La Meneghina e Milano
anni di impegno
per la cultura milanese
a cura di Alessandro Gerli
Con questo libro celebriamo i 90 anni della Meneghina con una
serie di saggi multidisciplinari di illustri studiosi e accademici e
con interventi garbati di milanesi e meneghini felici di esserlo, con
l’intento di illustrare una Meneghina che è sempre stata calata
nella realtà milanese, con la quale non solo ha interagito ma che
ha anche il vanto di aver arricchito. Lo ha fatto pubblicando libri,
promuovendo la poesia, il teatro e la pittura, costituendo una piccola grande biblioteca specialistica che è riconosciuta come un
patrimonio raro e unico.
Il titolo La Meneghina e Milano vuole sottolineare la particolare
natura dell’Associazione e il profondo e costante legame fra questa e la sua città.
Il ruolo e, al tempo stesso, la responsabilità di un’Associazione
sta nel sapere prospettare e, se del caso, ricontestualizzare intelligentemente dei valori così da trasmetterli alle generazioni che
verranno.
Con le celebrazioni dei 90 anni la Meneghina intende riproporre tali valori, suscitare interessi, alimentare dibattiti sulla cultura milanese e sulle sue prospettive e soprattutto trasmettere un
segnale che essa non solo è ancora viva ed operante, ma che lo
potrà essere a lungo.
In copertina:
Milano ricomposta con colori fantastici in un’atmosfera irreale,
opera di Jean Pattou del 1992 (collezione privata)
ISBN 978-88-205-1060-2
9 788820 510602
La Meneghina e Milano
anni di impegno
per la cultura milanese
a cura di Alessandro Gerli
Consiglio Direttivo:
Edoardo Teodoro Brioschi (Presidente), Alessandro Gerli (Vice Presidente), Riccardo Pellegatta
(Vice Presidente), Giovanni Antonio Osnago Gadda (Segretario), Pier Luigi Amietta,
Salvatore Carrubba, Francesco Cetti Serbelloni, Giorgio Pietrasanta, Gianfranco Scotti
Comitato Scientifico:
Emilio Gatti (Presidente Onorario), Silvia Morgana (Presidente),
Marina Bonomelli (Segretario), Alberto Bentoglio, Marco Bona Castellotti, Salvatore Carrubba,
Ada Gigli Marchetti, Antonio Lauria, Ornella Selvafolta
Le fonti documentarie provengono
dall’Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
Coordinamento redazionale e ricerca iconografica di Silvia Donghi
Ufficio stampa: Simona Cavenaghi [email protected]
ISBN 978-88-205-1060-2
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Progetto grafico e impaginazione: design [email protected]
Finito di stampare nel marzo 2014 da Global Print, Gorgonzola (Milano)
Per le celebrazioni dei 90 anni della Meneghina hanno contribuito:
intesa sanpaolo
Marisa Andreini, Edoardo Teodoro Brioschi,
Giorgio Gerli, Antonia Lovat Lattes,
Giorgio e Antonella Ravizza
Con il patrocinio di:
La nostra vita quotidiana è avvolta e travolta da un turbinio di sollecitazioni espresse da un lessico
anglosassone che recita: facebook, whatsapp, twitter, spotify, yahoo, instagram, snapchat, dropbox che
la maggior parte di noi non ha mai sentito o non sa cosa siano, che cosa vogliano dire, a che cosa servono, ma che, soprattutto, sino a pochi anni or sono non esistevano. Semplicemente perché non erano
state ancora inventate.
In tale mondo impalpabile, inafferrabile ma reale sia per le funzioni sia per i miliardi di dollari che
genera, potrebbe sembrare semplicemente fuori luogo e fuori tempo rammentare la storia di un piccolo
mondo antico come quello della Famiglia Meneghina calata in una Milano che transitava da Milanin
a Milanon, ma che comunque rimaneva pur sempre un laghetto brianzolo con le acque grigie e quiete
appena increspate, talvolta, da una casalinga breva. Lo facciamo perché siamo affetti e ammalati di un
intimismo evocativo nel quale ci rifugeremmo per ignorare la realtà incombente che ci travolge e di
cui abbiamo timore o che non sappiamo affrontare? No. E non crediamo nemmeno al revival di autonomismi e di localismi che esprimerebbe, nell’inconscio di chi li evoca e li vorrebbe resuscitare, una
reazione alla vastità inafferrabile della cosiddetta globalizzazione. L’umanità è un fiume in piena che
scorre in molti alvei e che, talvolta (frequentemente), travolge terre, alberi, animali e uomini e che solo
gli illusi pensano di poter arginare in un canale come la Martesana. Ma queste acque hanno anch’esse
le loro scaturigini, hanno delle piccole sorgenti e corrono anche in placide plaghe fra tremule erbe e
ciottoli che cantano.
Ebbene noi riteniamo che ripercorrere 90 anni di storia operosa costruita da milanesi che si sono trovati, volontariamente, e non per costrizione, in una piccola comunità che ha prodotto, nell’ambito della
più grande comunità cittadina, un numero straordinario e quasi incredibile di opere per rammentare,
documentare e tramandare ciò che era stato fatto in secoli passati e che si faceva quotidianamente,
ancora e sempre, sia esercitare un’indispensabile funzione “biologica”.
Nella vita ci sono i momenti delle battaglie con le loro crudezze e, talvolta, anche crudeltà ma, fortunatamente, ci sono anche molti momenti in cui ci si riposa arricchendo le conoscenze con la memoria
e con la volontà di capire una realtà passata a noi nota solo attraverso le “rappresentazioni” iconografiche (monumenti, arti plastiche e pittoriche), lessicali (letterarie, scientifiche, poetiche e così via).
Questo recupero non è uno sterile esercizio di retorica evocativa e non è rinuncia del presente, è una
necessità ineludibile di raccordare il passato al presente che ogni giorno s’infutura. È una presa di
conoscenza e di coscienza.
Con questo libro celebriamo i novant’anni della Meneghina con una serie di saggi multidisciplinari
di illustri studiosi e accademici e con interventi garbati di milanesi e meneghini felici di esserlo, con
l’intento di illustrare una Meneghina che è sempre stata calata nella realtà milanese, con la quale non
solo ha interagito ma che ha anche il vanto di aver arricchito. Lo ha fatto pubblicando libri, promuovendo la poesia, il teatro e la pittura, costituendo una piccola grande biblioteca specialistica che è
riconosciuta come un patrimonio unico.
Talvolta sembra di avvertire una certa mancanza di colloquio con la Pubblica Amministrazione, che
ci piacerebbe sentire più attenta alle nostre fatiche. Mi piace però sottolineare una grande eccezione
costituita dalla Biblioteca Centrale Comunale di Palazzo Sormani con la quale abbiamo realizzato la
mostra, che porta lo stesso titolo del presente volume, grazie ad una collaborazione aperta, leale, entusiastica e propositiva fra il Direttore e i collaboratori della Sormani, cittadini milanesi che operano
in e per un’istituzione pubblica e un piccolo gruppo di giovani colte signore, cittadine milanesi, che
operano in e per una piccola istituzione privata.
È questa la Milano che mi piace. È la Milano nella quale la Meneghina si è trovata bene e vuole tuttora
trovarsi bene.
Alessandro Gerli
Non è un caso che la preziosa Biblioteca dell’Associazione Culturale Famiglia Meneghina-Società
del Giardino si trovi ora a Palazzo Spinola, in affettuosa ospitalità, che ci si augura perenne; come
molte realizzazioni milanesi, il tutto nasce dall’amicizia e dall’entusiasmo e dalla passione per la
cultura e la sua tutela.
Giacevano i libri della Biblioteca in via temporanea presso la Società Umanitaria circa 20 anni fa,
mentre Sandro Gerli rifletteva come meglio gestire il problema per identificare il sito definitivo dove
collocarla.
All’Umanitaria va detto un grazie e oggi ancor più a ragione, per le molte cose che realizza in più
dovute a una presidenza davvero rara e fortemente radicata nel tessuto cittadino.
Soci entrambi della Società del Giardino, Gerli, anima della Meneghina, e il sottoscritto, immaginarono di collocare il tutto nel Palazzo di via San Paolo 10, in un luogo accessibile e consono ai
preziosi libri, e così fu fatto. Da allora la Biblioteca è andata arricchendosi non solo di volumi, tomi
e riviste, di oggetti e di una struttura informatica invidiabile, ma altresì di una condivisa protezione
da parte di tutti i soci del Giardino, che quest’anno ha compiuto i suoi 230 anni di storia.
Il fatto che si tratti di Biblioteca privata aperta al pubblico, consente alla stessa di essere considerata facente parte di una filiera con uno scopo culturale di interesse generale, facilitando alleanze e
partecipazioni con Enti significativi che vedono poi, nelle sale della Società del Giardino, ospitate
le presenze di riferimento.
Particolarmente gradita ad esempio è la ormai istituzionale visita dei Direttori delle Biblioteche
più significative del bacino del Mediterraneo, ciò grazie all’amicizia e alla cordialità che ci lega al
preziosissimo dott. Aldo Pirola, già Direttore della Biblioteca Comunale Centrale Palazzo Sormani.
Un Circolo che non produca cultura non può avere grande e apprezzabile futuro. Bisogna evitare di
chiudersi in tradizioni senza proiezioni sulla realtà che ci circonda.
La convivenza fra Biblioteca, che è il simbolo dell’attività di 90 anni dell’antica Famiglia Meneghina e il Circolo Società del Giardino, è dunque un’occasione rara di sinergia e reciproca influenza
positiva; entrambi gli Enti sono proiettati verso un arricchimento costante e progressivo di valori già
insiti per altro nelle storiche valenze.
È quanto il presidente Edoardo Teodoro Brioschi sottolinea costantemente e il cui pensiero convince profondamente e dà energia per un’avventura che potrà essere ancor più coinvolgente.
Gaetano Galeone
Presidente della Società del Giardino
Viviamo in un’epoca di grandi trasformazioni! Le tecnologie annullano ormai lo spazio e il tempo;
la velocità delle comunicazioni, dei trasporti, pubblici e privati, ha ormai quasi cancellato la geografia! Le catene montuose, gli oceani, le vaste pianure o i deserti non vengono nemmeno percepiti
dai viaggiatori odierni che, comodamente seduti in un aereo, non hanno neanche gli strumenti per
rendersi conto di che cosa stanno sorvolando. Non è sempre stato così. Torna infatti alla mente un
romanzo d’avventure ritenuto alcuni decenni fa, per altro abbastanza discutibilmente, un testo per
ragazzi intitolato Per deserti e foreste, laddove questi ambienti naturali venivano percepiti – eccome! – dai viaggiatori in tutta la loro bellezza e pericolosità. Il carattere di un luogo, il suo fascino,
il suo stile diventano in taluni casi così avvertibili da giustificare l’espressione latina “genius loci”.
Neanche Milano, pur con il dinamismo che, da sempre, la caratterizza, si sottrae a questo rapporto
tra il luogo fisico della città e i suoi cittadini che, nei secoli, vi hanno manifestato il loro modo di
essere accumulandovi un particolare vissuto. Questo modo di essere a Milano, e di Milano, può venir definito “meneghino” e già l’uso di questo termine fa vibrare più di una corda nell’animo di chi
conosce Milano. Questo vissuto, per fortuna, non è andato disperso; c’è chi ne ha capito il valore,
l’importanza e la bellezza e si è prodigato, con impegno e passione, per farlo conoscere e tenerlo vivo
ed attuale – e questo da ben novant’anni: la Famiglia Meneghina! Il presente volume infatti segue
il lungo e appassionato percorso della Famiglia Meneghina che ha saputo raccogliere, filtrare ed
ottimizzare gli elementi espressi dallo spirito e dalla sensibilità squisitamente milanesi nei secoli.
La sua biblioteca, il suo fitto programma di iniziative, con le difficoltà di cui non può essere privo
un cammino così esteso nel tempo, stanno a testimoniare un’attenzione profonda ed un desiderio
sincero di arricchire il futuro con un’esperienza culturale maturata in un passato tanto ricco grazie,
in primis, alla Società del Giardino che, accogliendo questa “famiglia” sotto il suo tetto, ne sprona
l’attività a beneficio dell’anima più schiettamente culturale della nostra città.
Aldo Pirola
Delegato per le relazioni interbibliotecarie italiane ed estere
Comune di Milano - Assessorato alla Cultura
Sommario
Ona Società de gent che la se sent Meneghina .............................. 13
An Association of People who feel that they are Meneghini ........... 17
EDOARDO TEODORO BRIOSCHI
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino (1924-2014)
ALESSANDRO GERLI ........................................................................... 21
La Milano degli anni Venti
SALVATORE CARRUBBA ...................................................................... 37
I convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina
(1925-1987)
SILVIA MORGANA ............................................................................. 49
Per una storia dei nostri fondi librari e d’archivio
SILVIA DONGHI ................................................................................ 63
L’editoria della Famiglia Meneghina (1926-2003)
MARINA BONOMELLI ......................................................................... 77
Il periodico sociale della Famiglia Meneghina
ALESSANDRO GERLI, SILVIA DONGHI................................................... 85
La Meneghina e Milano: la pubblicità
EDOARDO TEODORO BRIOSCHI ........................................................... 91
La Famiglia Meneghina per la rinascita del teatro milanese
ALBERTO BENTOGLIO ........................................................................ 101
Il periodo aureo della poesia milanese in Meneghina
GIANFRANCO SCOTTI ......................................................................... 107
Luoghi e edifici della «città che cambia» nel primo decennio
dell’“Almanacco della Famiglia Meneghina”
ORNELLA SELVAFOLTA ....................................................................... 117
12
Sommario
«La più bella espressione del pensiero»:
la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
MARIA TERESA DONATI, NICOLETTA SFREDDA, THEA TIBILETTI.............. 129
Questa «piatta» piccola lingua, che è la nostra
PIER LUIGI AMIETTA ......................................................................... 141
La Biblioteca fonte documentaria per la Milano tecnica
RICCARDO PELLEGATTA ..................................................................... 149
Cesare Cantù e “l’età che fu sua”.
La Famiglia Meneghina e le celebrazioni
per il bicentenario della nascita
ANTONIO LAURIA ............................................................................. 153
La Famiglia Meneghina e il C.A.L. (Cenobi Avocatt Lombard)
GIORGIO PIETRASANTA ...................................................................... 155
La milanesità e i rapporti storici fra la Società del Giardino
e la Famiglia Meneghina
GIOVANNI ANTONIO OSNAGO GADDA ................................................... 157
Conversazione con Francesco Cetti Serbelloni
raccolta da ROBERTA CORDANI......................................................... 161
Conversazione con Gianni Ferri e Sandro Gerli
raccolta da ROBERTA CORDANI......................................................... 163
Quale futuro per l’Associazione? .................................................. 167
What is the Future of our Association? ......................................... 173
EDOARDO TEODORO BRIOSCHI
Immagini e documenti .................................................................. 181
Indice dei nomi ............................................................................. 197
Edoardo Teodoro Brioschi
Ona Società de gent che la se sent Meneghina
Si celebrano nel 2014 i 90 anni della Famiglia Meneghina e lo si fa con due manifestazioni di
rilievo:
• una mostra a Palazzo Sormani, sede della Biblioteca Comunale Centrale della nostra città, che
si sviluppa all’ingresso, sullo scalone monumentale e nell’aula antistante la Sala del Grechetto,
dove la mostra è stata appunto inaugurata il 15 gennaio di quest’anno.
Tale mostra, curata da Marina Bonomelli (membro del Comitato Scientifico della nostra Associazione), presenta una ricca esposizione di documenti, materiali, opere editoriali e opere d’arte;
• una pubblicazione (questa), che coinvolge una ventina di contributi sugli obiettivi, sulla storia e
sull’articolata attività della Famiglia Meneghina in molteplici settori (dall’arte all’editoria, dal
teatro allo sport).
Si tratta, vale la pena di sottolineare, non di semplici presentazioni di questo o quell’aspetto del
Sodalizio, ma spesso di veri e propri saggi che aprono ad approfondimenti e a dibattiti.
La pubblicazione è curata da Alessandro Gerli, vice presidente dell’Associazione, che vi ha messo
tutta la passione che gli è consueta.
Tale pubblicazione verrà ufficialmente presentata presso la Società del Giardino, uno dei più antichi club italiani (ha nello scorso ottobre festeggiato con grande successo i 230 anni di vita), il cui
sostegno dalla seconda metà degli anni Novanta ad oggi è stato di vitale importanza perché la nostra
Associazione potesse giungere a celebrare degnamente i suoi 90 anni.
Entrambe le manifestazioni ricordate vanno sotto l’etichetta «La Meneghina e Milano. 90 anni d’impegno per la cultura milanese».
14
Edoardo Teodoro Brioschi
Il titolo La Meneghina e Milano vuole da un lato sottolineare la particolare natura dell’Associazione
e, dall’altro, il profondo e costante legame fra questa e la sua città.
Si è usata l’espressione “La Meneghina” perché così è stata sinteticamente chiamata da sempre
l’Associazione stessa, laddove l’aggettivo “meneghina”, e non il più generico “milanese”, intende
in modo specifico richiamare il nesso di coloro che vi appartennero e vi appartengono con le virtù e
le tradizioni proprie della città.
A tutti è noto, d’altronde, il personaggio popolare di Meneghino, presentato in teatro nel Seicento da
Carlo Maria Maggi e che si identifica appunto tout court con Milano.
Quanto poi al legame cui facevo riferimento, questo si manifesta con la nascita stessa dell’Associazione che, nel primo articolo del suo Statuto, ricorda infatti come questa sia stata costituita «per fà
sentì la soa vôs in di question de la Cittaa» e, inoltre, «per promoeuv, secondà, ajutà quij iniziativ che
poden servì al ben e a l’onor de Milan».
Un’attenzione e una preoccupazione che sono continuate fino ad oggi grazie, in particolare, a una
convenzione tra la Biblioteca del nostro Sodalizio e la Biblioteca Comunale Centrale di Palazzo
Sormani, che prevede una collaborazione con quest’ultima in vista dell’allestimento di mostre come
pure dell’organizzazione di convegni e giornate di studio e che ci permette dunque di partecipare
all’ideazione di progetti culturali per Milano e per i suoi cittadini.
Un aspetto, questo, di non poca rilevanza, di una collaborazione che ci onora ormai da diversi anni
(ha infatti consentito l’effettuazione nella sede particolarmente prestigiosa di Palazzo Sormani della
Mostra di cui parlavo all’inizio) e per cui desidero esprimere il mio più vivo ringraziamento ad Aldo
Pirola, che è stato a lungo Direttore della Biblioteca Comunale Centrale, e che attualmente è Delegato dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano per le relazioni interbibliotecarie italiane
ed estere.
Una Biblioteca, la nostra (ci tengo a rilevare) che si presenta come la più specialistica su Milano
così da poter essere considerata la “memoria storica della città”: carattere questo che è stato pertanto richiamato nei titoli dei due cataloghi pubblicati nel corso degli anni Duemila e che ha altresì
condotto a introdurre la Biblioteca nell’intitolazione attuale stessa dell’Associazione.
Vengo ora al sottotitolo: «90 anni di impegno per la cultura milanese».
Il concetto che si è voluto sottolineare è quello di “cultura”, nella fattispecie milanese, in quanto
complesso di valori che permea gli atteggiamenti ed i comportamenti dei Milanesi.
Un concetto, quindi, che collega ciò che è intangibile (i valori) con ciò che è tangibile (i comportamenti), che contraddistinguono appunto i veri Milanês.
Ma quali sono questi valori?
Fra i tanti ricorderò l’impegno (richiamato nello stesso sottotitolo delle due manifestazioni), l’operosità, l’ospitalità, la generosità, l’ottimismo, l’ingegnosità, il pragmatismo: e mi fermo qui.
Su due di questi valori ritengo, da appartenente a un’antica famiglia milanese, di soffermarmi brevemente.
L’ottimismo, anzitutto, questa predisposizione a considerare la realtà nel suo lato migliore e ad
accettare il corso degli eventi anche per contribuire a migliorarli.
Il pragmatismo, poi, il non fermarsi cioè al solo riflettere (per quanto indispensabile), ma lo sperimentare e l’agire, il passare insomma dall’astrazione alla concretezza.
Ora, l’essere dei veri Milanês non dipende tanto dalla nascita quanto dal conoscere, dal condividere
e dal praticare i valori di questa città e della sua popolazione, che hanno fatto apprezzare Milano
ben al di là dei confini regionale e nazionale.
La nostra Associazione (precisa sempre il primo articolo dello Statuto) è nata «per tegnì insèmma tutt’i
veri Milanês», per proporre e valorizzare in breve «ona Società de gent che la se sent Meneghina».
E questo fa intendere il ruolo che hanno avuto e che hanno per Milano e, quindi, per il nostro
Ona Società de gent che la se sent Meneghina
15
“Associazione Culturale Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Copertine, illustrazioni e testatine tratte da alcuni numeri
degli anni Trenta degli “Almanacchi” della Famiglia Meneghina.
16
Edoardo Teodoro Brioschi
Artisti e poeti
della Meneghina
in un divertente
fotomontaggio del
1938. Il verso che
si legge in basso a
sinistra, «Ara bell’ara
discesa Cornara» è
una citazione da Carlo
Porta (il poeta lo usò
per tradurre il dibattuto
verso «Pape Satàn,
pape Satàn aleppe»
dell’Inferno dantesco).
“Associazio
one Culturale
Biblioteeca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Sodalizio tutti coloro che, pur non essendo di nascita milanesi, hanno accolto e messo in pratica in
modo esemplare quei valori che sopra richiamavo.
Ora, la funzione che un’Associazione come la nostra ha svolto e deve continuare a svolgere è quella
non solo di catalogare tali valori e di mantenerne il ricordo (di farne, insomma, tanti gioielli per
delle belle vetrine), ma di promuoverne un’effettiva conoscenza e di saperli riproporre e far apprezzare in un contesto (economico, culturale, sociale in generale) in via di rapida trasformazione.
Il ruolo e, al tempo stesso, la responsabilità di un’Associazione come la nostra sta o, meglio, deve
stare nel sapere prospettare e, se del caso, ricontestualizzare intelligentemente tali valori così da
trasmetterli alle giovani generazioni e alle generazioni che verranno.
L’indebolimento, la banalizzazione o, al limite, la perdita di fatto di una cultura sono molto più pericolosi e dannosi della perdita di un’opera della stessa cultura (monumento, istituzione o quant’altro)
così come, d’altra parte, non è meno pericolosa o dannosa la cristallizzazione di una cultura.
Si tratta, insomma, di mantenere vivo e operante questo patrimonio di valori che ci è stato consegnato e che deve continuare a fruttificare.
Ecco perché le celebrazioni dei 90 anni della Meneghina non devono essere fine a se stesse, ma
devono, di contro, riproporre tale patrimonio, suscitare interessi, promuovere nuove adesioni e,
perché no, alimentare dibattiti sulla stessa cultura milanese e sulle sue prospettive. Sarà allora un
segno che questa cultura non solo è ancora viva ed operante, ma che lo potrà essere a lungo.
Edoardo Teodoro Brioschi
Presidente dell’Associazione
Edoardo Teodoro Brioschi
An Association of People who feel that they are Meneghini
In 2014, the 90th anniversary of the Famiglia Meneghina will be celebrated with two important
events:
• An Exhibition at the Palazzo Sormani, location of the Central Municipal Library of our city, which
will be held at the entrance, on the staircase, and in the Hall across from the Hall of Grechetto,
where the Exhibition was inaugurated in January of this year. This Exhibition, curated by Marina
Bonomelli, a member of the Scientific Committee of our Association, presents a rich display of
documents, published works, materials, and works of art;
• This publication, which includes twenty contributions on the objectives, history, and widereaching activities of the Famiglia Meneghina in various sectors (from art to publishing, from
theater to sports).
It is important to point out that these are not merely presentations of particular aspects of the
Association, but are often veritable essays that open the topics up to further insights and debates.
The publication was edited by Alessandro Gerli, Vice-President of the Association, and he has put
all of his usual passion into the work. This publication will be officially presented in the Società del
Giardino, one of the oldest Italian clubs (last October, it celebrated its 230th anniversary with great
success), the support of which, from the second half of the nineties to the present day, was vital in
allowing our Association to reach its 90th birthday.
Both of these events are under the label “The Meneghina and Milan. 90 years of commitment to the
culture of Milan”.
18
Edoardo Teodoro Brioschi
The title, The Meneghina and Milan, aims to emphasize on the one hand the special nature of the
Association and, on the other hand, the deep and abiding connection between it and its city.
We used the expression “The Meneghina” because that is what the Association has always been
called, whereas the adjective “Meneghina”, instead of the more generic “Milanese”, is intended to
allude specifically to the nexus of those who have belonged and who now belong to the virtues and
traditions of the city.
Everyone knows, moreover, of the popular character of Meneghino, presented in the theater in the
seventeenth century by Carlo Maria Maggi and identified with Milan.
As for the link between the Meneghina and Milan to which I referred before, it is clear in the very
existence of the Association. In the first article of the Association’s statutes, it states that it was
formed “per fà sentì la soa vôs in di question de la Cittaa” and again, “per promoeuv, secondà, ajutà
quij iniziativ che poden servì al ben e a l’onor de Milan”.1
This particular attention to the city has continued until today, especially thanks to an agreement
between our Association’s Library and the Central Municipal Library that calls for collaboration, both
in view of the preparation of exhibitions as well as of the organization of conferences and study days,
and that allows us, therefore, to participate in the shaping of cultural projects for Milan and its citizens.
This last is an aspect of the partnership that has honored us for several years now (it has, among
other things, allowed for the aforementioned exhibition to take place in the prestigious Palazzo
Sormani). It is of no small importance, and so I wish to express my most sincere thanks to Aldo
Pirola, who was the Director of the Central Municipal Library for many years.
I would like to point out that this library of ours is the most specialized library on Milan, so much so
that it can be considered the “historical memory of the city”. This characteristic has been invoked in
the titles of two catalogs published during the twenty-first century and has also led to the introduction
of the current library into the title of the Association itself. I now come to the subtitle: “90 years of
commitment to Milanese culture”.
The concept that we wish to emphasize is that of “culture” (in this case, Milanese), insomuch as it
is a set of values that permeates the attitudes and behaviors of the Milanese.
This is a concept, therefore, that connects the intangible (values) with the tangible (behaviors) that
characterize the “veri Milanês”.2
But what are these values?
Among the many values, I would like to mention commitment, which is evoked in the subheading of
the two events, industriousness, hospitality, generosity, optimism, ingenuity, pragmatism, etcetera.
As a member of an ancient Milanese family, I believe it right to dwell briefly on two of these values.
First of all, optimism, the predisposition to consider reality in its best light and to accept the course
of events, also in order to contribute to their improvement.
Then, pragmatism, which is not stopping simply to reflect, however necessary, but also to experiment
and act, to pass from abstraction to concreteness.
Now, being a “veri Milanês” does not depend as much on birth as on sharing and practicing the
values of this city and its people, the values which lead to the appreciation of Milan to spread far
beyond regional and national boundaries.
Our Association, as written in the first article of the Statute, was born “per tegnì insèmma tutt’i
1
Translation: “to make their voices heard about the city’s problems” and “to promote, support and assist the initiatives
that serve the good and honor of Milan”.
2 Translation: “real Milanese”.
An Association of People who feel that they are Meneghini
“Associazione Culturale Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
The cover art, illustrations and titles were taken from various
issues of the Famiglia Meneghina “Almanacs” from the 1930s.
19
20
Edoardo Teodoro Brioschi
Artists and poets of
the Meneghina in an
entertaining montage
from 1938. The verse
in the lower left reads,
“Ara bell’ara discesa
Cornara”, a quote from
Carlo Porta in which
the poet translated
the line Pape Satàn,
pape Satàn aleppe from
Dante’s Inferno.
“Associazio
one Culturale
Biblioteeca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
veri Milanês”,3 that is, to propose and develop “Ona Società de gent che la se sent Meneghina”.4
This suggests the role that was and is played by those who, although not born in Milan, because of our
Association have accepted and put into practice the values I mentioned above in an exemplary way.
Today, the function that an Association like ours has played and must continue to play is that of not
only cataloging these values and keeping them alive, making them into jewels for beautiful display
cases, but also of promoting a real knowledge about them and of proposing them and encouraging
their appreciation in an environment (economic, cultural, social in general) that is in the process of
rapid transformation.
The role and, at the same time, the responsibility of an Association like ours is, or rather should
be, in knowing how to envisage and, if necessary, intelligently re-contextualize these values so as to
transmit them to the younger generation and to the generations to come.
The weakening, the trivialization or, if pushed to the limit, the loss of a culture is much more
dangerous and harmful than the loss of a work of that same culture (monument, institution, etc.), just
as, on the other hand, the crystallization of a culture is no less dangerous or damaging.
Thus, it is a matter of keeping alive and active this heritage of values that was delivered to us and
that must continue to bear fruit.
That is why the celebration of 90 years of the Meneghina should not be an end in itself, but should,
in proposing this heritage, arouse interest, promote new memberships, and even feed debates on the
same Milanese culture and its prospects. It will then be a sign that this culture is not only still alive
and working, but it could be for a long time.
Edoardo Teodoro Brioschi
President
3
4
Translation: “to reunite all the real Milanese”.
See the translation of the title.
Alessandro Gerli
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca
Famiglia Meneghina-Società del Giardino (1924-2014)
Ventinove furono i fondatori della Famiglia Meneghina, i cui nomi qui mi piace ricordare come
quelli di gentiluomini ambrosiani d’antico stampo, animati da grande spirito d’intraprendenza: avv.
T. Barbetta, comm. Luigi Brioschi, L.M. Capelli, rag. Silvio Crepaldi, conte Giustiniani, ing. Luigi
De Andreis, Paolo Scanziani, Gustavo Quinterio, Figini Oddone, Ettore Moreo, Luigi Pirovano,
dott. Oscar Campagnani, Enrico Scanziani, rag. Gino Bianchi, rag. Giuseppe Carfagna, Pippo Lecchi, Noseda Natale, avv. Giuseppe Calabi, Raineri Beretta, Luigi Fumagalli, rag. Giovanni Molina,
Roberto Sartori, Giuseppe Noseda, Mario Carrera, Ercole Gola, Zani Lobbia, Moneta Ernesto, rag.
Giuseppe Garanzini, Felice Sommariva.
I nomi sono stati trascritti così come furono riportati da Silvio Crepaldi nella “Rassegna” del 1949
pubblicata in occasione del 25° anniversario della fondazione della Famiglia Meneghina.
Ripercorrendo le pagine della piccola storia redatta da Luigi Medici in occasione del primo lustro
e poi, di quella più corposa, dell’illustre storico Alessandro Visconti, in occasione dei 25 anni, si
rilevano tante iniziative che testimoniano le continuità, fin dalle origini, delle azioni della Famiglia
Meneghina per la città e per i milanesi.
Si pensi solo al fatto che già nel 1925, a un anno dalla fondazione, fu organizzato il 1° Congresso dei
dialetti italiani, annunciato con un vero e proprio dipinto, che fungeva da manifesto, di Giovanni
Barrella.
Statutt della
Famiglia
Meneghina:
pp. 3 e 4.
“Associazio
on
ne Culturale
Biblioteca Fa
amiglia
Meneghina-Societtà
à del Giardino”
22
Alessandro Gerli
Espungo alcuni brani significativi dalla
Piccola Storia della Famiglia Meneghina
di Alessandro Visconti:
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società
del Giardino”
Immagine di copertina del catalogo della Mostra d’arte
degli artisti milanesi del 1926.
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società
del Giardino”
Naviglio e barchett in via San Damiano, prima della
copertura.
Il fatto è che il Brioschi, il De Capitani,
il Barbetta, il Cernezzi, il Crepaldi e altri
ancora, pochi però, vollero un’associazione che, riunendo sotto una sola bandiera
i milanesi, li aiutasse a tener vive le gloriose tradizioni della città con un programma non solo godereccio e conviviale (cosa
che depone a favore della placida serenità
dell’animo milanese), ma culturale e artistico non indegno di quell’aureo periodo
della storia letteraria civile e politica milanese in cui il Parini e il Porta e il Manzoni
amano chiamarsi meneghini […]. Animavano le iniziative culturali, il prof. L.M.
Capelli, l’avv Cernezzi, l’avv. Giulio Decio
e il dott. Mario Badini che fu il Resgiò nel
periodo dello sviluppo dell’Associazione
dal 1926 al 1931 e il prof. arch. Ambrogio
Annoni […]. La Meneghina aveva per intento di diffondere tra le persone colte, ma
che non fanno professione di studi storici o
letterari, la conoscenza della storia, della
letteratura, dell’arte della nostra città, nonché delle più benefiche e grandiose manifestazioni della intensa vita economica
e industriale e commerciale della Milano
contemporanea […]. Nel 1926 si prese una
bella decisione: si aggregarono alla Famiglia come Soci Onorari tutti i milanesi decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare
e insieme con questi Eroi – la più parte
caduti sul campo – i due ultimi superstiti
della leggendaria impresa dei Mille: l’avv.
Rinaldi e il cav. Cova.
Ricordo due importanti mostre: nel 1926,
quella peculiare delle Caricature e delle Macchiette milanesi della quale tuttora abbiamo una tangibile testimonianza
nei ritratti di Daniele Fontana, posseduti
dall’Associazione e, nel 1929, la Mostra
del morituro Naviglio, realizzata con quello spirito ironico e scanzonato che permeava i meneghini d’allora, retaggio della Scapigliatura che fu fenomeno eminentemente
milanese.
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
Nel 1928 viene nominato podestà un milanese, socio della Meneghina, il marchese Giuseppe De Capitani D’Arzago.
Il 1936 vede i soci Giannino Castiglioni e Giovanni Greppi, incaricati da Mussolini di realizzare il cimitero di Redipuglia. Nello
stesso anno, la casa editrice Ceschina pubblica la Guida turistica
di Milano e dintorni di Severino Pagani.
Nel 1938 vengono esposti in Meneghina i dipinti di Edoardo Ferravilla.
Nella ripresa post bellica hanno avuto un grande ruolo nella ricostruzione di Milano due eminenti architetti, soci della Meneghina, Castiglioni e Portaluppi.
La citazione di alcuni Consiglieri degli anni Trenta ci fa comprendere come alla Meneghina avessero aderito persone di grande caratura della società milanese o per tradizione familiare o
per incarichi civili o perché espressione di un mondo artistico
e professionale dell’epoca: nob. avv. Luigi Cernezzi, prof. cav.
Giannino Grossi, nobile Luigi Perego di Cremnago, comm. ing.
Carlo Radice Fossati, prof. comm. Giannino Castiglioni, ing. cav.
Giuseppe Codara e il pittore Riccardo Galli.
El sur Panera in un acquarello di
Edoardo Ferravilla.
I tre busecconi
Son Peppin Tibiletti
Son Ambroeus Ghiringhelli
Son Carloeu Colombani
Mei de numm ne troeuvi pù
Num semm chi col coeur in man
Per fa grand el nost Milan
Questa la sigla ritornello di una famosa e seguitissima trasmissione radiofonica del 1945 titolata
I venti minuti della Famiglia Meneghina. Per rendersi conto dell’importanza bisogna ricordare che
allora non esisteva la televisione e le reti radiofoniche erano due.
Creatori della trasmissione e redattori dei testi Antonio Clerici, Silvio Farioli e Dino Villa. I tre
principali interpreti, I tre busecconi: Carlo Cazzaniga, Achille Pria e Dino Villa, che per vent’anni
furono l’asse portante dello spettacolo milanese in Meneghina.
Gli anni Cinquanta possono essere ricordati citando i seguenti eventi:
1950: la realizzazione di una targa in memoria di Gaetano Sbodio, applicata sulla casa ove si
spense il commediografo, in via Cerva 20;
1951: la Famiglia Meneghina si affianca al Banco Ambrosiano e alla Cassa di Risparmio per
promuovere la realizzazione della porta del Duomo dedicata a Sant’Ambrogio, opera del
socio Giannino Castiglioni;
1953: alla seconda mostra degli artisti lombardi vengono premiati, tra i pittori, Giulio Vito Musitelli e Luigi Mantovani e, tra gli scultori, Nando Conti ed Eros Pellini, tutti soci della
Meneghina;
1954: al Piccolo Teatro ha luogo il 1° Festival della canzone milanese che vede vincitrice Mia Milan
di Attilio Carosso e del maestro Giorgio Faber;
1958: la Meneghina compirà un gesto di straordinaria rilevanza con la donazione del coperchio d’argento del fonte battesimale di Sant’Ambrogio, opera dello scultore Nando Conti
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Alessandro Gerli
e dell’orafo Luigi Mazzetti. Anello indissolubile e quanto mai significativo del legame
spirituale fra la Meneghina e la città. All’interno dello sportello si legge: Mediolanensis
Societas Meneghina summa cum reverentia in patronum civica amplissimum aere conlaticio animo pio operculum exibendum curavit A.D. MDCCCCLVIII.
Nel 1963 il Comune di Milano conferisce alla Meneghina la Medaglia d’oro di benemerenza per
l’opera svolta con fervido impegno nel campo della difesa del dialetto e delle tradizioni ambrosiane.
Alla fine degli anni Settanta la Meneghina partecipa attivamente, con molti soci qualificati, alle
trasmissioni di Radio Montestella, il sabato mattina, sotto la guida di Umberto Simontacchi: trasmissione di grande successo che si può raccordare idealmente a quella di circa trent’anni prima
de I tre busecconi.
Voglio ricordare con particolare affetto l’avv. Ambrogio Maria Antonini per lo straordinario contributo che ha dato alla letteratura e, in particolare, alla poesia milanese.
Uomo robusto e gioviale, aveva sempre sul volto un sorriso di contagioso buonumore che esprimeva
la sua serenità interiore e il piacere di vivere con gioia la vita.
Fu molto presente in Meneghina negli anni Ottanta, durante i quali diede alle stampe, nel 1983, il
Vocabolario italiano-milanese, edito da Libreria Meravigli. Nel 1981 è vincitore del Premio Carlo
Porta; presidente dell’Accademia del Dialetto Milanese; membro attivo del C.A.L. (Cenobi di Avocatt Lombard). Fra il 1983 e il 1984, dopo un lavoro strenuo durato quindici anni, Antonini porta a
compimento la traduzione in milanese dell’intera Divina Commedia di Dante Alighieri, con grande
aderenza allo spirito del sommo poeta. Parecchi anni dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1987, Pier
Luigi Amietta e Pier Gildo Bianchi, dopo un lungo lavoro di revisione, pubblicano l’opera nel 2004
per i tipi di Viennepierre.
Anche Pier Gildo Bianchi è stato un poeta milanese molto apprezzato e pieno di humor che seppe
ben esprimere in Tedeum ambrosian, poesia vincitrice del Premio Sant’Ambroeus nel lontano 1973.
Nel corso dei tre decenni dal Sessanta all’Ottanta il Sodalizio catalizza attorno a sé tanti milanesi di
nascita e poi, sempre di più, di adozione, che nella Meneghina trovano un club atipico ove si respira
aria di cordialità, di simpatia, di famigliarità.
In Meneghina i Soci, che andavano viepiù aumentando, arrivando a superare il numero di mille già
negli anni Trenta, trovavano tutti gli svaghi tipici dei club, uniti alla schietta convivialità della tavola ma, soprattutto, una fucina di iniziative editoriali e culturali veramente unica in Milano. I vari saggi che arricchiscono
questo volume provvedono a illustrare gli aspetti più peculiari
di questa instancabile intraprendenza.
La continuità nell’attuazione dei proponimenti statutari è sempre stata garantita dai molti soci che, in ogni epoca, si sono
avvicendati per portare avanti il testimone.
Ci sono state tuttavia alcune costanti come la pubblicazione di
libri, di opuscoli, degli “Almanacchi/Strenne” e delle “Rassegne”; la compagnia teatrale amatoriale, la partecipazione
a trasmissioni radiofoniche meneghine, il mantenimento costante di rapporti con le pubbliche amministrazioni e con la
Curia milanese; la promozione di iniziative volte a valorizzare
il patrimonio architettonico della città; il sostegno a pittori e
a poeti, la maggior parte dei quali, per cinquant’anni, hanno
trovato dimora e palcoscenico in Meneghina; l’organizzazione Coperchio del fonte battesimale
e la partecipazione ai festival della canzone milanese.
della basilica di Sant’Ambrogio.
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
“Associa
azione Culturale
Bibliotteca Famigglia
Meneghina-Società del Giardiino”
Copertina del programma del Festival.
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Alessandro Gerli
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Il Tedeum Ambrosian di Pier Gildo Bianchi.
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
La vita quotidiana del club era caratterizzata da tutte quelle manifestazioni che generano una ragione
di incontro quali conferenze, concerti, recite, spettacoli teatrali e
musicali, eventi conviviali, feste
danzanti, giochi di carte e di biliardo, iniziative benefiche, incontri
con personalità delle istituzioni e
della cultura, sempre con una caratterizzazione di familiarità, di serena giovialità e di sincera allegria,
non mancando mai una particolare
attenzione alla poesia e al teatro
milanese.
Il gioco del bridge, già presente e
molto attivo fin dagli anni Cinquanta, viene continuamente allargato e
potenziato con una intensa organizzazione di tornei e con la presenza
di illustri maestri e forti giocatori,
tanto che la Meneghina, sino alla
sua unione con il Circolo Industriali Bridge, era considerata, da molti
anni, uno dei ritrovi milanesi più
importanti per la pratica di questo
gioco.
Lo scorso anno (2013) abbiamo ricordato, con una bella manifestazione alla Società del Giardino, il
poeta Giannino Sessa che, proprio
agli inizi, illustrò questo nuovo Sodalizio con la poesia Cosse l’è la
«Famiglia Meneghina»? che, dopo
tanti anni, vale ancora la pena di
leggere.
Cosse l’è la Famiglia Meneghina, poesia
di Giannino Sessa.
I Resgiò
I primi due anni dalla fondazione sono retti da uno dei fondatori: l’ing. Luigi De Andreis, che partecipò volontario alla prima guerra mondiale, addirittura già sessantenne.
Nel 1926 gli succede il dott. Mario Badini che, in soli cinque anni dà uno straordinario impulso al
Sodalizio.
Nel 1931 è nominato Resgiò il senator conte Cav. di Gr. Cr. Pier Gaetano Venino, gentiluomo milanese, figlio del liberalismo di stampo fine Ottocento, Ufficiale del Nizza cavalleria.
Con lui la Meneghina prende una linea signorile che coltiva parimenti nella mondanità e nel suscitare iniziative nel campo culturale.
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Alessandro Gerli
Nel 1932 nasce l’Almanacco della Famiglia Meneghina. Si organizza la V Accademia popolare di
poesia dialettale milanese, svoltasi nonostante una certa ostilità delle autorità dell’epoca.
Nel 1933 la Famiglia Meneghina trasferisce la propria sede a palazzo Turati, in via Meravigli 7.
Nel 1934 viene affidata ad Alex Visconti la compilazione di una Storia di Milano con prefazione di
Gioacchino Volpe. Nel 1937, alla sua pubblicazione, l’“Osservatore Romano” ha, per la Famiglia
Meneghina, queste parole:
Presentando ai lettori questo volume non vogliamo omettere di porre innanzitutto in meritato rilievo le
benemerenze acquistate dal Sodalizio che si è fatto promotore della pubblicazione e che ha egualmente
al suo attivo, in pochi anni di vita, tutta una collezione di volumi destinati a far conoscere al pubblico la
storia importantissima della città.
Nel 1946 il senatore Venino che nel frattempo era diventato presidente del Circolo dell’Unione, fedele a quello spirito liberale e signorile che contraddistinse la sua condotta morale e pubblica e il suo
stile di vita, rassegna le dimissioni. Per alcuni mesi
il Sodalizio sarà retto dai due vice Resgiò Filippo
Ravizza e Severino Pagani, che sarà poi nominato
Resgiò, rimanendolo dal 1946 al 1974, un lunghissimo periodo durante il quale la sua personalità dà
una forte impronta alla Famiglia Meneghina. Mi
piace qui ricordare il giudizio che ne diede il suo
vice Resgiò, l’ing. Cesare Chiodi, presidente del
Touring Club, presidente della Società del Giardino, vice presidente della Cassa di Risparmio:
Nelle sedute consiliari lui lascia che si scatenino, che
si estenuino nella discussione. Alla fine, quando gli altri sono sfiancati, con la sua voce pacata, che può sembrare remissiva, conclude in due parole il suo saggio
pensiero che si realizza senza che quasi gli altri se ne
accorgano.
I tiratori della Famiglia Meneghina in un curioso
e avveniristico fotomontaggio del 1938.
Nel 1974 raccoglie la difficile eredità l’avv. Adrio
Casati, altra personalità di grande rilievo nel mondo milanese, che in quegli anni presiedeva la Fiera
di Milano. Durante la sua presidenza prende avvio,
patrocinato dal vice Resgiò dott. Ivanoe Fraizzoli, il
premio Il Milanese dell’anno che risveglierà molta
attenzione verso la Famiglia Meneghina da parte sia
della stampa sia delle autorità e della cittadinanza.
Nel 1982 viene nominato Resgiò il Gr. uff. avv.
Antonio Sesone, che avrà come vice Resgiò il dott.
Alessandro Gerli. Durante la presidenza di Sesone
vengono festeggiati i sessant’anni della Famiglia
Meneghina con la pubblicazione dell’Album di famiglia che si apre con una prefazione dell’allora
sindaco Carlo Tognoli.
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
Nel triennio successivo, a partire dal 1985, sarà Resgiò un altro gentiluomo milanese, il dott. Gastone Pozzolini Gobbi che darà avvio alla straordinaria iniziativa culturale dei “Salottini” della
Famiglia Meneghina, durante i quali, ogni ultimo mercoledì del mese, venivano invitati a parlare
illustri figure del giornalismo, della scienza, della letteratura, delle arti.
Nel 1988, in un momento che preannunciava un futuro molto difficile per la Famiglia Meneghina,
viene nominato Resgiò Alessandro Gerli, che tiene la presidenza sino al 1994. Questo periodo fu
molto travagliato in quanto si dovette abbandonare, nel 1989, la sede storica di via Meravigli per
trasferire lari e penati in via Mozart 9, nell’elegante palazzina realizzata dal Portaluppi. Nel 1994,
quando poi la Famiglia Meneghina unì le proprie sorti a quelle del Circolo Industriali Bridge, ci fu
il trasferimento in Palazzo Borromeo d’Adda in via Manzoni 45.
Personaggi illustri della Milano della propria epoca affiancarono i Resgiò, nelle vesti di vice Resgiò:
Giulio Decio negli anni Venti; l’avv. Tiziano Barbetta, Ambrogio Annoni e il prof. Carlo Baslini negli anni Trenta; il prof. Filippo Ravizza, l’ing. Cesare Chiodi, l’arch. Piero Portaluppi, il prof. Nino
Della Mano nel dopoguerra sino agli anni Sessanta; poi ancora l’avv. Vismara, promotore di grandi
iniziative sociali, il dott. Ivanoe Fraizzoli, il dott. Giuseppe Bolchini, la cav. del lav. Angiola Maria
Migliavacca, presidente della Campari e il cav. del lav. ing. ammiraglio Ottorino Beltrami.
Il teatro
Il teatro ha accompagnato tutta la storia del Sodalizio. Il teatro milanese è stato inteso e coltivato
nella sua duplice veste di espressione letteraria in dialetto e di rappresentazione scenica di un mondo prevalentemente popolare che forniva l’estro per caratterizzazioni di personaggi che aderivano
alla sensibilità e allo spirito del tempo al punto che taluni, grazie all’interpretazione di grandi attori,
sono diventati universali. Vedi El Tecoppa. Ma la Famiglia Meneghina ha voluto essere partecipe
delle vicende teatrali, diventandone interprete, attraverso i suoi soci: attori di compagnie amatoriali
che si sono succeduti nei decenni dilettando i soci con le loro rappresentazioni che sono state portate più volte anche nei teatri cittadini.
Il milanese dell’anno. La mia vita per Milano
Nel 1979, per desiderio e iniziativa del vice Resgiò Ivanoe Fraizzoli viene istituito il premio Il
Milanese dell’anno da assegnare a quel cittadino che nell’anno si fosse distinto per una azione particolarmente significativa per il bene e il lustro di Milano. Questo premio ebbe un grande successo
sia perché fu conferito a persone che lo meritavano e che erano fortemente sentite dalla Città, sia
perché raccolse il favore della stampa. L’elenco nominativo dei premiati ne è sufficiente conferma:
1979 Don Gino Rigoldi
1980 Carlo Ferrari da Passano
1981 Carla Fracci
1982 Piero Schlesinger
1983 Franca Chiappa
1984 Tino Carraro
1985 Giuseppe Orlando
1986 Sandro Molinari
1987 Riccardo Muti
1988 Silvio Berlusconi
1989 Gianfranco Ferré
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Alessandro Gerli
1990 Giorgio Falck
1991 Indro Montanelli
1992 Cardinale Carlo Maria Martini
1993 Fratel Ettore
Nel 2009, dopo quindici anni, la Associazione Culturale Famiglia Meneghina indice il premio La
mia vita per Milano con l’intento di segnalare quelle persone che avessero meritoriamente speso la
propria vita nelle più diverse attività a Milano e per Milano.
Piacque raccordare idealmente questa nuova iniziativa a quella del Milanese dell’anno, a testimonianza anche di una continuità di azione e di presenza nella città che non si è interrotta passando
dal Sodalizio all’Associazione.
Anche in questo caso vogliamo ricordare i nomi dei premiati dal 2009 al 2013:
2009
Giorgio Caprotti: medico, giornalista, scrittore
Liliana Feldmann: attrice, cantante
Ada Lauzi: scrittrice, poetessa dialettale
Gianfranco Scotti: attore, cultore di storia lombarda
2010
Alessandro Bajini: commediografo, studioso di teatro
Tullio Barbato: scrittore, giornalista, direttore di Radio Meneghina
Aurelio Barzaghi: cantautore in lingua milanese
Roberto Marelli: attore, scrittore, pubblicista
2011
Giorgio Cosmacini: medico, scrittore, storico della medicina
Wilma De Angelis: cantante, attrice
Giovanna Ferrante: scrittrice, giornalista
Mario Scognamiglio: giornalista, bibliologo
2012
Mario Boselli: Cavaliere del Lavoro, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana
Franco Buzzi: Prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, presidente dell’Accademia Ambrosiana
Gianni Ferri: autore, attore, regista
Franco Manzoni: poeta, giornalista
2013
Francesco Cetti Serbelloni: ingegnere, urbanista, già presidente del Touring Club
Giovanna Mazzocchi: Cavaliere del Lavoro, presidente di Editoriale Domus
Loredana Pecorini: bibliofila, musicofila, imprenditrice
Angelo Stella: presidente del Centro Nazionale Studi Manzoniani, Accademico della Crusca e dell’Arcadia
Entrambi i premi si fondano sullo stesso sostrato: la valorizzazione della milanesità intesa come modus operandi, come costume di vita e quindi come patrimonio comune di tutti i cittadini che vivono e
operano in Milano, arricchendola con il proprio contributo di lavoro, di intelligenza e di generosità.
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
Gli sport
La sezione scherma viene fondata nel 1935 da Arnaldo Bianchi e da Emilio Astesani; primissimi
soci e, potremmo dire, cofondatori, Antonio Gerli, Giuseppe Mascherpa e Umberto Castiglioni. Mi
piace riportare il trafiletto storico della fondazione apparso sul numero del maggio 1935 della nostra
Rassegna:
Si è costituta la Sezione Scherma per Soci e Socie, che terrà le sue riunioni in sede, sotto la direzione
dell’egregio prof. Ennio Trenta. Il corso, quest’anno avrà la durata di due mesi (maggio-giugno) nelle sere di
lunedì e venerdì, dalle 21 alle 24: la quota mensile è di L. 25.
Le lezioni erano impartite dal Maestro d’armi cap. Trenta, al quale succederà, nel 1948, il Maestro
Silvio Verratti, coadiuvato dal fratello Arnaldo, e, nel 1955, Dario Mangiarotti che fu affiancato pro
tempore, negli anni Sessanta, dal Maestro Cannizzo, negli anni Settanta dal Maestro Diego Ricci
coadiuvato dall’istruttore Paolo Corti.
La Sala d’armi della Meneghina ebbe sempre un taglio eminentemente amatoriale, sia per la piccola
dimensione sia per il limitato orario degli allenamenti. Questo non escluse un’intensa partecipazione alle attività agonistiche particolarmente negli anni Sessanta e Settanta.
La Meneghina si distinse per capacità organizzativa di manifestazioni schermistiche cittadine, serate
originali scherma-judo e scherma-karate, con la presenza di grandi campioni di entrambi gli sport.
A metà degli anni Settanta viene istituita una sezione giovanile che sarà curata dall’allenatore, poi
Maestro, Paolo Corti, allievo di Dario Mangiarotti. Parecchi di questi giovanissimi iniziarono molto
presto a mietere successi classificandosi nei primi posti in gare sia regionali sia nazionali a metà
degli anni Ottanta.
La Sala d’armi di via Meravigli era troppo angusta e non adatta a degli allenamenti mirati ad una
attività agonistica, sia pure giovanile, per cui ci si trasferì dapprima nella Sala del Centro Coni in
via Cerva, poi in quella prestigiosa e onusta di gloria della Cariplo in via Mercato.
Figuranti al Palio
schermistico di
Sant’Ambrogio al
Castello Sforzesco.
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Alessandro Gerli
Le giovani allieve della scuola
di danza della Famiglia
Meneghina ritratte dal pittore
Pietro Cendali negli anni
Sessanta.
A metà degli anni Ottanta le Sale d’armi Cariplo e Meneghina, per iniziativa soprattutto di Bergamini, Galli, Buongiardino per la Cariplo, e di Carelli e Gerli per la Meneghina, si fusero in una sola
Sala d’armi. Questa unione, grazie anche all’attività di validissimi maestri quali Corti e Stefanelli,
diede dei frutti straordinari. La Cariplo-Meneghina dominò, per parecchi anni, la scena nazionale
nel campo giovanile sia nel fioretto sia nella sciabola con piazzamenti di rilievo anche nel gran premio assoluti e in Coppe del mondo.
Un corollario importante dell’attività schermistica fu l’organizzazione del Palio schermistico di
Sant’Ambrogio.
Il Torneo vuole riunire annualmente in cavalleresca contesa gli schermitori delle città che formarono la
prima Lega Lombarda per rinnovare i vincoli di amicizia e di tradizione scaturiti dalla gloriosa e vittoriosa Battaglia di Legnano del 29 maggio 1176. In effetti l’idea nasce nella mente dell’avv. Peppino Necchi
con l’intendimento di inventare la rievocazione di una vicenda storica per far rivivere quello spirito di
cavalleresca tenzone sentito dai cavalieri che si cimentavano nelle giostre d’armi in epoca medioevale,
affidandone l’ideale continuità agli schermitori odierni. Il Torneo viene disputato fra squadre di tre schermitori (un fiorettista, uno sciabolatore, uno spadista) che, ridottesi a sei, difendono i colori delle sei porte medioevali di Milano (Porta Ticinese, Porta Romana, Porta Orientale, Porta Vercellina, Porta Nuova,
Porta Comacina) per contendersi il palio, simbolo di primato cittadino. Non possiamo dimenticare quello del 1962 che ebbe vastissima eco e risonanza cittadine perché fu organizzato con la collaborazione
del Comune di Milano e dell’Ente Manifestazioni Milanesi che lo sponsorizzarono, consentendo la realizzazione della prima e unica rievocazione storica in costume di ampio respiro in Milano in quegli anni.
Parteciparono circa 200 figuranti con 70 vessilli e stendardi. I costumi furono offerti dal Teatro alla Scala.
Le ricerche storiche e le ricostruzioni furono di Peppino Necchi; i bozzetti per tuniche e stendardi del pittore A. Soncini.
Questa gara cittadina, estesa poi alle Sale d’armi di tutta la Lombardia, ebbe un enorme successo
perché non era solo una gara ma una vera e propria festa d’armi, alla quale gli schermitori partecipavano anzitutto per la gioia giovanile di esserci. Dopo la finale, che aveva luogo nel Salone della
Meneghina in via Meravigli, si concludeva la giornata con una serata danzante.
La prima edizione fu nel 1958, l’ultima nel 1989.
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
Altri sport quali equitazione, calcio, ciclismo e tennis iniziarono negli anni Trenta/Quaranta ma, a
dire il vero, ebbero vita effimera.
Nel 1957 fu aperta una scuola di danza classica, affidata alle cure della maestra Lucia Cecchini
Galloni che, fino al 1989, istruì ed educò moltissime signorine, figlie di soci, sia per la danza classica sia per le rappresentazioni di riviste e operette.
Sant’Ambrogio
Nei decenni dal Sessanta al Novanta del secolo scorso, i Cardinali milanesi il 6 dicembre usavano
ricevere, in occasione dell’omelia tenuta in Sant’Ambrogio, in composto e colorito corteo, le Famiglie Regionali che porgevano un simbolico dono. La sfilata era sempre chiusa dalla Famiglia
Meneghina con le due maschere di Meneghin e Cecca e con l’offerta di un ciclopico panettone. In
alcuni anni la rappresentanza era formata anche da un gruppo di signorine con i costumi tradizionali
delle brianzole e da schermitori in bianca divisa. Un momento straordinario in cui trovavano unione,
simbolica e reale, nella basilica testimone di diciassette secoli di storia, autorità religiose, civili e
rappresentanze della popolazione. Civitas mediolanensis et ambrosiana.
Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
Nel 1994, dopo settant’anni, la Famiglia Meneghina dovette rassegnarsi a chiudere un meraviglioso
periodo della propria storia unendosi al Circolo Industriali Bridge.
I soci, grazie alla lungimiranza del Consiglio, con il Resgiò Alessandro Gerli, decisero di costituire la
Associazione Culturale Famiglia Meneghina, alla quale fu conferito il patrimonio librario e archivistico perché ne continuasse l’opera di conservazione, di arricchimento e di divulgazione. Il Consiglio
che si prese l’onere di intraprendere questa nuova e, allora, quanto mai incerta strada, era costituito
da: Ottorino Beltrami (vice presidente), Edoardo Teodoro Brioschi (segretario), Carlo Castellaneta,
Francesco Cetti Serbelloni, Alessandro Gerli (presidente), Federico Di Maio e Alessandro Rasini.
La biblioteca trovò una prima sistemazione presso la Società Umanitaria, allora presieduta dall’avv.
Massimo Della Campa, che le diede generosa ospitalità nel 1995. Nel 1998, grazie ad un prezioso
“Saluti da Milano”,
da una cartolina
illustrata dei primi
anni del Novecento.
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Alessandro Gerli
atto di mecenatismo della Società del Giardino, con il presidente avv. Gaetano Galeone, trovò sede
in Palazzo Spinola, in via San Paolo 10, dove si trova tuttora.
Una particolare attenzione fu data subito alla biblioteca, la cui storia ed evoluzione sono trattate nel
saggio affidato alla nostra bibliotecaria dott. ssa Silvia Donghi.
L’Associazione ha intrapreso un cammino di rapporti e di scambi con altri Enti culturali milanesi:
associazioni, biblioteche, musei, per promuovere delle manifestazioni di grande rilievo, grazie all’ospitalità di cui gode da parte della Società del Giardino. Il legame di simpatia e di sinergia fra i due
enti si stringe vieppiù nel corso degli anni, facendo maturare la condivisa decisione di un legame
che si concreta, nel 2010, anche nel cambio di denominazione in Associazione Culturale Biblioteca
Famiglia Meneghina-Società del Giardino.
Nel 2004 l’Associazione si arricchisce di un Comitato Scientifico costituito da illustri studiosi e accademici nelle varie discipline che qui ricordiamo: presidente onorario prof. Emerito Emilio Gatti;
prof. Alberto Bentoglio; prof. Marco Bona Castellotti; dott.ssa Marina Bonomelli (segretario); dott.
Salvatore Carrubba; prof.ssa Ada Gigli Marchetti; prof. Antonio Lauria; prof.ssa Silvia Morgana
(presidente); prof.ssa Ornella Selvafolta.
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Una immagine dello skyline della Milano di oggi.
Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino
Il 2000
Nel suo scritto titolato La milanesità e i rapporti storici fra la Società del Giardino e la Famiglia Meneghina, l’amico Osnago Gadda, con un’attenta ricerca, ha acutamente rilevato come la presenza delle
stesse persone – figure illustri – nella Milano della propria epoca, nella Meneghina e nel Giardino, e
correnti attestazioni di simpatia risalgano ai primi anni dalla fondazione della assai più giovane Meneghina. Nel presente saggio ci piace far rilevare quanto questa “alleanza” (com’è stata simpaticamente
chiamata dal presidente Galeone) si sia fortemente rafforzata negli ultimi quindici anni. Nel Consiglio
dell’Associazione sono entrati numerosi soci del Giardino ai quali è piaciuto rinverdire la propria inclinazione verso la cultura meneghina e le conoscenze linguistiche e poetiche. Alessandro Gerli, presidente dell’Associazione dal 1994 al 2010, ha avuto il privilegio di essere eletto due volte Consigliere
del Giardino nel 2007 e nel 2010, rivestendo la carica di vice presidente di entrambi gli Enti; mentre
Edoardo Teodoro Brioschi, socio anch’esso del Giardino, è l’attuale presidente dell’Associazione.
Il premio La mia vita per Milano, che conta già cinque edizioni, viene realizzato con la partecipazione dei soci di entrambi gli Enti, che rivivono con questa celebrazione un momento di schietta
convivialità milanese.
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
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Alessandro Gerli
Il terzo millennio si apre, per la nostra Associazione, con una mostra sulla Scapigliatura, movimento
artistico e letterario genuinamente milanese: i nostri libri vengono esposti al chiostro di Voltorre, nei
pressi di Gavirate. Questa mostra non resta un caso isolato: la Meneghina verrà coinvolta, negli anni
seguenti, in almeno altre tre importanti mostre: una (presso la Biblioteca Nazionale Braidense, 2010)
sulla letteratura dialettale milanese, e due (presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani, 2011
e 2012) rispettivamente sulle tradizioni di Natale a Milano e sul romanzo storico dell’Italia Unita.
Gli anni Duemila vedono il susseguirsi di alcuni appuntamenti annui, celebrati presso la Società
del Giardino, che vertono su aspetti della storia, dell’economia, della letteratura e dell’arte della
nostra città.
Molti eventi sono dedicati a figure di poeti e letterati milanesi e alla lingua milanese: pensiamo alle
conferenze su Giovanni Rajberti, Carlo Porta (2005), Carlo Pisani Dossi (2010), o alla serata dedicata
a Giannino Sessa (2012).
Anche la storia della scienza, della tecnica e in particolare dei trasporti viene affrontata a più riprese: con le tavole rotonde sui tramway (2007), sull’Expo del 1906 (2008), su Charles Darwin (2009)
o, ancora, sulla flotta delle navi lariane (2012), organizzata con la collaborazione del Collegio degli
Ingegneri e degli Architetti di Milano, altra istituzione cittadina con diversi secoli di storia alle spalle.
In Meneghina si parla anche di teatro, naturalmente, recuperando la figura di Edoardo Ferravilla
(2008), oppure ricordando, grazie alla consumata esperienza teatrale di Gianni Ferri, quei freguj
della nostra Milano che rischiano di scomparire (2012).
Le tre serate dedicate alla storia dell’arte vista da Flavio Caroli (2006), al Museo Bagatti Valsecchi
(2007) e al legame tra il nostro Duomo e la città (2011) testimoniano l’attenzione della Meneghina
per le arti figurative; quelle incentrate su Ernesto Teodoro Moneta (2007) primo e unico premio Nobel
italiano per la pace, e su Enrico Cernuschi (2011) hanno invece voluto ricordare e approfondire le
figure di due illustri milanesi del XIX e XX secolo.
Un incontro tenuto nel 2008 per illustrare i reperti archeologici del teatro romano mirava a richiamare l’attenzione su uno straordinario ideale collegamento fra un centro di vita civile del III secolo
d.C., quando Milano era la capitale dell’Impero Romano d’Occidente, con l’attuale sovrapposto
monumento, simbolo della centralità di Milano nel mondo economico, e cioè il Palazzo Mezzanotte
sede della Borsa.
Nel 2011, insieme con la Società del Giardino, viene promossa una tavola rotonda fra le principali
biblioteche cittadine. Intervengono la Braidense, l’Ambrosiana, la BEIC, la Sormani, e le Biblioteche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dell’Università degli Studi per approfondire il ruolo
della biblioteca come servizio pubblico al cittadino, come luogo di conservazione, di ricerca e di
valorizzazione del patrimonio librario. L’anno seguente la Meneghina e la Società del Giardino organizzano una conferenza dedicata al plurisecolare Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere.
La straordinaria possibilità che è stata data agli esseri umani, attraverso i social network o strumenti
similari, di esprimere la propria opinione e di partecipare a una vita sociale e collettiva in modo più
intenso ha dato luogo, per converso, ad una dispersione delle energie e ad una frammentazione della
società. In questa realtà gli enti culturali che hanno solide radici avvertono, forse, la necessità di
unire le proprie forze per creare dei luoghi e dei momenti di aggregazione delle idee e delle iniziative, proprio per evitare il fenomeno della dispersione. Si può così conservare e coltivare la memoria
anche ricordando, ma, soprattutto, facendo.
Credo di poter affermare che questa filosofia appartenga sia alla Società del Giardino sia alla nostra
Associazione.
Alessandro Gerli
Vice presidente dell’Associazione
Salvatore Carrubba
La Milano degli anni Venti
Nel quarto di secolo che si è lasciata alle spalle la Milano nella quale prende vita, nel 1924, la
Famiglia Meneghina ha pagato in termini anche tragici le tensioni di una trasformazione radicale
ed epocale, che ne ha sconvolto la realtà economica, il tessuto sociale e gli equilibri politici.
A segnare l’inizio di quel periodo tormentato, che non mancherà di proiettare le proprie conseguenze sull’intera storia nazionale, si può assumere il 1898, passato tristemente alle cronache come
l’anno del massacro di Bava Beccaris, il generale che non esita a far sparare sulla folla per rispettare
lo stato d’assedio proclamato dal Governo in risposta alle agitazioni popolari seguite all’aumento del
prezzo del pane. Sui selciati di Milano, e in particolare dell’area che ancora oggi ospita il convento
dei Cappuccini di viale Piave, rimarranno uccisi una cifra indefinita di rivoltosi, tra i 118 e i 400. E
non è certo un caso che le “quattro giornate” d’inizio maggio di quell’anno fatale prendano le mosse
da uno dei simboli della nuova realtà economica e sociale della città, ossia gli opifici della Pirelli,
siti allora in via Galvani.
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Consegna di materiale alle officine Pirelli
in una foto degli anni Venti.
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Salvatore Carrubba
La vicenda del 1898 è esemplare anche perché fin da quei giorni drammatici emerge una spaccatura che rimarrà costante nella classe dirigente milanese, divisa spesso tra fiducia nelle istituzioni e
adesione ai principi della democrazia liberale da un lato, e, dall’altro, autentiche tentazioni reazionarie (che qualche decennio dopo, per una curiosa ma non incomprensibile nemesi, in molti nipoti
si trasformeranno in festosa e salottiera benedizione della violenza di massa praticata ora in nome
della rivoluzione proletaria). Espressione e sismografo, come sempre sensibilissimo, di queste tensioni, in fondo mai del tutto superate, all’interno dell’élite milanese sono le vicende che riguardano
il “Corriere della Sera”, il cui fondatore, Eugenio Torelli Viollier, viene in quella occasione additato
come un traditore da quella borghesia moderata alla quale aveva rivolto il nuovo quotidiano, proprio per la dignitosa posizione di condanna da lui assunta nei confronti della politica governativa e
della sanguinosa applicazione da parte del generale Bava Beccaris (che non mancherà di ricevere
importanti onorificenze regie per la condotta tenuta a Milano).
Culmine di quel periodo (i cui scossoni rafforzano le tentazioni autoritarie delle élite nazionali) è
naturalmente il tragico evento con cui si apre per l’Italia il secolo nuovo, ossia l’attentato anarchico
di cui cade vittima, a pochi chilometri da Milano, il sovrano Umberto I. Ma, nonostante lo choc di
quel periodo convulso e drammatico, di cui Milano è spesso epicentro, la nuova Nazione dimostra
di possedere, e sarà una costante nella sua storia futura, gli anticorpi sufficienti per superare le
tentazioni reazionarie e affermare una nuova e autentica civiltà liberale. Lo spiega Benedetto Croce
quando osserva che quelli del primo decennio del nuovo secolo saranno gli «anni in cui meglio si
attuò l’idea di un governo liberale».
La politica municipale milanese non manca di accompagnare questi travagli anche con la sperimentazione di inediti equilibri: così, già nel 1899, Milano si affida per la prima volta a una giunta di
sinistra, guidata dal radicale Giuseppe Mussi. Seguiranno tre maggioranze di orientamento liberale,
coi sindaci Ettore Ponti, Bassano Gabba ed Emanuele Greppi: sono giunte che affrontano i grandi
cambiamenti di Milano, da ogni punto di vista, capaci anche di decisioni coraggiose e controverse,
come la fondazione dell’Aem (peraltro sancita da un referendum popolare), ossia l’ingresso del
Comune nell’attività produttiva, che determina grandi tensioni nel campo dei liberali, divisi (oltre
che tra le ragioni del monopolio esistente e quelle della concorrenza) tra i sostenitori di quel primo
intervento pubblico, ritenuto necessario per assicurare le condizioni per lo sviluppo economico
della città, e i fautori dello Stato (o Comune) minimo.
La città liberale del primo decennio del secolo non si entusiasma per Giovanni Giolitti, il grande
statista sensibile all’esigenza di avvicinare le masse popolari alla gestione della cosa pubblica. Luigi
Einaudi sul “Corriere della Sera” e lo stesso quotidiano non nascondono le proprie perplessità: il
primo rimprovera al Presidente del Consiglio (oltre che la sospetta propensione all’interventismo
in economia) una certa eccessiva duttilità manovriera che lo rende più sensibile alla gestione del
potere che non alla saldezza dei princìpi; il secondo, più prosaicamente, rimprovera allo statista di
Dronero quella che appare un’eccessiva accondiscendenza verso le ragioni del socialismo nascente,
soprattutto quelle che si manifestano nelle agitazioni sociali (accomunate ai rigurgiti anarchici,
quali il terribile attentato del 23 marzo 1921 che provoca 21 morti tra il pubblico di uno spettacolo
musicale allestito al Kursaal Diana, tradizionale punto di ritrovo della borghesia milanese, e che
provoca un’aggressione fascista di ritorsione al quotidiano socialista “Avanti!”). È un atteggiamento
che avrà conseguenze decisive nell’intera storia nazionale, di lì a pochi anni, subito dopo la prima
guerra mondiale, quando la borghesia alla quale si rivolge Luigi Albertini, l’autorevole direttore (e
ora anche comproprietario) del “Corriere della Sera”, a Giolitti preferirà Mussolini, che proprio da
Milano prende le mosse.
Il cipiglio della borghesia milanese era stato del resto mortificato già agli albori del conflitto, il 14
giugno 1914, quando la città si era affidata per la prima volta a una giunta socialista, guidata da
La Milano degli anni Venti
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“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Il teatro Kursaal Diana all’indomani dell’attentato.
Emilio Caldara, cui seguirà, nel novembre 1920, quella del compagno Angelo Filippetti, espressione quest’ultimo delle correnti rivoluzionarie del partito. Proprio a Milano, del resto, il Partito
Socialista aveva visto prevalere l’ala massimalista al proprio congresso dell’ottobre 1921.
Ma la parabola democratica sta per esaurirsi, complice anche la condiscendenza, o l’indifferenza,
della borghesia milanese. Il 23 marzo 1919 Mussolini fonda a piazza San Sepolcro i Fasci di combattimento; i fascisti non si presenteranno alle elezioni municipali del 1920, che confermeranno
la vittoria dei socialisti, ma interverranno con la violenza il 3 agosto 1922, occupando, dopo una
lunga serie di scontri, palazzo Marino: dopo l’estemporanea comparsa di D’Annunzio al balcone del
palazzo, le istituzioni cedono al sopruso, sciogliendo il Consiglio comunale eletto e commissariando
il Comune.
Siamo così giunti alla vigilia della fondazione della Meneghina, che cade al termine di un periodo
convulso che ha fatto di Milano l’epicentro delle tensioni e delle trasformazioni dell’intero Paese.
Salito al potere il fascismo, dopo lo scioglimento coatto del Consiglio comunale, le elezioni municipali daranno la vittoria, il 10 dicembre 1922, al “blocco nazionale”: la Giunta, formata da fascisti,
liberali, democratici e nazionalisti, sarà guidata, fino alla fine della libertà municipale e all’instaurazione del Podestà, decretati nel 1926, da Luigi Mangiagalli, considerato vicino ai primi, ma non
iscritto al partito. Alle elezioni politiche del 1924 Milano tradì il fascismo, che ottenne meno voti
della somma dei partiti di sinistra (tre: comunisti, socialisti riformisti e socialisti massimalisti); evidentemente, la classe operaia era tornata a votare per i partiti di sinistra. Il rapporto del fascismo
con la città in cui era stato fondato non sarà sempre facile: il partito è diviso e non mancano sospetti
di affarismo e disinvoltura amministrativa che contribuiranno a provocare un sensibile aumento del
deficit del Comune (oltre che il commissariamento del partito, affidato a fine decennio ad Achille
40
Salvatore Carrubba
Starace). In particolare, Mussolini lamenta nei
primi anni del regime che la Milano operaia non
gli sia amica. Anche i rapporti con la Chiesa
non sono idilliaci: nel 1921 era morto l’arcivescovo (ora beato) Carlo Andrea Ferrari, al posto
del quale verrà nominato il cardinale Achille
Ratti (già Prefetto, tra l’altro, della Biblioteca
Ambrosiana). Sulla cattedra di Ambrogio, Ratti
si fermerà pochi mesi perché il 6 febbraio 1922
ascende al soglio di Pietro. Il suo sarà, tra l’altro, il pontificato della Conciliazione; ma a
Milano i rapporti col fascismo, dopo un iniziale
«La Famiglia Meneghina l’è ona Societàa che la gh’ha
periodo di circospetta neutralità, non saranno
per scopo de conservà e difend i tradizion Ambrosiann,
mai facili, soprattutto a metà degli anni Venti
e la promoeuv conferenz e pubblicazion su la storia, su
quando, anche qui, il regime perseguiterà con
i costumm e su i monument de Milan»: così si legge
violenza ogni espressione delle organizzazioni
sull’involucro delle due serie di cartoline Vecchia
cattoliche che formano un tessuto particolarMilano stampate dalla Meneghina sullo scorcio degli
anni Venti.
mente ramificato e attivo. Pio XI nominerà suo
successore a Milano prima il cardinale Eugenio Tosi; poi, alla scomparsa di quest’ultimo, il ben più carismatico (e oggi anch’egli beato) Alfredo
Ildefonso Schuster, che reggerà la diocesi dal 26 giugno 1929 per il successivo, drammatico quarto
di secolo, fino al 1954. Non sorprende quindi che a Milano l’antifascismo continui a trovare terreno
fertile. In alcuni grandi salotti, come quelli dei Gallarati Scotti, Jacini, Casati. In ambienti imprenditoriali, come quello dal quale nasce, nel 1924, un coraggioso memoriale firmato da alcuni industriali, tra i quali Camillo Olivetti e Alberto Pirelli, nel quale si chiede niente meno che l’«assoluta
libertà di organizzazione sindacale, all’infuori di ogni pressione o inframmettenza di poteri politici
e, insieme, ripristino di quelle libertà statutarie, di stampa e di riunione, le quali sono garanzia
necessaria e sufficiente all’ordinato pacifico sviluppo della vita nazionale». In ambienti finanziari,
come la Comit, che, sotto l’egida di Raffaele Mattioli, proteggerà dagli anni Trenta nel proprio ufficio studi Ugo La Malfa (non sarà l’unico: altri intellettuali antifascisti troveranno rifugio negli uffici
studi di grandi aziende, come Ferruccio Parri alla Edison, Libero Lenti alla Snia Viscosa, e Ferdinando Di Fenizio alla Montecatini). Infine, naturalmente, presso le articolazioni clandestine nelle
quali si vanno organizzando gli oppositori al regime. Nel luglio del 1924 Riccardo Bauer e Ferruccio
Parri danno vita a una rivista d’opposizione che riprende una testata illustre, “Il Caffè”, soppressa
l’anno successivo perché ufficialmente considerata «più pericolosa dell’“Avanti!”»; seguirà un’altra
testata gloriosa, fondata da Carlo Rosselli e chiusa d’autorità dopo pochi numeri nello stesso 1926,
il “Quarto Stato”; sempre a Milano, nel 1925 (l’anno del funerale di Anna Kuliscioff, onorato da
migliaia di compagni e funestato dalle provocazioni dei fascisti), viene arrestato Umberto Terracini,
che aveva dato vita all’ufficio clandestino del PCI (il cui nuovo giornale, “L’Unità”, era stato avviato
nella città il 12 febbraio 1924); qui viene organizzata, nel novembre 1926, la clamorosa fuga in
Francia, alla quale collaborò Sandro Pertini, di Filippo Turati. E sempre a Milano, sul finire del
decennio, Bauer avrebbe organizzato la fuga da Lipari di Carlo Rosselli. L’antifascismo cattolico
si raccoglie intorno a Filippo Meda e Pietro Malvestiti e alle associazioni cui avevano dato vita: la
Pro-cultura milanese; e il Movimento guelfo d’azione, del 1928.
L’inquietudine della città trovò espressione tragica nell’attentato del 12 aprile 1928 alla Fiera, che
veniva inaugurata quel giorno dal Re, nel quale rimasero vittime 16 persone, oltre a una quarantina
di feriti: una strage rimasta impunita (non si celebrò alcun processo), ma che suscitò naturalmente
La Milano degli anni Venti
41
ulteriori giri di vite da parte del fascismo, come la chiusura della rivista “Pietre”, raccolta intorno ai
fratelli Lelio e Antonio Basso, i cui esponenti (tra i quali Mario Boneschi, La Malfa, Leone Cattani),
in un primo momento venero addirittura incolpati della strage (e per sicurezza, successivamente,
inviati al confino).
Naturalmente, il successivo consolidarsi del regime impose anche a Milano una cappa di conformismo. Tra i primi a farne le spese furono i partiti e la Camera del Lavoro, sciolti tra il 1925 e il
1926; e il “Corriere della Sera”, presto collocatosi all’opposizione del regime, in maniera decisa
all’indomani del delitto Matteotti: dopo una lunga serie di pressioni e intimidazioni, alla fine del
1925, Albertini dovrà gettare la spugna, e l’intera proprietà del giornale, per vie tortuose, passerà
alla famiglia Crespi. La fascistizzazione dell’informazione non risparmierà l’altro antico quotidiano
milanese, “Il Sole”, che nel 1928 assume il rassegnato sottotitolo di “Bollettino quotidiano della
Confederazione Nazionale Fascista dei Commercianti”.
Se la città è obbligata a essere conformista in politica, non si spengono certo la sua vitalità e la
sua ansia di cambiamento: a partire dalle stesse dimensioni fisiche. Così, dal 1922 si comincia a
parlare di “Grande Milano”, che diventa l’obiettivo più importante della Giunta Mangiagalli ma
che, nonostante le ancor maggiori ambizioni (in particolare, dello stesso Mussolini), si esaurisce
sostanzialmente nell’annessione alla città, nel luglio del 1923, di undici comuni limitrofi (Affori,
Baggio, Chiaravalle, Crescenzago, Gorla-Precotto, Greco, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno
e Vigentino). I successivi podestà preferiranno attribuire la priorità al risanamento del bilancio,
pesantemente compromesso dagli immediati predecessori, abbandonando progetti troppo faraonici.
In ogni caso, dal 1923, i confini della città si adeguano all’espansione della metropoli, che tocca la
superficie di 183 kmq, da allora immutata; la popolazione cittadina supererà gli 800mila abitanti,
per sfiorare la fatidica cifra del milione di abitanti nel censimento del 1931 e superarla definitivamente nel successivo censimento (straordinario) del 1936. In effetti, nel decennio 1921-1931,
“Asssociazion
ne
e Culturalee
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società
à del Giardino”
Demolizioni in corso in via Larga in due
fotografie degli anni Trenta del Novecento.
42
Salvatore Carrubba
Una cartolina
illustrata realizzata
dalla Meneghina
nei primissimi anni
Trenta: a confronto
l’evoluzione
demografica di
Milano (dalla città
di Sant’Ambrogio a
quella mussoliniana)
e quella del
Sodalizio della
Meneghina: in epoca
fascista si tocca
e si supera quota
1000 soci.
la crescita della popolazione era stata impetuosa, toccando il picco del 37,1%, contro la media
nazionale dell’11,87, e lombarda del 10%. Il Comune deve dotarsi di nuovi strumenti urbanistici
per governare le necessità abitative e le esigenze di sviluppo di Milano. Lo fa lanciando nel 1926
un pubblico concorso per un nuovo piano regolatore della città, che verrà vinto da Piero Portaluppi
ma approvato solo nel 1934 con una legge statale che, per la verità, adotta rispetto all’originale una
versione pesantemente rielaborata dal segretario del concorso nonché capo dell’Ufficio Urbanistico,
Cesare Albertini. Questi esaspererà la logica del progetto Portaluppi di procedere per demolizioni
e ricostruzioni, e ridurrà fortemente l’impatto del verde pubblico originariamente previsto. Per fortuna, l’attuazione del piano è solo parziale, perché il nuovo strumento prevede (e comincia ad
attuare) una serie di sventramenti delle vecchie aree storiche, che avevano già preso le mosse dal
1926 (e in certe zone, come piazza Vetra, ancora prima). La ruspa non va giù leggera: tra il 1927 e il
1937, infatti, sono demoliti ben 122mila vani per fare spazio alle nuove funzioni direzionali e di prestigio previste nel centro della città (per esempio, nella nuova piazza Crispi, oggi Meda, realizzata a
partire del 1928); la popolazione compresa nel centro storico cala dai 255mila che ancora vivevano
nel 1921 all’interno delle mura spagnole ai 221mila del 1936. Vittime illustri della forsennata (e
discutibile) modernizzazione della città furono gli antichi navigli, dei quali inizia l’interramento a
oltranza proprio alla fine degli anni Venti: a onore del vero, già da decenni la città discuteva della
La Milano degli anni Venti
possibilità di far scomparire le proprie vie d’acqua, che le conferivano
un aspetto particolare, e fin dal 1878 era intervenuta su un primo tratto
di esse (suscitando allora il rimpianto di Demetrio Pianelli, tutt’altro
che convinto di «sto progress che sboffa e che sgonfia»).
Le nuove esigenze del traffico cittadino impongono addirittura l’adozione, per la prima volta in Italia, di un diabolico marchingegno che
viene installato nel 1925 in piazza Duomo, all’angolo con via Torino:
il semaforo. La stessa piazza è sottoposta nel 1926 a un radicale intervento, che vede l’abolizione del caratteristico carosello dei tram e la
realizzazione del nuovo sagrato. Una tecnologia ancora più rivoluzionaria prenderà le mosse nello stesso 1925: è la radio, che avvia a Milano
le trasmissioni dagli studi in corso Italia 23 dell’Unione Radiofonica
Italiana e che offrirà nel 1929 la prima radiocronaca calcistica, affidata
a Nicolò Carosio.
Tra gli interventi architettonici, non mancano naturalmente quelli di
qualità, talora straordinaria: come quello iniziale che fece più discutere, la cosiddetta Ca’ Brutta, eretta tra il 1919 e il 1923, tra le attuali
vie Moscova e Turati, nel quale trova espressione la visione del grande
Giovanni Muzio (al quale si dovrà, dieci anni dopo, la sede della Triennale); o il grande palazzo con arco su corso Venezia progettato da Piero
Portaluppi tra il 1926 e il 1930. Fin dal 1923 Milano comincia a pensare di sfidare l’altezza, con un pioneristico e sfortunato tentativo di
grattacielo (progettato dall’architetto Giulio Ulisse Arata per un’area in
via Leopardi), che si scontra con l’espresso divieto sancito dalla Giunta
nel 1920 di costruire edifici troppo alti (una delibera che aveva fatto
infuriare Mussolini, che denuncerà il «filisteismo murario di Milano»):
nello stesso anno vengono comunque eretti i due alti edifici di piazza
Piemonte, e Muzio progetta due grattacieli in piazza (ora) della Repubblica, che saranno costruiti solo nel dopoguerra. La vitalità architettonica trova il proprio strumento di diffusione e approfondimento nella
rivista “Domus”, fondata nel 1928 dal geniale Gio Ponti, uno degli artefici, tra l’altro, del volto déco
che la città va assumendo in quegli anni. Le si affiancherà lo stesso anno un’altra storica testata,
“La casa bella”, oggi “Casabella”, fondata da Guido Marangoni. Carlo Emilio Gadda fotograferà a
modo suo il dinamismo architettonico milanese, prendendo di mira due dei suoi massimi esponenti:
«Ponti e Portaluppi, ciascuno a suo modo, sono artefici di studiate o ragionate, o comunque agiate,
strutture edilizie: case, ville, palagi. E Ponti scrive dell’arte sua, e ne propaga la dottrina, oltreché
i paradigmi».
Agli sventramenti previsti da Albertini corrisponde un’intensa attività urbanistica che trova espressione soprattutto nei nuovi quartieri popolari (tra il 1926 e il 1931 si avvia la realizzazione di 20
nuovi quartieri di edilizia ultrapopolare a riscatto); e negli edifici pubblici che intendono esprimere
architettonicamente la magniloquenza del regime non meno che la crescita continua e instancabile della città, anche nelle sue funzioni economiche e sociali che si ampliano e contribuiscono ad
arricchirne il profilo. Mentre si avviano molti cantieri che troveranno poi conclusione nel decennio
successivo, del 1923 è il Palazzo del Ghiaccio; e del 1926 il nuovo stadio costruito per il Milano Football Club a San Siro. Allo stesso anno risalgono la ripresa definitiva dei lavori per la nuova Stazione
Centrale (mentre del ’28 è la nuova stazione Bullona, realizzata dopo l’interramento di un tratto dei
binari delle Ferrovie Nord); la progettazione del nuovo edificio per gli uffici comunali di via Larga;
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44
Salvatore Carrubba
e l’avvio della (lenta) realizzazione dell’Ospedale Maggiore a Niguarda; a quello successivo l’avvio
del palazzo della Borsa, progettato da Paolo Mezzanotte; al 1928 il progetto di un sistema di piscine
rionali, di cui sarà realizzata l’anno successivo quella di via Ponzio e l’inaugurazione del Monumento
ai caduti in largo Gemelli, espressione significativa dell’architettura e della scultura novecentista;
al 1929 la progettazione dell’attuale Camera del Lavoro in corso di Porta Vittoria; e il bando per il
nuovo palazzo di Giustizia da realizzare nell’area dell’ex caserma di Santa Prassede in corso di Porta
Vittoria, che non darà esiti soddisfacenti e sfocerà, nel 1932, nell’incarico a Marcello Piacentini.
Da Milano si avvia il primo embrione del sistema autostradale nazionale, con i tratti Milano-Laghi,
Milano-Bergamo-Brescia e Milano-Torino, tutte inaugurate agli inizi degli anni Trenta. Al 1928 risale
l’avvio della realizzazione dell’Idroscalo e dell’aeroporto Forlanini.
La metropoli lombarda, a differenza di quanto accade in altri grandi centri italiani, a partire da
Torino, evita il destino di assumere
una funzione esclusiva, in questo
caso quella industriale-produttiva,
e tanto meno di trasformarsi in una
company-town, legata al destino di
un’unica grande azienda, seppure in
grado, quest’ultima, di dare vita a un
indotto diffuso.
Fin dall’inizio del suo sviluppo,
Milano, al contrario, alimenta i nuovi
canali dello sviluppo e dell’imprenditorialità, dando vita a strutture finanziarie e di servizio altrettanto importanti di quelle produttive. Milano non
è solo città di fabbriche, insomma:
la Borsa, le grandi banche, i grandi
centri di servizio negli anni Venti del
Novecento hanno già fatto di Milano il
centro economico del Paese, sull’onda
anche dei precedenti, grandi eventi
espositivi che erano culminati nell’esposizione internazionale del 1906
celebrativa dell’apertura del traforo
del Sempione, al quale la città deve
un più immediato sbocco verso l’Europa del nord. Così, già nel 1920, il
12 aprile, si tiene la prima edizione
della Fiera di Milano, allestita allora
sui Bastioni di Porta Venezia, e che
troverà nel 1923 la sede definitiva
(fino al trasferimento a Rho-Pero)
nell’ex piazza d’Armi; per la Fiera,
nello stesso anno sarà realizzato in
piazza Sei febbraio il palazzo dell’Automobile e dello Sport, capace di oltre
Immagini di una Milano scomparsa: una cartolina illustrata
del teatro La Piccola Canobbiana, in via Larga.
18mila visitatori.
La Milano degli anni Venti
Milano diventa anche autentica città universitaria, assumendo in proprio le funzioni per secoli riservate a Pavia con la fondazione, proprio nel 1924, dell’Università Statale, all’inizio sistemata in un
edificio scolastico di San Michele del Carso e realizzata, dopo un dibattito non scontato, grazie a una
sottoscrizione di 10 milioni di lire raccolte in città. Tale importante edificio diventerà sede dell’allora
Regio Istituto di Studi Commerciali, che è l’attuale Istituto d’Istruzione Superiore Nicola Moreschi.
Un risultato questo che sarà salutato con ammirazione dal milanese ministro alla Pubblica Istruzione
(liberale, e dimissionario dopo il delitto Matteotti), Alessandro Casati, con parole che non hanno
perso d’attualità: «Importa rilevare il fatto che in Milano l’iniziativa privata, disavvezza da tempo
dalla pigra e triste consuetudine di tutto volere dallo Stato, trova, nel diffuso senso di responsabilità
civile, il modo di manifestarsi in opere di cultura, che acquistano alta giustificazione dall’attivo interessamento che è dato, e dato soltanto, dal valore di un sacrificio individuale». Le facoltà ospitate
sono quelle di Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Medicina e Scienze, nonché il Rettorato.
Alla passione e all’impegno di padre Agostino Gemelli si deve la fondazione, nel 1920, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che verrà inaugurata il 7 dicembre dell’anno successivo e che nel
1927 affida a Muzio il progetto per la sede in piazza Sant’Ambrogio. In questo stesso anno viene
inaugurata la nuova sede del Politecnico (che nel 1928 laurea le prime due donne architetto). Al
1928 risale l’inaugurazione dell’Istituto Vittorio Emanuele III per lo studio e la cura del cancro
(anch’esso realizzato grazie a una sottoscrizione di 10 milioni). Sempre in campo sanitario, una
pioneristica iniziativa viene lanciata per la prima volta al mondo da Milano, nel 1927, con la fondazione dell’Avis, l’associazione che intende diffondere la donazione del sangue.
Significativa è l’attenzione dedicata dalla municipalità al settore scolastico: nel periodo tra il 1920
e il 1940 vengono realizzate 170 aule per scuole materne, più di 1000 per le elementari (con
dieci nuovi edifici) e 110 per le medie, oltre che molte scuole rurali nei sobborghi della periferia.
Già al 1928 risalgono i primi due asili-nido, chiamati allora «culle materne». In ambito culturale,
importanti interventi negli anni 20 furono la riapertura della Pinacoteca di Brera, con le nuove sale
realizzate da Portaluppi (1925) e la costituzione nel 1927 presso il Castello Sforzesco dell’imponente raccolta di Achille Bertarelli, che era stata donata nel 1923 al Comune. Negli stessi anni,
il Futurismo, che a Milano aveva avuto la sua culla, evolve in una tendenza geometrizzante di cui
sono espressione Fortunato Depero (che per Milano realizza, tra l’altro, importanti contributi alla
nascente industria pubblicitaria, come le campagne per la Campari); ed Enrico Prampolini (che
qui fonda il Teatro della Pantomima Futurista). La svolta matura nel 1923, quando viene fondato il
gruppo pittorico Novecento ad opera di sette tra i massimi artisti del secolo, quali Leonardo Dudreville, Gianluigi Malerba, Anselmo Bucci, Ubaldo Oppi, Mario Sironi, Piero Marussig, Achille Funi,
ai quali si aggiungerà poi Carlo Carrà. Il gruppo, che il 26 marzo apre una storica mostra presso la
galleria Pesaro, si raccoglie intorno alla carismatica figura di Margherita Sarfatti, vulcanica intellettuale e animatrice di un importante salotto, nonché amica stretta di Mussolini: è lei a organizzare,
presso la Permanente, nel 1926 un altro storico appuntamento, la Prima mostra del Novecento, alla
quale partecipano (nonostante il tentativo della Sarfatti di fare del movimento l’espressione ufficiale
del regime) centodieci artisti tra i quali, tra gli altri, Giorgio De Chirico, Felice Casorati, Giorgio
Morandi, Gino Severini; ad essa seguirà un’ulteriore esposizione nel 1929. In questa temperie, un
ruolo importante nella diffusione dei nuovi temi artistici è svolto proprio dalla Famiglia Meneghina che, a partire dal 1926, organizza un’importante mostra degli artisti milanesi: è un contributo
importante al collezionismo milanese, sempre più ricco e ricercato che formerà negli anni successivi alcune delle raccolte italiane più importanti, molte delle quali sono oggi componenti essenziali
delle raccolte pubbliche. Significativa, a questo proposito, è la fondazione nel 1926 degli Amici di
Brera che assicurerà un contributo importante negli anni a venire all’arricchimento del patrimonio
della Pinacoteca.
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Salvatore Carrubba
In campo economico, gli anni Venti si erano aperti con una breve crisi che non manca di far sentire le proprie conseguenze sull’occupazione, che vede perdere nei settori metallurgico, chimico
e meccanico oltre 25mila posti di lavoro, su un totale di 125mila; mentre assai più contenuta la
crisi si manifesta nel settore tessile (che resta il comparto più significativo, con quasi 100mila
lavoratori occupati). La ripresa si manifesterà già dal 1922 e durerà fino al 1926, contraddistinto
da autentici boom, quali quello della Bianchi e della Isotta Fraschini che finanziano ambiziosi
progetti di crescita; da processi di razionalizzazione e integrazione, come l’incorporazione della
Conti nella Edison (1926), o le operazioni effettuate tra il 1924 e il 1926 dalle Acciaierie e Ferriere Lombarde e dalla Pirelli, nel 1928-29 dal cotonifico Turati (poi Olcese) e dalle Distillerie italiane
(a fronte di una crisi della Romeo che paga per la
crisi delle commesse ferroviarie ed esce dal settore
nel 1925, per assumere leadership mondiale nel settore dell’auto, confermata dalle numerose vittorie
automobilistiche che ne fanno un marchio mitico);
o, ancora, da ampliamenti delle strutture produttive,
soprattutto nel settore tessile ed energetico. Ma, al di
là dei grandi gruppi, la città risulta imprenditorialmente dinamica: in ogni anno del periodo 1922-1926
nascono 37 nuove aziende, spesso in settori che oggi
definiremmo innovativi. Nel 1925, entro i confini
cittadini, sono quasi 10mila le piccole imprese che
occupano non più di 20 dipendenti, con un totale
di 29mila occupati che arrivano alla ragguardevole
cifra di oltre quarantamila persone calcolando i titolari e i familiari impegnati in azienda. Solo nel settore meccanico, si calcolavano 1.649 unità produttive, per un totale di 8mila addetti (e diecimila coi
titolari). Nel censimento dell’industria del 1927, le
imprese che occupano fino a 50 dipendenti sono, in
città, addirittura il 46,1%; e solo il 12,3% è occupato in aziende con più di 1.000 occupati.
Lo stesso censimento fotografa analiticamente la Copertina illustrata del volume Bagutta di
situazione imprenditoriale e occupazionale: il settore Marino Parenti pubblicato da Ceschina nel 1928.
tessile rimane il primo (anche dopo la separazione dei
territori che vanno a formare la nuova Provincia di Varese), con 110.604 addetti; seguono la meccanica (89.494), l’abbigliamento (62.462); le costruzioni (34.032); la chimica (26.274); le lavorazioni
del legno (24.694); l’alimentare (22.2182) e la metallurgia (21.338). L’anno successivo, Milano ha
ormai superato i picchi produttivi già raggiunti alla ripresa del 1926. Il sistema creditizio è articolato
e favorisce gli investimenti mobiliari, testimoniati dal numero di società di capitali esistenti a Milano
nei primi anni Venti (693 nel 1922, 795 e 894 nei due anni successivi; per un totale di capitale di
quasi 15 miliardi di lire). Negli stessi anni nascono 463 nuove società, con investimenti netti azionari
di oltre un miliardo, che rappresenta circa un terzo del totale di nuove società nate negli stessi anni
in Italia. La successiva battuta d’arresto dell’economia del 1926 provocherà una serie di dissesti
che razionalizzeranno la presenza degli istituti di credito, che scendono tra quell’anno e la fine del
decennio da 223 a 189. Ancora più drammatiche risulteranno naturalmente le conseguenze della
crisi epocale del 1929 che, nei primi anni Trenta, farà esplodere anche in città i livelli di disoccupa-
La Milano degli anni Venti
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
La Meneghina entra negli anni Trenta con le “strofette”
della canzone Viva la Meneghina.
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Salvatore Carrubba
zione e provocherà ulteriori tensioni nel settore creditizio che culmineranno nella nazionalizzazione
(attraverso l’IRI) della Comit e del Credito Italiano, avvenuta nel 1932.
Non meno vivace è l’ambiente editoriale, a Milano particolarmente fiorente e dominato da alcuni
grandi marchi quali Treves, Sonzogno e Hoepli. Proprio negli anni Venti si trasferisce a Milano da
Verona una piccola azienda, il cui fondatore otterrà nel 1921 un consistente appoggio finanziario da
uno dei più significativi esponenti del capitalismo milanese, Senatore Borletti: si tratta di Arnoldo
Mondadori che già pochi anni dopo sarà il maggiore editore italiano. Dal 1924 ne è segretario il
giovane Valentino Bompiani, che dirigerà successivamente l’“Almanacco letterario” per poi fondare
nel 1929 la casa editrice che ancora oggi porta il suo nome. Da Mondadori, nel 1927, acquisterà
la rivista “Novella” un altro editore scalpitante, Angelo Rizzoli, che proprio da quel giornale, e
da altre tre acquisizioni (“La Donna”, “Il Secolo Illustrato”, “Commedia”), inizierà a costruire il
proprio impero editoriale. Nel 1925 era nata la Ceschina, con l’intento di dare spazio alla produzione letteraria nazionale: casa editrice che avrà grande rilevanza per le pubblicazioni della Famiglia Meneghina. La vitalità letteraria della città è testimoniata anche dalla fondazione, alla fine
del 1925, della rivista “La Fiera Letteraria”, e dall’avvio, nel 1927, del premio Bagutta che verrà
assegnato nei primi anni al Giorno del giudizio (1927), di Giovanni Battista Angioletti; a Giovanni
Comisso per Gente di mare (1928), e a Vincenzo Cardarelli per Il sole a picco (1929).
Fascistizzata e monumentalizzata (ma non del tutto), Milano entra così nel decennio del consenso
mussoliniano che, attraverso le ulteriori opere del regime, contribuirà ad accentuare i tratti metropolitani della città: quelli che la guerra devasterà, pur senza piegare irreparabilmente la costante
vocazione milanese a rinnovarsi, a crescere e a contribuire alle trasformazioni del Paese.
Salvatore Carrubba
Giornalista
Silvia Morgana
I convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina (1925-1987)
I cinque convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina (1925, 1950, 1968, 1980, 1987)
costituiscono un osservatorio privilegiato del suo ruolo culturale e scientifico attraverso il Novecento, a partire da quel Primo Congresso dei dialetti d’Italia che si svolse a Milano nei giorni 19, 20 e
21 aprile 1925.1 Si resta stupiti e anche ammirati di fronte allo slancio organizzativo del giovane
sodalizio, che a neppure un anno dalla sua nascita riuscì a realizzare una manifestazione così importante, riunendo per la prima volta cultori dei dialetti e poeti vernacoli da ogni regione e coinvolgendo personalità scientifiche di primo piano: il filologo romanzo Luigi Sorrento,2 il pedagogista
Giuseppe Lombardo Radice,3 i dialettologi Matteo Bartoli4 e Giulio Bertoni.5 Grazie all’iniziativa
della Famiglia Meneghina, Milano poteva così riconfermare la sua vocazione di centro di eccellenza in Italia per lo studio e la valorizzazione dei dialetti e delle tradizioni dialettali: qui infatti
era sorta e si era sviluppata dopo l’Unità la dialettologia come scienza, grazie all’alto magistero del
goriziano Ascoli6 e del ticinese Salvioni7 alla Reale Accademia scientifico-letteraria, che nel 1924
era divenuta Facoltà di lettere e filosofia della neonata Università statale.8
Del primo convegno non furono stampati gli Atti, quindi occorre ricostruirne la fisionomia attraverso
altre fonti. Il “Corriere della Sera” (21 aprile) forniva sulla pagina milanese solo un conciso resoconto
della seconda giornata, riportando tuttavia una notizia preziosa e poco nota: alla “serata polidialettale”
1
Ringrazio per la preziosa collaborazione nella ricerca dei materiali la dott.ssa Silvia Donghi e i miei allievi dottori
Maria Polita e Giuseppe Sergio.
2 Luigi Sorrento (1884-1953), laureatosi a Catania nel 1908 con una tesi sul dialetto siciliano, aveva seguito corsi di
perfezionamento a Firenze e in vari atenei tedeschi e spagnoli. Diventato libero docente nel 1914, dal 1919 si era trasferito a Milano dove ricopriva la cattedra di Letteratura francese alla Reale Accademia scientifico-letteraria e dove dal
1924-25 insegnava anche Filologia romanza presso l’Università Cattolica.
3 Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938), professore di pedagogia nell’università di Catania, poi (1923-24) direttore
generale delle scuole elementari per incarico del ministro Gentile, con cui collaborò alla riforma della scuola. Fondatore della rivista “L’Educazione nazionale” (1919), si dimise dall’incarico ministeriale dopo il delitto Matteotti.
4 Matteo Bartoli (1873-1946) dopo gli studi a Vienna con Meyer Lübke insegnava dal 1907 all’Università di Torino.
5 Giulio Bertoni (1878-1942) dopo avere insegnato a Friburgo passò all’Università di Torino (1921) e poi a Roma (1928).
6 Graziadio Isaia Ascoli (Gorizia 1829 - Milano 1907) dal 1861 si trasferì a Milano, chiamato a ricoprire nella neonata
Accademia scientifico-letteraria la cattedra di Grammatica comparata e lingue orientali (nel 1863 da lui ridenominata
di Linguistica). Dapprima studioso soprattutto di indeuropeistica, Ascoli si orientò poi verso gli studi romanzi e la
dialettologia italiana, realizzando il progetto di fondare una rivista scientifica, l’“Archivio glottologico italiano”(1873-),
dove nel 1882 pubblicò l’articolo L’Italia dialettale (scritto nel 1880 per l’Encyclopaedia Britannica), primo tentativo
di classificazione rigorosa dei dialetti italiani.
7 Carlo Salvioni (Bellinzona 1858 - Milano 1920) successe ad Ascoli nel 1902 sulla cattedra dell’Accademia scientifico-letteraria a Milano. Avviò fra l’altro il progetto del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana (VSI) nel 1907,
con l’obiettivo di documentare e studiare scientificamente i dialetti già in via di rapida trasformazione. Il VSI cominciò
a uscire in fascicoli nel 1952 e non è ancora concluso. Nella sua sterminata bibliografia, va segnalato l’opera giovanile
Fonetica del dialetto moderno della Città di Milano, Roma-Torino-Firenze, Loescher, 1884, che costituì il primo fondamentale studio su un dialetto urbano.
8 Cfr. i vari saggi raccolti in Milano e l’Accademia scientifico-letteraria. Studi in onore di Maurizio Vitale, a cura di
Gennaro Barbarisi, Enrico Decleva, Silvia Morgana, Milano, Cisalpino, 2001.
50
Silvia Morgana
aveva partecipato, con altri poeti,9 anche
Delio Tessa, che per il dialetto milanese
aveva tributato un omaggio a Carlo Porta,
recitandone tre poesie (v. Appendice, n.
4). Maggiore risonanza ebbe invece l’evento sul quotidiano “L’Ambrosiano” con
ben tre articoli, grazie a cui possiamo conoscere in modo abbastanza dettagliato il
calendario delle tre giornate: dopo la cerimonia inaugurale al Castello Sforzesco,
il ricevimento a Palazzo Marino e la visita
commemorativa al monumento del Porta
ai Giardini pubblici (v. Appendice, nn.1,
2, 3), i lavori del convegno si tennero nel
salone delle Associazioni Scientifiche in
via san Paolo, 10, quasi un presagio delle
future sorti logistiche della Meneghina.
La folta presenza di autorità alla seduta
inaugurale (tra cui un rappresentante del
Ministro della Pubblica Istruzione), rassicurava sull’approvazione del regime nei
confronti dell’iniziativa: come si premurava di sottolineare l’assessore Gallavresi,
essa rispondeva «al modo di sentire del
popolo milanese, che nella conservazione
del dialetto non ha mire campanilistiche,
bensì spirituali ed intellettuali, intese nel
senso nazionale». La precisazione era
Locandina del primo Congresso dei dialetti d’Italia
quasi d’obbligo, per allontanare dalla madipinta per la Meneghina dall’attore, commediografo
nifestazione i sospetti di derive localistie pittore Giovanni Barrella nel 1925.
che e autonomistiche, destinati a evolvere
in pochi anni nella dura politica antidialettale del regime fascista.
Per quanto ho potuto vedere, solo il discorso inaugurale di Luigi Sorrento (I dialetti d’Italia e le tradizioni popolari) e la relazione di Giuseppe Lombardo Radice (Il dialetto e il folklore nella scuola)
furono pubblicati, entrambi nella rivista “L’Educazione nazionale”,10 fondata e diretta dallo stesso
Lombardo Radice, pedagogista democratico, estensore dei programmi per la scuola primaria per la
riforma Gentile. Questi due scritti sono di fondamentale importanza per restituirci il clima in cui la
Meneghina riuscì a organizzare il suo primo congresso: un clima ancora decisamente favorevole, anche sul versante scientifico segnato da un continuo progresso degli studi dialettologici. Nel 1924 il
glottologo Clemente Merlo, studioso dei dialetti centro-meridionali, aveva fondato la rivista “l’Italia
dialettale”, ancora oggi la più autorevole del settore, con l’obiettivo di «salvare dalla imminente non
lontana rovina quanto più è possibile del patrimonio linguistico nazionale e insieme risollevare, te-
9
Berto Barbarani, veronese; Dolfo Zorzut, friulano; Nino Costa, piemontese; Alfredo Testoni, bolognese; Angelo Canossi, bresciano (v. Appendice, n. 4).
10 “L’Educazione nazionale”, agosto-settembre 1925.
I convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina (1925-1987)
nere alta fra noi quella tradizione dialettologica ch’è una delle nostre glorie più fulgide, più pure».11
Da qualche anno si erano avviate anche in Italia nuove metodologie di indagine dialettale sul campo, come la geografia linguistica, già sperimentata per il territorio francese:12 erano sorte importanti
iniziative, quali nel 1924 il grandioso progetto dell’Atlante linguistico italiano (ALI), grazie alla
collaborazione tra la Società Filologica Friulana “G.I. Ascoli” e l’Università di Torino.13 Sull’Atlante e sui problemi legati alle inchieste e alla rappresentazione cartografica ed etnolinguistica degli
esiti dialettali tennero relazioni al Convegno milanese Giovanni Lorenzoni, primo presidente della
Filologica Friulana e, per il comitato direttivo dell’Atlante,14 il presidente Matteo Bartoli e Giulio
Bertoni. Sul versante politico e istituzionale, occorre sottolineare che la riforma Gentile del 1923
aveva espresso il momento di massima apertura alle lingue locali nella scuola postunitaria, con una
nuova visione del rapporto tra lingua e dialetto, considerato il punto di avvio per arrivare all’italiano
e alla coscienza nazionale.15 L’impostazione idealistica, ispirata alla concezione del dialetto postulata dalla nuova estetica crociana, che si rifletteva nei programmi per le elementari di Lombardo
Radice, era evidente anche nel suo intervento al convegno milanese:
Con quale spirito deve l’insegnante considerare il dialetto?
Il dialetto non è soltanto un differenziarsi a seconda della spiritualità locale, di una lingua comune diffusa
in più vasto territorio, viva in opere letterarie e ricca di una storia; è altresì la fase giovanile della lingua
stessa, la fresca polla di acqua purissima che reca il suo tributo al fiume della lingua. Il suo carattere
fondamentale, sia che venga considerato come differenziarsi di una lingua, sia che venga valutato come
sorgente di espressione che ha influito e influirà sulla formazione della lingua, è la popolarità, la familiarità, la schiettezza giovanile e l’immediatezza (p. 14).
Si trattava del metodo cosiddetto «dal dialetto alla lingua», cioè di un metodo di tipo contrastivo
fondato sul confronto tra il dialetto e l’italiano; ispiratore di questa concezione didattica era considerato Manzoni che, come affermava anche Sorrento nella prolusione, aveva assegnato un compito
fondamentale all’uso dei vocabolari dialettali, come strumento per arrivare all’italiano e per raggiungere l’unità linguistica, e si compiaceva di potere individuare un fondo comune in locuzioni di
ogni parte d’Italia: «l’affinità autorizzava dunque l’ideale dell’unità manzoniana».
Lo studio dei dialetti e delle tradizioni regionali rispondeva «a una delle più immediate esigenze
dello spirito», perché:
Per il modo stesso con cui si sono svolte la letteratura e la storia della nostra nazione, i dialetti e le tradizioni regionali occupano un posto quasi centrale nella vita italiana dalle origini al Risorgimento, da
Dante al Manzoni, essendovi stato or più or meno ed essendovi tuttavia tra regione e nazione un flusso e
11
L’Italia dialettale era da intendersi nell’accezione ascoliana, comprendendo sia i dialetti di tipo italiano (anche se
parlati fuori dai confini, come i dialetti corsi e svizzeri italiani), sia i dialetti di tipo non italiano parlati nel territorio
nazionale.
12 Atlas Linguistique de la France, pubblicato nel primo decennio del Novecento dallo svizzero Jules Gillièron (18541926).
13 Purtroppo molto lunga e complessa, anche per le vicende politiche e finanziarie, è stata l’elaborazione dell’ALI, che
iniziò a essere pubblicato solo nel 1995, e non è ancora conclusa oggi!
14 L’Istituto per l’ALI era annesso alla cattedra di Linguistica e Glottologia dell’Università di Torino. Le inchieste
dialettali negli anni 1925-40 furono fatte principalmente da Ugo Pellis.
15 «Apriamo la scuola allo studio della lingua e dell’arte dialettale, e v’entrerà insieme l’italiano, anche come grammatica, perché lo sforzo della traduzione altro non sarebbe che obbligo interiore a trovarsi le regole del tradurre e a
costruirsi perciò una grammatica». Cfr. LORENZO COVERI, Dialetto e scuola nell’Italia unita, in “Rivista italiana di dialettologia”, 5-6, 1 (1981-1982), pp. 77-97.
51
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Silvia Morgana
riflusso di opere e di sentimenti sempre freschi e sempre fecondi: i vari parlari della penisola e il folclore
italiano hanno resistito ad ogni dominazione straniera e per la loro affinità ci fanno apparire tutti, dalle
Alpi all’Etna, come germogli di uno stesso grande e rigoglioso tronco. Tale affinità, viva e sentita, anche
se non consapevole in tutti gli ordini sociali, ha fatto sì che spiritualmente la nazione è stata da secoli
una, pur divisa e dominata dallo straniero. […] Sicché i dialetti e le tradizioni sono importantissimi per
la storia dello spirito e per la civiltà del nostro paese.16
Nei loro interventi al convegno, sia Sorrento sia Lombardo Radice affiancavano al Manzoni la notevole
figura del siciliano Giuseppe Pitré,17 studioso e grande raccoglitore di tradizioni popolari, «in ispirito
il padre dei nostri lavori» e testimone «dell’unità spirituale del popolo italiano». Il legame tra dialetti e
folklore era rappresentato dalla sua monumentale opera, come ricordava Sorrento nella sua prolusione:
Dalla comparazione di novelle, canti, indovinelli di tutta Italia […] appare un certo fondo comune […] lo
stesso fenomeno per cui fu possibile agli Italiani, per la affinità dei loro dialetti, accettare e seguire […]
una lingua comune, e per cui si giustifica l’ideale dell’unità linguistica del Manzoni, vissuto nel secolo
che vide l’unificazione della patria italiana (p. 10).
La riforma scolastica del 1923 ebbe come immediata conseguenza una grande fioritura di proposte
editoriali: manualetti di esercizi di traduzione dal dialetto (in primis la collana “Dal dialetto alla
lingua”, diretta dalla Società Filologica romana e pubblicata tra il 1924 e il 1926 da Bemporad e
Paravia) e volumetti per facilitare i maestri a illustrare i dialetti e le tradizioni regionali. Riguardo
a questa tipologia di libri, Sorrento dava la sua approvazione nel discorso inaugurale («plaudiamo
all’entrata di essi nelle scuole elementari (come primo contatto ed esercizio per lo studio della lingua) e nelle medie»: non a caso, dato che egli stesso dirigeva la collana «di un coraggioso editore
milanese». Si trattava della collana Canti, novelle e tradizioni delle regioni d’Italia della casa editrice Trevisini di Milano, specializzata in editoria scolastica,18 che pubblicò 14 volumi tra il 1925 e
il 1927, tra cui I Lombardi per le scuole medie e le persone colte [1926] di Alessandro Visconti, con
la prefazione di G. Gallavresi. La collana si interruppe, perché cambiarono i programmi scolastici,
che, lasciando spazio ai dialetti, contrastavano il forte centralismo del regime: nel 1928 fu adottato
il testo unico per la scuola elementare e nel 1934, col ministro De Vecchi, fu bandito dai programmi
ogni accenno al dialetto. Si può seguire l’inasprirsi della politica fascista antidialettale, oltre che
xenofoba, a partire dagli anni Trenta attraverso le campagne di stampa e le famigerate veline, le
note di servizio governative ai giornali emanate dal Ministero per la cultura popolare, correntemente
Minculpop (v. Appendice, n. 5);19 così ribadiva la velina n. 15 del 1932:
Dialetti. Non pubblicare articoli, poesie, o titoli in dialetto. L’incoraggiamento alla letteratura dialettale
è in contrasto con le direttive spirituali e politiche del Regime, rigidamente unitarie. Il regionalismo e
i dialetti che ne costituiscono la principale espressione, sono residui dei secoli di divisione e di servitù
della vecchia Italia.
16
LUIGI SORRENTO, Folclore e dialetti d’Italia (1925-27), in “Aevum”, I (1927), pp. 635-636.
Pitrè (1841-1916) fu presidente della Società siciliana di storia patria e della R. Accademia di scienze e lettere di
Palermo. Fu professore di «demopsicologia» (come egli chiamava il folklore) all’università di Palermo dal 1910. Fondò
il Museo di etnografia siciliana e nel 1880 l’“Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”. La sua opera maggiore è
la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane pubblicata in 25 volumi tra il 1871 e il 1913.
18 Editori a Milano (1900-1945), repertorio a cura di Patrizia Caccia, introduzione di Ada Gigli Marchetti, Milano,
FrancoAngeli, 2013, p. 311.
19 Cfr. SERGIO RAFFAELLI, Si dispone che… Direttive fasciste sulla lingua: antiregionalismo e xenofobia, in “Lingua
nostra”, LVIII (1997), pp. 30-45.
17
I convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina (1925-1987)
Dal 1932 al 1943 si ripete periodicamente la raccomandazione di non pubblicare articoli favorevoli
ai dialetti e alle concezioni regionali, simbolo delle divisioni e particolarismi della “vecchia Italia”;
di non dare rilievo al teatro dialettale, alla letteratura in dialetto e alle traduzioni, come la Divina
Commedia tradotta in bolognese. L’atteggiamento del regime comunque non fu affatto univoco: se
nel 1937 poté venire pubblicata l’antologia di Filippo Fichera Il Duce e il Fascismo nei Canti dialettali d’ Italia, sdoganata dalla prefazione di Filippo Tommaso Marinetti, un anno dopo (25.7.38)
una velina imponeva ai giornali di «Non occuparsi dell’Antologia dei poeti milanesi contemporanei,
a cura di Severino Pagani, editrice Ceschina».20 Il volume, uscito nel 1938, raccoglieva tra l’altro
poesie di Giovanni Barrella, Carlo Baslini, Enrico Bertini, Luigi Besana, Corradino Cima, Antonio
Curti, Luigi Medici. Alla censura nei confronti del Pagani e della poesia milanese, d’altra parte,
non sarà stato estraneo anche il persistente antagonismo che nelle note del Minculpop affiora nei
confronti della nostra città. Così ammoniva una nota del 4 settembre 1933:
La “Stampa” ha pubblicato un articolo, Metropolitano milanese, in cui Milano è detta “metropoli”. Bisogna ricordarsi che in Italia non v’è che una metropoli: Roma.
Sui “giri di vite” del regime, che dovevano «inaridire lo spirito e l’entusiasmo iniziale» avrebbe
poi scritto pagine amare Alessandro Visconti, che nel 1949 faceva il bilancio dei primi venticinque
anni di vita dell’associazione nella sua Piccola storia della Famiglia meneghina,21 ricordando che
tuttavia «se l’associazione voleva vivere, doveva adeguarsi al momento», anche attraverso indesiderati compromessi.22
Il secondo Convegno sui dialetti si svolse il 27, 28 e 29 maggio 1950 nel salone della Famiglia
Meneghina in via Meravigli, in una Milano che ancora mostrava le ferite dalla guerra. Anche di
questo convegno non furono pubblicati gli Atti; il resoconto molto minuzioso delle tre giornate
si può leggere però sulla rivista dell’associazione, dopo l’editoriale del Resgiò Severino Pagani.
Ricordando con orgoglio il successo della manifestazione, Pagani ne indicava gli obiettivi e il significato liberatorio:
Primo: Riunire tutti i cultori del dialetto ed i poeti del vernacolo, perché dopo tanti anni di sconfessione
e di ostilità si ritrovassero, si conoscessero, si affiatassero e si rinfrancassero nei loro sani, alti propositi.
Secondo: Esaminare i rapporti fra la poesia nazionale e quella dialettale.
Terzo: Studiare il modo di rendere più intellegibili i dialetti e, quindi, di più facile diffusione le poesie e
le composizioni in vernacolo.23
Non c’è dubbio che la finalità più importante del convegno dovesse essere la prima, quella di fare
sentire nuovamente la voce di poeti di ogni parte d’Italia, costretti a tacere per tanti anni, e di rivitalizzare la letteratura dialettale, anche sull’onda del rinnovato interesse del neorealismo di quegli
anni per i dialetti. Il traguardo fu pienamente raggiunto e in due riprese si svolse l’Accademia poetica, con la partecipazione di una cinquantina di poeti e con la «simpatica esibizione di signorine in
20
Il titolo del volume è Poeti milanesi contemporanei. Antologia, a cura di Severino Pagani, Milano, Ceschina, 1938.
Sull’ambiguità della politica antidialettale del regime cfr. il brillante volumetto di AURELIO LEPRE, El duce lo ga dito. I
poeti dialettali e il fascismo, Milano, Leonardo, 1993.
21 “Famiglia Meneghina. Rassegna di vita milanese”, 3, maggio-giugno 1949, poi ripubblicata in volume: Piccola
storia della Famiglia Meneghina, Milano, Cordani, 1950.
22 Nel 1931 «è costretta – per sopravvivere – a entrare nella Federazione Provinciale Fascista degli Enti culturali»,
ivi, p. 16.
23 “Famiglia Meneghina” n. 4, luglio 1950, pp. 2-4.
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Silvia Morgana
Copertina illustrata
del catalogo Varon,
Magg, Balestrer,
Tanz e Parin, a cura
di Dante Isella, edito
dalla Biblioteca
Nazionale
Braidense nel 2010.
Copertina del volume
edito dalla Famiglia
Meneghina del 1930,
in occasione del terzo
centenario della nascita
di Carlo Maria Maggi.
costume brianzolo». Appare significativa anche la scelta di lasciare spazio agli ospiti e, per Milano,
di rendere solo un omaggio alla sua grande tradizione letteraria:
I poeti milanesi per dovere di ospitalità verso i Colleghi d’ogni parte d’Italia, hanno quasi tutti rinunziato
alla dizione di loro poesie; in loro rappresentanza, ha porto il saluto agli ospiti, in nome e per incarico
del Comitato ordinatore, l’avv. Luigi Medici, che legge da par suo pochi versi dei classici della poesia
meneghina: Carlo Maria Maggi, Carlo Porta, Domenico Balestrieri.
A tenere il discorso inaugurale (una «dotta, elaborata ed elevata dissertazione») sui rapporti tra
poesia dialettale e poesia nazionale fu chiamato ancora Luigi Sorrento, che già si era occupato ampiamente del tema in precedenti occasioni;24 mentre ad aprire i lavori del Convegno fu un’ampia
relazione di Filippo Fichera sulla Ortografia dialettale,25 che sollecitava a unificare la grafia dei
dialetti:
Occorre agevolare l’uscita della Letteratura dialettale dalle strettoie paesane o cittadine, provinciali o
regionali, onde sia accolta degnamente da tutta la Nazione, come parte integrante della cultura nazionale;
e perché ciò avvenga con sollecitudine, e se ne invoglino innanzitutto gli editori, urge unificare la grafia.
Ogni poeta dialettale deve sentirsi moralmente impegnato in questa ingrata ma doverosa e necessaria, indispensabile fatica. Unificare la grafia dei dialetti è atto d’intelligenza, di decoro, di solidarietà nazionale.
Alla relazione del Fichera seguì un acceso dibattito, che portò a una mozione presentata da Giovanni Crocioni e approvata all’unanimità:
24
A partire dal suo intervento Per la poesia dialettale in Italia per il I Convegno delle tradizioni popolari a Firenze,
maggio 1929 (poi in volume, Firenze, Tipografia classica, 1929).
25 Pubblicata in “Famiglia Meneghina”, n. 5, maggio 1950, pp. 5-9.
I convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina (1925-1987)
[…] Il 2° Convegno dei dialetti italiani
fa voti
perché si pensi una buona volta ad un’edizione nazionale almeno delle opere più importanti dei più degni
poeti, condotta con criteri convenienti così alle giuste esigenze dei moderni lettori, come anche dei dialettologi e filologi, convinto che si renderebbero così servigi preziosi anche agli storici della letteratura
ed, in genere, alla cultura nazionale.
Ed invita gli Editori italiani
Oggi così sensibili alle esigenze ed alle richieste dei lettori, così oculati nella scelta delle opere, a prendere in considerazione il voto e l’invito che il Convegno unanime eleva per il progresso degli studi e
l’incremento della cultura italiana.
In realtà la proposta del Fichera di semplificare e uniformare la grafia dei dialetti, poi ripresa in un
articolo successivo su “Convivio letterario” (n. 3-4, luglio-settembre 1951), suscitò in quel contesto
anche parecchi dissensi, come Pagani ricordava in una sua lunga lettera polemica pubblicata due
anni dopo sulla “Famiglia Meneghina”.26 Piena approvazione riscosse invece la «svelta dissertazione» di Renzo Sacchetti (Il teatro dialettale) nell’ultima sessione del convegno dedicata al teatro,
dato che tutti i presenti concordavano col relatore «sul compito educativo delle scene vernacole alle
quali – secondo alcuni – hanno nuociuto la radio e il cinematografo». La rappresentazione serale
della commedia El marì de mia miee da parte della Compagnia dialettale della Meneghina, diretta
da Barrella, al Teatro della Cassa di Risparmio, e l’inaugurazione, la mattina del 29, della lapide in
memoria di Gaetano Sbodio in via Cerva 20, costituirono un ulteriore omaggio al teatro milanese e
a uno dei suoi massimi interpreti.
Una fisonomia ben diversa ha il successivo Convegno dei dialetti d’Italia (13, 14, 15 dicembre 1968),
promosso dalla Meneghina e patrocinato dalla presidenza del Consiglio, come traspare dagli Atti.27
La manifestazione si configura da un lato come una riflessione scientifica sulle profonde trasformazioni sociali e linguistiche del dopoguerra, dall’altro come una verifica dei metodi di indagine dialettologica. I due decenni trascorsi avevano significato, con l’inizio della modernizzazione del paese, il
boom economico, la scolarizzazione di massa, anche la rapida trasformazione dei dialetti, in contatto
con l’italiano parlato ormai anche nella sfera familiare e diffuso dalla TV. Nel 1964 un provocatorio
saggio di Pier Paolo Pasolini su “Rinascita” (Nuove questioni linguistiche) che sosteneva l’avanzata
di un italiano “tecnologico” irradiato dalla borghesia del Nord industrializzato e la prossima scomparsa dei dialetti, aveva innescato un dibattito con la partecipazione di critici, letterati, linguisti,
scrittori28 (tra cui Alberto Arbasino,29 Italo Calvino30 e Ottiero Ottieri).31 In quegli anni poi erano
usciti anche testi di riferimento fondamentali, come la Storia linguistica dell’Italia unita di Tullio De
Mauro (1963) e cominciavano le prime ricerche di taglio sociolinguistico sul modello sperimentato in
America nei primi anni sessanta da William Labov. L’importanza del convegno fu sancita dalla partecipazione di due tra i massimi nomi della linguistica, come Giacomo Devoto e Vittore Pisani,32 e di
26
SEVERINO PAGANI, Se si scrivessero i dialetti con la grafia italiana la spontaneità andrebbe a farsi benedire, in “Famiglia Meneghina”, gennaio-febbraio 1952, pp. 4-5.
27 Atti del Convegno dei dialetti d’Italia (13-14-15 dicembre 1968), Milano, Famiglia Meneghina, 1970, prefazione di
Severino Pagani.
28 I testi si possono leggere in La nuova questione della lingua. Saggi raccolti da Oronzo Parlangeli, Brescia, Paideia,
1971.
29 Lingua del Nord e narrativa, in La nuova questione della lingua, ivi, pp. 102-104.
30 Per ora sommersi dall’antilingua, ivi, pp. 173-176.
31 Il lamento di un senza dialetto, ivi, pp. 128-132.
32 Vittore Pisani (1899-1990), di origini romane, era stato dal 1938 al 1964 professore ordinario di Glottologia all’Università degli Studi di Milano, dove nel 1947 aveva fondato il Sodalizio Glottologico Italiano.
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studiosi più giovani, destinati a diventare protagonisti della ricerca dialettale in Italia e titolari delle
prime cattedre universitarie di Dialettologia italiana, come Corrado Grassi e Gabriella Giacomelli. Invece l’ampia relazione di taglio storico-critico sulla
letteratura dialettale fu affidata a un italianista, il
più brillante allievo di Mario Fubini, Ettore Bonora.
Mi soffermerò solo sugli interventi più significativi.
La prolusione intitolata I dialetti fu tenuta da Devoto che, divenuto presidente dell’Accademia della
Crusca nel 1963, si era rivolto da alcuni anni principalmente a studi di linguistica italiana e dialettologia.33 Devoto esordì ricordando le scuole scientifiche milanesi di Ascoli e Salvioni, poi la politica
antidialettale del fascismo che aveva segnato una
battuta d’arresto. Il tema centrale del suo discorso
fu però la riflessione sul processo in atto di abbandono del dialetto per ragioni di prestigio sociale:
E osservo oggi nelle campagne, come i genitori, anche
se meno alfabeti dei figli, che frequentano scuole regolari, si rivolgono ad essi, in presenza di terzi, in italiano
(un italiano approssimativo), non in dialetto, come per
adeguarsi e diffondere il proprio prestigio.
Gli Atti del Convegno del 1968 promosso
dalla Meneghina.
Riguardo alla profezia di morte dei dialetti dovuta
a questo processo, il grande linguista ricordava un
postulato fondamentale, quello del plurilinguismo che è connaturato alla persona umana, che «è per
natura non monolingue», dato che il nostro parlare è condizionato sempre dall’interlocutore e dalla
situazione comunicativa, arrivando a ribadire, nel solco di Ascoli, che è una ricchezza possedere un
dialetto. A chi ormai non sapeva più nessun dialetto, osservava Devoto, non si richiedeva «di impararne uno, con una scelta arbitraria o forzata» ma «di essere consapevole della sua povertà, anzi
della sua mutilazione». Conseguenza inevitabile, concludeva, e in questo fu buon profeta, sarebbe
stata la diffusione anche in Italia di un processo che conduce all’ impoverimento e semplificazione
linguistica e infine «all’“analfabetismo sintattico” della lingua dell’uso dei Grandi Magazzini». Anche la relazione di apertura di Vittore Pisani, I dialetti italiani nella storia, dopo un ampio excursus
diacronico (sull’evoluzione del latino parlato nelle varie aree, la differenziazione delle varie parlate
e l’adozione di una di queste varietà, il toscano letterario, come lingua scritta comune), nell’ultima
parte si focalizzava sul presente, sulla sempre maggiore diffusione dell’italiano parlato a scapito
dei dialetti, passando in rassegna i fattori evolutivi: l’unità politica e lo sviluppo delle comunica-
33
Devoto (1897-1974), di origine genovese, aveva studiato al Liceo Parini di Milano e si era laureato in Lettere a
Pavia; dopo aver vinto giovanissimo la cattedra di Glottologia, aveva insegnato dal 1935 a Firenze, dove nel 1967 era
stato eletto rettore, carica da cui si era dimesso pochi mesi prima del convegno, il 31 ottobre 1968, per le contestazioni
studentesche. Nell’ambito dell’italianistica aveva pubblicato Profilo di storia linguistica italiana (1953), Avviamento
all’etimologia italiana (1967), La lingua italiana. Storia e problemi attuali (1968, in collaborazione con Maria Luisa
Altieri Biagi). Nel 1972 sarebbe uscito anche il volume I dialetti delle regioni d’Italia (in collaborazione con Gabriella
Giacomelli).
I convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina (1925-1987)
zioni; il servizio militare, la scuola dell’obbligo; i mass media e insomma «tutto un movimento che
assume l’aspetto di una valanga negli ultimi decenni con la radio e la televisione, necessariamente
in lingua nazionale». Il risultato di questa evoluzione, concludeva Pisani, era che i dialetti «andavano sempre più raccostandosi alla lingua», perdendo di conseguenza le loro specificità e differenze. Il nuovo rapporto lingua-dialetto
creatosi in Italia negli ultimi anni era al
centro anche dell’intervento di Corrado
Grassi, Aspetti sociologici dello studio dei
dialetti in Italia, che sottolineava perciò
anche «un’esigenza di rinnovamento nella
ricerca dialettale, e la conseguente verifica dei vecchi metodi di indagine». Grassi,
allievo di Benvenuto Terracini e docente
di glottologia, si era formato a Torino come
redattore dell’Atlante linguistico italiano, e aveva già dato un contributo nuovo
alla geografia linguistica.34 Grassi portò
al convegno i risultati delle pionieristiche
ricerche dialettologiche sue e dei suoi allievi, condotte con i metodi della sociolinguistica sulla variazione nelle parlate vive
e sulla non unitarietà di ogni parlata in
rapporto ai fattori sociali (in particolare il
grado di cultura, l’età, il sesso, la situazione comunicativa). Oggi possiamo dire che
in quel convegno milanese si delinearono
prospettive di indagine che avrebbero in
pochi anni mutato profondamente il panorama italiano degli studi sulle lingue in Pubblico e relatori al Convegno del 1987:
contatto (i dialetti tra loro e tra dialetti e tra i relatori si riconoscono, da sinistra:
italiano), facendo acquisire come princi- Maria Corti, Ignazio Baldelli e Zarko Muljac̆ić.
pio metodologico fondamentale il fatto che
l’«analisi di un semplice elemento linguistico permette, attraverso le differenze tra i gruppi sociali
di una stessa comunità, di ricostruire la storia della comunità stessa e gli aspetti della vita sociale
in una data area».35
Il 15 e 16 marzo 1980 si svolse a Milano il Convegno dei dialetti lombardi fra l’Adda e il Ticino,
promosso dalla Famiglia Meneghina con la collaborazione dell’Accademia del dialetto milanese. Il
Resgiò Adrio Casati stese una pagina di prefazione al volume degli Atti del convegno,36 mentre la
presentazione scientifica fu affidata a Vittore Pisani. L’anziano ma sempre autorevolissimo maestro,
ricordando come fosse «sempre più urgente il compito di registrare i dialetti prima della scomparsa
dei loro caratteri distintivi», indicava con chiarezza gli obiettivi del convegno e della sua delimita34
Cfr. CORRADO GRASSI, La geografia linguistica. Principi e metodi, Torino, Giappichelli, 1968.
Non analizzo in questa sede gli altri tre contributi: ETTORE BONORA, Poesia letteraria e poesia dialettale; GIAN LUIGI
BARNI, Significato attuale della poesia di Carlo Porta; GABRIELLA GIACOMELLI, Il lombardo nel quadro dei dialetti settentrionali.
36 Atti del Convegno dei dialetti lombardi fra l’Adda e il Ticino, Milano, Famiglia Meneghina, 1981.
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zione geografica: appurare lo stadio attuale dei dialetti lombardi nel territorio tra il Ticino e l’Adda,
con l’inserzione anche dei dialetti della Svizzera
italiana, anche per verificare l’influenza linguistica esercitata da Milano sul territorio circostante.
Parteciparono ai lavori linguisti di chiara fama,
come Manlio Cortelazzo, Carlo Alberto Mastrelli,
lo svizzero Federico Spiess, e giovani ricercatori
sul campo, ma anche letterati e filologi: ne uscì un
quadro molto variegato, ma vitale e dinamico, della
dialettologia e delle indagini in corso e dei progetti
sul territorio lombardo nell’accezione più ampia,
che si riflette nei temi e nei titoli delle relazioni.37
A pochi anni di distanza, il 25 e 26 settembre 1987
la Meneghina organizzò con l’Università di Pavia il
convegno internazionale Koinè in Italia dalle Origini al Cinquecento, con la partecipazione anche
di grossi nomi stranieri.38 L’attento resoconto che
diede del convegno Claudio Beretta su “La Famiglia Meneghina” (n. 1, gennaio-dicembre 1987) e
la stampa degli Atti a cura di Glauco Sanga (Bergamo, Lubrina, 1990)39 mi esime dal parlarne qui
Copertina illustrata della Strenna
diffusamente. Ricordo solo che il filo rosso che atdell’Istituto Gaetano Pini del 1997,
traversava i lavori del convegno era la discussione
dedicata alla figura di Giovanni Rajberti,
sul concetto di koinè come lingua comune usata in
medico e poeta milanese.
una certa area, sulla definizione e uso del termine,
a partire dalla Grecia antica, sulla modalità di formazione di koinè sovraregionali in epoca medievale. Il retroterra scientifico era rappresentato dal dibattito innescato da alcuni importanti studi
37
MANLIO CORTELAZZO, Il dialetto: progresso o reazione?; FEDERICO SPIESS, Teoria e pratica nel lavoro quotidiano del dialettologo; ANGELO STELLA, Filologia lombarda; GIOVANNI PRESA, Italianizzazione del dialetto; CARLO ALBERTO MASTRELLI,
Vocaboli di origine germanica in Lombardia; GIOVANNI DE SIMONI, Indagine toponomastica in provincia di Sondrio; GIOVANNA MASSARIELLO MERZAGORA, Ricerche dialettali nell’area lodigiana; AUGUSTO MARINONI, Lingua e dialetto, PAOLO A.
FARÈ, Ricerche dialettali nelle province di Milano e Como; DINO GABIAZZI, Il vocabolario Italiano-Milanese e MilaneseItaliano etimologico.
38 GIORGIO RAIMONDO CARDONA, Il concetto di “koinè” in linguistica; MARIA ANTONIETTA GRIGNANI, “Koinè” nell’Italia
settentrionale. Note sui volgari scritti settentrionali; IGNAZIO BALDELLI, “Koinè” nell’Italia centrale; ALBERTO VARVARO,
Koinè nell’Italia meridionale; GLAUCO SANGA, La lingua lombarda. Dalla koinè alto-italiana delle origini alla lingua
cortigiana; ZARKO MULJAC̆IĆ, Sul ruolo della koinè nell’elaborazione linguistica; EMANUELE BANFI, Tra diglossia e innovazioni romanze: il ruolo della francocrazia nella grecità medievale; GÜNTER HOLTUS, Sulla problematica di una “scripta”
franco-italiana; GIOVAN BATTISTA PELLEGRINI, Alcuni appunti sulla “koinè” veneta medievale; ANTONIO DANIELE, Adolfo
Mussafia e la genesi della teoria della “koinè” alto-italiana; TINA MATARRESE, Saggio di “koinè” cancelleresca ferrarese; GIOVANNA POLEZZO SUSTO, Sostantivi astratti formati su participi passati nelle frottole di Bartolomeo Sachella; ANNA
CORNAGLIOTTI, La diffusione e l’uso dell’italiano in Piemonte dal Quattrocento al Cinquecento: la koinè nord-occidentale;
SANDRO BIANCONI, Polimorfia in testi pratici della Lombardia svizzera dal ‘500 al ‘700; PAOLA BENINCÀ, Qualcosa ancora
sulla koinè medievale alto-italiana; SERENELLA BAGGIO, Ibridismo o koinè. Il caso di Antonio da Ferrara.
39 Il 25 il convegno si svolse a Milano, presieduto da Maria Corti, il 26 a Pavia, presieduto da Maurizio Vitale.
I convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina (1925-1987)
(in particolare di Dionisotti,40 Ghinassi,41 Durante42) che per la prima volta avevano messo a fuoco
le dinamiche, peculiari della storia linguistica italiana, tra centro e periferia, tra Italia linguistica
toscana e non toscana. Quindi il convegno diede un contributo notevole allo sviluppo delle ricerche
proprio in questa direzione e alla pubblicazione di testi inediti: il risultato concreto fu che dopo pochi anni furono realizzate opere di grande respiro, come L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e
identità regionali, a cura di Francesco Bruni,43 e che si risvegliò l’interesse per la storia delle lingue
e delle culture locali, oggetto di significative indagini tuttora in corso.44
Infine, voglio chiudere con un ricordo di questo secolo: la bella giornata di studio organizzata il 20
ottobre 2005 dall’Associazione Culturale Famiglia Meneghina e dalla Società del Giardino per commemorare la figura e l’opera di Giovanni Rajberti, medico e poeta milanese, nel bicentenario della
nascita. Gli interventi dedicati all’autore de Il Marzo 1848 e de El pover Pill, tenuti in quell’incontro
da Giorgio Cosmacini (Il medico Giovanni Rajberti e la medicina), Paolo Bartesaghi (Tra ricette e
bosinade: la musa “accidiosa” di Giovanni Rajberti), Giovanni Maffei (Del valore satirico di Giovanni
Rajberti), Angelo Stella (La vita l’è on disnà. Assaggi delle ‘esposizioni’ oraziane di Rajberti) e da
me (Ricordando Giovanni Rajberti), poi pubblicati in un numero monografico della rivista “Storia in
Lombardia” (n. 1, 2007), hanno costituito una riscoperta del valore letterario e civile di Rajberti e
il punto di partenza della sua recente rivalutazione.45
L’augurio è dunque che la Meneghina, arrivata oggi al traguardo dei suoi primi 90 anni, continui a
fare sentire sempre alta la sua voce.
40
CARLO DIONISOTTI, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967.
GHINO GHINASSI, Incontri tra toscano e volgari settentrionali in epoca rinascimentale, in “Archivio glottologico italiano”, LXI (1976), pp. 86-100.
42 M ARCELLO D URANTE , Dal latino all’italiano moderno. Saggio di storia linguistica e culturale, Bologna, Zanichelli, 1981.
43 Torino, Utet, 1992 (il capitolo La Lombardia era curato da Paolo Bongrani e Silvia Morgana); poi ristampato come
Storia della lingua italiana. L’italiano nelle regioni, a cura di Francesco Bruni, Milano, Garzanti, 1996 , 2 voll.
44 Cfr. la collana, edita da Carocci, “La lingua delle città italiane”, diretta da Pietro Trifone. Sono usciti finora cinque
volumi: PIETRO TRIFONE, Storia linguistica di Roma, 2008; LORENZO TOMASIN, Storia linguistica di Venezia, 2010; CLAUDIO MARAZZINi, Storia linguistica di Torino, 2012; NICOLA DE BLASI, Storia linguistica di Napoli, 2012; SILVIA MORGANA,
Storia linguistica di Milano, 2012.
45 Cfr. PAOLO BARTESAGHI, Giovanni Rajberti, in Rezipe i Rimm del Porta. La letteratura in dialetto milanese dal Rajberti
al Tessa e oltre, a cura di Luca Danzi e Felice Milani, Milano, Metamorfosi editore, 2010, pp. 9-25; GIOVANNI RAJBERTI,
I poemetti in milanese, a cura di Sandro Bajini, Milano, Viennepierre, 2013.
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Appendice
1
[da “L’Ambrosiano”, XCIII (18 aprile 1925), p. 5, sezione La metropoli]
Il congresso dei dialetti d’Italia
Si inizia domani il primo Congresso dei dialetti d’Italia promosso dalla Famiglia Meneghina. Per la prima
volta i cultori di Letterature dialettali e gli studiosi di “folklore” si raccoglieranno per una discussione non
accademica, che dovrà culminare nella costituzione di un’Associazione alla quale sarà commesso il compito
di organizzare le sparse energie di questa forma di cultura popolare e pubblicare una Rivista che ne accolga
la produzione migliore. L’importanza di questa manifestazione la si rileva non solo dalle larghe adesioni pervenute alla Commissione organizzatrice da ogni parte d’Italia, da autorità e da studiosi eminenti, ma anche
e soprattutto, da quelle di tanti modesti e men noti scrittori vernacoli pei quali questa singolare adunata
assurge a un’esaltazione del dialetto come espressione sincera e profonda dell’anima popolare.
In Italia i cultori del Dialetto si contano a decine; senza parlare di quei poeti che, attraverso la forma dialettale, sono riusciti a esprimere compiutamente l’intima vibrazione poetica dello spirito regionale – tra essi
ricorderemo soltanto come il più illustre e noto, Salvatore di Giacomo – ogni regione italiana conta un cultore
della musa popolare e folkloristica. È la prima volta che essi si troveranno riuniti a Milano in un Congresso
che non avrà certamente tono cattedratico in quanto l’anima popolare rifugge per istinto dalle accademie
che troppo spesso allietano il nostro Paese. Importanti argomenti saranno affrontati e discussi dal Congresso.
Ricorderemo le relazioni che faranno il prof. Matteo Bartoli e il Prof. Giulio Bertoni della R. Università di
Torino sull’Atlante linguistico italiano: argomento che terrà occupata la prima parte della seduta del Congresso. Non meno importante sarà la relazione del prof. Giuseppe Lombardo-Radice e del prof. Eugenio Levi
sui rapporti fra la scuola e la letteratura dialettale.
Abbiamo accennato il proposito di fondare un’associazione fra i cultori di letteratura dialettale e gli studiosi
di usi e costumi regionali. È solamente augurabile che tale associazione si costituisca riunendo in fascio tutte le forze spirituali delle regioni italiane così singolarmente autonome in quanto al linguaggio e così ricche
di usi e costumi caratteristici.
Non è da escludere che a traverso questa fusione anche il linguaggio patrio abbia a giovarsene. Del resto il
dialetto ha sempre servito a dare vigore e colore alla lingua: i rapporti tra l’uno e l’altra furono sempre vitali.
Perciò questo Congresso è sopra tutti importante.
Il Ministro della P. I. on. Fedele, sarà rappresentato alla seduta inaugurale ed un suo delegato assisterà ai
lavori del Congresso: segno questo dell’interessamento suscitato anche nelle sfere ufficiali dall’iniziativa
della Famiglia Artistica.
La cerimonia inaugurale si svolgerà domattina alle ore 9 nella sala delle Asse al Castello Sforzesco, con
l’intervento delle autorità cittadine. Seguirà un ricevimento in onore dei congressisti a Palazzo Marino. Il
Congresso inizierà i suoi lavori lunedì mattina, dopo che i partecipanti avranno reso omaggio al principe
dei poeti vernacoli Carlo Porta, adunandosi attorno al monumento di lui ai giardini pubblici. Le sedute, che
continueranno martedì, verranno tenute nel salone delle Associazioni Scientifiche in via S. Paolo, 10. Lunedì
sera, nel salone della Casa del Giovane, in via Conservatorio, avrà luogo una serata polidialettale alla quale
parteciperanno poeti e dicitori dialettali.
I lavori del Congresso saranno intramezzati dalle visite alla Biblioteca Ambrosiana e al Museo Portiano del
Castello Sforzesco.
I convegni sui dialetti promossi dalla Famiglia Meneghina (1925-1987)
2
[Da “L’Ambrosiano”, XCIV (20 aprile 1925), p. 5, sezione La metropoli]
Il primo Congresso dei dialetti d’Italia
Nella sala delle Asse, al Castello Sforzesco, è stato inaugurato, ieri mattina, alle 9.30, il primo Congresso
dei dialetti d’Italia. Erano presenti il R. Provveditore agli studi prof. comm. Steiner, l’avv. Marella, per il
Prefetto, il comm. Zorzui, per il Ministero della P. I. l’on. Varazzani, il Consiglio della Famiglia Meneghina,
al completo, oltre a numerose personalità rappresentanti i maggiori capoluoghi del Regno.
Dopo le parole di saluto pronunciate dal Presidente della Famiglia Meneghina, on. ing. De Andreis e dal
comm. Steiner, l’assessore Gallavresi, in un breve brillante discorso, spiega come l’iniziativa del Congresso,
dovuta alla Famiglia Meneghina stessa, risponda al modo di sentire del popolo milanese, che nella conservazione del dialetto non ha mire campanilistiche, bensì spirituali ed intellettuali, intese nel senso nazionale.
Il rag. Silvio Vittorio Crepaldi dà lettura delle numerosissime adesioni. Quindi l’oratore ufficiale, prof. Luigi
Sorrento, illustra il periodo romantico, in cui gli studi sui dialetti ebbero sviluppo, e dimostra come, in tutte
le discussioni e le lotte letterarie le questioni dialettali abbiano sempre avuto una posizione quasi centrale.
Dopo una dotta digressione sull’opera del Pitrè. il prof. Sorrento ha svolto il concetto che «sono nemici di sé,
della regione e della Nazione, coloro che nella scala delle realtà spirituali vogliono saltare a piè pari quella
regionale, come egualmente sono nemiche di sé, della regione e della Nazione, coloro che si fermano alla
regione e non vanno oltre».
I congressisti furono poi ricevuti dagli assessori Jarach e Gallavresi, a Palazzo Marino, dove fu inaugurato il
vessillo della “Famiglia Meneghina”.
Nel pomeriggio, presso la sede della Federazione delle Società Scientifiche, si sono iniziati i lavori del Congresso, con la relazione dei professori Lombardo-Radice e Levi sui «rapporti fra la Scuola e la letteratura
dialettale».
3
[Da “L’Ambrosiano”, XCV (22 aprile 1925), p. 5, sezione La metropoli]
Il Congresso dei dialetti
Nel Salone delle Società Scientifiche, via S. Paolo 10, si è tenuta ieri mattina l’ultima seduta del Congresso dei dialetti italiani, indetto dalla Famiglia Meneghina. Dopo la brillante relazione del prof. Bertoni
sull’Atlante linguistico italiano, che verrà compilato sotto gli auspici della Società Filologica Friulana, i
congressisti hanno deliberato di costituire un’associazione fra i cultori dei dialetti italiani, di fondare una
rivista periodica di letteratura dialettale e di folklore e di appoggiare moralmente e materialmente l’opera di
un gruppo di studiosi che inizierà subito la compilazione dell’Atlante linguistico. Sono state nominate due
commissioni: la prima, per la costituzione dell’Associazione, risultò formata dai signori rag. Crepaldi, prof.
Fermi, commendator Cairo, prof. Chiesa, proff. Levi, Decio e Craveri e l’altra, per l’Atlante linguistico, che
risultò costituita dal comm. Badini, prof. Capelli, avv. Cernezzi, on. De Andreis, prof. Sorrento. Nella stessa
seduta fu anche deliberato che il prossimo congresso avrà luogo a Torino.
Nel pomeriggio, i congressisti hanno visitato la mostra dei cimeli portiani al Castello Sforzesco e alle ore 17
si sono riuniti per una cordiale bicchierata, nella sede della Famiglia Meneghina in via Manzoni. Al ricevimento parteciparono tutti i congressisti, che furono salutati con vibranti parole dall’on. De Andreis, dal prof.
Capelli e dal rag. Crepaldi. Risposero alcuni congressisti ringraziandolo per le cordiali accoglienze ricevute
nella capitale lombarda. Poi Eugenio Cirese, rappresentante del Molise, disse alcune sue liriche nel caldo e
armonioso dialetto molisano, che destarono vivissimo interesse e valsero al poeta calorosi applausi.
Durante il ricevimento regnò la più viva cordialità.
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[da “Corriere della Sera”, sezione Corriere milanese, 21 aprile 1925, p. 5]
Il Congresso dei dialetti d’Italia cominciato domenica, è continuato ieri con una visita dei congressisti al monumento di Carlo Porta, ai Giardini pubblici, sul quale è stata deposta una corona d’alloro con la scritta «Il
1° Congresso dei Dialetti d’Italia al Principe dei Poeti Vernacoli». Enrico Bertani ha letto un breve discorso
commemorativo. Indi nella sala di via S. Paolo, 10, il prof. Lorenzoni di Gorizia, ha letto una relazione sui
lavori per la compilazione dell’Atlante linguistico italiano. Nel pomeriggio i congressisti hanno visitato la
Biblioteca e la Pinacoteca dell’“Ambrosiana”. Alla serata polidialettale, nel Salone della Casa dei Giovani,
hanno partecipato Berto Barbarani, veronese; Dolfo Zorzut, friulano; Nino Costa, piemontese; Alfredo Testoni, bolognese; Angelo Canossi, bresciano e Delio Tessa che pel dialetto milanese ha detto tre poesie di Carlo
Porta. Li presentava al pubblico Silvio Crepaldi.
5
Le veline antidialettali del Minculpop
[da: Sergio Raffaelli, Si dispone che... Direttive fasciste sulla lingua: antiregionalismo e xenofobia, in “Lingua nostra”, 58 1997, pp. 30-45]
18.6.1932: Le questioni dialettali non vanno trattate sui giornali, perché generano regionalismi.
13.7.1932: Si ricorda ai giornali di Roma di non dar rilievo al teatro dialettale.
27.7.1932: Disciolta Famija Turineisa per dare un colpo netto ad ogni ritorno allo spirito e alle divisioni
della vecchia Italia.
1.8.1932: V.E. ricordi alle direzioni dei giornali e periodici fascisti locali che Fascismo est intransigentemente unitario stop. Pertanto eventuali articoli favorevoli ai dialetti e alle concezioni regionali
provinciali aut campanilistiche alle divisioni et ai particolarismi della vecchia Italia saranno
immediatamente sequestrati.
31.8.1932: Non si deve più parlare di dialetti né di regionalismi pena il sequestro.
10.2.1933: Ricordare che la lingua unisce, mentre i dialetti dividono.
16.1.1937: Non va riprodotta la notizia della Divina Commedia tradotta in bolognese.
25.7.1938: Non occuparsi dell’Antologia dei poeti milanesi contemporanei, a cura di Severino Pagani, editrice Ceschina.
22.9.1941: I quotidiani, i periodici e le riviste non devono occuparsi in modo assoluto di dialetti.
11.1. 1942: Non riprendere notizie circa i provvedimenti a favore delle lingue regionali in Francia.
3.9.1942: Non occuparsi di teatri vernacoli.
12.4.1943: Non parlare mai di regionalismo. I francesi che avversavano l’unità d’Italia e gli inglesi di oggi
hanno sempre esaltato il regionalismo per combattere l’unità territoriale-politica dell’Italia e
l’unificazione spirituale degli italiani.
4.6.1943: Non occuparsi di produzioni dialettali e di dialetti in Italia, sopravvivenza di un passato che la
dottrina morale e politica del Fascismo tende decisamente a superare.
Silvia Morgana
Università degli Studi di Milano
Silvia Donghi
Per una storia dei nostri fondi librari e d’archivio
La Biblioteca della Famiglia Meneghina patrimonio milanese
La storia della nostra Biblioteca merita di essere raccontata dall’inizio, ovvero dal 1926, a soli due
anni dalla fondazione del Sodalizio. Sulle pagine del “Gazzettino dei Soci” (anch’esso istituito in
quell’anno, e la cui pubblicazione continuerà fino al 1991) viene data la notizia che il club ha deciso
di dotarsi di una biblioteca. Ma fin da allora si pose una questione sostanziale: raccogliere una biblioteca di club tradizionale, che rispecchi gli interessi dei soci e che acquisti le novità librarie del
momento, o piuttosto pensare a qualcosa di diverso, di più “meneghino”? La linea di condotta non
tarda ad essere elaborata e approvata: quella della Famiglia Meneghina sarà una Biblioteca che
raccoglierà esclusivamente libri e documenti che riguardino la città di Milano. Via libera dunque
a testi di storia delle istituzioni milanesi, di storia dell’arte, di cucina lombarda, di teatro e poesia
dialettale. Tutto ciò che pertiene a Milano e, in ultima analisi, al suo territorio (ai luoghi cari ai
milanesi come la Brianza, il lecchese, il comasco, il varesotto, la Valtellina …) entrerà a buon diritto negli scaffali della neocostituita Biblioteca. Da subito, dunque, una Biblioteca specialistica su
Milano: una scelta non comune, coraggiosa, innovativa e ora, a distanza di quasi 90 anni, possiamo
dirlo, vincente.
I nomi dei primi soci che fecero omaggio di volumi alla Biblioteca (creandone così i primi fondi) si
possono rintracciare sia dalle pagine dei vari numeri del “Gazzettino dei Soci”, dove sono sempre
debitamente segnalati, sia dagli indici di cui è provvisto il fondamentale catalogo stilato nel 1955
da Lamberto Diotallevi. Relativamente a questa prima metà del secolo, ricordiamo i nomi di Paolo
L’attuale sala di lettura
della Biblioteca.
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Silvia Donghi
Bianchi (primo in assoluto, che già nel 1926 dona alla Famiglia Meneghina più di 300 volumi),
Luigi Viganò, Rodolfo Bolla, Giuseppe Codara, Luigi Cernezzi, Paolo Bonecchi.
L’anno successivo la Biblioteca viene schedata e aperta ai soci. Dalle pagine del “Gazzettino” si
chiede ai soci di contribuire, donando volumi su Milano e sulla Lombardia.
Questi sono anche gli anni della intensa partecipazione della Famiglia Meneghina alla Fiera del
Libro che, ogni anno, si teneva presso la Loggia dei Mercanti: la Meneghina vi partecipa per varie
edizioni consecutive con un proprio stand (il primo fu disegnato da Daniele Fontana, artista milanese che gravitò attorno al Sodalizio per diversi anni). È l’occasione per pubblicizzare la collana de “I
Libri della Famiglia Meneghina”, che riscuotono da subito un grande successo.
Nel 1938 la Biblioteca conta, secondo la terminologia dell’epoca, «1670 volumi e 617 opuscoli».
Due anni più tardi, con più di 1700 titoli, è ordinata nelle seguenti categorie: Storia, Letteratura,
Poesia, Teatro, Folclore, Arte, Turismo, Statistica e tecnica, Politica ed economia, Varie. Si inizia a
pubblicarne a puntate, sul “Gazzettino dei Soci”, il catalogo, predisponendo una pagina da ritagliare e conservare su ogni numero, per alcuni mesi.
Praticamente tutte le attività del sodalizio si interrompono negli anni più difficili della guerra,
dell’occupazione tedesca e dei bombardamenti sulla città
(1943-1945). Milano è sventrata: la Famiglia Meneghina porta in salvo i propri libri nella casa di campagna del Resgiò, il
Senatore del Regno Pier Gaetano Venino, a Cremnago di Inverigo, in Brianza. Rientreranno a Milano immediatamente dopo
la cessazione delle ostilità: la Biblioteca riapre i battenti già il
1° novembre 1946 e tutto ritorna, nemmeno troppo lentamente
per la verità, ai ritmi consueti. Pare interessante rilevare come
una rubrica sulle nuove acquisizioni librarie della Biblioteca,
sotto varie forme (che si sono evolute e modificate negli anni)
sia stata presente lungo tutto l’arco cronologico di sviluppo del
nostro periodico per i soci, senza soluzione di continuità.
Negli anni Quaranta la Biblioteca era già dotata di un regolamento, sottoscritto ed approvato dalla Commissione per la
Biblioteca appositamente nominata. La consultazione e il prestito erano naturalmente riservati ai soli soci (sebbene venga presa in considerazione la possibilità di fare accedere alla
Biblioteca anche ospiti di soci debitamente presentati e referenziati). Il prestito era sì concesso, ma con limitazioni: non
poteva allontanarsi dalla Biblioteca nessun testo raro, di pregio, e non si prestavano le novità librarie, evidentemente mol- Frontespizio illustrato del primo
to richieste. L’orario di apertura era fissato in quattro/sei ore catalogo a stampa della Biblioteca,
stilato da Diotallevi nel 1955.
settimanali, alla sera o nel tardo pomeriggio. L’archivio della
Famiglia Meneghina ci ha conservato due Registri dei prestiti
dei volumi della Biblioteca (anni 1927-1942, poi 1946-1989). Sporadica negli anni Trenta, l’abitudine di alcuni soci a prendere in prestito i libri della Biblioteca si intensifica decisamente dopo il
1946, per calare nuovamente negli anni Settanta.
Siamo ormai nel 1951 quando il socio e consigliere Filippo Ravizza presenta una proposta in Consiglio per una maggiore valorizzazione della Biblioteca, ritenuta al momento «ignota ai più» e di non
facile accesso, anche per gli orari ristretti. Poi, Ravizza va oltre e rileva come, di fatto, manchi una
bibliografia milanese completa: qui potrebbe entrare in gioco, a suo giudizio, la Famiglia Meneghina, incaricandosi di redigerla, iniziando dalla rilevazione dei volumi della propria Biblioteca fino ad
Per una storia dei nostri fondi librari e d’archivio
“Associa
azione Culturale Biblioteca Famiglia
Meneghina-S
Società del Giardino”
La Famiglia Meneghina alla Fiera del Libro
in piazza Mercanti.
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Silvia Donghi
arrivare a condurre spogli nelle maggiori biblioteche cittadine. L’idea è ottima, lungimirante, intelligente: Ravizza dimostra di aver capito il ruolo della Biblioteca nel contesto cittadino. Il progetto,
assai ambizioso, non ebbe seguito, almeno non nei termini ipotizzati dal Ravizza.
Nel 1954 inizia a porsi il problema dei libri doppi o non pertinenti alle finalità della Biblioteca: sul
“Gazzettino dei Soci” di quell’anno ne viene pubblicato un lungo elenco, e i soci che sono interessati possono acquistare i volumi citati.
Ma è il 1955 l’anno cruciale per il nostro patrimonio librario: l’imprenditore milanese Ambrogio
Binda, titolare delle omonime cartiere, finanzia la pubblicazione del primo catalogo a stampa
completo della Biblioteca: 450 pagine, più di 3000 titoli (tra libri moderni, antichi, periodici,
manoscritti, opuscoli), decine di illustrazioni, e cinque utili indici (per autore, per argomento,
elenco dei donatori, indice delle illustrazioni, sommario). Il catalogo è compilato a cura dell’allora
bibliotecario Lamberto Diotallevi, e riporta una presentazione del Resgiò Severino Pagani, nonché
una bella introduzione a firma di Filippo Ravizza. Ancora oggi il catalogo Diotallevi costituisce un
importante strumento di ricerca per capire i nostri fondi.
Nel 1974 si festeggiano i 50 anni del Sodalizio, e il “Gazzettino dei Soci” esce con un numero monografico dedicato all’avvenimento: contestualmente, Severino Pagani rileva come la Biblioteca abbia
ormai raggiunto e superato gli 8000 titoli. È il 1986 quando Raffaele Bagnoli, allora direttore della
Biblioteca, insieme alle socie bibliotecarie Clara Briatico e Laodice Maffei, informa i soci di come
la sistemazione del patrimonio librario sia ormai divenuta del tutto inadatta alle nuove esigenze. Il
numero dei volumi infatti si avvicina alle 10.000 unità e, al sabato mattina, la piccola sala di lettura
è affollata da studenti e ricercatori: occorrerebbe più spazio, scaffalature più adatte e, non ultimo,
un nuovo catalogo che integri quello del Diotallevi, stilato ormai più di 30 anni prima.
Gli anni Novanta e l’apertura al pubblico
Nel 1994 la Biblioteca, che dalla Famiglia Meneghina era stata ceduta alla neo-costituita Associazione Culturale, è protagonista di un cambiamento radicale. Grazie al fondamentale
sostegno di Regione Lombardia, infatti, apre al pubblico: in
questo modo, d’ora in avanti, non solo i soci ma tutti gli appassionati di storia di Milano possono accedervi. Dal 1995 al 1998
la Biblioteca è collocata nei locali della Società Umanitaria,
ove iniziano i nuovi lavori di catalogazione informatizzata del
patrimonio. Le dott.sse Alessandra Cattaneo prima, e Sara Bonacina poi, coordinate dalla dott.ssa Marina Bonomelli, si occupano di tale catalogazione e del servizio di reference. Vengono
attribuite nuove segnature e nuove collocazioni ai volumi, ma
non vengono cancellate quelle storiche, in segno di continuità.
La Biblioteca viene inserita nell’Anagrafe delle Biblioteche Italiane (ABI),1 nel metaopac Azalai-Consorzio Interuniversitario
Lombardo per l’Elaborazione Automatica (CILEA)2 e, per quanto riguarda il patrimonio delle edizioni del Cinquecento, anche
nella base dati nazionale Edit16.3
1
2
3
http://anagrafe.iccu.sbn.it/opencms/opencms/.
http://azalai.cilea.it/mai/.
http://edit16.iccu.sbn.it/web_iccu/ihome.htm.
L’ex libris della Biblioteca della
Famiglia Meneghina, disegnato
da Giulio Cisari, con il motto latino
Te moneo.
Per una storia dei nostri fondi librari e d’archivio
La Biblioteca oggi
Il resto è storia di oggi. Attualmente la Biblioteca è ospitata (dal 1998) dalla prestigiosa e più che
bicentenaria Società del Giardino a Palazzo Spinola, nel cuore di Milano. Resta una biblioteca privata, ma è aperta al pubblico per la consultazione, tutti i giorni al mattino: non occorre essere soci,
né della Meneghina né del Giardino, per accedervi.
Il patrimonio attuale è costituito da circa 500 libri antichi (editi dal 1501 al 1830), da circa 11.000 titoli
moderni (post 1830), da 340 manoscritti (datati o databili tra il 1870 e il 1960) e da circa 240 testate di
periodici: tutto materiale riguardante quella che ci piace definire come “la memoria storica di Milano”.
Il posseduto è interamente catalogato su supporto informatico: il catalogo on-line, continuamente
aggiornato, è consultabile tramite il sito internet dell’Associazione www.meneghina-societadelgiardino.it. Nel 2004 è stato pubblicato un secondo catalogo cartaceo, quasi 50 anni dopo quello del
Diotallevi,4 e nel 2011 ne è uscito un terzo:5 si tratta di due strumenti che non sostituiscono bensì
integrano il catalogo elettronico con saggi e studi sul patrimonio della Biblioteca, in particolare
sulla parte antica e sui manoscritti di teatro dialettale milanese.
Nel 2009 è stata firmata una convenzione tra la nostra Biblioteca e la Biblioteca Comunale Sormani, che prevede una collaborazione in vista dell’allestimento di mostre (tre quelle già realizzate),
dell’organizzazione di convegni e giornate di studio: questa convenzione ci permette, tramite il nostro
patrimonio, di lavorare insieme all’ideazione di progetti culturali per Milano e per i suoi cittadini.
Il patrimonio della nostra Biblioteca presenta sicuramente caratteristiche di compattezza e uniformità d’ispirazione nella sua articolazione nei vari argomenti che riguardano storia, geografia,
letteratura, poesia, teatro, dialetto, monumenti, economia, diritto, editti, statuti, raccolte statistiche,
religione (e, in particolare, chiesa milanese), arte, guide, tradizioni, usi, costumi, sport, esposizioni
e mostre: insomma la quasi totalità degli aspetti di pensiero e d’azione nei quali si estrinseca la vita
di una città come Milano.
È inoltre possibile riconoscere un gruppo di sei interessanti fondi.
I libri rari e di pregio: edizioni antiche e manoscritti teatrali
La nostra Biblioteca, come si diceva, può contare su un patrimonio di quasi 500 libri antichi (ovvero
stampati entro il 1830), già ampiamente descritti e valorizzati dalla dott.ssa Marina Bonomelli nel
nostro catalogo del 2004. Il nostro volume più antico risale al 1503: si tratta della Patria Historia di
Bernardino Corio, edito a Milano per i tipi di Alessandro Minuziano.
Il Cinquecento è ben rappresentato in Meneghina dalle opere dei due principali storici del tempo,
Corio appunto e Paolo Morigia, di cui conserviamo sia l’Historia dell’antichità di Milano sia La nobiltà di Milano. Il Seicento ci consegna le opere di Andrea Alciati, Tristano Calco, Carlo Bascapè
e Giuseppe Ripamonti, cui Manzoni sarà largamente debitore. Non poteva mancare in Biblioteca (e
siamo nel Settecento inoltrato) la monumentale opera storico biografica di Filippo Argelati, la celeberrima e, per certi versi, tuttora insuperata, Bibliotheca Scriptorum Mediolanensium. Tra i poeti
di questo secolo, la Biblioteca ci conserva le opere di Domenico Balestrieri, Carlo Maria Maggi,
fino ad arrivare a Giuseppe Parini sullo scorcio del secolo e, infine (e siamo ormai nell’Ottocento)
a Carlo Porta. Segnaliamo inoltre, per quanto riguarda la satira politica, la collezione delle annate
1882-1924 del “Guerin Meschino”, donata alla Meneghina nel 1929 dal socio Severo Cappellini.
4
Milano e la sua memoria. Valorizzazione di un patrimonio bibliografico, a cura di Marina Bonomelli, Milano, Cisalpino, 2004.
5 Milano e la sua memoria. Il teatro dialettale e la nuove acquisizioni bibliografiche, a cura di Marina Bonomelli, catalogazione di Silvia Donghi, Milano, Cisalpino, 2011.
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Silvia Donghi
La nostra Biblioteca costituisce inoltre un caposaldo fondamentale per la normativa grammaticale relativa al dialetto (o, diremmo meglio, alla lingua) milanese: la nostra collezione vanta diversi dizionari
di Milanese: il Cherubini (anche in prima edizione, 1814),6 il Banfi,7 l’Arrighi,8 l’Angiolini,9 e infine
l’Antonini.10
Per quanto riguarda invece il materiale non a stampa, possiamo
citare un nutrito gruppo di manoscritti, dattiloscritti e spartiti musicali di copioni e parti cantate di commedie in dialetto
milanese. Sono 340 titoli, in gran parte inediti, tutti datati o
databili tra il 1870 circa e gli anni Sessanta del Novecento.
Tra gli autori più rappresentati: Guido Bertini (1872-1938),
Carlo Bertolazzi (1870-1916), Giorgio Bolza (1880-1945), Paolo Bonecchi (1882-1949, di cui conserviamo anche più di 150
manoscritti autografi, che costituiscono una delle sezioni più
rilevanti del fondo), Giovanni Cenzato (1885-1974), Corrado
Colombo (1861-1933), Gino Rocca (1891-1941), Carlo Righetti (lo Scapigliato più noto con lo pseudonimo di Cletto Arrighi,
1828-1906), oltre naturalmente alla grande e insuperata “triade” del teatro milanese Edoardo Ferravilla (1846-1915, di cui
conserviamo un gruppo di manoscritti che alcuni studi recenti
considerano autografi), Edoardo Giraud (1839-1912) e Gaetano
Sbodio (1844-1920).
Per i titoli editi, i nostri manoscritti a volte testimoniano uno
stadio precedente all’edizione a stampa, a volte ne sono copie
successive. Si tratta per lo più di commedie scritte in dialetto Legatura ottocentesca della copia
milanese: alcune però risultano essere adattamenti per il tea- del dizionario del Banfi conservata
tro milanese da originali in lingua italiana o francese, mentre presso la nostra Biblioteca.
altri sono addirittura traduzioni in milanese da originali scritti
in altri dialetti. Si ha qui l’inequivocabile testimonianza della
grandissima vitalità del mondo letterario dialettale di quegli anni, un mondo in cui le differenze, a
volte anche radicali, tra i diversi dialetti italiani era ben lungi da tradursi in incomunicabilità, anzi,
si cercavano piuttosto scambi e compenetrazioni.
Va da sé che siamo di fronte a documenti estremamente interessanti dal punto di vista della storia
del teatro milanese, dalle origini negli ultimi decenni dell’Ottocento fino a quella che possiamo considerare la sua rinascita con le commedie scritte o rivisitate e interpretate dalla Compagnia Teatrale
della Famiglia Meneghina negli anni Sessanta e Settanta.
Il fondo Lurani Cernuschi
Il fondo, che nel 2004 abbiamo ricevuto in dono da Cecilia Lurani Cernuschi, ammonta a 370
volumi moderni e 16 periodici, tutti facenti parte della ricca biblioteca personale del suo defunto
padre Francesco Lurani Cernuschi. Si tratta di titoli rari e assai interessanti che riguardano aspetti
peculiari e poco noti della storia e delle tradizioni di Milano.
6
FRANCESCO CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, Milano, dalla Stamperia Reale, 1814.
GIUSEPPE BANFI, Vocabolario milanese-italiano, Milano, Gaetano Brigola, 1870.
8 CLETTO ARRIGHI, Dizionario milanese-italiano col repertorio italiano milanese, Milano, Hoepli, (Manuali Hoepli), 1896.
9 FRANCESCO ANGIOLINI, Vocabolario milanese-italiano con segni per la pronuncia, Torino, Paravia, 1897.
10 AMBROGIO MARIA ANTONINI, Vocabolario italiano-milanese, Milano, Libreria Meravigli, 1983.
7
Per una storia dei nostri fondi librari e d’archivio
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Il fondo Faltracco
Il fondo, donatoci nel 2008 da Liliana Faltracco, nuora di Maria Pia Arcangeli (meglio nota come “la
Picci”, indimenticata voce di Radio Meneghina) conta un centinaio di titoli. Denominatore comune
di questa collezione, che la rende a modo suo unica e speciale, è quello di essere nella sua quasi totalità appartenuta proprio a Maria Pia Arcangeli. Nelle pagine di questi libri non è raro leggere note
di possesso e dediche per la Arcangeli scritte da amici, parenti, ammiratori o colleghi: le schede
del catalogo riportano tutte queste notizie laddove presenti. Si tratta per lo più di volumi di poesia
e di prosa in lingua milanese, materiale spesso raro e a circolazione limitata, quasi ascrivibile alla
categoria della letteratura cosiddetta “grigia”, magari pubblicato per una ristretta cerchia di amici.
Il fondo Amici della Scala
Il fondo Amici della Scala, pervenutoci alla fine del 2008 grazie ad Anna Crespi Morbio, conta una
quarantina di volumi (molti dei quali curati da Vittoria Crespi Morbio) documenti preziosi per la
storia del Teatro alla Scala e degli artisti (coro, orchestrali, corpo di ballo in testa, ma anche pittori,
sarti e scultori che ne hanno curato i costumi e ne hanno allestito le scenografie) che lo hanno reso
uno dei teatri più famosi del mondo.
Il fondo Morpurgo Dall’Acqua
È un cospicuo fondo giunto in Meneghina verso la fine dello stesso 2004, donatoci dai coniugi Carlo
Morpurgo e Giuliana Dall’Acqua. Conta più di 300 volumi moderni, oltre a 2 periodici e 17 volumi
antichi. Si tratta di volumi assai rari e pregevoli, principalmente romanzi d’appendice e manualistica, e nel loro insieme rappresentano una preziosa testimonianza della storia del collezionismo
librario e dell’editoria milanese (si tratta principalmente di volumi dell’Ottocento editi da Simonetti,
Sonzogno, Mondadori, Fratelli Treves, Caddeo, Ferrario, Schizzi, Sanvito).
Il fondo Sessa
Il fondo, pervenutoci nel 2012 grazie alla donazione di Adalberto Sessa, nipote del poeta Giannino
Sessa, ci mostra un poeta dialettale milanese attivo a Milano (anche e soprattutto alla Famiglia
Meneghina), in Lombardia e nel Canton Ticino tra il 1894 e il 1947. Raccoglie moltissimi inediti, altrettante minute ed esperimenti, alcune commedie dialettali e gli indici lessicali e tematici
delle poesie approntati dall’autore medesimo, nonché una minuziosa rassegna stampa sulle letture dialettali che teneva spesso in città, svariata corrispondenza con alcuni dei milanesi più noti
dell’epoca, fotografie, bolle di accompagnamento e lettere di e a vari librai per monitorare
l’andamento delle vendite dei suoi libri: tutto
materiale che documenta in maniera estremamente puntuale la sua intensa attività di poeta
dialettale.
Il fondo Negri
Donatoci da Giovanna Negri, per molti anni
funzionario della Regione Lombardia, nel
2012, questo fondo si compone di un centinaio
di volumi sui complessi archivistici lombardi,
e sulla storia delle istituzioni del nostro territorio studiata attraverso i suoi documenti d’archivio.
Cartolina di Ardito Desio alla Famiglia
Meneghina, inviata nel 1954 nel periodo
della conquista del K2.
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Silvia Donghi
L’Archivio storico e i documenti
La storia del materiale che ci accingiamo a descrivere è complessa e non sempre ripercorribile con
chiarezza, e il concetto (basilare per ogni riordino condotto con correttezza metodologica) di unità
archivistica, non sempre risulta definito o definibile. Il materiale conservato non è classificabile né
come appartenente a un archivio di persona né come a un archivio di ente in senso stretto. È altresì
vero, però, che il materiale non librario confluito negli anni in Meneghina è stato conservato con interesse e attenzione, ricevendo in parte anche una catalogazione puntuale, sebbene non rispondente
a criteri di metodo moderni.
Il materiale è modesto per quantità, ma non per qualità. Proviamo qui di seguito a dare un’idea di
questo variegato patrimonio, ancora in fase di ordinamento e di catalogazione, isolando i momenti
“forti” della sua costituzione e i pezzi più significativi.
Composizione dell’Archivio
L’archivio del materiale non librario della Biblioteca si compone di circa 20 faldoni originali, altrettanti faldoni ricostruiti a posteriori, decine di documenti sciolti, più di un centinaio di fotografie,
cartoline illustrate, e curiosità varie. L’ordinamento che si scelse all’epoca fu quello per argomento:
vennero approntati raccoglitori separati, ad esempio, per documenti sulla viabilità della città, sui
parchi cittadini, sul clero, sugli ospedali. Pare proprio che ben poco di quanto accadeva e si scriveva su Milano sfuggisse agli occhi attenti di quanti approntavano gli spogli. Molti di questi articoli
portano date ben antecedenti a quella della costituzione della Meneghina (ce ne sono di datati a
partire dal 1880 circa): il che prova che soci e utenti della Biblioteca andarono a recuperare giornali
e riviste ormai vecchi di decine di anni alla ricerca di notizie che, a parer loro, era opportuno che la
Biblioteca del Sodalizio conservasse.
Molto importante è la cospicua raccolta di manifesti con gride e bandi risalenti al periodo della
Repubblica Cisalpina (tutti in ottimo stato, certamente mai affissi) e la raccolta di mappe settecentesche e ottocentesche della città di Milano, del Ducato di Milano, del Lombardo-Veneto.
Importante e curiosa l’eterogenea raccolta di fotografie e di cartoline illustrate su Milano. Tra le
foto, in particolare, si segnalano: un gruppetto di cinque foto che ritraggono l’area di Piazza della
Scala risalenti ai primissimi del Novecento, sviluppate dal fotografo milanese Cesare Sartoretti; una
Due modelli di tramway milanese a confronto.
Per una storia dei nostri fondi librari e d’archivio
“Associazione Culturale Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Uno dei faldoni dell’Archivio: De minimis non si cura
la storia, ma anche essi concorrono ad illustrarla.
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Silvia Donghi
raccolta di circa cinquanta fotografie, databili tra i primi del Novecento e gli anni Cinquanta, che
ritraggono i vari modelli di tramway che furono in servizio a Milano in quegli anni, ivi compresi i
notissimi gamba de legn; un album databile ai primi decenni del Novecento che raccoglie cartoline
di Milano stile liberty, tutte affrancate e inviate.
Una curiosità: ci è conservato un pionieristico fotomontaggio che vede un campanile gotico spuntare
al centro della piazza del Duomo. Si tratta di una sorta di cartolina pubblicitaria diffusa negli anni
in cui Mussolini decise che anche il Duomo di Milano dovesse avere un campanile. Fu l’architetto
Vico Viganò a vincere il concorso indetto da Mussolini nel 1938, e questa è l’illustrazione del suo
progetto che poi, come sappiamo, non fu mai realizzato.
Resta traccia di un concorso che la Meneghina indisse per premiare la migliore canzone in milanese,
che doveva essere presentata completa di parole e musica. Ci sono conservate 18 buste (numerate
da 1 a 158, dunque con molte lacune) contenenti altrettanti testi e spartiti, dai titoli e dai contenuti
spesso bizzarri ma certamente aderenti al gusto dell’epoca. Come era avvenuto per il concorso per la
miglior commedia in dialetto, pure
lanciato dalla Meneghina nel 1927
(che premiò Giovanni Barrella con
El ball tabarin), i manoscritti dovevano pervenire in forma anonima, contraddistinti ciascuno da un
motto (anche qui, si tratta spesso
di motti assai curiosi), e allegati a
una busta chiusa contenente le generalità del concorrente. Su tutte le
buste, tranne due, la commissione
esaminatrice ha vergato dei vistosi
“NO” a pastello rosso, come a dire
che si tratta di opere scartate. Solo
due sono segnalate come “da ripescare”.
Gli artisti milanesi Giuseppe Palanti (1881-1946) e Pietro Cendali
Tessera della Famiglia Meneghina appartenuta al socio
(1893-?) ebbero intensi rapporti
bibliotecario Costante Bonvini.
con la Meneghina (e non dimentichiamo che la Meneghina ospitò e
organizzò diverse mostre d’arte nel corso della propria attività, almeno una ogni anno, dalle origini fino a tutti gli anni Ottanta). Lo testimoniano, tra l’altro, due cartellette che raccolgono alcuni
schizzi a matita dei due artisti. Cendali, in particolare, studiò a lungo le allieve e le maestre della
scuola di ballo della Meneghina, ritraendole a lezione in una raccolta di 19 disegni eseguiti negli
anni 1960-61.
Negli anni Venti e Trenta del Novecento era certo primaria la preoccupazione, da parte della Meneghina, di avere sotto controllo le opinioni dei giornali riguardo alla propria attività: nel 1926 il
socio Luigino Besana si incarica di raccogliere in un volume tutta la rassegna stampa nazionale
riguardante la Meneghina. Il risultato di questo sforzo, durato (almeno in quella forma) fino al 1929,
è ancora consultabile in Biblioteca dove è infatti conservato un grosso volume intitolato La Famiglia Meneghina nella stampa, costituito da ritagli di giornale incollati e classificati, con indicazione
della data e della testata: una meticolosissima rassegna stampa che copriva non solo i quotidiani
milanesi e locali, ma buona parte della stampa nazionale.
Per una storia dei nostri fondi librari e d’archivio
“A
Associiazione Culturale Biblioteca Famiglia
a
Meneghina-Società del Giardin
no”
Il campanile del Duomo di Milano secondo
il progetto di Vico Viganò.
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Silvia Donghi
Abbiamo traccia, grazie a note manoscritte sui documenti stessi, di diverse cospicue donazioni,
probabilmente avvenute nell’immediato secondo dopoguerra. Per citarne alcune: Tullio Meazza raccolse e donò alla Meneghina materiale a stampa vario riconducibile soprattutto sotto la tipologia
del manifesto o volantino satirico politico. Nicola Cassone fece pervenire alla Meneghina due buste
contenenti documenti molto importanti sulla famiglia milanese Castelli: in particolare, sull’avvocato
Pompeo Castelli (1820-1901), di cui conserviamo anche il diploma di laurea originale, e sul fratello
Giuseppe. Luigi Viganò fece dono al Sodalizio di una importante raccolta cartografica ottocentesca.
Va senz’altro riconosciuto ai curatori della Biblioteca della Meneghina, fin dagli albori, il merito di
aver lavorato tanto e bene in un’ottica tutto sommato già moderna, che vuole la Biblioteca non come
un mero deposito di libri in senso stretto, ma come il luogo di conservazione e circolazione di tutta
una serie di materiale per così dire “grigio” spesso non classificabile ma di importanza fondamentale perché assai volatile e facilmente disperdibile.
Documenti inediti di teatro dialettale milanese: Ferravilla, Giraud, Barrella
Nel corso degli studi preparatori al presente volume sono emersi alcuni documenti inediti di particolare interesse storico e linguistico.
L’archivio della Meneghina ci conserva 20 lettere autografe spedite dal noto attore e commediografo
Edoardo Ferravilla a Giuseppe Magrini (1857-1926), che fu uno dei migliori violoncellisti del tempo. Per 43 anni Magrini tenne la cattedra di violoncello al Conservatorio di Milano; fu violoncello
solista al Teatro alla Scala, concertista e autore di composizioni. Ferravilla sembra dimostrare notevole interesse per la carriera di un giovane violoncellista quindicenne, Pinfari (non ne conosciamo il
nome di battesimo), in procinto di trasferirsi da Genova e intenzionato a studiare al Conservatorio di
Milano. Ferravilla lo raccomanda al professor Magrini: l’allievo inizialmente non brillò, ragion per
cui Ferravilla si fa carico di acquistare per lui un violoncello nuovo per la ragguardevole somma di
350 lire (dopo aver chiesto a Magrini di scegliere il modello migliore), sperando che possa servire a
fargli fare progressi. Dalle lettere si evince poi come Ferravilla abbia mandato alla figlia di Magrini
alcuni scherzi comici, e ne indica anche i titoli: Un cane filosofo e Il buon galantuomo. Non sembra
che tali opere siano note ai biografi del Ferravilla.
L’attore dialettale Edoardo Giraud, nelle sue memorie,11 dedica un intero capitolo alla propria esperienza di insegnante di arte drammatica presso il manicomio milanese della Senavra. Per due anni
vi insegnò senza percepire alcun compenso, e ricorda di avere ricevuto enormi soddisfazioni personali da tale esperienza: Giraud ricorda come i ricoverati imparassero le parti comiche a memoria
più velocemente dei comici stessi, e come fossero assolutamente docili al suo comando, eseguendo
prontamente tutto quello che veniva chiesto loro di fare in scena. Il nostro archivio conserva l’originale della lettera, datata 1881 e a firma dell’allora direttore della casa di cura, che attesta questa
attività dell’attore in una realtà sociale assai delicata. Nell’ambito delle nostre ricerche sono emersi
anche altri due importanti documenti che riguardano Giraud: la lettera che ne attesta, nel 1892, la
nomina a Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, e la lettera della Regina Margherita, vedova
di Umberto I, che lo ringrazia per averle fatto dono della sua ultima pubblicazione.
Sempre a proposito della figura di Giraud, ci è gradito segnalare come, nel corso dell’a.a. 2012-2013,
sia stata discussa con successo presso l’Università Statale di Milano la tesi del dott. Cesare Duvia,
che ha avuto come relatore la prof.ssa Silvia Morgana e come correlatore il prof. Alberto Bentoglio.
Si tratta della trascrizione e dello studio di una commedia inedita attribuibile a Giraud, dal titolo
11
EDOARDO GIRAUD, Le mie memorie, con prefazione di Renato Simoni, Milano, Tip. Reggiani, 1911, pp. 62-63.
Per una storia dei nostri fondi librari e d’archivio
“Associazione Culturale Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Copertina illustrata
dell’“Almanacco della Famiglia
Meneghina” del 1956, dal quale
emerge l’evoluzione sociale e
urbanistica della città degli ultimi
cinquant’anni.
75
76
Silvia Donghi
Biglietto autografo di Edoardo Ferravilla (fronte e retro).
El sur cont Castegna. Il manoscritto ottocentesco (forse autografo o, comunque, rivisto da Giraud
stesso) è conservato nel nostro fondo di copioni manoscritti teatrali.
Conserviamo poi (e lo pubblichiamo in questa sede) un interessante biglietto autografo di Ferravilla
per l’attore, poeta e pittore Giovanni Barrella. Ferravilla accetta, seppure con rammarico, l’allontanamento volontario di Barrella (al tempo attor giovane) dalla sua compagnia teatrale, con decorrenza 16 gennaio 1912. È giusto che Barrella segua la strada dove la sua carriera lo conduce, spiega
Ferravilla, senza astio ma certo con rammarico. Ecco la trascrizione della missiva:
Lettera scritta sul retro dei biglietti da visita, cm 7x11, inchiostro bruno.
12 genn. 912
Carissimo Barrella,
Le sono grato della gentilissima lettera, per quanto mi spiace la notizia della risoluzione. Dopo tutto io
devo chinare il capo di fronte ad un fatto che riguarda il di Lei avvenire. E siccome, ricordo benissimo, io
stesso la consigliai a prendere una via più sicura tanto per l’interesse quanto per l’amor proprio, non posso
oggi negarle quanto mi chiede. E resta quindi stabilito che Lei resta libero dal 16 corrente in avanti, e Le
dichiaro pure che sarò sempre pronto a riaccettarla in Compagnia qualora io reciti o Lei volesse ritornare.
I miei sinceri auguri per ogni bene e si ricordi del di lei amico
E. Ferravilla
Silvia Donghi
Responsabile delle Biblioteche dell’Associazione
e della Società del Giardino
Marina Bonomelli
L’editoria della Famiglia Meneghina (1926-2003)
L’attività editoriale della Famiglia Meneghina ha inizio nel 1926 con il primo volume della collana “I Libri”. La data è piena di significato perché si colloca in un periodo storico che vede Milano
capitale italiana dell’editoria.
Questo primato milanese si è sviluppato fra gli anni Venti e Trenta con l’ascesa di grandi editori
– vere e proprie industrie che contribuirono al processo di modernizzazione dell’attività editoriale
(la Mondadori ne è un esempio) – e con l’affermarsi della figura dell’editore protagonista, capace
di imprimere una forte personalizzazione alle scelte della sua azienda, come hanno fatto Valentino
Bompiani (1929), Giulio Einaudi (1933), Aldo Garzanti (1939) e altri. Ma a questo progresso ha
senza dubbio contribuito anche la nascita di medie e piccole case editrici (come la Ceschina sorta
nel 1925), sostenute da letterati e giornalisti di fama che continuavano a coltivare l’idea di un alto
artigianato a cui affidare le sorti della cultura italiana.1
In quegli anni l’incremento del mercato, sia librario che giornalistico (nel dopoguerra Milano rafforzerà maggiormente questo suo primato) ha generato una produzione editoriale multiforme ed eclettica che va dai romanzi alla saggistica, dai fumetti alla scolastica, dalle enciclopedie ai quotidiani,
dalle riviste alle strenne.2 Si è trattato di una produzione editoriale che schematicamente può essere
suddivisa in due categorie: editoria di cultura ed editoria di consumo, quest’ultima destinata a un
pubblico molto vasto.3
In questo contesto di notevole fermento editoriale, l’attività letteraria, e non soltanto quella milanese, mostra una contraddizione di fondo. Contraddizione che è originata, da un lato, dal totalitarismo
fascista che mirava a utilizzare «l’organizzazione culturale come uno degli strumenti privilegiati di
propaganda politica e ideologica»,4 soprattutto negli anni Trenta, quando il regime cercava di affermarsi con varie forme di sostegno statale in tutti i centri della vita sociale. Da un altro lato, dal fatto
che alcune istituzioni culturali, pur con uno spirito di adattamento e di convivenza con il fascismo,
mantenevano un carattere privato svincolato dagli interessi politici della nazione.
È questo il caso della Famiglia Meneghina, la cui produzione editoriale ben lo dimostra. Così, anche se, per un verso, il consenso al partito è confermato dalle sottoscrizioni editoriali delle pubblicazioni uscite fra il 1930 e il 1936,5 per un altro la sua autonomia è comprovata dalla progettazione
1
ENRICO DECLEVA, L’attività editoriale, in Storia di Milano, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XVIII
(Il Novecento), tomo III (1996), pp. 102-151 e ALBERTO CADIOLI - GIULIANO VIGINI, Storia dell’editoria italiana dall’Unità
ad oggi, un profilo introduttivo, Milano, Editrice Bibliografica, 2004, pp. 56-86.
2 GIANFRANCO PEDULLÀ, Gli anni del fascismo, in Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di Gabriele Turi,
Firenze, Giunti, 1997, pp. 341-381, in particolare pp. 348-350.
3 CADIOLI - VIGINI, Storia dell’editoria italiana, pp. 48-50.
4 PEDULLÀ, Gli anni del fascismo, p. 342.
5 Queste sottoscrizioni mettono in evidenza l’appartenenza della Famiglia Meneghina alla Federazione Provinciale Fascista degli Enti Culturali, quella specifica struttura di partito, fondata nel 1929 (e di cui Leo Pollini, uno degli autori
della Meneghina, era vice presidente), volta a controllare tutte le associazioni culturali milanesi. Cfr. E. DECLEVA, La
cultura sotto tutela, in Milano durante il fascismo 1922-1945, a cura di Giorgio Rumi, Virgilio Vercelloni, Alberto Cova,
Milano, Cariplo, 1994, pp. 11-44, in particolare p. 25 e http://www.fondazioneisec.it/allegati/fondi_isec/pollini.pdf.
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Marina Bonomelli
di queste opere interamente affidata alla laboriosità di alcuni soci intellettuali, tra cui, in particolare, i Presidenti, i Consiglieri e i membri della Commissione di storia, lettere ed arti della Famiglia
Meneghina.
In modo del tutto libero ed indipendente, questi soci hanno definito la suddivisione tipologica
delle pubblicazioni in monografie (libri e opuscoli) e periodici (il “Gazzettino dei soci” divenuto
poi “Rassegna di vita milanese”, l’“Almanacco” divenuto poi “Strenna”), ma hanno soprattutto ben
delimitato l’indirizzo culturale che è rimasto sempre legato al comune denominatore di illustrare el
Milan del dì d’incoeu e quell di temp indree.
In effetti, in un tempo in cui il conformismo al regime sembrava dovesse appiattire la cultura per
«far sparire tutte quelle colorazioni locali per quell’unica aspirazione dell’adorata Madre Patria»,
la Famiglia Meneghina, pur consapevole della necessità di rifiutare gretti campanilismi regionali,
volle riaccendere le vive tradizioni meneghine e il fuoco del suo dialetto che era duramente osteggiato dalle autorità fasciste.6 E ciò venne messo in atto fin dal primo giorno di vita dell’Associazione
quando, il 9 giugno del 1924, con lo statuto in milanese venne costituita ona societaa che l’è stada
battezzada Famiglia Meneghina.
Le tre collane della Famiglia Meneghina editrice (1926-1949)
La formula del libro tascabile non è certo un’invenzione del XX secolo. Se si pensa al rapporto tra
formato ridotto, leggibilità e prezzo, l’idea risale agli inizi del Cinquecento, al grande Aldo Manuzio,
che per primo a Venezia lo ha prodotto nel 1501. Ma se invece si pensa al tascabile, inteso come libro incollato a una copertina illustrata e cartonata, questo di certo è stato il libro che nel Novecento
ha avuto un successo di pubblico senza precedenti.
Ne sono un chiaro esempio le tre collane della Famiglia Meneghina, accomunate tutte dall’utilizzo di questo formato, ma articolate nei contenuti in: “I libri della Famiglia Meneghina” (19261949), “Gli opuscoli della Famiglia Meneghina” (1927-1933) e il “Teatro della Famiglia Meneghina” (1930-1932).
In tutte queste collane è la Famiglia Meneghina editrice a dettare le regole: pianifica la politica
editoriale, commissiona le opere agli autori, decide le caratteristiche dei volumi, fa i calcoli economici e organizza la produzione, imponendosi come anello di congiunzione fra l’autore e il tipografo.
Come si è visto, la collana “I libri” è stata la prima e sicuramente la più importante a essere pubblicata. Venne progettata nell’aprile del 1926, sotto la direzione di Luigi Mario Capelli, professore al
liceo scientifico Vittorio Veneto, assistito da un comitato scientifico del quale facevano parte, oltre
al Resgiò Mario Badini, Rodolfo Bolla, Luigi Cernezzi, Giulio Decio e Ambrogio Annoni.
Il programma comprendeva due serie di dieci volumi ciascuna. Nella prima prevalevano testi di poeti
e prosatori moderni e contemporanei, corredati di prefazioni e commenti, nonché monografie e opere
su argomenti storici, letterari e linguistici e su importanti manifestazioni delle attività commerciali,
economiche, tecniche e industriali di Milano. La seconda serie era rappresentata dalla riproduzione,
naturalmente commentata, di testi rari, curiosità, vedute e costumi della Milano scomparsa.
Della tiratura editoriale in 500 esemplari numerati da 1 a 500, venivano stampate quaranta copie
in 8° su carta a mano e firmate dall’autore, mentre le altre erano stampate in 16° su carta vergata.
Per la pubblicazione venne aperta una sottoscrizione alla quale aderirono enti pubblici e privati,
istituti bancari, numerosi soci della stessa Meneghina e illustri personalità cittadine, come il sinda-
6
VITTORIO SPINAZZOLA, Scrittori, lettori e editori, in Editoria e cultura a Milano tra le due guerre (1920-1940), Milano,
Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1981, pp. 21-35, in particolare pp. 25, 33.
L’editoria della Famiglia Meneghina (1926-2003)
co Luigi Mangiagalli, Walter Toscanini,
l’industriale Davide Campari, l’entomologo Emilio Turati, Guido Besana, e
il gioielliere Annibale Cusi.
I sottoscrittori, come si legge nella Rassegna, avevano diritto ai primi dieci volumi. La quota minima era di 100 lire,
ma ai primi trenta sottoscrittori che
versavano 500 lire venivano dedicati
ad personam gli esemplari di pregio di
ogni tiratura.
Quanto all’aspetto i volumi si caratterizzano per il numero delle pagine,
Due delle incisioni realizzate
superiore a 160, e per le raffinate xilodal Cisari per la Famiglia
Meneghina: la Madonnina e la grafie dell’illustratore Giulio Cisari che
torre del Castello Sforzesco.
prediligeva questa tecnica di riproduzione, perché la considerava un «medium espressivo esemplare» capace di
conciliare l’armonia fra caratteri tipografici e decorazioni del libro.7 Per il bozzetto, Cisari realizzò
quattro matrici lignee: la copertina con lo stemma del biscione entro motivi floreali; due vignette,
l’una con il Duomo e l’altra con il Castello, rispettivamente nei particolari della guglia della Madonnina e della torre di Bona di Savoia; infine la testatina con gli scaffali della Biblioteca della
Meneghina.
Infine, a dare prestigio ai volumi era la qualità della carta delle cartiere Binda8 e Masliano C.M.9
e della stampa della tipografia milanese Luigi Bonfiglio,10 per i primi dieci numeri (1926-1929), e
della ditta comasca Emo Cavalleri11 per i successivi.
Il successo del primo numero – le Poesie milanesi di Giovanni Barrella, Carlo Baslini, Enrico Bertini, Corradino Cima, Giulio Decio, Ambrogio Donegana e Luigi Medici – fu immediato. A soli cinque
anni di distanza la tiratura fu esaurita, le poche copie rimaste vennero vendute a un costo superiore
di ben dieci volte il prezzo di copertina, essendo ormai diventate una rarità bibliografica.
La morte di Capelli, avvenuta nel 1940, non arrestò la produzione che continuò anche negli anni
difficili della guerra, e le opere uscirono in modo costante fino al 1949, quando la collana si chiuse.
In tutto, i numeri ammontano a quaranta e le serie diventano quattro, a cui va aggiunta quella dei
Supplementi che dal 1932 al 1935 pubblica L’autobiografia (De propria vita) di Gerolamo Cardano;
Luca Beltrami nell’aneddoto ed altri appunti folcloristici e Giovanni Mari, poeta e scrittore milanese.
Si tratta di tre opere dal profilo più modesto, pur sempre indirizzate a un pubblico colto, interessato
alla vita milanese.
Tra le gemme spiccano inoltre i Navigli di Milano di Giuseppe Codara (1927); Milano feudale e comunale di Alessandro Colombo (1928); La Zecca di Milano e le sue monete di Marco Strada (1930);
7
Giulio Cisari (Como, 7 maggio 1892 - Milano, 28 marzo 1972) fu un importante illustratore e copertinista, nonché
xilografo e pittore, operò soprattutto a Milano per numerose case editrici, illustrando libri e stampati di enti, istituzioni
e associazioni milanesi. Cfr. Paola Pallottino, ad vocem in Dizionario Biografico degli Italiani <www.treccani.it>.
8 Si vedano i nn. 11, 16-17 della collana.
9 Si vedano i nn. 21-22 della collana.
10 Via Antonio Scarpa 9, Milano.
11 Via Armando Diaz 30, Como.
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Marina Bonomelli
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ardino”
Il frontespizio del primo volume della collana “I Libri”: si tratta della
copia n. 1 della tiratura, riservata al Sodalizio.
Copertina dell’“Opuscolo” n. 3, La
caricadura a Milan di Luigi Mario
Capelli: un vivace volumetto di
curiosità meneghine.
il Dizionario di toponomastica lombarda di Dante Olivieri (1931); le Poesie milanesi di Carlo Porta,
a cura di Decio e Capelli, e i Tipi e macchiette di Milano di Giorgio Bolza e Severino Pagani con
venticinque disegni di Giuseppe Pessina (1946).
Di vita breve e di minor fortuna editoriale sono invece le altre due collane: “Gli opuscoli” e il “Teatro”.
Con “Gli opuscoli”, la Famiglia Meneghina aveva in animo di pubblicare fascicoli di poche pagine, dall’aspetto più semplice, anche se talvolta illustrato. Ma nel loro contenuto dovevano essere
l’espressione più autentica della milanesità, allo scopo di far rivivere le memorie del passato e diffondere commedie teatrali o articoli inediti da presentare a un vasto pubblico di lettori. La stampa
venne affidata alla tipografia di Antonio Cordani,12 lo stampatore milanese del Guerin meschino, uno
dei sostenitori di questo Sodalizio.
Ciò nonostante la collana uscì per pochi anni tanto che i numeri pubblicati sono solo dodici. Fu
iniziata brillantemente con La Maschera di Meneghino dello stesso Capelli (n. 1) e si concluse con
A Natal se piang nò!, una commedia in milanese del Bolza (n. 12). Intanto, con In memoria di Neera,
la Meneghina aveva voluto ricordare la scrittrice milanese Anna Radius Zuccari, tanto letta e tanto
amata in ogni angolo d’Italia (n. 2) ed elogiare, con La Galleria Vittorio Emanuele II e il suo grande
architetto (n. 5) di Luigi Cernezzi, il grande progetto di Giuseppe Mengoni.
Con la terza collana “Il Teatro”, progettata nel 1929, la Famiglia Meneghina volle promuovere la
pubblicazione di testi teatrali da offrire al pubblico al prezzo di sole due lire. Eleganti volumetti in
sedicesimo rilegati con un’artistica copertina disegnata dal pittore Giannino Grossi.13 La direzione
venne affidata al maestro Enrico Bertini, la cui competenza era una sicura garanzia per ottenere la
collaborazione delle migliori penne. Il programma editoriale era molto ambizioso perché compren12
Via Stoppani 7, Milano.
La Famiglia Meneghina per il teatro milanese, in “Gazzettin della Famiglia Meneghina”, Milano, Famiglia Meneghina, a. IV, n. 11 (novembre 1929), p. 1.
13
L’editoria della Famiglia Meneghina (1926-2003)
deva dieci edizioni, che però non riuscirono a soddisfare le
«aspettative dei lettori» e senza il loro appoggio la collana
si chiuse dopo i primi tre numeri: La luna sui tecc. Ona
marsina che va a penèll. I balonitt de carta di Giorgio Bolza
(1930), El club de la cerva di Luigi Medici (1930), vincitore
del premio di 5.000 lire al concorso per una commedia in
dialetto milanese della Famiglia Meneghina del 1927 – a
cui seguì L’anima travasada di Guido Bertini (1932).
L’ultimo aspetto dell’attività editoriale della Famiglia Meneghina editrice era la commercializzazione delle opere.
Nel maggio 1927 i soci decisero di partecipare alla prima
Fiera del Libro di piazza Mercanti con una loro bancarella, ideata da Daniele Fontana, dove poter esporre l’intera
produzione della Meneghina. Il successo dell’iniziativa fu
considerevole, la partecipazione a questa mostra-mercato
venne ripetuta negli anni successivi, tanto che la Meneghina decise di mettere in vendita le sue pubblicazioni nelle
principali librerie cittadine e presso la sede sociale: prima
in Corso di Porta Romana 9 e poi in via Meravigli 7.
Copertina de El club de la cerva.
Reminiscenze storiche milanesi di Luigi
Medici.
Inserzione pubblicitaria in quarta
di copertina di uno dei numeri
dell’“Almanacco” degli anni Trenta:
un sonetto caudato (col coìn) di Giorgio
Bolza pubblicizza i milanesissimi
panettoni Baj.
L’“Almanacco” della Famiglia Meneghina
(1932-1979)
È forse questo il prodotto editoriale più innovativo della
Famiglia Meneghina per la sua formula basata sull’utilizzo
della pubblicità e sulla scelta della tiratura elevata, del
conseguente basso costo unitario (solo 10 lire) e del contenuto: il calendario che a partire dal Seicento è stato in
assoluto la pubblicazione più popolare fra tutte.
Il più delle volte il messaggio è arricchito dal marchio e dallo slogan promozionale di una réclame non invasiva sul testo
e circoscritta alla quarta di copertina e alle pagine di apertura e di chiusura del volume. Il fund raising venne affidato
al socio Maurizio Valdameri che ottenne per molto tempo il
finanziamento da parte di aziende milanesi come la Motta,
la Compagnia di assicurazione di Milano, la Calderoni gioielli, la Carpano, la Richard Ginori, solo per citarne alcune.
Ciò fino agli anni Settanta, quando in un momento di forte
crisi economica queste sponsorizzazioni furono sostituite
dal sostegno della ditta Campari, che dal 1975 al 1978 ne fu
il main sponsor, grazie ai buoni uffici del Cavaliere del Lavoro Angiola Maria Migliavacca, consigliere della Meneghina.
L’“Almanacco” era una pubblicazione annuale che aveva lo scopo di tenere informati i soci (che nel 1936 erano
all’incirca 1.000) sulle iniziative del loro Sodalizio.
Veniva inviato a casa per consentire a ogni socio di «rivivere un po’ del nostro passato e contribuire alla cono-
81
82
Marina Bonomelli
scenza del nostro laborioso presente, conservare
quelle casalinghe e modeste virtù che son la parte meno appariscente, ma non per questo meno
cara e meno intima delle tradizioni milanesi». Nel
1932 fu Capelli a presentarlo, e fu il conte Pier
Gaetano Venino, uomo di profondo slancio intellettuale, a curarne l’edizione per ben undici anni
fino al 1942, quando la guerra ne fece arrestare la
pubblicazione. Riprese nel 1949, fino al 1980 per
altri trentadue anni, senza interruzione.
Durante questa sua lunga vita l’“Almanacco della Famiglia Meneghina” poté rinnovarsi in alcuni elementi formali e strutturali, sui quali vale la
pena di soffermarsi.
In primo luogo, è l’editore a mutare. Dal 1932 al
1975 uscì a cura della Casa editrice Ceschina,14
ritenuta la più idonea per la sua linea culturalmente tradizionalista.15 Ma nel 1976 furono incaricate della stampa l’editrice Virgilio di Elena
Gastaldi, a cui spettò la produzione solamente per
quattro anni, perché nel 1980 l’“Almanacco” uscì
come supplemento della “Rassegna di vita milanese”, il giornale della Famiglia Meneghina.
Poi è la struttura del testo a modificarsi.
Come è noto, fin dal Seicento i contenuti dell’al“Almanacco” del 1932: la pagina del Calendario
manacco sono ben codificati e organizzati. Così
dedicata al mese di gennaio, con relativa
era anche per l’“Almanacco della Famiglia Metestatina illustrata.
neghina”. Infatti, il Calendario inizia con brevi
notizie geografiche, topografiche e statistiche su Milano; poi il Lunario vero e proprio riporta i dati
astronomici e i nomi dei Santi della Chiesa ambrosiana, accompagnati giorno per giorno da notizie
curiose su avvenimenti, piccoli o grandi, che si svolgono in città; segue l’Effemeride delle memorie,
e poi lo Studiolo che, mese per mese, rappresenta la parte più folcloristica con i proverbi, i ricordi,
le feste e le sagre. Anche alla cucina viene dedicato uno spazio con le ricette dei cibi più nostrani;
lo stesso dicasi per la floricultura con il calendario delle semine riservato ai nostalgici amanti di
quest’arte.
Dal 1952 la serie diventa monografica, e ogni annata si focalizza su un tema specifico. È sufficiente
sfogliare l’elenco per rendersi conto che il percorso dell’“Almanacco” tocca tutti gli aspetti della
vita milanese, come: I Resgiò di Milano (1952); Vescovi e arcivescovi (1953); Porte e sestieri (1955);
La linea ferroviaria Milano-Sempione (1956); I teatri (1957); Lo sport (1958); Lo sviluppo industriale
ed economico (1962); Le passeggiate (1965-1967); Le feste e le tradizioni (1968-1969); Alessandro
Manzoni (1973); Rovani e la Scapigliatura (1974).
14
Renzo Ermes Ceschina, (Muronico, Dizzasco, 1875 - ivi 1945). Editore italiano, fondò a Milano nel 1925 una casa
editrice specializzata in pubblicazioni di storia, letteratura e arte, che ha continuato la sua attività fino al 1957, cfr.
ENZO BOTTASSO, ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani <www.treccani.it>.
15 DECLEVA, L’attività editoriale, p. 127.
L’editoria della Famiglia Meneghina (1926-2003)
Per ultimo, è il suo aspetto grafico a cambiare. Ma se costanti sono le sue dimensioni di 24 cm e la
sua consistenza fisica che si aggira intorno alle 150 pagine, differente appare invece la sua mise en
page e la copertina in cui sono riprodotte le vedute milanesi, opera di artisti come Giannino Grossi,
Girolamo Induno, Camillo Cima, Dino Rossi, Mario Tedeschi, Giovanni Manca e Guido Colombo.
Per dieci anni le testate dei mesi ricalcano le incisioni del Missale romanum del 1551, accompagnate da versi presi anch’essi da un calendario anonimo milanese del 1531. Ma dopo la guerra la
pubblicazione assume toni più severi, rare sono le immagini, esclusivamente in bianco e nero, ad
eccezione della copertina che è sempre a colori.
La continuità dell’“Almanacco” negli anni è la riprova della sua fortuna editoriale, il periodico
della Famiglia Meneghina che meglio esprime gli autentici sentimenti di tutti i milanesi. Gli stessi
soci fecero fatica a dimenticarlo, così nel 1995, in occasione del trasferimento della sede da via
Mozart 9 al Palazzo Borromeo d’Adda in via Manzoni 41, venne riproposto in ricordo di un ciclo di
vita ormai concluso.
La Strenna della Famiglia Meneghina (1981-2003)
Nel cinquantasettesimo anno di vita della Famiglia Meneghina, su iniziativa del vice Resgiò Alessandro Gerli, la pubblicazione annuale dell’Associazione appare alquanto mutata nei suoi elementi
illustrativi e grafici, oltreché nel testo. Ne venne cambiato il titolo e l’impostazione editoriale per
coinvolgere un maggior numero di lettori.
Nacque la Strenna, vero e proprio studio monografico, adattato alle esigenze di nuovi interessi culturali e disponibile anche nelle maggiori librerie
di Milano.
Dal 1981 al 2003 la serie comprende venti numeri. All’inizio le dimensioni e la consistenza
fisica sono simili all’“Almanacco”, con il quale
la Strenna condivide il fatto di essere il supporto
promozionale della Famiglia Meneghina sponsorizzato per intero dalla Banca Popolare di Milano
che dal 1979 al 1986 lo pubblica sotto la cura di
Raffaele Bagnoli. Fino al 1996 le prefazioni sono
scritte da Gerli (nel 1988 nominato Resgiò), che si
avvale della collaborazione dell’art director Ettore
Mocchetti.
Solo dal 1991 la Strenna acquista una specifica
autonomia editoriale, anche se poche sono le annate pubblicate con una precisa caratterizzazione
grafica, tra cui si contano le due anastatiche: Da
Milano a Ginevra pel Sempione (1992); L’ultima
preghiera (1993), oltre a Enrico Cernuschi (1994);
La Brianza (1995); Il Lago Maggiore (1996), dal
comune impatto visivo per l’uso di una copertina
rigida colorata.
Il ponte verso gli epigoni è segnato dal Giubileo di
San Carlo Borromeo dell’editore Di Baio (1999); La Strenna per l’anno 1990, dedicata alla chiesa
da Milano, meraviglie miracoli e misteri (2002) e milanese.
83
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Marina Bonomelli
Una curiosa dedica di Luigi Medici, autore de
Il club de la Cerva, all’amico Giovanni Barrella.
da I Navigli (2003) quest’ultime a cura di Roberta Cordani con i quali si chiude la pubblicazione
della Strenna.
Oggi, frutto del continuo sviluppo dei sistemi d’informazione, disponiamo di una nuova tecnologia:
la riproduzione digitale. Di questo nuovo supporto dobbiamo servirci non per sostituirlo definitivamente al libro – come qualcuno teme – ma per preservare dall’uso la copia cartacea custodita in
biblioteca e divenuta introvabile sul mercato.
L’auspicio è che la nuova Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino (2010) voglia servirsi di questa nuova tecnologia. E ciò per conservare nel tempo questo suo
unico e raro patrimonio librario e per diffondere in rete l’eredità di queste antiche tradizioni milanesi, ormai dai più dimenticate. Si realizzerebbe in questa maniera, anche se in modo virtuale, ma
sicuramente adeguato al fine, il monito di Capelli che nel 1933 scriveva: «Ogni buon meneghino
dovrebbe avere nella propria biblioteca il maggior numero possibile delle opere della Famiglia
Meneghina».
Marina Bonomelli
Bibliologa
Alessandro Gerli, Silvia Donghi
Il periodico sociale della Famiglia Meneghina
È il marzo 1926: a meno di due anni dalla fondazione del Sodalizio vede la luce anche il periodico
sociale, denominato semplicemente “Famiglia Meneghina”. Il sottotitolo recita in milanese: “Gazzettin di Soci. Per respirà quell’aria d’ona volta. El ven foeura ona volta al mes”. La testatina in
questi primi anni è del pittore Daniele Fontana: ne realizzerà diverse versioni, ma tutte accomunate
dalla presenza del Duomo, della sua Madonnina e di Meneghin e Cecca, le due maschere milanesi.
Negli anni Quaranta sarà invece Nando Conti a occuparsene, disegnando una testata che raffigura
anche i simboli araldici della Milano comunale.
Un mensile, dunque, di poche pagine (quattro o sei inizialmente), con articoli scritti in parte in
dialetto e in parte in italiano. Per tutti gli anni Venti e Trenta vi si leggeranno articoli per lo più riguardanti la vita sociale: le feste, le conferenze, le mostre, le gite, la biblioteca, lo sport, i resoconti
delle Assemblee e del lavoro svolto dalle varie Commissioni incaricate di gestire e migliorare vari
aspetti della vita del club. Tutte le attività del Sodalizio sono documentate in maniera precisa, e ci
si rende conto di quanto queste impegnassero i già molti soci dell’epoca.
Gli scritti sono spesso firmati solo da iniziali puntate: non di rado, poi, gli autori si mascherano
dietro spiritosi nomi di penna o giochi di parole. Troviamo, ad esempio, pseudonimi come “R.U.
Gabella” (per fare il verso alla sede sociale di allora, in via Rugabella); “El Burigozzo”; “Zenever”;
“B.O. Caccia”.
Negli articoli di questi anni non mancano i riferimenti all’attualità, spesso in prima pagina, specialmente in occasioni davvero particolari per la storia della città e del Paese. Eccone qualche esempio:
nell’aprile 1928 il sodalizio piange insieme con la città per l’attentato alla Fiera di Milano. Nell’ottobre del 1929 la Famiglia Meneghina si congratula con il Principe Umberto di Savoia e con la
Principessa Maria del Belgio per il loro fidanzamento. Nella primavera del 1930 si celebra la visita a
Milano del Presidente del Consiglio dei Ministri Benito Mussolini, ospite della Società del Giardino
per l’occasione. E ancora: dalle pagine del “Gazzettino dei Soci” si annuncia la firma dei Patti Lateranensi del 1929; si commentano le spedizioni al Polo Nord di Umberto Nobile; viene comunicata
l’adesione della Meneghina alla campagna nazionale “Oro alla patria” (e siamo già nel 1936).
Nel periodico trovano spazio, in questi anni, anche vignette umoristiche a fumetti (non sempre firmate), giochi enigmistici spesso in lingua milanese (indovinelli, sciarade, rebus, cruciverba), nonché continui inviti ai soci a contribuire, con le proprie conoscenze, alla crescita del corpo sociale.
Fino a tutti gli anni Quaranta non c’è dubbio che l’impostazione grafica fosse più “familiare”, quasi
artigianale, e forse anche un po’ approssimativa agli occhi del lettore moderno.
La pubblicazione del periodico viene interrotta per alcuni anni a causa della guerra: quello dell’agosto-novembre 1942 è l’ultimo numero, ma già nel novembre 1945 viene dato alle stampe il primo
della nuova serie: in prima pagina campeggia un evocativo dipinto di Nando Conti che mostra un
uomo intento a spalancare una finestra su una piazza del Duomo invasa dalla luce. Il primo articolo
si intitola Signori, si parte!: è l’inizio di una nuova avventura editoriale.
Le tematiche degli articoli variano con il tempo e con gli autori: venendo ad anni a noi più vicini, si
è dedicata particolare attenzione alle cronache (e alle critiche) delle rappresentazioni nei teatri di
prosa cittadini. Molto presenti sono anche, da sempre ma, in particolare, per tutti gli anni Settanta e
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Alessandro Gerli, Silvia Donghi
Le testatine disegnate da Daniele Fontana e da Nando Conti per il periodico sociale
della Meneghina.
Ottanta, i ragguagli sull’attività e sui risultati agonistici della sezione scherma. Negli anni Sessanta
fino a tutti gli anni Ottanta le notizie sulla vita sociale si fanno un poco più rade, e si preferisce dare
maggior spazio ad articoli di altro genere.
Ripercorrendo con occhio critico le vicende del periodico sociale della Meneghina si può quindi
osservare il delinearsi di una evoluzione tipologica caratteriale dei soci, se è vero che gli scritti ne
erano lo specchio: pieno di vivacità e lepidezza verbale fino almeno ai primi anni Cinquanta, dagli
Il periodico sociale della Famiglia Meneghina
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anni Sessanta si fa via via più serio, ed anche un po’ più rigido nella sua impostazione e struttura
editoriale.
Nel secondo dopoguerra viene inaugurata una fortunata serie di interviste a personaggi illustri, realizzate da Maria Sirtori Bolis e Rossano Zezzos. Tra i tanti personaggi intervistati nel corso di due
decadi (molti dei quali fanno dono al Sodalizio di fotografie con dedica), ricordiamo, solo per citarne
alcuni: Dino Buzzati, Totò, Franco Parenti, Carlo Dapporto, Marcello Marchesi, Tino Carraro, Arnaldo Fraccaroli, Vittorio Gassmann.
Ampio spazio viene poi dato ad articoli di approfondimento su varie tematiche di interesse cittadino:
arte, monumenti, viabilità cittadina, moda (verrà istituita una apposita rubrica mensile, curata da
una socia, che guiderà le consocie in questo intricato mondo). Ormai il periodico conta più di trenta
pagine per ciascun numero, ed è accompagnato dal nuovo sottotitolo di “Rassegna di vita Milanese”.
Invece della testatina abbiamo ora una copertina a colori, che raffigura la torre del Filarete al Castello Sforzesco. In questi anni, il periodico è particolarmente ricco di immagini: vedute di Milano,
fotografie di serate al club, inserzioni pubblicitarie di prodotti mirati. Possiamo veramente dire che
la “Rassegna” è stata la cronaca che si fa storia di quasi 70 anni di vita sociale.
Per quanto riguarda la poesia, la “Rassegna” di fatto ha sempre rivestito il ruolo di palestra per i
poeti che gravitavano nell’orbita del club i quali, dalle sue pagine, avevano modo di commentare
con i loro versi spesso scherzosi gli eventi quotidiani, le novità cittadine o la vita sociale. Talvolta
questi componimenti prendevano l’aspetto di veri e propri
certami fra i poeti, che si lanciavano reciproche frecciate
garbate ma non di rado pungenti.
Nel 1974 il poliedrico Silvio Farioli, per motivi di salute,
abbandona la direzione del periodico sociale (che passa
così a Raffaele Bagnoli), tenuta senza soluzione di continuità dal 1947, per 27 anni. La sua penna assai felice
(ricordiamo che fu anche autore di testi per la radio di
un certo successo) aveva tenuto per più di vent’anni una
accattivante e modernissima rubrica dal titolo Confidenze,
e firmata con lo pseudonimo di “Ambrogio Persichetti del
fu Giacomo”: molto ben scritta, in un italiano volutamente approssimativo e spesso farcita di dialetto, divertente
e sopra le righe. Questo appuntamento diventa uno dei
punti di forza del periodico. Per alcuni anni gli farà da
spiritoso contrappunto la rubrica Quatter ciaccer firmata
da “Serafina Cadenazzi in Persichetti”: i due scritti affiancati daranno spesso luogo a vivaci battibecchi per così
dire “coniugali”.
El nost Milan
Nel 1987 esce l’ultimo numero della “Rassegna” diretta
da Raffaele Bagnoli: erano mutate molte condizioni, erano
venuti a mancare diversi collaboratori, e Bagnoli, che era
stato il fulcro dell’attività culturale della Meneghina per
alcuni decenni, iniziava ad avvertire il peso degli anni.
Alessandro Gerli, che era allora vice Resgiò e che avrebbe preso le redini della Meneghina l’anno successivo, non
volle deporre le armi e lasciar terminare così una gloriosa
Dalla “Rassegna”: Silvio Farioli nei
panni di Ambrogio Persichetti, penna
al vetriolo.
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Alessandro Gerli, Silvia Donghi
Copertina della “Rassegna” del 1974, numero speciale uscito
in occasione del cinquantenario del club.
Il periodico sociale della Famiglia Meneghina
Copertina del numero del settembre 1990 de “El nost Milan”:
la facciata del Duomo a campanili binati, secondo il progetto
seicentesco dell’architetto Carlo Buzzi.
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Alessandro Gerli, Silvia Donghi
tradizione come quella qui brevemente illustrata. Trovò un fortunato accordo con una figura di spicco
dell’editoria di allora nella persona di Ettore Mocchetti, art director dei periodici Giorgio Mondadori,
grazie anche ai buoni uffici e ai rapporti di amicizia con Vito Leovino, che in quegli anni ricopriva
il ruolo di amministratore delegato della Giorgio Mondadori. Ettore Mocchetti lanciò l’idea di una
“Rassegna” in una nuova veste, che fosse colta ma non dotta, elegante e raffinata ma al tempo stesso
realizzata con criteri rigorosi ma di facile e gradevole lettura.
Dopo un anno di interruzione (il 1988) il periodico sociale torna quindi nel marzo 1989 con una veste
grafica completamente rinnovata: “El nost Milan. Rassegna di vita milanese della Famiglia Meneghina” ha ora periodicità trimestrale ed esce fino al luglio 1991, anno in cui Alessandro Gerli nel suo
Editoriale si congeda dai propri lettori. Le circa sessanta pagine che compongono ciascuno dei nove
numeri usciti (marzo, luglio, novembre 1989; marzo, giugno, settembre, dicembre 1990; marzo e luglio
1991) sono affidati alle penne di studiosi e giornalisti che si occupano di storia e costume milanese.
Anche qui troviamo interviste a milanesi illustri, storie minime di vicende cittadine, approfondimenti,
curiosità difficilmente reperibili altrove. La linea guida si basava sul recupero di vicende meneghine
del passato, da calare nel presente e contestualizzare con la realtà storica del momento. In particolare,
dalle pagine della rivista Luciano Moia ripropone lo studio di Alessandro Colombo (apparso per la
prima volta sull’“Almanacco” del 1955) sui sestieri della Milano comunale, probabilmente lo studio
più completo nel suo genere, e mai superato.
Una ulteriore fortunata combinazione fu rappresentata dall’appoggio amichevole e disinteressato
di Salvatore Carrubba, allora direttore de “Il Sole 24 Ore”, che invitò a scrivere sulla nuova rivista
molti giovani giornalisti che diedero il loro contributo con passione e generosità.
Ne derivò un prodotto editoriale assolutamente originale, innovativo e carico di giovanile entusiasmo.
La tiratura era ambiziosa (circa 2500 copie per ogni numero), ed era prevista anche la distribuzione
nelle edicole cittadine. La rivista incontrò il sostegno economico di importanti aziende che contribuirono attraverso inserzioni pubblicitarie. Purtroppo, nel 1991, quando questo sostegno venne a
mancare, ci si dovette rassegnare alla realtà dei fatti e chiudere così questa esperienza, probabilmente un unicum nel suo genere nel panorama milanese.
Alessandro Gerli
Silvia Donghi
Edoardo Teodoro Brioschi
La Meneghina e Milano: la pubblicità
Ho avuto modo – nell’Introduzione di questo volume – di richiamare i profondi legami fra la nostra Associazione e la nostra città: legami anzitutto in termini di valori e, di conseguenza, a livello di attività.
Ora, la pubblicità rappresenta un aspetto ulteriore di questi legami.
In una città quale Milano – indubbiamente leader a livello nazionale nel campo della pubblicità
fin dal suo presentarsi in veste moderna nella seconda metà dell’Ottocento1 – non stupisce affatto
che anche un’Associazione quale appunto la Famiglia Meneghina se ne sia fatta promotrice: anzi,
costituisce una conferma dei legami in questione.
È parso dunque opportuno trattarne in questa pubblicazione, ripercorrendo circa una settantina
d’anni dei 90 che qui vengono ricordati.
Ciò è stato reso possibile, in modo specifico, dalla presenza fin dal 1926 – ovvero a un paio d’anni solamente dalla costituzione del Sodalizio – di un periodico mensile – inizialmente denominato “Famiglia
Meneghina” con sottotitolo, prima “Gazzettin di Soci”, poi “Rassegna di vita sociale” – che ha continuato ad apparire fino al 1991, avendo mutato il suo titolo negli ultimissimi anni in “El nost Milan”.
Ma procediamo per ordine.
Milano, la Meneghina e la pubblicità
Già ho ricordato il ruolo di leader – o di capitale, se tale qualificazione piace di più – assunto da Milano nel settore della pubblicità e questo nell’ambito di un primato – ancor più rilevante – assunto
nella vita economica del Paese.
Così in un incisivo contributo di questo volume2 Carrubba annota «Fin dall’inizio, Milano […] alimenta i nuovi canali dello sviluppo e dell’imprenditorialità, dando vita a strutture finanziarie e di servizio
altrettanto importanti di quelle produttive. Milano non è solo città di fabbriche, insomma: la Borsa, le
grandi banche, i grandi centri di servizio negli anni Venti del Novecento hanno già fatto di Milano il
centro economico del Paese, sull’onda anche dei precedenti, grandi eventi espositivi che erano culminati nell’esposizione internazionale del 1906 celebrativa dell’apertura del traforo del Sempione».
Non va dimenticato, al riguardo, che si incomincia a parlare di “Grande Milano” – con l’ambizioso
obiettivo, ovviamente, di dar vita a una città metropolitana – fin dai primi anni Venti.
In questa Milano che cresce, che si afferma, che si distingue per la sua ansia di sviluppo e di imprenditorialità si distingue e si impone anche il nostro Sodalizio.
«Nella Meneghina – sottolinea Gerli nel suo basilare contributo in questa pubblicazione3 – i Soci,
che andavano viepiù aumentando, arrivando a superare il numero di mille già negli anni Trenta,
trovavano tutti gli svaghi tipici del club, uniti alla schietta convivialità della tavola, ma, soprattutto,
1
Per un approfondimento si rinvia a EDOARDO TEODORO BRIOSCHI, Elementi di economia e tecnica della pubblicità, vol.
1 – Dai primordi alla pubblcità moderna, Milano, Vita e Pensiero, 1984.
2 SALVATORE CARRUBBA, La Milano degli anni Venti, infra, pp. 37-48.
3 ALESSANDRO GERLI, Dalla Famiglia Meneghina alla Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società
del Giardino 1924-2014, infra pp. 21-36.
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Edoardo Teodoro Brioschi
una fucina di iniziative editoriali e culturali veramente unica in Milano».
Non si tratta tuttavia di uno sviluppo puramente quantitativo, mi preme
ricordare, poiché negli stessi anni Trenta aderiscono alla Meneghina «persone di grande caratura della società milanese o per tradizione familiare
o per incarichi civili o perché espressione di un mondo artistico e professionale dell’epoca».
Così poi, con riferimento al terzo Resgiò della nostra Associazione, il gentiluomo milanese senatore Pier Gaetano Venino – siamo ancora all’avvio
degli anni Trenta – si rileva come già «con lui la Meneghina prende una
linea signorile, che coltiva parimenti nella mondanità e nel suscitare iniziative nel campo culturale».
Ora, sullo sfondo di una Milano in grande fermento e sviluppo e di una Meneghina in via di crescente ed incisiva affermazione si comprende l’appello che, dalle pagine del periodico sociale – la cosiddetta “Rassegna” per
brevità –, viene rivolto agli operatori economici (industriali, commercianti
ed esercenti) perché usino tale periodico per la loro pubblicità, potendo
infatti così rivolgersi ad una “scelta clientela”.
Tale pubblicità, che raccoglie naturalmente molti annunci di realtà economiche locali, propone però anche diverse aziende, la cui notorietà raggiungerà l’intero Paese per poi pure estendersi al di là di questo.
Il panorama pubblicitario nazionale
A titolo introduttivo, perché si comprendano adeguatamente le motivazioni specifiche dello sviluppo della pubblicità in Italia, vale la pena di ricordare come – in modo specifico sulla base delle
sollecitazioni provenienti da altri Paesi economicamente più evoluti e dagli Stati Uniti in particolare –, anche in Italia le aziende e fra queste, più direttamente, le aziende industriali abbiano negli
anni successivi alla Prima Guerra Mondiale e specialmente nel corso degli anni Venti del secolo
scorso iniziato o portato avanti un processo di revisione, di razionalizzazione dei criteri organizzativi seguiti e degli stessi indirizzi di conduzione cui si erano in precedenza affidate.
Ed è, dunque, nell’ambito di questo processo di revisione e di riorganizzazione dell’azienda e del
suo operato che anche lo strumento pubblicitario viene ad essere oggetto di una crescente attenzione
sia a livello operativo da parte degli imprenditori, sia a livello teorico da parte di studiosi e tecnici.
Tale attenzione si traduce in particolare nella creazione di uffici pubblicità (chiamati anche talvolta
uffici propaganda o uffici stampa, cui presiedono giornalisti, pubblicisti, uomini di cultura, artisti)
in diverse decine di aziende. Un fenomeno questo, che assume il debito rilievo se confrontato con
il carattere del tutto eccezionale che rivestiva l’istituzione di tali uffici ancora negli anni precedenti
la Prima Guerra Mondiale, quando chi si occupava direttamente della pubblicità era in un numero
stragrande di casi lo stesso titolare o contitolare dell’azienda (possono essere infatti qui ricordati gli
esempi notissimi di produttori del settore degli alimentari, delle bevande, dei prodotti farmaceutici
e dei cosmetici, fra cui Battista, Bisleri, Campari, Gazzoni e Stock).
Nell’ambito delle aziende che istituirono degli uffici pubblicità, poi, accanto ad alcuni dei nomi più
prestigiosi dei settori tradizionali dell’industria italiana troviamo la Fiat, la Montecatini, la Olivetti,
la Snia Viscosa, oltre ad aziende quali la Ferrania, la Lagomarsino, la Necchi e la Schiapparelli. E
accanto a queste troviamo ancora le consociate italiane di aziende straniere, quali la Gevaert o la
Schering che pure vanno costituendo propri uffici interni di pubblicità.
La creazione di tali uffici appare d’altronde giustificata dalla quantità crescente di nozioni, di cui
La Meneghina e Milano: la pubblicità
risulta indispensabile la conoscenza per fare un uso razionale della pubblicità, tanto più che questa
va ulteriormente sviluppando i propri mezzi: accanto alla stampa, alla pubblicità esterna, alla pubblicità diretta, alla partecipazione a fiere e mostre, si presentano infatti il cinema e la radio.
Con questi ultimi la gamma dei mezzi fondamentali o classici della pubblicità tende, dunque, al
completamento: l’ultimo mezzo da esaminare – per quanto riguarda il periodo qui considerato – sarà
la televisione, la cui comparsa nel nostro Paese riguarda però gli anni Cinquanta per affermarsi
tuttavia in modo decisivo negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.
Mentre aumentano i mezzi basilari a disposizione della pubblicità, si vanno altresì perfezionando
nel nostro Paese lo studio e, quindi, la tecnica di impiego dei mezzi stessi.
Tale corrente di studio prosegue e si potenzia tra le due guerre mondiali.
Un ruolo particolarmente importante è svolto al proposito da una rivista, “L’Ufficio Moderno” sorta
nel 1926 e cui per diversi anni e con responsabilità crescenti nell’ambito della Sezione “pubblicità”
ho avuto anch’io modo di operare.4
Da rilevare, inoltre, che nel 1933 si svolge, a Roma e a Milano, su invito dell’Unione Continentale
della Pubblicità il Congresso Internazionale della Pubblicità.
Un’avventura tutta meneghina: la pubblicità della Campari
Già è stata ricordata – fra le aziende utenti di pubblicità più significative – la Campari, che ha pure
utilizzato con notevole frequenza per la sua pubblicità il periodico della nostra Associazione, la
cosiddetta “Rassegna”.
Ora, nell’ambito delle molteplici tecniche utilizzabili al riguardo, l’approccio seguito è stato
piuttosto originale non tanto se considerato in
decenni ormai lontani, ma se preso in esame ai
giorni nostri.
La Campari ha infatti pubblicato sul nostro periodico – per diversi decenni – dei componimenti
poetici di uno specifico autore, Corradino Cima,
appartenente ad una nota famiglia di cultori della parlata e delle tradizioni ambrosiane.5
Questi componimenti, che hanno per oggetto il
Cordial Campari, il Bitter Campari o il Campari
Soda, appaiono di due tipi:
– il primo riguardante situazioni le più diverse,
anche se finalizzate ovviamente a proporre i
prodotti in questione;
– il secondo focalizzato su aspetti specifici dell’azienda quali, ad esempio, i suoi punti di vendita.
Ne propongo due esempi: Delitt (anni Venti) e
I Vedrinn (anni Trenta).
4
La mia presentazione ufficiale su tale rivista avvenne nel 1965 con l’articolo L’efficacia di una campagna internazionale di pubblicità poggia sulla soluzione di tre problemi, in “L’Ufficio Moderno – La Pubblicità”, 1965, 9. Da notare,
la particolare rilevanza attribuita in quegli anni – ed anche in anni precedenti – alla pubblicità, tanto che questa era
entrata addirittura a far parte del titolo della rivista.
5 Si veda, a titolo introduttivo, il sito www.milanesiabella.it a cura di Angela Turola Peirone.
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Edoardo Teodoro Brioschi
L’approccio deve essere stato particolarmente
efficace se la collaborazione fra l’azienda ed il
suo poeta è durata così a lungo, tanto che il poeta stesso si domandava – ad una ventina d’anni
dall’avvio di questa attività – quali potessero
essere le motivazioni del suo impegno. Divertimento per se stesso e soddisfazione per avere
consigliato dei prodotti di qualità: questa era la
sua risposta.
Soddisfazion (anni Quaranta).
L’efficacia della pubblicità era comunque – allora come oggi – il problema fondamentale per
un impiego della stessa che fosse davvero razionale: si trattava, infatti, di perseguire degli
obiettivi e non semplicemente di farsi notare in
questo o quel mezzo o veicolo.
Da rilevare infine nei componimenti in esame
anche il riferimento al mezzo televisivo già negli
anni Sessanta in via di crescente affermazione
A la television (anni Sessanta).
La Meneghina e Milano: la pubblicità
“Asso
ociazion
ne Cultura
ale
Bibliottecca Famiglia
Meneghina
a-S
Società del Giardino”
Pagina pubblicitaria della Campari in quarta di
copertina dell’“Almanacco” del 1978.
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Edoardo Teodoro Brioschi
Immagine pubblicitaria
della Campari apparsa
a tutta pagina
sull’“Almanacco” del 1968.
“Associaziione Culturale
Biblioteca
a Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Qui riportato singolare potrebbe, infine, apparire il fatto che fosse stato addirittura pubblicato un
volumetto che raccogliesse tutti questi componimenti se ciò non fosse avvenuto in un’occasione del
tutto speciale e cioè per il primo centenario della Campari e, d’altronde, se la collaborazione con
Corradino Cima non avesse coinvolto un così lungo periodo di tempo.6
Per inciso la Campari va anche ricordata per aver fatto ricorso nella propria pubblicità a un movimento artistico quale il Futurismo.
6
CORRADINO CIMA, Cento e più sonetti Campari autografi: nel primo centenario della ditta Davide Campari, Milano,
Cordani, 1958.
La Meneghina e Milano: la pubblicità
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Pubblicità illustrata del
vermouth Carpano
tratta da un “Almanacco”
della Famiglia Meneghina.
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Ricorda in proposito Carrubba nel suo già citato contributo: «Negli stessi anni – gli anni Venti del
secolo scorso – il Futurismo, che a Milano aveva avuto la sua culla, evolve in una tendenza geometrizzante di cui sono espressione Fortunato Depero (che per Milano realizza, tra l’altro, importanti
contributi per la nascente industria pubblicitaria, come le campagne per Campari); ed Enrico Prampolini».
Lo sviluppo della pubblicità e il ruolo delle banche
Il periodico sociale della Famiglia Meneghina è senz’altro un osservatorio limitato: risulta ad ogni
modo possibile, anche attraverso la cosiddetta “Rassegna”, cogliere l’evolvere dei settori oggetto di
pubblicità probabilmente di maggiore interesse per i lettori.
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Edoardo Teodoro Brioschi
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Dall’“Almanacco” della Famiglia Meneghina: una pagina pubblicitaria
che reclamizza le radio Allocchio Bacchini.
La Meneghina e Milano: la pubblicità
Mentre troviamo sullo sfondo – a partire dagli anni Venti – aziende che offrono prodotti per una
clientela di classe (gioielleria, argenteria e pellicce fra questi), si assiste nel secondo dopoguerra e
nei decenni successivi alla crescita della pubblicità riferita:
– da un lato – in corrispondenza alla ripresa di uno stile di vita normale e più abbiente – ai prodotti
alcolici (Bisleri, Stock e Zucca sono fra le aziende di questo settore);
– dall’altro agli elettrodomestici con riferimento, in modo specifico, alla modernizzazione della vita
di casa avviata in particolare tra gli anni Cinquanta e Sessanta con il cosiddetto boom economico;
– dall’altro ancora – con riguardo ad una migliorata situazione economica e finanziaria come pure
ad un crescente desiderio di una vita maggiormente di svago e divertimento – agli immobili e al
turismo.
Dagli anni Venti e, in crescendo, nei decenni successivi troviamo infine la pubblicità di banche (fra
cui la Banca Commerciale Italiana, la Banca Popolare di Milano, la Cassa di Risparmio e l’Istituto
San Paolo) e di aziende di assicurazione. Scriverà in proposito Gerli in un suo breve appunto:7 «Questa fortissima presenza di pubblicità è una bella testimonianza di quanto la Meneghina fosse inserita
nel tessuto economico e sociale della città – oltre che in quello più squisitamente culturale – così
da essere considerata meritevole di un sostegno oltre che utile veicolo di promozione pubblicitaria».
Da ricordare, in ogni
caso, che le aziende bancarie sono state nella storia della Meneghina particolarmente benemerite
per il finanziamento di
molteplici attività e iniziative.
Penso, anzitutto, all’informatizzazione della nostra
Biblioteca nel corso di
diversi anni e all’edizione
dei due suoi superbi cataloghi in meno di un decennio: nel 2004 è stato
infatti pubblicato il catalogo Milano e la sua memoria. Valorizzazione di un
patrimonio bibliografico e
nel 2011 Milano e la sua
memoria. Il teatro dialettale e le nuove acquisizioni
bibliografiche, entrambi in
cartaceo e a cura di Marina Bonomelli, editi da Il periodico sociale della Meneghina invita all’acquisto di prodotti
Cisalpino.
di bellezza per la donna.
7
Ringrazio Alessandro Gerli per avermi gentilmente fornito informazioni riguardanti il sostegno da parte delle istituzioni bancarie e delle imprese milanesi alla Meneghina.
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Edoardo Teodoro Brioschi
“Assocciiazione Culturale
Biblliioteca Famiglia
Meneghina
a--Società del Giardino”
Due annunci pubblicitari dell’Acqua Giommi: la prima è in forma di fumetto, ed è tratta dal
periodico sociale della Meneghina, mentre la seconda (che richiama il gioco del calcio, grande
passione nazionale) fu usata come quarta di copertina di un “Almanacco”.
Penso poi alla stessa pubblicazione di questo volume per il nostro anniversario.
Tutte queste iniziative – che fossero di carattere tecnologico oppure editoriale – furono promosse –
con la nota perseveranza e la passione già ricordata – dal vice presidente Alessandro Gerli, che si
occupò, poi anche, delle relative operazioni di finanziamento.
Per quanto mi riguarda – e mi avvio alla conclusione – la presenza della pubblicità nel periodico
sociale del nostro Sodalizio riveste comunque una specifica rilevanza – non solo per l’apporto economico che essa ha dato alla vita e all’attività dell’Associazione –, ma anche e direi soprattutto per
essere stata una dimostrazione ulteriore dei legami tra questa ed il tessuto economico della città,
da un lato, nonché dell’importanza che l’ascolto da parte di un consistente e significativo nucleo di
“meneghini” ha rivestito per quel tessuto economico, dall’altro.
Edoardo Teodoro Brioschi
Alberto Bentoglio
La Famiglia Meneghina per la rinascita del teatro milanese
La scena teatrale in dialetto milanese ha, come è noto, origini lontane, e in più di quattrocento anni
di vita ha annoverato un numero considerevole di letterati, poeti, attori e drammaturghi che ad essa
si sono dedicati, offrendo a volte contributi determinanti per lo sviluppo della storia del cosiddetto
“teatro maggiore”. Molti sono i nomi che si possono citare: Carlo Maria Maggi, in primis, che inventa
nel XVII secolo il personaggio di Meneghino, Carlo Porta che sulle scene e alle scene dedica parte
della propria attività e, soprattutto, Giuseppe Moncalvo che, nato nel 1781, perfeziona il carattere
milanese di Meneghino, ruolo che poi non abbandonerà più, fino alla fine della sua carriera. Per
ottenere i consensi del pubblico che affolla il popolare Anfiteatro diurno dei Giardini Pubblici egli
introduce, infatti, sistematicamente, ma con grande senso della misura, il carattere di Meneghino
in tutte le commedie presenti nel suo repertorio, riscrivendo il testo originale. Il Burbero benefico,
Un curioso accidente, Gl’innamorati (ma anche Il servitore di due padroni) di Goldoni e molte altre
celebri piéces comiche divengono così spettacoli interpretati da Meneghino (per esempio, Arlecchino, servitore di due padroni) permettendo a Moncalvo, in tale modo, di diffondere e nobilitare
la maschera del tipico carattere milanese. Da notare il fatto che questa straordinaria operazione di
riscrittura del testo in meneghino avviene il più delle volte in diretta, senza alcun lavoro preparatorio, come ci testimonia il giornale “La Farfalla” che, nel dicembre 1829 scrive: «Non è a dire con
quanta perizia questo eccellente attore sostenga simile carattere e con quanta facilità travesta nel
patrio dialetto il dialogo, che dal rammentatore gli viene letto quale fu scritto dall’ autore in lingua
italiana. Quanti sali, quanti felici tratti comici, quante lepidezze vi abbia aggiunto con tanta facilità
che essi sembrano scorrere dalla penna dello stesso autore». Del resto, sin dalla metà del XVIII
secolo, la scena dialettale sviluppa a Milano una propria autonoma posizione all’interno del tessuto
teatrale cittadino. È bene ricordare che per almeno due secoli si recita in milanese non solo negli
Anfiteatri diurni e nelle Accademie filodrammatiche, ma anche al Teatro Re, al Teatro Carcano, al
Santa Radegonda e alla nobile Canobbiana, sale teatrali che ospitano con una certa continuità compagnie di attori dilettanti o professionisti intenti a proporre rappresentazioni in dialetto. Persino le
celebri marionette del Teatro Fiando raccontano in milanese le disavventure di Meneghino affamato
senza denari, invitato a pranzo da tutti e che non mangia mai o quelle di Meneghino schiavo tra i
corsari, condannato a morte, salvato dal naufragio e buffone del Pascià.
L’idea di una compagnia dialettale tutta milanese trova un suo primo assertore in Camillo Cima
che, nato a Milano nel 1827, trascorre l’intera sua esistenza nel capoluogo lombardo, impegnato
nelle arti figurative (praticate con buon riscontro) e nella scrittura drammaturgica e giornalistica.
Nel 1867, egli collabora con “La frusta”, dalle pagine della quale inizia a promuovere la fondazione
di una compagnia dialettale milanese che affranchi il teatro meneghino dal dilettantismo in cui si
trova: «Il dialetto è la lingua della natura, della verità, del cuore! Perciò […] nella commedia in dialetto troviamo la naturalezza, la verità, il cuore che nell’altra commedia non c’è. […] Facciamo noi
per la nostra città una commedia in milanese, e avremo pari risultato. Non verranno in teatro certi
maestri di lingua; ma pazienza, ne avvantaggerà il buon senso! Il più difficile sta nel sapere se ci sia
più necessario l’avere buone commedie, o una buona compagnia che le rappresenti». E, con Cima,
è doveroso almeno citare Carlo Bertolazzi, Cletto Arrighi, Edoardo Ferravilla protagonisti indiscussi
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Alberto Bentoglio
della grande stagione del teatro dialettale milanese. Un periodo straordinario ma cronologicamente
breve poiché, dopo la proclamazione dell’unità d’Italia, il dialetto in scena inizia progressivamente
a essere ascoltato con un certo sospetto dalla critica e spesso anche dalla cultura ufficiale. Scrive al
proposito la “Gazzetta di Milano” il 19 febbraio 1860: «Quando Goldoni dettava le sue commedie in
dialetto veneziano, la cosa era concepibile, perché l’Italia esisteva solo geograficamente, era frastagliata, niuna la comunanza d’interessi. […] Ora tutto è cangiato, ed il pensiero di tutti gli italiani è
quello di fondersi insieme, tutto accomunare, interessi, tendenze, leggi, governo e lingua. La coltura
che in ora si vorrebbe far rifiorire dei dialetti si oppone a questo scopo, e la lingua uniforme, più di
quel che si crede, contribuisce all’avvicinamento degli animi, alla concordia».
Di parere differente è, per nostra fortuna, il poeta, attore, commediografo e pittore Giovanni Barrella
e, con lui, molti altri spiriti illuminati che, dai primi decenni del Novecento, comprendono la grande
ricchezza della scena teatrale dialettale e cercano, da un lato, di trasmetterla alle nuove generazioni,
arricchendola con importanti contributi, d’altro lato, di agire istituzionalmente per creare organi che
proprio di ciò si occupino. È in tale contesto che, all’interno della Famiglia Meneghina, da subito si
pensa al teatro e a una compagnia che si impegni a recitare i testi teatrali in milanese. «Il contributo
che la Famiglia Meneghina ha dato al teatro è stato enorme – scrive Marina Bonomelli – a partire
dal 1925 quando inizia a far rinascere il teatro in dialetto milanese». Infatti, la Meneghina forma un
primo gruppo di filodrammatici diretti da Ezilda Merelli Cima nel 1926 che si esibiscono il 23 aprile con tre commedie in un atto (I gelos di Edoardo Giraud, Dopo trii ann di Dossi e I solit scenn di
Cletto Arrighi). Nel 1927 è istituita «in via sperimentale»
la Scuola di recitazione dialettale, voluta e diretta proprio
da Barrella, con lezioni serali «nei giorni di lunedì, martedì, mercoledì, giovedì e venerdì, dalle 21 alle 23.30».
Un impegno non da poco anche perché organizzato secondo un preciso regolamento che stabilisce, per esempio,
che «l’allievo attore all’atto dell’iscrizione, si impegna a
frequentare assiduamente le lezioni, a copiare, studiare e
recitare le parti che gli verranno affidate dal Direttore, a
prender parte alle eventuali recite in pubblico, a truccarsi
e vestirsi in conformità della parte affidatagli». E ancora:
«Le assenze dovranno essere giustificate con almeno un
giorno di preavviso e non potranno superare le tre mensilmente». Nello stesso anno si bandisce anche il primo concorso per la migliore commedia inedita, scritta in dialetto
milanese, con il patrocinio del comune di Milano. A capo
della Commissione giudicatrice troviamo un nome che
non lascia dubbi sulla serietà dell’iniziativa: Marco Praga. Nel 1929, la Meneghina inizia inoltre la pubblicazione
della collana Il teatro della Famiglia Meneghina «affidata
Il periodico sociale della Meneghina
al maestro Enrico Bertini: eleganti volumetti – come nota
annuncia (siamo negli anni Venti) il
la Bonomelli – in sedicesimo rilegati con un’artistica codebutto della rivista Cose viste, riviste,
pertina disegnata dal pittore Giannino Grossi»; e, finalintraviste e mai viste, con la partecipazione
straordinaria dell’orchestra che porta il
mente, nel 1931, Giovanni Barrella debutta al Teatro dei
fantasioso nome di Thy retinlà kegheve dy
Filodrammatici con il suo acclamato Ball Tabarin.
no: un gioco di suoni milanesi che fanno
Nei primi anni Quaranta, la Compagnia lavora ormai inil verso, nella forma grafica, all’inglese,
tensamente. Ora si chiama Compagnia Stabile Milanese,
e che mirano a ottenere risultati buffi ed
accattivanti.
e può vantare una invidiabile continuità nella produzione
La Famiglia Meneghina per la rinascita del teatro milanese
di spettacoli e una ottima qualità artistica, grazie ai bravissimi attori che ne fanno parte e alla direzione di Barrella che si impegna a mettere in scena testi di celebrati autori dialettali (fra i quali Giraud, Arrighi, Bertini, Sbodio, Cenzato), non evitando tuttavia di rappresentare anche testi in lingua
italiana. Al teatro in prosa si alternano inoltre grandiosi e memorabili spettacoli di rivista milanese
che danno il via a una tradizione di teatro in musica che proseguirà anche negli anni successivi,
sempre accolto dal favore del pubblico. «Da questo momento in poi – osserva la Bonomelli – [la
Compagnia] si esibisce in dodici teatri cittadini con un repertorio di quaranta commedie e quaranta riviste, raggiungendo persino il numero di ben sessanta attori, tra cui oltre a Barrella ci sono il
brillantissimo Carlo Cazzaniga e gli indimenticabili Enza Pria, Angelo Fusar Poli e Sandro Rossi».
All’immediato dopoguerra risale il successo de I trii busecconi, ciclo di trasmissioni a puntate per
Radio RAI, intitolate I venti minuti della Famiglia Meneghina e interamente recitate in dialetto
milanese, composto dai tre “meneghini” Silvio Farioli, Dino Villa e Antonio Clerici e interpretato da
Carlo Cazzaniga, Achille Pria e Dino Villa. «È uno sketch bonario, un ritratto della vita e delle aspirazioni dei milanesi, una sorta di voremmes ben – leggiamo in Album di Famiglia – scritto e recitato
con tant de lengua, tant de coeur». Alla Meneghina va il vanto di aver dato vita ad un programma
che ha raggiunto un alto ascolto radiofonico. L’attività della Compagnia prosegue felicemente con
recite al Teatro Mediolanum, al Teatro della Cassa di Risparmio, all’Odeon, al Teatro delle Erbe. Un
momento particolarmente significativo nella vita della formazione coincide con un ciclo di dodici
recite, dal 21 al 30 ottobre 1949, al Piccolo Teatro di Milano con i Balonitt de savon di Barrella, El
delitt de via Spiga di Bertini e El marì de mia mièe di Cenzato: sul palcoscenico del primo teatro
stabile pubblico, fondato nel 1947 da Paolo Grassi e Giorgio Strehler, gli attori della Meneghina,
pur non essendo professionisti, non fanno rimpiangere i loro blasonati e straordinari colleghi del
teatro in italiano. Da giugno a settembre del 1950, la Compagnia della Famiglia Meneghina prosegue le recite al Teatro Olimpia, all’Excelsior, al Teatro dell’Arte, al Teatro Litta, raccogliendo ogni
sera i più entusiastici applausi del pubblico. Scrive Severino Pagani in occasione di una recita della
commedia in tre atti L’amis de tutti di Carlo Bertolazzi: «La sua compagnia [della Famiglia Meneghina], oggi regolarmente iscritta fra quelle composte da professionisti del teatro, ha già svolto corsi
di recite in Milano e nelle città vicine, raccogliendo, con gli entusiastici consensi, anche successi
schietti e imponenti. Oggi si ripresenta davanti al pubblico della sua Milano, in un altro importante
teatro, non più per ottenere una affermazione, per celebrare una consacrazione. Con commedie, in
parte sia favorevolmente note, ma sempre di sicuro richiamo, vuole dimostrare, ancora una volta,
la vitalità e la spontaneità del teatro milanese; al tempo stesso vuole incitare vecchi e nuovi autori
a raccogliere l’ispirazione che può loro venire dall’anima popolare. Ecco perché un teatro schiettamente milanese, modernamente presentato, ha ancora più d’ogni altra finzione scenica il potere di
commuovere e di suggestionare il pubblico».
Nel 1951, a rafforzare i legami di amicizia e collaborazione tra la Meneghina e il Piccolo Teatro,
nuove serate teatrali sul palcoscenico di via Rovello. «La Compagnia milanese della Meneghina –
leggiamo sul “Gazzettino” della Famiglia Meneghina – è tornata sulle scene del Piccolo Teatro (sua
sede naturale) accolta festosamente dal pubblico. Vi è tornata col brio, la semplicità, la naturalezza
della sua recitazione e con la diligenza che i suoi volenterosi attori mettono in ogni loro esecuzione,
sì da non dovere – sia detto senza falsa modestia – invidiare compagnie di grido di professionisti».
A guidare la compagnia sempre Giovanni Barrella, ora direttore e regista «che prodiga tutta la sua
intelligenza e la sua pratica teatrale, consacrata da tempo da successi ottenuti su ampie ribalte». Si
rappresentano El panattonin di Camillo Cima e On milanes in mar di Cletto Arrighi. «Tutti gli attori
sono stati bravi. Il Brambilla è stato un perfetto e gustoso Ambrosin nel Panattonin ed Enza Pria ha
saputo mirabilmente avere vent’anni e settanta, con perfetta misura di accenti e di intonazioni. […]
Un’altra tappa è stata così vittoriosamente raggiunta dalla Compagnia della Meneghina. Una nuova
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Alberto Bentoglio
affermazione del valore, della bravura, del sacrificio anche dei suoi attori. Il teatro milanese non
deve morire e questi sforzi sono coronati da un tale consenso che noi ci domandiamo ancora come e
perché non debba esistere un teatro che avrebbe, più di tanti altri teatri vernacoli, il diritto di vivere
e di gloriarsi d’un passato non solo, ma di un patrimonio di lavori molto più preziosi di tanti altri che
non sono se non delle risuolature e dei rifacimenti di altri dialetti o dello stesso idioma italiano».
E al Piccolo Teatro la compagnia torna anche
nel 1952 con due spassose commedie I scalmann del zio Beniamin di Giovanni Cenzato e
La stella cometta di Emenegildo Borghesani. È
un nuovo, grande successo: «La breve stagione
al Piccolo Teatro fatta dalla compagnia della
Famiglia Meneghina – leggiamo sul “Gazzettino” – è stata coronata dal più vivo successo.
Questo simpatico e valoroso gruppo di attori
nei quali la bravura uguaglia lo zelo e la passione annulla la fatica, si è prodigato per venti
giorni in una successione sempre gioiosa di
recite accompagnate dal più manifesto fervore
del pubblico. Ormai la compagnia della Meneghina è diventata popolare, tutta Milano l’aspetta nelle sue pur rare apparizioni con gioia
e diletto e ogni volta si accrescono nel pubblico la simpatia e l’ammirazione. La stagione annunciava tre commedie: la ripresa dei Balonitt
de savon di Giovanni Barrella che il pubblico
già conosceva e aveva ripetutamente applaudita per la vivace pittura e per la schiettezza
del sentimento, e due novità assolute: I scalmann del zio Beniamin di Giovanni Cenzato
e La stella cometta di Ermenegildo Borghesani. Due vivi successi del teatro milanese. […]
Dobbiamo aggiungere che l’allestimento delle
Il volantino promozionale dello spettacolo Te voeuri ben,
due commedie nuove è stato curato da GiovanMilan!, 1962. Un titolo che è anche una dichiarazione
d’amore per la città.
ni Barrella e che da tale regia ambedue hanno
acquistato suggestione e valore artistico. Barrella è un direttore di talento, un esperto, un
commediografo lui pure, e queste qualità gli
servono in modo impareggiabile per mettere
in scena i lavori, assicurando loro, si può dire,
in precedenza, il successo. Certe finezze, certi
soggetti, certe frasi azzeccatissime, si devono a
lui, come a lui si deve tutta l’intonazione, sempre precisa, sempre giusta, sempre sostenuta».
Fra le attestazioni di stima e ammirazione basterà citare le righe indirizzate agli attori dalla
La Famiglia Meneghina presenta la pièce La fera de
autorevole penna di Renato Simoni che, il 19
Sinigaglia: il teatro si fa interprete dei luoghi e degli
aprile 1952, scrive: «Bravi tutti, proprio bravi
eventi cari ai milanesi.
La Famiglia Meneghina per la rinascita del teatro milanese
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Fotografia di scena del 1985. La commedia rappresentata è La lengua de can (ovvero la cambiale)
di Decio Guicciardi (1870-1918). Al centro, il regista Carletto Colombo con il vice Resgiò Raffaele Bagnoli
circondati da protagonisti e comparse.
non filodrammatici ma attori completi. Amate sempre il vostro maestro Barrella, tanto preziosamente
esperto e genialmente fantasioso. Un saluto a Barrella e a tutti voi dal vostro vecchio Renato Simoni».
Non possiamo elencare anno per anno i testi che la Compagnia Meneghina propone con successo in
molte sale teatrali milanesi. Ci vorrebbe ben altro spazio. Basterà dire che, dopo un’intensa attività
condotta negli anni Sessanta e Settanta, nel 1983 la Compagnia accoglie come suo direttore Carletto
Colombo, figura centrale nel panorama teatrale di Milano.
«Il teatro della Famiglia Meneghina esulta! Disponiamo finalmente di una nuova Compagnia composta in parte di giovani elementi preparatissimi usciti dal Corso di recitazione dialettale milanese
La voce e il gesto che tiene in sede con paziente costanza e competenza Carletto Colombo. […] Prima
di presentarsi in Famiglia con la commedia brillante e di grande successo El marì de mia miee, tre
atti di Giovanni Cenzato […] la Compagnia ha ricevuto il battesimo della scena al Teatro Nuovo di
Seveso». Sapiente conoscitore della scena e della cultura milanese, Colombo (e con lui la bravissima Alice Marzi Longoni) allestisce molti spettacoli applauditi fra i quali L’eredità del Felis di Illica,
nel 1988, e Strozzin di Bertolazzi, presentato nel 1993, ultimo anno della sua direzione, interrotta
da una morte prematura.
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Alberto Bentoglio
Gli anni più recenti coincidono con il magistero artistico di Gianni Ferri, già primo attore e direttore della compagnia, che dal 1995
riceve da Sandro Gerli l’incarico di dirigere
e coordinare le attività teatrali della Compagnia della Meneghina. Nuovi testi, nuovi
spazi e nuovi orizzonti – come lo stesso Ferri
testimonia in questo volume con una preziosa
quanto illuminante intervista – si aprono per
la Compagnia milanese, invitata sempre più
spesso a recitare sui palcoscenici della città e
della provincia. Dall’Omaggio a Nino Rossi, il
cantautore meneghino che più di altri ha saputo dipingere Milano tra Navigli e ringhiere,
allestito con ben sedici interpreti che compiono una passeggiata attraverso un emozionante
itinerario artistico, al gradevolissimo La par
ona storia, dal Savor de osteria alla Nostalgia
de Milan, fino al più recente e pluripremiato
A.S.M.A. (Agenzia Segreta Matrimoni e Affini),
questi lavori testimoniano non solo la bravura
del Ferri attore, ma il suo talento di commediografo e regista e anima della Compagnia.
Fotografia dell’attore Piero Mazzarella con dedica alla
Famiglia Meneghina, 1963.
Alberto Bentoglio
Università degli Studi di Milano
Gianfranco Scotti
Il periodo aureo della poesia milanese in Meneghina
È oltremodo significativo che il primo volume edito dalla Famiglia Meneghina nel 1926,1 solo due
anni dopo la sua fondazione nel 1924, sia un florilegio poetico dedicato alle voci più illustri della
musa meneghina del tempo. Vi troviamo infatti liriche di Giovanni Barrella, Carlo Baslini, Enrico
Bertini, Corradino Cima, Giulio Decio, Ambrogio Donegana e Luigi Medici. Nella premessa scritta
da Luigi Mario Capelli, che si definisce «direttore della Collana I libri della Meneghina», si legge:
La Famiglia Meneghina, associazione sorta due anni or sono con lo scopo di tener vivi il ricordo delle
tradizioni paesane ed il culto delle glorie cittadine, ha già dato prova di voler attuare questo suo nobile
programma con la creazione di un ente per la rinascita del teatro milanese, con l’organizzazione del Primo
congresso dei dialetti italiani, della Prima mostra d’arte di artisti milanesi, e con altre non meno efficaci
per quanto più modeste forme di attività. Nell’aprile del corrente anno essa ha inoltre deliberato la pubblicazione di questa collana, con l’intento di diffondere fra le persone colte, ma che non fanno professione
di studii storici e letterari, la conoscenza della storia, della letteratura, dell’arte della nostra città, non che
delle più benefiche e grandiose manifestazioni della intensa vita economica e industriale e commerciale
della Milano contemporanea.
Un programma ambizioso che si riprometteva anche di riprodurre testi rari, vedute antiche della città,
per «far rivivere con nostalgia il passato nelle sue esteriori manifestazioni, e far meditare su di esso in
quello che esso ha di più grande e di più singolare». Come ha osservato Claudio Beretta, la Famiglia
Meneghina era formata da «un gruppo di persone colte, d’estrazione prevalentemente borghese, le quali
per tradizione famigliare o ai fini di un’autodifesa culturale in ambito civico, o anche per puro interesse
letterario, coltivavano la poesia dialettale».2 E infatti fin dalla sua fondazione la Famiglia Meneghina
riuscì a convogliare nel suo seno i maggiori poeti dialettali di quel tempo, tutti uniti dalla volontà di
non disperdere un patrimonio culturale prezioso e di diffondere l’amore per una lingua che già allora
accusava i premi segni di decadenza. Scopo del sodalizio, fin dalla sua fondazione, è stato soprattutto
quello «di creare un punto di riferimento delle tradizioni storiche, folkloristiche e letterarie locali».3
Il nome stesso dell’associazione, famiglia, evocava un forte sentimento di appartenenza, la volontà di
riconoscersi in una storia condivisa, di alimentare un comune sentire, di tenere viva la memoria di
coloro che avevano illustrato nel tempo la cultura, l’arte, le tradizioni, l’anima insomma di un popolo
che proprio alla lingua affida sempre il compito di essere vessillo insostituibile di identità. Tornano alla
mente i versi del Maggi che alla lingua milanese scioglie un canto colmo d’affetto e di ammirazione:
ona lengua correnta, averta, e ciaera,
che apposta la paer fàe
1
GIOVANNI BARRELLA - CARLO BASLINI - ENRICO BERTINI et ALII, Poesie milanesi, con introduzione di Luigi Mario Capelli,
Milano, Famiglia Meneghina, 1926.
2 CLAUDIO BERETTA, Letteratura dialettale milanese, Milano, Hoepli, 2003, p. 729.
3 Milano e la sua memoria. Valorizzazione di un patrimonio bibliografico, a cura di Marina Bonomelli, Milano, Cisalpino, 2004.
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Gianfranco Scotti
par dì la veritàe;
s’cetta, e gajarda par piantà in d’i anem
inscì alla bona i veritàe del semper:
guzza, chi sa drovalla,
par toccà dovè doeur,
e sgrià foeura el coeur.4
In quel volume del 1926, accanto ad autori di assoluto spicco, come Baslini, Bertini, Cima, Donegana e Decio, tutti nati negli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, troviamo i più giovani Barrella e
Medici, il primo nato nel 1884 e scomparso nel 1967 e il secondo nato nel 1888 e morto nel 1965,
entrambi ancora quasi sconosciuti al grande pubblico. Il valore di Giovanni Barrella fu ben compreso dal curatore dell’antologia, il Capelli, che così scrive:
La produzione poetica del Barrella è scarsissima, ma, in compenso, piena di vita, di colore, di sentimento
[…]. Anche quando scrive il Barrella è un pittore, e i suoi sono quadretti, in cui ogni particolare ha un
suo proprio e specifico significato, una sua peculiare ragione, e irradia luce su tutta la visione.
Barrella occuperà poi un posto di assoluto rilievo nel Parnaso milanese del Novecento; a modesto
avviso di chi scrive Barrella è, dopo Tessa, il maggior poeta meneghino del secolo scorso. Certo,
la sua poesia non fu innovativa, come quella del grande Tessa, e si colloca appieno nel solco della
tradizione, ma si impone per la ricchezza e la varietà dei temi, l’abilità compositiva, l’eleganza inappuntabile dei versi, la capacità di tracciare ritratti di straordinaria vivezza, la padronanza assoluta
della lingua milanese; fu poeta, commediografo, pittore, attore, una personalità eclettica, amante
del convivio e delle allegre brigate, un temperamento che ci ricorda per molti aspetti un altro grande
poeta meneghino del XVIII secolo, Domenico Balestrieri. Tratto caratteristico della poesia meneghina è quello di svilupparsi su due versanti, quello comico e quello drammatico. Una tradizione
che ha nel Porta un esempio grandissimo se pensiamo alle prove magistrali de La Nomina del Cappellan da un lato e alla tragica dolenza de La Ninetta del Verzee o de El Marchionn di gamb avert
dall’altra. Anche il Barrella si muoverà in queste due direzioni, con esilaranti risultati nel comico,
come nel pirotecnico El brumista e l’american o come in quel piccolo capolavoro che è Portinara, e
nel drammatico, con la straziante La mamma di gatt.
Ma la vena dominante in Barrella è quella scanzonata e ricca di immagini immediate. Una sua
lirica, certamente minore e d’occasione ma indicativa di questa felicità compositiva, fu scritta per
un viaggio che la Famiglia Meneghina fece a Torino il 14 maggio 1950, celebrandosi il 25° anniversario della Famija Turinejsa:
La Famiglia Meneghinna
l’è vegnuda in torpedon
a portavv la Madonnina
in d’on piccol medajon.
Quest, de cert, l’è nò on present,
né on regall de gran valor:
4
«Una lingua alla mano, aperta e chiara, che pare fatta apposta per dire la verità; schietta e gagliarda, nel piantare
in cuore, così alla buona, la verità di sempre; aguzza, chi sa adoperarla, per toccare dove ci duole e per raschiare dal
cuore ogni minima feccia». Da Il concorso de’ Meneghini in CARLO MARIA MAGGI, Il teatro milanese, a cura di Dante
Isella, Torino, Einaudi, 1964, pp. 898-905.
Il periodo aureo della poesia milanese in Meneghina
109
l’è quajcoss pussee de nient
che ve demm al post di fior.
Ma dent chì, in ‘sta medajetta,
gh’è la fêd de nûn ambrosian.
Gh’è on’immagin benedetta,
gh’è l’emblemma de Milan.
L’è l’immagin piscininna
de la nostra Madonnina
che on roscett de milanes
la ghe porta ai turines,
come simbol de armonia,
come pegn de simpatia
de concordia senza fin
tra Gianduja e Meneghin.5
Ottimo poeta fu anche Luigi Medici, di poco
più giovane del Barrella, che nella sua poesia «contribuì col Barrella», come scrive il
Beretta, «a continuare l’eredità di De Marchi e la tradizione milanese».6 Luigi Medici
fu una singolare figura della cultura milanese
del Novecento. Laureato in legge a Pavia, fu
compagno di studi di Delio Tessa, minore di
lui di due anni. Cultore appassionato di storia e cultura milanese, conferenziere brillante, collaborò a molte testate giornalistiche e
fu anche prolifico commediografo, sempre in
lingua milanese. Tra gli autori presenti nella
preziosa antologia del 1926 figura Corradino
Cima (1874-1969), esponente di una importante famiglia di scrittori, poeti e giornalisti
milanesi. Fratello di Otto e figlio di Camillo
(1827-1906), commediografo, storico e fondatore del giornale umoristico “L’omm de preja”,
Corradino si segnala tra i più sensibili e prolifici poeti meneghini.
Tra le sue raccolte, sono almeno da ricordare: Poesie milanesi, edito nel 1940 e
Memòri d’on pivell de settant’ann e poesie
varie del 1950 con una illuminante prefazione di Renato Simoni. «Questo commosso e commovente poeta milanese», scrive
5
GIOVANNI BARRELLA, Poesie in dialetto milanese, Milano, s.n., 1962, p. 227.
6 BERETTA, Letteratura dialettale milanese, p. 719.
Una copia della poesia La mamma di gatt autografata
da Barrella per l’amico Nando Corti.
Già nel 1947
la Famiglia
Meneghina,
rappresentando
Milano con le
maschere di
Meneghino e
Cecca, aveva
partecipato al
Congresso delle
Maschere di
Torino.
Nella foto,
Achille ed Enza
Pria.
110
Gianfranco Scotti
Simoni, «continua il Camillo Cima che ho conosciuto io; fervido, battagliero sulla carta e con
l’inchiostro; ma quella carta e quell’inchiostro erano e sono consumati, non solo per combattere
la propria onesta e convinta battaglia, ma anche per tenere unito il nido, la Mamma e i figli; tutta
una schiera di discendenti per i quali Camillo Cima lavorava, come poi ha lavorato Corradino».7
Nella raccolta del 1940, un sonetto è dedicato alla nuova sede della Meneghina in Palazzo Turati,
inaugurata nel 1933, versi sapidi, spiritosi, abilmente torniti:
Ej lù, l’ha vist che scicch la Meneghina?
Quajcoss de minga crêd, de senza pari!
On ingrèss, on scalon, porca Martina,
de fà restà de sass, col nâs per ari.
Cèrti soffitt, ghe disi, in pompardina,
affrèsch sui mûr, poltronn e lampadari,
arazz, tappezzerii de seda fina,
bronz e cesèj d’on gust strasordinari.
Salon de ball, de schèrma e sâl de gioeugh,
cusina e bar cont fioretton de coeugh
lì pront per chi voeur dagh ona pacciada;
ma quèst l’è anmò nagott, l’è ona ciallada;
quèll che colpiss, che ten col fiaa sospês,
l’è de trovà ancamò di milanes!8
Uno dei moltissimi sonetti che Corradino Cima,
firmandosi con le sole iniziali, compose
per la Campari e pubblicò sulle pagine del
periodico sociale della Famiglia Meneghina.
7
Tra i primi poeti della Meneghina troviamo anche
Enrico Bertini,9 Carlo Baslini,10 Giulio Decio11 e
Ambrogio Donegana, nato nel 1868 a Oggiono e
scomparso nel 1929. Oltre che col dialetto milanese si cimentò anche con quello natìo. Fu poeta
di facile vena, nel solco di una tradizione gnomica ormai estenuata, benché i suoi versi siano
garbati e ben costruiti. D’altronde tutta la poesia
milanese dell’Ottocento era finita, per dirla con
Prefazione a CORRADINO CIMA, Memòri d’on pivell de settant’ann e poesie varie, Milano, Ceschina, 1950, p. 9.
CORRADINO CIMA, Poesie milanesi, Como, Cavalleri, 1940, p. 56.
9 Nato nel 1862 a Milano in una famiglia d’artisti, e scomparso nel 1948. La madre, Cristina Bisi, apparteneva alla
celebre famiglia di pittori ed era figlia di Ernesta Legnani Bisi, pittrice anch’essa e autrice di un ben noto ritratto della
famiglia di Alessandro Manzoni. Il padre, Giuseppe, fu un protagonista della pittura milanese dell’Ottocento. Cugino
di Enrico era Guido Bertini (1872-1938), pittore e commediografo, autore della fortunata commedia in milanese L’anima travasada. Enrico Bertini fu anche apprezzato musicista e compositore, compagno di studi di Giacomo Puccini e
allievo al Conservatorio di Amilcare Ponchielli. Compose l’opera lirica Il bacio e il dramma lirico Roncisval su libretto
di Emilio De Marchi. Tutta la sua opera poetica fu raccolta nel volume Poesie varie in dialetto milanese, Varese, Nicola
&Co, 1919.
10 Medico oculista, nato a Milano nel 1872. Fu Sindaco e Podestà di Merate fra il 1905 e il 1943. La sua più significativa raccolta di poesie ha per titolo Spegasc (1949).
11 Nato nel 1865, si conosce poco della sua vita e della sua produzione poetica. Curò con L.M. Capelli nel 1933 l’edizione critica delle poesie del Porta.
8
Il periodo aureo della poesia milanese in Meneghina
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Una delle sale della sede di Palazzo Turati, il cosiddetto Salone della Musica,
affrescato dal pittore milanese Giuseppe Bertini.
Isella «sui binari morti di un’accademica ripetizione del suo grande archetipo»,12 cioè Carlo Porta.
Di lui Capelli ha scritto che «la sua Musa non è né preziosa né solenne; ride volentieri di sé del
mondo in cui vive, senza malignità ma non senza lepore, per una certa innata e tutta meneghina
disposizione del suo spirito».13
La Famiglia Meneghina si andava intanto sempre più configurando come il punto di riferimento della
cultura e delle tradizioni milanesi, un centro vivo di dibattito e di confronto, un sodalizio libero e
indipendente. Nemmeno il centralismo linguistico del Fascismo riuscirà a spegnere la fiaccola della
musa dialettale, tenuta alta dai poeti della Meneghina. Antonio Negri (1881-1966), singolare figura
di intellettuale autodidatta, anticonformista e libertario, in una poesia dedicata a Luigi Mario Capelli,
(Carissim Professor), compresa in una raccolta del 1933, riprende con passione la polemica che aveva
acceso nel primo Ottocento gli animi del Porta e del Giordani, impegnato il primo a difendere e a
rivendicare l’uso dei dialetti e il secondo a negarne il valore letterario, in quanto «sufficienti all’uso
12
DANTE ISELLA, introduzione a DELIO TESSA, L’è el dì di mort, alegher!, Torino, Einaudi, 1985, p. VIII.
13
LUIGI MARIO CAPELLI, Poesie milanesi, Milano, Famiglia Meneghina, 1926, p. 158.
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Gianfranco Scotti
domestico», ma «tutti inetti anzi nocivi alla civiltà e all’onore della nazione».14 Negri, una colonna
della Meneghina, ha il coraggio di denunciare l’asservimento al potere di tanti poeti in lingua, pronti
al compromesso pur di assicurarsi una poltrona, mettendo nel giusto risalto la coerenza degli autori
milanesi suoi contemporanei che non rinunciano ad esprimersi nella loro lingua natìa:
A sti pover pöetta meneghitt
che, dopotutt, gh’han el nomm de Bertin, Medici e Cima,
de Bolza, Decio, Sessa e de Baslin!15
Tutti poeti, questi, che animano la Famiglia Meneghina; sono tra le voci più alte della poesia milanese del Novecento illustrata al sommo grado dal massimo poeta di quel secolo, certamente il
più grande poeta milanese dopo Carlo Porta: Delio Tessa di cui non si conoscono contatti con la
Famiglia Meneghina, forse anche a motivo della sua immatura scomparsa nel 1939. Fra gli autori
citati dal Negri troviamo anche Giannino Sessa (1876-1950), avvocato, legatissimo alla Famiglia
Meneghina, di cui fu Missee e alla quale recentemente gli eredi hanno donato, con un atto di grande
generosità, il prezioso archivio. Sessa fu un uomo di notevole spessore culturale, d’indole allegra
e ottimista, «innamorato della propria città e del suo dialetto; vissuto in un ambiente di composta
signorilità, in larga cerchia di parentele cospicue e di amicizie ammirate e fedeli […] non poteva
non essere sorridente a sé e agli altri, alle cose e agli uomini, perfino alle tristezze inevitabili».16
Rispetto ad altri verseggiatori, spesso irrimediabilmente appiattiti su di un registro parodico, nostalgico e bozzettistico, Sessa in più d’una composizione conferma una sensibilità che va oltre quei
limiti, consegnandoci versi eleganti e godibilissimi:
No, mi vegni pù vecc. Mi creparoo,
o prest, o tard, ma semper carezzaa
de sta morosa, che l’è chì in del coo,
che l’è ‘l soree del coeur. E, se l’etaa
la me castigaraa, che adree a la strada
perdaroo rimma, vers e fantasia,
a consolamm, dommà per mì, scrusciada
a pôs, mì gh’avaroo la poesia.17
Di qualche anno più giovane del Sessa, anche Antonio Strazza (1884-1957) va ricordato per il suo
impegno poetico. Di carattere schivo e riservato, diede alle stampe poche raccolte delle sue liriche
che furono pubblicate invece su alcuni almanacchi della Famiglia Meneghina, di cui fu per qualche tempo vice Resgiò. Nel 1955, cedendo alle insistenze di Severino Pagani, altra luminosa figura
della cultura milanese, allora Resgiò della Meneghina, dà alle stampe un volumetto che raccoglie
alcuni suoi componimenti,18 con la presentazione dello stesso Severino Pagani espressamente richiestagli dall’autore. Scrive il Pagani: «Ma un’altra ragione ha spinto l’amico caro a chiedermi
queste righe di presentazione, oltre all’affetto e alla stima che vicendevolmente ci legano; è l’attuale
14
Così scriveva PIETRO GIORDANI ne “La Biblioteca italiana”, anno I, n. 2 dell’11 febbraio 1816, recensendo il primo
tomo della Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese, a cura di Francesco Cherubini.
15 Riportata parzialmente in PIETRO GIBELLINI, L’Adda ha buona voce, Roma, Bulzoni, 1984, p. 55.
16 NINO PODENZANI, Un secolo di toga e musa meneghina, Milano, Ceschina, 1956, pp. 226-227.
17 Ivi, p. 229.
18 ANTONIO STRAZZA, Aria d’ona volta … de ier e d’incoeu, Milano, Gastaldi, 1955.
Il periodo aureo della poesia milanese in Meneghina
mia posizione di Resgiò della Famiglia Meneghina e cioè di quel sodalizio, prettamente milanese,
al quale Antonio Strazza diede per molti anni un’attività preziosa, una assistenza illuminata, partecipando con affettuoso entusiasmo alle sue realizzazioni più belle e alla sua affermazione nella vita
culturale della nostra Milano». Nel folto di quegli intellettuali milanesi che all’indomani dei disastri
della guerra diedero vita a iniziative culturali per contribuire alla rinascita civile della città, noi troviamo Antonio Strazza a fianco di Emilio Guicciardi, esponente di primo piano non solo della poesia
milanese, ma anche dell’intraprendenza meneghina in molti campi dell’umano operare. Nel 1947
Guicciardi fonda un periodico destinato a durare per molti decenni e a rappresentare un caposaldo
della milanesità: “La Martinella”, un nome altamente simbolico; Luigi Medici ne spiegava il senso
sul primo numero della rivista: la martinella era la campana che aveva chiamato a raccolta nel 1176
i cittadini milanesi, uniti agli altri lombardi, nella battaglia di Legnano contro il Barbarossa. Un
nome, dunque, dal forte valore evocativo, che metteva in evidenza l’anelito alla libertà, e la volontà
di riprendere un cammino tragicamente interrotto. E tra i collaboratori della rivista troviamo non
pochi membri della Famiglia Meneghina; oltre allo Strazza, il Medici, il Negri e altri ancora. In
questo modo si stabiliva una corresponsione di intenti, una sintonia fruttuosa tra iniziative diverse
ma accomunate dalla volontà di porsi al servizio della cultura e delle tradizioni milanesi. Dopo quel
primo volume di poesie pubblicato nel 1926, la seconda iniziativa editoriale della Famiglia Meneghina è ancora dedicata alla lirica. A breve scadenza esce infatti una seconda raccolta sotto il titolo
Milan noeuva e i noster campagn con componimenti di Cima, Barrella, Medici, Donegana, Sessa. E
come non ricordare la pubblicazione del 1933, voluta dalla Famiglia Meneghina sotto gli auspici
del Comune di Milano, dell’opera di Carlo Porta, curata da Giulio Decio e Luigi Mario Capelli, la
prima edizione critica, possiamo ben dire, delle poesie del massimo poeta milanese? Un lavoro
accurato basato su una ricerca filologica severa e rigorosa, considerate le fonti di cui i due studiosi
potevano disporre, allora frammentarie e spesso contraddittorie. Si è detto più sopra dell’avversione
del regime fascista nei confronti dei dialetti, accusati di concorrerre alla disgregazione dell’unità
nazionale. L’ordine era di non utilizzare il dialetto e di scrivere sempre e solo in italiano. Oltre a
Negri, anche Luigi Medici prese le difese delle parlate locali con le sestine La gloria di dialett, un
componimento pubblicato clandestinamente ma talmente persuasivo che l’ordine venne revocato.
Non solo, ma alla premiazione del secondo concorso dell’Università Popolare fu presente lo stato
maggiore del partito fascista, con il ministro Bottai che tenne il discorso di presentazione. Luigi
Medici aveva fondato l’Istituto Fascista di Cultura di Milano; la sua adesione al regime, dunque,
non gli impedì di prendere le difese del dialetto e forse fu proprio il prestigio di cui godeva a far desistere le autorità cittadine dalla campagna contro i dialetti. Nell’edizione del 1928 furono premiati
quattro poeti della Meneghina cui fu assegnato il tema: Milan noeuva, Enrico Bertini, Giorgio Bolza,
Luigi Medici e Ambrogio Donegana. Lo stesso avvenne nel 1929, quando il primo premio andò a
Giorgio Bolza, il secondo a Giovanni Barrella, il terzo a Enrico Bertini; seguivano Corradino Cima,
Giannino Sessa, Ambrogio Donegana.
Possiamo ben dire che la poesia milanese di quegli anni era rappresentata al massimo livello da
autori che hanno lasciato un’orma profonda nella storia e nella cultura della nostra città, e tutti
riuniti in questa benemerita associazione che tanta parte ha avuto e ha tuttora nella conservazione
e nella valorizzazione di un patrimonio inestimabile, spesso sottovalutato quando non disperso e
colpevolmente dimenticato. La Famiglia Meneghina ha avuto sempre ben presenti i compiti che si è
assegnata fin dalla fondazione. Fra questi c’è la diffusione di opere relative alla storia, alle curiosità,
al teatro, agli uomini che hanno fatta grande Milano. Ed ecco allora la collezione denominata I Libri
della Famiglia Meneghina, una preziosa collana di volumi, oggi per la gran parte introvabili, che ci
raccontano della passione, della determinazione, della infaticabile attività di una associazione che
ha indissolubilmente legato il suo nome alla città che nell’arco di novant’anni ha saputo illustrare
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Gianfranco Scotti
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Cartolina illustrata che reca una
poesia di Giorgio Bolza dedicata
alla Madonnina del Duomo,
in occasione della sua copertura
per motivi di sicurezza durante
il periodo bellico.
Il periodo aureo della poesia milanese in Meneghina
“Asssociazio
one Cultu
uralee
Biiblioteca
a Famiiglia
a
Meneghina-S
Sociietà deel Gia
ardino”
”
Un volume della collana di cultura
milanese “La Guglietta” della casa
editrice Ceschina: Tutta roba de strasc
di Ciro Fontana, pubblicato nel 1962.
La copertina è illustrata dall’incisore
Giulio Cisari.
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Gianfranco Scotti
con grande intelligenza e affetto filiale. In questa collana, la poesia ha gran parte. Vi troviamo le
liriche dei suoi più significativi poeti meneghini del Novecento, quegli stessi che hanno dato lustro
alla Meneghina, l’hanno animata, ne hanno saputo fare un autentico fogoraa di cultura milanese. La
poesia, che di un popolo sa restituire come nessun’altra forma artistica l’indole e la storia, le passioni e i caratteri, è sempre stata uno dei punti di forza della Meneghina. Scomparsi i grandi autori
nati nel XIX secolo, ecco che negli anni Settanta del Novecento Luigi Cazzetta, con l’appoggio della
Famiglia Artistica Milanese riunisce i poeti milanesi in un sodalizio cui viene dato il suggestivo
nome di Sciroeu di poetta; ne fanno parte voci importanti della poesia milanese del Novecento, dallo
stesso Cazzetta a Cesare Mainardi, da Gisella Azzi a Ambrogio Maria Antonini, Attilio Boggiali,
Alvaro Casartelli, Mario Comolli, Alberto Giovannini, Enrico Giuliani, Sandro Lissoni, Pino Mazzola. Alcuni anni dopo, nel 1978, lo Sciroeu di poetta cambiò denominazione e divenne l’Accademia
del Dialetto Milanese, che trovò poi la sua sede naturale alla Famiglia Meneghina. La Meneghina
festeggia ora il suo novantesimo anno di fondazione; una lunga storia fatta di uomini che a questo
sodalizio hanno dato molto, facendolo crescere, impegnandosi per la conservazione e la valorizzazione di un patrimonio culturale di inestimabile valore, espressione della lingua, delle tradizioni,
della storia stessa di un popolo. Il contributo della poesia e dei poeti che hanno onorato e arricchito
questo patrimonio è stato certamente tra i più significativi e commendevoli. Quei versi schietti e
generosi, arguti e ricchi di suoni, colmi di un melanconico crepuscolarismo o di quella prorompente
vitalità icastica di tanti autori meneghini, sanno restituirci, come un’eco lontana e nostalgica, ma
ancora feconda di stimoli e di suggerimenti, quegli anni densi di fermenti, quelle figure che hanno
plasmato la società milanese con la loro intelligenza, la loro generosa creatività.
Gianfranco Scotti
Storico e dialettologo
Ornella Selvafolta
Luoghi e edifici della «città che cambia» nel primo decennio
dell’“Almanacco della Famiglia Meneghina”
Nascono nel 1932 e per più di quarant’anni hanno misurato il tempo, scandito il passaggio dei pianeti,
regalato preziose effemeridi e accompagnato nella lettura di molti argomenti milanesi. Gli “Almanacchi della Famiglia Meneghina” rappresentano forse il maggior successo tra i molti conseguiti
dal Sodalizio in ambito editoriale e costituiscono uno dei suoi più interessanti e originali risultati.1
Tra dati astronomici e topografici, tra xilografie cinquecentesche e fasi lunari, tra i santi e le feste, le
memorie e i proverbi, gli “Almanacchi” sono entrati nelle case di molte famiglie milanesi, rinnovando
un genere letterario di antica tradizione e prolungandone la durata ben oltre l’anno di scadenza. Il
calendario, che più propriamente identifica la formula dell’almanacco, è infatti accompagnato da una
serie di scritti che, nel corso degli anni, hanno trattato vari aspetti della vita cittadina, nel passato e
nell’attualità, con un crescendo di interesse per le vicende urbane, topografiche, edilizie, sollecitato
dai ritmi stessi del cambiamento che Milano vive in quegli anni.
Basta pensare a come nel periodo tra le due guerre, la città sia teatro di trasformazioni profonde che,
proprio dall’anno della fondazione della Meneghina, ne ampliano sensibilmente le prospettive. Nel
1923, infatti, vengono aggregati al territorio comunale di Milano ben 11 comuni esterni, portando la
sua estensione da 76 a 185 kmq e la popolazione da 766.700 a 864.700 abitanti.2 Basta pensare alle
conseguenti necessità di nuovi piani urbanistici per raccordare parti della città dapprima separate,
alla revisione della viabilità, al bisogno di nuove attrezzature collettive e sedi istituzionali, con il
corredo di distruzioni e costruzioni che comportano i nuovi interventi nel tessuto cittadino.3
In un periodo di così intenso dinamismo si situa quindi il primo decennio di vita degli “Almanacchi”,
fatalmente destinati a diventare un piccolo osservatorio urbano e ad associare la bonaria consuetudine del calendario con uno sguardo più attento e puntuale sulle vicende della «città che cambia»:
anche quando gli autori sembrano solo interessati a rievocare la “vecchia Milano”, anche quando
risuonano accenti nostalgici e coloriture pittoresche, anche quando il corredo illustrativo, che è parte
non marginale dell’identità degli “Almanacchi”, indugia per lungo tempo su ambienti della Milano
tradizionale, come se i luoghi dell’oggi non esistessero o non fossero degni di essere riprodotti.
In realtà i soci della Famiglia Meneghina sono ben consapevoli di una modernizzazione che, in
fondo, costituisce il primo movente del Sodalizio e ne ispira le azioni, tanto da affiorare in filigrana,
anche dalla preponderanza dei testi più legati alla città del passato: come le poesie in dialetto che
si dilettano del «quadretto di genere, delle note di colore», degli «affetti familiari» e di «grandi
memorie», o gli articoli sulla «vecchia saporosa cucina milanese» dove «le nostre massaie troveranno ricette di cibi sani e veramente nostrani».4
1
Cfr., al riguardo, il saggio di MARINA BONOMELLI, L’editoria della Famiglia Meneghina, in questo stesso volume.
Gli 11 ex comuni sono Affori, Baggio, Chiaravalle, Crescenzago, Gorla-Precotto, Greco, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno, Vigentino, cfr. L’ampliamento del Comune di Milano, in “Città di Milano”, n. 2, febbraio 1924, pp. 41-45.
3 Cfr. ORNELLA SELVAFOLTA, Grandi architetture, grandi trasformazioni, in Milano durante il fascismo 1922-1945, a cura
di Giorgio Rumi, Virgilio Vercelloni, Alberto Cova, Milano, Cariplo 1994, pp. 283-320.
4 Cfr. LUIGI MARIO CAPELLI, La Famiglia Meneghina, in “Almanacco della Famiglia Meneghina per l’anno 1932”, p. 8.
D’ora in poi gli Almanacchi verranno citati con “Almanacco 1932”, “Almanacco 1933”, ecc.
2
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Ornella Selvafolta
Sono parole di Luigi Mario Capelli, socio e vice
presidente della Commissione di Storia Lettere ed
Arti della Meneghina, 5 cui nel 1932 spetta la presentazione del primo “Almanacco”. Come le «altre
nostre pubblicazioni», esso mira «a far rivivere un
po’ del nostro passato e a contribuire alla conoscenza del nostro laborioso presente», egli scrive,
passando poi in rassegna un numero che, nella
prevalente rivisitazione «del passato», inserisce
anche alcuni aspetti «del laborioso presente».
Tra questi: il Comune di Milano a dieci anni dalla
«rivoluzione fascista», due storiche e benemerite
istituzioni assistenziali ed educative ancora attive
(l’Associazione Nazionale Cesare Beccaria e la
Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri), consigli per ravvivare di fiori la vita dei milanesi elargiti
dal «capotecnico dei giardinieri delle piantagioni
del Comune» e, infine, uno sguardo panoramico
sulla città e i suoi orizzonti paesaggistici dall’alto
del Duomo.6
Non sono argomenti tra i più attuali, ma è significativo che tre di questi articoli siano scritti da
Giuseppe Codara, ingegnere civile, laureato al
Politecnico di Milano nel 1900, capo dell’Ufficio
tecnico Comunale per la divisione delle acque e
socio attivo della Meneghina, autore di diverse
“Almanacco” 1932: il Verzee, dipinto
pubblicazioni, nonché membro della Commisdi Giannino Grossi (1889-1969).
sione di Storia Lettere e Arti e della Commissione
Pro Sede.7 Nel 1927 egli aveva firmato il settimo
volume della collana “I libri della Famiglia Meneghina”: I Navigli di Milano, un vero successo
editoriale, con numerose riedizioni, che ripercorre le vicende antiche, quelle attuali e le prospettive
dei canali cittadini, con particolare sicurezza e competenza, in virtù di una buona cultura storica e
di una esclusiva cultura tecnica.8
Dal 1929 egli aveva infatti diretto i lavori per la copertura della fossa interna del Naviglio, ovvero
era stato l’artefice dell’intervento che aveva cancellato la principale caratterizzazione topografica
e ambientale di Milano: il fiume che la città si era costruito a misura della sua esistenza, dei suoi
traffici, della sua difesa, minacciato di soppressione fin dalla seconda metà dell’Ottocento e infine
cancellato a inizio anni Trenta in nome della modernità e dell’igiene urbana.9
5
Ivi, p. 5.
Indice del testo, ivi, p. 161.
7 Cfr. ivi gli scritti di GIUSEPPE CODARA: Il nostro Comune, pp. 11-12, La Soc. d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri, pp.
91-94; Le Alpi e gli Appennini dal ballatoio eccelso della guglia maggiore del Duomo, pp. 155-156.
8 Cfr. G. CODARA, I Navigli di Milano. Passato, presente e futuro, Milano, Famiglia Meneghina Editrice, 1927.
9 G. CODARA, La copertura della fossa interna, in “Milano”, n. 4, aprile 1930, pp. 149-154. Sui Navigli e i loro molteplici significati nella cultura della città, Cfr. I Navigli da Milano lungo i canali: la bellezza nell’arte e nel paesaggio, a
cura di Roberta Cordani, Milano, CELIP, 2002.
6
Luoghi e edifici della «città che cambia» nel primo decennio dell’“Almanacco della Famiglia Meneghina”
“Almanacco” 1932: il Naviglio visto dal ponte di
corso Venezia, da un monotipo di Giannino Grossi
degli anni Trenta.
“Almanacco” 1932: lavori per la copertura del
Naviglio di san Marco, da un monotipo di Giannino
Grossi del 1930.
In un certo senso Codara sembra incarnare l’obiettivo stesso della Meneghina di «vivere la vita della
Milano moderna, tenendo gli occhi fissi alle virtù dei padri».10
All’uscita dell’“Almanacco”, nel 1932, i lavori di copertura erano ormai conclusi, tanto che già
due anni prima Codara aveva scritto sulla rivista municipale “Milano” che le «linee di una nuova
estetica cittadina avevano sostituito quelle di vecchie costruzioni e di cadenti catapecchie», forse
pregne di «colore locale», ma «troppo apertamente contrastanti coi moderni canoni dell’urbanistica, del decoro e dell’igiene»,11 in adesione, cioè, a un’ideologia di città efficiente, portatrice di
un’estetica moderna di strade rapide, regolari e spaziose in cui non trovavano posto gli inutili e
indecorosi sedimenti del tempo. Contemporaneamente, in omaggio ai sentimenti di rimpianto di
molti milanesi, Codara richiamava alcuni versi del poeta Paolo Buzzi: «Ecco el mulin di Arma e i
so ratteer / Che se speggen in l’acqua, catanai / E barlafus in cort e sui lingheer», segnalando inoltre
al lettore che precedentemente la stessa rivista municipale aveva pubblicato alcune «visioni del
Naviglio alla vigilia della copertura» per fissare il ricordo di luoghi destinati a sparire.12
Lo stesso proposito che manifesta l’“Almanacco” scegliendo di illustrare il primo numero con 12
dipinti di Giannino Grossi (su cui si dirà in seguito) tutti dedicati al Naviglio di un tempo, oramai
sepolto, ma diventato un emblema della «città che non è più» e «più vivo che mai nella nostra
mente e nei nostri affetti».13
10
11
12
13
CAPELLI, La Famiglia Meneghina, p. 6.
CODARA, La copertura, p. 149.
Ivi, p. 151; cfr. Visioni del Naviglio di Milano, alla vigilia della sua copertura, in “Milano”, n. 2, febbraio 1929, p. 88.
CAPELLI, Introduzione, p. 9.
119
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Ornella Selvafolta
È indubbio che questo sia il topos urbano più amato
e presente nei ricordi dei milanesi e tra i più coltivati dalla Meneghina, cantato da poeti in sopraffino
vernacolo e non, oggetto di rappresentazioni artistiche che avevano gradualmente intensificato le
coloriture di ambiente, gli aspetti pittoreschi e il
dato cronachistico. La copertura del Naviglio aveva
anzi ulteriormente ravvivato tali attitudini e aveva
suscitato un autentico «entusiasmo nostalgico»,
per cui, scriveva Luigi Medici, «non passa giorno»
senza che «ci sia un pittore col suo cavalletto»
sistemato lungo le rive.14
Ne è testimonianza anche l’affollatissima «mostra
del morituro Naviglio», organizzata dalla Famiglia
Meneghina insieme alla Famiglia Artistica nel 1929
(«mai si videro […] tante tele, tanti disegni raffiguranti tutti gli angoli di quelle care acque»), con la
memorabile serata conclusiva in cui circa duemila
persone nel salone del Palazzo della Permanente
ascoltarono la lettura del «poemetto Acque nostrane
di Luigi Medici e di altre liriche meneghine»,
come atto di omaggio e di addio al Naviglio.15
Tra questi vi era certamente Giannino Grossi che,
per la continuità di collaborazione con la Meneghina,
1933: la loggia nella corte ducale
per l’impegno costante nella rappresentazione della “Almanacco”
del Castello Sforzesco di Milano, dipinto
“vecchia Milano”, per il grande favore incontrato dai di Giannino Grossi del 1932.
contemporanei, esige almeno un accenno.
Nel 1932 egli figura tra i Missee, è membro della Commissione di Storia Lettere ed Arti, ed è già un
pittore conosciuto che dieci anni prima ha conseguito il Premio Fumagalli all’Esposizione dell’Accademia di Belle Arti di Brera e ha realizzato innumerevoli dipinti di soggetti milanesi e lombardi.16
Nell’introduzione all’“Almanacco”, Capelli parla della sua «mano esperta» per guidare i lettori in
«una dilettosa passeggiata dal Ponte di Via Vallone al Ponte di S. Marco», che permetterà di rivedere
le «sciostre, le case, i ponti, i giardini, i palazzi specchiarsi nelle lente acque ormai invisibili».17
Orio Vergani, in occasione di una mostra commemorativa nel 1969, userà parole non dissimili a
proposito di un pittore che, nel corso di 65 anni di attività, ha colto «con felice tocco ogni carattere
d’arte degli edifici storici, delle antiche vie e piazze, dei paesaggi nostri», professando quasi «un
atto d’amore verso gli aspetti pittoreschi e sovente poetici» della città e della regione. «Per tanti
anni è stato la nostra guida nelle strade della vecchia Milano» e «probabilmente nulla del mondo
paesistico lombardo gli è ignoto», compreso entro «un’opera vasta e affettuosa» che sarà un giorno
14
Citazioni da LUIGI MEDICI, La ca’ di scultor, in “Milano”, n. 4, aprile 1935, p. 204.
Cfr. LUIGI MEDICI, La Famiglia Meneghina, in “Milano”, n. 12, dicembre 1929, pp. 733. Per la mostra cfr. Il Naviglio
di Milano. Catalogo ufficiale della “Mostra del Naviglio”, maggio-giugno 1929, Milano, Società per le Belle Arti ed
Esposizione Permanente, 1929.
16 Su Giannino Grossi (1889-1969) cfr. Commemorativa di Giannino Grossi, 4-16 giugno 1969, Galleria Bolzani,
Milano 1969, s.n.p. Ringrazio per la segnalazione Francesca Paola Rusconi, Fondazione Boschi Di Stefano, Milano.
17 CAPELLI, La Famiglia Meneghina, p. 9.
15
Luoghi e edifici della «città che cambia» nel primo decennio dell’“Almanacco della Famiglia Meneghina”
un «prezioso documento» del tempo e dell’arte.18
Anche il patrimonio monumentale, le architetture
storiche delle grandi stagioni artistiche sono oggetto
della pittura di Grossi e dell’iconografia della Famiglia Meneghina. La Loggetta di Bianca di Savoia
nel castello Sforzesco come l’abside di Santa Maria
delle Grazie, Chiaravalle come San Lorenzo, via
Dante come il corso Vittorio Emanuele, i giardini
del Museo di Milano come la piazza San Sepolcro,
il verde attorno al Naviglio come gli ombrelloni del
Verziere, distinguono infatti fino ad oltre il dopoguerra le copertine dell’“Almanacco”, e allestiscono una mostra virtuale della città le cui immagini hanno fortemente contribuito a costruirne la
percezione e la memoria.
Tornando tuttavia all’edizione del 1932, le dodici
vedute del Naviglio interno si concludono con l’immagine dei lavori di copertura in prossimità di San
Marco, cioè in uno dei punti favoriti da pittori e scrittori, per la sua varietà urbana, per l’idraulica complessa, l’allargarsi e il confluire dei flussi, la conca
all’innesto con via Fatebenefratelli e, più oltre, per
la Ca’ di Scultor, il Tombon, il ponte in pietra. La
veduta di Grossi, «all’inizio dei lavori di copertura»,
“Almanacco” 1938: abside di Santa Maria delle
ritrae un alveo ormai asciutto in cui si incunea un
Grazie, dipinto di Giannino Grossi, 1937-38.
altro tipo di canale, composto, spiega Codara, da
volte e diaframmi in cemento armato, calcolati in
modo da poter sostenere la carreggiata e distribuiti in modo da lasciar fluire le acque nel sottosuolo.19
Con questa immagine si conclude la «passeggiata dilettosa» lungo il Naviglio e inizia l’itinerario
nella modernità. E non è un caso che, nello stesso 1932, la Meneghina organizzi un ciclo di «conferenze sui problemi cittadini», concluso dall’intervento del podestà Marcello Visconti di Modrone
sul ruolo e l’attività del Comune di Milano a favore della città che «cambia e deve cambiare».20
Passando in rassegna i diversi settori di intervento municipale, parlando dei piani regolatori che
si erano succeduti nei decenni precedenti e di quelli in vigore, egli prospettava gli scenari di una
città votata all’espansione e al progresso per cui le trasformazioni rappresentavano innanzi tutto
segnali positivi. La nuova piazza degli Affari, l’appena inaugurata Stazione Centrale, il prossimo
Palazzo dell’Arte per le Triennali, il completamento di piazza San Babila, l’avvio del lungo iter
che avrebbe portato nel 1941 al nuovo Palazzo di Giustizia, affermavano l’attivismo municipale di
un corso politico che, se aveva perso in democrazia, sembrava avere guadagnato in dinamismo e
intraprendenza, configurando la città come un grande e perenne cantiere, poco simpatetico con le
nostalgie e i rimpianti.
18
ORIO VERGANI, Commento al catalogo di Giacomo C. Bascapè, in Commemorativa di Giannino Grossi, s.n.p.
CODARA, La copertura, p. 152.
20 Il Comune dall’anno VIII all’anno X. Conferenza del Podestà alla “Famiglia Meneghina”, in “Milano”, n. 6, giugno
1932, pp. 267-275.
19
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Ornella Selvafolta
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
“Almanacco” 1938: “Milano che si rinnova”, inizio dei lavori del nuovo
“largo San Babila”, da un dipinto di Giuseppe Pessina (1893-1967).
Va da sé che sull’“Almanacco”, pur senza mai trascurare il passato, gli interventi sulla Milano
moderna guadagneranno spazio nel corso degli anni, associandosi tra l’altro a quell’idea di città
“laboriosa”, calata nelle ragioni del fare, che da un lato rimandava alla tradizionale concretezza
ambrosiana e dall’altro ben si innestava nel mito di metropoli all’avanguardia, dinamica e innovativa. Così, nonostante in più occasioni sull’“Almanacco” ricorrano espressioni come «furia del piccone demolitore» o «città condannata a distruggere e a divorar se stessa», sarà giocoforza mettere
in risalto anche gli aspetti positivi del rinnovamento.
Introducendo l’edizione del 1938 Luigi Mario Capelli, dopo aver pagato il tributo alle strategie
retoriche di regime nel periodo delle colonie e della guerra di Spagna, affermava che «questa volta»
si era data larga parte «a quanto la città ha fatto per il suo rinnovamento edilizio, anche per meglio
corrispondere all’importanza […] acquistata nel piano della grandezza nazionale».21 Giuseppe De
Capitani d’Arzago, presidente della Cariplo, scriveva del ruolo della Ca’ de Sass per «l’incremento
cittadino», mentre Massimo Della Porta, presidente dell’Ospedale Maggiore, dopo aver parlato
21
CAPELLI, Il nostro Almanacco, in “Almanacco 1938”, p. 4.
Luoghi e edifici della «città che cambia» nel primo decennio dell’“Almanacco della Famiglia Meneghina”
della gloriosa Ca’ Granda, illustrava
il nuovo Ospedale di Niguarda in
procinto di essere concluso.22 Una
nuova “città di cura” che dai 160
posti del venerando ospedale sforzesco, arrivava a ben 1600, portando
a un inedito livello di scientificità
ed efficienza le prestazioni mediche,
mentre architettonicamente costituiva la traduzione moderna dell’antica monumentalità ospedaliera.23
Se questa è la Milano che costruisce
senza sacrificare le preesistenze, sono
invece le distruzioni a sollecitare le
considerazioni del prolifico scrittore Alex Visconti, allarmato dalla
rapida scomparsa di architetture e
monumenti forse non famosi, ma
parti della cultura e della ‘sostanza
meneghina’.24 È quel «certo magon»
che anche l’ingegnere Codara nutre
nei confronti del Naviglio, dei suoi
«cantonitt sentimentai», della sua
«acqua lenta lenta e scura», evocata
all’inizio del brano in prosa A Navili
quattaa!.25 Uno scritto singolare,
dove il dialetto è usato per parlare
“Almanacco” 1938: Milano che si rinnova. Il grattacielo di Porta
di un tema moderno e per descri- Venezia (Torre Rasini degli architetti Emilio Lancia e Gio Ponti
vere un intervento tecnico, tanto che ai caselli di Porta Venezia), dipinto di Maria Casella (1889-1979).
sorge spontanea l’osservazione che
si tratti quasi di una forma di risarcimento verso la ‘milanesità del Naviglio’ da parte di chi era stato l’artefice della sua copertura. Resta
comunque l’orgoglio di avere portato a termine un progetto difficile e complicato: «specie per qui
benedetti 29 ronsg che vegnen foeura del Navili per bagnà i campagn», per «i pont de sbassà, i conch
de stoppà» e per «tutt i servizi de energia, lus, acqua potabil, telegrafi, telefoni, posta pneumatica, gas
logaa sott al marciapè»: tutto coperto dalla nuova strada di circonvallazione («ona strada circolar
intorna al coeur de la cittaa»).26
La copertina dell’“Almanacco 1938” riproduce con le pennellate morbide e veloci di Grossi l’abside di Santa Maria delle Grazie, nell’anno in cui era stato compiuto il restauro grazie alla genero22
Cfr. ibidem; GIUSEPPE DE CAPITANI D’ARZAGO, La nostra Ca’ de Sass, ivi, pp. 43-45; MASSIMO DELLA PORTA, Il nuovo
Ospedale Maggiore di Milano, ivi, pp. 49-53.
23 Ivi, p. 51. L’Ospedale Maggiore di Niguarda venne progettato nel 1931-1932 dall’ingegnere Giulio Marcovigi con la
collaborazione dell’architetto Ulisse Arata e del professore Enrico Ronzani per la parte sanitaria.
24 ALEX VISCONTI, Demolizioni, in “Almanacco 1938”, pp. 55-58.
25 CODARA, A Navili quattaa!, in ivi, pp. 59-61.
26 Ivi, p. 60.
123
124
Ornella Selvafolta
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
“Almanacco” 1940: “Milano Panoramica”, vedute fotografiche di Largo Fiume,
oggi piazza della Repubblica, e del sottopasso del Lambro a Crescenzago.
sità del socio, senatore Ettore Conti, scegliendo quindi un monumento antico legato all’attualità.
Nelle pagine interne diverse illustrazioni sono invece dedicate a luoghi e edifici moderni, quali
avvisaglie di un incipiente cambiamento di immagine.
Capelli nell’introduzione spiega che si è inteso dare spazio sia alla «Milano che scompare», sia
alla «Milano che si rinnova», chiamando a raccolta «i pittori appartenenti alla nostra famiglia».27
Vedute di Largo Augusto, di Corso del Littorio, del Largo San Babila e del «grattacielo di Porta Venezia», dovuti a Piera Carbone, Riccardo Galli, Giuseppe Pessina, Maria Casella segnalano quindi
momenti e luoghi del cambiamento, a volte con edifici attorniati dalle impalcature e gru di cantiere
ancora in opera, a volte già immersi in un’atmosfera metropolitana un po’ nebbiosa, i migliori con
tratti impressionistici come nel bel dipinto di Maria Casella che nel «grattacielo di Porta Venezia»,
27
CAPELLI, Il nostro Almanacco, p. 5.
Luoghi e edifici della «città che cambia» nel primo decennio dell’“Almanacco della Famiglia Meneghina”
ritrae la torre Rasini ai giardini pubblici di Emilio Lancia e Gio Ponti: una delle più interessanti
architetture del Novecento milanese.28
Il destino di Milano, è l’articolo di apertura del giornalista scrittore Giovanni Cenzato dell’“Almanacco 1939”, dedicato a una città che ha superato il milione di abitanti e «cammina veloce verso
l’avvenire».29 È un inno alla sua vocazione produttiva, alla forza di attrazione pratica, alla spregiudicatezza che rendono accettabili la mancanza di elementi paesaggistici e di pittoresco, la scarsa valorizzazione del patrimonio artistico, persino un’architettura definita «squilibrata e incongruente».30
Il suo volto è «sempre affaticato, ma mai stanco», le sue azioni sono sempre generose, la sua «età è
sempre giovane», scrive Cenzato offrendo suggestive metafore agli stereotipi della Milano laboriosa.
Poche pagine dopo è Manfredi Oliva a parlare della giovinezza di Milano segnalandone i successi
agonistici e i nuovi impianti sportivi (dalle piscine all’Idroscalo, dallo stadio di san Siro al velodromo
Vigorelli), straordinariamente incrementati non solo come occasioni di spettacolo ed evasione, ma
anche di educazione collettiva, di rigenerazione fisica e morale e di costruzione del consenso.31
Alcuni di essi illustreranno l’“Almanacco” 1940, non più con dipinti, disegni o incisioni, bensì, e
per la prima volta, con fotografie: «quasi tutte inedite», sottolinea una nota in calce all’articolo sul
rinnovamento di Milano del vice podestà Giovanni Viani,32 e oggi ricche di informazioni sulla città
degli anni Trenta. Riprendono le nuove sistemazioni a verde di piazze e strade, i giardini storici
pubblici e privati, due grandi istituzioni come il Regio Politecnico e l’Ospedale di Niguarda, il
Teatro Lirico e l’Istituto Magistrale Virgilio, documenti della grande mostra leonardesca del 1939 e
una sala dell’Ambrosiana, le nuove piscine all’aperto e le «visioni di un nobile sport che va affermandosi simpaticamente anche da noi».33
Ovvero il gioco del calcio e lo stadio di San Siro, a mala pena riconoscibile in due rare fotografie che
lo ritraggono dopo l’acquisizione, nel 1935, da parte del Comune di Milano e dopo un primo ampliamento dell’impianto originario, inaugurato nel 1926 come campo da gioco del Milan Football Club.34
Diventato insufficiente con i suoi 40.000 posti dopo il crescente successo del «nobile sport», San Siro
era stato ampliato nel 1937 sopraelevando e raccordando con tratti in curva le originarie tribune rettilinee al fine di raggiungere una capienza attorno ai 60.000 posti. Risistemato il parterre, costruiti ex
novo i servizi per gli atleti, aumentati e razionalizzati gli accessi, il cantiere del nuovo stadio, iniziato
nel 1938 in pieno periodo autarchico, riuscì a concludersi l’anno seguente in tempo per l’appuntamento con la partita inaugurale di Italia-Inghilterra terminata con un onorevole pareggio.
Al momento dell’uscita dell’“Almanacco” lo stadio, trasformato, ampliato, avvolto da un crescente
favore popolare, rappresentava un altro sintomo della vocazione meneghina al progresso, particolarmente gradito e rassicurante nel 1940: «un momento turbinoso della vita interna», quando «noi
tutti interroghiamo l’avvenire».35
28
Per cui cfr. FULVIO IRACE, Gio Ponti. La casa all’italiana, Milano, Electa, 1988, pp. 93-102.
GIOVANNI CENZATO, Il destino di Milano, in “Almanacco 1939”, pp. 35-38.
30 Ivi, p. 37.
31 Cfr. AUGUSTO ROSSARI, L’architettura per lo sport nel periodo tra le due guerre, in Costruire in Lombardia, vol. V, Impianti sportivi. Parchi e giardini, a cura di Ornella Selvafolta, Electa, Milano 1990, pp. 35-52.
32 GIOVANNI VIANI, Il rinnovamento edilizio di Milano, in “Almanacco 1940”, p. 38.
33 Ibidem.
34 Per lo stadio cfr. O. SELVAFOLTA, San Siro: la “città dello sport”, in San Siro: storia di uno stadio, a cura di Silvana
Sermisoni, Milano, Electa, 1989, pp. 41-71. Lo stadio originario del 1926 è stato progettato dall’ ingegnere Alberto
Cugini; il primo ampliamento del 1937 è dovuto all’ingegnere Giuseppe Bertera coadiuvato dall’architetto Perlasca
dell’Ufficio Tecnico Comunale di Milano; per gli ampliamenti successivi, cfr. ibidem.
35 PIER GAETANO VENINO, Prefazione, in “Almanacco 1940”, p. 4.
29
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Ornella Selvafolta
“Assocciazione Cullturale
Bib
blioteca Famiglia
Meneeghiina-Società del Giardino”
“Almanacco” 1940: “Il nuovo ospedale del Perdono”,
vedute fotografiche dell’Ospedale Maggiore di Niguarda.
Luoghi e edifici della «città che cambia» nel primo decennio dell’“Almanacco della Famiglia Meneghina”
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
“Almanacco” 1940: vedute fotografiche dello Stadio di San Siro
con il nuovo ampliamento degli anni 1937-1939.
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Ornella Selvafolta
“Almanacco” 1939,
“testatina” della
pittrice Piera Carbone
(1904-1976).
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Ma in quell’anno, tra gli articoli sul verde delle nuove strade e dei vecchi giardini, sul Politecnico e
la Famiglia Artistica, sulla «Madonnina illuminada» e le usanze popolari, su «Milan noeuv spiegato
alle nonne» e le finestre fiorite, sulla caccia a cavallo in Brughiera e «sua maestà il semaforo»,36
l’“Almanacco” aveva, in un certo senso, compiuto il passaggio dal puro sentimento della nostalgia
alla coscienza del passato e del futuro, guardando in avanti e serbando gelosamente il cuore delle
sue tradizioni.
Così che la Milano effusa dalle sue pagine sembra continuamente comporsi in panorami di voluto
mixage tra antico e moderno, sia per l’espressione letteraria sia per quella figurativa. Lo si vede
nella testatina firmata da Piera Carbone per l’articolo Il destino di Milano del 1939, dove gli edifici
storici più famosi si combinano con la torre in acciaio del parco Sempione e il grattacielo di piazza
San Babila (entrambi inaugurati da pochi anni) per dare vita a un paesaggio immaginario di luoghi
reali.37 Un capriccio non a caso riecheggiato oggi dalla visione milanese di architetture storiche e
contemporanee dell’artista Jean Pattou che la Famiglia Meneghina ha scelto ad effigie del Novantesimo anno: in continuità con la sua tradizione di ritratti urbani e di osservazione attenta sulla città
e le sue trasformazioni.
Ornella Selvafolta
Politecnico di Milano
36
37
Indice, ivi, p. 152.
“Almanacco 1939”, p. 35.
Maria Teresa Donati, Nicoletta Sfredda, Thea Tibiletti
«La più bella espressione del pensiero»:
la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Milano, la Meneghina e l’arte
L’intensa attività editoriale, intrapresa dalla Famiglia Meneghina fin dai primi anni della sua esistenza, permette di ricostruire alcune vicende della sua collezione d’arte, che costituisce un capitolo tuttora inedito della vita culturale del Sodalizio e che viene in parte presentata per la prima volta
in occasione dei novant’anni dalla fondazione.
Tale raccolta, formatasi nel corso delle attività promosse dai soci, rappresenta una delle testimonianze dell’appassionato lavoro del Sodalizio per salvaguardare e rilanciare le tradizioni culturali
milanesi. Come si apprende dallo Statuto del 1926, la Meneghina, oltre a dedicarsi alle discipline
letterarie, storiche e dialettali, estende il suo interesse anche alle arti figurative, consapevole che
l’arte «l’è anmò la pussee bella espression del penser», per citare il Resgiò Mario Badini.1 Il secondo
articolo dello Statuto recita infatti «...promuovere e dare una mano alle esposizioni che illustrino
la Milano del passato e del presente»,2 ponendo così le basi per importanti iniziative3 che proseguiranno per decenni e porteranno la Meneghina a sostenere gli artisti organizzando esposizioni,
assegnando premi e garantendo la vendita delle opere. Inoltre i soci, in un cordiale clima di collaborazione, visitano musei, luoghi artistici e studi di pittori.
Tali attività inseriscono così la Famiglia nel circuito dell’arte milanese, rappresentato ufficialmente
dalla storica istituzione dell’Accademia di Belle Arti di Brera,4 alla quale si affiancano, dalla seconda metà dell’Ottocento, società private quali la Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente5 e la Famiglia Artistica6 nonché le gallerie d’arte sorte in quegli anni. Questi enti, promuovendo
esposizioni e vendite, favoriscono scambi e circolazione di idee tra gli artisti e rendono il mercato
dell’arte milanese molto vivace.
El nost Milan: esposizioni e premiazioni della Famiglia Meneghina
A due anni dalla sua fondazione, nel novembre 1926, la Meneghina allestisce la sua prima grande
1
Esposizione intima della Famiglia Meneghina. Opere dei soci pittori Aldo Carpi, Gino Moro, Daniel Fontana, Milano,
s.n., 1928.
2 Statutt, Milano, Codara, 1926, p. 1.
3 ALESSANDRO VISCONTI, Piccola Storia della Famiglia Meneghina, Milano, A. Cordani, 1950.
4 Vado a Brera: artisti, opere, generi, acquirenti nelle Esposizioni dell’800 dell’Accademia di Brera, a cura di Roberto
Ferrari, Brescia, Aref, 2008.
5 La Società per le Belle Arti, istituita nel 1843, e l’Esposizione Permanente di Belle Arti, nata nel 1869, si fondono
nel 1883 nella Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, inaugurata nel giugno 1886 con una mostra nella
nuova sede di via Principe Umberto 32 (via Turati): 1886-1986. La Permanente. Un secolo d’arte a Milano, Milano,
Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, 1986; SILVIA IACOBELLI, La Permanente: un’alternativa mancata
all’Accademia nella Milano di fine secolo, in La geografia dei sistemi dell’arte nella Lombardia ottocentesca, a cura di
Roberto Ferrari, Brescia, Aref, 2011, pp. 125-144.
6 La Famiglia Artistica Milanese nasce nel 1873 per iniziativa di Vespasiano Bignami: Famiglia Artistica Milanese.
130° anniversario, a cura di Anna Mangiarotti, Milano, Famiglia Artistica, 2004.
130
Maria Teresa Donati, Nicoletta Sfredda, Thea Tibiletti
L’inaugurazione della mostra del 1926 in una caricatura di Daniele Fontana, pubblicata
sul periodico sociale della Meneghina.
esposizione alla Permanente. La partecipazione è aperta solo agli artisti nati a Milano, limitazione
che Carlo Carrà troverà discutibile,7 ed è legata a un concorso per opere in qualsiasi tecnica mai
esposte prima. Ognuno può presentarne quattro, cinque se una ha un soggetto milanese. La Meneghina, infatti, consacra il piano superiore della mostra al tema El nost Milan.
All’organizzazione dell’evento partecipano una commissione di sei soci e un comitato ordinatore di
dodici artisti, posto a sua volta sotto il Patronato di un Comitato d’Onore.8 La selezione e l’allestimento
sono affidati a un’altra commissione di cinque artisti, che ammette 452 opere delle 766 presentate.9
Il criterio di selezione tiene in massimo conto il valore artistico dei lavori e sceglie autori che dimostrano «di seguire un indirizzo di sana e onesta ricerca», comprendendo opere ispirate alle più
diverse tendenze.10 La rassegna assume così un tono eclettico. Sono esposti quadri sia di pittori
famosi ma sul finire della loro carriera, come Bazzaro e Bouvier, sia di artisti già affermati, come
Grossi, Mantovani, Bezzola, sia di giovani esordienti, come Daniele (o Daniel) Fontana.
L’esposizione, di grande successo, chiude alla fine di dicembre con una cerimonia alla quale partecipano personalità milanesi, artisti espositori e giornalisti e con un’ampia premiazione.11 Le medaglie in gioco sono numerose perché, oltre alla Famiglia Meneghina, che offre una medaglia d’oro
7
CARLO CARRÀ, La mostra degli artisti milanesi, in “L’Ambrosiano”, 12 novembre 1926.
Tra gli artisti vi sono Bezzola e Grossi: Prima mostra d’arte di artisti milanesi, Milano, Arti Grafiche A. Rizzoli, 1926.
9 I membri della commissione, tra cui Bezzola e Carpi, presentano i propri quadri, ma non concorrono alla premiazione.
10 Prima mostra, pp. 17-18.
11 La premiazione è affidata a un’altra giuria di artisti eletta dagli espositori: “L’Ambrosiano”, 11 novembre 1926;
“Famiglia Meneghina”, I (1926), n. 10, p. 1; II (1927), n. 2, pp. 6-7 (da qui in poi “FM”).
8
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
e una d’argento per opere con soggetto milanese,12 donano premi anche il Ministero della Pubblica
Istruzione, il Comune, la Cassa di Risparmio e la Banca Popolare.
Questo evento offre agli artisti l’opportunità non solo di mostrare le opere, all’epoca occasione rara,
ma anche di venderle. Con questa iniziativa la Meneghina dà inizio alla propria collezione acquistando per le sale della sua sede i primi tre quadri, dei quali due di Bezzola.
L’anno seguente, in dicembre, la Famiglia organizza una nuova mostra nella sua sede in via Rugabella 9, Caricature e macchiette milanesi. La commissione ordinatrice è formata da soci artisti,
tra i quali Galli, Fontana e Grossi, che partecipano attivamente anche alle pubblicazioni del Sodalizio con illustrazioni e articoli. La mostra delle caricature vuol recuperare una Milano che non
c’è più, rievocando con la satira e l’umorismo nomi illustri della vita pubblica della città, tra la
fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Il periodico sociale riporta orgogliosamente il successo
dell’iniziativa,13 premiata dall’affluenza del pubblico e dai lusinghieri articoli usciti sui quotidiani.14 Un volume sulle caricature del milanese Otto Cima corona l’evento.15
Proseguendo nell’intento di promozione artistica, il 12 maggio 1928 la Meneghina inaugura la prima
mostra «intima» di pittura, scultura e bianco e nero dei soci artisti,16 appuntamento che si ripeterà
negli anni, mutando nel 1941 il nome in mostra «sociale», con un’interruzione durante la guerra.
Il 1929 è per il Sodalizio un anno ricco di iniziative. A febbraio allestisce una rassegna intima17 più
ampia delle precedenti, essendo aumentato il numero dei soci artisti, seguita da un’altra a dicembre.18 L’idea guida rimane quella di esporre opere di tecniche e stili diversi purché portino lustro a
Milano, mentre i soggetti continuano a essere paesaggi e vedute, soprattutto milanesi, oltre a nature
morte. Come di consueto, la Meneghina acquista alcune delle opere esposte tra cui i dipinti di Grossi, Fontana, Palanti e della Mottironi.
Nel maggio dello stesso anno, il Sodalizio aderisce, con l’Accademia di Brera, la Permanente, la Società Artisti e Patriottica, i Cultori dell’Architettura e i Sindacati Belle Arti e Architetti, all’organizzazione di una grande mostra sul Naviglio, promossa con intento polemico dalla Famiglia Artistica
per l’imminente copertura della Fossa Interna.19 L’esposizione, allestita alla Permanente, è aperta ai
soci e non soci che possano offrire opere e documenti sull’amato canale. Tra i soci della Meneghina
espongono Conti, De Bernardi, Fontana, Grossi e Jemoli.20
Dopo un anno di pausa per il cambio di sede in corso Roma 9 (attuale corso di Porta Romana), nel
novembre 1931 la Meneghina riprende le attività con una mostra intima.21
Nei mesi che precedono ogni esposizione la rivista pubblica il regolamento per l’ammissione al
concorso deciso dal Consiglio, che stabilisce il numero dei lavori da presentare, il soggetto, che
quasi sempre è libero, e la cifra da stanziare per acquistare le opere. Nel bando per la mostra intima Milanin Milanon del 1935,22 invece, il Consiglio fissa un soggetto preciso, con l’intento di fare,
12
Medaglia d’oro a Mantovani, medaglia d’argento a G. Moro: “FM”, II (1927), n. 2, pp. 6-7; LUIGI MEDICI, La Famiglia
Meneghina nel suo primo lustro di vita, in “Milano” (1929), fasc. 12, pp. 727-734.
13 “FM”, II (1927), n. 11, p. 1; n. 12, p. 3.
14 “Corriere della Sera”, 8 novembre 1927; “Secolo”, 8 novembre 1927; “Corriere d’Italia”, 11 novembre 1927.
15 OTTO CIMA, Mezzo secolo di caricatura milanese (1860-1910), Milano, Stab. arti grafiche Bertarelli, 1928.
16 Esposizione intima della Famiglia Meneghina; “FM”, III (1928), n. 5, pp. 1-2.
17 Nel comitato figurano Fontana e Grossi; “FM”, IV (1929), n. 1, p. 1; n. 2, p. 2.
18 “FM”, IV (1929), n. 12, p. 2.
19 EMPIO MALARA, Il Naviglio di Milano, Milano, Hoepli, 2012.
20 Il Naviglio di Milano. Catalogo ufficiale della Mostra del Naviglio nel Palazzo della Permanente in Milano, a cura
di Alberto Marzocchi, Milano, Rizzoli, 1929; “Giornale dell’Arte”, 28 aprile 1929.
21 “FM”, IV (sic ma VI) (1931), n. 12, p. 1.
22 “FM”, X (1935), nn. 9-10-11, p. 1.
131
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Maria Teresa Donati, Nicoletta Sfredda, Thea Tibiletti
come scrive il pittore Galli nella rivista, una mostra «tutta nostra, diversa dalle consuete».23 La
Meneghina acquista numerosi quadri tra cui quelli di Galli, Grossi e Mottironi.
Nel dopoguerra, nell’ottobre 1945, la Meneghina si distingue per il suo impegno sociale con un’esposizione, nella sede di via Meravigli, per la raccolta di soldi «pro reduci e perseguitati politici
milanesi». L’iniziativa, concepita come intima, si allarga in seguito agli artisti lombardi, che rispondono numerosi. Il ricavato della mostra è donato a 149 reduci e una piccola cifra è offerta a un
Martinin e a una Stellina.24
Nell’ottobre 1948,25 per il venticinquesimo anniversario della fondazione del Sodalizio, è riproposta
una mostra estesa agli artisti lombardi, che si ripeterà ancora nel 195226 e nel 1953,27 con l’aggiudicazione, come consuetudine, di due premi “Famiglia Meneghina”.
Diversa dalle intime è la mostra sociale dei bozzetti del dicembre 1957, che ha un esito felice. Bezzola, nel periodico, descrive il bozzetto come una delle espressioni più interessanti delle doti di un
artista, perché è il risultato più immediato dell’emozione provata o di un pensiero.28
Negli anni successivi il Sodalizio continua ad allestire mostre alle quali partecipano ancora gli artisti presenti nella collezione, iniziative che si possono seguire attraverso il periodico sociale fino
alla metà degli anni Settanta.29
Committenti, temi e modi
I quadri della collezione, di medio e piccolo formato, raffiguranti soprattutto paesaggi, vedute urbane e ritratti, rivelano il gusto di una committenza di estrazione borghese che apprezza la pittura
lombarda della seconda metà dell’Ottocento e continua a gradire temi e modi tradizionali, destinati
a protrarsi oltre la metà del XX secolo. Da queste scelte artistiche sono escluse sia le raffigurazioni
religiose, storiche e letterarie sia le opere d’avanguardia.30
Naturalmente i dipinti della raccolta privilegiano vedute milanesi e lombarde alle quali si aggiungono alcuni paesaggi italiani. Emerge in molte di queste opere un legame con i modi pittorici della
Scapigliatura e del naturalismo lombardo, variamente declinati dagli artisti secondo il gusto e la
sensibilità di ognuno. A tali soggetti si aggiungono tre misteriose donne immortalate da artisti di
fama quali Luigi Conconi, Giuseppe Palanti. La libertà espressiva, le ampie pennellate, i contorni
quasi scomparsi delle figure, peculiarità della Scapigliatura, si ritrovano nelle luminose tele di
Conconi e Palanti, il primo vero e proprio rappresentante del movimento milanese, il secondo
fedele per scelta a questi modi pittorici. Diverso il caso di Tafuri, autore di un inquieto profilo di
giovane donna.
23
“FM”, XI (1936), n. 1, p. 1.
“FM”, XX n.s. (1945), n. 1, p. 5; n. 2, p. 5; XXI n.s. (1947), n. 2, p. 3.
25 “FM”, XXII n.s. (1948), n. 5, p. 14.
26 Prima mostra degli artisti lombardi: “FM”, XXVI (1952), n. 1, pp. 18-19.
27 Seconda mostra degli artisti lombardi, tra i premiati Mantovani e Conti: “FM”, XXVII (1953), n. 6, pp. 18-19.
28 “FM”, XXXI (1957), n. 1, p. 21.
29 “FM”, XXXII (1958), n. 1, pp. 28-29; XXXIII (1959), n. 1, p. 32; n. 2, pp. 30-31; n. 5, pp. 36-37; XXXIV (1960),
n. 2, pp. 34-36; n. 5, pp. 35-36; XXV (sic ma XXXV) (1961), n. 3, pp. 32-33; XLI (1967), n. 2, p. 27; XLIII (1969),
n. 3, pp. 18-19; XLV (1971), n. 3, p. 30; XLVIII (1974), n. 2, pp. 25, 32-34.
30 SERGIO REBORA, Una questione di gusto. Imprenditori e scultori a Milano, in La città borghese. Milano 1880-1968, a
cura di Massimo Negri, Sergio Rebora, Milano, Skira, 2002, pp. 25-67; NICOLETTA COLOMBO, Un “Novecento” alternativo. Tracce ottocentesche nelle acquisizioni della Provincia di Milano tra il 1920 e il 1944, in 150 anni di Opere e Arte. I
Tesori della Provincia di Milano, Vimercate, Arti Grafiche Vertemati, 2010.
24
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Il ferravilliano Sur Panera, oleografia su legno.
Medaglione in bronzo realizzato da Nando
Conti per uno dei campionati sociali di biliardo
organizzati dalla Famiglia Meneghina.
Ma la vena collezionistica della Meneghina non si esaurisce qui. Coerentemente con gli interessi
per la lingua milanese e il teatro, la collezione comprende i ritratti di Meneghin Balestrieri e di
Carlo Porta e un bronzetto che riunisce dieci poeti dialettali, oltre a una raffigurazione del Sur
Panera, uno dei personaggi interpretati da Edoardo Ferravilla, grande autore e attore del teatro
meneghino. In più, lo spirito ironico e sorridente del Sodalizio ci è restituito da caricature di soci e
protagonisti della scena milanese immortalati da Fontana, mentre l’intensa vita sociale e sportiva
è testimoniata da una medaglia commemorativa di una gara di biliardo e da due cartelloni, uno con
l’immagine di uno schermitore che infilza un pollo per una Serata d’Armi del 1952, l’altro con un
Arlecchino realizzato nel 1953 per una veglia benefica,31 opere di Nando Conti.
31
“FM”, XXVII (1953), n. 1, p. 35; n. 2, p. 15.
133
134
Maria Teresa Donati, Nicoletta Sfredda, Thea Tibiletti
Nando Conti, Arlequinade,
1953, carboncino e pastello su
masonite.
Nando Conti, Schermitore che infilza
un pollo, 1952, carboncino e pastello
su masonite.
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
La Famiglia Meneghina e gli artisti
Milano
Gli artisti presentati alla mostra commemorativa allestita presso la Biblioteca Sormani di Milano dal
14 gennaio al 15 aprile 201432 sono collegati tra loro da due elementi squisitamente milanesi: l’Accademia di Brera, frequentata dalla maggior parte di essi, e i legami con la Meneghina, documentati
per tutti a eccezione di Conconi morto nel 1917 e di Tafuri.
Milano si rivela un soggetto decisamente gradito. Un’opera di Achille Jemoli (1879-1960) ritrae
la Cascina Pozzobonelli e la Stazione Centrale inaugurata nel 1931; lo stesso soggetto, dipinto nel
1931 da Fontana,33 è proposto da Jemoli in un’altra versione nel 1933, il che permette di collocare
in questi anni anche il dipinto in mostra. Cantore di Milano e della Lombardia oltre che delicato
ritrattista, il pittore gioca sul contrasto tra il cotto dell’antico edificio e il marmo del modernissimo
monumento (Tav. 1). Macchie di colore danno vita anche alla brulicante folla assiepata davanti al
Duomo durante i festeggiamenti del 1938 per il quarto centenario della nascita di San Carlo Borromeo; in questo dipinto, datato 1939, ritorna il contrasto coloristico tra il bianco della cattedrale e il
rosa tenue dell’edificio di fondo (Tav. 2). 34
Il colore è protagonista anche della pittura di Luigi Mantovani (1880-1957), artista molto apprezzato nella sua Milano, che egli ricrea in atmosfere nebbiose e vibranti. Questi è presente nella collezione con La fontana di San Francesco (Tav. 3), olio esposto nel 1931, e Piazza Cordusio (Tav. 4) del
1932,35 immagini che sembrano svelate all’improvviso, come da un lampo, e rese con le pennellate
mosse e nervose della pittura impressionistica lombarda.
Anche La Cascina Simonetta (Tav. 5) di Mario Bezzola (1881-1968) è raffigurata con ampi e pastosi tocchi di colore che ne sfuocano i dettagli. Una luce intensa illumina l’edificio, sontuosa villa
cinquecentesca extraurbana decaduta nel XIX secolo e recuperata a partire dal 1959. L’autore,
conservatore alla Galleria d’Arte Moderna del Comune di Milano, scrive per decenni sulle pagine
d’arte della “Famiglia Meneghina”, rivelandosi un appassionato difensore della tradizione pittorica
lombarda di matrice ottocentesca e un fiero oppositore dei «terremoti formali» e delle «stravaganze»
sperimentate in quegli anni.36
Carlo Bisi (1890-1982) e Dino Rossi (1904-1982) ci restituiscono le immagini della Conca delle
Gabelle (Tav. 6), alla fine di via San Marco, e del Naviglio Grande con il Vicolo delle Lavandaie
(Tav. 7). Il primo dipinto, acquistato dalla Meneghina nel 1963, ricorda, in un’atmosfera plumbea,
un angolo della città che, con la chiusura definitiva di questo tratto di Naviglio, è andato perduto,37
mentre il secondo ritrae uno scorcio cittadino ancora esistente, sapientemente riflesso nelle acque
del canale, ravvivato dai colori delle figure femminili che si affrettano lungo la riva.38 Bisi, oltre
32
ANNA MARIA COMANDUCCI, Dizionario illustrato dei pittori e incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, Luigi
Patuzzi, 1970-1974, voll. I-V; Allgemeines Künstlerlexikon, München-Leipzig, K.G. Saur, 1995-… (da Bezzola a Grossi); Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1968-… (Bisi, Carpi, Conconi, De
Bernardi); inoltre “FM”, XLVIII (1974), n. 4, pp. 37-43.
33 Daniele Fontana, Milano, S.a. poligr. operai, 1931.
34 “FM”, VIII (1933), n. 12, p. 5; “Almanacco della Famiglia Meneghina” 1936, pp. 5, 127-128 (da qui in poi
“AFM”); “FM”, XIV (1939), n. 1, p. 2; “AFM”, 1939, pp. 96-97; “FM”, XXI (1947), n. 4, pp. 6-7.
35 Luigi Mantovani. Mostra antologica, a cura di Rossana Bossaglia, Milano, Electa, 1988; Luigi Mantovani, Milano,
Studiolo 93, 2008; sulle opere: “FM”, IV (sic ma VI) (1931), n. 12, pp. 1-2; “FM”, V (sic ma VII) (1932), n. 4, p. 3
“AFM”, 1953, tavv. III, IX.
36 “FM”, XXVII (1953), n. 1, pp. 20-21; XXXVI (1962), n. 4, pp. 31-32; XXXIX (1965), n. 2, pp. 14-16.
37 “FM”, XXXVII (1963), n. 2, pp. 37-38.
38 I cinque grandi dell’acquarello: Giulio Falzoni (1900-1979), Alvaro Mairani, Aldo Raimondi, Dino Rossi (1904-
135
136
Maria Teresa Donati, Nicoletta Sfredda, Thea Tibiletti
che paesaggista di successo, è illustratore e vignettista: alla sua mano si deve il personaggio di Sor
Pampurio, nato nel 1929 per il “Corriere dei Piccoli”.
Ci sono infine due opere della raccolta in cui Milano è evocata in modi del tutto differenti. La prima,
Appuntamento colle “Sorelle Ghisini” (Tav. 8), è una scena del 1929 che Daniele Fontana (19001984) ambienta presso lo scomparso Ponte delle Sirenette in via San Damiano; qui tre corteggiatori
restano stupefatti nello scoprire che le decantate “Sorelle Ghisini” sono le Sirene in ghisa che
ornano il ponte.39 Nella seconda, dipinta nel 1992 da Jean Pattou, la città è ricomposta, con colori
fantastici e in un’atmosfera irreale, mediante l’accostamento di monumenti significativi.40
Altri luoghi
Dalle vedute di Milano il percorso si amplia ai paesaggi lombardi. Ancora di Bezzola è la luminosa
immagine de I Corni di Canzo (Tav. 9) realizzata nel 1926 a pastello. La neve invece è protagonista
di Inverno nel Varesotto (Tav. 10), opera del 1947 di Domenico De Bernardi (1892-1963), artista
autodidatta specializzatosi in paesaggi e in immagini che raccontano l’Italia moderna, quali opifici, porti e scali ferroviari. Particolarmente affezionato al territorio varesino, il pittore raffigura un
paesaggio lacustre restituendo l’atmosfera di una gelida giornata d’inverno con tratti veloci e pochi
colori.41 A un altro appassionato pittore di paesaggi, Giannino Grossi (1882-1969), autore di centinaia di vedute di Milano e della Lombardia utilizzate anche per illustrare gli “Almanacchi” della
Meneghina, si deve un singolare monotipo del 1927. L’opera ritrae un angolo di Villa Borghese a
Roma (Tav. 11) popolato da figure in vesti settecentesche ed è caratterizzata da una riuscita fusione
tra il luogo descritto meticolosamente e le figure di fantasia,42 accostamento già sperimentato con
successo da Arturo Ferrari (1861-1932), anch’egli socio del Sodalizio.
Venezia (Tav. 12) è invece il soggetto di un olio di Riccardo Galli (1869-1944), poeta dialettale,
acuto ritrattista e pittore di vedute e impressioni di viaggio, personaggio emblematico degli interessi
e delle passioni della Famiglia. In quest’opera, identificabile con il Canale della Giudecca esposto
nel 1931, Galli avvolge la città di toni caldi e crepuscolari.43
Il percorso nel paesaggio si conclude con tre opere in cui gli artisti raffigurano brani di natura
animati da figure anonime. Raul Viviani (1883-1965) ambienta il lavoro contadino in una verde e
ubertosa campagna, in un’atmosfera calda e luminosa creata con la sua personale tecnica divisionista (Tav. 13), frequentemente utilizzata nella prima produzione. L’artista, oltre a sperimentare nel
suo percorso diversi modi pittorici, si afferma come scrittore e critico d’arte.44
Di Aldo Carpi (1886-1973), uno dei più importanti artisti della collezione, è la tela Sera al mare
(Tav. 14), dove, in un’atmosfera sospesa, un mare increspato e un cielo nuvoloso catturano lo sguardo e i pensieri di un giovane seduto in silenzio sulla spiaggia. Il paesaggio marino è un tema ricorrente nella pittura di Carpi, dedito a una sua ricerca personale e non allineato alle correnti del suo
1982), Alfredo Zecca, Milano, Centro Nazionale d’Arte L’acquerello, 1986; Milano il volto della città perduta, Milano,
Celip, 2004, pp. 232, 239.
39 “AFM”, 1937, pp. 137-139.
40 L’opera di Jean Pattou, pittore e architetto francese, nato nel 1940, è riprodotta in copertina.
41 “FM”, XXVII (1953), n. 4, p. 30; Domenico De Bernardi 1892-1963. Illustre protagonista del paesaggio, Varese,
Arteidea, 2013.
42 Mostra commemorativa di Giannino Grossi, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi, 1969.
43 “FM”, X (1935), n. 3, p. 1; “FM”, X (1935), n. 4, p. 5; “FM”, XXXVII (1963), n. 2, p. 10; LEONARDO BORGESE, Galli
Riccardo, Milano, Galleria Schettini, 1955; Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani dall’XI al
XX secolo, Torino, Giulio Bolaffi, 1974, vol. V, p. 219; sull’opera: “FM”, IV (sic ma VI) (1931), n. 12, p. 2.
44 “FM”, XXIV (1950), n. 3, pp. 26-27; Mostra postuma di Raul Viviani (Firenze 1883-Milano 1965), membro onorario
dell’Accademia di Brera, Milano, C. Perego, 1966.
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
tempo. Come si apprende dai suoi scritti, Carpi lavora per una sua intima necessità di comunicare,
cercando di esprimere i sentimenti che animano ogni uomo. La poetica del pittore si riflette nel
dipinto in mostra, nel quale un essere umano in solitudine colloquia con la natura. Per confronti,
l’opera sembra ascrivibile agli anni Trenta.45
Ragazze nel campo è l’unica opera in mostra di un’artista, Cesara Mottironi (1889-1982), una delle
prime a entrare nel Sodalizio che, nel tempo, vedrà significativamente crescere il numero delle
pittrici. Diplomatasi a Brera e fondatrice a Milano di una scuola femminile di pittura, la Mottironi si dedica a ritratti, soggetti religiosi, paesaggi e nature morte, sperimentando più tecniche. In
quest’olio, caratterizzato da pastose pennellate di vividi colori, in una radiosa giornata primaverile
due donne siedono in un prato intente a lavori di cucito; alle loro spalle si intravedono montagne,
boschi e abitati (Tav. 15). Le acconciature e le gonne al ginocchio suggeriscono una datazione negli
anni centrali del Novecento.46
Volti
Dalla fine dell’Ottocento la pittura e la nascente cartellonistica pubblicitaria propongono una nuova
immagine della donna, non più figura ideale ma protagonista del suo tempo, con sentimenti, pensieri e atteggiamenti più liberi. Questa nuova sensibilità si ravvisa chiaramente nelle opere di Luigi
Conconi (1852-1917), nelle quali la figura femminile è un soggetto privilegiato. Questi, pittore,
architetto, incisore e illustratore, impegnato anche in campo politico e sociale e tra i fondatori, nel
1882, del “Guerin Meschino”, settimanale milanese umoristico e di satira, è autore del ritratto in
mostra, datato 1897, che raffigura il volto concentrato e attento di una giovane donna di estrazione
borghese (Tav. 16). L’immagine fonde alla solidità plastica un’evidente fluidità cromatica ed è giocata sul contrasto tra i toni caldi del volto e della chioma e quelli più freddi e quasi cangianti della
veste, che si riflettono in parte su uno sfondo indefinito.47 Sia il modo di dipingere sia l’allusione
allo status della donna mediante l’abito sobrio ma elegante e l’orecchino prezioso appena delineato
si ricollegano alla pittura scapigliata, in particolare a Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni.48
Con Sorridente (Tav. 17), esposta a Monza nel 1924, Giuseppe Palanti (1881-1946) ritorna alla
poetica scapigliata, dando vita a una sensuale figura di giovane donna, che si mostra e si ritrae al
tempo stesso piegando con grazia il capo all’indietro e svelando un collo bianchissimo, secondo
un’impostazione elaborata dall’artista dal 1914. Anche questa donna, che emerge radiosa da drappi
spumeggianti, rivela una sua personalità, mostrando una certa ironia nel gioco di seduzione con lo
spettatore. Solamente dopo un’attività di disegnatore di tessuti, mobili, ceramiche e ferri battuti e
di cartellonista, Palanti riesce a realizzare il suo più intenso desiderio affermandosi come pittore e
a conquistarsi un’affezionata clientela.49
Diverso è il clima al quale appartiene la tela del salernitano Clemente Tafuri (1903-1971), pittore,
disegnatore umoristico e illustratore tra il 1939 e il 1942 della “Domenica del Corriere”.
45
Mostra personale del pittore Aldo Carpi, Milano, Gualdoni, 1940; Aldo Carpi (1886-1973). Mostra antologica, Bergamo, Bolis, 1990.
46 Il Novecento a Palazzo Isimbardi nelle Collezioni della Provincia di Milano, a cura di Raffaele De Grada, FabbriBompiani, 1988, pp. 110-111.
47 RAFFAELLO GIOLLI, Luigi Conconi, architetto e pittore, Roma-Milano, Alfieri e Lacroix, 1921; Ritratto alla moda, a
cura di Maria Flora Giubilei, Firenze, Maschietto, 2004.
48 Giuseppe Rovani e la Scapigliatura milanese, “AFM”, 1974.
49 Un pittore a Milano fra Scapigliatura e Novecento: Giuseppe Palanti, Milano, La Rete, 1972 (cfr. scheda 53 dove si
riporta la data 1924); Palanti. Pittura, teatro, pubblicità, disegno, a cura di Vittoria Crespi Morbio, Torino, Allemandi,
2001. La fanciulla è stata recentemente identificata con Carla Garbelli, allieva del pittore.
137
138
Maria Teresa Donati, Nicoletta Sfredda, Thea Tibiletti
La giovane donna di profilo sembra ignara della presenza del pittore, che la raffigura imbronciata,
con i capelli arruffati e le labbra sensuali dipinte di rosso acceso, colore riecheggiato nel vestito
che copre le spalle (Tav. 18). L’opera si colloca nella produzione successiva al 1945, quando la
pittura di Tafuri mostra tinte meno violente e soggetti più sereni rispetto alle composizioni precedenti.50
Poesia, teatro e ironia
Due esponenti della poesia dialettale milanese, Domenico Balestrieri e Carlo Porta, figurano in due
ritratti della raccolta. Il primo (Tav. 19), donato al Sodalizio dall’avvocato Decio nel 1928,51 ripropone con alcune varianti un’immagine celebrativa del poeta pubblicata in Rimm milanes de Meneghin Balestreri Accademech trasformae del 1744. L’anonimo autore del dipinto, collocabile tra fine
Ottocento e inizi Novecento, accentua con tinte pastello la leziosità dell’immagine. Presenta i modi
della Scapigliatura il secondo dipinto (Tav. 20), tratto da un’incisione del 1821 di Pietro Anderloni
su disegno di Giuseppe Longhi. L’autore, la cui firma risulta indecifrabile, riveste l’immagine del
Porta di toni caldi e luminosi, giocati sul bianco, il giallo e l’ocra. Ben diverso è il tributo a Carlo
Porta di Nando Conti (1954), in cui la statua del poeta volge uno sguardo pensoso a un gruppo di
figure, i protagonisti della sua poesia (Tav. 21).
Al teatro meneghino di Edoardo Ferravilla rimanda invece il personaggio del Sur Panera, tipica figura
di fifone costretto a battersi in duello e rappresentato mentre tira di scherma con mano malferma. Immagini note si devono a Vespasiano Bignami, che firma l’originale da cui è tratta l’oleografia in mostra,
Nando Conti, I noster poetta,
bronzetto del 1938.
50
51
AURELIO G. PRETE, Clemente Tafuri, Roma, ERS, 1956.
“FM”, III (1928), n. 5, p. 2.
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
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Le dieci caricature
realizzate da Daniele
Fontana per la Meneghina
tra il 1927 e il 1930:
una carrellata di volti
rappresentativi della
Milano del tempo.
139
140
Maria Teresa Donati, Nicoletta Sfredda, Thea Tibiletti
e a Ferravilla stesso, autore di molti bozzetti e dipinti sui personaggi del suo teatro, esposti proprio alla
Meneghina nel 1939.52
Sempre il milanese è il tema che riunisce i soci poeti della Meneghina in uno spiritoso bronzetto di Nando Conti (1906-1960) del 1938, intitolato appunto I noster poetta. Tra questi figura anche il pittore Riccardo Galli, le cui composizioni poetiche compaiono frequentemente
nelle pubblicazioni del Sodalizio. Abile disegnatore e caricaturista e soprattutto valente scultore, Nando Conti, oltre a dedicarsi all’arte sacra funeraria, è autore del coperchio d’argento per il fonte battesimale della basilica di Sant’Ambrogio, donato dalla Meneghina nel 1958.53
Paesaggista, disegnatore e caricaturista, Fontana è presente nella collezione con dieci caricature
che uniscono il mondo delle istituzioni milanesi (i senatori Luigi Mangiagalli e Baldo Rossi, il generale Giovanni Cattaneo, il dottor Piero Brusa) a quello dell’arte (Vespasiano Bignami, Leonardo
Bazzaro, Achille Beltrame, Aldo Carpi, Arturo Ferrari, Adolfo Wildt). Sotto il suo sguardo lucido
e ravvicinato qualsiasi grandezza si ridimensiona e così le onorificenze guadagnate imbottiscono il
cappotto di Mangiagalli o sono chiuse in un sacco un po’ sdrucito nel caso di Rossi, mentre il dottor
Brusa è rappresentato con tenaglie e coltelli da cucina al posto dello stetoscopio. Ma la produzione
di Fontana non si limita all’ironia: egli rappresenta anche con cura e rispetto i dolori della realtà
contemporanea nel ciclo Il Calvario dei vinti, donato dalla Meneghina al Comune di Milano.54
E per concludere con il Resgiò Badini, «nun gh’emm minga l’intenzion de fermass chì», perché lo
studio della collezione offre interessanti spunti per ulteriori ricerche.
Maria Teresa Donati
Storico dell’arte
Nicoletta Sfredda
Archeologa
Thea Tibiletti
Archeologa
52
Ferravilla e compagni. Studi critici e biografici di Cletto Arrighi, Ferdinando Fontana e Jarro, con disegni originali
di Vespasiano Bignami, Milano, Carlo Aliprandi, 1890, pp. 67-69; “FM”, XIV (1939), n. 3, pp. 1-2.
53 “FM”, XXXII (1958), n. 1, pp. 20-22; XXXIV (1960), n. 4, p. 29; MARINA DEGL’INNOCENTI, Nando Conti (19061960). Opere, Saronno, Comune di Viggiù, 2006; sull’opera e la relativa poesia: “FM” XLIV (1970), n. 1, p. 42; “AFM”,
1939, pp. 126-128.
54 Daniele Fontana.
Pier Luigi Amietta
Questa «piatta» piccola lingua, che è la nostra
La madre si può ignorare, talvolta perfino rinnegare. Mai negare
Posso parlare di dialetto – non intendo espormi all’accusa di nominalismo – purché ne parliamo
come Jacques Brel parla del suo paese: «ce plat pays, qui est le mien». Questa piatta piccola lingua,
che è la mia e la vostra. La lingua milanese, dico. Anche gli altri, a Venezia o a Napoli, a Genova
o a Palermo, tutti gli altri cresciuti nell’humus di una lingua che magari non parlano abitualmente
ma che ha accarezzato le loro orecchie fin dalla prima età fiorile, tutti sanno di che cosa parliamo.
Parliamo – impropriamente, lo so, e vedo levarsi il sopracciglio dei glottologi filologi storici della
lingua – della nostra lingua madre. Ma insisto su questa espressione, riservata usualmente alla
lingua nazionale, perché in essa è la ragione prima di ogni altro discorso che valga davvero la pena
di fare sul dialetto, quell’umile popolano, che pure ha generato linguisticamente l’aristocratica
“dia-lettica”;1 quel dialetto di volta in volta definito dai dotti lingua territoriale, lingua municipale,
idioma locale e altre consimili algide etichette. Sui dialetti c’è già una bibliografia sterminata e, ancora, si scrivono austeri saggi, si indicono convegni,
si organizzano giornate di studio. Tutte sedi dove si
parla del dialetto ma, come è ovvio, non si parla il
dialetto: si usa il microscopio per esplorare le scaturigini di un termine, di un sintagma, per individuare
le cellule staminali di un lemma (radice sanscrita?
indo-europea? persiana?); se ne parla con competenza, con interesse, persino con rispetto. Ma quel
tipo di rispetto troppo spesso ricorda quello dovuto
ai defunti.
Per questo insisto nel chiamare lingua madre la
lingua che ho “sentito” dalla mia levatrice, «brava sciora, l’è on bel mas-c!», quando mi ha estratto,
fagottino urlante e sanguinoso dal ventre della mia
madre naturale. Insomma: se si mette in sito questa
prima pietra, partendo dal versante degli affetti, per
quanto scosceso e notoriamente rischioso; se si àncora il ragionamento a questa premessa, che è anche
presupposto d’una identificazione e d’una identità,
allora tutte le considerazioni successive assumono
e mantengono significato. Altrimenti ho l’impressione che ogni altro discorso cadrebbe nel vuoto.
Perché ci sarebbero dieci motivi per abbandonare il
dialetto al suo destino e uno solo per salvarlo: non
1
Dia-lektos, come ci ricorda l’ètimo greco.
Copertina di Bonvesin de la Riva, De magnalibus
urbis Mediolani: i grandoeur de Milan, edizione
latino-milanese a cura di Cesare Comoletti,
Milano, La Martinella, 1994.
142
Pier Luigi Amietta
strangolare una cosa viva. Ma ce ne sono altri, lo vedremo, non generati dall’empatia ma profondamente connessi alla vita di un popolo e alla sua cultura: dove a contare in esso non sono quelli che
si chiamano uomini colti, «con oltraggio all’agricoltura», aggiungeva il sarcastico Papini, ma tutti
coloro che si sentono ancora parte viva di una piccola patria, senza pregiudizi o preclusioni per la
più grande, di cui essa è parte a sua volta. E, come esistono e sono vive le piccole patrie, esistono
le “piccole” lingue. E sono vive. Diamo ragione anzitutto di questo aggettivo, “piccola”, che non
riguarda la forza espressiva né la ricchezza o povertà lessicale, ma soltanto il numero di persone
che in questa parlano, leggono, scrivono.
Perché, in ogni caso mantengo che di lingua si tratta. Carte in regola? Una grammatica codificata,
dei vocabolari, una tradizione poetica di enorme consistenza e un patrimonio quasi altrettanto cospicuo di letteratura e di teatro. Quanto al resto, sarebbe perfino troppo facile mostrare quante cose
grandi sono state fatte da questa nostra “piccola” lingua.
La lingua meneghina
Da molte parti, come ho accennato, si va blaterando che sia addirittura defunta. Non è vero: tutt’al
più sta poco bene, soffrendo gli effetti di alcuni fenomeni che investono tutte le piccole patrie e le
piccole lingue. Il milanese ne ha sofferto un po’ di più, per effetto di alcuni casi specifici che non è
difficile identificare. Ma, se non in tutti, in molti di quegli stessi fenomeni causa reale o potenziale
di crisi della lingua milanese, più che i germi esiziali della sua scomparsa si cominciano a ravvisare quelli fecondi del suo cambiamento e della sua evoluzione:
• una storia di invasioni e dominazioni straniere, che continuano oggi in altra forma: tecnologica, economico-finanziaria, mass mediatica, causa di un italianismo strisciante, che diluisce le
espressioni più succose e caratterizzanti del dialetto;
• una posizione geografica che a nord l’ha resa baricentrica rispetto a tutte le calate barbariche, a
ovest – e soprattutto a est – la colloca sul passaggio dei grandi traffici commerciali e a sud ne fa
una passerella distesa nel Mediterraneo, percorribile da tutti i flussi migratori. Tutti fattori che,
dove non influenzano direttamente le parlate locali, ne ostacolano sempre in varia misura il permanere intatte e immuni da infiltrazioni non sempre convenienti;
• la desertificazione delle aree rurali, tradizionalmente terreno privilegiato di coltura delle piccole
lingue: infatti – lo ha confermato anche un’indagine del Consiglio Nazionale delle Ricerche – l’uso parlato della lingua locale è inversamente proporzionale alla dimensione municipale: minima
nei comuni grandissimi, massima nei comuni piccolissimi, con tutte le gradazioni intermedie.
Per contro, il fenomeno si inverte specularmente nell’uso della lingua scritta (esposta tuttavia
ad ogni arbitrio ed abuso) senza che vi sia alcun efficace antidoto, dal momento che ancora non
esiste una Crusca né della lingua milanese né delle altre lingue municipali;
• il calo di attenzione e la “distrazione” dei cultori della lingua milanese (oggettivamente pochi) hanno
favorito l’affermarsi di alcune sperimentazioni, del tutto arbitrarie, spacciate per evoluzione della lingua, nella pigra acquiescenza dei mezzi d’informazione che tendono ad avallare le peggiori storture;
• il tentativo, di renderla ancillare a ideologie politiche che, mentre da un lato nulla hanno fatto
non solo per il suo sviluppo sul terreno poetico-letterario ma nemmeno per la salvaguardia dei
suoi assetti ortografico-grammaticali, lessicali e sintattici, d’altro lato avanzano istanze irreali,
come i tentativi di ridarle vita reale e uso corrente effettivo, introducendone l’insegnamento nelle
aule scolastiche. Tentativi velleitari e destinati a fallire, se non altro per la mancanza di competenze e l’estrema scarsità di tecnostrutture didattiche, di materiale e di docenti;
• la scrittura, che ovviamente comprende l’uso online, presenta ulteriori problemi, generati dalle
Questa «piatta» piccola lingua, che è la nostra
ampie discordanze esistenti sia sulle regole ortografiche, sia sull’adozione in alternativa della
grafia classica, secondo la tradizione lessicale e grammaticale documentata, oppure della grafia
fonica, che vuole la trascrizione letterale della pronuncia. Due scuole di pensiero che allo stato
dell’arte appaiono difficilmente conciliabili;
• i parlanti adulti della lingua locale sono in costante diminuzione e soprattutto non la parlano con
i bambini;
• quanto all’insegnamento della lingua milanese – esclusa, realisticamente, ogni possibilità di inserirla tra gli insegnamenti curricolari – esistono
certamente varie iniziative individuali (molte delle quali purtroppo improvvisate); il mondo della
scuola è invece particolarmente restio ad accogliere iniziative di insegnamento della lingua locale. Rare e limitate sono le occasioni in cui sono
ammessi brevi corsi di lingua e letteratura, o recital poetici: sempre, in ogni caso confinati nell’hortus conclusus della sperimentazione di alcuni docenti, non di rado guardati con sufficienza se non
con disistima dagli altri insegnanti. Di fatto, l’uso
della parlata milanese in pubblico è limitato alle
occasioni di socializzazione tra conoscenti e sodali e a quelle di natura ludica, turistica e al mondo
dello spettacolo popolare (nel cabaret, pochissimo
in tv e nel cinema, con la sola unica eccezione
del romanesco, che resta un fenomeno a se stante,
sociologico più che linguistico, esaminare il quale ci porterebbe decisamente fuori strada). Diverso è il caso di alcune televisioni e radio private,
che tuttavia vivacchiano, quando non muoiono,
nell’indifferenza: in lingua locale esistono – ma in
numero assai modesto – programmi televisivi nei Ada Lauzi, Vedrinetta de penser. Poesie in dialetto
quali la parlata vernacolare è usata prevalente- milanese, Milano 2003.
mente (mai esclusivamente), e che sono dedicati
alla storia, alle tradizioni, alla poesia oppure di intrattenimento musicale. Diverso il caso della radio (si tratta sempre di emittenti locali), dove programmi di questo genere permangono nel palinsesto come rubriche fisse o appuntamenti periodici (in genere settimanali) e comprendono a volte
anche veri e propri corsi di lingua: emblematico il caso di Radio Meneghina, dove Ada Lauzi2 ha
tenuto settimanalmente per anni una vera e propria scoletta di lingua milanese.
Reazioni uguali e contrarie
La lingua, come tutti gli organismi viventi, tende all’autoconservazione. Il milanese, proprio nelle
vicissitudini cui ho fatto cenno, sta trovando anche le ragioni non solo della propria sopravvivenza,
ma forse anche gli stimoli per una nuova stagione. Simmetricamente:
2
Nota poetessa milanese, autrice di molte sillogi poetiche, di pregevoli traduzioni di poesia alta, Cittadina Benemerita
del Comune di Milano e fregiata di molte onorificenze, tra le quali il Premio 2009 La mia vita per Milano indetto dalla
Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino.
143
144
Pier Luigi Amietta
• dalle invasioni e dominazioni il milanese mantiene in moltissimi termini il “nocciolo duro” di
molti apporti linguistici e, in virtù dell’evoluzione scientifica e tecnologica, ha arricchito il proprio
lessico di molti neologismi. Inoltre, negli anni recenti, la telematica in generale e il web in particolare hanno aperto la strada, favorito e incoraggiato la fioritura di molteplici siti che ospitano lessici, frasi idiomatiche, proverbi e non di rado interi repertori di poeti milanesi del passato remoto
e recente, nonché di poeti viventi. Tutte fonti tanto più preziose quanto più terreno privilegiato
dai forti “navigatori”, notoriamente appartenenti a classi di età giovanile che al web si rivolgono
abitualmente. La tecnologia si scopre quindi mezzo di forte penetrazione, in grado di informare e
rinverdire opere e nomi altrimenti destinati all’oblio;3
• la massiccia immigrazione, della quale Milano4 più di ogni altra città è stata oggetto negli ultimi
anni, ha determinato un fenomeno, sociologico prima che linguistico – e solo apparentemente
paradossale – dipendente dalle specifiche attività in cui gli immigrati extracomunitari trovano lavoro: il contatto con le categorie sociali più popolari, le stesse presso le quali il dialetto è ancora in
uso (o, se pur meno spesso, è la lingua prevalente), ha fatto sì che il milanese divenga non di rado
se non la loro seconda lingua, quella più familiare, tutto sommato, più corretta che non l’italiano
approssimativo parlato occasionalmente dai loro diretti responsabili;
• è in corso di ripresa la ripopolazione delle aree rurali, anche se il fenomeno è quantitativamente
più significativo nel centro-sud del Paese, grazie anche alla possibilità di massiccio utilizzo degli
stranieri immigrati come manodopera non qualificata a basso costo, cosa che rafforza quanto è
detto nel punto precedente;
• pur scontando le storture degli sperimentalismi ortografici e lessicali cui si è assistito, è innegabile che anche ad essi sia dovuto se non altro il riaccendersi dell’attenzione sulla lingua milanese,
specialmente nella sua espressione in poesia;
• le ipotesi proposte (e ogni tanto riproposte) dell’insegnamento scolastico della lingua milanese,
per quanto utopistico e velleitario, oltre che contribuire a mantenere in vita alcuni classici corsi
di lingua milanese a cura di istituzioni come il Circolo Filologico di Milano,5 ha favorito la nascita
di vari corsi di lingua milanese, per iniziativa di privati, frequentati spesso sorprendentemente
anche da extracomunitari, per le ragioni già dette.
Inversione di tendenza
Ciò premesso, pur nella costante diminuzione dei parlanti e degli scriventi in milanese, stiamo assistendo se non proprio a un’inversione di tendenza, a un fenomeno di segno opposto: ed è il decremento
marginale di questo calo; ossia, la diminuzione avviene a ritmi progressivamente minori, fenomeno
in atto soprattutto negli ultimi vent’anni. Ciò grazie alla ripresa di tutti i localismi, come reazione
all’appiattimento generato dalla globalizzazione (in ogni campo, non solo linguistico). Una lettura in
chiave psico-sociale, se portata sul terreno più strettamente linguistico, porterebbe a individuarne la
causa come reazione specifica ad un italiano reso ormai insipido e appiattito dal gergo massmediatico,
al quale contrapporre il sapore più schietto e genuino della parlata locale, almeno per quel tanto che
è stata preservata dalla tradizione. Accanto, se non di contro al romanesco dilagante cui ho fatto cenno, è affiorata nei media – segnatamente nella pubblicità televisiva – una quantità di battute, slogan,
3
Vedi per tutti, particolarmente nutrito, www.milanesiabella.it, antologia permanente dei poeti milanesi.
Tra le province italiane, quella con la comunità straniera più grande era, al 1º gennaio 2011, quella di Milano
(407.191), seguita da quella di Roma (405.657), quindi le province di Torino (198.249) e Brescia (160.284).
5 I tradizionali corsi di lingua e letteratura milanese del Circolo Filologico sono sempre continuati, nonostante la
perdita di alcune risorse di docenza fondamentali, come Claudio Beretta e Cesare Comoletti.
4
Questa «piatta» piccola lingua, che è la nostra
espressioni popolari di altre parlate locali (romagnolo, veneto, ligure) tra le quali anche il milanese ha
una sua collocazione. I professionisti della pubblicità sono notoriamente e da sempre molto attenti agli
umori, alle tendenze, alle preferenze e alle esigenze dei pubblici-target dei prodotti pubblicizzati: l’uso
non sporadico del dialetto meneghino negli spot è un sicuro riflesso indicatore del rinnovato interesse
del pubblico anche per la nostra “piccola lingua”.
Va detto poi che vi sono centri di cultura linguistica – in Lombardia e segnatamente nel milanese, dove
per le ragioni dette le spinte disgregatrici della lingua locale sarebbero maggiori – istituzioni, sodalizi
e associazioni che non casualmente costituiscono veri e propri centri di resistenza al sovrapporsi costante di lingue e culture diverse. Si tratta di “noccioli
duri”, anche piccoli ma fortemente determinati a presentare alle nuove generazioni iniziative, letture, recital teatrali, spettacoli vari come tentativi non solo di
ritrovare le radici “materne”, ma di rinnovare interesse culturale in un mondo tendenzialmente multietnico
per il quale la parlata locale può diventare una sorta di
“madre adottiva”.
Come sottolineava opportunamente Cristina Benussi,6
la sfida «non è più tanto fra passato e presente, ma tra
mondo della massificazione e individualità. Il dialetto
serve a rimodulare una realtà totale, con i suoi affetti,
i suoi sapori, i suoi mestieri».
Non si tratta di nostalgie proustiane, alla ricerca di un
tempo perduto.
Si tratta di una reazione salutare al rischio concreto di
perdite irreparabili. Perché un conto è prendere atto
pragmaticamente – e realisticamente – che l’universo
delle lingue locali come lingue d’uso corrente (lo sottolineo) è destinato a restringersi sempre più, fino a
farne altrettante lingue morte, altra cosa è rinunciare
a salvaguardare l’esistente, ossia un giacimento culturale di enorme rilevanza.
Si tratta di adoperarsi in ogni modo, ringiovanendo Sandro Bajini, Stori liber del Gran Liber. Vicende
nello spirito le migliori risorse esistenti in istituzioni bibliche liberamente raccontate in lingua
benemerite come la Meneghina e fare di tutto, almeno milanese, Milano, Viennepierre, 1996.
per la nostra lingua madre, il milanese, per evitare
che prenda la stessa china che nei programmi scolastici curricolari stanno prendendo il latino e il
greco. Queste ultime, lingue “morte” per antonomasia, qualcuno vorrebbe eliminarle del tutto perché nel mondo degli affari e della globalizzazione non servono; ignorando o fingendo di ignorare il
piccolo particolare che servono a capire le cose che servono.
Se per cultura di un popolo si può intendere l’insieme inscindibile dei valori portanti, dei comportamenti caratterizzanti, del coacervo delle tradizioni orali, dei codici linguistici e gestuali, allora
vorrei dire che la ragione per preservare dall’estinzione il milanese, come ogni altra lingua locale,
è una sola ed è una ragione culturale.
Ed è una ragione che ha almeno due specificazioni che vale la pena di esplorare.
6
In apertura del Convegno Internazionale di Trieste Il dialetto come lingua della poesia (2005).
145
146
Pier Luigi Amietta
Una ragione storico-linguistica
Comunque la si chiami, vernacolo, dialetto o altro, la lingua locale è quasi sempre il precipitato
storico delle vicende geo-politiche, socio-politiche e socio-culturali di un territorio; è una specie di
enclave non solo linguistica ma culturale, che va riconosciuta e rispettata, perché ci aiuta a capire
il più autentico tessuto connettivo di un popolo, nel quale leggere le scaturigini, individuare – se
mi si passa la metafora – le “cellule staminali” di una lingua che si è costruita nel tempo e nella
quale sono inscritte non solo le eredità storiche, legittime o subìte, ma anche le lotte, le sofferenze,
la trama e l’ordito di costumi sociali che definiscono l’identità di una popolazione e divengono il
presupposto fondamentale per l’identificazione di ciascuna delle persone che di quella comunità
fanno parte. Tutto questo è tanto più importante da salvare quanto più la situazione geografica e le
vicende storiche di un territorio lo pongono a rischio di estinzione: e se questo vale per moltissime
regioni, vale dieci volte di più per la Lombardia e cento volte di più per il territorio del milanese,
che della Lombardia è al centro. Pochissimi esempi bastano a ricordarlo. Nella lingua nostra meneghina sono confluiti apporti da:
• celtico kavagna da cui il nostro cavagna (cesta)
• latino ne gutta (quidem) da cui il nostro nagotta (niente, lett. “nemmeno
una goccia”)
• greco rùpos, da cui il nostro ruff (immondizia)
• provenzale bufàr, da cui il nostro boffà
(sbuffare, soffiare)
• longobardo magòn, da cui il nostro
magon (pena, afflizione)
• austriaco gheld, da cui il nostro ghell
(soldo)
• francese artichaut, da cui il nostro articiocch (carciofo)
• spagnolo estremezo, da cui il nostro
stremizzi (spavento)
e centinaia di altri termini francesi e
spagnoli cui il milanese è tributario.
Una ragione etica
Non è una novità che la lingua base,
la parlata del popolo – alias dialetto –
aborre dalle fumisterie intellettuali,
dalle costruzioni teoretiche sospese nel
vuoto, dalle astrazioni pure. La parlata
locale, la vera lingua-madre, nel momento in cui diviene espressione pubblica del pensiero, gli toglie ogni gualdrappa, ogni sovrastruttura, ogni orpello
perché con esso è incompatibile e ad
esso ripugna. Insomma, il dialetto toglie,
Una edizione della Famiglia Meneghina del 1935 curata da
Luigi Venturini: L’anima del dialetto. Alcuni capitoli della
storia del vivere milanese interpretata dalle vecchie espressioni
dialettali.
Questa «piatta» piccola lingua, che è la nostra
147
La Divina
Commedia tradotta
in versi milanesi
da Ambrogio
Maria Antonini,
revisione e cura di
Pier Luigi Amietta
e Pier Gildo
Bianchi, Milano,
Viennepierre,
2004. Frontespizio
della prima
cantica.
Illustrazioni di
Alberto Schiavi.
al Re-Pensiero le vesti sontuose dell’eloquenza, i lustrini della retorica. Mostra quello che c’è sotto e
soprattutto se c’è sotto qualcosa. E che cosa gli ripugna? Qualsiasi affermazione nella quale non sia
leggibile un oggetto mentale realmente concepibile, qualsiasi concetto che non indichi una strada
mentale realmente percorribile. E allora le alternative per cui la lingua del popolo è preziosa sono
soltanto due:
• o mostra che sotto la ricca veste verbale non c’è niente
• o completa l’opera di denudamento e mostra quello che c’è, qualunque cosa sia: con il dialetto il
Re-Pensiero è davvero nudo. Il che può anche essere un vantaggio, perché non è detto che la nudità del re sia sempre repellente. Il denudamento può svelare qualcosa di bello, di buono, di utile,
ma – in ogni caso e finalmente – qualcosa di autentico, senza equivoci, senza paraventi, senza
paludamenti: in una parola, senza possibilità di mistificazioni e di manipolazioni.
E in quest’opera la cartina di tornasole, la vera “prova del nove” è una sola: la traduzione. Se una
lingua locale regge (ancora) come lingua d’arrivo la prova suprema della traduzione dalla poesia
alta, allora vuol dire che, per quanto sofferente, è ancora nobilmente viva.
Nel mondo, tra le lingue cosiddette minori che comprendono idiomi locali e le parlate vernacolari,
ne scompaiono mediamente 150 ogni anno, come dicono gli studi e le statistiche: cessano del tutto
di essere parlate e scritte; cessano, quindi, di essere usate come strumento corrente di comunicazione. Che di queste, come ipotesi non remota, possa in futuro far parte anche la lingua meneghina
possiamo accettarlo con la mente, pur ricacciandolo col cuore: potrebbe diventare una lingua di
studio, o una lingua “museale”, al pari di Venezia, città che museale sembra già avviata ad essere.
A questo punto, se questa nostra “piatta piccola lingua” è stata capace di un’impresa come quella
compiuta da Ambrogio Maria Antonini, di una cosa sono certo: che la questione se si tratti di un
dialetto o di una lingua, più che una domanda oziosa mi sembra una domanda priva di senso.
Pier Luigi Amietta
Saggista
Riccardo Pellegatta
La Biblioteca fonte documentaria per la Milano tecnica
Il patrimonio librario e documentario testimonia il ruolo considerevole svolto dall’Associazione nella vita di Milano dall’anno della sua fondazione (1924) avvenuta presso il ristorante La Candidezza
di via Unione.
E proprio considerando questo luogo nel cuore della vecchia Milano si avverte da subito la vocazione ad una solerzia del fare, radicata in uno dei territori più densamente frequentati e vissuti,
caratterizzati da un sentire popolare autentico e originale, che indirizzerà negli anni a seguire la
cultura dalla quale Milano ha sempre tratto la volontà di crescere e di precorrere il cambiamento.
Il patrimonio librario è strumento di conoscenza, esteso quanto basta agli aspetti dialettali, declinato nei vari argomenti che spaziano dalla storia, dalla letteratura, dal teatro, dall’economia, fino allo
sport, alle Esposizioni, alle mostre, agli strumenti tecnologici di tutti i giorni, alla mobilità pubblica,
e via dicendo.
L’importanza non deriva tanto dal numero delle opere possedute quanto dalla loro unitarietà pur
essendo numerosi e diversi gli argomenti trattati. Essi hanno comune qualificazione nel rappresentare tutti gli aspetti della storia di Milano e del costume locale, emergente quale primaria impronta,
irripetibile nella sua coerenza.
Proprio per questa dotazione “patrimoniale” l’Associazione è stata coinvolta in molteplici eventi
di rilievo non solo cittadini ma anche assai più estesi: parliamo della presenza viva, ritrovata, di
notizie e aneddoti particolari, forse inediti, ma vicini alla tradizione e alla quotidianità cittadina.
Presenze esclusive e non rilevabili, quanto alla loro acutezza, in altre strutture documentali.
Ad esempio, in tema di storia dei trasporti pubblici milanesi: la manifestazione tenutasi nel 2007
con l’apporto della Biblioteca dell’Associazione, ha posto in tutta evidenza la parte dedicata ai cittadini milanesi, al loro umore, alle loro abitudini e ai bellissimi appellativi dialettali dati alle linee
e ai mezzi meccanici di trasporto. E dove altrimenti?
La ricognizione dei numerosi scritti relativi alle Esposizioni: Nazionale del 1881, Riunite del 1894,
Internazionale del 1906, pone in risalto – fatto poco conosciuto – che le Esposizioni sono state e
sono una tradizione per la città di Milano e che Expo 2015 non è la prima bensì la quarta. I documenti, anche giornalistici, sono lì in Biblioteca pronti a integrarsi con altre fonti.
Ad esempio per l’Esposizione del 1881 (zona Palestro/Senato) troviamo una guida del visitatore
pubblicata da Sonzogno, bella, ampia e completa di particolari per ogni padiglione;1 una pubblicazione di Hoepli sulle conferenze che si sono tenute nell’occasione, tutte da leggere;2 una raccolta
di gustosi aneddoti a ricordo dell’Esposizione, pubblicata da Garbini Editore, dalla festa solenne dell’inaugurazione del 5 maggio alla fantastica nuova illuminazione di Piazza Duomo e Corso
Vittorio Emanuele.3 E ancora le carrozzelle Thonet fabbricate in legno ricurvo a vapore, messe a
disposizione «con fattorini in uniforme e speciale tariffa» di tutti i visitatori «deboli nelle gambe»;
1
2
3
Guida del visitatore alla Esposizione Industriale italiana del 1881 in Milano, Milano, Sonzogno, 1881.
L’Italia industriale nel 1881: conferenze sulla Esposizione nazionale di Milano, Milano, Hoepli, 1881.
Ricordo dell’Esposizione di Milano 1881, Milano, Garbini, [1881].
150
Riccardo Pellegatta
“Associazio
one Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Frontespizio del numero del 17 maggio 1894 del periodico “Milano Esposizione”: la tiratura viene definita
“estesissima” e la diffusione “immensa”.
il pallone aerostatico frenato, del quale «le ascensioni hanno già cominciato e le belle signore, più
numerose, si innalzano nell’aria prendendo un’anticipazione sul coraggio dei signori uomini».
E solo un accenno, doveroso, alla copiosa documentazione esistente per l’Esposizione Internazionale del 1906 in occasione dell’inaugurazione del Traforo del Sempione (Parco e piazza d’Armi)
palpitante nella sua realizzazione, non facilmente rinvenibile altrove, per dare corpo all’entusiasmo
e alla cultura milanese di quegli anni verso una nuova società fondata sull’imprenditoria del lavoro
e consapevole delle possibilità, mai viste prima, offerte dalla tecnologia e dalla scienza.
Per l’Esposizioni Riunite del 1894 la Biblioteca offre oggi la lettura del giornale illustrato “Milano
Esposizione. Giornale illustrato delle Esposizioni Riunite 1894”4 che proponeva, dall’inaugurazione del 6 maggio alla chiusura del 6 novembre, il resoconto di tutte le manifestazioni all’interno della
mostra, convegni, concerti, appuntamenti gastronomici utili al visitatore, e informava altresì sulle
visite alla città nei luoghi più famosi quali la Pinacoteca di Brera, il Museo Poldi Pezzoli, la Pinacoteca Ambrosiana (solo per citarne alcuni), e il Museo Civico di Storia Naturale appena trasferito
nel nuovo palazzo ubicato nei giardini pubblici di Corso Venezia; elencava inoltre, con precisione
4
Edito a Milano, Rovida Dall’Olio & C, 1894, con il sottotitolo latino Labor vincit omnia.
La Biblioteca fonte documentaria per la Milano tecnica
151
di orari e indirizzi, teatri e spettacoli in città nonché il calendario di gite in Brianza e ai tre laghi di
Lugano, Como e Maggiore.
Esito della passione dei cittadini legati alla loro città, la Biblioteca testimonia il miglior spirito
meneghino e l’importanza della cultura, spontaneamente riconosciuta e adottata per il miglior progresso.
Soffermiamoci sul catalogo della Biblioteca pubblicato nel 2004, di grande valore e interesse, realizzato dalla casa editrice Cisalpino con i percorsi di ricerca della prof.ssa Silvia Morgana, a cura e con
puntuali interventi della dott.ssa Marina Bonomelli nell’illustrazione dei libri più importanti, ovvero
cinquecentine, libri antichi e moderni.5 Su questi rilevanti documenti poggia il raccordo con altre
biblioteche milanesi attraverso un radicato rapporto di integrazione e collaborazione, reso evidente
dai molteplici eventi per i quali è stato essenziale il confronto dei testi a disposizione.
Citiamo la presentazione del volume Vita del Collegio degli Ingegneri e degli Architetti di Milano
dal 1563 al 1926,6 punto nodale di riferimento per la cultura tecnica, dell’energia e delle acque.
Vita percorsa in parallelo con lo sviluppo della città di Milano e della sua attività di infrastrutturazione del territorio, produttiva e ingegneristica per oltre cinque secoli.
Ed inoltre lo stretto legame documentale con l’Associazione Navilariane per la conservazione della
memoria storica e il rilancio della navigazione sul Lago di Como, con tutto il patrimonio storico della
navigazione sui laghi e sui navigli lombardi fino al mare Adriatico.
La capacità di connessione trasversale nell’ambito cittadino esteso oltre i confini, lega in modo unico, difficilmente replicabile, la vita quotidiana meneghina attuale e trascorsa al contenuto stesso dei
capitoli delle opere custodite. Biblioteca dinamica quindi, sempre capace di indurre nuove intuizioni di vita, custode di quella cultura che il territorio milanese ha prodotto e produce per raggiungere
il più vasto numero di cittadini.
Una potenzialità costantemente aperta, dal momento che le vicende storiche, sociali ed economiche
di Milano sono intrecciate con più ampie vicende nazionali e internazionali, alle quali la città è da
sempre stata chiamata.
Riccardo Pellegatta
Vice presidente dell’Associazione
5
Milano e la sua memoria. Valorizzazione di un patrimonio bibliografico, a cura di Marina Bonomelli, presentazione di
Silvia Morgana, Milano, Cisalpino, 2004.
6 EDOARDO BREGANI, Vita del Collegio degli ingegneri e architetti di Milano dal 1563 al 1926, Milano, Telesma, 2010.
Antonio Lauria
Cesare Cantù e “l’età che fu sua”.
La Famiglia Meneghina e le celebrazioni per il bicentenario della nascita
Figura di spicco, variegata e complessa, a volte scomoda e controversa, destinata a segnare con
autorevolezza la vita culturale e sociale della Milano ottocentesca, Cesare Cantù nasce a Brivio il 5
dicembre 1804.
Un tardo pomeriggio autunnale e piovoso del 2004, a un tavolo del Comune di Brivio, siedono il
sindaco e l’assessore alla cultura, il presidente del Centro Studi Cesare Cantù e il presidente e un
componente del Comitato Scientifico dell’Associazione Culturale Famiglia Meneghina.
Tema in discussione è l’ipotesi di realizzare un programma volto a celebrare il bicentenario della
nascita di questo personaggio, portandone alla luce i molteplici aspetti, a volte poco conosciuti,
ma non per questo meno significativi. Quella sera le proposte presero forma e si concretizzarono in
diverse iniziative nelle quali la nostra Associazione venne chiamata a sostenere ruoli particolarmente
importanti, legati spesso al coinvolgimento di autorevoli studiosi e di qualificate istituzioni accademiche e culturali di massimo rilievo, talché alla prof.ssa Silvia Morgana venne chiesto di coordinare
il neonato comitato scientifico. L’Associazione, al fianco delle più prestigiose istituzioni lombarde
tra cui la Biblioteca Ambrosiana, l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere, l’Archivio di
Stato di Milano, le più importanti Università, la Regione Lombardia, concesse il patrocinio al ciclo di
eventi e il suo presidente, dott. Alessandro Gerli, venne inserito nel comitato d’onore.
Gli obiettivi di questo ricco e articolato programma pluriennale, arricchito da una serie di incontri e
convegni tematici, erano rivolti allo studio del ruolo svolto dal Cantù nel contesto storico dell’Ottocento milanese e all’impatto culturale e sociale che ebbero le sue instancabili attività portate avanti
sino alla fine della sua lunghissima vita.
In rapida e sintetica successione:
• ricostruzione della rete di rapporti nazionali ed internazionali intessuti da Cesare Cantù con i suoi
contemporanei e con le istituzioni;
• approfondimento delle vicende del XIX secolo attraverso la sua ricchissima e spesso poco conosciuta corrispondenza;
• ricerca e studio dei diversi manoscritti e documenti inediti conservati presso i suoi discendenti
diretti e in diversi fondi librari, non ultimo quello della Biblioteca Ambrosiana;
• realizzazione di un catalogo ragionato della biblioteca privata di Cesare Cantù, di un nuovo catalogo delle opere e di una bibliografia aggiornata;
• coinvolgimento di docenti e allievi di diverse scuole medie e superiori;
• pubblicazione di volumi relativi a tutti i convegni di studio realizzati nell’ambito del programma;
• creazione di un sito web destinato a durare nel tempo dedicato al Cantù, alle celebrazioni e alle
manifestazioni correlate.
La prima manifestazione di apertura e di presentazione delle celebrazioni si tenne il 27 novembre
2004 alla Società del Giardino con una conferenza del prof. Giorgio Rumi dal titolo Cesare Cantù
nella Milano della transizione, alla quale seguì, il 5 dicembre presso la sede Comunale di Brivio,
una giornata di studio dal titolo Cesare Cantù e l’età che fu sua presieduta dal prof. Ettore Albertoni.
154
Antonio Lauria
Locandina per
le celebrazioni
del bicentenario
della nascita
di Cesare Cantù.
Frontespizio
del Commento
storico ai
Promessi sposi
o la Lombardia
nel secolo XVII,
Milano, Agnelli,
1874.
Con lo stesso titolo altri tre convegni, cui presero parte numerose personalità della cultura, si svolsero nel 2005: a Brivio il 10 maggio, a Varenna l’11 giugno e nella sede della Biblioteca Ambrosiana
il 2 dicembre. Tra gli interventi presentati nel corso delle celebrazioni ci piace ricordare: quello
della prof.ssa Silvia Morgana, che ha trattato i rapporti intercorsi tra Cantù e il celebre linguista
Graziadio Isaia Ascoli; quello di mons. dott. Franco Buzzi sul carteggio intercorso tra Cantù e Antonio Rosmini; quello della prof. ssa Ada Gigli Marchetti, che ha studiato la questione degli editori
delle opere del Cantù; quello del prof. Nicola Raponi, che ha messo in luce i rapporti tra Cantù e la
Società Storica Lombarda. Negli anni successivi, dal 2006 al 2008, si diede vita, sotto il titolo: Tra
le carte di Cesare Cantù: nuovi percorsi ad un’altra serie di mostre ed eventi.
A merito dell’iniziativa, che ha visto impegnata l’Associazione in tutte le sue fasi operative, va
sottolineato il grande successo scientifico e di pubblico ottenuto dalle manifestazioni legate al programma. Ancor più significativo l’interesse che crebbe attorno alla figura di Cesare Cantù, e la
curiosità sulle ragioni che avevano steso (proprio nella sua Milano) un lungo, inspiegabile silenzio
su una figura di tale rilievo nella storia sociale e politica oltre che letteraria del XIX secolo.
Nel 2006 vengono pubblicati gli Atti relativi ai convegni che si tennero nel corso delle celebrazioni.1 A questo proposito la nostra Biblioteca, unitamente ad altre biblioteche specialistiche milanesi
e agli istituti di conservazione presenti sul territorio, ha svolto la funzione di centro di documentazione cui tutti gli studiosi coinvolti hanno potuto attingere per le proprie ricerche.
Antonio Lauria
Comitato scientifico dell’Associazione
1
Cesare Cantù e l’età che fu sua, a cura di Marco Bologna e Silvia Morgana, Milano, Cisalpino, 2006 (Biblioteca
dell’Archivio Storico Lombardo).
Giorgio Pietrasanta
La Famiglia Meneghina e il C.A.L. (Cenobi Avocatt Lombard )
Di pochi anni successivo alla Famiglia Meneghina (siamo all’inizio degli anni Trenta) nasce a
Milano il C.A.L., ovvero il Cenobi Avocatt Lombard.
L’atto di fondazione (lo Statutt, redatto in lingua milanese, analogamente allo Statuto della Famiglia
Meneghina) è approvato dall’assemblea costituente del 27 gennaio 1931. Anteriormente a questa
data esisteva a Milano un cenacolo di avvocati che si riuniva in Piazza Fontana, presso lo storico
Hotel Commercio. Di detto cenacolo erano membri i fratelli Castelli (Pompeo e Giuseppe: dell’attività di entrambi l’Archivio della Meneghina conserva, tra l’altro, un faldone contenente importanti
documenti originali riguardo la loro attività), Bortolo Belotti, Giovanni Pellini.
Il C.A.L. venne alla luce con questo scopo (citiamo dallo Statutt, o
Constitutt): «per dagh on poo de
vitta ai avocatt de la nostra razza
lombarda che, con i temp che corr,
paren tanti poresitt pers e schisciaa sotta de quij vegnuu del de
foeura, e con l’intento di regoeuj
ona volta al mès i avocatt che
san ancamò parla el lenguagg de
Meneghin».
Questo primo articolo dello Statutt va letto nel senso di volere
conservare la lingua meneghina
e i valori della tradizione e della
cultura ambrosiana, non per
escludere. Anche il motto Num
calom, ma i alter cressen è detto
scatto della serata d’onore per il cinquantesimo del C.A.L.:
con quella simpatica ironia che Uno
Giuseppe Prisco e Adrio Casati si scambiano un brindisi benaugurale.
permea le migliori espressioni
del dialetto milanese.
La comunanza del sentire, idem sentire, di interessi, di intenti fra le due istituzioni è evidente, da
subito.
Fin dalle origini, numerosi sono gli avvocati, soci del C.A.L., che furono anche soci della Meneghina: tra i fondatori, ricordati nella magna charta della Meneghina, figurano gli avvocati Barbetta
e Calabi.
Ambrogio Maria Antonini, eminente poeta milanese, insignito del premio Carlo Porta nel 1981,
compositore di molteplici scritti in versi, traduttore di tutta la Commedia dell’Alighieri, autore del
vocabolario italiano milanese, socio e assessore del C.A.L., frequentò assiduamente la Meneghina
tanto da costituirne un punto di riferimento letterario e poetico.
156
Giorgio Pietrasanta
Carletto Rossi, sindech del C.A.L., fu il curatore della Biblioteca sociale della Meneghina a cavallo
tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Adrio Casati e Antonio Sesone, entrambi Resgiò della Meneghina,
sono stati essi pure soci di spicco del C.A.L.
La Meneghina, il 27 gennaio 1981, ospitò presso la propria sede la cena per i cinquant’anni di
vita del C.A.L. (manifestazione che vide presenti, tra gli altri, Giuseppe Prisco, allora presidente
dell’Ordine Avvocati e Procuratori, e Adrio Casati, Resgiò della Famiglia Meneghina).
Luigi Medici, altro grandissimo poeta, uomo di risalto della Meneghina e autore di alcune delle pubblicazioni della collana I libri della Famiglia Meneghina e Il teatro della Famiglia Meneghina, è
stato ricordato con scritti poetici: tra i più significativi, Mezzo secolo di toga e poesia milanese,1 dedicato all’attività dei soci poeti del C.A.L., molti dei quali gravitavano nell’orbita della Meneghina.
Fin dalla nascita, il C.A.L. pubblica ogni anno il C.A.L…endari, un volumetto di cultura e lingua
milanese che, in calce, riporta il capitolo dedicato alla Famiglia Meneghina e alla sua Biblioteca,
utilizzata spesso come fonte per reperire documenti di storia e folklore cittadino.
Concludiamo questa veloce sintetica illustrazione su uomini e fatti che hanno unito, su obiettivi
condivisi, entrambi i sodalizi (il C.A.L. e la Meneghina) per oltre ottant’anni, convinti che ciò avrà a
durare ancora perché ne ricorrono i presupposti. Il C.A.L. ha sede eterea: «el stà de cà sul segraa del
noster Domm (art. 2 del Constitutt), e el scamparà finna al dì del Giudizzi Universal (art. 3)». La Famiglia Meneghina, trasformatasi in Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del
Giardino, ha sede nel cinquecentesco Palazzo Spinola in Milano, via San Paolo, sede storica della
Società del Giardino dal 1818. Molti avvocati soci della Società del Giardino sono Calisti; il C.A.L.
è sodale, nella sua interezza, della Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società
del Giardino. Sussistono così le condizioni perché, sia nel presente che nel futuro, permangano e si
rafforzino, tra i Sodalizi, i valori di identità e di cultura che hanno contrassegnato la storia di Milano.
Giorgio Pietrasanta
Consigliere dell’Associazione
1
Mezzo secolo di toga e poesia milanese, Milano, Virgilio, 1980.
Giovanni Antonio Osnago Gadda
La milanesità e i rapporti storici
fra la Società del Giardino e la Famiglia Meneghina
Sono l’ultimo arrivato all’Associazione Culturale Biblioteca Famiglia Meneghina-Società del Giardino e sono almeno due i motivi principali che mi hanno portato ad accettare l’invito ad associarmi
che l’amico Alessandro Gerli mi ha rivolto ormai tre anni fa.
Innanzitutto, l’amore per i libri: non so se derivante da un mio avo, Enrico Osnago, bibliofilo e numismatico; o da un cugino di mia bisnonna: quel Carlo Emilio Gadda che, di certo, non ha bisogno di
presentazione.
Resta che il libro ha per me ed esercita su di me un fascino che nessuna nuova tecnologia, per
quanto utile e strabiliante, potrà in alcun modo sostituire.
La Biblioteca della Meneghina, dunque, è ai miei occhi un luogo magico, dove migliaia di volumi ci
narrano la storia della nostra gloriosa e unica città (e non solo) sotto plurimi aspetti.
Milano e, soprattutto, la milanesità: ecco il secondo motivo.
Difficile definirla, soprattutto oggi, giacché la secolare vocazione internazionale di Milano e la
becera caricatura di alcuni hanno fatto quasi scomparire l’autentico e tipico spirito milanese: quel
sano pragmatismo, quella costante e disinteressata generosità, quella vera signorilità, che non è mai
dipesa dai natali del soggetto, bensì prevalentemente
dall’intelligenza dell’imparare e dalla volontà nel fare,
dalla consapevolezza dell’essere, dallo spregio dell’apparire (tipico dei baùscia), oltre che dall’orgoglio –
inutile nasconderlo – dell’appartenenza.
Si potrebbe raffigurare la milanesità, ad esempio, con
la struttura architettonica e urbanistica della nostra
città: non un museo a cielo aperto (come è, prima e
insuperata al mondo, la Città Eterna), bensì un susseguirsi di palazzi prevalentemente austeri e quasi anonimi, che custodiscono gelosamente e senza mostrarsi
architetture uniche e magnifici giardini. Palazzo Spinola, sede della Società del Giardino, ne è un esempio.
La Meneghina rappresenta un momento di sintesi di
questo “essere”.
È anche per questo, ne sono certo, che la storia della
Meneghina e della Società del Giardino si sono intrecciate ripetutamente, sino ad avere, oggi, tutte e due –
grazie alla ospitalità della Società del Giardino – sede
in via San Paolo, 10; la Meneghina, inoltre, ha assunto
la denominazione di Associazione Culturale Biblioteca
Famiglia Meneghina-Società del Giardino.
Una “alleanza” iniziata da molto lontano, come ci nar- Il giardino di Palazzo Spinola chiude la
rano gli stessi Almanacchi dell’Associazione pubbli- prospettiva delle sale successive a quella di
ingresso.
cati della prima metà del Novecento.
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Giovanni Antonio Osnago Gadda
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Le “due guglie” di Milano, la Grande Guglia del Duomo
e la Torre Velasca, raffigurate da Luigi Timoncini negli anni Novanta.
La milanesità e i rapporti storici fra la Società del Giardino e la Famiglia Meneghina
Nel 1926 veniva «segnalata ai nostri soci la significativa adesione della spettabile Società del Giardino […] incoraggiamento a perseverare nel nostro non facile compito, e da queste colonne mandiamo alla Consorella un vivo ringraziamento per il simpatico gesto».
La consanguineità, a dire il vero, era iniziata due anni prima, nel 1924, anno di fondazione della
nostra Associazione, giacché tra i soci della prima ora vi era il marchese Giuseppe De Capitani
d’Arzago il quale, già dal 1919 al 1922, era stato presidente della Società del Giardino (carica che
avrebbe nuovamente ricoperto dal 1930 al 1944).
Che dire, poi, dell’ing. Cesare Chiodi, che in epoche coeve è sia vice Resgiò sia presidente della
Società del Giardino: così, dal 1947 al 1952 e, successivamente, nel 1962.
L’Almanacco del 1938, poi, ricorda che in quell’anno l’avvocato Pietro Madini, socio della Famiglia
Meneghina, «noto cultore di storia e di folklore milanese», aveva già pubblicato una monografia
intitolata Le origini della Società del Giardino.
Un ricordo che nasce da una circostanza di significativa importanza nella vita dell’Associazione:
«come nel 1794 la Società del Giardino, per opera di un gruppo di soci capeggiati dal Conte Carlo
Venino, bisnonno del nostro Resgiò, si trasferì dalla sede modesta di vicolo dei Ponzi, in quella più
ampia e più signorile di via dei due Muri […] così e con lo stesso fine, per iniziativa e ferma volontà
del Conte Pier Gaetano Venino, la Meneghina lascia l’elegante ma troppo ristretto appartamento
del palazzo settecentesco dei Perego, per l’ampia sede del Palazzo Turati» ... giusto per tornare alle
architetture austere, gelose custodi di magnificenze spesso inimmaginabili.
Resta, dunque, che la comunanza tra i due Sodalizi e anche di illustri soci non è un caso: la milanesità ha accomunato tutti per il fine della cultura, prevalentemente nella e della loro Milano.
È questa la forza di Milano; anzi, Milan l’è un grand Milan (lo è stata e deve tornare a esserlo), perché ha sempre avuto l’intelligenza di unire le forze, per raggiungere, nel lavoro come nella cultura,
gli obiettivi che di volta in volta si è posta.
È così. È sempre stato così. Deve tornare a essere così.
Ma chi lo insegna alle migliaia di foresti che negli ultimi decenni hanno ricostituito il tessuto sociale
sfilacciato della nostra città?
Al debutto del XX secolo, quando arrivarono i primi cinesi (anche in questo, Milano ha precorso i
tempi), o durante i flussi migratori degli anni della grande crescita ed espansione economica, chi
è arrivato ha sì incontrato difficoltà (perché la milanesità ha anche molti difetti), ma poi è stato
integrato, perché vi è stato chi ha spiegato, così come chi ha capito: sicché è iniziato quel rapporto
osmotico di conoscenze, di culture, di modi d’essere e di fare, ma sempre nel segno della semplice
fattività, che porta con sé il rispetto, unica e vera spina dorsale intorno alla quale ruotano secoli di
storia della scrofa semilanuta.
Oggi quel docente potrebbe essere proprio la Meneghina: che può e deve recuperare il vero, autentico spirito di Milano, per portarlo nuovamente all’attenzione di tutti, dentro e fuori le mura della
nostra città.
L’occasione, già domani, sarà l’Expo che Milano ospiterà nel 2015: un evento unico, per il quale
ognuno deve fare la sua parte.
Ognuno deve fare la sua parte: questa, in fondo, è la vera milanesità.
Giovanni Antonio Osnago Gadda
Segretario dell’Associazione
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Conversazione con Francesco Cetti Serbelloni raccolta da Roberta Cordani
Un’associazione di pensieri collimanti
Incontro Francesco Cetti Serbelloni, ingegnere, già presidente del Touring Club, socio della Società
del Giardino. La sua professione e la sua passione per la città lo hanno portato ad avere ruoli
importanti nella vita milanese. Tra questi, è stato uno dei soci fondatori, nel 1994, dell’Associazione
Culturale Famiglia Meneghina. Ci troviamo nella sala studio dell’attuale biblioteca che io ben
conosco e amo, dove si possono fare accurate e preziose ricerche di storia milanese e lombarda. In
un clima raccolto e amichevole, unico, all’interno di Palazzo Spinola, a due passi dalla Madonnina,
ospite della prestigiosa Società del Giardino che dal 2010 ha intensificato il legame sinergico con
la biblioteca e con l’associazione, denominata da allora Associazione Culturale Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino.
Quali sono i principali motivi per cui volle partecipare fin dal suo esordio all’avventura
della nascente Associazione Culturale Famiglia Meneghina?
Prima di tutto perché sapevo che non si trattava proprio di un’avventura! Anzi, era la certezza di
trovare un altro impegno giusto per Milano, perché questa città appartiene un po’ alla storia della
mia famiglia, e alla mia storia. Io avevo già partecipato ad altre associazioni milanesi e, quando un
gruppo di amici mi disse che c’era questa opportunità, non ho pensato tanto al perché o al percome,
mi sono detto: «Meneghina? Son mi!». Mi sembrava che il non esserci fosse una “mancanza reciproca”, come due che si conoscono bene, hanno interessi in comune, cose da dirsi, ma non si frequentano. Poi l’associazione culturale di allora è diventata quello che sostanzialmente è anche oggi:
una documentazione organizzata della storia della città e di chi è milanese, senza essere di parte.
Noi che abbiamo visto crescere Milano e il suo svilupparsi, che abbiamo assistito alla sua rinascita
dopo la guerra, sapevamo quanto fosse una città aperta. Era importante, per questo motivo, avere
i riferimenti certi, una tradizione, e soprattutto una biblioteca che con i suoi libri desse una documentazione alla nostra storia culturale. In questi ultimi tempi ritengo che questo scopo sia sempre
più valido. Perché qui si può parlare il milanese, e quello di mia nonna che, quando in casa arrivava
qualcuno che non lo parlava, esclamava: «Oh signor, l’è forest…!» Insomma qui si è schietti, come
in famiglia.
Allora si diceva: «Lontan de Milan, lontan de ’l pan». E l’immediato dopoguerra ci ha messo di
fronte a gente che arrivava da tutta Italia proprio in cerca di pane. Abbiamo visto una città che non
si chiudeva e, secondo la sua tradizione, qui si lavorava insieme. Anche la Meneghina è sempre
stata aperta, senza categorie e senza chiusure. Un’associazione di pensieri collimanti. Perché così
si pensava: insieme.
Ora io spero, al di là delle contingenze di questa città – che spesso oggi faccio fatica a sentire mia
– che la strada intrapresa dalla Meneghina continui, per arrivare a riproporre quello spirito iniziale
della tradizione milanese.
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Conversazione con Francesco Cetti Serbelloni raccolta da Roberta Cordani
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Angelo Inganni (1807-1880), San Marco e il ponte
delle Marcelline: immagini di una Milano scomparsa.
Che significato ha per lei l’aver raccolto questo patrimonio di libri sulla cultura milanese in forma di biblioteca organizzata?
Secondo me i significati importanti sono due: il primo è salvare un patrimonio, ma è anche qualcosa
in più. È insegnare alla gente che qui i libri si possono leggere! La sapienza sta nel leggerli i libri,
mica metterli via, minga metterli in fila.
Io poi ho da sempre il “vizio” dei libri: la prima cosa che ho fatto in vita mia è stato occuparmene,
perché prima di laurearmi ho lavorato nella casa editrice Francesco Vallardi. Grazie ai libri ho
conosciuto uomini di una tempra eccezionale.
Qui nella Biblioteca della Meneghina molti libri provengono da donazioni, perché se fa inscì alla
Meneghina …la storia della Meneghina l’è questa chi: la Milano che ha sempre dato e non ha mai
chiesto. Anche allora alla Famiglia Meneghina: si dava con generosità e riservatezza, non in termini
“di finanza”, ma di partecipazione. Di appartenenza, vess milanes l’è una gran roba! El Navili l’è
una gran roba.
Ma lei lo sa che io el Navili di una volta me lo ricordo bene? Sono riuscito a fare diverse volte la
discesa lungo il Naviglio Grande, anca de nott, sui barcon che arrivavano fino a Milano, in Darsena.
Mi mettevo in alto, sopra la sabbia che stavano trasportando e viaggiavo. Uno spettacolo!
Conversazione con Gianni Ferri e Sandro Gerli raccolta da Roberta Cordani
Il teatro dialettale come arte, passione e tradizione
Gianni Ferri: cinquant’anni di teatro amatoriale milanese alle spalle, come attore, regista e autore; quarant’anni di presenza negli spettacoli della Famiglia Meneghina, professionista applaudito in commedie e riviste musicali firmate da prestigiosi nomi del
teatro dialettale e da lui. Ha lavorato nei migliori teatri di Milano con artisti come Pina
Renzi, Fausto Tommei, Liliana Feldmann, Evelina Sironi, Maria Pia Arcangeli, Wilma
De Angelis, Walter Valdi e Roberto Brivio. Qual è stato il suo ruolo nella Compagnia
Teatrale della Famiglia Meneghina?
Sono diventato socio della Famiglia Meneghina nel 1959 e l’ho lasciata nel 1976-77, quando per
ragioni di lavoro sono andato via da Milano. Negli spettacoli all’inizio facevo un po’ di tutto: dalla
regia alle scene, dall’attore all’autore dei testi. Poi dal 1995 ho avuto l’incarico da Sandro Gerli di
dirigere, coordinare, portare avanti l’attività teatrale della Compagnia della Famiglia Meneghina.
Quante persone prendevano parte agli spettacoli?
Eravamo sull’ordine dei venti o trenta attori, tutti soci. Alcuni spettacoli uscivano anche dall’ambito
delle rappresentazioni per il Sodalizio, e si andava in teatri milanesi o di provincia. Allora il numero
cresceva, oltre agli attori inserivo anche i cantanti, per le parti musicali: erano veri e propri musical. Quest’ultima attività, nella città e in provincia e al di fuori della Meneghina, è continuata fino
ad oggi. Ora, però, dovrò tirare giù la clair e farla cessare, purtroppo, per ragioni contingenti: oggi,
anche se vuoi fare uno spettacolo gratis… devi pagare!
Parliamo dei momenti d’oro. Qualche titolo delle commedie di successo di questa compagnia?
A quell’epoca i successi erano tanti. Dall’Anima travasada al Quader antigh, a El delitt de via
Spiga, l’A.S.M.A. (acronimo di Agenzia Segreta Matrimoni e Affini), i Balonitt de savon di Barrella.
I titoli sono tanti, erano i grossi capolavori scritti nei primi del Novecento, anche a fine Ottocento,
che noi abbiamo rivisitato e portato in scena. Si facevano due commedie all’anno e c’era un bel
pubblico. I Balonitt de savon mi ha dato l’occasione di conoscere bene il Barrella, che mi ha poi
voluto accanto a sé. È stato un momento molto importante per me.
Qualche aneddoto sul personaggio di Giovanni Barrella?
Eh, ce n’è un’infinità. È stato regista, attore, poeta, e non solo. È lui che ha inventato «Ne podi pù
de vedègh nò, per mètt i occiài del Viganò».
Era un personaggio ruspante, pane al pane e vino al vino. Un esempio: dovevamo andare al premio
Carlo Porta, lui vi partecipava leggendo una poesia, e allora io sono andato a prenderlo. Abitava in
un sottotetto di un palazzo di via Cappuccini, in un appartamento che gli aveva assegnato il Comune
di Milano. Andiamo al Circolo della Stampa e in un corridoio viene riconosciuto da una signora
che speranzosa di parlargli lo ferma e gli dice «Signor Barrella, forse lei non si ricorda di me …»
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Conversazione con Gianni Ferri e Sandro Gerli raccolta da Roberta Cordani
e lui «Fa nagott, sciora!» e tira dritto lasciandola lì di stucco. La prima volta che l’ho visto è stata
quando ho fatto un provino per sostituire un attore, in una particina di una commedia la cui scena
era ambientata nella portineria di una casa popolare a Milano. Era la prova generale. Io dovevo fare
il garzone del prestinaio. Allora, entro in scena cantando, come facevano i garzoni quando portavano il pane, sempre allegri. Era una canzone che mi cantava mia nonna, Valencia, ma cambiava
le parole in «Valencia brutta faccia mustolenta senza voeuia de lavoraa…». La canto e poi dico:
«Sciora Costanza se la voeur, quatter micchett o duu baston?» Ma queste battute sul copione non c’erano! Così dalla sala sento «Stoop!!» e poi «Cossa t’è vegnù in ment de cantà? Ghè chi el regista…»
e il Barrella, che era in fondo in platea, sento che dice: «Chi l’è quel lì? Mandomel giò ...» Scendo
e mi avvicino a lui, che ci vedeva poco. «Ma quant te seet alt?» «Eh, vun e ottantacinch …» E lui:
«Damm a traa, ti de diman de sira te la feet pari pari inscii … E de diman te ciami: el Longhezza.»
Con lui ho imparato e avuto molto, ma come in ogni cosa c’era anche il rovescio della medaglia,
mi faceva fare un po’ di tutto «Va a toeu quest chi, va a toeu quel là» e sempre gratis perché lui mi
diceva «E naturalmente, senza pagare! …»
Nelle commedie della Famiglia Meneghina gli attori erano i soci, ma la regia?
Quando ho iniziato la regia era di Clerici e Farioli. Clerici, oculista, autore di testi anche radiofonici
(I tri busecconi era suo), aveva molte conoscenze, anche in Rai. Lui aveva portato Soldati, bravo costumista, e così abbiamo fatto due riviste cui hanno partecipato la Liliana Feldmann, l’Evelina Sironi, la
Maria Pia Arcangeli, la parte musicale diretta da Nino Casiroli, l’autore de La famiglia Brambilla in
vacanza, socio della Meneghina anche lui. Poi Clerici si è ritirato e ha lasciato il compito della regia
a me, fino al 1976, anno in cui ho dovuto lasciare Milano. Nel 1981 il Teatro dialettale in Meneghina
boccheggia: per recare ossigeno al teatro, il Consiglio Direttivo del Sodalizio dà vita ad un nuovo
Settore Accademico, la Scuola di recitazione in dialetto milanese. Docente e direttore artistico venne
nominato Carletto Colombo, già direttore artistico e regista del Teatro Stabile Milanese, mentre la
presidenza fu assunta da Ella Torretta. Dopo la scomparsa di questo grande méntore, avvenuta nel
1993, sarebbe stato un delitto di lesa cultura lasciar morire questa forma d’arte e per questa ragione,
e al fine di riproporre la continuazione della tradizione meneghina e mantenerla viva e pulsante, nel
1995 il Resgiò della Meneghina, Sandro Gerli, ha riorganizzato La Compagnia Teatrale Meneghina
affidando a me la direzione.
Che cosa ha significato per lei la Compagnia Teatrale della Famiglia Meneghina?
Una grande esperienza, per la mia formazione teatrale, ma anche per la mia vita. Io, figlio di operai – mi sono diplomato e laureato studiando di sera, dopo il lavoro – sono arrivato alla Meneghina
casualmente, tramite Gustavo Mezzadri, vecchio socio del Sodalizio. Allora come una formichina ho
messo da parte i miei soldini e poi mi sono iscritto. Insomma, era un ambiente che mi metteva un po’
in soggezione. Poi, però, sono entrato subito a far parte della vita più attiva del Club, sono entrato
nel consiglio nel 1960. Era davvero una famiglia, per me. Fuori dal lavoro andavo sempre in Meneghina. Il fatto di vivere il dialetto milanese nelle sue potenzialità più vive e appassionanti, come
accade nel teatro, è un’esperienza unica. Oggi insegno all’Humaniter, ma a gente dai cinquant’anni
in su: un giovane che parli il dialetto non lo trovi più.
Vorrei chiedere a Sandro Gerli dell’ultimo Catalogo pubblicato dalla Biblioteca, dedicato tutto al teatro dialettale milanese …
L’attività di Gianni Ferri, lunga, seppur con un’interruzione, come lui ha raccontato, è stata molto
Il teatro dialettale come arte, passione e tradizione
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Locandina disegnata da Gianni Ferri per
The original Kasot’s College,
una delle piéces teatrali messe in scena
con successo da Ferri alla Famiglia
Meneghina.
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Conversazione con Gianni Ferri e Sandro Gerli raccolta da Roberta Cordani
ricca. Ed è continuata anche quando la Meneghina non esisteva più come Club. Certamente è un
suo talento personale, portato avanti con grandissimo impegno, ma che affonda le radici in una
tradizione, quella del teatro dialettale, che un tempo era diffusissima e molto seguita. Gli spettacoli
in milanese, anche con compagnie non professioniste, erano in gran numero e di enorme successo.
Conseguenza inevitabile di questo è la presenza di tanto materiale scritto. La nostra Biblioteca
possiede testi teatrali, copioni di scena, un vero e proprio fondo di manoscritti e dattiloscritti, che
sono stati illustrati e richiamati in un catalogo, edito nel 2011. E mi pare molto bello che dei testi
teatrali dell’Ottocento, fino a quelli degli anni Trenta del Novecento, famosi e importanti, siano
stati messi in scena dalla Compagnia Teatrale della Meneghina, amatoriale ma di un livello tale da
potersi considerare professionistica. Anche perché la qualità delle rappresentazioni era garantita
dal grande lavoro dei soci partecipanti e dal comprovato talento artistico dei primi attori fra i quali
voglio ricordare Achille ed Enza Pria e Angelo Fusar Poli. Una vera passione che costava anche dei
sacrifici, perché, logicamente, tutti provavano al di fuori degli orari di lavoro. Bisogna ricordare che
si andò in scena anche nei maggiori teatri di allora, al Piccolo, all’Olimpia, al Nuovo. Gianni Ferri è
un testimone di questa intensa storia, e ha il privilegio di essere ancora molto appassionato e attivo
nel campo del teatro in milanese.
Torniamo a Gianni Ferri: potrebbe recitarci due battute tratte da qualcuno dei cavalli
di battaglia della Meneghina?
Per la circostanza propongo un frammento tratto dalla Commedia A.S.M.A, dove io interpretavo il
ruolo del tirapiedi di Agenzia: el Peppin. Un uomo che veleggiava attorno agli 80 anni. Un uomo che
denunciava tutte le sue magagne corporee in quanto, oltre ad essere assillato da una serie di acciacchi, vedere ci vedeva poco ma in compenso non ci sentiva. Per cui, spogliandomi del mio “io”, per
calarmi nei panni di questo personaggio sciancato e ingobbito, ho dovuto accorciarmi di ben 40
centimetri deambulando con le gambe piegate. Fatte queste doverose premesse, entro nel vivo. Nel
bel mezzo della trama, il copione recita che el Peppin, al termine di una certa incombenza, rientra
in Agenzia con un certo ritardo, per cui il titolare lo riprende con taglio acido:
Titolare Ma, se po’ savè doe l’è stà?...
Peppin Intratanta che andavi a ciamà el sciór Carlètto
ho incontrà l’Adelina, la fioeula de la fondeghèra!...
L’ultima volta che l’avevi vista, l’era ‘na tosètta cònt la pigòtta in man!...
Adèss, houej, el gh’haa de vedèlla!... L’è ‘na signorìna con tutte le sue robe a posto
né?!
Titolare El me disarà minga che a la sóa età el varda anmò i dònn?!
Peppin Perché, se gh’hoo de vardà doma el càr del menalàtt?!...
Ma el sa nò che mì, quand vedi ‘na bèlla popòla, me contenti nò domà de vardala,
… ma ghe vò anca adrèe!
Titolare Anca?...
Peppin Domà che dopo trìi méter… me recordi pù perché ghe vo adrèe!...
Roberta Cordani
Editor
Edoardo Teodoro Brioschi
Quale futuro per l’Associazione?
Il “futuro” è un termine talmente ampio – anche se attraente – che risulta necessaria una sua delimitazione, se si vuole poi che dall’analisi di tale futuro derivino anche delle indicazioni sufficientemente operative.
Sono infatti favorevole all’individuazione di un possibile traguardo, di un modello, nel caso nostro,
di Associazione verso cui tendere (di una vision come si direbbe usando una terminologia cara al
management aziendale), ma se questa vision deve essere effettivamente perseguita, la tempificazione per il suo raggiungimento appare fondamentale.
Quale può essere, dunque, per noi un dato fortemente significativo e che ci può pertanto davvero
aiutare nel delimitare il futuro?
Direi, senza ombra di dubbio, che tale dato è rappresentato dal compimento del nostro primo centenario nel 2024.
Ed è a questo traguardo ambizioso che mi riferirò nelle considerazioni seguenti.
Verso quali obiettivi?
Dato un certo traguardo temporale ed i conseguenti risultati, gli obiettivi che vengono spesso in
mente sono molteplici, ma (proprio perché questi possano effettivamente aiutarci e non confonderci
o, ancora, non allontanarci di fatto dalla meta) occorre che essi non siano arruffati, confondendo
livelli di intervento e priorità.
Lo scopo della nostra Associazione ricorderò, citando una volta ancora l’articolo 1 dello Statuto, è
che essa si impegni a «promoeuv, secondà, ajutà quij iniziativ che poden servì al ben e a l’onor de
Milan, a fa cognoss la soa storia e el so nomm».
Perché tale scopo diventi un obiettivo è però necessario che sia definito il pubblico o i pubblici, nei
cui confronti intendiamo realizzare questo scopo.
Si può trattare di un pubblico particolarmente vicino (i soci del Sodalizio e i soci della Società del
Giardino) o più lontano e, quindi, più difficile da raggiungere e che richiede più tempo e più sforzi
(i cittadini di Milano, la nostra regione o un territorio ancora più esteso).
Fra questi pubblici, vicini e lontani, se ne inseriscono però degli altri di straordinaria importanza: i
leader d’opinione e i mezzi di comunicazione con i loro operatori.
Nel muoverci, dunque, dai pubblici vicini – il soddisfacimento delle cui esigenze può e deve essere
ulteriormente accresciuto – verso i pubblici di fatto più lontani dobbiamo, pertanto, utilizzare il
più possibile quei pubblici di “influenti” che, per il loro personale prestigio o per i mezzi di comunicazione in cui operano, possono costituire un ponte di straordinaria importanza verso pubblici
quantitativamente più rilevanti.
Da non dimenticare, in ogni caso, che per non incorrere in vaghi e, pertanto, pericolosi pseudoobiettivi, occorre tener conto delle proprie forze e della realtà delle cose.
E proprio per essere realisti, il perseguimento concreto di obiettivi può e deve essere tradotto
nell’aumento della nostra compagine sociale nel corso del decennio che ci sta di fronte.
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Edoardo Teodoro Brioschi
Concludo, dunque, auspicando che, per giungere ad una massa critica, i nostri soci almeno raddoppino da qui al 2024. E giacché non penso a un raddoppio miracoloso, questo potrà essere ottenuto
(e magari anche superato) solo intensificando e specializzando ulteriormente la nostra attività.
L’apertura dello scrigno
Già ricordavo nell’Introduzione la rilevanza straordinaria della nostra Biblioteca tanto che a questa
si riferisce in modo specifico l’intitolazione del Sodalizio.
Questo riferimento, pur particolarmente importante, non deve tuttavia trarci in inganno.
L’Associazione non ha solo il compito, di fatto preliminare, di studiare, mantenere ed accrescere la
Biblioteca, ma il compito finale di valorizzarla sempre più, facendola conoscere come pure promuovendola attraverso iniziative ad hoc tramite l’uso delle tecnologie più moderne e l’inserimento in
network di analoghe istituzioni.
Si tratta insomma di creare intorno ad essa attenzione e interesse e così di coinvolgere pubblici
sempre più ampi. E in queste direzioni l’Associazione si è di fatto impegnata in modo specifico da
un quindicennio a questa parte, avvalendosi anche di una consulenza particolarmente qualificata.
Ma, a mio parere, lo scrigno della Biblioteca deve aprirsi ancor di più.
In proposito, non va dimenticato come – grosso modo durante gli stessi anni – anche e, direi, con
un’intensità particolare a seguito dell’affermarsi dei mezzi digitali (da Internet alle sue molteplici e
straordinarie applicazioni) si sia sempre più sottolineata la rilevanza di un mezzo di comunicazione
che possiamo definire in modo tradizionale e corrente come “passaparola” o, più incisivamente ed
internazionalmente, come word-of-mouth o referral.
La forza del passaparola, già straordinaria di per sé, ma ancor più accresciuta dai cosiddetti new
media, può altresì essere concretizzata solo identificando chiaramente i promotori o propagatori
della stessa.
Nel caso nostro, come di qualsiasi altra Associazione, i promotori più immediatamente disponibili e
rilevanti sono costituiti dai soci che, tuttavia, per diventare “ambasciatori” dell’Associazione debbono essere sempre più incisivamente informati e coinvolti.
Di qui l’esigenza di un’apertura progressiva e sistematica dello scrigno, d’altronde annunciata durante un incontro con i soci del maggio del 2013, che si intitolava appunto «Lo scrigno si apre…».
La preparazione degli ambasciatori
Se si vuole davvero che i soci siano gli ambasciatori della Biblioteca e, con essa, dell’Associazione
occorre, come sopra dicevo, che essi siano messi nella giusta condizione per poterlo fare.
Di qui la proposta che il Sodalizio sviluppi – anzitutto attraverso una serie di incontri – un’adeguata
conoscenza della Biblioteca, del suo costituirsi nel tempo, dei tesori che essa racchiude, dei suoi
fondi (a cominciare da quello dei manoscritti teatrali), delle donazioni particolarmente significative
che le sono pervenute, dell’archivio che essa custodisce e di quant’altro sia rilevante perché un Socio – che lo voglia – si dica pienamente informato al riguardo e, pertanto, anche motivato ad avviare
o partecipare all’attività di “passaparola” di cui parlavo.
Ma la Biblioteca può anche costituire la base di documentazione per uno o più corsi o serie di conferenze che possono essere tenute, a cominciare da coloro che fanno parte degli organi sociali, sul
tema ben più ampio della cultura di Milano e del suo dialetto.
Perché non pensare allora di organizzare un «Corso di cultura e di dialetto milanese», partendo
da una struttura estremamente semplice (ad esempio, tenere una serie di 5-6 conferenze tendenzialmente a frequenza mensile) con riferimento ai principali profili di tale cultura (storico, lette-
Quale futuro per l’Associazione?
rario, artistico, architettonico) e ad una prima,
generale ricognizione nel campo del dialetto
milanese.
Sotto questo profilo sia la mostra di Palazzo
Sormani, sia questa pubblicazione per il 90°
anniversario della Meneghina possono risultare quanto mai utili: in particolare, la pubblicazione, grazie alla serie dei saggi contenuti, può
costituire un valido ausilio per programmare e
seguire il Corso.
Parte del materiale di documentazione esposto a
Palazzo Sormani può inoltre risultare importante
per aprire ed accompagnare il Corso in esame.
In tale modo si legherebbero un evento eccezionale (il 90° dell’Associazione) con un nuovo e
più ricco flusso di iniziative del Sodalizio.
Tout se tient, direbbe De Saussure.
Si potrebbe poi anche pensare ad un potenziamento di tale iniziativa o, fors’anche, ad uno
sdoppiamento della stessa in un “Corso di cultura” e in un “Corso di dialetto milanese” ovvero
un “Cors de lengua meneghina” per cominciare
ad usare il nostro dialetto.
In collaborazione con la Società del Giardino potremmo infine anche proseguire il ciclo sulle istituzioni milanesi di carattere culturale, ma perché
Il presidente e il vice presidente della Meneghina
no anche economico (il London Stock Exchange alla Cena dell’Amicizia del 2012 tenutasi presso
Group, nato dalla fusione tra la Borsa di Milano il Salone d’Oro della Società del Giardino.
e quella di Londra, potrebbe essere un esempio,
ma perché non presentare pure la Camera Nazionale della Moda Italiana in una città leader in tale
settore e gli esempi potrebbero continuare).
Un’avvertenza generale: non mi stupirei se, con riguardo alla prima edizione del Corso più semplice
o dei due Corsi successivamente ipotizzati, rispondesse solo un piccolo gruppo, proprio perché si
tratta di iniziative oggi nuove anche se idealmente collegate a tante iniziative del passato.
L’esito del lancio di iniziative del genere deve essere quindi visto nel medio-lungo periodo, non
certo nelle prossime sei settimane o sei mesi.
Ripercorrendo antichi sentieri
Un aspetto che può anche grandemente stupire trattando del Medioevo, della sua cultura e della
sua economia è costituito dallo svilupparsi dell’una e dell’altra su scala europea, malgrado le grandi
distanze e le grandi difficoltà di trasferimento.
È così che Erasmo da Rotterdam, per rimanere nell’ambito della cultura, viaggiò in tutta Europa tra
la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento.
È così, per portarci in ambito economico, che a Londra troviamo Lombard Street, un’area che nella
secondo metà del Duecento venne concessa da Edoardo I agli orafi che provenivano dalla Lombardia e, più in generale, dal Nord Italia.
169
170
Edoardo Teodoro Brioschi
Direi che sia dunque naturale per un’Associazione come la nostra (in un’epoca di globalizzazione,
ma anche e più specificamente di Unione Europea o, ancora, di Grande Europa) seguire nel tempo
illustri milanesi, che hanno sviluppato la loro vita con successo in altri Paesi o, più genericamente,
a livello internazionale.
Un modo, questo, anche per mettere l’Associazione in contatto con istituzioni culturali di altri Paesi
e creare progressivamente un network europeo con cui la cultura milanese e, in particolare, la nostra
Associazione si possa mantenere in dialogo.
Già un’iniziativa del genere («Alla scoperta dei milanesi illustri») è stata svolta con riferimento a
Parigi e alla figura di Enrico Cernuschi (patriota, economista, banchiere e collezionista d’arte asiatica), mentre è in programma un viaggio a Londra alla scoperta di Agostino Bozzi Granville (patriota
egli pure oltre che medico illustre e paleopatologo, che per primo eseguì un’autopsia su una mummia dell’antico Egitto).
Il primo viaggio ha così, tra l’altro, consentito di avviare rapporti con il Musée Cernuschi des Arts
de l’Asie e con la Fondation Cartier pour l’art contemporaine.
Tra l’altro, non è detto che la milanesità debba essere valorizzata esclusivamente a Milano o in
Lombardia: valori, esperienze, genialità tipici della cultura milanese possono ben essere proposti o
riproposti anche in altri Paesi.
Quali forze attivare?
Ora, perché un programma di attività quale quello già svolto con impegno dalla nostra Associazione
integrato alla luce delle considerazioni precedenti possa essere realizzato, quali forze devono essere
messe in moto?
Anzitutto i soci, come ho già detto, e fra questi in primis quelli che fanno parte degli organi sociali
o presiedono moralmente agli stessi.
Fondamentali, sotto quest’ultimo profilo, risultano senz’altro essere anche l’esempio e l’impulso
dato dai nostri Presidenti onorari:
Antonio Gerli, ritratto
in occasione del suo
centesimo compleanno,
brinda con Edoardo
Teodoro Brioschi.
Quale futuro per l’Associazione?
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
Un evocativo dipinto di Nando Conti pubblicato
sul primo numero del periodico sociale della
Meneghina uscito nel 1945 dopo l’interruzione
causata dalla guerra: una porta spalancata sul
futuro della città e del Sodalizio.
171
172
Edoardo Teodoro Brioschi
– il Cav. Lav. Amm. ing. Ottorino Beltrami, che apre l’elenco dei Presidenti onorari dell’attuale
nostro Sodalizio, già collaboratore di Adriano Olivetti e considerato uno dei massimi esperti del
settore tecnico-organizzativo delle telecomunicazioni;
– l’ing. Francesco Cetti Serbelloni, presidente onorario in service, illustre operatore a livello internazionale nel settore dell’ingegneria, dell’urbanistica, dell’architettura e del disegno industriale.
Ma, anche se non ha ricoperto una specifica carica associativa, desidero qui ricordare (per lo straordinario attaccamento al nostro Sodalizio) Antonio Gerli, padre del nostro vice presidente, che,
oltre ad avere seguito per una vita l’Associazione e le sue attività, ha generosamente effettuato una
donazione in suo favore, che ci ha certamente aiutato e ancora ci sostiene nello sviluppo di diverse
iniziative.
Tornando ora ai soci in generale, desidero ribadire il fondamentale ruolo svolto da ciascuno di loro
nello sviluppare tutta una serie di relazioni, che diventano a loro volta forze a favore del nostro Sodalizio.
Desidero in ogni caso concludere questa breve riflessione, esprimendo la mia ammirazione sincera
per quanto il Sodalizio è riuscito a progettare ed a realizzare in questi suoi 90 anni di esistenza, che
trovo così efficacemente richiamati ed illustrati nel bel contributo di Alessandro Gerli.
Anche se non ho ritenuto di occuparmi qui specificamente della storia della nostra Associazione,
certo essa, debitamente contestualizzata, si presenta ancora come uno splendido esempio di impegno, di genialità e di passione.
Un esempio che deve dunque spronarci a fare di più e a fare meglio, giacché, come è stato in più
occasioni sottolineato, il futuro di un’Associazione che non tenga debitamente conto della sua storia
e della sua cultura è ricco di insidie.
Ciò, a mio avviso, diventa ancor più rilevante per il nostro Sodalizio in questo periodo di transizione,
che dovrebbe condurlo a divenire Associazione riconosciuta dalla Regione.
Edoardo Teodoro Brioschi
Edoardo Teodoro Brioschi
What is the Future of our Association?
“Future” is a term that is so broad, though attractive, that there should be a delimitation if one would
like the analysis of the future to lead to operational indications.
I am favorable to the identification of a possible goal or model, a “vision”, to use a term dear to
company managers, of an Association towards which ours might work. However, if this “vision” is
to be effectively achieved, timing seems fundamental.
What can help us define the future? Is there a highly significant fact that we can use to help us?
I would say, without a shadow of a doubt, that it is the fulfillment of our “first” centenary in 2024.
And it is this ambitious goal to which I will refer in the following considerations.
What are our Objectives?
Given a certain temporal goal, there are many objectives that spring to mind, but for these to help
us effectively and not confuse us, and especially so that they do not divert us from our goal, it is
necessary that they are not sloppy, and that they do not confuse our levels of intervention and
priorities.
The purpose of our Association, once again citing Article 1 of the Statute, is that it is committed
«promoeuv, secondà, ajuntà quij iniziativ che poden servì al ben e a l’onor de Milan, a fa cognoss
la soa storia e el so nomm».1
For this idea to become an objective, however, we must decide before which public or publics we
intend to achieve this purpose.
It could be a particularly narrow public (Members of the Association and Members of the Società
del Giardino, or a larger public, and thus one more difficult to attain and which requires more time
and effort (the citizens of Milan, our region, or an even larger area).
Among these publics, near and far, we must also insert some others that are extremely important,
namely opinion leaders and the media.
Therefore, as we move from a narrow public, always attempting to satisfy needs, towards a broader
public, we must use “influential” publics, those who, for their own personal prestige or because
of the means of communication they operate, can be a very important bridge to reach a larger and
larger public.
We must not forget, however, that in order to avoid vague and, therefore, dangerous pseudo-objectives,
it is necessary to take our forces and the reality of things into account.
To be realistic, the pursuit of concrete goals can and should be translated into an increase in our
social structure during the decade that lies ahead.
I conclude, therefore, in the hope that the number of our members at least doubles by 2024, so that
we have a critical mass of people. Since I am not thinking of a miraculous doubling, this can be
achieved, and perhaps even surpassed, only by intensifying and further specializing our activities.
1
Translation: “to promote, support, and assist the initiatives that serve the good and honor of Milan; to raise awareness
of Milan’s history and its name”.
174
Edoardo Teodoro Brioschi
The Opening of the Treasure Chest
In my introduction, I recalled the extraordinary importance of our library, which is such that it is
referred to in the title of our Association.
This reference to the library, though particularly important, should not mislead us.
The Association has as its task not only to maintain and enhance the Library, but its final task is
to appreciate it more and more, making it become known as well as promoting it through ad hoc
initiatives, using modern technology and including it in a network of similar institutions.
In short, the task of the Association is to create attention and interest around the library, and so to
involve the public more and more extensively. The Association has already been engaged in these
specific activities for about fifteen years, making use of a specially qualified consultant.
However, in my opinion, the treasure chest of the library must be opened even further.
In this regard, it should be remembered that, roughly during those same years, and with growing
intensity with the emergence of digital media (from the Internet to its multiple and extraordinary
applications), the importance of a means of communication that is both traditional and current has
increased. I am speaking about “word-of-mouth” or “referral”.
The power of word-of-mouth, which is extraordinary in itself but which is even more enhanced
by the so-called New Media, may be made concrete only by clearly identifying its promoters or
propagators.
In our case, as with any other Association, the most readily available and relevant promoters are the
members themselves, who, however, must be more and more effectively informed and involved in
order to become “ambassadors” of the Association.
Hence the need for a systematic and gradual opening of the treasure chest, which was in fact announced
during a meeting with members (May 2013), entitled precisely “The treasure chest opens...”
The Preparation of the Ambassadors
If one really wants the members to be the ambassadors of the Library, and with the Library also the
Association, these members must be put into the right conditions to do so.
Hence the proposal that the Association, first through a series of meetings, develop adequate
knowledge of the Library, its formation in time, the treasures it contains, its funds (beginning with
that of the stage manuscripts), particularly significant donations it has received, the archive that it
holds, and everything else that is relevant for a member to be fully informed and, therefore, also
motivated to initiate or participate in the aforementioned activity of “word-of-mouth”.
But the Library can also be the basis of documentation for one or more classes or conference series
that could be held, starting with those who are part of corporate bodies, on the broad themes of
Milanese culture and dialect.
Why not organize a “Milanese Culture and Dialect Course”, starting from an extremely simple
structure (for example, a series of 5-6 monthly conferences), with references to the main profiles
of culture (historical, literary, artistic, architectural, etc.) and an initial, general journey into the
Milanese dialect?
In this regard, both the exhibition at Palazzo Sormani and this publication for the 90th anniversary
of the Meneghina may prove more useful than ever. This publication, in particular, thanks to the
series of essays it contains, could be a useful aid to plan the Course.
Part of the documents on display at Palazzo Sormani may also be important to open and accompany
this Course.
In this way, an exceptional event (the 90th anniversary of the Association) could be linked with a
new and richer stream of initiatives.
What is the Future of our Association?
Tout se tient, De Saussure would say.
We might then also think about strengthening this
initiative or, perhaps, splitting it into a “Culture
Course” and a “Milanese Dialect Course”, or a
“Cors de lengua meneghina”,2 to begin using our
dialect.
In collaboration with the Società del Giardino, we
could eventually also continue the Cycle on the
cultural institutions in Milan, but we could also
expand that to economic institutions (the London
Stock Exchange Group, born from the merger
of the Stock Exchange of Milan and the one in
London, could be an example, but we could also
present the National Chamber of Italian Fashion,
in a city that is a leader in this field, and many
other ideas).
A general warning: I should not wonder if, with
respect to the first edition of the simpler Course
or to the two courses subsequently offered, only a
small group signs up. This is simply because they
will be new initiatives, although ideally linked to
the many such initiatives that have taken place
in the past.
The outcome of the launch of such initiatives
should therefore be viewed in the medium to long
term, certainly not in the next six weeks or six
months.
175
The President and Vice President of the Meneghina
at the Dinner of Friendship held in 2012 at the
Golden Hall of the Società del Giardino.
Retracing Ancient Paths
An aspect that is surprising about the Middle Ages is that its culture and economy were constituted
by the development of both on a European scale, in spite of the great distances and the great
difficulty of travelling.
This is how we had Erasmus of Rotterdam, in the field of culture, who traveled throughout Europe
in the late fifteenth century and the first decades of the sixteenth century.
And also how we had, in the field of economics, Lombard Street in London, an area that was granted,
in the second half of the thirteenth century, by Edward I to the goldsmiths who came from Lombardy
and from Northern Italy in general.
I would say that it is, therefore, natural for an Association like ours, in an era of globalization but
also in an era of the European Union, or of greater Europe, to follow the example of the illustrious
Milanese throughout history, who developed their lives successfully in other countries, on an
international level.
This is one way also to put the Association in touch with cultural institutions of other countries,
and gradually to establish a European network with which Milanese culture and, in particular, our
Association, can maintain a dialogue.
2
Translation: “Milanese Dialect Course”.
176
Edoardo Teodoro Brioschi
Such an initiative has already been carried out with “Discovering the Illustrious Milanese”, which
referenced Paris and the figure of Enrico Cernuschi (patriot, economist, banker, and collector of
Asian art). A trip to London is also being planned and would center on discovering more about
Agostino Bozzi Granville (a patriot who was also a well-known doctor and paleopathologist, the first
to perform an autopsy of a mummy from ancient Egypt).
The first trip, among other things, allowed us to begin a relationship with the Musée Cernuschi des
Arts de l’Asie and the Fondation Cartier pour l’art contemporaine.
Furthermore, it should not be thought that “Milanesity” should be valued solely in Milan and in
Lombardy. The values, experiences, and ingenuity typical of Milanese culture may well be proposed
or replicated in other countries.
Which Forces should we Activate?
Now, in order for a program of activities to be carried out with commitment by our Association and
integrated in light of the above considerations, which forces must be set in motion?
First to be set in motion should be the members, as I have said, and among these, firstly those who
are part of corporate bodies or chairmen of those.
The example and impetus given by our Honorary Presidents is fundamental to this project.
– Cavaliere del Lavoro, Admiral and Engineer Ottorino Beltrami, is the first on the list of Honorary
Presidents of our Association. He has collaborated with Adriano Olivetti and is considered one of
the top experts in the technical and organizational field of telecommunications;
– Engineer Francesco Cetti Serbelloni, current Honorary President “in service”, is an illustrious
operative at an international level in the fields of engineering, city planning, architecture and
Industrial design.
Lastly, even if he has not had a specific role in the Association, I would like to mention Antonio
Gerli, father of our Vice President, for his extraordinary attachment to our Association. In addition
Antonio Gerli,
portrayed on the
occasion of his onehundredth birthday,
celebrating with
Edoardo Teodoro
Brioschi.
What is the Future of our Association?
“Associazione Culturale
Biblioteca Famiglia
Meneghina-Società del Giardino”
An evocative painting by Nando Conti, published
in the first issue of the Meneghina social journal,
which came out in 1945 after a pause caused by
the war. It portrays a door thrown open to the future
of the city and that of the Association.
177
178
Edoardo Teodoro Brioschi
to having followed the activities of the Association for a lifetime, he also generously gave us a
donation that has certainly helped us and still sustains us in the development of various initiatives.
Returning now to members in general, I wish to reaffirm the vital role played by each of them in
developing a whole series of relationships, which in turn become forces in favor of our Association.
I would like to conclude this brief reflection by expressing my sincere admiration for what the
Association was able to design and implement in its 90 years of existence, which I find so effectively
evoked and illustrated in the fine contribution of Alessandro Gerli.
Although I have not considered the history of our Association specifically here, it is, when duly
contextualized, a wonderful example of commitment, ingenuity, and passion.
It is an example that must, therefore, inspire us to do more and to do it better, since, as has been
pointed out on several occasions, the future of an Association that does not take due account of its
history and its culture is full of pitfalls.
In my opinion, this is especially relevant to our Association in this period of transition that could
lead it to becoming an Association fully recognized by the Region Lombardy.
Edoardo Teodoro Brioschi
Immagini e documenti
La Meneghina e Milano
La bandiera del
Sodalizio. La
cuspide argentea
che rappresenta
la Madonnina del
Duomo è opera
dello scultore
Emilio Pagani
e dell’argentiere
Gaetano Boggiali.
181
182
La Meneghina e Milano
La Società del Giardino ospita la Famiglia Meneghina.
Nando Conti,
I noster poetta,
bronzetto
del 1938.
La Meneghina e Milano
183
Incisione (ritoccata a colore) di Georg Balthasar Probst, artista attivo nella prima metà
del Settecento: raffigura il Duomo di Milano visto dall’attuale via Dante.
Litografia di metà
Ottocento con una
illustrazione di
Gabriele Castagnola
che mostra la morte,
per defenestrazione
e linciaggio (1814)
di Giuseppe Prina,
Ministro delle Finanze
del Regno d’Italia.
184
La Meneghina e Milano
L’attore e
commediografo
milanese Davide
Carnaghi ritratto
nelle sue più
caratteristiche
macchiette e nelle
immagini di scena,
in una cartolina
pubblicitaria di fine
Ottocento
(fronte e retro).
“A
Associazione
ssociazione C
Culturale
ulturale
Biblioteca Famiglia
Menegh
hina-Società
ina-Società d
del
el G
Giard
iardino”
Due copertine dell’“Almanacco del Guerin Meschino”:
il Doppio Guerino di Chiaravalle del 1919 e il Guerino
Casalingo del 1922. Le copertine sono disegnate,
come ogni anno in quel periodo, dalla felice matita
di Aldo Mazza.
Brochure dell’edizione del
1962 del Palio schermistico
(denominato Festa d’Armi di
Sant’Ambrogio), tenutosi
al Castello Sforzesco il
20 maggio di quell’anno e
organizzato dalla Famiglia
Meneghina con il patrocinio
del Comune di Milano.
La Meneghina e Milano
Api e fiori, ovvero giovani soci in cerca
dell’anima gemella in Meneghina, in un
curioso fotomontaggio realizzato per il
Carnevale del 1938.
Copertina illustrata dell’“Almanacco
della Famiglia Meneghina” del 1961,
dedicato alla satira. L’illustrazione è di
Giovanni Manca, che lavorò a lungo anche
per l’“Almanacco del Guerin Meschino”.
185
186
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Tavola 1.
Achille Jemoli,
Stazione di
Milano e Cascina
Pozzobonelli,
1931-1933,
olio su tela.
Tavola 2.
Achille Jemoli,
Manifestazione per il
IV centenario
di San Carlo
Borromeo,
1939,
olio su tavoletta.
Tavola 3. Luigi
Mantovani,
La fontana di San
Francesco,
1931,
olio su tela.
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Tavola 4.
Luigi Mantovani,
Piazza Cordusio,
1932,
olio su tela.
Tavola 5.
Mario Bezzola,
La Cascina Simonetta,
olio su tavola.
Tavola 6.
Carlo Bisi,
Via San Marco,
olio su tavola.
187
188
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Tavola 7.
Dino Rossi,
Il Naviglio Grande
con il Vicolo
delle Lavandaie,
olio su tavola.
Tavola 8.
Daniele Fontana,
(Per la Storia).
L’appuntamento colle
“Sorelle Ghisini”,
1920,
acquarello.
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Tavola 9. Mario Bezzola,
I Corni di Canzo. Dalla piana
di Abbadia Lariana i Corni,
1926,
pastello su cartoncino.
Tavola 10.
Domenico De Bernardi,
Inverno nel Varesotto,
1947,
olio su tela.
189
190
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Tavola 11.
Giannino Grossi,
Villa Borghese
a Roma,
1927,
monotipo.
Tavola 12.
Riccardo Galli,
Canale della Giudecca,
1931,
olio su tela.
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Tavola 13.
Raul Viviani,
Cascina,
olio su tela.
Tavola 14.
Aldo Carpi,
Sera al mare,
olio su tela.
191
192
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Tavola 15. Cesara Mottironi, Ragazze nel campo,
olio su cartone.
“Asssociazione
sociazione C
Cultura
ulturale
Biblioteca
B
iblioteca F
Famiglia
amiglia
Menegh
hina-Società
na-Società d
del
el G
Gia
ardino”
Tavola 16.
Luigi Conconi,
Ritratto di giovane donna,
1897,
olio su tela.
Tavola 17.
Giuseppe Palanti,
Sorridente,
1924,
olio su tela.
Tavola 18.
Clemente Tafuri,
Profilo di giovane donna,
olio su tela.
«La più bella espressione del pensiero»: la Famiglia Meneghina e la collezione d’arte
Tavola 19.
Ritratto di Meneghin Balestrieri,
olio su tela.
Tavola 21.
Nando Conti,
Porta e i suoi personaggi,
1954,
tecnica mista su cartoncino.
Tavola 20.
Ritratto di Carlo Porta,
olio su tela.
193
marzo/march
2014
10.00
euro
Italy only
periodico mensile
A € 22,70 / B € 18,20 / CH CHF 25,00
CH Canton Ticino CHF 20,00 / D € 23,00
E € 19,95 / F € 16,00 / I € 10,00 / J ¥ 3,100
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K £ 16,50 / USA
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(conv. in Legge 27/02/2004 n. 46), Articolo 1,
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978
LA CITTÀ DELL’ UOMO
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Indice dei nomi
A
Albertini, Cesare 42, 43
Albertini, Luigi 38
Albertoni, Ettore 153
Alciati, Andrea 67
Aligheri, Dante 20, 24, 51, 155
Altieri Biagi, Maria Luisa 56
Amietta, Pier Luigi 24, 147
Angioletti, Giovanni Battista 48
Angiolini, Francesco 68
Annoni, Ambrogio 22, 29, 78
Antonini, Ambrogio Maria 24, 68, 116, 147, 155
Arata, Giulio Ulisse 43, 123
Arbasino, Alberto 55
Arcangeli, Maria Pia 69, 163
Arconati, Rinaldo 22
Argelati, Filippo 67
Arrighi, Cletto v. Righetti, Carlo
Ascoli, Graziadio Isaia 49, 51, 56, 154
Astesani, Emilio 31
Azzi, Gisella 116
B
Badini, Mario 22, 27, 61, 78, 129, 140
Baggio, Serenella 58
Bagnoli, Raffaele 66, 83, 87, 105
Bajini, Alessandro 30, 59, 145
Baldelli, Ignazio 57, 58
Balestrieri, Domenico 54, 67, 108, 133, 138, 193
Banfi, Emanuele 58
Banfi, Giuseppe 68
Barbarani, Berto 50, 62
Barbarisi, Gennaro 49
Barbato, Tullio 30
Barbetta, Tiziano 21, 22, 29, 155
Barni, Gian Luigi 57
Barrella, Giovanni 21, 50, 53, 55, 72, 74, 76, 79,
84, 102-105, 107-109, 113, 163, 164
Bartesaghi, Paolo 59
Bartoli, Matteo 49, 51, 60
Barzaghi, Aurelio 30
Bascapè, Carlo 67, 121
Baslini, Carlo 29, 53, 79, 107, 108, 110
Basso, Antonio 41
Basso, Lelio 41
Bauer, Riccardo 40
Bava Beccaris, Fiorenzo 37, 38
Bazzaro, Leonardo 130, 140
Belotti, Bortolo 155
Beltrame, Achille 140
Beltrami, Ottorino 29, 33, 172, 176
Bemporad (editore) 52
Benincà, Paola 58
Bentoglio, Alberto 74
Beretta, Claudio 58, 107, 109, 144
Beretta, Raineri 21
Bergamini, Giancarlo 32
Berlusconi, Silvio 29
Bertani, Enrico 62
Bertera, Giuseppe 125
Bertini, Enrico 53, 79, 80, 102, 103, 107, 108,
110, 103, 113
Bertini, Giuseppe 111
Bertini, Guido 68, 81, 110
Bertolazzi, Carlo 68, 101, 103, 105
Bertoni, Giulio 49, 51, 60, 61
Besana, Giudo 79
Besana, Luigi 53, 72
Bezzola, Mario 130-132, 135, 136, 187, 189
Bianca di Savoia 121
Bianchi, Arnaldo 31
Bianchi, Gino 21
Bianchi, Paolo 63, 64
Bianchi, Pier Gildo 24, 26, 147
Bianconi, Sandro 58
Bignami, Vespasiano 129, 138, 140
Binda, Ambrogio 66, 79
Bisi, Carlo 135, 187
Bisi, Cristina 110
Boggiali, Attilio 116
Boggiali, Gaetano 181
198
Indice dei nomi
Bolchini, Giuseppe 29
Bolla, Rodolfo 64, 78
Bologna, Marco 154
Bolza, Giorgio 68, 80, 81, 112-114
Bompiani, Valentino 48, 77
Bona Castellotti, Marco 34
Bona di Savoia 79
Bonacina, Sara 66
Bonecchi, Paolo 64, 68
Boneschi, Mario 41
Bonfiglio, Luigi 79
Bongrani, Paolo 59
Bonomelli, Marina 13, 17, 34, 66, 67, 99, 102,
103, 107, 117, 151
Bonora, Ettore 56, 57
Bonvesin de la Riva 141
Bonvini, Costante 72
Borgese, Leonardo 136
Borghesani, Ermenegildo 104
Borletti, Senatore 48
Boschini, Ettore (Fratel Ettore) 30
Boselli, Mario 30
Bottasso, Enzo 82
Bouvier, Pietro 130
Bozzi Granville, Agostino 170, 176
Bregani, Edoardo 151
Briatico, Clara 66
Brioschi, Edoardo Teodoro 33, 35, 91, 170, 176
Brioschi, Luigi 21
Brivio, Roberto 163
Bruni, Francesco 59
Brusa, Piero 140
Bucci, Anselmo 45
Buongiardino, Simonpaolo 32
Buzzati, Dino 87
Buzzi, Carlo 89
Buzzi, Franco 30, 154
Buzzi, Paolo 119
C
Caccia, Patrizia 52
Caddeo (editore) 69
Cadioli, Alberto 77
Calabi, Giuseppe 21, 155
Calco, Tristano 67
Caldara, Emilio 39
Calvino, Italo 55
Campagnani, Oscar 21
Campari, Davide 79
Cannizzo, Vincenzo 31
Canossi, Angelo 50, 62
Cantù, Cesare 153, 154
Capelli, Luigi Mario 21, 22, 61, 78-80, 82, 84, 107,
108, 110, 111, 113, 117, 118-120, 122, 124
Cappellini, Severo 67
Caprotti, Giorgio 30
Carbone, Piera 124, 128
Cardarelli, Vincenzo 48
Cardona, Giorgio Raimondo 58
Carelli, Luigi 32
Carfagna, Giuseppe 21
Carnaghi, Davide 184
Carosio, Niccolò 43
Carosso, Attilio 23
Carpi, Aldo 129, 130, 135-137, 140, 191
Carpi, Aldo 140
Carrà, Carlo 45, 130
Carraro, Tino 29, 87
Carrera, Mario 21
Carrubba, Salvatore 34, 90, 91, 97
Casartelli, Alvaro 116
Casati (famiglia) 40
Casati, Adrio 28, 57, 155, 156
Casati, Alessandro 45
Casella, Maria 123, 124
Casiroli, Nino 164
Casorati, Felice 45
Castagnola, Gabriele 183
Castellaneta, Carlo 33
Castelli, Giuseppe 74, 155
Castelli, Pompeo 74, 155
Castiglioni, Giannino 23
Castiglioni, Umberto 31
Cattaneo, Alessandra 66
Cattaneo, Giovanni 140
Cattani, Leone 41
Cavalleri, Emo 79
Cazzaniga, Carlo 23, 103
Cazzetta, Luigi 116
Cecchini Galloni, Lucia 33
Cendali, Pietro 32, 72
Cenzato, Giovanni 68, 103-105, 125
Cernezzi, Luigi 22, 23, 61, 64, 78, 80
Cernuschi, Enrico 36, 83, 170, 176
Ceschina (editore) 23, 46, 48, 53, 62, 67, 77, 82,
115
Ceschina, Renzo Ermes 82
Cetti Serbelloni, Francesco 30, 33, 161, 172, 176
Cherubini, Francesco 68, 112
Indice dei nomi
Chiappa, Franca 29
Chiodi, Cesare 28, 29, 159
Cima, Camillo 83, 101, 103, 110
Cima, Corradino 33, 79, 93, 96, 107-110, 112,
113
Cima, Otto 109, 131
Cirese, Eugenio 61
Cisari, Giulio 66, 79, 115
Clerici, Antonio 23, 103, 164
Codara, Giuseppe 23, 64, 79, 118, 119, 121, 123
Colombo, Alessandro 79, 90
Colombo, Carletto 105, 164
Colombo, Corrado 68
Colombo, Guido 83
Colombo, Nicoletta 132
Comisso, Giovanni 48
Comoletti, Cesare 141, 144
Comolli, Mario 116
Conconi, Luigi 132, 135, 137, 192
Conti, Ettore 124
Conti, Nando 23, 85, 86, 133, 134, 138, 140, 171,
177, 182, 193
Cordani, Antonio 80
Cordani, Roberta 84
Corio, Bernardino 67
Cornagliotti, Anna 58
Cortelazzo, Manlio 58
Corti, Maria 57, 58
Corti, Nando 109
Corti, Paolo 31, 32
Cosmacini, Giorgio 30, 59
Costa, Nino 50, 62
Cova, Alberto 77, 117
Cova, Giovanni Paolo 22
Coveri, Lorenzo 51
Cremona, Tranquillo 137
Crepaldi, Silvio Vittorio 21, 22, 61, 62
Crespi (famiglia) 41
Crespi Morbio, Anna 69
Crespi Morbio, Vittoria 69, 137
Croce, Benedetto 38
Crocioni, Giovanni 54
Cugini, Alberto 125
Curti, Antonio 53
Cusi, Annibale 79
D
Dall’Acqua, Carlo 69
Dall’Acqua, Giuliana 69
199
Daniele, Antonio 58
Danzi, Luca 59
Dapporto, Carlo 87
De Andreis, Luigi 21, 27, 61
De Angelis, Wilma 30, 163
De Bernardi, Domenico 131, 135, 136, 189
De Blasi, Nicola 59
De Capitani D’Arzago, Giuseppe 23, 122, 123,
159
De Chirico, Giorgio 45
De Curtis, Antonio (Totò) 87
De Marchi, Emilio 109, 110
De Mauro, Tullio 55
De Saussure, Ferdinand 169, 175
De Simoni, Giovanni 58
De Vecchi, Cesare Maria 52
Decio, Giulio 22, 29, 61, 78-80, 107,108, 110,
112, 113, 138
Decleva, Enrico 49, 77, 82
Degl’Innocenti, Marina 140
Della Campa, Massimo 33
Della Mano, Nino 29
Della Porta, Massimo 122, 123
Depero, Fortunato 45, 97
Desio, Ardito 69
Devoto, Giacomo 55, 56
Di Fenizio, Ferdinando 40
Di Giacomo, Salvatore 60
Di Maio, Federico 33
Dionisotti, Carlo 59
Diotallevi, Lamberto 63, 64, 66, 67
Donegana, Ambrogio 79, 107, 108, 110, 113
Donghi, Silvia 34, 49, 67
Dossi, Carlo 36, 102
Dudreville, Leonardo 45
Durante, Marcello 59
Duvia, Cesare 74
E
Edoardo I 169, 175
Einaudi, Giulio 77
Einaudi, Luigi 38
F
Faber, Giorgio 23
Falck, Giorgio 30
Faltracco, Liliana 69
Farè, Paolo A. 58
200
Indice dei nomi
Farioli, Silvio 23, 87, 103, 164
Fedele, Pietro 60
Feldmann, Liliana 30, 163, 164
Ferrante, Giovanna 30
Ferrari da Passano, Carlo 29
Ferrari, Arturo 140
Ferrari, Carlo Andrea 40
Ferrario (editore) 69
Ferravilla, Edoardo 74, 76, 101, 103, 133, 138, 140
Ferré, Gianfranco 29
Ferri, Gianni 30, 36, 106, 164, 165
Fichera, Filippo 53-55
Figini, Oddone 21
Filippetti, Angelo 39
Fontana, Ciro 115
Fontana, Daniele (Daniel) 22, 64, 81, 86, 129-131,
133, 135, 136, 139, 140, 188
Fraccaroli, Arnaldo 87
Fracci, Carla 29
Fraizzoli, Ivanoe 28, 29
Fratel Ettore v. Boschini, Ettore
Fubini, Mario 56
Fumagalli, Luigi 21
Funi, Achille 45
Fusar Poli, Angelo 103, 166
G
Gabba, Bassano 38
Gabiazzi, Dino 58
Gadda, Carlo Emilio 43, 157
Galeone, Gaetano 34, 35
Gallarati Scotti (famiglia) 40
Gallavresi, Giuseppe 50, 52, 61
Galli, Luigi 32
Galli, Riccardo 23, 124, 131, 132, 136, 140, 190
Garanzini, Giuseppe 21
Garbelli, Carla 137
Garbini (editore) 149
Garzanti, Aldo 77
Gassmann, Vittorio 87
Gastaldi, Elena 82
Gatti, Emilio 34
Gentile, Giovanni 49-51
Gerli, Alessandro 13, 17, 28, 29, 32, 33, 35, 83,
87, 90, 91, 99, 100, 106, 153, 157, 163, 164,
172, 178
Gerli, Antonio 31, 170, 172, 176, 178
Ghinassi, Ghino 59
Giacomelli, Gabriella 56, 57
Gibellini, Pietro 112
Gigli Marchetti, Ada 34, 52, 154
Gillièron, Jules 51
Giolitti, Giovanni 38
Giolli, Raffaello 137
Giordani, Pietro 111, 112
Giovannini, Alberto 116
Giraud, Edoardo 68, 74, 76, 102, 103
Giuliani, Enrico 116
Giustiniani, Sandro 21
Gola, Ercole 21
Grassi, Corrado 56, 57
Grassi, Paolo 103
Greppi, Emanuele 38
Greppi, Giovanni 23
Grignani, Maria Antonietta 58
Grossi, Giannino 23, 80, 83, 102, 118-121, 123,
130-132, 135, 136, 190
Guicciardi, Decio 105
Guicciardi, Emilio 113
H
Hoepli (editore) 48, 149
Holtus, Günter 58
I
Iacobelli, Silvia 129
Illica, Luigi 105
Inganni, Angelo 162
Irace, Fulvio 125
Isella, Dante 54, 108, 111
J
Jacini (famiglia) 40
Jarach, Federico 61
Jemoli, Achille 131, 135, 186
K
Kuliscioff, Anna 40
L
La Malfa, Ugo 40, 41
Labov, William 55
Lancia, Emilio 123, 125
Lauria, Antonio 34
Indice dei nomi
Lauzi, Ada 30, 143
Lecchi, Pippo 21
Legnani Bisi, Ernesta 110
Legnani Bisi, Giuseppe 110
Lenti, Libero 40
Leovino, Vito 90
Lepre, Aurelio 53
Levi, Eugenio 60, 61
Lissoni, Sandro 116
Lobbia, Zani 21
Lombardo Radice, Giuseppe 49-52, 60, 61
Lorenzoni, Giovanni 51, 62
M
Madini, Pietro 159
Maffei, Giovanni 59
Maffei, Laodice 66
Maggi, Carlo Maria 14, 18, 54, 67, 101, 107,
108
Magrini, Giuseppe 74
Mainardi, Cesare 116
Malara, Empio 131
Malerba, Gianliugi 45
Malvestiti, Pietro 40
Manca, Giovanni 185
Mangiagalli, Luigi 39, 41, 79, 140
Mangiarotti, Anna 129
Mangiarotti, Dario 31
Mantovani, Luigi 23, 130-132, 135, 186, 187
Manuzio, Aldo 78
Manzoni, Alessandro 22, 51, 52, 67, 82, 110
Manzoni, Franco 30
Marangoni, Guido 43
Marazzini, Claudio 59
Marchesi, Marcello 87
Marcovigi, Giulio 123
Marelli, Roberto 30
Margherita di Savoia 74
Maria del Belgio 85
Marinetti, Filippo Tommaso 53
Marinoni, Augusto 58
Martini, Carlo Maria 30
Marussig, Piero 45
Marzi Longoni, Alice 105
Mascherpa, Giuseppe 31
Massariello Merzagora, Giovanna 58
Mastrelli, Carlo Alberto 58
Matarrese, Tina 58
Matteotti, Giacomo 41, 45, 49
201
Mattioli, Raffaele 40
Mazza, Aldo 184
Mazzarella, Piero 106
Mazzocchi, Giovanna 30
Mazzola, Pino 116
Meazza, Tullio 74
Meda, Filippo 40
Medici, Luigi 21, 53, 54, 79, 81, 84, 107-109,
112, 113, 120, 131, 156
Mengoni, Giuseppe 80
Merelli Cima, Ezilda 102
Merlo, Clemente 50
Meyer Lübke, Wilhelm 49
Mezzanotte, Paolo 44
Migliavacca, Angiola Maria 29, 81
Milani, Felice 59
Minuziano, Alessandro 67
Mocchetti, Ettore 83, 90
Molina, Giovanni 21
Molinari, Sandro 29
Moncalvo, Guiseppe 101
Mondadori (editore) 69, 77
Mondadori, Arnoldo 48
Mondadori, Giorgio 90
Moneta, Ernesto 21
Moneta, Ernesto Teodoro 36
Montanelli, Indro 30
Morandi, Giorgio 47
Moreo, Ettore 21
Morgana, Silvia 34, 49, 59, 74, 151, 153, 154
Morigia, Paolo 67
Moro, Gino 131
Mottironi, Cesara 131, 132, 137, 192
Muljac̆ić, Zarko 57, 58
Musitelli, Giulio Vito 23
Mussi, Giuseppe 38
Mussolini, Benito 23, 38-42, 43, 45, 48, 53, 72, 85
Muti, Riccardo 29
Muzio, Giovanni 43, 45
N
Necchi, Peppino 32
Neera v. Radius Zuccari, Anna
Negri, Antonio 111-113
Negri, Giovanna 69
Negri, Massimo 132
Nobile, Umberto 85
Noseda, Giuseppe 21
Noseda, Natale 21
202
Indice dei nomi
O
Oliva, Manfredi 125
Olivetti, Adriano 172, 176
Olivetti, Camillo 40
Oppi, Ubaldo 45
Orlando, Giuseppe 29
Osnago Gadda, Giovanni Antonio 35
Osnago, Enrico 157
Ottieri, Ottiero 55
P
Pagani, Emilio 181
Pagani, Severino 23, 28, 53, 55, 62, 66, 80, 103, 112
Palanti, Giuseppe 72, 131, 132, 137, 192
Pallottino, Paola 79
Paravia (editore) 52
Parenti, Franco 87
Parenti, Marino 56
Parini, Giuseppe 22, 67
Parri, Ferruccio 40
Pasolini, Pier Paolo 55
Pattou, Jean 128, 136
Pecorini, Loredana 30
Pedullà, Gianfranco 77
Pellegrini, Giovan Battista 58
Pellini, Eros 23
Pellini, Giovanni 155
Pellis, Ugo 51
Perego (famiglia) 159
Perego di Cremnago, Luigi 23
Perlasca, Carlo 125
Pertini, Sandro 40
Pessina, Giuseppe 80, 122, 124
Pirelli, Alberto 40
Pirola, Aldo 14
Pirovano, Luigi 21
Pisani Dossi, Carlo v. Dossi, Carlo
Pisani, Vittore 55-57
Pitrè, Giuseppe 52, 61
Podenzani, Nino 112
Polezzo Susto, Giovanna 58
Polita, Maria 49
Pollini, Leo 77
Ponchielli, Amilcare 110
Ponti, Ettore 38
Ponti, Gio 43, 123, 125
Porta, Carlo 16, 20, 22, 36, 50, 54, 60, 62, 67, 80,
101, 108, 110-113, 133, 138, 163, 193
Portaluppi, Piero 23, 29, 42, 43, 45
Praga, Marco 102
Prampolini, Enrico 45, 97
Presa, Giovanni 58
Prete, Aurelio G. 138
Pria, Achille 23, 103, 109, 166
Pria, Enza 109, 166
Prina, Giuseppe 183
Prisco, Giuseppe 155, 156
Probst, Georg Balthasar 183
Puccini, Giacomo 110
Q
Quinterio, Gustavo 21
R
Radice Fossati, Carlo 23
Radius Zuccari, Anna (Neera) 80
Raffaelli, Sergio 52, 62
Rajberti, Giovanni 36, 58, 59
Ranzoni, Daniele 137
Raponi, Nicola 154
Rasini, Alessandro 33
Ratti, Achille (Pio XI) 40
Ravizza, Filippo 28, 29, 64, 66
Rebora, Sergio 132
Renzi, Pina 163
Ricci, Diego 31
Righetti, Carlo (Cletto Arrighi) 68, 101-103, 140
Rigoldi, Gino 29
Ripamonti, Giuseppe 67
Rizzoli, Angelo 48
Rocca, Gino 68
Ronzani, Enrico 123
Rosmini, Antonio 154
Rossari, Augusto 125
Rosselli, Carlo 40
Rossi, Baldo 140
Rossi, Carletto 156
Rossi, Dino 83, 135, 188
Rossi, Nino 106
Rossi, Sandro 103
Rumi, Giorgio 77, 117, 153
Rusconi, Francesca Paola 120
S
Salvioni, Carlo 49, 56
Sanga, Glauco 58
Indice dei nomi
Sanvito (editore) 69
Sarfatti, Margherita 45
Sartoretti, Cesare 70
Sartori, Roberto 21
Sbodio, Gaetano 23, 55, 68, 103
Scanziani, Enrico 21
Scanziani, Paolo 21
Schiavi, Alberto 147
Schizzi (editore) 69
Schlesinger, Piero 29
Schuster, Alfredo Ildefonso 40
Scognamiglio, Mario 30
Scotti, Gianfranco 30
Selvafolta, Ornella 34, 117, 125
Sergio, Giuseppe 49
Sermisoni, Silvana 125
Sesone, Antonio 28, 156
Sessa, Adalberto 69
Sessa, Giannino 27, 36, 69, 112, 113
Severini, Gino 45
Simonetti (editore) 69
Simoni, Renato 74, 104, 105, 109
Simontacchi, Umberto 24
Sironi, Evelina 163, 164
Sironi, Mario 138
Sirtori Bolis, Maria 87
Sommariva, Felice 21
Soncini, Antonio 32
Sonzogno (editore ) 69
Sorrento, Luigi 49-52, 54, 61
Spiess, Federico 58
Spinazzola, Vittorio 78
Starace, Achille 39
Stefanelli, Giuseppe 32
Steiner, Carlo 61
Stella, Angelo 30, 58, 59
Strada, Marco 79
Strazza, Antonio 112, 113
Strehler, Giorgio 103
T
Tafuri, Clemente 132, 135, 137, 138, 192
Terracini, Benvenuto 57
Terracini, Umberto 40
Tessa, Delio 50, 59, 62, 108, 109, 111, 112
Testoni, Alfredo 50, 62
Timoncini, Luigi 158
Tognoli, Carlo 28
Tomasin, Lorenzo 59
Tommei, Fausto 163
203
Torelli Viollier, Eugenio 38
Torretta, Ella 164
Toscanini, Walter 79
Tosi, Eugenio 40
Totò v. De Curtis, Antonio
Trenta, Ennio 31
Treves (editore) 69
Trevisini (editore) 52
Trifone, Pietro 59
Turati, Emilio 79
Turati, Filippo 40
Turi, Gabriele 77
Turola Peirone, Angela 93
U
Umberto I di Savoia 38, 74
Umberto II di Savoia 85
V
Valdameri, Maurizio 81
Valdi, Walter 163
Vallardi (editore) 162
Varazzani, Savino 61
Varvaro, Alberto 58
Venino, Carlo 159
Venino, Pier Gaetano 27, 28, 64, 82, 92, 125, 159
Vercelloni, Virgilio 77, 117
Vergani, Orio 120, 121
Verratti, Silvio 31
Viani, Giovanni 125
Viennepierre (editore) 145, 147
Viganò, Luigi 64, 74
Viganò, Vico 72, 73
Vigini, Giuliano 77
Villa, Dino 23, 103
Visconti, Alessandro (Alex) 21, 22, 28, 52, 53,
123, 129
Visconti di Modrone, Marcello 121
Vismara, Carlo 29
Vitale, Maurizio 49, 58
Viviani, Raoul 136, 191
W
Wildt, Adolfo 140
Z
Zezzos, Rossano 87
Zorzut, Dolfo 50
Alessandro Gerli, imprenditore milanese, entra nella Famiglia
Meneghina nel lontano 1955 per praticare la scherma e da allora ha intrecciato ininterrottamente la propria vita, sino ad oggi,
con quella del Sodalizio. Vi ha compiuto uno straordinario cursus
honorum, occupandosi di tutte le attività del Circolo e promuovendone tutte le principali iniziative da oltre cinquant’anni. Nel
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con il CUS Milano.
Pratica la scherma con il Maestro Dario Mangiarotti per circa
trent’anni. Nell’85 porta a compimento la fusione della Sala d’Armi della Meneghina con quella della CARIPLO. Organizza molte
edizioni del Palio Schermistico di Sant’Ambrogio.
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collaborare alla “Rassegna” diretta da Silvio Farioli, con scritti decisamente polemici.
Nel 1975 è segretario di Consiglio con la presidenza di Adrio Casati, sarà poi vice Resgiò dal 1980 al 1988 quando sarà nominato
Resgiò sobbarcandosi alcuni gravosi impegni dovendo lasciare la
sede storica di via Meravigli per trasferirsi, per cinque anni, in via
Mozart e poi, nel 1994, unirsi al Circolo Industriali Bridge.
Realizza nel 1984 con Raffaele Bagnoli l’Album di famiglia per
narrare, per la prima volta in modo organico, la storia del Sodalizio. Firma le prefazioni di dodici strenne dal 1989 al 2002; nel
1989 fonda El nost Milan.
Nel 1994 costituisce l’Associazione Culturale Famiglia Meneghina, della quale diviene presidente, collocandone la Biblioteca, prima presso la Società Umanitaria, poi, dal 1998, a Palazzo Spinola,
grazie alla generosa accoglienza della Società del Giardino, allora, come ora, presieduta dall’avv. Gaetano Galeone.
Nel 2011, essendo vice presidente della Società del Giardino lascia la presidenza dell’Associazione al prof. Edoardo Teodoro
Brioschi, rimanendone tuttavia vice.
Durante il decennio dal 2004 ad oggi partecipa attivamente alla
realizzazione dei due cataloghi, curati da Marina Bonomelli,
Milano e la sua memoria. Valorizzazione di un patrimonio biblioJUDͤFR e Milano e la sua memoria. Il teatro dialettale e le nuove
DFTXLVL]LRQLELEOLRJUDͤFKH.
intesa sanpaolo
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