FONTE: sky TG24 Una firma per avere una legge contro i caporali E’ partita in concomitanza con lo sciopero dei migranti la raccolta di adesioni all’iniziativa di Cgil, Fillea e Flai per introdurre nuove norme contro gli intermediari di manodopera, attualmente puniti solo con 50 euro di multa "Vado e prendo un bangladesh": ecco i nuovi schiavi di Roma Io in vendita su un marciapiede di Roma: LA STORIA Le categorie degli edili e dell’agroindustria della Cgil, Fillea e Flai, hanno dato il via martedì 1 marzo alla raccolta di adesioni a sostegno di una legge contro il caporalato e hanno lanciato il sito www.stopcaporalato.it, che contiene la proposta di legge del sindacato, i materiali della campagna, l’agenda delle iniziative sul territorio e il modulo di adesione. L’avvio di questa campagna, presentata poco più di un mese fa al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, assume un valore particolarmente emblematico nel giorno della mobilitazione dei lavoratori migranti in Italia promossa dal Comitato “Primo marzo”. L’appello ha come primi firmatari il Segretario generale della Cgil Susanna Camusso e i Segretari generali di Fillea e Flai Walter Schiavella e Stefania Crogi. Hanno, inoltre, già aderito il Procuratore generale ordinario della Cassazione Pier Luigi Vigna, il Presidente di Libera e Gruppo Abele don Luigi Ciotti, il Presidente della Fnsi Roberto Natale, la direttrice de L’Unità Concita De Gregorio e il portavoce dell’Associazione Articolo 21 Beppe Giulietti. “Rivolgiamo un appello alle istituzioni, alle associazioni professionali di categoria agricole ed imprenditoriali del settore dell’edilizia, al mondo del volontariato e dell’associazionismo, della cultura, dello spettacolo, dello sport e alle comunità straniere presenti in Italia, ai giovani e agli studenti, alla società civile tutta – affermano i Segretari generali di Fillea e Flai Walter Schiavella e Stefania Crogi – affinché si uniscano a noi per chiedere a gran voce che si approvi al più presto una legge che riconosca il caporalato un reato in quanto tale e che si prevedano pene e sanzioni adeguate alla gravità sociale ed economica in questo crimine, attualmente punito con una misera sanzione amministrativa”. “Sono anni – continuano i due Segretari – che denunciamo l’espandersi di questo fenomeno nei settori dell’edilizia e dell’agroindustria, dove centinaia di migliaia di lavoratori, italiani e migranti, sono sottoposti al ricatto ed allo sfruttamento da parte dei caporali al soldo delle organizzazioni criminali”. Per Fillea e Flai sono più di mezzo milione i lavoratori sotto ricatto, privati di qualunque diritto, sfruttati e spesso ridotti in schiavitù. In gran parte sono migranti ma la crisi sta riportando nei mercati delle braccia anche i lavoratori italiani, dove una giornata di lavoro ormai si aggira intorno ai 25/30 euro. “La crisi economica sta rendendo questa zona oscura di irregolarità e sfruttamento, di assenza di diritti e di profitti criminali sempre più vasta ed incontrollabile – denunciano i sindacalisti - e possiamo dire con certezza che il fenomeno del caporalato, fino a qualche anno fa endemico solo in alcune zone del Mezzogiorno, oggi è una realtà radicata e strutturata su tutto il territorio nazionale”. Mai più “caporalato” Presentata a Roma la campagna “Stopcaporalato”, iniziativa di legge di FILLEA, FLAI e CGIL. Nell’immaginario collettivo delle regioni “un po’ più a nord”, la figura del “Caporale” ha un alone romanzesco, talvolta quasi cinematografico, come se si trattasse di una figura appartenente più all’universo del folklore che alla crudezza di una realtà fatta di lavoro nei campi in condizioni praticamente di “schiavitù”, di lavoro nero, in una realtà buia, fatta di persone (40.000 nelle campagne pugliesi, 10.000 integrati e il resto donne) sfruttate e private dei propri diritti di lavoratori ed esseri umani. Non folklore, ma orrore. L’età di questi ‘nuovi schiavi’ va dai 16 ai 34 anni, e si tratta spesso di immigrati provenienti dall’Africa subsahariana ma anche dai Paesi dell’Europa dell’Est. L’obiettivo di Stopcaporalato, una campagna intensiva e rivolta a tutto il Paese, non solo al Meridione, dove il fenomeno è entrato a far parte della quotidianità, è proprio quello di combattere e sconfiggere ogni tipo di intermediazione illecita di manodopera – perché, alla fine, il “Caporale” è un intermediario, un mercenario assoldato dalle aziende agricole ed incaricato di cercare tra i disperati, tra quelli che, pur di avere un minimo di che vivere, sono disposti a ‘vendersi’ a buon prezzo e lavorare in condizioni disumane, al pari di bestie, anzi, spesso in condizioni che, come si dice “nemmeno le bestie”. Ma non un mercenario qualsiasi, un mercenario potente, capace di lasciarti a piedi, senza lavoro e quindi senza “stipendio” e quindi senza cibo (e alloggio) se provi a dire la tua. Quando va bene, quando non ricorre alla violenza, alle minacce. Esiste una sanzione, per il reato di ‘caporalato’. Ammonta a 50 euro. Leggendo questa cifra, vengono in mente le considerazioni più ciniche ed amare su quanto ci si riempa spesso la bocca di diritti umani e rispetto del prossimo, quando, nella realtà dei fatti, tutto viene ricondotto a cifre ridicole. Una delle prime proposte del progetto STOPCAPORALATO, è proprio quella di far inserire (finalmente) il reato di caporalato nel codice penale, affinché chi riduce in schiavitù e sfrutta un altro essere umano venga perseguito penalmente (ricordiamoci sempre che per cancellare la schiavitù si sono fatte guerre civili di un certo peso, in passato. E’ impossibile reprimere il cinismo dinnanzi a certe patetiche e grottesche contraddizioni dei nostri civilissimi ed avanzatissimi tempi). A sostegno di questa vera e propria proposta di legge, è stato presentato un video, realizzato dagli Uffici di Comunicazione della FLAI e FILLEA e dal portale della CGIL, sulla condizione dei lavoratori e delle lavoratrici dell’agricoltura (ma anche dell’edilizia, dove il fenomeno è ugualmente e malauguratamente presente) con l’illustrazione della proposta di legge con gli avvocati. L’importanza di un’iniziativa del genere (corredata da una tavola rotonda condotta da Paolo Serventi Longhi, direttore di Rassegna Sindacale e dalla presenza dell’attore Giorgio Pasotti, impegnato in un dialogo-verità con un lavoratore edile ed uno agricolo, vittime entrambi del caporalato), pone proprio l’accento sull’incredibile gravità del fenomeno e soprattutto della maniera in cui questo fenomeno, riconosciuto, dibattuto e sempre condannato, sia stato trattato finora a livello strettamente giuridico. Un’iniziativa che fa riflettere davvero non solo sulla situazione in cui versano tanti, troppi lavoratori di determinati settori, ridotti in condizioni inumane, ma anche sul problema dell’approccio con aspetti solo apparentemente “minori” della criminalità organizzata. Un modo per aprire gli occhi sulle varie sfaccettature di un unico, grande problema da arginare in modo efficace una volta per tutte. Il fenomeno del “caporalato” è particolarmente presente nei settori dell’edilizia e dell’agroindustria, dove un numero sempre maggiore di operai e braccianti, italiani e migranti, sono sottoposti al ricatto ed allo sfruttamento da parte di caporali, spesso al soldo di organizzazioni criminali. Su questa diffusa realtà talvolta si sono accesi i riflettori dei mass media, imponendo all’attenzione di tutti la triste realtà del lavoro nero e delle condizioni disumane in cui sono costretti migliaia di lavoratori. Avvenne un anno fa con la rivolta di Rosarno, avviene talvolta in occasione di una tragedia in cantiere. Ma purtroppo, passato il clamore tutto rimane come prima ed i lavoratori continuano ad essere soggiogati al ricatto di questi criminali pur di poter continuare a lavorare onestamente. Le nostre stime prudenziali indicano in 550mila il numero complessivo dei lavoratori nelle mani dei caporali ed il oltre 800mila i lavoratori a nero. Occorre intervenire. Ed occorre fare presto, perché la crisi economica sta rendendo questa zona oscura di irregolarità e sfruttamento, di assenza di diritti e di profitti criminali, sempre più vasta ed incontrollabile. Possiamo dire con certezza che il fenomeno del caporalato, fino a qualche anno fa endemico solo in alcune zone del Mezzogiorno, oggi è una realtà radicata e strutturata su tutto il territorio nazionale. Occorre intervenire. A partire dalla definizione giuridica di questo reato, non ancora definito nella sua pericolosità sociale: esso viene infatti punito con una sanzione amministrativa di 50 euro per ogni lavoratore reclutato, e solo in presenza di aggravanti, quali violenza, riduzione in schiavitù, sfruttamento di minori scattano l’arresto e le adguate sanzioni penali. E’ ciò che avvenne nella imponente operazione dell’aprile scorso a Rosarno, quando per la prima volta dai Tg vedemmo finalmente i caporali tradotti in Questura con le manette ai polsi, esattamente come qualunque altro criminale colto in flagranza di reato. Occorre intervenire. Tutti, ciascuno per quello che può, affinchè venga superato questo ingiusto vuoto legislativo. Per tutto questo, proprio dalle categorie degli edili e dell’agroindustria della Cgil è partita in questi giorni la campagna STOPCAPORALATO, con l’obiettivo di porre all’attenzione di tutti la necessità che si intervenga subito per contrastare questo processo pericolosissimo che rischia di cambiare i connotati del mercato del lavoro e di segnare irrimediabilmente il futuro di quella parte sana del nostro sistema produttivo, alle prese con due nemici, la crisi e la concorrenza sleale dell’impresa irregolare ed illegale. Per questo, rivolgiamo un appello a tutte le donne e gli uomini di buon senso, a tutto il mondo del volontariato e dell’associazionismo, al mondo della cultura, dell’informazione, dello spettacolo, dello sport, agli imprenditori e alle loro associazioni, ai giovani ed agli studenti, alla società civile tutta, affinchè facciano propria la nostra richiesta: CHIEDIAMO AL PARLAMENTO DI: 1) RICONOSCERE IL CAPORALATO UN REATO IN QUANTO TALE 2) PREVEDERE PENE E SANZIONI ADEGUATE ALLA GRAVITA’ SOCIALE ED ECONOMICA DI QUESTO CRIMINE 3) INTRODURRE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA PER I LAVORATORI MIGRANTI NON IN REGOLA COL PERMESSO DI SOGGIORNO CHE VOGLIONO DENUNCIARE I PROPRI SFRUTTATORI. FONTE: abruzzo24ore Il Fucino tormentato da caporalato e camorra L'allarme del caporalato nella Marsica, più esattamente nel Fucino, l'aveva lanciato il sindacalista della Cgil Luigi Fiammata "e' in atto una guerra vera, tra poveri. Tra migranti regolari che non vengono fatti lavorare e migranti clandestini che devono subire il ricatto, tra lavoratori italiani disoccupati e imprese senza scrupoli che se ne fregano della qualità e della sicurezza sul lavoro." Una situazione di estrema gravità cui si collega un altro fenomeno gravissimo, ovvero il controllo, ad un livello ancora più strutturato, della camorra ed i suoi uomini sul mercato dell'ortofrutta fino al Fucino e ad Avezzano. Il maxi blitz denominato "Operazione Sud Pontino" ha portato aordinanze di custodia cautelare in carcere e al sequestro di beni mobili, immobili e conti correnti bancari per un valore di 90 milioni di euro. L'operazione ha riguardato la Campania, ma anche altre regioni quali il Lazio e la Sicilia e si è avvalsa di intercettazioni, riprese video, pedinamenti e rivelazioni di pentiti. Tra gli arrestati Paolo Schiavone, 27 anni, cugino del boss casalese, Francesco Schiavone detto Sandokan. E' Costantino Pagano l' imprenditore del settore dei trasporti, titolare de 'La paganese', che ha assicurato la gestione del settore ai Casalesi, e secondo quanto emerge dalle sue intercettazioni la camorra ed i suoi uomini controllerebbero il mercato dell'ortofrutta fino al Fucino e ad Avezzano. C' è quindi il fondato sospetto che persino sul mercato ortofrutticolo marsicano e della piana del fucino , la malavita possa prendere decisioni sul prezzo dei prodotti. Intanto, sulla questione caporalato, a sostegno del segretario Fiammata c'è anche il Vescovo dei Marsi Pietro Santoro. "E' importante reagire allo sfruttamento dell'immigrazione e garantire condizioni abitative degne della persona. Ho quindi il dovere di chiedere alla politica, senza distinzioni, soluzioni più rispettose di ogni uomo." L'augurio del Vescovo dei Marsi è che all'immigrazione faccia seguito l'integrazione degli immigrati, segregati in campi di lavoro, per evitare l'abisso che c'è tra chi vive una vita "normale" in centro città e chi, a pochi passi di distanza, vive il dramma dello sfruttamento. FONTE: abruzzo24ore Cronaca 23/04/2010 Scovati altri dormitori di clandestini: arresti e rimpatri Nuova operazione contro l'immigrazione clandestina nella Marsica. Stavolta gli agenti della squadra anticrimine nel corso di controlli del territorio hanno scovato un gruppo di stranieri di origine marocchina che abitava in un appartamento fatiscente nella zona di piazza Matteotti ad Avezzano. Sette giovani senza permesso di soggiorno dimoravano in precarie condizioni igienico-sanitarie, dormivano tutti insieme nella stessa stanza; uno di loro è stato trovato anche in possesso di droga, e per questo arrestato insieme ad altri – accusati di aver violato la legge Bossi- FONTE: terremarsicane.it Caporalato nel Fucino:in atto una vera guerra tra poveri Celano, Borgo strada 11, il caporale di nazionalità marocchina, procura lavoro, per Fini – mentre per tutti gli altri è scattato il rimpatrio. L'appartamento nel quale si trovavano nei pressi della stazione è stato sequestrato insieme a un garage nel Fucino, a Borgo via Nuova. Indagini sono in corso per accertare eventuali episodi di caporalato dietro l’arrivo in massa di immigrati proprio in questi giorni, in vista della alta richiesta della manodopera per i lavori agricoli. Nell'ambito della stessa operazione altri due marocchini clandestini, sempre in condizioni di vita pessime, sono stati scovati nella notte in un garage in mezzo al Fucino. Ma casi del genere non sono nuovi alle cronache avezzanesi. Mesi fa fu scoperto un dormitorio per clandestini nel pieno centro della città, nei pressi di alcune residenze di lusso, dove ancora oggi dimorano una ventina di immigrati. Più recente l'analogo episodio nei pressi della stazione. Mentre l’amministrazione comunale prova a metterci riparo con un progetto finalizzato a promuovere e sostenere la crescita umana e sociale di soggetti svantaggiati, ma anche all’inclusione sociale di cittadini stranieri al fine di favorire una migliore e piena integrazione della persona nel contesto sociale ed economico cittadino. fare i solchi nei campi, a 3 euro l'ora, un euro l'ora e' la sua percentuale per permettere a qualcuno di sfamarsi, forse. Ma lavorano solo i clandestini, non i regolari. Perche' loro sono piu' semplici da ricattare". A parlare e' il segretario della FlaiCgil Luigi Fiammata che spiega: "questo e' quanto accade nel Fucino, con la complicita' dei padroni italiani che sfruttano le persone grazie ad una ignobile legislazione italiana, che prevede il permesso di soggiorno se hai il lavoro, ma ti permette di avere un lavoro solo se hai il permesso di soggiorno. Il lavoro agricolo e' un lavoro normalmente temporaneo, e si diventa clandestini subito, anche se si e' in Italia regolarmente. E' cosi'- si chiede il sindacalista - che le imprese agricole pensano di competere sul mercato? E' cosi' che le imprese agricole che rispettano i Contratti e le Leggi accettano di essere battute nella competizione sul mercato da Imprese truffaldine ? E' cosi' che gli organi di controllo, dall'ispettorato del Lavoro alle Forze di Polizia, possono accettare che si creino nel nostro territorio situazioni di degrado e di bestiale sfruttamento potenzialmente esplosive?" Per Fiammata "occorre intervenire subito. Perche' e' in atto una guerra vera, tra poveri. Tra migranti regolari che non vengono fatti lavorare e migranti clandestini che devono subire il ricatto, tra Lavoratori italiani disoccupati e imprese senza scrupoli che se ne fregano della qualita' e della sicurezza sul lavoro. Le Organizzazioni Sindacali FAIFLAI-UILA e tutte le Associazioni imprenditoriali e agricole della provincia hanno sottoscritto l'8 febbraio scorso un primo Protocollo d'Intesa per lo Sviluppo del Settore Agroalimentare della Provincia di L'Aquila, ma da allora, nonostante le richieste, mai la regione Abruzzo ha ritenuto di dover convocare le Parti per discutere i contenuti di quella Intesa, e costruire quegli strumenti che sono necessari al contrasto del lavoro irregolare e alla crescita del Settore in Provincia. Abbiamo segnalato alla Direzione Provinciale del Lavoro la necessita' di svolgere una efficace azione di contrasto e di controllo del Territorio, andando a indagare le cosiddette 'cooperative senza terra' che violando le leggi fanno intermediazione abusiva di lavoro, e anche il fenomeno odioso del 'caporalato etnico', che rischia di sfuggire di mano e di creare pesanti infiltrazioni malavitose nel tessuto sociale del Fucino in particolare. Dovrebbe essere grande qui la responsabilita' sociale delle imprese nel non cercare scorciatoie, ma purtroppo nonostante gli impegni assunti dalle Associazioni Agricole, troppo spesso accade il contrario. Occorre una azione immediata, ora - conclude Fiammata - di tutti gli attori sociali e istituzionali, prima che la Provincia dell'Aquila finisca sulle cronache nazionali per episodi di barbarie che altri territori del nostro Paese hanno gia' vissuto".(AGI) FONTE: Il Tempo Economia sommersa Scoperti oltre cento lavoratori irregolari I finanzieri danno scacco matto al caporalato nelle campagne PESCARA L'agricoltura rappresenta ancora oggi uno dei settori in cui più è radicata la malapianta del lavoro nero. Lo attestano i risultati di un'operazione della Guardia di Finanza che, nel quadro dell'azione di contrasto all'economia sommersa e al lavoro irregolare, ha svolto in questi giorni uno specifico intervento "a massa" su tutto il territorio abruzzese denominato "Illegal work 2" L'attività, coordinata dal comando regionale Abruzzo ed eseguita dalle Fiamme Gialle dei Comandi provinciali di L'Aquila, Chieti, Pescara e Teramo e dal Reparto Operativo Aeronavale di Pescara, ha visto impiegate 68 pattuglie e 160 militari che hanno effettuato 300 interventi soprattutto nei settori dell'agricoltura, della ristorazione, dell'edilizia, del tessile e del turistico alberghiero. Nel corso dei controlli i militari hanno individuato 102 lavoratori impiegati in maniera irregolare di cui 28 completamente "in nero" e sono state scoperte numerose violazioni di carattere fiscale. Durante l'attività ispettiva sono stati individuati anche extracomunitari privi del permesso di soggiorno. E' il caso di un laboratorio gestito da cinesi nel Comune di Alba Adriatica, in cui due cittadini extracomunitari del Sud Est asiatico risultavano privi di qualsiasi documento attestante la loro permanenza nel territorio italiano. Gli stessi hanno tentato di dare false generalità ma i militari hanno provveduto a notificare l'ordine di espulsione emesso contestualmente dal Questore di Teramo. Il titolare dell'azienda e la proprietaria dell'immobile sede dell'opificio sono stati denunciati per violazione alla normativa sull'immigrazione clandestina. L'operazione è l'ultima in ordine di tempo eseguita dalle Fiamme Gialle abruzzesi nello specifico settore e si colloca in un più vasto piano d'interventi finalizzati non solo al contrasto dell'evasione e del lavoro sommerso ma anche ad assicurare una giusta tutela agli operatori corretti che risultano svantaggiati da chi, evadendo le imposte e gli obblighi previdenziali, opera una concorrenza sleale. Dall'inizio dell'anno la Guardia di Finanza ha scoperto, in Abruzzo, 550 lavoratori irregolari, di cui 375 completamente in nero. FONTE: pagineabruzzo.it 25 rumeni vittime dell''ex caporalato a Fara e Guardiagrele CHIETI – L'ex caporalato in Abruzzo non esiste? Purtroppo c'è. A scoprirlo sono stati i Carabinieri della stazione di Casacanditella che hanno effettuato dei controlli nei comuni di Chieti, Guardiagrele e Fara Filiorum Petri. Nei giorni scorsi i militrari avevano avuto diverse segnalazione dell’arrivo di cittadini rumeni nei territori di Guardiagrele, di Fara F.P. e di Pennapiedimonte. É stato facile capire che l’arrivo di queste persone era coinciso con “la raccolta dell’uva” e che gli stessi fornivano manodopera agricola. La mattina dello scorso 14 ottobre la “sopresa” i militari della Compagnia di Chieti e dagli uomini della Direzione Provinciale del Lavoro di Chieti, hanno accertato che i rumeni facevano capo a d.a.f. 27enne di Pennapiedimonte, il quale, la mattina presto, dopo aver prelevato i cittadini rumeni dalle loro abitazioni li accompagnava presso le varie aziende agricole della zona. É stato subito accertata l’attività di mediazione illegale di manodopera in agricoltura messa in atto dal prevenuto. Il d.a.f. e’ ritenuto responsabile del reato di “esercizio abusivo della attività di intermediazione di manodopera, ovvero attività illegale di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro” e rischia la pena dell’arresto fino a sei mesi e dell’ammenda da euro 1500,00 a euro 7500,00. nel corso del medesimo servizio venivano sottoposti a sequestro due autofurgoni di proprietà della ditta del d.a.f. e venivano identificati nr. 25 cittadini di nazionalità rumena tutti forniti di regolari documenti di riconoscimento. Inoltre sono stati segnalati alla locale Procura della Repubblica quali utilizzatori che ricorrono alla somministrazione illegale di prestatori di lavoro i titolari delle tre aziende agricole, dove alcuni dei soggetti rumeni erano stati accompagnati. I titolari di queste aziende rischiano la pena dell’ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. FONTE: il Quotidiano.it Lotta al lavoro nero, al caporalato, allo sfruttamento di manodopera clandestina. Teramo | Operazione sinergica di Questura di Teramo, Guardia di Finanza, Direzione Provinciale del Lavoro, Asl, Polizia Municipale di Alba Adriatica e Reparto Prevenzione Crimine Abruzzo di Pescara. di Nicola Facciolini Brillante successo delle forze dell'ordine abruzzesi nella lotta al lavoro nero, al caporalato ed allo sfruttamento di manodopera clandestina in provincia di Teramo. Frutti copiosi giungono, dunque, dal lavoro sinergico dei controlli straordinari interforze posti in essere dalle Istituzioni di pubblica sicurezza per il contrasto all'impiego di manodopera clandestina sulla costa teramana. Grazie alla continua attività di vigilanza e prevenzione della Questura di Teramo, unitamente a: Reparto Prevenzione Crimine Abruzzo di Pescara,Guardia di Finanza, Direzione Provinciale del Lavoro, Asl e Polizia Municipale di Alba Adriatica (Te). Nel corso di specifici controlli effettuati la scorsa notte, sono stati identificati 38 cittadini cinesi, 19 dei quali accompagnati all'Ufficio Immigrazione della Questura di Teramo per accertamenti mirati disposti in ambito provinciale per la repressione dell'immigrazione clandestina e del lavoro nero negli opifici. Sono stati effettuati controlli ad aziende ed abitazioni in Alba Adriatica dove le attività info-investigative avevano già evidenziato la presenza di impiego di manodopera straniera irregolare e di cittadini di nazionalità cinese irregolari sul territorio nazionale. In particolare le forze di polizia, durante il primo controllo che ha riguardato due ditte situate nel medesimo stabile, gestite da due imprenditori di nazionalità cinese, hanno identificato 11 cittadini cinesi dediti a svolgere la propria attività lavorativa nel laboratorio, di cui 4 sprovvisti di permesso di soggiorno. I titolari delle ditte, H.T., quarantenne e H.L.D. trentanovenne, sono stati deferiti all'autorità giudiziaria aprutina per i reati, secondo l'accusa, di impiego di manodopera clandestina e favoreggiamento della permanenza sul territorio di cittadini stranieri irregolari. All'interno dello stesso stabile dell'opificio, le forze di polizia avrebbero riscontrato la presenza di locali adibiti ad alloggi per gli operai della stesse ditte ove sono stati identificati 9 cittadini di nazionalità cinese e un clandestino. Il secondo controllo effettuato sempre ad Alba Adriatica ha consentito di riscontrare la presenza di 18 operai di nazionalità cinese intenti a lavorare su macchinari per la produzione di jeans, 12 dei quali risultati sprovvisti di permesso di soggiorno. Il titolare, assente al momento del controllo ed in corso di identificazione, sarà probabilmente segnalato all'autorità giudiziaria per i reati di impiego di manodopera clandestina e favoreggiamento della permanenza sul territorio di cittadini stranieri irregolari. L'intera attività si è conclusa con l'arresto di 3 cittadini cinesi inottemperanti ad ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale e 13 deferiti all'autorità giudiziaria per la violazione della normativa sugli stranieri e a carico dei quali sono stati emessi relativi decreti di espulsione. La Direzione Provinciale del Lavoro avrebbe disposto la sospensione delle attività degli opifici controllati. Una lotta che va estesa al caporalato. Nell'ordinamento italiano è prevista la possibilità anche per i clandestini di avviare vertenze per il recupero del salario dovuto. Per combattere lo sfruttamento della manodopera clandestina, infatti, bisogna anche tutelare il lavoratore che con coraggio esce allo scoperto e intraprende la strada che il nostro ordinamento prevede per avviare vertenze per il recupero del salario dovuto. In questo modo è possibile sradicare il problema del caporalato alla radice, interrompendo il flusso "illegale" dall'estero di manodopera clandestina che altrimenti continuerà a drogare l'economia occulta ed a produrre sempre le stesse nefaste conseguenze. Di fronte alla serietà della questione ad attivarsi dovrebbero essere sul territorio i partiti politici, le istituzioni, i sindacati e a chiunque abbia a cuore il tema. Magari applicando, ove occorra, l'art 18 del T.U. sull'immigrazione (permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale) visto le gravi condizioni di sfruttamento di questi lavoratori irregolari. La lotta al lavoro nero e al caporalato, la si vince solo se istituzioni e governo si assumono la responsabilità di una regolarizzazione responsabile che possa far emergere dall'invisibilità centinaia di migliaia di vite costrette ad essere sottomesse alle logiche di sfruttamento e di esclusione. A tutto vantaggio della nostra economia nazionale che dall'emersione del "nero" avrebbe molto da guadagnare anche in termini di immagine internazionale FONTE: il Centro Caporalato e lavoro nero Istat: fenomeno in crescita PESCARA. Stop a caporalato e lavoro nero in agricoltura. E' il senso di una proposta di legge, a firma del consigliere di Rifondazione, Maurizio Acerbo, il cui iter è avviato in commissione con l'apertura di una fase di approfondimento sulle misure di contrasto a un fenomeno in drammatico e preoccupante aumento nelle campagne d'Abruzzo. Il confronto con vari soggetti associativi, tra cui le associazioni datoriali agricole, ha però escluso fino a oggi i sindacati dei lavoratori. Per FaiFlai-Uila, è opportuno che la Regione si doti di strumenti di contrasto al lavoro nero e al caporalato, come peraltro già altre Regioni hanno fatto. Chiedono di essere ascoltate dalla commisssione che sta esaminando la legge regionale, per poter presentare le proprie riflessioni, con l'obiettivo di poter disporre, a beneficio di tutti gli abruzzesi, di uno strumento legislativo agile, che non gravi le imprese di ulteriore burocrazia, e che ponga un argine allo sfruttamento vergognoso delle persone, che anche in Abruzzo segna troppo spesso il lavoro in agricoltura». Fai-Flai-Uila riterrebbero assai grave se la commissione regionale, ascoltate le associazioni datoriali, non consentisse al sindacato di interloquire con il consiglio regionale su un tema così delicato e importante: «L'Abruzzo non è fatto solo di imprese, ma anche, e soprattutto, di lavoratori». Il fenomeno del lavoro nero e del caporalato in agricoltura è in crescita. A certificarlo è l'Istat, che rileva un tasso di lavoro irregolare in agricoltura che in otto anni è passato dal 20,9% del 2001 al 24,5% del 2009. L'aumento coinvolge anche l'Abruzzo. Lo confermano gli interventi repressivi operati dalle forze dell'ordine negli ultimi mesi e nell'area del Fucino, dove il fenomeno assume rilevanti forme di sfruttamento del lavoro dei migranti, in particolare clandestini. «Stupisce», affermano i sindacati dei lavoratori agricoli, «il pubblico rifiuto di una legge regionale di contrasto, dichiarato dalle associazioni datoriali, che dovrebbero, per prime, essere interessate a tutelare gli associati onesti che subiscono una pesante concorrenza sleale da parte di chi, al contrario, sfrutta il lavoro, evade i contributi e mette troppo spesso a rischio la salute delle persone, anche in tema di sicurezza alimentare». FONTE: il Centro "Caporalato, una vergogna" Il monito del vescovo di Marsica "E’ importante reagire allo sfruttamento dell’immigrazione e garantire condizioni abitative degne della persona" di Andrea Mori AVEZZANO. «E’ importante reagire allo sfruttamento dell’immigrazione e garantire condizioni abitative degne della persona. Perché anche il Vangelo racconta: “ero forestiero e mi avete ospitato”». Il vescovo dei Marsi, monsignor Pietro Santoro, conferma la vocazione che lo vuole vicino ai problemi sociali più attuali e lancia un appello ai politici, «senza alcuna distinzione», affinché «trovino soluzioni più rispettose di ogni uomo». Sono gli ultimi fatti di cronaca legati all’immigrazione nella Marsica a indurre il vescovo a prendere posizione contro lo sfruttamento nei campi della Marsica e a spingere i politici a fare altrettanto. La scoperta da parte dei carabinieri di lavoratori extracomunitari clandestini sfruttati per pochi euro nei campi del Fucino e la denuncia sul Centro dei sindacati sull’esistenza del fenomeno del caporalato per cui uno stesso extracomunitario prende, sotto ricatto e con la complicità di imprenditori locali, una percentuale dal lavoratore in cambio dell’occupazione, è una piaga che va in direzione opposta alla dottrina cristiana. Monsignor Santoro, oltre a ricordare il versetto del vangelista Matteo, prende spunto dall’avvicinamento della Pentecoste, la discesa dello Spirito santo (Atti degli apostoli 2,113) per rilanciare un’azione multietnica e multilingue «dove ognuno riesce a comunicare con l’a ltro perché lo comprende». «Non si tratta di una presenza strumentale o di una traduzione simultanea», sottolinea, «ma di una presa di possesso da parte di Dio nei confronti dell’uomo. Infatti “furono colmati di Spirito Santo”. Vorrei», è l’auspicio cristiano di monsignor Santoro, «che lo Spirito di Pentecoste accompagnasse questi nostri giorni difficili». Come ha fatto in precedenza per altri importanti temi sociali, come ad esempio l’usura, già da quando era parroco a San Salvo e vicario episcopale per il Vastese dell’arciodiocesi Chieti-Vasto, il l’alto prelato trae dalle parole del Vangelo e del papa Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”, la strada parallela universale: «Credenti e non credenti possono mettersi al servizio dell’uomo in un incontro fecondo tra etica laica ed etica cristiana recuperando il desiderio profondo d’infinito, superando il gelo delle statistiche, valorizzando la debolezza della profezia e la responsabilità delle scelte». Era stato il segretario Flai Cgil Luigi Fiammata a denunciare la rete di caporalato nella Marsica «grazie a una ignobile legislazione» che vincola il lavoro al permesso di soggiorno e viceversa. Essendo quello agricolo un lavoro stagionale, ecco che i lavoratori a fine contratto diventano clandestini, anche se arrivano in Italia regolarmente. Di qui il nuovo messaggio che monsignor Santoro affida alla politica: dover scegliere e in fretta. «Come Pastore di questa amata terra dei Marsi», antepone, «ho il dovere di chiedere alla politica, senza distinzioni, soluzioni più rispettose di ogni uomo. E’ doverosa una disciplina dei flussi immigratori e delle delicate questioni legate alla presenza di persone appartenenti a culture diverse». Nel Santoro-pensiero c’è tuttavia un’ampia apertura verso l’i ntegrazione. «Credo», conclude, «sia possibile nel quotidiano vivere la ricchezza del progetto di Dio per tutti i suoi figli che abitano la nostra Marsica». Un augurio che vuole essere più di una speranza. FONTE: abruzzo24ore Cronaca - Caporalato nel Fucino: in atto una vera guerra tra poveri Celano, Borgo strada 11, il caporale di nazionalità marocchina, procura lavoro, per fare i solchi nei campi, a 3 euro l'ora, un euro l'ora e' la sua percentuale per permettere a qualcuno di sfamarsi, forse. Ma lavorano solo i clandestini, non i regolari. Perche' loro sono piu' semplici da ricattare". A parlare e' il segretario della Flai-Cgil Luigi Fiammata che spiega: "questo e' quanto accade nel Fucino, con la complicita' dei padroni italiani che sfruttano le persone grazie ad una ignobile legislazione italiana, che prevede il permesso di soggiorno se hai il lavoro, ma ti permette di avere un lavoro solo se hai il permesso di soggiorno. Il lavoro agricolo e' un lavoro normalmente temporaneo, e si diventa clandestini subito, anche se si e' in Italia regolarmente. E' cosi'- si chiede il sindacalista - che le imprese agricole pensano di competere sul mercato? E' cosi' che le imprese agricole che rispettano i Contratti e le Leggi accettano di essere battute nella competizione sul mercato da Imprese truffaldine ? E' cosi' che gli organi di controllo, dall'ispettorato del Lavoro alle Forze di Polizia, possono accettare che si creino nel nostro territorio situazioni di degrado e di bestiale sfruttamento potenzialmente esplosive?" Per Fiammata "occorre intervenire subito. Perche' e' in atto una guerra vera, tra poveri. Tra migranti regolari che non vengono fatti lavorare e migranti clandestini che devono subire il ricatto, tra Lavoratori italiani disoccupati e imprese senza scrupoli che se ne fregano della qualita' e della sicurezza sul lavoro. Le Organizzazioni Sindacali FAI-FLAI-UILA e tutte le Associazioni imprenditoriali e agricole della provincia hanno sottoscritto l'8 febbraio scorso un primo Protocollo d'Intesa per lo Sviluppo del Settore Agroalimentare della Provincia di L'Aquila, ma da allora, nonostante le richieste, mai la regione Abruzzo ha ritenuto di dover convocare le Parti per discutere i contenuti di quella Intesa, e costruire quegli strumenti che sono necessari al contrasto del lavoro irregolare e alla crescita del Settore in Provincia. Abbiamo segnalato alla Direzione Provinciale del Lavoro la necessita' di svolgere una efficace azione di contrasto e di controllo del Territorio, andando a indagare le cosiddette 'cooperative senza terra' che violando le leggi fanno intermediazione abusiva di lavoro, e anche il fenomeno odioso del 'caporalato etnico', che rischia di sfuggire di mano e di creare pesanti infiltrazioni malavitose nel tessuto sociale del Fucino in particolare. Dovrebbe essere grande qui la responsabilita' sociale delle imprese nel non cercare scorciatoie, ma purtroppo nonostante gli impegni assunti dalle Associazioni Agricole, troppo spesso accade il contrario. Occorre una azione immediata, ora - conclude Fiammata - di tutti gli attori sociali e istituzionali, prima che la Provincia dell'Aquila finisca sulle cronache nazionali per episodi di barbarie che altri territori del nostro Paese hanno gia' vissuto".(AGI) FONTE: il capoluogo.com Agricoltura: lavoro nero in Abruzzo Con un comunicato il Fai-Cisl, Flai-Cgil e il Uila-Uil intervengono sulla situazione del lavoro nero in agricoltura in Abruzzo. I Sindacati sostengono che in materia la regione non ascolta il loro punto di vista. “Il Consigliere Regionale Maurizio Acerbo ha presentato una proposta di Legge Regionale, relativa all’istituzione di misure di contrasto nei confronti del Lavoro Nero e del Caporalato in Agricoltura” “Tale proposta di Legge – continua il comunicato – è attualmente all’esame della competente Commissione Regionale, che ha ritenuto opportuno incontrare, per approfondire i temi della Proposta di Legge, vari soggetti associativi, tra cui le Associazioni Datoriali del Settore agricolo. Ma la Commissione Regionale non ha ritenuto opportuno sino ad ora confrontarsi con le Organizzazioni Sindacali del Settore Agricolo. Il fenomeno del Lavoro Nero e del Caporalato in Agricoltura è un fenomeno in drammatico e preoccupante aumento, come recentemente certificato dall’ISTAT, che ha rilevato, nel Paese, il tasso di lavoro irregolare in Agricoltura, passato da una percentuale del 20,9% nel 2001, ad una percentuale pari al 24,5% nel 2009. Tale aumento coinvolge evidentemente anche la nostra Regione, come testimoniato da una serie di interventi repressivi delle Forze dell’Ordine negli ultimi mesi e in quest’ultimo periodo in particolare. L’area del Fucino, in provincia de L’Aquila, sembra essere in questo senso tra le aree dove il fenomeno appare più marcato, contenendo in sé anche rilevanti forme di sfruttamento del lavoro dei Migranti, in particolare clandestini.” “Stupisce quindi il pubblico rifiuto di una Legge Regionale di contrasto – concludono i sindacati nel comunicato – dichiarato dalle Associazioni Datoriali Agricole, che dovrebbero, per prime, essere interessate a tutelare i loro Associati onesti, che subiscono una pesante concorrenza sleale da parte di chi, invece, sfrutta il lavoro, evade i contributi, e mette troppo spesso a rischio la salute delle persone, anche in tema di Sicurezza Alimentare. Chi usa Lavoro Nero, mette a rischio anche la salute dei Consumatori. Per FAI-FLAI-UILA è opportuno che la Regione si doti di suoi strumenti di contrasto al Lavoro Nero e al Caporalato in Agricoltura, come peraltro già altre Regioni hanno fatto.Per questo FAI-FLAI-UILA Abruzzo chiedono di essere ascoltate dalla Commissione Regionale che sta esaminando la Legge Regionale, per poter presentare le proprie riflessioni in materia, con l’obiettivo di poter disporre per tutti gli Abruzzesi di uno strumento legislativo agile, che non gravi le Imprese di ulteriore burocrazia, ma che sia capace di contribuire a porre un argine allo sfruttamento vergognoso delle persone, che anche in Abruzzo segna troppo spesso il lavoro in Agricoltura. FAIFLAI-UILA riterrebbero assai grave se la Commissione, dopo aver ascoltato le Associazioni Datoriali non consentisse anche al Sindacato di interloquire con il Consiglio Regionale su un tema così delicato e importante. L’Abruzzo non è fatto solo di Imprese, ma anche, e soprattutto, di Lavoratori.” FONTE: piazzarossetti.it Caporalato nelle campagne del chietino. Operazione all'alba: 25 cittadini rumeni impegnati nei lavori della vendemmia. Tutti in nero Caporalato nelle campagne del chietino. Operazione all'alba: 25 cittadini rumeni impegnati nei lavori della vendemmia. Tutti in nero Denunciati dai carabinieri un imprenditore e i titolari di tre aziende agricole - Le campagne del chietino come le campagne del Mezzogiorno. Anche la provincia scopre di dover fare i i conti con il fenomeno del caporalato e con l'utilizzo di operai clandestini, senza permesso di soggiorno. Insomma direttamente in casa nostra una storia di sfruttamento ai danni di 25 cittadini rumeni. La scoperta è stata fatta nei giorni scorsi dai carabinieri della compagnia di Chieti ai quali erano giunte numerose segnalazioni per la massiccia e improvvisa presenza di cittadini stranieri nei territori di Guardiagrele, Fara Filiorum Petri e Pennapiedimonte. Presenza per altro in coincidenza con il lavoro nei campi per la raccolta dell'uva. Immediatamente sono partite le indagini da parte dei militari della compagnia di Chieti e dai funzionari della Direzione provinciale del lavoro che hanno accertato che i rumeni facevano capo a un uomo di 27 anni, F.D'A., originario di Pennapiedimonte, imprenditore, titolare di un'azienda agricola. Sono scattati gli appostamenti nella zona ed è stato scoperto che l'uomo, la mattina presto, dopo aver prelevato i cittadini rumeni dalle loro abitazioni, li accompagnava con un furgone presso le varie aziende agricole della zona. Una vera e propria attività di mediazione illegale di manodopera in agricoltura, e cioè il cosiddetto caporalato punibile con la pena dell'arresto fino a sei mesi e dell'ammenda fino a 7.500 euro per "esercizio abusivo della attività di intermediazione di manodopera, ovvero attività illegale di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro". L'uomo è stato denunciato e con lui anche i titolari di tre aziende agricole di Fara Filiorum Petri, Guardiagrele e Pennapiedimonte presso i quali venivano impiegati i 25 rumeni e che non avevano regolarizzato i lavoratori stranieri. Insomma al lavoro per la vendemmia senza contratto e dunque in nero. Non solo: da quanto è stato scoperto, i 25 venivano pagati non dai titolari delle tre aziende presso le quali lavoravano ma direttamente dall'uomo di Pennapiedimonte che a sua volta veniva pagato dai tre imprenditori agricoli. Questi ultimi rischiano ora la pena dell'ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Ma le indagini sono solo all'inizio. Si indaga su F.D'A. non si esclude che avesse anche organizzato tutta l'operazione andando di persona a prendersi in Romania i lavoratori. E in questo caso contro l'uomo le accuse potrebbero diventare ancora più pesanti. FONTE: abruzzoweb.it LAVORO NERO. CONSIGLIERE ACERBO, ''REGIONE NON ASCOLTA SINDACATI'' L’AQUILA - Il fenomeno del Lavoro Nero e del Caporalato in Agricoltura è un fenomeno in drammatico e preoccupante aumento, come recentemente certificato dall’Istat, che ha rilevato, nel Paese, il tasso di lavoro irregolare in Agricoltura, passato da una percentuale del 20,9 per cento nel 2001, ad una percentuale pari al 24,5 per cento nel 2009. “Tale aumento coinvolge evidentemente anche la nostra Regione, come testimoniato da una serie di interventi repressivi delle Forze dell’Ordine negli ultimi mesi e in quest’ultimo periodo in particolare. L’area del Fucino, in provincia de L’Aquila, sembra essere in questo senso tra le aree dove il fenomeno appare più marcato, contenendo in sé anche rilevanti forme di sfruttamento del lavoro dei Migranti, in particolare clandestini”. A parlare è il consigliere regionale, Maurizio Acerbo, che ha presentato una proposta di legge relativa all’istituzione di misure di contrasto nei confronti del lavoro nero e del caporalato in agricoltura. Per Fai - Flai - Uila “è opportuno che la Regione si doti di suoi strumenti di contrasto al Lavoro Nero e al Caporalato in Agricoltura, come peraltro già altre Regioni hanno fatto. Per questo chiadiamo di essere ascoltate dalla Commissione Regionale che sta esaminando la Legge Regionale, per poter presentare le nostre riflessioni in materia, con l’obiettivo di poter disporre per tutti gli Abruzzesi di uno strumento legislativo agile, che non gravi le Imprese di ulteriore burocrazia”. FONTE: la Repubblica NAPOLI – Sfida al caporalato: scioperano gli immigrati. Sfida al caporalato scioperano gli immigrati. Sedici rotonde stradali tra Napoli e Caserta sono state pacificamente occupate dai lavoratori alla giornata: “Vogliamo almeno 50 euro”. Significativo il presidio di Baia Verde a Castel Volturno, dove due anni fa dopo un concerto morì Miriam Makeba. Domani un corteo contro il razzismo e lo sfruttamento IMMIGRATI e caporali. Gli uni di fronte agli altri. Alla pari. Oggi si è svolto il primo sciopero in Italia dei lavoratori alla giornata. Da Baia Verde ad Afragola passando per Villa Literno, Casal di Principe, Giugliano, Qualiano, Pianura e Scampia. Hanno pacificamente occupato sedici ‘rotonde’ tra Caserta e Napoli. Negli stessi incroci stradali dove ogni giorno vengono “ingaggiati”, stamattina all’alba, migliaia di migranti hanno incrociato le braccia e alzato un cartello: “Noi non lavoriamo per meno di 50 euro al giorno”. In strada c’erano tutti: i lavoratori delle campagne, dell’edilizia, del terziario, del mondo dell’artigianato. Regolari e irregolari. “E’ stata una bella manifestazione – dice soddisfatto Alfonso De Vito, della rete antirazzista – perché queste persone oggi hanno rinunciato ad un guadagno, ma innanzitutto perché hanno avuto il coraggio di scendere in piazza, metterci la faccia e sfidare i caporali”. Particolarmente significativo il presidio di Baia Verde, proprio nella piazzetta dove due anni fa al termine di un concerto per le vittime di Castel Volturno, morì Miriam Makeba, mamma Africa, e che, in particolar modo, i ragazzi del Ghana e della Nigeria hanno voluto ricordare con particolare affetto. “E’ stato solo un primo appuntamento – spiega ancora De Vito – perché l’impegno per far terminare questa spirale di sfruttamento è molto lungo” “L’obiettivo di questa giornata di sciopero è contrastare lo sfruttamento del lavoro nero – spiegano gli organizzatori – con il recepimento della direttiva europea 52, applicare ed estendere l’articolo 18 del testo unico anche a chi denuncia di essere stato costretto all’irregolarità del lavoro, ma anche e soprattutto mettere in campo un percorso permanente di emersione dalla clandestinità”. E domani secondo appuntamento, con un corteo contro il razzismo, lo sfruttamento e le camorre a Castel Volturno per il permesso di soggiorno e i diritti di cittadinanza. E in questo caso i numeri ci sono: sfileranno oltre 2000 immigrati, oltre a studenti, lavoratori italiani, associazioni. Appuntamento alle 10,30 alla stazione di Caserta e arrivo sotto la prefettura. La mobilitazione proseguirà a Roma il 14 e del 15 ottobre, con un presidio davanti al ministero dell’Interno. FONTE: il manifesto Sempre più schiavi dei caporali Cgil: «Una legge lo renda reato» di Antonio Sciotto 08 ottobre 2010 LAVORO La proposta di Flai (agricoli) e Fillea (edili). Gli sfruttati sono almeno 550 mila ROMA. Realtà come quelle di Rosarno, l'anno scorso, hanno reso evidente a tutti come in Italia lo schiavismo non sia stato abolito: sono almeno 550 mila le persone che nel nostro paese vivono e lavorano «sotto caporale», buona parte di loro in condizioni assolutamente degradate dal punto di vista abitativo, e sotto continuo ricatto da parte di «imprenditori» senza scrupoli, in realtà veri e propri criminali. I calcoli li ha fatti la Cgil - con le sue due categorie più colpite, gli agricoli della Flai e gli edili della Fillea - che ieri ha tenuto a Roma l'importante iniziativa «Stop-caporalato», per chiedere una legge: non esistono infatti nei nostri codici, sembrerà incredibile, norme che definiscano il caporalato un reato, e come tale lo puniscano. Ma quel che è peggio è che il governo Berlusconi, con il suo combinato di leggi contro il lavoro e l'assoluto congelamento dei controlli sul territorio, insieme con l'introduzione del reato di clandestinità, ha reso praticamente impossibile per i lavoratori sfruttati - spessissimo immigrati senza permesso di soggiorno - la denuncia: chi infatti presentasse esposto contro i propri sfruttatori, nel contempo si autodenuncerebbe come clandestino e sarebbe immediatamente espulso. Quello che purtroppo il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e l'attuale maggioranza del Pdl/Lega non vorranno mai fare sarebbe invece l'uovo di Colombo per l'emersione del sommerso, strada qualche anno fa tentata dal governo Prodi: bisognerebbe premiare chi denuncia il proprio datore di lavoro nero, e all'immigrato irregolare che lo fa bisognerebbe dare immediatamente un permesso. Ci guadagnerebbero anche il fisco e l'Inps. Ecco dunque il cuore della proposta di legge presentata ieri dai segretari generali Stefania Crogi (Flai) e Walter Schiavella (Fillea), con la partecipazione della segretaria generale Cgil Susanna Camusso: «Chiunque svolga un'attività organizzata al fine della intermediazione di forza lavoro, sfruttando la disponibilità altrui, causata dallo stato di bisogno o di necessità in cui costui versa, a compiere una prestazione lavorativa in assenza di piena e totale tutela di legge - dice il testo - è punito alla reclusione da 5 a 8 anni. Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà la minore età dei lavoratori intermediati e l'aver commesso il fatto esponendo i soggetti intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro. Il ministero del Lavoro, di concerto con i centri per l'impiego, promuove l'istituzione di corsi di lingua italiana per i lavoratori stranieri e sostiene iniziative e campagne informative aventi a oggetto le tematiche trattate nella proposta di legge». «La proposta Cgil - spiegano Crogi e Schiavella - chiede di inserire nel nostro ordinamento il reato di caporalato, oggi punito in caso di flagranza con una sanzione amministrativa di appena 50 euro per ogni lavoratore ingaggiato. Nei blitz effettuati l'anno scorso dalla Finanza a Rosarno, scattarono le manette per altri reati, come la riduzione in schiavitù. Non va bene: bisogna invece scrivere chiaro nei nostri Codici che fare intermediazione di manodopera illegalmente è un reato e come tale va contrastato, accertato, punito». «È tratta delle persone, perciò reato», rincara Camusso. Secondo i sindacati sono almeno 400 mila i lavoratori sotto caporale nelle campagne italiane, e almeno 150 mila quelli nei cantieri. La Flai ha fornito una serie di mappe regionali dove si dà conto dell'attività e delle zone di maggiore concentrazione e sfruttamento: tutto il Sud è definito «ad alta intensità», ma preoccupano i «nuovi fronti» di Abruzzo, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e persino del civilissimo Trentino. A «intensità media» Lazio e Lombardia: in particolare a Mantova si segnala una nutrita comunità di indiani che in estate raccoglie i meloni. La Fillea ha pubblicato invece l'interessante mappa degli «smorzi», ovvero i luoghi di raccolta dei caporali a Roma: sono ben 40, e gli edili Cgil ci informano che all'alba avviene la prima «infornata», con i lavoratori destinati alle imprese e ai cantieri, mentre dopo le 9 passano a chiedere manodopera in nero semplici cittadini, per qualche «lavoretto» in casa o in giardino. Le tariffe: se prima della crisi si andava sui 50 euro per una giornata (cifra già bassa) oggi si naviga sui 20. Rumeni, albanesi, ma sorprendentemente, ma poi neppure tanto - tra i nuovi «schiavi» compaiono ormai anche gli italiani. FONTE: Adnkronos CANTIERI/40 PUNTI DI RACCOLTA La mappa degli «smorzi» il tour di Roma in nero A Roma lo «smorzo» è l'ingrosso dove gli artigiani e le imprese vanno ad acquistare il materiale da costruzioni. Nel tempo, gli edili in cerca di lavoro hanno iniziato a ritrovarsi nei pressi dello «smorzo», dove è più facile trovare un lavoro a giornata. Fino a pochi anni fa, gli «smorzi» a Roma si contavano sulle dita di una mano ed era molto raro che intorno a questi luoghi si muovessero gli interessi dei caporali. Oggi se ne contano almeno 40 sparsi in tutta la città. Una giornata vale 20 euro. La mappa è della Fillea Cgil. Noi donne “dannate” nei campi. E vittime di caporali Raccolgono gli agrumi o i pomodori: 14 ore al giorno per 30 euro. Sono italiane e madri di famiglia schiavizzate dagli intermediari di manodopera. “Umiliarsi e sottostare: è questo il nostro lavoro. Altrimenti i figli non mangiano” 25 gennaio, 2011 “Ho imparato a piegare la testa. A non alzare mai gli occhi più su della pianta che mi trovo di fronte. Nessuna domanda, nessun pensiero. Le mani devono essere veloci e non c’è tempo per riflettere. Umiliarsi e sottostare. E’ questo il mio lavoro. Altrimenti la mia famiglia non mangia”. Nunzia (il nome è di fantasia, ndr) ha 37 anni e vive in un piccolo paese in provincia di Taranto. Ogni giorno, da più di 20 anni, va a lavorare nei campi. La raccolta dei pomodori, così come quella delle arance o dei meloni, non è infatti solo un “terreno per immigrati” ma anche per tante donne italiane, nonostante si tratti un lavoro fisicamente estremamente faticoso. Incontro Nunzia e suo marito, che lavora come precario in una ditta privata di trasporti, al Teatro Ambra Jovinelli di Roma in occasione della presentazione della proposta di legge di Cgil, Fillea e Flai per far sì che il caporalato diventi un reato perseguibile penalmente. “Non dovrei essere qui. Ora mi sono un po’ segnata. Perché di quello che accade nei campi non si deve parlare. Il rischio è che non lavoro più” dice. Nunzia non è sola. Con lei ci sono una ventina di colleghe che hanno deciso di parlare e chiedere aiuto. C’è un gruppetto di Grottaglie, nel tarantino. Solo lì le donne “schiavizzate” nei campi sono 4 mila. In Italia, dati Cgil, su più di un milione di lavoratori impegnati nel settore agricolo le donne rappresentano il 40%. Molte di loro sono nelle mani di caporali. “Oggi se vuoi lavorare devi rivolgerti a un intermediario di manodopera” spiega Maria, sessant’anni di cui 35 passati nei campi. La paga? 25-30 euro per una giornata. Ma si può arrivare a 17-18 euro. Dipende dalla percentuale che si prende il caporale. E più braccia ha, più guadagna. “Per questo – racconta Maria – i caporali sono molto gentili. Cercano di accattivarsi le loro vittime andandole a prendere direttamente a casa in automobile”. Per rendere più semplice e diretto il rapporto “datore di lavoro-dipendente” il caporale è spesso affiancato da una donna. “Di solito è la sua compagna. Viene con noi nei campi e, mentre lavoriamo, ci sta con il fiato sul collo. Ci dice di sbrigarci, ci accompagna in bagno”. Bagno che altro non è che un posto tra i campi un po’ appartato. “Non possiamo far pipì più di una volta al giorno. Per questo non ci è concesso bere acqua” continua Maria. Le ore di lavoro variano in base alle stagioni: l’estate, grazie alla luce del sole, si può arrivare a 14 ore. L’inverno, invece, difficilmente si superano le 8-9 ore lavorative. A queste deve aggiungersi il tempo degli spostamenti. Un tempo, ovviamente, non retribuito. “A volte per raggiungere i terreni ci vogliono anche due ore di automobile”. E guai a chiedere sconti. “La vigilia di Pasqua volevamo uscire dopo 8 ore di lavoro per poter cucinare – ricorda Maria – Il nostro caporale è salito su un tavolo e ha iniziato ad urlare dicendoci che noi non avevamo diritto di avanzare pretese. Dovevamo solo eseguire i suoi ordini. Noi siamo solo numeri. Non possiamo dire niente, altrimenti domani non lavoriamo più”. Ma, se interpellate, rispondono a comando: “Se ci facciamo male siamo costrette a dire che è accaduto a casa, se arriva un controllo dobbiamo sempre raccontare che usiamo i guanti, che non lavoriamo più di 8 ore”. Nunzia, invece, non ha un caporale ma una “fattora”. “E’ una lavoratrice come noi che si occupa di procurarci il lavoro. Tiene i contatti tra noi e le aziende, ci viene a prendere la mattina e ci porta nei campi. Ma non prende la percentuale”. Capelli biondi e ricci, un filo di matita che segna il contorno degli occhi, Nunzia non nasconde la sua paura di parlare. Né la sua sofferenza. E più volte la voce si rompe e si interrompe. E in quei momenti stringe a sé il piumino marrone che indossa. “Mi sveglio ogni mattina alle 3:30. In questi giorni stiamo raccogliendo le arance, a febbraio marzo sarà la volta della legatura dei vigneti. Ad aprile, quando la vite inizierà a germogliare, dovremo togliere tutto e lasciare solo la parte buona. A giugno sarà il momento dei pomodori...”. E così, ogni anno, il ciclo si ripete. Non i conti. “C’è chi se ne approfitta e a fine giornata non ti paga. O chi ti versa meno contributi di quelli che dovrebbe. Così, ogni volta che telefono all’Inps per sapere in un anno quante giornate mi hanno pagato è sempre una sorpresa. In negativo, ovviamente” racconta Nunzia. Non solo. “Se decidi di rivendicare qualcosa, spesso scopri che l’azienda per cui hai lavorato non esiste più. Perché nascono e muoiono srl alla velocità della luce” racconta Nunzia. Per questo ogni sera “rientro a casa e non mi sento né carne né pesce. Mi sento solo una dannata”. FONTE: INAIL Storie di caporalato: 30 euro (e un panino) per un giorno in cantiere 23 novembre 2009. E' questo il compenso offerto ai lavoratori stranieri per dieci ore sulle impalcature. Iniziativa dell'INAIL contro lo sfruttamento in collaborazione con Provincia e Asl: oggi venti immigrati sono stati "reclutati" a Roma per partecipare a una lezione (pagata) in materia di sicurezza e legalità ROMA - Trenta euro. Più un panino. E' questo il "lauto" compenso offerto agli immigrati della Capitale per dieci ore sulle impalcature di un cantiere. I lavoratori che, questa mattina, hanno partecipato alla "lezione di sicurezza" promossa dalla Provincia di Roma e INAIL, si sono sentiti ripetere la stessa offerta più volte prima di abbandonare il depositi di materiali edili di Tor di Quinto. Addirittura una delle contrattazione è avvenuta proprio mentre i partecipanti al corso stavano per salire sul pullman che li avrebbe condotti alla sede dell'INAIL. Una macchina con due romeni a bordo si è fermata, infatti,. vicino a loro. "E' un cantiere qui vicino, servono cinque persone per 10 ore", ha detto l'autista . "La paga è di trenta euro, però ci sono anche i panini". Solo uno dei 20 reclutati si è lasciato convincere ed è salito a bordo. Gli altri hanno declinato l'offerta. "Oggi ci danno 50 euro per partecipare a questa lezione e non ci è convenuto accettare il lavoro", hanno spiegato alcuni di loro, nella maggior parte romeni e moldavi. "Anche se, forse, abbiamo perso un ingaggio più duraturo. In altre situazioni avremmo accettato: alla fine loro sono i caporali e noi i nuovi schiavi. Non abbiamo alternative". "Le persone che vengono a prenderci la mattina spesso sono intermediari italiani o stranieri", ha raccontato Adrianu. "Quando ci pagano, ci danno 30-40 euro alla giornata e loro ne prendono 80. Qui funziona così". Oggi, invece, per una volta tanto, il trattamento è stato diverso. L'iniziativa - realizzata anche in collaborazione con con l'Asl Roma E e il Comitato paritetico territoriale - ha permesso ai partecipanti di essere almeno per un giorno sottratti alle angherie del caporalato e di ricevere un bagaglio di conoscenze in materia di sicurezza e legalità che, forse, permetterà loro di affrontare con più consapevolezza e coscienze le sfide del futuro. Alcuni sindacalisti romeni - insieme al delegato alla Sicurezza sui luoghi di lavoro del della Provincia, Fabio Nobile hanno reclutato gli immigrati alle sette di questa mattina su viale di Tor di Quinto, dove sostavano in attesa di un "lavoro alla giornata". Condotti nella vicina sede dell'INAIL, sono stati accolti da diversi operatori dell'Asl che hanno tenuto loro una lezione di "prevenzione", distribuendo un opuscolo tradotto in cinque lingue e gli strumenti basilari per un lavoro sicuro nei cantieri: scarpe antinfortunistiche, caschetto e fratino catarifrangente. "La maggior parte di queste persone ogni giorno viene sfruttato con stipendi da fame e spesso lavorano in condizioni di assoluta insicurezza", ha detto Nobile. "Questo progetto, che è già stato sperimentato a Guidonia e che si ripeterà anche nelle prossime settimane a Roma, vuole aiutarli concretamente ad autosalvaguardarsi e a renderli consapevoli dei loro diritti" FONTE: Adnkronos/Labitalia Roma, 24 gen. - E' alta l'intensita' del caporalato in alcune regioni italiane, nel settore dell'agricoltura. E' quanto emerge dalla mappa del caporalato resa nota oggi in occasione della presentazione della proposta di legge per fronteggiare il fenomeno, lanciata dalle categorie dell'edilizia e dell'agroindustria della Cgil, la Fillea e la Flai. In Sicilia, i fenomeni di caporalato sono presenti in tutta la regione. Si segnala, in particolare, la provincia di Siracusa e i comuni di Cassibile, dove in primavera avviene la raccolta delle patate, di Pachino e di Avola. Nel ragusano, invece, intermediazione di manodopera e lavoro nero sono molto diffusi nelle aziende ortofrutticole del distretto di Vittoria. Alta intensita' anche in Calabria, dove i fenomeni di caporalato sono presenti in tutta la regione. Particolarmente interessata e' la Piana di Gioia Tauro, dove si trova Rosarno e dove da ottobre a febbraio si tiene la raccolta degli agrumi (mandarini prima e arance poi). Rispetto a un anno fa, quando vi fu la rivolta dei braccianti africani, la presenza di lavoratori extracomunitari e' di circa 800 persone, alloggiate in tutta la Piana presso casolari abbandonati, case in affitto e perfino nelle stazioni ferroviarie. In Puglia, i fenomeni del caporalato sono presenti in tutta la regione. Il fronte piu' caldo e' quello della Capitanata, dove tra luglio e agosto si svolge la raccolta del pomodoro. Si segnalano, pero', anche le province di Brindisi, Lecce, Bari e Taranto, dove per tutto l'anno vengono regolarmente occupati a nero e sotto caporalato lavoratori sia italiani che stranieri. In Basilicata, si segnala la provincia di Potenza e, in particolare, la zona Palazzo San Gervasio, dove a fine agosto (con un leggero ritardo rispetto alla Capitanata) si svolge la raccolta del pomodoro. In Campania, ci sono fenomeni presenti soprattutto nelle province di Caserta e di Salerno. Nel casertano, si segnala una forte presenza di caporali a Villa Literno e Castel Volturno. Nel salernitano, e' interessata da questi fenomeni tutta la Piana del Sele, uno dei piu' grandi bacini agricoli del paese. Qui c'era il 'ghetto' di San Nicola Varco, una struttura abbandonata dove avevano trovato alloggio circa 800 braccianti agricoli di orginine maghrebina. L'anno scorso la struttura e' stata sgomberata ma i lavoratori sono rimasti tutti, o quasi, in zona e alloggiano in casolari abbandonati o in piccoli appartamenti in affitto. Nel Lazio, e' media l'intensita' del caporalato. Si segnala la provincia di Latina, importante polo agricolo e luogo dove hanno sede molte aziende floricole. La manodopera in nero e sotto caporali e' per lo piu' indiana. In Abruzzo, si segnala il bacino del Fucino, in provincia de L'Aquila, dove avvengono le raccolte di prodotti ortofrutticoli e dove vengono occupati soprattutto lavoratori del Maghreb o neo-comunitari provenienti da Polonia e Romania. In Emilia Romagna, si segnalano le province di Modena e Cesena. Nel modenese, caporali operano nel settore della macellazione, dove i lavoratori extracomunitari vengono assunti a nero e attraverso intermediazione da finte cooperative di facchinaggio. Nel cesenate, sono in progressivo aumento lavoratori nelle medesime condizioni nelle aziende ortofrutticole. In Toscana, invece, si segnala qualche piccolo fenomeno in provincia di Siena, legato al distretto del vino. In Veneto, c'e' la presenza del caporalato in provincia di Padova. In Trentino Alto Adige, si segnala la raccolta delle mele nella provincia trentina. In questo caso, e' un fenomeno nuovo, per ora marginale ma comunque in espansione. In Lombardia, si segnala la provincia di Mantova, in occasione della raccolta estiva dei meloni. E' presente una forte comunita' indiana. FONTE: italianspot Il permesso di soggiorno a pagamento, caporalato, lavoro in nero e imprenditori che sfruttano i lavoratori La bravissima giornalista e scrittrice Silvia Ballestra, qualche giorno fa in un articolo sull’Unità, ha definito la proposta della Lega di far pagare il permesso di soggiorno agli immigrati, come “il pizzo per rimanere in Italia”. Gli immigrati servono a questo Paese come l’aria per respirare a tutti gli esseri umani. Senza immigrati l’economia di gran parte dell’Italia si fermerebbe, senza gli immigrati gli imprenditori non potrebbero fare profitti. Su quest’ultima affermazione voglio ribadire che per anni, numerosissimi “padroni”, soprattutto nel sud Italia, hanno fatto le loro fortune attraverso lo sfruttamento degli immigrati clandestini. La piaga del caporalato, ad esempio, in Puglia ha permesso che la tratta di lavoratori nel giro di un decennio, spostasse la sua attenzione quasi esclusivamente sugli immigrati senza permesso di soggiorno, quindi ricattabili. Numerose inchieste della magistratura stanno cercando di appurare il giro di affari di milioni di euro che intorno a questa vera e propria tratta di FONTE: benedettalombo.com MACERATA – Duecentomila euro di evasione fiscale, 50 episodi di collocamento di ragazze in night club, 18 locali notturni coinvolti, sei persone denunciate e altre 15 implicate per cui è prevista a breve una denuncia a loro carico e infine quattro province coinvolte: Macerata (Civitanova, Recanati, San Severino), Ancona (Osimo), Ascoli (Massignano) e Pescara (Montesilvano). Sono questi i numeri dell’indagine di polizia giudiziaria denominata “Caporalato al Night Club” che ha consentito di scoprire 50 casi di intermediazione compiuta da una ventina di persone e diretta al collocamento di avvenenti ragazze in numerosi night club del territorio come “figuranti di sala”, schiavi, regge l’economia di molte aree del Paese, da nord a sud.L’uso strumentale del contrasto all’immigrazione clandestina che la Lega e altre forze politiche di maggioranza fanno, ha come obiettivo quello di cercare di arginare il consenso elettorale che a poco a poco sta svanendo nel Paese, soprattutto alla luce della deludente azione di Governo che finora non ha portato a risultati concreti. In particolare per la Lega, la battaglia sul federalismo fiscale che non riesce a vedere l’alba e la sconfitta sul Malpensa, portano malumore nel proprio elettorato. Quindi alzano la voce per far sentire che ci sono. Nonostante il ministro Maroni si affanni nel dire che questi provvedimenti ci sono dappertutto in Europa, è bene precisare che a fronte di una tassa c’è sempre in contropartita, un servizio che viene corrisposto. Attualmente per rinnovare il permesso di soggiorno occorre quasi un anno e mezzo, tra notevoli peripezie e disagi per gli immigrati che di fatto ovvero intrattenitrici di clienti. I particolari dell’azione, compiuta per la prima volta in provincia in questo settore, sono stati illustrati ieri mattina dal questore vicario, Piernicola Silvis, e dal primo dirigente, Marcello Gasparini, che ha guidato l’operazione. “Il fenomeno del caporalato – ha spiegato Silvis – è emerso da diversi mesi anche in questa provincia, dove l’alta concentrazione di night club ha comportato l’arrivo di clienti da tutta la regione e anche dal vicino Abruzzo”. Un numero elevatissimo di locali notturni (18) presenti sul territorio maceratese che in proporzione al numero di abitanti “pone la provincia tra i primi posti in Italia”, ha precisato Gasparini. Così, l’elevata concentrazione unita alla conseguente concorrenza che si è generata tra gli stessi locali notturni, hanno costituito un terreno fertile per chi ha visto nel reclutamento delle giovani ragazze un vero e proprio business. “Le venti persone coinvolte sono per lo più clienti ed ex clienti dei night – ha aggiunto Gasparini – che si sono improvvisati impresari delle ragazze reclutate sia per conoscenza diretta e indiretta, sia tramite appositi siti Internet in cui erano proposti guadagni fino a 7.000 euro”. Le assunzioni venivano effettuate dai gestori dei night con regolare contratto, mentre i “caporali” prendevano per ogni giorno lavorativo delle dipendenti dai 10 ai 25 euro, tutti rigorosamente in nero, per un totale di evasione fiscale pari a 200.000 euro. “Tra i denunciati – ha proseguito Gasparini – ci sono anche cinque persone che avevano costituito un’apposita ditta di servizi e consulenze. Un altro, invece, nello svolgere l’attività di intermediazione, utilizzava per i contatti telefonici una sim card intestata a un ottantenne di Pescara che, interrogato, è risultato ignaro anche della stessa esistenza dell’utenza attivata a suo nome”. L’indagine, partita da un intervento compiuto in flagranza di reato su un quarantenne settempedano e proseguita sul fronte investigativo, ha impegnato il personale della polizia amministrativa di Macerata per diversi mesi e ha portato all’emersione anche di altre irregolarità, come nel caso del night club Angeli & Fiori a Civitanova in via Martiri di Belfiore. In quel caso, attraverso i controlli effettuati dagli agenti di polizia in occasione della serata inaugurale, è emerso che il locale non aveva le necessarie licenze. La conseguente segnalazione al Comune ne ha comportato l’immediata cessazione dell’attività, mentre per gli aspetti penalmente rilevanti sarà interessata la procura della Repubblica di Macerata. FONTE: benedettalombo.com NEI GUAI UN IMPRENDITORE EDILE DI SAN SEVERINO Il primo intervento della polizia maceratese è stato compiuto nei confronti di un imprenditore edile di 40 anni di San Severino che gestiva un piccolo numero di ragazze. L’uomo, colto in flagranza di reato, è stato denunciato all’autorità giudiziaria per esser stato sorpreso, lo scorso maggio, mentre tentava di far assumere in un locale notturno di Tolentino due ragazze straniere: una marocchina di 24 anni residente a Reggio Emilia e una rumena di 21 anni residente a Fermo. Il personale di polizia ha poi effettuato una perquisizione domiciliare ponendo sotto sequestro l’auto utilizzata per trasportare le ragazze, diversi documenti e una somma complessiva di denaro pari a 2.315 euro e 17 lei (moneta rumena). Da successive indagini è emerso anche che il quarantenne settempedano aveva già collocato al lavoro altre ragazze rumene e polacche in due night club di Civitanova e Appignano. FONTE: COLDIRETTI LAVORO. Coldiretti: 100mila assunzioni contro il caporalato Al via le istanze per assumere regolarmente, in base al decreto flussi, i lavoratori extracomunitari Dalle ore 8 del 31 gennaio potranno essere inviate le istanze per l’assunzione regolare di quasi centomila lavoratori extracomunitari (98.080) sulla base del decreto flussi varato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.305 del 31 dicembre 2010. È quanto afferma la Coldiretti in riferimento alla denuncia di Flai e Fillea Cgil sul caporalato in Italia. La quota maggiore di 52.080 è assegnata - sottolinea la Coldiretti - cittadini provenienti da Paesi che hanno sottoscritto specifici accordi di cooperazione in materia migratoria impegnati in tutti i settori produttivi, tra i quali prevalgono però agricoltura, turismo ed edilizia. Tra questi, maxi quote sono riservate ad Egitto, Albania, Marocco, Moldavia, Tunisia, Filippine e Sri Lanka. Una altra quota rilevante di 30.000 unità - continua la Coldiretti - è destinata al solo lavoro domestico sempre per cittadini provenienti da Paesi che hanno sottoscritto specifici accordi di cooperazione in materia migratoria. Con la trasparenza e la legalità si può spezzare la catena di sfruttamento che sottopaga il lavoro e il suo prodotto come dimostrano - continua la Coldiretti - i tanti esempi virtuosi presenti nelle campagne italiane dove lavorano regolarmente circa 90mila immigrati extracomunitari, dei quali circa 15mila con contratti a tempo indeterminato, che contribuiscono in modo strutturale e determinante all'economia agricola del Paese e rappresentano una componente indispensabile per garantire il successo del Made in Italy alimentare nel mondo. Per questo su un territorio che può offrire grandi opportunità di crescita e lavoro va garantita la legalità per combattere inquietanti fenomeni malavitosi che umiliano gli uomini e il proprio lavoro e gettano una ombra su un settore che - conclude la Coldiretti - ha scelto con decisione la strada dell'attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale, al servizio del bene comune. FONTE: la Repubblica SCHIAVI E CAPORALI, a Natale scandalo false cooperative Vengono usate come forma di outsourcing, con il vantaggio che i “soci” sono facilmente licenziabili. Fini mutualistici solo sulla carta, così si sfruttano i benefici su fisco e costo del lavoro. L’influenza di mafia e ‘ndrangheta. Alla catena di montaggio che prepara il Natale, nei cubi di cemento dei grandi centri logistici che riforniscono gli scaffali dei supermercati di luci e decorazioni, entrano che non è ancora l’alba ed escono che è già notte. Nelle grandi piattaforme della grande distribuzione, sperdute nelle campagne di tutta Italia, sgobba una nuova classe di lavoratori. Sono gli schiavi del Natale. Formalmente, soci di cooperative. In realtà persone che, di fatto, hanno meno diritti dei dipendenti delle aziende classiche, con la sola differenza che spesso non sanno bene chi è il loro padrone. Due coop su tre, dicono le ispezioni delle direzioni provinciali del lavoro, sono irregolari. Ma quante sono allora in Italia le “cooperative spurie”? Quanti dipendenti occupano? E perché sia il sistema economico che la criminalità organizzata ricorrono sempre più a questa tipologia d’impresa che produce un valore aggiunto di 40 miliardi di euro, il tre per cento del totale nazionale? LE DENUNCE “Con questo mezzo, gli operai ad essa aderenti pensano di fare il primo passo nella via della loro emancipazione, poiché sottratto il lavoro da ogni dipendenza, l’associazione offrirà ad essi il modo di istruirsi, di educarsi e di togliersi dallo stato di miseria e soggezione in cui oggi si trovano…”. Fa tenerezza rileggere le parole dello statuto della prima cooperativa modenese, fondata a Finale Emilia nel 1886, e confrontarle con il racconto che Juan, 124 anni dopo, ha reso alla procura di Lodi. Con altri quattro connazionali, il 36enne boliviano ha denunciato gli ingranaggi del sistema del lavoro nero nella piattaforma Dhl di San Giuliano Milanese, dove lo smistamento dei pacchi natalizi moltiplica il numero di colli da movimentare. “Ho girato diverse cooperative. I nomi cambiavano in continuazione ma i responsabili erano sempre gli stessi…”. L’ultima “non mi consegnò mai il contratto di assunzione. Ma il quindici di ogni mese un caporale mi pagava in contanti. La mia busta paga era sempre a zero ore. Lavoravo nel settore carico con una mansione pericolosa, che richiedeva, però, velocità e lucidità. Poi abbiamo contattato il sindacato e ci siamo ribellati. Ma quando tornai in azienda, l’addetto alla sicurezza non mi fece entrare: ero licenziato”. Ora Juan ha ottenuto il permesso di soggiorno in base all’articolo 18 della legge sull’immigrazione, quello utilizzato di solito dalle prostitute per fare arrestare i protettori. E come lui gli altri colleghi che hanno denunciato, oggi collocati in una vera cooperativa, la “Lotta all’emarginazione” di Sesto San Giovanni. Le prime segnalazioni della Filt-Cgil sulla piattaforma di San Giuliano risalgono all’aprile 2008. “Ai lavoratori regolarmente assunti venivano assegnati orari sempre più ridotti in modo da provocarne le dimissioni affinché fossero sostituiti da extracomunitari con permessi di soggiorno falsi…”. Simon, anche lui boliviano, quarantenne, racconta di aver lavorato per più cooperative e di ricevere lo stipendio “su una carta di credito prepagata intestata a mio nome”. Le cifre sono sempre minori di quelle concordate. Sulle denunce di Juan, Simon e gli altri è aperta un’inchiesta della direzione provinciale del lavoro di Milano. Molte coop citate nelle denunce, nel frattempo, hanno licenziato gli operai, come la Padana servizi – 70 in un colpo solo, con un semplice fax – o risultano inattive, come la Alfa coop e la Vidac. IL BOOM In Italia le cooperative sono 151mila, calcola l’ultimo rapporto di Unioncamere. E mostrano, a differenza delle altre imprese, “una notevole resistenza alle difficoltà della crisi”, con un saldo positivo tra cessazioni e nuove costituzioni. Quasi la metà del totale (45 per cento) sono al Sud, ma è al Nord che creano più occupazione. Sicilia e Lazio sono le prime regioni per diffusione, seguono Lombardia e Campania, dove in media crescono del 2%. Sono il 2,1% del totale delle imprese italiane, con un milione e 400mila lavoratori impiegati ormai in ogni settore. La logistica – dove operano grandi gruppi come Colser di Parma (3000 dipendenti), Ucsa di Milano (1700), Gesconet di Roma, Cal di San Giuliano Milanese (900 soci), Piave di Torino, Transcoop di Reggio Emilia – è solo uno dei settori delle coop, che ora operano anche nell’outsourcing. Per esempio, grandi compagnie di assicurazioni hanno delegato a piccole coop di giovani diplomati – inserite all’interno di gruppi imprenditoriali molto floridi – lavori che prima erano riservati agli interni, ottenendo più flessibilità, ma anche la possibilità di lasciare a casa i “soci” quando le commesse scarseggiano. Un vero e proprio boom si registra poi nella sanità, nell’informatica, nelle telecomunicazioni, nell’edilizia, nel settore delle pulizie fin anche all’intermediazione finanziaria, all’istruzione, alla formazione privata. Con picchi di crescita superiori alla media delle altre imprese, soprattutto per quanto riguarda donne e immigrati. Ma cosa c’è dietro questa esplosione di vitalità? Un rilancio in grande stile o un uso distorto della forma cooperativa come quello che denunciano i facchini di San Giuliano Milanese? IL RACKET Dietro, spesso, ci sono soltanto delle truffe. Storie che sanno di caporalato e che riempiono decine di inchieste, dal Trentino alla Sicilia. Imprenditori, commercialisti, avvocati e consulenti fiscali sono i registi di reti di società intestate a prestanome con le quali danno avvio all’impresa criminale. Come funzionano le coop-patacca? Il meccanismo è quasi sempre lo stesso. S’intestano le cooperative ad anziani, disabili, tossicodipendenti, che in cambio di una firma ricevono poche decine di euro. Poi si dà il via all’attività, sfruttando le agevolazioni previste per questo genere d’impresa, con assunzioni in nero, buste paga inferiori ai pagamenti effettivamente corrisposti, straordinari nascosti in altre voci contabili, contributi e tasse non versate. Formalmente, i lavoratori sfruttati sono soci della coop. Ma essendo ricattati, le loro decisioni sono dirette dal presidente o dai suoi fantocci. Quando gli investigatori arrivano alle società, si trovano di fronte a società in liquidazione, a patrimoni pari a zero, ad amministratori fittizi. Ma non sempre i furbi la fanno franca. Il caso più noto è quello di Padova, dove un’operazione della Guardia di Finanza ha smantellato una “associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale”. Una rete di cooperative intestate a titolari di comodo, quasi tutte nell’orbita della Compagnia delle opere, aveva evaso 30 milioni di euro tra oneri previdenziali, fiscali e contributivi non versati. I militari hanno sequestrato anche 18 milioni di euro in contanti, titoli di società ed immobili tra Veneto, Toscana, Piemonte, Emilia Romagna. Tra i 21 indagati e i tre arrestati c’erano Willi Zampieri, 40 anni, presidente della società con un passato in Forza Italia; il commercialista Paolo Sinagra Brisca e una consulente del lavoro, ex tesoriere del Consiglio provinciale dell’Ordine, Patrizia Trivellato. Diecimila euro al giorno venivano reinvestiti in bar e negozi, mentre centinaia di lavoratori restavano senza contributi previdenziali. Le loro condizioni di lavoro sono lo spaccato del moderno schiavismo camuffato da cooperativismo: permessi per malattia o maternità negate, ferie inesistenti. Un caso isolato? Pare proprio di no. Nella capitale economica del paese, Milano, teoricamente il luogo più evoluto nei rapporti di lavoro, dal primo gennaio al 31 agosto 2010, gli accertamenti hanno svelato 1101 posizioni irregolari: collaboratori a progetto che nella realtà erano soci, lavoratori senza riposo giornaliero o settimanale, “con schede cronografiche infedeli, straordinari contabilizzati come indennità di trasferta, per le quali non è previsto il versamento di contributi”, spiega il direttore provinciale del Lavoro di Milano, Paolo Weber. In otto mesi, gli ispettori della Direzione provinciale del lavoro hanno recuperato ben 426.780 euro di contributi non versati. COOPERATIVE A DELINQUERE La favola dell’assistenza e della mutualità ha fatto il suo tempo. E in questa grande finzione, fa presto a infiltrarsi la criminalità organizzata. A Corigliano Calabro la Finanza ha indagato a maggio 352 persone per truffa all’Inps: una cooperativa agricola che aveva denunciato falsi rapporti di lavoro per 35mila giornate agricole era, in realtà, riconducibile a una cosca della ‘ndrangheta. A Gioia Tauro, invece, la “Cooperativa lavoro”, che gestisce il traffico di migliaia di container, aveva stretto una sorta di joint-venture con le famiglie Piromalli, Alvaro e Molè. E in Campania è la camorra a utilizzare le coop nel settore dei trasporti e dei parcheggi. L’Ortomercato di Milano, che si prepara a garantire una cornucopia di frutta e pesci di ogni tipo sulle tavole degli italiani imbandite per il Natale, è stato per anni il regno dei clan. Nella memoria depositata nel processo concluso a maggio con la condanna dei boss della cosca Morabito-Bruzzaniti, il pm Laura Barbaini ricostruisce il ruolo del prestanome Antonio Paolo che “formalmente assume presso la cooperativa Scai il socio lavoratore Salvatore Morabito, l’uomo conosciuto da tutti come criminalmente potente, e nella sostanza cede al consorzio i suoi contratti di appalto migliori: quale per esempio quello con Dhl Express Italy srl e con Tnt Poste”. Le cooperative – scrive il pm – servono ai clan anche per riciclare denaro sporco “attraverso la falsa fatturazione o l’emissione di assegni circolari intestati a nominativi di lavoratori stranieri dipendenti e incassati da prestanomi”. In questo modo, creano “importanti disponibilità in contanti per l’acquisto di droga”. Anche al boss di Cologno Monzese, Marcello Paparo, le cooperative del suo consorzio di facchinaggio e pulizie per i supermercati Sma ed Esselunga servivano solo per prelevare contanti da investire in affari illegali. E nel capoluogo lombardo c’è l’ombra del riciclaggio anche nell’omicidio di Pasquale Maglione, un avvocato casertano che rappresentava diversi consorzi di origine campana nel rapporto tra colossi della logistica e sindacati. IL DUMPING E LA CONCORRENZA SLEALE Ma anche quando non c’è la mafia, le statistiche dicono che le cooperative sono, una miniera di profitti in nero. Più delle altre società. A Milano, come a Lecco, l’82% di quelle ispezionate risultano irregolari; a Brindisi il 37%; a Cuneo il 65, a Pescara il 40, a Padova il 67,7. In media, il 65% sono irregolari. Anche nel settore dei servizi sanitari e sociali si diffonde l’illegalità: a Siena la Gdf ha scoperto a luglio una coop che per quattro anni aveva lavorato in nero con anziani, minorenni e disabili. Gonfiavano i rimborsi, s’inventavano trasferte inesistenti in giorni improbabili – come il 31 giugno – e in questo modo, secondo la Finanza, “riuscivano a garantirsi, a costi competitivi, la presenza sul mercato degli appalti pubblici”. Con prezzi stracciati, è facile sbaragliare la concorrenza degli onesti. Il ministero del Lavoro, nel 2007, aveva tentato di arginare il fenomeno con un protocollo che considerava i ribassi del 30 per cento “un fattore di distorsione del mercato”. Si decise di dar vita agli “osservatori permanenti”, coordinati dalle direzioni del lavoro. Pochi ispettorati, però, sono riusciti a tener d’occhio le cooperative spurie. Che hanno una vita media di due anni ed espellono i soci che osano prendere sul serio i loro diritti. Com’è successo, ad esempio, ai 16 soci eritrei della cooperativa “Il papavero” di Cerro al Lambro, in provincia di Milano, che lavora per la Gls, che ha tra i suoi committenti le poste inglesi: a febbraio avevano indetto un regolare sciopero, ad agosto si sono ritrovati licenziati. E ora, assistiti dal SiCobas, hanno aperto due vertenze: in una il datore di lavoro è tacciato di comportamento “discriminatorio”. Due settimane fa il tribunale del lavoro di Firenze ha dato loro ragione. Ma, prima della magistratura, chi dovrebbe fare tutte le verifiche? I CONTROLLI FANTASMA La maggior parte delle pseudocoop non fanno parte delle centrali (Legacoop, Confcooperative, eccetera) che prevedono verifiche sugli affiliati. “C’è il potere ispettivo del ministero dello Sviluppo – spiega Stefano Zamagni, economista e presidente dell’agenzia per le Onlus – ma gli ispettori sono pochi, è difficile controllare. Noi possiamo intervenire solo per le cooperative sociali, ma solo inoltrando le denunce alla Guardia di finanza e all’Agenzia delle entrate. Nella maggior parte dei casi si ricorre alle cooperative solo per evadere il fisco e avere agevolazioni. Lo spirito mutualistico di una volta è sparito”. Così finisce che le cooperative anziché unire i lavoratori consentendo loro di emanciparsi, li dividono ulteriormente. In questi giorni nei magazzini Gs-Carrefour di Pieve Emanuele, in provincia di Milano, operai cinesi, egiziani e italiani stanno il dando il meglio di sé. Sono i “soci” che hanno accettato i nuovi ritmi, 160 colli stoccati all’ora, imposti da una nuova coop che sostituiva la precedente. Quelli che hanno detto no, erano stati espulsi. Ora hanno vinto la loro battaglia, e hanno ritrovato il lavoro. FONTE: lavoroediritti.com Il lavoro nero in tempo di crisi: pro e contro L’Ufficio studio della CGIA di Mestre, ha rilevato che nel Sud Italia, il lavoro irregolare o in nero, funziona da vero e proprio ammortizatore sociale per la crisi. Lo dichiara Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA: “Con la presenza del sommerso, la profonda crisi che sta colpendo il Paese ha effetti economici e sociali meno devastanti di quanto non dicano le statistiche ufficiali”. Il segretario continua affermando che “quando queste forme di irregolarità non sono legate ad attività svolte dalle organizzazioni criminali, costituiscono in questi momenti così difficili una protezione per molti lavoratori. Per questo non vanno demonizzate.” Secondo i dati, il numero dei lavoratori irregolari presenti in Italia sono quasi 3 milioni. Circa la metà ( il 44,6%) è ubicata nel Mezzogiorno. Il valore aggiunto prodotto dal lavoro nero è pari a 92,6 mld di €. In Calabria si registra il livello massimo con il 14,9%.; c’è poi la Sicilia con il 12,7%, la Campania con il 12,2%, la Basilicata e la Sardegna con l’11,7%. Chiude la classifica la Lombardia con il 4,9%. I dati son dati e come tali vanno presi; pensavo però, al rovescio della medaglia: il lavoro nero, se aiuta a sbarcare il lunario (e per molti costituisce l’unica fonte di reddito) è comunque un lavoro senza garanzia alcuna e spesso (soprattutto se gestito dalla criminalità organizzata o da persone senza scrupoli), si trasforma in una vera e propria forma di sfruttamento e riduzione in schiavitù. L’ultimo caso di sfruttamento del lavoro nero di cui ho conoscenza è accaduto in Abruzzo dove era stata messa in piedi una vera e propria organizzazione specializzata in “traffico di esseri umani”. Un ragioniere di Teramo, con la complicità di alcuni impiegati di associazioni di categoria e di imprenditori agricoli compiacenti, in tre anni sono riusciti a contrabbandare 1500 immigrati. Attraverso le associazioni di categoria si trovavano imprenditori agricoli disposti ad accogliere manodopera straniera quindi, si creavano documenti falsi per l’ingresso e la permanenza degli extracomunitari che, una volta in Italia venivano costretti a lavorare con un salario di 20 € al giorno da cui, veniva detratto anche vitto e alloggio e, se il lavoratore non era produttivo, venivano detratti anche delle penali. Il risultato? si lavorava per circa 3 euro al giorno! Ora, se quanto appena detto è un caso limite (ma non fatevi ingannare: il cd. caporalato è fenomeno più ampio di quello che pensiamo!), resta il fatto che anche un normale lavoro non preceduto da regolare contratto, rappresenta comunque uno sfruttamento. Non è giusto che un lavoratore pur di guadagnarsi da vivere, debba ubbidire ciecamente al proprio datore e, vivere tutti i giorni sotto ricatto, con la paura che se si osa dissentire, si ritrova immediatamente alla porta. Non è giusto lavorare anni e anni in nero e sapere che quel tempo non ci viene riconosciuto ai fini pensionistici, non è giusto che in uno stato civile e democratico si debba ricorrere al lavoro nero! Tutti abbiamo una nostra dignità che non deve mai essere calpestata neanche e soprattutto per un lavoro a cui, ogni essere umano ha diritto. INDAGINE CONOSCITIVA SUL CAPORALATO E PROPOSTA DI LEGGE DELL' ONOREVOLE TERESA BELLANOVA RECANTE "DISPOSIZIONI PENALI CONTRO IL GRAVE SFRUTTAMENTO DELL'ATTIVITÀ LAVORATIVA E INTERVENTI PER CONTRASTARE LO SFRUTTAMENTO DI LAVORATORI IRREGOLARMENTE PRESENTI SUL TERRITORIO NAZIONALE" L'onorevole Teresa Bellanova, componente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, ha presentato una proposta di legge recante "Disposizioni penali contro il grave sfruttamento dell'attività lavorativa e interventi per contrastare lo sfruttamento di lavoratori irregolarmente presenti sul territorio nazionale", e, in parallelo, la proposta di un'indagine conoscitiva sul fenomeno del caporalato che si propone di acquisire elementi utili per l'informazione sul fenomeno "come parte determinante per la generale definizione dell'impiego di lavoratori migranti in condizioni di sfruttamento del lavoro nero e di mantenimento degli stessi in vere e proprie situazioni di schiavitù, del tutto estranee al nostro stato di diritto". 1. LA PROPOSTA DI LEGGE. «Il fenomeno dello sfruttamento della manodopera straniera utilizzata in determinati settori produttivi ha assunto dimensioni allarmanti: un vero e proprio esercito di lavoratori senza diritti, la cui esatta consistenza numerica sfugge all'esame statistico e di cui recentemente si è occupata la stampa nazionale e locale. Una situazione, per la verità, nota da tempo, e denunciata anche dalle associazioni che si occupano di lavoratori migranti, che in più occasioni hanno documentato la situazione di sfruttamento e drammatico degrado delle condizioni di vita che i lavoratori, in particolare nel settore dell'agricoltura stagionale, sono costretti a subire: sfruttati, sottopagati, spesso anche privati del passaporto come forma di ricatto, i migranti vivono in condizioni disumane, sotto la continua minaccia di essere denunciatied espulsi perché spesso privi del regolare permesso di soggiorno. Una situazione tale da Determinare una condizione di vera e propria schiavitù, se non di diritto, di fatto. «Il fenomeno del caporalato è parte costitutiva ed integrante di questo fenomeno. I "caporali", infatti, svolgono la funzione di intermediazione illegale tra domanda e offerta di lavoro e costituiscono la figura di raccordo tra l'attività di organizzazione dell'ingresso clandestino di lavoratori immigrati e la collocazione degli stessi sul territorio, con particolare riguardo al loro trasporto e sistemazione in alloggi, spesso di fortuna, in condizioni igienico-sanitarie degradate e umilianti. Il tutto gestito direttamente da organizzazioni criminali di tipo mafioso che siattribuiscono il controllo del territorio. «Gli strumenti normativi a disposizione sono, però, estremamente carenti ed inefficaci per intervenire in maniera compiuta nei confronti del fenomeno del caporalato. Da una parte la legge Biagi sanziona l'intermediazione di lavoro non autorizzata e il datore di lavoro che occupa personale in nero, con sanzioni amministrative; dall'altra gli articoli 600, 601 e 602 del codice penale colpiscono il reato di riduzione in schiavitù e tratta. Manca, dunque, nel nostro ordinamento, una fattispecie specifica relativa al fenomeno del caporalato, tale da farla divenire una condotta sanzionata dalla legge.«Al tempo stesso è necessario rompere il clima di paura e omertà cui sono costretti i lavoratori, in maggioranza stranieri migranti, spesso privi del permesso di soggiorno e dunque maggiormente ricattabili. Sfruttati, sottopagati, spesso massacrati di botte alla minima protesta, i lavoratori extracomunitari vivono in condizioni disumane. Si è inteso dunque intervenire su questa specifica questione. «I benefici previsti dall'art. 18 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero la possibilità di rilasciare uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale, sono pertanto estesi anche ai lavoratori stranieri sfruttati ed alle dipendenze di caporali e datori di lavoro senza scrupoli. Già nella scorsa legislatura il Governo era intervenuto con una precisa proposta normativa che, superato l'esame del Senato, aveva concluso l'iter in Commissione alla Camera; la fine anticipata della legislatura non ha, purtroppo, permesso la conclusione dell'iter legislativo. «La presente proposta di legge, che si compone di 5 articoli, riprende, pertanto, l'impianto normativo della precedente presentata dal Governo Prodi, incluse le modifiche apportate nel corso dell'iter parlamentare.«L' articolo 1 introduce una nuova fattispecie di reato inserendo un articolo 603-bis al codice penale dal titolo "Grave sfruttamento del lavoro", all'interno del quale si è inteso elencare in maniera definita la nozione di sfruttamento, che riguarda non solo la violenza e la sistematica violazione degli orari di lavoro, del riposo eccetera, ma anche la sottoposizione del lavoratore a condizioni igienico-sanitarie tali da esporre lo stesso a situazioni di pericolo per la propria salute o incolumità personale. Viene inoltre esplicitamente punita la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti, che costituiscono ormai la condizione in cui nella quale migliaia di lavoratori migranti sono costretti a vivere. «Alla reclusione da due a sei anni, ed alla sanzione pecuniaria, si aggiungono, all'art. 603-ter, le pene accessorie per imprenditori e caporali, che consistono nell'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti. Inoltre la condanna per tali delitti comporta l'esclusione per un periodo di cinque anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, anche dell'Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento. «All'art. 629 del codice penale si aggiunge un 629-bis nel caso in cui l'estorsione sia commessa nell'ambito di un rapporto di lavoro. A tale fattispecie vengono estese le pene accessorie previste dal nuovo art, 603_ter del codice penale, appena introdotte. «L'articolo 2 interviene direttamente sull'art. 22 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in cui viene introdotto un nuovo comma 12-bis, che punisce "il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri irregolarmente soggiornanti usufruendo dell'intermediazione non autorizzata (…) è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa di 7.000 euro per ogni lavoratore impiegato". «L'articolo 3 disciplina l'inserimento del reato di grave sfruttamento del lavoro, così come previsto dalla presente proposta di legge, art. 603-bis, all'art. 25-septies del D.Lgs 231 del 2001 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). La nuova formulazione del comma 3, infatti, da ultimo modificato dal D.Lgs 81 del 2008, in materia di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, prevede, accanto all'articolo 590, terzo comma del codice penale, anche il nuovo art. 603-bis introdotto dalla presente proposta di legge in relazione al caso di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissimi commesse in violazione della norme sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro. «In ultimo, l'articolo 4 prevede la concessione del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, di cui all'art. 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, che è stato esteso anche agli stranieri sottoposti a situazioni di grave sfruttamento come previsto dal nuovo art. 603-bis del codice penale». 2. LA PROPOSTA DI INDAGINE CONOSCITIVA SUL FENOMENO DEL CAPORALATO. L'onorevole Teresa Bellanova ha formulato, in parallelo alla proposta di legge recante "Disposizioni penali contro il grave sfruttamento dell'attività lavorativa e interventi per contrastare lo sfruttamento di lavoratori irregolarmente presenti sul territorio nazionale", la proposta di un'indagine conoscitiva sul fenomeno del caporalato «come parte determinante per la generale definizione dell'impiego di lavoratori migranti in condizioni di sfruttamento del lavoro nero e di mantenimento degli stessi in vere e proprie situazioni di schiavitù, del tutto estranee al nostro stato di diritto». > Alcuni dati. Da un'indagine condotta da un gruppo interministeriale costituito presso il inisterodell'Interno nel corso del 2006 è risultato che gli ambiti economici dove è più diffuso lo sfruttamento del lavoro nero, e dunque più incisivo il ruolo del caporalato, sono diversificati sia a livello di settori produttivi che a livello geografico: per l'agricoltura le regioni interessate sono in prevalenza Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e parte della Basilicata; le aree urbane sono maggiormente coinvolte nel settore dell'edilizia con particolare riguardo al Piemonte,Lombardia, Campania e Lazio. Per le manifatture, il fenomeno è localizzato in Campania, Puglia, Toscana e Lombardia, ed in maniera marginale in Emilia Romagna e Piemonte. Secondo i dati riportati da Unioncamere, il 9,2% del Pil deriva da lavoro degli stranieri, regolari ed irregolari. Da un'indagine condotta dall'associazione "Medici senza frontiere" tra giugno e novembre dello scorso anno, dal titolo "Una stagione all'Inferno – Rapporto sulle condizioni degli immigrati impiegati in agricoltura nelle regioni del sud Italia", il fenomeno del lavoro sommerso nelle produzioni agricole del Mezzogiorno è emerso in tutta la sua drammaticità: "Gli stagionali – si legge nel rapporto citato – lavorano spesso in condizioni di vero e proprio sfruttamento: scarsamente pagati, vessati da intermediari e datori di lavoro, non godono di alcuna tutela sindacale e operano totalmente al di fuori delle norme di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro". Il 64% vive in case abbandonate, il 62% senza servizi igienici e il 92% senza riscaldamento, inoltre, il 39% dei lavoratori dorme nelle strade cittadine, il 27% in case abbandonate, ed il resto arrangiato in tende in campi di fortuna. L'edilizia è un altro grande settore dove maggiore è lo sfruttamento dei lavoratori irregolari e più forte è il ruolo svolto dai cosiddetti caporali. Secondo il rapporto di polizia e carabinieri consegnato al Ministero dell'Interno, su 2.943 imprese controllate nel 2006, ben 2004 avevano violato le norme di assunzione del personale straniero e 45 erano completamente sommerse. Nello stesso Nord-est i lavoratori stranieri clandestini svolgono una funzione insostituibile. La presenza di lavoratori irregolari varia dal 24% a Rovigo al 22% nella provincia di Venezia, 20% a Verona, scendendo al 15 % a Treviso. Secondo il rapporto riservato consegnato al Ministero degli Interni da polizia e carabinieri nell'ottobre 2006 "sono gli imprenditori che si avvalgono dell'intermediazione abusiva, i soggetti principali che avviano questo sistema di illegalità, incentivati sia dai maggiori profitti derivanti dal lavoro nero, e dunque dalla mancata regolarizzazione delle posizioni lavorative, sia dalla celerità e flessibilità con le quali possono essere soddisfatte le richieste di lavoro". Al riguardo, i controlli effettuati dagli Ispettori del lavoro risultano insufficienti sia per la ridotta disponibilità di mezzi e strumenti finanziari, sia per gli strumenti normativi inidonei a sanzionare le menzionate situazioni. > Una Commissione parlamentare. Alla luce di tutti questi elementi, nel corso della passata legislatura il Senato era giunto all'elaborazione di un testo condiviso per l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno del caporalato: una proposta sottoposta all'Aula, purtroppo, poco prima della fine anticipata della legislatura. L'articolo 3 della proposta precisa i termini dell'inchiesta, che potrebbero diventare riferimento per le possibili finalità dell'indagine parlamentare che si vuole proporre: La Commissione svolge le proprie indagini accertando: a) il rispetto delle regole contrattuali e delle leggi relative al collocamento della manodopera agricola e anche della manodopera impiegata in altri comparti produttivi, qualora ciò sia richiesto da specifiche esigenze connesse all'andamento dell'inchiesta, nonché la regolarità dei versamenti fiscali e contributivi, in particolare da parte delle imprese beneficiarie di contributi comunitari, statali e regionali, che impiegano lavoratori sia locali che extracomunitari; b) per i lavoratori extracomunitari, il rispetto della normativa concernente l'ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale nonché, quando si tratti di situazioni di irregolarità, le responsabilità di terzi nell'organizzare e favorire tale ingresso e soggiorno; c) il rispetto delle leggi e dei regolamenti relativi alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, con particolare riferimento alla sicurezza del trasporto di persone, in relazione al fenomeno del caporalato; d) il rispetto dei diritti dei lavoratori con particolare riferimento alle condizioni di lavoro, di abitazione, e di salute, nonché alle condizioni igienico-sanitarie dei lavoratori nelle aree agricole meridionali; e) l'entità e le modalità dell'evasione fiscale e contributiva nelle zone interessate dal fenomeno del caporalato da parte delle imprese del settore agroalimentare che impiegano manodopera tramite l'intermediazione dei caporali; f) le condizioni di lavoro della manodopera femminile, le forme di intimidazione, di violenza, di molestia sessuale operate da parte dei caporali e dei datori di lavoro stessi, nei confronti delle lavoratrici, nonché il fenomeno della prostituzione legato all'assunzione dei lavoratori stessi; g) le forme e le dimensioni del collocamento illegale e del trasporto non autorizzato di manodopera a fini di lucro, con particolare riferimento alla penetrazione della criminalità organizzata anche tramite il controllo del trasporto illegale di manodopera, nonché il livello di contrasto e di prevenzione delle istituzioni locali; h) il funzionamento dei controlli pubblici, nonché la loro efficienza ed efficacia; i) le dimensioni del fenomeno del caporalato e la sua articolazione territoriale. > La proposta di indagine dell'onorevole Bellanova. L'indagine si propone di acquisire elementi utili per l'informazione del fenomeno del caporalato, come parte determinante per la generale definizione dell'impiego di lavoratori migranti in condizioni di sfruttamento del lavoro nero e di mantenimento degli stessi in vere e proprie situazioni di schiavitù, del tutto estranee al nostro stato di diritto. L'indagine conoscitiva ha lo scopo di acquisire direttamente notizie e chiarimenti sul problema del caporalato avvalendosi dell'esperienza e delle conoscenze dei diversi soggetti, sia istituzionali che provenienti dal mondo dell'associazionismo, che in questi anni si sono occupati del fenomeno.