FONTE: sky TG24
Una firma per avere una legge contro i caporali
E’ partita in concomitanza con lo sciopero dei migranti la
raccolta di adesioni all’iniziativa di Cgil, Fillea e Flai per
introdurre nuove norme contro gli intermediari di
manodopera, attualmente puniti solo con 50 euro di
multa
"Vado e prendo un bangladesh": ecco i nuovi schiavi di Roma Io in vendita su un marciapiede di
Roma: LA STORIA
Le categorie degli edili e dell’agroindustria della Cgil, Fillea e Flai,
hanno dato il via martedì 1 marzo
alla raccolta di adesioni a sostegno
di una legge contro il caporalato e
hanno
lanciato
il
sito
www.stopcaporalato.it,
che
contiene la proposta di legge del
sindacato, i materiali della
campagna, l’agenda delle iniziative
sul territorio e il modulo di
adesione. L’avvio di questa
campagna, presentata poco più di
un mese fa al Teatro Ambra
Jovinelli di Roma, assume un
valore
particolarmente
emblematico nel giorno della
mobilitazione
dei
lavoratori
migranti in Italia promossa dal
Comitato “Primo marzo”.
L’appello ha come primi firmatari
il Segretario generale della Cgil
Susanna Camusso e i Segretari
generali di Fillea e Flai Walter
Schiavella e Stefania Crogi. Hanno,
inoltre, già aderito il Procuratore
generale
ordinario
della
Cassazione Pier Luigi Vigna, il
Presidente di Libera e Gruppo
Abele don Luigi Ciotti, il
Presidente della Fnsi Roberto
Natale, la direttrice de L’Unità
Concita De Gregorio e il portavoce
dell’Associazione
Articolo
21
Beppe Giulietti.
“Rivolgiamo un appello alle
istituzioni,
alle
associazioni
professionali di categoria agricole
ed imprenditoriali del settore
dell’edilizia, al
mondo del
volontariato
e
dell’associazionismo, della cultura,
dello spettacolo, dello sport e alle
comunità straniere presenti in
Italia, ai giovani e agli studenti,
alla società civile tutta –
affermano i Segretari generali di
Fillea e Flai Walter Schiavella e
Stefania Crogi – affinché si
uniscano a noi per chiedere a gran
voce che si approvi al più presto
una legge che riconosca il
caporalato un reato in quanto tale
e che si prevedano pene e sanzioni
adeguate alla gravità sociale ed
economica in questo crimine,
attualmente punito con una
misera sanzione amministrativa”.
“Sono anni – continuano i due
Segretari – che denunciamo
l’espandersi di questo fenomeno
nei settori dell’edilizia e dell’agroindustria, dove centinaia di
migliaia di lavoratori, italiani e
migranti, sono sottoposti al ricatto
ed allo sfruttamento da parte dei
caporali
al
soldo
delle
organizzazioni criminali”.
Per Fillea e Flai sono più di mezzo
milione i lavoratori sotto ricatto,
privati di qualunque diritto,
sfruttati e spesso ridotti in
schiavitù. In gran parte sono
migranti ma la crisi sta riportando
nei mercati delle braccia anche i
lavoratori italiani, dove una
giornata di lavoro ormai si aggira
intorno ai 25/30 euro. “La crisi
economica sta rendendo questa
zona oscura di irregolarità e
sfruttamento, di assenza di diritti
e di profitti criminali sempre più
vasta
ed
incontrollabile
–
denunciano i sindacalisti - e
possiamo dire con certezza che il
fenomeno del caporalato, fino a
qualche anno fa endemico solo in
alcune zone del Mezzogiorno, oggi
è una realtà radicata e strutturata
su tutto il territorio nazionale”.
Mai più “caporalato”
Presentata a Roma la campagna “Stopcaporalato”, iniziativa di legge di FILLEA, FLAI e CGIL.
Nell’immaginario collettivo delle regioni “un po’ più a
nord”, la figura del “Caporale” ha un alone
romanzesco, talvolta quasi cinematografico, come se
si trattasse di una figura appartenente più
all’universo del folklore che alla crudezza di una
realtà fatta di lavoro nei campi in condizioni
praticamente di “schiavitù”, di lavoro nero, in una
realtà buia, fatta di persone (40.000 nelle campagne
pugliesi, 10.000 integrati e il resto donne) sfruttate e
private dei propri diritti di lavoratori ed esseri umani.
Non folklore, ma orrore.
L’età di questi ‘nuovi schiavi’ va dai 16 ai 34 anni, e si
tratta spesso di immigrati provenienti dall’Africa subsahariana ma anche dai Paesi dell’Europa dell’Est.
L’obiettivo di Stopcaporalato, una campagna
intensiva e rivolta a tutto il Paese, non solo al
Meridione, dove il fenomeno è entrato a far parte
della quotidianità, è proprio quello di combattere e
sconfiggere ogni tipo di intermediazione illecita di
manodopera – perché, alla fine, il “Caporale” è un
intermediario, un mercenario assoldato dalle
aziende agricole ed incaricato di cercare tra i
disperati, tra quelli che, pur di avere un minimo di
che vivere, sono disposti a ‘vendersi’ a buon prezzo e
lavorare in condizioni disumane, al pari di bestie,
anzi, spesso in condizioni che, come si dice
“nemmeno le bestie”.
Ma non un mercenario qualsiasi, un mercenario
potente, capace di lasciarti a piedi, senza lavoro e
quindi senza “stipendio” e quindi senza cibo (e
alloggio) se provi a dire la tua. Quando va bene,
quando non ricorre alla violenza, alle minacce.
Esiste una sanzione, per il reato di ‘caporalato’.
Ammonta a 50 euro. Leggendo questa cifra, vengono
in mente le considerazioni più ciniche ed amare su
quanto ci si riempa spesso la bocca di diritti umani e
rispetto del prossimo, quando, nella realtà dei fatti,
tutto viene ricondotto a cifre ridicole.
Una delle prime proposte del progetto
STOPCAPORALATO, è proprio quella di far inserire
(finalmente) il reato di caporalato nel codice penale,
affinché chi riduce in schiavitù e sfrutta un altro
essere umano venga perseguito penalmente
(ricordiamoci sempre che per cancellare la schiavitù
si sono fatte guerre civili di un certo peso, in passato.
E’ impossibile reprimere il cinismo dinnanzi a certe
patetiche e grottesche contraddizioni dei nostri
civilissimi ed avanzatissimi tempi).
A sostegno di questa vera e propria proposta di
legge, è stato presentato un video, realizzato dagli
Uffici di Comunicazione della FLAI e FILLEA e dal
portale della CGIL, sulla condizione dei lavoratori e
delle lavoratrici dell’agricoltura (ma anche
dell’edilizia, dove il fenomeno è ugualmente e
malauguratamente presente) con l’illustrazione della
proposta di legge con gli avvocati.
L’importanza di un’iniziativa del genere (corredata da
una tavola rotonda condotta da Paolo Serventi
Longhi, direttore di Rassegna Sindacale e dalla
presenza dell’attore Giorgio Pasotti, impegnato in un
dialogo-verità con un lavoratore edile ed uno
agricolo, vittime entrambi del caporalato), pone
proprio l’accento sull’incredibile gravità del
fenomeno e soprattutto della maniera in cui questo
fenomeno, riconosciuto, dibattuto e sempre
condannato, sia stato trattato finora a livello
strettamente giuridico.
Un’iniziativa che fa riflettere davvero non solo sulla
situazione in cui versano tanti, troppi lavoratori di
determinati settori, ridotti in condizioni inumane, ma
anche sul problema dell’approccio con aspetti solo
apparentemente
“minori”
della
criminalità
organizzata.
Un modo per aprire gli occhi sulle varie sfaccettature
di un unico, grande problema da arginare in modo
efficace una volta per tutte.
Il fenomeno del “caporalato” è particolarmente
presente nei settori dell’edilizia e dell’agroindustria,
dove un numero sempre maggiore di operai e
braccianti, italiani e migranti, sono sottoposti al
ricatto ed allo sfruttamento da parte di caporali,
spesso al soldo di organizzazioni criminali.
Su questa diffusa realtà talvolta si sono accesi i
riflettori dei mass media, imponendo all’attenzione
di tutti la triste realtà del lavoro nero e delle
condizioni disumane in cui sono costretti migliaia di
lavoratori. Avvenne un anno fa con la rivolta di
Rosarno, avviene talvolta in occasione di una
tragedia in cantiere. Ma purtroppo, passato il
clamore tutto rimane come prima ed i lavoratori
continuano ad essere soggiogati al ricatto di questi
criminali pur di poter continuare a lavorare
onestamente.
Le nostre stime prudenziali indicano in 550mila il
numero complessivo dei lavoratori nelle mani dei
caporali ed il oltre 800mila i lavoratori a nero.
Occorre intervenire. Ed occorre fare presto, perché
la crisi economica sta rendendo questa zona oscura
di irregolarità e sfruttamento, di assenza di diritti e
di profitti criminali, sempre più vasta ed
incontrollabile. Possiamo dire con certezza che il
fenomeno del caporalato, fino a qualche anno fa
endemico solo in alcune zone del Mezzogiorno, oggi
è una realtà radicata e strutturata su tutto il
territorio nazionale.
Occorre intervenire. A partire dalla definizione
giuridica di questo reato, non ancora definito nella
sua pericolosità sociale: esso viene infatti punito con
una sanzione amministrativa di 50 euro per ogni
lavoratore reclutato, e solo in presenza di
aggravanti, quali violenza, riduzione in schiavitù,
sfruttamento di minori scattano l’arresto e le
adguate sanzioni penali. E’ ciò che avvenne nella
imponente operazione dell’aprile scorso a Rosarno,
quando per la prima volta dai Tg vedemmo
finalmente i caporali tradotti in Questura con le
manette ai polsi, esattamente come qualunque altro
criminale colto in flagranza di reato.
Occorre intervenire. Tutti, ciascuno per quello che
può, affinchè venga superato questo ingiusto vuoto
legislativo. Per tutto questo, proprio dalle categorie
degli edili e dell’agroindustria della Cgil è partita in
questi giorni la campagna STOPCAPORALATO, con
l’obiettivo di porre all’attenzione di tutti la necessità
che si intervenga subito per contrastare questo
processo pericolosissimo che rischia di cambiare i
connotati del mercato del lavoro e di segnare
irrimediabilmente il futuro di quella parte sana del
nostro sistema produttivo, alle prese con due
nemici, la crisi e la concorrenza sleale dell’impresa
irregolare ed illegale.
Per questo, rivolgiamo un appello a tutte le donne
e gli uomini di buon senso, a tutto il mondo del
volontariato e dell’associazionismo, al mondo della
cultura, dell’informazione, dello spettacolo, dello
sport, agli imprenditori e alle loro associazioni, ai
giovani ed agli studenti, alla società civile tutta,
affinchè facciano propria la nostra richiesta:
CHIEDIAMO AL PARLAMENTO DI:
1) RICONOSCERE IL CAPORALATO UN REATO IN
QUANTO TALE
2) PREVEDERE PENE E SANZIONI ADEGUATE
ALLA GRAVITA’ SOCIALE ED ECONOMICA DI
QUESTO CRIMINE
3) INTRODURRE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA
PER I LAVORATORI MIGRANTI NON IN REGOLA
COL PERMESSO DI SOGGIORNO CHE VOGLIONO
DENUNCIARE I PROPRI SFRUTTATORI.
FONTE: abruzzo24ore
Il Fucino tormentato da caporalato e camorra
L'allarme del caporalato nella Marsica, più esattamente nel Fucino, l'aveva lanciato il sindacalista della Cgil
Luigi Fiammata "e' in atto una guerra vera, tra poveri. Tra migranti regolari che non vengono fatti lavorare e
migranti clandestini che devono subire il ricatto, tra lavoratori italiani disoccupati e imprese senza scrupoli che
se ne fregano della qualità e della sicurezza sul lavoro."
Una situazione di estrema gravità cui si collega un altro fenomeno gravissimo, ovvero il controllo, ad un
livello ancora più strutturato, della camorra ed i suoi uomini sul mercato dell'ortofrutta fino al Fucino e ad
Avezzano.
Il maxi blitz denominato "Operazione Sud Pontino" ha portato aordinanze di custodia cautelare in carcere e al
sequestro di beni mobili, immobili e conti correnti bancari per un valore di 90 milioni di euro. L'operazione ha
riguardato la Campania, ma anche altre regioni quali il Lazio e la Sicilia e si è avvalsa di intercettazioni, riprese
video, pedinamenti e rivelazioni di pentiti.
Tra gli arrestati Paolo Schiavone, 27 anni, cugino del boss casalese, Francesco Schiavone detto Sandokan.
E' Costantino Pagano l' imprenditore del settore dei trasporti, titolare de 'La paganese', che ha assicurato la
gestione del settore ai Casalesi, e secondo quanto emerge dalle sue intercettazioni la camorra ed i suoi
uomini controllerebbero il mercato dell'ortofrutta fino al Fucino e ad Avezzano.
C' è quindi il fondato sospetto che persino sul mercato ortofrutticolo marsicano e della piana del fucino , la
malavita possa prendere decisioni sul prezzo dei prodotti.
Intanto, sulla questione caporalato, a sostegno del segretario Fiammata c'è anche il Vescovo dei Marsi Pietro
Santoro. "E' importante reagire allo sfruttamento dell'immigrazione e garantire condizioni abitative degne
della persona. Ho quindi il dovere di chiedere alla politica, senza distinzioni, soluzioni più rispettose di ogni
uomo."
L'augurio del Vescovo dei Marsi è che all'immigrazione faccia seguito l'integrazione degli immigrati, segregati
in campi di lavoro, per evitare l'abisso che c'è tra chi vive una vita "normale" in centro città e chi, a pochi passi
di distanza, vive il dramma dello sfruttamento.
FONTE: abruzzo24ore
Cronaca 23/04/2010
Scovati altri dormitori di clandestini:
arresti e rimpatri
Nuova
operazione
contro
l'immigrazione
clandestina
nella
Marsica.
Stavolta gli agenti della squadra
anticrimine nel corso di controlli del
territorio hanno scovato un gruppo di
stranieri di origine marocchina che
abitava in un appartamento fatiscente
nella zona di piazza Matteotti ad
Avezzano.
Sette giovani senza permesso di
soggiorno dimoravano in precarie
condizioni
igienico-sanitarie,
dormivano tutti insieme nella stessa
stanza; uno di loro è stato trovato
anche in possesso di droga, e per
questo arrestato insieme ad altri –
accusati di aver violato la legge Bossi-
FONTE:
terremarsicane.it
Caporalato nel Fucino:in atto una
vera guerra tra poveri
Celano, Borgo strada 11, il
caporale
di
nazionalità
marocchina, procura lavoro, per
Fini – mentre per tutti gli altri è scattato il rimpatrio.
L'appartamento nel quale si trovavano nei pressi della stazione è
stato sequestrato insieme a un garage nel Fucino, a Borgo via
Nuova.
Indagini sono in corso per accertare eventuali episodi di
caporalato dietro l’arrivo in massa di immigrati proprio in questi
giorni, in vista della alta richiesta della manodopera per i lavori
agricoli.
Nell'ambito della stessa operazione altri due marocchini
clandestini, sempre in condizioni di vita pessime, sono stati scovati
nella notte in un garage in mezzo al Fucino.
Ma casi del genere non sono nuovi alle cronache avezzanesi. Mesi
fa fu scoperto un dormitorio per clandestini nel pieno centro della
città, nei pressi di alcune residenze di lusso, dove ancora oggi
dimorano una ventina di immigrati. Più recente l'analogo episodio
nei pressi della stazione.
Mentre l’amministrazione comunale prova a metterci riparo con
un progetto finalizzato a promuovere e sostenere la crescita
umana e sociale di soggetti svantaggiati, ma anche all’inclusione
sociale di cittadini stranieri al fine di favorire una migliore e piena
integrazione della persona nel contesto sociale ed economico
cittadino.
fare i solchi nei campi, a 3 euro
l'ora, un euro l'ora e' la sua
percentuale per permettere a
qualcuno di sfamarsi, forse. Ma
lavorano solo i clandestini, non i
regolari. Perche' loro sono piu'
semplici da ricattare".
A parlare e' il segretario della FlaiCgil Luigi Fiammata che spiega:
"questo e' quanto accade nel
Fucino, con la complicita' dei
padroni italiani che sfruttano le
persone grazie ad una ignobile
legislazione italiana, che prevede il
permesso di soggiorno se hai il
lavoro, ma ti permette di avere un
lavoro solo se hai il permesso di
soggiorno. Il lavoro agricolo e' un
lavoro normalmente temporaneo,
e si diventa clandestini subito,
anche se si e' in Italia
regolarmente. E' cosi'- si chiede il
sindacalista - che le imprese
agricole pensano di competere
sul mercato? E' cosi' che le
imprese agricole che rispettano i
Contratti e le Leggi accettano di
essere battute nella competizione
sul mercato da Imprese truffaldine
? E' cosi' che gli organi di
controllo, dall'ispettorato del
Lavoro alle Forze di Polizia,
possono accettare che si creino
nel nostro territorio situazioni di
degrado e di bestiale sfruttamento
potenzialmente esplosive?"
Per
Fiammata
"occorre
intervenire subito. Perche' e' in
atto una guerra vera, tra poveri.
Tra migranti regolari che non
vengono fatti lavorare e migranti
clandestini che devono subire il
ricatto, tra Lavoratori italiani
disoccupati e imprese senza
scrupoli che se ne fregano della
qualita' e della sicurezza sul
lavoro.
Le Organizzazioni Sindacali FAIFLAI-UILA e tutte le Associazioni
imprenditoriali e agricole della
provincia hanno sottoscritto l'8
febbraio
scorso
un
primo
Protocollo d'Intesa per lo Sviluppo
del Settore Agroalimentare della
Provincia di L'Aquila, ma da allora,
nonostante le richieste, mai la
regione Abruzzo ha ritenuto di
dover convocare le Parti per
discutere i contenuti di quella
Intesa,
e
costruire
quegli
strumenti che sono necessari al
contrasto del lavoro irregolare e
alla crescita del Settore in
Provincia. Abbiamo segnalato alla
Direzione Provinciale del Lavoro la
necessita' di svolgere una efficace
azione di contrasto e di controllo
del Territorio, andando a indagare
le cosiddette 'cooperative senza
terra' che violando le leggi fanno
intermediazione abusiva di lavoro,
e anche il fenomeno odioso del
'caporalato etnico', che rischia di
sfuggire di mano e di creare
pesanti infiltrazioni malavitose nel
tessuto sociale del Fucino in
particolare. Dovrebbe essere
grande qui la responsabilita'
sociale delle imprese nel non
cercare scorciatoie, ma purtroppo
nonostante gli impegni assunti
dalle Associazioni Agricole, troppo
spesso accade il contrario.
Occorre una azione immediata,
ora - conclude Fiammata - di tutti
gli attori sociali e istituzionali,
prima che la Provincia dell'Aquila
finisca sulle cronache nazionali
per episodi di barbarie che altri
territori del nostro Paese hanno
gia' vissuto".(AGI)
FONTE: Il Tempo
Economia sommersa Scoperti oltre cento lavoratori irregolari
I finanzieri danno scacco matto al caporalato nelle campagne
PESCARA L'agricoltura rappresenta ancora oggi uno
dei settori in cui più è radicata la malapianta del
lavoro nero.
Lo attestano i risultati di un'operazione della Guardia
di Finanza che, nel quadro dell'azione di contrasto
all'economia sommersa e al lavoro irregolare, ha
svolto in questi giorni uno specifico intervento "a
massa" su tutto il territorio abruzzese denominato
"Illegal work 2" L'attività, coordinata dal comando
regionale Abruzzo ed eseguita dalle Fiamme Gialle
dei Comandi provinciali di L'Aquila, Chieti, Pescara e
Teramo e dal Reparto Operativo Aeronavale di
Pescara, ha visto impiegate 68 pattuglie e 160 militari
che hanno effettuato 300 interventi soprattutto nei
settori dell'agricoltura, della ristorazione, dell'edilizia,
del tessile e del turistico alberghiero. Nel corso dei
controlli i militari hanno individuato 102 lavoratori
impiegati in maniera irregolare di cui 28
completamente "in nero" e sono state scoperte
numerose violazioni di carattere fiscale. Durante
l'attività ispettiva sono stati individuati anche
extracomunitari privi del permesso di soggiorno. E' il
caso di un laboratorio gestito da cinesi nel Comune di
Alba Adriatica, in cui due cittadini extracomunitari del
Sud Est asiatico risultavano privi di qualsiasi
documento attestante la loro permanenza nel
territorio italiano. Gli stessi hanno tentato di dare
false generalità ma i militari hanno provveduto a
notificare
l'ordine
di
espulsione
emesso
contestualmente dal Questore di Teramo. Il titolare
dell'azienda e la proprietaria dell'immobile sede
dell'opificio sono stati denunciati per violazione alla
normativa
sull'immigrazione
clandestina.
L'operazione è l'ultima in ordine di tempo eseguita
dalle Fiamme Gialle abruzzesi nello specifico settore
e si colloca in un più vasto piano d'interventi
finalizzati non solo al contrasto dell'evasione e del
lavoro sommerso ma anche ad assicurare una giusta
tutela agli operatori corretti che risultano
svantaggiati da chi, evadendo le imposte e gli
obblighi previdenziali, opera una concorrenza sleale.
Dall'inizio dell'anno la Guardia di Finanza ha
scoperto, in Abruzzo, 550 lavoratori irregolari, di cui
375 completamente in nero.
FONTE: pagineabruzzo.it
25 rumeni vittime dell''ex caporalato a Fara e Guardiagrele
CHIETI – L'ex caporalato in
Abruzzo non esiste? Purtroppo c'è.
A scoprirlo sono stati i Carabinieri
della stazione di Casacanditella
che hanno effettuato dei controlli
nei comuni di Chieti, Guardiagrele
e Fara Filiorum Petri.
Nei giorni scorsi i militrari avevano
avuto
diverse
segnalazione
dell’arrivo di cittadini rumeni nei
territori di Guardiagrele, di Fara
F.P. e di Pennapiedimonte. É stato
facile capire che l’arrivo di queste
persone era coinciso con “la
raccolta dell’uva” e che gli stessi
fornivano manodopera agricola. La
mattina dello scorso 14 ottobre la
“sopresa”
i
militari
della
Compagnia di Chieti e dagli uomini
della Direzione Provinciale del
Lavoro di Chieti, hanno accertato che i rumeni facevano capo a d.a.f.
27enne di Pennapiedimonte, il quale, la mattina presto, dopo aver
prelevato i cittadini rumeni dalle loro abitazioni li accompagnava
presso le varie aziende agricole della zona. É stato subito accertata
l’attività di mediazione illegale di manodopera in agricoltura messa in
atto dal prevenuto. Il d.a.f. e’ ritenuto responsabile del reato di
“esercizio abusivo della attività di intermediazione di manodopera,
ovvero attività illegale di mediazione tra domanda ed offerta di
lavoro” e rischia la pena dell’arresto fino a sei mesi e dell’ammenda
da euro 1500,00 a euro 7500,00. nel corso del medesimo servizio
venivano sottoposti a sequestro due autofurgoni di proprietà della
ditta del d.a.f. e venivano identificati nr. 25 cittadini di nazionalità
rumena tutti forniti di regolari documenti di riconoscimento.
Inoltre sono stati segnalati alla locale Procura della Repubblica quali
utilizzatori che ricorrono alla somministrazione illegale di prestatori di
lavoro i titolari delle tre aziende agricole, dove alcuni dei soggetti
rumeni erano stati accompagnati. I titolari di queste aziende rischiano
la pena dell’ammenda di euro 50 per ogni lavoratore occupato e per
ogni giornata di occupazione.
FONTE: il Quotidiano.it
Lotta al lavoro nero, al caporalato, allo sfruttamento di manodopera clandestina.
Teramo | Operazione sinergica di Questura di Teramo, Guardia di Finanza, Direzione
Provinciale del Lavoro, Asl, Polizia Municipale di Alba Adriatica e Reparto Prevenzione Crimine
Abruzzo di Pescara.
di Nicola Facciolini
Brillante successo delle forze dell'ordine abruzzesi nella lotta al lavoro nero, al caporalato ed allo sfruttamento
di manodopera clandestina in provincia di Teramo. Frutti copiosi giungono, dunque, dal lavoro sinergico dei
controlli straordinari interforze posti in essere dalle Istituzioni di pubblica sicurezza per il contrasto all'impiego
di manodopera clandestina sulla costa teramana.
Grazie alla continua attività di vigilanza e prevenzione della Questura di Teramo, unitamente a: Reparto
Prevenzione Crimine Abruzzo di Pescara,Guardia di Finanza, Direzione Provinciale del Lavoro, Asl e Polizia
Municipale di Alba Adriatica (Te). Nel corso di specifici controlli effettuati la scorsa notte, sono stati identificati
38 cittadini cinesi, 19 dei quali accompagnati all'Ufficio Immigrazione della Questura di Teramo per
accertamenti mirati disposti in ambito provinciale per la repressione dell'immigrazione clandestina e del
lavoro nero negli opifici. Sono stati effettuati controlli ad aziende ed abitazioni in Alba Adriatica dove le
attività info-investigative avevano già evidenziato la presenza di impiego di manodopera straniera irregolare e
di cittadini di nazionalità cinese irregolari sul territorio nazionale.
In particolare le forze di polizia, durante il primo controllo che ha riguardato due ditte situate nel medesimo
stabile, gestite da due imprenditori di nazionalità cinese, hanno identificato 11 cittadini cinesi dediti a svolgere
la propria attività lavorativa nel laboratorio, di cui 4 sprovvisti di permesso di soggiorno. I titolari delle ditte,
H.T., quarantenne e H.L.D. trentanovenne, sono stati deferiti all'autorità giudiziaria aprutina per i reati,
secondo l'accusa, di impiego di manodopera clandestina e favoreggiamento della permanenza sul territorio di
cittadini stranieri irregolari.
All'interno dello stesso stabile dell'opificio, le forze di polizia avrebbero riscontrato la presenza di locali adibiti
ad alloggi per gli operai della stesse ditte ove sono stati identificati 9 cittadini di nazionalità cinese e un
clandestino.
Il secondo controllo effettuato sempre ad Alba Adriatica ha consentito di riscontrare la presenza di 18 operai
di nazionalità cinese intenti a lavorare su macchinari per la produzione di jeans, 12 dei quali risultati sprovvisti
di permesso di soggiorno.
Il titolare, assente al momento del controllo ed in corso di identificazione, sarà probabilmente segnalato
all'autorità giudiziaria per i reati di impiego di manodopera clandestina e favoreggiamento della permanenza
sul territorio di cittadini stranieri irregolari. L'intera attività si è conclusa con l'arresto di 3 cittadini cinesi
inottemperanti ad ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale e 13 deferiti all'autorità giudiziaria per
la violazione della normativa sugli stranieri e a carico dei quali sono stati emessi relativi decreti di espulsione.
La Direzione Provinciale del Lavoro avrebbe disposto la sospensione delle attività degli opifici controllati.
Una lotta che va estesa al caporalato. Nell'ordinamento italiano è prevista la possibilità anche per i clandestini
di avviare vertenze per il recupero del salario dovuto.
Per combattere lo sfruttamento della manodopera clandestina, infatti, bisogna anche tutelare il lavoratore
che con coraggio esce allo scoperto e intraprende la strada che il nostro ordinamento prevede per avviare
vertenze per il recupero del salario dovuto.
In questo modo è possibile sradicare il problema del caporalato alla radice, interrompendo il flusso "illegale"
dall'estero di manodopera clandestina che altrimenti continuerà a drogare l'economia occulta ed a produrre
sempre le stesse nefaste conseguenze. Di fronte alla serietà della questione ad attivarsi dovrebbero essere sul
territorio i partiti politici, le istituzioni, i sindacati e a chiunque abbia a cuore il tema.
Magari applicando, ove occorra, l'art 18 del T.U. sull'immigrazione (permesso di soggiorno per motivi di
protezione sociale) visto le gravi condizioni di sfruttamento di questi lavoratori irregolari. La lotta al lavoro
nero e al caporalato, la si vince solo se istituzioni e governo si assumono la responsabilità di una
regolarizzazione responsabile che possa far emergere dall'invisibilità centinaia di migliaia di vite costrette
ad essere sottomesse alle logiche di sfruttamento e di esclusione.
A tutto vantaggio della nostra economia nazionale che dall'emersione del "nero" avrebbe molto da
guadagnare anche in termini di immagine internazionale
FONTE: il Centro
Caporalato e lavoro nero Istat: fenomeno in crescita
PESCARA. Stop a caporalato e
lavoro nero in agricoltura. E' il
senso di una proposta di legge, a
firma
del
consigliere
di
Rifondazione, Maurizio Acerbo, il
cui iter è avviato in commissione
con l'apertura di una fase di
approfondimento sulle misure
di contrasto a un fenomeno in
drammatico e preoccupante
aumento
nelle
campagne
d'Abruzzo. Il confronto con vari
soggetti associativi, tra cui le
associazioni datoriali agricole,
ha però escluso fino a oggi i
sindacati dei lavoratori. Per FaiFlai-Uila, è opportuno che la
Regione si doti di strumenti di
contrasto al lavoro nero e al
caporalato, come peraltro già altre
Regioni hanno fatto. Chiedono di
essere
ascoltate
dalla
commisssione che sta esaminando
la legge regionale, per poter
presentare le proprie riflessioni,
con l'obiettivo di poter disporre, a
beneficio di tutti gli abruzzesi, di
uno strumento legislativo agile,
che non gravi le imprese di
ulteriore burocrazia, e che ponga
un argine allo sfruttamento
vergognoso delle persone, che
anche in Abruzzo segna troppo
spesso il lavoro in agricoltura».
Fai-Flai-Uila riterrebbero assai
grave se la commissione regionale,
ascoltate le associazioni datoriali,
non consentisse al sindacato di
interloquire con il consiglio
regionale su un tema così delicato
e importante: «L'Abruzzo non è
fatto solo di imprese, ma anche, e
soprattutto, di lavoratori». Il
fenomeno del lavoro nero e del
caporalato in agricoltura è in
crescita. A certificarlo è l'Istat, che
rileva un tasso di lavoro irregolare
in agricoltura che in otto anni è
passato dal 20,9% del 2001 al
24,5% del 2009. L'aumento
coinvolge anche l'Abruzzo. Lo
confermano
gli
interventi
repressivi operati dalle forze
dell'ordine negli ultimi mesi e
nell'area del Fucino, dove il
fenomeno assume rilevanti forme
di sfruttamento del lavoro dei
migranti,
in
particolare
clandestini. «Stupisce», affermano
i sindacati dei lavoratori agricoli,
«il pubblico rifiuto di una legge
regionale di contrasto, dichiarato
dalle associazioni datoriali, che
dovrebbero, per prime, essere
interessate a tutelare gli associati
onesti che subiscono una pesante
concorrenza sleale da parte di chi,
al contrario, sfrutta il lavoro,
evade i contributi e mette troppo
spesso a rischio la salute delle
persone, anche in tema di
sicurezza alimentare».
FONTE: il Centro
"Caporalato, una vergogna" Il monito del vescovo di Marsica
"E’ importante reagire allo sfruttamento dell’immigrazione e garantire condizioni abitative
degne della persona"
di Andrea Mori
AVEZZANO. «E’ importante reagire allo sfruttamento
dell’immigrazione e garantire condizioni abitative
degne della persona. Perché anche il Vangelo
racconta: “ero forestiero e mi avete ospitato”». Il
vescovo dei Marsi, monsignor Pietro Santoro,
conferma la vocazione che lo vuole vicino ai problemi
sociali più attuali e lancia un appello ai politici, «senza
alcuna distinzione», affinché «trovino soluzioni più
rispettose di ogni uomo».
Sono gli ultimi fatti di cronaca legati all’immigrazione
nella Marsica a indurre il vescovo a prendere
posizione contro lo sfruttamento nei campi della
Marsica e a spingere i politici a fare altrettanto. La
scoperta da parte dei carabinieri di lavoratori
extracomunitari clandestini sfruttati per pochi euro
nei campi del Fucino e la denuncia sul Centro dei
sindacati sull’esistenza del fenomeno del caporalato
per cui uno stesso extracomunitario prende, sotto
ricatto e con la complicità di imprenditori locali, una
percentuale
dal
lavoratore
in
cambio
dell’occupazione, è una piaga che va in direzione
opposta alla dottrina cristiana. Monsignor Santoro,
oltre a ricordare il versetto del vangelista Matteo,
prende spunto dall’avvicinamento della Pentecoste,
la discesa dello Spirito santo (Atti degli apostoli 2,113) per rilanciare un’azione multietnica e multilingue
«dove ognuno riesce a comunicare con l’a ltro perché
lo comprende».
«Non si tratta
di una presenza
strumentale o
di
una
traduzione
simultanea»,
sottolinea, «ma
di una presa di
possesso
da
parte di Dio nei confronti dell’uomo. Infatti “furono
colmati di Spirito Santo”. Vorrei», è l’auspicio
cristiano di monsignor Santoro, «che lo Spirito di
Pentecoste accompagnasse questi nostri giorni
difficili».
Come ha fatto in precedenza per altri importanti temi
sociali, come ad esempio l’usura, già da quando era
parroco a San Salvo e vicario episcopale per il Vastese
dell’arciodiocesi Chieti-Vasto, il l’alto prelato trae
dalle parole del Vangelo e del papa Benedetto XVI
nella “Caritas in veritate”, la strada parallela
universale: «Credenti e non credenti possono
mettersi al servizio dell’uomo in un incontro fecondo
tra etica laica ed etica cristiana recuperando il
desiderio profondo d’infinito, superando il gelo delle
statistiche, valorizzando la debolezza della profezia e
la responsabilità delle scelte».
Era stato il segretario Flai Cgil Luigi Fiammata a
denunciare la rete di caporalato nella Marsica «grazie
a una ignobile legislazione» che vincola il lavoro al
permesso di soggiorno e viceversa. Essendo quello
agricolo un lavoro stagionale, ecco che i lavoratori a
fine contratto diventano clandestini, anche se
arrivano in Italia regolarmente. Di qui il nuovo
messaggio che monsignor Santoro affida alla politica:
dover scegliere e in fretta. «Come Pastore di questa
amata terra dei Marsi», antepone, «ho il dovere di
chiedere alla politica, senza distinzioni, soluzioni più
rispettose di ogni uomo. E’ doverosa una disciplina
dei flussi immigratori e delle delicate questioni legate
alla presenza di persone appartenenti a culture
diverse». Nel Santoro-pensiero c’è tuttavia un’ampia
apertura verso l’i ntegrazione. «Credo», conclude,
«sia possibile nel quotidiano vivere la ricchezza del
progetto di Dio per tutti i suoi figli che abitano la
nostra Marsica». Un augurio che vuole essere più di
una speranza.
FONTE: abruzzo24ore
Cronaca - Caporalato nel Fucino: in atto una vera guerra tra poveri
Celano, Borgo strada 11, il caporale di nazionalità marocchina, procura lavoro, per fare i solchi nei campi, a 3
euro l'ora, un euro l'ora e' la sua percentuale per permettere a qualcuno di sfamarsi, forse. Ma lavorano solo i
clandestini, non i regolari. Perche' loro sono piu' semplici da ricattare".
A parlare e' il segretario della Flai-Cgil Luigi
Fiammata che spiega: "questo e' quanto accade nel
Fucino, con la complicita' dei padroni italiani che
sfruttano le persone grazie ad una ignobile
legislazione italiana, che prevede il permesso di
soggiorno se hai il lavoro, ma ti permette di avere un
lavoro solo se hai il permesso di soggiorno. Il lavoro
agricolo e' un lavoro normalmente temporaneo, e si
diventa clandestini subito, anche se si e' in Italia
regolarmente. E' cosi'- si chiede il sindacalista - che le
imprese agricole pensano di competere sul
mercato? E' cosi' che le imprese agricole che
rispettano i Contratti e le Leggi accettano di essere
battute nella competizione sul mercato da Imprese
truffaldine ? E' cosi' che gli organi di controllo,
dall'ispettorato del Lavoro alle Forze di Polizia,
possono accettare che si creino nel nostro territorio
situazioni di degrado e di bestiale sfruttamento
potenzialmente esplosive?"
Per Fiammata "occorre intervenire subito. Perche' e'
in atto una guerra vera, tra poveri. Tra migranti
regolari che non vengono fatti lavorare e migranti
clandestini che devono subire il ricatto, tra Lavoratori
italiani disoccupati e imprese senza scrupoli che se ne
fregano della qualita' e della sicurezza sul lavoro. Le
Organizzazioni Sindacali FAI-FLAI-UILA e tutte le
Associazioni imprenditoriali e agricole della
provincia hanno sottoscritto l'8 febbraio scorso un
primo Protocollo d'Intesa per lo Sviluppo del Settore
Agroalimentare della Provincia di L'Aquila, ma da
allora, nonostante le richieste, mai la regione
Abruzzo ha ritenuto di dover convocare le Parti per
discutere i contenuti di quella Intesa, e costruire
quegli strumenti che sono necessari al contrasto del
lavoro irregolare e alla crescita del Settore in
Provincia. Abbiamo segnalato alla Direzione
Provinciale del Lavoro la necessita' di svolgere una
efficace azione di contrasto e di controllo del
Territorio, andando a indagare le cosiddette
'cooperative senza terra' che violando le leggi fanno
intermediazione abusiva di lavoro, e anche il
fenomeno odioso del 'caporalato etnico', che rischia
di sfuggire di mano e di creare pesanti infiltrazioni
malavitose nel tessuto sociale del Fucino in
particolare. Dovrebbe essere grande qui la
responsabilita' sociale delle imprese nel non cercare
scorciatoie, ma purtroppo nonostante gli impegni
assunti dalle Associazioni Agricole, troppo spesso
accade il contrario. Occorre una azione immediata,
ora - conclude Fiammata - di tutti gli attori sociali e
istituzionali, prima che la Provincia dell'Aquila finisca
sulle cronache nazionali per episodi di barbarie che
altri territori del nostro Paese hanno gia'
vissuto".(AGI)
FONTE: il capoluogo.com
Agricoltura: lavoro nero in Abruzzo
Con un comunicato il Fai-Cisl, Flai-Cgil e il Uila-Uil intervengono
sulla situazione del lavoro nero in agricoltura in Abruzzo. I Sindacati
sostengono che in materia la regione non ascolta il loro punto di
vista. “Il Consigliere Regionale Maurizio Acerbo ha presentato una
proposta di Legge Regionale, relativa all’istituzione di misure di
contrasto nei confronti del Lavoro Nero e del Caporalato in
Agricoltura”
“Tale proposta di Legge – continua
il comunicato – è attualmente
all’esame
della
competente
Commissione Regionale, che ha
ritenuto opportuno incontrare,
per approfondire i temi della
Proposta di Legge, vari soggetti
associativi, tra cui le Associazioni
Datoriali del Settore agricolo. Ma
la Commissione Regionale non ha
ritenuto opportuno sino ad ora
confrontarsi con le Organizzazioni
Sindacali del Settore Agricolo. Il
fenomeno del Lavoro Nero e del
Caporalato in Agricoltura è un
fenomeno in drammatico e
preoccupante aumento, come
recentemente
certificato
dall’ISTAT, che ha rilevato, nel
Paese, il tasso di lavoro irregolare
in Agricoltura, passato da una
percentuale del 20,9% nel 2001,
ad una percentuale pari al 24,5%
nel 2009. Tale aumento coinvolge
evidentemente anche la nostra
Regione, come testimoniato da
una serie di interventi repressivi
delle Forze dell’Ordine negli ultimi
mesi e in quest’ultimo periodo in
particolare. L’area del Fucino, in
provincia de L’Aquila, sembra
essere in questo senso tra le aree
dove il fenomeno appare più
marcato, contenendo in sé anche
rilevanti forme di sfruttamento del
lavoro dei Migranti, in particolare
clandestini.”
“Stupisce quindi il pubblico rifiuto
di una Legge Regionale di
contrasto – concludono i sindacati
nel comunicato – dichiarato dalle
Associazioni Datoriali Agricole, che
dovrebbero, per prime, essere
interessate a tutelare i loro
Associati onesti, che subiscono
una pesante concorrenza sleale da
parte di chi, invece, sfrutta il
lavoro, evade i contributi, e mette
troppo spesso a rischio la salute
delle persone, anche in tema di
Sicurezza Alimentare. Chi usa
Lavoro Nero, mette a rischio
anche la salute dei Consumatori.
Per FAI-FLAI-UILA è opportuno che
la Regione si doti di suoi strumenti
di contrasto al Lavoro Nero e al
Caporalato in Agricoltura, come
peraltro già altre Regioni hanno
fatto.Per questo FAI-FLAI-UILA
Abruzzo chiedono di essere
ascoltate
dalla
Commissione
Regionale che sta esaminando la
Legge Regionale, per poter
presentare le proprie riflessioni in
materia, con l’obiettivo di poter
disporre per tutti gli Abruzzesi di
uno strumento legislativo agile,
che non gravi le Imprese di
ulteriore burocrazia, ma che sia
capace di contribuire a porre un
argine
allo
sfruttamento
vergognoso delle persone, che
anche in Abruzzo segna troppo
spesso il lavoro in Agricoltura. FAIFLAI-UILA riterrebbero assai grave
se la Commissione, dopo aver
ascoltato le Associazioni Datoriali
non
consentisse
anche
al
Sindacato di interloquire con il
Consiglio Regionale su un tema
così delicato e importante.
L’Abruzzo non è fatto solo di
Imprese, ma anche, e soprattutto,
di Lavoratori.”
FONTE: piazzarossetti.it
Caporalato nelle campagne del chietino. Operazione all'alba: 25 cittadini rumeni impegnati
nei lavori della vendemmia. Tutti in nero
Caporalato nelle campagne del chietino. Operazione all'alba: 25 cittadini rumeni impegnati nei lavori della
vendemmia. Tutti in nero
Denunciati dai carabinieri un imprenditore e i titolari di tre aziende agricole
- Le campagne del chietino come le campagne del
Mezzogiorno. Anche la provincia scopre di dover fare
i i conti con il fenomeno del caporalato e con l'utilizzo
di operai clandestini, senza permesso di soggiorno.
Insomma direttamente in casa nostra una storia di
sfruttamento ai danni di 25 cittadini rumeni. La
scoperta è stata fatta nei giorni scorsi dai carabinieri
della compagnia di Chieti ai quali erano giunte
numerose segnalazioni per la massiccia e improvvisa
presenza di cittadini stranieri nei territori di
Guardiagrele, Fara Filiorum Petri e Pennapiedimonte.
Presenza per altro in coincidenza con il lavoro nei
campi per la raccolta dell'uva. Immediatamente sono
partite le indagini da parte dei militari della
compagnia di Chieti e dai funzionari della Direzione
provinciale del lavoro che hanno accertato che i
rumeni facevano capo a un uomo di 27 anni, F.D'A.,
originario di Pennapiedimonte, imprenditore, titolare
di un'azienda agricola. Sono scattati gli appostamenti
nella zona ed è stato scoperto che l'uomo, la mattina
presto, dopo aver prelevato i cittadini rumeni dalle
loro abitazioni, li accompagnava con un furgone
presso le varie aziende agricole della zona. Una vera
e propria attività di mediazione illegale di
manodopera in agricoltura, e cioè il cosiddetto
caporalato punibile con la pena dell'arresto fino a sei
mesi e dell'ammenda fino a 7.500 euro per "esercizio
abusivo della attività di intermediazione di
manodopera, ovvero attività illegale di mediazione
tra domanda ed offerta di lavoro". L'uomo è stato
denunciato e con lui anche i titolari di tre aziende
agricole di Fara Filiorum Petri, Guardiagrele e
Pennapiedimonte presso i quali venivano impiegati i
25 rumeni e che non avevano regolarizzato i
lavoratori stranieri. Insomma al lavoro per la
vendemmia senza contratto e dunque in nero. Non
solo: da quanto è stato scoperto, i 25 venivano pagati
non dai titolari delle tre aziende presso le quali
lavoravano ma direttamente dall'uomo di
Pennapiedimonte che a sua volta veniva pagato dai
tre imprenditori agricoli. Questi ultimi rischiano ora la
pena dell'ammenda di euro 50 per ogni lavoratore
occupato e per ogni giornata di occupazione. Ma le
indagini sono solo all'inizio. Si indaga su F.D'A. non si
esclude che avesse anche organizzato tutta
l'operazione andando di persona a prendersi in
Romania i lavoratori. E in questo caso contro l'uomo
le accuse potrebbero diventare ancora più pesanti.
FONTE: abruzzoweb.it
LAVORO NERO. CONSIGLIERE ACERBO, ''REGIONE NON ASCOLTA SINDACATI''
L’AQUILA - Il fenomeno del Lavoro Nero e del Caporalato in Agricoltura è un fenomeno in drammatico e
preoccupante aumento, come recentemente certificato dall’Istat, che ha rilevato, nel Paese, il tasso di lavoro
irregolare in Agricoltura, passato da una percentuale del 20,9 per cento nel 2001, ad una percentuale pari al
24,5 per cento nel 2009.
“Tale aumento coinvolge evidentemente anche la nostra Regione, come testimoniato da una serie di
interventi repressivi delle Forze dell’Ordine negli ultimi mesi e in quest’ultimo periodo in particolare. L’area
del Fucino, in provincia de L’Aquila, sembra essere in questo senso tra le aree dove il fenomeno appare più
marcato, contenendo in sé anche rilevanti forme di sfruttamento del lavoro dei Migranti, in particolare
clandestini”.
A parlare è il consigliere regionale, Maurizio Acerbo, che ha presentato una proposta di legge relativa
all’istituzione di misure di contrasto nei confronti del lavoro nero e del caporalato in agricoltura.
Per Fai - Flai - Uila “è opportuno che la Regione si doti di suoi strumenti di contrasto al Lavoro Nero e al
Caporalato in Agricoltura, come peraltro già altre Regioni hanno fatto. Per questo chiadiamo di essere
ascoltate dalla Commissione Regionale che sta esaminando la Legge Regionale, per poter presentare le nostre
riflessioni in materia, con l’obiettivo di poter disporre per tutti gli Abruzzesi di uno strumento legislativo agile,
che non gravi le Imprese di ulteriore burocrazia”.
FONTE: la Repubblica
NAPOLI – Sfida al caporalato: scioperano gli immigrati. Sfida al caporalato
scioperano gli immigrati.
Sedici rotonde stradali tra Napoli e Caserta sono state pacificamente
occupate dai lavoratori alla giornata: “Vogliamo almeno 50 euro”.
Significativo il presidio di Baia Verde a Castel Volturno, dove due anni fa
dopo un concerto morì Miriam Makeba. Domani un corteo contro il
razzismo e lo sfruttamento
IMMIGRATI e caporali. Gli uni di
fronte agli altri. Alla pari. Oggi si è
svolto il primo sciopero in Italia
dei lavoratori alla giornata. Da
Baia Verde ad Afragola passando
per Villa Literno, Casal di Principe,
Giugliano, Qualiano, Pianura e
Scampia. Hanno pacificamente
occupato sedici ‘rotonde’ tra
Caserta e Napoli. Negli stessi
incroci stradali dove ogni giorno
vengono “ingaggiati”, stamattina
all’alba, migliaia di migranti hanno
incrociato le braccia e alzato un
cartello: “Noi non lavoriamo per
meno di 50 euro al giorno”. In
strada c’erano tutti: i lavoratori
delle campagne, dell’edilizia, del
terziario,
del
mondo
dell’artigianato.
Regolari
e
irregolari.
“E’ stata una bella manifestazione
– dice soddisfatto Alfonso De Vito,
della rete antirazzista – perché
queste persone oggi hanno
rinunciato ad un guadagno, ma
innanzitutto perché hanno avuto il
coraggio di scendere in piazza,
metterci la faccia e sfidare i
caporali”.
Particolarmente
significativo il presidio di Baia
Verde, proprio nella piazzetta
dove due anni fa al termine di un
concerto per le vittime di Castel
Volturno, morì Miriam Makeba,
mamma Africa, e che, in particolar
modo, i ragazzi del Ghana e della
Nigeria hanno voluto ricordare
con
particolare
affetto.
“E’ stato solo un primo
appuntamento – spiega ancora De
Vito – perché l’impegno per far
terminare questa spirale di
sfruttamento è molto lungo”
“L’obiettivo di questa giornata di
sciopero
è
contrastare
lo
sfruttamento del lavoro nero –
spiegano gli organizzatori – con il
recepimento
della
direttiva
europea
52,
applicare
ed
estendere l’articolo 18 del testo
unico anche a chi denuncia di
essere
stato
costretto
all’irregolarità del lavoro, ma
anche e soprattutto mettere in
campo un percorso permanente di
emersione dalla clandestinità”.
E domani secondo appuntamento,
con un corteo contro il razzismo,
lo sfruttamento e le camorre a
Castel Volturno per il permesso di
soggiorno e i diritti di cittadinanza.
E in questo caso i numeri ci sono:
sfileranno oltre 2000 immigrati,
oltre a studenti, lavoratori italiani,
associazioni. Appuntamento alle
10,30 alla stazione di Caserta e
arrivo sotto la prefettura. La
mobilitazione proseguirà a Roma il
14 e del 15 ottobre, con un
presidio davanti al ministero
dell’Interno.
FONTE: il manifesto
Sempre più schiavi dei caporali Cgil:
«Una legge lo renda reato»
di Antonio Sciotto 08 ottobre 2010
LAVORO La proposta di Flai (agricoli) e Fillea (edili).
Gli sfruttati sono almeno 550 mila
ROMA. Realtà come
quelle di Rosarno, l'anno scorso, hanno reso evidente a tutti come in
Italia lo schiavismo non sia stato abolito: sono almeno 550 mila le
persone che nel nostro paese vivono e lavorano «sotto caporale»,
buona parte di loro in
condizioni
assolutamente
degradate dal punto di vista
abitativo, e sotto continuo
ricatto da parte di «imprenditori» senza scrupoli, in realtà veri e propri
criminali. I calcoli li ha fatti la Cgil - con le sue due categorie più colpite,
gli agricoli della Flai e gli edili della Fillea - che ieri ha tenuto a Roma
l'importante iniziativa «Stop-caporalato», per chiedere una legge: non
esistono infatti nei nostri codici, sembrerà incredibile, norme che
definiscano il caporalato un reato, e come tale lo puniscano.
Ma quel che è peggio è che il governo Berlusconi, con il suo combinato
di leggi contro il lavoro e l'assoluto congelamento dei controlli sul
territorio, insieme con l'introduzione del reato di clandestinità, ha reso
praticamente impossibile per i lavoratori sfruttati - spessissimo
immigrati senza permesso di soggiorno - la denuncia: chi infatti
presentasse esposto contro i propri sfruttatori, nel contempo si
autodenuncerebbe come clandestino e sarebbe immediatamente
espulso. Quello che purtroppo il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi e
l'attuale maggioranza del Pdl/Lega non vorranno mai fare sarebbe
invece l'uovo di Colombo per l'emersione del sommerso, strada
qualche anno fa tentata dal governo Prodi: bisognerebbe premiare chi
denuncia il proprio datore di lavoro nero, e all'immigrato irregolare
che lo fa bisognerebbe dare immediatamente un permesso. Ci
guadagnerebbero anche il fisco e l'Inps.
Ecco dunque il cuore della proposta di legge presentata ieri dai
segretari generali Stefania Crogi (Flai) e Walter Schiavella (Fillea), con
la partecipazione della segretaria generale Cgil Susanna Camusso:
«Chiunque svolga un'attività organizzata al fine della intermediazione
di forza lavoro, sfruttando la disponibilità altrui, causata dallo stato di
bisogno o di necessità in cui costui versa, a compiere una prestazione
lavorativa in assenza di piena e totale tutela di legge - dice il testo - è
punito alla reclusione da 5 a 8 anni. Costituiscono aggravante specifica
e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà la minore
età dei lavoratori intermediati e l'aver commesso il fatto esponendo i
soggetti intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle
caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di
lavoro. Il ministero del Lavoro, di concerto con i centri per l'impiego,
promuove l'istituzione di corsi di lingua italiana per i lavoratori
stranieri e sostiene iniziative e campagne informative aventi a oggetto
le tematiche trattate nella proposta di legge».
«La proposta Cgil - spiegano Crogi e Schiavella - chiede di inserire nel
nostro ordinamento il reato di caporalato, oggi punito in caso di
flagranza con una sanzione amministrativa di appena 50 euro per ogni
lavoratore ingaggiato. Nei blitz effettuati l'anno scorso dalla Finanza a
Rosarno, scattarono le manette per altri reati, come la riduzione in
schiavitù. Non va bene: bisogna invece scrivere chiaro nei nostri Codici
che fare intermediazione di manodopera illegalmente è un reato e
come tale va contrastato, accertato, punito». «È tratta delle persone,
perciò reato», rincara Camusso.
Secondo i sindacati sono
almeno 400 mila i lavoratori
sotto caporale nelle campagne
italiane, e almeno 150 mila
quelli nei cantieri. La Flai ha
fornito una serie di mappe
regionali dove si dà conto
dell'attività e delle zone di
maggiore concentrazione e
sfruttamento: tutto il Sud è
definito «ad alta intensità», ma
preoccupano i «nuovi fronti» di
Abruzzo, Emilia Romagna,
Toscana, Veneto e persino del
civilissimo
Trentino.
A
«intensità media» Lazio e
Lombardia: in particolare a
Mantova si segnala una nutrita
comunità di indiani che in
estate raccoglie i meloni.
La Fillea ha pubblicato invece
l'interessante mappa degli
«smorzi», ovvero i luoghi di
raccolta dei caporali a Roma:
sono ben 40, e gli edili Cgil ci
informano che all'alba avviene
la prima «infornata», con i
lavoratori destinati alle imprese
e ai cantieri, mentre dopo le 9
passano
a
chiedere
manodopera in nero semplici
cittadini,
per
qualche
«lavoretto» in casa o in
giardino. Le tariffe: se prima
della crisi si andava sui 50 euro
per una giornata (cifra già
bassa) oggi si naviga sui 20.
Rumeni, albanesi, ma sorprendentemente, ma poi
neppure tanto - tra i nuovi
«schiavi» compaiono ormai
anche gli italiani.
FONTE: Adnkronos
CANTIERI/40 PUNTI DI RACCOLTA
La mappa degli «smorzi» il tour di Roma in nero
A Roma lo «smorzo» è l'ingrosso dove gli artigiani e le imprese vanno ad acquistare il materiale da costruzioni.
Nel tempo, gli edili in cerca di lavoro hanno iniziato a ritrovarsi nei pressi dello «smorzo», dove è più facile
trovare un lavoro a giornata. Fino a pochi anni fa, gli «smorzi» a Roma si contavano sulle dita di una mano ed
era molto raro che intorno a questi luoghi si muovessero gli interessi dei caporali. Oggi se ne contano almeno
40 sparsi in tutta la città. Una giornata vale 20 euro. La mappa è della Fillea Cgil.
Noi donne “dannate” nei campi. E vittime di caporali
Raccolgono gli agrumi o i pomodori: 14 ore al giorno per
30 euro. Sono italiane e madri di famiglia schiavizzate
dagli intermediari di manodopera. “Umiliarsi e sottostare:
è questo il nostro lavoro. Altrimenti i figli non mangiano”
25 gennaio, 2011
“Ho imparato a piegare la testa. A non alzare mai gli
occhi più su della pianta che mi trovo di fronte.
Nessuna domanda, nessun pensiero. Le mani devono
essere veloci e non c’è tempo per riflettere. Umiliarsi
e sottostare. E’ questo il mio lavoro. Altrimenti la mia
famiglia non mangia”.
Nunzia (il nome è di fantasia, ndr) ha 37 anni e vive in
un piccolo paese in provincia di Taranto. Ogni giorno,
da più di 20 anni, va a lavorare nei campi. La raccolta
dei pomodori, così come quella delle arance o dei
meloni, non è infatti solo un “terreno per immigrati”
ma anche per tante donne italiane, nonostante si
tratti un lavoro fisicamente estremamente faticoso.
Incontro Nunzia e suo marito, che lavora come
precario in una ditta privata di trasporti, al Teatro
Ambra Jovinelli di Roma in occasione della
presentazione della proposta di legge di Cgil, Fillea e
Flai per far sì che il caporalato diventi un reato
perseguibile penalmente.
“Non dovrei essere qui. Ora mi sono un po’ segnata.
Perché di quello che accade nei campi non si deve
parlare. Il rischio è che non lavoro più” dice.
Nunzia non è sola. Con lei ci sono una ventina di
colleghe che hanno deciso di parlare e chiedere
aiuto. C’è un gruppetto di Grottaglie, nel tarantino.
Solo lì le donne “schiavizzate” nei campi sono 4 mila.
In Italia, dati Cgil, su più di un milione di lavoratori
impegnati nel settore agricolo le donne
rappresentano il 40%. Molte di loro sono nelle mani
di caporali.
“Oggi se vuoi lavorare devi rivolgerti a un
intermediario di manodopera” spiega Maria,
sessant’anni di cui 35 passati nei campi.
La paga? 25-30 euro per una giornata. Ma si può
arrivare a 17-18 euro. Dipende dalla percentuale che
si prende il caporale. E più braccia ha, più guadagna.
“Per questo – racconta Maria – i caporali sono molto
gentili. Cercano di accattivarsi le loro vittime
andandole a prendere direttamente a casa in
automobile”. Per rendere più semplice e diretto il
rapporto “datore di lavoro-dipendente” il caporale è
spesso affiancato da una donna.
“Di solito è la sua compagna. Viene con noi nei campi
e, mentre lavoriamo, ci sta con il fiato sul collo. Ci
dice di sbrigarci, ci accompagna in bagno”.
Bagno che altro non è che un posto tra i campi un po’
appartato. “Non possiamo far pipì più di una volta al
giorno. Per questo non ci è concesso bere acqua”
continua Maria.
Le ore di lavoro variano in base alle stagioni: l’estate,
grazie alla luce del sole, si può arrivare a 14 ore.
L’inverno, invece, difficilmente si superano le 8-9 ore
lavorative.
A queste deve aggiungersi il tempo degli
spostamenti. Un tempo, ovviamente, non retribuito.
“A volte per raggiungere i terreni ci vogliono anche
due ore di automobile”. E guai a chiedere sconti. “La
vigilia di Pasqua volevamo uscire dopo 8 ore di lavoro
per poter cucinare – ricorda Maria – Il nostro
caporale è salito su un tavolo e ha iniziato ad urlare
dicendoci che noi non avevamo diritto di avanzare
pretese. Dovevamo solo eseguire i suoi ordini. Noi
siamo solo numeri. Non possiamo dire niente,
altrimenti domani non lavoriamo più”.
Ma, se interpellate, rispondono a comando: “Se ci
facciamo male siamo costrette a dire che è accaduto
a casa, se arriva un controllo dobbiamo sempre
raccontare che usiamo i guanti, che non lavoriamo
più di 8 ore”. Nunzia, invece, non ha un caporale ma
una “fattora”. “E’ una lavoratrice come noi che si
occupa di procurarci il lavoro. Tiene i contatti tra noi
e le aziende, ci viene a prendere la mattina e ci porta
nei campi. Ma non prende la percentuale”.
Capelli biondi e ricci, un filo di matita che segna il
contorno degli occhi, Nunzia non nasconde la sua
paura di parlare. Né la sua sofferenza. E più volte la
voce si rompe e si interrompe. E in quei momenti
stringe a sé il piumino marrone che indossa.
“Mi sveglio ogni mattina alle 3:30. In questi giorni
stiamo raccogliendo le arance, a febbraio marzo sarà
la volta della legatura dei vigneti. Ad aprile, quando la
vite inizierà a germogliare, dovremo togliere tutto e
lasciare solo la parte buona. A giugno sarà il
momento dei pomodori...”.
E così, ogni anno, il ciclo si ripete. Non i conti. “C’è chi
se ne approfitta e a fine giornata non ti paga. O chi ti
versa meno contributi di quelli che dovrebbe. Così,
ogni volta che telefono all’Inps per sapere in un anno
quante giornate mi hanno pagato è sempre una
sorpresa. In negativo, ovviamente” racconta Nunzia.
Non solo. “Se decidi di rivendicare qualcosa, spesso
scopri che l’azienda per cui hai lavorato non esiste
più. Perché nascono e muoiono srl alla velocità della
luce” racconta Nunzia. Per questo ogni sera “rientro a
casa e non mi sento né carne né pesce. Mi sento solo
una dannata”.
FONTE: INAIL
Storie di caporalato: 30 euro (e un panino) per un giorno in cantiere
23 novembre 2009. E' questo il compenso offerto ai lavoratori stranieri per
dieci ore sulle impalcature. Iniziativa dell'INAIL contro lo sfruttamento in
collaborazione con Provincia e Asl: oggi venti immigrati sono stati "reclutati"
a Roma per partecipare a una lezione (pagata) in materia di sicurezza e
legalità
ROMA - Trenta euro. Più un
panino. E' questo il "lauto"
compenso offerto agli immigrati
della Capitale per dieci ore sulle
impalcature di un cantiere. I
lavoratori che, questa mattina,
hanno partecipato alla "lezione di
sicurezza"
promossa
dalla
Provincia di Roma e INAIL, si sono
sentiti ripetere la stessa offerta
più volte prima di abbandonare il
depositi di materiali edili di Tor di
Quinto. Addirittura una delle
contrattazione è avvenuta proprio
mentre i partecipanti al corso
stavano per salire sul pullman che
li avrebbe condotti alla sede
dell'INAIL. Una macchina con due
romeni a bordo si è fermata,
infatti,. vicino a loro. "E' un
cantiere qui vicino, servono cinque
persone per 10 ore", ha detto
l'autista . "La paga è di trenta
euro, però ci sono anche i panini".
Solo uno dei 20 reclutati si è
lasciato convincere ed è salito a
bordo. Gli altri hanno declinato
l'offerta.
"Oggi ci danno 50 euro per
partecipare a questa lezione e non
ci è convenuto accettare il lavoro",
hanno spiegato alcuni di loro,
nella maggior parte romeni e
moldavi. "Anche se, forse,
abbiamo perso un ingaggio più
duraturo. In altre situazioni
avremmo accettato: alla fine loro
sono i caporali e noi i nuovi
schiavi. Non abbiamo alternative".
"Le persone che vengono a
prenderci la mattina spesso sono
intermediari italiani o stranieri",
ha raccontato Adrianu. "Quando ci
pagano, ci danno 30-40 euro alla
giornata e loro ne prendono 80.
Qui funziona così".
Oggi, invece, per una volta tanto, il
trattamento è stato diverso.
L'iniziativa - realizzata anche in
collaborazione con con l'Asl Roma
E e il Comitato paritetico
territoriale - ha permesso ai
partecipanti di essere almeno per
un giorno sottratti alle angherie
del caporalato e di ricevere un
bagaglio di conoscenze in materia
di sicurezza e legalità che, forse,
permetterà loro di affrontare con
più consapevolezza e coscienze le
sfide del futuro. Alcuni sindacalisti
romeni - insieme al delegato alla
Sicurezza sui luoghi di lavoro del
della Provincia, Fabio Nobile hanno reclutato gli immigrati alle
sette di questa mattina su viale di
Tor di Quinto, dove sostavano in
attesa di un "lavoro alla giornata".
Condotti nella vicina sede
dell'INAIL, sono stati accolti da
diversi operatori dell'Asl che
hanno tenuto loro una lezione di
"prevenzione", distribuendo un
opuscolo tradotto in cinque lingue
e gli strumenti basilari per un
lavoro sicuro nei cantieri: scarpe
antinfortunistiche, caschetto e
fratino catarifrangente.
"La maggior parte di queste
persone ogni giorno viene
sfruttato con stipendi da fame e
spesso lavorano in condizioni di
assoluta insicurezza", ha detto
Nobile. "Questo progetto, che è
già stato sperimentato a Guidonia
e che si ripeterà anche nelle
prossime settimane a Roma, vuole
aiutarli
concretamente
ad
autosalvaguardarsi e a renderli
consapevoli dei loro diritti"
FONTE: Adnkronos/Labitalia
Roma, 24 gen. - E' alta l'intensita' del caporalato in alcune regioni italiane, nel settore dell'agricoltura. E'
quanto emerge dalla mappa del caporalato resa nota oggi in occasione della presentazione della proposta di
legge per fronteggiare il fenomeno, lanciata dalle categorie dell'edilizia e dell'agroindustria della Cgil, la Fillea
e la Flai.
In Sicilia, i fenomeni di caporalato sono presenti in tutta la regione. Si segnala, in particolare, la provincia di
Siracusa e i comuni di Cassibile, dove in primavera avviene la raccolta delle patate, di Pachino e di Avola. Nel
ragusano, invece, intermediazione di manodopera e lavoro nero sono molto diffusi nelle aziende ortofrutticole del distretto di Vittoria.
Alta intensita' anche in Calabria, dove i fenomeni di caporalato sono presenti in tutta la regione.
Particolarmente interessata e' la Piana di Gioia Tauro, dove si trova Rosarno e dove da ottobre a febbraio si
tiene la raccolta degli agrumi (mandarini prima e arance poi). Rispetto a un anno fa, quando vi fu la rivolta dei
braccianti africani, la presenza di lavoratori extracomunitari e' di circa 800 persone, alloggiate in tutta la Piana
presso casolari abbandonati, case in affitto e perfino nelle stazioni ferroviarie.
In Puglia, i fenomeni del caporalato sono presenti in tutta la regione. Il fronte piu' caldo e' quello della
Capitanata, dove tra luglio e agosto si svolge la raccolta del pomodoro. Si segnalano, pero', anche le province
di Brindisi, Lecce, Bari e Taranto, dove per tutto l'anno vengono regolarmente occupati a nero e sotto
caporalato lavoratori sia italiani che stranieri.
In Basilicata, si segnala la provincia di Potenza e, in particolare, la zona Palazzo San Gervasio, dove a fine
agosto (con un leggero ritardo rispetto alla Capitanata) si svolge la raccolta del pomodoro. In Campania, ci
sono fenomeni presenti soprattutto nelle province di Caserta e di Salerno. Nel casertano, si segnala una forte
presenza di caporali a Villa Literno e Castel Volturno.
Nel salernitano, e' interessata da questi fenomeni tutta la Piana del Sele, uno dei piu' grandi bacini agricoli del
paese. Qui c'era il 'ghetto' di San Nicola Varco, una struttura abbandonata dove avevano trovato alloggio circa
800 braccianti agricoli di orginine maghrebina. L'anno scorso la struttura e' stata sgomberata ma i lavoratori
sono rimasti tutti, o quasi, in zona e alloggiano in casolari abbandonati o in piccoli appartamenti in affitto.
Nel Lazio, e' media l'intensita' del caporalato. Si segnala la provincia di Latina, importante polo agricolo e
luogo dove hanno sede molte aziende floricole. La manodopera in nero e sotto caporali e' per lo piu' indiana.
In Abruzzo, si segnala il bacino del Fucino, in provincia de L'Aquila, dove avvengono le raccolte di prodotti
ortofrutticoli e dove vengono occupati soprattutto lavoratori del Maghreb o neo-comunitari provenienti da
Polonia e Romania.
In Emilia Romagna, si segnalano le province di Modena e Cesena. Nel modenese, caporali operano nel settore
della macellazione, dove i lavoratori extracomunitari vengono assunti a nero e attraverso intermediazione da
finte cooperative di facchinaggio. Nel cesenate, sono in progressivo aumento lavoratori nelle medesime
condizioni nelle aziende ortofrutticole. In Toscana, invece, si segnala qualche piccolo fenomeno in provincia di
Siena, legato al distretto del vino.
In Veneto, c'e' la presenza del caporalato in provincia di Padova. In Trentino Alto Adige, si segnala la raccolta
delle mele nella provincia trentina. In questo caso, e' un fenomeno nuovo, per ora marginale ma comunque in
espansione. In Lombardia, si segnala la provincia di Mantova, in occasione della raccolta estiva dei meloni. E'
presente una forte comunita' indiana.
FONTE: italianspot
Il permesso di soggiorno a pagamento, caporalato, lavoro in nero e imprenditori che
sfruttano i lavoratori
La bravissima giornalista e scrittrice Silvia Ballestra,
qualche giorno fa in un articolo sull’Unità, ha definito
la proposta della Lega di far pagare il permesso di
soggiorno agli immigrati, come “il pizzo per rimanere
in Italia”. Gli immigrati servono a questo Paese come
l’aria per respirare a tutti gli esseri umani. Senza
immigrati l’economia di gran parte dell’Italia si
fermerebbe, senza gli immigrati gli imprenditori non
potrebbero
fare
profitti.
Su
quest’ultima
affermazione voglio ribadire che per anni,
numerosissimi “padroni”, soprattutto nel sud Italia,
hanno fatto le loro fortune attraverso lo
sfruttamento degli immigrati clandestini. La piaga del
caporalato, ad esempio, in Puglia ha permesso che la
tratta di lavoratori nel giro di un decennio, spostasse
la sua attenzione quasi esclusivamente sugli
immigrati senza permesso di soggiorno, quindi
ricattabili. Numerose inchieste della magistratura
stanno cercando di appurare il giro di affari di milioni
di euro che intorno a questa vera e propria tratta di
FONTE:
benedettalombo.com
MACERATA – Duecentomila euro
di evasione fiscale, 50 episodi di
collocamento di ragazze in night
club, 18 locali notturni coinvolti,
sei persone denunciate e altre 15
implicate per cui è prevista a
breve una denuncia a loro carico e
infine quattro province coinvolte:
Macerata (Civitanova, Recanati,
San Severino), Ancona (Osimo),
Ascoli (Massignano) e Pescara
(Montesilvano).
Sono questi i numeri dell’indagine
di polizia giudiziaria denominata
“Caporalato al Night Club” che ha
consentito di scoprire 50 casi di
intermediazione compiuta da una
ventina di persone e diretta al
collocamento
di
avvenenti
ragazze in numerosi night club del
territorio come “figuranti di sala”,
schiavi, regge l’economia di molte aree del Paese,
da nord a sud.L’uso strumentale del contrasto
all’immigrazione clandestina che la Lega e altre forze
politiche di maggioranza fanno, ha come obiettivo
quello di cercare di arginare il consenso elettorale
che a poco a poco sta svanendo nel Paese,
soprattutto alla luce della deludente azione di
Governo che finora non ha portato a risultati
concreti. In particolare per la Lega, la battaglia sul
federalismo fiscale che non riesce a vedere l’alba e la
sconfitta sul Malpensa, portano malumore nel
proprio elettorato. Quindi alzano la voce per far
sentire che ci sono. Nonostante il ministro Maroni si
affanni nel dire che questi provvedimenti ci sono
dappertutto in Europa, è bene precisare che a fronte
di una tassa c’è sempre in contropartita, un servizio
che viene corrisposto. Attualmente per rinnovare il
permesso di soggiorno occorre quasi un anno e
mezzo, tra notevoli peripezie e disagi per gli
immigrati che di fatto
ovvero intrattenitrici di clienti. I particolari dell’azione, compiuta per
la prima volta in provincia in questo settore, sono stati illustrati ieri
mattina dal questore vicario, Piernicola Silvis, e dal primo dirigente,
Marcello Gasparini, che ha guidato l’operazione.
“Il fenomeno del caporalato – ha spiegato Silvis – è emerso da diversi
mesi anche in questa provincia, dove l’alta concentrazione di night club
ha comportato l’arrivo di clienti da tutta la regione e anche dal vicino
Abruzzo”. Un numero elevatissimo di locali notturni (18) presenti sul
territorio maceratese che in proporzione al numero di abitanti “pone
la provincia tra i primi posti in Italia”, ha precisato Gasparini. Così,
l’elevata concentrazione unita alla conseguente concorrenza che si è
generata tra gli stessi locali notturni, hanno costituito un terreno
fertile per chi ha visto nel reclutamento delle giovani ragazze un vero e
proprio business. “Le venti persone coinvolte sono per lo più clienti ed
ex clienti dei night – ha aggiunto Gasparini – che si sono improvvisati
impresari delle ragazze reclutate sia per conoscenza diretta e indiretta,
sia tramite appositi siti Internet in cui erano proposti guadagni fino a
7.000 euro”. Le assunzioni venivano effettuate dai gestori dei night
con regolare contratto, mentre i “caporali” prendevano per ogni
giorno lavorativo delle dipendenti dai 10 ai 25 euro, tutti
rigorosamente in nero, per un totale di evasione fiscale pari a
200.000 euro. “Tra i denunciati – ha proseguito Gasparini – ci sono
anche cinque persone che avevano costituito un’apposita ditta di
servizi e consulenze. Un altro,
invece, nello svolgere l’attività di
intermediazione, utilizzava per i
contatti telefonici una sim card
intestata a un ottantenne di
Pescara che, interrogato, è
risultato ignaro anche della stessa
esistenza dell’utenza attivata a
suo nome”.
L’indagine,
partita
da
un
intervento compiuto in flagranza
di reato su un quarantenne settempedano e proseguita sul fronte
investigativo, ha impegnato il personale della polizia amministrativa di
Macerata per diversi mesi e ha portato all’emersione anche di altre
irregolarità, come nel caso del night club Angeli & Fiori a Civitanova in
via Martiri di Belfiore. In quel caso, attraverso i controlli effettuati
dagli agenti di polizia in occasione della serata inaugurale, è emerso
che il locale non aveva le necessarie licenze. La conseguente
segnalazione al Comune ne ha comportato l’immediata cessazione
dell’attività, mentre per gli aspetti penalmente rilevanti sarà
interessata la procura della Repubblica di Macerata.
FONTE: benedettalombo.com
NEI GUAI UN IMPRENDITORE EDILE DI SAN SEVERINO
Il primo intervento della polizia maceratese è stato compiuto nei confronti di un imprenditore edile di 40 anni
di San Severino che gestiva un piccolo numero di ragazze.
L’uomo, colto in flagranza di reato, è stato denunciato all’autorità giudiziaria per esser stato sorpreso, lo
scorso maggio, mentre tentava di far assumere in un locale notturno di Tolentino due ragazze straniere: una
marocchina di 24 anni residente a Reggio Emilia e una rumena di 21 anni residente a Fermo. Il personale di
polizia ha poi effettuato una perquisizione domiciliare ponendo sotto sequestro l’auto utilizzata per
trasportare le ragazze, diversi documenti e una somma complessiva di denaro pari a 2.315 euro e 17 lei
(moneta rumena). Da successive indagini è emerso anche che il quarantenne settempedano aveva già
collocato al lavoro altre ragazze rumene e polacche in due night club di Civitanova e Appignano.
FONTE: COLDIRETTI
LAVORO. Coldiretti: 100mila assunzioni contro il caporalato
Al via le istanze per assumere regolarmente, in base
al decreto flussi, i lavoratori extracomunitari
Dalle ore 8 del 31 gennaio potranno essere inviate le
istanze per l’assunzione regolare di quasi centomila
lavoratori extracomunitari (98.080) sulla base del
decreto flussi varato dal Consiglio dei Ministri e
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.305 del 31
dicembre 2010. È quanto afferma la Coldiretti in
riferimento alla denuncia di Flai e Fillea Cgil sul
caporalato in Italia.
La quota maggiore di 52.080 è assegnata - sottolinea
la Coldiretti - cittadini provenienti da Paesi che hanno
sottoscritto specifici accordi di cooperazione in
materia migratoria impegnati in tutti i settori
produttivi, tra i quali prevalgono però agricoltura,
turismo ed edilizia. Tra questi, maxi quote sono
riservate ad Egitto, Albania, Marocco, Moldavia,
Tunisia, Filippine e Sri Lanka. Una altra quota
rilevante di 30.000 unità - continua la Coldiretti - è
destinata al solo lavoro domestico sempre per
cittadini provenienti da Paesi che hanno sottoscritto
specifici accordi di cooperazione in materia
migratoria. Con la trasparenza e la legalità si può
spezzare la catena di sfruttamento che sottopaga il
lavoro e il suo prodotto come dimostrano - continua
la Coldiretti - i tanti esempi virtuosi presenti nelle
campagne italiane dove lavorano regolarmente circa
90mila immigrati extracomunitari, dei quali circa
15mila con contratti a tempo indeterminato, che
contribuiscono in modo strutturale e determinante
all'economia agricola del Paese e rappresentano una
componente indispensabile per garantire il successo
del Made in Italy alimentare nel mondo.
Per questo su un territorio che può offrire grandi
opportunità di crescita e lavoro va garantita la
legalità per combattere inquietanti fenomeni
malavitosi che umiliano gli uomini e il proprio lavoro
e gettano una ombra su un settore che - conclude la
Coldiretti - ha scelto con decisione la strada
dell'attenzione alla sicurezza alimentare e
ambientale, al servizio del bene comune.
FONTE: la Repubblica
SCHIAVI E CAPORALI, a Natale scandalo false cooperative
Vengono usate come forma di
outsourcing, con il vantaggio che i
“soci” sono facilmente licenziabili.
Fini mutualistici solo sulla carta,
così si sfruttano i benefici su fisco
e costo del lavoro. L’influenza di
mafia e ‘ndrangheta.
Alla catena di montaggio che
prepara il Natale, nei cubi di
cemento dei grandi centri logistici
che riforniscono gli scaffali dei
supermercati di luci e decorazioni,
entrano che non è ancora l’alba ed
escono che è già notte. Nelle
grandi piattaforme della grande
distribuzione,
sperdute
nelle
campagne di tutta Italia, sgobba
una nuova classe di lavoratori.
Sono gli schiavi del Natale.
Formalmente, soci di cooperative.
In realtà persone che, di fatto,
hanno meno diritti dei dipendenti
delle aziende classiche, con la sola
differenza che spesso non sanno
bene chi è il loro padrone. Due
coop su tre, dicono le ispezioni
delle direzioni provinciali del
lavoro, sono irregolari. Ma quante
sono allora in Italia le “cooperative
spurie”?
Quanti
dipendenti
occupano? E perché sia il sistema
economico che la criminalità
organizzata ricorrono sempre più
a questa tipologia d’impresa che
produce un valore aggiunto di 40
miliardi di euro, il tre per cento del
totale nazionale?
LE DENUNCE
“Con questo mezzo, gli operai ad
essa aderenti pensano di fare il
primo passo nella via della loro
emancipazione, poiché sottratto il
lavoro da ogni dipendenza,
l’associazione offrirà ad essi il
modo di istruirsi, di educarsi e di
togliersi dallo stato di miseria e
soggezione in cui oggi si
trovano…”. Fa tenerezza rileggere
le parole dello statuto della prima
cooperativa modenese,
fondata a Finale Emilia
nel 1886, e confrontarle
con il racconto che Juan,
124 anni dopo, ha reso
alla procura di Lodi. Con
altri
quattro
connazionali, il 36enne
boliviano ha denunciato
gli
ingranaggi
del
sistema del lavoro nero
nella piattaforma Dhl di
San Giuliano Milanese, dove lo
smistamento dei pacchi natalizi
moltiplica il numero di colli da
movimentare. “Ho girato diverse
cooperative. I nomi cambiavano in
continuazione ma i responsabili
erano sempre gli stessi…”. L’ultima
“non mi consegnò mai il contratto
di assunzione. Ma il quindici di
ogni mese un caporale mi pagava
in contanti. La mia busta paga era
sempre a zero ore. Lavoravo nel
settore carico con una mansione
pericolosa, che richiedeva, però,
velocità e lucidità. Poi abbiamo
contattato il sindacato e ci siamo
ribellati. Ma quando tornai in
azienda, l’addetto alla sicurezza
non mi fece entrare: ero
licenziato”.
Ora Juan ha ottenuto il permesso
di soggiorno in base all’articolo 18
della legge sull’immigrazione,
quello utilizzato di solito dalle
prostitute per fare arrestare i
protettori. E come lui gli altri
colleghi che hanno denunciato,
oggi collocati in una vera
cooperativa,
la
“Lotta
all’emarginazione” di Sesto San
Giovanni. Le prime segnalazioni
della Filt-Cgil sulla piattaforma di
San Giuliano risalgono all’aprile
2008. “Ai lavoratori regolarmente
assunti venivano assegnati orari
sempre più ridotti in modo da
provocarne le dimissioni affinché
fossero
sostituiti
da
extracomunitari con permessi di
soggiorno falsi…”. Simon, anche lui
boliviano, quarantenne, racconta
di aver lavorato per più
cooperative e di ricevere lo
stipendio “su una carta di credito
prepagata intestata a mio nome”.
Le cifre sono sempre minori di
quelle concordate. Sulle denunce
di Juan, Simon e gli altri è aperta
un’inchiesta
della
direzione
provinciale del lavoro di Milano.
Molte coop citate nelle denunce,
nel frattempo, hanno licenziato gli
operai, come la Padana servizi –
70 in un colpo solo, con un
semplice fax – o risultano inattive,
come la Alfa coop e la Vidac.
IL BOOM
In Italia le cooperative sono
151mila, calcola l’ultimo rapporto
di Unioncamere. E mostrano, a
differenza delle altre imprese,
“una notevole resistenza alle
difficoltà della crisi”, con un saldo
positivo tra cessazioni e nuove
costituzioni. Quasi la metà del
totale (45 per cento) sono al Sud,
ma è al Nord che creano più
occupazione. Sicilia e Lazio sono le
prime regioni per diffusione,
seguono Lombardia e Campania,
dove in media crescono del 2%.
Sono il 2,1% del totale delle
imprese italiane, con un milione e
400mila lavoratori impiegati ormai
in ogni settore. La logistica – dove
operano grandi gruppi come
Colser di Parma (3000 dipendenti),
Ucsa di Milano (1700), Gesconet di
Roma, Cal di San Giuliano
Milanese (900 soci), Piave di
Torino, Transcoop di Reggio Emilia
– è solo uno dei settori delle coop,
che
ora
operano
anche
nell’outsourcing. Per esempio,
grandi compagnie di assicurazioni
hanno delegato a piccole coop di
giovani diplomati – inserite
all’interno
di
gruppi
imprenditoriali molto floridi –
lavori che prima erano riservati
agli interni, ottenendo più
flessibilità, ma anche la possibilità
di lasciare a casa i “soci” quando le
commesse scarseggiano. Un vero
e proprio boom si registra poi
nella sanità, nell’informatica, nelle
telecomunicazioni, nell’edilizia, nel
settore delle pulizie fin anche
all’intermediazione
finanziaria,
all’istruzione, alla formazione
privata. Con picchi di crescita
superiori alla media delle altre
imprese, soprattutto per quanto
riguarda donne e immigrati. Ma
cosa c’è dietro questa esplosione
di vitalità? Un rilancio in grande
stile o un uso distorto della forma
cooperativa come quello che
denunciano i facchini di San
Giuliano Milanese?
IL RACKET
Dietro, spesso, ci sono soltanto
delle truffe. Storie che sanno di
caporalato e che riempiono decine
di inchieste, dal Trentino alla
Sicilia.
Imprenditori,
commercialisti,
avvocati
e
consulenti fiscali sono i registi di
reti di società intestate a
prestanome con le quali danno
avvio all’impresa criminale. Come
funzionano le coop-patacca? Il
meccanismo è quasi sempre lo
stesso. S’intestano le cooperative
ad
anziani,
disabili,
tossicodipendenti, che in cambio
di una firma ricevono poche
decine di euro. Poi si dà il via
all’attività,
sfruttando
le
agevolazioni previste per questo
genere d’impresa, con assunzioni
in nero, buste paga inferiori ai
pagamenti
effettivamente
corrisposti, straordinari nascosti in
altre voci contabili, contributi e
tasse non versate. Formalmente, i
lavoratori sfruttati sono soci della
coop. Ma essendo ricattati, le loro
decisioni
sono
dirette
dal
presidente o dai suoi fantocci.
Quando gli investigatori arrivano
alle società, si trovano di fronte a
società
in
liquidazione,
a
patrimoni pari a zero, ad
amministratori fittizi. Ma non
sempre i furbi la fanno franca.
Il caso più noto è quello di Padova,
dove un’operazione della Guardia
di Finanza ha smantellato una
“associazione per delinquere
finalizzata all’evasione fiscale”.
Una rete di cooperative intestate a
titolari di comodo, quasi tutte
nell’orbita della Compagnia delle
opere, aveva evaso 30 milioni di
euro tra oneri previdenziali, fiscali
e contributivi non versati. I militari
hanno sequestrato anche 18
milioni di euro in contanti, titoli di
società ed immobili tra Veneto,
Toscana,
Piemonte,
Emilia
Romagna. Tra i 21 indagati e i tre
arrestati c’erano Willi Zampieri, 40
anni, presidente della società con
un passato in Forza Italia; il
commercialista Paolo Sinagra
Brisca e una consulente del lavoro,
ex
tesoriere
del
Consiglio
provinciale dell’Ordine, Patrizia
Trivellato. Diecimila euro al giorno
venivano reinvestiti in bar e
negozi, mentre centinaia di
lavoratori
restavano
senza
contributi previdenziali. Le loro
condizioni di lavoro sono lo
spaccato del moderno schiavismo
camuffato da cooperativismo:
permessi per malattia o maternità
negate, ferie inesistenti.
Un caso isolato? Pare proprio di
no. Nella capitale economica del
paese, Milano, teoricamente il
luogo più evoluto nei rapporti di
lavoro, dal primo gennaio al 31
agosto 2010, gli accertamenti
hanno svelato 1101 posizioni
irregolari: collaboratori a progetto
che nella realtà erano soci,
lavoratori senza riposo giornaliero
o settimanale, “con schede
cronografiche infedeli, straordinari
contabilizzati come indennità di
trasferta, per le quali non è
previsto
il
versamento
di
contributi”, spiega il direttore
provinciale del Lavoro di Milano,
Paolo Weber. In otto mesi, gli
ispettori
della
Direzione
provinciale del lavoro hanno
recuperato ben 426.780 euro di
contributi non versati.
COOPERATIVE A DELINQUERE
La favola dell’assistenza e della
mutualità ha fatto il suo tempo. E
in questa grande finzione, fa
presto a infiltrarsi la criminalità
organizzata. A Corigliano Calabro
la Finanza ha indagato a maggio
352 persone per truffa all’Inps:
una cooperativa agricola che
aveva denunciato falsi rapporti di
lavoro per 35mila giornate
agricole
era,
in
realtà,
riconducibile a una cosca della
‘ndrangheta. A Gioia Tauro,
invece, la “Cooperativa lavoro”,
che gestisce il traffico di migliaia di
container, aveva stretto una sorta
di joint-venture con le famiglie
Piromalli, Alvaro e Molè. E in
Campania è la camorra a utilizzare
le coop nel settore dei trasporti e
dei parcheggi. L’Ortomercato di
Milano, che si prepara a garantire
una cornucopia di frutta e pesci di
ogni tipo sulle tavole degli italiani
imbandite per il Natale, è stato
per anni il regno dei clan. Nella
memoria depositata nel processo
concluso a maggio con la
condanna dei boss della cosca
Morabito-Bruzzaniti, il pm Laura
Barbaini ricostruisce il ruolo del
prestanome Antonio Paolo che
“formalmente assume presso la
cooperativa Scai il socio lavoratore
Salvatore
Morabito,
l’uomo
conosciuto
da
tutti
come
criminalmente potente, e nella
sostanza cede al consorzio i suoi
contratti di appalto migliori: quale
per esempio quello con Dhl
Express Italy srl e con Tnt Poste”.
Le cooperative – scrive il pm –
servono ai clan anche per riciclare
denaro sporco “attraverso la falsa
fatturazione o l’emissione di
assegni circolari intestati a
nominativi di lavoratori stranieri
dipendenti
e
incassati
da
prestanomi”. In questo modo,
creano “importanti disponibilità in
contanti per l’acquisto di droga”.
Anche al boss di Cologno
Monzese, Marcello Paparo, le
cooperative del suo consorzio di
facchinaggio e pulizie per i
supermercati Sma ed Esselunga
servivano solo per prelevare
contanti da investire in affari
illegali. E nel capoluogo lombardo
c’è l’ombra del riciclaggio anche
nell’omicidio
di
Pasquale
Maglione, un avvocato casertano
che rappresentava diversi consorzi
di origine campana nel rapporto
tra colossi della logistica e
sindacati.
IL DUMPING E LA CONCORRENZA
SLEALE
Ma anche quando non c’è la
mafia, le statistiche dicono che le
cooperative sono, una miniera di
profitti in nero. Più delle altre
società. A Milano, come a Lecco,
l’82% di quelle ispezionate
risultano irregolari; a Brindisi il
37%; a Cuneo il 65, a Pescara il 40,
a Padova il 67,7. In media, il 65%
sono irregolari. Anche nel settore
dei servizi sanitari e sociali si
diffonde l’illegalità: a Siena la Gdf
ha scoperto a luglio una coop che
per quattro anni aveva lavorato in
nero con anziani, minorenni e
disabili. Gonfiavano i rimborsi,
s’inventavano trasferte inesistenti
in giorni improbabili – come il 31
giugno – e in questo modo,
secondo la Finanza, “riuscivano a
garantirsi, a costi competitivi, la
presenza sul mercato degli appalti
pubblici”. Con prezzi stracciati, è
facile sbaragliare la concorrenza
degli onesti. Il ministero del
Lavoro, nel 2007, aveva tentato di
arginare il fenomeno con un
protocollo che considerava i
ribassi del 30 per cento “un
fattore
di
distorsione
del
mercato”. Si decise di dar vita agli
“osservatori
permanenti”,
coordinati dalle direzioni del
lavoro. Pochi ispettorati, però,
sono riusciti a tener d’occhio le
cooperative spurie. Che hanno
una vita media di due anni ed
espellono i soci che osano
prendere sul serio i loro diritti.
Com’è successo, ad esempio, ai 16
soci eritrei della cooperativa “Il
papavero” di Cerro al Lambro, in
provincia di Milano, che lavora per
la Gls, che ha tra i suoi
committenti le poste inglesi: a
febbraio avevano indetto un
regolare sciopero, ad agosto si
sono ritrovati licenziati. E ora,
assistiti dal SiCobas, hanno aperto
due vertenze: in una il datore di
lavoro
è
tacciato
di
comportamento “discriminatorio”.
Due settimane fa il tribunale del
lavoro di Firenze ha dato loro
ragione.
Ma,
prima
della
magistratura, chi dovrebbe fare
tutte le verifiche?
I CONTROLLI FANTASMA
La
maggior
parte
delle
pseudocoop non fanno parte delle
centrali
(Legacoop,
Confcooperative, eccetera) che
prevedono verifiche sugli affiliati.
“C’è il potere ispettivo del
ministero dello Sviluppo – spiega
Stefano Zamagni, economista e
presidente dell’agenzia per le
Onlus – ma gli ispettori sono
pochi, è difficile controllare. Noi
possiamo intervenire solo per le
cooperative sociali, ma solo
inoltrando le denunce alla Guardia
di finanza e all’Agenzia delle
entrate. Nella maggior parte dei
casi si ricorre alle cooperative solo
per evadere il fisco e avere
agevolazioni.
Lo
spirito
mutualistico di una volta è
sparito”. Così finisce che le
cooperative anziché unire i
lavoratori consentendo loro di
emanciparsi,
li
dividono
ulteriormente. In questi giorni nei
magazzini Gs-Carrefour di Pieve
Emanuele, in provincia di Milano,
operai cinesi, egiziani e italiani
stanno il dando il meglio di sé.
Sono i “soci” che hanno accettato i
nuovi ritmi, 160 colli stoccati
all’ora, imposti da una nuova coop
che sostituiva la precedente.
Quelli che hanno detto no, erano
stati espulsi. Ora hanno vinto la
loro battaglia, e hanno ritrovato il
lavoro.
FONTE: lavoroediritti.com
Il lavoro nero in tempo di crisi: pro e contro
L’Ufficio studio della CGIA di Mestre, ha rilevato che nel Sud Italia, il lavoro irregolare o in nero, funziona da
vero e proprio ammortizatore sociale per la crisi.
Lo dichiara Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA: “Con la presenza del sommerso, la profonda crisi che
sta colpendo il Paese ha effetti economici e sociali meno devastanti di quanto non dicano le statistiche
ufficiali”. Il segretario continua affermando che “quando queste forme di irregolarità non sono legate ad
attività svolte dalle organizzazioni criminali, costituiscono in questi momenti così difficili una protezione per
molti lavoratori. Per questo non vanno demonizzate.”
Secondo i dati, il numero dei lavoratori irregolari presenti in Italia sono quasi 3 milioni. Circa la metà ( il
44,6%) è ubicata nel Mezzogiorno. Il valore aggiunto prodotto dal lavoro nero è pari a 92,6 mld di €. In
Calabria si registra il livello massimo con il 14,9%.; c’è poi la Sicilia con il 12,7%, la Campania con il 12,2%, la
Basilicata e la Sardegna con l’11,7%. Chiude la classifica la Lombardia con il 4,9%.
I dati son dati e come tali vanno presi; pensavo però, al rovescio della medaglia: il lavoro nero, se aiuta a
sbarcare il lunario (e per molti costituisce l’unica fonte di reddito) è comunque un lavoro senza garanzia
alcuna e spesso (soprattutto se gestito dalla criminalità organizzata o da persone senza scrupoli), si trasforma
in una vera e propria forma di sfruttamento e riduzione in schiavitù.
L’ultimo caso di sfruttamento del lavoro nero di cui ho conoscenza è accaduto in Abruzzo dove era stata
messa in piedi una vera e propria organizzazione specializzata in “traffico di esseri umani”. Un ragioniere di
Teramo, con la complicità di alcuni impiegati di associazioni di categoria e di imprenditori agricoli
compiacenti, in tre anni sono riusciti a contrabbandare 1500 immigrati.
Attraverso le associazioni di categoria si trovavano imprenditori agricoli disposti ad accogliere manodopera
straniera quindi, si creavano documenti falsi per l’ingresso e la permanenza degli extracomunitari che, una
volta in Italia venivano costretti a lavorare con un salario di 20 € al giorno da cui, veniva detratto anche vitto e
alloggio e, se il lavoratore non era produttivo, venivano detratti anche delle penali. Il risultato? si lavorava per
circa 3 euro al giorno!
Ora, se quanto appena detto è un caso limite (ma non fatevi ingannare: il cd. caporalato è fenomeno più
ampio di quello che pensiamo!), resta il fatto che anche un normale lavoro non preceduto da regolare
contratto, rappresenta comunque uno sfruttamento.
Non è giusto che un lavoratore pur di guadagnarsi da vivere, debba ubbidire ciecamente al proprio datore e,
vivere tutti i giorni sotto ricatto, con la paura che se si osa dissentire, si ritrova immediatamente alla porta.
Non è giusto lavorare anni e anni in nero e sapere che quel tempo non ci viene riconosciuto ai fini
pensionistici, non è giusto che in uno stato civile e democratico si debba ricorrere al lavoro nero!
Tutti abbiamo una nostra dignità che non deve mai essere calpestata neanche e soprattutto per un lavoro a
cui, ogni essere umano ha diritto.
INDAGINE CONOSCITIVA SUL CAPORALATO E PROPOSTA DI LEGGE DELL' ONOREVOLE
TERESA BELLANOVA RECANTE "DISPOSIZIONI PENALI CONTRO IL GRAVE SFRUTTAMENTO
DELL'ATTIVITÀ LAVORATIVA E INTERVENTI PER CONTRASTARE LO SFRUTTAMENTO DI
LAVORATORI IRREGOLARMENTE PRESENTI SUL TERRITORIO NAZIONALE"
L'onorevole Teresa Bellanova,
componente
della
Commissione Lavoro della
Camera dei Deputati, ha
presentato una proposta di
legge recante "Disposizioni
penali
contro
il
grave
sfruttamento
dell'attività
lavorativa e interventi per
contrastare lo sfruttamento di
lavoratori
irregolarmente
presenti
sul
territorio
nazionale", e, in parallelo, la
proposta
di
un'indagine
conoscitiva sul fenomeno del
caporalato che si propone di
acquisire elementi utili per
l'informazione sul fenomeno
"come parte determinante per
la
generale
definizione
dell'impiego
di
lavoratori
migranti in condizioni di
sfruttamento del lavoro nero e
di mantenimento degli stessi in
vere e proprie situazioni di
schiavitù, del tutto estranee al
nostro stato di diritto".
1. LA PROPOSTA DI LEGGE.
«Il
fenomeno
dello
sfruttamento
della
manodopera straniera utilizzata
in determinati settori produttivi
ha
assunto
dimensioni
allarmanti: un vero e proprio
esercito di lavoratori senza
diritti, la cui esatta consistenza
numerica sfugge all'esame
statistico e di cui recentemente
si è occupata la stampa
nazionale e locale. Una
situazione, per la verità, nota
da tempo, e denunciata anche
dalle associazioni che si
occupano
di
lavoratori
migranti, che in più occasioni
hanno
documentato
la
situazione di sfruttamento e
drammatico degrado delle
condizioni di vita che i
lavoratori, in particolare nel
settore
dell'agricoltura
stagionale, sono costretti a
subire: sfruttati, sottopagati,
spesso anche privati del
passaporto come forma di
ricatto, i migranti vivono in
condizioni disumane, sotto la
continua minaccia di essere
denunciatied espulsi perché
spesso privi del regolare
permesso di soggiorno. Una
situazione tale da Determinare
una condizione di vera e
propria schiavitù, se non di
diritto, di fatto. «Il fenomeno
del
caporalato
è
parte
costitutiva ed integrante di
questo fenomeno. I "caporali",
infatti, svolgono la funzione di
intermediazione illegale tra
domanda e offerta di lavoro e
costituiscono la figura di
raccordo tra l'attività di
organizzazione
dell'ingresso
clandestino
di
lavoratori
immigrati e la collocazione
degli stessi sul territorio, con
particolare riguardo al loro
trasporto e sistemazione in
alloggi, spesso di fortuna, in
condizioni
igienico-sanitarie
degradate e umilianti. Il tutto
gestito
direttamente
da
organizzazioni criminali di tipo
mafioso che siattribuiscono il
controllo del territorio.
«Gli strumenti normativi a
disposizione
sono,
però,
estremamente
carenti
ed
inefficaci per intervenire in
maniera compiuta nei confronti
del fenomeno del caporalato.
Da una parte la legge Biagi
sanziona l'intermediazione di
lavoro non autorizzata e il
datore di lavoro che occupa
personale in nero, con sanzioni
amministrative; dall'altra gli
articoli 600, 601 e 602 del
codice penale colpiscono il
reato di riduzione in schiavitù e
tratta. Manca, dunque, nel
nostro
ordinamento,
una
fattispecie specifica relativa al
fenomeno del caporalato, tale
da farla divenire una condotta
sanzionata dalla legge.«Al
tempo stesso è necessario
rompere il clima di paura e
omertà cui sono costretti i
lavoratori, in maggioranza
stranieri migranti, spesso privi
del permesso di soggiorno e
dunque
maggiormente
ricattabili.
Sfruttati,
sottopagati, spesso massacrati
di botte alla minima protesta, i
lavoratori
extracomunitari
vivono in condizioni disumane.
Si è inteso dunque intervenire
su questa specifica questione.
«I benefici previsti dall'art. 18
del testo unico di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n.
286, ovvero la possibilità di
rilasciare
uno
speciale
permesso di soggiorno per
consentire allo straniero di
sottrarsi alla violenza e ai
condizionamenti
dell'organizzazione criminale e
di
partecipare
ad
un
programma di assistenza ed
integrazione sociale, sono
pertanto estesi anche ai
lavoratori stranieri sfruttati ed
alle dipendenze di caporali e
datori di lavoro senza scrupoli.
Già nella scorsa legislatura il
Governo era intervenuto con
una precisa proposta normativa
che, superato l'esame del
Senato, aveva concluso l'iter in
Commissione alla Camera; la
fine anticipata della legislatura
non ha, purtroppo, permesso la
conclusione dell'iter legislativo.
«La presente proposta di legge,
che si compone di 5 articoli,
riprende, pertanto, l'impianto
normativo della precedente
presentata dal Governo Prodi,
incluse le modifiche apportate
nel
corso
dell'iter
parlamentare.«L' articolo 1
introduce una nuova fattispecie
di reato inserendo un articolo
603-bis al codice penale dal
titolo "Grave sfruttamento del
lavoro", all'interno del quale si
è inteso elencare in maniera
definita
la
nozione
di
sfruttamento, che riguarda non
solo la violenza e la sistematica
violazione degli orari di lavoro,
del riposo eccetera, ma anche
la sottoposizione del lavoratore
a condizioni igienico-sanitarie
tali da esporre lo stesso a
situazioni di pericolo per la
propria salute o incolumità
personale.
Viene
inoltre
esplicitamente
punita
la
sottoposizione del lavoratore a
condizioni di lavoro, metodi di
sorveglianza o a situazioni
alloggiative
particolarmente
degradanti, che costituiscono
ormai la condizione in cui nella
quale migliaia di lavoratori
migranti sono costretti a vivere.
«Alla reclusione da due a sei
anni,
ed
alla
sanzione
pecuniaria, si aggiungono,
all'art. 603-ter, le pene
accessorie per imprenditori e
caporali,
che
consistono
nell'interdizione dagli uffici
direttivi
delle
persone
giuridiche o delle imprese,
nonché il divieto di concludere
contratti di appalto, di cottimo
fiduciario, di fornitura di opere,
beni o servizi riguardanti la
pubblica amministrazione, e
relativi subcontratti. Inoltre la
condanna per tali delitti
comporta l'esclusione per un
periodo di cinque anni da
agevolazioni,
finanziamenti,
contributi o sussidi da parte
dello Stato o di altri enti
pubblici, anche dell'Unione
europea, relativi al settore di
attività in cui ha avuto luogo lo
sfruttamento.
«All'art. 629 del codice penale
si aggiunge un 629-bis nel caso
in cui l'estorsione sia commessa
nell'ambito di un rapporto di
lavoro. A tale fattispecie
vengono estese le pene
accessorie previste dal nuovo
art, 603_ter del codice penale,
appena introdotte.
«L'articolo
2
interviene
direttamente sull'art. 22 del
testo unico di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n.
286, in cui viene introdotto un
nuovo comma 12-bis, che
punisce "il datore di lavoro che
occupa alle proprie dipendenze
lavoratori
stranieri
irregolarmente
soggiornanti
usufruendo
dell'intermediazione
non
autorizzata (…) è punito con la
reclusione fino a tre anni e con
la multa di 7.000 euro per ogni
lavoratore impiegato".
«L'articolo
3
disciplina
l'inserimento del reato di grave
sfruttamento del lavoro, così
come previsto dalla presente
proposta di legge, art. 603-bis,
all'art. 25-septies del D.Lgs 231
del 2001 (Disciplina della
responsabilità amministrativa
delle persone giuridiche, delle
società e delle associazioni
anche prive di personalità
giuridica, a norma dell'art. 11
della legge 29 settembre 2000,
n. 300). La nuova formulazione
del comma 3, infatti, da ultimo
modificato dal D.Lgs 81 del
2008, in materia di tutela della
salute e sicurezza sui luoghi di
lavoro,
prevede,
accanto
all'articolo 590, terzo comma
del codice penale, anche il
nuovo art. 603-bis introdotto
dalla presente proposta di
legge in relazione al caso di
omicidio colposo o lesioni gravi
o gravissimi commesse in
violazione della norme sulla
tutela della salute e sicurezza
del lavoro. «In ultimo, l'articolo
4 prevede la concessione del
permesso di soggiorno per
motivi di protezione sociale, di
cui all'art. 18 del testo unico
delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello
straniero, che è stato esteso
anche agli stranieri sottoposti a
situazioni di grave sfruttamento
come previsto dal nuovo art.
603-bis del codice penale».
2. LA PROPOSTA DI INDAGINE
CONOSCITIVA SUL FENOMENO
DEL CAPORALATO.
L'onorevole Teresa Bellanova
ha formulato, in parallelo alla
proposta di legge recante
"Disposizioni penali contro il
grave sfruttamento dell'attività
lavorativa e interventi per
contrastare lo sfruttamento di
lavoratori
irregolarmente
presenti
sul
territorio
nazionale", la proposta di
un'indagine conoscitiva sul
fenomeno
del
caporalato
«come parte determinante per
la
generale
definizione
dell'impiego
di
lavoratori
migranti in condizioni di
sfruttamento del lavoro nero e
di mantenimento degli stessi in
vere e proprie situazioni di
schiavitù, del tutto estranee al
nostro stato di diritto».
> Alcuni dati. Da un'indagine
condotta da un gruppo
interministeriale
costituito
presso il inisterodell'Interno nel
corso del 2006 è risultato che
gli ambiti economici dove è più
diffuso lo sfruttamento del
lavoro nero, e dunque più
incisivo il ruolo del caporalato,
sono diversificati sia a livello di
settori produttivi che a livello
geografico: per l'agricoltura le
regioni interessate sono in
prevalenza Campania, Puglia,
Calabria, Sicilia e parte della
Basilicata; le aree urbane sono
maggiormente coinvolte nel
settore
dell'edilizia
con
particolare
riguardo
al
Piemonte,Lombardia,
Campania e Lazio. Per le
manifatture, il fenomeno è
localizzato in Campania, Puglia,
Toscana e Lombardia, ed in
maniera marginale in Emilia
Romagna e Piemonte. Secondo
i dati riportati da Unioncamere,
il 9,2% del Pil deriva da lavoro
degli stranieri, regolari ed
irregolari.
Da
un'indagine
condotta
dall'associazione
"Medici senza frontiere" tra
giugno e novembre dello scorso
anno, dal titolo "Una stagione
all'Inferno – Rapporto sulle
condizioni degli immigrati
impiegati in agricoltura nelle
regioni del sud Italia", il
fenomeno
del
lavoro
sommerso nelle produzioni
agricole del Mezzogiorno è
emerso in tutta la sua
drammaticità: "Gli stagionali –
si legge nel rapporto citato –
lavorano spesso in condizioni di
vero e proprio sfruttamento:
scarsamente pagati, vessati da
intermediari e datori di lavoro,
non godono di alcuna tutela
sindacale e operano totalmente
al di fuori delle norme di
prevenzione e sicurezza sui
luoghi di lavoro". Il 64% vive in
case abbandonate, il 62% senza
servizi igienici e il 92% senza
riscaldamento, inoltre, il 39%
dei lavoratori dorme nelle
strade cittadine, il 27% in case
abbandonate, ed il resto
arrangiato in tende in campi di
fortuna.
L'edilizia è un altro grande
settore dove maggiore è lo
sfruttamento dei lavoratori
irregolari e più forte è il ruolo
svolto dai cosiddetti caporali.
Secondo il rapporto di polizia e
carabinieri
consegnato
al
Ministero dell'Interno, su 2.943
imprese controllate nel 2006,
ben 2004 avevano violato le
norme di assunzione del
personale straniero e 45 erano
completamente
sommerse.
Nello
stesso
Nord-est
i
lavoratori stranieri clandestini
svolgono
una
funzione
insostituibile. La presenza di
lavoratori irregolari varia dal
24% a Rovigo al 22% nella
provincia di Venezia, 20% a
Verona, scendendo al 15 % a
Treviso. Secondo il rapporto
riservato
consegnato
al
Ministero degli Interni da
polizia e carabinieri nell'ottobre
2006 "sono gli imprenditori che
si
avvalgono
dell'intermediazione abusiva, i
soggetti principali che avviano
questo sistema di illegalità,
incentivati sia dai maggiori
profitti derivanti dal lavoro
nero, e dunque dalla mancata
regolarizzazione delle posizioni
lavorative, sia dalla celerità e
flessibilità con le quali possono
essere soddisfatte le richieste
di lavoro".
Al riguardo, i controlli effettuati
dagli Ispettori del lavoro
risultano insufficienti sia per la
ridotta disponibilità di mezzi e
strumenti finanziari, sia per gli
strumenti normativi inidonei a
sanzionare
le
menzionate
situazioni.
>
Una
Commissione
parlamentare. Alla luce di tutti
questi elementi, nel corso della
passata legislatura il Senato era
giunto all'elaborazione di un
testo condiviso per l'istituzione
di
una
commissione
parlamentare d'inchiesta sul
fenomeno del caporalato: una
proposta sottoposta all'Aula,
purtroppo, poco prima della
fine anticipata della legislatura.
L'articolo 3 della proposta
precisa i termini dell'inchiesta,
che potrebbero diventare
riferimento per le possibili
finalità
dell'indagine
parlamentare che si vuole
proporre:
La Commissione svolge le
proprie indagini accertando:
a) il rispetto delle regole
contrattuali e delle leggi
relative al collocamento della
manodopera agricola e anche
della manodopera impiegata in
altri
comparti
produttivi,
qualora ciò sia richiesto da
specifiche esigenze connesse
all'andamento
dell'inchiesta,
nonché la regolarità dei
versamenti fiscali e contributivi,
in particolare da parte delle
imprese
beneficiarie
di
contributi comunitari, statali e
regionali,
che
impiegano
lavoratori sia locali che
extracomunitari;
b)
per
i
lavoratori
extracomunitari, il rispetto
della normativa concernente
l'ingresso ed il soggiorno nel
territorio nazionale nonché,
quando si tratti di situazioni di
irregolarità, le responsabilità di
terzi nell'organizzare e favorire
tale ingresso e soggiorno;
c) il rispetto delle leggi e dei
regolamenti relativi alla salute
e alla sicurezza dei lavoratori,
con particolare riferimento alla
sicurezza del trasporto di
persone, in relazione al
fenomeno del caporalato;
d) il rispetto dei diritti dei
lavoratori
con
particolare
riferimento alle condizioni di
lavoro, di abitazione, e di
salute, nonché alle condizioni
igienico-sanitarie dei lavoratori
nelle aree agricole meridionali;
e) l'entità e le modalità
dell'evasione
fiscale
e
contributiva
nelle
zone
interessate dal fenomeno del
caporalato da parte delle
imprese
del
settore
agroalimentare che impiegano
manodopera
tramite
l'intermediazione dei caporali;
f) le condizioni di lavoro della
manodopera femminile, le
forme di intimidazione, di
violenza, di molestia sessuale
operate da parte dei caporali e
dei datori di lavoro stessi, nei
confronti delle lavoratrici,
nonché il fenomeno della
prostituzione
legato
all'assunzione dei lavoratori
stessi;
g) le forme e le dimensioni del
collocamento illegale e del
trasporto non autorizzato di
manodopera a fini di lucro, con
particolare riferimento alla
penetrazione della criminalità
organizzata anche tramite il
controllo del trasporto illegale
di manodopera, nonché il
livello di contrasto e di
prevenzione delle istituzioni
locali;
h) il funzionamento dei
controlli pubblici, nonché la
loro efficienza ed efficacia;
i) le dimensioni del fenomeno
del caporalato e la sua
articolazione territoriale.
> La proposta di indagine
dell'onorevole
Bellanova.
L'indagine si propone di
acquisire elementi utili per
l'informazione del fenomeno
del caporalato, come parte
determinante per la generale
definizione dell'impiego di
lavoratori migranti in condizioni
di sfruttamento del lavoro nero
e di mantenimento degli stessi
in vere e proprie situazioni di
schiavitù, del tutto estranee al
nostro stato di diritto.
L'indagine conoscitiva ha lo
scopo di acquisire direttamente
notizie e chiarimenti sul
problema
del
caporalato
avvalendosi dell'esperienza e
delle conoscenze dei diversi
soggetti, sia istituzionali che
provenienti
dal
mondo
dell'associazionismo, che in
questi anni si sono occupati del
fenomeno.
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