
guarigione.
Con questo convegno SIOMI vuole proporsi come riferimento culturale per una nuova medicina fondata sull’alleanza tra risorse terapeutiche, nell’intento di migliorare le opportunità di cura e di guarigione dei
cittadini affetti da malattie croniche.
COMITATO SCIENTIFICO
Simonetta Bernardini
Ivan Cavicchi
Francesco Macrì
Luisella Zanino
COMITATO ORGANIZZATORE
Daniela Bensi
Italo Grassi - Roberto Pulcri
Elisabetta Togni
Donatella Vicarelli
Programma
Programma
La medicina è Una: quella che guarisce.
Lettera di un malato alla “Medicina”
Daniela Salvucci
Vicepresidente APO Italia, Associazione Pazienti Omeopatici, Macerata
Cara Medicina, chi ti scrive è il paziente, colui che si rivolge a te quando
“cade” ammalato ma che, anche in quella condizione, non si allontana dal
sentirsi persona, fondamento della società. Abbiamo bisogno di te e ti chiediamo con forza di essere assistiti, aiutati, soccorsi, sostenuti, curati.
Quando fu annunciato dall’OMS, nel 1978, con la Dichiarazione di Alma
Ata, abbiamo capito insieme a te cosa significa il concetto di salute dove si
evidenziava che: “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale,
sociale e non semplicemente assenza di malattia”. Lo abbiamo poi compreso
attraverso la Carta di Ottawa nel 1986, laddove si rivelava che la salute è quel
processo di promozione dello “star bene”. Infine, quando con la Dichiarazione di Jakarta nel 1998 e con la Carta di Bangkok nel 2005 si ribadiva che
“la salute è un diritto umano fondamentale ed essenziale per lo sviluppo
sociale ed economico”, abbiamo compreso che insieme potevamo adoperarci
per raggiungere tale condizione.
Cara Medicina, nel tempo sei stata definita “scienza ed arte”.
Scienza, perché studi le cause delle malattie e l’origine dei suoi sintomi;
arte, perché chi ti pratica deve avere la capacità di osservare, capire, considerare che lo stato di salute non si raggiunge solo valutando un elemento clinico, per poi stabilire se prescrivere o meno la terapia, ma si ottiene prendendosi CURA della persona.
In sintesi, cara Medicina, sei considerata come scienza ed arte, che cura.
Nietzsche ha scritto che la “Cura” è quel valore aggiunto all’azione che fa
tremare e luccicare l’anima.
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
Il termine “Cura” rievoca: pensiero attento e costante per qualcuno o qualcosa; rammenta, inoltre: riguardo, accuratezza, attenzione, interessamento, preoccupazione, esattezza, diligenza, zelo, considerazione, impegno e dedizione.
La cura, pertanto, è soggetta nella pratica medica all’ imperativo morale dell’avere attenzione per l’essere umano.
Infatti, anche Ippocrate - considerato il padre della medicina ed autore del giuramento
che medici ed odontoiatri prestano prima di iniziare la tua professione, sosteneva che al centro non c'era la malattia, ma che l'elemento più importante era l'uomo.
Cara Medicina, a volte noi pazienti abbiamo la sensazione dolorosa che tutto questo sia
caduto nell’oblio e che la “Cura” abbia perso il suo significato più alto. Oggi più che mai
abbiamo l’impressione che la cura non sia più l’adempimento di quel dovere deontologico
che si dovrebbe avere verso i malati, ma che essa sia diventata manifestazione di un diritto a
curare, solo e soltanto secondo leggi convenzionalmente prestabilite.
A volte pensiamo che tu possa aver snaturato te stessa abdicando al tuo ruolo di “scienza
ed arte”; quando ti vediamo applicare su di noi freddi protocolli terapeutici - per te “rassicuranti” per noi non sempre - secondo un modello definito “meccanicistico” in base al quale
usi metodi standard e procedure programmate, abbiamo l’impressione che l’attore protagonista sia diventata la patologia, la sua manifestazione, il suo decorso, piuttosto che l’uomo
nella sua interezza di storia clinica e umana. In questo caso, prendersi cura vorrebbe dire
“ragionare” su modelli predeterminati.
Dal nostro punto di vista, a volte, il tuo metodo ci appare piuttosto un “disertare” che un
curare. Spesso, durante una visita medica, a noi pazienti viene richiesto soltanto di riferire
brevemente sui sintomi fisici avvertiti; dopodiché, ascoltiamo silenziosamente e passivamente diagnosi e cura che ci viene prescritta.
E’ anche per questa ragione che, insoddisfatti del tuo agire, sfiduciati, scoraggiati, consapevoli di questo tuo limite, abbiamo cercato altrove quell’arte del curare; ed infine, siamo
approdati nel mondo delle Medicine Complementari dove il nostro non era un ruolo passivo, ma di assoluta e completa collaborazione. La visita medica è ritornata ad essere un
"incontro" in cui ci siamo sentiti ascoltati nella nostra unicità; non siamo più stati considerati “standard di patologie” cui applicare standard di terapie; abbiamo ripreso a percepirci
curati secondo quella Scienza e Coscienza da te enunciate.
Firenze, Auditorium “Al Duomo”, 13-14 marzo 2010
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Cara Medicina, la scelta di curarsi con queste terapie avviene perché l’ammalato, non
avendo risolto i suoi problemi di salute, vi approda come ultima spiaggia.
La vera differenza tra la medicina convenzionale e quella complementare sta proprio nell'approccio, sia per la diversa attenzione verso il malato sia per l’adozione di un diverso metodo di cura. Mi riferisco, per quest’ultimo, al potenziale di autoguarigione di ciascun individuo, paradigma portante delle medicine complementari come omeopatia e agopuntura.
Il paziente, una volta "incontrato" questo diverso metodo terapeutico che può non solo
guarire la patologia ma anche prendersi cura della sua persona, si sente accolto, ne comprende i princìpi che lo regolano e, soprattutto, si rende conto di poter essere parte attiva del proprio percorso di guarigione. Del resto, la dichiarazione di Alma Ata, già nel 1978, si era occupata anche dell’empowerment, quel processo attraverso il quale le persone acquisiscono consapevolezza della propria vita e procedono a quel cambiamento del proprio ambiente sociale e politico, per migliorarne la qualità.
Ma, ad oggi, quale applicazione?
Quale, invece, la situazione attuale?
La scelta crescente da parte dei pazienti di questi diversi metodi di cura, non avvenuta per
obbligo da parte delle istituzioni ma solo ed esclusivamente grazie alla loro efficacia, ne spiega la sempre maggiore diffusione. Milioni di pazienti vi si avvicinano quotidianamente.
Cara Medicina, a questo punto ti chiediamo: perché non completare le opportunità di
Cura con l’aiuto delle medicine complementari? Sono stati i pazienti a voler integrare le cure
e lo hanno fatto non a caso, ma a “ragion veduta”.
Viceversa, la scelta che tu vorresti fare, di chiuderti anziché aprirti alla considerazione di
altri saperi in medicina, potrebbe farti ammalare di una malattia subdola: la “superbia”.
Perciò, avendo sperimentato sulla nostra pelle la validità dell’integrazione delle medicine,
sentiamo il dovere di consigliarti di non tralasciare questa opportunità, perché “La Medicina
è una, quella che guarisce”.
Quindi, noi vorremmo che considerassi anche altri approcci metodologici; pena, oltre che
il mancato sviluppo ed il progressivo inaridimento della ricerca e della pratica clinica, anche
la possibilità di vederti condannata da chi dovrebbe, invece, credere in te.
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
Noi crediamo che ti corra l'obbligo etico e deontologico, nell'interesse del malato, d’interagire con quelle risorse terapeutiche che ogni giorno, tuo malgrado, dispensano trattamenti. Noi non pensiamo che integrazione voglia dire snaturarsi ne’ mai abbiamo pensato di
rinunciare alle risorse di cura ottenute dal progresso scientifico; noi riteniamo che proprio
grazie all’integrazione sia possibile che la medicina ritrovi pienamente i contenuti di scienza
ed arte che devono appartenerle. I pazienti chiedono questo; lo dimostrano milioni di individui che ogni anno ricorrono a queste terapie, ne è prova il numero sempre crescente di
coloro i quali, “curati” con farmaci chimici, chiedono poi di non dover ricorrere sempre ad
essi, poiché gli effetti iatrogeni che ne scaturiscono, talora sono pesanti quanto se non più
della patologia stessa. Lo documentano i malati che si rivolgono alle medicine complementari per ridurre gli effetti collaterali dovuti a radioterapia e chemioterapia; lo avvalorano le
richieste dei pazienti di voler inserire le medicine complementari nel SSN; ed infine, lo conferma una regione come la Toscana che, da diversi anni, ha inserito nel SSN le medicine di
omeopatia, agopuntura, fitoterapia e che ha dato il via alla realizzazione del primo Ospedale
di Medicina Integrata in Italia, nella città di Pitigliano.
E’ necessario ricreare l’unità, nella diversità, ristabilire lo statuto della medicina, ritrovare
quell’agire per il bene del malato così come era stato evidenziato dall’OMS, nel pieno interesse della scienza e dell’arte medica che cura, e nel totale rispetto del giuramento ippocratico.
Cara Medicina, concludo questa mia lettera parafrasando il dottor Samuel Hahnemann,
(il fondatore dell’omeopatia): lo scopo principale ed unico della medicina è quello di rendere sani i malati; aggiungerei: con ogni mezzo disponibile. E’ questo il senso, noi crediamo di:
Ripensare la Cura!
Firenze, Auditorium “Al Duomo”, 13-14 marzo 2010
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Ripensare la cura nella medicina di oggi:
aspetti medico-filosofici
Ivan Cavicchi
Professore di sociologia dell’organizzazione sanitaria,
Università di Roma “Tor Vergata”
Professore di Filosofia della medicina, Università di Roma, “Sapienza”
La medicina di oggi
Il paradigma di riferimento della medicina ancora oggi è quello scientifico-sperimentale dell'800 e che, attraverso un processo di adeguazione della
razionalità positiva, interpretava le nuove esigenze della società industriale. I
suoi caratteri fondamentali quindi sono tutti quelli che si rifanno all'inizio ad
un'idea di scienza razionale oggettiva e verificabile per poi perfezionarsi all'inizio del 900 con i canoni caratteristici dell'empirismo logico. La medicina
oggi è ancora prevalentemente una conoscenza osservativa, su base semeiotica, una conoscenza oggettiva misurabile e verificabile, una conoscenza biochimica, cioè organica e fisica, una conoscenza impersonale che trascende le
peculiarità e le caratteristiche del soggetto. La logica che sovraintende le operazioni conoscitive è, deterministica e meccanicistica nel senso che le relazioni che spiegano le malattie sono per lo più organizzate per nessi di causalità,
per alterazioni, squilibri, eccessi, carenze, disturbi, ed altro a spiegare una presunta perdita di normalità, una presunta compromissione dell'ordine naturale, un venir meno di certi equilibri. Le forme della congettura medica sono
per lo più quelle cliniche ipotetiche-deduttive, a volte induttive come è il caso
della EBM, a volte fortemente procedurali o algoritmiche come è il caso delle
linee guida, dei protocolli, etc. Oggi i principali riferimenti del ragionamento medico sono quindi: la semeiotica, la statistica, la metodologia. Il criterio
che in qualche modo riassume il paradigma descritto è quello della demarcazione tra razionale/irrazionale. E' un criterio che funziona automaticamente
in base ad una doppia esclusione: tutto quanto non è razionale è automaticamente irrazionale quindi inconsistente ai fini della conoscenza; tutto quanto
non ha le caratteristiche predefinite della razionalità positiva non è razionale.
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
Ne consegue che tutto quanto non è circoscritto ai canoni prescritti dalla razionalità convenzionale non può essere considerato scientifico. Due sono le nozioni che riassumono le caratteristiche di fondo della medicina scientifica: monismo, ovvero la convinzione che esiste un
solo genere di razionalità; scientismo ovvero la convinzione che solo questa particolare razionalità sia quella veramente scientifica.
I problemi della medicina oggi
I paradigmi in genere, compreso quello della medicina scientifica, sono come degli arcipelaghi di teorie e pratiche concatenati. Essi reggono fino a quando non viene meno la loro
coerenza interna, cioè fino a quando non subentrano contraddizioni significative tra teoresi
e prassi, e fino a quando non viene meno il consenso sociale che li legittima. In genere le
dinamiche sono circolari: le contraddizioni interne al paradigma sono indotte da problemi
di cambiamento sociale e culturale fino a creare fenomeni di dissenso sociale. Il cambiamento sociale, culturale, antropologico è come se entrasse in conflitto con le invarianze del paradigma. In medicina la principale concatenazione paradigmatica può essere schematizzata
come un rapporto di deduzione tra ontologia, epistemologia, metodologia. Sulla base di una
certa concezione del malato/malattia si deduce un certo modo di conoscerlo scientificamente e quindi una certa metodologia per guidare la pratica. Ebbene oggi è in atto da almeno
trent’anni un forte cambiamento sociale e culturale (società post-moderna, liquida, individualista, consumista, complessa, connessionale, etc.) che induce forti contraddizioni interne
alla concatenazione ontologia/epistemologia/metodologia. Esse nascono da un cambio della
figura tradizionale del paziente, quindi da un cambio della premessa ontologica alla quale
non segue da parte della medicina, né un adeguamento epistemologico e meno che mai
metodologico. La figura dell'esigente è una tipica espressione della post-modernità alla quale
però non corrisponde né una nuova forma di conoscenza scientifica, né una nuova pratica
medica. Da questa scollatura prendono forma i fenomeni più tipici del nostro tempo: il contenzioso legale, la medicina difensivistica, gli opportunismi professionali, la sfiducia nei confronti della medicina, l'insicurezza che deriva dal percepire la medicina scientifica come
rischiosa, il bisogno di umanizzazione, la crescita delle medicine complementari, etc.
A questa situazione della medicina si aggiunge l'aggravante dei condizionamenti economici. La spesa sanitaria pubblica continua a crescere andando incontro a rischi di antieconomicità, le politiche sanitarie sono ormai apertamente compatibiliste cioè tentano di adattare
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i comportamenti della medicina ai limiti economici. Ormai il diritto alla salute è apertamente subordinato ai limiti di spesa. Da qui sorge quella particolare questione medica che consiste in una perdita notevole dell'autonomia professionale, la subordinazione del giudizio e
della scelta clinica agli imperativi aziendali, la crescente burocratizzazione della professione,
e la nascita di un genere di medico "osservante" cioè colui che viene valutato solo se "osservante" gli obiettivi aziendali non in ragione di quello che effettivamente fa. La medicina oggi
si trova praticamente tra una società di esigenti che la sollecita a cambiare, a ridiscutersi, e un
economicismo che in qualche modo ne blocca il cambiamento assoggettandola alle esigenze
economiche. Le principali scollature derivano da questo: tra medicina e sanità, tra sanità e
società, tra medicina e società.
Ripensare la cura
La medicina oggi se vuole uscire da questa delicata e difficile posizione, di qua l'esigente,
di là l'azienda, cioè se vuole rispondere ad entrambi, deve mettere mano ad un ripensamento paradigmatico, cioè autoconfutare la sua ortodossia, la sua teoresi e le sue pratiche. Ciò
significa riesaminare la nozione di scientificità alla luce dei cambiamenti sociali e culturali in
atto. Questo è quello che si sarebbe dovuto fare già da molti anni ma che non si è fatto. Le
politiche sanitarie ancora oggi privilegiano gli aspetti dell'organizzazione dei servizi, gli aspetti istituzionali di governo, le soluzioni di razionalizzazione dei modelli in essere, le questioni
gestionali. In sintesi si privilegiano i problemi sanitari dei "contenitori" dimenticando quelli medicali dei "contenuti" e scadendo nella pratica del razionamento delle risorse."
Ripensare la cura"ha quindi un valore paradigmatico e il suo significato di fondo è il ripensamento della clinica. Si può ripensare la cura senza ripensare la clinica? Cosa vuol dire ripensare la clinica? Vuol dire che a partire da una nuova concezione ontologica del malato e della
malattia si debbono dedurre una conoscenza di tipo diverso e una pratica anche di tipo diverso. In cosa consiste questa nuova concezione ontologica? L'idea non è la nozione generica di
"persona" o di "soggetto", che sono preferite dal dibattito sulla umanizzazione, o quelle ossimoriche che sostengono che non esistono le malattie ma i malati (contrapposizione illogica),
ma è un'idea che esprime una diversa complessità ontologica del malato e della malattia.
Definisco questa complessità "coestensione ontologica" in ragione della quale "l'essere", il
malato, è coestensione del "fenomeno", la malattia; e il fenomeno malattia è la coestensione
dell'essere il malato. Nel momento in cui pongo nella premessa ontologica del ragionamen-
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
to clinico, l'essere e il fenomeno, al posto della sola sostanza vivente, della sua oggettività,
della sua materialità, devo cambiare il conseguente epistemologico e subito dopo quello
metodologico. Come conosco l'essere fenomenico? Prima di ogni altra cosa lo conosco attraverso una "relazione di conoscenza" (prima discontinuità: la clinica non è una conoscenza
relazionale); quindi attraverso una conoscenza "personale" (seconda discontinuità: la clinica
è una conoscenza impersonale); ancora attraverso la sua "complessità" cioè una varietà di riferimenti biologici, sociali, biografici, psicologici, esistenziali (terza discontinuità: la clinica
riduce la conoscenza al corpo vivente); infine con delle modalità legate ai contesti, alle situazioni e alle contingenze (quarta discontinuità: la clinica è un sapere convenzionale che funziona per modelli). Questa nuova epistemologia a sua volta dovrà essere la premessa per una
nuova metodologia: non si tratta di rinunciare al "metodo" ma di usarlo in modo non dogmatico reinterpretandolo di volta in volta, nella relazione di cura sulla base delle contingenze e delle specificità del malato, che quindi non si propone come una prescrizione rigida ma
come una razionalità aperta.
"Ripensare la cura" quindi significa ripensare quelle concatenazioni che sino ad ora hanno
garantito la coerenza interna al paradigma medicale quindi trovare una nuova coerenza alla
luce di ciò che cambia nella società e nelle aziende. La scommessa è riadeguare la medicina
al cambiamento sociale intanto eliminando le scollature che la separano dalla società e che
producono non solo costi umani ma rilevantissimi costi economici, quindi creando le premesse per una corresponsabilizzazione del malato in tutte le scelte che lo riguardano, infine
andando oltre non tanto al riduzionismo scientifico, che resta un modo di conoscere, ma alla
visione incomplessa della realtà. Essere/fenomeno per antonomasia non sono decomplessificabili perchè ciò facendo si falsificherebbe la loro ontologia.
"Ripensare la cura" si propone come qualcosa che deduce dall'atto di ripensamento il
nuovo medico, ma anche una diversa idea di formazione. Se la semeiotica non basta è possibile immaginare un'ontologia medica? Se la relazione è la premessa strumentale alla nuova
conoscenza è possibile formare alla relazione senza banalizzare e ridurre questa importante
idea a deontologia? Se la complessità deve essere la chiave per il giudizio clinico in che modo
essa si deve organizzare in un programma di formazione? Se la corresponsabilizzazione del
malato è la condizione per ridurre il contenzioso legale e la medicina difensivistica, cioè un
conflitto sociale, come si fa a formare un medico alla costruzione del senso e del significato,
alla costruzione delle scelte?
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Ma se "ripensare la cura" è una questione di ontologia medica, di relazione con l'altro, di
corresponsabilizzazione, di senso e di significato, di complessità, di contingenze, di asseribilità, cioè di opinioni del malato, di credenze scientifiche confutabili, allora non è velleitario
dire che forse nella società post-industriale è arrivato il momento di ripristinare come era
prima della medicina scientifica, la funzione della filosofia. A ben pensarci "ripensare la cura"
è un nuovo discorso di filosofia medica e nello stesso tempo è un nuovo modo di intendere
la scienza. Dopo due secoli, prima dei quali la filosofia è sempre stata una conoscenza costitutiva della scienza medica, la scienza medica per cambiare ha più che mai bisogno di una
filosofia nuova, da non confondere con quella che sino ad ora abbiamo inteso per "filosofia
della medicina" (del tutto ancillare alle convinzioni antifilosofiche del positivismo e appiattita sulla descrizione della sua razionalità). Senza filosofia quale indagine, conoscenza, riflessione la medicina rischia di ridursi a tecniche, a procedure, a mezzi impiegati, a razionalità
senza razionalità, perdendo di vista il senso profondo di qualcosa che per sfidare la finitudine umana, perchè questo significa la cura della malattia, ha organizzato i suoi saperi sempre
tra filosofia e scienza con l'unica eccezione ancora oggi in essere dell'attuale medicina scientifica.
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Bibliografia aggiornata su:
www.siomi.it
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Malattie croniche: le aspettative del malato
e i limiti della medicina
Alfredo Zuppiroli
Direttore Dipartimento Cardiologico - Azienda Sanitaria di Firenze
Presidente Commissione di Bioetica della Regione Toscana, Firenze
“I medici possono essere dei buoni consiglieri,
ma la decisione finale sul che fare o non fare tocca al paziente,
perché quella decisione, in ultima analisi,
non è né scientifica né pratica.
E’ esistenziale”
Tiziano Terzani
Etica delle cure integrate
Il titolo della sessione centra in pieno uno dei temi di fondo della
Medicina e della Sanità attuali. Alle crescenti aspettative, richieste, esigenze
da parte delle persone si risponde con sempre maggiore difficoltà. Di fronte
ad una domanda in continua espansione, con risorse economiche che non
possono seguirla in proporzione lineare, è doveroso chiedersi: il “limite” della
medicina è inquadrabile solo dalla prospettiva economica? Se andiamo a rivederne l’etimologia, possiamo verificare che “limes” significa “confine”, dunque ciò che connota, che definisce, che dà un’identità. Allora è possibile parlare di limiti senza per questo porre ostacoli, vincoli, ma solo per connotare
meglio il contesto in cui ci si muove. Dunque, concetti come quelli di salute
e malattia dovrebbero essere riletti, nelle patologie croniche, con atteggiamenti culturali basati anche sull’accettazione del “limite” alla guarigione.
Come è possibile, infatti, continuare ad affrontare le cronicità applicando i
modelli di Medicina e di Sanità validi per le malattie acute? Se per queste ultime la durata è limitata, la causa è solitamente singola e ben individuabile, la
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diagnosi e la prognosi sono generalmente accurate, un intervento tecnico risulta nella maggior parte efficace e con esito in guarigione, le malattie croniche durano molto a lungo, talora per tutta la vita, sono tipicamente multifattoriali, la diagnosi e la prognosi sono spesso
incerte, e la tecnica raramente riesce ad essere decisiva, efficace e sicura. Inoltre, nelle cronicità l’incertezza è pervasiva, le conoscenze non sono solo dei professionisti, ma i pazienti
sanno integrarle molto bene, ed insieme alla famiglia hanno un ruolo di primo piano nell’assistenza, che nelle forme acute è tipicamente riservata al personale sanitario.
Le aspettative del malato non sempre coincidono con i suoi diritti, ma talora perverse
logiche di mercato dilatano l’ambito dei bisogni a quello dei desideri, fino a quello dei capricci. Con una Medicina immersa nel Mercato, il rischio è quello di parlare solo il linguaggio
dei (falsi) diritti, mentre si deve cominciare ad avere il coraggio di parlare, riguardo alla salute, anche di doveri. In particolare, il primo dovere è proprio quello di riconoscere i diritti
degli “altri”, e dunque riconoscere il “limite” entro il quale ci dobbiamo e possiamo muovere. Purtroppo una funzione di controllo a questa deriva è esplicata oggi soprattutto, se non
esclusivamente, dalle ricadute economiche degli atti medici: se un determinato atto medico
è tecnicamente possibile ed economicamente finanziato, diventa automaticamente fattibile.
E’ necessario aiutare il malato cronico a forgiarsi una nuova identità, perché nei suoi confronti bisogna concentrarsi non già sulla terapia, ma sulla “gestione” della malattia. Con il
crescente invecchiamento della popolazione, fenomeno particolarmente evidente in alcune
zone d’Italia tra cui proprio Firenze, lo scenario sarà sempre più occupato dalle cronicità. Si
deve allora ripensare il concetto di salute, che sempre meno può soddisfare i criteri un po’
velleitari della definizione dell’OMS - il completo benessere fisico, psichico e sociale - e non
può certo implicare né l’assenza di malattie né una rassegnata convivenza con esse. Si deve
invece puntare alla realizzazione del nostro progetto di uomini e donne che, attraverso le
vicende del corpo, diamo forma ad un destino che dipende in gran parte da noi.
Non bastassero le patologie croniche organiche, le crescenti comorbilità degli anziani,
stiamo assistendo al fatto che larghe fasce di popolazione, anche in età relativamente più giovane, sono sempre più preoccupate per la salute, al punto che la domanda di salute potrebbe diventare ingovernabile. Perverse dinamiche di mercato e politiche utopistiche di promozione della salute incentivano infatti sia il salutismo che la medicalizzazione. L’estrema fase
di questo processo è il Disease Mongering, cioè quel fenomeno di negoziazione fra potenziali clienti/pazienti e fornitori di servizi (medici e industrie farmaceutiche o elettromedicali)
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per trasformare in malattie da trattare alcune condizioni che non sono necessariamente
malattie. La medicalizzazione spinta di alcuni fattori di rischio cardiovascolare ne è un esempio. Ne deriva un impatto che potrebbe risultare alla lunga disastroso per le casse dei sistemi
di sanità pubblica. Ben diverso, sotto una prospettiva etica ma anche di razionale uso delle
risorse, il concetto di cura che si trasforma da strumento per recuperare una perduta salute a
mezzo per mantenere il precario equilibrio della cronicità. La transizione epidemiologica ci
ha ormai messo di fronte a stati morbosi che non possono essere “guariti”, ma “curati”. E la
cura non può essere più vista soltanto come quella ippocratica, quando la cura cioè deve
rispondere ad un bisogno espresso dall’ammalato. Si fa strada, infatti, e sempre di più, anche
una cura rivolta a chi ha la probabilità di ammalarsi, o solo la possibilità. E’ evidente come
soltanto un rigoroso controllo etico, direi politico di questo tipo di cura sia necessario, per
evitare che sia il mercato a governarlo, con il rischio di concentrare solo nelle fasce più forti
(economicamente, socialmente, culturalmente) gli strumenti di prevenzione. Parole come
“empowerment” ed “enhancement” che appunto descrivono come la medicina si stia orientando non più solo ai malati ma anche ai sani, per aumentarne le capacità (patients/unpatients), devono trovare in una seria politica di orientamento e governo della domanda/offerta di salute la loro giusta collocazione.
In questo scenario la Medicina Complementare entra a pieno titolo in una logica d’integrazione con le cure cosiddette “tradizionali” (per la nostra cultura dominante): è infatti evidente come ormai nella società si sia fatto strada il diritto di veder considerate globalmente
le problematiche di salute. Da una parte i limiti terapeutici dimostrati dalla medicina ufficiale nei confronti di patologie, sicuramente non gravi rispetto alla speranza di vita, ma
molto influenti sul benessere in generale, e dall’altra i rischi di possibili effetti collaterali legati a farmaci e/o dispositivi medici rendono ormai inevitabile l’integrazione con le medicina
complementari, pena un’ulteriore incrinatura del rapporto medico-paziente, già troppo
minato dal riduzionismo biologico e tecnico che troppo spesso caratterizza la medicina ufficiale. Anche a livello pubblico, come accede soprattutto nella Regione Toscana, è ormai
necessario aumentare gli sforzi per tutelare la libertà di scelta terapeutica da parte dei cittadini, insieme al riconoscimento della libertà di cura per i medici. Tutto questo deve essere
accompagnato da una costante ricerca dell’appropriatezza delle cure e della valutazione dei
loro esiti, nella prospettiva di una crescente valorizzazione della centralità della persona e del
suo vissuto nei percorsi di cura, ma anche di una rigorosa verifica se ciò che viene fatto è fatto
bene ed a chi ne ha veramente bisogno.
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
Non possiamo non ribadire che la Medicina è una, e che i differenti modelli di pratica
medica non possono richiedere un’improbabile conciliazione di paradigmi spesso irriducibili a livello teorico: solo un approccio laico e pragmatico, e nello stesso tempo responsabile,
da parte di tutte le componenti in gioco potrà portare a realizzare lo scopo ultimo della
Medicina, e cioè quello di perseguire la salute della persona. Se è vero che ogni essere umano
può e deve essere parte attiva nella promozione della propria salute e non solo un oggetto
passivo di interventi o un consumatore inconsapevole di farmaci o rimedi, qualunque sia il
modello di medicina in gioco, se ne deve promuovere la consapevolezza che un organismo
ha armi per preservare la propria salute e per guarirsi e che tale potenziale può essere stimolato con adeguate risorse terapeutiche
Allora, se Einstein ci ricorda che “La verità è ciò che sopporta la verifica dell’esperienza”,
l’approccio culturalmente migliore nei confronti dell’ “altro” non può che essere quello di
cercare di conoscerlo, capirlo, definirlo e poi trarne le opportune conseguenze. Ed è questo
lo spirito con cui la Commissione da me presieduta sta affrontando il tema delle Medicine
Complementari e della loro integrazione nel Servizio Sanitario della Regione Toscana: un
laico spirito di rispetto, di valorizzazione di identità tra loro diverse, non “contro” ma “verso”
chi è altro da sé. Ed alla Medicina Complementare, nel momento in cui questa s’affaccia alla
dimensione pubblica, in una logica di governo e di concertazione condivisi, rivolgo volentieri un appello, a partire da alcuni concetti che già oltre 10 anni fa Richard Smith sottolineava nelle pagine del “suo” British Medical Journal: impariamo, insieme ai pazienti, a pensare
in termini di “limiti” con un significato non riduttivo ma propositivo. Riconosciamo e
comunichiamo il concetto che la medicina non è onnipotente, che ha dei suoi rischi intrinseci, e soprattutto non ha alcuna capacità di risolvere quei problemi che sono falsamente presentati come “medici” ma che invece sono sociali o comunque antropologici. Cominciamo a
lavorare sulle attese, sulle aspirazioni delle persone, che non possono essere lasciate al solo
mercato come unico elemento di guida; impariamo a “governare la domanda”, spiegando che
la maggior parte delle malattie si può curare ma non guarire, che molti trattamenti ottengono benefici marginali, che il mito degli screening diagnostici non ha retto alla prova dei fatti
e che la cura (to cure) non può ridursi soltanto al trattamento tecnico (to treat), ma deve
necessariamente estendersi al prendersi cura (to care).
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Le malattie croniche in Italia
Andrea Geraci
Dipartimento del Farmaco, Istituto Superiore di Sanità, Roma
Introduzione
Le malattie croniche (MC) rappresentano la principale causa di morte
soprattutto presso i paesi industrializzati. Vengono considerate MC le malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete, le malattie respiratorie croniche, quelle di carattere degenerativo dell’apparato muscolo-scheletrico e di quello
digerente, ma anche i disturbi mentali, i difetti di vista e udito, le malattie
genetiche. Le numerose malattie esaminate presentano poi dei fattori di
rischio che sono degli elementi modificabili, in genere in relazione allo stile
di vita, sui quali è possibile agire. Esempio sono l’alimentazione ipercalorica,
il tabagismo, l’abuso di alcol, la sedentarietà. Si parla poi di fattori di rischio
intermedi, come l’ipertensione, l’iperglicemia, l’ipercolesterolemia e l’obesità.
L’età o la predisposizione genetica sono invece i fattori di rischio non modificabili (1). Le MC sono influenzate anche da fattori sociali, economici e culturali. Queste patologie sono responsabili di un elevato tasso d’invalidità e di
mortalità: in ambito di Economia Sanitaria è utilizzato il DALY, (Disability
Adjusted Life Year) che è la somma degli anni di vita persi per morte prematura e di quelli vissuti non in stato di salute. Tale parametro esprime in un
valore numerico l’effetto sulla vita umana di una malattia.
Alcuni numeri in Italia
Nell’Indagine Multiscopo Istat 2005: condizione di salute e ricorso a servizi (2) relativa al 2005 è stato valutato un campione di circa 60.000 famiglie
italiane. In questa indagine le malattie croniche più diffuse in Italia sono state
l’artrosi o artrite (18,3%), l’ipertensione arteriosa (13,6%), le malattie aller-
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
giche (10,7%). Nel rapporto tra i due sessi le donne sono colpite da: artrosi o artrite (il
21,8% contro 14,6%), osteoporosi (il 9,2% contro l’1,1%) e cefalea (il 10,5% contro il
4,7%). Gli uomini soffrono più di bronchite cronica o enfisema (il 4,8% contro il 4,2%) e
sono colpiti più da infarto cardiaco (il 2,4% contro l’1,1%). A proposito dell’età, si osserva
che tra gli anziani, negli ultimi cinque anni aumenta la percentuale del diabete (dal 12,5%
al 14,5%), dell’ipertensione arteriosa (dal 36,5% al 40,5%), dell’infarto del miocardio (dal
4% al 6,3%), dell’artrosi o artrite (dal 52,5% al 56,4%) e dell’osteoporosi (dal 17,5% al
18,8%). Le MC determinano poi varie tipologie di disabilità. In Italia le persone con disabilità sono 2 milioni e 600 mila. Le difficoltà nella sfera della comunicazione (incapacità di
vedere, sentire o parlare) coinvolgono oltre 500 mila persone di 6 anni e più (1,1%). Il
10,3% delle famiglie ha almeno un componente con problemi di disabilità. Oltre un terzo
(35,4%) di queste famiglie è composto da persone disabili che vivono sole, il 6,4% da famiglie con tutti i membri disabili, il 58,3% da famiglie in cui c’è almeno una persona non disabile che si fa carico della persona disabile. In generale il Sud e le Isole presentano tassi più
elevati per le patologie croniche “gravi” e per le disabilità. Sono le persone di basso status
sociale a presentare peggiori condizioni di salute. Per quanto riguarda alcuni fattori di rischio
modificabili come l’obesità, sono 4 milioni e 700 mila le persone adulte obese in Italia, con
un incremento di circa il 9% rispetto a cinque anni prima. Per ciò che riguarda il fumo, I
fumatori in Italia sono 10 milioni e 925 mila, pari al 21,7% della popolazione maggiore di
14 anni. Il 27,5% è costituito da maschi, il 16,3% da femmine.
Interventi delle istituzioni
Nel settembre 2006 è stato pubblicato da parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale
della Sanità) “Guadagnare salute” (Gaining health) un documento fondamentale nel quale è
descritta la strategia per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche. Gli obiettivi
principali sono quelli di prevenire e cambiare i comportamenti nocivi che costituiscono i
principali fattori di rischio per le malattie non trasmissibili più comuni: le malattie cardiovascolari, i tumori, il diabete mellito, le malattie respiratorie croniche, i disturbi muscolo-scheletrici e quelli dell’apparato gastrointestinale, i problemi di salute mentale. Il nostro Paese ha
recepito queste indicazioni e il Ministero della Salute ha promosso varie campagne di vera e
propria educazione alla salute. Tali iniziative sono rintracciabili anche sul portale istituzionale (3). Più recentemente, nel 2008 è stato pubblicato il Piano d’azione Oms 2008-2013 per
Firenze, Auditorium “Al Duomo”, 13-14 marzo 2010
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la strategia globale di prevenzione e controllo delle malattie non trasmissibili (4). Gli scopi
principali di questo programma sono di descrivere nei dettagli l’epidemia emergente di
malattie croniche non trasmissibili e analizzare i determinanti sociali, economici, politici e
comportamentali, ridurre il livello di esposizione dei singoli individui e delle popolazioni ai
fattori di rischio modificabili comuni alle varie malattie croniche (consumo di tabacco, alimentazione scorretta, inattività fisica, consumo nocivo di alcol). Bisognerà rafforzare la capacità degli individui e delle popolazioni di fare scelte sane e seguire stili di vita che promuovono la buona salute. Ci sarà poi l’esigenza di adeguare l’assistenza sanitaria per le persone
con malattie croniche, mettendo a punto norme, standard e linee guida basate su prove scientifiche, per rispondere alle esigenze di una gestione efficace delle malattie di natura cronica
(5).
Agire sugli stili di vita
Tra i principali suggerimenti dell’OMS abbiamo quindi: prevenire e controllare il consumo di tabacco, implementare azioni per un’alimentazione corretta, promuovere l’attività fisica, contrastare il consumo di alcol. Come possiamo concretamente realizzare tutto ciò?
Bastano veramente soltanto le linee guida di un’organizzazione internazionale prestigiosa
come l’OMS o le campagne del nostro Ministero della Salute? Probabilmente c’è la necessità
anche di una presa di coscienza del singolo. Sarà necessario del tempo, non quantificabile
oggi, ma la consapevolezza di mettere in pratica una vera medicina preventiva deve venire da
una maggiore “disposizione” dell’individuo in termini psico-fisici e sociali, proprio come dice
l’OMS quando definisce lo stato di salute (6). Ecco alcune parole chiave su cui riflettere:
aspetti socio-culturali, autostima, stress, mancanza di socialità, veleno morale (7), valori
morali, materialismo. I mali del nostro presente li conosciamo bene. Ci sono i fattori di
rischio e c’è anche la persona con le interazioni ambientali a vari livelli. Una strada percorribile è quella di cercare nuove strategie tra passato presente e futuro: riscoprire la tradizione
in chiave moderna per un futuro fatto d’integrazione.
L’OMS ha pubblicato nel 2004 delle linee guida sulle medicine tradizionali (8). In questo documento si auspica che i singoli Governi offrano ai consumatori informazioni su efficacia, sicurezza e controindicazioni dei prodotti, facciano conoscere i canali utilizzabili per
riportare gli eventi avversi, favoriscano la comunicazione chiara indirizzata ai consumatori: è
poi auspicato che gli operatori siano qualificati e registrati e che sia incoraggiata l’interazio-
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
ne tra tutti gli operatori (tradizionali e non). Il National Center for Complementary and
Alternative Medicine (NCCAM) del National Institutes of Health (NIH) americano classifica le terapie Tradizionali/Complementari/Alternative suddividendole in terapie biologiche,
medicina energetica, manipolazioni fisiche e ginnastiche, interventi sulla connessione mentecorpo, sistemi medici strutturati (9).
Per ciò che riguarda i più diffusi sistemi medici strutturati, possiamo procedere a un’altra
suddivisione: quelli di origine orientale come la Medicina Tradizionale Cinese, la Medicina
Ayurvedica, la Medicina Tradizionale Tibetana, la Medicina Tradizionale Giapponese e quelli di origine occidentale come la Medicina Omeopatica, la Medicina Antroposofica, la
Naturopatia (10). Dai sistemi medici strutturati non ci pervengono solo le terapie in genere
basate su sostanze di origine naturale ma anche tutta una serie d’insegnamenti che oggi noi
chiamiamo medicina preventiva. Questi utili suggerimenti per prevenire soprattutto le
malattie croniche, sono le terapie fisiche, gli stili di vita e certi approcci psicologici alla vita,
le attività artistiche. Tra le prime abbiamo le ginnastiche, i massaggi, l’agopuntura, l’elioterapia. Stili di vita e approcci alla vita comprendono, ad esempio, le diete vegetariane, la meditazione, l’autodeterminazione, lo yoga, l’approccio olistico e spirituale alla persona. Infine tra
le terapie artistiche ricordiamo la musica, il canto, la pittura, il modellaggio, la scultura, l’euritmia (10).
Prospettive future
Esistono obiettivamente delle difficoltà da superare: da un lato non si dovrebbe snaturare la base epistemologica e il messaggio delle Medicine Tradizionali. Dall’altro si dovrebbe
seguire il metodo scientifico nella ricerca in generale, negli studi clinici in particolare. Il presente ci parla di cure personalizzate, di farmacogenomica, di possibilità d’interazione dell’ambiente sul nostro patrimonio genetico e questo ci porta inevitabilmente ad approfondire la
complessità umana e l’approccio olistico alla persona. È forse arrivato il momento di costruire seriamente dei ponti tra medicina scientifica e medicina tradizionale, tra gli aspetti quantitativi e qualitativi che le caratterizzano. C’è poi da comprendere cosa unire degli aspetti
newtoniani ed einsteiniani della realtà e arrivare, per coloro che lo considerano importante,
anche a una sintesi tra materialismo e spiritualità. Tutto questo sarà lo sforzo delle prossime
generazioni per giungere all’integrazione delle conoscenze in vari ambiti, compreso quello
della salute umana.
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Bibliografia
1. Centro Nazionale di Epidemiologia. Malattie croniche. Disponibile all’indirizzo: www.epicentro.iss.it/
/temi/croniche/croniche.asp; ultima consultazione 10 gennaio 2010.
2. Istituto nazionale di statistica. Indagine Multiscopo Istat 2005: condizione di salute e ricorso a servizi. Disponibile all’indirizzo: www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070302_00/
/testointegrale.pdf; ultima consultazione 10 gennaio 2010.
3. Portale del Ministero della Salute. Guadagnare salute e stili di vita. Disponibile all’indirizzo:
www.ministerosalute.it/stiliVita/stiliVita.jsp; ultima consultazione 10 gennaio 2010.
4. World Health Organization. 2008-2013 Action Plan for the Global Strategy for the Prevention and
Control of Noncommunicable Diseases. Geneva: WHO; 2008. Disponibile all’indirizzo:
www.who.int/nmh/publications/9789241597418/en/; ultima consultazione 10 gennaio 2010.
5. Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie. Piano d’azione Oms 2008-2013 per
la strategia globale di prevenzione e controllo delle malattie non trasmissibili (traduzione, sintesi e
adattamento a cura della redazione del sito Ccm) Disponibile all’indirizzo: www.ccmnetwork.it/GS_Action-Plan_2008-2013; ultima consultazione 10 gennaio 2010.
6. World Health Organization. “Health is a state of complete physical, mental and social well-being and
not merely the absence of disease or infirmity”. Preamble to the Constitution of the World Health
Organization as adopted by the International Health Conference, New York, 19-22 June, 1946;
signed on 22 July 1947 by the representatives of 61 States (Official Records of the World Health
Organization, no. 2, p. 100) ; and entered into force on 7 April 1948.
7. Hodiamont G. Trattato di farmacologia Omeopatica. IPSA Ed. Palermo, 1984.
8. World Health Organization. Guidelines on developing consumer information on proper use of traditional, complementary and alternative medicine. Geneva: WHO; 2004. Disponibile all’indirizzo:
www.who.int; ultima consultazione 10 gennaio 2010.
9. National Center for Complementary and Alternative Medicine. Classificazione medicine complementari e alternative. Disponibile all’indirizzo http://nccam.nih.gov/ ultima consultazione 10 gennaio 2010.
10. Geraci A. Terapie non convenzionali. In: Vella L, ed. Enciclopedia medica italiana. 2. Ed.
Aggiornamento III, Tomo II. Torino: UTET Scienze Mediche; 2008. p. 3936-3955.
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
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Malati, malattie, internet
e informazione consapevole
Emilio Minelli
Consigliere SIOMI
Vicedirettore Centro Collaborante OMS per la Medicina Tradizionale,
Università di Milano
Sapere, malati e malattie
Una delle principali problematiche della moderna medicina è costituita
dalla crescente separazione tra il sapere tecnico della medicina e del medico e
quello del paziente. Ciò determina, frequentemente, una pressoché totale
incomunicabilità tra i due soggetti e, ancora di più, l’allontanamento del
paziente dalle sue competenze sulla salute e sulla malattia, che s’inscrivono in
quell’area della soggettività che la medicina tenta di espellere, ma che costituisce anche il più originale e insostituibile approccio di sapere che il paziente può offrire al predicato della malattia.
Grazie anche alla radicalizzazione cartesiana della divisione corpo/anima,
la medicina si struttura, progressivamente, come scienza dell’oggettivo, trascurando quella componente umana e intersoggettiva che ne costituiva la
base. In questa oggettivazione che fa del corpo una macchina, la componente soggettiva e umana non solo è irrilevante ma è addirittura vista come un
ostacolo, una pietra d’inciampo a una sistematizzazione scientifica e oggettiva del corpo e delle sue malattie. Qui la pietra d’inciampo diventa un muro,
che finisce per ergersi tra medico e paziente. Infatti, quest’ultimo non è ignaro del processo della malattia che si estende sul suo corpo, ma questa percezione avviene secondo modalità diverse, che attengono all’ordine del patire e
della sofferenza e non a quello della logica e della razionalizzazione del fenomeno. In conseguenza di ciò, l’ordine della spiegazione, come si è prodotta la
malattia, resta radicalmente diverso dall’ordine della comprensione, che in
ultima analisi non rinvia a una causa ma a un senso. Ed è del tutto evidente
come dall’ordine della spiegazione non possa derivare una risposta alla
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
domanda “Perché io”, che è la prima e la più radicale che si pone il paziente di fronte a qualsiasi malattia, soprattutto se a esito infausto. Se dunque medicina e pazienti parlano linguaggi diversi e talora contrapposti tra loro, un’informazione che consenta di realizzare una capacità di direzione strategica della cura, diviene sempre più necessaria. Vi è da dire che, se questo è vero per la Medicina Convenzionale (MC), ormai lo è sempre più anche per la Medina
Tradizionale, Complementare e Alternativa (MT/MCA).
L’utilizzo dei mass media per l’utilizzo appropriato della MT/MCA
Per questo, come ribadito dall’OMS nelle Guidelines on Developing Consumer Information
on Proper Use of Traditional, Complementary and Alternative Medicine, finalizzate a Milano
nel dicembre 2003, risulta sempre più strategica per un utilizzo e un esercizio sicuro, efficace e di qualità della MT/MCA l’informazione. L’informazione ha questo ruolo strategico non
solo perché strumento fondamentale, che può consentire al cittadino di determinare responsabilmente la scelta e l’indirizzo delle procedure terapeutiche con cui recuperare la salute, ma
anche perché essa è indispensabile sia per gli operatori che praticano MT/MCA sia per i
medici convenzionali, che volessero consigliarne l’utilizzo ai loro pazienti. Infine, l’informazione ha un ruolo fondamentale nella comunicazione tra i medici dei due settori complementare e convenzionale che, senza di essa, nemmeno potrebbero intendersi, lasciando il
paziente in uno stato di confusione spesso dolorosa e pericolosa.
Se l’informazione ha un suo evidente valore a livello internazionale, il suo ruolo diviene
ancora più importante nei sistemi, come quello italiano, in cui le cure primarie si appoggiano esclusivamente sulla medicina convenzionale e la MT/MCA è solo tollerata. E’ abbastanza evidente che la MC si appoggia su nozioni culturali assolutamente omogenee a essa. La
MT/MCA, invece, spesso si appoggia su modelli che sono assolutamente estranei al modello scientifico di base della medicina occidentale e che per non essere fraintesi, o peggio, mistificati, richiedono necessariamente una traduzione di linguaggi e di modelli e una divulgazione che chiama in causa, innanzitutto, gli operatori dei Media e, a cascata, i pazienti e gli operatori. Per fare un esempio si potrà ricordare come molte nozioni presenti nel sistema omeopatico, come, per es., energia vitale, miasma, etc. costituiscano descrizioni simboliche e
metaforiche di osservazioni cliniche maturate in ambienti culturali strutturati su linguaggi
molto diversi dai nostri. Non è difficile con un’analisi seria, informata e approfondita rintracciare analogie e similitudini tra antiche osservazioni cliniche e dati della moderna ricerca
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scientifica, tuttavia, ciò richiede appunto un lavoro di traduzione, senza di cui si lascia aperta la porta a derive esoteriche, filosofiche e mistiche, assolutamente estranee alle esperienze
tradizionali di base di queste medicine.
Oltre ciò, come vedremo, spesso le conoscenze della popolazione su queste medicine derivano proprio da giornali, televisione, o, addirittura, dal “si dice” di conoscenti e amici. E’ evidente che, se la qualità di questa informazione non è implementata e in qualche modo controllata, l’esito finale è spesso quello di avere pazienti e operatori mediamente disinformati e
di lasciar crescere, nei confronti di queste pratiche e prodotti, aspettative assolutamente
infondate o comunque eccessive rispetto alla realtà. Infine, la MT/MCA è diffusa in molti
paesi e presenta spesso benefici ormai dimostrati anche scientificamente. Tuttavia, sebbene
all’interno di un discorso ideologico sul “Naturale” sia presentata spesso come assolutamente priva di rischi, ciò non è del tutto vero e numerosi studi documentano la possibilità di
comparsa di effetti collaterali anche gravi in seguito a un suo utilizzo improprio.
Come abbiamo detto, la crescente diffusione di queste discipline nei paesi occidentali, ove
spesso mancano riferimenti certificativi e normativi consolidati nel tempo, sia sui prodotti
sia sugli operatori, ha portato da tempo i media a intervenire in questo settore, in modo da
rispondere alla domanda d’informazione che proviene dall’utenza. In effetti, un utente correttamente informato può essere considerato una buona garanzia per un utilizzo sicuro e
appropriato della MT/MCA. Questo è ancora più vero in quei paesi, come il nostro, dove la
regolamentazione di tutte queste discipline è spesso carente e talvolta assente.
Tra le tante fonti che possono servire per l’informazione del consumatore, i mass media,
per il numero di persone che riescono a raggiungere e per l’autorevolezza che spesso è loro
attribuita, sono tra gli strumenti più utilizzati dal consumatore.
I mezzi di comunicazione di massa come agenti di socializzazione
e l’educazione alla salute
L’educazione alla salute portata avanti attraverso i media corrisponde a un aspetto particolare di quell’azione più generale e aspecifica, attribuita ai media, che va sotto il nome di
socializzazione. Questa, in senso lato, corrisponde all'apprendimento di valori, norme,
modelli culturali da parte dei membri di una collettività. Essi non sono solo conosciuti, ma
anche interiorizzati, così che la maggior parte dei desideri, delle aspettative e dei bisogni vi si
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
conformano e gli individui percepiscono come "naturale" adottare certe scelte piuttosto che
altre. La socializzazione svolta dai mass-media dipende sia da strategie intenzionali (per cui,
per esempio, esistono libri, articoli, trasmissioni, siti internet educativi o informativi) sia da
effetti indiretti, come la socializzazione ai consumi che scaturisce dalla pubblicità. Ad esempio, una serie di telefilm può contenere messaggi che si riferiscono a valori, modelli di vita,
comportamenti tipici di un certo contesto storico-sociale, che hanno un potente effetto di
socializzazione anche su di un pubblico che vive in realtà molto diverse.
La socializzazione prodotta dai media agisce su due livelli. Come agenti di socializzazione
primaria forniscono ai bambini una serie di valori, ruoli, atteggiamenti, competenze e modelli in precedenza forniti esclusivamente dalla famiglia, dalla comunità o dalla scuola. Come
agenti di socializzazione secondaria forniscono informazione e intrattenimento attraverso i
quali le persone accrescono la propria consapevolezza sulla realtà sociale, allargano la sfera
delle conoscenze che possono essere utilizzate negli scambi sociali, ricevono delle strutture
interpretative.
I media svolgono un ruolo fondamentale nella diffusione delle informazioni sulla
MT/MCA. Al fine di garantire che le notizie diffuse dai media siano corrette, i giornalisti
(soprattutto quelli specializzati sui temi della salute) devono avere facile accesso a informazioni verificate. Devono inoltre essere sensibilizzati sull’importanza di garantire precisione,
attendibilità, equilibrio, rispetto della legge e senso di responsabilità, e devono sapere chi
consultare per verifiche e chiarimenti.
I diversi tipi di media soddisfano esigenze diverse e possiedono caratteristiche specifiche,
sulla capacità di raggiungere e coinvolgere attivamente il loro pubblico. Pertanto, si possono
coinvolgere contemporaneamente vari tipi di media per trasmettere messaggi distinti e mirati a un pubblico diverso, o intesi a migliorare la comunicazione tra gruppi di persone. Inoltre,
poiché gli standard, le lingue, le culture, le capacità tecniche, il grado di alfabetizzazione e la
logistica sono elementi variabili in funzione del paese o della località, il messaggio deve necessariamente essere calibrato sul pubblico locale quando si scelgono diversi tipi di media.
I mass media (radio, televisione e giornali) sono i principali strumenti per diffondere
l’informazione tra i consumatori. Rivolgendosi a un pubblico vasto, i mass media hanno la
facoltà di richiamare l’attenzione del pubblico sui vari aspetti. Tuttavia, non sempre questi
media riescono ad approfondire i singoli argomenti. In compenso, possono essere utilizzati
programmi radiofonici e televisivi che hanno per tema la salute o le rubriche sulla salute di
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giornali e riviste. Un altro modo efficace per raggiungere i consumatori è predisporre campagne d’informazione, che usino spot e avvisi pubblicitari a mezzo radio, TV e stampa.
Riviste scientifiche, relazioni ufficiali, libri, documentari e opuscoli offrono, in genere,
un’informazione più approfondita rispetto a quella, più veloce e immediata, dei mass media.
Tuttavia, oltre ad avere tempi di produzione più lunghi, raggiungono un pubblico più limitato (chi non è alfabetizzato, per esempio, non può usufruire di questa informazione). Le
riviste scientifiche e le relazioni ufficiali sui temi collegati alla MT/MCA svolgono un ruolo
importante in relazione ad alcune esigenze specifiche più degli operatori che dei consumatori. Pubblicazioni come opuscoli e pieghevoli rappresentano un altro mezzo di comunicazione efficace: hanno il vantaggio di poter essere facilmente distribuiti, per esempio nei centri
medico-sanitari di base, tanto della medicina convenzionale quanto della MT/MCA, e nelle
farmacie.
Internet e la salute
Il numero di siti Internet che offrono risorse concernenti la salute aumenta di giorno in
giorno. Molti siti forniscono informazioni valide, mentre altri presentano dati poco sicuri o
fuorvianti. Per navigare sicuri è bene tenere presente alcune domande:
- Chi gestisce questo sito?
- Chi paga il sito?
- Qual è lo scopo di questo sito?
- Da dove vengono le informazioni?
- Su che cosa si basa l’informazione?
- Come sono selezionate le informazioni?
- Quanto sono attuali le informazioni?
- Come si scelgono i link con altri siti?
- Che informazioni sui visitatori raccoglie il sito, e a quale scopo?
- Come si gestisce l’interazione con i visitatori sul sito?
Oltre ciò, bisognerebbe considerare che Internet costituisce spesso uno strumento per
vendere direttamente prodotti al pubblico. Chi si occupa d’informazione dovrebbe rendere
edotto il consumatore di questa possibilità e dei rischi a essa connessi.
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Ammalarsi d’ambiente.
Habitat e malattie croniche
Roberto Romizi
Presidente Associazione Medici per l’Ambiente, ISDE Italia, Arezzo
L’OMS ha stimato che il 24% della malattie e il 23% delle morti può essere attribuito ai fattori ambientali. Infatti più di un terzo delle patologie nei
bambini è dovuto a fattori ambientali modificabili. Anche stime precedenti
di esperti sul fatto che molte malattie si possono attribuire all’ambiente erano
in generale accordo.
Le attività umane stanno cambiando a una velocità e a una scala spaziale
l'ambiente del nostro pianeta in modo così profondo e in alcuni casi irreversibile da causare profondi cambiamenti dei processi dai quali dipendono la
stessa vita sul pianeta, a partire da un crescente inquinamento dell’aria. Da
tempo è noto il ruolo causale dell'inquinamento nell'aumentare la frequenza
di danni acuti, subacuti e cronici alla salute, nonché di effetti nocivi a lungo
termine che riguardano non solo la popolazione adulta, ma soprattutto i
bambini e le generazioni a venire.
“Per una valutazione corretta dell'esposizione agli inquinanti dell'aria è
necessaria la caratterizzazione dell'esposizione complessiva ad agenti aerodispersi, che tenga conto sia dell'esposizione negli ambienti confinati (indoor)
che dell'esposizione che si verifica all'esterno (outdoor). Alcuni inquinanti
indoor possono provenire dall'esterno e sono legati all'inquinamento atmosferico, ma molti sono prodotti all'interno degli edifici stessi. Dei numerosi
inquinanti considerati dalle leggi vigenti, soltanto l'ozono ed il biossido di
zolfo sono prevalenti nell'aria atmosferica”. Quanto appena citato era già
riportato nell’accordo tra il Ministro della Salute, le Regioni e le Province
Autonome concernente le “Linee guida per la tutela e la promozione della
salute negli ambienti confinati” (Gazz. Uff. 27 Novembre 2001, n. 276, S. O).
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
Alla luce di ciò dobbiamo valutare il problema dell’inquinamento ambientale come un
problema generale e globale e identificare le relazioni e le interazioni tra inquinamento
indoor e inquinamento outdoor.
Almeno il 90% della popolazione residente in aree urbane è esposto a livelli di inquinamento atmosferico superiore alle indicazioni raccomandate dall’OMS. I gruppi di popolazione più colpiti dall’inquinamento (indoor e outdoor) sono soprattutto i bambini, gli anziani
ed i malati di patologie cardiache e respiratorie. Il mondo scientifico poneva precedentemente la propria attenzione soprattutto sul problema dell’inquinamento dell’aria atmosferica nei
centri urbani, ma negli ultimi anni si è spostato anche sull’inquinamento dell’aria interna,
maturando una sempre maggiore sensibilità per i problemi di salute e di comfort caratteristici degli ambienti indoor. Tutto ciò è scaturito dalla constatazione che nei Paesi industrializzati l’alterazione della qualità dell’aria interna (IAQ) e, di conseguenza, gli effetti sulla salute e sul benessere degli “occupanti” interessano gran parte della popolazione, che trascorre
fino al 90% del tempo negli ambienti chiusi, adibiti a dimora, ufficio, svago e trasporto. Il
tempo di esposizione è esteso alle ventiquattro ore, e non al solo orario di lavoro; numerosi
studi dimostrano che nell’aria indoor sono presenti molti inquinanti a bassa concentrazione
dagli effetti nocivi non ancora compiutamente studiati. Inoltre esistono anche numerose evidenze su come la qualità degli insediamenti e dell’ambiente costruito (Housing) possa risultare notevolmente efficace per contrastare molti dei più grandi problemi di salute pubblica
odierni, compresa l’obesità, la malattia cardiovascolare, il diabete, l’asma, gli incidenti, la
depressione, le violenze e le disuguaglianze sociali. La sfida per il futuro è quella di capire
meglio il peso dell’impatto del nostro ambiente costruito sulla salute e promuovere la costruzione di insediamenti che promuovano la salute fisica e mentale.
Negli ultimi decenni anche il problema della qualità dell’aria degli ambienti confinati non
industriali, in particolare degli edifici, ha assunto notevole rilievo in relazione soprattutto alle
alterazioni della qualità dell’aria stessa e all’impatto conseguente sul benessere e sulla salute
umana. Problema amplificato anche dal livello di attenzione e sensibilità della popolazione
in tema di salute, sicurezza e “comfort” soggettivo al lavoro.
E’ stata rivolta una particolare attenzione al possibile rischio di tumori legato alla presenza negli ambienti indoor di composti con dimostrata evidenza di cancerogenicità. I principali cancerogeni sono il fumo di tabacco, il radon e l’amianto. E’ stato inoltre ipotizzato che
anche l’inquinamento indoor da composti organici volatili (es. formaldeide, benzene) può
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costituire un significativo rischio cancerogeno per i soggetti che trascorrono molto tempo in
ambienti confinati e contribuisce in modo significativo al rischio cancerogeno complessivo
della popolazione generale.
La qualità dell’aria dell’ambiente di lavoro, insieme a quella delle proprie abitazioni e dell’ambiente urbano, è sempre più percepita dall’opinione pubblica come uno dei fattori determinanti della qualità della vita. Inoltre il settore residenziale rappresenta uno dei principali
responsabili dei consumi dell’energia della comunità e dell’aumento delle emissioni di CO2,
causa dell’effetto serra, dei mutamenti climatici e dell’inquinamento atmosferico su scala globale.
Non vi è dubbio che, negli ultimi decenni, vi sono state significative innovazioni progettuali e di impiantistica (risparmio di terreno edificabile, razionalizzazione di spazi interni,
risparmio energetico, efficace isolamento termo-acustico, uso flessibile e polifunzionale di
ambienti e locali, nuovi materiali edilizi, ricorso al prefabbricato, ventilazione forzata e di
condizionamento dell’aria, etc.), che hanno modificato le caratteristiche degli edifici destinati ad uso civile e lavorativo. Ma anche a fronte di un’accresciuta consapevolezza e nonostante i progressi in campo edilizio e tecnologico, gli ambienti di vita restano però troppo spesso inadeguati e poco confortevoli. Si sta cercando quindi di favorire l’integrazione dei servizi e gli interventi per la tutela della salute sia nei settori della sanità che tra settori diversi
(sociale, ambientale, educativo e altro), valorizzando le iniziative di promozione e di tutela
della salute nella programmazione ai diversi livelli (nazionale, regionale e locale), per tradurre il tutto in strategie condivise per obiettivi comuni. “L’ambiente di vita salubre (o insalubre) è il risultato delle decisioni di molti attori, spesso autonomi rispetto al Sistema Sanitario,
che governano ognuno un differente aspetto della costruzione (e gestione) di case, scuole e
città, attori che devono essere coinvolti, informati e responsabilizzati perché le loro scelte
producano ambienti di vita orientati alla salute, intesa come stato di completo benessere psicofisico e sociale”.
L’esperienza dell’Ambulatorio Verde. L’Associazione Medici per l'Ambiente - ISDE Italia
ha individuato la necessità di promuovere in Italia pratiche di sostenibilità ambientale sviluppate in ambito medico in altri Paesi. Allo scopo ha selezionato materiali utili e ha tradotto in
italiano alcune linee guida adottate in USA, Australia e Canada predisponendo una documentazione rivolta ai medici di medicina generale per individuare le azioni con cui rendere
l’ambulatorio più salubre.
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
Un ulteriore passo che si rende necessario per promuovere l’adozione di tali pratiche in
Italia è quello di verificare l’adattabilità dei modelli stranieri alla organizzazione sanitaria italiana e dare indicazioni di prodotti, requisiti e fornitori presenti nel nostro Paese, in collaborazione con le pubbliche amministrazioni che attuano il Sustainable Public Procurement.
Gli obiettivi che ISDE si ripropone sono quelli di individuare e definire i requisiti di sviluppo della formazione e la comunicazione sui medesimi, e promuovere un sistema omogeneo di acquisti verdi e di consumi sostenibili a partire dagli ambulatori medici.
La metodologia individuata è caratterizzata in primis dall’analisi della struttura e della
politica degli acquisti degli ambulatori medici. E’ necessario individuare gruppi di prodotti
prioritari sui quali intervenire con la definizione di criteri di preferibilità ambientale e sociale (SPP - Sustainable Public Procurement), sistemi di mobilità sostenibile per pazienti e
medici, modelli di formazione del personale e di comunicazione interna (frequentatori degli
ambulatori) ed esterna (enti, associazioni, fornitori, etc.). Dovrà essere definita una procedura per gli acquisti (che sarà utilizzata anche per formulare richieste uniformi verso il mercato) e una procedura per l'uso e lo smaltimento dei materiali. L’iniziativa dovrà avere la massima diffusione, anche via internet e con la stampa di depliant e manifesti. Si pensa infine di
istituire un osservatorio sperimentale di applicazione ad Arezzo, nell’ambito del Progetto
Ambiente e Salute di Arezzo.
I risultati previsti si concretizzano attraverso la predisposizione di linee guida e materiali
informativi per l’applicazione del Sustainable Public Procurement negli ambulatori medici,
a partire da Arezzo, di un corso di formazione agli operatori interessati e di iniziative di promozione-divulgazione.
Firenze, Auditorium “Al Duomo”, 13-14 marzo 2010
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La lettura PNEI
delle malattie oncologiche e autoimmuni
Francesco Bottaccioli
Presidente Onorario Società Italiana PNEI
Nella psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) convergono, all’interno
di un unico modello, conoscenze acquisite, negli ultimi settanta anni, dall’endocrinologia, immunologia e neuroscienze.
Nel 1936, Hans Selye, scienziato di origine ungherese scomparso nel
1982, dimostrò che la reazione di stress è indipendente dalla natura dello stimolo. Ricerche successive rafforzarono il concetto dimostrando che lo stress
può essere attivato da fattori fisici (caldo, freddo, radiazioni), infettivi (virus,
batteri), psichici (emozioni, traumi). Indipendentemente dal tipo di agente
stressante, si attiva una cascata chimica che libera ormoni e neurotrasmettitori dalle surrenali. Negli anni 60 e ’70 si è avuta la dimostrazione che è il cervello, in particolare una sua area, l’ipotalamo, a comandare la reazione di
stress. Sempre dall’ipotalamo partono altri segnali che governano la produzione dei principali ormoni: tiroidei, sessuali, della crescita, dell’allattamento.
A metà degli anni ’70, Hugo Besedowsky, attualmente all’Università tedesca di Marburgo, dimostrò che la reazione di stress, con l’aumento della produzione del cortisolo da parte delle surrenali, causa una soppressione della
risposta immunitaria. Fu stabilito così il primo collegamento biologico tra
cervello, stress e immunità. Nella seconda metà degli anni ’80, il fisiologo statunitense Edween Blalock dimostrò che i linfociti, fondamentali cellule
immunitarie, hanno recettori per gli ormoni e i neurotrasmettitori prodotti
dal cervello e che, al tempo stesso, producono ormoni e neurotrasmettitori
del tutto simili a quelli cerebrali. Più recentemente, sono stati aggiunti altri
tasselli che completano il quadro delle relazioni tra i sistemi di regolazione del
nostro organismo. Assieme al cortisolo e ai neurotrasmettitori liberati dalle
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
surrenali, altre sostanze, liberate dall’ipotalamo e dell’ipofisi, entrano nel gioco della regolazione della risposta immunitaria. Inoltre, si è dimostrato che le fibre nervose periferiche,
quelle che innervano l’insieme dell’organismo, rilasciano sostanze (neuropeptidi) che attivano o sopprimono la risposta immunitaria. Al tempo stesso è ormai chiaro che le sostanze
(citochine) rilasciate dalle cellule immunitarie, viaggiando con il sangue o con i grandi nervi
cranici (come il nervo vago), sono in grado di segnalare fin dentro il cervello e quindi di
influenzare sia le attività biologiche (febbre, fame, sazietà, etc.) sia quelle psicologiche (ansia,
depressione).
Gli anni ’90 hanno visto una crescita significativa degli studi sulla neurobiologia delle
emozioni. Joseph LeDoux, neurobiologo dell’Università di New York, ha dimostrato che una
emozione primordiale come la paura ha nell’amigdala il suo centro di attivazione. Quest’area
cerebrale riceve i segnali di pericolo che giungono dalla vista e dall’udito e, al tempo stesso,
tramite i suoi collegamenti con ipotalamo e locus ceruleus, è capace di attivare il sistema dello
stress. L’amigdala si forma precocemente durante lo sviluppo del cervello e può essere segnata da traumi o eventi stressanti fin nel grembo materno, alterando e condizionando nel
tempo il sistema dello stress del bambino. Antonio Damasio, neurologo dell’Università
dell’Iowa, nel suo decennale lavoro su coscienza ed emozioni, ha dimostrato che la tristezza,
più della collera, è capace di attivare intensamente l’ipotalamo e alcune aree corticali.
La disregolazione del sistema dello stress da parte di emozioni, traumi ed eventi stressanti in genere, altera potentemente l’assetto e il funzionamento del sistema immunitario. Se nel
breve periodo, il cortisolo, l’adrenalina e la noradrenalina (catecolamine) hanno un effetto
tonificante anche sull’immunità, nel medio-lungo periodo, queste sostanze collocano la
risposta immunitaria su una posizione (Th2) inadatta a combattere virus e tumori. Al tempo
stesso, la disregolazione dell’asse dello stress può favorire lo sviluppo di malattie autoimmuni di vario tipo, nonché collocare il sistema immunitario in un profilo (cosidetto TH2) inadatto a combattere tumori e malattie infettive. Studi recenti dimostrano che anche patologie
come l’aterosclerosi, tradizionalmente concepite come frutto dell’eccesso di colesterolo nel
sangue, sono fortemente condizionate dall’umore: la depressione, con la sovrapproduzione di
cortisolo e catecolamine che spesso accompagna la malattia, contribuisce ad alterare la parete interna dei vasi, favorendo la formazione della tipica lesione aterosclerotica. Infine, i lavori di Robert Sapolsky, neurobiologo della Stanford University, hanno dimostrato che l’alterazione del sistema dello stress e la sovrapproduzione di cortisolo, tipiche della depressione
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maggiore, possono avere ripercussioni sull’ippocampo, area cerebrale deputata alla formazione della memoria a lungo termine, inducendo morte dei neuroni e atrofia.
Un esempio: la lettura PNEI del cancro
L’annosa questione del ruolo dello stress nella genesi del cancro e del suo controllo per
superare la malattia, è giunta a un punto di svolta. Negli ultimi mesi sono stati pubblicati tre
studi che segnano una svolta su altrettante questioni cruciali della relazione mente-cancro. Il
primo, diretto da Barbara L. Andersen della Ohio University (Usa), dimostra che un programma integrato di gestione dello stress riduce le recidive e migliora la sopravvivenza di persone affette da tumore. Il secondo, firmato da Linda Witek-Janusck della Loyola University
of Chicago (Usa), ci fa toccare con mano i positivi cambiamenti che si realizzano nel sistema
immunitario degli affetti da tumore nel corso di un programma di gestione dello stress. Il
terzo, realizzato dal gruppo di psicobiologia dell’Università di Londra guidato da Andrew
Steptoe, dimostra che lo stress psico-sociale incrementa l’incidenza del cancro e peggiora la
sopravvivenza. In tutti questi studi, il protagonista, nel bene e nel male, è sempre lui: il sistema immunitario. Vediamo più da vicino questa importantissima questione.
Sono decenni che nella comunità scientifica si discute sulla relazione mente-cancro. Per
molti anni, i “negazionisti” (del ruolo della psiche nella genesi ma anche nella cura del cancro) hanno avuto buon gioco nel contrastare posizioni naif o pseudoscientifiche secondo le
quali il cancro è tutto nella testa ed è da qui che bisogna cacciarlo per guarire. Una stupidaggine o, se volete una mezza verità, che periodicamente riappare, che ha prestato il fianco a
chi concepisce il cancro come un semplice fenomeno di genetica molecolare per sferrare il
suo attacco contro chi invece vede la malattia collocata in una persona e quindi in una rete
psicofisica. Poi sono comparsi gli studi di David Spiegel, psichiatra della Stanford University
(Usa) che hanno rimesso la questione del ruolo della psiche sui giusti binari. Lo scienziato,
alla fine degli anni ottanta, per la prima volta dimostrò che un programma integrato di
gestione dello stress, in donne trattate per cancro al seno, era in grado non solo di dare una
buona qualità di vita alle pazienti, ma ne migliorava anche la sopravvivenza.
Qualche anno dopo, un altro psichiatra americano, Fawzy I. Fawzy, dimostrò che un trattamento psicologico breve aveva l’effetto di ridurre le recidive e aumentare la sopravvivenza
di persone operate per melanoma. Successivamente, negli anni novanta, sono stati realizzati
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
altri studi per rispondere alla domanda cruciale: la psicoterapia e la gestione dello stress in
generale possono aumentare la sopravvivenza dei malati di tumore? Le conclusioni non furono univoche, anzi, possiamo dire che la ricerca si spaccò in due come una mela: su dieci studi
realizzati, cinque favorevoli e cinque contrari.
Nel 2002, Spiegel su Nature Reviews Cancer (Spiegel 2002) ha provato a fare un bilancio e a tracciare linee guida per le future sperimentazioni. Perché la ricerca ha dato risultati
così contraddittori, si è chiesto lo scienziato? Perché gli studi erano molto disomogenei tra
loro: alcuni avevano usato la psicoterapia individuale altri quella di gruppo, altri ancora avevano messo insieme persone con tumori diversi e a diverso stadio della malattia. Occorrevano
dei criteri omogenei. Eccoli.
Innanzitutto è importante il gruppo, che funge da costruttore di solidarietà, da luogo
sicuro dove esprimere le proprie emozioni, ridurre l’ansia e ricevere un aiuto, sia dagli operatori sia dagli altri membri. In secondo luogo, il gruppo deve essere omogeneo e cioè composto da persone con la stessa malattia, allo stesso stadio di evoluzione. Inoltre è fondamentale abbinare la percezione esatta della malattia, tramite una corretta e soddisfacente informazione scientifica, all’apprendimento di tecniche di gestione dello stress. Spiegel e collaboratori insegnano ai pazienti tecniche di autoipnosi e di rilassamento, che consentono una
riduzione dello stress, la qual cosa permette anche una maggiore disponibilità a cambiare abitudini che possono influire sull’andamento della malattia, come il sonno, l’alimentazione e
l’attività fisica.
Lo studio di Barbara L. Andersen (Andersen 2008) è in linea con questi criteri: 227 persone operate per cancro al seno, prima di iniziare chemio, radio e le altre terapie previste,
sono state divise casualmente in due gruppi: uno di controllo medico e l’altro di controllo
medico con aggiunta la partecipazione a un programma di gestione dello stress, realizzato in
piccoli gruppi (8-12 persone a gruppo) e condotto da due psicologi. Il programma ha previsto una seduta a settimana di un’ora e mezza per i primi quattro mesi e poi una seduta mensile per i successivi otto mesi. In totale 26 sedute per 39 ore di lavoro. In ogni seduta venivano praticate tecniche di rilassamento profondo, venivano discusse strategie di soluzione dei
problemi, sia di natura psicologica sia di natura pratica (dolore, fatica). Gli operatori hanno
dato molto peso al cambiamento degli stili di vita delle persone sollecitando l’inserimento
nella quotidianità dell’attività fisica, della buona alimentazione, dell’uso delle tecniche antistress.
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La verifica è stata fatta a distanza di 11 anni dall’inizio della malattia. I risultati sono netti:
le persone che avevano frequentato il programma di gestione dello stress hanno avuto una
minore frequenza di recidive e una maggiore sopravvivenza rispetto al gruppo che aveva fatto
solo i classici controlli medici. Risultati rilevanti che vengono da uno studio molto accurato:
tutti i partecipanti allo studio infatti sono stati sottoposti a esami del sangue, mammografia
e visite mediche ogni sei mesi per i primi cinque anni e poi ogni anno. Ciò ha consentito ad
Andersen e colleghi di monitorare passo passo l’evoluzione di ogni singolo caso e verificare,
per esempio, che, già parecchi mesi prima della comparsa della recidiva, era possibile notare
un’alterazione in senso infiammatorio del sistema immunitario. Il sistema immunitario, il
suo assetto, infatti è il fattore chiave dell’evoluzione della malattia tumorale.
L’individuo e il terreno
Certo, la risposta allo stress è individuale, è segnata dalla storia della nostra individualità
psicobiologica. Per alcuni, un evento stressante può essere destabilizzante, per altri galvanizzante. Lo studio delle differenze, delle “costituzioni”, dei “terreni”, è una delle frontiere attuali della psiconeuroendocrinoimmunologia. In conclusione, con la Pnei si chiude così la storica separazione, contrapposizione, tra mente e corpo. La psiconeuroendocrinoimmunologia
studia quindi l’organismo umano nella sua interezza e nel suo fondamentale rapporto con
l’ambiente, nella sua accezione più vasta. Lo sviluppo delle ricerca in questo campo concretizza una visione globale, olistica, scientificamente fondata, della medicina, che consente, tra
l’altro, il dialogo e il recupero, attraverso una verifica scientifica, di tradizioni mediche antiche e non convenzionali, nell’ottica di una nuova, superiore, sintesi medica.
Principali riferimenti bibliografici
• Ader, R. Psychoneuroimunology, IV ed., Philadelphia 2007
• Bottaccioli, F. Psiconeuroendocrinoimmunologia, II ed., Milano 2005
• Bottaccioli, F. Il sistema immunitario, la bilancia della vita, II ed. Milano 2008
• Carosella A., Bottaccioli, F. Meditazione psiche e cervello, Milano 2003
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Bibliografia aggiornata su:
www.siomi.it
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Simbologia e malattia:
gli imbrogli del corpo
Massimo Saruggia
Consigliere SIOMI
Omeopata e psicoterapeuta, Milano
Dalla chiacchiera salottiera, alla passione della ricerca, alla riflessione più
ponderata osserviamo il successo spettacolare delle hard sciences. esso tuttavia
porta con sé il tentativo di estendere l’applicazione delle chiavi interpretative
scientifiche in modo indiscriminato, anche per effetto dell’uso giornalistico
che si fa delle scoperte e dei successi della hard science.
Il tema che si porta molto oggi è la genetica, e oggi un gene, domani un
altro gene diventano la causa di quasi tutto dall’autismo, alla omosessualità,
alla timidezza. Tuttavia ci pare che questa epistemologia positivista quando
viene applicata al campo in cui è in gioco la soggettività, finisca piuttosto per
assomigliare al tentativo di misurare il peso con un metro: l’esigenza di oggettività, propria della scienza, favorisce una finzione. La hard science of medicine trascura la connessione tra corpo e soggettività e dunque perde la sua
capacità di penetrazione perché il soggetto, diversamente dagli oggetti, non
risponde al calcolo. La malattia tocca, al contrario, qualcosa della storia e dell’immaginario del soggetto e quindi si rende alla fine irriconoscibile ad uno
sguardo solo oggettivo.
Il corpo imbroglia dunque ma dice una verità che il soggetto non può
(non vuole) sentire. La dimensione dell’ascolto rispettoso, che è implicito nel
metodo omeopatico, favorisce da sé il riassorbimento di questa deformazione
immaginaria, permettendo al medico di ristabilire la connessione tra corpo e
soggettività che il metodo scientifico non può che tralasciare. Il ripensare la
cura parte dunque in primo luogo dal riformulare la posizione del medico di
fronte al soggetto malato. Un atteggiamento che si avvicina ad una particolare declinazione dell’aggettivo freudiano unheimlich, non perturbante ma
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nemmeno non-familiare; piuttosto senza certezze, qualcosa di radicalmente distante da quel
sapere tutto del malato, purtroppo così frequente, che assomiglia più ad un volersi sbarazzare di un sintomo piuttosto che un prendersi cura di un soggetto.
Come il fiume Alfeo – immaginato da Roger Callois - un fiume inverso che, uscito dal
mare, scorre all'indietro verso la propria sorgente perdendo a poco a poco in potenza, ma
guadagnando in limpidezza, il medico che si prende cura del soggetto può riuscire a far emergere un simbolo che dica qualcosa del soggetto: un simbolo che ci parla di lui.
La parola "simbolo" ha il significato approssimativo di "mettere insieme" due parti distinte. Il termine simbolo (suμβολον) aveva il significato di "tessera di riconoscimento" o "tessera ospitale", secondo l'usanza per cui due individui, due famiglie o anche due città, spezzavano una tessera, di solito di terracotta, e ne conservavano ognuno una delle due parti a conclusione di un accordo o di un'alleanza, da cui anche il significato di "patto" o di "accordo"
che il termine greco assume per traslato. Il perfetto combaciare delle due parti della tessera
provava l'esistenza dell'accordo. I simboli sono dunque da intendere come un modo di rappresentazione indiretta e figurata di un’idea, di un conflitto o di un desiderio inconsci.
A partire da questa considerazione la simbologia è stata considerata come una cava sterminata di minerali e pietre preziose, brulicante di cercatori dell’oro del nesso universalmente riconoscibile e per tutti sempre uguale tra un sintomo ed un conflitto o un desiderio. Per
questa via interpretativa si è stabilita una connessione ermeneutica tra organo o funzione corporea turbata e conflitto interno, suggerendo una chiave di lettura generale ad una questione individuale. Le cose non si danno così: in questo modo facile e semplificato l’evento simbolico perde la sua singolarità, viene addomesticato, assorbito in un ordine di credenze prestabilito e diventa insignificante ed insapore. Al contrario per riuscire a mettere ordine nel
mondo interno ed apparentemente caotico del paziente è necessario mettere al centro di
tutto una buona teoria.
Non vi è nulla di più pratico di una buona teoria ed il modello strutturale tripartito introdotto da Freud nel 1922 è ancora un corrimano affidabile, nonostante l’età, per sorreggerci
in questo mondo interno.
Nella visione freudiana della condizione dell’uomo il concetto centrale è l’idea di pulsione, un concetto che stà al confine tra psichico e somatico, una sorgente di stimoli che si ripercuote nella mente in virtù della connessione tra mente e corpo. Questo status viene varia-
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mente descritto in diverse enunciazioni: è “una richiesta di lavoro fatta alla mente”, “è la
causa ultima di ogni attività”, “ogni atto fisico comincia con un atto inconscio”.
Tutte queste enunciazioni vogliono dire la medesima cosa. Tutte le azioni umane dalla scarica di affetto del bambino, ai sintomi del nevrotico, alla creazione dell’artista, alla evoluzioni delle strutture sociali possono essere riferite alla loro origine in sorgenti istintuali ultime
ed irriducibili. La formulazione freudiana dell’idea di pulsione si confronta evidentemente
con situazioni di conflitto tra idee incompatibili e con la nozione di difesa cui questi conflitti danno origine. I meccanismi di difesa sono diversi a seconda del tipo di affezione, della fase
genetica nella quale si sviluppano e del grado di elaborazione del conflitto difensivo.
Tra questi meccanismi, qui, ci interessano la somatizzazione e la conversione che comportano il trasferimento di sentimenti dolorosi a parti del corpo e la rappresentazione simbolica
di un conflitto intrapsichico in termini fisici. Ne deriva spesso un quadro clinico dominato
dall’ibrido, dal metaforico, dagli slittamenti e collisioni di senso. Sono sofferenze soggettive
impermeabili a quel sapere tutto del malato e della malattia, alla pratica del “medico automatico”, così frequente nella nostra medicina meccanicista. Si tratta di ripensare invece la
cura in primo luogo come cura-curiosità: un desiderio di cercare e vedere ancora e sempre;
un’etica del vedere.
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Omeopatia e tiroiditi autoimmuni
Stefania Graziosi
Endocrinologa, medico esperto in omeopatia, Roma
Gino Santini
Segretario Nazionale SIOMI, medico esperto in omeopatia, Roma
Le Tiroiditi rappresentano una delle patologie che è andata divenendo, negli
ultimi decenni, sempre più frequente così come tutte le tireopatie. Attualmente
rappresentano il 40% delle malattie della tiroide, riflettendo la sensibilità di questa
ghiandola, come di tutto il delicato sistema endocrino, alle modificazioni ambientali, nel senso più ampio del termine. Ciò permette di sottolineare l’estrema
importanza che tale ghiandola riveste nell’equilibrio funzionale di un organismo,
equilibrio sia fisico sia psichico ricordando come la mancanza di questa sia incompatibile con la vita e la sua ipofunzione determini gravi problemi organici nonché
di accrescimento fisico e di evoluzione psico-intellettiva. Oggi, inoltre, si pone
sempre più attenzione alle risposte di questa ghiandola verso lo stress o meglio
verso la sovraesposizione a stimoli negativi che rappresentano una sorta di attacco
a quella complessa unità psico-fisico-sensoriale che è l’uomo ancor più globalmente e minuziosamente osservato e studiato nella realtà dinamica in cui la moderna
PNEI, psico-neuro-endocrino-immunologia, lo esamina. In tale amplio contesto
il fenomeno emergente delle tiroiditi è fonte e stimolo di attenzione da parte degli
endocrinologi convenzionali e no. Le Tiroiditi consistono in un processo infiammatorio della ghiandola tiroide a decorso acuto, subacuto o cronico. Dal punto di
vista istologico in esse si può riscontrare infiltrazione granulocitaria o granulomatosa o linfocitaria e dal punto di vista funzionale, e conseguentemente sintomatologico, un quadro di ipo- o iper- o eu-tiroidismo. Fra queste patologie tiroidee un
aspetto molto interessante lo offrono le forme autoimmuni in cui si riscontra la
presenza di elevati titoli anticorpali verso la Tireoglobulina e le Perossidasi specifiche tiroidee nonché verso i recettori del TSH. La tiroidite cronica autoimmune più
frequente è la tiroidite di Hashimoto che è il prototipo di malattia autoimmune
organo-specifica spesso peraltro associata ad altre patologie autoimmuni sia del
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paziente in osservazione sia dei familiari. Questa forma prevale nel sesso femminile con un rapporto 9:1, determina variabile funzione della ghiandola pur essendo la principale causa di ipotiroidismo nell’adulto, è caratterizzata da elevati livelli di Ab anti-TPO. Se ne riconoscono quattro varianti: ipertrofica o atrofica, giovanile o dell’adulto. Può iniziare in modo sia sub-clinico sia francamente manifesto e a volte con quella che è denominata una “ashitossicosi”. Il gozzo è irregolare e di
aumentata consistenza, saltuariamente dolorabile, senza linfoadenopatia loco-regionale. La terapia
in medicina tradizionale è rivolta alla normalizzazione dei valori del TSH e conseguentemente di
T3 e T4 e, nell’eventualità di un ipotiroidismo, alla somministrazione di L-tiroxina come opoterapico. In Omeopatia si può affrontare tale patologia fin dai primi sintomi e ancor meglio, ai fini
terapeutici, se s’interviene fin dai primi segnali utilizzando i farmaci omeopatici di tipo “sintomatico”, cioè peculiari del momento di malattia acuta che il paziente sta agendo, ma anche i costituzionali che svolgeranno la loro azione sulle peculiarità psico-organiche, fisico-intellettive, temperamentali, che caratterizzano il paziente e ne vanno a specificare la Costituzione intesa come un
network di dati morfologici statici perenni e funzionali dinamici evolventisi. Si può inoltre affiancare a ciò l’organoterapia che è una metodica terapeutica che cura l’organo o il tessuto o l’apparato ammalato attraverso la somministrazione del suo omologo, derivato da animalecompatibile,
diluito e dinamizzato. Nella pratica clinica si utilizza tale farmacopea a diverse diluizioni: la 4CH
come stimolante, la 7CH come equilibrante, la 9CH come inibente la funzione del tessuto in
oggetto. La somministrazione della potenza 4CH, nel caso delle patologie autoimmuni tiroidee, si
è osservato determinare un rilevante e progressivo abbassamento dei titoli anticorpali, come non è
dato osservare con le terapie della Medicina Convenzionale, ma anche e soprattutto un buon ripristino funzionale e quindi delle quantità di ormoni tiroidei. Il ripetersi di tali risultati induce a ipotizzare quali possibili meccanismi la ghiandola metta in atto allorchè riceve lo stimolo energetico
del Thiroidinum 4CH! Da chi e che cosa questo viene recepito? Come un tessuto diluito e dinamizzato può agganciarsi allo specifico recettore? Penetrare nelle cellule del corrispondente tessuto e
modificarne la reattività alterata tanto da non far continuare la produzione e l’immissione in circolo degli specifici Ab? Si è ipotizzato un meccanismo immunologico, per il quale gli Ag diluiti e
dinamizzati somministrati bloccherebbero la formazione di Ab da parte del tessuto alterato, e uno
farmacologico per il quale l’apporto di un mediatore tissutale che si fissa su specifici recettori modulerebbero l’attività del tessuto malato. Le dosi infinitesimali di Ag ristabilizzerebbero la normale tolleranza immunitaria, diretta conseguenza dell’attività dei linfociti T soppressori e, infatti, un'altra
evidenza, è l’utilità degli organoterapici solo se il tessuto in oggetto è ancora reattivo. Il tempo e l’attento studio daranno spiegazione “scientifica” e non soltanto “esperenziale” di tutto ciò.
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La lettura biodinamica
della malattia cronica
Paolo Bellavite
Professore di Patologia Generale, Università di Verona
La malattia è tradizionalmente considerata come un evento indesiderato che
colpisce una determinata parte del corpo, cioè un fatto tipicamente localizzato. Da questa visione nasce l’importanza dell’anatomia patologica, della diagnostica per immagini, delle analisi di laboratorio. La visione meccanicistica
del corpo umano e delle malattie non ha causato solo la rottura della sua
integrità psico-somatica ma è progredita verso un’iper-specializzazione, per
cui la stessa unità del corpo è andata perduta. In tal senso, il disordine di
strutture e funzioni è ricondotto ultimamente a un disordine molecolare e ciò
rappresenta un limite quasi insormontabile per comprendere i meccanismi di
malattia nelle loro dimensioni che riguardano la sfera psicologica, umanistica, sociale e spirituale.
Senza nulla togliere all’enorme aumento delle conoscenze fornite dalla diffusione delle tecniche di analisi e particolarmente della biologia molecolare,
ciò non pare sufficiente a “dominare” la complessità dei problemi sottostanti
a molte patologie, anche delle più correnti, dovute spesso a molteplici fattori
individuali e ambientali. Inoltre, anche per ciò che riguarda l’aspetto strettamente biologico e “materiale”, resta largamente incompresa ogni patologia
che insorga, in assenza di difetti molecolari, per un’anormale interazione e/o
per difettosa cooperazione tra molecole di per sé normali.
Nell’infiammazione, nella trombosi, nell’aterosclerosi, ma anche nei disordini della proliferazione cellulare, nelle turbe endocrine, nelle patologie
psichiche ecc., spesso non s’individua un difetto primario della molecola o
della cellula. La piastrina, quando provoca il trombo, sta esercitando il suo
“mestiere”, così anche la trombina e la fibrina.
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La cellula macrofagica, quando ingloba le lipoproteine ossidate, sta esercitando il suo
mestiere (lo spazzino), anche se questo poi causa l’accumulo delle foam cells (cellule schiumose, ricche di colesterolo) nella tonaca intima dell’arteria. Le malattie mentali sono raramente riconducibili al difetto genetico o all’alterazione di una particolare molecola con funzioni di neurotrasmettitore; nella maggior parte dei casi esse hanno radici nella complessità
delle regolazioni comportamentali e nelle interazioni tra individui. Le indubbie modifiche
chimico-fisiche o strutturali sono secondarie. L’affronto di questo problema ha bisogno di un
nuovo quadro concettuale, che non è fornito dalla biologia molecolare stessa ma dalle scienze della complessità.
Patologia di energia e d’informazione
In linea generale, lo stato di migliore “salute” potrebbe essere considerato quello in cui le
relazioni tra le parti che compongono l’organismo avvengono in modo tale per cui le continue modificazioni dello schema - che sono inevitabili negli esseri viventi per il semplice fatto
che debbano adattarsi all’ambiente - avvengono con un basso livello di dissipazione di energia. Da questo punto di vista, un alto consumo di energia, pur non essendo un fenomeno
patologico di per sé, rappresenta un indice del fatto che le dinamiche relazioni tra i nodi
avvengono in maniera “conflittuale”, cioè i nodi sono “costretti” a forti cambiamenti per
mantenere l’omeodinamica corretta. A ogni cambiamento è associato un consumo di energia e un aumento dell’entropia del sistema. Quindi, un aumento di consumo di energia
rispetto a uno stato basale rappresenta un allontanamento da un equilibrio ideale, che in
prima approssimazione consideriamo come fisiologico.
La malattia come perturbazione dinamica
Ogni organismo vivente dispone di sistemi omeodinamici che permettono di controbilanciare l’effetto dannoso di un agente con meccanismi interni di adattamento. Deviazioni
(quantitative o qualitative) dalla normale dinamica tendono a provocare dei fenomeni che
hanno principalmente lo scopo di tentare di ripristinare la norma. Quando la concentrazione, la durata o l’intensità dello stimolo sono superiori alla capacità di adattamento, si
ha un danno severo o anche la morte del sistema. Tuttavia, è possibile che quando lo stimolo esterno è basso e non tossico, il sistema vivente non sia danneggiato, ma piuttosto stimo-
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lato a reagire in modo più o meno specifico contro il potenziale danno. Il sistema vivente
avverte il tossico in piccole dosi come un fattore “informativo” e risponde con l’attivazione
dei meccanismi omeodinamici di controregolazione, i quali, a loro volta, conducono il sistema a uno stato di maggiore resistenza e alla capacità di autoguarigione.
Tutte queste proprietà possono essere riassunte nel principio di “azione-reazione” che governa l’omeodinamica: il corpo (e la cellula) non si comporta solo passivamente, ma anche
attivamente; i fenomeni risultanti da interazione con stimoli patogeni esterni sono sia passivi
sia reattivi, il che serve per evitare il danno, ma un malfunzionamento degli stessi meccanismi può anche provocarlo o peggiorarlo.
Ponendo in primo piano la “dinamica” piuttosto che la “materia” o la “struttura”, non si
vuole stabilire una contrapposizione con le conoscenze anatomopatologiche, ma accentuare
un fattore, spesso trascurato perché elusivo, che determina i “movimenti” e la “storia evolutiva” dell’organismo lungo quel sottile confine tra la salute e la malattia. Significa anche
prevedere che, “a prescindere” dalle alterazioni anatomiche e molecolari, che possono essere
sia causa sia conseguenza del disordine di base, si possa instaurare la patologia. E ciò va quindi a completare la visione corrente di fisiopatologia.
Le “cause”
È ben noto che in molte malattie non si ha evoluzione spontanea verso la guarigione, ma si
ha un andamento cronico o progressivo. Si è anche visto che la ripetizione di eventi acuti e
stressanti può portare poi a un “blocco” dell’omeodinamica e quindi peggioramento della
situazione. In prima approssimazione, si può affermare che la malattia cronicizza per
un’ampia serie di motivi, tra cui vi può essere innanzitutto un fattore di predisposizione
“forte”, cioè tale per cui è causato un danno permanente o di per sé “irreversibile”: questo è
il caso di molte malformazioni congenite e delle vere e proprie malattie ereditarie come i
difetti del metabolismo, la fibrosi cistica, la distrofia muscolare, l’ipercolesterolemia familiare
omozigote, la talassemia ecc. Ovviamente, salvo particolari casi in cui esista la possibilità di
terapie risolutive (ad esempio, trapianto di midollo osseo, interventi chirurgici sulle malformazioni), tali condizioni sono destinate a durare tutta la vita, anche se controllate dai farmaci, con maggiori o minori effetti sulla qualità della vita stessa. Una variante di questa situazione si ha quando il fattore di predisposizione non è dannoso di per sé, ma causa un dis-
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ordine della reazione, quindi una severa suscettibilità ai danni da fattori esterni: questo è il
caso, ad esempio delle immunodeficienze ereditarie o acquisite. Le malattie a prevalente
causa genetica hanno però una prevalenza percentualmente limitata rispetto alle maggiori
malattie odierne.
Una seconda importante evenienza è quando un fattore patogeno esterno è incontrato
ripetutamente, poiché é presente nell’ambiente (ad esempio: inquinamento, malattie professionali) o assunto volontariamente (ad esempio: fumo, alcool) ; una variante di questa situazione si ha con un fattore patogeno che, anche se assunto solo una volta o saltuariamente è
poi difficilmente eliminabile dai sistemi di difesa e riparazione (ad esempio: micobatterio,
virus, corpo estraneo).
Terza categoria di meccanismi patogenetici della cronicità è quella delle malattie multifattoriali: la visione moderna della patogenesi della maggior parte delle malattie croniche, che
affliggono la popolazione nelle società occidentali, implica la presenza di diversi fattori
esterni e interni (genetici) che interagiscono causando un aumento di rischio di malattia, ma
nessuno di tali fattori di per sé “spiega” totalmente la malattia. Questo è propriamente il
dominio della complessità.
Il disordine omeodinamico
Oltre ai meccanismi di cronicizzazione sopraelencati, un’importante fase dello sviluppo di
patologia cronica è identificabile nel disordine delle reazioni: le reazioni omeodinamiche
locali e sistemiche, le quali di per sé sono capaci, normalmente, di riparare vari tipi di danno,
possono andare incontro a un “adattamento patologico” per causa delle stesse “regole” di
comportamento delle reti. Da questo punto di vista, la malattia cronica consiste essenzialmente nel passaggio del sistema omeodinamico, che è coinvolto nella reazione, verso un
diverso bacino di attrazione, caratterizzato da un pattern (memoria associativa) meno stabile
di quello normale e sano.
Si consideri un soggetto con una sua storia patobiografica segnata da ripetuti stress chimici o biologici, che abbiano provocato ripetute fasi di reazione al danno. Nella reazione a qualsiasi danno o perturbazione vi è un momento (o un periodo) in cui il sistema si allontana
dall’equilibrio, raggiunge uno stato di “incertezza”, tale per cui a quel punto la configurazione può “assomigliare” a quelle di diversi bacini di attrazione.
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In termini tecnici si chiama punto di biforcazione nell’evoluzione di un sistema dinamico.
In tale situazione (favorita sicuramente da uno schema iniziale già più instabile e da fattori
concomitanti) è possibile che anche piccole perturbazioni o “campi di disturbo” (imposizioni
d’informazioni devianti) spingano la rete verso una serie di comportamenti consequenziali e
dinamici di reazione e poi di adattamento, finendo in un nuovo attrattore dinamico.
Quest’ultimo è uno stato semi-stabile energeticamente più “conveniente” rispetto alla fase di
reazione, esso può apparire più “conveniente” rispetto alla dinamica del sistema, ma solo perché è in fondo a un bacino di attrazione (non perché sia il migliore in assoluto).
La “patologia” che insorge al momento della biforcazione sta nel fatto che, diversamente da
quanto accade nelle malattie acute, in questo caso il sistema sceglie (o è forzato a scegliere)
una configurazione che lo conduce in un attrattore dinamico caratterizzato da una posizione
più sfavorevole nel paesaggio dell’energia, in rispetto a quella precedente alla perturbazione.
Tale visione introduce quindi una nuova concezione della dinamica della patologia cronica, che non annulla ma perfeziona le vedute sulle cause e i meccanismi tradizionalmente
conosciuti. Non sono più in gioco solo i fattori patologici esterni o interni, ma anche un
errore - che potrebbe anche essere casuale, o comunque dovuto a piccoli fattori - della dinamica intrinseca autorganizzativa del sistema in una certa fase (la “perturbazione della “forza
vitale”). Come l’autorganizzazione può produrre migliore performance, così può produrre
anche patologia.
Cronicità e blocco dell’omeodinamica
Un ulteriore grado di complicazione, che diventa un importante meccanismo di cronicizzazione, è il disordine della reazione che insorge per la desensibilizzazione di un nodo e la
perdita di connettività della rete. Mentre nella dinamica di cronicizzazione sopra illustrata la
stabilizzazione di un attrattore patologico non comportava danni al sistema di comunicazione, ma solo danni ai singoli nodi e variazioni quantitative di attività, in questo secondo
caso si osserva che uno o più nodi non ricevono più lo stimolo perché è “saltata” la connessione. La fase qui descritta comporta perdita di comunicazione o di “connettività” nelle reti
complesse: tale perdita è deleteria perché è danneggiata la stessa funzione omeodinamica e a
tale danno la rete risponde con una nuova serie di adattamenti. La desensibilizzazione introduce un drastico cambiamento delle “regole del gioco” dell’attrattore, si verifica un comple-
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to riassestamento delle relazioni tra i nodi, che sortisce in un tipo di rilassamento nettamente
diverso da quello normale della rete in cui tutto funziona normalmente.
Per il sistema biologico diviene sempre più difficile “recuperare” l’immagine della reazione
coordinata e coerente al danno iniziale. Anche se il fattore patogeno iniziale è scomparso o
non più rilevante, s’instaurano nuovi comportamenti stereotipati, si formano nuove memorie associative, il disordine stesso (lontananza dall’equilibrio, dispendio di energia, coinvolgimento anomalo di altre strutture in reti connesse a quella di sregolata) favorisce nuovi danni
che possono diventare il problema principale. I nuovi attrattori patologici rappresentano, essi
stessi, uno stato di maggiore instabilità e quindi di suscettibilità a un danno più grave e progressivo, fino all’eventuale distruzione del sistema. La guarigione spontanea e definitiva
diviene sempre più difficile.
Molte malattie riconoscono nella loro patogenesi dei difetti della comunicazione che insorgono nelle reti complesse dei sistemi integrati: ad esempio è stata descritta la perdita di recettori beta-adrenergici nelle cardiopatie, l’adattamento dei sensori della pressione arteriosi e
renali nell’ipertensione, la desensibilizzazione all’insulina nel diabete di tipo 2 e nell’obesità,
l’insensibilità alle citochine e agli oppioidi nelle malattie infiammatorie, ai corticosteroidi
nell’AIDS, nell’atopia e nella depressione.
Anche la malattia più diffusa, l’aterosclerosi, è interpretabile essenzialmente come una
forma di adattamento patologico della parete arteriosa, rispetto ai danni locali da dislipidemia, ipertensione, fumo e altri fattori. Si tratta di un tentativo di riparazione non totalmente teleonomico, infatti finisce col causare ulteriori danni.
Simili ragionamenti si applicano anche alla sfera psicologica e alla depressione.
Sintesi
Alla fine di questa trattazione possiamo riassumere i principali concetti che distinguono la
nuova visione della malattia proposta dalle scienze della complessità:
• Multifattorialità: nella maggior parte delle malattie vi sono più cause (fattori patogeni)
interne (genetiche) ed esterne (ambientali).
• Dinamicità: l’organismo anche nella malattia segue le regole di comportamento dei sistemi dinamici e complessi: azione-retroazione, non-linearità, attrattori, biforcazioni.
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• Globalità: la malattia come disordine delle comunicazioni interne (reti) e con l’ambiente.
• Multidimensionalità dei livelli: organo-cellula-molecola, psicologia, sociologia-cultura.
• Ambivalenza: i principali processi reattivi e fisiopatologici hanno una “doppia faccia”; ad
esempio: infiammazione, coagulazione, crescita cellulare/apoptosi, immunità, etc.
Queste nuove vedute sottolineano l’importanza della globalità, dell’individualità, dei
fenomeni d’interrelazione sistemica, dell’ecologia, del fattore umano e psicologico nel mantenimento della salute e nella cura delle malattie. Le recenti acquisizioni delle scienze biomediche hanno dimostrato che l’evento morboso non è un fenomeno localizzato, ma deve
essere concepito come la conseguenza di uno squilibrio generale in cui i fattori interni ed
esterni agiscono attraverso l’alterazione generale di complessi meccanismi omeodinamici. La
gastrite non può più essere definita soltanto in base alle lesioni organiche che colpiscono la
mucosa dello stomaco, così come l’ulcera duodenale non equivale alla presenza di un “viscere
malato” in un organismo sano. Neppure è sufficiente una visione che accentua l’interazione
sbagliata con alimenti o farmaci, o la “somatizzazione” di eventi mentali.
Ogni malattia, anche se caratterizzata da una lesione organica, deve essere concepita come
l’effetto locale di complessi squilibri più generali di cui l’endocrinologia, la neurofisiologia e
l’immunologia ci stanno facendo intuire le caratteristiche. Tutto ciò richiede una nuova “attitudine” della medicina nel piano preventivo, in quello diagnostico e in quello terapeutico.
Bibliografia
“La Complessità in Medicina” di Paolo Bellavite (Tecniche Nuove, Milano 2009).
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Bibliografia aggiornata su:
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Il trattamento omeopatico
nei pazienti in chemioterapia
e nella malattia oncologica avanzata
Franco Desiderio
Oncologo, medico esperto in omeopatia, Ospedale di Rimini
La diagnosi di neoplasia e la comunicazione di una eventuale successiva
chemioterapia sono eventi molto traumatizzanti per persone malate di tumore anche se potenzialmente guaribili. Nonostante il progresso della farmacologia moderna nella cura e prevenzione degli effetti collaterali da chemioterapia rimane alta la possibilità di un peggioramento della qualità della vita
durante il trattamento antiblastico e la paura che ingenera ne condiziona
effettivamente la tollerabilità stessa.
Già nel 1996 presso il DH oncologico di Rimini abbiamo somministrato
ai pazienti un questionario sull’uso di medicine non convenzionali durante il
trattamento chemioterapico. Circa il 50% dei rispondenti ne faceva uso, la
maggior parte degli utilizzatori era di sesso femminile e di classe socio culturale medio-alta. Il trattamento non convenzione più usato era l’omeopatia e
le motivazioni per il loro utilizzo erano soprattutto: a) perchè si prendono
cura della persona in toto; b) per minimizzare gli effetti collaterali delle terapie antiblastiche e c) perché considerate innocue. Alla domanda sulla soddisfazione, l’80% rispondeva che era soddisfatto o molto soddisfatto e solo il
10% degli intervistati trovava le cure non efficaci.
In letteratura sono molto rari i trial clinici randomizzati che utilizzino
rimedi omeopatici in oncologia. Una recente review pubblicata dalla
Cochrane Library (Homeopathic medicines for adverse effects of cancer treatments) prende in esame 8 studi controllati di cui sette contro placebo, 1 contro terapia attiva). Tre di questi studi hanno valutato gli effetti avversi da
radioterapia, tre gli eventi avversi da chemioterapia e due hanno studiato i
sintomi menopausali associati con il trattamento per tumore alla mammella
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Le conclusioni degli autori sono state che non c’è evidenza conclusiva dell’efficacia della
medicina omeopatica nel trattamento contro gli eventi avversi da chemio/radioterapia tranne che per la stomatite con l’utilizzo di un preparato omotossicologico (Traumeel) e nella
profilassi della dermatite da raggi con l’uso topico di calendula. In letteratura sono invece
pubblicati alcuni piccoli studi non randomizzati, spesso case-report, che dimostrano sia pure
con minore evidenza scientifica la utilità sia nel miglioramento della qualità di vita che per
il controllo dei sintomi collaterali durante le terapie antiblastiche. Sebbene nella review della
Cochrane gli studi sui disturbi da menopausa indotta nelle donne con tumore alla mammella siano negativi, molte pazienti che accedono all’ambulatorio di follow up, utilizzatrici di
varie terapie omeopatiche per questi disturbi, riferiscono invece un discreto miglioramento .
Un nostro studio clinico, ancora in corso presso il Dipartimento Oncologico di Rimini,
intende valutare l’efficacia di un complesso omeopatico contenente 4 rimedi omeopatici in
diluizione decimale (Sepia, Ignatia, Sanguinaria e Actea racemosa) per i disturbi da menopausa in un gruppo di pazienti operate al seno.
Lo studio si svolge in due fasi distinte. Prima fase o studio pilota, già concluso, in cui sono
state trattate 10 donne con disturbi da menopausa che ha mostrato una effettiva efficacia del
complesso omeopatico. Seconda fase: arruolamento di 30 donne e randomizzazione in doppio cieco verso placebo; una analisi ad interim dopo 20 pazienti ha mostrato un miglioramento significativo delle vampate di calore, dei disturbi gastrici e della ritenzione idrica. Lo
studio è di piccole dimensioni ma se i dati finali confermassero i risultati preliminari positivi potrebbe rappresentare lo studio di riferimento per effettuare studi multicentrici con maggiore casistica e quindi di maggiore affidabilità scientifica secondo i criteri EBM.
Per quanto riguarda il trattamento dei sintomi avversi della chemioterapia anche nella
quotidiana esperienza clinica vi sono delle evidenze di efficacia; l’approccio omeopatico prevede l’utilizzazione dei rimedi sotto tre aspetti: a) come rimedio costituzionale; b) come
rimedio organotropico; c) come rimedio sintomatico.
I rimedi costituzionali più frequentemente utilizzati sono: Arsenicum album, Sepia,
Lycopodium, Phosphorus, Conium, Carbo animalis, Sulphur e altri, e generalmente vengono utilizzati o in diluizione LM o ad alte e medie potenze centesimali. I rimedi orgatropici
più utilizzati sono: Phytolacca, Conium, Sabal serrulata, Symphytum, Ssterias rubens, Hekla
lava e altri; questi sono utilizzati a basse diluizioni o addirittura in TM.
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I rimedi sintomatici più utilizzati sono: Nux vomica, Arsenicum album, Gelsemium,
Cadmium sulfuricum, Phosphorus, Opium e altri, utilizzati a medie diluizioni ripetute.
Spesso i rimedi costituzionali sono anche ottimi sintomatici e ci sono delle evidenze che in
qualche caso migliorino la qualità della vita e la sopravvivenza libera da progressione
Un discorso a parte merita il trattamento del paziente in fase terminale. L’esperienza degli
omeopati in India sul trattamento dei tumori ci conferma la possibilità di utilizzare una serie
di rimedi, costituzionali e non, per combattere alcuni disturbi come la dispnea, la paura, il
dolore, l’ agitazione ed altri sintomi ma ciò prevede un grande capacità di selezionare i rimedi e soprattutto di cambiare i rimedi in base alla risposta con un attenzione e una dedizione
che i nostri attuali ritmi quasi non ci permettono più. Altro discorso invece è l’utilizzo di un
preparato antroposofico, il Viscum album fermentatum, che viene utilizzato con successo sia
nella prevenzione dei disturbi da chemioterapia quando eseguita contemporaneamente, sia
nel prolungare la sopravvivenza. Si sta inoltre rivelando molto utile anche nel migliorare la
qualità di vita del paziente oncologico in fase terminale .
A Rimini sta per partire uno studio di valutazione dell’efficacia e della sicurezza del
Viscum Album Fermentatum Quercus in pazienti con malattia avanzata il cui end point primario è la qualità di vita e obbiettivo secondario è la sopravvivenza globale. Molto altro si
potrebbe e dovrebbe fare in particolare nella prevenzione delle ricadute di malattia utilizzando i trattamenti omeopatici come terapie adiuvanti, ma si dovranno cercare anche nuovi
metodi di valutazione della risposta che non siano esclusivamente studi clinici randomizzati
che poco si addicono a valutare terapie personalizzate come l’omeopatia.
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Omeopatia nelle cure di supporto
del tumore della mammella
Jean Lionel Bagot
Diplomato in Cancerologia, medico esperto in omeopatia
Già Addetto dgli Ospedali Universitari di Strasburgo, Francia
Although homeopathy does not constitute a treatment for cancer, it can
support and improve the general well-being of the patients during treatment
as well as lessening the side-effects experienced. [1] Its whole person approach throughout the illness, in tandem with specific oncological remedies when
they exist, enables homeopathy to fulfil the criteria for supportive care and is
perfectly suited to it [2, 3]. Its aim is to improve the quality of life of the
patient without being iatrogenic. Since 2007, in France, the now general protocol at the moment of diagnosis disclosure, which the National Cancer Plan
made a first priority, recognizes homeopathy and “allows each patient to
become more involved in their therapy, enabling him or her to legitimately
choose complementary medicine (CM)” [4]. The use of CM in oncology is
in constant progression all over the world. In the USA the figures grow from
33.8% users in 1990 to 42.1% in 1998. In Canada, there were 66.7% users
among breast cancer sufferers in1998 compared to 81.9% in 2005 [6]. In
Europe, (not including France) 35% cancer patients use CM, with homeopathy ranking second behind Phytotherapy [7]. We undertook the first
French study in Strasbourg in 2005 [8]. Of the 234 patients surveyed during
their chemotherapy treatment, 28% used CM of whom 59% used homeopathy. 54% had never used CM before and it was mostly well educated
women, aged 20-50 who used these treatments. Homeopathy is the most
used CM and 69% patients tell their oncologist that they are taking CM. A
few months later another study took place in the Paris region where it was
found that 34% patients used CM of whom 42% used homeopathy [9]. So
we can clearly see that in France, of the 2 million people affected by cancer,
700.000 turn to CM, and over half of these use homeopathy.
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Finally our survey of all patients treated for breast cancer at the Senology Department of
the University Teaching Hospitals in Strasbourg in 2007 [10], 37% used homeopathy. We evaluated the specific efficacy of homeopathy. Over half the patients felt homeopathy had much
improved the following symptoms: tiredness, haematoma, nausea, vomiting, hot flushes, pains
in the joints, anxiety. It is interesting to note that allopathic medicine is not able to deal adequately with most of these symptoms. “The particular rapport which exists between a homeopath and his or her patient, through the transference which takes place, can mobilize powerful resources in the patient.” [11] However, it is important to remain vigilant and to ensure
that the patient does not become over dependent on CM. In cancerology, there is no room for
the concept of complementary and alternative medicine (CAM). It must be replaced by that
of complementary medicine only (CM). Important note: as regards cancer, as in any other
serious pathology, one must always keep in mind the possibility of an unfortunate outcome.
Indeed, a homeopathic treatment must never replace a well-tried and proven treatment.
Different stages of homeopathic supportive care of a breast cancer patient
At the time of diagnosis disclosure
The homeopath, as indeed all staff whom the breast cancer patient meets, will have to
focus on listening to and sometimes answering the patient’s questions during the progressive
diagnosis disclosure. This consultation will allow the team to discover the psychological and
response modes of the patient when she is confronted with the diagnosis. These will be very
important in looking for the simillimum. Certain medications can be used straight away.
Arnica: for the psychological trauma.
Opium: for post severe fright or shock.
Ignatia: for the emotional shock
Staphysagria: for the experience of a great sense of injustice.
Nux vomica: for the anger reaction, particularly towards the medical team.
Sepia: for patients showing either resignation or depression.
Pulsatilla: for submissive patient who accepts diagnosis and treatment.
Gelsemium: for the after effects of bad news imparted suddenly.
Arsenicum album: for reactive anxious depression with asthenia, anxiety and insomnia.
Aconitum: for a patient who expresses her fears verbally and physically. It is the homeopathic version of bromazepam!
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At the time of Surgery
Arnica: the medicine for operative trauma and for the prevention of surgical trauma.
Ledum palustre: complements and follows Arnica in the prevention of haematomas and
ecchymoses induced by sharp instruments. Bellis perennis: prescribed systematically for
breast surgery as it is particularly effective for contusions of the breast. Conium maculatum:
medicine particularly suited to the treatment of glands and lymph nodes. It is prescribed
systematically for breast surgery particularly if lymph node curettage is required. Asteria
rubens: in case of throbbing breast pains especially on the left side. Bryonia: medicine for
serous discharge and fluid leakage. Also in case of post-op. seroma (lymphocele). Opium:
medicine for anaesthesia or class 2 or 3 analgesics side effects. It will help the patient to better deal with her fear of surgery. China: medicine for the prevention of haemorrhages but
also of asthenia and post-op. anaemia. Staphysagria: medicine to speed up skin healing especially in linear wounds, cuts and surgical incisions. Thiosinamum: medicine for fibrous scarring. Helps with skin healing, scar retraction and lymph cords.
During chemotherapy
For FEC 100
To support liver function: Chelidonium compositum
To prevent nausea: Nux vomica and Ipeca
To support hematopoiesis: Meduloss 4 CH
To fight tiredness: Phosphoricum Acidum
To help the body eliminate chemotherapy drugs using hetero- isotherapy:
Fluorouracile, Doxorubicine Cyclophosphamide
For Doxetaxel (Taxotère®)
Same protocol but with the addition of:
Antimonium Crudum and Graphites for nail and skin problems.
Rhus toxicodendron 7CH for musculoskeletal pains.
Nerfs 4CH, in case of distal neuropathy.
For Capécitabine (Xeloda®)
To support palmar-plantar erythrodysesthesia and skin fissures: Petroleum.
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During radiotherapy
Homeopathy has been seen to be useful in the treatment of side effects of radiotherapy,
in particular in the treatment of breast cancers [12-13]. Our experience confirms these studies and the preventive action it offers on skin lesions, asthenia and immuno-depression. We
always prescribe calendula cream in topical application; its radioprotective properties have
been clearly established [14]. To be applied daily on the irradiated area after each session at
bedtime. On radiotherapy days: Fluoricum acidum in the morning, Radium bromatum at
lunch time, Rayons X in the evenings. On Sundays: Cadmium sulfuricum. At the end of
radiotherapy: Causticum
During hormonotherapy
With Tamoxifène
Control hot flushes with the homeopathic medicine suited to the clinical symptoms of
the patient. (Lachesis, Belladonna, Sanguinaria, Sulfur, Amylium nitrosum, Glonoïnum,
Sepia etc) [15] and prevent weight gain.
With aromatase inhibitors (AI)
Proceed as above and in addition provide treatment for early morning locking joint pain
with Rhus Toxicodendron, the organotherapy Cartilage 4CH, and the particular heteroisotherapy. For example: Het iso Anastrazole 7CH 3 granules in the morning before food,
Arimidex®1 tablet at dinner time.
Conclusion
In conclusion, do not be afraid! Treating a patient with breast cancer follows the same
rules as treating other diseases. Do not be anxious about prescribing even if it is at the same
time as other heavy medication. The experience we have gained over nearly 3000 supportive treatment consultations each year has shown us daily that homeopathic remedies work
even during chemotherapies. In 2005, there were 50.000 new breast cancer cases in France.
One third of these patients saw a homeopath to find an answer to the different problems they
encountered throughout their illness. We must be available, pro-active and ready to provide
all the support they need. If we do not act at that stage, we risk seeing some of them turning
to unqualified practitioners or even abandoning traditional proven treatments.
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Bibliographie
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Laurent B., Memran N., Meynadier J., Parmentier M. G., Poulain P., Saltel P., Serain D., Wagner J. -P. Pour
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Farmaci a basse diluizioni
nelle nevriti periferiche da chemioterapia
e nelle ferite post-chirurgiche
Alberto Laffranchi
Radiodiagnosta e radioterapeuta, medico esperto in omeopatia
Fondazione IRCCS Istituto Tumori, Milano
Premessa
I recenti progressi nello sviluppo e nella somministrazione della chemioterapia per le malattie tumorali maligne ha aumentato la sopravvivenza dei
pazienti. La tossicità acuta indotta dalla chemioterapia colpisce primariamente il tratto gastro-enterico e il midollo osseo (Stillman M., Cata JP: Management of Chemotherapy-induced Peripheral Neuropathy. Curr Pain Headache Rep. 2006 Jul; 10(4): 279-87), ma la neurotossicità indotta dalla chemioterapia con agenti neurotossici, sta diventando un problema sempre più
frequente, che colpisce il 10-20% dei pazienti trattati, in particolare per una
tossicità diretta sui nervi periferici (CIPN). (Wong R., Sagar S: Acupuncture
for chemotherapy-induced peripheral neuropathy--a case series. Acupunct.
Med. 2006 Jun; 24(2): 87-91).
Gli agenti chemioterapici utilizzati per il trattamento dei tumori ematologici e solidi presentano un’azione tossica sulle strutture e sulle funzioni del
sistema nervoso periferico, incluso il corpo della cellula neuronale, il sistema
di trasporto dell’assone, la guaina mielinica e le strutture gliali di supporto
(Stillman M., Cata JP). La neurotossicità rappresenta, per molti farmaci chemioterapici, una delle più importanti tossicità dose-limitanti non ematologiche. In letteratura non è presente una vera e propria linea guida condivisa per
il trattamento delle neuropatie periferiche indotte dalla chemioterapia (CIPN
- Chemotherapy induced peripheral neurophathy). Sono presenti studi preliminari.
Tra le ipotesi farmacologiche si è pensato di trattare la CIPN utilizzando
farmaci che si sono dimostrati efficaci in altre neuropatie tra cui le nevralgie
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post erpetiche, diabetiche, trigeminali. Per questo sono stato proposti farmaci anticonvulsivanti come il gabapentin, carbamazepine, e lamotrigine, antidepressivi triciclici come l’amitriptyline e la desipramine. (Backonja MM, Serra J.: Pharmacologic management part 1: better-studied neuropathic pain disease. Pain Med. 2004 Mar; 5 Suppl 1: S28-47). Altri studi
preliminari hanno mostrato la possibile efficacia clinica di alcuni agenti, fra cui glutamina,
amitriptyline, glutathione, vitamina E, acetyl-L carnitina, calcio, infusioni di magnesio, ma
non esistono al momento studi conclusivi sulla loro efficacia. (Stillman M., Cata JP:
Management of Chemotherapy-induced Peripheral Neuropathy. Curr Pain Headache Rep.
2006 Jul; 10(4): 279-87. Nella pratica clinica si è osservato che occasionalmente i sintomi
neurologici persistono o si sviluppano dopo la sospensione del farmaco chemioterapico e
possono culminare in una disfunzione e in un peggioramento della qualità di vita. In questo
lavoro esponiamo la nostra esperienza preliminare osservazionale.
Materiali e metodi
Seguendo criteri analoghi si è pensato di poter formulare un approccio omeopatico, per
la precisione omotossicologico, che coprisse il ventaglio sintomatologico della patologia.
Sono stati identificati quattro prodotti in gocce alcoliche. Si tratta di quattro farmaci omeopatici complessi nella formulazione in gocce alcoliche, tutti della Ditta Heel di Baden Baden
Germany: Arnica Compositum, Rhododendroneel S, Ranunculus Homaccord, Colocynthis
Homaccord, Thuja Complex. In tre pazienti successivi è stato introdotto anche l’uso di un
altro farmaco, questa volta per via sottocutanea, il P73 110 JUV, farmaco complesso spagirico distribuitio in Italia da Similia. Tutti i farmaci sono registrati in Italia ed acquistabili liberamente nelle farmacie. La valutazione clinica ha previsto di indagare l’efficacia analgesica
(riduzione dell’intensità del dolore) dei prodotti in studio, nel ridurre la sintomatologia
nevritica periferica (CIPN – Chemotherapy Induced Peripheral Neurophathy) indotta dalla
chemioterapia conseguente all’uso di Taxani, Cisplatino, Carboplatino e di Oxaliplatino.
Risultati preliminari
L'associazione Arnica Compositum, Rhododendroneel S, Ranunculus Homaccord,
Colocynthis Homaccord, Thuja Complex 10 gocce di ogni prodotto assunte assieme la sera
in poca acqua, è stata da noi ideata e valutata preliminarmente su sette pazienti affetti da
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dolore neuropatico conseguente all’uso di taxani, che dichiaravano di non rispondere alle
terapie attuate (Gabapentin), sui quali si è osservata una riduzione della sintomatologia clinica del dolore alle mani, presente da almeno tre mesi, in media dopo tre settimane dall’inizio del trattamento. La risposta clinica al trattamento è stata confermata su altre 5 pazienti
affette da neoplasia della mammella in trattamento con taxani, affette da dolore neuropatico, comparso da circa un mese. Infine, due pazienti in trattamento per neoplasia del polmone, con sintomatologia riferibile a neuropatia periferica alle mani ed ai piedi da oltre un
anno, hanno dichiarato una buona riduzione dei disturbi neurologici entro i primi venti
giorni dall’inizio del trattamento proposto in questo studio.
Successivamente abbiamo trattato altri due pazienti maschi rispettivamente di 65 e 72
anni, di cui il primo affetto da tumore al polmone, l’altro da tumore al colon, entrambi affetti da neuropatie periferiche alle mani e ai piedi rispettivamente da oltre uno e da oltre due
anni. Il paziente curato per neoplasia al polmone ha interrotto il trattamento dopo soli 20
giorni, senza alcun beneficio. L’interruzione è stata legata al fatto che inopportunamente gli
era stato comunicato che dopo 20 giorni avrebbe potuto osservare dei miglioramenti clinici,
cosa che non è avvenuta, per cui lui spontaneamente ha deciso di interrompere la cura. Il
secondo paziente affetto da esiti di neoplasia al colon, invece, nell’arco di due mesi ha ottenuto la completa risoluzione della sintomatologia alle mani, e solo una riduzione di quella ai
piedi. Si è pensato quindi di introdurre un nuovo farmaco, questa volta iniettivo: un’infiltrazione alla settimana su tre punti di proiezione cutanea dello sciatico, per arto inferiore. La
risposta è stata immediata, fin dalla prima seduta il paziente ha, infatti, prontamente riferito un rapido e netto miglioramento clinico che per lui significava poter coprire con il lenzuolo e coperta i piedi durante la notte e riottenere la sensibilità durante la deambulazione.
Il beneficio si è mantenuto nel tempo e permane anche a distanza di oltre un anno dal termine della cura.
Il farmaco iniettabile utilizzato contiene: Acer negundo, Condurango, Fraxinus americana, Gallae, Haematoxylon campechianum, Lycopodium, Prunus padus, Raphanus,
Scrofularia nodosa, Thuia, Ulmus campestris, and Viscuma album (P73 Juv 110).
Infine, più recentemente, tra il dicembre 2008 e l’aprile 2009 abbiamo trattato una
paziente di 65 anni con gravi alterazioni sensitive e dolorose all’apparato digerente, in particolare addominali, attribuite dai clinici alla chemioterapia conseguente al trattamento di un
tumore ovarico.
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La terapia è stata l’associazione tra i farmaci complessi Omotossicologici di base e una
seduta alla settimana di JUV iniettato sottocute in addome, per 8 settimane. La risoluzione
completa dei sintomi, che erano associati anche a una grave forma depressiva con melanconia e crisi di pianto improvvise, si sono risolti completamente entro aprile 2009 e il beneficio perdura invariato anche attualmente, la paziente, infatti, con regolarità ci mantiene
aggiornati sul suo stato di salute.
Vantaggi attesi dall’uso dei farmaci omeopatici
Economici: i farmaci in studio hanno un costo molto contenuto (30 euro per un mese di
terapia, l’85% in meno rispetto all’uso del gabapentin nel dosaggio minore). L'ipotizzabile
assenza di effetti collaterali. Un evidente miglioramento della qualità di vita (molte pazienti
riferiscono la perdita di sensibilità alle mani con riduzione evidente della loro funzione tattile e prensile, oltre a difficoltà di deambulazione, in particolare nel salire e scendere le scale).
Conclusioni
I risultati preliminari ottenuti e la ridotta possibilità di cura con i farmaci convenzionali,
unite all’evidente risparmio economico della terapia omeopatica, rispetto alla cura tradizionale, ci portano a consigliare l’avvio di sperimentazioni scientifiche che dimostrino la validità della cura proposta.
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Sindrome della fatica cronica:
il progetto WEL
nel Glasgow Homeopathic Hospital
David Reilly
Direttore Glasgow Homeopathic Hospital, Glasgow
The larger picture from which The WEL programme has emerged as has
been characterised as The Fifth Wave of Public Health - the recognition that
the post-industrial epidemics like obesity, diabetes, degenerative illness,
depression and chronic fatigue and chronic pain do not fully yield to 'fix-it"
approaches by experts - be they conventional or complementary - and a new
map of care is called for. We suggest this will have working with people's
inherent capacities as a central vision.
The Centre for Integrative Care, Glasgow Homoeopathic Hospital has
developed a group-based programme to support people's wellness enhancement learning - The WEL. It is a stand-alone complement to “outside-in”
interventions such as drugs or homoeopathy. Catalytic triggers such as homeopathy rely on the organism's capacity and resources, but these capacities in
turn rely on appropriate nurture, and the removal of obstacles to cure. The
programme takes an "inside-out" approach, built on the image of the recovery potential and drive in life, and a consideration of what may enhance this.
There is a sharing of practical knowledge and information and an introduction to self-care practices such as mindfulness, meditation (such as
Heartmath aimed at producing physiological coherence) ; reducing processed
food and eating more fresh food; and cognitive skills and self-challenge techniques. However, these rest on the underlying narrative which tackles making and sustaining change, and increasing awareness of what drives our
unhelpful and damaging ways of caring for ourselves. The deeper question
explored is: What would it take to treat my life with the same respect I would
extend to another living form dependant on me - like a pet, or a child, or a
plant, or a child?
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What would make respectful self-care an unconditional commitment? This talk will present some results from a 2 year evaluation of a pilot version of The WEL for people with
CFS/ME. More details and the full evaluation report are available from www.thewel.org and
www.davidreilly.net.
References
Fifth Wave and the Full report.
The Fifth Wave - Searching For Health In Scotland: Scottish Council Foundation,
Compiled by Andrew Lyon, 2003. Copy available from www.davidreilly.net.
Higgins M, Hopkins D, Reilly D, Mercer S. Evaluation Report of the Pilot Phases of The
Wellness Enhancement Learning Programme for Patients with Chronic Fatigue Syndrome
CFS-ME, 2009. Published on www.thewel.org.
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La malattia parodontale,
un modello di studio omeopatico
della malattia sistemica
Salvatore Bardaro
Odontoiatra esperto in omeopatia
Presidente AMNCO, Associazione Medicine Non Convenzionali
in Odontoiatria
Il termine parodonto sta ad indicare l’insieme anatomo-funzionale che circonda il dente e che riconosce, come ruolo principale, il sostegno e la stabilizzazione di quest’ultimo. E’ costituito dalla gengiva, dal legamento alveolodentale (o desmodonto), dall’osso alveolare e dal cemento che ricopre la radice del dente. Il Parodonto è quindi il risultato della combinazione di diversi
tessuti correlati reciprocamente per genesi di sviluppo, topografia e funzione.
La Malattia Parodontale (MP) definisce, ufficialmente, un complesso di
patologie diverse dovute a processi infiammatori di origine batterica a carico,
appunto, del parodonto. Tali patologie sono caratterizzate, in via generale,
dalla migrazione in senso apicale dell’attacco dei tessuti molli alla superficie
degli elementi dentari, dal riassorbimento progressivo dell’osso alveolare e da
flogosi, più o meno evidente, dei tessuti gengivali. In relazione ai tessuti interessati la MP si divide principalmente in gengivite e parodontite.
Nella gengivite l’infiammazione è limitata alla gengiva senza interessamento dell’osso alveolare. La gengiva in questi casi sanguina ed è alterata per
forma, struttura e colore. Nella parodontite, o periodontite, si determinano
invece lesioni distruttive estese all’osso e alle fibre collagene del desmodonto,
con conseguente caduta del dente. In sequenza si può assistere ad una progressiva distruzione delle fibre gengivali e migrazione apicale dell’epitelio
giunzionale seguita poi da un interessamento della cresta ossea alveolare. Si
arriva così alla perdita della funzionalità delle fibre parodontali apicali al solco
gengivodentario, e all’approfondimento patologico di quest’ultimo con formazione di tasca parodontale.
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La Parodontologia, branca dell’odontoiatria che si occupa in maniera specifica delle problematiche del parodonto, è una disciplina che forse più di altre risulta pervasa da pragmatismo e codificazione. Negli ultimi trent’anni tale disciplina ha fatto notevoli passi avanti;
infatti, grazie soprattutto a innumerevoli studi rigorosi, si è potuta conoscere maggiormente
la MP e la sua risposta alle varie procedure terapeutiche applicate. Su tali informazioni si è
arrivati a stabilire un protocollo terapeutico, universalmente riconosciuto ed applicato, nel
quale possiamo individuare varie fasi e livelli di terapia. Infatti tale protocollo si articola in
procedure non chirurgiche e chirurgiche (queste ultime possono essere di vario grado) che ha
come fondamento l’eliminazione meccanica della placca batterica e, come scopo ultimo,
quello di rendere l’igiene della bocca e dei denti facilmente mantenibile attraverso la semplice igiene domiciliare. Da tale orientamento terapeutico possiamo desumere, oggettivamente, che la M. P. non riconosca altre cause oltre alla placca batterica, e che l’unica cura consista nella sua eliminazione e nella prevenzione del suo depositarsi oltre che, naturalmente, nel
tentativo chirurgico di riparazione dei difetti procurati. Non per nulla infatti questo protocollo, tutto incentrato sull’attività batterica, è definito “terapia causale”.
Già a questo punto il buon senso ci potrebbe suggerire che, vista l’enorme varietà ed efficacia delle armi messe a punto contro la placca batterica, tale patologia dovrebbe ad oggi essere stata debellata. Essa invece risulta in aumento. Dati discordanti con tale orientamento ci
si presentano anche ad una revisione della letteratura scientifica di base che afferma quanto
i microagenti “causali” siano di per sé insufficienti ad avviare il processo distruttivo a carico
del parodonto.
Procedendo con ordine notiamo innanzitutto che è da tempo stabilito che la MP non può
essere considerata come una entità omogenea, ma è pacifico che essa ricomprende un insieme di patologie diverse. Il termine individua infatti un vasto numero di affezioni diverse che
riconoscono come elemento comune solo la localizzazione al parodonto. Inoltre è stato accertato che la presenza di un certo tipo di placca, oltre a non essere condizione necessaria e sufficiente a far insorgere la patologia, lo è ancor meno nel determinare patologie uguali e/o
dello stesso tipo di gravità. Peraltro la causa ufficiale odierna di tale gruppo di patologie stabilisce che esse provengono da: “Aumento dei batteri anaerobi, uniti ad una sovraespressione dei meccanismi immunitari dell’ospite” introducendo così una responsabilità del terreno
nell’insorgenza delle lesioni. Altro elemento che risulta stridente in questo modello interpretativo, è che la MP risulta sempre localizzata, anche nelle forme più diffuse.
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L’esistenza di tali contraddizioni, qui peraltro appena accennate, fra le caratteristiche ingenite della malattia e l’interpretazione che se ne trae, con il conseguente modello terapeutico,
potrebbero essere all’origine del perché, nonostante protocolli così rigidi e così ricercati, a
tutt’oggi non esista una sola forma di MP realmente guarita. Del resto ciò rende anche ragione del perché i risultati derivanti da questa impostazione terapeutica evidenzino, in tutte le
verifiche fatte su di essa, effetti parziali e transitori. Molti sono i fattori da riconsiderare e a
cui dare rilevanza che al momento, essendo solo intesi come elementi descrittivi marginali e
poco significanti, e perciò anche molto poco delineati nei contorni e nelle modalità di azione, vengono trascurati nella cura effettiva; ciò potrebbe essere motivo dell’esistenza di recidive, di forme c. d. “refrattarie” alla terapia e, dimostrazione inversa, di guarigioni spontanee o
di non insorgenze in quei pazienti che trascurano la loro placca.
Si delinea così un contesto in cui è necessario ripensare la cura ripartendo dalla comprensione e considerazione profonda del complesso etiologico, sia del versante esterno che di
quello insito nell’organismo, e dei suoi sistemi di estrinsecazione, dicesi patogenesi, che è
impossibile disgiungere dal modello reattivo individuale. Il fattore etiologico necessita infatti di una ridefinizione che gli conferisca connotati maggiormente complessi e screziati per la
comprensione e gestione dei quali non risultano più oggettivamente sufficienti le teorie infettive, meramente basate sull’attività dei microrganismi, nè tantomeno quelle di concezione
localistica. Deriva proprio da una valutazione obiettiva, non preconcetta, dei dati forniti
dalla ricerca di base l’esigenza di introdurre elementi “nuovi” che fungano da chiavi di lettura ai fini di una interpretazione profonda, piena e utile di patologie complesse quali la malattia parodontale. Potremmo quasi dire che la Scienza Medica apre degli squarci nella
Medicina Scientifica. L’influenza patogenetica del Terreno, inteso come modalità reattiva
individuale, il ruolo di solo indicatore, e non di iniziatore, del microagente, la necessità
dell’Inquadramento complessivo del paziente, recepito sulla base di una indagine sistemica
fisiologica e patologica in cui tutti i componenti risultano strettamente interdipendenti e
determinanti, ci portano, in maniera assolutamente naturale, a considerare come sia indispensabile munirsi di strumenti interpretativi e procedurali che da sempre sono corredo dell’indagine omeopatica. Da queste evidenze scaturisce l’esigenza di avviare un progetto di
Medicina Integrata che, uscendo fuori dalla distinzione fra Medicine di diversa natura, tradizione e filosofia, arrivi a ripensare la cura facendo ricorso a tutte le risorse esistenti così da
tratteggiare un Modello Terapeutico aggiornato ed efficace nell’interesse esclusivo del mantenimento della salute dell’individuo e della ricerca scientifica ulteriore.
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
Bibliografia essenziale
Bardaro S. - Le gengiviti: analisi omotossicologica e collocazione nella tavola delle fasi. La
Med. Biol.; Genn-Marz 1998: 39-57.
Bardaro S. - Gingivitis: Analysis and placement in the table of homotoxicosis. Int J Integ
Med; 1999 Jan. 17(1): 7-20.
Bardaro S. - Omeomesoterapia in agopuntura (OMTIA) nelle parodontopatie. Prima
parte. La Med. Biol., 2003/2. 19-24.
Bardaro S. - Omeomesoterapia in agopuntura (OMTIA) nelle parodontopatie. Seconda
parte. La Med. Biol., 2003/3. 23-27.
Bardaro S. - Il modello emergente della Malattia Parodontale: l’OMTIA secondo i nuovi
paradigmi. La Med. Biol., 2008/1; 25-32.
Bardaro S. - The emergent pattern of the Periodontal Disease: OMTIA according to new
paradigms. Int J Integ Med; 2008 Mar. 9(2): 6-14.
Bardaro S. - L’Essenza PNEI della Malattia Parodontale pubblicato in: “Geni e comportamenti: scienza e arte della vita” Edizioni RED, 2009.
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Terapia omeopatica nelle allergie
idiopatiche degli animali d’affezione
Bruno Cipollone
Veterinario esperto in omeopatia, ASL Roma
In veterinaria le allergopatie hanno assunto una rilevante importanza negli
ultimi anni visto il notevole aumento sia nei cani che nei gatti dei casi di dermatiti. Più che nelle altre specialità in dermatologia, un’accurata anamnesi è
essenziale per giungere ad una corretta diagnosi e la risposta ad una domanda importante può cambiare completamente le diagnosi differenziali. Per raccogliere un’anamnesi dermatologica corretta (occorre portare alla luce le parti
salienti e raggiungere il giusto rapporto di comunicazione con il cliente),
spesso c’è la necessità di dedicare maggior tempo per il consulto rispetto ad
una normale visita generale. Questo approccio alle dermatologie dei piccoli
animali si esprime in maniera compiuta e completa con la visita omeopatica
che permette di andare ancor più in profondità per scoprire le cause della dermatite e per analizzare l’evoluzione patologica nonché comportamentale dell’animale con atteggiamenti stereotipati non identificabili con cause eziologiche precise e tangibili.
I punti essenziali da investigare includono:
1. Epoca di inizio della malattia. L'insorgenza del prurito negli animali giovani suggerisce un'eziologia come la dermatofitosi, la demodicosi o un'ectoparassitosi (pulci/Sarcoptes). Il prurito che inizia tra uno e tre anni di età
è compatibile con le allergie. Una dermatite che inizia negli animali di
mezza età suggerisce una possibile endocrinopatia (iperadrenocorticismo o
ipotiroidismo).
2. Manifestazione iniziale della dermatite. Questa domanda risulta di difficile interpretazione da parte del proprietario. Se la presentazione è caratterizzata da un'alopecia del tronco, le diagnosi differenziali includono molte
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
endocrinopatie. Se il prurito inizia sul muso, piedi ed ascelle e poi diventa più generalizzato le iniziali diagnosi differenziali sono atopia e allergia alimentare. Al contrario, l'insorgenza di lesioni su padiglioni auricolari, gomiti e ginocchia potrebbe suggerire una rogna
sarcoptica.
3. Stagionalità. Un prurito stagionale è fortemente indicativo di ipersensibilità al morso di
pulce e/o atopia. I sintomi presenti potranno aiutare a differenziare o a identificare le due
malattie come allergie concomitanti o meno.
4. Otite esterna. Un'anamnesi di otiti esterne ricorrenti suggerisce una lista differenziale che comprende allergie (alimentazione/atopia) o endocrinopatie (iperadrenocorticismo/ipotiroidismo).
5. Presenza di concomitanti dermatiti su altri animali da compagnia o uomini. Questi sintomi possono non essere rivelati dai proprietari fino a quando non si porge una domanda specifica. Nella maggior parte dei casi una diagnosi di “eczema” è stata fatta dal loro
dottore e non è stata suggerita una possibile connessione con l'animale. Papule e prurito
potrebbero suggerire zoonosi comuni come dermatofitosi, cheyletiellosi, rogna sarcoptica, otoacariasi o semplicemente pulci.
6. Risposte a trattamenti precedenti. Se la malattia risponde completamente e ripetutamente a dosi antinfiammatorie di glucocorticoidi, le allergie sono le prime della lista delle diagnosi differenziali. Molte malattie miglioreranno inizialmente con i glucocorticoidi, ma
solo per un breve periodo. Se solo gli antibiotici hanno portato ad una completa remissione, devono essere indagate la piodermite e tutte le altre possibili cause sottostanti. Se
la malattia risponde alla combinazione dei due, non possono essere raggiunte conclusioni di nessun tipo sull'eziologia della malattia stessa.
Esame clinico
Sedi da esaminare: occhi; naso; labbra; cavità orale; orecchie; la cute del tronco; i peli del
tronco; polpastrelli, unghie e spazi interdigitali; genitali esterni ed ano; linfonodi; palpazione addominale; auscultazione del torace.
Esame fisico: tipo di lesioni
1. Pustole sono raccolte intraepiteliali di cellule infiammatorie.
2. Vescicole sono lesioni rare e fragili di diametro inferiore al centimetro e ripiene di un
liquido chiaro.
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3. Papule sono rappresentate da piccoli rilievi della cute di circa un centimetro di diametro,
anche se tipicamente misurano pochi millimetri. Possono eventualmente interessare i follicoli piliferi, e possono essere palpate come formazioni solide.
4. Noduli sono formazioni solide più grandi di un centimetro di diametro che generalmente implicano la presenza di un infiltrato cellulare nel derma.
5. Ponfi sono lesioni a margini netti e rilevati che generalmente compaiono e spariscono in
poche ore dall'esposizione ad un allergene.
6. Scaglia è il termine utilizzato per i frammenti di strato corneo distaccati (cellule morte
dello strato superficiale). Il termine comune è forfora.
7. Foruncoli sono dei “noduli” che si creano come risultato della rottura del follicolo pilifero.
8. Alopecia si intende una perdita di pelo che può essere completa (perdita di pelo totale),
focale (con perdita totale del pelo da un'area precisa o a zone) o diffusa (che implica una
perdita parziale o fine di peli, di solito su un'area maggiore). a clinicamente caratteristica.
9. “Crosta” è un termine dermatologico per descrivere una lesione che si forma quando un
essudato “secco” che fuoriesce dall'epidermide aderisce alla cute sottostante.
Metodi diagnostici
Esame citologico. L'esame dei campioni citologici è un metodo poco costoso, semplice e
rapido per valutare le infezioni cutanee e l'otite esterna. Dovrebbero essere valutate citologicamente tutte le alterazioni croniche e pruriginose della cute e tutti i casi di otite esterna (non
solo alla prima visita ma anche ai controlli).
Raschiati cutanei. Di solito per la ricerca di Sarcoptes o Cheyletiella si eseguono raschiati cutanei superficiali da ampie aree. I gomiti, i margini dei padiglioni auricolari e la parte
ventro-laterale del torace sono comunemente usati per i raschiati per Sarcoptes, il dorso per
Cheyletiella. Per la ricerca degli acari di Demodex, che vivono nel follicolo pilifero, si eseguono raschiati profondi.
Esame con lampada di Wood. Nel 50% di tutti i casi di infezioni da Microsporum canis
si nota una fluorescenza verde mela dovuta ai metaboliti del triptofano. Questa fluorescenza
si osserva lungo tutto il fusto del pelo. Altri dermatofiti che sono comuni in medicina veterinaria possono non essere fluorescenti.
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Esame colturale micologico. Dovrebbero essere prelevati i peli e le scagli dal margine della
lesione (preferibilmente quelli fluorescenti alla luce della lampada di Wood). Se le lesioni non
sono ben delimitate o si pensa di aver a che fare con un portatore non sintomatico, è consigliabile eseguire il test di McKenzie.
Esame tricologico. Si usa un paio di pinze atraumatiche per strappare i peli nelle aree parzialmente o totalmente alopeciche e si valutano a piccolo ingrandimento. Si esegue per valutare quanti peli sono in fase telogena (resting phase) e/o anagena (growth phase) (nei problemi di alopecia o sospette endocrinopatie) ; quando richiede una notevole esperienza pratica
nel giudicare i bulbi piliferi. Se l'animale ha prurito e si lecca, i peli che rimangono hanno le
punte spezzate. Se i peli cadono per altre ragioni le punte sono integre.
Analisi delle urine. L'esame delle urine è uno degli esami fondamentali effettuati nella
valutazione di un cane che si sospetta essere affetto da una endocrinopatia o una malattia
sistemica. L'analisi del peso specifico e dello stick sono necessari anche quando si effettua un
prelievo di sangue per l'esame biochimico.
Esame colturale batteriologico ed antibiogramma. Per organizzare un esame colturale batteriologico e relativo antibiogramma è necessario prestare attenzione alla preparazione del
campione. L'identificazione del batterio presente e la sua importanza nell'infezione è forse
una delle situazioni più facili da valutare perchè la rosa di batteri patogeni è limitata (sulla
cute sono predominanti Staphylococcus e Streptococcus sp, mentre nelle orecchie di trovano Pseudomonas, Proteus ed E. coli).
Esami supplementari: per l’iperadrenocorticismo e per l’ipotiroidismo.
Approccio al paziente con prurito
Un discreto numero di animali sono sottoposti alla visita clinica per la presenza di prurito frequente o continuo. Molte malattie sono in grado di causare prurito, alcune molto
comuni, altre rare. In linea generale il seguente schema può essere utile per giungere alla diagnosi. L'eruzione cutanea è associata al prurito? No: le diagnosi più probabili allergie (atopia
ed allergia alimentare) e dermatite da Malassezia. Si: un appopriato esame rivelerà il tipo di
eruzione cutanea e le sedi cutanee colpite. Le euzioni cutanee papulari sono dovute prevalentemente ad infezione batterica, ipersensibilità al morso d'insetto, demodicosi, rogna sarcoptica, dermatite da contatto o dermatofitosi.
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Le lesioni pustolose possono essere caratterizzate da pustole follicolari (infezine batterica,
dermodicosi, o più frequentemente dermatofitosi, pemfigo fogliaceo). Le pustole più grandi
possono interessare più follicoli (impetigo bollosa negli animali anziani con sottostanti alterazioni ormonali gravi o immudeficenza, così come il penfigo fogliaceo) o essere localizzate
in aree glabre (intertrigo nei cani giovani, dermatofitosi, allegia da contatto).
Le vescicole sono estremamente rare negli animali d'affezione. Possono essere dovute a
rare malattie immunomediate come il lupus eritematoso o a disordini genetici come l'epidermolisi bollosa che inizialmente può causare vescicole, ma in seguito l'infezione può cambiare rapidamente le lesioni pustolose.
Le pustole crostese si possono vedere in corso di ipersensibilità al morso di pulce, infezione batterica, rogna sarcoptica dermatofitosi e demodicosi.
Le lesioni con depigmentazione sono sovente dovute a malattie immunomediate (come il
lupus discoide o la sindrome uveodermatologica). La vitiligo è un'altra causa di depigmentazionedella cute o dei peli, la cui eziopatogenesi non è ancora chiara (almeno per il momento).
Classificazione delle dermatiti
1. Dermatiti parassitarie
2. Dermatiti batteriche
3. Dermatiti virali
4. Dermatofitosi
5. Micosi Profonde
6. Dermatiti atopiche
7. Allergia alimentare
8. Complesso granuloma eosinofilico
9. Dermatiti autoimmuni
10. Manifestazioni cutanee di malattie sistemiche
11. Tumori cutanei
12. Genodermatosi
13. Manifestazioni cutanee associate a disturbi comportamentali
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Diagnosi delle malattie allergiche
Le forme di ipersensibilità più comuni negli animali da compagnia sono l’ipersensibilità
al morso di pulce, l’atopia, l’allergia da contatto e quella alimentare. La dermatite allergica
da pulci (DAP) e l’atopia si manifestano clinicamente nei cani tra l’anno e i tre anni di vita
nel 75% dei casi (nel 25% in soggetti più giovani o più anziani!!). L’allergia da contatto non
ha un range specifico d’età e quello dell’allergia alimentare sembra essere più vario di quello
dell’atopia.
Diagnosi di atopia canina. La diagnosi canina di atopia può essere effettuata valutando
l’anamnesi e l’esame obiettivo particolare cutaneo (vedi i capitoli precedenti). Le allergie nel
cane solitamente peggiorano con l’età (diversamente dagli uomini dove molti possono “guarire dall’allergia”). Un’anamnesi accurata è fondamentale nella diagnosi di atopia.
Diagnosi di atopia felina. Nei felini deve essere considerato potenzialmente atopico ogni
gatto con dermatite miliare, granuloma eosinofilico o alopecia non infiammatoria.
Diagnosi di allergia alimentare. La diagnosi si effettua attraverso una dieta di evitazione
con fonte proteica che l’animale non ha mai assunto prima.
Diagnosi di ipersensibilità al morso della pulce. L’anamnesi e i segni clinici, così come la
presenza di pulci o feci di pulci, sono suggestivi della malattia
Diagnosi di allergia da contatto. La dermatite da contatto si chiama in questo modo poiché è necessario un contatto diretto ncon l’allergene per scatenare la malattia. Una volta che
il paziente è sensibilizzato è sufficiente che l’antigene venga a diretto contatto con la cute per
manifestare l’allergia.
Terapie convenzionali
Terapia antiprurito: antistaminici, acidi grassi essenziali (essential fatty acid o EFA), glucocorticoidi, shampoo terapia
Terapia immunosoppressiva
Terapia antibiotica
Terapie specifiche immunitarie e desensibilizzanti
Terapia acaricida
Firenze, Auditorium “Al Duomo”, 13-14 marzo 2010
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Bibliografia aggiornata su:
www.siomi.it
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V Convegno Triennale SIOMI - “Ripensare la cura”
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Firenze 2010