Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 - 00187 ROMA
ANNO XXVII - N. 1 Gennaio 1979
Spedizione In abbonamento postale - Gruppo 111170
-
ORGANO
MENSILE
DELL' AICCE,
ASSOCIAZIONE
da.1 quartiere alla regione
per una Comunità europea federale
.
UNITARIA
DI
COMUNI,
PROVINCE,
REGIONI
Come non ci si
prepara alle
elezioni europee
Temiamo che i partiti italiani non abbiano ancora idee molto chiare sull'impostazione di una campagna elettorale europea.
Anche sulle reazioni dell'elettorato notiamo
che essi nutrono preoccupazioni e incertezze dovute a un atteggiamento tutto sommato passivo e alla cattiva coscienza di non
saper presentare obiettivi politici razionali,
chiari, irrefutabili.
E' certo che l'uomo comune italiano,
I'impolitico uomo della strada, è forse men o disponibile all'unità europea oggi che
trent'anni fa. Trent'anni fa capiva molto
bene, anche se genericamente, cosa volesse
dire creare gli Stati Uniti d'Europa. Anni
ed anni di opposizione' preconcetta all'Europa unita o di freddezza verso di essa di
monetari e di finanza pubblica. di
Dieter Biehl.
una parte delle forze politiche italiane; di
europeismo
scioccamente
trionfalistico,
strumentale e gestito solo domenicalmente
di altre forze politiche italiane; d i crescita
distorta o di esiti abortivi della Comunità
europea hanno fortemente demoralizzato e
preoccupano la gente. Oggi i milioni d i
emarginati della società italiana - ed essi si
trovano al sud ma anche al nord, sono
contadini, operai, sottoproletari, piccoli
borghesi, ma anche giovani del ceto medio
che si trovano spinti ai margini dell'Italia
dei lavoratori con duplice e triplice impiego, dello sfascio amministrativo, delle industrie parassitarie, dell'evasione fiscale, del
corporativisn~o dilagante - temono che
l'Europa unita sia per essere la proiezione
macroscopica di questa situazione nella
quale *chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha
avuton. Anzi non « t e m o n o » , ma hanno una
autentica nausea nei riguardi di una eventualità del genere.
E' quindi molto grave l'errore d i coloro
che vogliono impostare una campagna euro-
COMUNI D'EUROPA
pea timida ed economicista. N o n che non si
debba parlare di questioni economiche, ma
esse vanno collocate in un chiaro discorso
sulle istituzioni europee, sul loro valore e
sul rinnovamento della vita politica. La ricerca del «sacro. (parliamo dell'aspetto
quasi superstizioso di questa ricerca, non
della genuina propensione alla religiosità) e
il rifugio nel «privato. sono notoriamente
sintomi di una democrazia che sta andando
in cancrena, lo vogliano o no vedere i partiti nazionali: l'Europa deve essere il campo
in cui si ripropone con assoluto coraggio il
ritorno alla politica delle giovani generazioni e la piena affermazione della loro volontà
di cambiare il inondo.
Occorre soprattutto chiarire che le elezioni europee sono un momento fondamentale della lotta contro I'emarginazione politica di tutti i non conformisti e di coloro
che non fanno parte delle consorterie assai
chiuse, che gestiscono abitualmente il potere. In questo quadro va sottolineato - senza
tante funiosità teoriche - perché il confederalistno i. ingiusto prima ancora che irrealisrico, ci02 perché I'Europa intergovernativa
può solo proceciere male (cioè con vantaggio dei forti, dei ricchi e dei seduti). In
essa, molto antidetnocraticamente, prevale
un p001 di esigue tninoranze. Giscard era
partito rilanciando l'idea delle elezioni europee e poi negoziando la moneta europea,
ed è finito in un contorsionisino confederalista perché una parte dei gollisti, sui quali
si regge la sua maggioranza, lo ricattano.
Schmidt si era reso conto che una unione
economica e monetaria doveva implicare un
coraggioso disegno di simultanea avanzata
verso la moneta reale europea, verso la convergenza delle economie dei paesi membri e
verso una sostanziosa perequazione economico-finanziaria fra ricchi e poveri (tutti
legati al destino <<comunitario,,dello sviluppo di un gruppo di paesi dalle innumerevoli
interdipendenze) ed è finito prima per ridurre, premuto da interessi assai limitati e
sino quasi a capovolgere il suo disegno originario, un progetto di chiara tendenza sovranazionale in un modesto progetto strumentale al commercio tedesco, per poi cadere nei riguardi dello stesso partner francese sotto il ricatto interno di un ministro
legato agli interessi degli agricoltori bavaresi, ministro che in barba a tutta l'Europa
può decidere quasi da solo di buttare a
mare la maggioranza del cancelliere tedesco.
Lo stesso allargamento della Comunità
diviene in questa prospettiva un elemento
fondamentale di un modello politico e ideale, con cui dobbiamo portare all'Europa
persone sottovalutate dai partiti tradizionali
(dal ceto medio povero, senza difesa sindacale, agli ecologi e a tutti i cittadini che,
superato il momento corporativo della giornata, riescono a interrogarsi sul proprio destino di pendolari, di nomadi, di frustrati,
di esposti alle radiazioni nucleari, al surriscaldamento dell'atmosfera, alla rovina cliFoto in prima pagina: (sopra) I1 palazzo dei congressi a L'Aia dove, dal 9 al 12 maggio si terranno i XIII
Stati generali; (sotto) la bandiera d'Europa al Comune di Verbania: il corteo con il sindaco Francesco
Imperiale e i rappresentanti dei Comuni gemellati.
matica dovuta al taglio a ritmo vertiginoso
delle foreste, tropicali O no). Il C C E ha già
chiarito a Magonza il legame tra unione
economica e monetaria, rilancio del problema istituzionale e allargamento della Comunità, in una sintesi in cui l'Europa unita
deve darci la garanzia (sta a noi guadagnarcela e le elezioni europee devono apparire come sono - uno strumento a d hoc) di
saper affrontare
il doppio problema
dell'equilibrio del terrore gestito dalle superpotenze (l'Europa uiiita deve saper lottare per la ciistensione c per il rilancio delle
Nazioni Unite) e dello scambio ineguale tra
nord e sud del pianeta, fra industrializzati e
quarto mondo. Q u i va aggiunto che non c'è
soluzione del problema nord-sud, non c'è
possibilità di realizzare una politica europea
contro la disoccupazione, non c'è possibilità di gestire una moneta europea e un programma economico europeo, non c'è possibilità di contribuire alla distensione, se
l'Europa non si saprà dare rapidamente un
suo governo, trasformando la Commissione
di Bruxelles in un esecutivo efficace e responsabile al Parlamento europeo eletto e
anche - perché n o ? - al Consiglio dei ministri della Comunità, considerato come un
senato comunitario degli stati. Altro che
confederalismo alla Giscard!
Si teme molto, durante i prodromi di
questa campagna europea, di toccare il tema
dei poteri del Parlamento europeo. Errore,
errore gravissimo. I1 Parlamento europeo da
una parte dovrà diventare, per ripetere
l'espressione di Brandt, una costituente permanente, sfruttando tutte le pieghe dei
Trattati di Roma e di Parigi e tutte le
occasioni che si presentino; ma dall'altra
esso dovrà anche pretendere di essere l'autentico Saggio dell'Europa, chiedendo ai tre
ometti (i Saggi designati dal vertice di Bruxelles) di rimettere le loro cogitazioni alla
riflessione definitiva e palese della rappresentanza eletta di tutte le forze politiche
europee. N o n è il caso che i tre ometti
consegnino le loro proposte a diplomatici di
carriera e a governanti minacciati di ricatto
affinché, nella più oscura clandestinità, ci
preparino il destino prossimo venturo.
N o n spaventiamoci dunque delle minacce
di certe forze politiche nazionali anche democratiche, ma certamente arcaiche, opportuniste e miopi, che tuonano contro le possibili <<prevaricazioni»dei futuri parlamentari europei. E'. scontato che al momento
del salto di qualità non solo e non tanto si
abbia un rigurgito di nazionalismo in sé e
per sé, ma soprattutto di nazionalismo istigato e protetto dagli interessi costituiti, che
temono di essere fatti fuori per il bene
comune di tutti gli europei. Per fare I'Europa bisogna non temere chi la minaccia.
L'Europa unita nascerà anche dal sangue
freddo, oltre che dalla coerenza e dalla fiducia nella ragionetolezza - malgrado il
«terrorismo» nazionalista - degli europei.
Ma abbiamo le carte in regola?
I partiti democratici fanno bene a organizzarsi a livello multinazionale (plurinazio.naie) o , meglio, sovranazionale: quindi è
bene si prepari un Parlamento eletto dalle
nazioni del popolo europeo, che agirà sem-
gennalo 1979
pre di più per gruppi politici e non per
rappresentanze nazionali. Ma stiamo attenti
che i compromessi sovranazionali dei programmi dei partiti non siano accordi al livello più basso, scaturiti dalla somma delle
remore corporative di ciascun paese. Ricordiamoci che all'atto pratico il Parlamento
europeo vedrà un confronto superpartitico
tra i parlamentari federalisti, cioè i veri ed
unici progressisti, e i parlamentari che rappresenteranno le diverse conservazioni nazionali (cioè coloro che vogliono che 1'Europa rimanga debole).
Se queste sono le prospettive politiche,
provvedano i partiti a non presentare come
candidati alle elezioni europee (parliamo di
quelli destinati a riuscire) alcuni tenori, che
faranno rare comparse al Parlamento eletto
per rientrare poi ogni volta precipitosamente a casa a godersi in santa pace I'usufrutto
del potere nazionale, accanto a uiia serie di
rifiuti di magazzino, cioè gli amici e i compagni di cui ci si deve sbarazzare. L'identi:
kit di ciascuno dei parlamentari europei
eletti - dico di quelli dei partiti che si
considerano europeisti - deve essere coerente con I'identikit che noi ci proponiamo di
fare assumere all'Europa. Il loro lavoro europeo, inoltre, deve essere (anche se non
sono rifiuti di magazzino) a pieno tempo: o
non sapranno rinunciare a fare, a mezzo
servizio, i cooperatori domestici?
u.
S.
P.S. L'ipotesi di elezioni anticipate quindi pritna o durante le elezioni europee
di giugno - non è auspicata, a parole, da
nessuno, ma non è detto che non sia sottobanco vagheggiata da nessuno: ebbene, essa
è, diciamolo francamente, una minaccia tout
court alla democrazia. Esse farebbero guardare con minore intensità al fatto erivoluz i o n a r i o ~ delle elezioni dirette del Parlamento europeo o lo farebbero guardare con
un occhio distorto da preoccupazioni aminori», quelle italiane che si fermano ai confini d'Italia. La democrazia italiana è strettamente collegata alla democrazia europea:
multinazionali, fonti energetiche, occupazione, mezzogiorno sono tutti problemi che
non ha senso risolvere senza un confronto,
anche durissimo, con gli altri consociati
della Comunità. Ciò non diciamo, sia ben
chiaro, perché trionfino a più alto livello gli
interessi italiani particolaristici, ma per far
trionfare le nostre tesi europee più avanzate
(federaliste, dunque giuste) contro le tesi
confederaliste, delle <<due velocità., della
Guadalupa che detta legge alla C E E , tutte
chiaramente prevaricatorie e inaccettabili. Si
rendono conto le forze democratiche italiane - nessuna esclusa - della gravissima responsabilità di cui, nel caso di elezioni anticipate, potrebbero caricarsi?
Se non siamo capaci di portare avanti una
proposta direttamente sovranazionale, democratica, audace all'interno della Comunità, non saremo neanche capaci di superare
la crisi di credibilità, che purtroppo ha colpito (solo ipocrisia ed omertà possono dissimulare questa realtà) le istituzioni democratiche italiane, il nostro stato, la nostra
repubblica nazionale.
gennaio 1979
COMUNI D'EUROPA
3
Ancora sull'Europa dell'educazione
d i Mario Bastianetto
presidente
dell'Associazione europea degli insegnanti
Sezione italiana - AEDE
Quasi cinque anni orsono, su queste colonne ( l ) , si dava notizia della costituzione
di un Comitato comunitario dell'educazion e , assai diverso dal Comitato europeo nel
settore educativo che la Commissione aveva
proposto ai ministri.
Negli intendimenti della Commissione,
. infatti, il Comitato avrebbe dovuto svolgere
tre compiti fondamentali:
1 . «raccogliere dati e discutere questioni
concernenti l'educazione che interessano la
Comunità europea» ;
2 . «consigliare la Commissione sull'elaborazione e attuazione del programma
d'azione nel settore educativo.;
3 . elaborare
e relazioni d a trasmettere alla commissione^.
Certamente la Commissione n o n aveva
seguito il suggerimento venutole dal ~ R a p porto Jannen, circa la creazione di un « C o mitato. strutturato secondo il «modello offerto dal "Comitato economico e sociale"»,
ma nondimeno i componenti dell'organismo
concepito dalla Commissione sarebbero stati nominati dal Consiglio Su Proposta degli
Stati membri, con un mandato triennale,
rinnovabile, che li avrebbe posti al riparo
dai capricci e dalle resistenze delle amministrazioni scolastiche nazionali.
Invece i1 Comitato costituito dai ministri
giugno 1974' e ancora in
è
formato da funzionari delle amministrazioni
indubbiamente rispet-
tabili
punto di vista
persone' ma
con mani e piedi legati alla logica delle
direttive statal-nazionali, i quali si riuniscola presidenza
no in sede di
del paese cui tocca, per turno, presiedere il
Consiglio stesso.
E la notizia, allora, veniva così commentata: «I1 conservatorismo educativo statalnazionale non può essere scalfito da gruppi
di studio costituiti da funzionari che devono rendere conto del loro operato agli apparati statali,,.
D o p o di allora il Consiglio dei ministri
comunitari dell'istruzione, nella riunione
del 9 febbraio 1976, accolse, finalmente,
alcune delle proposte di vecchia data concernenti:
1 . l'istruzione dei figli dei lavoratori mig-anti e la formazione generale e professionale di detti lavoratori;
2 . la riduzione delle divergenze tra i sistemi scolastici nazionali e l'introduzione di
«una dimensione europea all'esperienza degli insegnanti e degli alunni delle scuole
elementari e secondarie della Comunità»;
3 . la creazione di u n sistema di raccolta e
di diffusione dei dati educativi;
4. la cooperazione tra istituti universitari;
(1) Cfr. L'Europa dell'educazione, in .Comuni d'Europa.,
n . 7-8 del 1974.
5. l'estensione e il miglioramento dell'insegnamento delle lingue;
6 . la messa in opera di strumenti per
assicurare a tutti l'uguaglianza delle opportipo di
tunità e i1 p;eno accesso a
insegnamento.
Questo «programma d'azione» per certi
risolse in affermazioni di principio, per altri rimandò a ulteriori approfondimenti tecnici, per altri ancora si limitò a
iniziative circoscritte, assunte dalla Commissione.
D o p o appena tre anni sarebbe forse prematuro tentare un consuntivo, ma abbiamo
la possibilità di vederci chiaro a proposito
della <<dimensione europea,, del secondo
punto.
Bisogna premettere che tale «dimensione»
dovrebbe risolversi in tre aspetti:
a ) l'apprendimento generalizzato di almeno una seconda lingua comunitaria diVersa da quella materna;
6 ) l'insegnamento della stessa Comunità
europea;
C) il conferimento di un <taglio europeox
a tutte le discipline.
Ma quest'uovo di Colombo, così semplice da enunciare, diventa poi complicato, e
soprattutto per l'ultimo aspetto, quando si
passa non tanto all'attuazione, quanto, prima ancora, a un7elaborazione scientificamente ~ l a u s i b i l e ,che n o n si risolva in una
successione rapsodica di spunti empirici di
tipo emotivo-nazionalistico, sia pure in senso europeo*
Prendiamo, ad esempio, il caso della storia: la lodevolissima procedura della revisio-
SOMMARIO
Pag.
come
non
ci si prepara
zioni europee, di U. S..
ele. .
1
Ancora sull'Europa dell'educazione, di Mario Bastianetto . . .
3
Le autonomie locali e la programmazione europea, di Enrico
Gualandi. . . . . . . . . .
5
.
C o m e divenni federalista, di U m berto Serafini. . . . . . . .
6
Perché non possiamo non dirci federalisti, di VitoDialla. , , , 12
Cronaca delle istituzioni europee:
i chiaro-scuri del 1978, di Pier
Vi~gilioDastoli . . . . . . . 13
Riflessioni su .La Germania e
l'Unità europea,,, di Marce110
Petriconi . . . . . . . . . . 15
La mobilitazione del C C E per le
elezioni del Parlamento europ e o . . . . . . . . . . . . 16
ne dei manuali, per espurgarli dei vecchi
rancori e risentimenti, per far capire anche
le ragioni degli altri e per rimuovere la
tendenza a fare a ogni costo il «tifo» per il
proprio Paese,
a quella adottata
dagli autori di libri intenzionalmente
scritti contro la guerra, e quindi ricchi di
denunce rivolte agli aspetti più selvaggi e
crudeli dei conflitti. Ma i lettori, poi, apprendono che senza quegli aspetti denunciati, la guerra, di per sé, potrebbe anche
essere accettabile, e non si rendono conto
che essa stessa è un fatto selvaggio e
crudele.
Dal lato opposto - si fa per dire - va
collocato un certo federalismo bigotto, alla
luce del quale tutta la storia andrebbe ripensata esclusivamente in funzione dei progetti e delle realizzazioni di tipo federale,
arrivando magari a sostenere che mentre al
di là dell'Atlantico si andava collaudando la
Costituzione-capolavoro, in Europa si perdeva il tempo con la Rivoluzione francese.
E non troverebbero un'udienza molto favorevole, persino in campo europeistico,
coloro che volessero suggerire di rompere
l'incantesimo statolatrico, per presentare la
storia, appunto, come storia dei rapporti
sociali, delle istituzioni, dell'economia, della religione, della tecnica, e via discorrendo,
pur senza nascondere nell'armadio le relazioni inter-statali, ma anzi mettendo in
chiaro la loro natura.
D i queste e di altre difficoltà pare si sia
resa conto la Commissione quando, pochi
mesi fa, elaborò per il Consiglio un nuovo
progetto.
Tenuto conto del «programma d'azione,,
concordato dai ministri nel 1976, tenuto
conto dell'interesse per i problemi educativi
manifestato dal Parlamento europeo (21, la
Commissione incentrò la sua proposta - e
limitatamente alle scuole secondarie - sul
punto 6 ) della dimensione europea, vale a
dire sull'insegnamento della Comunità europea. A prima vista parve un atto di rassegnazione, un invito a insegnare, almeno, la
(2) 11 Parlamento europeo fu l'unica istituzione comunitaria
a suggerire al Signor Tindemans di preoccuparsi - nel suo
<<Rapporto..- anche della scuola, cosa che egli fece in modo
frettoloso e banale.
COMUNI D'EUROPA
Comunità; in realtà si volle introdurre un
fattore dirompente che assicurasse, quasi
con prevedibile automaticità, anche il buon
esito dei punti a) e C).
Alla Commissione risultava che parlare
dell'Europa d i tanto in tanto, o anche inserire nei programmi il tema «Comunità europea., senza poi qualificare per tale scopo
gli insegnanti, senza favorire i loro confronti nell'area comunitaria, senza fornire idoneo materiale didattico, voleva dire impedire agli alunni delle scuole secondarie di
poter .disporre d i un programma coerente
durante ogni singolo anno scolastico».
Pertanto la Commissione propose l'insegnamento della Comunità come una nuova
materia, ma aggiungendo la raccomandazione di .analizzare a fondo i rapporti esistenti
fra questa materia d i studio e gli altri elementi della "dimensione europea", il contributo di ogni singola materia e l'approccio
interdisciplinarem.
Ciascun paese avrebbe poi dovuto stabilire .come trovare nell'ambito del programma-orario il tempo da dedicare a questo
studio,,, per adeguarlo *alle esigenze dei
singoli paesi, anzi delle singole scuole e del
corpo insegnante,, .
In concreto tale studio fu visto nei seguenti aspetti:
«a) L a Comunità in prospettiva europea:
il contesto storico e politico che ha favorito
la creazione della Comunità; gli obiettivi
dei suoi fondatori; suo ruolo rispetto ad
altri livelli di governo (locale, regionale e
nazionale); la Comunità come contesto istituzionale atto a promuovere politiche e
azioni comuni, pur rispettando le differenze
umane, culturali e nazionali; suoi rapporti
con altri paesi e regioni dell'Europa.
b) L'attività della Comunità: suoi poteri
e meccanismi decisionali; sviluppi istituzionali (comprese le elezioni del PE a suffragio
diretto) e loro portata; principali problemi e
realizzazioni; interventi della Comunità e
loro effetti sulla vita dei cittadini; problemi
inerenti al suo futuro sviluppo.
C) L a Comunità in prospettiva mondiale:
rapporti con le superpotenze, con altri paesi
industrializzati e con paesi in via di sviluppo; suo ruolo rispetto alle Nazioni Unite e
altri organismi internazionali; raffronto con
altri gruppi regionali».
Indubbiamente le voci delineate avrebbero potuto essere sviluppate, nelle scuole,
anche in quella chiave trionfalistica che ha
provocato la fine ingloriosa della tradizionale .educazione civica,,. Ma in precedenti
documenti la Commissione aveva già manifestato il convincimento che occorresse favorire, nei giovani, un approccio critico, e
quindi la capacità di giudicare l'operato della Comunità.
Leggendo tra le righe, del resto, non è
poi molto difficile scorgervi alcune significative indicazioni.
E ancora: ~ P u riconoscendo
r
che i poteri
e le competenze di tali autorità variano
molto da uno Stato all'altro, la Commissione propone agli Stati membri di accettare il
principio secondo cui lo studio della COmunità deve essere considerato un elemento
essenziale della "dimensione europea" nella
scuola secondaria, e d i impegnarsi a intraprendere le azioni necessarie affinché tutti
gli alunni di questa fascia possano effettivamente studiare tale materia e ampliare le
loro conoscenze sulla Comunità nel corso
di tutta la loro carriera scolastica».
Pur riconoscendo le iniziative di «singole
autorità, organismi privati e insegnanti,,, a
giudizio della Commissione è finora mancata - perché è mancato il coinvolgimento
delle amministrazioni centrali - .una strategia d'insieme coerente, a livello nazionale O
comunitario,,.
E infine, ecco le proposte strategiche per
i due summenzionati livelli:
N a ) l'incoraggiamento sistematico a inserire lo studio della Comunità nei programmi di tutte le scuole degli Stati membri;
b ) un vasto programma comunitario
avente lo scopo di elaborare e sperimentare
in un certo numero di progetti pilota una
nuova impostazione dello studio della C O munità nelle scuole;
C) la promozione e lo sviluppo in tutti
gli Stati membri di programmi di formazione iniziale e di perfezionamento degli insegnanti allo scopo di ~ r e ~ a r a rall'insegnali
mento della materia comunitaria, nonché il
finanziamento degli istituti di formazione
specializzati in questo settore;
d ) le risorse (materiali e finanziarie) necessarie al personale che insegnerà la materia "Comunità";
gennaio 1979
e ) l'inclusione dello studio della C o m u nità come un elemento della rete d'informazione pedagogica della Comunità,.
N o n è il caso di indugiare con le recriminazioni e con la denuncia della contraddizione in cui vengono a trovarsi paesi che,
pur avendo liberamente scelto di far parte
della Comunità europea, pare non vogliano
mettere i ragazzi delle loro scuole in condizione di capire la portata di questa scelta.
Semmai è più conveniente concludere con
due considerazioni di altro tipo.
I . I ritardi e le difficoltà che inceppano
la politica comunitaria dell'istruzione derivano anche dall'insensibilità per i problemi
educativi della classe politica europea e persino di buona parte di coloro che fanno una
ragione di vita dell'europeismo e del federalismo. Va ricordato a costoro, a questi amici, che il Manifesto di Ventotene, cui fanno
sempre riferimento, contiene anclie una terza parte (estremamente attuale) nella quale è
stata prefigurata la società federale europea.
Si tratta di cinque punti che andrebbero
riletti, il terzo dei quali ' è dedicato ai problemi educativi.
2. L'Italia ha' proprio bisogno d i un benestare del Consiglio per procedere all'attuazione del programma della Commissione? N o n si potrebbe elaborare un piano
fattibile in seno al Comitato italiano, presieduto dal Ministro, di quel Centro di
educazione europea che il documento della
Commissione menziona espressamente?
promossa, sotto gli auspici
del Consiglio dei C o m u n i d'Europa,
dalla Regione Lazio
in collaborazione con la Sezione italiana del CCE
Conferenza:
Le Regioni per la n u o v a Europa. Dalle Regioni periferiche dell'Europa
l'impulso per u n equilibrato processo di sviluppo.
Roma, 29-31 marzo 1979
(Salone della Tecnica)
gennaio 1979
COMUNI D'EUROPA
lo Sme e il piano triennale
Le autonomie locali
e la programmazione europea
d i Enrico Gualandi
membro della segreteria nazionale della Lega
per le autonomie e i Poteri locali,
deputato PCI
L'idea dell'Europa può affermarsi, con il
più vasto consenso popolare, se si intraprende con coraggio ed impegno la trasformazione democratica delle istituzioni comunitarie.
Le elezioni europee rappresentano un
passo avanti s u questa strada; ma la democratizzazione delle istituzioni comunitarie
può e deve essere accelerata con un più
stretto e diretto collegamento delle Regioni
e delle Autonomie locali.
Infatti costruire l'Europa non significa
limitarsi a considerare gli Stati i soli protagonisti dell'attività comunitaria o dar vita
ad istituzioni che verificano a posteriori le
scelte centralistiche degli Stati nazionali.
C i ò non significa che un concreto coordinamento delle politiche economiche e so-,
ciali della nuova Europa non passi necessariamente attraverso la definizione di programmi nazionali, armonizzati in rapporto
ad un quadro di riferimento comunitario. Si
tratta di dar vita ad una programmazione
democratica, frutto di un costante confronto dialettico fra Autonomie locali, Regioni,
Istituzioni nazionali ed Istituzioni europee,
costruendo un coordinamento fra i diversi
livelli di partecipazione democratica.
E' nell'ottica di «una scelta per l'Europa»
che Regioni ed Enti locali vogliono partecipare al <<pianotriennale 1979-81..
Quindi occorre giungere rapidamente,
con il contributo di tutte le forze politiche
e sociali, con il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali, alla definizione del
piano triennale, facendone un fondamentale
punto di riferimento per l'azione di govern o ad ogni livello.
Pur non volendo entrare nel merito delle
autonome valutazioni d i ogni forza politica,
voglio sottolineare alcuni aspetti, che a mio
avviso vanno affrontati, se si vuol rendere
effettiva la scelta dell'Europa.
Se non vi sono dubbi sul fatto che l'andamento della spesa pubblica in Italia - ed
in particolare la spesa di parte corrente rimane un grave fattore di crisi che impone
una politica di rigore, così come sulla esigenza di un contenimento dell'incremento
del costo del lavoro, vanno però meglio
chiarite ed approfondite le azioni programmatiche che si propongono a livello nazionale ed europeo. In m articolare per quanto
si riferisce al riequilibrio territoriale e regionale, al Mezzogiorno ed all'occupazione,
che debbono costituire gli obiettivi fondamentali del piano.
Inoltre si pone I'esigenza di uno stretto
aggancio del piano triennale con l'Europa,
attraverso più precisi ed adeguati riferimenti
alla collocazione europea ed internazionale
dell'Italia, così come si pone la necessità di
una più stretta integrazione tra le politiche
economiche e sociali dei Paesi europei.
D i non poca importanza sono anche i
problemi relativi al futuro del Sistema M o netario Europeo, che richiede il prevalere di
una visione sovranazionale e perciò attenta
ai problemi delle Regioni emarginate e dei
Paesi più deboli, come è il nostro.
C o n la definizione del piano triennale
occorrerà realizzare - fra Stato, Regioni,
Comuni e la stessa Comunità - un collegamento dei flussi finanziari a livello delle
singole azioni programmatiche, separatamente per le diverse competenze e definend o altresì, nei limiti del possibile, gli effetti
reali e territoriali in termini di reddito e di
occupazione.
Va perciò sottolineata l'esigenza:
- di ridurre il disavanzo d i parte corrente e del fabbisogno complessivo del settore
pubblico allargato in rapporto al prodotto
interno;
- di un adeguato sviluppo degli investimenti, particolarmente di quelli localizzati
nel Mezzogiorno e nelle zone sottosviluppate;
C a m p a g n a straordinaria di abbon a m e n t i per le elezioni europee
«Comuni d'Europa» ormai al suo
XXVII anno di vita, è senz'altro
una delle decane tra le riviste federaliste che si stampano in Europa.
Con la sua rilevante penetrazione
capiilare e con i suoi 11. numeri l'anno, «Comuni d'Europa. vuole restare un giornale soprattutto stimolante, di lotta e di ripensamento della problematica federalista. La sua
caratteristica fondamentale consiste
nell'essere il tramite diretto fra tutti
i centri decisionali della battaglia comunitaria ed europeista e le popolazioni di ogni regione, i giovani e
coloro che sono trascurati dall'oligopolio dell'informazione, in piena indipendenza.
Proprio per questa sua funzione,
nonostante gli aumenti vertiginosi
dei costi della carta e tipografici,
«Comuni d'Europa>> continua a
conservare relativamente stabile il
suo prezzo. Naturalmente questa situazione potrà essere mantenuta solo se gli abbonati e gli inserzionisti,
cui va il nostro più vivo ringraziamento, continueranno a sostenerci e
se altri lettori vorranno portare il
loro contributo sottoscrivendo abbonamenti.
5
- di una politica salariale che difenda la
capacità d'acquisto dei lavoratori in un contesto di diminuita inflazione, per un conseguente contenimento del costo del lavoro e
d i una politica del costo del denaro tale d a
consentire un migliore utilizzo del credito;
- di una proiezione - regione per regione - delle azioni programmatiche settoriali,
verificandone obiettivi e fattibilità in riferimento alla re.altà regionale e locale, coordinando fra di loro tutti gli interventi;
- di una riduzione delle distanze dagli
altri Paesi europei, non con la richiesta di
aiuti assistenziali, ma semmai eliminando
l'insopportabile «tassa agricola» che ci ha
fatto pagare alla C . E . E . - in questi due
ultimi anni - oltre 2.000 miliardi di lire.
In questo modo possiamo prepararci ad
essere parte attiva della nuova Europa, apportando un contributo determinante al coordinamento delle politiche economiche e
sociali dei diversi Paesi europei.
N o n è, di per sé, l'adesione all'Europa o
ad un nuovo Sistema Monetario Europeo
che porterà l'Italia alla scelta della programmazione ed a un migliore utilizzo delle
risorse umane, naturali e materiali. E' soprattutto l'esigenza del rinnovamento del
Paese, della riduzione dei tassi inflattivi,
dello sviluppo degli investimenti e del Mezzogiorno, dell'aumento della produttività
generale e del superamento dell'assistenzialismo che ci impone di coordinare il piano
triennale con la scelta dell'Europa e con una
rivalutazione delle funzioni delle Regioni e
delle Autonomie locali.
U n modello europeo deve ancor più fondarsi sulla autonomia ed il coordinamento
dei vari livelli democratici della Comunità.
L'esigenza dell'autonomia vuole che ad
ogni regione ed ente locale siano demandate
competenze in ordine ai problemi che essi
sono in grado di risolvere con maggior efficienza e partecipazione; mentre la crescita
dell'economia europea e delle stesse gravi
contraddizioni che l'accompagnano, richiede una programmazione ed un coordinamento non solo nazionale ma a livello della
Comunità.
Europeismo ed autonomia: questo è il
grande tema che ci sta di fronte e che
dovremo svolgere, fino in fondo, anche con
il piano triennale 1979-81, se vogliamo costruire veramente una nuova Europa.
La difficile conciliazione tra autonomia,
programmazione e coordinamento, tra concezione pluralistica della società e la necessaria solidarietà e cooperazione per la soluzione dei gravi problemi del momento, son o nodi d i fondo per fare assolvere all'Europa una funzione positiva nello sviluppo
del mondo contemporaneo.
Dobbiamo aver coscienza che la continuazione dell'attuale tipo di sviluppo dei
Paesi industrializzati comporta distruzione
di risorse naturali, inquinamenti e modifiche dell'ambiente.
Dobbiamo prendere coscienza che la
stessa autonomia locale finisce per essere
umiliata senza una programmazione ed un
coordinamento che permetta l'utilizzazione
L
I
,
(~.ontinuazionca pag. 11)
gennaio 1979
COMUNI D'EUROPA
6
Come divenni f ederalista
di Umberto Serafini
N e l 1973 il M o v i m e n t o Federalista Europeo - che ha a v u t o alla sua fondazione,
come base teorica, il Manifesto d i Ventotene
d i Ernesto Rossi e Altiero Spinelli - h a
celebrato i trent'anni d i vita. G l i amici federalisti mi chiesero in quell'occasione - com e chiesero a tutti i più vecchi e impegnati
federalisti - una testimonianza su come ero
divenuto federalista europeo. Sul m o m e n t o
m i scusai, m a ero troppo preso dalla routine
politica per trovare il tempo d i cercare fra
carte e polvere e anche negli angoli della
memoria l'origine della mia «malattia». Per
altro a v e v a agito lo stimolo: quindi, a t e m po perso, v a d o ricostruendo un'esperienza,
che sarebbe potuta essere d i altri miei coetan e i e che può servire a mettere in luce u n
aspetto della formazione d i una classe politica - o almeno della mia generazione (io
sono nato a R o m a nel 1916): quella, a mio
avviso, cooptata dai grandi «restaurati», D e
Gasperi N e n n i Togliatti Saragat eccetera, in
base - troppo spesso - allo zelo nel servire e
al conformismo. U n a generazione - sì, ripeto, la mia - che m i ha sempre profoizdamente irritato per tutti quelli che si davano
da fare e che, laici e cattolici, armeggiavano
petulanti per essere ammessi ai littoriali della
cultura, sulle riviste fasciste ( m i lascia ancora senza fiato rileggere le firme su «Primato» d i Bottai), i n tutte le organizzazioni del
regime e in tutte le operazioni in cui le
«promesseu intellettuali venivano utilizzate
per dare una rispettabilità, una apparenza
d i rappresentativita delle n u o v e leve e una
parvenza d i gestione super partes al regime
(all'«epoca meravigliosa»: Galvano della
Volpe) d i Mussolini. Giovani ambiziosi che
hanno poi fiutato quando il fascismo era
votato alla sconfitta e, con prudenza, si sono
sganciati; che m i sono ritrovati - al ritorno
da una lunga prigionia - bene ilzsediati,
cordiali, pensierosi, zelanti nelle anticamere
dei comandi supremi della n u o v a democrazia. M a molti d i essi (che poi hanno addirittura sostenute, n o n d i rado, d i esserci stati
obbligati) a v e v a n o partecipato alle più fasciste delle operazioni fasciste, avevano gareggiato n e i littoriali d i dottrina del fascismo (e
in m o d o tutt'altro che frondista: n o n ce la
contino) e d i politica della razza, avevano
inneggiato a l l u n i t à europea sotto Mussolini
e Hitler, avevano parlato e scritto in favore
dell'Asse e della sua guerra ancora nel 1941'42 (i più "lungimiranti" si erano allontanat i u n po' prima e riterranno «fascisti» quelli
che hanno tardato a sganciarsi qualche ora
d i più).
Ricordo che quando, il giorno della dichiarazione d i guerra, incontrai fuori Porta
del Popolo a R o m a d u e miei ex compagni d i
scuola - Carlo Cassola e Manlio Cancogni e previdi la sicura sconfitta dell'ltalia e della
Germania, anche se n o n subito (Cassola e
Cancogni erano u n po' meravigliati d i questa mia certezza), pensavo che i «fascisti
critici» - i giovanotti saputi e rompiballe
della mia generazione - e in generale il
grosso della classe dirigente italiana (che h o
sempre globalmente detestato) sarebbero div e n u t i tutti democratici, appena si fossero
resi conto da che parte erano la vittoria e il
successo. Naturalmente c'erano (pochi) i giov a n i untifascisti e ci sono stati i convertiti
<<nelprofondo»: m a nel più dei casi costoro
n o n sono stati cooptati nella «classe politica»
(sissignori: nella classe politica) al m o m e n t o
della restaurazione democratica, perché a v e v a n o idee (loro). L'europeismo indolore è
figlio d i questa generazione politica incolore:
m i dispiace che questo mio giudizio calvinista n o n si accordi con la recente storiografia
d i Giorgio A m e n d o l a , portata a u n giustificazionismo che n o n condivido. Forse
l'esperienza d i Amendola è diversa ( A m e n dola è u n po' più vecchio d i m e ) , si è svolta
tra l'esilio e il confino e non ha potuto
prendere atto delle doppiezze, delle viltà,
dell'arrivismo dei giovani fascisti-antifascisti: d i cui il m e n o serio non m i è davvero
sembrato l'aambiguo» Ruggero Zangrandi,
che n o n ha poi esitato a dolersi delle sue
debolezze e delle sue cantonate e che com u n q u e n o n h a m a i fatto male a nessuno,
salvo che a sé stesso (e - stavo per dire con
la mia consueta malvagità - per questo n o n
h a fatto carriera).
M a q u i si stava parlando d i unità europea. Il frammento d i ricordi, che consegno a
« C o m u n i d'Europa», m i riporta al m i o
o
d i Roma, a
liceo-ginnasio < ~ T o r q u a t Tassou
cui debbo molto (io abitavo al quartiere
Flaminio e per arrivare in tempo a scuola alzandomi tardi come tutti gli scolari del
m o n d o - d o v e v o traversare spesso d i corsa
Villa Borghese: cosa che m i a v e v a fatto
diventare quasi u n mezzofondista e che com u n q u e fece d i m e u n calciatore d i gran
fiato, come riconosceva Sturmer, l'allenatore
viennese della «Lazio», squadre minori incluse). Convintomi, al "Tasso", della ragionevolezza della Federazione europea m a
anche, in sé, dell'importanza del federalismo democratico, m i portai questa convinzione alla Scuola Normale d i Pisa. Il primo
anno (1935-'361, per sprovincializzarmi,
scelsi come colloquio interno (se n e doveva
sostenere - con accurata preparazione - u n o
a ogni metà d i anno accademico) "la cultura
inglese nel secolo VII": dovetti fare tutto da
solo, vedendomela coi M o n u m e n t a Germaniae historica, col Venerabile Beda e coi
libri più diversi reperiti qua e là (e coltivand o la sottile pretesa d i una storiografia con
ampio ausilio interdisciplinare e con raccord o tra cultura e vita quotidiana). D a i «bar o n i ~ m i v e n n e aiuto pochissimo o nullo
(ebbi per altro la contentezza d i sollevare
l'entusiasmo d i quell'uomo eternamente curioso che era Giorgio Pasquali). Poi, sulla
scia d i u n corso d i storia del professor Picotti, sull'espansione europea e il colonialismo,
m i misi a studiare per conto m i o il C o m monwealth britannico ( m i fu d i grande aiu-
t o u n pregevole libro d i Scipione G e m m a su
«L'Impero britannico», tutto d i storia istituzionale: credo sia stata la prima volta che
m i sono imbattuto in citazioni ragionate d i
Kelsen): n e rimasi assai deluso. Speravo infatti d i trovare le «leggi n o n scritte» d i una
federazione i n fieri e m i accorsi che n o n si
era realizzata neanche una unione economica. Tornai a puntare tutto sugli Stati
U n i t i d'Europa: m a che fare?
Il credo illuminista determinava notevolmente il mio comportamento: dopo d u e anni
d i «Teoria generale dello spirito come atto
puro. spiegata e commentata da G u i d o C a logero - sulla strada d i diventarlo, m a n o n
ancora abbastanza chiaramente liberalsocialista: m i ricordo che, lasciandomi costernato,
interveniva ai prelittoriali della cultura, insieme all'altro mio maestro, il Chiavacci d i
<.Illusione e realtà», l'amico d i Michelstaedter - m i misi in testa d i approfondire la
ragione teorica dell'errore pratico (il fascismo) d i Giovanni Gentile. C o n la baldanza
della gioventù m e n e v e n n i a R o m a , per
chiedere proprio a Gentile una tesi d i laurea
sul problema dell'esperienza. M i affannava
in quel tempo il problema del rapporto fra
io trascendentale e io empirico, trattato da
Gentile con conseguenze, a parer mio, disastrose anche sul terreno della individuazione
del problema della libertà u m a n a , civile e
politica. Gentile ascoltava, sorrideva, m a
era come u n m u r o d i g o m m a . H o ritrovato
poi, tanti a n n i dopo, pari pari la mia problematica in alcune pagine d i «Praxis ed
empzrismo», il libro (1957) d i u n filosofo,
Giulio Preti, che stimo assai e che la Kultur
italiana dimentica spesso.
M a l'Asse Roma-Berlino si andava form a n d o , la classe dirigente, pusillanime e
cinica, m i nauseava sempre d i più, i miei
coetanei universitari m e li sentivo lontani le
mille miglia, insensibili come mz si presentav a n o (e io ero disperato) al problema della
libertà - libertà per tutti -. Taluni, che sono
diventati leaders dei partiti della sinistra,
irridevano poi al mio interesse per i problem i dell'organizzazione della classe lavoratrice (la mia attenzione per la democrazia
inglese e per quei sindacati era considerata
l'anacronismo d i u n empirista: m i avevano
accusato anche - orribile nel covo gentil-crociano d i Pisa - d i sociologismo). Frattanto la
guerra, purtroppo, si avvicinava e la battaglia culturale, malgrado il taglio stoico che
tentavo d i darle, n o n m i bastava più, pur
senza che riuscissi a trovare l'aggancio
allazione.
L'unità, democratica - cioè fra eguali -,
del17Europa m i si presentò a questo punto
come la via maestra d i u n antifascismo calat o nella realtà, atto a persuadere la gente
anche perché legato a un'idea-forza, a u n
obiettivo positivo, costruttivo. Era come il
rovesciamento, a livello sovranazionale,
del17Asse che ci soffocava, anche se per m e
era molto difficile pensare a qualcosa d i
gennaio 1979
organizzato al d i sopra delle frontiere (avev o visto u n po' d'Africa mediterranea e d i
Marocco francesi e d i Spagna repubblicana,
viaggiando su una nave da carico: tutto
qui). M a , giunti alla guerra - p e r m e folle e
odiata -, diedi un addio alle biblioteche e
rinunciai all'imboscamento propostomi, sulla
base d i una mia precisa convinzione: che in
attesa che le borghesie sconfitte si rendessero
concretamente disponibili (non con le piccole
fronde dei G U F , dei salotti intellettuali, dei
maneggi d i corte, dei giornali e dei filmetti
m e n o conformisti), s i potessero intanto preparare - con u n po' d i coraggio - le micce
dell'esplosione popolare solo in quelle due
grandi concentrazioni u m a n e che sono le
fabbriche e l'esercito. A n d a i nell'esercito,
rzon eludendo la cartolirza precetto.
L'esercito per m e (40" reggimento fanteria) volle dire conoscere i nostri meravigliosi
contadini meridionali, m a anche tanto popolo minuto (carrettieri, venditori ambularzti,
artigiani). Agganciai (ero in Africa settentrionale) anche i primi socialisti in came e
ossa o piuttosto i loro figli: contadini, ancora
contadini, e muratori umbri. E vennero le
prime denunce per disfattismo e il giuoco
infernale col SIM (Servizio informazioni m i litari: il mio colonnello era u n uumanista» citava Benedetto Croce - del S I M ) , defiland o m i sempre più in prima linea, dove c'è il
fuoco e si può parlare liberamente e norz
riescono a controllarti. Io e u n mio amico
carissimo delle stesse mie idee (ora non fa il
politico, fa il bancario) rischiavamo la vita
continuamente, anche in pattuglie u n po'
temerarie, per spiegare ai «fascistin che l'antifascismo non voleva dire paura, come insinuava la propaganda, e che il wdisfattismo»
era semplicemente l'uso della libertà d i pensiero e d i parola d i uomini decisi a tutto.
Venne anche 1'Afrika Korps d i R o m m e l e
con esso, a Tobruk, strinsi il primo legame
preciso sovrarzazionale. Esile legame, m a
preziosa conoscenza della reazione d i uomin i d i u n a l t r a nazione agli stessi discorsi, alle
stesse critiche, alle stesse proposte. M i sforz a v o d i ragionare pacatamente: con chi rischia tutti i m i n u t i la vita è piu facile irridere alla c t e o r i a ~ della razza e allalbagia
degli ariani. Diversi tedeschi si mostravano
titubanti, poi si sfogavano: qualcuno era
decisamente antinazista. D e i colleghi italiani
(ufficiali subalterni come m e : uno, napoletano, era stato compagno d i liceo d i una figlia
d i Croce) cominciavano a chiamarmi scherzosamente "Stati Uniti" (d'Europa, ovviamente).
Facevo una grande esperienza e mi caricavo sempre piu. M i sentivo ormai pronto
a rientrare irz Italia e a tentare d i tessere
una tela fra comandi, truppe d'occupazione
e cittadini dei territori occupati, Italia, Germania, Francia.. . M a R o m m e l e Gambara
retrocessero sino ai bordi della Sirtica e io
fui mandato ad assistere a i m o t i «risorgimentali» indiani del 1942 (prisoner o f war
39817).
Tornai dunque a i libri e alla meditazion e , mi dedicai a i più estenuanti dialoghi,
forse - in u n ambiente particolarmente ristretto - capii meglio il d r a m m a d i chi vuole
persuadere con la ragione i fascisti (e persua-
COMUNI D'EUROPA
dere significa, ahimè, arzalizzare pacatamente tutti i giudizi e i pregiudizi dell'irzterlocutore, cercar d i pensare con la sua testa).
Soprattutto m i sforzai d i progredire nella
problematica federalista: serbo una parte d i
u n o zibaldone, che ne ricavai, qualche lettera scritta a casa, qualche ritaglio d i giornale
e taluni libri.
Certo mi giovarorzo il contatto ideale coi
federalisti anglosassoni, talvolta i loro libri o
citazioni da essi, e comunque la lettura quotidiana d i u n giornale, che per m e rimane
l'indice del livello altissimo della civiltà liberale britannica, lo «Statesman» d i Bombay
in tempo d i guerra. Apprendevo l'esistenza
del lord Lothian d i «Pacifism is not Enough
(nor Patriotism either) - il pacifismo non è
sufficiente, m a il patriottismo neanche -P,
che è del 1935 e che Beveridge, se ben
7
n e - divide et impera - del «rispetto per le
minoranze. (sono note in merito le ironie
del laburista indipendente Brailsford irz
~ S u b j e c tIndia.). Ripresi la questione della
mancata evoluzione federale del C o m m o n wealth britarznico - approfondendone i risvolti economici - e seguii quella che per
Lione1 Curtis ( ~ C i v i t a sDei,), London, MacMillan, 1934) doveva essere l'evoluzione
dello stesso concetto d i Cominonwealth (cioè
d i r e s p u ~ l i c a ) : sarà u n tempo -in cui la
repubblica non sarà più limitata dallo stato
nazionale, quando le nazioni, consapevoli
delle loro storie e conformazioni distintive,
avranno appreso a fungere come organi d i
una repubblica internazionale». N e scrissi a
casa nell'ottobre '44, citarzdo la recensione
(.Il regno d i Dio come il regno della libertà») che n e aveva fatto Benedetto Croce
Aldo Ferrari (il secondo, seduto, da destra); al centro, in piedi, Eliseo Grossi, il preside di Ruggero
Zangrandi e Vittorio Mussolini, di Andreotti, Alicata e Perna, dei fratelli Bachelet, di Paolo Alatri, Carlo
Cassola, Manlio Cancogni, Riccardo Musatti e Bruno Zevi, dei fratelli Puccini, eccetera.
ricordo, ristampò nel '41, e quelle d i Clarence Streit d i « Union now,,, d i Mackay, d i
Zilliacus, d i Laski e del filosofo Joad. M ' i m battei nei problemi spinosi e quasi senza
uscita in cui si trova il federalismo, quando
è d i fronte a u n insieme d i comunità religiose ed economiche fortemente differenziate:
ed era il caso dell'lndia, ove le differenze
religiose avevano creato dei violenti contrasti economici e sociali tra indù e musulniani
(banca vietata - per m o t i v i religiosi - a i
musulmani e professioni liberali in prevalenza retaggio d i una «comunità*, l'indu, contro i forti e prevalenti interessi agrari
dellaltra), contrasti quasi insanabili, malgrado l'impegno fino al carcere d i coranisti
liberali come il maulana A z a d . M i gettai
allora nello studio del ..Nuffield Report o n
the constitutional Problem in India* ( O x ford 1942) d i Reginald Coupland (che f u
anche aggregato alla missione Cripps) e delle proposte d i regime *federale. degli inglesi
agli indiani, e scopersi la strumentalizzazio-
nella quinta serie delle Conversazioni critiche (Curtis era stato edito in italiano da
Laterza, Bari 1935). Seguii con ansia e con
sempre crescente amarezza - che servì a
stimolare il mio senso critico - tutta l'evoluzione o , meglio, l'involuzione della Carta
Atlantica e, insomma, m i a v v i d i - per ripetere il titolo d i u n libretto scritto poi da
Beveridge nel 1945 - che non si era disponibili a pagare il «prezzo della pace»: cioè che
ancora una volta l'obiettivo d i stabilire (è il
titolo del capitolo I del testo d i Beveridge)
«il regno della legge invece dell'anarchia fra
le nazioni,, sarebbe stato mancato malgrado
la recente carneficina.
La mia convinzione *kantianax circa la
sovranità e il valore progressista del diritto
(rzaturalmente, dati i molti cialtroni che
avevo visto in cattedra nelle nostre università, non d i rado utilizzatori rozzi e furbastri
d i Kelsen, si trattava anche per m e d i stabilire - o ristabilire - cos'è il diritto: non era
più teoricamente chiaro, per colpa d i molti
COMUNI D'EUROPA
8
«studiosi,, italiani, cosa fosse uno '<stato di
nella determinazione delle guerre, dell'imdiritto») non m i induceva, peraltro, a conperialismo, del colonialismo. Si potrebbe ditentarmi dellastrutta tesi che non ci si a v re anche su quale interpretazione della diaviava alla federazione mondiale sol perché
lettica fra società e Stato si fondasse il persic'era, cattiva, la ragion d i Stato. Certo, la
stere delle cause della Ruerra e la possibilità
cultura politica, per quello scambio d i ind i costruire la pace.
fluenze che ha con la politica in atto (eserciM a non è q u i e ora che m i sento d i
tandone e ricevendone), non giuocava corricostruire organicamente quegli anni indiarettamente la sua parte, perché sia i liberaln i così densi d i riflessioni individuali e anche
democratici che i marxisti andavano attricollettive, poiché largo spazio dovrei dedicabuendo il conflitto mondiale e la difficoltà
re a un gruppo d i stimolanti compagni d i
d i ricostruire la pace alla mancata affermaprigionia e alla nostra interazione - Ludozione della propria scuola politica: trascuravico Quaroni, urbanista, Gianfranco Folevano, quali che fossero i loro buoni argona, filologo romanzo, Vittorio Checcucci,
menti, che le istituzioni - lo Stato «sovrano.
mio vecchio compagno alla Scuola Normale
- hanno una tendenza autonoma alla potend i Pisa, matematico, Rigo Innocenti, «regiza (sia per prevaricare sia - s i dice - per
sta» a tutte le ruote (aveva cominciato da
sussistere). In questo senso io seguivo con
ragazzo col cinema e finì manager a i vertici
attenzione sulla scena internazionale i dispeindustriali), e diversi altri -. M i limiterò a
rati tentativi d i pochi uomini illuminati d i
notare poche cose, la cui sedimentazione
realizzare, sia pure con tutto il dovuto gradoveva farmisi sentire nei trent'anni d i lotta
dualismo, u n primo salto di qualità in senso
federalista d i questo dopoguerra.
sovranazionale e una organizzazione delle
U n libretto a cui dovetti molto, per roveNazioni Unite che non fosse la pura fotosciare certi miei pregiudizi, fu ~ P r o f i t sand
grafia dell'equilibrio d i potenza in atto (cioè
Politics in the post: W a r World - A n Econosenza pagare il suaccennato «prezzo della
mie Survey of Contemporary History* di R .
pace.). Trovo sul mio zibaldone varii apD . Charques e A. H . Ewen (London 1934),
punti in merito e la citazione di cc U.S. W a r
edito da quella Victor Gollancz L t d . cui
Aimsn, il famoso scritto di Walter Lipprisale tanta parte della letteratura politica
m a n n , con la sua proposta d i *regionalizzainglese contemporanea, specie della sinistra
re,> del mondo (Comunità atlantica, Orbita
non conformista. Poi, mentre seguivamo col
russa, Orbita cinese, in prospettiva Orbita
fiato sospeso l'evoluzione o meno, con
indiana, ecc.), che francamente non m i sel'evolversi della guerra, dello stalinismo,
duceva affatto, tendendo piuttosto a cristalvenne la lettura della <.Storia della rivolulizzare - e non ci si riesce m a i - l'equilibrio
zione russa. (1917-1921) di W . H . C h a m che non a costituire una tappa realistica
berlin e vennero le infinite discussioni sul
verso il .governo mondiale.. Ma d i Lippvalore e sui limiti della rivoluzione d o t t o mann m i aveva invece colpito unosservabre e del leninismo, sulla sorte dei soviet, su
zione, d i tutt'altro registro, da lui prodotta
«Stato e rivoluzione», sulla strategia antimin polemica con la fallita esperienza wilsoperialista e sul coloniaiismo (esplicito e no),
niana: ho trovato copiata nello zibaldone
sul significato del <<federalismo»sovietico.
l'affermazione, contro il principio d i self-deNaturalmente noi avevamo u n osservatorio
terriiination difeso da Wilson, che «it rejects
singolare, e le letture d i cui si nutrivano le
the idea1 of state within .which diverse peonostre discussioni erano, per esempio, le inples find justice and liberty under equa1 formatissime corrispondenze sul fronte maolaws and become a Commonwealth - esso
ista in Cina d i Stuart Gelder e di Israel
rifiuta l'ideale d i uno stato entro il quale
Epstein (quando in Asia molti, anche <<indigenti diverse trovano giustizia e libertà sotto
pendentistin, strizzavano l'occhio a Ciang
leggi eguali e divengono una Comunità -r
Kai Scek), l'Autobiografia d i Jawaharlal
(e vedo da m e appuntato che Lippmann era
Nehru, gli scritti dei «giovani» della sinistra
invece in favore del self-governnient).
del' Congress Party indiano, in più d i u n
Mantenendo dunque fermo che lorganizcaso di formazione americana e con influenzazione (e quindi la garanzia) della pace
ze troschiste. Ma due incontri «ideali. m i
risiedesse nel superamento dell'anarchia incolpirono particolarmente: quelli con Chaternazionale - cioè nel superamento degli
kravarti Rajagopalachari e con Manvendra
stati intesi come monadi, che mancano d i
N a t h Roy. Il primo era uno dei pupilli di
finestre -, volli tuttavia approfondire quale
Gandhi (accanto a Prasad e al più giovane
parte spettasse alla logica stessa di questa
dei Patel), m a a urr certo punto ebbe il
anarchia - cioè alla costellazione degli Stati
coraggio d i dichiarare in tutta franchezza a i
sovrani - e quale parte al regime e interno», suoi (si rilegga il limpido opuscolo «The
economico-sociale e politico degli stati stessi,
W a y out.) che una ragionevole gerarchia
politica e morale doveva vedere al primo
posto la lotta mondiale contro il fascismo (di
cui gli inglesi erano pur sempre protagonisti)
e poi l'indipendenza indiana; o, meglio, che
ABBONATEVI A
la lotta per l'indipendenza indiana - se non
C O M U N I D'EUROPA
voleva perdere il suo significato, ossia se
voleva rimanere una celebrazione della liil 1979 è il 27' anno
bertà - doveva tener conto anzitutto della
di rigorosa e libera battaglia
logica
e delle esigenze «sovranazionali» delper gli
la guerra antifascista. La collocazione ideoStati Uniti d'Europa
logica d i C . R . (la sigla del popolare leader
l
d i Madras, gandhista m a anche studioso d i
I
1
I
1
gennaio 1979
~ i r c ' ~ u r e 1 i oera
) - si badi - quella liberaldemocratica. L'altro - M . N . Roy - era
stato il capo del dipartimento orientale del
Comintern e aveva fatto il rivoiuzionario
dalla Cina al Messico e alla Germania: abbandonò la disciplina comunista in seguito
al V I congresso della Internazionale, polemizzando contro il «purismo rosso» e chiedendo senza indugi u n fronte democratico
contro il fascismo. D i qui cominciò un suo
lungo viaggio revisionist sta^, che lo porterà
a rivalutare le istituzioni, a scoprire i valori
del radicalismo, a collegare l'approccio «internazionalista» con la lotta per la partecipazione e per I'autogoverno della piccola
comunità locale, a <(utilizzare»in modo del
tutto nuovo il materialismo storico.
A u n arevisionismon ne corrispondeva per
m e un altro: la critica d i quella che qualche
anno dopo sarà continuamente rievocata,
con petulanza, come .civiltà occidentale., e
d i certe sue pericolose inclinazioni. Fu il
momento dellanalisi polemica del principio
e della prassi del corporativismo (e poiché
tra i federalisti c'è Proudhon. non sarà mai
d i troppo chiarire sino in fondo i pericoli e il
non-senso democratico del corporativismo).
Lessi, rilessi, postillai .<Under the A x e of
Fascismn d i Gaetano Salvemini (anche questa una edizione Gollancz, del 1936); riportai nel mio zibaldone larga parte d i un
lucidissimo articolo (luglio 1944) di Jules
Romains (<<Avenirdes démocraties..), pubblicato sulla rivista «France-Orientn (che, se
ben ricordo, era dell'area della France libre): spiegava perché ~ d e sassemblées recrutées suivant d'intérets particuliers ou des
catégories d'intérets particuliers ou des compétences spéciales - par exempie les assemblées corporatives ou les Commissions techniques -n abbiano poche «chancesx di rappresentare l'interesse generale e di far prevalere le esigenze della ragione (tanti anni
dopo - nel 1975 - avrei richiamato nella
mia relazione agli Stati generali del C C E a
Vienna il contrasto crudo tra la razionalizzazione settoriale d i certa «civiltà industriale. e la ragione, che deve orientare il primato della politica).
Si approfondivano e si incrociavano le
riflessioni su socialismo, libertà, mercato
economico, federalismo integrale. M i limito
a ricordare una lettura, che m i permise d i
riordinare diverse idee, quella d i «Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870. d i
Luigi Salvatorelli (che circolava nel mio
campo d i prigionia nella terza edizione della
Einaudi, Torino 1942): m i fermai ovviamente con più attenzione su Cattaneo, m a
anche su Giuseppe Ferrari, vecchia conoscenza liceale - che ora m i mostrava alcuni
risvolti kantiani, l'abbozzo d i un federalismo integrale e l'ipotesi di una curiosa sintesi d i comunismo e liberalismo -, e su M o n tanelli - che ipotizzava delle einternazionali» di settore, con qualche analogia con
quello che sarà per u n certo tempo, nel
secolo successivo, un pallino d i Luigi Einaud i -; infine su Pisacane, d i cui notai alcuni
accostamenti a Proudhon. Poi la lettura della vita di M a z z i n i d i Bolton King: m i fece
ripercorrere il mio itinerario (mentale) giovanile dallésilio d i Mazzini alla curiosità
gennaio 1979
XXI
COMUNI D'EUROPA
Lavoro e occupazione nella prospettiva
dell'unione economica e monetaria:
aspetti monetari e di finanza pubblica
Dieter Biehl
della Technische Universitat di Berlino
Relazione tenuta da Dieter Biehl al Convegno «Lavoro e occupazione nella prospettiva dellYUnione economica e
monetaria europea», svoltosi a Roma il 26-27 gennaio 1979, su iniziativa del Movimento Europeo - Consiglio
italiano, che ringraziamo per l'autorizzazione alla pubblicazione (nella foto: la sala del Convegno).
I1 punto d i vista tradizionale dell'integrazione europea si è limitato per lungo tempo
all'elaborazione
dei vantaggi derivanti
dall'integrazione per lo scambio delle merci,
per il movimento dei capitali e per la libertà
di circolazione delle forze lavorative. I
provvedimenti di politica integrativa che ne
scaturiscono sono tuttora di estrema importanza soprattutto sullo sfondo delle tendenze protezionistiche avvertibili sia a livello di
economia mondiale, sia a livello degli Stati
membri della Comunità. Perciò devono essere compiuti, anche nell'avvenire, tutti gli
sforzi per la creazione di un autentico Mercato Comune delle merci e dei fattori produttivi.
Occupandosi di questi problemi tradizionali, spesso, però, si è ignorato che l'integrazione europea contiene in sé anche altri
aspetti più vasti. Questi aspetti risultano
dalla convinzione che - almeno secondo
l'opinione della maggioranza degli europeisti convinti - il Mercato Comune non p u ò
essere inteso come il fine ultimo dell'integrazione europea, ma che esso rappresenta
solamente un grado intermedio sulla via
verso un' Unione politica europea. Sotto
questo angolo visuale, inoltre, sono da considerare tutti gli sforzi che negli ultimi anni
sono stati compiuti, in misura sempre crescente, per allargare il Mercato Comune in
direzione di un'unione economica e monetaria. Ma anche per l'unione economica e
monetaria è valido il concetto che essa stessa deve rappresentare un ulteriore grado
intermedio.
E' importante sottolineare questo punto
di vista; importante e per la valutazione
politica, e per quella economica degli sforzi
di politica integrativa, poiché soprattutto la
valutazione economica d i questi provvedimenti dipende, in modo decisivo, dall'alternativa se il Mercato Comune e l'Unione
economica e monetaria devono essere considerati come fine a se stessi o come strumenti
nella realizzazione dell'obiettivo a lungo
termine dell'unificazione politica europea.
Tale distinzione trova la sua causa nel fatto
che la valutazione economica si basa abitualmente su una ponderazione dei vantaggi
e degli svantaggi, dunque su una analisi
allargata dei costi e dei benefici; si pone,
quindi, subito il problema da quale punto
di vista siano da valutare vantaggi e svantaggi. Considerando, per esempio, l'Unione
economica e monetaria come obiettivo a sé,
si esclude l'aspetto di quanto essa sia nello
stesso tempo un buon strumento per la
realizzazione dell'unificazione europea. Se
si parte, invece, sin dall'inizio, dall'obiettivo allargato, allora anche l'Unione economica e monetaria (UEM) riceve una valutazione supplementare, e cioè positiva, come
adeguato strumento d i integrazione. A ques te condizioni, dunque, l'analisi economica
costi-benefici risulta differente.
C h e il punto di vista tradizionale dell'integrazione europea comporti una valutazione troppo ristretta, trova una ulteriore ragione nel fatto che fino a poco tempo fa si
tralasciava, nell'ambito della discussione
~ u l l ' i n t e ~ r a z i o n europea,
e
un elemento importante, che fa parte della realtà delle
unioni economiche e monetarie nazionali
esistenti, e precisamente il significato
dell'unione finanziaria. C o n questo concetto ci si richiama al ruolo del settore pubblico
e specificamente al ruolo della finanza pub-
XXII
COMUNI D'EUROPA
sione del potenziale economico. U n esempio d i risorsa, nello stesso momento immobile e indivisibile, è costituito dall'ubicazione geografica di una regione: tanto più tale
regione è ubicata perifericamente in relazione ai centri delle attività economiche mondiali, tanto più basso è il reddito pro-capite
raggiungibile in tale zona. La caratteristica
di questi «fattori potenziali» è che essi, nel
caso in cui in una zona manchino o la loro
capacità sia già completamente esaurita,
possono essere sostituiti solamente con costi molto elevati. Questa caratteristica p u ò
essere denominata sostituibilità limitata o
«limitazionalità». La quarta caratteristica è
che spesso queste risorse, rilevanti per lo
sviluppo economico, sono «polivalenti,,;
cioè esse possono essere positivamente impiegate per la produzione di un gran numer o di beni e servizi diversi.
Accanto all'ubicazione d i una regione,
fanno parte dei più importanti fattori potenziali, identificabili c o n quei quattro criteri, anche i seguenti:
- la agglornerazione: cioè la concentrazione territoriale della popolazione e delle
attività economiche;
blica nell'integrazione d i una economia nazionale, ed in concomitanza con ciò anche
nell'integrazione di Stati membri nella C o munità europea.
I1 significato di questo settore per la politica d i integrazione dipende dal fatto che
tutti i sistemi economici nazionali sviluppati
del mondo occidentale non rappresentano
solo delle unioni economiche e monetarie
integrate, ma anche delle unioni finanziarie,
integrate attraverso il sistema della finanza
pubblica. Espresso in modo più generale, si
tratta dunque, nelle unioni finanziarie, d i
stabilire quale sia il ruolo e quindi il contributo della finanza pubblica nel processo
d'integrazione economica e politica.
L'analisi del ruolo svolto dalla finanza
pubblica nell'integrazione europea p u ò essere effettuata avendo come prospettiva diversi obiettivi. In seguito fornirò, innanzitutto,
una visione d'insieme dei vari aspetti
dell'unione economica, monetaria e finanziaria. Successivamente dimostrerò quali caratteristiche comuni e quali differenze esistano tra unioni economiche, monetarie e
finanziarie «nazionali» ed internazionali.
Dall'analisi dei sistemi economici nazionali
trarrò, poi, delle conclusioni valide per I'ulteriore integrazione europea, soffermandomi anche su quale contributo potrà dare
l'unione finanziaria alla soluzione del problema occupazionale nella Comunità.
- la dotazione d i infrastruttura pubblica: dall'infrastruttura per i trasporti
(strade, ferrovie, fiumi navigabili, aeroporti), all'approvvigionamento energetico ed
idrico, all'attrezzatura sanitaria (ospedali) e
alla dotazione d i strutture per la pubblica
istruzione;
I. Caratteristiche c o m u n i e differenze t r a
unioni economiche, monetarie e finanziarie (UEMF) u n a z i o n a l i ~ ed qinternazionali,
.
Frequentemente la discussione sull'Unione economica e monetaria (UEM) è resa più
complessa dal malinteso che si tratti d i una
costruzione artificiosa, un «oeconomuncul u s ~ ,da creare completamente dal nuovo,
senza modello, ignorando che in questo
campo esistono forti analogie con i sistemi
economici, in quanto questi sistemi integrano già delle economie territoriali, regionali
e locali, in un'unione economica e monetaria nazionale. Se si parte dal presupposto
che una U E M internazionale non rapiresenta altro che un caso particolare di U E M
interregionale si possono già risolvere attraverso una analisi dettagliata degli sviluppi
regionali e nazionali le questioni essenziali
vertenti sulle premesse e sulle prospettive d i
una U E M F europea.
Per ogni economia territoriale è valido il
concetto che il suo potenziale d i sviluppo a
lungo termine viene determinato dalla propria dotazione di risorse, dotazione strettamente legata ad una regione o ad un paese.
La relativa immobilità di una risorsa diventa, in tal modo, il primo criterio per l'identificazione d i fattori determinanti per le
possibilità di sviluppo di una zona. Le risorse rilevanti per lo sviluppo economico
devono essere, inoltre, comparativamente
indivisibili, cioè devono abbracciare una serie grande e compatta di capacità economicamente utilizzabili. I n altre parole: quale
secondo criterio per le possibilità d i sviluppo economico si p u ò considerare la dimen-
,
- la struttura economica settoriale: cioè
la relazione tra settore agricolo, settore industriale e settore dei servizi in una economia regionale.
L'asserzione centrale della teoria dei fattori potenziali afferma che il reddito procapite raggiungibile in una regione è tanto
più alto, quanto più vicina è la sua ubicazione ai centri delle attività economiche
mondiali (quanto maggiore è il potenziale
d'ubicazione), quanto maggiore è la sua agglomerazione (il suo potenziale d'agglomerazione), quanto maggiore è la sua dotazione infrastrutturale (il suo potenziale infrastrutturale) e quanto migliore è la sua struttura economica (il suo potenziale d i struttura economica). La dotazione di questi (ed
altri) fattori potenziali determina, dunque,
il reddito potenzialmente raggiungibile in
questa zona. L'ammontare del reddito reale
dipende dal grado d i capacità della regione
d i attrarre fattori di produzione mobili sufficienti - personalità imprenditoriali creative, capitale privato d'investimento, forze d i
lavoro qualificate - e di tenere il loro reddito permanentemente al di sopra dell'equa
retribuzione (profitti, interessi, dividendi,
salari) che spetta ai fattori scarsi.
La forza regionale di attrazione, e di
conseguenza la capacità delle regioni di avere successo nella concorrenza per questi
fattori produttivi mobili, dipende dalla relazione tra salario reale e produttività (Keynes la denominò wefficiency-wage.) o dal
suo valore reciproco, dal «rapporto produttività/costi d i lavoro» (Giersch). In qiiesto
rapporto la produttività pro-capite o per
occupato viene determinata dalla dotazione
gennaio 1979
regionale di risorse. Le Regioni con una
dotazione migliore d i risorse hanno una
produttività media più alta, quelle con una
dotazione meno soddisfacente di risorse
hanno una produttività media più bassa per
posto' di lavoro regionale. Perciò l'impostazione del problema che parte dai fattori
potenziali p u ò spiegare perché, per esempio, nonostante salari uguali ed uguali costi
di capitale privato, una regione periferica,
poco popolata, mal dotata di infrastrutture
e settorialmente mal strutturata, presenta
bassi redditi pro-capite, bassa percentuale di
popolazione attiva, alti livelli d i disoccupazione e di emigrazione, mentre alle stesse
condizioni una regione ubicata centralmente, con alta agglomerazione, ben dotata di
infrastrutture e strutturata in modo ottimale, è caratterizzata da alti redditi, alte percentuali d i popolazione attiva, bassi livelli
d i disoccupazione e cospicui fenomeni di
immigrazione.
L'effetto d i una Unione economica, monetaria e finanziaria nazionale, quindi, consiste essenzialmente nella creazione di condizioni quadro uniformi d i politica economica
attraverso l'Unione economica, e nella creazione d i uno spazio monetaria uniforn~e,
come anche di mercati di merci, lavoro e
capitali generalmente più vasti ed efficienti
attraverso l'Unione monetaria. L'unificazione delle condizioni quadro sta a significare,
nello stesso momento, che le singole regioni
debbono rinunciare ad usare certi strumenti
protezionistici (per esempio dazi doganali
ed altri ostacoli n o n tariffari per il commercio) contro la concorrenza del resto del
mondo. I1 nocciolo della teoria del libero
commercio in condizioni concorrenziali sostiene, infatti, che il lavoro ed il capitale
privato affluiscono maggiormente nelle aree
dove possono conseguire i maggiori profitti. Attraverso la rimozione delle restrizioni
allo scambio delle merci e dei fattori, restrizioni che ostacolano la mobilità, possono
essere meglio sfruttate le risorse presenti
nella zona economica più vasta, <.integrata»,
e possono essere abbassati i costi d'informazione e di transazione, così come i costi per
le garanzie contro le variazioni dei cambi
valutari e contro gli interventi dirigistici
nell'economia.
Dal punto di vista dei singoli territori
parziali d i u n a . U E M emergono, però, delle
differenze notevoli riguardo alla distribuzion e d i questi vantaggi d i integrazione: attraverso l'Unione economica tutte le regioni
unite perdono, sì, la possibilità di rinchiudersi in se stesse nei riguardi degli altri
territori per mezzo d i dazi doganali, contingentamenti, limitazioni d i mobilità e variazioni valutarie, ma il vantaggio dell'apertura del mercato torna, però, in prima linea
a tutto profitto dei produttori delle regioni
centrali e ricche di risorse, poiché essi, nella
concorrenza, sono avvantaggiati dal migliore rapporto produttivitàlcosti di lavoro.
Nelle regioni povere d i risorse, invece, ne
traggono profitto soprattutto i consumatori,
che possono usufruire dei prezzi dei beni
che si abbassano nelle regioni centrali a
causa della produzione di massa e della
divisione del lavoro. Nelle regioni dotate di
gennalo 1979
COMUNI D'EUROPA
poche risorse, le imprese, che prima si eradifese quasi sempre
regioni
più produttive per mezzo d i una protezione
estremamente forte, vengono, a causa
dell'integrazione, pienamente esposte alla
concorrenza dall'esterno.
L'integrazione
porta, inoltre, a prezzi tendenzialmente
uniformi, e ciò non soltanto sul mercato
delle merci, ma anche sul mercato dei capitali e del lavoro. C o n dei costi di lavoro
tendenzialmente uguali migliora notevolmente, invece, a causa della differente dotazione di risorse e della differente produttività per posto di lavoro, la concorrenzialità
delle zone ben dotate d i risorse nei confronti di quelle meno dotate.
All'interno di sistemi economici nazionali, perciò, si possono sempre osservare delle
notevoli disparità interregionali rispetto
all'occupazione e al reddito (vedi Tavola I).
C o m e dimostra questa tabella, le differenze
dei redditi pro-capite sono notevoli. C o m parando la regione
con il reddito pro-capite
più alto (Amburgo) alla regione con il redbasso (Calabria), per la C E E risuldito
ta globalmente un rapporto d i 1:5,4. La
tabella dimostra, inoltre, in quale misura
muteranno questi rapporti in occasione
A
A
Grecia'
P0rt0ga1107
della Spagna e della Turchia: il dislivello dei
redditi aumenterebbe a 1 :lo, nel primo cas o , e nel caso dell'adesione della Turchia
addirittura a 1:34.
Nonostante che i dati sull'impiego del
potenziale della forza lavorativa, sull'occupazione e disoccupazione, mostrino u n dislivello minore, pur tuttavia esso sussiste
anche qui: in tal m o d o tali dati ci indicano
che regioni centrali ad alta agglomerazione,
quali Amburgo, Parigi e Londra, hanno
tassi regionali di popolazione attiva superiore al 46% mentre la percentuale della popolazione attiva della Calabria è del 2770.
Sono inoltre più alti anche i tassi della
disoccupazione e dell'emigrazione.
XXIII
TAVOLA
I
Reddito pro capite (Rpc) regionale 1970 nella Comunità dei N o v e e nei Paesi che
vogliono aderire, Grecia, Spagna, Portogallo e Turchia (l) - in DM e corsi di cambio
1970.
Rpr rrgionnle
Rpc medio
Paesi CEE
Y ~ ~ O T C
min.
R,,,, D
Italia
unito
C E E 9 (2)
8 700
3 220
17 480
1 :5,4
27,6
29,7
Spagna
3 300
1 750
4 940
1 :2,8
28,5
30,7
C E E 10
PortogaIIo
8 060
1 750
17 480
1 :l0
43,6
37,4
2 430
1890
2 810
111.5
11,O
10,6
CEE 11
7910
1750
17 480
1 :IO
47,2
39,5
3 600
1 760
5 510
1 :3,1
26,O
34,9
CEE 12
7 780
1 750
17 480
1 :l0
51,4
40,7
Turchia
1 010
510
1 650
1 :3,2
30,8
32,2
CEE l 3
7 070
510
17 480
1 :34,3
61.4
51,s
Grecia
'
--
(11 Rpc per Portogalli>, Grecia, Turchia: rtinie personali.
(21
I,CI,S~
.animarca,
I,I,,~,,
IU,,,,,~,,,,,
,,, , ,,ii
esistono Xpr reRionail.
Fonte. irarisrio regionale dclla C E E (Eurosrat) 197314; Banco de Bilbio, Renra, Nacionai, 1971; stime e c=lcoli personali.
dalla Commissione delle Comunità europee, il cosiddetto Comitato MacDougall,
l'ammontare di questi effetti perequativi
p u ò - sulla base di analisi sia di 5 Stati
federali (Australia, Repubblica federale di
Germania, Canada, Svizzera, Stati Uniti)
che d i 3 Stati centralizzati (unitari) (Italia,
Francia, Regno Unito) - essere stimato, in
media, intorno al 4070 del reddito regionale
pro-capite. La Tavola 11 mostra che questa
redistribuzione interregionale funziona in
m o d o che alle regioni relativamente più povere d i uno Stato perviene una spesa pub-
Tassi regionali di popolazione attiva
. .
minimo
mass~mo
1. Danimarca . . . . . . . . . . . . .
3. Gerrnania . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
5. Lussemburgo. . . . . . . . . . . .
6 . Belgio. . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
8. Paesi Bassi . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . .
Fonte: statiscio regionde della C E E (Eurortatl 1973174, tabella 9 , pag. 136 e regg
Queste disparità interregionali osservabili
all'interno delle Unioni economiche e monetarie nazionali sarebbero, però, ancora
. maggiori se esse non fossero compensate in
misura considerevole dai sistemi finanziari
pubblici degli Stati membri.
Secondo u n gruppo di esperti incaricati
ponderato
paesi Bassi
2. Regno Unito . . . . . . . . . . . .
9. Italia
non ponderato
Frtncia
aeigio
Tasso medio
nazionale di
popolazione attivi
7. Irlanda
Coejjr<ienre dt vnnazrone
RFT
Differenze tra le percentuali regionali di popolazione attiva nella Comunità 1973
4. Francia
IIIPX
Rapporto
minimo1
massimo
blica più alta di quanto non sia il loro
gettito fiscale, mentre, viceversa, le zone
relativamente più ricche producono un gettito fiscale maggiore d i quanto non ricevano
in forma d i spesa pubblica. Poiché, inoltre,
le zone relativamente più ricche sono nello
stesso tcinpo zone che esportano più beni e
servizi di quanto ne importino, tutto ciò
p u ò essere anche interpretato nel senso che
le regioni relativamente più ricche trasferiscono una parte della loro eccedenza d i
esportazioni nelle zone relativamente più
povere. Quindi queste ultime hanno, di regola, un'eccedenza di importazioni; cioè la
loro bilancia delle transazioni correnti è deficitaria. I mezzi trasferiti attraverso il sistema della finanza pubblica permettono, perciò, a queste regioni di consumare pii1 beni
e servizi di quanto esse potrebbero nel caso
che non vi fossero i transferts netti pubblici.
I sistemi economici nazionali, dunque,
non sono soltanto unioni economiche e
monetarie integrate, ma iiello stesso tempo
sono anche delle unioni finanziarie, che
compensano, attraverso le imposte e la spesa pubblica, cioè transferts dalle regioni
economicamente forti, quei deficit nella bilancia dei pagamenti delle zone economicamente deboli che altrimenti si formerebbero.
Però, questi effetti perequativi n o n sono
in nessun m o d o espressione di beneficenza
ed altruismo - il che è evidente, visto che i
vantaggi dei produttori, che risultano
dall'integrazione, tornano a tutto profitto
soprattutto delle regioni forti di risorse -,
ma sono il risultato, razionalmente del tutto
spiegabile, di ponderazione di vantaggi e
svantaggi:
- le regioni centrali, economicamente
forti, approfittano della circostanza che i
mercati delle merci, dei fattori e dei capitali
vengono tenuti aperti attraverso le U E M
nazionali.
- La tendenza verso u n livellamento dei
costi del lavoro, osservabile nei sistemi eco-
COMUNI D'EUROPA
XXIV
I saldi della finanza pubblica e delle bilance d i p a g a m e n t o in percentuali del p r o d o t t o
regionale lordo.
Einanza pubblica
Deflusso ( - ) o
A f f i ~ s s o( + h (Il
Bilancia d i pagamenro:
eccedenza ( + l o deficit (-1
nella hilancia drllc
transazioni correnti 12)
Kegioni o Stari membri relarivamente poveri
Germania (niedia 1968-70)
Bassa Sassonia. . . . . .
Schleswig-Holstein. . . .
Tei-i-itot-iodella Saar . . .
Francia (1972)
Bretannia
Regno Unito (1964)
Galles . . . . . . . . . . . . . . . .
Scozia . . . . . . . . . . . . . . . .
Irlanda del Nord . . . . . . . . . . .
Italia (media 1971-73)
Umbria.
Abruzzo
Basilicata
Calabria
.
.
.
.
:
.
.
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. .
. .
Regioni o Stati membri relativamente ricchi
Germanza (media 1968-70)
Baden-Wurtern berg . . . . . . . . . . . . . .
Renania settentrionale e Vestfalia. . . . . . . . .
Assia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Regno. Unito (1964)
Sourh East . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Wesr Midlands . . . . . . . . . . . . . . . .
Italia (media 1971-73)
Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Liguria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
(1) Differenza fra spese ed entrate federali o dello stato centrale. Per l'Italia il grande deficit nazionale viene ripartito tra le regioni, proporzionalmente
al loro prodotro regionale.
( 2 ) Differenza tra il prodotro regionale c spese interne.
Fonte: a cura della Commissione della CEE, Rapporto del gruppo di esperti per l'analisi del ruolo della finanza pubblica nel processo di integrazione
europea (rapporto MacDougall), vol. l , pag. 35, Bruxelles, aprile 1977.
nomici nazionali completamente integrati,
migliora il rapporto produttivitàlcosti d i lavoro nelle regioni ben dotate d i fattori potenziali e lo ~ e g g i o r a nelle regioni meno
ben dotate.
- L'utilizzazione dei vantaggi creati dalla agglomerazione e dagli effetti di produttività, creati da sistemi urbanistici gerarchici
e centralizzati, permette alle Regioni centrali di conseguire posizioni concorrenziali
monopolistiche, le quali, in queste regioni,
vengono ulteriormente rafforzate per effetto
dell'accentramento delle istanze decisionali
politiche.
- L'esistenza del principio del «Paese di
residenza,,, ossia della «sede dell'impresa,,
nella registrazione e nel versamento delle
imposte più importanti, assicura alle regioni
economicamente forti ed esportatrici di capitale una parte del gettito fiscale più che
proporzionale rispetto alle regioni economicamente deboli ed importatrici di capitale,
nonostante che queste ultime effettuino notevoli prestazioni anticipate per l'attività
economica privata.
U n o scioglimento delle U E M nazionali
esistenti per effetto d i una secessione, di
una separazione o di misure protezionistiche, farebbe diminuire notevolmente i vantaggi della regione centrale. D a questo angolo visuale i transferts finanziari possono
essere interpretati anche come «premio assicurativo. contro il rischio di secessione.
Una comune storia, cultura, lingua e rapporti di parentela fra gli abitanti delle varie
regioni d i un sistema economico integrato
formano, in definitiva, un vincolo di solidarietà che va oltre i vantaggi economici immediati e sul quale si basa un intero sistema
di perequazione finanziaria interregionale.
Oltre a ragioni puramente economiche, il
grado di solidarietà ha anche un ruolo importantissimo per la formazione del sistema
della finanza pubblica e, soprattutto, per gli
effetti perequativi interregionali. Senza una
adeguata solidarietà politica all'interno di
una unione finanziaria, le regioni relativamente più ricche non saranno, come è comprensibile, disposte ad effettuare un transfert di risorse in favore delle zone relativamente più povere.
gennalo 1979
Questo grado di solidarietà interregionale
si riflette, tra l'altro, anche nella struttura
decisionale ed organizzativa di un Paese: se
le regioni o gli Stati membri economicamente più deboli non sono disposti a riconoscere al Governo e al Parlamento centrali
- e conseguentemente anche alle regioni più
ricche ivi rappresentate - dei diritti di decisione, e se essi insistono particolarmente nel
decidere da soli sui mezzi che ricevono,
allora non ci si p u ò aspettare che venga
istituito un sistema di perequazione interregionale.
Tuttavia, solo con la pura redistribuzione
interregionale non sono ancora eliminate le
cause della differente forza economica e delle differenze tra le possibilità occupazionali
tra le diverse regioni; i transferts finanziari
netti comportano solo che le regioni beneficiarie hanno a disposizione più beni e servizi rispetto all'ammontare della propria produzione. L'argomento addotto, secondo il
quale la domanda aggiuntiva, creata nelle
zone economicamente deboli attraverso i
transferts finanziari, favorirebbe le imprese
ivi ubicate e creerebbe posti di lavoro addizionali, è giusto solo in parte in quanto,
secondo il presupposto del <<fattorepotenziale,,, la produttività di un posto d i lavoro
regionale dipende dalla dotazione di risorse
nella quale questo posto d i lavoro si colloca. Ma ciò significa che i posti d i lavoro, in
territori periferici, poco popolati e mal forniti di infrastrutture, presentano una produttività più vasta rispetto ai posti di lavoro
delle regioni meglio attrezzate. Nelle regioni economicamente deboli una notevole
parte della domanda aggiuntiva viene perciò
dirottata verso le zone economicamente più
forti, perché soltanto lì risiedono le imprese
concorrenziali, le quali producono la maggior parte dei beni e dei servizi che vengon o richiesti nelle zone economicamente deboli. Soltanto per le prestazioni di servizi
locali è valido, perciò, il ragionamento che
la domanda aggiuntiva in una regione risulta a profitto dell'economia ivi residente.
I n altre parole: un incremento dello svilupp o regionale solo in minima parte p u ò essere stimolato dalla creazione di domanda
aggiuntiva; la promozione dello sviluppo regionale consiste soprattutto nel rendere l'offerta più concorrenziale nelle zone economicamente deboli e nel provvedere ad investimenti addizionali per la creazione d i nuovi posti d i lavoro attraverso una adeguata
compensazione della peggiore dotazione di
risorse.
Proprio quest'ultimo principio è di massima importanza, non solo per la politica
regionale all'interno degli Stati membri, ma
anche per la politica regionale europea.
O r a , perciò, ci dedichiamo alle conclusioni
che sono deducibili, per l'integrazione europea, da questa nostra analisi sulle Unioni
economiche, monetarie e finanziarie nazionali.
11. Conclusioni valide per l'Unione economica, monetaria e finanziaria europea.
Trasferendo quei concetti, che risultano
dall'esame di sistemi economici integrati na-
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gennaio 1979
zionali alla Unione economica, monetaria e
finanziaria' europea, che deve essere creata,
si possono fare le seguenti informazioni:
t . Attraverso l'unione economica vengono ulteriormente '<aperte. le economie territoriali oltrepassando quella riduzione di
limitazioni interregionali già raggiunta dalla
'Unione doganale. Ciò aumenta le interconnessioni regionali; per questo avranno, per
il mercato più vasto, pieno effetto i vantaggi della produzione di massa e della divisione del lavoro. Gli utili che così derivano
dalla maggiore produttività aumentano l'intera crescita economica e fanno diminuire la
disoccupazione sull'intero territorio della
Comunità.
2. La sostituzione delle diverse monete
nazionali con un'unica moneta europea
nell'ambito dell'unione monetaria abbassa i
costi di informazione e transazione e fa
diminuire il rischio proveniente dalle variazioni dei cambi valutari e dagli interventi
dirigistici ilei rapporti di scambio intercomunitari. Anche attraverso ciò, le risorse
disponibili nell'intera Comunità possono
essere meglio utilizzate, e possono essere
raggiunti redditi più alti ed una maggiore
occupazione.
3 . Contemporaneamente la Comunità
viene meglio assicurata contro eventuali disturbi nel sistema monetario internazionale;
la moneta europea stessa può, inoltre, assumere parzialmente delle funzioni d i moneta
guida, e sostituire il dollaro in molte occasioni, fornendo, così, alla Comunità anche
un guadagno aggiuntivo di coniazione.
4. Solamente attraverso la creazione di
una ottimale e più vasta zona economica e
monetaria, però, non vengono di per sé
ancora rimosse le disparità interregionali,
poiché esse sono determinate dalla distribuzione interregionale dei fattori potenziali.
Senza dubbio però esiste una notevole differenza se una disparità interregionale di
reddito relativamente omogenea si aggira
per esempio intorno a un reddito europeo
medio di, diciamo, D M 10.000 o - a causa
di una maggiore crescita economica per la
realizzazione della U E M - intorno a un
reddito di D M 1t .OOO.
5. I n un primo momento, da un punto
di vista statistico puro, le disparità interregionali aumentano in concomitanza con un
più vasto spazio economico, in quanto le
disparità di occupazione e di reddito
nell'ambito dell'insieme delle regioni della
C E E sono notevolmente maggiori che
all'interno di una U E M nazionale. A causa
dei più alti tassi di crescita economica e di
un più alto livello occupazionale, condizionati dall'integrazione, ci si può, però,
aspettare che gli Stati membri, attualmente
economicamente più deboli, recuperino nel
lungo termine nei confronti della media
C E E . Così l'Italia, per esempio, ha avuto
durante la creazione del Mercato Comune
dei tassi di crescita economica medi. più alti.
I n questo modo, a partire dal 1958, la
distai~zatra i redditi medi nazionali all'in~ Z i i , V ciella Comunità è diminuita. C o n
I'nmugeneizzazione dei redditi medi nazio-
XXV
C r i t e r i per giudicare se la partecipazione a livello comunitario alle funzioni proprle dei
settore pubblico è fondata o meno.
Economie
di scala
Externalitier
o Spillover
sì
sì
Omogeneirà
politica*
Prestazioni generili di serwizi pubblici
Rapporti esterni non militari (commercio, aiuti a
Paesi in fase di sviluppo, energia, collaborazione
politica
Amministrazione pubblica, sicurezza e protezione legale
in una certa misura
in una certa misura
adeguata o k ~rtualrnr~i:r
. .
ancora in lase I, .lego
ziazione
in una certa misura
Sicurezza e assiste>izasociali
-
Istruzione, sanità, assicurazione sociale ( l ) , edilizia
attualmente poco, in
futuro sì
no
Promozione economica
Funzioni di intervento nel mercato (agricoltura,
pesca, olio)
Funzioni di regolamento del mercato (norme tecniche, concorrenza ecc.)
,
sì, selettivamente
sì, selettivamente
Tecnologia avanzata
sì
Politiche strutturali e congiunturali (politica regionale, programmi per l'occupazione, disoccupazione) (2)
-
sì, in una certa misura
adeguata o è attualmente
ancora in fase di negotiazione
adeguata o è attualmente
ancora in fase di negoziazione
in certa misura adesso,
in futuro?
sì
in certa misura adesso,
in futuro?
(1) Esclusi i sussidi di diroccupazione
(2) Inclusi i sussidi di disoccupazione.
Come vista attualmente con I'ipoieri -dell'integrazione pre-federale.. Questo criterio politico sarà, più che gli altri due criteri economici, sottoposto a
variazioni nel corso del tempo.
Fonte: a cura della Commissione della CEE, Rapporto del Gruppo di esperti per l'analisi del ruolo della finanza pubblica nel processo d'integrazione
europea. (Rapporio MacDougall) vol. 1 , pag. 54, Bruxelles, aprile 1977.
nali anche i redditi regionali diverranno tendenzialmente simili. Anche nei paesi che
intendono aderire alla C E E i tassi di crescita economica sono stati negli ultimi anni
più alti rispetto alla media C E E .
6 . Nonostante ciò, un'unione economica
e monetaria europea p u ò divenire stabile
soltanto attraverso un'unione finanziaria. In
conformità al più basso grado di mobilità
presente oltre le frontiere dei Paesi membri
della Comunità, e a causa dell'attuale, relativamente più basso, grado di solidarietà
politica tra i paesi membri, il volume di
transferts finanziari necessario a garantire
una U E M europea potrà essere, e sarà,
notevolmente più basso che all'interno dei
sistemi economici nazionali.
7. Per garantire in m o d o durevole la
U E M contro il rischio politico di secessione
e per creare in misura sufficiente i presupposti per lo sviluppo di una coscienza di
solidarietà europea, anche le istituzioni europee (Parlamento europeo, Governo C E E ,
ecc.) devono essere rafforzate e sviluppate
nella direzione dell'unione politica. Per
l'unione monetaria è, inoltre, necessaria
l'istituzione di una Banca centrale europea
indipendente,
Contemporaneamente tutto ciò implica
un aumento del bilancio della Comunità,
poiché ora la Comunità deve assumere nuovi compiti aggiuntivi. Secondo le analisi del
gruppo di lavoro MacDougall, in una prima
fase pre-federale devono essere presi in considerazione i seguenti nuovi compiti (vedi
anche Tavola 111): relazioni esterne non militari, settori specifici della pubblica ainministrazione, sicurezza e protezione legale,
promozione industriale, sviluppo di nuove
tecnologie, politica regionale e strutturale,
programmi contro la disoccupazione e di
formazione professionale. Questi compiti,
comporterebbero una crescita del bilancio
comunitario dall'attuale 0,770 del prodotto
lordo con~unitarioal 2-2,570 circa.
Nella seconda fase, in cui esiste una federazione con un settore pubblico centrale
limitato, gli ordini di grandezza si aggirerebbero intorno al 5-1070, nel caso in cui
anche la difesa diventasse un compito europeo; in caso contrario, essi si aggirerebbero
intorno al 5-770 del prodotto lordo comunitario. Nello stadio finale, in presenza di
un'unione politica pienamente matura, il bilancio comunitario potrebbe raggiungere ii
20-2570. Queste quote comunitarie non de-
XXVI
vono, però, essere aggiunte alle quote di
partecipazione del settore pubblico al prodotto nazionale lordo, poiché una gran parte dei nuovi compiti del livello comunitario
risulta dallo spostamento d i compiti dal livello governativo, in modo che al livello
nazionale possano essere risparmiate delle
spese.
Per il finanziamento di queste maggiori
spese la Comunità ha, però, anche bisogno
d i nuove entrate. Se a queste nuove entrate
venisse applicata una forma progressiva, potrebbe già nella fase pre-federale venir raggiunto, con un volun-ie d i bilancio del 2 2 , 5 % , un effetto perequativo interregionale
del lo%, circa, tra tutte le regioni della
Comunità. Questo sarebbe, nondimeno, un
quarto dell'effetto redistributivo accertato
dal Comitato MacDougall come media negli
o t t o stati analizzati.
C i ò richiede, però, una profonda riforma
dell'attuale sistema delle entrate della C o munità. L'effetto perequativo interregionale
della finanza pubblica, accertato nei paesi
analizzati, dipende soprattutto dal principio
di progressività del sistema fiscale generale,
i n m o d o che le aree più ricche procurino in
generale un gettito fiscale pro-capite maggiore delle zone economicamente più deboli. La C E E attualmente, però, non dispone
di un sistema di entrate che risponda, neanche minimamente, a questa richiesta. Al
contrario, il sistema attuale delle entrate,
che si basa largamente tanto sui dazi doganali che sui prelievi, così come sulla quota
dell'i % della tassazione IVA, ha più effetti
. .
regressivi che progressivi; cioè li Stati
meiiibri economicamente più deboli vengono più gravati che non quelli economicamente più forti.
Per poter raggiungere già durante la prima fase pre-federale l'effetto perequativo
menzionato del IO%, circa, il sistema europeo delle entrate deve, perciò, essere modificato nel più breve tempo possibile. Second o le proposte contenute nel rapporto MacDougall, ci si offre, sì, la possibilità di
partire da una comune base di calcolo per
l'applicazione del sistema IVA in ogni Stato
membro, ma si dovrebbero rendere le quote
di questo gettito IVA, che devono essere
versate alla C E E , proporzionali secondo
una chiave progressivamente differenziata,
in modo che gli Stati membri più ricchi
paghino dei contributi relativamente più alti
rispetto agli Stati mernbri economicamente
più deboli. Per incentivare nello stesso momento anche l'azione di perequazione interregionale del bilancio comunitario, si d o vrebbe, poi, istituire, per una parte più
grande possibile delle spese comunitarie, un
sistema di aiuti finanziari con quote di partecipazione propria ( ~ m a t c h i n g grantsn).
Questo avrebbe un significato speciale, per
esempio, per le sovvenzioni compiute dal
Fondo regionale e per gli interventi deliberati dalla BEI. L'idea base è che i Paesi
membri più ricchi ricevano, per esempio,
per progetti di politica regionale, soltanto
un contributo del 50%, mentre questa percentuale potrebbe essere aumentata fino
a11'80% o al 90% per gli Stati membri
ecoilomican~entepiù deboli.
COMUNI D'EUROPA
111. Il contributo dell'unione finanziaria
europea alla soluzione del problema occupazionale.
I sistemi economici degli Stati membri
della C E E sono sistemi misti, orientati verso l'economia di mercato, caratterizzati dalla presenza di u n settore pubblico e di u n o
privato, il quale è organizzato più o meno
secondo i principi dell'economia di mercato. D a un punto di vista economico il lavoro è ripartito tra questi due settori, in mod o che il settore pubblico fissa, da un lato,
le condizioni quadro entro le quali le attività economiche possono essere realizzate dal
settore privato, dall'altro, degli incentivi
pubblici in favore della produzione privata.
Secondo la teoria dei fattori potenziali risultano certamente determinanti anche i fattori
naturali, quali, per esempio, la posizione
geografica p e r h r i c a o centrale di una regione, la sua dotazione mineraria, la sua topografia e il suo clima, il potenziale di sviluppo e, quindi, conseguentemente, il reddito
raggiungibile in una regione.
Ma, tanto in un'unione economica nazionale, quanto in una europea, al settore pubblico spetta il compito particolare di provocare, con la creazione di un sufficiente grad o d i solidarietà interregionale e non solo
con una migliore dotazione soprattutto di
capitale pubblico infrastrutturale, ma anche
con u n incentivo agli investimenti privati,
una perequazione della forza economica
.naturale.. D a questo punto di vista hanno
anche un significato notevole per lo svilupp o regionale tutte le altre numerose misure
che non sono legate direttamente alle entrate o alle spese. Questo orientamento è valid o sia per il diritto economico generale, sia
per la politica statale nell'ambito dell'assetto
territoriale, per la legislazione dei trasporti,
della tecnica e della ricerca, tanto per citare
soltanto alcuni esempi. Dall'angolo visuale
della nostra impostazione del problema, anche nelle attività non finanziarie dello Stato,
è importante che esse creino i presupposti,
da un lato, per una migliore dotazione regionale di risorse, dall'altro, per una loro
più efficace utilizzazione.
Nell'ainbito legislativo, così come anche
in quello della finanza pubblica, sussiste in
generale un confronto tra «l'obiettivo d i
allocazione», e cioè di un impiego quanto
più efficiente possibile, e «l'obiettivo di distribuzione*, e cioè di una distribuzione
quanto più equa del reddito e del capitale.
Nello stesso tempo si ignora, però, che un
miglioramento efficace e duraturo della forza economica delle regioni deboli p u ò essere raggiunto solamente attraverso un miglioramento della dotazione regionale di risorse. Soltanto in questo caso possono, come abbiamo già detto, essere aumentati il
reddito pro-capite e l'occupazione raggiungibili. I1 verificarsi di tali condizioni determina contemporaneamente u n rniglioramento nella distribuzione interregionale del reddito e del capitale. Una politica di sviluppo
e di integrazione imperniatà su questi due
obiettivi dovrebbe, perciò, essere denominata po!itica di allocazione o r i e r ~ t a tverso
~
la
distribuzione. C o n questa denominazione si
vuole dunque dire che, attraverso una ridistribuzione interregionale delle risorse e
avendo come obiettivo l'aumento delle capacità produttive economiche, anche le disparità interregionali del reddito e dell'occupazione possono essere ridotte.
Tuttavia, spesso, anche questi due obiettivi, del reddito e dell'occupazione, entrano
in conflitto tra d i loro. Se, per esempio, i
sindacati tentassero di ottenere la rivendicazione tipo, «lo stesso salario per lo stesso
lavoro», orientandosi secondo i salari pagati
nelle regioni meglio dotate di risorse, e
perciò anche più forti nell'ambito dei redditi, ciò potrebbe facilmente portare ad una
situazione nella quale il rapporto menzionato produttività/salario reale o costo di lavoro verrebbe talmente distorto che gli investimenti privati, a causa degli alti costi di
lavoro, diverrebbero, nella regione debole,
poco remunerativi. La conseguenza è che
certamente il reddito di coloro che sono
ancora occupati salirebbe proporzionalmente, mentre invece il numero dei posti di
lavoro si ridurrebbe, o almeno non aumenterebbe, in misura tale da non poter occupare tutte le persone in cerca di lavoro. Se
si privilegia eccessivamente l'obiettivo del
reddito, ciì, puc* provocare una ripercussione sull'obiettivo occupazionale. Questa ripercussione non si evidenzia, però, solamente con alti tassi di disoccupazione infatti in questa regione si avrà una notevole emigrazione, come abbiamo già illustrato
precedentemente, e il tasso regionale di p o polazione attiva sarà notevolmente minore
rispetto alla media nazionale, e, soprattutto,
rispetto alle percentuali di popolazione attiva nelle zone economicamente forti.
In quale misura l'integrazione europea e
specialmente l'unione finanziaria p u ò , allora, contribuire a disinnescare il conflitto tra
l'obiettivo regionale del reddito e quello
dell'occupazione, e ad aumentare il numero
dei posti di lavoro nella C E E in generale?
Voglio provare brevemente, in conclusione, a soffermarmi su questa questione.
Bisogna innanzitutto partire dal riconoscimento che l'obiettivo dell'integrazione
europea consiste nell'integrazione, a lungo
termine, dei sistemi economici degli Stati
membri, nello stesso modo nel quale gli
Stati membri stessi sono riusciti ad integrare
le loro rispettive economie regionali. Nel
quadro dello sviluppo storico dell'integrazione nazionale, le monete regionali precedenti sono state sostituite da una moneta
nazionale unica. Se, ora, gli Stati membri
della C E E vogliono intraprendere lo stesso
cammino, e ciò in conformità all'obiettivo
dell'uiiione monetaria, allora bisogna tener
conto delle conseguenze derivanti dalla differente dotazione di risorse delle regioni e,
conseguentemente, degli Stati membri stessi. Se in queste condizioni si volesse introdurre imrnediatarner~teuna moneta europea
unica, allora si toglierebbe agli Stati membri
la possibilità di compensare, attraverso la
rivalutazione o la svalutazione delle loro
monete nei confronti degli altri Stati membri, i fattori strutturali d'influenza, come
per esempio le notevoli differenze tra i tassi
gennaio 1979
d'inflazione e le politiche monetarie che ne
seguono. I n questo caso esiste solo una
alternativa: o si mettono, con dei crediti d i
sostegno monetario, gli Stati membri economicamente più deboli nelle condizioni d i
mantenere un cambio valutario fisso, o gli
si dà, attraverso dei transferts netti nell'ambito del sistema della finanza pubblica,
quell'aiuto di cui hanno bisogno durante un
, certo periodo transitorio peri potersi integrare in un sistema fondato su un'unica
moneta europea. Poiché ad u n sovvenzionamento, attuato attraverso il sostegno monetario, è sempre collegato i1 pericolo d i un
aumento indesiderato della quantità di m o neta nei Paesi membri aventi più basso tass o d i inflazione, gli Stati membri più consaevol li d e l l ' i m ~ o r t a n z a della stabilità d o vrebbero perciò essere
disponibili ad
effettuare, c o n transferts finanziari pubblici,
il necessario aiuto agli Stati membri economicamente più deboli. E' sorprendente che,
per esempio, nella Repubblica federale di
Germania n o n si considera ancora il problema da questo punto di vista.
Se si dà all'obiettivo della stabilità un
valore molto alto, allora l'opinione qui sostenuta dovrebbe affermarsi; il che equivale
a dire che, se gli Stati membri hanno bisogno di un aiuto per poter, per esempio,
aderire al sistema monetario europeo e per
poter farne parte per un periodo indeterminato, allora i transferts finanziari sono uno
strumento mzgfiore in confronto ai sostegni
monetari. I n tutti e due i casi, però, per
arrivare alla futura moneta europea, si p u ò
ridurre l'ammontare delle sovvenzioni, rifiutando la strada dell'ulteriore riduzione
della fascia di oscillazione e la fissazione di
rapporti di cambio valutario, scegliendo, invece, la strada della creazione di una moneta parallela europea. Questa impostazione
permetterebbe l'istituzione di una moneta
europea e d i una Banca centrale europea
che amministrerebbe tale moneta, mentre
ancora esistono monete e Banche centrali
nazionali. U n piano graduale per l'introduzione della moneta parallela dovrebbe prevedere inizialmente l'ammissibilità della
nuova moneta europea soltanto per le transazioni tra le Banche centrali e gli Stati
membri; successivamente, nel momento più
opportuno, anche per le transazioni tra imprese e, infine, in una terza fase, quale
mezzo di pagamento parallelo generale. I n
ogni caso per la moneta parallela la premessa è che i rapporti di cambio tra la moneta
europea e le monete nazionali rimangano
flessibili, in m o d o che le divergenze tra i
tassi d'inflazione possano essere compensate. Se tutto ciò non accadesse, ci sarebbe da
temere che sarebbero maggiormente colpite
da problemi occupazionali specialmente le
regioni con alta pressione salariale strutturale e cattiva dotazione d i risorse, e che gran
parte delle sovvenzioni effettuate servirebbe
soltanto alla compensazione degli svantaggi
~ r o v o c a t idalla soluzione scelta per l'integrazione monetaria.
Indipendentemente dalla soluzione della
questione dell'integrazione monetaria, rimane da constatare che un miglioramento della
dotazione interregionale di risorse nella C o -
COMUNI D'EUROPA
munità p u ò essere raggiunto soltanto con
dei provvedimenti, che vanno al d i sopra
dei costi d i adattamento, costi che dipendon o dalla forma dell'unione monetaria scelta.
Perciò, in seguito, si tratterà esclusivamente
di questi transferts di risorse.
Abbiamo già menzionato che una serie di
fattori naturali, come per esempio la posizione geografica, le risorse minerarie, la
topografia e il cliina, sono da considerare
quali grandezze determinanti del potenziale
regionale di sviluppo. Differenze nella dotazione naturale di risorse possono però, anche questo l'abbiamo già detto, essere compensate attraverso investimenti pubblici,
specialmente nel campo dell'infrastruttura.
Per esempio, gli alti costi d i trasporto e d i
comunicazione, ai quali devono far fronte
le zone periferiche quando vogliono entrare
in c o n c o r r e n z a c o n le regioni centrali, possono essere ridotti migliorando con strade,
ferrovie e traffico aereo i loro collegamenti.
Poiché, inoltre, la produttività di un occupato dipende dal suo grado di istruzione e i
costi per la formazione professionale sono
oggi negli Stati membri della C E E in larga
misura a carico dello Stato, o almeno vengono da esso ampiamente sovvenzionati, la
politica della pubblica istruzione costituisce,
dunque, un ulteriore importante punto di
partenza per il miglioramento della dotazione regionale d i risorse. Tramite questa politica, il potenziale di manodopera esistente
in una regione, p u ò essere qualificato in
m o d o che corrisponda al grado di capacità
richiesto dai posti di lavoro moderni e in
m o d o che questi posti di lavoro possano
poi resistere anche alla concorrenza delle
imprese delle regioni centrali della C E E . L o
stesso discorso vale per gli impianti infrastrutturali, per i1 rifornimento energetico ed
idrico, per il perfezionamento e la promozione delle città - viste come centri di mercato del lavoro - nelle quali possono stabilirsi nuove imprese private o possono
espandersi imprese già esistenti creando posti d i lavoro aggiuntivi. Fa, inoltre, parte
dell'infrastruttura il sistema sanitario, poiché soltanto attraverso un'adeguata dotazione d i farmacie, di ospedali e di medici si
può evitare che la forza di lavoro umana
venga ad essere menomata o distrutta.
U n a tale politica infrastrutturale, però, d a
un lato è relativamente costosa, e dall'altro
è relativamente lunga in quanto ci vorrà
molto tempo prima che una tale attrezzatura infrastrutturale, che permette un evidente
aumento della produttività del lavoro, possa
essere creata nelle zone finora trascurate.
Perciò, contemporaneamente all'attuazione
d i questi provvedimenti, per la creazione di
nuovi posti di lavoro devono essere utilizzati altri strumenti. N e fanno parte soprattutto misure per incentivare gli investimenti
d a parte delle imprese private. Fin tanto e
fin quando esistono regioni chiaramente
svantaggiate a causa, per esempio, della loro
posizione periferica o della loro cattiva attrezzatura infrastrutturale nei confronti delle regioni centrali, e in quanto n o n è possibile mutare notevolmente, attraverso gli investimenti pubblici, questa situazione nel
breve e nemmeno nel medio termine, non
deve soltanto essere mantenuto, ma anche
allargato, lo strumento per incentivare investimenti privati attraverso premi e sovvenzioni. Principio fondamentale è che ci deve
essere una compensazione di quegli svantaggi dovuti alla dotazione regionale di risorse, i quali costituiscono la causa per la
finora esistente posizione svantaggiata delle
regioni meno attrezzate nella concorrenza
con quelle più attrezzate.
O r a , si potrebbe obiettare che una tale
politica del transfert interregionale di risorse all'interno di una unione finanziaria è
nociva per la crescita economica, poiché i
mezzi che vengono detratti alle regioni economicamente più forti ivi sarebbero stati
probabilmente più produttivi. Però, questa
constatazione è giusta soltanto nel caso in
cui le regioni paganti non fossero delle regioni aventi già raggiunto un grado di agglomerazione e di concentrazione territoriale, tali da provocare dei costi sociali molto
elevati. Poiché i1 nostro sistema di contabilità nazionale non calcola questi costi sociali, si viene a sopravvalutare il reddito e con
ciò la forza di crescita economica delle zone
centrali di agglomerazione. Se disponessimo
già di un sistema d i contabilità nazionale
che tenesse conto in m o d o adeguato anche
degli effetti esterni negativi di una agglomerazione eccessiva in forma di inquinamento
dell'aria e delle acque, della rumorosità
dell'ambiente, come anche dell'aumentata
criminalità, allora i tassi di crescita economica di queste zone di agglomerazione sarebbero notevolmente più bassi.
U n dirottamento di risorse d a queste regioni ad eccessiva agglomerazione verso altre regioni, nelle quali viene in tal m o d o
accresciuta la produttività, non va perciò,
valutando anche i costi e i benefici sociali, a
scapito della crescita economica. Ma, nonostante ciò, questa affermazione implica che
possibilmente u n transfert di risorse dalle
zone ad alta agglomerazione verso zone
estremamente periferiche con poca agglomerazione e meno dotate, andrebbe presumibilmente ancora a scapito della crescita
economica. L'affermazione che una redistribuzione interregionale di risorse non andrà
a scapito della crescita economica, ma porterà invece ad un suo incremento, risulterà
valida soltanto nel caso di una deviazione
verso zone di media dotazione d i risorse, le
quali perciò hanno anche a breve e media
scadenza le migliori possibilità di sviluppo.
Ma ciò non sta a significare altro che d o b biamo essere, come prima, disposti a rinunciare parzialmente alla crescita economica
quando si tratta d i migliorare la prosperità
della vita di persone che vivono nelle regioni più povere della Comunità europea.
Tutte queste considerazioni dimostrano
quale sfida costituisca l'integrazione europea, non soltanto per gli Stati membri più
ricchi, ma anche, soprattutto, per le regioni
più ricche all'interno d i ogni Stato membro.
I1 successo dell'integrazione europea dipenderà perciò in m o d o decisivo dal fatto se si
riuscirà a creare un grado adeguato di solidarietà politica in tutti gli Stati membri e in
tutte le regioni della Comunità, al fine d i
poter rispondere a questa sfida.
Se credete nel federalismo europeo
e nelle autonomie locali,
abbonatevi a «Comuni d'Europa».
C O M U N I D'EUROPA
-
PIAZZA D I TREVI, 86 - 00187 ROMA
-
TEL. (06) 6784556
gennaio 1979
COMUNI D'EUROPA
per la rivoluzione industriale inglese e per le
nascenti organizzazioni operaie. M a c'era
soprattutto - anche attraverso le riviste e i
giornali - il contatto frequente col dibattito
inglese, fra ltberali e laburisti, sulla piena
occupazione, il Weltare state, l'economia d i
guerra: arrivavano d i prima e,,piu spesso, d i
,seconda m a n o gli esiti delle discussioni e
delle ricerche della London School of Econ o i ~ ~ i c;s circolavano gli scritti d i Harold
Laski e dei neo-fabiani. A Q u a r o n i debbo
l'introduzione al discorso sulla pianificazione
regionale e la scoperta d i Patrick Geddes
(ecivic and regional planning,,, ~ i n t e r a c t i o n
b e t v e e n people, their environments a n d
their activitiesn).
M a l'oscura conclusione cui si avviava la
guerra, con la probabile perdita della pace,
m i richiamava con insistenza all'Europa: il
terreno d o v e sarei stato comunque chiamato
a combattere per la pace, d u n q u e per il
federalismo. Q u i la riflessione m i riportava
a i vecchi esordi, alla «cultura inglese nel
secolo V I I » e all'annoso dibattito - che t a n t o aveva a f f a n n a t o e che affannerà negli
a n n i futuri gli storici specialisti - se cioè si
possa parlare o m e n o d i u n rinascimento
carolingio. Il fatto è che dietro c'erano grosse questioni attuali: il ruolo delle component i romana, cristiana e germanica nella formazione della civiltà europea era diventato
u n falso scopo per combattere il nazismo.
Ricordo che a casa mia, a R o m a , negli a n n i
trenta circolavano - introdotti da una mia
cugina della F U C I , cioè universitaria cattolica - i d u e bei libri, i n edizione della
Morcelliana d i Brescia, d i Mario Bendiscioli,
Moenius, H e r w e g e n , W u s t su ~ R o m a n e s i m o
e germanesimo,> (1933: m a il libro era e n trato in casa - ce l'ho ancora - con una
dedica a una mia zia «fascista», che è del
febbraio 1937) e del cardinale Faulhaber,
arcivescovo d i Monaco, su «Giudaismo C r i stianesimo GermanesPmo - prediche tenute
in San Michele d i Monaco nell'avvento del
1933» (1934 - traduzione d i don Giuseppe
Ricciotti). O r a in India circolava u n libro d i
Gabriele Pepe («Il Medio
u n «anticlericale~~,
E v o barbarico d'Italia,,, 19411, che in chiav e antinazista polemizzava sul ruolo che
alla comUonente ~ e r m a n i c a attribuiva la
storiografia razzista. Eppure bisognava
recuperare u n superiore equilibrio, n o n cadere nel giuoco dell'avversario: ed ecco la
lettura della ~ H i s t o r yof Europen (del 1935)
del Fisher - questo inglese così .europeo» -,
ecco il commento che io e qualche amico
facevamo a i più giovani compagni d i prigionia - sbalorditi tra fascismo e antifascismo d i u n libro, che ha consumato molti
occhi, «L'età del Risorgimento italianon d i
A d o l f o O m o d e o - o v e il nostro risorgimento
è davvero inscindibile dal risorgimento
europeo -.
Così trascorsero quattro a n n i d i India:
m a n o n posso tacere che i n u n giorno
dellagosto 1945 andai al comando inglese,
deciso a scindere le m i e responsabilità da
quelle degli «alleati». Era stata atomizzata
Hiroshima ed io e b b i una violenta reazione
morale e quindi, dato il mio m o d o d i intendere la politica, anche politica. L'ufficiale
inglese m i rispose, col consueto humour,
0
*Il Corriere. (1 copia, 1 anna) era il giornale in lingua italiana, che circolava nei campi di prigionia indiani.
l'abituale consumata d i p l ~ m a z i ae anche u n
certo savoir faire pedagogico, che la b o m b a
atomica era stata una sorpresa americana;
che dubitava assai che il governo britannico
n e fosse stato informato; che anch'egli n e
era rimasto colpito; e che n o n riteneva,
d u n q u e , che io potessi sentirmi corresponsabile moralmente dell'«orribile evento» se
continuavo a collaborare con gli inglesi (i
laburisti - cioè i socialisti - erano appena
arrivati al potere ed era prossim? la luce del
sol dell'avvenire).
Quello che è certo, a parte l'episodio personale, è che una n u o v a ragione irrefutabile
si era ormai posta per la n e a z i o n e d i u n
governo mondiale: il discorso sull'anarchia
internazionale nell'èra delle a r m i nucleari
sarà u n o dei discorsi capitali del nostro federalismo degli a n n i cinquanta.
In conclusione v e n n i via dall'India a v e n d o qualche elemento in più per agire nel
m i o ritorno alla condizione d i u o m o libero.
Tra l'altro continuavo a riscontrare alcuni
pregi nelléconomia d i mercato - o, meglio,
nel mercato economico come componente
dell'economia -, m a m i ero fermamente
convinto che u n mercato «democratico>>non
può essere u n fatto spontaneo, poiché anche
questa libertà si ottiene (e si ristabilisce) col
potere politico; e che u n mercato internazionale «giusto. - debellando anche lo cscambio ineguale- - si può realizzare solo col
superare le sovranità nazionali, i n u n ordine
democratico sovranazionale. M i sentivo dz
10
,
confermare lc mia adesione al socialismo,
come via per realizzare l'autentica democrazia e, anche attraverso la pianificazione aarticolata., il primato della politica sull'economia e gli interessi settoriali: in sostanza m i
orientavo verso u n socialismo d i mercato,
rispettoso d e l l ' a ~ t o ~ o v e r nlocale,
o
antistatalista, federalista. La Federazione europea
era - doveva essere - l'obiettivo istituzionale della ricostruzione del continente devastato e il nostro contributo alla costruzione
della pace. Ecco, c'era un punto in cui talvolta mi sono poi trovato non del tutto
d'accordo con taluni teorici del federalismo:
se è vero che la ragion d i Stato è all'origine
dellanarchia internazionale e che tutto deve
cominciare dalla sovranità della legge, è altresì vero che il cittadino, a cui proponiamo
la Federazione europea, oggi, la Federazion e mondiale, d o m a n i (meglio sarebbe oggi
pomeriggio), ci chiede «per che fare?. e noi
gli dobbiamo una risposta soddisfacente.
Certo, per salvare la pace in un'èra in cui la
guerra può essere la fine del mondo: m a
COMUNI D'EUROPA
quanto rievocazione e interpretazione di un
periodo storico, ha poi un suo significato
positivo come documento della mentalità e
della crisi spirituale in cui è vissuta e si è
dibattuta la generazione, o taluni della generazione, del Ferrari. L'avere essa questo
carattere si deve alla profonda serietà e sincerità morale del Ferrarin. E aggiunge,
esplicitamente: *Libertà, nazionalità, democrazia, socialismo, assetto europeo, sono
sentiti come problemi del Risorgimento e
come problemi dell'ora attuale,,. Del resto
ha già riconosciuto sopra: «In sostanza, la
sua visione è quella della Sinistra democratica».
In classe Aldo Ferrari, con un tono di
distacco quasi freddo che sembrava collocarlo al di fuori di «inevitabili» giudizi, non
ci parlava per sottintesi. Sempre nei miei
quaderni d i appunti, alla data del 6 maggio
1935, c'è uno schizzo sulle posizioni nel
Risorgimento circa il ~ r o b l e n i asociale, ove
si parla di Mazzini, di Giuseppe Ferrari, di
Montanelli, del Gioberti del <<Rinnovament o » e di Pisacane (vedo scritto: apisacane
però è l'unico che si è occupato vastamente
del problema,>); poi io annoto testualmente:
«Partendo dalla teoria del minimo mezzo,
Fifì [era il nomignolo che gli davano i suoi
studenti della sezione C] approva (eccetto
Pisacane) la scuola SOC. [sociale? socialista?]
fia in quella sezione C del -Tasso» di Roma
italiana. Vuole cooperative agricole e opeAldo Ferrari. Egli era stato, nel primo venraie, credito agrario (il quale trasformi il
t e n n i ~del novecento, studioso («saggio cricontadino proletario in piccolo proprietatico,, del 1914 [Genova, Formigginil e sturio), azionariato operaio (applicato però anche all'agricoltura, ove si richieda una grandio rielaborativo nella «Nuova Rivista storide azienda da non smembrare); limitazione
ca>>del 1918) e presto seguace dell'omonidell'eredità. . . Inoltre: riforma tributaria
m o Giuseppe Ferrari, che - con Carlo Cattaneo, come ci spiegò poi nel '35 in classe - (disposta in modo che i ricchi paghino di
fu uno degli uomini rappresentativi dell'ala
più - sistema progressivo), riforma doganafederalista (sia pure con le riserve di Mario
le (non dogane su? beni di consumo necesBastianetto: cfr. «I1 Confederalista Ferra&,
sario), assicurazioni; istruzione gratuita».
nel mensile dell'Association Européenne des
Ma torniamo all'assetto europeo e al feEnseignants - Sezione italiana - «Scuola deralismo. In una lezione del 4 febbraio
d'Europa. del settembre 1973) della <<Scuola 1935, ove si parla di Mazzini e di Europa,
democratica,,, durante il Risorgimento itatrovo annotato: «I1 primo che coniò la forliano. Si era talmente invaghito della qscomula di Stati Uniti d'Europa è veramente il
pertan del grande Ferrari, il quale aveva
Cattaneo.. .D. I1 29 febbraio si affronta il
sostenuto la teoria dei quattro tempi di ogni
problema della Società delle Nazioni, già
periodo storico (della durata media di 125 toccato con Kant. Riporto il mio appunto
così com'è: «Tentativi di conciliazione inanni: preparazione, esplosione, reazione,
ternazionale: col congresso di Vienna venne
soluzione), da concepire e realizzare con
tentato l'accordo fra Stati, ora fra Nazioni fatica di un ventenni0 (progetto in «Nuova
rivista storica* del 1919, pubblicazione fra
C'è in questo caso un problema tecnico e
il 1923 e il 1938) una storia del Risorgimenun altro problema - Nella Soc. delle N a z .
pel problema dell'Eguaglianza (Portogallo
to in quattro volumi, ciascuno dei quali si
come Russia) si è deciso di costituire un
rifaceva a uno di, quei quattro tempi. La
Consiglio permanente - L'altro problema è
concezione «si rivela estrinseca e meccanica», commenterà - parlando dei due Ferrari
quello morale (vedi, riguardo alla Federa- Walter Maturi (v. <<Interpretazione del
zione, la condotta sleale degli staterelli itaRisorgimento,,, [Torino] Einaudi editore,
liani nel '400, al tempo della Lega italica) 1962): ma i volumi di Aldo, pubblicati tutti
In fondo un difetto è questo: Hitler non
nell'«èra» fascista, erano un'importante
tollerante all'interno lo sarà all'esterno? (veazione democratica e risultavano, in tempo
d i Kant) - U n altro difetto della Soc. delle
di viltà e di piaggeria, drammaticamente
Naz. è questo: non ha mezzo di sanzione.
educativi. Dirà Ernesto Sestan in un necroSe non si vuole una sanzione militare, si
logio di Aldo Ferrari pubblicato nella «Ri- prenda la decisione per una sanzione econovista storica italiana», nei 1940 (pp. 629-33)
mica - Difetto d i procedura: non si posso- necessariamente cauto ma con un falso
n o prendere che all'unanimità le decisioni
sulla morte [«una lunga malattia che gli
(vedi caso della Polonia): bisognerebbe ovamareggia gli ultimi giorni e lo spegne lenviare a questo inconveniente,,.
t a m e n t e ~ ] per me inspiegabile -: «L'opera
Fifì era un professore, fuori della stretta
lezione, di pochissime, anzi di nessuna padel Ferrari, discutibile nei suoi risultati in
oltre l'irenismo occorre anche rispondere con
una proposta positiva, operativa, aggregante. Io lasciavo l'India con due grossi interrogativi. Il primo: la fine dellassedio capitalistico all'Unione Sovietica sarebbe bastata
per far superare l'involuzione burocratica a
quel regime e riportare quel grande paese nel confronto con le più avanzate democrazie occidentali - agli inizi libertari della
rivoluzione, schiacciati in buona parte dallo
stesso «ottobre» (di cui si scusava la dittatura leninista come inevitabile momento giacobino)? Il secondo: nelloccidente avrebbe
prevalso lo spirito del new dea1 roosveltiano? quale sarebbe stata l'influenza su tutta
l'Europa e sul Commonwealth del Labour
party al governo dal luglio I945? (In effetti,
con l'eccezione dei federalisti, ben pochi
hanno voltito riconoscere con onestà il fallimento, via v i a , delle tre rispettive scommesse).
Bene: questa è la storia - una fra le tante
- della formazione di u n futuro militante
del Movimento Federalista Europeo.
prof. Aldo Ferrari: sezione C
Nei miei appunti di storia e filosofia di
terza liceo trovo, alla data del 15 dicembre
1934, che il professore ha richiamato, nello
sviluppo dell'idea (io scrivo «concetto>,)
liberale moderna, sei autori: 1) Locke, 2)
Rousseau, 3) Kant (per la pace perpetua), 4)
Humboldt, 5) Beniamino Constant, 6)
Stuart Mi11 (Saggio sulla libertà). La lezione
è di filosofia e il suo oggetto è la dottrina
politica di Kant. I1 mio suntino riporta:
.Kant è un liberale schietto; ammette solo
una distinzione fra cittadini passivi (i servi,
che tanto voteranno come il padrone) e
attivi. Dal punto di vista della libertà il suo
ideale è la Repubblica - Anche sul principio
della Nazionalità è esplicito - E' però un
liberale riformista.. Poi c'è una interruzione, per dar posto a un avviso su quel che
segue: *importante.. Ecco cosa è importante: *Dice che la Pace Perpetua è il fine
dell'umanità. H a due piani: 1) Provvisorio:
Federazione fra gli stati come sono; si deve
man mano ridurre l'esercito permanente; 2)
Definitivo: Federazione di stati repubblicani; aboliti gli eserciti permanenti». In un
quaderno precedente già era annotato, a
proposito di Kant: «Pace universale: unire
con carattere federale i vari stati, che
nell'interno siano liberi (repubbliche o monarchie costituzionali)*.
*Per la pace perpetua,, di Kant non era
opera che, arrivato alla fine delle secondarie, mi fosse ignota. L'avevo vista da anni nell'edizione con copertina rosa della *Universale,, Sonzogno (lire 1.20 al volume,
2.40 volumi doppi) - nella biblioteca di mio
padre, che qualche volta me ne parlava in
termini di completa adesione. O r a ci tornava sopra il mio professore, in un quadro di
federalismo esplicito, anche se talora non
adeguatamente distinto dal semplice confederalismo. Insegnava, infatti, storia e filoso-
gennaio 1979
gennalo 1979
rola. In tre anni d i liceo - in cui mi aveva
ù lusinghiero
trattato, a voti, in modo ~ i che
- credo mi abbia rivolto la s aro la, fuori
aula, una sola volta (mi ricordo: per le
scale), dandomi un biglietto d'invito a una
sua conferenza alla «Fondazione Besso»:
«Tenga, a Lei interessano queste cose».
Tutto qui. P u ò darsi che mi,fabbia difeso
quando - direi giustamente - in prima liceo
mi sospesero un mese commutato in quitidici giorni per «scorrettezza abituale* (ero
uno dei più efficienti organizzatori di casin o di tutto il «Tasso») e mi volevano invitare a lasciare l'istituto: ma n o n me lo ha mai
fatto capire. Tuttavia è stato uno dei ~ o c h i
professori che io abbia stimato seriamente
come uomo e che abbia esercitato una influenza sulla mia formazione politica.
Certo, io ero già arrivato al liceo con una
inequivoca avversione al fascismo maturata
in casa. Quanto nel libro .I1 lungo viaggio
attraverso il fascismo», di Ruggero Zangrandi, si riporta di me e della mia espulsione (come provocatore: e con me del mio
grande amico Ceschino Mazzei, orfano di
un sindacalista antifascista) da un «movimento letterario. - ma non proprio soltant o letterario -, di cui si era pubblicato un
ingenuo e contraddittorio manifesto in prima liceo, è di una esemplare fedeltà (anche
per questo io non h o mai condiviso la tesi
<(generazionista»- dell'antifascismo prodottosi per partenogenesi - del generoso, avventurista e candido Ruggero). La figura
gentile ed eroica di Schirru, .mancato» attentatore di Mussolini, rimaneva un mio
ideale. Mio padre, d'altra parte, mi aveva
istillato l'interesse per i problemi istituzionali, avevo sfogliato il classico manuale Barbera del «diritto costituzionale,, di V. E.
Orlando e, nel ginnasio superiore, mi ero
immensamente divertito con la «Storia del
diritto romano» d i Pietro Bonfante. Ma in
una traccia d i componimento, svolto per il
professore di italiano (intelligente ma fascista, questo) nel maggio del '35 l'influenza
«europeista» - di un particolare europeismo
democratico - di Aldo Ferrari è evidente.
I1 tema era: «Mentre partono le nostre
truppe per l'Africa Orientale: rimembranze
e prospettive per l'avvenire*. Sul problema
coloniale, debbo dire, si .riscontrano nello
svolgimento ambigui riferimenti ad Alfredo
Oriani, che nulla hanno a che fare con
l'insegnamento del mio professore di storia
e filosofia - non si tratta, infatti, dell'oriani
di cui Sestan ricorda, nel citato necrologio,
che all'inizio del secolo era stato accusato di
(<plagi»da Giuseppe Ferrari -: i riferimenti
hanno piuttosto a che fare con un problema
per me allora irrisolto, cioè sul come si
dovesse atteggiare, di fronte all'espansionismo altrui e all'apparente inerzia di Paesi
sottosviluppati aperti alla conquista, la condotta dell'Italia o addirittura dell'intera Europa. A un certo punto prospetto perfino,
curiosamente, l'organizzazione di un comune sbocco europeo in Africa, di fronte a un
Oriente che «s'è svegliato,, («il Giappone
~ r o c e d ea gran passi, la Cina è pronta per
partire»). Ma, a parte ciò, mi domando: «E
la Società delle Nazioni?,,; per rispondere:
* Q u i mi sia permessa una digressione. Nes-
COMUNI D'EUROPA
suno è più convinto d i me che un giorno,
quando i ~ o s t e r i~ a r l e r a n n o della nostra
genia bennata come noi discorriamo con
nostalgia degli antichi Arii [credo che a
questo punto io pensassi alla famosa dissertazione sul diritto presso gli Arii, che Bonfante premise alla sua citata «Storia»], si
arriverà alla pace universale. Per ora il sogno di Wilson - al quale peraltro la patria
di Wilson non ha mai preso parte - rimane
alla condizione di fantasma. Niente lega
universale, dunque [ricordiamo che la SOcietà delle Nazioni era, in inglese, la League of Nations]. Una lega europea, sì,
quella la credo possibile, anzi necessaria».
N o n si parla né di una vaga Unione, né di
una precisa Federazione, ma di Lega europea, perché - lo ricordo abbastanza bene lo richiedeva la comparazione con la Lega
(mondiale) delle Nazioni, di cui tenevo presente la critica di Aldo Ferrari sopra riportata: questa Lega europea poteva avere
competenze e procedure che l'altra, per ora,
non poteva o n o n riusciva ad avere, e contribuire efficacemente alla conservazione
della pace.
In quel 1935 presi la licenza iiceale e non
rividi più Fifì, con cui avevo svolto un
dialogo - diciamo così - senza parole. Per
esempio quando c'era stata la gara, periodica al «Tasso», per una composizione storica
e questa verteva, la volta che mi avvenne di
partecipare, sui rapporti tra Stato e Chiesa
dal periodo conclusivo del Risorgimento alla Conciliazione, criticai senza mezzi termini i modi in cui era stata attuata quest'ultima - come dannosi all'autonomia dello Stat o oltre che alla religione -: il professor
Ferrari era il giudice designato dal preside e
mi fu assegnato il premio, ma da lui non mi
venne direttamente nessun commento. Egli
chiese - credo l'anno appresso la mia licenza - di andare in una città di mare, per
ragioni di salute (qui c'è la scusante del
falso di Sestan sulla sua morte), e fu destinato a La Spezia; io me ne andai alla Scuola
Normale di Pisa. N o n seppi mai, fino a
questo dopoguerra, che il 14 agosto 1939
Aldo Ferrari si sparò in fronte «per disperata insofferenza d i u n regime oppressore di
libertà*, com'è stato scritto. Arrestato nella
primavera del 1939, aveva trascorso quattro
mesi in carcere per aver contribuito a una
sottoscrizione in favore della Repubblica
spagnola ormai allo stremo. Rilasciato, minacciato di nuove sanzioni, impossibilitato
ormai a continuare il suo magistero, si uccise con la pistola d'ordinanza, riportata a
casa dopo la guerra 1915-18, fatta da lui,
nello spirito dei riformisti alla Bissolati, come l'ultima guerra del Risorgimento. Ma
ora, invece della seconda tappa, quella del
Risorgimento europeo, era seguita l'agonia
della libertà, dilagavano il nazionalismo e il
razzismo, trionfava 1'Antieuropa.
L e autonomie locali
e la programmazione europea
(continuazione da pag. 5)
piena di tutte le risorse e una modifica
dell'attuale tipo di sviluppo.
Ecco perché le Regioni e gli Enti locali
avvertono sempre più che la programmazione industriale, agricola e dei servizi, il superamento degli squilibri regionali, l'assetto
del territorio, la difesa dell'ambiente da
vandaliche distruzioni e dall'inquinamento,
una ricerca scientifica al servizio di una
società a dimensione dell'uomo, hanno bisogno di risposte e della partecipazione di
tutte le comunità locali, con un respiro ed
una visione che superi anche i confini nazionali.
I1 piano triennale 1979-81 deve essere
l'occasione per realizzare un ulteriore decisivo salto di qualità nell'impegno delle Regioni e degli Enti locali del nostro Paese,
costruendo adeguate risposte ai problemi
dello sviluppo economico e sociale e a quelli dello sviluppo della democrazia.
Per stare con l'Europa e nell'Europa si
ripropongono così due obiettivi fondamentali:
1" l'avvio della programmazione;
2" il riordino istituzionale ed organizzativo dello Stato italiano.
I1 primo obiettivo va realizzato attraverso
un dibattito aperto e senza schematismi,
che coinvolga le Regioni e gli Enti locali;
un dibattito capace di costruire una prima
maglia di riferimenti e di obiettivi, che consentano di rendere operanti le g a n d i leggi
di settore, approvate - negli ultimi due anni
- dal Parlamento italiano ed elaborare coerenti piani regionali e locali.
I1 secondo obiettivo, oltre a proporre con urgenza - un nuovo ordinamento delle
Autonomie locali e della relativa finanza,
deve recuperare poteri e risorse alle decisioni ed al controllo delle assemblee elettive ed
efficienza della macchina dello Stato, quali
condizioni per tradurre il processo decisionale democratico in un'azione concreta di
indirizzo e di guida di un diverso sviluppo
economico e sociale; portando tali esperienze di partecipazione e sviluppo democratico
nel dibattito e nel confronto .al livello
europeo.
Si tratta d i un ampio impegno che p u ò e
deve ulteriormente qualificare il modo di
essere e di operare delle Regioni e del sistema delle Autonomie, per rinnovare il Paese
e collegarlo più saldamente ad un'Europa
che si accinge ad eleggere il proprio Parlamento. E' una scadenza importante, una
scadenza storica anche per le assemblee
elettive locali.
L'obiettivo dell'Europa unita va perseguit o dalle assemblee elettive con crescente decisione e deve realizzarsi nell'integrazione e
nel trasferimento dei poteri dagli Stati ad
istituzioni comunitarie democratiche. L'impegno e la fede europeisti vanno costruiti
ed espressi ad ogni livello e richiedono un
coerente atteggiamento anche dei singoli
Enti locali.
COMUNI D'EUROPA
Perché non possiamo
non dirci fe:deralisti
di Vito Diana
giudice istruttore
presso il tribunale militare
territori& d i Bari
<<I popoli, in quanto stati, potrebbero
essere considerati come singoli individui
che, vivendo nello stato di natura (cioè
nellYindipendenza da leggi esterne), si recano ingiustizia già solo per il fatto della loro
vicinanza; perci0 ognuno di essi per la propria sicurezza puì, e deve esigere dall'altro
di entrare con lui in una costituzione analoga alla civile, nella quale si p u ò garantire ad
ognuno il suo diritto»; ed ancora: .Come
l'attaccamento dei selvaggi alla loro libertà
senza legge, che li spinge a preferire di
azzuffarsi di continuo tra loro piuttosto che
sottoporsi a una coazione legale da loro
stessi stabilita, a preferire una folle libertà a
una libertà ragionevole, noi lo riguardiamo
con ~ r o f o n d odisprezzo e lo consideriamo
barbarie, rozzezza, degradazione brutale
dell'umanità, così si dovrebbe pensare che
civili (di cui ognuno forrna uno Stat o per sé) dovrebbero affrettarsi ad uscire al
più presto possibile da uno stato così
degradante.".
Tanto Kant scriveva in un suo saggio del
1795, tracciando un parallelo tra la «folle
libertà senza legge dei selvaggi» e la libertà,
senza coazione legale superiore, dei popoli
civili organizzati in Stati. Parallelo che ci
sembra valido sul piano della rispettiva condizione d'essere dei selvaggi e degli Stati
sovrani, gli uni e gli altri superiorem non
recognoscentes; ma che ci appare ancor più
significativo se esteso al piano della conseguenza che, da quella condizione anarchica,
inevitabilmente ne discende: nell'un caso
come nell'altro la legittima violenza di
ognuno contro tutti. L'anarchia, e cioè I'assenza d i un potere coattivo supremo, è la
causa e la legittimazione di ogni violenza e
di quella violenza totale e generale che è la
guerra.
Se questo è il quadro della situazione e
delle sue necessarie conseguenze, quale rimedio può suggerirci la Ragione?
La violenza materiale nei rapporti interindividuali è stata bandita ed è sostanzialmente scomparsa, almeno come fenomeno
normale, solo quando si è affermato un
potere - a tutti gli altri superiore - capace
di comandare, ma soprattutto capace di farsi ubbidire e di imporre il diritto come
tecnica per la soluzione delle controversie;
ciò grazie alla disponibilità da parte sua, ed
in condizione di esclusività, degli strumenti
della forza. U n potere cosiffatto, a tutti
superiore ed idoneo ad autogarantire la effettività dei propri imperativi e delle proprie
procedure giudiziarie, manca nello spazio
internazionale; in quest'ambito, pertanto, i
rapporti tra gli Stati - quando sono conflittuali - non possono mai trovare una composizione mercè il ricorso a quel *terzo
indifferente» che è il giudice, ma inevitabilmente sulla base o del negoziato diplomati* Dal <'Per la
pace perpetua. - I. Kant (1795)
co o della guerra: tecniche che rappresentan o - l'uno e l'altra - l'antitesi più pregnante
del diritto e della giustizia dal momento che
in esse, e a tacer di ogni altra considerazione, ogni Stato è contemporaneamente parte
e giudice in causa propria. Anche qui
Kant con parole che più adeguate non potrebbero trovarsi: «I1 modo con cui gli Stati
tutelano il loro diritto non p u ò essere mai,
come davanti a un tribunale esterno, il processo, ma solo la guerra». Ma quest'ultima,
a parte le devastazioni che comporta e la
perversione
che determina dell'animo
dell'uomo, costretto ad ammazzare un suo
simile che non conosce e che perciò n o n
può veramente odiare, non è comunque
giammai un sostituto adeguato delle procedure giudiziarie, giacché essa non risolve
ma taglia la questione di diritto, se è vero
come è vero che in guerra non vince chi ha
ragione, ma più semplicemente ha ragione
chi vince.
N é si p u ò utopicamente pensare ad un
giorno, per quanto lontano, in cui i contrasti siano definitivamente scomparsi nelle relazioni tra gli uomini come in quelle tra gli
Stati: questa pretesa, avanzata un tempo dai
democratici e più tardi dai socialisti e smentita dalle guerre intervenute tra paesi democratici ed oggi anche tra paesi socialisti (è il
caso del Vietnam e della Cambogia), non
trova conforto né nella storia né nella ragione; speranza fallace dunque, e forse nemmeno in sé auspicabile giacché il conflitto,
la gara - purché non assumano le forme
della violenza - hanno una loro positività
per la varietà ed il dinamismo di cui connotano la realtà. Il problema non è quindi
quello di eliminare i contrasti, appiattendo
l'uomo, negando la sua umanità che è diversità, che è libertà di scegliersi - tra le
opzioni dategli dal caso - i1 proprio irripetibile destino; il problema è di individuare un
m o d o di soluzione dei conflitti che non
abbia la brutalità e l'arbitrarietà della guerra: questo m o d o esiste ed è il Diritto.
Diritto però che non sia imperfetto come
oggi quello internazionale; che non sia cioè
come quest'ultimo solo norma, solo validità
ma non anche garanzia di effettività,
quest'ultima richiedendo necessariamente
un potere irresistibile che ne assicuri l'osservanza attraverso il monopolio della forza
e della decisione giurisdizionale. «Per gli
Stati che stanno tra loro in rapporto reciproco non vi è altra maniera razionale per
uscire dallo stato naturale senza leggi, che è
stato di guerra, se non rinunciare, come i
singoli individui, alla loro selvaggia libertà
(senza leggi), sottomettersi a leggi pubbliche coattive e formare uno Stato d i popoli
(civitas gentium), che si estenda sempre
più, fino ad abbracciare da ultimo tutti i
popoli della terra». Q u a n d o il quadro internazionale si atteggiasse in tal guisa, ecco
bandita IJ guerra, ecco realizzato il kaiitia-
gennaio 1979
n o regno dei fini, ecco soprattutto la pace
che non è quel periodo di tempo, più o
meno lungo, in cui le armi tacciono, pur
rimanendo la guerra sempre possibile e legittima, a questa situazione piuttosto addicendosi il termine d i tregua.
N o , la pace è qualcosa di più, e di più
complesso, concretandosi in quella condizione strutturale ed ordinamentale in cui la
guerra, come già oggi la violenza individuale, è posta fuori legge e perciò stesso resa
normalmente impossibile grazie al fatto (e
n o n alle generose ma velleitarie aspirazioni
dei pacifisti di ogni tempo) che l'uso legale
degli strumenti della forza è sottratto a tutti
meno che al potere supremo.
Questo regno della pace, dell'uomo f i nalmente fratello e non più lupo all'altro
uomo, lo si p u ò costruire federando tutti i
popoli in un unico e globale Stato federale
mondiale: meta, questa, certo lontana; lontana però per la Storia e non per la Ragione
e di cui comunque la federazione europea oggi possibile e perciò doverosa - rappresenterebbe una tappa ed una verifica. Rileggendo brani di uno scritto vecchio di due
secoli, abbiamo con Kant legato insieme
concetti e fenomeni a prima vista tra loro
assai distanti: l'anarchia internazionale, la
guerra, lo Stato federale, la pace. Da sernpre si è rimproverato alla dottrina federalista di essere soltanto un'arida, e per giunta
nemmeno stimolante, teoria giuridica descrittiva di un particolare modello di organizzazione statuale. Questo non è vero. I1
federalismo è certamente una teoria giuridica, ma è anche - e prima di tutto - una
dottrina globale, un m o d o generale, cioè, di
porsi e di orientarsi di fronte al problema
del corso della Storia, dell'uomo e del suo
esistere quaggiù: tutto questo perché il federalismo - come il liberalismo, come il
socialismo, come la dottrina cristiana - ha
pur esso un Valore supremo da proporre e questo valore è dato dalla pace, con un
titolo in più, forse, rispetto a quegli altri
ideali sopraricordati, se è vero che la libertà, la giustizia ed il cristiano amor del prossimo - in un mondo dilaniato dalla guerra o
comunque abbrutito dalla sua permanente
possibilità - sono solo una chimera o , peggio, una truffa alla Ragione.
dlell2fe r e s p a w b C Gr.sep~e Rozzoni
oretiore c3fnh.10 r.en1f co Frol L-cw S s r e l
daezione e redazione'
Roma- 116,Viale Castro Pretorio -Tdefono 464683
ammir.istmzione e abbonamenti
GRUPPO GIORNALISTICO EDAGRICOLE
Bologna - 31. Emilia Levante - C C p 8t.32028
abbonamento annuo, L 10003
gennaio 1979
COMUNI D'EUROPA
13
Cronaca delle Istituzioni europee
i chiaro-scuri del 1978
C o n «monotona. continuità « C o m u n i
d'Europa. torna a proporre ai suoi lettori
un riepilogo degli avvenimenti comunitari
dell'anno che si è chiuso.
Prima di mettere, gli uni accanto alle
altre, avvenimenti e date, cerchiamo di distinguere alcuni elementi caratterizzanti relativamente ai tre temi seguenti: istituzioni,
politica economica, identità esterna.
1. Istituzioni: come scrivevamo nelle
«cronache. di novembre-dicembre, il Parlamento europeo ha accresciuto, in modo costante e reale, il suo ruolo politico. In una
serie di settori-chiave dell'azione comunitaria (politica sociale, regionale, industriale,
bilancio, cooperazione con i paesi in via di
sviluppo ) l'Assemblea europea ha mostrato
con chiarezza come in essa sia prevalso il
senso della solidarietà e della responsabilità
politica, unito alla coscienza della necessità
di un forte sviluppo dell'integrazione comunitaria. Nella Commissione e, soprattutto,
nel Consiglio sono invece prevalse pericolose tendenze alla rinazionalizzazione delle
politiche comunitarie: la prima, ridotta ormai al rango di segretariato del Consiglio,
appare spesso come l'istanza nella quale già
si elaborano compromessi intergovernativi,
dove la riunione dei capi-gabinetto assomiglia sempre più ad una riunione del Coreper e la riunione dei Commissari ad una
riunione del Consiglio; il secondo ha raramente saputo dare seguito concreto agli impegni presi ad altissimo livello dai capi di
stato e di governo dei paesi membri. Spetta
a questo punto a governi come quello italian o e quello irlandese porre come condizione, per un normale funzionamento del nuovo Sistema Monetario Europeo, I'accettazione di un nuovo metodo realmente comunitario di comportamento di tutte le istituzioni.
2. Politica economica: le azioni, iniziate
o proseguite, nei vari settori della politica
comunitaria (stabilità monetaria, industria,
commercio, trasferimenti di risorse e incentivi agli investimenti) hanno mostrato, come
sottolineavamo nelle cronache di maggio,
tendenze fortemente protezionistiche, mancanza di una visione di insieme, mancanza
di collegamento con altri importanti settori
comunitari, come l'allargamento e la cooperazione con i paesi in via di sviluppo.
3. Identità esterna : grazie all'azione della
Commissione e agli stimoli del Parlamento
europeo, la Comunità ha mostrato qui una
posizione comune in alcune importanti trattative internazionali (dialogo Nord-Sud;
Fondo Comune per le materie ;rime, Gatt,
preparazione della Conferenza U N C T A D
d i Manila e del 3" decennio per lo Sviluppo). Restano tuttavia zone oscure nelle trattative per le quali la Comunità è impegnata
in prima persona: dialogo euro-arabo, rin-
di Pier Virgilio Dastoli
novo della Convenzione di Lomè e aiuto ai
paesi in via di sviluppo non associati. Le
prospettive di ampliamento della Comunità
a Grecia, Portogallo e Spagna appaiono poi
ancora fortemente condizionate dal prevalere di intetessi nazionali e corporativi.
Questi gli avvenimenti principali del
1978 :
31 gennaio: la Commissione presenta una
proposta per la creazione di uno strumento
finanziario per la promozione di investimenti nella Comunità (il cosiddetto .sportello Ortoli. dotato di 1.000 milioni di
unità d i conto europee). D o p o una lunga
trattativa fra Consiglio e Parlamento, il
progetto viene adottato nel mese di ottobre.
14 febbraio: il presidente Jenkins, presentando il programma della Commissione
dinanzi al Parlamento europeo, afferma che
l'esecutivo comunitario rafforzerà la sua
azione nella politica industriale, nella lotta
alla disoccupazione, nel rilancio dell'unione
economica e monetaria, nella politica di approvvigionamento e razionalizzazione delle
fonti di energia, nel miglioramento della
politica agricola comune, nella politica
commerciale e nella cooperazione con il
terzo mondo.
1" marzo: la Commissione rende noti i
suoi orientamenti per la politica di bilancio
a medio termine e per I'esercizio 1979, che
il Parlamento discute nelle sessioni di marzo e aprile e il Consiglio affronta nella
sessione speciale esterilfinanze del 3-4
aprile.
3 marzo: il Comecon fa il primo passo
formale per l'inizio delle trattative in vista
di un accordo di cooperazione.
3 aprile: viene firmato a Bruxelles un
accordo commerciale con la Cina, della d u rata di cinque anni.
7-8 aprile: il Consiglio europeo, riunito a
Copenhagen, definisce le linee di un rilancio dell'azione comunitaria che dovrà passare lungo tre direttrici: rafforzamento delle
istituzioni, lotta al terrorismo, azione concertata per la ripresa economica e la stabilità
monetaria. I1 Consiglio europeo fissa le elezioni europee al 7-10 giugno 1979.
19 aprile: la Commissione approva il cosiddetto .affresco.> sui problemi globali
dell'ampliamento.
12 maggio: il Consiglio dei ministri
dell'agricoltura approva i prezzi agricoli per
l'annata 1978-1 979 e il spacchetto mediterraneo .
1 7 maggio: la Commissione adotta un
documento di lavoro, presentato dal commissario Giolitti, sugli interventi della Corriunità a finalità strutturali.
1 9 maggio: la Commissione adotta il parere sulla domanda di adesione del Portogallo alla C E E .
22 maggio: la Confederazione Europea
dei Sindacati rende noto un memorandum
concernente la strategia comune per il rilancio economico.
25 maggio: la Commissione adotta il
progetto preliminare di bilancio delle C o munità per l'esercizio 1979: il progetto viene discusso dal Parlamento europeo nella
sessione di luglio.
5-6 giugno: il Consiglio esteri fa il punto
sullo stato dei lavori concernenti la strategia
comune per il rilancio; il dibattito si conclude con un nulla di fatto e per di più con
la constatazione delle battute di arresto di
alcuni consigli «specializzati. (energia, politica sociale e regionale).
SPINELLI, G R A N E L L I , LEZZI E S A N D R I . - A i Ministri degli affari esteri e
del bilancio e programmazione economica e a l Ministro per gli interventi straordinari
nel Mezzogiorno. - Per conoscere - premesso:
che il Parlamento europeo ha definitivamente adottato, nella seduta del 14 dicembre 1978, il bilancio generale delle Comunità europee per l'esercizio 1979;
che tale bilancio assegna al Fondo europeo di sviluppo regionale stanziamenti di
impegno pari ad un totale di 1.100 milioni di unità di conto europee (1 uce = 1.140
lit. c.a.), di cui 1.000 milioni di uce da ripartirsi secondo quote nazionali e 100
milioni di uce in una sezione fuoriq quota,,;
che, in base al regolamento del Fondo (articolo 2 , paragrafo 3, lettera a), il 39,9
per cento delle risorse sono assegnate all'ltalia secondo la ripartizione per quote
nazionali;
che le ulteriori risorse sono previste per azioni specifiche di sviluppo regionale,
secondo una diversa ripartizione al di fuori delle quote nazionali (articolo 2 ,
paragrafo 3, lettera b);
che l'Italia potrà dunque usufruire di 399 milioni di uce per I'esercizio 1979,
secondo la ripartizione per quote nazionali, oltre gli ulteriori stanziamenti assegnati
alla sezione «fuori-quota,, quali misure il Governo italiano si appresta ad approvare ed a rendere immediatamente operative per garantire che, nel corso del 1979, saranno impegnati tutta la
quota del FESR ed il .fuori-quota» che spettano alllItalia.
COMUNI D'EUROPA
14
6 giugno: il Consiglio accetta la domanda
di adesione del Portogallo.
gennaio 1979
L 'Aja nella tradizione federalista
6 - 7 luglio: si riunisce a Brema il Consiglio europeo, che adotta, fra l'altro, la procedura per la creazione del Sistema Monetario Europeo, accompagnata dall'affermazione della necessità di misure parallele d 1' SOstegno delle economie in difficoltà.
18 luglio: il Consiglio bilancio adotta il
progetto di bilancio delle Comunità per
l'esercizio 1979, con una serie di «tagli» alle
politiche comunitarie, già definite fondamentali da Commissione, Parlamento, C o n siglio finanze 3-4 aprile e Consiglio europeo di Brema; il progetto viene discusso dal
Parlamento europeo nella sessione di settembre.
23-25 ottobre: il Parlamento europeo
adotta un progetto d i bilancio modificato,
con una serie di emendamenti-chiave nei
settori della politica dei prestiti, politica
regionale, politica agricola, politica sociale,
politica industriale ed energetica, cooperazione con i paesi in via di sviluppo.
20 novembre: il Consiglio finanze adotta
i documenti d i base per la creazione dello
SME, in preparazione del Consiglio europeo di dicembre.
20 novembre: il Consiglio bilancio esamina il progetto d i bilancio adottato dal
Parlamento; dopo aver respinto una serie di
emendamenti nella politica sociale, industriale, energetica e dei prestiti, il Consiglio
accetta (per la posizione favorevole di Italia,
Gran Bretagna e Irlanda) l'emendamento
sul Fondo regionale.
4-5 dicembre: si riunisce a Bruxelles il
Consiglio europeo, che definisce I'instaurazione dello SME e alcune misure parallele;
l'Italia e l'Irlanda, a causa dell'esiguità del
sostegno finanziario per le economie in difficoltà, posticipano I'adesione al 12 dicembre (Italia) e 19 dicembre (Irlanda). La
Gran Bretagna annuncia un periodo d i
.meditazione» di sei mesi.
14 dicembre: il Presidente del Parlamento
europeo, Emilio Colombo, dichiara adottato il bilancio delle Comunità europee per
l'esercizio 1979, così come era stato inviato
all'Assemblea dal Consiglio, e quindi con
l'aumento del Fondo regionale da 620 a
1.100 muce. Colpisce gli ambienti parlamentari l'atteggiamento rinunciatario e sostanzialmente «filo-consiglio» del Movimento Federalista Europeo, che critica la
decisione del Parlamento (Le Monde rincara
la dose accusando l'Assemblea di «colpevole
leggerezza,,).
18 dicembre: la Commissione decide di
dare esecuzione al bilancio adottato dal Parlamento europeo.
I8 dicembre: il Consiglio finanze adotta
le misure principali legate all'applicazione
dello SME, affidando ai colleghi del Consiglio agricoltura l'introduzione dell'ECU
nella politica agricola comune; la riunione
di questo Consielio si conclude con I'irripilegato allyabolizione d e i l i
importi compensativi monetari e con il rinvi0 sine-die dell'entrata in vigore dello
SME.
francesz
XIII STATI G E N E R A L I D E L C O N S I G L I O D E I C O M U N I D ' E U R O P A
(L'Aja, 9-12 maggio 1979)
Tema generale: *L'impegno delle comunità locali e regionali per una nuova società
europea*.
N.B. le schede di iscrizione devono essere inviate all'AICCE
il 20 aprile.
- Piazza di Trevi, 86 - Roma, entro e non oltre
11 XVI Congresso sovranazionale dell'Associazione dei giornalisti europei si è tenuto a L'Aja il 6-7-8 ottobre
scorso, alla presenza delle massime autorità olandesi e della Comunità europea. Al termine dei lavori è stato
eletto il nuovo Consiglio direttivo che ha deciso, fra l'altro, I'adesione di tutta l'associazione alle manifestazioni delle altre organizzazioni federaliste ed in particolare dei prossimi Stati generali del CCE che si
svolgeranno nella stessa città.
Nella foto: la seduta inaugurale del Congresso nella Ridderzaal. In prima fila le autorità con, in primo
piano, il ministro degli esteri olandese van der Klaauw e il principe Bernardo.
COMUNI D'EUROPA
gennaio 1979
Riflessioni su
"La Germania e l'Unità eu-ropea"
di Marcello Petriconi
.,
Nella storia d'Europa la Germania ha
rappresentato un punto di riferimento costante, da sempre. La sua posizione strategica a cerniera tra est ed ovest ha costituito
la sicurezza o il pericolo, la grandezza o la
miseria, la pace o la guerra nel vecchio
continente. Le forze vitali da essa sprigionate hanno avuto un valore massimale, assoluto, nel bene come nel male.
Nel momento in cui gran parte di questo
vecchio continente si appresta a porre le
basi per il suo profondo rinnovamento attraverso il superamento del principio stesso
della sua decadenza - lo stato nazionale -,
il nodo della Germania si ripresenta come
quello più importante da sciogliere.
N o d o , direi, e non «questione tedesca,,,
se per questa si continua ad intendere il
risorgere di tendenze imperialistiche-egemoniche sostenute da una agguerrita struttura
industriale-militare.
La guerra - e la storia - ha cancellato
definitivamente una tale struttura economico-sociale e suonerebbe solamente pretevolerne a tutti i
stuoso e pregiudizievole
costi ricercare oggi elementi di presenza e
continuità nell'attuale Germania.
11 nodo, dunque, della presenza e del
ruolo della Germania nella futura Europa è
e resta quello scaturito dalla seconda guerra
mondiale: la separazione in due stati distinti
a sistema politico, economico e sociale profondamente diversi. C i ò implica pertanto
un profondo ed attento esame, che del resto
non è stato finora mai affrontato organicamente, di un quesito fondamentale: se vi è
compatibilità tra la politica di unificazione
europea, in corso, e la politica di riunificazione delle due Germanie, in fieri. E di
conseguenza, quale delle due politiche sia
preminente per gli interessi della Germania
e dell'Europa.
U n contributo prezioso e puntuale a questo interrogativo viene ora apportato da
Sergio Pistone ( L a Germania e l'unità europea, Guida editori Napoli, L. 3.000) che
ripercorre il lungo e difficile cammino attraverso il contraddittorio evolversi della problematica tedesca negli anni del dopoguerra.
D'altra parte i timori che del resto ancora
oggi tornano ad affiorare in molti ambienti
europei, di una posizione d i crescente d o minio della R F T nei rapporti comunitari ed
internazionali, risollevano certamente antichi sospetti che potrebbero risultare nefasti
per il futuro stesso dell'Europa, soprattutto
in un momento in cui l'elezione diretta del
Parlamento europeo rappresenta una pietra
miliare del cammino irreversibile verso
l'edificazione dell'unità politica.
Ricercare, quindi, una giustificazione a
questi timori nella sempre più evidente guida economico-monetaria che caratterizza la
presenza tedesca nel sistema dei rapporti
-
intercomunitari, significa voler per di più1
travisare il senso reale della «potenza» tedesca, che è e resta strettamente collegata al
sistema occidentale e da esso dipendente,
certamente non capace di svilupparsi in autonoma o antitetica direzione.
Per questo, proprio coloro che hanno
espresso timori in un recente passato individuando nella Ost-politik, propugnata da
Willy Brandt, una forma di progressivo
sganciamento dagli interessi ed alleanze occidentali per ricercare, in una neo-oscillante
posizione tra est ed ovest, la possibilità di
riunificazione delle due Germanie, hanno
solamente evidenziato la propria incapacità
a concepire le situazioni di movimento e la
politica di dialogo, restando così ancorati a
concezioni di chiusura e contrapposizione
nei rapporti politici internazionali, che hanno rischiato di portare l'Europa sul ciglio
del baratro.
L a scelta europea della Germania è stata
ed è inequivocabile. E' pur vero che
nell'immediato dopoguerra alcune perplessità caratterizzavano gli orientamenti dei partiti politici. Ma esse erano solo il riflesso
della perplessità e dei disorientamenti delle
forze di occupazione. Le proposte di
smembramento del paese avanzate a Potsdam proprio da Truman non potevano non
lasciare il segno negli uomini politici tedeschi chiamati a fare i conti con le dure
conseguenze della disfatta.
F u del resto lo stesso Adenauer a ribadire
ancora nel 1949 che approvava la neutralizzazione della Germania «sul modello della
Svizzera», mentre il suo partito - la C D U affermava testualmente nel 1945: «Naturalmente noi vogliamo che qualsiasi tipo di
addestramento militare o paramilitare sia
bandito,,.
C h e pochi anni dopo (6 luglio 1953) dovesse affermare Adenauer che «la missione
della Germania è di salvare l'Europa occidentale e la cristianità occidentale», mentre
«la riunificazione avverrà» quando ci sarem o «armati fino ai denti», saltando in tal
modo a piè pari tutta la storia del Terzo
Reich e spostando al 1937 anziché al 1945
le rivendicazioni del suo governo, evidenzia
più che le contraddizioni e le oscillazioni
dei partiti politici e dei singoli uomini, la
stretta dipendenza alle scelte politiche e
strategiche delle forze di occupazione. Nel
caso specifico, il diverso orientamento d o p o le incertezze iniziali - che prevalse
nella politica statunitense.
C h e proprio la politica Adenaueriana
mancasse d i una prospettiva di azione politica a lunga scadenza e risultasse passiva
non solo alle scelte americane, ma anche
francesi, viene lucidamente analizzato nel
saggio di Altiero Spinelli, contenuto nel
volume.
L'avvio della politica del dialogo, operato
da Kennedy, fece crollare la concezione
anacronistica della dura contrapposizione
(dottrina Hallstein) e del rifiuto sistematico
di ogni confronto e negoziato.
L'erezione del muro di Berlino testimonia per l'appunto il fallimento e la perniciosità di certe scelte politiche.
Ma anche per i socialdemocratici l'esperienza non fu certamente molto diversa sotto certi aspetti. L o spirito europeistico affermato dalla SPD trovava una linea continua di sviluppo, avviata con il programma
di Heidelberg nel 1925 e riafferiiiata da
Schummacher all'indomani del suo rilascio
dai lager nazisti.
Ma l'europeismo dei socialdemocratici si
raffreddò ben presto per la sostanziale indifferenza, se non proprio strisciante o p posizione da parte degli inglesi, al cui governo si trovava il partito fratello laburista.
Sui laburisti la SPD contava in inaniera
determinante per riinuovere i manifesti
pregiudizi degli aniericani per il partito
«rosso».
Neppure Ollenhauer, che trascorse l'esilio a Londra e quindi era in stretti rapporti
con il partito laburista, riuscì a modificare
l'atteggiamento isolazionista britannico. N é
risultati migliori si ottennero con i socialdemocratici svedesi, anch'essi al governo, ma
ugualmente distaccati verso ogni processo
di unificazione europea. Quindi le scelte
delle forze di occupzzione risultavano punitive per la SPD, mentre appariva sempre
più chiaro che l'avvio del processo di unità
europea assumeva una impostazione settoriale ( C E C A , C E D , C E E , E U R A T O M )
i cui benefici sarebbero stati ancora una
volta del !grande capitale. Veniva imboccata ciot una strada che avrebbe condotto
alla rinascita ed al rafforzamento degli
interessi nazionali ed, in definitiva, alla
riedificazione di una forte articolazione
statale che era stata all'origine del conflitto
mondiale.
Nulla rimaneva, viceversa, degli impegni
tesi a ricercare un nuovo ordine politico,
sociale ed economico necessario per l'Europa dopo la catastrofe della guerra.
Quale di queste due concezioni abbia
contribuito al chiarimento del «nodo. tedesco ed alla realizzazione dell'unità europea,
è certamente ancora presto poter indicare
con chiarezza. La partita non solo è ancora
aperta, ma nonostante siano trascorsi più di
venti anni dai trattati di Roma, l'aspirazione
verso una reale unità politica resta in gran
parte tale.
I1 prezioso lavoro di Pistone ha certamente il pregio d i affrontare la complessa
tematica attraverso l'ottica di autori di diversa formazione politico-culturale i cui
saggi, p u r nelle comuni premesse federalistiche, mostrano pluralità di giudizio ed
argomentazioni.
Forse un pizzico di ottimismo di troppo
ed alcune semplificazioni di giudizio si registrano nell'introduzione dell'autore che tradiscono l'impegno dell'uomo di parte - il
federalista - e non rispecchiano viceversa il
necessario distacco dello storico del pensier o politico.
COMUNI D'EUROPA
16
P
-
-
gennaio 1979
-
al Bureciu del CCE dell'Aja
L a mobilitazione del CCE
per le elezioni del Parlamento europeo
I1 Bureau del Consiglio dei C o m u n i
d'Europa si è riunito a L'Aja il 7 dicembre
1978 per esaminare un ordine del giorno
comprendente problemi politici generali e
questioni più specifiche attinenti la preparazione d e i X I I I Stati generali dei C o m u n i
d'Europa, che si terranno nella stessa città
dal 9 al 12 maggio '79. C o n la partecipazione d i tutti i rappresentanti delle diverse
Sezioni nazionali del C C E si è proceduto
all'analisi delle attività fin q u i realizzate in
vista delle prossime elezioni dirette del Parlamento e u r o p e o e alla elaborazione dei
p r o g r a m m i d a realizzare nei mesi che ancora ci separano d a questa rilevante scadenza.
N e è emerso u n q u a d r o d i grande interesse perché, sottostante alle varie iniziative, vi è la specificità delle diverse situazioni
nazionali d i fronte ai problemi dell'unificazione europea, soprattutto per q u a n t o riguarda l'atteggiamento delle f o r z e sociali, le
reazioni dell'opinione pubblica e il grado d i
informazione dei cittadini chiamati ad esercitare il diritto d i voto. Il dibattito s u q u e s t o p u n t o dell'ordine del giorno si è q u i n d i
ampliato - e n o n poteva essere diversamente - fino a comprendere l'esame della posizione dei vari paesi membri alla vigilia delle
elezioni: lo stato del dibattito politico intern o , i meccanismi delle leggi elettorali, le
iniziative che le singole sezioni del C C E
vanno assumendo per incidere c o n sempre
maggiore efficacia sull'opinione pubblica
ancora scarsamente sensibilizzata. Q u e s t o
c o n f r o n t o di esperienze e di programmi è
C o n v e g n o s u : «Costituzione e Regioni nella prospettiva dell'unificazione europea.
promosso d a l C o m i t a t o per il X X X
Anniversario della Costituzione press o i1 Consiglio regionale della Puglia e
dalla Associazione italiana per il C o n siglio dei C o m u n i d ' E u r o p a
relazioni di:
Luigi Tarricone, Michele Di Giesi,
Massimo Severo Giannini, Gunther Puttner, Nicola Quarta,
Gianfranco Martini, Michele Pistillo, Antonio Giolitti, Emilio
Colombo.
(Lecce, 17-18 m a r z o 1979 - H o t e i
Risorgimento)
apparso d i grande utilità tenuto c o n t o del
modello federale cui si ispira l'organizzazione del Consiglio dei C o m u n i d'Europa nel
quale le singole Sezioni nazionali, p u r nella
l o r o autonomia, contribuiscono in m o d o
convergente alla linea politica c o m u n e
dell'Associazione e , quindi, a una sua presenza coerente nelle varie realtà nazionali
o v e essa è chiamata ad operare. Il panorama
che è emerso dal dibattito ha inoltre d i m o strato l'importanza della presenza capillare
d i decine d i migliaia di amministrazioni locali in grado d i farsi soggetti attivi d i una
campagna d i informazione e di mobilitazione europea senza la quale anche lo specifico
e necessario intervento dei partiti, nella parte finale del periodo pre-elettorale, rischia
d i trovare nei cittadini degli interlocutori
incerti e m e n o ricettivi.
I m e m b r i italiani del Bureau h a n n o illustrato gli obiettivi e gli orientamenti generali della Conferenza che il Consiglio dei
C o m u n i d'Europa, tramite la sua Sezione
italiana e la Regione Lazio, organizzerà a
R o m a dal 29 al 31 m a r z o sul tema: « L e
Regioni per la nuova E u r o p a . Dalle Regioni
periferiche dell'Europa l'impulso per u n
equilibrato processo d i sviluppoa. Q u e sta iniziativa costituirà il m o m e n t o conclusivo d i una serie di convegni d i carattere
e u r o p e o destinati a concentrare l'attenzione
degli enti territoriali e delle forze politiche e
sociali s u specifici temi d i rilevanza essenziale per il futuro dell'unificazione politica
dell'Europa in vista delle elezioni europee
che costituiscono senza d u b b i o u n m o m e n t o di verifica dello stato dell'inteerazione e
delle condizioni che ne determinano i necessari sviluppi.
La preparazione dei X I I I Stati generali
del C C E , d i cui p u r e il Bureau si è occupat o , n o n si è limitata a problemi puramente
organizzativi, m a ha consentito u n utile
scambio d i idee, seppur d i carattere generale, sui d u e temi nei quali si articoleranno i
lavori: quello più propriamente politico (I
nuovi compiti del C C E d o p o le p r i m e elezioni europee dirette) e quello più legato ad
esperienze d i gestione amministrativa, anche
se c o n notevoli caratterizzazioni politiche
(I1 rinnovamento del q u a d r o d i insediament o u m a n o e d i vita - una sfida sociale).
D u e appositi gruppi d i lavoro provvederanno del resto a fornire gli orientamenti
collegiali per le d u e relazioni, che d o v r a n n o
in tal m o d o rispecchiare l'orientamento d i
tutta l'Associazione. E ' stato anche introd o t t o u n elemento d i novità nel programm a , rispetto alle edizioni precedenti. La
seduta plenaria del secondo giorno sarà riservata ad u n dibattito politico generale al
quale parteciperanno i maggiori rappresentanti delle diverse formazioni politiche che
siedono nel Parlamento e u r o p e o e che si
confronteranno nella campagna elettorale.
Essi saranno chiamati ad esporre gli s p e t t i
più significativi dei rispettivi p r o g r a m m i
elettorali e a rispondere alle d o m a n d e che
gli eletti regionali e . locali (si prevedono
2.500 partecipanti) p o r r a n n o loro. La circostanza che gli Stati generali si svolgano esattamente il mese prima della data delle elezioni, contribuirà senza d u b b i o a d animare
il dibattito e il c o n f r o n t o .
I1 Bureau si è anche occupato dell'attività
del C o m i t a t o consultivo degli enti regionali
e locali degli Stati m e m b r i della C o m u n i t à
che il CCE ha promosso e stimolato in
questi ultimi mesi. P u r consapevoli d i alcune difficoltà che ancora r e n d o n o m e n o sped i t o ed efficace il passo d i d e t t o organismo,
il Bureau ha riconosciuto che esso rappresenta, allo stato attuale, l'unico canale d i
dialogo tra le autorità territoriali e le istituzioni comunitarie, in p r i m o l u o g o la C o m missione e il Parlamento. La delegazione
italiana in d e t t o C o m i t a t o si è fatta sempre
portavoce delle esigenze di un rafforzament o d i d e t t o organismo, d i una sua maggiore
incidenza nell'ambito comunitario, d i una
più attenta sensibilità politica dei rappresentanti comunitari verso la partecipazione delle autonomie territoriali alla costruzione d i
un'Europa unita, partecipazione che, spesso
riconosciuta necessaria nelle dichiarazioni
ufficiali, trova poi resistenze ed ostacoli al
m o m e n t o delle concrete realizzazioni.
I1 Bureau ha proceduto infine all'esame
del progetto d i bilancio di previsione per
l'esercizio 1979 che è stato approvato.
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