Quaderni di pesca del
Lago di Como
Anno 2003
numero 2
“Letti nuziali per
le Alborelle”
Posa di substrati artificiali
per favorire la riproduzione della specie
Supplemento monografico annuale della rivista:
“A pesca nel lago di Como... e dintorni”.
EDITORE
Associazione Provinciale Pescatori Sportivi e
Subacquei sezione di Como convenzionata F.I.P.S.A.S.
DIRETTORE RESPONSABILE
Giovanni Maccarrone
STAMPA E FOTOLITO
Grafica Marelli - Como
IMPAGINAZIONE GRAFICA
Marco Marelli
FOTOGRAFIE
archivio Provincia di Como
Gianfranco Giudice
Archivio Associazione Culturale L. Scanagatta - Varenna
una copia Euro 5,00
Sommario
Nota del Direttore
pag.
5
Intervento dell’Assessore provinciale
Caccia e pesca
pag.
7
Continuità e partecipazione
pag.
8
Intervento del Presidente Nazionale
SFAI-FIPSAS
pag.
10
Alborelle nel lago di Lugano:
un’idea che prende consistenza
pag.
11
Tanghi frementi, scambi di coppia,
lepri e levrieri: sott’acqua l’amore è così
pag.
14
La biologia dell’alborella
pag.
20
Istruzioni tecniche
pag.
32
Cacciatori d’immagini
pag.
40
Alborelle in carpione
pag.
45
Nota del Direttore
Questo secondo “Quaderno di Pesca” affronta un tema a dir poco essenziale
per il mondo della pesca. Infatti l’argomento trattato è l’alborella: un pesce che
nel passato, nel presente e nel futuro ha un posto di primaria importanza per
tutti i pescatori, siano essi di professione o dilettanti. Le traversie che questo
popolamento ha vissuto negli anni a cavallo col nuovo secolo sono cosa nota a
tutti, per cui non spenderemo altro spazio.
Dell’alborella ci parla il dottor Alberto Negri, noto biologo e studioso degli
ambienti lacuali, in particolare del Lario. Un suo studio su questo ciprinide,
commissionatogli dall’Amministrazione provinciale di Como nel 1996 riguardava i “Risultati della sperimentazione sull’utilizzo dei substrati artificiali per
la fase di riproduzione dell’alborella”.
Da questa approfondita e completa analisi sono state estrapolate le parti più
significative alle quali Negri ha aggiunto i risultati ricavati dagli studi continuati sull’argomento dal 1996 ad oggi.
Penso che i lettori sapranno apprezzarne la serietà e la completezza, ricavandone tutte le informazioni necessarie per un’opinione davvero esaustiva.
Alla pubblicazione hanno dato il loro contributo l’Assessore alla pesca Gianluca Rinaldin che sottolinea l’importanza data nel tempo dal suo Assessorato
a questo ciprinide; il presidente del Servizio Federale Acque (SFA) della FIPSAS Gianrodolfo Ferrari che che incoraggia la nostra rivista a continuare la
sua opera di informazione. Ezio Merlo, presidente della Federazione Ticinese
Acquacoltura e Pesca (FTAP) il quale afferma la sua concreta speranza un
ritorno dell’alborella nelle acque del Ceresio, grazie ad alcuni esperimenti di
riproduzione “assistita” effettuata la scorsa primavera in una zona di questo
lago.
Dal tecnico faunistico della Provincia, Carlo Romanò apprendiamo come si
costruisce nella pratica un letto di frega per alborelle, mentre da Stefano Briccola del Centro Sub Nettuno vengono espresse alcune considerazioni sui lavori subacquei eseguiti a supporto di queste iniziative.
Infine il prof. Ettore Grimaldi ci onora delle sue straordinarie capacità divulgative raccontandoci in modo simpatico di quello che succede nelle vicende
amorose dei pesci.
Anche questa seconda opera, a nostro avviso è sicuramente meritevole d’essere conservata tra le cose più care ai pescatori ma, anche di chi semplicemente
si occupa di natura e ambientalismo.
Giovanni Maccarrone
5
Intervento dell’Assessore provinciale
Caccia e pesca
Di sicuro, nessuna specie ittica è mai stata coccolata ed amorevolmente accudita come è successo all’alborella del lago di Como in questi ultimi anni.
Abbiamo studiato il suo ciclo vitale fin nei minimi dettagli, l’abbiamo protetta
dall’eccessivo prelievo di pesca e le abbiamo persino messo a disposizione un
gran numero di “letti nuziali” per la deposizione delle uova.
Tutto questo interesse per il minuscola pesciolino è nato verso la metà degli
anni novanta, quando ci si è resi conto che l’onnipresente alborella, in realtà,
si andava rarefacendo un po’ dappertutto.
La Provincia di Como ha avuto senz’altro il merito di affrontare la questione
con il massimo impegno ed anche con un discreta tempestività. Tra il 1994 e il
1997 abbiamo portato a termine la fase conoscitiva e sperimentale, raccogliendo il maggior numero possibile di informazioni scientifiche sulla biologia della
specie, e quindi abbiamo attuato una strategia basata sulla limitazione del prelievo di pesca e sulla realizzazione dei letti artificiali frega.
Forse siamo stati fortunati, fatto sta che in questi ultimi anni l’aumento della
popolazione di alborelle nel Lario è un fatto certo, attestato dalle testimonianze dei pescatori e dai rilevamenti degli ittiologi.
Se abbiamo ottenuto buoni risultati, gran parte del merito va attribuito senz’altro ai pescatori dilettanti e professionisti, che hanno compreso ad accettato prolungate e severe restrizioni alla loro attività. In particolare, tutte le associazioni hanno svolto con grande lungimiranza ed efficacia una costante
opera di intermediazione e ci hanno permesso di operare con il “consenso”
della maggior parte dei pescatori.
Questo libretto,per me, è prima di tutto la testimonianza di un successo, giunto dopo un lavoro “di squadra” lungo ed impegnativo e proprio per questo,
particolarmente gratificante.
Se, poi, la nostra esperienza dovesse rivelarsi utile a qualche altro soggetto che
opera nel settore della pesca, ne trarrò un ulteriore motivo di piacere e di orgoglio.
Gianluca Rinaldin
7
CONTINUITÀ E PARTECIPAZIONE
Ho pensato di concentrare in un questi due parole, le esperienze vissute in
questi anni, nell’ambito delle attività ittiogeniche e di gestione delle acque in
particolare sul tema delle alborelle, in collaborazione con l’Ufficio Pesca della
Provincia di Como.
Sin dall’inizio di questa proficua collaborazione tra associazionismo sportivo e
Ente pubblico, come ho avuto modo di scrivere nella precedente edizione di
“Quaderni di pesca del Lago di Como”, la preoccupazione principale è sempre
stata (e lo è tuttora) quella di mantenere una certa e tangibile continuità di
idee, di progetti, di realizzazioni.
L’inizio di ogni avventura è sempre carico di particolare entusiasmo, di energie
fresche, di voglia non solo di fare ma a volte anche di strafare.
In tanti si propongono per dare una mano. La novità è sempre un ottimo carburante per realizzare progetti e portare avanti iniziative.
Quando invece ci si deve riproporre, rimettersi in discussione, ricominciare un
nuovo capitolo, ogni cosa assume un aspetto diverso. Il tempo diventa più
tiranno, si nota con maggior evidenza la fatica e l’effervescenza della novità
non risulta più efficace come all’inizio.
Questa è una situazione tipica e frequente nelle esperienze dell’associazionismo sportivo. E d’altra parte non si possono biasimare ne colpevolizzare i
responsabili di questa o quella associazione perché non c’è più l’entusiasmo
iniziale. Il volontariato ha le sue regole, i suoi tempi, le sue abitudini i suoi alti
e bassi, e con queste situazioni bisogna confrontarsi senza pretese e senza presunzioni.
Ho voluto fare questa lunga premessa proprio per sottolineare il valore di questa seconda pubblicazione, che è frutto di un grande impegno, di una grande
passione da parte di tante persone che avevano partecipato alla realizzazione
del primo progetto monografico “Nursery per il persico”
Queste persone, che mi onoro di poter chiamare amici della Associazione dei
pescatori comaschi, hanno avuto il pregio di rimettersi in discussione, di tornare sul campo di lavoro (il nostro lago) di cercare il miglioramento della qualità dell’opera realizzata, di ritornare a coinvolgere tanti appassionati del
mondo della pesca, su un tema estremamente importante per gli equilibri biologici delle acque lariane e del loro popolamento ittico.
Oltre alle ovvie e mai sufficienti parole di ringraziamento per i volontari dell’Associazione che hanno partecipato direttamente alla realizzazione di questo
lavoro, (penso in particolare ai subacquei che hanno effettuato una notevolissima serie di immersioni per la raccolta del materiale video e fotografico) vor9
rei sottolineare un aspetto legato alla vicenda delle alborelle, che ritengo particolarmente interessante.
La pesca all’alborella è sempre stata una delle più conosciute e diffuse tecniche di pesca tra i pescatori dilettanti. Quando questa specie ha iniziato un
declino via via sempre più preoccupante, sino a temere per una sua totale
scomparsa, i primi interventi di radicale sospensione delle possibilità di pesca
ebbero un impatto piuttosto negativo presso la base dei pescatori dilettanti.
Veniva a mancare la possibilità di praticare una tipologia di pesca tra le più diffuse, tra le più apprezzate, anche perché alla portata di ogni pescatore sia sotto
il profilo dell’età, delle capacità, delle possibilità economiche. Era il classico
pesce per tutti e, cosa non disprezzabile, anche con un riconosciuto valore alimentare e gastronomico.
In questa situazione è risultato di notevole importanza per l’Ente pubblico
avere un interlocutore come l’Associazione provinciale dei pescatori dilettanti, in quanto è stato possibile relazionarsi correttamente e in modo esauriente
nei confronti della base dei pescatori, cercando e riuscendo a coinvolgerli in un
lungo progetto di recupero della specie, sacrificando una importante fetta delle
proprie passioni di pesca. Fortunatamente questi sacrifici hanno permesso il
recupero di questa specie consentendo in modo graduale e controllato di tornare a praticare la pesca nei suoi confronti.
Sempre in quest’ottica, proseguirà questo sistematico monitoraggio che a fronte di nuovi e auspicabili miglioramenti del popolamento presente, si spera
possa consentire un incremento proporzionato e sopportabile della pressione
di pesca praticata dai pescatori dilettanti.
Luigi Guglielmetti
Pres. APS Como - FIPSAS
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Intervento del Presidente Nazionale
SFAI-FIPSAS (Servizio Federale Acque e Impianti)
Puntualmente, a distanza di un anno dalla pubblicazione del primo opuscolo
illustrativo delle operazioni atte a favorire la riproduzione del pesce persico,
ecco apparire la pubblicazione relativa ad un’altra specie tipica del nostro lago,
tanto cara ai pescatori, siano essi dilettanti o professionisti, e la cui sopravvivenza tante preoccupazioni ha destato ad ogni livello.
Questa puntualità è un chiaro segno, se pur ce ne fosse stato bisogno, della
serietà di intenti della Associazione Provinciale dei Pescatori Sportivi, della
tempestività e puntualità con la quale la stessa affronta i problemi più rilevanti che coinvolgono tutti i pescatori.
Nei numeri della rivista sin qui pubblicati sono state riprodotte alcune pagine
del “Corriere del Pescatore” e se ne è sottolineata l’importanza per l’attenzione che con quella pubblicazione veniva data ai problemi della pesca in ogni suo
aspetto.
In effetti, è strano, per non dire incomprensibile, come nel territorio di una provincia così ricca di acque importanti per la pesca amatoriale e professionale, e
in un contesto sociale dove attività certamente meno diffuse e importanti della
pesca, anche sotto il profilo socio-economico, non vi sia stato nulla a riempire
il vuoto temporale - quasi sessant’anni - intercorso tra il “Corriere del Pescatore” e “A pesca nel lago di Como…e dintorni”.
Solo una rubrica, settimanale, sul quotidiano locale, che tratta, nel medesimo
contesto, caccia e pesca.
La rivista, deve quindi proseguire nel cammino coraggiosamente iniziato e, così
facendo, non solo colmerà quel vuoto, ma diventerà un’opera destinata a rimanere nel tempo come punto di riferimento e di consultazione per tutti gli
appassionati pescatori ….e dintorni.
Gianrodolfo Ferrari
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Alborelle nel lago di Lugano:
un’idea che prende consistenza
Da diversi anni (seconda metà del decennio passato) le alborelle non ci sono
più nel lago Ceresio. E pensare che, sino a metà degli anni Novanta, esse rappresentavano certamente il pesce più… popolare e anche il piatto più apprezzato.
Nel lago di Lugano era come se piovesse: l'acqua ribolliva, mostrando ogni
tanto qualche luccichio quando l’alborella metteva fuori la coda o la testa.
Nulla poteva disperdere il branco di questi ciprinidi. Potevi passare in mezzo
con la barca a motore, generando scompiglio, ma cinque minuti dopo – magari a distanza di 30-40 metri – rivedevi «piovere» e sapevi che il «banco» si era
regolarmente ricomposto. Insomma, alborelle a migliaia, anzi a milioni, soprattutto a riva, al momento della frega.
Tutto questo, però, da anni è soltanto un ricordo. Sì perché questo straordinario pesciolino – una leccornia per i buongustai e un autentico «divertissement»
per i pescasportivi (al ponte-diga di Melide, in tre ore di gara, era agevole superare le 500 catture per concorrente) – è scomparso. Le ragioni di questa «débacle» non sono note.
Si fanno delle supposizioni, ma non vi è niente di certo e, comunque, oggigiorno è inutile star qui ad arrovellarsi il cervello su un fenomeno, che è comunque
lì da vedere e soprattutto da constatare amaramente ogni giorno in cui si va sul
lago a pescare.
L’importante è guardare avanti, cercare di rimediare, possibilmente «reimpiantare» l’alborella da noi poiché è un pesce essenziale per il nostro ambiente e la nostra pesca, per il passatempo di migliaia di appassionati della lenza, a
cominciare proprio dai ragazzini alle prime armi con la canna fra le mani.
Oltretutto, in Ticino ci si è forse attardati troppo nel discutere e studiare la
scomparsa di questa specie ittica e il contemporaneo insediamento del gardon
(quest’ultimo nel frattempo letteralmente «esploso» nel Ceresio), mentre
altrove si è passati all’azione, ai rimedi.
È il caso, proprio, del lago di Como, ove i risultati di un’energica e diversificata azione di recupero non si sono fatti attendere, talché vi sono buone ragioni
per parlare di una ripresa incoraggiante di questa specie indigena, a tal punto
da aver allentato un poco le maglie nei regolamenti di pesca per dilettanti e
professionisti.
Ma anche sul lago di Varese e su quello di Monate, come certamente i pescatori sanno, gli esperimenti sistematici per la reintroduzione dell’alborella sono
in corso da alcuni anni con bilanci rallegranti per la «rinascita» di questo mera12
viglioso pesciolino dalla livrea argentata.
Sono proprio queste circostanze – abbinate alla ferma determinazione della
F.T.A.P. ad aver indotto a richiedere a gran voce l’attuazione di un progetto a
favore dell’alborella, considerando come essa rappresenti un foraggio eccezionale, per non dire insostituibile, per tutti i pesci predatori del lago. E, inoltre, è
un’«esca» di vivo interesse per il turismo, la pesca dilettantistica, la gastronomia regionale.
Il cammino per arrivare alla messa in opera dei provvedimenti non è stato
comunque facile, sia perché è stato necessario intessere intense relazioni fra
pescatori e società al di qua e al di là della «ramina», sia perché – occorre pur
riconoscerlo – in un primo tempo, a livello di istanze ticinesi competenti, vi era
una buona dose di scetticismo nei confronti di questo esperimento di reintroduzione artificiale dell’alborella.
Ad ogni buon conto, la diffidenza è stata poi eliminata sia grazie all’esplicito
consenso manifestato dalla Sotto-Commissione Italo-Svizzera per la pesca
nelle acque promiscue e in particolar modo dal suo Presidente il Prof. Ettore
Grimaldi, che ha anzi incoraggiato quest’iniziativa, sia alla luce delle prime
risultanze positive emerse sulla base delle sperimentazioni nel frattempo
attuate dalla ditta Graia di Varano-Borghi nei laghi di Varese e di Monate su
mandato dell’Amministrazione provinciale di Varese.
E così, nella tarda primavera 2003 – grazie al diretto coinvolgimento della
Società pescatori Stretto di Lavena/Ponte Tresa e il contributo finanziario di
vari organismi, fra cui la Federazione ticinese di acquicoltura e pesca (Ftap) e
l’Associazione ticinese per l’acquicoltura e la pesca artigianale con reti (Assoreti) – è stata data luce verde al progetto, dai chiari contenuti ” Insubrici ”, per
«ricreare» nel lago di Lugano questo importante pesciolino.
Si è individuata una zona idonea, in corrispondenza dell’abitato di
Lavena/Ponte Tresa, in prossimità dello Stretto di Lavena: un litorale «storicamente» frequentato in passato dalle alborelle per la frega, realizzando tutt’attorno un’adeguata protezione.
Per il reperimento di alborelle si è fatto capo al Lago Maggiore, dove erano
state posate oltre 300 cassette contenenti ghiaia di frega artificiale nel golfo di
Caldé e alla foce del fiume Tresa (in territorio di Luino-Germignaga).
La metodologia applicata dalla Graia, responsabile dell’intervento ittico con il
dott. Cesare Puzzi in prima linea, prevedeva che – allorquando i pesci effettuavano la deposizione delle uova – entro 24-36 ore si dovevano trasferire le
cassette con la ghiaia e le uova fecondate nelle aree selezionate del lago di
Lugano e predisposte per la protezione dai predatori.
In dettaglio, il 9 giugno sono state spostate da Caldé 73 cassette, di cui 37 a
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destinazione del Ceresio, con complessive 160.000 uova fecondate; il 13 giugno,
in occasione della seconda frega, sempre dal golfo di Caldé sono state spostate in totale 18 cassette, di cui 15 portate nello Stretto di Lavena con 75.000
uova.
Per contro, la riproduzione non si è avuta sulla Tresa, sotto il ponte di Germignaga, a causa della persistente secca meteorologica, per cui le alborelle non
sono riuscite a risalire la soglia all’altezza dello stramazzo e, dunque, la frega
non si è manifestata in quel sito.
Da rilevare, inoltre, che parellamente si è provveduto al recupero di un certo
quantitativo di alborelle adulte prelevate dal sempre dal lago Maggiore (nella
zona di Caldé) con la rete bedina ad aprile (da pescatori professionisti), e
immesse nel Ceresio, operazione che per diversi fattori non ha avuto l’esito
sperato, sicché si ripeterà l’operazione nell’inverno 2003-2004.
In totale, nello Stretto di Lavena si sono schiuse circa 235.000 uova, diventate
altrettanti avannotti di alborelle. Soltanto fra qualche mese si disporranno i
dati complessivi su questa prima fase dell’esperimento di reintroduzione dell’alborella nel lago di Lugano, anche se si ha motivo di ritenere che parecchi di
questi pesciolini siano finiti in… pasto a predatori, soprattutto luccioperca e
grossi gardon nonché gamberi.
L’intenzione, comunque, è quella di ripetere – oltre che di affinare –
l’azione sull’arco dei prossimi cinque anni.
I pescatori ticinesi credono fermamente nel ritorno dell’alborella
per cui sono convinti anche della bontà dell’idea e, d’altra parte,
anche le istanze competenti della Provincia di Como, sembrano
intenzionate a fare altrettanto nel golfo di Porlezza.
Ezio Merlo
Pres. Federazione Ticinese Acquicoltura e Pesca
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TANGHI FREMENTI, SCAMBI DI COPPIA, LEPRI E
LEVRIERI: SOTTACQUA L’AMORE È COSÌ
di Ettore Grimaldi
“Sai che ho già visto le prime freghe di…? “Siamo ormai in piena estate e ci
sono ancor delle freghe di… Che annata balorda!” “Possibile che i periodi di
divieto non coincidano mai bene con i periodi di frega, quelli veri?” “Che pretese, bisognerebbe modificarli di anno in anno e magari anche metterne di diversi a seconda del lago e del fiume!” “ Certo che attaccare la canna al chiodo per
tutto questo tempo è un bel sacrificio! Non è che questo divieto sia troppo
lungo?” “Ma non sai che macello sarebbe se non ci fosse?” “In compenso però
a cose fatte, con l’appetito che gli viene, ci concedono una bella rivincita!”
“Quanti avannotti di…..! Questa volta la frega è andata proprio bene, fra un
paio d’anni dovremmo cominciare a vederne i risultati”.
Basta, fermiamoci a questo smilzo campionario: perché di constatazioni,
domande, arrabbiature, proposte, speranze riguardanti la riproduzione dei
pesci ce ne sono tali e tante nei discorsi dei pescatori da riempirne volendo ben
altri spazi. Né potrebbe del resto essere diversamente, consapevoli come siamo
tutti che l’annuale ripetersi di tale evento – sempre atteso, sempre spettacolare, sempre nuovo da vedere – rappresenta la polizza che garantisce nel tempo
la nostra attività, per divertimento o per mestiere che sia. Infatti, riducendo la
questione all’osso, possiamo dire che la riproduzione – dei pesci come di ogni
altro essere vivente – miri a sostituire un individuo di una determinata generazione con un altro individuo appartenente a quella successiva, in un “passaggio di testimone” che non ha mai fine. Anche se poi in natura le cose possono procedere in modo molto diverso a seconda delle condizioni ambientali
in cui la riproduzione stessa si svolge (soltanto nella nostra specie sono di
norma mamma e papà a stabilire quanti bebè devono venire al mondo): quando esse sono particolarmente favorevoli infatti il numero dei figli può superare alla grande quello dei genitori; se decisamente sfavorevoli, invece, la nuova
generazione potrà risultare all’opposto assai più scarsa di quella che l’ha preceduta. Nel caso particolare dei pesci, la continuità fra generazione e generazione è sostanzialmente il prodotto di due fattori: il numero di uova deposte
dalla femmina e le attenzioni prestate ad esse ed ai giovani che ne derivano da
uno o da entrambi i genitori. Sicchè nelle specie ittiche in cui queste ultime
sono ridotte o mancano del tutto è giocoforza che la fecondità sia molto elevata; al contrario nelle specie che presentano delle cure parentali efficaci essa
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potrà ridursi in misura assai notevole.
Un conto è però fare un’affermazione generale e generica come questa, un
altro è poter dire di saperne abbastanza degli affari di cuore delle singole specie di pesci. A proteggerne la privacy – ben più efficacemente di quanto non
avvenga per mammiferi, uccelli, rettili, anfibi – è come ovvio il loro vivere in
acqua, in un ambiente cioè che tende a respingere ogni nostra intrusione. Né vi
è per forza bisogno di pensare a pesci che conducono l’esistenza a centinaia o
a migliaia di metri di profondità: perché possono anche bastare pochi palmi di
liquido sopra di noi per rendere ardue le nostre esplorazioni e confuse le
nostre osservazioni. Cercare allora di effettuarle in laboratorio? Per le specie
ittiche di grandi dimensioni questa via ci è evidentemente sbarrata in partenza
in quanto esse andrebbero ospitate in vasche di dimensioni proporzionate in
cui lo studio dei pesci si farebbe problematico più o meno come in natura;
senza contare che in volumi d’acqua del genere risulterebbe di fatto impossibile ricreare – se mai fossero conosciute – le specifiche condizioni ambientali
richieste per riprodursi da quel determinato pesce. Non vi è quindi da meravigliarsi se, fra tutti, quelli di cui conosciamo di gran lunga meglio le abitudini
riproduttive sono i minuscoli pesci ornamentali d’acqua dolce – nella stragran-
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de maggioranza di origine tropicale ed equatoriale – nei cui piccoli acquari trasparenti può risultare abbastanza facile ricreare le condizioni ambientali verosimilmente necessarie e al tempo stesso effettuare osservazioni sistematiche ed
accurate. In tutto approssimativamente duecento specie, alle quali se ne possono aggiungere un centinaio di altre – di taglia maggiore – allevate a scopo
alimentare in condizioni di pescicoltura estensiva.
Fra tutte davvero poche rispetto alle altre ventimila specie ittiche che si conoscono nel mondo. E i pesci che ci interessano di più, quelli che peschiamo nelle
nostre acque dolci? Fino a una ventina di anni fa ne sapevamo soltanto quello
che della loro frega si può vedere “dal di fuori”, che non è certo molto. Poi fortuna ha voluto che arrivasse Gianfranco Giudice a mostrarci per primo quanto di strepitosamente bello e interessante ci fosse da osservare e da documentare sottacqua anche nei nostri laghi e nei nostri fiumi. E da allora quanti
segreti d’alcova sono caduti nel mondo dei nostri pesci, quanti loro rituali amorosi sono stati svelati del tutto agli stessi studiosi di ittiologia! Offuscata e fugace ai nostri occhi di osservatori terrestri, la visione dei pesci di casa nostra
impegnati nella riproduzione ha assunto infatti ben altra chiarezza e completezza davanti all’obbiettivo subacqueo di Gianfranco e di chi si è poi unito a lui
in questi strepitosi reportage lacustri e fluviali; tanto da poterne ormai parlare,
per molte specie, con dovizia di particolari.
In fatto di rapporti amorosi è davvero il caso di dire che nei pesci se ne vedono proprio di tutti i colori; un po’ come (il paragone è a dir poco sballato ma
rende bene l’idea….) se ne vedono nella nostra specie: da Lui e Lei tutti moine
e ardori alla signora un po’ biricchina che di corteggiatori ne pretende una fila
lunga così; dal “fusto” a caccia di amiche usa e getta agli sfrenati protagonisti
di gigantesche ammucchiate…. Insomma, al di là di questo frasario scherzosamente umanizzato, ciò che si vuole sottolineare qui è l’estrema variabilità delle
strategie riproduttive dei pesci, anche di quelli che vivono nelle nostre acque;
che tuttavia, a scopo di semplificazione, possono essere raggruppati in poche
categorie fondamentali.
Qual è il classico identikit di un pesce che pratica la riproduzione di coppia?
Vive di solito in vicinanza del fondo ed è quindi per lo più litorale; solitario o
moderatamente socievole si sceglie spesso un “territorio” che poi difende dalla
intrusione dei suoi simili; i due sessi si distinguono facilmente – soprattutto
durante la frega – per via della diversa colorazione (solitamente più vistosa nel
maschio) e di altre eventuali caratteristiche esterne. Un esempio per tutti? Il
piccolo persico sole, yankee di origine ma ormai “nostrano” a tutti gli effetti:
un po’ più pallida con striscie longitudinali sui lati la femmina; a colori più vivi
il maschio, con una bella macchia nera bordata di rosso e di bianco all’estre17
mità posteriore dell’opercolo branchiale. E’ lui che in vista delle nozze si mette
d’impegno a ripulire con bocca e coda un’area tondeggiante di fondo del diametro compreso fra dieci e quaranta centimetri circa, conducendovi poi (non
sempre con modi soavi…) la sposa prescelta che subito impegna – guancia contro guancia, fianco contro fianco – in un fremente tango alla Astor Piazzolla.
Come resistere a tanta passione? Languidamente adagiata su un fianco, il ventre in evidenza, la femmina dichiara la resa al suo partner, che subito feconda
le uova da essa deposte. Ciao cara, è stato bello con te! Il congedo è spiccio e
a volte anche un po’ brusco , ma c’è da capirlo; perché da amante appassionato il maschio deve in quattro e quattr’otto trasformarsi in tenerissimo padre
che per quindici-venti giorni accudirà alle uova e ai fragili figlioletti con scrupolo e abnegazione, difendendoli altresì indomitamente da ogni malintenzionato. E come lui si comportano dal più al meno i maschi di altri nostri pesci che
praticano questo tipo di riproduzione, dal grosso e voracissimo persico trota al
minuscolo ghiozzo. Tutte specie – queste e tantissime altre, in mare come in
acqua dolce – che in virtù appunto di queste efficaci cure prestate alla prole dal
padre, dalla madre o da entrambi, non hanno di norma bisogno di una elevata
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fecondità (ricordate?) per assicurarsi la continuità nel tempo, generazione
dopo generazione.
E’ l’opposto di ciò che avviene quando la riproduzione si realizza invece secondo la formula “più maschi per un’unica femmina”, che escludendo da parte dei
genitori specifici comportamenti in difesa della propria discendenza, di uova
da deporre ne richiede davvero parecchie, destinate come sono a fare, nella
stragrande maggioranza, una brutta fine. Rispetto a quelle della categoria precedente le specie ittiche che adottano questa seconda strategia riproduttiva
tendono ad essere decisamente più socievoli e le differenze esterne fra i due
sessi sono in esse spesso irrilevanti. Ora, avete presente un “cinodromo”, una
di quelle piste in cui i levrieri inseguono a perdifiato ciò che ritengono essere
una lepre o qualcosa di simile e la gente intorno ci scommette sopra un sacco
di soldi? Ebbene, nella frega di questi pesci le cose vanno più o meno così, con
una femmina al posto della finta lepre e un tumultuosissimo codazzo di maschi
– più snelli e spesso anche più piccoli – al posto dei cani, lanciati in un inseguimento sfrenato. Al levriero più veloce il privilegio di addentare, almeno per un
istante, la sua preda fasulla; al più rapido e resistente di quei maschi – di cavedano, di scardola, di tinca, di savetta, di pigo, di carpa, ecc. ecc. ecc. – il premio
altrettanto ambito di fecondare le uova della maliarda in fuga. Che espulse con
forza nell’acqua dal suo ventre rigonfio vanno poi ad appiccicarsi come capita,
a seconda della specie, sulla ghiaia, sulla sabbia, fra i sassi, sulle foglie e sugli
steli delle piante acquatiche, alla mercè purtroppo di tante bocche affamate e
delle onnipresenti muffe. Una strategia riproduttiva senza senso allora? Ma no,
nelle scelte che contano Madre Natura – diversamente dall’uomo – di fesserie
non ne fa: innanzitutto, lo abbiamo già detto, in quanto ha dotato le femmine
di questi pesci di una fecondità tale da compensare anche perdite di uova (e di
giovani) particolarmente elevate; e in più perchè esse, dando la preferenza
nella fecondazione al corteggiatore – inseguitore maggiormente in forma, realizzano una efficace “selezione atletica” che ripetuta sistematicamente nel
tempo rafforza le capacità di successo della sua specie nelle tante dure prove
della vita.
Ma se già in questi pesci lo stimolo riproduttivo può riunire insieme per un
certo tempo un gran numero di individui che con la loro vivacissima attività
non passano di certo inosservati, dimensioni e manifestazioni ancora più vistose può assumere la frega quando abbia per protagoniste delle specie ittiche
gregarie, che conducono cioè un’esistenza rigidamente e ininterrottamente
collettiva. I loro branchi possono infatti avere dimensioni davvero clamorose,
formati come sono da migliaia di individui che, a stretto contatto di pinne, si
muovono in sincronia perfetta alla ricerca di cibo; e allo stesso modo si impe19
gnano annualmente – una volta divenuti adulti – in una riproduzione di massa.
Che può avere luogo in piena acqua, dove queste specie (perciò chiamate
“pelagiche”) in prevalenza vivono; ma comporta invece per molte altre un
temporaneo trasferimento in acque litorali, dove va in scena il loro tumultuoso show amoroso.
Qui il pensiero di uno come me e come voi non può che andare subito alla
minuscola, argentea alborella, autentico pesce-simbolo dei nostri laghi che da
molti anni ormai ci fa stare col fiato sospeso per via del suo drammatico calo.
Istintivo perciò, ad ogni ritorno di primavera, andare a spiarne le freghe lungo
il contorno del lago, cercando di capire dalla loro diffusione e dalla loro densità come si stiano mettendo le cose per questo pesciolino dall’abbondanza un
tempo quasi infestante. E sempre, come fosse la prima volta, ci si perde cogli
occhi dietro a quel brulicare fittissimo di piccole sagome intrecciantisi confusamente fra loro, in modo sempre diverso, sui sassi e sulla ghiaia, dibattendosi
in acqua sempre più bassa sino a fuoriuscirne anche del tutto. Un inestricabile
“ciapa ciapa” – per dirla in dialetto – di pesciolini assatanati in cui è già un’impresa distinguere un maschio da una femmina, tanto si rassomigliano. Sicchè
l’impressione che se ne ricava è quella di una riproduzione “comunitaria” in
cui uova e spermatozoi, emessi contemporaneamente nell’acqua da moltissimi
individui, si mescolino e si incontrino del tutto a caso.
Ma sarà proprio così? A tale riguardo la stessa osservazione subacquea fatica
a dare risposte sufficientemente precise, non facilitata di certo oltretutto, nel
caso dell’alborella, dalle profondità veramente minime a cui va effettuata. Gli
ittiologhi sono comunque propensi a ritenere che anche la cosiddetta “riproduzione di massa” rappresenti in effetti – quantomeno nella grande maggioranza dei casi – la somma di tanti singoli episodi riproduttivi del tipo “più
maschi per un’unica femmina”. Semmai le specie ittiche gregarie che la praticano mostrano una particolare spregiudicatezza amorosa, come quando fra gli
inseguitori di una femmina ve ne è uno che di botto lascia il suo gruppo per
passare ad un altro dove gli sembrano esserci maggiori probabilità di successo,
ripetendo magari più volte questa manovra; o quando a fare da “lepre” a un
gruppo di “levrieri” non ci sia come di norma una sola femmina bensì un paio
o anche più. Tornando poi in particolare alla nostra alborella, vi è altresì da
considerare che essa non depone tutte le uova in una sola volta bensì “a spizzico”, ad intervalli più o meno ampi; e che quindi ad ognuna di queste deposizioni parziali corrisponde necessariamente un completo rimescolamento dei
partner.
Per finire una curiosità più che legittima: tutti uguali come sono dal di fuori al
pari dei Cinesi ai tempi di Mao Tse-tung, come faranno mai maschi e femmine
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di alborella (e di tanti altri pesci gregari) a riconoscersi reciprocamente senza
dare luogo a ….. spiacevoli equivoci? E’ tutta questione di naso rispondono gli
studiosi: durante la riproduzione gli adulti di queste specie emettono nell’acqua particolari sostanze odorose che ne dichiarano con certezza l’appartenenza all’uno o all’altro sesso. Nei maschi in particolare è stato individuato un
composto (il nome “copulina” è già un programma) che annusato dalle femmine le farebbe andare fuori di testa all’istante. Sapete, come i giovanotti della
pubblicità, quelli “che non devono chiedere mai”!
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Navèt con un’eccezionale pescata d’alborelle - Bellano (archivio fotografico
Associazione Culturale L. Scanagatta Varenna - dal Libro “Breva e Tivano
Motori Naturali”)
LA BIOLOGIA DELL’ALBORELLA
di Alberto Negri
Tra il 1994 e il 1995 è stata condotta un’indagine molto approfondita sulla biologia dell’alborella del lago di Como. Si riporta una sintesi (molto ristretta!) di
questo studio.
Accrescimento lineare annuale
Nella tabella seguente sono riportati i dati relativi all’accrescimento lineare
dell’alborella, calcolati mediante l’analisi delle scaglie (maggio 1995):
Si nota che l’alborella si accresce maggiormente nei primi tre anni di vita, raggiungendo una lunghezza media di circa 10 cm a 3 anni (figura 1). Dal terzo
anno in poi si ha un accrescimento più limitato che risulta annualmente inferiore ad 1 cm .
23
Accrescimento lineare per sessi
Nelle seguenti tabelle è riportato il quadro riassuntivo delle lunghezze medie
reali e teoriche per le singole classi di età relative all’analisi delle frequenze di
lunghezza:
Nella figura 2 è evidenziato il confronto tra l’accrescimento assoluto annuale
dei due sessi, ricavato dai valori della precedente tabella. A partire dal terzo
anno si rileva nei maschi un accrescimento annuale inferiore di 3-4 mm rispetto alle femmine.
Figura 2 - ALBORELLA
Accrescimento lineare annuale: confronto sessi (dati lunghezze)
24
Accrescimento lineare mensile
Nelle figure 3 e 4 è visualizzato l’incremento lineare relativo ai singoli mesi in
base alle curve teoriche delle classi di età 1+ e 2+.
Per quanto riguarda la classe 1+/2+ il periodo di maggiore accrescimento e’
sempre compreso tra maggio (4,3 mm) e luglio (5 mm), con un massimo nel
mese di giugno (6,3 mm). A settembre l’incremento teorico è di soli 0,2 mm.
La classe 2+/3+ evidenzia un massimo di accrescimento tra giugno e agosto. A
settembre l’incremento teorico è di 0,8 mm, superiore quindi alle classi più
giovani.
La classe 3+/4+ evidenzia un massimo di accrescimento in luglio (3,2 mm) e
agosto (3,4 mm). A settembre l’incremento teorico è ancora di 1,6 mm.
Le figure esaminate sembrano quindi evidenziare un accrescimento più precoce, in prevalenza nel periodo primaverile, per le classi giovani. Le classi di età
2+ e 3+ sembrano al contrario evidenziare un accrescimento scarso nei mesi
primaverili, più rilevante durante la stagione estiva.
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Rapporto dei sessi
Poichè nell’alborella la determinazione del sesso risulta agevole solamente
durante il periodo riproduttivo, è’ stata quindi effettuata un’analisi su campioni significativi dei mesi di maggio e giugno per le classi di età da 2 a 5 anni. I
risultati sono riportati nelle seguenti tabelle in termini percentuali:
Per quanto riguarda il campione totale risulta pertanto un rapporto medio pari
al 45 % di maschi e 55% di femmine, avvicinandosi quindi ad un rapporto 1:1.
Esaminando i valori relativi alle singole classi di età risulta al contrario evidente una prevalenza dei maschi nelle classi più giovani (62% nella classe 2
anni) ed una netta prevalenza delle femmine nelle classi più adulte (figura 8).
Tale fenomeno è stato riscontrato anche per altre specie ittiche del lago di
Como quali l’agone ed i coregoni.
Questo tipo di evoluzione potrebbe essere imputabile o ad una effettiva minore longevità dei maschi rispetto alle femmine, o alla maggiore probabilità di
cattura dei maschi sulle zone di frega durante il periodo riproduttivo, che ne
determinerebbe un più elevato tasso di mortalità. Il minore accrescimento dei
maschi determina inoltre un aumento del periodo di selezione delle reti legali.
26
Età di prima riproduzione
L’età di prima riproduzione rappresenta un dato primario per la gestione di
una specie, in quanto qualsiasi tipo di sfruttamento della popolazione definibile come razionale non può prescindere da una più o meno consistente tutela
della prima classe riproduttiva. La ragione di ciò è ovvia: come esempio estremo è infatti evidente che una popolazione in cui nessun soggetto raggiunge la
prima riproduzione è destinata all’estinzione.
L’età di prima riproduzione è stata stabilita verificando la presenza di gonadi
mature nei maschi e nelle femmine di classe 1 e 2 anni. I dati, relativi al campione del maggio 1995, indicano l’assenza di soggetti maturi nella classe di età 1 anno.
Una maturità prossima al 100% è invece rilevabile per i maschi al secondo anno
di vita, mentre per le femmine la percentuale di soggetti maturi è pari all’82%.
Per quanto riguarda l’alborella si può quindi affermare che l’età di prima
riproduzione coincide con il secondo anno di vita, con una percentuale di
maturazione superiore per i maschi (100%) rispetto alle femmine (82%).
Alborella (Alburnus alburnus alborella)
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Fecondità
Nella figura 6 vengono visualizzati i valori medi di fecondita’ per classi di eta’
relativi alla pescata del maggio 1995. Risulta evidente il notevole aumento di
fecondità dal secondo al terzo anno di età, con un incremento pari al 65% del
numero di uova deposte. Dal terzo al quarto anno si rileva un incremento
meno consistente, pari al 33%. Dal quarto al quinto anno di età è invece riscontrabile una sostanziale stabilità del numero di uova, con anzi un’apparente tendenza alla diminuzione. Ciò non rappresenta un fattore anomalo: tutte le specie ittiche evidenziano una perdita di fecondità oltre un certo limite di età. A
conferma di tale dinamica nel campione del maggio 1994 sono state riscontrate 3 femmine di 13 cm (età superiore ai 5 anni) con ovaie completamente
immature, evidenziando quindi la presenza di un’elevata percentuale di femmine sterili nelle classi di età più elevate.
28
Calcolo del valore riproduttivo
Nella figura 7 è riportato il valore riproduttivo in relazione a quello del
primo anno. Si osserva un massimo di valore riproduttivo per le femmine corrispondenti al quarto anno di età, da cui si ricava che una femmina di 4 anni
in termini di riproduzione “vale” come 7.4 femmine di 1 anno. In altri parole
ciò significa che occorrono 7.4 femmine di 1 anno per ottenere nell’arco di
tre anni lo stesso numero di uova di una femmina di 4 anni. Un valore molto
prossimo è però quello relativo al terzo anno che risulta pari a 6.1, cioè una
femmina di 3 anni “vale” come 6.1 femmine di 1 anno. Il valore del 2° anno
risulta invece circa la metà, pari a 3.4. Questo dato sottolinea quindi la fondamentale importanza della tutela della seconda riproduzione nella dinamica
della popolazione di alborella.
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Navèt - Bellano (archivio fotografico Associazione Culturale L. Scanagatta
Varenna - dal Libro “Breva e Tivano Motori Naturali”)
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Mortalità totale
Il valore medio globale di Z risulta pari a 1,65, che traduce quindi una
sopravvivenza media annuale pari al 19%.
Non si evidenziano pertanto differenze significative del tasso di mortalità tra
diverse classi di età, come ci si potrebbe attendere in seguito all’entrata nella
selezione delle rete legale.
Nella figura 8 è illustrata l’evoluzione teorica di una coorte (o classe di nascita) di alborelle soggette ad un tasso di mortalità annuale dell’ 81%, in base a
quanto rilevato nel periodo di analisi. Risulta evidente che per ogni 160 soggetti al secondo anno di vita si ottiene, dopo tre anni, un solo individuo di 5
anni.
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ISTRUZIONI TECNICHE
di Carlo Romanò
Come è nata l’idea dei letti artificiali di frega per le alborelle
Alla fine degli anni novanta la popolazione di alborelle del Lario era ridotta ai
minimi termini.
Le Province di Como e di Lecco sono state “costrette” ad intervenire sull’attività di pesca, emanando norme molto drastiche ed impopolari.
Uno studio molto approfondito aveva però dimostrato che non era sufficiente
intervenire sulla pesca per ottenere un rapido incremento della popolazione di
alborella. Bisognava sostenere la riproduzione naturale della specie, la cui efficacia era minacciata dai seguenti fattori:
1
diminuzione delle aree di frega naturali per la diffusa artificializzazione
delle sponde;
2 perdita di uova per “soffocamento” a causa della copertura perifitica
del substrato di fondo;
3 perdita di uova per essiccamento a causa di improvvise diminuzioni
del livello del lago;
4 perdita di uova per “rottura” meccanica a causa dello sfregamento
causato dall’ondazione.
Si è pensato che la posa di ghiaia pulita, in aree protette ed a profondità sufficiente per mettere al riparo le uova dalle diminuzioni di livello del lago potesse rappresentare una buona soluzione del problema. Nel 1996 abbiamo realizzato il primo “letto artificiale”, che ha subito dato buoni risultati. Negli anni
successivi abbiamo proseguito ed intensificato questo tipo di interventi, “standardizzando” le località e le modalità di posa della ghiaia.
Di seguito riportiamo una sintesi della nostra esperienza, augurandoci che
possa risultare di utilità a qualcuno, ma senza la pretesa di insegnare niente a
nessuno
Il materiale prescelto
Nel Lario i letti di frega vengono realizzati con ghiaietto di fiume lavato, di diametro compreso tra i 2 e i 4 centimetri. Molto banalmente, ci siamo fidati dell’esperienza dei pescatori dell’Adda, che da moltissimi anni utilizzano questo
materiale per realizzare piccoli cumuli di ghiaia in acqua corrente (i cosiddet32
ti “geroli”) assai efficaci come letti di frega per le alborelle di fiume.
Le località di posa
È buona norma posare i letti di frega all’interno delle aree normalmente frequentate dalle alborelle per la riproduzione. E’ vero che alborelle ricercano
attivamente i tratti di litorale adatti alla deposizione delle uova, ma, se non ci
sono motivi particolari, non ha senso costringere i riproduttori a compiere lunghi spostamenti, soprattutto se non si ha la sicurezza che questi ultimi siano
disponibili a sobbarcarsi le fatiche del viaggio.
Occorre evitare i tratti di litorali dove le correnti sono particolarmente forti.
Uno dei primi letti di frega posati nel lago di Como è stato letteralmente spazzato via nel giro di una notte. Non è sempre facile localizzare i percorsi delle
correnti lungo le zone litorali. Un buon “indizio” è certamente rappresentato
dal substrato di fondo. E’ bene sospettare dei fondali costituiti da grossi ciottoli arrotondati, sui quali è evidente l’effetto del continuo rotolamento
Da evitare sono anche i tratti in cui la sedimentazione è particolarmente intensa. In questo caso la “vita” del letto di frega può essere molto breve perché il
substrato più fine intasa velocemente tutti gli interstizi tra i ciottoli di ghiaia e
li rende inadatti ad accogliere le uova adesive delle alborelle.
I letti di frega non devono essere posati nelle immediate vicinanze degli scarichi fognari e di ogni possibile fonte di inquinamento organico, anche se queste aree sono normalmente assai frequentate dalle alborelle. In queste situazioni, sulla ghiaia si può sviluppare molto velocemente un’abbondante copertura perifitica che causa la morte per soffocamento di gran parte delle uova
deposte.
Per ovvi motivi legati alla stabilità del letto di frega devono essere privilegiate
le aree a debole pendenza. Nei tratti scoscesi il trascinamento della ghiaia
verso profondità non idonee alla deposizione delle uova può verificarsi in
tempi molto rapidi. Per motivi altrettanto ovvi, è inutile posare letti di frega
artificiali dove sono naturalmente presenti substrati di ghiaia pulita.
Qual’è il momento giusto per posare la ghiaia?
Non esiste un “momento ideale” definibile a priori in cui posare i letti di frega.
Le variabili in gioco sono numerose e molto dipende anche dalla finalità dell’operazione e dalle caratteristiche del corpo d’acqua.
33
Posa di letti di ghiaia a Lenno.
In linea generale, se operiamo in un lago eutrofico o soggetto a forti variazioni di livello e se il nostro obbiettivo sono solo le alborelle, è buona norma agire
il più possibile a ridosso del periodo riproduttivo di questa specie. In Lombardia, significa fare in modo che tutto sia pronto verso la fine del mese di maggio. Non è facile azzeccare i tempi, visto che bisogna tenere conto del tempo
richiesto dalle operazioni di posa, che a sua volta dipende dalle dimensioni dell’intervento, dai mezzi utilizzati e, buon ultimo, dalle condizioni meteorologiche.
Se invece operiamo in un lago oligotrofo, con i livelli stabili, e se ci interessa
sostenere anche la riproduzione del cavedano (che gradisce la ghiaia pulita
almeno quanto l’alborella) possiamo dare inizio ai lavori con largo anticipo e
predisporre i letti di frega, con tutta calma, già alla fine del mese di aprile.
Le dimensioni del letto di frega
I letti effettuati dalla Provincia di Como occupano mediamente una superficie
di circa 30-40 metri quadri. Però non ci sono regole fisse. Nel 2003, per esempio, abbiamo realizzato un letto di ghiaia di oltre 200 metri quadrati, che ha
funzionato in modo spettacoloso. Allo stesso modo, in spazi molto ristretti,
abbiamo realizzato letti minuscoli (anche inferiori a 10 metri quadrati) che le
alborelle hanno ugualmente dimostrato di apprezzare.
E’ importante, in ogni caso, garantire al letto di ghiaia uno spessore di almeno
una quindicina di centimetri, considerato che le uova si infilano facilmente tra
gli interstizi e sono in grado di “colonizzare” uno strato di ghiaia tutt’altro che
trascurabile.
E’ opportuno prestare particolare una certa attenzione anche alla profondità
di posa della ghiaia. Se esiste il rischio concreto di un abbassamento del livello dell’acqua nel corso del periodo riproduttivo dell’alborella, oppure se si è in
presenza di un sensibile moto ondoso è bene garantirsi un certo margine di
sicurezza, posando la ghiaia ad una profondità di almeno cinquanta centimetri
dal pelo dell’acqua. La stessa cautela deve essere adottata nelle località in cui
gli anatidi predano attivamente le uova deposte tra i ciottoli.
Sull’altro fronte, è buona norma non spingersi oltre i 120-150 centimetri di profondità, considerato che in natura difficilmente le alborelle depongono le uova
a profondità superiori al metro.
35
Uova di alborella sui ciotoli.
Le modalità di posa
Potendo contare su un adeguato numero di badili e di braccia ben allenate, i
letti di frega possono essere realizzati a mano. Vi assicuriamo però che si tratta di un lavoro massacrante, di fronte al quale, dopo la prima esperienza, si ritirano anche gli addetti più allenati e più motivati.
Di norma la ghiaia viene scaricata nei pressi della sponda e viene quindi posata con l’ausilio di pale meccaniche dotate di braccio telescopico. Si può anche
procedere con un escavatore gommato, ma il braccio estensibile è sempre da
preferirsi perché permette di lavorare con una buona precisione anche a 10
metri di distanza dalla riva. Se la ghiaia è disponibile nelle immediate vicinanze della località di posa, una pala meccanica con braccio telescopico è in grado
di “lavorare”, in una giornata di lavoro, circa 40 metri cubi di ghiaia.
Per realizzare letti di frega in località non raggiungibili via terra, è necessario
servirsi di una grossa imbarcazione da lavoro. Sul Lario si utilizza una grossa
chiatta, in grado di trasportare fino a 20 metri cubi di ghiaia (si tratta di 320
quintali di materiale!) e su cui trova spazio una piccola pala meccanica in
grado di effettuare le operazioni di posa in tempi abbastanza rapidi. I limiti di
questo sistema sono senz’altro i costi (tutt’altro che trascurabili), amplificati
dalla ridotta velocità di spostamento della chiatta e dai lunghi tempi di carico
del materiale.
Il monitoraggio e la manutenzione
Realizzare un letto di frega per poi abbandonarlo a se stesso sarebbe una vera
follia. Soprattutto nelle località in cui la ghiaia viene posata per la prima volta
è di fondamentale importanza riuscire a capire se i nostri sforzi hanno dato i
frutti sperati oppure se abbiamo fatto fatica per niente. Uno sguardo al letto di
frega va dato tutti i giorni. Intendiamoci, non è necessario accamparsi a pochi
metri dalla ghiaia e non perderla di vista un secondo per intere settimane (nessuno ce la porta via). Però non possiamo permetterci che le alborelle depongano le uova senza che ne accorgiamo. Per non correre questo rischio basta
prelevare tutti i giorni qualche campione di ghiaia e osservare se i sassi sono o
meno ricoperti dalle piccole uova giallastre delle alborelle.
Una volta che è stata verificata l’efficacia del letto di frega con l’osservazione
dei riproduttori e/o delle uova deposte, può essere utile raccogliere informazioni più dettagliate (densità delle uova, percentuale di fecondazione, tempi di
incubazione, percentuali di schiusa ecc), ma in questo caso è bene affidare il
37
lavoro ad uno specialista.
In tutti i casi, è bene attendere la schiusa delle uova e quindi rastrellare il letto
di frega, allo scopo di eliminare i gusci ed i residui di uova che restano sulla
ghiaia e che vengono facilmente attaccati dalle muffe e dai batteri. Bisogna
assolutamente evitare di rastrellare la ghiaia prima della schiusa delle uova, ma
la nascita degli avannotti di solito avviene in sincronia sull’intero letto di frega
ed è facilmente rilevabile perché da un giorno all’altro non si trovano più uova
vitali attaccate ai ciottoli.
Il ripristino delle adeguate condizioni igieniche sul letto di frega, attraverso la
rimozione dei gusci e dei residui delle uova, è un’operazione importante se si
vogliono ottenere in loco ulteriori ed efficaci deposizioni.
Il ruolo dei mattoni forati
I mattoni forati, di forme e dimensioni diverse, sono stati impiegati a più riprese come substrato “complementare” alla ghiaia pulita. Si è ipotizzato che i fori
potessero costituire degli ambienti “protetti” nei quali l’incubazione delle uova
potesse completarsi al riparo da ogni possibile disturbo. In teoria, il mattone
forato possiede molti requisiti favorevoli, e cioè
- Permette l’adesione delle uova
- È costituito da argilla, priva di effetti tossici sulle uova
- Riduce l’azione meccanica delle onde sulla uova
- Riduce la predazione sulla uova da parte delle anatre e degli altri pesci
- Riduce il passaggio della luce e quindi lo sviluppo del periphyton
all’interno dei fori
- Aumenta la volumetria disponibile a parità di superficie occupata
- Ha un costo contenuto per l’eventuale applicazione su larga scala
Sull’efficiacia dei mattoni sono stati raccolti molti dati e si è giunti alle seguenti conclusioni:
I mattoni funzionano solo se posati sui letti di ghiaia. Da soli, non esercitano alcuna attrazione sui riproduttori di alborella.
- I più adatti sono le scatole per tavolati a 10 fori di 3-4 cm. Fori di
dimensioni inferiori, determinano una riduzione della percentuale di
uova vitali, probabilmente a causa dello scarso ricambio interno. Fori
di dimensioni superiori (4x5 cm) vengono meno utilizzati per la deposizione e presentano densità di uova nettamente inferiori.
- I mattoni richiedono un impegno decisamente più elevato rispetto alla
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ghiaia. I fori devono essere accuratamente ripuliti dopo ogni schiusa,
perché le uova morte e i residui dei gusci che inevitabilmente permangono all’interno dei mattoni vengono rapidamente invasi da funghi e
batteri e si creano condizioni igieniche del tutto inadatte alle successive deposizioni. Inoltre i mattoni devono essere tutti recuperati al termine della stagione riproduttiva delle alborelle, perché la loro permanenze lungo i litorali ha un effetto sgradevole e vengono scambiati per
rifiuti gettati nel lago.
I nostri numeri
La Provincia di Como ogni anno posa circa 200 metri cubi di ghiaia pulita
lungo i litorali del Lario, suddivisi in una quindicina di letti di frega, di dimensioni variabili tra i 20 e i 200 metri quadrati.
Nel 2003 i costi complessivi dell’intervento hanno raggiunto i 14.000 Euro così
ripartiti: 3.000 euro per l’acquisto della ghiaia, 1.000 euro per il noleggio della
pala meccanica con braccio estensibile e 10.000 euro per il noleggio della chiatta da lavoro.
Le densità di uova rinvenute sulla ghiaia dopo la deposizione variano dalle
poche centinaia alle oltre 2.000 unità per ogni decimetro quadrato.
Il rastrellamento della ghiaia dopo la schiusa delle uova viene effettuato soltanto su uno o due letti di frega, perché è molto difficile riuscire a monitorarli
costantemente tutti e quindici. Sono distanti diversi chilometri l’uno dall’altro
e si opera in un periodo in cui il personale del servizio pesca è normalmente
occupato in un’intensa attività di vigilanza anti-bracconaggio.
Per finire, abbiamo abbandonato da alcuni anni l’utilizzo dei mattoni forati,
perché sono veramente troppo impegnativi da gestire.
39
CACCIATORI D’IMMAGINI
di Stefano Briccola
Squilla il telefono. All’altro capo della linea c’è Giorgio, un iperattivo guardiapesca volontario: “Abbiamo avvistato dei grossi branchi di alborelle, penso,
che si possa tentare qualche ripresa.” Detto fatto! La domenica successiva, una
fredda giornata di gennaio, dove un pallido sole cercava invano di scaldare l’aria del mattino, ci trovammo sul pontile di Colonno. Un ultimo controllo alla
videocamera, ai fari ed al gruppo batterie, tutto ok, si possono indossare le
mute, passare bombole ed i materiali per le riprese subacquee sulla barca e
quindi partire.
Ci dirigemmo in direzione Lezzeno, dove fu avvistato il branco più grosso. Già
a qualche decina di metri si vedeva l’acqua come bollire. Ci avvicinammo lentamente, con il motore quasi fermo, lo spettacolo sotto la superficie del lago era
impressionante, un branco enorme, decine di quintali di alborelle, si trovavano
sotto di noi.
Entrammo in acqua leggermente spostati dal nucleo del branco. Il primo tentativo di avvicinamento lo facemmo a circa due tre metri di profondità, avvicinandoci appaiati e molto lentamente. Tentativo fallito miseramente. Quell’enorme raggruppamento si aprì al nostro arrivo, lasciandoci davanti all’obiettivo solo acqua e qualche pesce ritardatario stordito dai fari.
Capimmo subito che, riprendere in modo efficace le alborelle non è cosa semplice, perché appena ci si avvicina questi si disperdono non dandoti la possibilità di rendere efficaci le immagini, quindi rendere partecipe un eventuale spettatore allo spettacolo che noi stavamo vedendo.
Cercammo un approccio diverso, io mi avvicinavo lentamente su un fronte,
mentre Stefano dalla parte opposta cercava di spingere il branco verso di me
facendo in modo che riuscissi a riprendere il branco in modo compatto.
Anche questo tentativo fallì; i pesci si dispersero in una vasta area e ci volle
parecchio tempo prima che il branco si ricompattasse. Tentammo allora di raggiungerli da sotto, dopo esserci avvicinati a circa sette dieci metri di profondità, salimmo in prossimità del suo fulcro, riuscendo a catturare qualche breve,
ma buona immagine.
Dopo quasi tre ore d’acqua e svariati tentavi, il freddo ci aveva tolto completamente la sensibilità nelle mani, rendendoci praticamente impossibile qualsiasi movimento. Decidemmo allora di abbandonare il primo giorno di riprese,
consapevoli di aver effettuato uno scarso bottino, avevamo praticamente
pochissimi minuti di immagini utili per il montaggio del nostro documentario.
40
Ripartimmo verso Colonno, dandoci appuntamento alla settimana successiva.
I tentativi seguenti furono anch’essi lunghi e laboriosi. Affinammo le tecniche
che variavano da, lunghe attese immersi immobili aggrappati alle catene di boe
in prossimità dei branchi, attendendo che si abituassero a noi avvicinandosi
dopo aver vinto la diffidenza, a nuotate in superficie, tenendo la videocamera
immersa a braccia tese.
I migliori risultati li ottenemmo lasciando le bombole con gli autorespiratori
sulla barca, nuotando semplicemente con l’ausilio di un tubo aeratore, tecnica
chiamata snorkeling. Effettivamente notammo che, la diffidenza di questi pesci
nei nostri confronti, non era data tanto da noi, quanto dal rumore creato dai
nostri respiratori. Ora riuscivamo ad avvicinaci in modo da riuscire a filmare
anche dei primi piani.
Ottenemmo così del buon materiale, ma non ne fummo completamente soddisfatti. Il problema era che a Lezzeno c’era molto pesce, ma era una zona in
ombra essendo sul versante est del lago.
Decidemmo di fare dei tentativi su un altro branco più piccolo in zona Sala
Comacina. L’effetto fu impressionante, il sole luccicava sui corpi di questi ciprinidi, rendendo le acque a poche decine di centimetri al disotto della superficie,
una fluida massa argentea. Ottenemmo dei buoni risultati anche se ci è impossibile riuscire a rendere tramite delle immagini l’effetto che queste migliaia di
pesci davano a noi che ci stavamo sopra.
Dopo tante immersioni, questi sforzi invernali finirono con una buona quantità di materiale e l’appuntamento con i guardiapesca fu per il mese di maggio
dove sarebbero iniziate le freghe.
Ventisette maggio, primo pomeriggio, suona il telefono, è Beniamino, che stava
monitorando la zona: “C’è del movimento sui letti di frega di Lenno”. “Ok arriviamo”. La sera ci trovammo al lido di Lenno, dove l’Amministrazione Provinciale aveva posto lungo le sponde del lago della ghiaia con lo scopo di
ricreare un habitat ideale per le deposizioni delle uova. Eravamo consapevoli
del fatto che, poteva essere una frega di poco conto, ma dovevamo tentare,
visto la fatica fatta per ottenere dei buoni risultati nei mesi invernali.
Fummo subito fortunati, fu una frega entusiasmante, ci furono talmente tante
alborelle in venti centimetri d’acqua, da non riuscire a vedere la ghiaia al di
sotto. Entrammo subito in acqua con muta, maschera, aeratore, videocamera e
fari. I pesci erano talmente in preda da questa orgia da non degnarci il minimo interesse. Appoggiati con una mano al fondo per cercare di muoverci il
meno possibile, in modo da avere delle immagini migliori, le alborelle ci si infilavano tra le dita e venivano a sbattere contro la maschera; a Stefano, avevano
addirittura deposto delle uova sopra la mano. Fu una serata fantastica, regi41
strammo materiale fino quando le batterie ci permisero di avere luce, mentre
sulla sponda si formò un ragguardevole gruppo di persone che si godevano lo
spettacolo di questa frega, illuminato dai nostri fari.
Nelle sere seguenti facemmo altri tentativi, ma non riuscimmo più a vedere
una frega così imponente.
42
Canòt de pèsca (archivio fotografico Associazione Culturale L. Scanagatta
Varenna - dal Libro “Breva e Tivano Motori Naturali”)
Alborelle in carpione.
ALBORELLE IN CARPIONE
Non crediamo che esista un pescatore comasco che non conosca questo tipico
piatto lariano.
L’alborella, com’è risaputo, è il pesce più conosciuto e più degustato del Lago
di Como. Questo almeno 6 o 7 anni fa prima della sua temuta scomparsa. Allora era un pesce talmente diffuso che il suo valore economico era irrisorio. Oggi,
scarseggiando, per le leggi dell’economia, vale più di un filetto di coregone.
Il modo classico di cucinare l’alborella era ed è quello di friggerla in abbondante olio, dopo averla infarinata. Quindi presentarla in un bel vassoio, ben
salata e guarnita con uno spicchio di limone.
Era talmente abbondante che si esagerava sempre e il più delle volte ne rimanevano parecchie nel vassoio.
Allora, per il rispetto che si deve sempre portare al cibo e quindi non si deve
mai gettare niente di ciò che è commestibile, si usa un metodo di riutilizzo del
pesce fritto che viene chiamato “mettere in carpione”
Questo sistema, che una volta veniva chiamato “carpionare” (e sinceramente
non abbiamo scoperto da dove derivi tale termine) consiste nel marinare il
pesce avanzato con il seguente procedimento.
(ricetta di cui non possiamo rivelarne la fonte)
Tostare in buon olio d’oliva del frantoio di Lenno alcuni rami di timo selvatico (erba di pess) e alcune foglie di alloro.
Quando l’olio si è insaporito degli aromi rilasciati dalle erbe, aggiungere carote e cipolle tagliate a fette non troppo sottili che si possano sfaldare nella successiva cottura. Proseguire quindi la tostatura sino a che gli ortaggi non siano
un poco appassiti.
Aggiungere aceto bianco, acqua e un poco di vino bianco molto aromatico
(malvasia o traminer) in proporzioni di cinque parti d’aceto, due parti d’acqua
e una parte di vino. Aromatizzare il brodo di cottura con cannella, chiodi di
garofano, pepe, noce moscata, zafferano. Salare quanto basta e far bollire il
tutto per almeno un’ora e mezza.
Preparare uno strato di alborelle (salate) e coprirlo con la verdura recuperata
con un mestolo forato (ul cervis). Sovrapporre un altro strato di alborelle e così
via sino alla consumazione di tutte le verdure e di tutte le alborelle. Coprire il
tutto con il brodo di aceto e lasciare riposare per almeno 4 o 5 giorni assolutamente non in frigorifero. Per chi ce l’ha, ottima la cantina.
Dopo la preparazione è indispensabile una doccia se non si vuole essere cacciati dal letto, dalla propria moglie.
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finito di stampare
nello stabilimento della
Grafica Marelli di Como
nel mese di Novembre 2003
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Letti nuziali per le Alborelle