Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 - 00187 ROMA ANNO XXVII - N. 1 Gennaio 1979 Spedizione In abbonamento postale - Gruppo 111170 - ORGANO MENSILE DELL' AICCE, ASSOCIAZIONE da.1 quartiere alla regione per una Comunità europea federale . UNITARIA DI COMUNI, PROVINCE, REGIONI Come non ci si prepara alle elezioni europee Temiamo che i partiti italiani non abbiano ancora idee molto chiare sull'impostazione di una campagna elettorale europea. Anche sulle reazioni dell'elettorato notiamo che essi nutrono preoccupazioni e incertezze dovute a un atteggiamento tutto sommato passivo e alla cattiva coscienza di non saper presentare obiettivi politici razionali, chiari, irrefutabili. E' certo che l'uomo comune italiano, I'impolitico uomo della strada, è forse men o disponibile all'unità europea oggi che trent'anni fa. Trent'anni fa capiva molto bene, anche se genericamente, cosa volesse dire creare gli Stati Uniti d'Europa. Anni ed anni di opposizione' preconcetta all'Europa unita o di freddezza verso di essa di monetari e di finanza pubblica. di Dieter Biehl. una parte delle forze politiche italiane; di europeismo scioccamente trionfalistico, strumentale e gestito solo domenicalmente di altre forze politiche italiane; d i crescita distorta o di esiti abortivi della Comunità europea hanno fortemente demoralizzato e preoccupano la gente. Oggi i milioni d i emarginati della società italiana - ed essi si trovano al sud ma anche al nord, sono contadini, operai, sottoproletari, piccoli borghesi, ma anche giovani del ceto medio che si trovano spinti ai margini dell'Italia dei lavoratori con duplice e triplice impiego, dello sfascio amministrativo, delle industrie parassitarie, dell'evasione fiscale, del corporativisn~o dilagante - temono che l'Europa unita sia per essere la proiezione macroscopica di questa situazione nella quale *chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuton. Anzi non « t e m o n o » , ma hanno una autentica nausea nei riguardi di una eventualità del genere. E' quindi molto grave l'errore d i coloro che vogliono impostare una campagna euro- COMUNI D'EUROPA pea timida ed economicista. N o n che non si debba parlare di questioni economiche, ma esse vanno collocate in un chiaro discorso sulle istituzioni europee, sul loro valore e sul rinnovamento della vita politica. La ricerca del «sacro. (parliamo dell'aspetto quasi superstizioso di questa ricerca, non della genuina propensione alla religiosità) e il rifugio nel «privato. sono notoriamente sintomi di una democrazia che sta andando in cancrena, lo vogliano o no vedere i partiti nazionali: l'Europa deve essere il campo in cui si ripropone con assoluto coraggio il ritorno alla politica delle giovani generazioni e la piena affermazione della loro volontà di cambiare il inondo. Occorre soprattutto chiarire che le elezioni europee sono un momento fondamentale della lotta contro I'emarginazione politica di tutti i non conformisti e di coloro che non fanno parte delle consorterie assai chiuse, che gestiscono abitualmente il potere. In questo quadro va sottolineato - senza tante funiosità teoriche - perché il confederalistno i. ingiusto prima ancora che irrealisrico, ci02 perché I'Europa intergovernativa può solo proceciere male (cioè con vantaggio dei forti, dei ricchi e dei seduti). In essa, molto antidetnocraticamente, prevale un p001 di esigue tninoranze. Giscard era partito rilanciando l'idea delle elezioni europee e poi negoziando la moneta europea, ed è finito in un contorsionisino confederalista perché una parte dei gollisti, sui quali si regge la sua maggioranza, lo ricattano. Schmidt si era reso conto che una unione economica e monetaria doveva implicare un coraggioso disegno di simultanea avanzata verso la moneta reale europea, verso la convergenza delle economie dei paesi membri e verso una sostanziosa perequazione economico-finanziaria fra ricchi e poveri (tutti legati al destino <<comunitario,,dello sviluppo di un gruppo di paesi dalle innumerevoli interdipendenze) ed è finito prima per ridurre, premuto da interessi assai limitati e sino quasi a capovolgere il suo disegno originario, un progetto di chiara tendenza sovranazionale in un modesto progetto strumentale al commercio tedesco, per poi cadere nei riguardi dello stesso partner francese sotto il ricatto interno di un ministro legato agli interessi degli agricoltori bavaresi, ministro che in barba a tutta l'Europa può decidere quasi da solo di buttare a mare la maggioranza del cancelliere tedesco. Lo stesso allargamento della Comunità diviene in questa prospettiva un elemento fondamentale di un modello politico e ideale, con cui dobbiamo portare all'Europa persone sottovalutate dai partiti tradizionali (dal ceto medio povero, senza difesa sindacale, agli ecologi e a tutti i cittadini che, superato il momento corporativo della giornata, riescono a interrogarsi sul proprio destino di pendolari, di nomadi, di frustrati, di esposti alle radiazioni nucleari, al surriscaldamento dell'atmosfera, alla rovina cliFoto in prima pagina: (sopra) I1 palazzo dei congressi a L'Aia dove, dal 9 al 12 maggio si terranno i XIII Stati generali; (sotto) la bandiera d'Europa al Comune di Verbania: il corteo con il sindaco Francesco Imperiale e i rappresentanti dei Comuni gemellati. matica dovuta al taglio a ritmo vertiginoso delle foreste, tropicali O no). Il C C E ha già chiarito a Magonza il legame tra unione economica e monetaria, rilancio del problema istituzionale e allargamento della Comunità, in una sintesi in cui l'Europa unita deve darci la garanzia (sta a noi guadagnarcela e le elezioni europee devono apparire come sono - uno strumento a d hoc) di saper affrontare il doppio problema dell'equilibrio del terrore gestito dalle superpotenze (l'Europa uiiita deve saper lottare per la ciistensione c per il rilancio delle Nazioni Unite) e dello scambio ineguale tra nord e sud del pianeta, fra industrializzati e quarto mondo. Q u i va aggiunto che non c'è soluzione del problema nord-sud, non c'è possibilità di realizzare una politica europea contro la disoccupazione, non c'è possibilità di gestire una moneta europea e un programma economico europeo, non c'è possibilità di contribuire alla distensione, se l'Europa non si saprà dare rapidamente un suo governo, trasformando la Commissione di Bruxelles in un esecutivo efficace e responsabile al Parlamento europeo eletto e anche - perché n o ? - al Consiglio dei ministri della Comunità, considerato come un senato comunitario degli stati. Altro che confederalismo alla Giscard! Si teme molto, durante i prodromi di questa campagna europea, di toccare il tema dei poteri del Parlamento europeo. Errore, errore gravissimo. I1 Parlamento europeo da una parte dovrà diventare, per ripetere l'espressione di Brandt, una costituente permanente, sfruttando tutte le pieghe dei Trattati di Roma e di Parigi e tutte le occasioni che si presentino; ma dall'altra esso dovrà anche pretendere di essere l'autentico Saggio dell'Europa, chiedendo ai tre ometti (i Saggi designati dal vertice di Bruxelles) di rimettere le loro cogitazioni alla riflessione definitiva e palese della rappresentanza eletta di tutte le forze politiche europee. N o n è il caso che i tre ometti consegnino le loro proposte a diplomatici di carriera e a governanti minacciati di ricatto affinché, nella più oscura clandestinità, ci preparino il destino prossimo venturo. N o n spaventiamoci dunque delle minacce di certe forze politiche nazionali anche democratiche, ma certamente arcaiche, opportuniste e miopi, che tuonano contro le possibili <<prevaricazioni»dei futuri parlamentari europei. E'. scontato che al momento del salto di qualità non solo e non tanto si abbia un rigurgito di nazionalismo in sé e per sé, ma soprattutto di nazionalismo istigato e protetto dagli interessi costituiti, che temono di essere fatti fuori per il bene comune di tutti gli europei. Per fare I'Europa bisogna non temere chi la minaccia. L'Europa unita nascerà anche dal sangue freddo, oltre che dalla coerenza e dalla fiducia nella ragionetolezza - malgrado il «terrorismo» nazionalista - degli europei. Ma abbiamo le carte in regola? I partiti democratici fanno bene a organizzarsi a livello multinazionale (plurinazio.naie) o , meglio, sovranazionale: quindi è bene si prepari un Parlamento eletto dalle nazioni del popolo europeo, che agirà sem- gennalo 1979 pre di più per gruppi politici e non per rappresentanze nazionali. Ma stiamo attenti che i compromessi sovranazionali dei programmi dei partiti non siano accordi al livello più basso, scaturiti dalla somma delle remore corporative di ciascun paese. Ricordiamoci che all'atto pratico il Parlamento europeo vedrà un confronto superpartitico tra i parlamentari federalisti, cioè i veri ed unici progressisti, e i parlamentari che rappresenteranno le diverse conservazioni nazionali (cioè coloro che vogliono che 1'Europa rimanga debole). Se queste sono le prospettive politiche, provvedano i partiti a non presentare come candidati alle elezioni europee (parliamo di quelli destinati a riuscire) alcuni tenori, che faranno rare comparse al Parlamento eletto per rientrare poi ogni volta precipitosamente a casa a godersi in santa pace I'usufrutto del potere nazionale, accanto a uiia serie di rifiuti di magazzino, cioè gli amici e i compagni di cui ci si deve sbarazzare. L'identi: kit di ciascuno dei parlamentari europei eletti - dico di quelli dei partiti che si considerano europeisti - deve essere coerente con I'identikit che noi ci proponiamo di fare assumere all'Europa. Il loro lavoro europeo, inoltre, deve essere (anche se non sono rifiuti di magazzino) a pieno tempo: o non sapranno rinunciare a fare, a mezzo servizio, i cooperatori domestici? u. S. P.S. L'ipotesi di elezioni anticipate quindi pritna o durante le elezioni europee di giugno - non è auspicata, a parole, da nessuno, ma non è detto che non sia sottobanco vagheggiata da nessuno: ebbene, essa è, diciamolo francamente, una minaccia tout court alla democrazia. Esse farebbero guardare con minore intensità al fatto erivoluz i o n a r i o ~ delle elezioni dirette del Parlamento europeo o lo farebbero guardare con un occhio distorto da preoccupazioni aminori», quelle italiane che si fermano ai confini d'Italia. La democrazia italiana è strettamente collegata alla democrazia europea: multinazionali, fonti energetiche, occupazione, mezzogiorno sono tutti problemi che non ha senso risolvere senza un confronto, anche durissimo, con gli altri consociati della Comunità. Ciò non diciamo, sia ben chiaro, perché trionfino a più alto livello gli interessi italiani particolaristici, ma per far trionfare le nostre tesi europee più avanzate (federaliste, dunque giuste) contro le tesi confederaliste, delle <<due velocità., della Guadalupa che detta legge alla C E E , tutte chiaramente prevaricatorie e inaccettabili. Si rendono conto le forze democratiche italiane - nessuna esclusa - della gravissima responsabilità di cui, nel caso di elezioni anticipate, potrebbero caricarsi? Se non siamo capaci di portare avanti una proposta direttamente sovranazionale, democratica, audace all'interno della Comunità, non saremo neanche capaci di superare la crisi di credibilità, che purtroppo ha colpito (solo ipocrisia ed omertà possono dissimulare questa realtà) le istituzioni democratiche italiane, il nostro stato, la nostra repubblica nazionale. gennaio 1979 COMUNI D'EUROPA 3 Ancora sull'Europa dell'educazione d i Mario Bastianetto presidente dell'Associazione europea degli insegnanti Sezione italiana - AEDE Quasi cinque anni orsono, su queste colonne ( l ) , si dava notizia della costituzione di un Comitato comunitario dell'educazion e , assai diverso dal Comitato europeo nel settore educativo che la Commissione aveva proposto ai ministri. Negli intendimenti della Commissione, . infatti, il Comitato avrebbe dovuto svolgere tre compiti fondamentali: 1 . «raccogliere dati e discutere questioni concernenti l'educazione che interessano la Comunità europea» ; 2 . «consigliare la Commissione sull'elaborazione e attuazione del programma d'azione nel settore educativo.; 3 . elaborare e relazioni d a trasmettere alla commissione^. Certamente la Commissione n o n aveva seguito il suggerimento venutole dal ~ R a p porto Jannen, circa la creazione di un « C o mitato. strutturato secondo il «modello offerto dal "Comitato economico e sociale"», ma nondimeno i componenti dell'organismo concepito dalla Commissione sarebbero stati nominati dal Consiglio Su Proposta degli Stati membri, con un mandato triennale, rinnovabile, che li avrebbe posti al riparo dai capricci e dalle resistenze delle amministrazioni scolastiche nazionali. Invece i1 Comitato costituito dai ministri giugno 1974' e ancora in è formato da funzionari delle amministrazioni indubbiamente rispet- tabili punto di vista persone' ma con mani e piedi legati alla logica delle direttive statal-nazionali, i quali si riuniscola presidenza no in sede di del paese cui tocca, per turno, presiedere il Consiglio stesso. E la notizia, allora, veniva così commentata: «I1 conservatorismo educativo statalnazionale non può essere scalfito da gruppi di studio costituiti da funzionari che devono rendere conto del loro operato agli apparati statali,,. D o p o di allora il Consiglio dei ministri comunitari dell'istruzione, nella riunione del 9 febbraio 1976, accolse, finalmente, alcune delle proposte di vecchia data concernenti: 1 . l'istruzione dei figli dei lavoratori mig-anti e la formazione generale e professionale di detti lavoratori; 2 . la riduzione delle divergenze tra i sistemi scolastici nazionali e l'introduzione di «una dimensione europea all'esperienza degli insegnanti e degli alunni delle scuole elementari e secondarie della Comunità»; 3 . la creazione di u n sistema di raccolta e di diffusione dei dati educativi; 4. la cooperazione tra istituti universitari; (1) Cfr. L'Europa dell'educazione, in .Comuni d'Europa., n . 7-8 del 1974. 5. l'estensione e il miglioramento dell'insegnamento delle lingue; 6 . la messa in opera di strumenti per assicurare a tutti l'uguaglianza delle opportipo di tunità e i1 p;eno accesso a insegnamento. Questo «programma d'azione» per certi risolse in affermazioni di principio, per altri rimandò a ulteriori approfondimenti tecnici, per altri ancora si limitò a iniziative circoscritte, assunte dalla Commissione. D o p o appena tre anni sarebbe forse prematuro tentare un consuntivo, ma abbiamo la possibilità di vederci chiaro a proposito della <<dimensione europea,, del secondo punto. Bisogna premettere che tale «dimensione» dovrebbe risolversi in tre aspetti: a ) l'apprendimento generalizzato di almeno una seconda lingua comunitaria diVersa da quella materna; 6 ) l'insegnamento della stessa Comunità europea; C) il conferimento di un <taglio europeox a tutte le discipline. Ma quest'uovo di Colombo, così semplice da enunciare, diventa poi complicato, e soprattutto per l'ultimo aspetto, quando si passa non tanto all'attuazione, quanto, prima ancora, a un7elaborazione scientificamente ~ l a u s i b i l e ,che n o n si risolva in una successione rapsodica di spunti empirici di tipo emotivo-nazionalistico, sia pure in senso europeo* Prendiamo, ad esempio, il caso della storia: la lodevolissima procedura della revisio- SOMMARIO Pag. come non ci si prepara zioni europee, di U. S.. ele. . 1 Ancora sull'Europa dell'educazione, di Mario Bastianetto . . . 3 Le autonomie locali e la programmazione europea, di Enrico Gualandi. . . . . . . . . . 5 . C o m e divenni federalista, di U m berto Serafini. . . . . . . . 6 Perché non possiamo non dirci federalisti, di VitoDialla. , , , 12 Cronaca delle istituzioni europee: i chiaro-scuri del 1978, di Pier Vi~gilioDastoli . . . . . . . 13 Riflessioni su .La Germania e l'Unità europea,,, di Marce110 Petriconi . . . . . . . . . . 15 La mobilitazione del C C E per le elezioni del Parlamento europ e o . . . . . . . . . . . . 16 ne dei manuali, per espurgarli dei vecchi rancori e risentimenti, per far capire anche le ragioni degli altri e per rimuovere la tendenza a fare a ogni costo il «tifo» per il proprio Paese, a quella adottata dagli autori di libri intenzionalmente scritti contro la guerra, e quindi ricchi di denunce rivolte agli aspetti più selvaggi e crudeli dei conflitti. Ma i lettori, poi, apprendono che senza quegli aspetti denunciati, la guerra, di per sé, potrebbe anche essere accettabile, e non si rendono conto che essa stessa è un fatto selvaggio e crudele. Dal lato opposto - si fa per dire - va collocato un certo federalismo bigotto, alla luce del quale tutta la storia andrebbe ripensata esclusivamente in funzione dei progetti e delle realizzazioni di tipo federale, arrivando magari a sostenere che mentre al di là dell'Atlantico si andava collaudando la Costituzione-capolavoro, in Europa si perdeva il tempo con la Rivoluzione francese. E non troverebbero un'udienza molto favorevole, persino in campo europeistico, coloro che volessero suggerire di rompere l'incantesimo statolatrico, per presentare la storia, appunto, come storia dei rapporti sociali, delle istituzioni, dell'economia, della religione, della tecnica, e via discorrendo, pur senza nascondere nell'armadio le relazioni inter-statali, ma anzi mettendo in chiaro la loro natura. D i queste e di altre difficoltà pare si sia resa conto la Commissione quando, pochi mesi fa, elaborò per il Consiglio un nuovo progetto. Tenuto conto del «programma d'azione,, concordato dai ministri nel 1976, tenuto conto dell'interesse per i problemi educativi manifestato dal Parlamento europeo (21, la Commissione incentrò la sua proposta - e limitatamente alle scuole secondarie - sul punto 6 ) della dimensione europea, vale a dire sull'insegnamento della Comunità europea. A prima vista parve un atto di rassegnazione, un invito a insegnare, almeno, la (2) 11 Parlamento europeo fu l'unica istituzione comunitaria a suggerire al Signor Tindemans di preoccuparsi - nel suo <<Rapporto..- anche della scuola, cosa che egli fece in modo frettoloso e banale. COMUNI D'EUROPA Comunità; in realtà si volle introdurre un fattore dirompente che assicurasse, quasi con prevedibile automaticità, anche il buon esito dei punti a) e C). Alla Commissione risultava che parlare dell'Europa d i tanto in tanto, o anche inserire nei programmi il tema «Comunità europea., senza poi qualificare per tale scopo gli insegnanti, senza favorire i loro confronti nell'area comunitaria, senza fornire idoneo materiale didattico, voleva dire impedire agli alunni delle scuole secondarie di poter .disporre d i un programma coerente durante ogni singolo anno scolastico». Pertanto la Commissione propose l'insegnamento della Comunità come una nuova materia, ma aggiungendo la raccomandazione di .analizzare a fondo i rapporti esistenti fra questa materia d i studio e gli altri elementi della "dimensione europea", il contributo di ogni singola materia e l'approccio interdisciplinarem. Ciascun paese avrebbe poi dovuto stabilire .come trovare nell'ambito del programma-orario il tempo da dedicare a questo studio,,, per adeguarlo *alle esigenze dei singoli paesi, anzi delle singole scuole e del corpo insegnante,, . In concreto tale studio fu visto nei seguenti aspetti: «a) L a Comunità in prospettiva europea: il contesto storico e politico che ha favorito la creazione della Comunità; gli obiettivi dei suoi fondatori; suo ruolo rispetto ad altri livelli di governo (locale, regionale e nazionale); la Comunità come contesto istituzionale atto a promuovere politiche e azioni comuni, pur rispettando le differenze umane, culturali e nazionali; suoi rapporti con altri paesi e regioni dell'Europa. b) L'attività della Comunità: suoi poteri e meccanismi decisionali; sviluppi istituzionali (comprese le elezioni del PE a suffragio diretto) e loro portata; principali problemi e realizzazioni; interventi della Comunità e loro effetti sulla vita dei cittadini; problemi inerenti al suo futuro sviluppo. C) L a Comunità in prospettiva mondiale: rapporti con le superpotenze, con altri paesi industrializzati e con paesi in via di sviluppo; suo ruolo rispetto alle Nazioni Unite e altri organismi internazionali; raffronto con altri gruppi regionali». Indubbiamente le voci delineate avrebbero potuto essere sviluppate, nelle scuole, anche in quella chiave trionfalistica che ha provocato la fine ingloriosa della tradizionale .educazione civica,,. Ma in precedenti documenti la Commissione aveva già manifestato il convincimento che occorresse favorire, nei giovani, un approccio critico, e quindi la capacità di giudicare l'operato della Comunità. Leggendo tra le righe, del resto, non è poi molto difficile scorgervi alcune significative indicazioni. E ancora: ~ P u riconoscendo r che i poteri e le competenze di tali autorità variano molto da uno Stato all'altro, la Commissione propone agli Stati membri di accettare il principio secondo cui lo studio della COmunità deve essere considerato un elemento essenziale della "dimensione europea" nella scuola secondaria, e d i impegnarsi a intraprendere le azioni necessarie affinché tutti gli alunni di questa fascia possano effettivamente studiare tale materia e ampliare le loro conoscenze sulla Comunità nel corso di tutta la loro carriera scolastica». Pur riconoscendo le iniziative di «singole autorità, organismi privati e insegnanti,,, a giudizio della Commissione è finora mancata - perché è mancato il coinvolgimento delle amministrazioni centrali - .una strategia d'insieme coerente, a livello nazionale O comunitario,,. E infine, ecco le proposte strategiche per i due summenzionati livelli: N a ) l'incoraggiamento sistematico a inserire lo studio della Comunità nei programmi di tutte le scuole degli Stati membri; b ) un vasto programma comunitario avente lo scopo di elaborare e sperimentare in un certo numero di progetti pilota una nuova impostazione dello studio della C O munità nelle scuole; C) la promozione e lo sviluppo in tutti gli Stati membri di programmi di formazione iniziale e di perfezionamento degli insegnanti allo scopo di ~ r e ~ a r a rall'insegnali mento della materia comunitaria, nonché il finanziamento degli istituti di formazione specializzati in questo settore; d ) le risorse (materiali e finanziarie) necessarie al personale che insegnerà la materia "Comunità"; gennaio 1979 e ) l'inclusione dello studio della C o m u nità come un elemento della rete d'informazione pedagogica della Comunità,. N o n è il caso di indugiare con le recriminazioni e con la denuncia della contraddizione in cui vengono a trovarsi paesi che, pur avendo liberamente scelto di far parte della Comunità europea, pare non vogliano mettere i ragazzi delle loro scuole in condizione di capire la portata di questa scelta. Semmai è più conveniente concludere con due considerazioni di altro tipo. I . I ritardi e le difficoltà che inceppano la politica comunitaria dell'istruzione derivano anche dall'insensibilità per i problemi educativi della classe politica europea e persino di buona parte di coloro che fanno una ragione di vita dell'europeismo e del federalismo. Va ricordato a costoro, a questi amici, che il Manifesto di Ventotene, cui fanno sempre riferimento, contiene anclie una terza parte (estremamente attuale) nella quale è stata prefigurata la società federale europea. Si tratta di cinque punti che andrebbero riletti, il terzo dei quali ' è dedicato ai problemi educativi. 2. L'Italia ha' proprio bisogno d i un benestare del Consiglio per procedere all'attuazione del programma della Commissione? N o n si potrebbe elaborare un piano fattibile in seno al Comitato italiano, presieduto dal Ministro, di quel Centro di educazione europea che il documento della Commissione menziona espressamente? promossa, sotto gli auspici del Consiglio dei C o m u n i d'Europa, dalla Regione Lazio in collaborazione con la Sezione italiana del CCE Conferenza: Le Regioni per la n u o v a Europa. Dalle Regioni periferiche dell'Europa l'impulso per u n equilibrato processo di sviluppo. Roma, 29-31 marzo 1979 (Salone della Tecnica) gennaio 1979 COMUNI D'EUROPA lo Sme e il piano triennale Le autonomie locali e la programmazione europea d i Enrico Gualandi membro della segreteria nazionale della Lega per le autonomie e i Poteri locali, deputato PCI L'idea dell'Europa può affermarsi, con il più vasto consenso popolare, se si intraprende con coraggio ed impegno la trasformazione democratica delle istituzioni comunitarie. Le elezioni europee rappresentano un passo avanti s u questa strada; ma la democratizzazione delle istituzioni comunitarie può e deve essere accelerata con un più stretto e diretto collegamento delle Regioni e delle Autonomie locali. Infatti costruire l'Europa non significa limitarsi a considerare gli Stati i soli protagonisti dell'attività comunitaria o dar vita ad istituzioni che verificano a posteriori le scelte centralistiche degli Stati nazionali. C i ò non significa che un concreto coordinamento delle politiche economiche e so-, ciali della nuova Europa non passi necessariamente attraverso la definizione di programmi nazionali, armonizzati in rapporto ad un quadro di riferimento comunitario. Si tratta di dar vita ad una programmazione democratica, frutto di un costante confronto dialettico fra Autonomie locali, Regioni, Istituzioni nazionali ed Istituzioni europee, costruendo un coordinamento fra i diversi livelli di partecipazione democratica. E' nell'ottica di «una scelta per l'Europa» che Regioni ed Enti locali vogliono partecipare al <<pianotriennale 1979-81.. Quindi occorre giungere rapidamente, con il contributo di tutte le forze politiche e sociali, con il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali, alla definizione del piano triennale, facendone un fondamentale punto di riferimento per l'azione di govern o ad ogni livello. Pur non volendo entrare nel merito delle autonome valutazioni d i ogni forza politica, voglio sottolineare alcuni aspetti, che a mio avviso vanno affrontati, se si vuol rendere effettiva la scelta dell'Europa. Se non vi sono dubbi sul fatto che l'andamento della spesa pubblica in Italia - ed in particolare la spesa di parte corrente rimane un grave fattore di crisi che impone una politica di rigore, così come sulla esigenza di un contenimento dell'incremento del costo del lavoro, vanno però meglio chiarite ed approfondite le azioni programmatiche che si propongono a livello nazionale ed europeo. In m articolare per quanto si riferisce al riequilibrio territoriale e regionale, al Mezzogiorno ed all'occupazione, che debbono costituire gli obiettivi fondamentali del piano. Inoltre si pone I'esigenza di uno stretto aggancio del piano triennale con l'Europa, attraverso più precisi ed adeguati riferimenti alla collocazione europea ed internazionale dell'Italia, così come si pone la necessità di una più stretta integrazione tra le politiche economiche e sociali dei Paesi europei. D i non poca importanza sono anche i problemi relativi al futuro del Sistema M o netario Europeo, che richiede il prevalere di una visione sovranazionale e perciò attenta ai problemi delle Regioni emarginate e dei Paesi più deboli, come è il nostro. C o n la definizione del piano triennale occorrerà realizzare - fra Stato, Regioni, Comuni e la stessa Comunità - un collegamento dei flussi finanziari a livello delle singole azioni programmatiche, separatamente per le diverse competenze e definend o altresì, nei limiti del possibile, gli effetti reali e territoriali in termini di reddito e di occupazione. Va perciò sottolineata l'esigenza: - di ridurre il disavanzo d i parte corrente e del fabbisogno complessivo del settore pubblico allargato in rapporto al prodotto interno; - di un adeguato sviluppo degli investimenti, particolarmente di quelli localizzati nel Mezzogiorno e nelle zone sottosviluppate; C a m p a g n a straordinaria di abbon a m e n t i per le elezioni europee «Comuni d'Europa» ormai al suo XXVII anno di vita, è senz'altro una delle decane tra le riviste federaliste che si stampano in Europa. Con la sua rilevante penetrazione capiilare e con i suoi 11. numeri l'anno, «Comuni d'Europa. vuole restare un giornale soprattutto stimolante, di lotta e di ripensamento della problematica federalista. La sua caratteristica fondamentale consiste nell'essere il tramite diretto fra tutti i centri decisionali della battaglia comunitaria ed europeista e le popolazioni di ogni regione, i giovani e coloro che sono trascurati dall'oligopolio dell'informazione, in piena indipendenza. Proprio per questa sua funzione, nonostante gli aumenti vertiginosi dei costi della carta e tipografici, «Comuni d'Europa>> continua a conservare relativamente stabile il suo prezzo. Naturalmente questa situazione potrà essere mantenuta solo se gli abbonati e gli inserzionisti, cui va il nostro più vivo ringraziamento, continueranno a sostenerci e se altri lettori vorranno portare il loro contributo sottoscrivendo abbonamenti. 5 - di una politica salariale che difenda la capacità d'acquisto dei lavoratori in un contesto di diminuita inflazione, per un conseguente contenimento del costo del lavoro e d i una politica del costo del denaro tale d a consentire un migliore utilizzo del credito; - di una proiezione - regione per regione - delle azioni programmatiche settoriali, verificandone obiettivi e fattibilità in riferimento alla re.altà regionale e locale, coordinando fra di loro tutti gli interventi; - di una riduzione delle distanze dagli altri Paesi europei, non con la richiesta di aiuti assistenziali, ma semmai eliminando l'insopportabile «tassa agricola» che ci ha fatto pagare alla C . E . E . - in questi due ultimi anni - oltre 2.000 miliardi di lire. In questo modo possiamo prepararci ad essere parte attiva della nuova Europa, apportando un contributo determinante al coordinamento delle politiche economiche e sociali dei diversi Paesi europei. N o n è, di per sé, l'adesione all'Europa o ad un nuovo Sistema Monetario Europeo che porterà l'Italia alla scelta della programmazione ed a un migliore utilizzo delle risorse umane, naturali e materiali. E' soprattutto l'esigenza del rinnovamento del Paese, della riduzione dei tassi inflattivi, dello sviluppo degli investimenti e del Mezzogiorno, dell'aumento della produttività generale e del superamento dell'assistenzialismo che ci impone di coordinare il piano triennale con la scelta dell'Europa e con una rivalutazione delle funzioni delle Regioni e delle Autonomie locali. U n modello europeo deve ancor più fondarsi sulla autonomia ed il coordinamento dei vari livelli democratici della Comunità. L'esigenza dell'autonomia vuole che ad ogni regione ed ente locale siano demandate competenze in ordine ai problemi che essi sono in grado di risolvere con maggior efficienza e partecipazione; mentre la crescita dell'economia europea e delle stesse gravi contraddizioni che l'accompagnano, richiede una programmazione ed un coordinamento non solo nazionale ma a livello della Comunità. Europeismo ed autonomia: questo è il grande tema che ci sta di fronte e che dovremo svolgere, fino in fondo, anche con il piano triennale 1979-81, se vogliamo costruire veramente una nuova Europa. La difficile conciliazione tra autonomia, programmazione e coordinamento, tra concezione pluralistica della società e la necessaria solidarietà e cooperazione per la soluzione dei gravi problemi del momento, son o nodi d i fondo per fare assolvere all'Europa una funzione positiva nello sviluppo del mondo contemporaneo. Dobbiamo aver coscienza che la continuazione dell'attuale tipo di sviluppo dei Paesi industrializzati comporta distruzione di risorse naturali, inquinamenti e modifiche dell'ambiente. Dobbiamo prendere coscienza che la stessa autonomia locale finisce per essere umiliata senza una programmazione ed un coordinamento che permetta l'utilizzazione L I , (~.ontinuazionca pag. 11) gennaio 1979 COMUNI D'EUROPA 6 Come divenni f ederalista di Umberto Serafini N e l 1973 il M o v i m e n t o Federalista Europeo - che ha a v u t o alla sua fondazione, come base teorica, il Manifesto d i Ventotene d i Ernesto Rossi e Altiero Spinelli - h a celebrato i trent'anni d i vita. G l i amici federalisti mi chiesero in quell'occasione - com e chiesero a tutti i più vecchi e impegnati federalisti - una testimonianza su come ero divenuto federalista europeo. Sul m o m e n t o m i scusai, m a ero troppo preso dalla routine politica per trovare il tempo d i cercare fra carte e polvere e anche negli angoli della memoria l'origine della mia «malattia». Per altro a v e v a agito lo stimolo: quindi, a t e m po perso, v a d o ricostruendo un'esperienza, che sarebbe potuta essere d i altri miei coetan e i e che può servire a mettere in luce u n aspetto della formazione d i una classe politica - o almeno della mia generazione (io sono nato a R o m a nel 1916): quella, a mio avviso, cooptata dai grandi «restaurati», D e Gasperi N e n n i Togliatti Saragat eccetera, in base - troppo spesso - allo zelo nel servire e al conformismo. U n a generazione - sì, ripeto, la mia - che m i ha sempre profoizdamente irritato per tutti quelli che si davano da fare e che, laici e cattolici, armeggiavano petulanti per essere ammessi ai littoriali della cultura, sulle riviste fasciste ( m i lascia ancora senza fiato rileggere le firme su «Primato» d i Bottai), i n tutte le organizzazioni del regime e in tutte le operazioni in cui le «promesseu intellettuali venivano utilizzate per dare una rispettabilità, una apparenza d i rappresentativita delle n u o v e leve e una parvenza d i gestione super partes al regime (all'«epoca meravigliosa»: Galvano della Volpe) d i Mussolini. Giovani ambiziosi che hanno poi fiutato quando il fascismo era votato alla sconfitta e, con prudenza, si sono sganciati; che m i sono ritrovati - al ritorno da una lunga prigionia - bene ilzsediati, cordiali, pensierosi, zelanti nelle anticamere dei comandi supremi della n u o v a democrazia. M a molti d i essi (che poi hanno addirittura sostenute, n o n d i rado, d i esserci stati obbligati) a v e v a n o partecipato alle più fasciste delle operazioni fasciste, avevano gareggiato n e i littoriali d i dottrina del fascismo (e in m o d o tutt'altro che frondista: n o n ce la contino) e d i politica della razza, avevano inneggiato a l l u n i t à europea sotto Mussolini e Hitler, avevano parlato e scritto in favore dell'Asse e della sua guerra ancora nel 1941'42 (i più "lungimiranti" si erano allontanat i u n po' prima e riterranno «fascisti» quelli che hanno tardato a sganciarsi qualche ora d i più). Ricordo che quando, il giorno della dichiarazione d i guerra, incontrai fuori Porta del Popolo a R o m a d u e miei ex compagni d i scuola - Carlo Cassola e Manlio Cancogni e previdi la sicura sconfitta dell'ltalia e della Germania, anche se n o n subito (Cassola e Cancogni erano u n po' meravigliati d i questa mia certezza), pensavo che i «fascisti critici» - i giovanotti saputi e rompiballe della mia generazione - e in generale il grosso della classe dirigente italiana (che h o sempre globalmente detestato) sarebbero div e n u t i tutti democratici, appena si fossero resi conto da che parte erano la vittoria e il successo. Naturalmente c'erano (pochi) i giov a n i untifascisti e ci sono stati i convertiti <<nelprofondo»: m a nel più dei casi costoro n o n sono stati cooptati nella «classe politica» (sissignori: nella classe politica) al m o m e n t o della restaurazione democratica, perché a v e v a n o idee (loro). L'europeismo indolore è figlio d i questa generazione politica incolore: m i dispiace che questo mio giudizio calvinista n o n si accordi con la recente storiografia d i Giorgio A m e n d o l a , portata a u n giustificazionismo che n o n condivido. Forse l'esperienza d i Amendola è diversa ( A m e n dola è u n po' più vecchio d i m e ) , si è svolta tra l'esilio e il confino e non ha potuto prendere atto delle doppiezze, delle viltà, dell'arrivismo dei giovani fascisti-antifascisti: d i cui il m e n o serio non m i è davvero sembrato l'aambiguo» Ruggero Zangrandi, che n o n ha poi esitato a dolersi delle sue debolezze e delle sue cantonate e che com u n q u e n o n h a m a i fatto male a nessuno, salvo che a sé stesso (e - stavo per dire con la mia consueta malvagità - per questo n o n h a fatto carriera). M a q u i si stava parlando d i unità europea. Il frammento d i ricordi, che consegno a « C o m u n i d'Europa», m i riporta al m i o o d i Roma, a liceo-ginnasio < ~ T o r q u a t Tassou cui debbo molto (io abitavo al quartiere Flaminio e per arrivare in tempo a scuola alzandomi tardi come tutti gli scolari del m o n d o - d o v e v o traversare spesso d i corsa Villa Borghese: cosa che m i a v e v a fatto diventare quasi u n mezzofondista e che com u n q u e fece d i m e u n calciatore d i gran fiato, come riconosceva Sturmer, l'allenatore viennese della «Lazio», squadre minori incluse). Convintomi, al "Tasso", della ragionevolezza della Federazione europea m a anche, in sé, dell'importanza del federalismo democratico, m i portai questa convinzione alla Scuola Normale d i Pisa. Il primo anno (1935-'361, per sprovincializzarmi, scelsi come colloquio interno (se n e doveva sostenere - con accurata preparazione - u n o a ogni metà d i anno accademico) "la cultura inglese nel secolo VII": dovetti fare tutto da solo, vedendomela coi M o n u m e n t a Germaniae historica, col Venerabile Beda e coi libri più diversi reperiti qua e là (e coltivand o la sottile pretesa d i una storiografia con ampio ausilio interdisciplinare e con raccord o tra cultura e vita quotidiana). D a i «bar o n i ~ m i v e n n e aiuto pochissimo o nullo (ebbi per altro la contentezza d i sollevare l'entusiasmo d i quell'uomo eternamente curioso che era Giorgio Pasquali). Poi, sulla scia d i u n corso d i storia del professor Picotti, sull'espansione europea e il colonialismo, m i misi a studiare per conto m i o il C o m monwealth britannico ( m i fu d i grande aiu- t o u n pregevole libro d i Scipione G e m m a su «L'Impero britannico», tutto d i storia istituzionale: credo sia stata la prima volta che m i sono imbattuto in citazioni ragionate d i Kelsen): n e rimasi assai deluso. Speravo infatti d i trovare le «leggi n o n scritte» d i una federazione i n fieri e m i accorsi che n o n si era realizzata neanche una unione economica. Tornai a puntare tutto sugli Stati U n i t i d'Europa: m a che fare? Il credo illuminista determinava notevolmente il mio comportamento: dopo d u e anni d i «Teoria generale dello spirito come atto puro. spiegata e commentata da G u i d o C a logero - sulla strada d i diventarlo, m a n o n ancora abbastanza chiaramente liberalsocialista: m i ricordo che, lasciandomi costernato, interveniva ai prelittoriali della cultura, insieme all'altro mio maestro, il Chiavacci d i <.Illusione e realtà», l'amico d i Michelstaedter - m i misi in testa d i approfondire la ragione teorica dell'errore pratico (il fascismo) d i Giovanni Gentile. C o n la baldanza della gioventù m e n e v e n n i a R o m a , per chiedere proprio a Gentile una tesi d i laurea sul problema dell'esperienza. M i affannava in quel tempo il problema del rapporto fra io trascendentale e io empirico, trattato da Gentile con conseguenze, a parer mio, disastrose anche sul terreno della individuazione del problema della libertà u m a n a , civile e politica. Gentile ascoltava, sorrideva, m a era come u n m u r o d i g o m m a . H o ritrovato poi, tanti a n n i dopo, pari pari la mia problematica in alcune pagine d i «Praxis ed empzrismo», il libro (1957) d i u n filosofo, Giulio Preti, che stimo assai e che la Kultur italiana dimentica spesso. M a l'Asse Roma-Berlino si andava form a n d o , la classe dirigente, pusillanime e cinica, m i nauseava sempre d i più, i miei coetanei universitari m e li sentivo lontani le mille miglia, insensibili come mz si presentav a n o (e io ero disperato) al problema della libertà - libertà per tutti -. Taluni, che sono diventati leaders dei partiti della sinistra, irridevano poi al mio interesse per i problem i dell'organizzazione della classe lavoratrice (la mia attenzione per la democrazia inglese e per quei sindacati era considerata l'anacronismo d i u n empirista: m i avevano accusato anche - orribile nel covo gentil-crociano d i Pisa - d i sociologismo). Frattanto la guerra, purtroppo, si avvicinava e la battaglia culturale, malgrado il taglio stoico che tentavo d i darle, n o n m i bastava più, pur senza che riuscissi a trovare l'aggancio allazione. L'unità, democratica - cioè fra eguali -, del17Europa m i si presentò a questo punto come la via maestra d i u n antifascismo calat o nella realtà, atto a persuadere la gente anche perché legato a un'idea-forza, a u n obiettivo positivo, costruttivo. Era come il rovesciamento, a livello sovranazionale, del17Asse che ci soffocava, anche se per m e era molto difficile pensare a qualcosa d i gennaio 1979 organizzato al d i sopra delle frontiere (avev o visto u n po' d'Africa mediterranea e d i Marocco francesi e d i Spagna repubblicana, viaggiando su una nave da carico: tutto qui). M a , giunti alla guerra - p e r m e folle e odiata -, diedi un addio alle biblioteche e rinunciai all'imboscamento propostomi, sulla base d i una mia precisa convinzione: che in attesa che le borghesie sconfitte si rendessero concretamente disponibili (non con le piccole fronde dei G U F , dei salotti intellettuali, dei maneggi d i corte, dei giornali e dei filmetti m e n o conformisti), s i potessero intanto preparare - con u n po' d i coraggio - le micce dell'esplosione popolare solo in quelle due grandi concentrazioni u m a n e che sono le fabbriche e l'esercito. A n d a i nell'esercito, rzon eludendo la cartolirza precetto. L'esercito per m e (40" reggimento fanteria) volle dire conoscere i nostri meravigliosi contadini meridionali, m a anche tanto popolo minuto (carrettieri, venditori ambularzti, artigiani). Agganciai (ero in Africa settentrionale) anche i primi socialisti in came e ossa o piuttosto i loro figli: contadini, ancora contadini, e muratori umbri. E vennero le prime denunce per disfattismo e il giuoco infernale col SIM (Servizio informazioni m i litari: il mio colonnello era u n uumanista» citava Benedetto Croce - del S I M ) , defiland o m i sempre più in prima linea, dove c'è il fuoco e si può parlare liberamente e norz riescono a controllarti. Io e u n mio amico carissimo delle stesse mie idee (ora non fa il politico, fa il bancario) rischiavamo la vita continuamente, anche in pattuglie u n po' temerarie, per spiegare ai «fascistin che l'antifascismo non voleva dire paura, come insinuava la propaganda, e che il wdisfattismo» era semplicemente l'uso della libertà d i pensiero e d i parola d i uomini decisi a tutto. Venne anche 1'Afrika Korps d i R o m m e l e con esso, a Tobruk, strinsi il primo legame preciso sovrarzazionale. Esile legame, m a preziosa conoscenza della reazione d i uomin i d i u n a l t r a nazione agli stessi discorsi, alle stesse critiche, alle stesse proposte. M i sforz a v o d i ragionare pacatamente: con chi rischia tutti i m i n u t i la vita è piu facile irridere alla c t e o r i a ~ della razza e allalbagia degli ariani. Diversi tedeschi si mostravano titubanti, poi si sfogavano: qualcuno era decisamente antinazista. D e i colleghi italiani (ufficiali subalterni come m e : uno, napoletano, era stato compagno d i liceo d i una figlia d i Croce) cominciavano a chiamarmi scherzosamente "Stati Uniti" (d'Europa, ovviamente). Facevo una grande esperienza e mi caricavo sempre piu. M i sentivo ormai pronto a rientrare irz Italia e a tentare d i tessere una tela fra comandi, truppe d'occupazione e cittadini dei territori occupati, Italia, Germania, Francia.. . M a R o m m e l e Gambara retrocessero sino ai bordi della Sirtica e io fui mandato ad assistere a i m o t i «risorgimentali» indiani del 1942 (prisoner o f war 39817). Tornai dunque a i libri e alla meditazion e , mi dedicai a i più estenuanti dialoghi, forse - in u n ambiente particolarmente ristretto - capii meglio il d r a m m a d i chi vuole persuadere con la ragione i fascisti (e persua- COMUNI D'EUROPA dere significa, ahimè, arzalizzare pacatamente tutti i giudizi e i pregiudizi dell'irzterlocutore, cercar d i pensare con la sua testa). Soprattutto m i sforzai d i progredire nella problematica federalista: serbo una parte d i u n o zibaldone, che ne ricavai, qualche lettera scritta a casa, qualche ritaglio d i giornale e taluni libri. Certo mi giovarorzo il contatto ideale coi federalisti anglosassoni, talvolta i loro libri o citazioni da essi, e comunque la lettura quotidiana d i u n giornale, che per m e rimane l'indice del livello altissimo della civiltà liberale britannica, lo «Statesman» d i Bombay in tempo d i guerra. Apprendevo l'esistenza del lord Lothian d i «Pacifism is not Enough (nor Patriotism either) - il pacifismo non è sufficiente, m a il patriottismo neanche -P, che è del 1935 e che Beveridge, se ben 7 n e - divide et impera - del «rispetto per le minoranze. (sono note in merito le ironie del laburista indipendente Brailsford irz ~ S u b j e c tIndia.). Ripresi la questione della mancata evoluzione federale del C o m m o n wealth britarznico - approfondendone i risvolti economici - e seguii quella che per Lione1 Curtis ( ~ C i v i t a sDei,), London, MacMillan, 1934) doveva essere l'evoluzione dello stesso concetto d i Cominonwealth (cioè d i r e s p u ~ l i c a ) : sarà u n tempo -in cui la repubblica non sarà più limitata dallo stato nazionale, quando le nazioni, consapevoli delle loro storie e conformazioni distintive, avranno appreso a fungere come organi d i una repubblica internazionale». N e scrissi a casa nell'ottobre '44, citarzdo la recensione (.Il regno d i Dio come il regno della libertà») che n e aveva fatto Benedetto Croce Aldo Ferrari (il secondo, seduto, da destra); al centro, in piedi, Eliseo Grossi, il preside di Ruggero Zangrandi e Vittorio Mussolini, di Andreotti, Alicata e Perna, dei fratelli Bachelet, di Paolo Alatri, Carlo Cassola, Manlio Cancogni, Riccardo Musatti e Bruno Zevi, dei fratelli Puccini, eccetera. ricordo, ristampò nel '41, e quelle d i Clarence Streit d i « Union now,,, d i Mackay, d i Zilliacus, d i Laski e del filosofo Joad. M ' i m battei nei problemi spinosi e quasi senza uscita in cui si trova il federalismo, quando è d i fronte a u n insieme d i comunità religiose ed economiche fortemente differenziate: ed era il caso dell'lndia, ove le differenze religiose avevano creato dei violenti contrasti economici e sociali tra indù e musulniani (banca vietata - per m o t i v i religiosi - a i musulmani e professioni liberali in prevalenza retaggio d i una «comunità*, l'indu, contro i forti e prevalenti interessi agrari dellaltra), contrasti quasi insanabili, malgrado l'impegno fino al carcere d i coranisti liberali come il maulana A z a d . M i gettai allora nello studio del ..Nuffield Report o n the constitutional Problem in India* ( O x ford 1942) d i Reginald Coupland (che f u anche aggregato alla missione Cripps) e delle proposte d i regime *federale. degli inglesi agli indiani, e scopersi la strumentalizzazio- nella quinta serie delle Conversazioni critiche (Curtis era stato edito in italiano da Laterza, Bari 1935). Seguii con ansia e con sempre crescente amarezza - che servì a stimolare il mio senso critico - tutta l'evoluzione o , meglio, l'involuzione della Carta Atlantica e, insomma, m i a v v i d i - per ripetere il titolo d i u n libretto scritto poi da Beveridge nel 1945 - che non si era disponibili a pagare il «prezzo della pace»: cioè che ancora una volta l'obiettivo d i stabilire (è il titolo del capitolo I del testo d i Beveridge) «il regno della legge invece dell'anarchia fra le nazioni,, sarebbe stato mancato malgrado la recente carneficina. La mia convinzione *kantianax circa la sovranità e il valore progressista del diritto (rzaturalmente, dati i molti cialtroni che avevo visto in cattedra nelle nostre università, non d i rado utilizzatori rozzi e furbastri d i Kelsen, si trattava anche per m e d i stabilire - o ristabilire - cos'è il diritto: non era più teoricamente chiaro, per colpa d i molti COMUNI D'EUROPA 8 «studiosi,, italiani, cosa fosse uno '<stato di nella determinazione delle guerre, dell'imdiritto») non m i induceva, peraltro, a conperialismo, del colonialismo. Si potrebbe ditentarmi dellastrutta tesi che non ci si a v re anche su quale interpretazione della diaviava alla federazione mondiale sol perché lettica fra società e Stato si fondasse il persic'era, cattiva, la ragion d i Stato. Certo, la stere delle cause della Ruerra e la possibilità cultura politica, per quello scambio d i ind i costruire la pace. fluenze che ha con la politica in atto (eserciM a non è q u i e ora che m i sento d i tandone e ricevendone), non giuocava corricostruire organicamente quegli anni indiarettamente la sua parte, perché sia i liberaln i così densi d i riflessioni individuali e anche democratici che i marxisti andavano attricollettive, poiché largo spazio dovrei dedicabuendo il conflitto mondiale e la difficoltà re a un gruppo d i stimolanti compagni d i d i ricostruire la pace alla mancata affermaprigionia e alla nostra interazione - Ludozione della propria scuola politica: trascuravico Quaroni, urbanista, Gianfranco Folevano, quali che fossero i loro buoni argona, filologo romanzo, Vittorio Checcucci, menti, che le istituzioni - lo Stato «sovrano. mio vecchio compagno alla Scuola Normale - hanno una tendenza autonoma alla potend i Pisa, matematico, Rigo Innocenti, «regiza (sia per prevaricare sia - s i dice - per sta» a tutte le ruote (aveva cominciato da sussistere). In questo senso io seguivo con ragazzo col cinema e finì manager a i vertici attenzione sulla scena internazionale i dispeindustriali), e diversi altri -. M i limiterò a rati tentativi d i pochi uomini illuminati d i notare poche cose, la cui sedimentazione realizzare, sia pure con tutto il dovuto gradoveva farmisi sentire nei trent'anni d i lotta dualismo, u n primo salto di qualità in senso federalista d i questo dopoguerra. sovranazionale e una organizzazione delle U n libretto a cui dovetti molto, per roveNazioni Unite che non fosse la pura fotosciare certi miei pregiudizi, fu ~ P r o f i t sand grafia dell'equilibrio d i potenza in atto (cioè Politics in the post: W a r World - A n Econosenza pagare il suaccennato «prezzo della mie Survey of Contemporary History* di R . pace.). Trovo sul mio zibaldone varii apD . Charques e A. H . Ewen (London 1934), punti in merito e la citazione di cc U.S. W a r edito da quella Victor Gollancz L t d . cui Aimsn, il famoso scritto di Walter Lipprisale tanta parte della letteratura politica m a n n , con la sua proposta d i *regionalizzainglese contemporanea, specie della sinistra re,> del mondo (Comunità atlantica, Orbita non conformista. Poi, mentre seguivamo col russa, Orbita cinese, in prospettiva Orbita fiato sospeso l'evoluzione o meno, con indiana, ecc.), che francamente non m i sel'evolversi della guerra, dello stalinismo, duceva affatto, tendendo piuttosto a cristalvenne la lettura della <.Storia della rivolulizzare - e non ci si riesce m a i - l'equilibrio zione russa. (1917-1921) di W . H . C h a m che non a costituire una tappa realistica berlin e vennero le infinite discussioni sul verso il .governo mondiale.. Ma d i Lippvalore e sui limiti della rivoluzione d o t t o mann m i aveva invece colpito unosservabre e del leninismo, sulla sorte dei soviet, su zione, d i tutt'altro registro, da lui prodotta «Stato e rivoluzione», sulla strategia antimin polemica con la fallita esperienza wilsoperialista e sul coloniaiismo (esplicito e no), niana: ho trovato copiata nello zibaldone sul significato del <<federalismo»sovietico. l'affermazione, contro il principio d i self-deNaturalmente noi avevamo u n osservatorio terriiination difeso da Wilson, che «it rejects singolare, e le letture d i cui si nutrivano le the idea1 of state within .which diverse peonostre discussioni erano, per esempio, le inples find justice and liberty under equa1 formatissime corrispondenze sul fronte maolaws and become a Commonwealth - esso ista in Cina d i Stuart Gelder e di Israel rifiuta l'ideale d i uno stato entro il quale Epstein (quando in Asia molti, anche <<indigenti diverse trovano giustizia e libertà sotto pendentistin, strizzavano l'occhio a Ciang leggi eguali e divengono una Comunità -r Kai Scek), l'Autobiografia d i Jawaharlal (e vedo da m e appuntato che Lippmann era Nehru, gli scritti dei «giovani» della sinistra invece in favore del self-governnient). del' Congress Party indiano, in più d i u n Mantenendo dunque fermo che lorganizcaso di formazione americana e con influenzazione (e quindi la garanzia) della pace ze troschiste. Ma due incontri «ideali. m i risiedesse nel superamento dell'anarchia incolpirono particolarmente: quelli con Chaternazionale - cioè nel superamento degli kravarti Rajagopalachari e con Manvendra stati intesi come monadi, che mancano d i N a t h Roy. Il primo era uno dei pupilli di finestre -, volli tuttavia approfondire quale Gandhi (accanto a Prasad e al più giovane parte spettasse alla logica stessa di questa dei Patel), m a a urr certo punto ebbe il anarchia - cioè alla costellazione degli Stati coraggio d i dichiarare in tutta franchezza a i sovrani - e quale parte al regime e interno», suoi (si rilegga il limpido opuscolo «The economico-sociale e politico degli stati stessi, W a y out.) che una ragionevole gerarchia politica e morale doveva vedere al primo posto la lotta mondiale contro il fascismo (di cui gli inglesi erano pur sempre protagonisti) e poi l'indipendenza indiana; o, meglio, che ABBONATEVI A la lotta per l'indipendenza indiana - se non C O M U N I D'EUROPA voleva perdere il suo significato, ossia se voleva rimanere una celebrazione della liil 1979 è il 27' anno bertà - doveva tener conto anzitutto della di rigorosa e libera battaglia logica e delle esigenze «sovranazionali» delper gli la guerra antifascista. La collocazione ideoStati Uniti d'Europa logica d i C . R . (la sigla del popolare leader l d i Madras, gandhista m a anche studioso d i I 1 I 1 gennaio 1979 ~ i r c ' ~ u r e 1 i oera ) - si badi - quella liberaldemocratica. L'altro - M . N . Roy - era stato il capo del dipartimento orientale del Comintern e aveva fatto il rivoiuzionario dalla Cina al Messico e alla Germania: abbandonò la disciplina comunista in seguito al V I congresso della Internazionale, polemizzando contro il «purismo rosso» e chiedendo senza indugi u n fronte democratico contro il fascismo. D i qui cominciò un suo lungo viaggio revisionist sta^, che lo porterà a rivalutare le istituzioni, a scoprire i valori del radicalismo, a collegare l'approccio «internazionalista» con la lotta per la partecipazione e per I'autogoverno della piccola comunità locale, a <(utilizzare»in modo del tutto nuovo il materialismo storico. A u n arevisionismon ne corrispondeva per m e un altro: la critica d i quella che qualche anno dopo sarà continuamente rievocata, con petulanza, come .civiltà occidentale., e d i certe sue pericolose inclinazioni. Fu il momento dellanalisi polemica del principio e della prassi del corporativismo (e poiché tra i federalisti c'è Proudhon. non sarà mai d i troppo chiarire sino in fondo i pericoli e il non-senso democratico del corporativismo). Lessi, rilessi, postillai .<Under the A x e of Fascismn d i Gaetano Salvemini (anche questa una edizione Gollancz, del 1936); riportai nel mio zibaldone larga parte d i un lucidissimo articolo (luglio 1944) di Jules Romains (<<Avenirdes démocraties..), pubblicato sulla rivista «France-Orientn (che, se ben ricordo, era dell'area della France libre): spiegava perché ~ d e sassemblées recrutées suivant d'intérets particuliers ou des catégories d'intérets particuliers ou des compétences spéciales - par exempie les assemblées corporatives ou les Commissions techniques -n abbiano poche «chancesx di rappresentare l'interesse generale e di far prevalere le esigenze della ragione (tanti anni dopo - nel 1975 - avrei richiamato nella mia relazione agli Stati generali del C C E a Vienna il contrasto crudo tra la razionalizzazione settoriale d i certa «civiltà industriale. e la ragione, che deve orientare il primato della politica). Si approfondivano e si incrociavano le riflessioni su socialismo, libertà, mercato economico, federalismo integrale. M i limito a ricordare una lettura, che m i permise d i riordinare diverse idee, quella d i «Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870. d i Luigi Salvatorelli (che circolava nel mio campo d i prigionia nella terza edizione della Einaudi, Torino 1942): m i fermai ovviamente con più attenzione su Cattaneo, m a anche su Giuseppe Ferrari, vecchia conoscenza liceale - che ora m i mostrava alcuni risvolti kantiani, l'abbozzo d i un federalismo integrale e l'ipotesi di una curiosa sintesi d i comunismo e liberalismo -, e su M o n tanelli - che ipotizzava delle einternazionali» di settore, con qualche analogia con quello che sarà per u n certo tempo, nel secolo successivo, un pallino d i Luigi Einaud i -; infine su Pisacane, d i cui notai alcuni accostamenti a Proudhon. Poi la lettura della vita di M a z z i n i d i Bolton King: m i fece ripercorrere il mio itinerario (mentale) giovanile dallésilio d i Mazzini alla curiosità gennaio 1979 XXI COMUNI D'EUROPA Lavoro e occupazione nella prospettiva dell'unione economica e monetaria: aspetti monetari e di finanza pubblica Dieter Biehl della Technische Universitat di Berlino Relazione tenuta da Dieter Biehl al Convegno «Lavoro e occupazione nella prospettiva dellYUnione economica e monetaria europea», svoltosi a Roma il 26-27 gennaio 1979, su iniziativa del Movimento Europeo - Consiglio italiano, che ringraziamo per l'autorizzazione alla pubblicazione (nella foto: la sala del Convegno). I1 punto d i vista tradizionale dell'integrazione europea si è limitato per lungo tempo all'elaborazione dei vantaggi derivanti dall'integrazione per lo scambio delle merci, per il movimento dei capitali e per la libertà di circolazione delle forze lavorative. I provvedimenti di politica integrativa che ne scaturiscono sono tuttora di estrema importanza soprattutto sullo sfondo delle tendenze protezionistiche avvertibili sia a livello di economia mondiale, sia a livello degli Stati membri della Comunità. Perciò devono essere compiuti, anche nell'avvenire, tutti gli sforzi per la creazione di un autentico Mercato Comune delle merci e dei fattori produttivi. Occupandosi di questi problemi tradizionali, spesso, però, si è ignorato che l'integrazione europea contiene in sé anche altri aspetti più vasti. Questi aspetti risultano dalla convinzione che - almeno secondo l'opinione della maggioranza degli europeisti convinti - il Mercato Comune non p u ò essere inteso come il fine ultimo dell'integrazione europea, ma che esso rappresenta solamente un grado intermedio sulla via verso un' Unione politica europea. Sotto questo angolo visuale, inoltre, sono da considerare tutti gli sforzi che negli ultimi anni sono stati compiuti, in misura sempre crescente, per allargare il Mercato Comune in direzione di un'unione economica e monetaria. Ma anche per l'unione economica e monetaria è valido il concetto che essa stessa deve rappresentare un ulteriore grado intermedio. E' importante sottolineare questo punto di vista; importante e per la valutazione politica, e per quella economica degli sforzi di politica integrativa, poiché soprattutto la valutazione economica d i questi provvedimenti dipende, in modo decisivo, dall'alternativa se il Mercato Comune e l'Unione economica e monetaria devono essere considerati come fine a se stessi o come strumenti nella realizzazione dell'obiettivo a lungo termine dell'unificazione politica europea. Tale distinzione trova la sua causa nel fatto che la valutazione economica si basa abitualmente su una ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi, dunque su una analisi allargata dei costi e dei benefici; si pone, quindi, subito il problema da quale punto di vista siano da valutare vantaggi e svantaggi. Considerando, per esempio, l'Unione economica e monetaria come obiettivo a sé, si esclude l'aspetto di quanto essa sia nello stesso tempo un buon strumento per la realizzazione dell'unificazione europea. Se si parte, invece, sin dall'inizio, dall'obiettivo allargato, allora anche l'Unione economica e monetaria (UEM) riceve una valutazione supplementare, e cioè positiva, come adeguato strumento d i integrazione. A ques te condizioni, dunque, l'analisi economica costi-benefici risulta differente. C h e il punto di vista tradizionale dell'integrazione europea comporti una valutazione troppo ristretta, trova una ulteriore ragione nel fatto che fino a poco tempo fa si tralasciava, nell'ambito della discussione ~ u l l ' i n t e ~ r a z i o n europea, e un elemento importante, che fa parte della realtà delle unioni economiche e monetarie nazionali esistenti, e precisamente il significato dell'unione finanziaria. C o n questo concetto ci si richiama al ruolo del settore pubblico e specificamente al ruolo della finanza pub- XXII COMUNI D'EUROPA sione del potenziale economico. U n esempio d i risorsa, nello stesso momento immobile e indivisibile, è costituito dall'ubicazione geografica di una regione: tanto più tale regione è ubicata perifericamente in relazione ai centri delle attività economiche mondiali, tanto più basso è il reddito pro-capite raggiungibile in tale zona. La caratteristica di questi «fattori potenziali» è che essi, nel caso in cui in una zona manchino o la loro capacità sia già completamente esaurita, possono essere sostituiti solamente con costi molto elevati. Questa caratteristica p u ò essere denominata sostituibilità limitata o «limitazionalità». La quarta caratteristica è che spesso queste risorse, rilevanti per lo sviluppo economico, sono «polivalenti,,; cioè esse possono essere positivamente impiegate per la produzione di un gran numer o di beni e servizi diversi. Accanto all'ubicazione d i una regione, fanno parte dei più importanti fattori potenziali, identificabili c o n quei quattro criteri, anche i seguenti: - la agglornerazione: cioè la concentrazione territoriale della popolazione e delle attività economiche; blica nell'integrazione d i una economia nazionale, ed in concomitanza con ciò anche nell'integrazione di Stati membri nella C o munità europea. I1 significato di questo settore per la politica d i integrazione dipende dal fatto che tutti i sistemi economici nazionali sviluppati del mondo occidentale non rappresentano solo delle unioni economiche e monetarie integrate, ma anche delle unioni finanziarie, integrate attraverso il sistema della finanza pubblica. Espresso in modo più generale, si tratta dunque, nelle unioni finanziarie, d i stabilire quale sia il ruolo e quindi il contributo della finanza pubblica nel processo d'integrazione economica e politica. L'analisi del ruolo svolto dalla finanza pubblica nell'integrazione europea p u ò essere effettuata avendo come prospettiva diversi obiettivi. In seguito fornirò, innanzitutto, una visione d'insieme dei vari aspetti dell'unione economica, monetaria e finanziaria. Successivamente dimostrerò quali caratteristiche comuni e quali differenze esistano tra unioni economiche, monetarie e finanziarie «nazionali» ed internazionali. Dall'analisi dei sistemi economici nazionali trarrò, poi, delle conclusioni valide per I'ulteriore integrazione europea, soffermandomi anche su quale contributo potrà dare l'unione finanziaria alla soluzione del problema occupazionale nella Comunità. - la dotazione d i infrastruttura pubblica: dall'infrastruttura per i trasporti (strade, ferrovie, fiumi navigabili, aeroporti), all'approvvigionamento energetico ed idrico, all'attrezzatura sanitaria (ospedali) e alla dotazione d i strutture per la pubblica istruzione; I. Caratteristiche c o m u n i e differenze t r a unioni economiche, monetarie e finanziarie (UEMF) u n a z i o n a l i ~ ed qinternazionali, . Frequentemente la discussione sull'Unione economica e monetaria (UEM) è resa più complessa dal malinteso che si tratti d i una costruzione artificiosa, un «oeconomuncul u s ~ ,da creare completamente dal nuovo, senza modello, ignorando che in questo campo esistono forti analogie con i sistemi economici, in quanto questi sistemi integrano già delle economie territoriali, regionali e locali, in un'unione economica e monetaria nazionale. Se si parte dal presupposto che una U E M internazionale non rapiresenta altro che un caso particolare di U E M interregionale si possono già risolvere attraverso una analisi dettagliata degli sviluppi regionali e nazionali le questioni essenziali vertenti sulle premesse e sulle prospettive d i una U E M F europea. Per ogni economia territoriale è valido il concetto che il suo potenziale d i sviluppo a lungo termine viene determinato dalla propria dotazione di risorse, dotazione strettamente legata ad una regione o ad un paese. La relativa immobilità di una risorsa diventa, in tal modo, il primo criterio per l'identificazione d i fattori determinanti per le possibilità di sviluppo di una zona. Le risorse rilevanti per lo sviluppo economico devono essere, inoltre, comparativamente indivisibili, cioè devono abbracciare una serie grande e compatta di capacità economicamente utilizzabili. I n altre parole: quale secondo criterio per le possibilità d i sviluppo economico si p u ò considerare la dimen- , - la struttura economica settoriale: cioè la relazione tra settore agricolo, settore industriale e settore dei servizi in una economia regionale. L'asserzione centrale della teoria dei fattori potenziali afferma che il reddito procapite raggiungibile in una regione è tanto più alto, quanto più vicina è la sua ubicazione ai centri delle attività economiche mondiali (quanto maggiore è il potenziale d'ubicazione), quanto maggiore è la sua agglomerazione (il suo potenziale d'agglomerazione), quanto maggiore è la sua dotazione infrastrutturale (il suo potenziale infrastrutturale) e quanto migliore è la sua struttura economica (il suo potenziale d i struttura economica). La dotazione di questi (ed altri) fattori potenziali determina, dunque, il reddito potenzialmente raggiungibile in questa zona. L'ammontare del reddito reale dipende dal grado d i capacità della regione d i attrarre fattori di produzione mobili sufficienti - personalità imprenditoriali creative, capitale privato d'investimento, forze d i lavoro qualificate - e di tenere il loro reddito permanentemente al di sopra dell'equa retribuzione (profitti, interessi, dividendi, salari) che spetta ai fattori scarsi. La forza regionale di attrazione, e di conseguenza la capacità delle regioni di avere successo nella concorrenza per questi fattori produttivi mobili, dipende dalla relazione tra salario reale e produttività (Keynes la denominò wefficiency-wage.) o dal suo valore reciproco, dal «rapporto produttività/costi d i lavoro» (Giersch). In qiiesto rapporto la produttività pro-capite o per occupato viene determinata dalla dotazione gennaio 1979 regionale di risorse. Le Regioni con una dotazione migliore d i risorse hanno una produttività media più alta, quelle con una dotazione meno soddisfacente di risorse hanno una produttività media più bassa per posto' di lavoro regionale. Perciò l'impostazione del problema che parte dai fattori potenziali p u ò spiegare perché, per esempio, nonostante salari uguali ed uguali costi di capitale privato, una regione periferica, poco popolata, mal dotata di infrastrutture e settorialmente mal strutturata, presenta bassi redditi pro-capite, bassa percentuale di popolazione attiva, alti livelli d i disoccupazione e di emigrazione, mentre alle stesse condizioni una regione ubicata centralmente, con alta agglomerazione, ben dotata di infrastrutture e strutturata in modo ottimale, è caratterizzata da alti redditi, alte percentuali d i popolazione attiva, bassi livelli d i disoccupazione e cospicui fenomeni di immigrazione. L'effetto d i una Unione economica, monetaria e finanziaria nazionale, quindi, consiste essenzialmente nella creazione di condizioni quadro uniformi d i politica economica attraverso l'Unione economica, e nella creazione d i uno spazio monetaria uniforn~e, come anche di mercati di merci, lavoro e capitali generalmente più vasti ed efficienti attraverso l'Unione monetaria. L'unificazione delle condizioni quadro sta a significare, nello stesso momento, che le singole regioni debbono rinunciare ad usare certi strumenti protezionistici (per esempio dazi doganali ed altri ostacoli n o n tariffari per il commercio) contro la concorrenza del resto del mondo. I1 nocciolo della teoria del libero commercio in condizioni concorrenziali sostiene, infatti, che il lavoro ed il capitale privato affluiscono maggiormente nelle aree dove possono conseguire i maggiori profitti. Attraverso la rimozione delle restrizioni allo scambio delle merci e dei fattori, restrizioni che ostacolano la mobilità, possono essere meglio sfruttate le risorse presenti nella zona economica più vasta, <.integrata», e possono essere abbassati i costi d'informazione e di transazione, così come i costi per le garanzie contro le variazioni dei cambi valutari e contro gli interventi dirigistici nell'economia. Dal punto di vista dei singoli territori parziali d i u n a . U E M emergono, però, delle differenze notevoli riguardo alla distribuzion e d i questi vantaggi d i integrazione: attraverso l'Unione economica tutte le regioni unite perdono, sì, la possibilità di rinchiudersi in se stesse nei riguardi degli altri territori per mezzo d i dazi doganali, contingentamenti, limitazioni d i mobilità e variazioni valutarie, ma il vantaggio dell'apertura del mercato torna, però, in prima linea a tutto profitto dei produttori delle regioni centrali e ricche di risorse, poiché essi, nella concorrenza, sono avvantaggiati dal migliore rapporto produttivitàlcosti di lavoro. Nelle regioni povere d i risorse, invece, ne traggono profitto soprattutto i consumatori, che possono usufruire dei prezzi dei beni che si abbassano nelle regioni centrali a causa della produzione di massa e della divisione del lavoro. Nelle regioni dotate di gennalo 1979 COMUNI D'EUROPA poche risorse, le imprese, che prima si eradifese quasi sempre regioni più produttive per mezzo d i una protezione estremamente forte, vengono, a causa dell'integrazione, pienamente esposte alla concorrenza dall'esterno. L'integrazione porta, inoltre, a prezzi tendenzialmente uniformi, e ciò non soltanto sul mercato delle merci, ma anche sul mercato dei capitali e del lavoro. C o n dei costi di lavoro tendenzialmente uguali migliora notevolmente, invece, a causa della differente dotazione di risorse e della differente produttività per posto di lavoro, la concorrenzialità delle zone ben dotate d i risorse nei confronti di quelle meno dotate. All'interno di sistemi economici nazionali, perciò, si possono sempre osservare delle notevoli disparità interregionali rispetto all'occupazione e al reddito (vedi Tavola I). C o m e dimostra questa tabella, le differenze dei redditi pro-capite sono notevoli. C o m parando la regione con il reddito pro-capite più alto (Amburgo) alla regione con il redbasso (Calabria), per la C E E risuldito ta globalmente un rapporto d i 1:5,4. La tabella dimostra, inoltre, in quale misura muteranno questi rapporti in occasione A A Grecia' P0rt0ga1107 della Spagna e della Turchia: il dislivello dei redditi aumenterebbe a 1 :lo, nel primo cas o , e nel caso dell'adesione della Turchia addirittura a 1:34. Nonostante che i dati sull'impiego del potenziale della forza lavorativa, sull'occupazione e disoccupazione, mostrino u n dislivello minore, pur tuttavia esso sussiste anche qui: in tal m o d o tali dati ci indicano che regioni centrali ad alta agglomerazione, quali Amburgo, Parigi e Londra, hanno tassi regionali di popolazione attiva superiore al 46% mentre la percentuale della popolazione attiva della Calabria è del 2770. Sono inoltre più alti anche i tassi della disoccupazione e dell'emigrazione. XXIII TAVOLA I Reddito pro capite (Rpc) regionale 1970 nella Comunità dei N o v e e nei Paesi che vogliono aderire, Grecia, Spagna, Portogallo e Turchia (l) - in DM e corsi di cambio 1970. Rpr rrgionnle Rpc medio Paesi CEE Y ~ ~ O T C min. R,,,, D Italia unito C E E 9 (2) 8 700 3 220 17 480 1 :5,4 27,6 29,7 Spagna 3 300 1 750 4 940 1 :2,8 28,5 30,7 C E E 10 PortogaIIo 8 060 1 750 17 480 1 :l0 43,6 37,4 2 430 1890 2 810 111.5 11,O 10,6 CEE 11 7910 1750 17 480 1 :IO 47,2 39,5 3 600 1 760 5 510 1 :3,1 26,O 34,9 CEE 12 7 780 1 750 17 480 1 :l0 51,4 40,7 Turchia 1 010 510 1 650 1 :3,2 30,8 32,2 CEE l 3 7 070 510 17 480 1 :34,3 61.4 51,s Grecia ' -- (11 Rpc per Portogalli>, Grecia, Turchia: rtinie personali. (21 I,CI,S~ .animarca, I,I,,~,, IU,,,,,~,,,,, ,,, , ,,ii esistono Xpr reRionail. Fonte. irarisrio regionale dclla C E E (Eurosrat) 197314; Banco de Bilbio, Renra, Nacionai, 1971; stime e c=lcoli personali. dalla Commissione delle Comunità europee, il cosiddetto Comitato MacDougall, l'ammontare di questi effetti perequativi p u ò - sulla base di analisi sia di 5 Stati federali (Australia, Repubblica federale di Germania, Canada, Svizzera, Stati Uniti) che d i 3 Stati centralizzati (unitari) (Italia, Francia, Regno Unito) - essere stimato, in media, intorno al 4070 del reddito regionale pro-capite. La Tavola 11 mostra che questa redistribuzione interregionale funziona in m o d o che alle regioni relativamente più povere d i uno Stato perviene una spesa pub- Tassi regionali di popolazione attiva . . minimo mass~mo 1. Danimarca . . . . . . . . . . . . . 3. Gerrnania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Lussemburgo. . . . . . . . . . . . 6 . Belgio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Paesi Bassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fonte: statiscio regionde della C E E (Eurortatl 1973174, tabella 9 , pag. 136 e regg Queste disparità interregionali osservabili all'interno delle Unioni economiche e monetarie nazionali sarebbero, però, ancora . maggiori se esse non fossero compensate in misura considerevole dai sistemi finanziari pubblici degli Stati membri. Secondo u n gruppo di esperti incaricati ponderato paesi Bassi 2. Regno Unito . . . . . . . . . . . . 9. Italia non ponderato Frtncia aeigio Tasso medio nazionale di popolazione attivi 7. Irlanda Coejjr<ienre dt vnnazrone RFT Differenze tra le percentuali regionali di popolazione attiva nella Comunità 1973 4. Francia IIIPX Rapporto minimo1 massimo blica più alta di quanto non sia il loro gettito fiscale, mentre, viceversa, le zone relativamente più ricche producono un gettito fiscale maggiore d i quanto non ricevano in forma d i spesa pubblica. Poiché, inoltre, le zone relativamente più ricche sono nello stesso tcinpo zone che esportano più beni e servizi di quanto ne importino, tutto ciò p u ò essere anche interpretato nel senso che le regioni relativamente più ricche trasferiscono una parte della loro eccedenza d i esportazioni nelle zone relativamente più povere. Quindi queste ultime hanno, di regola, un'eccedenza di importazioni; cioè la loro bilancia delle transazioni correnti è deficitaria. I mezzi trasferiti attraverso il sistema della finanza pubblica permettono, perciò, a queste regioni di consumare pii1 beni e servizi di quanto esse potrebbero nel caso che non vi fossero i transferts netti pubblici. I sistemi economici nazionali, dunque, non sono soltanto unioni economiche e monetarie integrate, ma iiello stesso tempo sono anche delle unioni finanziarie, che compensano, attraverso le imposte e la spesa pubblica, cioè transferts dalle regioni economicamente forti, quei deficit nella bilancia dei pagamenti delle zone economicamente deboli che altrimenti si formerebbero. Però, questi effetti perequativi n o n sono in nessun m o d o espressione di beneficenza ed altruismo - il che è evidente, visto che i vantaggi dei produttori, che risultano dall'integrazione, tornano a tutto profitto soprattutto delle regioni forti di risorse -, ma sono il risultato, razionalmente del tutto spiegabile, di ponderazione di vantaggi e svantaggi: - le regioni centrali, economicamente forti, approfittano della circostanza che i mercati delle merci, dei fattori e dei capitali vengono tenuti aperti attraverso le U E M nazionali. - La tendenza verso u n livellamento dei costi del lavoro, osservabile nei sistemi eco- COMUNI D'EUROPA XXIV I saldi della finanza pubblica e delle bilance d i p a g a m e n t o in percentuali del p r o d o t t o regionale lordo. Einanza pubblica Deflusso ( - ) o A f f i ~ s s o( + h (Il Bilancia d i pagamenro: eccedenza ( + l o deficit (-1 nella hilancia drllc transazioni correnti 12) Kegioni o Stari membri relarivamente poveri Germania (niedia 1968-70) Bassa Sassonia. . . . . . Schleswig-Holstein. . . . Tei-i-itot-iodella Saar . . . Francia (1972) Bretannia Regno Unito (1964) Galles . . . . . . . . . . . . . . . . Scozia . . . . . . . . . . . . . . . . Irlanda del Nord . . . . . . . . . . . Italia (media 1971-73) Umbria. Abruzzo Basilicata Calabria . . . . : . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Regioni o Stati membri relativamente ricchi Germanza (media 1968-70) Baden-Wurtern berg . . . . . . . . . . . . . . Renania settentrionale e Vestfalia. . . . . . . . . Assia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Regno. Unito (1964) Sourh East . . . . . . . . . . . . . . . . . . Wesr Midlands . . . . . . . . . . . . . . . . Italia (media 1971-73) Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . Liguria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (1) Differenza fra spese ed entrate federali o dello stato centrale. Per l'Italia il grande deficit nazionale viene ripartito tra le regioni, proporzionalmente al loro prodotro regionale. ( 2 ) Differenza tra il prodotro regionale c spese interne. Fonte: a cura della Commissione della CEE, Rapporto del gruppo di esperti per l'analisi del ruolo della finanza pubblica nel processo di integrazione europea (rapporto MacDougall), vol. l , pag. 35, Bruxelles, aprile 1977. nomici nazionali completamente integrati, migliora il rapporto produttivitàlcosti d i lavoro nelle regioni ben dotate d i fattori potenziali e lo ~ e g g i o r a nelle regioni meno ben dotate. - L'utilizzazione dei vantaggi creati dalla agglomerazione e dagli effetti di produttività, creati da sistemi urbanistici gerarchici e centralizzati, permette alle Regioni centrali di conseguire posizioni concorrenziali monopolistiche, le quali, in queste regioni, vengono ulteriormente rafforzate per effetto dell'accentramento delle istanze decisionali politiche. - L'esistenza del principio del «Paese di residenza,,, ossia della «sede dell'impresa,, nella registrazione e nel versamento delle imposte più importanti, assicura alle regioni economicamente forti ed esportatrici di capitale una parte del gettito fiscale più che proporzionale rispetto alle regioni economicamente deboli ed importatrici di capitale, nonostante che queste ultime effettuino notevoli prestazioni anticipate per l'attività economica privata. U n o scioglimento delle U E M nazionali esistenti per effetto d i una secessione, di una separazione o di misure protezionistiche, farebbe diminuire notevolmente i vantaggi della regione centrale. D a questo angolo visuale i transferts finanziari possono essere interpretati anche come «premio assicurativo. contro il rischio di secessione. Una comune storia, cultura, lingua e rapporti di parentela fra gli abitanti delle varie regioni d i un sistema economico integrato formano, in definitiva, un vincolo di solidarietà che va oltre i vantaggi economici immediati e sul quale si basa un intero sistema di perequazione finanziaria interregionale. Oltre a ragioni puramente economiche, il grado di solidarietà ha anche un ruolo importantissimo per la formazione del sistema della finanza pubblica e, soprattutto, per gli effetti perequativi interregionali. Senza una adeguata solidarietà politica all'interno di una unione finanziaria, le regioni relativamente più ricche non saranno, come è comprensibile, disposte ad effettuare un transfert di risorse in favore delle zone relativamente più povere. gennalo 1979 Questo grado di solidarietà interregionale si riflette, tra l'altro, anche nella struttura decisionale ed organizzativa di un Paese: se le regioni o gli Stati membri economicamente più deboli non sono disposti a riconoscere al Governo e al Parlamento centrali - e conseguentemente anche alle regioni più ricche ivi rappresentate - dei diritti di decisione, e se essi insistono particolarmente nel decidere da soli sui mezzi che ricevono, allora non ci si p u ò aspettare che venga istituito un sistema di perequazione interregionale. Tuttavia, solo con la pura redistribuzione interregionale non sono ancora eliminate le cause della differente forza economica e delle differenze tra le possibilità occupazionali tra le diverse regioni; i transferts finanziari netti comportano solo che le regioni beneficiarie hanno a disposizione più beni e servizi rispetto all'ammontare della propria produzione. L'argomento addotto, secondo il quale la domanda aggiuntiva, creata nelle zone economicamente deboli attraverso i transferts finanziari, favorirebbe le imprese ivi ubicate e creerebbe posti di lavoro addizionali, è giusto solo in parte in quanto, secondo il presupposto del <<fattorepotenziale,,, la produttività di un posto d i lavoro regionale dipende dalla dotazione di risorse nella quale questo posto d i lavoro si colloca. Ma ciò significa che i posti d i lavoro, in territori periferici, poco popolati e mal forniti di infrastrutture, presentano una produttività più vasta rispetto ai posti di lavoro delle regioni meglio attrezzate. Nelle regioni economicamente deboli una notevole parte della domanda aggiuntiva viene perciò dirottata verso le zone economicamente più forti, perché soltanto lì risiedono le imprese concorrenziali, le quali producono la maggior parte dei beni e dei servizi che vengon o richiesti nelle zone economicamente deboli. Soltanto per le prestazioni di servizi locali è valido, perciò, il ragionamento che la domanda aggiuntiva in una regione risulta a profitto dell'economia ivi residente. I n altre parole: un incremento dello svilupp o regionale solo in minima parte p u ò essere stimolato dalla creazione di domanda aggiuntiva; la promozione dello sviluppo regionale consiste soprattutto nel rendere l'offerta più concorrenziale nelle zone economicamente deboli e nel provvedere ad investimenti addizionali per la creazione d i nuovi posti d i lavoro attraverso una adeguata compensazione della peggiore dotazione di risorse. Proprio quest'ultimo principio è di massima importanza, non solo per la politica regionale all'interno degli Stati membri, ma anche per la politica regionale europea. O r a , perciò, ci dedichiamo alle conclusioni che sono deducibili, per l'integrazione europea, da questa nostra analisi sulle Unioni economiche, monetarie e finanziarie nazionali. 11. Conclusioni valide per l'Unione economica, monetaria e finanziaria europea. Trasferendo quei concetti, che risultano dall'esame di sistemi economici integrati na- COMUNI D'EUROPA gennaio 1979 zionali alla Unione economica, monetaria e finanziaria' europea, che deve essere creata, si possono fare le seguenti informazioni: t . Attraverso l'unione economica vengono ulteriormente '<aperte. le economie territoriali oltrepassando quella riduzione di limitazioni interregionali già raggiunta dalla 'Unione doganale. Ciò aumenta le interconnessioni regionali; per questo avranno, per il mercato più vasto, pieno effetto i vantaggi della produzione di massa e della divisione del lavoro. Gli utili che così derivano dalla maggiore produttività aumentano l'intera crescita economica e fanno diminuire la disoccupazione sull'intero territorio della Comunità. 2. La sostituzione delle diverse monete nazionali con un'unica moneta europea nell'ambito dell'unione monetaria abbassa i costi di informazione e transazione e fa diminuire il rischio proveniente dalle variazioni dei cambi valutari e dagli interventi dirigistici ilei rapporti di scambio intercomunitari. Anche attraverso ciò, le risorse disponibili nell'intera Comunità possono essere meglio utilizzate, e possono essere raggiunti redditi più alti ed una maggiore occupazione. 3 . Contemporaneamente la Comunità viene meglio assicurata contro eventuali disturbi nel sistema monetario internazionale; la moneta europea stessa può, inoltre, assumere parzialmente delle funzioni d i moneta guida, e sostituire il dollaro in molte occasioni, fornendo, così, alla Comunità anche un guadagno aggiuntivo di coniazione. 4. Solamente attraverso la creazione di una ottimale e più vasta zona economica e monetaria, però, non vengono di per sé ancora rimosse le disparità interregionali, poiché esse sono determinate dalla distribuzione interregionale dei fattori potenziali. Senza dubbio però esiste una notevole differenza se una disparità interregionale di reddito relativamente omogenea si aggira per esempio intorno a un reddito europeo medio di, diciamo, D M 10.000 o - a causa di una maggiore crescita economica per la realizzazione della U E M - intorno a un reddito di D M 1t .OOO. 5. I n un primo momento, da un punto di vista statistico puro, le disparità interregionali aumentano in concomitanza con un più vasto spazio economico, in quanto le disparità di occupazione e di reddito nell'ambito dell'insieme delle regioni della C E E sono notevolmente maggiori che all'interno di una U E M nazionale. A causa dei più alti tassi di crescita economica e di un più alto livello occupazionale, condizionati dall'integrazione, ci si può, però, aspettare che gli Stati membri, attualmente economicamente più deboli, recuperino nel lungo termine nei confronti della media C E E . Così l'Italia, per esempio, ha avuto durante la creazione del Mercato Comune dei tassi di crescita economica medi. più alti. I n questo modo, a partire dal 1958, la distai~zatra i redditi medi nazionali all'in~ Z i i , V ciella Comunità è diminuita. C o n I'nmugeneizzazione dei redditi medi nazio- XXV C r i t e r i per giudicare se la partecipazione a livello comunitario alle funzioni proprle dei settore pubblico è fondata o meno. Economie di scala Externalitier o Spillover sì sì Omogeneirà politica* Prestazioni generili di serwizi pubblici Rapporti esterni non militari (commercio, aiuti a Paesi in fase di sviluppo, energia, collaborazione politica Amministrazione pubblica, sicurezza e protezione legale in una certa misura in una certa misura adeguata o k ~rtualrnr~i:r . . ancora in lase I, .lego ziazione in una certa misura Sicurezza e assiste>izasociali - Istruzione, sanità, assicurazione sociale ( l ) , edilizia attualmente poco, in futuro sì no Promozione economica Funzioni di intervento nel mercato (agricoltura, pesca, olio) Funzioni di regolamento del mercato (norme tecniche, concorrenza ecc.) , sì, selettivamente sì, selettivamente Tecnologia avanzata sì Politiche strutturali e congiunturali (politica regionale, programmi per l'occupazione, disoccupazione) (2) - sì, in una certa misura adeguata o è attualmente ancora in fase di negotiazione adeguata o è attualmente ancora in fase di negoziazione in certa misura adesso, in futuro? sì in certa misura adesso, in futuro? (1) Esclusi i sussidi di diroccupazione (2) Inclusi i sussidi di disoccupazione. Come vista attualmente con I'ipoieri -dell'integrazione pre-federale.. Questo criterio politico sarà, più che gli altri due criteri economici, sottoposto a variazioni nel corso del tempo. Fonte: a cura della Commissione della CEE, Rapporto del Gruppo di esperti per l'analisi del ruolo della finanza pubblica nel processo d'integrazione europea. (Rapporio MacDougall) vol. 1 , pag. 54, Bruxelles, aprile 1977. nali anche i redditi regionali diverranno tendenzialmente simili. Anche nei paesi che intendono aderire alla C E E i tassi di crescita economica sono stati negli ultimi anni più alti rispetto alla media C E E . 6 . Nonostante ciò, un'unione economica e monetaria europea p u ò divenire stabile soltanto attraverso un'unione finanziaria. In conformità al più basso grado di mobilità presente oltre le frontiere dei Paesi membri della Comunità, e a causa dell'attuale, relativamente più basso, grado di solidarietà politica tra i paesi membri, il volume di transferts finanziari necessario a garantire una U E M europea potrà essere, e sarà, notevolmente più basso che all'interno dei sistemi economici nazionali. 7. Per garantire in m o d o durevole la U E M contro il rischio politico di secessione e per creare in misura sufficiente i presupposti per lo sviluppo di una coscienza di solidarietà europea, anche le istituzioni europee (Parlamento europeo, Governo C E E , ecc.) devono essere rafforzate e sviluppate nella direzione dell'unione politica. Per l'unione monetaria è, inoltre, necessaria l'istituzione di una Banca centrale europea indipendente, Contemporaneamente tutto ciò implica un aumento del bilancio della Comunità, poiché ora la Comunità deve assumere nuovi compiti aggiuntivi. Secondo le analisi del gruppo di lavoro MacDougall, in una prima fase pre-federale devono essere presi in considerazione i seguenti nuovi compiti (vedi anche Tavola 111): relazioni esterne non militari, settori specifici della pubblica ainministrazione, sicurezza e protezione legale, promozione industriale, sviluppo di nuove tecnologie, politica regionale e strutturale, programmi contro la disoccupazione e di formazione professionale. Questi compiti, comporterebbero una crescita del bilancio comunitario dall'attuale 0,770 del prodotto lordo con~unitarioal 2-2,570 circa. Nella seconda fase, in cui esiste una federazione con un settore pubblico centrale limitato, gli ordini di grandezza si aggirerebbero intorno al 5-1070, nel caso in cui anche la difesa diventasse un compito europeo; in caso contrario, essi si aggirerebbero intorno al 5-770 del prodotto lordo comunitario. Nello stadio finale, in presenza di un'unione politica pienamente matura, il bilancio comunitario potrebbe raggiungere ii 20-2570. Queste quote comunitarie non de- XXVI vono, però, essere aggiunte alle quote di partecipazione del settore pubblico al prodotto nazionale lordo, poiché una gran parte dei nuovi compiti del livello comunitario risulta dallo spostamento d i compiti dal livello governativo, in modo che al livello nazionale possano essere risparmiate delle spese. Per il finanziamento di queste maggiori spese la Comunità ha, però, anche bisogno d i nuove entrate. Se a queste nuove entrate venisse applicata una forma progressiva, potrebbe già nella fase pre-federale venir raggiunto, con un volun-ie d i bilancio del 2 2 , 5 % , un effetto perequativo interregionale del lo%, circa, tra tutte le regioni della Comunità. Questo sarebbe, nondimeno, un quarto dell'effetto redistributivo accertato dal Comitato MacDougall come media negli o t t o stati analizzati. C i ò richiede, però, una profonda riforma dell'attuale sistema delle entrate della C o munità. L'effetto perequativo interregionale della finanza pubblica, accertato nei paesi analizzati, dipende soprattutto dal principio di progressività del sistema fiscale generale, i n m o d o che le aree più ricche procurino in generale un gettito fiscale pro-capite maggiore delle zone economicamente più deboli. La C E E attualmente, però, non dispone di un sistema di entrate che risponda, neanche minimamente, a questa richiesta. Al contrario, il sistema attuale delle entrate, che si basa largamente tanto sui dazi doganali che sui prelievi, così come sulla quota dell'i % della tassazione IVA, ha più effetti . . regressivi che progressivi; cioè li Stati meiiibri economicamente più deboli vengono più gravati che non quelli economicamente più forti. Per poter raggiungere già durante la prima fase pre-federale l'effetto perequativo menzionato del IO%, circa, il sistema europeo delle entrate deve, perciò, essere modificato nel più breve tempo possibile. Second o le proposte contenute nel rapporto MacDougall, ci si offre, sì, la possibilità di partire da una comune base di calcolo per l'applicazione del sistema IVA in ogni Stato membro, ma si dovrebbero rendere le quote di questo gettito IVA, che devono essere versate alla C E E , proporzionali secondo una chiave progressivamente differenziata, in modo che gli Stati membri più ricchi paghino dei contributi relativamente più alti rispetto agli Stati mernbri economicamente più deboli. Per incentivare nello stesso momento anche l'azione di perequazione interregionale del bilancio comunitario, si d o vrebbe, poi, istituire, per una parte più grande possibile delle spese comunitarie, un sistema di aiuti finanziari con quote di partecipazione propria ( ~ m a t c h i n g grantsn). Questo avrebbe un significato speciale, per esempio, per le sovvenzioni compiute dal Fondo regionale e per gli interventi deliberati dalla BEI. L'idea base è che i Paesi membri più ricchi ricevano, per esempio, per progetti di politica regionale, soltanto un contributo del 50%, mentre questa percentuale potrebbe essere aumentata fino a11'80% o al 90% per gli Stati membri ecoilomican~entepiù deboli. COMUNI D'EUROPA 111. Il contributo dell'unione finanziaria europea alla soluzione del problema occupazionale. I sistemi economici degli Stati membri della C E E sono sistemi misti, orientati verso l'economia di mercato, caratterizzati dalla presenza di u n settore pubblico e di u n o privato, il quale è organizzato più o meno secondo i principi dell'economia di mercato. D a un punto di vista economico il lavoro è ripartito tra questi due settori, in mod o che il settore pubblico fissa, da un lato, le condizioni quadro entro le quali le attività economiche possono essere realizzate dal settore privato, dall'altro, degli incentivi pubblici in favore della produzione privata. Secondo la teoria dei fattori potenziali risultano certamente determinanti anche i fattori naturali, quali, per esempio, la posizione geografica p e r h r i c a o centrale di una regione, la sua dotazione mineraria, la sua topografia e il suo clima, il potenziale di sviluppo e, quindi, conseguentemente, il reddito raggiungibile in una regione. Ma, tanto in un'unione economica nazionale, quanto in una europea, al settore pubblico spetta il compito particolare di provocare, con la creazione di un sufficiente grad o d i solidarietà interregionale e non solo con una migliore dotazione soprattutto di capitale pubblico infrastrutturale, ma anche con u n incentivo agli investimenti privati, una perequazione della forza economica .naturale.. D a questo punto di vista hanno anche un significato notevole per lo svilupp o regionale tutte le altre numerose misure che non sono legate direttamente alle entrate o alle spese. Questo orientamento è valid o sia per il diritto economico generale, sia per la politica statale nell'ambito dell'assetto territoriale, per la legislazione dei trasporti, della tecnica e della ricerca, tanto per citare soltanto alcuni esempi. Dall'angolo visuale della nostra impostazione del problema, anche nelle attività non finanziarie dello Stato, è importante che esse creino i presupposti, da un lato, per una migliore dotazione regionale di risorse, dall'altro, per una loro più efficace utilizzazione. Nell'ainbito legislativo, così come anche in quello della finanza pubblica, sussiste in generale un confronto tra «l'obiettivo d i allocazione», e cioè di un impiego quanto più efficiente possibile, e «l'obiettivo di distribuzione*, e cioè di una distribuzione quanto più equa del reddito e del capitale. Nello stesso tempo si ignora, però, che un miglioramento efficace e duraturo della forza economica delle regioni deboli p u ò essere raggiunto solamente attraverso un miglioramento della dotazione regionale di risorse. Soltanto in questo caso possono, come abbiamo già detto, essere aumentati il reddito pro-capite e l'occupazione raggiungibili. I1 verificarsi di tali condizioni determina contemporaneamente u n rniglioramento nella distribuzione interregionale del reddito e del capitale. Una politica di sviluppo e di integrazione imperniatà su questi due obiettivi dovrebbe, perciò, essere denominata po!itica di allocazione o r i e r ~ t a tverso ~ la distribuzione. C o n questa denominazione si vuole dunque dire che, attraverso una ridistribuzione interregionale delle risorse e avendo come obiettivo l'aumento delle capacità produttive economiche, anche le disparità interregionali del reddito e dell'occupazione possono essere ridotte. Tuttavia, spesso, anche questi due obiettivi, del reddito e dell'occupazione, entrano in conflitto tra d i loro. Se, per esempio, i sindacati tentassero di ottenere la rivendicazione tipo, «lo stesso salario per lo stesso lavoro», orientandosi secondo i salari pagati nelle regioni meglio dotate di risorse, e perciò anche più forti nell'ambito dei redditi, ciò potrebbe facilmente portare ad una situazione nella quale il rapporto menzionato produttività/salario reale o costo di lavoro verrebbe talmente distorto che gli investimenti privati, a causa degli alti costi di lavoro, diverrebbero, nella regione debole, poco remunerativi. La conseguenza è che certamente il reddito di coloro che sono ancora occupati salirebbe proporzionalmente, mentre invece il numero dei posti di lavoro si ridurrebbe, o almeno non aumenterebbe, in misura tale da non poter occupare tutte le persone in cerca di lavoro. Se si privilegia eccessivamente l'obiettivo del reddito, ciì, puc* provocare una ripercussione sull'obiettivo occupazionale. Questa ripercussione non si evidenzia, però, solamente con alti tassi di disoccupazione infatti in questa regione si avrà una notevole emigrazione, come abbiamo già illustrato precedentemente, e il tasso regionale di p o polazione attiva sarà notevolmente minore rispetto alla media nazionale, e, soprattutto, rispetto alle percentuali di popolazione attiva nelle zone economicamente forti. In quale misura l'integrazione europea e specialmente l'unione finanziaria p u ò , allora, contribuire a disinnescare il conflitto tra l'obiettivo regionale del reddito e quello dell'occupazione, e ad aumentare il numero dei posti di lavoro nella C E E in generale? Voglio provare brevemente, in conclusione, a soffermarmi su questa questione. Bisogna innanzitutto partire dal riconoscimento che l'obiettivo dell'integrazione europea consiste nell'integrazione, a lungo termine, dei sistemi economici degli Stati membri, nello stesso modo nel quale gli Stati membri stessi sono riusciti ad integrare le loro rispettive economie regionali. Nel quadro dello sviluppo storico dell'integrazione nazionale, le monete regionali precedenti sono state sostituite da una moneta nazionale unica. Se, ora, gli Stati membri della C E E vogliono intraprendere lo stesso cammino, e ciò in conformità all'obiettivo dell'uiiione monetaria, allora bisogna tener conto delle conseguenze derivanti dalla differente dotazione di risorse delle regioni e, conseguentemente, degli Stati membri stessi. Se in queste condizioni si volesse introdurre imrnediatarner~teuna moneta europea unica, allora si toglierebbe agli Stati membri la possibilità di compensare, attraverso la rivalutazione o la svalutazione delle loro monete nei confronti degli altri Stati membri, i fattori strutturali d'influenza, come per esempio le notevoli differenze tra i tassi gennaio 1979 d'inflazione e le politiche monetarie che ne seguono. I n questo caso esiste solo una alternativa: o si mettono, con dei crediti d i sostegno monetario, gli Stati membri economicamente più deboli nelle condizioni d i mantenere un cambio valutario fisso, o gli si dà, attraverso dei transferts netti nell'ambito del sistema della finanza pubblica, quell'aiuto di cui hanno bisogno durante un , certo periodo transitorio peri potersi integrare in un sistema fondato su un'unica moneta europea. Poiché ad u n sovvenzionamento, attuato attraverso il sostegno monetario, è sempre collegato i1 pericolo d i un aumento indesiderato della quantità di m o neta nei Paesi membri aventi più basso tass o d i inflazione, gli Stati membri più consaevol li d e l l ' i m ~ o r t a n z a della stabilità d o vrebbero perciò essere disponibili ad effettuare, c o n transferts finanziari pubblici, il necessario aiuto agli Stati membri economicamente più deboli. E' sorprendente che, per esempio, nella Repubblica federale di Germania n o n si considera ancora il problema da questo punto di vista. Se si dà all'obiettivo della stabilità un valore molto alto, allora l'opinione qui sostenuta dovrebbe affermarsi; il che equivale a dire che, se gli Stati membri hanno bisogno di un aiuto per poter, per esempio, aderire al sistema monetario europeo e per poter farne parte per un periodo indeterminato, allora i transferts finanziari sono uno strumento mzgfiore in confronto ai sostegni monetari. I n tutti e due i casi, però, per arrivare alla futura moneta europea, si p u ò ridurre l'ammontare delle sovvenzioni, rifiutando la strada dell'ulteriore riduzione della fascia di oscillazione e la fissazione di rapporti di cambio valutario, scegliendo, invece, la strada della creazione di una moneta parallela europea. Questa impostazione permetterebbe l'istituzione di una moneta europea e d i una Banca centrale europea che amministrerebbe tale moneta, mentre ancora esistono monete e Banche centrali nazionali. U n piano graduale per l'introduzione della moneta parallela dovrebbe prevedere inizialmente l'ammissibilità della nuova moneta europea soltanto per le transazioni tra le Banche centrali e gli Stati membri; successivamente, nel momento più opportuno, anche per le transazioni tra imprese e, infine, in una terza fase, quale mezzo di pagamento parallelo generale. I n ogni caso per la moneta parallela la premessa è che i rapporti di cambio tra la moneta europea e le monete nazionali rimangano flessibili, in m o d o che le divergenze tra i tassi d'inflazione possano essere compensate. Se tutto ciò non accadesse, ci sarebbe da temere che sarebbero maggiormente colpite da problemi occupazionali specialmente le regioni con alta pressione salariale strutturale e cattiva dotazione d i risorse, e che gran parte delle sovvenzioni effettuate servirebbe soltanto alla compensazione degli svantaggi ~ r o v o c a t idalla soluzione scelta per l'integrazione monetaria. Indipendentemente dalla soluzione della questione dell'integrazione monetaria, rimane da constatare che un miglioramento della dotazione interregionale di risorse nella C o - COMUNI D'EUROPA munità p u ò essere raggiunto soltanto con dei provvedimenti, che vanno al d i sopra dei costi d i adattamento, costi che dipendon o dalla forma dell'unione monetaria scelta. Perciò, in seguito, si tratterà esclusivamente di questi transferts di risorse. Abbiamo già menzionato che una serie di fattori naturali, come per esempio la posizione geografica, le risorse minerarie, la topografia e il cliina, sono da considerare quali grandezze determinanti del potenziale regionale di sviluppo. Differenze nella dotazione naturale di risorse possono però, anche questo l'abbiamo già detto, essere compensate attraverso investimenti pubblici, specialmente nel campo dell'infrastruttura. Per esempio, gli alti costi d i trasporto e d i comunicazione, ai quali devono far fronte le zone periferiche quando vogliono entrare in c o n c o r r e n z a c o n le regioni centrali, possono essere ridotti migliorando con strade, ferrovie e traffico aereo i loro collegamenti. Poiché, inoltre, la produttività di un occupato dipende dal suo grado di istruzione e i costi per la formazione professionale sono oggi negli Stati membri della C E E in larga misura a carico dello Stato, o almeno vengono da esso ampiamente sovvenzionati, la politica della pubblica istruzione costituisce, dunque, un ulteriore importante punto di partenza per il miglioramento della dotazione regionale d i risorse. Tramite questa politica, il potenziale di manodopera esistente in una regione, p u ò essere qualificato in m o d o che corrisponda al grado di capacità richiesto dai posti di lavoro moderni e in m o d o che questi posti di lavoro possano poi resistere anche alla concorrenza delle imprese delle regioni centrali della C E E . L o stesso discorso vale per gli impianti infrastrutturali, per i1 rifornimento energetico ed idrico, per il perfezionamento e la promozione delle città - viste come centri di mercato del lavoro - nelle quali possono stabilirsi nuove imprese private o possono espandersi imprese già esistenti creando posti d i lavoro aggiuntivi. Fa, inoltre, parte dell'infrastruttura il sistema sanitario, poiché soltanto attraverso un'adeguata dotazione d i farmacie, di ospedali e di medici si può evitare che la forza di lavoro umana venga ad essere menomata o distrutta. U n a tale politica infrastrutturale, però, d a un lato è relativamente costosa, e dall'altro è relativamente lunga in quanto ci vorrà molto tempo prima che una tale attrezzatura infrastrutturale, che permette un evidente aumento della produttività del lavoro, possa essere creata nelle zone finora trascurate. Perciò, contemporaneamente all'attuazione d i questi provvedimenti, per la creazione di nuovi posti di lavoro devono essere utilizzati altri strumenti. N e fanno parte soprattutto misure per incentivare gli investimenti d a parte delle imprese private. Fin tanto e fin quando esistono regioni chiaramente svantaggiate a causa, per esempio, della loro posizione periferica o della loro cattiva attrezzatura infrastrutturale nei confronti delle regioni centrali, e in quanto n o n è possibile mutare notevolmente, attraverso gli investimenti pubblici, questa situazione nel breve e nemmeno nel medio termine, non deve soltanto essere mantenuto, ma anche allargato, lo strumento per incentivare investimenti privati attraverso premi e sovvenzioni. Principio fondamentale è che ci deve essere una compensazione di quegli svantaggi dovuti alla dotazione regionale di risorse, i quali costituiscono la causa per la finora esistente posizione svantaggiata delle regioni meno attrezzate nella concorrenza con quelle più attrezzate. O r a , si potrebbe obiettare che una tale politica del transfert interregionale di risorse all'interno di una unione finanziaria è nociva per la crescita economica, poiché i mezzi che vengono detratti alle regioni economicamente più forti ivi sarebbero stati probabilmente più produttivi. Però, questa constatazione è giusta soltanto nel caso in cui le regioni paganti non fossero delle regioni aventi già raggiunto un grado di agglomerazione e di concentrazione territoriale, tali da provocare dei costi sociali molto elevati. Poiché i1 nostro sistema di contabilità nazionale non calcola questi costi sociali, si viene a sopravvalutare il reddito e con ciò la forza di crescita economica delle zone centrali di agglomerazione. Se disponessimo già di un sistema d i contabilità nazionale che tenesse conto in m o d o adeguato anche degli effetti esterni negativi di una agglomerazione eccessiva in forma di inquinamento dell'aria e delle acque, della rumorosità dell'ambiente, come anche dell'aumentata criminalità, allora i tassi di crescita economica di queste zone di agglomerazione sarebbero notevolmente più bassi. U n dirottamento di risorse d a queste regioni ad eccessiva agglomerazione verso altre regioni, nelle quali viene in tal m o d o accresciuta la produttività, non va perciò, valutando anche i costi e i benefici sociali, a scapito della crescita economica. Ma, nonostante ciò, questa affermazione implica che possibilmente u n transfert di risorse dalle zone ad alta agglomerazione verso zone estremamente periferiche con poca agglomerazione e meno dotate, andrebbe presumibilmente ancora a scapito della crescita economica. L'affermazione che una redistribuzione interregionale di risorse non andrà a scapito della crescita economica, ma porterà invece ad un suo incremento, risulterà valida soltanto nel caso di una deviazione verso zone di media dotazione d i risorse, le quali perciò hanno anche a breve e media scadenza le migliori possibilità di sviluppo. Ma ciò non sta a significare altro che d o b biamo essere, come prima, disposti a rinunciare parzialmente alla crescita economica quando si tratta d i migliorare la prosperità della vita di persone che vivono nelle regioni più povere della Comunità europea. Tutte queste considerazioni dimostrano quale sfida costituisca l'integrazione europea, non soltanto per gli Stati membri più ricchi, ma anche, soprattutto, per le regioni più ricche all'interno d i ogni Stato membro. I1 successo dell'integrazione europea dipenderà perciò in m o d o decisivo dal fatto se si riuscirà a creare un grado adeguato di solidarietà politica in tutti gli Stati membri e in tutte le regioni della Comunità, al fine d i poter rispondere a questa sfida. Se credete nel federalismo europeo e nelle autonomie locali, abbonatevi a «Comuni d'Europa». C O M U N I D'EUROPA - PIAZZA D I TREVI, 86 - 00187 ROMA - TEL. (06) 6784556 gennaio 1979 COMUNI D'EUROPA per la rivoluzione industriale inglese e per le nascenti organizzazioni operaie. M a c'era soprattutto - anche attraverso le riviste e i giornali - il contatto frequente col dibattito inglese, fra ltberali e laburisti, sulla piena occupazione, il Weltare state, l'economia d i guerra: arrivavano d i prima e,,piu spesso, d i ,seconda m a n o gli esiti delle discussioni e delle ricerche della London School of Econ o i ~ ~ i c;s circolavano gli scritti d i Harold Laski e dei neo-fabiani. A Q u a r o n i debbo l'introduzione al discorso sulla pianificazione regionale e la scoperta d i Patrick Geddes (ecivic and regional planning,,, ~ i n t e r a c t i o n b e t v e e n people, their environments a n d their activitiesn). M a l'oscura conclusione cui si avviava la guerra, con la probabile perdita della pace, m i richiamava con insistenza all'Europa: il terreno d o v e sarei stato comunque chiamato a combattere per la pace, d u n q u e per il federalismo. Q u i la riflessione m i riportava a i vecchi esordi, alla «cultura inglese nel secolo V I I » e all'annoso dibattito - che t a n t o aveva a f f a n n a t o e che affannerà negli a n n i futuri gli storici specialisti - se cioè si possa parlare o m e n o d i u n rinascimento carolingio. Il fatto è che dietro c'erano grosse questioni attuali: il ruolo delle component i romana, cristiana e germanica nella formazione della civiltà europea era diventato u n falso scopo per combattere il nazismo. Ricordo che a casa mia, a R o m a , negli a n n i trenta circolavano - introdotti da una mia cugina della F U C I , cioè universitaria cattolica - i d u e bei libri, i n edizione della Morcelliana d i Brescia, d i Mario Bendiscioli, Moenius, H e r w e g e n , W u s t su ~ R o m a n e s i m o e germanesimo,> (1933: m a il libro era e n trato in casa - ce l'ho ancora - con una dedica a una mia zia «fascista», che è del febbraio 1937) e del cardinale Faulhaber, arcivescovo d i Monaco, su «Giudaismo C r i stianesimo GermanesPmo - prediche tenute in San Michele d i Monaco nell'avvento del 1933» (1934 - traduzione d i don Giuseppe Ricciotti). O r a in India circolava u n libro d i Gabriele Pepe («Il Medio u n «anticlericale~~, E v o barbarico d'Italia,,, 19411, che in chiav e antinazista polemizzava sul ruolo che alla comUonente ~ e r m a n i c a attribuiva la storiografia razzista. Eppure bisognava recuperare u n superiore equilibrio, n o n cadere nel giuoco dell'avversario: ed ecco la lettura della ~ H i s t o r yof Europen (del 1935) del Fisher - questo inglese così .europeo» -, ecco il commento che io e qualche amico facevamo a i più giovani compagni d i prigionia - sbalorditi tra fascismo e antifascismo d i u n libro, che ha consumato molti occhi, «L'età del Risorgimento italianon d i A d o l f o O m o d e o - o v e il nostro risorgimento è davvero inscindibile dal risorgimento europeo -. Così trascorsero quattro a n n i d i India: m a n o n posso tacere che i n u n giorno dellagosto 1945 andai al comando inglese, deciso a scindere le m i e responsabilità da quelle degli «alleati». Era stata atomizzata Hiroshima ed io e b b i una violenta reazione morale e quindi, dato il mio m o d o d i intendere la politica, anche politica. L'ufficiale inglese m i rispose, col consueto humour, 0 *Il Corriere. (1 copia, 1 anna) era il giornale in lingua italiana, che circolava nei campi di prigionia indiani. l'abituale consumata d i p l ~ m a z i ae anche u n certo savoir faire pedagogico, che la b o m b a atomica era stata una sorpresa americana; che dubitava assai che il governo britannico n e fosse stato informato; che anch'egli n e era rimasto colpito; e che n o n riteneva, d u n q u e , che io potessi sentirmi corresponsabile moralmente dell'«orribile evento» se continuavo a collaborare con gli inglesi (i laburisti - cioè i socialisti - erano appena arrivati al potere ed era prossim? la luce del sol dell'avvenire). Quello che è certo, a parte l'episodio personale, è che una n u o v a ragione irrefutabile si era ormai posta per la n e a z i o n e d i u n governo mondiale: il discorso sull'anarchia internazionale nell'èra delle a r m i nucleari sarà u n o dei discorsi capitali del nostro federalismo degli a n n i cinquanta. In conclusione v e n n i via dall'India a v e n d o qualche elemento in più per agire nel m i o ritorno alla condizione d i u o m o libero. Tra l'altro continuavo a riscontrare alcuni pregi nelléconomia d i mercato - o, meglio, nel mercato economico come componente dell'economia -, m a m i ero fermamente convinto che u n mercato «democratico>>non può essere u n fatto spontaneo, poiché anche questa libertà si ottiene (e si ristabilisce) col potere politico; e che u n mercato internazionale «giusto. - debellando anche lo cscambio ineguale- - si può realizzare solo col superare le sovranità nazionali, i n u n ordine democratico sovranazionale. M i sentivo dz 10 , confermare lc mia adesione al socialismo, come via per realizzare l'autentica democrazia e, anche attraverso la pianificazione aarticolata., il primato della politica sull'economia e gli interessi settoriali: in sostanza m i orientavo verso u n socialismo d i mercato, rispettoso d e l l ' a ~ t o ~ o v e r nlocale, o antistatalista, federalista. La Federazione europea era - doveva essere - l'obiettivo istituzionale della ricostruzione del continente devastato e il nostro contributo alla costruzione della pace. Ecco, c'era un punto in cui talvolta mi sono poi trovato non del tutto d'accordo con taluni teorici del federalismo: se è vero che la ragion d i Stato è all'origine dellanarchia internazionale e che tutto deve cominciare dalla sovranità della legge, è altresì vero che il cittadino, a cui proponiamo la Federazione europea, oggi, la Federazion e mondiale, d o m a n i (meglio sarebbe oggi pomeriggio), ci chiede «per che fare?. e noi gli dobbiamo una risposta soddisfacente. Certo, per salvare la pace in un'èra in cui la guerra può essere la fine del mondo: m a COMUNI D'EUROPA quanto rievocazione e interpretazione di un periodo storico, ha poi un suo significato positivo come documento della mentalità e della crisi spirituale in cui è vissuta e si è dibattuta la generazione, o taluni della generazione, del Ferrari. L'avere essa questo carattere si deve alla profonda serietà e sincerità morale del Ferrarin. E aggiunge, esplicitamente: *Libertà, nazionalità, democrazia, socialismo, assetto europeo, sono sentiti come problemi del Risorgimento e come problemi dell'ora attuale,,. Del resto ha già riconosciuto sopra: «In sostanza, la sua visione è quella della Sinistra democratica». In classe Aldo Ferrari, con un tono di distacco quasi freddo che sembrava collocarlo al di fuori di «inevitabili» giudizi, non ci parlava per sottintesi. Sempre nei miei quaderni d i appunti, alla data del 6 maggio 1935, c'è uno schizzo sulle posizioni nel Risorgimento circa il ~ r o b l e n i asociale, ove si parla di Mazzini, di Giuseppe Ferrari, di Montanelli, del Gioberti del <<Rinnovament o » e di Pisacane (vedo scritto: apisacane però è l'unico che si è occupato vastamente del problema,>); poi io annoto testualmente: «Partendo dalla teoria del minimo mezzo, Fifì [era il nomignolo che gli davano i suoi studenti della sezione C] approva (eccetto Pisacane) la scuola SOC. [sociale? socialista?] fia in quella sezione C del -Tasso» di Roma italiana. Vuole cooperative agricole e opeAldo Ferrari. Egli era stato, nel primo venraie, credito agrario (il quale trasformi il t e n n i ~del novecento, studioso («saggio cricontadino proletario in piccolo proprietatico,, del 1914 [Genova, Formigginil e sturio), azionariato operaio (applicato però anche all'agricoltura, ove si richieda una grandio rielaborativo nella «Nuova Rivista storide azienda da non smembrare); limitazione ca>>del 1918) e presto seguace dell'omonidell'eredità. . . Inoltre: riforma tributaria m o Giuseppe Ferrari, che - con Carlo Cattaneo, come ci spiegò poi nel '35 in classe - (disposta in modo che i ricchi paghino di fu uno degli uomini rappresentativi dell'ala più - sistema progressivo), riforma doganafederalista (sia pure con le riserve di Mario le (non dogane su? beni di consumo necesBastianetto: cfr. «I1 Confederalista Ferra&, sario), assicurazioni; istruzione gratuita». nel mensile dell'Association Européenne des Ma torniamo all'assetto europeo e al feEnseignants - Sezione italiana - «Scuola deralismo. In una lezione del 4 febbraio d'Europa. del settembre 1973) della <<Scuola 1935, ove si parla di Mazzini e di Europa, democratica,,, durante il Risorgimento itatrovo annotato: «I1 primo che coniò la forliano. Si era talmente invaghito della qscomula di Stati Uniti d'Europa è veramente il pertan del grande Ferrari, il quale aveva Cattaneo.. .D. I1 29 febbraio si affronta il sostenuto la teoria dei quattro tempi di ogni problema della Società delle Nazioni, già periodo storico (della durata media di 125 toccato con Kant. Riporto il mio appunto così com'è: «Tentativi di conciliazione inanni: preparazione, esplosione, reazione, ternazionale: col congresso di Vienna venne soluzione), da concepire e realizzare con tentato l'accordo fra Stati, ora fra Nazioni fatica di un ventenni0 (progetto in «Nuova rivista storica* del 1919, pubblicazione fra C'è in questo caso un problema tecnico e il 1923 e il 1938) una storia del Risorgimenun altro problema - Nella Soc. delle N a z . pel problema dell'Eguaglianza (Portogallo to in quattro volumi, ciascuno dei quali si come Russia) si è deciso di costituire un rifaceva a uno di, quei quattro tempi. La Consiglio permanente - L'altro problema è concezione «si rivela estrinseca e meccanica», commenterà - parlando dei due Ferrari quello morale (vedi, riguardo alla Federa- Walter Maturi (v. <<Interpretazione del zione, la condotta sleale degli staterelli itaRisorgimento,,, [Torino] Einaudi editore, liani nel '400, al tempo della Lega italica) 1962): ma i volumi di Aldo, pubblicati tutti In fondo un difetto è questo: Hitler non nell'«èra» fascista, erano un'importante tollerante all'interno lo sarà all'esterno? (veazione democratica e risultavano, in tempo d i Kant) - U n altro difetto della Soc. delle di viltà e di piaggeria, drammaticamente Naz. è questo: non ha mezzo di sanzione. educativi. Dirà Ernesto Sestan in un necroSe non si vuole una sanzione militare, si logio di Aldo Ferrari pubblicato nella «Ri- prenda la decisione per una sanzione econovista storica italiana», nei 1940 (pp. 629-33) mica - Difetto d i procedura: non si posso- necessariamente cauto ma con un falso n o prendere che all'unanimità le decisioni sulla morte [«una lunga malattia che gli (vedi caso della Polonia): bisognerebbe ovamareggia gli ultimi giorni e lo spegne lenviare a questo inconveniente,,. t a m e n t e ~ ] per me inspiegabile -: «L'opera Fifì era un professore, fuori della stretta lezione, di pochissime, anzi di nessuna padel Ferrari, discutibile nei suoi risultati in oltre l'irenismo occorre anche rispondere con una proposta positiva, operativa, aggregante. Io lasciavo l'India con due grossi interrogativi. Il primo: la fine dellassedio capitalistico all'Unione Sovietica sarebbe bastata per far superare l'involuzione burocratica a quel regime e riportare quel grande paese nel confronto con le più avanzate democrazie occidentali - agli inizi libertari della rivoluzione, schiacciati in buona parte dallo stesso «ottobre» (di cui si scusava la dittatura leninista come inevitabile momento giacobino)? Il secondo: nelloccidente avrebbe prevalso lo spirito del new dea1 roosveltiano? quale sarebbe stata l'influenza su tutta l'Europa e sul Commonwealth del Labour party al governo dal luglio I945? (In effetti, con l'eccezione dei federalisti, ben pochi hanno voltito riconoscere con onestà il fallimento, via v i a , delle tre rispettive scommesse). Bene: questa è la storia - una fra le tante - della formazione di u n futuro militante del Movimento Federalista Europeo. prof. Aldo Ferrari: sezione C Nei miei appunti di storia e filosofia di terza liceo trovo, alla data del 15 dicembre 1934, che il professore ha richiamato, nello sviluppo dell'idea (io scrivo «concetto>,) liberale moderna, sei autori: 1) Locke, 2) Rousseau, 3) Kant (per la pace perpetua), 4) Humboldt, 5) Beniamino Constant, 6) Stuart Mi11 (Saggio sulla libertà). La lezione è di filosofia e il suo oggetto è la dottrina politica di Kant. I1 mio suntino riporta: .Kant è un liberale schietto; ammette solo una distinzione fra cittadini passivi (i servi, che tanto voteranno come il padrone) e attivi. Dal punto di vista della libertà il suo ideale è la Repubblica - Anche sul principio della Nazionalità è esplicito - E' però un liberale riformista.. Poi c'è una interruzione, per dar posto a un avviso su quel che segue: *importante.. Ecco cosa è importante: *Dice che la Pace Perpetua è il fine dell'umanità. H a due piani: 1) Provvisorio: Federazione fra gli stati come sono; si deve man mano ridurre l'esercito permanente; 2) Definitivo: Federazione di stati repubblicani; aboliti gli eserciti permanenti». In un quaderno precedente già era annotato, a proposito di Kant: «Pace universale: unire con carattere federale i vari stati, che nell'interno siano liberi (repubbliche o monarchie costituzionali)*. *Per la pace perpetua,, di Kant non era opera che, arrivato alla fine delle secondarie, mi fosse ignota. L'avevo vista da anni nell'edizione con copertina rosa della *Universale,, Sonzogno (lire 1.20 al volume, 2.40 volumi doppi) - nella biblioteca di mio padre, che qualche volta me ne parlava in termini di completa adesione. O r a ci tornava sopra il mio professore, in un quadro di federalismo esplicito, anche se talora non adeguatamente distinto dal semplice confederalismo. Insegnava, infatti, storia e filoso- gennaio 1979 gennalo 1979 rola. In tre anni d i liceo - in cui mi aveva ù lusinghiero trattato, a voti, in modo ~ i che - credo mi abbia rivolto la s aro la, fuori aula, una sola volta (mi ricordo: per le scale), dandomi un biglietto d'invito a una sua conferenza alla «Fondazione Besso»: «Tenga, a Lei interessano queste cose». Tutto qui. P u ò darsi che mi,fabbia difeso quando - direi giustamente - in prima liceo mi sospesero un mese commutato in quitidici giorni per «scorrettezza abituale* (ero uno dei più efficienti organizzatori di casin o di tutto il «Tasso») e mi volevano invitare a lasciare l'istituto: ma n o n me lo ha mai fatto capire. Tuttavia è stato uno dei ~ o c h i professori che io abbia stimato seriamente come uomo e che abbia esercitato una influenza sulla mia formazione politica. Certo, io ero già arrivato al liceo con una inequivoca avversione al fascismo maturata in casa. Quanto nel libro .I1 lungo viaggio attraverso il fascismo», di Ruggero Zangrandi, si riporta di me e della mia espulsione (come provocatore: e con me del mio grande amico Ceschino Mazzei, orfano di un sindacalista antifascista) da un «movimento letterario. - ma non proprio soltant o letterario -, di cui si era pubblicato un ingenuo e contraddittorio manifesto in prima liceo, è di una esemplare fedeltà (anche per questo io non h o mai condiviso la tesi <(generazionista»- dell'antifascismo prodottosi per partenogenesi - del generoso, avventurista e candido Ruggero). La figura gentile ed eroica di Schirru, .mancato» attentatore di Mussolini, rimaneva un mio ideale. Mio padre, d'altra parte, mi aveva istillato l'interesse per i problemi istituzionali, avevo sfogliato il classico manuale Barbera del «diritto costituzionale,, di V. E. Orlando e, nel ginnasio superiore, mi ero immensamente divertito con la «Storia del diritto romano» d i Pietro Bonfante. Ma in una traccia d i componimento, svolto per il professore di italiano (intelligente ma fascista, questo) nel maggio del '35 l'influenza «europeista» - di un particolare europeismo democratico - di Aldo Ferrari è evidente. I1 tema era: «Mentre partono le nostre truppe per l'Africa Orientale: rimembranze e prospettive per l'avvenire*. Sul problema coloniale, debbo dire, si .riscontrano nello svolgimento ambigui riferimenti ad Alfredo Oriani, che nulla hanno a che fare con l'insegnamento del mio professore di storia e filosofia - non si tratta, infatti, dell'oriani di cui Sestan ricorda, nel citato necrologio, che all'inizio del secolo era stato accusato di (<plagi»da Giuseppe Ferrari -: i riferimenti hanno piuttosto a che fare con un problema per me allora irrisolto, cioè sul come si dovesse atteggiare, di fronte all'espansionismo altrui e all'apparente inerzia di Paesi sottosviluppati aperti alla conquista, la condotta dell'Italia o addirittura dell'intera Europa. A un certo punto prospetto perfino, curiosamente, l'organizzazione di un comune sbocco europeo in Africa, di fronte a un Oriente che «s'è svegliato,, («il Giappone ~ r o c e d ea gran passi, la Cina è pronta per partire»). Ma, a parte ciò, mi domando: «E la Società delle Nazioni?,,; per rispondere: * Q u i mi sia permessa una digressione. Nes- COMUNI D'EUROPA suno è più convinto d i me che un giorno, quando i ~ o s t e r i~ a r l e r a n n o della nostra genia bennata come noi discorriamo con nostalgia degli antichi Arii [credo che a questo punto io pensassi alla famosa dissertazione sul diritto presso gli Arii, che Bonfante premise alla sua citata «Storia»], si arriverà alla pace universale. Per ora il sogno di Wilson - al quale peraltro la patria di Wilson non ha mai preso parte - rimane alla condizione di fantasma. Niente lega universale, dunque [ricordiamo che la SOcietà delle Nazioni era, in inglese, la League of Nations]. Una lega europea, sì, quella la credo possibile, anzi necessaria». N o n si parla né di una vaga Unione, né di una precisa Federazione, ma di Lega europea, perché - lo ricordo abbastanza bene lo richiedeva la comparazione con la Lega (mondiale) delle Nazioni, di cui tenevo presente la critica di Aldo Ferrari sopra riportata: questa Lega europea poteva avere competenze e procedure che l'altra, per ora, non poteva o n o n riusciva ad avere, e contribuire efficacemente alla conservazione della pace. In quel 1935 presi la licenza iiceale e non rividi più Fifì, con cui avevo svolto un dialogo - diciamo così - senza parole. Per esempio quando c'era stata la gara, periodica al «Tasso», per una composizione storica e questa verteva, la volta che mi avvenne di partecipare, sui rapporti tra Stato e Chiesa dal periodo conclusivo del Risorgimento alla Conciliazione, criticai senza mezzi termini i modi in cui era stata attuata quest'ultima - come dannosi all'autonomia dello Stat o oltre che alla religione -: il professor Ferrari era il giudice designato dal preside e mi fu assegnato il premio, ma da lui non mi venne direttamente nessun commento. Egli chiese - credo l'anno appresso la mia licenza - di andare in una città di mare, per ragioni di salute (qui c'è la scusante del falso di Sestan sulla sua morte), e fu destinato a La Spezia; io me ne andai alla Scuola Normale di Pisa. N o n seppi mai, fino a questo dopoguerra, che il 14 agosto 1939 Aldo Ferrari si sparò in fronte «per disperata insofferenza d i u n regime oppressore di libertà*, com'è stato scritto. Arrestato nella primavera del 1939, aveva trascorso quattro mesi in carcere per aver contribuito a una sottoscrizione in favore della Repubblica spagnola ormai allo stremo. Rilasciato, minacciato di nuove sanzioni, impossibilitato ormai a continuare il suo magistero, si uccise con la pistola d'ordinanza, riportata a casa dopo la guerra 1915-18, fatta da lui, nello spirito dei riformisti alla Bissolati, come l'ultima guerra del Risorgimento. Ma ora, invece della seconda tappa, quella del Risorgimento europeo, era seguita l'agonia della libertà, dilagavano il nazionalismo e il razzismo, trionfava 1'Antieuropa. L e autonomie locali e la programmazione europea (continuazione da pag. 5) piena di tutte le risorse e una modifica dell'attuale tipo di sviluppo. Ecco perché le Regioni e gli Enti locali avvertono sempre più che la programmazione industriale, agricola e dei servizi, il superamento degli squilibri regionali, l'assetto del territorio, la difesa dell'ambiente da vandaliche distruzioni e dall'inquinamento, una ricerca scientifica al servizio di una società a dimensione dell'uomo, hanno bisogno di risposte e della partecipazione di tutte le comunità locali, con un respiro ed una visione che superi anche i confini nazionali. I1 piano triennale 1979-81 deve essere l'occasione per realizzare un ulteriore decisivo salto di qualità nell'impegno delle Regioni e degli Enti locali del nostro Paese, costruendo adeguate risposte ai problemi dello sviluppo economico e sociale e a quelli dello sviluppo della democrazia. Per stare con l'Europa e nell'Europa si ripropongono così due obiettivi fondamentali: 1" l'avvio della programmazione; 2" il riordino istituzionale ed organizzativo dello Stato italiano. I1 primo obiettivo va realizzato attraverso un dibattito aperto e senza schematismi, che coinvolga le Regioni e gli Enti locali; un dibattito capace di costruire una prima maglia di riferimenti e di obiettivi, che consentano di rendere operanti le g a n d i leggi di settore, approvate - negli ultimi due anni - dal Parlamento italiano ed elaborare coerenti piani regionali e locali. I1 secondo obiettivo, oltre a proporre con urgenza - un nuovo ordinamento delle Autonomie locali e della relativa finanza, deve recuperare poteri e risorse alle decisioni ed al controllo delle assemblee elettive ed efficienza della macchina dello Stato, quali condizioni per tradurre il processo decisionale democratico in un'azione concreta di indirizzo e di guida di un diverso sviluppo economico e sociale; portando tali esperienze di partecipazione e sviluppo democratico nel dibattito e nel confronto .al livello europeo. Si tratta d i un ampio impegno che p u ò e deve ulteriormente qualificare il modo di essere e di operare delle Regioni e del sistema delle Autonomie, per rinnovare il Paese e collegarlo più saldamente ad un'Europa che si accinge ad eleggere il proprio Parlamento. E' una scadenza importante, una scadenza storica anche per le assemblee elettive locali. L'obiettivo dell'Europa unita va perseguit o dalle assemblee elettive con crescente decisione e deve realizzarsi nell'integrazione e nel trasferimento dei poteri dagli Stati ad istituzioni comunitarie democratiche. L'impegno e la fede europeisti vanno costruiti ed espressi ad ogni livello e richiedono un coerente atteggiamento anche dei singoli Enti locali. COMUNI D'EUROPA Perché non possiamo non dirci fe:deralisti di Vito Diana giudice istruttore presso il tribunale militare territori& d i Bari <<I popoli, in quanto stati, potrebbero essere considerati come singoli individui che, vivendo nello stato di natura (cioè nellYindipendenza da leggi esterne), si recano ingiustizia già solo per il fatto della loro vicinanza; perci0 ognuno di essi per la propria sicurezza puì, e deve esigere dall'altro di entrare con lui in una costituzione analoga alla civile, nella quale si p u ò garantire ad ognuno il suo diritto»; ed ancora: .Come l'attaccamento dei selvaggi alla loro libertà senza legge, che li spinge a preferire di azzuffarsi di continuo tra loro piuttosto che sottoporsi a una coazione legale da loro stessi stabilita, a preferire una folle libertà a una libertà ragionevole, noi lo riguardiamo con ~ r o f o n d odisprezzo e lo consideriamo barbarie, rozzezza, degradazione brutale dell'umanità, così si dovrebbe pensare che civili (di cui ognuno forrna uno Stat o per sé) dovrebbero affrettarsi ad uscire al più presto possibile da uno stato così degradante.". Tanto Kant scriveva in un suo saggio del 1795, tracciando un parallelo tra la «folle libertà senza legge dei selvaggi» e la libertà, senza coazione legale superiore, dei popoli civili organizzati in Stati. Parallelo che ci sembra valido sul piano della rispettiva condizione d'essere dei selvaggi e degli Stati sovrani, gli uni e gli altri superiorem non recognoscentes; ma che ci appare ancor più significativo se esteso al piano della conseguenza che, da quella condizione anarchica, inevitabilmente ne discende: nell'un caso come nell'altro la legittima violenza di ognuno contro tutti. L'anarchia, e cioè I'assenza d i un potere coattivo supremo, è la causa e la legittimazione di ogni violenza e di quella violenza totale e generale che è la guerra. Se questo è il quadro della situazione e delle sue necessarie conseguenze, quale rimedio può suggerirci la Ragione? La violenza materiale nei rapporti interindividuali è stata bandita ed è sostanzialmente scomparsa, almeno come fenomeno normale, solo quando si è affermato un potere - a tutti gli altri superiore - capace di comandare, ma soprattutto capace di farsi ubbidire e di imporre il diritto come tecnica per la soluzione delle controversie; ciò grazie alla disponibilità da parte sua, ed in condizione di esclusività, degli strumenti della forza. U n potere cosiffatto, a tutti superiore ed idoneo ad autogarantire la effettività dei propri imperativi e delle proprie procedure giudiziarie, manca nello spazio internazionale; in quest'ambito, pertanto, i rapporti tra gli Stati - quando sono conflittuali - non possono mai trovare una composizione mercè il ricorso a quel *terzo indifferente» che è il giudice, ma inevitabilmente sulla base o del negoziato diplomati* Dal <'Per la pace perpetua. - I. Kant (1795) co o della guerra: tecniche che rappresentan o - l'uno e l'altra - l'antitesi più pregnante del diritto e della giustizia dal momento che in esse, e a tacer di ogni altra considerazione, ogni Stato è contemporaneamente parte e giudice in causa propria. Anche qui Kant con parole che più adeguate non potrebbero trovarsi: «I1 modo con cui gli Stati tutelano il loro diritto non p u ò essere mai, come davanti a un tribunale esterno, il processo, ma solo la guerra». Ma quest'ultima, a parte le devastazioni che comporta e la perversione che determina dell'animo dell'uomo, costretto ad ammazzare un suo simile che non conosce e che perciò n o n può veramente odiare, non è comunque giammai un sostituto adeguato delle procedure giudiziarie, giacché essa non risolve ma taglia la questione di diritto, se è vero come è vero che in guerra non vince chi ha ragione, ma più semplicemente ha ragione chi vince. N é si p u ò utopicamente pensare ad un giorno, per quanto lontano, in cui i contrasti siano definitivamente scomparsi nelle relazioni tra gli uomini come in quelle tra gli Stati: questa pretesa, avanzata un tempo dai democratici e più tardi dai socialisti e smentita dalle guerre intervenute tra paesi democratici ed oggi anche tra paesi socialisti (è il caso del Vietnam e della Cambogia), non trova conforto né nella storia né nella ragione; speranza fallace dunque, e forse nemmeno in sé auspicabile giacché il conflitto, la gara - purché non assumano le forme della violenza - hanno una loro positività per la varietà ed il dinamismo di cui connotano la realtà. Il problema non è quindi quello di eliminare i contrasti, appiattendo l'uomo, negando la sua umanità che è diversità, che è libertà di scegliersi - tra le opzioni dategli dal caso - i1 proprio irripetibile destino; il problema è di individuare un m o d o di soluzione dei conflitti che non abbia la brutalità e l'arbitrarietà della guerra: questo m o d o esiste ed è il Diritto. Diritto però che non sia imperfetto come oggi quello internazionale; che non sia cioè come quest'ultimo solo norma, solo validità ma non anche garanzia di effettività, quest'ultima richiedendo necessariamente un potere irresistibile che ne assicuri l'osservanza attraverso il monopolio della forza e della decisione giurisdizionale. «Per gli Stati che stanno tra loro in rapporto reciproco non vi è altra maniera razionale per uscire dallo stato naturale senza leggi, che è stato di guerra, se non rinunciare, come i singoli individui, alla loro selvaggia libertà (senza leggi), sottomettersi a leggi pubbliche coattive e formare uno Stato d i popoli (civitas gentium), che si estenda sempre più, fino ad abbracciare da ultimo tutti i popoli della terra». Q u a n d o il quadro internazionale si atteggiasse in tal guisa, ecco bandita IJ guerra, ecco realizzato il kaiitia- gennaio 1979 n o regno dei fini, ecco soprattutto la pace che non è quel periodo di tempo, più o meno lungo, in cui le armi tacciono, pur rimanendo la guerra sempre possibile e legittima, a questa situazione piuttosto addicendosi il termine d i tregua. N o , la pace è qualcosa di più, e di più complesso, concretandosi in quella condizione strutturale ed ordinamentale in cui la guerra, come già oggi la violenza individuale, è posta fuori legge e perciò stesso resa normalmente impossibile grazie al fatto (e n o n alle generose ma velleitarie aspirazioni dei pacifisti di ogni tempo) che l'uso legale degli strumenti della forza è sottratto a tutti meno che al potere supremo. Questo regno della pace, dell'uomo f i nalmente fratello e non più lupo all'altro uomo, lo si p u ò costruire federando tutti i popoli in un unico e globale Stato federale mondiale: meta, questa, certo lontana; lontana però per la Storia e non per la Ragione e di cui comunque la federazione europea oggi possibile e perciò doverosa - rappresenterebbe una tappa ed una verifica. Rileggendo brani di uno scritto vecchio di due secoli, abbiamo con Kant legato insieme concetti e fenomeni a prima vista tra loro assai distanti: l'anarchia internazionale, la guerra, lo Stato federale, la pace. Da sernpre si è rimproverato alla dottrina federalista di essere soltanto un'arida, e per giunta nemmeno stimolante, teoria giuridica descrittiva di un particolare modello di organizzazione statuale. Questo non è vero. I1 federalismo è certamente una teoria giuridica, ma è anche - e prima di tutto - una dottrina globale, un m o d o generale, cioè, di porsi e di orientarsi di fronte al problema del corso della Storia, dell'uomo e del suo esistere quaggiù: tutto questo perché il federalismo - come il liberalismo, come il socialismo, come la dottrina cristiana - ha pur esso un Valore supremo da proporre e questo valore è dato dalla pace, con un titolo in più, forse, rispetto a quegli altri ideali sopraricordati, se è vero che la libertà, la giustizia ed il cristiano amor del prossimo - in un mondo dilaniato dalla guerra o comunque abbrutito dalla sua permanente possibilità - sono solo una chimera o , peggio, una truffa alla Ragione. dlell2fe r e s p a w b C Gr.sep~e Rozzoni oretiore c3fnh.10 r.en1f co Frol L-cw S s r e l daezione e redazione' Roma- 116,Viale Castro Pretorio -Tdefono 464683 ammir.istmzione e abbonamenti GRUPPO GIORNALISTICO EDAGRICOLE Bologna - 31. Emilia Levante - C C p 8t.32028 abbonamento annuo, L 10003 gennaio 1979 COMUNI D'EUROPA 13 Cronaca delle Istituzioni europee i chiaro-scuri del 1978 C o n «monotona. continuità « C o m u n i d'Europa. torna a proporre ai suoi lettori un riepilogo degli avvenimenti comunitari dell'anno che si è chiuso. Prima di mettere, gli uni accanto alle altre, avvenimenti e date, cerchiamo di distinguere alcuni elementi caratterizzanti relativamente ai tre temi seguenti: istituzioni, politica economica, identità esterna. 1. Istituzioni: come scrivevamo nelle «cronache. di novembre-dicembre, il Parlamento europeo ha accresciuto, in modo costante e reale, il suo ruolo politico. In una serie di settori-chiave dell'azione comunitaria (politica sociale, regionale, industriale, bilancio, cooperazione con i paesi in via di sviluppo ) l'Assemblea europea ha mostrato con chiarezza come in essa sia prevalso il senso della solidarietà e della responsabilità politica, unito alla coscienza della necessità di un forte sviluppo dell'integrazione comunitaria. Nella Commissione e, soprattutto, nel Consiglio sono invece prevalse pericolose tendenze alla rinazionalizzazione delle politiche comunitarie: la prima, ridotta ormai al rango di segretariato del Consiglio, appare spesso come l'istanza nella quale già si elaborano compromessi intergovernativi, dove la riunione dei capi-gabinetto assomiglia sempre più ad una riunione del Coreper e la riunione dei Commissari ad una riunione del Consiglio; il secondo ha raramente saputo dare seguito concreto agli impegni presi ad altissimo livello dai capi di stato e di governo dei paesi membri. Spetta a questo punto a governi come quello italian o e quello irlandese porre come condizione, per un normale funzionamento del nuovo Sistema Monetario Europeo, I'accettazione di un nuovo metodo realmente comunitario di comportamento di tutte le istituzioni. 2. Politica economica: le azioni, iniziate o proseguite, nei vari settori della politica comunitaria (stabilità monetaria, industria, commercio, trasferimenti di risorse e incentivi agli investimenti) hanno mostrato, come sottolineavamo nelle cronache di maggio, tendenze fortemente protezionistiche, mancanza di una visione di insieme, mancanza di collegamento con altri importanti settori comunitari, come l'allargamento e la cooperazione con i paesi in via di sviluppo. 3. Identità esterna : grazie all'azione della Commissione e agli stimoli del Parlamento europeo, la Comunità ha mostrato qui una posizione comune in alcune importanti trattative internazionali (dialogo Nord-Sud; Fondo Comune per le materie ;rime, Gatt, preparazione della Conferenza U N C T A D d i Manila e del 3" decennio per lo Sviluppo). Restano tuttavia zone oscure nelle trattative per le quali la Comunità è impegnata in prima persona: dialogo euro-arabo, rin- di Pier Virgilio Dastoli novo della Convenzione di Lomè e aiuto ai paesi in via di sviluppo non associati. Le prospettive di ampliamento della Comunità a Grecia, Portogallo e Spagna appaiono poi ancora fortemente condizionate dal prevalere di intetessi nazionali e corporativi. Questi gli avvenimenti principali del 1978 : 31 gennaio: la Commissione presenta una proposta per la creazione di uno strumento finanziario per la promozione di investimenti nella Comunità (il cosiddetto .sportello Ortoli. dotato di 1.000 milioni di unità d i conto europee). D o p o una lunga trattativa fra Consiglio e Parlamento, il progetto viene adottato nel mese di ottobre. 14 febbraio: il presidente Jenkins, presentando il programma della Commissione dinanzi al Parlamento europeo, afferma che l'esecutivo comunitario rafforzerà la sua azione nella politica industriale, nella lotta alla disoccupazione, nel rilancio dell'unione economica e monetaria, nella politica di approvvigionamento e razionalizzazione delle fonti di energia, nel miglioramento della politica agricola comune, nella politica commerciale e nella cooperazione con il terzo mondo. 1" marzo: la Commissione rende noti i suoi orientamenti per la politica di bilancio a medio termine e per I'esercizio 1979, che il Parlamento discute nelle sessioni di marzo e aprile e il Consiglio affronta nella sessione speciale esterilfinanze del 3-4 aprile. 3 marzo: il Comecon fa il primo passo formale per l'inizio delle trattative in vista di un accordo di cooperazione. 3 aprile: viene firmato a Bruxelles un accordo commerciale con la Cina, della d u rata di cinque anni. 7-8 aprile: il Consiglio europeo, riunito a Copenhagen, definisce le linee di un rilancio dell'azione comunitaria che dovrà passare lungo tre direttrici: rafforzamento delle istituzioni, lotta al terrorismo, azione concertata per la ripresa economica e la stabilità monetaria. I1 Consiglio europeo fissa le elezioni europee al 7-10 giugno 1979. 19 aprile: la Commissione approva il cosiddetto .affresco.> sui problemi globali dell'ampliamento. 12 maggio: il Consiglio dei ministri dell'agricoltura approva i prezzi agricoli per l'annata 1978-1 979 e il spacchetto mediterraneo . 1 7 maggio: la Commissione adotta un documento di lavoro, presentato dal commissario Giolitti, sugli interventi della Corriunità a finalità strutturali. 1 9 maggio: la Commissione adotta il parere sulla domanda di adesione del Portogallo alla C E E . 22 maggio: la Confederazione Europea dei Sindacati rende noto un memorandum concernente la strategia comune per il rilancio economico. 25 maggio: la Commissione adotta il progetto preliminare di bilancio delle C o munità per l'esercizio 1979: il progetto viene discusso dal Parlamento europeo nella sessione di luglio. 5-6 giugno: il Consiglio esteri fa il punto sullo stato dei lavori concernenti la strategia comune per il rilancio; il dibattito si conclude con un nulla di fatto e per di più con la constatazione delle battute di arresto di alcuni consigli «specializzati. (energia, politica sociale e regionale). SPINELLI, G R A N E L L I , LEZZI E S A N D R I . - A i Ministri degli affari esteri e del bilancio e programmazione economica e a l Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno. - Per conoscere - premesso: che il Parlamento europeo ha definitivamente adottato, nella seduta del 14 dicembre 1978, il bilancio generale delle Comunità europee per l'esercizio 1979; che tale bilancio assegna al Fondo europeo di sviluppo regionale stanziamenti di impegno pari ad un totale di 1.100 milioni di unità di conto europee (1 uce = 1.140 lit. c.a.), di cui 1.000 milioni di uce da ripartirsi secondo quote nazionali e 100 milioni di uce in una sezione fuoriq quota,,; che, in base al regolamento del Fondo (articolo 2 , paragrafo 3, lettera a), il 39,9 per cento delle risorse sono assegnate all'ltalia secondo la ripartizione per quote nazionali; che le ulteriori risorse sono previste per azioni specifiche di sviluppo regionale, secondo una diversa ripartizione al di fuori delle quote nazionali (articolo 2 , paragrafo 3, lettera b); che l'Italia potrà dunque usufruire di 399 milioni di uce per I'esercizio 1979, secondo la ripartizione per quote nazionali, oltre gli ulteriori stanziamenti assegnati alla sezione «fuori-quota,, quali misure il Governo italiano si appresta ad approvare ed a rendere immediatamente operative per garantire che, nel corso del 1979, saranno impegnati tutta la quota del FESR ed il .fuori-quota» che spettano alllItalia. COMUNI D'EUROPA 14 6 giugno: il Consiglio accetta la domanda di adesione del Portogallo. gennaio 1979 L 'Aja nella tradizione federalista 6 - 7 luglio: si riunisce a Brema il Consiglio europeo, che adotta, fra l'altro, la procedura per la creazione del Sistema Monetario Europeo, accompagnata dall'affermazione della necessità di misure parallele d 1' SOstegno delle economie in difficoltà. 18 luglio: il Consiglio bilancio adotta il progetto di bilancio delle Comunità per l'esercizio 1979, con una serie di «tagli» alle politiche comunitarie, già definite fondamentali da Commissione, Parlamento, C o n siglio finanze 3-4 aprile e Consiglio europeo di Brema; il progetto viene discusso dal Parlamento europeo nella sessione di settembre. 23-25 ottobre: il Parlamento europeo adotta un progetto d i bilancio modificato, con una serie di emendamenti-chiave nei settori della politica dei prestiti, politica regionale, politica agricola, politica sociale, politica industriale ed energetica, cooperazione con i paesi in via di sviluppo. 20 novembre: il Consiglio finanze adotta i documenti d i base per la creazione dello SME, in preparazione del Consiglio europeo di dicembre. 20 novembre: il Consiglio bilancio esamina il progetto d i bilancio adottato dal Parlamento; dopo aver respinto una serie di emendamenti nella politica sociale, industriale, energetica e dei prestiti, il Consiglio accetta (per la posizione favorevole di Italia, Gran Bretagna e Irlanda) l'emendamento sul Fondo regionale. 4-5 dicembre: si riunisce a Bruxelles il Consiglio europeo, che definisce I'instaurazione dello SME e alcune misure parallele; l'Italia e l'Irlanda, a causa dell'esiguità del sostegno finanziario per le economie in difficoltà, posticipano I'adesione al 12 dicembre (Italia) e 19 dicembre (Irlanda). La Gran Bretagna annuncia un periodo d i .meditazione» di sei mesi. 14 dicembre: il Presidente del Parlamento europeo, Emilio Colombo, dichiara adottato il bilancio delle Comunità europee per l'esercizio 1979, così come era stato inviato all'Assemblea dal Consiglio, e quindi con l'aumento del Fondo regionale da 620 a 1.100 muce. Colpisce gli ambienti parlamentari l'atteggiamento rinunciatario e sostanzialmente «filo-consiglio» del Movimento Federalista Europeo, che critica la decisione del Parlamento (Le Monde rincara la dose accusando l'Assemblea di «colpevole leggerezza,,). 18 dicembre: la Commissione decide di dare esecuzione al bilancio adottato dal Parlamento europeo. I8 dicembre: il Consiglio finanze adotta le misure principali legate all'applicazione dello SME, affidando ai colleghi del Consiglio agricoltura l'introduzione dell'ECU nella politica agricola comune; la riunione di questo Consielio si conclude con I'irripilegato allyabolizione d e i l i importi compensativi monetari e con il rinvi0 sine-die dell'entrata in vigore dello SME. francesz XIII STATI G E N E R A L I D E L C O N S I G L I O D E I C O M U N I D ' E U R O P A (L'Aja, 9-12 maggio 1979) Tema generale: *L'impegno delle comunità locali e regionali per una nuova società europea*. N.B. le schede di iscrizione devono essere inviate all'AICCE il 20 aprile. - Piazza di Trevi, 86 - Roma, entro e non oltre 11 XVI Congresso sovranazionale dell'Associazione dei giornalisti europei si è tenuto a L'Aja il 6-7-8 ottobre scorso, alla presenza delle massime autorità olandesi e della Comunità europea. Al termine dei lavori è stato eletto il nuovo Consiglio direttivo che ha deciso, fra l'altro, I'adesione di tutta l'associazione alle manifestazioni delle altre organizzazioni federaliste ed in particolare dei prossimi Stati generali del CCE che si svolgeranno nella stessa città. Nella foto: la seduta inaugurale del Congresso nella Ridderzaal. In prima fila le autorità con, in primo piano, il ministro degli esteri olandese van der Klaauw e il principe Bernardo. COMUNI D'EUROPA gennaio 1979 Riflessioni su "La Germania e l'Unità eu-ropea" di Marcello Petriconi ., Nella storia d'Europa la Germania ha rappresentato un punto di riferimento costante, da sempre. La sua posizione strategica a cerniera tra est ed ovest ha costituito la sicurezza o il pericolo, la grandezza o la miseria, la pace o la guerra nel vecchio continente. Le forze vitali da essa sprigionate hanno avuto un valore massimale, assoluto, nel bene come nel male. Nel momento in cui gran parte di questo vecchio continente si appresta a porre le basi per il suo profondo rinnovamento attraverso il superamento del principio stesso della sua decadenza - lo stato nazionale -, il nodo della Germania si ripresenta come quello più importante da sciogliere. N o d o , direi, e non «questione tedesca,,, se per questa si continua ad intendere il risorgere di tendenze imperialistiche-egemoniche sostenute da una agguerrita struttura industriale-militare. La guerra - e la storia - ha cancellato definitivamente una tale struttura economico-sociale e suonerebbe solamente pretevolerne a tutti i stuoso e pregiudizievole costi ricercare oggi elementi di presenza e continuità nell'attuale Germania. 11 nodo, dunque, della presenza e del ruolo della Germania nella futura Europa è e resta quello scaturito dalla seconda guerra mondiale: la separazione in due stati distinti a sistema politico, economico e sociale profondamente diversi. C i ò implica pertanto un profondo ed attento esame, che del resto non è stato finora mai affrontato organicamente, di un quesito fondamentale: se vi è compatibilità tra la politica di unificazione europea, in corso, e la politica di riunificazione delle due Germanie, in fieri. E di conseguenza, quale delle due politiche sia preminente per gli interessi della Germania e dell'Europa. U n contributo prezioso e puntuale a questo interrogativo viene ora apportato da Sergio Pistone ( L a Germania e l'unità europea, Guida editori Napoli, L. 3.000) che ripercorre il lungo e difficile cammino attraverso il contraddittorio evolversi della problematica tedesca negli anni del dopoguerra. D'altra parte i timori che del resto ancora oggi tornano ad affiorare in molti ambienti europei, di una posizione d i crescente d o minio della R F T nei rapporti comunitari ed internazionali, risollevano certamente antichi sospetti che potrebbero risultare nefasti per il futuro stesso dell'Europa, soprattutto in un momento in cui l'elezione diretta del Parlamento europeo rappresenta una pietra miliare del cammino irreversibile verso l'edificazione dell'unità politica. Ricercare, quindi, una giustificazione a questi timori nella sempre più evidente guida economico-monetaria che caratterizza la presenza tedesca nel sistema dei rapporti - intercomunitari, significa voler per di più1 travisare il senso reale della «potenza» tedesca, che è e resta strettamente collegata al sistema occidentale e da esso dipendente, certamente non capace di svilupparsi in autonoma o antitetica direzione. Per questo, proprio coloro che hanno espresso timori in un recente passato individuando nella Ost-politik, propugnata da Willy Brandt, una forma di progressivo sganciamento dagli interessi ed alleanze occidentali per ricercare, in una neo-oscillante posizione tra est ed ovest, la possibilità di riunificazione delle due Germanie, hanno solamente evidenziato la propria incapacità a concepire le situazioni di movimento e la politica di dialogo, restando così ancorati a concezioni di chiusura e contrapposizione nei rapporti politici internazionali, che hanno rischiato di portare l'Europa sul ciglio del baratro. L a scelta europea della Germania è stata ed è inequivocabile. E' pur vero che nell'immediato dopoguerra alcune perplessità caratterizzavano gli orientamenti dei partiti politici. Ma esse erano solo il riflesso della perplessità e dei disorientamenti delle forze di occupazione. Le proposte di smembramento del paese avanzate a Potsdam proprio da Truman non potevano non lasciare il segno negli uomini politici tedeschi chiamati a fare i conti con le dure conseguenze della disfatta. F u del resto lo stesso Adenauer a ribadire ancora nel 1949 che approvava la neutralizzazione della Germania «sul modello della Svizzera», mentre il suo partito - la C D U affermava testualmente nel 1945: «Naturalmente noi vogliamo che qualsiasi tipo di addestramento militare o paramilitare sia bandito,,. C h e pochi anni dopo (6 luglio 1953) dovesse affermare Adenauer che «la missione della Germania è di salvare l'Europa occidentale e la cristianità occidentale», mentre «la riunificazione avverrà» quando ci sarem o «armati fino ai denti», saltando in tal modo a piè pari tutta la storia del Terzo Reich e spostando al 1937 anziché al 1945 le rivendicazioni del suo governo, evidenzia più che le contraddizioni e le oscillazioni dei partiti politici e dei singoli uomini, la stretta dipendenza alle scelte politiche e strategiche delle forze di occupazione. Nel caso specifico, il diverso orientamento d o p o le incertezze iniziali - che prevalse nella politica statunitense. C h e proprio la politica Adenaueriana mancasse d i una prospettiva di azione politica a lunga scadenza e risultasse passiva non solo alle scelte americane, ma anche francesi, viene lucidamente analizzato nel saggio di Altiero Spinelli, contenuto nel volume. L'avvio della politica del dialogo, operato da Kennedy, fece crollare la concezione anacronistica della dura contrapposizione (dottrina Hallstein) e del rifiuto sistematico di ogni confronto e negoziato. L'erezione del muro di Berlino testimonia per l'appunto il fallimento e la perniciosità di certe scelte politiche. Ma anche per i socialdemocratici l'esperienza non fu certamente molto diversa sotto certi aspetti. L o spirito europeistico affermato dalla SPD trovava una linea continua di sviluppo, avviata con il programma di Heidelberg nel 1925 e riafferiiiata da Schummacher all'indomani del suo rilascio dai lager nazisti. Ma l'europeismo dei socialdemocratici si raffreddò ben presto per la sostanziale indifferenza, se non proprio strisciante o p posizione da parte degli inglesi, al cui governo si trovava il partito fratello laburista. Sui laburisti la SPD contava in inaniera determinante per riinuovere i manifesti pregiudizi degli aniericani per il partito «rosso». Neppure Ollenhauer, che trascorse l'esilio a Londra e quindi era in stretti rapporti con il partito laburista, riuscì a modificare l'atteggiamento isolazionista britannico. N é risultati migliori si ottennero con i socialdemocratici svedesi, anch'essi al governo, ma ugualmente distaccati verso ogni processo di unificazione europea. Quindi le scelte delle forze di occupzzione risultavano punitive per la SPD, mentre appariva sempre più chiaro che l'avvio del processo di unità europea assumeva una impostazione settoriale ( C E C A , C E D , C E E , E U R A T O M ) i cui benefici sarebbero stati ancora una volta del !grande capitale. Veniva imboccata ciot una strada che avrebbe condotto alla rinascita ed al rafforzamento degli interessi nazionali ed, in definitiva, alla riedificazione di una forte articolazione statale che era stata all'origine del conflitto mondiale. Nulla rimaneva, viceversa, degli impegni tesi a ricercare un nuovo ordine politico, sociale ed economico necessario per l'Europa dopo la catastrofe della guerra. Quale di queste due concezioni abbia contribuito al chiarimento del «nodo. tedesco ed alla realizzazione dell'unità europea, è certamente ancora presto poter indicare con chiarezza. La partita non solo è ancora aperta, ma nonostante siano trascorsi più di venti anni dai trattati di Roma, l'aspirazione verso una reale unità politica resta in gran parte tale. I1 prezioso lavoro di Pistone ha certamente il pregio d i affrontare la complessa tematica attraverso l'ottica di autori di diversa formazione politico-culturale i cui saggi, p u r nelle comuni premesse federalistiche, mostrano pluralità di giudizio ed argomentazioni. Forse un pizzico di ottimismo di troppo ed alcune semplificazioni di giudizio si registrano nell'introduzione dell'autore che tradiscono l'impegno dell'uomo di parte - il federalista - e non rispecchiano viceversa il necessario distacco dello storico del pensier o politico. COMUNI D'EUROPA 16 P - - gennaio 1979 - al Bureciu del CCE dell'Aja L a mobilitazione del CCE per le elezioni del Parlamento europeo I1 Bureau del Consiglio dei C o m u n i d'Europa si è riunito a L'Aja il 7 dicembre 1978 per esaminare un ordine del giorno comprendente problemi politici generali e questioni più specifiche attinenti la preparazione d e i X I I I Stati generali dei C o m u n i d'Europa, che si terranno nella stessa città dal 9 al 12 maggio '79. C o n la partecipazione d i tutti i rappresentanti delle diverse Sezioni nazionali del C C E si è proceduto all'analisi delle attività fin q u i realizzate in vista delle prossime elezioni dirette del Parlamento e u r o p e o e alla elaborazione dei p r o g r a m m i d a realizzare nei mesi che ancora ci separano d a questa rilevante scadenza. N e è emerso u n q u a d r o d i grande interesse perché, sottostante alle varie iniziative, vi è la specificità delle diverse situazioni nazionali d i fronte ai problemi dell'unificazione europea, soprattutto per q u a n t o riguarda l'atteggiamento delle f o r z e sociali, le reazioni dell'opinione pubblica e il grado d i informazione dei cittadini chiamati ad esercitare il diritto d i voto. Il dibattito s u q u e s t o p u n t o dell'ordine del giorno si è q u i n d i ampliato - e n o n poteva essere diversamente - fino a comprendere l'esame della posizione dei vari paesi membri alla vigilia delle elezioni: lo stato del dibattito politico intern o , i meccanismi delle leggi elettorali, le iniziative che le singole sezioni del C C E vanno assumendo per incidere c o n sempre maggiore efficacia sull'opinione pubblica ancora scarsamente sensibilizzata. Q u e s t o c o n f r o n t o di esperienze e di programmi è C o n v e g n o s u : «Costituzione e Regioni nella prospettiva dell'unificazione europea. promosso d a l C o m i t a t o per il X X X Anniversario della Costituzione press o i1 Consiglio regionale della Puglia e dalla Associazione italiana per il C o n siglio dei C o m u n i d ' E u r o p a relazioni di: Luigi Tarricone, Michele Di Giesi, Massimo Severo Giannini, Gunther Puttner, Nicola Quarta, Gianfranco Martini, Michele Pistillo, Antonio Giolitti, Emilio Colombo. (Lecce, 17-18 m a r z o 1979 - H o t e i Risorgimento) apparso d i grande utilità tenuto c o n t o del modello federale cui si ispira l'organizzazione del Consiglio dei C o m u n i d'Europa nel quale le singole Sezioni nazionali, p u r nella l o r o autonomia, contribuiscono in m o d o convergente alla linea politica c o m u n e dell'Associazione e , quindi, a una sua presenza coerente nelle varie realtà nazionali o v e essa è chiamata ad operare. Il panorama che è emerso dal dibattito ha inoltre d i m o strato l'importanza della presenza capillare d i decine d i migliaia di amministrazioni locali in grado d i farsi soggetti attivi d i una campagna d i informazione e di mobilitazione europea senza la quale anche lo specifico e necessario intervento dei partiti, nella parte finale del periodo pre-elettorale, rischia d i trovare nei cittadini degli interlocutori incerti e m e n o ricettivi. I m e m b r i italiani del Bureau h a n n o illustrato gli obiettivi e gli orientamenti generali della Conferenza che il Consiglio dei C o m u n i d'Europa, tramite la sua Sezione italiana e la Regione Lazio, organizzerà a R o m a dal 29 al 31 m a r z o sul tema: « L e Regioni per la nuova E u r o p a . Dalle Regioni periferiche dell'Europa l'impulso per u n equilibrato processo d i sviluppoa. Q u e sta iniziativa costituirà il m o m e n t o conclusivo d i una serie di convegni d i carattere e u r o p e o destinati a concentrare l'attenzione degli enti territoriali e delle forze politiche e sociali s u specifici temi d i rilevanza essenziale per il futuro dell'unificazione politica dell'Europa in vista delle elezioni europee che costituiscono senza d u b b i o u n m o m e n t o di verifica dello stato dell'inteerazione e delle condizioni che ne determinano i necessari sviluppi. La preparazione dei X I I I Stati generali del C C E , d i cui p u r e il Bureau si è occupat o , n o n si è limitata a problemi puramente organizzativi, m a ha consentito u n utile scambio d i idee, seppur d i carattere generale, sui d u e temi nei quali si articoleranno i lavori: quello più propriamente politico (I nuovi compiti del C C E d o p o le p r i m e elezioni europee dirette) e quello più legato ad esperienze d i gestione amministrativa, anche se c o n notevoli caratterizzazioni politiche (I1 rinnovamento del q u a d r o d i insediament o u m a n o e d i vita - una sfida sociale). D u e appositi gruppi d i lavoro provvederanno del resto a fornire gli orientamenti collegiali per le d u e relazioni, che d o v r a n n o in tal m o d o rispecchiare l'orientamento d i tutta l'Associazione. E ' stato anche introd o t t o u n elemento d i novità nel programm a , rispetto alle edizioni precedenti. La seduta plenaria del secondo giorno sarà riservata ad u n dibattito politico generale al quale parteciperanno i maggiori rappresentanti delle diverse formazioni politiche che siedono nel Parlamento e u r o p e o e che si confronteranno nella campagna elettorale. Essi saranno chiamati ad esporre gli s p e t t i più significativi dei rispettivi p r o g r a m m i elettorali e a rispondere alle d o m a n d e che gli eletti regionali e . locali (si prevedono 2.500 partecipanti) p o r r a n n o loro. La circostanza che gli Stati generali si svolgano esattamente il mese prima della data delle elezioni, contribuirà senza d u b b i o a d animare il dibattito e il c o n f r o n t o . I1 Bureau si è anche occupato dell'attività del C o m i t a t o consultivo degli enti regionali e locali degli Stati m e m b r i della C o m u n i t à che il CCE ha promosso e stimolato in questi ultimi mesi. P u r consapevoli d i alcune difficoltà che ancora r e n d o n o m e n o sped i t o ed efficace il passo d i d e t t o organismo, il Bureau ha riconosciuto che esso rappresenta, allo stato attuale, l'unico canale d i dialogo tra le autorità territoriali e le istituzioni comunitarie, in p r i m o l u o g o la C o m missione e il Parlamento. La delegazione italiana in d e t t o C o m i t a t o si è fatta sempre portavoce delle esigenze di un rafforzament o d i d e t t o organismo, d i una sua maggiore incidenza nell'ambito comunitario, d i una più attenta sensibilità politica dei rappresentanti comunitari verso la partecipazione delle autonomie territoriali alla costruzione d i un'Europa unita, partecipazione che, spesso riconosciuta necessaria nelle dichiarazioni ufficiali, trova poi resistenze ed ostacoli al m o m e n t o delle concrete realizzazioni. I1 Bureau ha proceduto infine all'esame del progetto d i bilancio di previsione per l'esercizio 1979 che è stato approvato. C O M U N I D'EUROPA Organo de1l'A.I.C.C.E. A N N O XXVII - N. 1 G E N N A I O 1979 -, Direttore resp. : UMBERTO SERAFINI Redattore capo: E D M O N D O PAOLINI DIREZIONE,REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE Piazza di Trevi, 86 - Roma a 6.784.556 6.795.712 Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma l Abbonamento annuo L. 5.000 - Abbonamento annuo estero L. 6.000 - Abbonamento annuo per Enti L. 25.000 - Una copia L. 500 (arretrata L. 1.000) - Abbonamento sostenitore L. 300.000 - Abbonamento benemerito L. 500.000. I versamenti debbono essere effettuati sul c/c postale n . 35588003 intestato a: Istituto Bancario San Paolo di Torino, Sede di Roma - Via della Stamperia, n . 6 4 - Roma (tesoriere delllAICCE), oppure a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a uAICCE* , specificando sempre la causale del versamento. Aut. Trib. Roma n . 4696 dell'll-6-1955 Associato aII'USPI Unione Srimpa Periodica Italiana lirotipografia rugrntino roma - 1979 FED - forocornposizione