è per me motivo di dolore immenso, muoio di crepacuore, perciò ti prego, ritorna sui tuoi passi, non lasciar soffrire il tuo povero Papà, sai quanto ti amo, sai quanto ho fatto per te, quanto della mia vita ti ho dato. Figlio mio, quando sei nato ero l’uomo più felice del mondo, ma adesso il mio turbamento è incommensurabile Sapendoti in questa valle di lacrime, lo sgomento che provo pensando alle tue tribolazioni non puoi neppure immaginarlo. Ritorna nella tua casa, la tua camera è ancora come tu l’hai lasciata, è una casa spoglia senza di te. Figlio mio, asciuga le mie lacrime, salva la tua anima, non perderti in questo inferno buio dove regna il male, io andrò ogni mattina ad appostarmi ai limiti del deserto guardando all’orizzonte in attesa della tua venuta. Figlio, se tu non torni io morirò sicuramente, quindi se ami tuo Padre vieni subito da me, non permettere che io soffra insieme a te questa tua dipartita che è peggio di una ferita sanguinante. Figlio, ritorna, ti aspetto nella casa che ho preparato per te prima ancora della tua nascita. Amen. Dalle Parole della Fede all’Immagine della Fede L.: Dal Vangelo secondo Matteo. Matteo 6, 19 - 21 Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20 accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. 19 Sacra Scrittura e Simbolo Quando incontriamo una pagina biblica, entriamo in un mondo vastissimo, in un «grande codice» caratterizzato dalla pluralità. La Bibbia infatti è costituita da tre lingue (ebraico, aramaico e greco), esprime due mondi (quello semitico e quello greco), e si può definire contemporaneamente come Parola di Dio e parola di uomo, un solo libro e molti libri, il libro di un popolo (e di una Chiesa) e il libro dell’umanità (di tutti). Sulla PRIMA AFFERMAZIONE, la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione del Concilio Vaticano II, la Dei Verbum, recita: «La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20, 31; 2 Tm 3, 16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa». Ma la Parola delle Scritture nasce da un incontro, Dio e l’uomo sono entrambi presenti, e gli autori biblici si possono considerare veri autori, perché l’azione di Dio è rispettosa e non usa gli uomini dominandoli come suoi strumenti, per cui è necessario tenere conto della mentalità, del contesto storico e culturale dell’epoca in cui sono stati composti. Il metodo storico-critico è il metodo indispensabile per lo studio scientifico del significato dei testi antichi. Poiché la Sacra Scrittura, in quanto «Parola di Dio in linguaggio umano», è stata composta da autori umani in tutte le sue parti ed in tutte le sue fonti, la sua giusta comprensione non solo ammette come legittima, ma richiede, l’utilizzazione di questo metodo. Riguardo alla SECONDA AFFERMAZIONE (un solo libro e molti libri), si può sostenere che le Scritture portino in sé una unità fondata sulla diversità, che si manifesta nella dualità Primo Testamento - Nuovo Testamento, che porta con sé ineludibili riflessioni relative al dialogo ebraico-cristiano: Il rapporto permanente Israele-Chiesa: un unico popolo di Dio in due forme storiche, di cui la prima è la radice permanente della seconda e la seconda si presenta permanentemente in stato di adempimento della prima. La Bibbia ci educa all’apertura mentale e ci spinge a non chiuderci alla molteplicità delle sue interpretazioni e dei suoi significati (un altro esempio significativo di pluralità è il fatto che i Vangeli siano quattro e non uno solo ...). Riguardo infine alla TERZA AFFERMAZIONE della frase iniziale (libro di un popolo e libro dell’umanità), si può prendere come esempio vivente che ha incarnato in sé questa sintesi Paolo, ebreo osservante e Apostolo dei Gentili. Dio ha incaricato Cristo della salvezza del mondo , per la salvezza di tutti senza distinzioni. Dio ha da sempre voluto questo - tanto che lo ha proclamato in anticipo ad Abramo - e la sua volontà è conforme a quanto detto nelle Sacre Scritture. Questa salvezza si compie ora, negli ultimi giorni, e lui stesso, Paolo, per quanto indegno, come apostolo ha il compito di introdurre i Gentili nel popolo di Dio. L’annuncio di salvezza, dapprima rivolto al popolo di Israele, gradualmente supera i confini, si estende fino a toccare l’umanità intera. Gli studi biblici hanno ormai ampiamente assodato che le Scritture ebraico-cristiane sono costituite ampiamente ed essenzialmente da racconti e narrazioni simboliche. «Racconto simbolico non significa irreale, ma può dirsi un escamotage di linguaggio per parlare in qualche modo di quello che va al di là del razionalmente comprensibile. Gesù risorto con un “corpo glorioso” significa che non è ritornato nella nostra dimensione contraddittoria, ma vive oltre i limiti terreni. Naturalmente non abbiamo alcuna possibilità di sapere come, ma possiamo capire che prendere alla lettera i racconti del Vangelo rischia di condurre fuori strada». A. THELLUNG, Una saldissima fede incerta, Paoline, Milano 2011, 165 - 166 Il simbolo, sia nelle scritture che nell’arte, è luogo privilegiato e insostituibile per presentare i contenuti della fede. «Il simbolo non attribuisce alle cose e alla realtà un significato estrinseco ma, al contrario, permette di evocare e quindi di far emergere il significato nascosto e recondito che la realtà cela e nasconde. In quest’opera di rivelazione il simbolo non ha bisogno di spiegazioni e non costringe nemmeno ad accettare un unico significato, poiché la dinamica che lo anima è quella del coinvolgimento e dell’attrazione non costringente». G. MORANDI, Bellezza. Luogo teologico di evangelizzazione, Paoline, Milano 2009, 143 Noi non possiamo avere esperienza diretta di Dio: «Dio nessuno l’ha mai visto» (Gv. 1, 18). C’è sempre una frapposizione, un veicolo, una mediazione. È il simbolo che svolge questo ruolo insostituibile. «Che cosa sono, queste cose meravigliose, benché limitanti, chiamate simboli? Cercando di evitare tutta la massa di discorsi filosofici che si è accumulata nel tentativo di rispondere a questo interrogativo, potremmo dire che essenzialmente i simboli sono oggetti, parole, immagini, storie o pezzi di normale esperienza che rendono presenti o danno espressione a realtà che altrimenti sarebbero amorfe e indescrivibili. I simboli ci mettono in grado di sentire o di parlare di cose che in se stesse sono difficili da sentire o da discutere a parole. Ecco alcuni esempi comuni ma preziosi: un anello che simboleggia l’amore (almeno nella cultura occidentale, giacché i simboli sono condizionati dalle culture), una colomba che suscita un sentimento di pace, una storia eroica che accende in noi il coraggio». P. KNITTER, Senza Buddha non potrei essere cristiano, Fazi, Roma 2011, 89 - 90 Dobbiamo quindi avvertire l’urgenza di riscoprire l’utilizzo del simbolo e del racconto nell’annuncio di evangelizzazione, insieme alle esposizioni dogmatiche, ne va del futuro della Chiesa e della fede. «Mi verrebbe da proclamare: o le chiese cristiane reimpareranno pazientemente a narrare, e a narrare efficacemente le loro storie fondative, o ben difficilmente potranno sperare di avere un futuro significativo per l’umanità in cui sono immerse. Sulla loro disponibilità, e capacità, di raccontare la differenza evangelica, se ne misurerà la qualità del domani». B. SALVARANI, In principio era il racconto. Verso una teologia narrativa, op. cit., 27 La Parola interpella la Vita LA VITA DI HIERONYMUS BOSCH Hieronymus Bosch, nome d’arte di Jeroen Anthoniszoon van Aken (‘s-Hertogenbosch, 2 ottobre 1453 - ‘sHertogenbosch, 9 agosto 1516) è stato un pittore olandese. Firmò alcuni dei suoi dipinti con Bosch (pronunciato come Boss in olandese). In spagnolo viene spesso chiamato El Bosco; in italiano è talvolta designato come Bosco di Bolduc (da Bosch e Bois le Duc, traduzione francese di ‘s-Hertogenbosch = Bosco Ducale, città natale di Bosch). La ricchezza di inventiva nelle sue opere, vere e proprie visioni, ha chiamato in causa dottrine diverse, tra esse la psicoanalisi, ciascuna delle quali dette una propria lettura, talvolta anche non compatibile storicamente. Sicuramente la sua opera andò di pari passo con le dottrine religiose e intellettuali dell’Europa centro-settentrionale che, al contrario dell’Umanesimo italiano, negavano la supremazia dell’intelletto, ponendo piuttosto l’accento sugli aspetti trascendenti e irrazionali: ne sono esempio le prime elaborazioni di Martin Lutero e le opere di Sebastian Brandt ed Erasmo da Rotterdam. Con grande ironia, Bosch mise in scena i conflitti dell’uomo rispetto alle regole imposte dalla morale religiosa, quindi la caduta nel vizio ed il destino infernale per redimersi dal quale appare il riferimento alle vite dei Santi, attraverso l’imitazione della loro vita dedita alla meditazione anche se circondati dal male, sia nelle tavole con la Passione di Cristo, attraverso la meditazione sulle pene sofferte dal Cristo, per riscattare dal peccato universale il genere umano, che porta all’immedesimazione stessa del riguardante e alla salvezza. Bosch non datò mai i suoi dipinti e ne firmò solo alcuni. Il re Filippo II di Spagna fu un appassionato collezionista dei suoi lavori; come risultato la Spagna è oggi il paese che in assoluto possiede il maggior numero di opere del pittore, soprattutto al Museo del Prado e al Monastero dell’Escorial a Madrid. Nacque tra il 1450 e il 1455, forse il 2 ottobre 1453, a ‘s-Hertogenbosch, una città nel sud degli odierni Paesi Bassi, vicino a Tilburg e allora possedimento dei duchi di Borgogna. La sua famiglia, probabilmente era tedesca originaria di Aquisgrana (come farebbe pensare il cognome «van Aken»), si era trasferita nei Paesi Bassi inizialmente a Nimega e abitava a ‘s-Hertogenbosch dal 1426. Il nonno Jan e quattro dei suoi cinque figli, fra cui il padre dell’artista, Anton van Aken, erano pittori, così come lo erano i suoi due fratelli Goossen e Jan. Nel febbraio del 1462 il padre acquista la casa sul versante orientale della Piazza del Mercato detta «In Sint Thoenis» (oggi al civico Markt 29) dove in seguito all’incendio dell’anno seguente che distrusse in città circa 4.000 abitazioni, verrà fissata la bottega di famiglia. A quest’epoca pare che Anton van Aken fosse il percorre il sentiero per la salvezza, con scarpe scompagnate, bende male annodate, vesti stracciate ed una bisaccia cui sono appesi vari oggetti dalla supposta simbologia sessuale, tra cui una povera pelle di gatto. Sull’albero si sfidano il picchio (il Salvatore) e l’eretica civetta, inquieta nel vedersi sfuggire la gustosa preda. Interessante è l’ipotesi avanzata da Gillo Dorfles circa l’ampio attingere del Maestro alle simbologie esoteriche del tempo; egli, infatti, si sarebbe rifatto alla scienza alchemica ed ai tarocchi, «le cui corrispondenze si estendono addirittura ai soggetti rappresentati». Ed ecco allora che il ventiduesimo Arcano, il Matto, avrebbe riscontri inequivocabili con il figliuol prodigo. Tale figura nei tarocchi può, infatti, rivestire un doppio significato: o il grado più alto dell’iniziazione spirituale oppure il vagabondo che si trascina sulle spalle il suo carico di vizi e demonìe. Duplice come il valore corrispondente al bivio aperto davanti al Figliuol prodigo di Rotterdam. Tanta ricchezza iconologica, però, non deve sviare dall’autentico significato dell’opera di Bosch. Egli innova il suo stile, e nella rigorosa ed equilibrata composizione, mette a punto nuovi espedienti formali e pittorici: attraverso una peculiare lavorazione tonale del colore, che privilegia le scale minime dei grigi e delle terre, egli sembra assestare l’occhio dell’osservatore sullo sfondo ocraceo del paesaggio su una sconfinata natura olandese, delimitata solo «fisicamente» dal taglio circolare del dipinto, conferendogli, bensì, una durata che supera la contingenza dell’evento. Con tale scoperta, basata sullo sfumato pittorico, Bosch anticipa non solo van Goyen, Rembrandt e Rutsdae, ma anche il chiarismo volumetrico di Vermeer. L’Arte della Preghiera T.: Figlio mio, sei partito ormai da molti mesi e non sento più la tua voce, non vedo più la tua cara figura, il tuo dolce sorriso, il tuo animo delicato e sensibile, non ho più il piacere di guardarti come facevo un momento prima dell’alba mentre dormivi, la tua lontananza come nell’ala destra gli uomini attaccati dalle bestie feroci. Una indimenticabile veduta di città, dalle alte torri cilindriche memori delle architetture orientali, chiude un paesaggio naturale di rara bellezza. Sempre dello stesso anno circa è Il figliol prodigo di Rotterdam. Come scrive Jos Koldeweij: «Esso rappresenta l’homo viator, il viandante, l’uomo sul sentiero della sua vita. Minacciato da pericoli e tentazioni, egli deve continuare il cammino lungo una via spesso stretta o accidentata e irta di ostacoli». Il 9 agosto 1516 si celebrano in forma solenne le esequie del pittore nella Cappella di Nostra Signora, appartenente alla Confraternita, nei cui registri è ricordato come: «Hieronymus Aquen, alias Bosh, insignis pictor». Pieter Bruegel il Vecchio venne influenzato dall’opera di Bosch e produsse diversi dipinti con uno stile simile, ad esempio il Trionfo della morte del 1562. La Fede nell’Arte IL FIGLIUOL PRODIGO. Il FIGLIUOL PRODIGO, opera tarda dell’enigmatico artista Hieronymus Bosch, è databile intorno al 1510. Tavola ridotta a formato ottagonale forse nel ‘600, essa sarebbe, secondo Baldass una residua ala esterna d’un perduto trittico. L’effetto di specchio convesso del tondo richiama l’effigie della verità, vero volto del Cristo. Con innovazione iconografica, Bosch non rappresenta il personaggio biblico né immerso nella dissennatezza né in atto di chiedere perdono al padre, bensì nel momento in cui imbocca la via del bene. E se una pacata armonia sembra pervadere quest’opera, a ben guardare, essa è solo apparente: piccoli ma significativi dettagli tradiscono quella presenza luciferina e diabolica, tanto imperante nello stile pittorico di Bosch. Sia Il figliuol prodigo, il folle errante o il vagabondo, confuso sulla propria identità ed il cammino da intraprendere, o giunga piuttosto, quale «figlio di Saturno», l’uomo incarna, comunque, un’ambigua espressione di tristezza e sollievo al contempo. Egli, precocemente incanutito, fa ritorno alla dimora del padre, cui dà accesso il cancello posto all’estrema destra del quadro; si lascia alle spalle i maiali di cui era guardiano, la casa di piacere con l’insegna dell’oca lasciva e la brocca innestata alla sommità, cui si aggiungono anche particolari dai richiami erotici come la piccionaia e la gabbietta con uccellino. Superato il biforcuto viottolo che richiama il tema del libero arbitrio, Il figliuol prodigo pittore di maggior prestigio in città e quindi il capo dell’impresa familiare che lavora per il patriziato locale e per la Chiesa di San Giovanni (Sint Jan) che diverrà cattedrale nel 1559. Nella bottega di famiglia si praticava oltre alla pittura, compresa l’applicazione della policromia sulle sculture lignee, anche la doratura e la produzione di arredi sacri. Le fonti d’archivio sono piuttosto scarse sulla biografia dell’artista e sulla sua famiglia, ma si sa che nel 1454 Jan, il nonno, morì e che nel 1474 il nome di «Jeronimus, detto Joen» è menzionato con quello di altri familiari in due atti notarili, datati rispettivamente 5 aprile e 26 luglio, relativi a questioni finanziarie, tra cui un prestito di 25 fiorini. Ancora nel 1480 - 1481 il nome di «Jeroen» è nominato per la prima volta come libero maestro in un documento sull’acquisto alla confraternita di Nostra Signora, di due scomparti di un trittico dipinto in origine dal padre nel 1463 e che in seguito alla distruzione della pala centrale non avevano più trovato collocazione liturgica e potevano pertanto essere riusati. Il 15 giugno 1481 è menzionato come ammogliato, con Aleid van de Meervenne, nata intorno al 1447 da Postuluna van Arkel e Goyaert van der Meervenne, di estrazione borghese relativamente agiata. Con il matrimonio Hieronymus eleva il proprio rango sociale e la moglie portò in dote alcuni terreni a Oirschot, non lontano da ‘s-Hertogenbosch e consentì alla coppia di trasferirsi nella casa di lei «In den Salvatoer» anch’essa sulla Piazza del Mercato ma sul versante nord di fronte al municipio (oggi al civico Markt 61). L’unione rimarrà senza discendenza. Mentre il fratello maggiore Goessen dirige l’impresa familiare «In Sint Thoenis», Hieronymus poteva disporre di un proprio studio privato in casa, essendo peraltro liberato da preoccupazioni finanziarie immediate. Infatti, pur non appartenendo alla ristretta cerchia dei notabili, beneficiava ormai della prosperità dei maggiorenti. Nel 1497, Hieronymus subentra al fratello scomparso alla guida dell’impresa familiare. Fino al 1500 sembra che la clientela del pittore rimanga essenzialmente locale, ma progressivamente si allarga grazie alle conoscenze altolocate che può sviluppare in virtù del suo nuovo rango e della sua appartenenza alla confraternita di Nostra Signora diffusa anche negli ambienti cosmopoliti di Bruxelles a contatto con la gerarchia amministrativa degli Asburgo. VITA DI CONFRATELLO. Dal 1486 - 1487 il nome di Hieronymus è tra i confratelli di Nostra Diletta Signora (Lieve-Vrouwe Broederschap). L’associazione, maschile e femminile, per laici ed ecclesiastici, aveva come simbolo un giglio tra le spine (sicut lilium inter spinas) e si dedicava al culto della Vergine, partecipando alla processione annuale e all’abbellimento della cappella del Duomo riservata alla confraternita, alle onoranze funebri dei suoi membri, nonché ad opere di carità, contribuendo al ciclo annuale di banchetti festivi tra i quali spiccavano quelli durante i quali veniva servita carne di cigno. Dal 1488, grazie alla nuova posizione sociale ed economica, è registrato tra i «notabili» della confraternita, un gruppo selezionato di circa cento persone per lo più legate all’alta borghesia cittadina, e in tale rango continuò ad essere registrato fino alla morte nel 1516. Nello stesso anno presiedette l’annuale banchetto della Confraternita. Tra il 1488 e il 1489, sappiamo dai documenti che dipinse le ante di un polittico scolpito per questa stessa confraternita, non si sa però a quale tavola oggi conosciuta corrisponda. Oltre alle opere di carità e alle pratiche devozionali legate all’immagine mariana della Zoete Lieve Vrouw nella principale chiesa cittadina, la confraternita si ispirava alla devotio moderna dei Fratelli e Sorelle della Vita Comune. In campo intellettuale la confraternita pubblicava libri, anche umanistici, e apriva case d’insegnamento della Scuola Latina: due ne erano state aperte a ‘sHertogenbosch, una nel 1424 e una nel 1480, che tra il 1485 e il 1487 era stata frequentata dall’allora diciassettenne Erasmo da Rotterdam. Sebbene non esistano collegamenti diretti tra Erasmo e Bosch, evidenti connessioni indirette sono ravvisabili tra i dipinti dell’artista e La nave dei folli di Sebastian Brant, che fece da principale fonte di ispirazione per l’Elogio della follia. Alcuni studiosi, nel tentativo di spiegare i soggetti della poetica di Bosch, hanno ipotizzato la sua relazione con altre sette, come quella degli Homines intelligentiae (Franger, 1947), ispirata a un’eresia clandestina che prevedeva il nudismo e il libero amore come tramite per giungere a una rinascita dell’«innocenza paradisiaca» prima del peccato originale, oppure quella di una cellula superstite dell’eresia catara (Linda Harris, 1995). Si tratta di ipotesi prive di riscontri documentali. FORMAZIONE E SVILUPPO ARTISTICO. Non sappiamo nulla della prima formazione di Hieronymus, ma possiamo supporre che apprese i rudimenti dell’arte in famiglia, cominciando l’apprendistato a bottega a partire dai suoi tredici anni. A parte le connessioni con la bottega familiare si ignora per quali vie si sviluppò l’arte di Bosch e non si hanno notizie di eventuali viaggi, ma si può supporre che intorno al 1476 egli abbia potuto compiere un viaggio di compagnonaggio (Il compagnonaggio è un movimento che deriva dalle antiche corporazioni di mestiere. Diffuso soprattutto in Francia, in Germania, ma anche in Belgio e nei Paesi scandinavi, questo movimento ha il suo maggiore sviluppo nel XVIII secolo. Con il nome compagnoni venivano descritti appartenenti a vari mestieri, fra cui i tagliatori di pietre, i carpentieri, gli scultori e in genere, tutti i Maestri d’Opera. Il Compagnonaggio è, dunque, il movimento che riunisce in sé tali antichi mestieri. Il suo simbolo, che ricorda l’emblema della Libera Muratoria, è quello della cazzuola sormontata da squadra e compasso intrecciati. L’apprendimento dell’Arte da maestro ad allievo era svolto tradizionalmente, con il sistema «da bocca a orecchio». Numerosi nel Compagnonaggio, i richiami ad una conoscenza iniziatica ed esoterica) nel Nord attraversando città come Utrecht, sede episcopale ed importante centro di miniatura, Haarlem, dove operava Ge- ertgen tot Sint Jans, e soprattutto Delft, dove era attivo il Maestro della Virgo inter Virgines. Inoltre in quell’epoca circolavano xilografie e miniature, spesso legate al gusto gotico internazionale, verso le quali dovette essere indirizzato dai familiari, come dimostrerebbero alcune delle poche opere attribuibili alla bottega dei van Aken, come la Crocifissione del 1444, o altre produzioni locali come gli affreschi tre-quattrocenteschi nel Duomo cittadino, con l’Albero di Jesse. Sicuramente l’artista sviluppò un proprio stile diverso da quello allora maggiormente in voga, basato sulla finezza dei dettagli e la resa dei volumi plastici, optando per «un’esecuzione piatta, a due dimensioni, grafica anziché pittorica: erede, sotto questo aspetto, dell’arte dell’illustrazione miniata». Circa la tecnica pittorica è opportuno citare l’osservazione del primo storico dell'arte olandese che fornisce questa descrizione: «Come molti pittori antichi, [Bosch] aveva l’abitudine di tracciare l’intera composizione direttamente sul sostrato bianco e di ritoccare in seguito il disegno con tratti leggeri e trasparenti di colore per gl’incarnati, ottenendo così un effetto che deve molto al sostrato» Le livre des peintres de Carel van Mander: vie des peintres flamands, hollandais et allemands (1604), pag. 169 IL PROBLEMA DELLA CRONOLOGIA. La ricostruzione del catalogo dell’artista è un’operazione estremamente problematica e controversa, data la generale scarsità di notizie. Nessuna opera è datata e pochissimi sono i collegamenti certi tra opere e commissioni documentate. A ciò vanno aggiunti anche i dubbi sull’autografia, anche delle opere firmate o di parti di esse, la presenza di più versioni della stessa opera (con la difficoltà di risalire al prototipo), nonché gli effetti del successo della sua arte: i suoi lavori erano spesso copiati o imitati, anche da artisti di alta capacità, e nei secoli restauri impropri e ridipinture di parti lacunose hanno alterato la superficie pittorica delle sue tavole. Tuttora per sormontare queste difficoltà ed evitare ricostruzioni puramente congetturali, gli studiosi si affidano alle tecniche di diagnostica artistica. Poiché la produzione pittorica è interamente composta di tavole su legno di quercia la dendrocronologia consente di determinare una datazione «alta» delle opere, che ha il merito di isolare dalla produzione autografa le copie tarde perché realizzate su legno abbattuto dopo la morte dell’artista. L’analisi del disegno preparatorio consentita dalla riflettografia e dalla radiografia permette invece di discernere la tecnica dell’artista relativamente alla preparazione del sostrato pittorico ed all’applicazione dei colori e di identificarne alcuni schemi di base suscettibili, nella migliore delle ipotesi, di essere ricondotti a fasi distinte del suo sviluppo stilistico. In maniera schematica si sogliono distinguere tre periodi della produzione artistica del Bosch: il periodo iniziale (o giovanile) fino al 1490 con i primordi risalenti si suppone al 1470 e il 1475; il periodo mediano (o maturo) fino al 1505; ed il periodo tardo fino alla morte avvenuta ai primi del mese di agosto del 1516. Questa tripartizione abbastanza tradizionale può essere complicata in una sequenza pentapartita la cui scansione distingue il periodo della prima giovinezza (1475 1480); quello della seconda giovinezza (1480 - 1485), la fase della prima maturità (1485 - 1500), quella della seconda maturità (1500 - 1510) per terminare con il periodo tardo (1510 - 1516). LA COMMESSA DI FILIPPO IL BELLO. Tra gli scarsi documenti che riferiscono della committenza del Bosch spicca quella di Filippo il Bello, che nel settembre del 1504, passa commessa per un grande quadro sul Giudizio universale: «Settembre 1504. A Hieronimus Van Aaken detto Bosch pittore dimorante in Bois-le-Duc si versa la somma di 36 lire a titolo di arra [acconto] su ciò che sarà dovuto per un grande quadro di nove piedi di altezza e undici piedi di lunghezza che dovrà raffigurare il Giudizio di Dio vale a dire l’Inferno e il Paradiso secondo quanto ordinatogli dal nostro Signore per il suo nobilissimo piacere con la presente si rende quietanza della detta somma». Lille, Archives départementales du Nord, B. 2185, f 230 v pubblicato in facsimile in: Marijnissen e. a., cit., pagg. 19 - 20 Se si potesse ancorare l’analisi cronologica ad una data precisa come quella della commessa di Filippo il Bello, si godrebbe di un punto di riferimento certo. Purtroppo il Giudizio universale di Filippo il Bello non è noto con certezza. Ciò nondimeno il dibattito verte sull’ipotesi che la tavola dell’Accademia di Vienna, malgrado le dimensioni più ridotte e l’assenza di emblemi araldici, possa identificarsi con «il grande quadro» voluto dal governatore delle Fiandre. È così che la data del 1505 è assunta da alcuni studiosi quale asse portante dell’analisi stilistica e da discrimine cronologico. Tale assunto conduce all’attribuzione al periodo 1505 - 1510 di un gruppo ben definito di opere cardini: il trittico del Giudizio di Vienna, il trittico del Giardino delle delizie; la Salita al Calvario di Gand e l’Incoronazione di spine di Londra. Tutte queste opere sarebbero accomunate da una maniera più plastica nella resa delle figure e nell’applicazione dei colori per zone omogenee contrastate. Il prototipo di tale indirizzo stilistico sarebbe il trittico di Vienna che farebbe da tramite tra la maniera di quello di Lisbona (Tentazioni di Sant’Antonio) e quello di Madrid (Giardino delle delizie). ANNI INIZIALI. Intorno al 1480 è datata l’Estrazione della pietra della follia ora al Prado. Il tema si rifà al detto popolare che indica- un’apparente visione idilliaca, letture più approfondite che ne evidenziano la sostanziale ambiguità. La consueta scena dell’omaggio dei sovrani orientali si svolge sotto un’esile capanna che è un capolavoro di destrezza pittorica: straordinaria è la realizzazione del «timpano» sbrecciato con le assi in evidenza, l’intonaco scrostato e i fili di paglia, con una tavolozza pressoché monocroma e con minimi scarti cromatici. A fronte di questa estrema povertà non può non colpire lo sfarzo delle vesti e dei doni dei Magi. Come quadri nel quadro, Baldassarre, rivestito di un mantello porpora, ha già deposto una scultura raffigurante il Sacrificio di Isacco (che schiaccia dei rospi «eretici»), mentre altre storie bibliche si leggono sul collare di Melchiorre (la Visita della regina di Saba a Salomone) e curiose figurazioni in stile boschiano ornano la tunica del re moro Gaspare e del suo piccolo assistente. Chi è dunque quell’enigmatico personaggio seminudo, ferito a una caviglia, dal curioso copricapo a spine, che sosta sull’uscio della capanna? È forse l’Anticristo, un’incarnazione dell’eresia, Erode, una prefigurazione della Passione? Diverse note di realismo contribuiscono al fascino del dipinto: dai deliziosi contadini appollaiati sul tetto, al vecchio Giuseppe che riscalda al fuoco i panni del Bambino (nello sportello sinistro). Eppure non mancano segnali inquietanti, Il Giardino delle delizie Estrazione della pietra della follia Ecce Homo Dello stesso anno è il Trittico dell’adorazione dei Magi di Madrid. Rappresentazione di notevole suggestione, molto lontana dall’oleografia dell’arte di Bosch, questa Adorazione rappresenta uno dei più alti esiti del pittore, da un punto di vista compositivo e cromatico: non mancano tuttavia, a fronte di Trittico dell’Adorazione dei Magi va i pazzi come coloro che hanno un sasso nella testa. In essa, il chirurgo intento all’estrazione indossa un copricapo a forma di imbuto simbolo di stupidità, qui usato come pesante critica mossa contro chi crede di sapere ma che, alla fine, è più ignorante di colui che deve curare dalla «follia». L’iscrizione in alto e in basso recita: Meester snijt die keye ras, Myne name is lubbert das cioè: «Maestro, cava fuori la pietra [della follia]» e «Il mio nome è sempliciotto» (o letteralmente: «bassotto castrato»). Tra il 1480 e il 1485 esegue l’Epifania, oggi conservata a Filadelfia al Museum of Art, in cui l’andamento lineare, tortuoso e spezzato della linea e l’incerta applicazione della prospettiva, rivelano un deciso influsso della pittura tardo gotica. Sempre a quel periodo risale la Crocifissione, oggi a Bruxelles al Musée Royal des Beaux-Arts, di iconografia tradizionale e con sullo sfondo una città turrita identificabiIl carro di fieno Crocifissione le con il suo paese natale. Della fine di questi anni è l’Ecce Homo, conservato a Francoforte allo Städelsches Kunstinstitut: su un rialzo il Cristo e Pilato si fronteggiano stagliandosi contro la parete, l’uno composto e rassegnato l’altro vestito all’orientale mentre ghigna, in basso la folla, armata di pugnali e alabarde, con volti grotteschi resi con una linea tormentata, mentre sulla sinistra sono in parte riconoscibili i donatori, la veduta di città sullo sfondo è costruita senza un uso coerente della prospettiva tanto che il primo piano non si distingue da quello di fondo. Databile intorno al 1490, Il carro di fieno, che ora si trova al Museo del Prado di Madrid, rappresenta la frenesia e la caoticità della vita guidata dalle passioni e dai vizi. Il fieno, così ambito dai personaggi raffigurati (medici, frati, suore, mercanti, donne e bambini), rappresenta i beni materiali della terra. In mezzo a scenette di umanità varia, emergono le figure di uomini-mostri, con il viso dell’animale significante un vizio, che si allontanano dal carro dopo aver momentaneamente appagato il bisogno. Nell’insieme, è un’opera che anticipa, per certi aspetti il Seicento olandese. ANNI CENTRALI. so. Del 1510 è il Trittico della Passione del Museo de Bellas Artes a Valencia, Nave dei folli Tra il 1490 e il 1500 realizza Nave dei folli, conservata al Museo del Louvre, ispirata dal poema satirico La nave dei folli (Das Narrenschiff), dell’umanista Sebastian Brandt: nel poema un gruppo di pazzi si imbarca su una nave per Narragonien, la terra promessa dei matti, prima del naufragio, arrivano a Schlaraffenland, la terra della cuccagna. Nel dipinto i pazzi sono stipati su una nave, per nocchiere mette un suonatore di cornamusa e come albero della barca utilizza quello della cuccagna. In quel periodo i pazzi non venivano esclusi, perché si riteneva Nave dei folli - bozzetto che a volte Dio si esprimesse attraverso di loro, con ciò venivano lasciati liberi di girare per le campagne o caricati sulle cosiddette Navi azzurre che veleggiavano liberamente. Databile tra il 1490 e il 1500 è l’Allegoria di Yale. Sempre a questo periodo dovrebbe appartenere la tavola, forse di un trittico non identificato, con la Morte di un avaro, ora alla National Gallery of Art di Washington: la scena è ambientata in un interno con il letto di morte dell’avaro disposto obliquamente. Il moribondo, invece di alzare gli occhi verso la luce sprigionata dal Crocifisso posto davanti ad una finestra in alto che gli viene indicata dall’angelo custode alle sue spalle, guarda il demonio ed il sacchetto di denari che gli offre da sotto la tenda. A lato c’è la morte, rappresentata come un scheletro che lo sta per colpire con una freccia mentre ai piedi del letto un vecchio, forse lo stesso avaro, sta riponendo monete dentro un forziere pieno di animali mostruosi; per questo soggetto, comunque già presente nei Sette peccati capitali, può far riferimento l’opuscolo Het sterfboek (Il libro della morte), una traduzione in fiammingo dell’Ars moriendi. Tra il 1500 e il 1504, non si hanno documenti riguardo a Bosch. È probabile che in questi anni l’artista abbia fatto un viaggio in Italia, fermandosi a Venezia: infatti nella città lagunare sono presenti molte sue opere in collezioni private sin dai primi decenni del Cinquecento; inoltre a partire da questi anni lo stile di Bosch cambia, in direzione rinascimentale con figure monumentali inserite in un arioso paesaggio. Tra il 1500 e il 1504 realizza il Trittico di Santa Giuliana, sappiamo di questo che si trovava nel Palazzo Ducale Veneziano nel 1771, negli sportelli laterali quello si sinistra La città in fiamme, mentre in quello di destra Il porto, nello sportello centrale Il martirio della Santa, alla presenza di una folla di personaggi non scalati in profondità, sulla sinistra ai piedi della croce un uomo svenuto: se si interpreta la scena come martirio di Santa Giuliana, dovrebbe trattarsi di Eusebio, mentre se si interpreta la scena come martirio di Santa Liberata, il pannello centrale presenta una composizione, con figure disposte asimmetricamente, inserita in un cerchio. Sempre dello stesso anno è la tavola con Tentazioni di Sant’Antonio, ora al Prado, in cui il Santo non viene distolto dalla sua meditazione dai demoni che lo circondano. Anche il Giardino delle delizie è dello stesso periodo. Il Giardino delle delizie Trittico di Santa Giuliana I Sette Peccati Capitali Morte di un avaro l’uomo svenuto potrebbe essere il re pagano del Portogallo: suo padre, che la condanna al martirio. Dello stesso anno sono le quattro tavole, oggi a Palazzo Grimani con il Paradiso terrestre, l’Ascesa all’Empireo, la Caduta dei dannati e l’Inferno, costituenti a coppie gli sportelli laterali di un perduto trittico. Nella tavola con l’Ascesa all’Empireo le anime sostenute dagli angeli sono condotte verso la luce divina attraverso un passaggio cilindrico, oltre il quale devono proseguire da sole, forse qui l’artista fa riferimento ad una frase dell’Ornamento delle Nozze spirituali di Jan van Ruysbroeck, in cui si parla dell’irradiazione di Dio come un abisso immenso di luce essenziale. Tra il 1503 e il 1504 realizza la Salita al Calvario del Musée des Beaux-Arts di Gand. La tavola, gremita di volti grotteschi, è costruita secondo due diagonali che si incontrano nel volto rassegnato del Cristo: una che dalla croce conduce fino al cattivo ladrone, l’altra che parte dal volto del buon ladrone, confessato da un frate grottesco e arriva fino al volto della Veronica. In questa tavola Bosch utilizza il grottesco e la deformazione e non più simboli per introdurre nella scena il male. Nel 1504, i documenti riportano il pagamento di 36 livres per un Giudizio Universale commissionato da Filippo il Bello di 9 piedi di altezza per 11 di larghezza, forse il trittico ora a Vienna o il Giudizio di Monaco. Nel Trittico del Giudizio sia Paradiso terrestre - Paradiso - Inferno - Caduta dei Dannati Salita al Calvario San Giovanni Battista in meditazione la tavola centrale che le due parti laterali sono all’Accademia di Vienna. Delle parti laterali, la sinistra raffigura il Peccato originale e, sulla faccia esterna, San Giacomo, mentre la destra raffigura l’Inferno e, sulla faccia esterna, San Bavone; nella parte centrale, in alto, quasi separato dal resto della composizione, Il Cristo giudice è appoggiato su un arcobaleno mentre ai lati su nuvole sono la Vergine e San Giovanni Battista con un esiguo numero di eletti; nel resto della composizione viene raffigurato il mondo del peccato e le pene assegnate ai peccatori; qui prevalgono i riferimenti alla «cucina» e agli arnesi di metallo, infatti gli avari sono cucinati sullo spiedo, gli iracondi appesi a ganci da macello e gli accidiosi cucinati in padella. Tra il 1504 e il 1505, realizza sia il San Giovanni Battista in meditazione, ora a Madrid; sia la tavola con il San Giovanni a Patmos, ora a Berlino, sportello laterale di un perduto trittico, primo dei dipinti cosiddetti meditativi, in cui il Santo, immerso in un paesaggio idilliaco, con toni cristallini che ricordano la pittura giorgionesca, ha la visione di un angelo e della Vergine nel cielo, in basso a destra un diavolo con occhiali, ali e coda di scorpione, sul retro a grisaglia varie scene della Passione. Dello stesso periodo è il San Cristoforo di Rotterdam, probabilmente per l’altare della Confraternita di Nostra Signore nella Cattedrale della sua città natale. Del 1505 è il San Girolamo in preghiera di Gand, dove i frutti in decomposizione intorno alla grotta del Santo, alludono alle tentazioni. Trittico di Vienna Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio ULTIMI ANNI. I Sette peccati capitali è un dipinto a olio su tavola attribuito a Hieronymus Bosch o a un suo imitatore, databile al 1500 - 1525 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. L’opera è firmata sotto il cartiglio inferiore «Jheronimus Bosch».Tra il 1506 e il 1508 realizza il Trittico del Giudizio del Groeninge Museum di Bruges, nello sportello destro l’Inferno, dove vengono utilizzati, come strumenti di tortura, oggetti quotidiani ingigantiti. Sempre dello stesso periodo è il Giudizio universale dell’Alte Pinakothek di Monaco. Agli anni 1508 - 1509 veniva fatta risalire l’Incoronazione di spine (Londra, National Gallery), opera invece degli anni ottanta del Quattrocento, dove maggiore è l’influenza della pittura italiana sia nella resa volumetrica delle figure sia nel tratto non più ondulato ma angoloso e spezzato; inoltre la composizione è costruita con meno personaggi ritratti a mezzobusto, il Cristo rassegnato è al centro mentre quattro aguzzini lo circondano, gli aguzzini possono far riferimento ai quattro tipi di carattere: il flemmatico e malinconico in alto e il sanguigno e collerico in bas-