Enrico Zaccaria
Montese nella storia
A ricordo del 3 agosto 1924 quando il R. Don Fernando Cipressi prendeva possesso della parrocchia
Modena 1924
INDICE
Parte I. Montese nel campo civile e politico
Capo I
Capo II
Capo III
Capo IV
Capo V
Capo VI
Capo VII
Capo VIII
Poca antichità del nome
Origine del nome
La Selva Montesana
Le dedizioni a Modena
Vicende dal 1200 al 1500
Dal 1500 al 1700
Una pleiade illustre
Vicende dei secoli XVIII e XIX
Parte II. Montese nel campo ecclesiastico
Capo I
Capo II
Origine della chiesa
Cenni storici sulla chiesa di Montese
A voi, cari Montesini, questi cenni storici sull’amato Paese.
A voi come ricordo questo bel panorama storico figurativo. Coll’augurio caldo paterno che alto limpido sereno verdeggiante e pieno di frescura come il paese che amiamo sia sempre l’animo vostro.
Ho voluto immedesimarmi anche figuratamente con questa mia nuova patria dilettissima per dirvi che sento ormai di
essere una cosa sola con voi per affermare in faccia a tutti quello che da tempo voi sapete che v’amo e saranno mie le
vostre gioie, miei anche tutti i vostri dolori.
Il pastor dei pastori, Cristo Gesù, fece la grande affermazione: II buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle. Io sono il
buon Pastore, conosco le mie pecore e le mie conoscono me (Giov. X).
Siano mie quelle divine parole, come è mio il desiderio di dare tutto a voi, mie pecorelle, anche la vita. Come possono
essere mie dopo cinque anni di fraterna amichevole permanenza con voi le altre conosco le mie pecore e le mie conoscono me.
E m’auguro per voi e per me che questa vicendevole conoscenza sia per entrambi la ragione sempre più forte per amarci
anche domani come ieri e come oggi. Siate sempre e dovunque il mio vanto ed il mio orgoglio; possiate voi vantarvi di
me; possa di tutti gloriarsi Iddio.
Valete: e vi benedica tutti il Pastor eterno Gesù quanto ve l’augura il vostro novello Arciprete che si sente oggi intensamente di tutti padre fratello amico.
Montese, 3 agosto 1924
D. Fernando Cipressi, Arciprete
Parte I. Montese nel campo civile e politico
Capo I. Poca antichità del nome
Potrà forse esser cagione di meraviglia a più d’uno che il nome di Montese non solo sia comparativamente recente, ma ch’esso sia stato nella sua comparsa preceduto da parecchi nomi di luoghi
del comune e dei paesi circostanti. Proprio così. Esso non s’incontra in documenti prima del 1197;
laddove Montalto figura già nel 1179, Verucchia nel 1170, Cassellano nel 1124, S. Martino nel
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1025, Semelano, Sassomolare, Pitiliana, Ardumello nel 969, Renno nel 891, Salto nel 885, Verica
nel 881. Che più? Il piccolo Montespecchio, precedendo tutti gli altri, ricorre sin dal 753 nel famoso
diploma d’Astolfo. Una tale data sì tardiva basterebbe da sé a sfatare e a mostrare non solo assurda
ma ridicola l’opinione di coloro che Montese vogliono e fanno fondato dai Galli e dai Romani, e
accredita per contrario quella del Grandi che sorgesse attorno al 1000, quando appunto ebbero origine tanti altri castelli di montagna quali Montecuccolo, Verucchia, Montetortore. Difatti la causa
della tarda comparsa del nome non poté essere se non il fatto che Montese allora era luogo piccolo,
poco abitato e di origine recente, come può rilevarsi anche dalla scarsa importanza del grado che
allora e per lungo tempo Montese ebbe nella gerarchia ecclesiastica. Ma del resto una siffatta tarda
comparsa non può recar meraviglia se non a chi, il passato giudicando dal presente, considera le cose come sono ora e non com’erano in passato, e suppone che fossero una volta come sono adesso e
non come potevano essere allora. Ora non è l’unica volta che paesi divenuti poi grossi e importanti
siano recenti rispetto ad altri più antichi che or son decaduti o sono restati piccoli e di niun conto.
Tali, per tacer d’altri, Zocca rispetto a Montalbano e Montetortore, Pavullo rispetto a Verica e Montecuccolo; e tale anticamente Montecuccolo rispetto a Renno.
Capo II. Origine del nome
C’è poco da dire in proposito; e quel poco, anziché a proporre un’etimologia e derivazione certa,
serve soltanto a confutare la falsa messa innanzi dal Gigli e seguita ciecamente da qualcuno. Il quale Gigli sapendo di un dio dei Galli chiamato Eso e supponendo che i Galli avessero abitato anche
su questi monti, immaginò che il nome di Montese venisse da Montem Esi, monte di Eso. Ma i Galli abitarono bensì le nostre pianure, mai le montagne; e quando pure ciò fosse stato, come mai il
nome avrebbe tardato a comparire più di 1400 anni? Più: dei Montesi ce n’è almeno altri tre: uno
vicino a Lama, un altro nel napolitano, un altro in Ispagna: tutti paesi estranei alle invasioni galliche. Dunque assurda l’etimologia del Gigli. Tutto induce a credere che la terminazione eso, ese fosse un suffisso di significato non ben chiaro e che venisse applicata al nome mont per designare non
sappiamo che. E questo è tutto quello che si può dire sull’origine del nome di Montese che resta adunque avvolto nell’oscurità.
Capo III. La Selva Montesana
Curiosità singolare è quella della Selva Montesana di cui è parola in più documenti di poco posteriori alla prima comparsa del nome di Montese.
Nella descrizione dei confini modenesi del 1222 si legge: Per terram Montesii invenerunt tales fines: a Fontana Lombardese (Montetortore) vadit ad capitem (sic!) Silvae Montexanae per culinam
Padulite ultra prata et postea vadit a mane Canevare ad Pozzolum Roffegnanum; e nella divisione
fra bolognesi e modenesi fatta da Federico II nel 1226 leggiamo: veniendo iosum a mane Canevatie
per lamam Azonis de Frignano et per Silvam Montexanam sive per lamam Roffegno ad S. Luciam.
Dai quali due passi, e più dal secondo, s’inferisce che la Selva Montesana non occupava mica solo i
monti Montello, Buffone, Monterotondo, come alcuno potrebbe credere, ma aveva un’ampiezza
molto maggiore, come quella che estendevasi sino a Castel d’Aiano vicino a cui trovansi Canola e
la lama detta allora di Azzone da Frignano1; e quindi comprendeva anche tutti i monti a levante del
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Azzo da Frignano è de’ personaggi montanari più segnalati di quei tempi. Nel dicembre 1205 è alla testa dei Corvoli
Frignanesi che giuran fedeltà a Salinguerra; nel 25 è primo inviato dei Modenesi a Ospitale a trattar coi Pistoiesi; nel 26
vediamo che possedeva la lama di Castel d’Aiano; nel 28 dal Vescovo di Modena viene investito d’un fendo a S. Felice,
e nel 36 dal comune di Modena d’un altro ad Albareto. Per le nozze del figlio Ildebrando coll’ereditaria di Castelnuovo di Labante, s’impianta nel bolognese. Per sua sventura nel 1243 col fratello Raineri toglie Roffeno ai Bolognesi, che fattolo prigione, lui col fratello ed altri squartano in piazza a Bologna. Suo padre Buonaccorso da Frignano
credo sia lo stesso che quegli che nel 1204 ad Adrianopoli fa da teste al famoso atto storico con cui Bonifazio di Monferrato cede Candia ai Veneziani. Alberto padre di Buonaccorso era possente nel correggese. Il Tiraboschi suppone che
questa famiglia dei da Frignano che fiorisce con Alberto, Buonaccorso e i figli di lui Azzo e Raineri, sia un ramo dei
Montecuccoli, ma non è ben certo. Ignorasi anche come mai questi da Frignano dal correggese passassero a dominare a
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torrente Gea fino a Castel d’Aiano. Come ciò potesse essere, è per noi un mistero che forse nessuno
riuscirà a spiegare. A noi basta l’aver accennato e messo in rilievo il fatto.
Capo IV. Le dedizioni a Modena
La prima volta che Montese è nominato si è quando esso fa la sua dedizione a Modena nel 1197. A
chi obbediva prima? Certo ai cattani imperiali appartenenti alle tre o quattro principali famiglie frignanesi d’allora: Montecuccoli, Gualandelli, Verucchia, Serafinelli. Nel caso di Montese, non potevano essere che le due prime. La dicitura dell’atto homines de Montesio et vicini lascia capire che
v’entrassero anche quelli di paesi circostanti; accennerebbe dunque ad una specie di incipiente preminenza. A questo atto di soggezione a Modena Montese si ribellò una prima volta verso il 1240
sobillato dai Gualandelli, giacché nel 42 Montesius rediit ad obedientiam Mutinae. Si ribellò pure,
non si sa in che modo, verso il 1275, per fare poi nuovo atto di dedizione nel 1276. Con Modena
passò agli Estensi nel 1288; dai quali poco appresso un po’ per amore e un po’ per forza si staccò e
tale con varie vicende restò sino al 1338, quando ritornò stabilmente sotto di essi insieme col resto
della montagna. Da indi in poi gli Estensi tennero molto conto di Montese; e ciò appare dai loro decreti del 1369, 1494, 1505, 1565.
Capo V. Vicende dal 1200 al 1500
La storia di Montese dal 1200 al 1500 ne si presenta povera di fatti e scarsa d’importanza; e di più
lungo il sec. XIII è anche assai avvolta nell’oscurità e nell’incertezza.
L’investitura di Montese e Penna fatta nel 1212 da Ottone IV ai Montecuccoli è il primo fatto notevole del periodo. Ora ad esso si connettono più domande a cui mal può rispondersi con certezza.
Tale investitura si restringeva solo a Montese e Penna, ovvero abbracciava anche altri paesi? Non si
sa. Secondamente si può chiedere: cominciò solo allora il dominio dei Montecuccoli di qua
dall’acqua? Qui per verità la risposta è certa e negativa; ché alcuni di essi nel 29 chiesero al Senato
bolognese la restituzione di Montese e di altri castelli appartenenti ad essi per investitura imperiale
risalente a 100 e più anni addietro. Dunque quella del 1212 non era la prima. Resta però dubbio se
prima del 12 essi avessero avuto dominio effettivo su questi luoghi e perfino se ve l’ebbero dopo.
Certo almeno di Montese l’avevano avuto, perché altrimenti nel 29 non ne avrebbero chiesto ai Bolognesi la restituzione. Ma di altri paesi, anche posto che ne avessero avuto l’investitura, non pare; e
chi ne facesse le meraviglie, quegli mostrerebbe d’ignorare che potevano bene gli Imperatori concedere investiture; ma gl’investiti avevano da far i conti con potenti famiglie come i Gualandelli
signori di Dismano e coi Monteforte. Ora costoro noi li vediamo continuare nella signoria di quei
paesi fin verso la fine del secolo, se non più oltre, quasi sempre alleati coi Bolognesi e ostili ai
Montecuccoli e ai Modenesi. I Bolognesi poi li vediamo contrastare sempre ai Modenesi non pure
Montese ma tutti i paesi fino allo Scoltenna, e più volte essersi resi padroni di Montese come fu del
27, 34, 48. Però, se è vero che fossero dei Montecuccoli i fratelli Azzo e Raineri da Frignano, dacché Azzo nel 26 era padrone della lama vicino a Castel d’Aiano e d’altri luoghi sul confine bolognese, il che gli diè poi ansa al tentativo di occupar Roffeno nel 43 causa di sua morte e di quella
del fratello; se tutto questo è vero, si potrebbe supporre che i Montecuccoli avessero certa ingerenza
di qua dal fiume anche nel sec. XIII e anche fuori di Montese. Nel 1251 a perorar la causa dei Frignanesi contro i Bolognesi presso papa Innocenzo IV vengono spediti a Genova Buonaccorso da
Montecuccolo e Azzo Gualandelli di Serrazzone: e questo pure favorisce l’ipotesi che i Montecuccoli possedessero almeno la parte del comune di qua dal Rio di S. Martino, giacché erano appunto i
paesi di qua dal fiume che erano in contestazione.
destra dello Scoltenna, verso Montese. Ne ho parlato in una lettura tenuta alla Deputazione di Storia Patria dal titolo
Buonaccorso da Frignano e la sua famiglia. Ma purtroppo attesa la scarsezza e l’incertezza dei documenti frignanesi di
quel tempo, molta oscurità resta e resterà sempre intorno a questo soggetto che pure importa tanto alla storia frignanese
ed in particolare a quella di Montese e dei paesi di qua da Scoltenna.
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Però ecco un altro dubbio. Nell’atto con cui del 76 quei di Montese si assoggettano di nuovo a Modena, i Montecuccoli non son mentovati. Come mai ciò se n’erano signori? Ma questo non fa caso,
poiché i detti signori non son menzionati neppure nell’atto della sottomissione di Renno, Gaiato e
Montecuccolo, dove pure indubbiamente dominavano; e altrettanto dicasi dei da Verucchia nella
sottomissione di quel luogo2.
Ma alla fine del secolo, dopo il 1280, i fratelli Matteo e Corsino del fu Buonaccorso da Montecuccolo dovevano di certo esser padroni non solo di Montese ma di altri paesi circostanti, dal momento
che Corsino cedette quei luoghi ai Bolognesi al cui soldo s’era messo, e i Bolognesi di fatto li occuparono e per qualche tempo li tennero, cioè fino al 1299 in cui dovettero restituirli in virtù del lodo
di Bonifazio VIII. A ogni modo ci pare giusto asserire che dal 1200 al 1300 la storia di Montese è
molto confusa ed incerta.
Coll’entrare del sec. XIV essa diventa più chiara e sicura. Nel 1313 il famoso e valoroso Guidinello
III del fu Matteo Montecuccoli a nome anche dei fratelli Alberguccio e Guglielmo e del cugino
Mattiolo del fu Corsino ottengono da Enrico VII la investitura delle pievi di Salto e di Maserno, ossia di tutto l’attuale comune salvo i paesi d’oltre Rivella.
Nel 1315 il detto Guidinello sostiene in Montese un vigoroso assedio dai Bolognesi condotti dal
conte Alberto di Mangona. Tutto ciò ne fa vedere che Guidinello aveva ricuperato Montese, almeno
momentaneamente; poiché egli è certo che di fatto i Bolognesi continuarono a essere i padroni reali,
ragione principale per cui, nonostante la tregua del 21, Guidinello fu sempre nemico aspro dei Bolognesi ai quali tolse per un momento Gaggio Montano e Castiglione dei Pepoli, tanto che i Bolognesi per disfarsi di questo ch’essi chiamavano figlio del demonio prezzolarono Enrico Leccaterra
signore di Varana e di Spezzano che l’uccise sopra Marano nel 13373.
Ma morto costui e il marchese Obizzo pacificatosi coi Bolognesi, verso il 1338 anche i paesi montesini tornarono al dominio estense e sotto i Montecuccoli. I quali intanto non cessavano di domandare e di ottenere sempre nuove investiture imperiali per colorare e giustificare ognor più il dominio
sui paesi di qua dal fiume. Difatti nel 1369 l’imperatore Carlo IV trovandosi a Montefiorino ospite
dei Montecuccoli, per gratitudine verso di essi e a loro richiesta, confermò l’investitura già data da
Enrico VII a Guidinello loro zio, e concesse al cavalier Corsino d’Alberguccio, al cugino Baldassarre di Guglielmo e al lor biscugino Corsino Frignano di Mattiolo le pievi di Salto e di Maserno.
D’ora in poi, anche per la estinzione dei Gualandelli e dei Monteforte, la signoria dei Montecuccoli
sul montesino diventa piena effettiva e indisturbata. Ma un punto oscuro nella storia sia dei Montecuccoli sia di Montese è come mai avvenisse che, laddove nel 1369 questi paesi sono dati in comune ai tre cugini Corsino, Baldassarre e Corsino Frignano, poco dopo troviamo Montese e dipendenze divisi solo fra Lancellotto di Corsino e Gaspare di Corsino Frignano, senza che vi figurin per nulla Baldassarre e i figli Alberguccio e Nicolò. Ad ogni modo è certo che dopo il 1380 i due biscugini
Lancellotto e Gaspare posseggono ciascheduno metà dei singoli paesi di Montese, salvo Ranocchio
e Salto che erano tutti di Lancellotto. Però la lotta accesasi fra i due cugini che durò furiosa più di
vent’anni poco toccò i nostri paesi. Nel 87 Lancellotto per ottenere l’alleanza dei Bolognesi, cedette
loro tutti i suoi dominii compresi quelli di qua dal fiume che effettivamente furono occupati dai Bo2
Ho letto, non ricordo dove, che nel 1268 proprio nei piani di Montese seguì la grossa battaglia che pose termine alla
lotta fra Guidinello I Montecuccoli, figlio di Bernardino e fratello di Buonaccorso, e Jacopo Serafinelli; fra i Guelfi e i
Ghibellini. Se ciò è vero, ecco un argomento di più per credere al dominio non solo nominale ma effettivo dei Montecuccoli su alcuni paesi di qua dal fiume. Pare che lo scontro seguisse nel piani della Canevazza.
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Guidinello III di Matteo fu il più illustre dei Montecuccoli antichi; e può quasi giostrar di pari coi due più grandi fra i
moderni, il general Ernesto e il maresciallo Raimondo. Sull’entrare del sec. XIV estese il dominio loro a Polinago,
Montecenere, Brandola, Palagano, Medola e Montefiorino, sicché la signoria dei Montecuccoli andava da Montese fino
al confine reggiano sul Secchia. Del valore di Guidinello sono prova l’assedio sostenuto nel 1315 in Montese contro
preponderanti forze bolognesi, e la tremenda sconfitta ch’egli nel 1321 a Saltino inflisse al grosso esercito dei Modenesi
e loro alleati, e l’avere preso Gaggio Montano e Castiglione dei Popoli ai Bolognesi che lo chiamavano figlio del demonio e che per liberarsene non seppero trovar di meglio che farlo assassinare da un sicario. S’egli fosse vissuto più a lungo, forse una fortuna diversa sarebbe stata riservata alla famiglia. Per opera di Guidinello, non solo suo figlio Bartolomeo ma anche i fratelli Alberguccio e Guglielmo e loro figli poterono stanziarsi a Montefiorino.
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lognesi i quali per patti intervenuti poco dopo li restituirono agli Estensi e ai Montecuccoli. E qui è
notevole solo che nel 1394 quei di Monteforte, profittando della lotta fra i due Montecuccoli loro
padroni, si ribellarono ad entrambi per darsi essi pure ai Bolognesi. Ma le cose cambiarono naturalmente nel 1408, quando affogatosi Lancellotto nel passo di Chiozzo e i figli di lui essendo stati
spenti da Gaspare, questi si prese tutto il paese di Montese, di cui ebbe investiture ducali nel 1435,
1442. Lui morto nel 1445, il figlio Cesare in suo vivente ebbe rinnovate altre tre o quattro volte le
investiture.
Tutto il territorio montesino venuto a mano di Gaspare, la nostra storia procede per un secolo quasi
pienamente pacata e tranquilla sotto il dominio di Gaspare e del figlio Cesare che signoreggia dal
1445 al 1506. Di questo lungo periodo non c’è da ricordare se non che quei di Riva (1435) cominciano quei lagni e quelle rimostranze contro i Montecuccoli che dovevano durare per circa due secoli, e che rivelano, pur concedendo che quei feudatarii avessero dei torti, una avversione e
un’animosità singolare contro la famiglia dominante.
Altro fatto notevole si è che nel 1481, proprio quando Cesare Montecuccoli si trovava momentaneamente a Montese, ebbe principio la controversia fra Bolognesi e Modenesi pei confini di Malavolta. Il Senato bolognese invitò Cesare a recarsi a tal uopo a Bologna; ma il duca Ercole I proibì a Cesare quel viaggio, e avocò a sé la faccenda. Difatti trattò egli col Senato, e per allora la contesa fu
sopita, per riaccendersi poi e divampare più furiosamente nel secolo successivo.
In tutto questo lungo periodo di tre secoli è facile capire da quanto s’è detto che Montese ha ancora
scarsa importanza. Il suo nome figura poco, e fanno quasi parlare più di sé i luoghi circonvicini,
Monteforte, Salto, Riva, Montespecchio, Zudignano. Nelle investiture del 1313 e 1369 non è nemmeno menzionato: vi si parla in quella vece delle pievi di Salto e di Maserno. Però l’assedio sostenutovi da Guidinello nel 1315 ne fa vedere che aveva un castello forte e una torre, la quale demolita
parzialmente dai Bolognesi nel breve periodo di lor dominio dal 1387 al 1391, fu poi riedificata e
ristaurata; donde nella cessione a Gaspare nel 1394 è detta la turris nova Montesii.
Né in tutto questo tratto di tempo Montese produce alcun uomo segnalato: appena è se fassi menzione nel 1295 di un Giovanni Pederonco pio e facoltoso uomo di Montese che edificò un ospitale
presso la Canevazza, approvato poi dal vescovo di Modena; e se nel 1343 si fa parola di un frate
Bernardo da Montese, ragguardevole per santità e dottrina che fu vescovo di Sagona in Corsica. E
così siamo giunti alla fine del secolo XV col quale si chiude il periodo più antico e più oscuro della
storia di Montese.
Capo VI. Dal 1500 al 1700
Coll’entrare del sec. XVI la storia di Montese entra in una fase affatto nuova. Insino ad ora Montese
era una pura dipendenza dei Montecuccoli; e Montese stesso era equiparato né più né meno che agli
altri piccoli luoghi che ora ne dipendono. D’ora innanzi non sarà più così.
Cominciasi a parlare del feudo di Montese che comprende tutto l’attuale comune, salvo Cassellano
e Baldiola dipendenti allora da Semese e salvo i paesi d’oltre Rivella dipendenti da Montetortore.
Montese acquista importanza non piccola, giacché comincia ad abbondare di fatti più o meno belli,
più o meno lieti, spesso anzi brutti e luttuosi, sempre peraltro notevoli. Insomma acquista
un’importanza finora sconosciuta che deriva per gran parte dallo stabilirsi qua un ramo dei Montecuccoli. La branca orientale di questi, comunemente creduta e detta primaria, colla morte del conte
Cesare seguita nel 1506 si spartì in tre rami mediante i figli Frignano, G. Lodovico e Bersanino, il
quale ultimo s’ebbe il feudo di Montese ove si stanziò. Ora di questo ultimo ramo conviene pur dire
qualche cosa, perché in esso per due secoli s’incentra e s’impersona la storia di Montese, senza contare che è storia purtroppo ignotissima.
Bersanino non dimorava abitualmente a Montese, contentandosi di capitarvi di tratto in tratto. Vi
lasciava il primogenito Cesare iuniore, testa sventata che diè molti pensieri e dispiaceri al padre, ma
la cui vita durata sino al 1574 è molto interessante per questi paesi. Così nel 1510 Cesare, appena
ventenne, lasciò che alcuni ribelli favoriti dai Bolognesi e dai Tanari occupassero la rocca di Mon5
tese. Per effetto di ciò dal 1510 al 1516 si ha la repubblica di Montese capeggiata da quei di Monteforte. Nel 1515 Bersanino scrive al Duca che faccia punire Cesare causa della defezione del feudo e
restituir a sé i beni di cui quegli s’era reso padrone. Ma i repubblicani per disperazione causata dalle
loro discordie, si sottomettono spontanei a Bersanino che continua a stare a Modena e a Ferrara, tenendo sempre a Montese il figlio Cesare rientrato in grazia del padre. Poco dopo (1522-23) ha luogo, tra Maserno e Riva, l’epilogo della lotta fra Morotto e i Castagneto, che aveva riempito
d’incendi e di stragi tutto il Frignano.
Frattanto i Tanari di Gaggio, possessori di molti beni a Monteforte, Dismano e Riva e ricchi di seguaci, sobillano i sudditi a ribellarsi ai Montecuccoli da loro disprezzati e odiati. Nel 28 interviene a
Ferrara un accordo tra Bersanino da una parte e dall’altra i Castagneto e i Tanari stretti da vincoli di
amicizia e parentela. Ma nel 1530 divampa furiosa e implacabile la lotta fra Tanari e Montecuccoli
che dura otto anni e riempie di stragi e di orrori la montagna modenese. Basti dire che iniziata per
una delle solite imprudenze del giovane Cesare che aveva rapito il famoso cane delle Pradole ai Tanari, questi, con procedimenti che vediamo rinnovarsi ai nostri giorni per imporre la propria opinione agli avversarii, nel 30 ammazzano a Monteforte Don Franceschino da Sassomolare che parteggiava pei Montecuccoli e pel Duca; nel 31 assalgono Salto e vi uccidono il figlio di Frignanello
contadino di Cesare perché rapitore del cane; nel 31 a Montese assalgono lo stesso conte Cesare che
azzoppatosi nel saltar giù dalla Rocca si salvò a stento essendo quasi stato infilzato nei macchioni
circostanti; nel 32 o 33 ammazzano un giovane fratello di Cesare; nel 33 assalgono i mulini dei
Montecuccoli lunghesso il Rio di S. Martino; nel 34 Castagneto e Montecuccolo; nel 35 Sestola; nel
36 compiono orrende stragi a Salto; finché il 24 febbraio del 38 le genti dei Montecuccoli di oltre e
di qua dal fiume aiutate da quei di Montetortore, e sotto la condotta di Alfonso fratello di Cesare e
del cugino Galeotto di Montecuccolo, affrontano e abbattono i Tanari alle Sassane; e dei tre loro
capi, Antonello il fan fuggire, uccidono Castagnino e Vanino, e a quest’ultimo, stato sempre il più
crudele e spietato, spiccano il capo che vien portato sui merli della rocca di Montese e strappano il
cuore che vien portato a Salto da Frignanello, fatto cuocere e distribuito ai circostanti. Ma questo fu
pei Tanari un colpo da cui non si riebbero più, benché un trent’anni dopo mostrassero qualche velleità di riscossa.
L’anno precedente, 1537, Cesare Montecuccoli iuniore fanciullo di circa cinquant’anni commise
un’ultima ragazzata. Passando per Montese Chiapino conduttore di soldati che gli esuli fiorentini e
il re di Francia mandavano contro il nuovo Duca di Firenze, ivi posò e fece alto; poi Chiapino tornando addietro dopo la sconfitta di Montemurlo contrattò con Cesare la cessione temporanea di
Montese. Ora Cesare con atto dato da S. Martino cedeva al re di Francia il castello di Montese per
un anno; a quel re di Francia che l’anno prima aveva squartato a Lione Sebastiano fratello di Cesare! La servilità non avrebbe potuto scendere più in basso. Ma risaputasi la cosa dal vecchio Bersanino, questi scrisse al Duca perché intervenisse di nuovo per riparare all’errore commesso
dall’eterno ragazzo!
Ma Bersanino sopravvisse poco a questo nuovo colpo. Morì nel novembre 1538 a Ferrara raccomandando ai figli di non dividere il feudo per mantenere il decoro e il lustro della famiglia. Niente
affatto. I figli procedettero subito alla divisione, in cui Cesare si prese il meglio, Ranocchio e S.
Martino; Girolamo Montese e Salto; Alfonso Riva e Montespecchio; Camillo Monteforte e Malavolta. Ma qui è necessario un cenno almeno sommario sui quattro feudi e sui quattro rami.
Quello di Montese e Salto fu il più effimero, perché Girolamo morendo nel 88 non lasciò figli maschi; ma di questo Girolamo seniore ministro del Duca e Vice-Duca ci sarebbe da scrivere una monografia. Fu uomo segnalatissimo per valore e bontà, e notabili sono le numerose sue lettere, specialmente quelle scritte da Montese. Fu, scrive il Campori, uno degli uomini4 più illustri prodotti
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Omettendo il molto che dir si potrebbe di Girolamo come inviato estense a Bruxelles, come ministro e vice-duca a
Ferrara, come commissario ducale nel Frignano, e come decano di tutti i Montecuccoli allora sì numerosi; trasceglierò
alcune cose notevoli perché aventi stretta relazione con Montese e compiute da Girolamo come feudatario dì Montese.
Tale la cura ch’egli ebbe nel 1567-1568 di far riattare le mura della rocca da più parti cadenti; tali quelle fra le lettere
scritte da Montese ove dà notizie al Duca di ciò ch’ei fece per difendere Montese e Monteforte nel periodo 65-72 e 796
mai dal Frignano.
Lui morto, il suo feudo di Montese e Salto, che nel 73 per eredità s’era accresciuto e arricchito di
Verica, Sassostorno, Castellino delle Formiche, Cassellano e Baldiola, andò diviso tra i figli dei tre
fratelli. A Francesco di Cesare conte di Ranocchio toccaron Verica, Castellino, Cassellano e Baldiola; a Luigi di Camillo di Monteforte toccò Montese; a Desiderio d’Alfonso Sassostorno, a Sigismondo d’Alfonso Salto, restando ad Alfonsino altro figlio d’Alfonso Riva e Montespecchio. Con
questa nuova divisione e rimaneggiamento, nonostante la morte di Girolamo, restano ancora quattro
i feudi coi titoli di Ranocchio, Montese-Monteforte, Salto e Riva. Di questi feudi quello di Ranocchio fu storicamente il più notevole, ché Enea di Francesco ebbe quasi tutto Semese, dal figlio
Francesco scambiato poi con Guiglia unito pur sempre a Ranocchio, e il ramo di lui, detto poco di
poi dei Laderchi, salì a gran potenza.
Ma per Montese è più importante la sorte dei feudi e rami di Salto, Riva e Montese. Il feudo di Riva
da Alfonsino nel 1607 passò ai figli Girolamo iuniore ed Ernesto che iti in Germania vi si illustrarono; e il primo divenne uomo di corte, il secondo generale insigne e avviatore e protettore del maresciallo Raimondo. Finì nel 1642 colla morte di Girolamo seguita a Vienna, essendo Ernesto stato
ucciso a Colmar in Alsazia nel 1633. Quello di Salto da Sigismondo passò ai figli Girolamo mediano e Francesco, che nel 1621 ereditarono Sassostorno dallo zio Desiderio, e nel 42 Riva dai cugini
Ernesto e Girolamo iuniore. Ma finì ben presto anch’esso colla morte seguita nel 1649 di Alfonso il
più giovane dei figli di Girolamo mediano. Il feudo di Monteforte intestato a Camillo ultimogenito
di Bersanino, alla morte di Girolamo seniore nel 1588 si disse di Montese-Monteforte. Il ramo che
lo possedeva durò più di quei di Riva e di Salto; ma fu più misero e disgraziato. Luigi e Federico
figli di Camillo erano assai poveri. Massimiliano di Luigi, benché marito d’una Ariosto, si dibatteva
nelle angustie anche più del padre. Peggio ancora fu dei figli G. Francesco e Ferrante, benché il loro
feudo si fosse ampliato per l’estinzione dei rami di Riva e Salto, dai quali ereditò. G. Francesco era
sì miserabile che non poté pagar il pranzo di nozze, e bisognò che lo soccorresse in ciò la buona popolazione di Montese; e per la sua miseria angariò sì i sudditi che il Duca lo privò del feudo nel
1667. Il fratello Ferrante poi giunse a tale disperazione che nel 1695 per vivere cedette il feudo di
Montese al Duca che gli diè in cambio due possessioni a Castelnovo di sotto. Egli morì nel 1707; e
in lui finì anche il ramo di Montese; sicché dei rami derivati da Bersanino non restava più che quello detto dei Laderchi signore di Guiglia e Ranocchio, e ormai anche di Montecuccolo per essersi
spenta anche la posterità di Frignano fratello di Bersanino.
Riassunta così brevemente la storia dei Montecuccoli che per due secoli è sì gran parte di quella di
Montese, resta che tocchiamo di alcuni fatti interni ed esterni di quel periodo.
Si è già vista la lotta dei Tanari dal 1530 al 1538. Un trent’anni dopo, dal 1565 al 1573, ci fu quella
di Malavolta che, almeno nella sua parte culminante, è rappresentata e condotta da Gregorio dalla
Villa. Ben sette furono gli assalti che i Bolognesi limitrofi diedero ai Modenesi, ora a Monteforte,
ora a Montese, ora a Salto, ora a Montetortore e Montalto.
80 contro i Bolognesi alleati a parecchi di Malavolta e specialmente contro Gregorio dalla Villa. Tale ciò che ei fe’ nel
73 quando ereditato mezzo Semese (Verica, Sassostorno, Castellino, Cassellano e Baldiola), chiese al Duca una investitura speciale, affine di poter lasciare ad uno, quale più gli piacesse, degli undici nipoti, figli de’ suoi tre fratelli Cesare,
Alfonso e Camillo, tutto intiero il feudo pel bene stesso di Montese e per la manutenzione della rocca. L’investitura
l’ottenne, ma non se ne prevalse poi. Ciò seguì forse perché Girolamo che mirava a lasciare il feudo a Luigi di Camillo,
il prediletto dei nipoti, disgustatosi con lui, lasciò che le cose seguissero il loro corso, e morto lui si procedette a nuove
divisioni e rimaneggiamenti. Ma più importante benefizio fe’ Girolamo a Montese istituendo il mercato nel 1548. Esiste
tuttora rivolta da Girolamo al Duca una supplica assai rilevante, in quanto ci fa conoscere la desolazione di Montese
sequestrato allora dal mondo per essere a ponente chiuso dallo Scoltenna per nove mesi dell’anno inguadabile e a levante infestato sempre dai Bolognesi ancora ostili benché i Tanari fossero stati fiaccati nel 38. Per ovviare a sì tristi condizioni Girolamo chiese il mercato che fu effettivamente instituito. Ma chi dei milioni di individui che han profittato e
profittano di quel mercato sa che fu istituito da Girolamo? anzi chi conosce pur il nome di Girolamo? Tale è la gratitudine del mondo. Vogliamo aver rilevato questo fatto; se no, chissà?, c’è il caso che in avvenire qualcuno dica che il
mercato di Montese fu fondato da qualche moderno politicante che per un momento è arbitro o idolo del paese. Sarebbe
atto di cavalleresca gratitudine se si tributasse qualche onore e qualche monumento si ponesse, grande o piccolo non
importa, a Girolamo Montecuccoli, bersagliato sì da Gregorio dalla Villa, ma benefattore segnalato di Montese.
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Nonostante l’accordo intervenuto l’anno 1565 fra Bolognesi e il Duca di Ferrara e quindi fra i primi
e Camillo Montecuccoli, l’astio bolognese divampò più che mai negli anni seguenti; e ci fu una volta che contro i Modenesi v’eran tutte le parrocchie bolognesi circostanti a Montese (Rocca Corneta,
Gaggio, Bombiana, Pietracolora, Sassomolare, Villa d’Aiano) e anche uomini di parrocchie situate
dietro a queste. Descrivere i saccheggi, gli incendii e le stragi e gli orrori commessivi sarebbe cosa
troppo lunga. L’anima di tutto era Gregorio dalla Villa contro cui sporse frequenti reclami al Duca
di Ferrara a Bologna e a Roma Girolamo Montecuccoli, ma invano; ché il Senato bolognese lo nominò governatore di Samoggia sotto Montetortore, affinché di là infestasse le vicine parrocchie modenesi.
Circostanza notevole è che il Duca nel 1580 avendo fatto assalire e punire i Menzani di Montetortore, a questo effetto diè anche ordine a Massimiliano Montecuccoli che colle sue genti e quelle dei
suoi parenti di Montese dovesse marciare contro Montetortore. Senonché Massimiliano giunto alla
Serra di Salto diè volta addietro, perché dal piano un Bentivoglio anch’egli per ordine ducale era già
arrivato a Montetortore e n’avea cacciato il Zoppo dei Menzani. Ed ecco che profittando di questo
stato di cose Gregorio dalla Villa coi suoi scherani piomba su Montetortore e vi commette atrocità e
scene di orrore, per le quali nel bolognese si fanno tripudii e fuochi di gioia. Questo indignò la popolazione di Montese contro il Duca che aveva proceduto troppo severamente contro i suoi sudditi
porgendo adito ai Bolognesi di tormentarli ancora di più. Testimone di questo senso di disgusto di
Montese è una lettera del commissario G. B. Bottoni al suo signore Girolamo Montecuccoli; il quale Girolamo ricevutala scrisse a sua volta una lettera risentita al Duca esponendogli i meriti antichi
dei Menzani verso di lui, e soggiungendo che se il Zoppo era colpevole, si sarebbe ad ogni modo
dovuto procedere più blandamente verso di esso. Querelavasi poi amaramente di Gregorio dalla Villa, il cui trionfo era odioso a quei di Montese e generalmente a tutti i modenesi limitrofi stati da lui
vessati5. Questo G. B. Bottoni di Formigine fu dei più segnalati commissari che i Montecuccoli tennero a Montese.
La serie di questi commissari comincia dal 1530 col Marastoni che procedé contro i Tanari. Dal 34
al 38 d’ordine del Duca tutti e tre i feudi dei Montecuccoli (Montese, Montecuccolo e Semese) ebbero un commissario unico risiedente a Gaiato. Dopo il 38, cessato il terrore che si aveva dei Tanari, il commissario ritornò a Montese; anzi spartitosi il feudo di Montese in quattro feudi, ognuno
d’essi ebbe il suo, finché verso il 1580 s’ebbe di nuovo pei quattro feudi un commissario unico.
Della serie di questi mentoveremo il Gherardini, di cui esiste una lettera del 1610 al ministro Laderchi preziosa perché sfata il racconto del cronista Spaccini che a torto attribuisce l’uccisione seguita
nelle campagne di Salto del cap. Nardi di Ranocchio ai fratelli Girolamo ed Ernesto Montecuccoli
di Riva, laddove fu dovuta al cugino loro Girolamo di Salto: uccisione però che fu preterintenzionale. Nel 1643, durante la guerra coi Barberini, Montese era presidiato dal col. Colombo ch’era in istretta relazione col gen. Raimondo Montecuccoli che allora trovavasi a Montetortore. Notevolissima è pure una lettera del 1665 con cui il commissario Tullio Sinibaldi da Montese dà conto delle
comiche vicende del matrimonio di G. Francesco Montecuccoli, e fa ampia testimonianza della
bontà della popolazione di Montese, piena di compassione pel misero e scervellato suo signore che
pigliava moglie senza aver i mezzi di poter pure fare il pranzo di nozze6.
Da ricordare altresì è la venuta a Montese nel l651 del duca Francesco I, e le festose accoglienze a
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Gregorio dalla Villa era cordialmente detestato da quei di Montese, ai quali oltre alle uccisioni, ferite e rubamenti a
danno loro commessi, aveva incendiati i due mulini per odio a Girolamo Montecuccoli. Al pari di lui erano abborriti i
suoi compaesani non meno di lui smaniosi di maltrattare e danneggiare i confinanti modenesi. Che direbbe ora Gregorio
dalla Villa se sapesse che i discendenti dei suoi comparrocchiani sono pel momento padroni di Montese e discretamente
apprezzati ed amati? Bizzarria e capricci della storia! Di Gregorio dalla Villa ho parlato in una dissertazione alla Deputazione di Storia Patria.
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Giova riportare il principio della lettera: “Appunto è un mese che mi trovai qui in Montese, terra bella e amena e meravigliosamente fatta per l’estate, e abitata da popoli amorevoli docili e pazienti più che al giusto segno”. Tutta la lunga
lettera è documento importante, massime per la conoscenza del carattere squilibrato e maniaco di G. Francesco, e un po’
anche di quello di Ferrante. Ha la data del 24 agosto, ed è scritta da Salto (Canonica), ove il Sinibaldi s’era rifugiato per
sottrarsi alle furie e alle violenze di G. Francesco.
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lui fatte.
Capo VII. Una pleiade illustre
Nei secoli fin qui percorsi ci fu mai a Montese un uomo che uscisse dalla volgare schiera? no, e
nemmeno nei secoli7 seguenti. Però fra i suoi feudatarii ci fu non uno solo ma parecchi uomini davvero illustri; e di questi si vuol qui dare un cenno, anche perché taluno di essi (e valga per tutti il
gen. Ernesto il più grande di tutti), qui nacque e fu battezzato.
E tanto più questo s’ha da fare inquantoché tutti dal primo all’ultimo sono immeritatamente e sconciamente non pure dimenticati ma ignorati, per quanto alcuni di loro (Girolamo seniore più d’ogni
altro) si rendessero benemeriti del paese.
Cosa singolare! I Montecuccoli della linea di Montese se non ebbero un maresciallo Raimondo
com’ebbe la linea di Montecuccolo, ebbero peraltro nei sec. XVI e XVII un’intiera serie o pleiade
di uomini illustri che basterebbero da soli a nobilitare e a glorificare una famiglia. Non meno di otto
sono gl’individui che formano una siffatta pleiade illustre. Il primo si è Bersanino fondatore della
linea e primo conte di Montese.
Egli ebbe una parte cospicua nelle fortunose vicende dello Stato Estense nel primo ventennio del
secolo XVI. Egli è segnalato anche pel numero dei figli e per avere conseguito per la sua famiglia il
patronato della chiesa di Maserno che meriterebbe una trattazione a parte. Però Bersanino a Montese vi stette poco e solo di passaggio, benché questo gli desse molto da fare, specialmente dal 1530 al
1538 durante la lotta coi Tanari. Altri due membri della pleiade illustre sono due dei figli di Bersanino, Girolamo seniore conte di Montese e Camillo di Monteforte. Il primo (e s’è già visto in una
nota) fu diplomatico, amministratore e politico di polso; Camillo fu anch’egli ragguardevole diplomatico e governatore di Lugo. Viene poi Luigi di Camillo, conte prima di Monteforte, poi anche di
Montese alla morte dello zio Girolamo. Egli pure fu ambasciatore e diplomatico ducale e governatore di Murano pei Veneziani. Del ramo di Alfonso di Riva, altro figlio di Bersanino, abbiamo suo
figlio Alfonsino segnalatosi per molti anni in Germania e in Fiandra; poi comandante dei bertoni del
Granduca di Toscana e morto a Candia nel 1607. Anche più illustre di lui e il più illustre dei Montecuccoli di Montese fu suo figlio il generale Ernesto, nato a Montese nel 1584 e ucciso a Colmar in
Alsazia nel 1633. Fu guerriero insigne, avviatore e protettore del suo parente il maresciallo Raimondo, e dopo di lui il più grande della intiera schiatta dei Montecuccoli, e tuttavia mostruosamente
ignorato! Vengono da ultimo due del ramo di Ranocchio.
Il primo di essi fu Enea, avventuriero e guerriero e politico rinomato, morto nel 1614 a Carpi ov’era
governatore da sedici anni e fondatore della fortuna dei Laderchi derivati da suo figlio Francesco
marchese prima di Semese poi di Guiglia. L’altro è Carlo figlio di Enea, che morì nel 1611 a soli 19
anni. Egli pel suo ingegno e per le sue pubblicazioni si può meritamente paragonare a Pico della
Mirandola; e se fosse vissuto di più, sarebbe al certo riuscito a conseguire gran fama nel campo delle lettere e delle scienze. Tale è la pleiade degli otto illustri. Sotto di essi v’è una serie d’individui
meno importanti dei precedenti, ma pur sempre ragguardevoli. Tali altri tre figli di Bersanino, cioè
Sebastiano investito del benefizio di Maserno e squartato orrendamente in Francia nel 1536; Cesare
iuniore conte di S. Martino e di Ranocchio uomo tristo negli ultimi anni ma storicamente importante; morto a San Martino nel 1574; Alfonso segnalatosi con Podetto Menzani nella difesa di Montetortore contro i Bolognesi nel 1533, e più nella battaglia contro i Tanari alle Sassane nel 1538. Nel
ramo di Riva oltre questo Alfonso, son da ricordare i due suoi figli Desiderio e Sigismondo e molto
più Girolamo iuniore figlio di Alfonsino e fratello del generale Ernesto. Questi servì le corti di Toscana, del Tirolo e di Austria, e morì a Vienna nel 1642 lasciando i suoi beni al maresciallo Rai7
Per verità ci furono due nomini ragguardevoli anzi cospicui: Michelangelo Tamburini (1647-1730) generale dei Gesuiti, e suo nipote il cardinale Fortunato Tamburini (1683-1761). Senonché essi erano nativi di Maserno e non di Montese.
Vero è peraltro che la loro famiglia sino dalla metà del seicento si stabilì nel capoluogo dove per lungo tempo primeggiò. Ne parla il prof. Santi nel suo opuscolo intorno a Iola. I primari individui, oltre ai due accennati, furono Carlo, Simone, Lorenzo, Giulio tutti del sec. XVII e del seguente.
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mondo. Nel ramo di Montese ricorderemo Federico fratello di Luigi che dopo aver servito i Veneziani, da essi indegnamente imprigionato, nel 1607 tornò a languire nella miseria a Montese ove
morì nel 1634. Da ultimo nel ramo di Ranocchio, il più fortunato e il più vitale, vuolsi ricordare
Francesco di Cesare iuniore morto e sepolto nel 1596 a Ranocchio dove ci sono due lapidi a lui relative. Anche più ragguardevoli sono i figli di lui Don Ercole arciprete di Maserno e fondatore della
scuola di San Martino, ed Orazio feudatario di Ranocchio, mentre l’altro loro fratello Enea era conte di Semese. Importante anche fu Francesco figlio di Enea e marchese di Guiglia.
Però i suoi discendenti, detti dei Laderchi, anche se furono talvolta segnalati, pure conservando il
feudo di Ranocchio, ebbero scarse relazioni con Montese. Crediamo utile riportare in fine uno
schizzo genealogico sommario della linea di Montese a tutto il secolo XVII.
Tutto ciò che si è detto fin qui sulla pleiade degli illustri e dei ragguardevoli fra i Montecuccoli di
Montese, è sufficiente a darci un’idea dell’importanza ch’ebbe una tal famiglia nella storia di Montese nei secoli XVI e XVII.
Capo VIII. Vicende dei secoli XVIII e XIX
La storia di Montese nel secolo decimottavo si può riassumere assai brevemente. Passato dalla famiglia Montecuccoli alla Camera Ducale nel 1695, Montese (escluso il piccol feudo di Ranocchio
restante ai Montecuccoli Laderchi) fu per un poco di tempo, cioè sino al 1718, unito a Montetortore
e retto da un commissario residente a Montese. Nel 1719 fu concesso in feudo al conte Benedetto
Selvatico privatone poi nel 22 per abusi. Nel 37 Montese e Montetortore vengono di nuovo riuniti
sotto il governo di nuovi podestà. Fra questi fu notevole dal 1753 al 1755 il dottor Abbondio-Tozzi
Fontana di Monte Questiolo che fece aprire la via del Crescione che lungo il torrente Gea metteva
direttamente a Villa d’Aiano per agevolare le comunicazioni della podesteria di Montese con Montetortore. Nel 56 vennero costruiti i pubblici portici nel fondo Mancini. Nel 56 Montese è pur di
nuovo infeudato ai Malaspina di Licciana nella persona della marchesa Barbara. Né altro di notevole c’è da dire fino all’epoca della Rivoluzione. Nel 1797 quando fu fondata la Cisalpina, Montese
(come tutti i paesi a destra del Panaro) fece parte del dipartimento del Reno; e così fu fino al 1815
quando si costituì la podesteria di Montese, comprendente anche Montetortore e Rosola. Nel 1859
queste due sezioni furon tolte a Montese per formare insieme con altre il comune di Zocca, restandogli Semelano e Montalto. Nel 1885-88, per iniziativa del sindaco Bertelli, fu riattata ristaurata e
abbellita la torre di Montese. Nel periodo dal 1860 ai nostri giorni grandi mutamenti e miglioramenti ha visto il capoluogo che, laddove era prima isolato e sequestrato dal mondo, ora è riunito mediante vie carrozzabili, oltreché alle principali sezioni, a centri importanti, quali Zocca, Vergato,
Riola, Gaggio e Porretta. Di utilità e lustro grande per Montese è stato ed è l’acquedotto che per opera singolarmente del sindaco cav. dott. Piccinelli dal 1908 a questa parte dal monte delle Spunge
getta sulla piazza di Montese un’acqua copiosa, limpidissima e fresca.
Parte II. Montese nel campo ecclesiastico
Capo I. Origine della chiesa
Primo passo da fare qui è quello di distruggere ciò che a questo proposito scrive il Giacobazzi la cui
asserzione ripetuta poi dal Don Bernardi, potrebbe fuorviare un lettore inesperto.
Il Giacobazzi adunque a pagina 11 della sua Storia di Montese manoscritta scrive: “E’ costante tradizione che nella cima della selva già detta Montesana e presso il luogo detto Monterotondo esistesse un antico tempio dedicato a questo idolo [Eso, dio dei Galli], atterrato dai primi cristiani di questi
luoghi nel secolo IV cessata la persecuzione di Diocleziano; i cui avanzi, asportati dall’alluvione,
vanno scoprendosi nel sottoposto prato di Lago Bracciano. Or sul monte stesso in luogo di detto
tempio una chiesa fu eretta la quale servì di parrocchia fino al secolo XV in cui fu ampliato
10
l’oratorio di Montese sotto l’invocazione di S. Lorenzo oggi prevostura”.
Dal canto suo il D. Bernardi, dopo riportate le parole del Giacobazzi, rincara la dose scrivendo
“quella chiesa pertanto [di Monterotondo] sarebbe stata la prima edificata al vero Dio nel nostro
plebanato”.
Ora qui, in mezzo a qualche verità, c’è un cumulo di falsità e di inesattezze.
Che nel luogo ora detto Cesazza sopra Monterotondo sorgesse un tempio pagano può ammettersi,
purché però non si creda dedicato al dio Eso, che è assurdo.
Che nell’evo di mezzo (non però nel tardo medio evo) ivi fosse un oratorio e se vuolsi una chiesetta
cristiana, conviene ammetterlo, perché l’attestano il nome di Cesazza e i ruderi tuttora esistenti. Ma
nessuno potrà mai credere che questa fosse la chiesa primiera di Montese, perché Monterotondo era
troppo distante ed incomodo; né saprebbesi spiegare come ora dipenda da Salto: più se a Monterotondo fosse stato il tempio di Eso, dunque Montese sarebbe stato a Monterotondo e non dove è presentemente; cosa che fa ridere.
Altra falsità è che la chiesa di Monterotondo sussistesse e servisse da parrocchia fino al secolo XV,
e che solo allora la chiesa di S. Lorenzo di Montese sorgesse e cominciasse a fare da parrocchia.
Qui abbiamo documenti d’una evidenza che toglie qualsiasi dubbio ed incertezza. Il Giacobazzi e il
Don Bernardi ignoravano il catalogo delle chiese modenesi del 1291, che dalle fonti vaticane pubblicò nel 1900 il D. Vanni. Ora in questo catalogo fra le cappelle o chiese dipendenti da Salto sono
nominate San Lorenzo di Montese e S. Andrea di Castione.
E’ chiaro? Dunque nel secolo XIII esisteva già la chiesa di S. Lorenzo di Montese ove esiste ora; e
di quella di Monterotondo, che, al dire del Giacobazzi, serviva da parrocchia per Montese, non si fa
motto: dunque non esisteva più, o se sussisteva ancora, era un oratorio forse cadente. Dunque fin
dal 1291 Montese aveva la sua chiesa di S. Lorenzo e la doveva avere anche assai prima. Difatti se
Montese sin dalla fine del sec. XII aveva già una certa importanza, è ovvio supporre che quegli abitanti, in tempi di tanta fede e religione, avessero già la loro chiesa e sul luogo, e non nel lontano e
scomodissimo Monterotondo. E questa chiesa di Montese doveva esser sorta verso il mille o poco
dopo, contemporaneamente al sorgere e svilupparsi di Montese.
Capo II. Cenni storici sulla chiesa di Montese
Ma detto questo e stabilito irrefragabilmente che la chiesa di Montese esisteva già per lo meno nel
1291, è anche tosto da aggiungere che se fino al 1500 si parla poco di Montese, anche meno si parla
della sua chiesa. Per ben tre secoli fino al 1536 non v’è quasi memoria alcuna di essa, salvoché nel
famoso catalogo compilato verso il 1470 si ripete di lei ciò che n’era stato detto in quello del 1291.
Col sec. XVI si comincia ad avere qualche cenno e dato più positivo. Nel 1536 c’è memoria che il
tredicenne Francesco di Cesare Montecuccoli iuniore viene da Paolo III investito del benefizio di S.
Lorenzo di Montese come di quello di Roncoscaglia. Non ci è detto chi fosse il prete che aveva il
governo della chiesa. A ogni modo Francesco essendosi ammogliato verso il 1545, avrà perduto anche il benefizio. Nel 1570 nel processo formato contro Cesare Montecuccoli dall’Inquisizione di
Modena si fa menzione di un Don Nardi da Ranocchio cappellano di Montese, e se ne fa menzione
come di testimone e di parte lesa da Cesare. Nel 1583 seguì in quella chiesa un battesimo singolare
e solenne per la qualità delle persone che vi figuravano e più di quelle che vi erano rappresentate.
Alfonsino Montecuccoli reduce dalla Germania avea menato con sé a Montese la moglie Sidonia
De Golgin che quivi partorì un figlio a cui fu imposto il nome di Girolamo in onore del vecchio Girolamo zio di Alfonso e feudatario di Montese. La cerimonia del battesimo celebrato l’11 dicembre
1583 fu solenne, perchè il neonato fu levato dal fonte dal conte Don Ercole Montecuccoli arciprete
di Maserno e dal conte Lodovico Manzoli di Modena; dei quali il primo rappresentava Isabella
d’Austria vedova di Carlo IX re di Francia, gran protettrice di Alfonsino, e il secondo rappresentava
il cardinal Luigi d’Este8.
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Parecchi altri battesimi notevoli s’ebbero a Montese lungo il secolo XVII tutti spettanti ai Montecuccoli. Il 12 maggio
1607 fu battezzata Cidonia figlia del sig. conte Alfonso Montecuccoli ed ebbe a padrini Orazio Montecuccoli di Ranoc11
Nel 1586 comincia il libro dei nati; e solo allora si comincia ad avere qualche notizia sui preti ufficianti della chiesa, cappellani e parrochi; la serie certa dei quali ultimi ha inizio coll’anno 1597. Da
quest’anno al 1637 abbiamo Don Giovanni Bernardoni. Dal 1637 al 1659 troviamo un rettore segnalato nella persona di Don Bartolomeo9 Ferrari. Dal 59 al 97 Don Antonio Ferrari. Dal 97 al 1737
Don Carlantonio Mancini. Dal 1737 al 1757 Don Giovanni Maria Zanni. Dal 57 al 58 Don G. B.
Nardi di Ranocchio che fu il primo parroco di Montese fregiato del titolo di prevosto. Dal 1758 al
1791 si ha Don Nicola Merlani; dal 91 al 99 Don A. Testi di S. Felice; dal 99 al 1822 Don Giulio
Santagata; dal 22 al 1856 Don Lorenzo Covili; dal 56 al 97 Don Giuseppe Pasquali di Fellicarolo;
dal 97 al 1923 Don Gustavo Colombo insignito del titolo di arciprete ed anche di cavaliere. A lui
succede ora il reverendo Don Fernando Cipressi.
Accanto a questa serie di parrochi, vuolsi accennare ad alcuni fatti estrinseci ma che pure hanno attinenza e connessione colla chiesa di Montese. Nel 1683 furono date solenni missioni condotte dal
celebre padre Segneri. Il concorso ad esse anche da paesi di là dallo Scoltenna, come Verica, Renno
e Montecuccolo e persino da paesi bolognesi lungo il Reno, fu veramente grande ed incredibile; ma
più ammirabile ancora il fervore e lo spirito di penitenza che gli accorsi dimostrarono. Ne resta espressa testimonianza in certi cenni inseriti nel libro dei nati, e nella relazione a stampa del Bortolini di Maserno arciprete di Renno. Nel 1843 il parroco Covili e i parrocchiani procacciarono a Montese un concerto di quattro campane fuse dal Brighenti che non isfìgurano ancora nonostante i progressi tecnici ottenuti in quell’arte. Nel 1903, favorita e aiutata poderosamente dall’arciprete Colombo, s’ebbe la ricostruzione della chiesa, e la costruzione di un nuovo cimitero sotto la direzione
dell’ing. Carlo Mazzetti.
All’iniziativa del D. Colombo si deve ancora se oggi la chiesa di Montese possiede un organo di
fabbrica tedesca, che, se non è il più grande della diocesi, è però da certi competenti riguardato come il migliore. Altro fatto notevole non dovuto al Colombo ma avvenuto al suo tempo, è lo stabilirsi in parrocchia d’un nucleo di suore di S. Caterina la cui opera e il cui zelo riesce di vantaggio inestimabile pel bene spirituale e civile della popolazione montesina, mediante la istruzione della infanzia e della gioventù10.
chio e la Pandora da Salto. Qui ci sarebbero da fare delle questioni che si omettono perché estranee al nostro assunto.
Diremo solo che questo Alfonso non può essere che il famoso Alfonsino padre di Girolamo e di Ernesto, e che morì due
mesi dopo alla Canea a capo dei bertoni toscani. Il 20 aprile 1614 veniva battezzato Sigismondo figlio di Girolamo conte di Salto e della Leonora Ariosti avendo a padrini Federico Montecuccoli di Montese e la Ifigenia Montecuccoli moglie di Orazio. Il 14 aprile 1637 fu battezzata l’Orsola figlia di Massimiliano Montecuccoli e della Paola Sacrati. Il 30
agosto 1639 fu battezzato Giovanni Aloisio figlio del detto conte Massimiliano e tenuto dal dottor Tamburini a nome
della comunità di Montese. Il 9 luglio 1635 Giovanni Francesco, e il 27 ottobre 1647 Ferrante ambedue figli di Massimiliano. Infine nel 1693 un Massimiliano figlio di Ferrante, che morì bambino.
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Sotto di lui, e precisamente nel 1639, fu innalzato l’oratorio della Madonna del Poggio, tanto caro agli abitanti del
paese pel quale torna anche di ornamento. Nel 1644 vi fu eretta la confraternita della Cintura. Nel 1694 dalla Domenica
Passini fu dotato di una casa, e d’altri beni dal rettore Don Antonio Ferrari. Nel 1783 fu dal prevosto Merlani e parrocchiani ampliato ed abbellito, e ai nostri giorni fornito di due campanelle da Mansueto Piccinelli, uomo originalissimo e
uno dei più schietti rappresentanti del carattere dell’antica e genuina popolazione di Montese.
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Giova riportare qui sunteggiati alcuni appunti fornitimi sulla origine della istituzione e sulla casa di Montese: “La
venerabile fondatrice morì nel 1923. Nel l873, a vent’anni, la pia ma povera ragazza con quattro altre pie compagne
diede principio in via Fontebranda a Siena alla Congregazione delle sorelle dei poveri di S. Caterina. Cominciò con 15
lire e tre stanze cedutele dai suoi, dove radunava le orfanelle. Coll’approvazione dell’Arcivescovo Mons. E. Bindi e la
benedizione del S. P. Pio IX la Congregazione che si propone l’educazione della gioventù povera e l’assistenza dei poveri malati, si sviluppò e prosperò sì che ora conta un 500 suore e 52 case; e fu nel 1898 affiliata all’ordine di S. Domenico dal card. Frühwirth, e la costituzione approvata nel 1906 da Pio X. La casa di Montese ha 4 suore, e circa 100 alunni. Fu aperta nel 1913 al Profondo: da circa 5 anni fu trasferita in Rocca in locali del Comune che ora ne cede l’uso
gratuito. La popolazione ha sempre apprezzato l’opera delle suore pel bene che fa. E’ fra i desideri del nuovo parroco di
dare al benemerito istituto una casa propria, e spera che coll’aiuto di Dio e colla cooperazione di quanti vogliono il bene
del paese e l’educazione della gioventù il desiderio divenga un fatto compiuto”.
Questi brevi cenni ne fanno vedere che la carità di Cristo è sempre viva e perennemente e santamente operosa; e ch’essa
con mezzi meschini può fare grandi cose. Con 15 lire e tre stanze cominciò una ragazza di Siena povera e semplice ma
piena d’amore per G. Cristo un’opera ora diffusa anche fuori d’Italia e che fa tanto bene. Di fronte a questi prodigi della
carità cristiana, che fanno i sapienti e i potenti del secolo? Coi loro principii e le loro teorie seminano l’odio, la distru12
Colla entrata del parroco che or si festeggia e che tanto promette di sé, sperasi che un nuovo e luminoso periodo si apra per la chiesa e pel popolo di Montese; e gli è per questo effetto che noi al novello pastore con tutto lo slancio del cuore, interpretando il sentimento della gran massa dei parrocchiani, diciamo ed entusiasticamente auguriamo: ad multos annos!
I Montecuccoli di Montese - Percorso storico
zione, la morte. Oh disse pur giusto S. Paolo scrivendo: La scienza gonfia; la carità edifica.
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E. Zaccaria: Montese nella storia