D’ELBOEUF, DEL BOEUF D’ELBEOUF O D’ELBEUF? di Armando Polito Routot Elbeuf Quatremare So che il titolo del convegno ha già scandalizzato qualcuno che, però, ha espresso le sue rimostranze in modo informale, senza, cioè, organizzarle, documentandole, in uno scritto non anonimo da pubblicare sul sito nell‟ambito del convegno stesso. So pure, almeno mi auguro, che quel qualcuno seguirà il dibattito che ho intenzione di ravvivare anche con questo mio scritto in attesa, forse vana, di una qualsiasi replica. Chiedo scusa se prima di entrare in medias res mi soffermo sul problema della datazione. Aggiungerò solo un piccolo tassello alla mole documentaria e alle argomentazioni presenti nell‟intervento La scoperta di Aniello Langella. A poco più di un ventennio di distanza dal 1738, data di inizio degli scavi ufficiali che tradizionalmente si fa coincidere con la scoperta di Ercolano, J. J. Winckelmann in una lettera (più che una lettera è una relazione di 147 paragrafi) del 1762, indirizzata al conte Enrico di Brühl1 così scrive2: § 25 Di uno scoprimento più antico, o per dir meglio di una ricerca fattasi della seppellita città d’Ercolano, si sono rinvenute traccie infallibili nello scavare sotto terra, le quali traccie sono indicate nella carta di quelle città sotterranee ch’io ebbi la fortuna di vedere disegnata per ordine del re. Consistono esse in gallerie sotterranee scavate con molta fatica, le quali indicano chiaramente quale ne fosse lo scopo e per conseguenza non è sperabile di ritrovare tutto quello che la montagna ha seppellito. A questi scavi fattisi in altri tempi sembra si riferisca una iscrizione che è bensì stata pubblicata, ma che merita d’essere qui riportata, per il lume che può trarsene. ________ 1 Lettera sulle scoperte di Ercolano al sig. Conte Enrico di Brühl, in Opere di G. G. Winckelman, v. 7, Giachetti, Prato, 1831, pagg. 131-236. 2 Op. cit. pagg. 145-146. 2 Segue il testo dell‟iscrizione di cui, per brevità, riporto solo la prima parte: SIGNA TRANSLATA EX ABDITIS/LOCIS AD CELEBRITATEM/ THERMARUM SEVERIANARUM/ (Statue trasferite da luoghi nascosti per la fama delle terme severiane). L'iscrizione e le gallerie antiche scoperte in Ercolano si spiegano l’una le altre a vicenda. Poco dopo, le irruzioni dei barbari e l’ignoranza, che ne fu la conseguenza, cancellarono dalla memoria degli uomini quei tesori sepolti. E più avanti3: § 27 La scoperta recente accadde in occasione di un pozzo che il principe d’Elbeuf fece scavare vicino alla sua casa...Si continuò il lavoro, finchè non si giunse alla terra dura, la quale è la cenere del Vesuvio, ed ivi si trovarono tre statue femminili vestite, il possesso delle quali fu a giusto titolo riclamato dal Vicerè austriaco d’allora. Questi le fece trasportare a Roma, ove furono ristaurate, e regalolle al principe Eugenio, il quale collocolle nel suo giardino a Vienna. Dopo la sua morte4, la sua erede5 vendette quelle tre statue al re di Polonia6 per 600 talleri o fiorini, non so bene; e sette anni sono, prima della mia partenza per l’Italia, esse erano in un padiglione del Giardino reale a Dresda...7 _______ 3 Op. cit. pag. 147. 4 Nel 1736. 5 Vittoria di Savoia. 6 Augusto III. 7 Lo stesso Winckelmann nella nota 20 di questa pagina ci informa che il miglior disegno di queste meravigliose statue vestite trovasi nel primo volume dell’Augusteo di Becker alle tavole XIXXXVI, e la più estesa storia e descrizione di esse, nell’opera medesima, alle pagine 108-119. Sono riuscito a trovare in rete la riproduzione digitale dell‟edizione francese (Guillaume Gottlieb Becker, Augusteum, ou description des monumens antiques qui se trouvent à Dresde, t. I, Leipzig, 1804) con la descrizione delle statue (per la precisione pagg. 110-123), ma delle tavole con i loro disegni non compare nemmeno l‟ombra. Comunque, sempre in rete, ho reperito le foto visibili nella pagina che segue. 3 Le tre statue provenienti da Ercolano e custodite nel museo di Dresda. È innegabile che delle tre statue la prima, al di là della sua integrità, è la più pregevole. Considerata opera di un originale greco attribuito a Prassitele, mostra nella statua velata8 (a destra) dell’imperatrice Vibia Sabina (moglie di Adriano), morta tra il 136 e la prima metà del 137, la persistenza di un modello compositivo divenuto poi comune nella ritrattistica funeraria pubblica e privata. ________ 8 Restituita all’Italia nel 2007 dal MFA (Museum of fin fine arts) di Boston. 4 Non basta quanto fin qui detto, oltre alle osservazioni e alla documentazione presenti nel citato lavoro di Langella e in La villa di Emanuele Maurizio di Lorena, principe d’Elbeuf dello stesso autore, apparso sul sito nel dicembre dello scorso anno (stava già preparando la sua sacrilega proposta pensando, mentre si toccava, che per precauzione era meglio non aspettare il 2038?...), per retrodatare la scoperta di Ercolano almeno al 1709? Oltretutto, bisogna intendersi sul significato delle parole: se parliamo di scoperta è un conto (se non fosse stato, sia pur con colpevole e, forse, non disinteressato ritardo, fermato quando ormai i buoi, pardon le statue e quant‟altro, erano “scappati” dalla stalla, pardon dal “pozzo dei miracoli”9, l‟ineffabile duca avrebbe probabilmente riportato alla luce, a modo suo, l‟intera Ercolano, consapevole dell‟identità del sito); se parliamo di inizio ufficiale degli scavi più o meno sistematici è un altro. È tempo di passare, ora, ad onorare (?) il titolo di questo lavoro. Qual era il nome esatto del nostro principe, anzi duca? La forma onomastica più ricorrente, per me l‟unica corretta, è Emanuele Maurizio, duca d‟Elbeuf 10 e barone di Routot11 e Quatremare12. A destra lo stemma araldico. _________ 9 C’è da riflettere amaramente e da chiedersi se, in fondo, non sarebbe meglio, almeno in archeologia, che tutto restasse sul fondo, ad evitare che alla predatoria attività dell‟uomo sulla natura si aggiunga anche quella sulle sue memorie, il che è una forma di cannibalismo culturale. Quando, solo per fare un esempio innocente, leggo un‟iscrizione (soprattutto nella sua forma più umile, il graffito) mi assale il dubbio che la mia curiosità non sia altro che un atto di violenza nei confronti di uomini che già in vita ne hanno viste di cotte e di crude e che, per colpa mia, continuano a farlo anche da morti... 10 Cittadina francese nella regione dell'Alta Normandia (vedi copertina). 11 Cittadina francese nella regione dell'Alta Normandia (vedi copertina). 12 Cittadina francese nella regione dell'Alta Normandia (vedi copertina). 5 Leggo in Laurence Echard, Dizionario geografico portatile, Remondini, Bassano, 1770, pag.146 alla voce Portici: ...il Palazzo del Principe del Boeuf, fatto da lui a posta per renderlo uno dei più belli dell’Universo. In fatti l’arricchì di belle statue e d’altri pezzi d’antichità, dissotterrate dalle ruine dell’antica Eraclea o sia Ercolano poco lontano da Portici. Ed egli fu il primo che scoprì questo gran Tesoro d’antichità. Si legge sulla Porta del Palazzo questa iscrizione, che il detto principe del Boeuf fece egli medesimo, nel desinar co’ suoi Amici. Loci genio amoenique littoris hospitibus Nymphis, Ut liceat aliquando bene beateque vivere Atque inter honesta otia sive studia, solidam cum Amicis capere voluptatem, Emmanuel Mauritius a Lotaringia, Elbovianorum Princeps, Complanato solo, satis arboribus Dulcibusque accersitis aquis, Hunc secessum sibi paravit. Abite hinc urbanae molestaeque curae.13 Debbo riconoscere che a prima vista il nostro duca se la cavava abbastanza bene con la cultura e la lingua latina: la dedica iniziale Loci genio utilizza una locuzione presente non solo nella produzione letteraria ma anche nelle epigrafi, graffiti compresi. È il caso di GENIUS/HUIUS _________ 13 Al genio del luogo e alle Ninfe ospiti dell’ameno lido, affinchè sia possibile una buona volta vivere bene e beatamente e tra i modi dignitosi di trascorrere il tempo libero o, se si vuole, gli studi godere di un concreto piacere con gli amici, Emanuele Maurizio di Lorena, Principe degli abitanti di Elbeuf, spianato il terreno, piantati alberi e fatte scaturire acque dolci, preparò per sé questo ritiro. Allontanatevi da qui fastidi cittadini e molesti! 6 LOCI/MONTIS (CIL IV, 1176) che compare in un affresco di Ercolano (a destra, tabella XXXVIII da Le antichità di Ercolano di Tommaso Piroli, vol. I, Roma, 1789). Purtroppo il Piroli, a differenza di alcune altre riproduzioni, non ci fornisce nessun dettaglio circa le modalità e la data di ritrovamento. Inutile, perciò, accanirsi, quando non è il caso, col nostro duca ipotizzando che alla data in cui componeva l‟epigrafe da apporre sulla porta del suo palazzo avesse quanto meno visto, se non toccato, pure questo affresco. Continuando nell‟analisi dell‟epigrafe, mi appare raffinata l‟ambiguità stilistica del nesso honesta otia sive studia, in cui studia può essere considerato come sinonimo di honesta otia (onesto trascorrere del tempo libero=studio, occupazione) oppure essere anch‟esso partecipe dell‟aggettivo honesta (tempo libero oppure occupazioni entrambe oneste); ancora più raffinato è quel Princeps che ha tutta l’aria di essere un‟indebita appropriazione di titolo (che poi propizierà l‟errore abbastanza ricorrente di definirlo principe d‟Elbeuf, mentre in realtà era duca) piuttosto che tradire un improbabile empito democratico: in latino princeps nel suo significato più generico significa primo, ma non riesco proprio ad interpretare Elbovianorum Princeps come primo dei cittadini di Elbeuf (proprio come oggi si fa col sindaco); ancora più raffinato l’urbanae molestaeque curae finale (riecheggia il pallentes procul hinc abite curae di Marziale, Epigrammata, XI, 6, 6) che io ho reso alla lettera, ma, sciogliendo l‟endiadi aleggiante in urbanae molestaeque, avrei dovuto rendere il tutto, meno espressivamente, fastidiose molestie della città. Perdonandogli il fatto che poteva pure partorire qualcosa in distici elegiaci (ma abbiamo appena appreso che l‟iscrizione sarebbe stata concepita a stomaco pieno o quasi...), pare azzardato affermare che il nostro sedicente principe era sufficientemente attrezzato 14 per _______________ 14 Anche di conoscenze che contavano a livello culturale e politico se risponde al vero che l‟iscrizione è in realtà di Matteo Egizio, primo bibliotecario di Carlo di Borbone, pubblicata postuma nei suoi Opuscoli volgari e latini, Vocola, Napoli, 1751, pag. 252, secondo quanto si afferma in Della regale accademia ercolanese di Giuseppe Castaldi, Porcelli, Napoli, 1840, pag. 262, nota 5. Se così andarono le cose, l‟Egizio doveva sapere dell‟attività “estrattiva” del duca. Fu lui, sia pure in ritardo, a fare al re la “soffiata”? E si era reso conto che i reperti appartenevano ad Ercolano? 7 capire l‟importanza di ciò che usciva da quel pozzo e per intuire l‟identità del sito? Ma, torniamo, dopo questa digressione, al nome come è riportato nel testo della citazione: Principe del Boeuf, il che, reso in italiano, suonerebbe Principe del Bue, con tutti gli ammiccamenti del caso. Senonchè, leggendo il frontespizio completo dell‟opera in questione, il sospetto che l‟autore, peraltro contemporaneo del duca (che morì nel 1763), si sia preso gioco di lui vien meno: È evidente che il macello del nome del povero duca è imputabile all‟anonimo traduttore dall‟originale inglese in francese e da questo in italiano; né fanno bella figura il celebre Professore che ha nuovamente corretta ed arricchita questa terza edizione veneta e tanto meno il ch. sig. Brouckner, Geografo del Re Cristianissimo. Purtroppo non son riuscito a reperire in rete il testo originale in inglese per fare la stessa operazione che compio quando, all‟acquisto di un nuovo aggeggio elettronico, salto a piè pari le istruzioni in italiano e sfrutto quelle in inglese, per evitare che nel frattempo scada la garanzia senza che io sia riuscito a mettere in funzione l‟aggeggio... 8 Non dà adito ad ironia di sorta ma non è neppure il massimo la dicitura che compare nella carta La Vega (sotto, nel dettaglio) inclusa in Dissertationis isagogicae ad Herculanensium voluminum explanationem pars prima di Carlo Maria Rosini, opera pubblicata a Napoli nel 1797 per i tipi della Tipografia regia: R.(eal)e Peschiera e palazzo che fu d’Elbouf. Se il d’Elbouf appena visto è imputabile anche qui al traduttore l‟ulteriore forma compare nella memoria dello stesso La Fiorelli nel Giornale degli scavi di Pompei, 9 al cartografo, forse è dovuta onomastica (de Elbeouf) che Vega pubblicata da Giuseppe v. I, 1861, pag. 316?: E l‟equivoco continua fino ai nostri giorni con la variante d’Elboeuf (Adventure Guide Naples, Sorrento & the Amalfi Coast di Marina Carter, N. J. Edison, Hunter, 2006, pag. 221): Tuttavia, una giustificazione a siffatto proliferare di varianti può essere trovata solo supponendo che il nome attuale della cittadina francese (Elbeuf) avesse in passato una forma assonante. Potrebbe farlo pensare Lucas Peter barone di Bretton in Recherche sur l’origine de la resemblance et de l’affinite d’un gran nombre de mots qui se retrouvent dans le français, le danois, l’islandais, l’anglais, l’allemand, le latin, le grec et le sanscrit, Thiele, Copenaghen, 1866, pag. 106: Il toponimo, dunque, significherebbe città (by/ville) della stoffa (el/ aune); in particolare, aune era un‟antica unità di misura di lunghezza applicata alla stoffa, nonché il simbolo del mercante, ironicamente detto chevalier de l’aune. Mi sarebbe piaciuto concludere dicendo che il nostro duca faceva geneticamente onore al senso degli affari che il buon mercante deve avere, ma per me le etimologie basate sulle assonanze e non supportate da documentati dati storici sono le più precarie. 10 E allora chiedo: è lesivo del principio di autorità (ma quale autorità, e di chi...) applicare il vecchio principio del dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio?; il che, tradotto, significherebbe attribuire la scoperta ad Enzechetta (il Cesare della situazione), non al duca d‟Elbeuf (il dio) e nemmeno al dio successivo (Carlo di Borbone). Con tutto il rispetto per la storiografia ufficiale e per chi la segue, ma con loro buona pace. Però, all‟ironia, che nella pagina precedente non ho potuto esercitare sul duca, e a quel pizzico di leggerezza che impedisce alle cose serie di diventare seriose e seriali, non rinuncio: io son sicuro che (anch’io sono un ladro, di nostalgia, nel rubare le parole iniziali della canzone L’immensità scritta e portata al successo da Don Backy15 negli anni „60), se qualcuno, è superfluo fare il nome, avesse il tempo pure per leggere queste poche note, probabilmente sbotterebbe: ”Mi consentano di affermare senz’ombra di dubbio che si tratta solo di squallide, calunniose ed invidiose illazioni comuniste.”; e, dall‟altra sponda, la velina (nel suo significato originario, anche perché non sarebbe corretto utilizzare le stesse armi del nemico...): ”La proposta emerza (sic!) dal convegno organizzato da Wesuvio.web spazza via in un’ attimo (sic!) una concezione distorta della storia, di chiara ispirazione fascista.” Amen. _______ 15 Avviso per l’eventuale lettore giovane: tranquillo, Don Backy non è un nobile, ma solo lo pseudonimo di Aldo Caponi. 11