Scienza e Management 7 Lo stato dell’infezione a livello mondiale nella Giornata del 1° dicembre Aids: da non dimenticare EMERGENZA SOCIO-SANITARIA NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO E PROBLEMA IGNORATO E RIMOSSO NELLE NAZIONI OCCIDENTALI: QUESTO È L’AIDS ALLE PORTE DEL 2006. DAL CENTRO OPERATIVO AIDS DELL’ISS LA FOTOGRAFIA DELL’ITALIA ALLE PRESE CON L’INFEZIONE DA HIV DI RICCARDO TOMASSETTI A ncora oggi, dopo più di venti anni di epidemia, ogni due ore un italiano resta contagiato dall’Hiv, il virus dell’immunodeficienza umana. Nella nostra penisola, che certamente non si trova nelle drammatiche condizioni dei Paesi in via di sviluppo, l’epidemia, così terrorizzante ai suoi esordi, ora non fa più paura. Eppure l’Aids ancora non è sconfitto, come ci hanno ricordato tutti i messaggi diffusi lo scorso 1° dicembre, diciottesima Giornata mondiale contro l’Aids. Ma anzi è una malattia che mostra sempre più chiaramente due aspetti diversi: da una parte infatti l’epidemia ha messo in ginocchio economie e sistemi sociali di molte regioni dei Paesi in via di sviluppo e dall’altra, invece, deve scontrarsi con l’indifferenza e la voglia di rimozione degli abitanti delle ricche nazioni occidentali. LA CATASTROFE MONDIALE La comunicazione su questa malattia si è infatti spostata sull’immane emergenza sanitaria che si registra in particolare nei Paesi in via di sviluppo: sono 42 milioni le persone che, nel mondo, convivono con l’Hiv. Ogni anno vengono contagiati circa 5 milioni di individui e quasi 3 milioni di persone muoiono di Aids. L’escalation dell’Aids nel mondo, che dal 1981 ad oggi ha mietuto circa 20 milioni di vittime, sembra ben lontana dall’essersi fermata: se nei Paesi occidentali il numero dei decessi si è notevolmente abbassato grazie al largo impiego delle nuove terapie, in Africa muoiono di Aids circa due milioni e mezzo di persone all’anno e ci sono vaste aree del pianeta, come l’Asia o l’Europa orientale, in cui l’attacco è appena cominciato. La regione più colpita dall’Hiv è senza dubbio quella africana, con oltre 25 milioni di persone affette dal virus responsabile dell’Aids, ma in termini di crescita l’Asia Orientale e la regione del Sud-Est Asiatico sorprendono per la drammaticità dei dati. Si calcola infatti che, dal 2002 al 2004, a fronte di un aumento del 4% nel numero dei casi riscontrati nell’Africa Sub-Sahariana, si è rilevato un incremento del 10% nel Sud-Est Asiatico. Particolarmente drammatica la situazione nella popolosa Cina, dove i sieropositivi sarebbero, secondo le stime ufficiali del Governo, circa 840 mila, ma per gli esperti internazionali le cifre sono molto più alte. La malattia si diffonde con una crescita annua del 30%, la più alta al mondo. dimenticare che si tratta di persone che possono rivelarsi dei diffusori “inconsapevoli” dell’infezione. LA NUOVA MAPPA DELL’INFEZIONE Mutano anche le caratteristiche delle persone colpite, con un minore peso dei comportamenti legati alla tossicodipendenza e una decisa preponderanza della trasmissione sessuale. L’aggiornamento del Coa ci mette di fronte a una realtà tutt’altro che rassicurante. Si registra infatti un aumento della proporzione di casi attribuibili a trasmissione sessuale e a sorpresa un'inversione di tendenza che riguarda le infezioni da Hiv tra gli omosessuali, che tornano a crescere, segnando un +12% rispetto all'anno precedente, passando dal 16% al 28% del totale delle infezioni. Ma il vero allarme è per gli eterosessuali che hanno sorpassato i tossicodipendenti e che nella maggior parte dei casi, soprattutto se donne, scoprono di essere sieropositivi nel momento stesso della diagnosi di Aids. La tendenza è di un aumento dell’età delle persone che si infettano: EMERGENZA ITALIANA Ma questo non significa che nelle ricche nazioni occidentali l’Aids sia confinato al reEuropa est Nord America Europa gno dei brutti ricordi. E i dati 720.000 e Centro Asia 1.200.000 1.600.000 italiani sono lì a dimostrarlo. Est Asia 870.000 La convinzione che oggi siano Africa nord disponibili farmaci efficaci per sahariana Sud e Caraibi tenere a bada il virus e che la 510.000 Sud Est Asia 300.000 7.400.000 vera emergenza sia nei Paesi in via di sviluppo ha pesanteAfrica sub mente contribuito a far disahariana America Latina 25.800.000 menticare e rimuovere il pro1.800.000 Oceania blema. L’attenzione sta infatti 74.000 drammaticamente calando: sarebbero oltre 120 mila i sieroFonte: UNAIDS positivi nel nostro Paese e ogni anno si infettano 4.000 nuove persone, riportano i dati resi noti dal Centro operativo Aids (Coa) del- oltre il 70% dei casi si concentra nella fascia 25 l’Istituto superiore di sanità che aggiornano la – 39 anni ma cresce la quota di casi nella fascia situazione al primo semestre del 2005. Anzi, 35 – 39 anni e negli anziani. E sono a rischio annon solo non si arrestano i nuovi contagi ma la che i giovanissimi: ragazzi tra 14 e 25 anni che, vera emergenza è nel fatto che uno su due (an- sfuggiti al clima terroristico e ai messaggi marzi, oltre il 60%) dei nuovi sieropositivi scopre tellanti dei primi anni dell’infezione, si affacciadi essere stato contagiato dall’Hiv solo quando no alle prime esperienze sessuali spesso ignari ormai la malattia è conclamata, cioè quando si anche delle minime precauzioni. È quindi necessono già manifestate le prime conseguenze cli- sario che non si abbassi la guardia, denunciano niche della sindrome da immunodeficienza ac- gli esperti, e che si torni a parlare di Aids per quisita. Questo significa che ancora stenta a rompere quel muro di disattenzione e indifferendiffondersi tanto la cultura della prevenzione za che rischia di far riesplodere drammaticaquanto l’abitudine a sottoporsi al test. Senza mente l’emergenza sanitaria. 8 Scienza e Management l ’ i n f e r m i e r e 10 / 2 0 05 Le grandi campagne di prevenzione per sensibilizzare i cittadini sulle problematiche sanitarie Giocared’anticipo CONTRO INFARTO E ICTUS SI RINNOVANO GLI APPELLI AFFINCHÉ LA POPOLAZIONE CONDUCA UNA VITA SALUTARE E FACCIA ATTENZIONE AI PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO PER LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI. I TUMORI SI COMBATTONO INVECE CON PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE. MENTRE DALL’AVIARIA È FONDAMENTALE NON FARSI TROVARE IMPREPARATI S arà giocato sempre più sulla prevenzione il futuro della medicina moderna. Si tratta infatti di una nuova attenzione alla salute che tiene conto e nello stesso momento è il risultato di diversi elementi caratteristici dei tempi attuali. Primo tra tutti il ruolo e il valore attribuito alla salute nella percezione della popolazione. Ma non è da trascurare l’aspetto più propriamente “venale”: le misure che concorrono al mantenimento di un buono stato di salute nella popolazione generale contribuiscono anche a realizzare un notevole risparmio per il Servizio sanitario nazionale. Considerazioni che valgono in particolare per alcuni dei grandi flagelli che affliggono l’intera popolazione mondiale, soprattutto gli abitanti delle ricche nazioni occidentali. Malattie destinate però a costituire le prossime emergenze sanitarie con cui dovranno presto o tardi scontrarsi anche i Paesi in via di sviluppo. A PARTIRE DALL’INFORMAZIONE Un ruolo di particolare importanza riveste la prevenzione, sia primaria che secondaria, delle malattie cardio-cerebrovascolari, ancora oggi la prima causa di morte nel mondo occidentale con 4 milioni di decessi ogni anno solo in Europa. Ma per ridurre il numero di casi è necessario intervenire sulle abitudini dei singoli cittadini e per questo è fondamentale una informazione corretta e diffusa che coinvolga direttamente la popolazione, a cui bisogna rivolgersi con linguaggio chiaro e convincente. Si moltiplicano così le iniziative di diverse società scientifiche e anche di associazioni di pazienti per veicolare all’intera popolazione i messaggi fondamentali per la prevenzione. A “CUOR LEGGERO” Brevi Quest’anno le principali campagne di prevenzione cardiovascolare si sono concentrate sul peso in ec- cesso, il nemico numero uno per la salute di cuore e arterie. La Giornata mondiale del cuore, celebrata in tutto il pianeta a settembre scorso, ha puntato infatti l’attenzione sul girovita, non per farne un’ossessione da forzati delle passerelle, ma perché diventi un altro degli indicatori da cui imparare a conoscere meglio il nostro corpo. Studi recenti hanno infatti dimostrato che sovrappeso e obesità non si misurano solo in chilogrammi, ma anche in centimetri: una circonferenza addominale superiore a 88 cm nelle donne e a 102 cm negli uomini costituisce infatti un importante indicatore di rischio cardio-cerebrovascolare. Comunque una attenzione va portata già a valori che superano rispettivamente 80 cm nella donna e 94 cm nell’uomo. cui la Favo, la Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia, ha promosso una campagna informativa che aiuti a individuare i soggetti più a rischio (per età, familiarità o eventuali altri fattori predisponenti) da inserire in un opportuno percorso diagnostico-terapeutico. Dall’adozione di un corretto stile di vita alla regolare esecuzione di esami specifici, la guida Il cancro colo-rettale, questo sconosciuto… redatta a cura dell’Agenzia regionale sanitaria Regione Puglia e dall’Aistom (Associazione italiana stomatizzati) fornisce suggerimenti e consigli per evitare questa forma tumorale che rappresenta circa il 10% di tutti i tumori maligni, al terzo posto nel mondo per mortalità. CONTRO L’ICTUS, LOTTA ALL’IPERTENSIONE AVIARIA: I CONSIGLI DELL’OMS L’European Society of Cardiology scende addirittura in campo con una Petizione europea per la prevenzione dell’ictus e dell’ipertensione da presentare al Parlamento europeo al fine di incoraggiare le autorità dei singoli Paesi a supportare le attività necessarie per ridurre l’incidenza degli eventi cerebrovascolari attraverso un più attento monitoraggio e un più accurato trattamento dell’ipertensione. È proprio il controllo della pressione la prima arma a disposizione di medici e pazienti per ridurre il rischio di un ictus, la quarta causa di morte in Europa e la prima di invalidità, che incide per il 3-4% sul totale della spesa sanitaria. Ogni minuto, ricordano gli esperti della Società europea di cardiologia, nel nostro continente una persona muore per un ictus evitabile. PER IL COLON RETTO, PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE Contro il cancro del colon retto è invece sceso in campo direttamente il ministero della Salute che, insieme alle principali associazioni di pazienti tra UN TEST PER PREDIRE IL DOLORE POST-OPERATORIO Basandosi su stime del livello di ansia pre-operatoria, sulla resistenza al calore e sulla pressione del sangue prima dell’intervento, un’équipe dello statunitense Baptist Medical Center, presso la Wake Forest University, ha messo a punto un test per stabilire la corretta terapia antidolorifica per ogni singolo paziente. La tolleranza al dolore è infatti molto soggettiva e quindi i ricercatori hanno ideato un questionario che contempli tutti i fattori che possono incidere su tale capacità di sopportazione. Si intende così evitare che il paziente sia sotto-trattato e che quindi senta dolore dopo l’operazione, con il rischio che questo si trasformi addirittura in cronico, o viceversa che riceva una terapia sovra-dosata rispetto alle reali necessità. I ricercatori hanno Non solo contro i grandi flagelli: oggi la prevenzione mira anche a evitare l’emergenza e la diffusione di malattie che, nonostante potenzialmente molto pericolose, praticamente ancora non esistono, come è il caso della tanto temuta influenza aviaria. In questo caso è addirittura l’Organizzazione mondiale della sanità a dettare i principi dell’azione da seguire per non trovarsi impreparati di fronte a una eventuale pandemia. In collaborazione con tutte le altre istituzioni internazionali e con i ministeri della Salute e i Governi nazionali, l’Oms ha messo a punto un piano che prevede tanto la sorveglianza capillare sul territorio per l’individuazione di eventuali casi sospetti nell’uomo, quanto la vaccinazione di massa con il vaccino dell’influenza umana (così da ridurre il rischio di co-infezioni e quindi di mutazioni nel virus aviario), fino ad arrivare allo stoccaggio di farmaci antivirali per l’eventuale trattamento dei primi casi sospetti e allo sviluppo di vaccini ad hoc. (R.T.) identificato sei gruppi di fattori predittivi che danno conto del 90% della variazione individuale nel dolore avvertito e nella dose di farmaci necessaria per placarlo. Messo alla prova su 32 donne che si accingevano ad affrontare un parto cesareo, il test ha confermato di riuscire a identificare i pazienti più a rischio di provare dolore post-operatorio. LECCA-LECCA SCACCIA DOLORE Elevata potenza analgesica e rapidità d’azione sono le caratteristiche del farmaco a base di fentanil citrato transmucosale, in commercio in Italia dallo scorso luglio e il primo indicato contro il “dolore episodico intenso” che può colpire i pazienti oncologici con picchi di dolore improvvisi e intensissimi. È un vero e proprio lecca-lecca: si presenta infatti come una compressa ap- plicata a un supporto a forma di bastoncino che va posizionato e ruotato tra guancia e gengiva, al fine di far assorbire il principio attivo attraverso la mucosa. Grazie alla vascolarizzazione della gengiva il principio attivo è assorbito rapidamente (pochi minuti) e dà subito sollievo dal dolore. Il paziente oncologico soffre spesso di un dolore fisso, ben controllabile da una terapia di base, ma va anche soggetto a picchi di dolore che si manifestano improvvisamente in genere senza causa apparente e, pur durando poco, sono particolarmente intensi e gravemente invalidanti. Il farmaco è destinato quindi alla gestione del dolore episodico intenso in pazienti già in terapia di mantenimento con un oppioide per il dolore cronico da cancro, sia per i casi che si risolvono con la guarigione, sia per i pazienti in fase avanzata di malattia. Scienza e Management 9 STUDI ED ESPERIENZE professionali MARIA TERESA CIAMMAICHELLA DAI, TUTOR PRESSO IL CORSO DI LAUREA DI SCIENZE INFERMIERISTICHE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” SEDE DI COLLEFERRO, ASL RM G BRUNELLA IANNONE DIRIGENTE DI 1° LIVELLO, RESPONSABILE S.O.S. IMMUNOEMATOLOGIA E MEDICINA TRASFUSIONALE SIT COLLEFERRO, ASL RM G GIANNA CARPENTIERI STUDENTESSA DI SCIENZE INFERMIERISTICHE 3° ANNO ROSSANA MORTARI DAI, COORDINATORE TECNICO-PRATICO CORSO DI LAUREA DI SCIENZE INFERMIERISTICHE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” SEDE DI COLLEFERRO, ASL RM G GIUSEPPE LOMBARDI DOCENTE SCIENZE INFERMIERISTICHE OSTETRICO GINECOLOGICHE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” SEDE DI COLLEFERRO Obiettivo di questo studio è quello di focalizzare l’attenzione sulle cellule staminali emopoietiche, in particolar modo sulla procedura di prelievo e donazione di tali cellule, importanti per la realizzazione di un trapianto di midollo osseo. Per quanto riguarda la donazione, sono state analizzate nello specifico tutte le problematiche ad essa associate. Si è rilevata una marcata disinformazione su questa metodica che genera nell’uomo falsi pregiudizi. Per tale motivo viene trattato ampliamente il tema della donazione del sangue del cordone ombelicale quale fonte alternativa di cellule staminali emopoietiche: un prelievo semplice e del tutto innocuo, in grado di aumentare la disponibilità di donatori. Attraverso questo studio, si è cercato di valorizzare il fondamentale ruolo che oggi l’infermiere svolge sia nell’assistenza pre-post trapianto che nell’educazione sanitaria della popolazione. INTRODUZIONE Il trapianto di cellule staminali emopoietiche viene oggi utilizzato nella cura di patologie ematologiche e non che un tempo risultavano letali. Le cellule staminali sono cellule presenti in ogni organismo; rispetto alle altre si caratterizzano in quanto non hanno ancora una funzione ben precisa all’interno dell’organismo stesso. Possono evolversi sia in altre cellule staminali che in cellule precursori di una progenie cellulare destinata a sviluppare tessuti ed organi. In pratica, sono cellule che assicurano il rinnovamento di tutti i tessuti (il cosiddetto turn-over) permettendo di rimpiazzare le cellule che hanno esaurito la loro attività e sono perciò destinate a morire. Di particolare interesse ai fini trapiantologici sono le cellule staminali emopoietiche presenti nel midollo osseo, nel sangue periferico e nel sangue placentare. Esse sono responsabili della formazione delle tre diverse linee ematiche: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. MODALITÀ DI ESECUZIONE DEL TRAPIANTO E DEL PRELIEVO DELLE CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (Tcse) consiste in una chemio/radioterapia a dosi tali da indurre un’aplasia midollare irreversibile, seguita dall’infusione di cellule staminali emopoietiche. Obiettivo del trapianto è quello di eliminare la malattia del paziente e ripristinare, con l’infusione di cellule staminali, le normali funzioni del midollo osseo. Il trapianto può essere autologo quando le cellule staminali reinfuse, precedentemente raccolte e adeguatamente conservate, sono quelle del paziente stesso. Invece si definisce allogenico quando le cellule staminali provengono da un donatore. In questo caso occorre individuare un donatore idoneo, ossia è necessario tipizzare sia donatore che ricevente, per verificare, con tecniche di biologia molecolare, che le cellule dell’uno e dell’altro siano HLA compatibili, cioè presentino gli stessi antigeni di istocompatibilità. Le cellule staminali emopoietiche si trovano nel midollo osseo e in misura minore, nel sangue periferico. Entrambe queste sedi si possono sfruttare come fonte di cellule staminali per trapianti sia autologhi che allogenici: • il prelievo del midollo osseo viene eseguito attraverso aspirazioni multiple dalle creste iliache, effettuato in sala operatoria in anestesia generale o epidurale; • la raccolta delle cellule staminali nel sangue periferico avviene come una normale donazione di sangue, però con previa stimolazione del donatore mediante un fattore di crescita, sostanza in grado di aumentare le cellule staminali, in modo da poterle raccogliere in numero sufficiente con una o più sedute aferetiche tramite un separatore cellulare, procedura della durata di tre/quattro ore circa, senza necessità di alcun tipo di anestesia. Nel trapianto di tipo allogenico esiste una terza fonte di cellule staminali rappresentata dal sangue del cordone ombelicale, che viene prelevato dopo l’espletamento del parto senza alcun rischio né per la madre, né per il neonato. IL TRATTAMENTO La prima tappa dell’iter terapeutico è rappresentata dall’informazione del paziente, finalizzata anche al conseguimento di un valido consenso informato. Tale fase ha lo scopo di fornire tutte le informazioni necessarie in modo che l’opzione per il trapianto possa essere fatta con buona conoscenza di ciò che il paziente affronterà. Ottenere un valido consenso informato è competenza medica; ciò non toglie però che l’infermiere, in questi casi, deve essere sempre coinvolto. L’infermiere è sicuramente la figura alla quale il paziente si rivolge con maggiore naturalezza e che più facilmente comunica con lui impiegando un linguaggio comprensibile, concettualmente adeguato, adattando gradualmente, nei limiti delle proprie competenze, il livello informativo alle varie fasi di malattia. Al momento dell’ammissione, per il trapianto, al paziente ed alla sua famiglia vengono consegnati degli opuscoli informativi in cui viene spiegato tutto l’iter terapeutico e vengono date alcune indicazioni riguardo gli aspetti organizzativi del trattamento. Il paziente viene ricoverato 8-9 giorni prima della data programmata per l’infusione e fin dal primo giorno vengono eseguiti tutti gli esami necessari prima di cominciare il trattamento ad alte dosi. Una volta eseguiti tutti gli esami necessari viene posizionato al paziente il catetere venoso centrale utile per: • somministrazione della chemioterapia ad alto dosaggio; • infusione di cellule staminali; • per un eventuale supporto nutrizionale parenterale; • un eventuale somministrazione della terapia antibiotica, antimicotica ed antivirale; • supporto e trattamento della GVHD (Graft Versus Host Disease o malattia del trapianto contro l’ospite; provocata dalle cellule staminali trapiantate che, in quanto riconosciute come estranee, vengono attaccate e distrutte dalle cellule del sistema immunitario del ricevente). Un catetere venoso centrale (Cvc) si definisce tale in quanto il suo estremo terminale si posiziona in prossimità dello sbocco nell’atrio destro di una delle grandi vene intratoraciche, la cava superiore o la cava inferiore. Per giungere a livello caveale, il catetere può seguire due tipi di accesso venoso: superficiale o profondo. Una vena si dice superficiale quando decorre a livello sovrafasciale ed è visibile o palpabile. Le vene superficiali che consentono il posizionamento di un Cvc sono quelle del braccio (la basilica e la cefalica) e la giugulare esterna. Le vene profonde decorrono invece sottofasciali, non visibili né palpabili e nella pratica clinica le più usate per posizionare un catetere in posizione centrale sono: la succlavia, la giugulare interna, la femorale e la ascellare. La cannulazione viene eseguita dal medico, è comunque necessario assisterlo in questa fase in vari modi: • posizionando il paziente a seconda dell’area destinata alla venipuntura, in caso che un alterato livello di coscienza provochi agitazione del paziente stesso; • verificando le alterazioni del ritmo cardiaco sul tracciato elettrocardiografico e segnalandole tempestivamente; • valutando i parametri vitali del paziente. Subito dopo aver posizionato il Cvc viene dato avvio al trapianto. Distinguiamo tre fasi del trapianto: 1) regime di condizionamento; 2) isolamento; 3) infusione di cellule staminali. Per regime di condizionamento si intende la somministrazione di farmaci chemioterapici ad alti dosaggi al fine di creare spazio all’interno della cavità midollare, spazio che verrà poi occupato dalle cellule staminali infuse. Il risultato di ciò è un’aplasia midollare irreversibile. Durante tutto il periodo del condizionamento il paziente viene seguito dal personale infermieristico che ha due compiti fondamentali: • aspetto tecnico: deve conoscere e saper identificare gli eventuali effetti collaterali della chemioterapia in modo da attuare un rapido intervento; • aspetto relazionale: ha il fine di istaurare un’efficace relazione di [SEGUE] ▼ GESTIONE INFERMIERISTICA DEL PAZIENTE SOTTOPOSTO A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE 10 Scienza e Management l ’ i n f e r m i e r e 10 / 2 0 05 ▼ aiuto soprattutto attraverso un buon dialogo spesso su temi anche difficili e in particolar modo sui risultati degli effetti collaterali della chemioterapia. In questa fase è importante che l’infermiere dia al paziente la possibilità di parlare apertamente, analizzando le proprie preoccupazioni, dandogli alcuni consigli su come affrontare tali cambiamenti e ricordandogli soprattutto il beneficio che la chemioterapia comporta. Eseguito il condizionamento, il paziente viene sistemato nelle stanze di isolamento; ciò avviene solitamente il giorno prima dell’infusione delle cellule staminali emopoietiche. L’isolamento ha lo scopo di proteggere il paziente dalle infezioni durante la fase dell’infusione delle cellule staminali. L’infermiere ha l’obbligo di far osservare delle regole fondamentali al paziente ed ai suoi familiari per evitare il diffondersi delle cariche batteriche, virali e micotiche; pertanto tutto quello che verrà introdotto all’interno di questa camera sarà rigorosamente sterile, inoltre, nella zona-paziente può accedere una sola persona con veste monouso, copriscarpe, mascherina guanti e cuffia. Il paziente viene anche istruito dall’infermiere riguardo le misure da adottare per il mantenimento della massima igiene corporea. Il paziente dovrà eseguire la doccia tutte le mattine con soluzione disinfettante, cambiarsi gli indumenti giornalmente e riporli in un sacchetto che verrà poi consegnato alla famiglia. La biancheria sporca deve essere lavata e trattata con disinfettanti appositi. Per la rasatura è sconsigliato l’uso del rasoio manuale e viene imposto l’uso di quello elettrico. È indicato l’uso di due paia di ciabatte per passare dal bagno alla stanza; l’igiene orale per la prevenzione delle mucositi è affidata al paziente, per cui è molto importante che l’infermiere spieghi in modo chiaro il procedimento per la pulizia del cavo orale, che deve essere attuata dopo ogni pasto e prima del riposo notturno. La terza fase è caratterizzata dall’infusione delle cellule staminali emopoietiche. Il giorno dell’infusione il paziente viene invitato ad effettuare una doccia ed a comportarsi secondo la routine abituale dell’isolamento. Prima dell’infusione è importante che un infermiere: • prepari il materiale e le sacche contenenti le cellule staminali emopoietiche; le sacche congelate vengono trasferite nell’unità di cura del paziente il giorno stesso del trapianto, in un contenitore di azoto liquido ed immerse in bagno termostatico con acqua a 40°; una volta scongelata e portata a 37°, ciascuna sacca viene infusa rapidamente per ridurre al minimo la morte delle cellule staminali; • controlli che l’unità a disposizione sia effettivamente quella destinata al paziente in questione esaminando attentamente nome, cognome, gruppo sanguigno ed i risultati della tipizzazione Hla; • controlli che l’unità sia priva di bolle e che non abbia un colore anomalo o non sia torbida (le bolle gassose possono essere indice di contaminazione batterica; un colore insolito o la torpidità possono essere segno di emolisi; • rilevi i parametri vitali del paziente per conoscere le condizioni basali. Effettuare l’infusione è competenza medica però, durante il trapianto, un infermiere deve essere sempre presente nella stanza del paziente, monitorando con frequenza sia i parametri vitali che i segni di reazione all’infusione (febbre, dispnea, brividi, broncospasmo, ipotensione, cianosi, dolori toracici ed addominali). Dopo l’infusione è necessario che l’infermiere rivaluti i parametri vitali del paziente e confronti i risultati con quelli relativi alla valutazione basale. Al termine dell’infusione e nei giorni successivi, il personale infermieristico si preoccuperà di attuare con la massima cura il protocollo per il controllo delle infezioni. L’isolamento protettivo dopo l’infusione delle cellule staminali può durare 10-15 giorni a seconda delle condizioni cliniche del paziente e dei risultati degli esami ematochimici e sierologici. Se non vi sono complicanze il paziente viene dimesso ma una volta a casa, trattandosi di un paziente immunodepresso, è essenziale: • curare la dieta; • evitare luoghi affollati; • evitare visite di bambini o familiari di bambini che sono stati recentemente sottoposti alla vaccinazione anti-polio (in quanto il virus viene eliminato anche per 12 settimane dalla vaccinazione); • evitare contatti con soggetti influenzati o bambini affetti da malattie esantematiche; • proseguire, anche dopo la dimissione, un’accurata pulizia del cavo orale; • nel primo anno non può essere effettuato nessun tipo di vaccinazione e per tale motivo si deve evitare di effettuare viaggi intercontinentali. CONCLUSIONI Concludendo possiamo affermare che per poter effettuare questo tipo di trapianto è necessaria la disponibilità di donatori, che purtroppo attualmente risultano insufficienti sia per la mancata informazione, sia per il pregiudizio abbastanza diffuso che donare il midollo osseo sia pericoloso. Molto probabilmente non tutti sanno che si possono donare le cellule staminali emopoietiche, oltre che dal midollo osseo e dal sangue periferico, da un’altra fonte alternativa, vale a dire dal cordone ombelicale. Donare il sangue del cordone ombelicale è un gesto semplice ed innocuo, che non richiede lo stress del ricovero e dell’anestesia e del prelievo midollare, ma è un grande atto che può offrire a tante persone una speranza in più di guarire. BIBLIOGRAFIA • Suzanne C. Smeltzer, Brenda G. Bare, Brunner Suddarth: Nursing medico-chirurgico, Seconda Ed. 2001, Ed. Ambrosiana • Alessandro M. Gianni, Trapianto di midollo osseo, in Bonadonna G., Robustelli Della Cuna G., Medicina Oncologica, Quinta Edizione 1994. Ed. Masson • Brivio E., Magri M., Assistenza infermieristica in Oncologia, Ed. Masson 2003 • De Luca A.M., Celegato R., Il trapianto di midollo osseo, in Di Bellini M.L. et al. Psiconcologia, Ed. Masson 2001 • A. Gentili, M. Nastasi, L. A. Region, G. Silvestri, P. Manganelli, Il paziente critico, Ed. Ambrosiana • Anin - C. Spairani, T. Lavalle, Procedure, protocolli e linee guida di assistenza infermieristica, Ed. Masson • G. M. Pontieri, Patologia e fisiopatologia generale, Casa editrice Piccin 2002 • P. Annese, V. Di Santo, F. Oddi, M Calducci, Nozioni di diritto e di medicina legale, Casa Ed. CE.DI.S. 2003 LA DONAZIONE DI ORGANI/IL TRAPIANTO. ANALISI DEI BISOGNI FORMATIVI DEL PERSONALE INFERMIERISTICO DI GIUSTI GIAN DOMENICO* TRATTO DA TESI DI MASTER IN INFERMIERISTICA IN ANESTESIA E TERAPIA INTENSIVA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE – A.A. 2002/2003 *INFERMIERE DELL’AZIENDA OSPEDALIERA DI PERUGIA STRUTTURA COMPLESSA ANESTESIA E RIANIMAZIONE U.O. RIANIMAZIONE P.O. “SILVESTRINI” INTRODUZIONE L’idea di formulare questa ricerca nasce dal grande interesse in merito alla tematica della donazione e del trapianto di organi che è presente nei reparti impegnati attivamente su questo fronte, come le terapie intensive, ma che è viva in modo trasversale in tutti i servizi tra operatori impegnati in sanità. Lo scopo iniziale, da raggiungere attraverso la somministrazione di un questionario ad un campione di infermieri, è stato quello di valutare il livello, la qualità e la quantità delle informazioni che questi professionisti hanno riguardo alle tematiche della donazione e trapianto di organi e tessuti. La necessità di capire il loro livello di conoscenza su questa tematica nasce dal fatto che, in quanto operatori sanitari, spetta a loro per primi l’educazione sanitaria della popolazione; ed è per questo che per comunicare corrette informazioni occorre in primo luogo avere delle corrette conoscenze al riguardo. MATERIALI E METODI Per descrivere l’indagine è stato utilizzato un metodo osservazionale (finalizzato a raccogliere le informazioni attraverso un processo sistematico d’indagine) di tipo descrittivo (fornendo la descrizione di un fenomeno). Il metodo rilevativo utilizzato è quello del questionario, creato appositamente per la ricerca, e attraverso l’interrogazione si è cercato di valutare opinioni, percezioni soggettive, giudizi personali del campione preso in esame; questo è costituito da tre parti: • la prima parte è una piccola presentazione della ricerca, dove viene spiegato l’obiettivo che si vuole raggiungere con il questionario, evidenziando l’anonimato e il fatto che non è un test di valutazione personale riguardo alla preparazione del singolo operatore sul tema della donazione/trapianto; • la seconda parte comprende domande di carattere generale riguardo all’anagrafica del soggetto intervistato: si chiede l’età, il sesso, l’Unità operativa di appartenenza, l’anzianità di servizio; • la terza parte è specifica per la ricerca. Sono otto domande che interessano la donazione/trapianto più uno spazio per le osservazioni e i suggerimenti. Le unità statistiche incluse nel campione sono rappresentate da infermieri operanti nelle Unità operative del presidio ospedaliero “R. Silvestrini” dell’Azienda ospedaliera di Perugia. Il campionamento è avvenuto dividendo gli infermieri in due sottogruppi, considerando dove la guarigione di un paziente poteva (gruppo A) o non poteva (gruppo B) dipendere da un trapianto: questo è stato fatto per analizzare come la tipologia del paziente con cui l’operatore opera modifica gli aspetti formativi. Per articolare in modo logico e sequenziale i diversi momenti della ricerca è stato utilizzato un percorso Scienza e Management 11 metodologico di ricerca infermieristica. Le caratteristiche di questo metodo di studio sono: • la circolarità: ogni fase segue la successiva in modo predefinito e sequenziale; • la ripetizione: seguendo lo stesso modello è possibile ripetere lo studio, potendo confermare o no i risultati. Le fasi sono: 1. obiettivi specifici (viene creata l’ipotesi di partenza per la ricerca, si identificano gli obiettivi specifici e come si integrano nella pratica clinica); 2. bibliografia e stato delle conoscenze (si analizza la bibliografia esistente e le informazioni disponibili); 3. formulazione e progetto di ricerca (si sviluppa uno schema concettuale di riferimento che descrive il problema, i fattori che contribuiscono al problema e le possibili soluzioni); 4. raccolta dati (si analizzano le caratteristiche dell’ambiente dove avverrà il progetto di ricerca, la grandezza e la natura del campione); 5. interpretazione dei risultati (si interpretano i dati e si descrive l’importanza della ricerca). RISULTATI Gli infermieri che hanno aderito allo studio sono stati il 71% degli intervistati; sono soprattutto operatori che hanno un’età compresa tra i 30 e i 40 anni, con un’anzianità di servizio compresa tra i 10 e i 20 anni. Questo evidenzia un campione “esperto” dal punto di vista professionale che ha visto e ha partecipato a notevoli cambiamenti e mutazioni, dal punto di vista legislativo, della tematica donazione/trapianto di organi e tessuti. Il 94% è favorevole alla donazione di organi, ma il 40% degli intervistati è convinto che la donazione alteri l’integrità della salma; il significato clinico/medicolegale di morte encefalica è chiaro al 91% degli operatori. Rispetto ai potenziali terapeutici della donazione d’organo circa l’82% degli infermieri ne è sufficientemente informato, ma enormi sono le differenze tra chi lavora a contatto con pazienti che hanno subito o subiranno trapianti e chi non vi opera. Infatti, mentre nel primo gruppo solo l’8% non ne è a conoscenza, nel secondo gruppo questa percentuale raggiunge il 34%. È stata confermata l’ipotesi che la preparazione, anche di chi lavora a contatto con persone la cui guarigione dipende da un trapianto, non è del tutto completa; questa conferma viene dal fatto che solo il 75% degli intervistati del gruppo A e il 60% del gruppo B conoscono tutti gli organi e i tessuti che possono essere trapiantati. L’analisi del livello di partecipazione al processo di donazione/trapianto ha evidenziato che l’83% degli intervistati vorrebbe conoscere come si svolge il lavoro di équipe per un prelievo e la percentuale raggiunge il 91% se si prendono in considerazione soltanto gli operatori del gruppo B. La necessità riscontrata verso l’approfondimento della tematica in questione nasce anche dal fatto che la professione infermieristica è vista con un ruolo molto attivo nel processo della donazione dal 76% del campione. Questo ruolo è chiaramente riconosciuto più dagli infermieri del gruppo A (85%) rispetto a quelli del gruppo B (62%). Per quanto riguarda il gradimento per un eventuale corso di formazione sulla donazione di organi l’86% è favorevole, di questa larga percentuale di persone fanno parte l’83% del primo gruppo e il 91% degli operatori del secondo gruppo. Secondo gli intervistati, gli aspetti che devono essere approfonditi per un eventuale corso di formazione devono essere soprattutto quelli legati alla legislazione e alle sua implicazioni medico-legali (14%); inoltre è stato richiesto un approfondimento di tutti gli ambiti comunicativi, sia quelli che intercorrono tra gli operatori e i familiari del donatore (13%), sia quelli tra operatori e ricevente e i suoi congiunti (10%). La parte relativa all’etica e agli aspetti morali, secondo gli intervistati, riveste una grossa importanza e da molti è stata evidenziata la necessità di affrontare questo tema. Una grande attenzione è rivolta anche a tutte le attività che ruotano attorno all’équipe espianti/trapianti. CONCLUSIONI L’interesse suscitato dalla somministrazione del questionario ha evidenziato una grande sensibilità da parte del personale infermieristico riguardo al tema della donazione e trapianto di organo. Dall’analisi dei dati scaturiscono diverse interpretazioni tra cui quella che c’è una carenza formativa rispetto a questo tema. Questo deficit è da addebitarsi per prima cosa alla formazione di base, che non prende in esame questa tematica in modo approfondito; inoltre gli aspetti, in continua evoluzione dal punto di vista etico, vengono trattati spesso dai mezzi di comunicazione di massa in modo sommario e frettoloso, comunicando notizie anche al personale sanitario non sempre corrispondenti alla realtà. Gli infermieri che devono occuparsi della propria formazione e informazione devono formare e informare i cittadini facendo educazione alla salute, per questo è opportuno che le notizie ricevute siano corrette e scientificamente adeguate. Creare un corso di formazione può dare la possibilità a tutti gli operatori di acquisire le giuste informazioni rispetto a questo tema. N. Ozdag (2001) conferma l’ipotesi di un progetto formativo che ha come obiettivo generale quello di fornire le conoscenze teoriche riguardo alle tematiche della donazione e trapianto d’organi e tessuti, per cercare di sopperire alla carenza di formazione. Ipotizzando un progetto formativo, questo può svilupparsi in due distinti momenti. M., La rilevazione del bisogno formativo: esperienza di analisi qualitativa, Management infermieristico n. 3/2000, 22-30 • Chabaliwski F.L., Ellis J.M., Mc Graw L.J., Education related to organ donation anche trasplantation in undergraduate nursing schools: 1993 versus 2000. 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Occorre che, rispetto a temi di grande rilevanza, come quello della donazione e trapianti, tutti i professionisti della salute siano preparati e informati verso le prestazioni che devono erogare. competenze e accreditamento del professionista infermiere: il contributo della formazione permanente, Scenario 2000: 17 (1), 15-37 • Molzahn A.F., Knoweledge and attitudes of critical care nurses regarding organ donation, Can J Cardiovasc Nurs. 1997; 8(2); 20-23 • Ozdag N., The nurses knoweledge, awareness and acceptance of tissue-organ donation. J. Edtna Erca 2001 Oct-Dee; 27/4); 201-6 • Quaglino G.P., Carozzi G.P., Processo, analisi dei bisogni, valutazione dei risultati, Franco Angeli, Milano, 1996 • Randhawa G., Specialist nurse training programme: dealing with asking of organ donation. 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