STORIE IN CORSO VI.
Seminario nazionale dottorandi
Catania, 26-28 maggio 2011
www.sissco.it
In hoc signo vinces. Pratiche di consacrazione al Sacro Cuore in Italia e in Francia durante la
Grande Guerra
Sante Lesti (Scuola Normale Superiore, Pisa / École des Hautes Études en Sciences Sociales, Paris)
1. Introduzione
Il 15 giugno 1917, in Italia come in Francia, in Inghilterra come in Romania, milioni di
cattolici, accorsi nelle proprie chiese in occasione della festa del Sacro Cuore di Gesù,
«consacrarono» – recitando le parole del card. Amette, arcivescovo di Parigi – i propri «cuori», le
proprie «famiglie», i propri «eserciti», le proprie «patrie» al «Cuore adorabile» di Gesù, invocando,
in un solo tempo, l’«avvento del [Suo] regno nel mondo» e il «trionfo nella lotta» sostenuta
dall’Intesa per la «difesa del diritto»1. Le solenni cerimonie di quel giorno non furono, tuttavia, che
l’episodio più spettacolare di un – verrebbe da aggiungere – quasi “ossessivo” rilancio, nel dramma
della guerra, delle pratiche di consacrazione al Sacro Cuore2. L’imperatore d’Austria, per primo,
1
Per il testo originale dell’atto di consacrazione: La Semaine religieuse de Paris, a. LXIV (1917), t. CXXVII, 9 juin
1917, pp. 707-708; una copia, invece, della traduzione in lingua italiana, a cura del Comitato italiano per la
consacrazione nazionale al Sacro Cuore, è in Museo della Guerra (Rovereto), Collezione Monterumisi, Santini, 342.
2
Accenni alle singole vicende nazionali in: D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una
delegittimazione religiosa dei conflitti, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 31-36; Id., Sacro Cuore. Un culto tra devozione
interiore e restaurazione cristiana della società, Viella, Roma 2001, pp. 262-271; R. Jonas, The tragic tale of Claire
Ferchaud & the Great War, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 2005; N. Busch, Katholische
Froemmigkeit und Moderne. Die Sozial- und Mentalitaetsgeschichte des Herz-Jesu-Kultes in Deutschland zwischen
Kulturkampf und Erstem Weltkrieg, Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh 1997, pp. 95-104; G. Rumi, Il Cuore del Re.
Spiritualità e progetto da Benedetto XV a Pio XI, in Id., Santità sociale in Italia tra Otto e Novecento, SEI, Torino
1995, pp. 25-38; A. Becker, La guerre et la foi. De la mort à la mémoire. 1914- 1930, Armand Colin, Paris 1994, pp.
77-87; F. De Giorgi, Forme spirituali, forme simboliche, forme politiche. La devozione al S. Cuore, in «Rivista di storia
della chiesa in Italia», a. XLVIII, n. 2, luglio-dicembre 1994, pp. 440-459; A. Denizot, Le Sacré-Cœur et la Grande
Guerre, Nouvelles Éditions Latines, Paris 1994; J. Benoist, Le Sacré-Cœur de Montmartre. De 1870 à nos jours, vol. I,
Les éditions ouvrières, Paris 1992, pp. 585-595; A. Zambarbieri, Per la storia della devozione al Sacro Cuore in Italia
1
aveva consacrato se stesso e la propria famiglia – in un contesto tutt’altro che privato, per una
monarchia «d’antico regime»3 – l’8 dicembre 1914; un mese più tardi, il 10 gennaio 1915, in tutte le
chiese tedesche, per iniziativa dell’episcopato, sarebbe stata rinnovata la consacrazione del «genere
umano» al Sacro Cuore, celebrata per la prima volta, per volontà di Leone XIII, in occasione
dell’«anno sacro» 1900; in Italia, il 5 gennaio 1917, primo venerdì dell’anno, due milioni di soldati
– più o meno spontaneamente, più o meno convintamente – si sarebbero accostati alla
consacrazione promossa – con la partecipazione entusiasta di mons. Bartolomasi, vescovo
castrense, e di molti cappellani e preti-soldati – da padre Agostino Gemelli4; in Francia, terra
d’elezione del culto, il card. Amette aveva già provveduto ad una consacrazione «nazionale» – in
grado di mobilitare l’intero tessuto diocesano francese, nonostante l’opposizione delle autorità
politiche e militari – nel giugno del 1915. Questo per non citare che alcune delle cerimonie officiate
nei più importanti paesi impegnati nel conflitto. Per tutta la durata della guerra, in Francia, in
Austria, in Italia, in Germania, in Belgio – per non citare che alcuni casi – cattolici avrebbero fatto
appello alla «crociata» contro altri cattolici, mentre papa Benedetto XV, da Roma, avrebbe levato,
per lo più inutilmente, la propria voce in nome della pace: da ogni parte, ciascuno avrebbe rivolto le
proprie suppliche al Sacro Cuore di Gesù. Tanto la «pace» quanto la «vittoria», infatti, sarebbero
dipese – almeno per chi avesse deciso di affidare le proprie attese, le proprie speranze, al Cuore di
Gesù – dall’affermazione di quel «regno del Sacro Cuore» nel quale l’intransigentismo cattolico
dell’epoca condensava le proprie ambizioni di «restaurazione cristiana» delle società moderne.
2. Le domande
Il caso del Sacro Cuore – di un culto invocato, negli stessi giorni, per la pace così come per
la vittoria – offre, in primo luogo, un’insolita occasione per una riconsiderazione in sede critica
delle fragilità e delle contraddizioni dell’impegno per la pace portato avanti da Benedetto XV di
fronte al dramma dell’«inutile strage»5: come fu possibile, in altre parole, che un culto individuato
tra „800 e „900, in «Rivista di storia della chiesa in Italia», a. XLI, n. 2, luglio-dicembre 1987, pp. 401-413; R. Morozzo
della Rocca, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti-soldati (1915-1919), Studium, Roma 1980, pp. 206-210.
3
Il riferimento obbligato è al classico libro di A. J. Mayer, Il potere dell‟Ancien Régime fino alla prima guerra
mondiale, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 119-173 [ed. originale, Pantheon Books, New York 1981].
4
All’iniziativa gemelliana ho dedicato la mia tesi di laurea specialistica in Storia e Civiltà, discussa, nel luglio del 2008,
presso l’Università di Pisa (relatore: prof. Alberto Mario Banti); cfr., ora, S. Lesti, «Per la vittoria, la pace, la rinascita
cristiana». Padre Gemelli e la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore (1916-1917), in D. Menozzi (a cura di), La
chiesa e la guerra. I cattolici italiani nel primo conflitto mondiale, fasc. monografico di «Humanitas», a. LXIII, n. 6,
novembre-dicembre 2008, pp. 959-975.
5
Per un inquadramento generale dell’atteggiamento di Benedetto XV di fronte alla guerra, si può far ora riferimento a
D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento cit., pp. 7-46. Ha dedicato importanti interventi al tema anche R.
Morozzo della Rocca, del quale mi limito a ricordare, almeno, Benedetto XV e la sacralizzazione della prima guerra
mondiale, in M. Franzinelli e R. Bottoni (a cura di), Chiesa e guerra. Dalla «benedizione delle armi» alla «Pacem in
terris», Il Mulino, Bologna 2005, pp. 165-181, e Benedetto XV e il nazionalismo, in «Cristianesimo nella storia», a.
XVII, n. 2, maggio-agosto 1996, pp. 541-566.
2
da Roma come uno degli strumenti più idonei al raggiungimento della pace finisse per assumere,
più o meno in tutte le chiese europee, i tratti dell’«insegna» per eccellenza della crociata? Per quale
ragione papa Benedetto non riuscì mai ad arginarne le torsioni nazionalistiche, arrivando talora a
concedere loro persino la propria benedizione? Domande per lo più ignorate dalla storiografia 6, e
alle quali vorrei, invece, tentare di dare una prima risposta tornando a riflettere – soprattutto su di
un piano della ricezione e per la prima volta a partire da materiale d’archivio – sugli strumenti,
teologici e cultuali, dell’impegno per la pace portato avanti da Roma.
La ragione del successo delle pratiche di consacrazione – così come della profonda
ambiguità che ne avrebbe accompagnato, per tutta la durata della guerra, la celebrazione – risiedette
nell’altissima densità simbolica incorporata nella loro messa in atto: consacrare se stessi, il proprio
esercito, la propria patria implicava l’adesione, la partecipazione ad un discorso capace di dare
senso – un senso cristiano, s’intende – all’«esperienza», individuale e collettiva, della guerra7.
Discorso sulla «religione», la «guerra» e la «nazione» – su di una guerra come crociata per la
restaurazione del regno del Sacro Cuore – che offre allo storico una straordinaria chiave d’accesso a
due dei temi portanti del rapporto chiesa/moderno8, e a partire dall’«événement matriciel» della
Grande Guerra9. Troppo spesso affrontati a partire da un’ottica de-storicizzante e, per lo più, alla
verifica di alcuni assunti scopertamente attualizzanti – cristianesimo come religione di pace;
cristianesimo come religione universale – i due temi chiesa/nazione e chiesa/guerra assunsero,
invece, nel contesto della Grande Guerra, declinazioni specifiche e, per altro, di una certa durata. Al
centro della mia ricerca, per dirla con Skinner10, quel che gli speakers cattolici «stessero facendo»
parlando della religione e della guerra, della religione e della nazione. Più in particolare, quel che
vorrei fare – prendendo le mosse da un’indicazione di Giuseppe Battelli11 – è provare a rileggere
6
Ad eccezione di D. Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel Novecento cit., pp. 31-36.
Sulla religione come dimensione fondamentale di quell’operazione di «costruzione di senso» che avrebbe sfidato
anche le trincee della guerra moderna, segnalerei, per l’Italia, il recente D. Menozzi (a cura di), La chiesa e la guerra
cit., con contributi di Malpensa, Paiano, Stiaccini, Lesti, Cavagnini. Ma per un quadro generale della storiografia
francese, dalla quale sono venute, negli ultimi due decenni, le più importanti suggestioni metodologiche, cfr. A. Prost-J.
Winter, Penser la Grande Guerre. Un essai d‟historiographie, Seuil, Paris 2004. Gli studi sulla «religione di guerra»
devono il loro sviluppo – e la loro centralità, nel contesto degli studi sulla Grande Guerra – ad A. Becker, di cui
ricorderei almeno La guerre et la foi. De la mort à la mémoire. 1914-1930, Armand Colin, Paris 1994, oltre al classico
volume in collaborazione con S. Audoin-Rouzeau, La violenza, la crociata, il lutto. La Grande Guerra e la storia del
Novecento, Einaudi, Torino 2002 [ed. originale 14-18. Retrouver la guerre, Gallimard, Paris 2000].
8
Per un primo approccio al tema, si può far riferimento, ora, a G. Filoramo (a cura di), Le religioni e il mondo moderno,
vol. I, D. Menozzi (a cura di), Cristianesimo, Einaudi, Torino 2008.
9
Nell’impossibilità di dar conto di una bibliografia ormai sterminata, limiterei i rinvii alle due rassegne di F. Cochet,
Pace e guerra nel ventesimo secolo. Un bilancio storiografico della ricerca francese, in «Mondo contemporaneo», a. I,
n. 1, gennaio-aprile 2005, pp. 121-134, e G. Procacci, Alcune recenti pubblicazioni in Francia sulla «cultura di guerra»
e sulla percezione della morte nel primo conflitto mondiale, in N. Labanca e G. Rochat (a cura di), Il soldato, la guerra
e il rischio di morire, Unicopli, Milano 2006, pp. 107-124.
10
Il riferimento è a Q. Skinner, Dell‟interpretazione, Il Mulino, Bologna 2001.
11
G. Battelli, rec. a G. Formigoni, L‟Italia dei cattolici. Fede e nazione dal Risorgimento alla Repubblica, Il Mulino,
Bologna 1998, «Rivista di storia e letteratura religiosa», a. XXXVII, n. 2, maggio-agosto 2001, pp. 403-409.
7
3
quel discorso in termini di «egemonia»: quel che vescovi, sacerdoti, pubblicisti tentarono di «fare»
non era infatti – almeno a mio parere – che la costruzione – per molti versi pericolosa – di una
religione nazionale che, nel nuovo scenario della guerra e dei nazionalismi, ridesse a Dio e alla sua
chiesa quegli spazi, pubblici e privati, che erano stati loro sottratti dai processi di secolarizzazione e
di laicizzazione che avevano attraversato l’Europa a partire dalla rivoluzione dell’Ottantanove12.
La mia ricerca vorrebbe essere soprattutto, però, un contributo di storia politica del religioso
e, più in particolare, di storia politica dei culti, terreni – almeno a parere di chi scrive – ancora
troppo raramente battuti dagli storici contemporaneisti13. Prima di tutto, infatti, consacrare un
esercito, una nazione proponeva una certa articolazione del rapporto tra politico e religioso.
Studiare i testi e i contesti delle pratiche di consacrazione consente così di cogliere – e in
riferimento ad una «crisi»14 decisiva nella storia politica del cattolicesimo contemporaneo com’è
quella della Grande Guerra – come quel rapporto si trovò a essere declinato, a partire da quali
presupposti teologici, e nel contesto di quali incontri/scontri, ad esempio, con le autorità politiche e
militari – quest’ultimo dato, per altro, in una prospettiva comparata che permetta di guardare
assieme a contesti politico-religiosi estremamente difformi come la Francia repubblicana, l’Impero
austriaco o l’Italia liberale.
3. Il contesto storiografico
Oggetto privilegiato della pietà intransigente otto-novecentesca, il culto al Sacro Cuore non
ha mancato d’attirare, in particolar modo negli ultimi vent’anni, l’attenzione della storiografia
internazionale: più in particolare, gli studi di Daniele Menozzi, Fulvio De Giorgi, Jacques Benoist,
Raymond Jonas hanno avuto il merito di metterne in evidenza, a proposito di contesti geografici e
cronologici differenti, le corpose implicazioni politiche15. Insite già nelle rivelazioni private tardoseicentesche testimoniate dalla visitandina francese Margherita Maria Alacoque – pur secondo
modalità proprie dell’antico-regime – esse avrebbero marcato sempre più la parabola
contemporanea del culto, soprattutto a partire dalla rivoluzione dell’Ottantanove, quando alcune
insorgenze anti-repubblicane – la più nota è, ovviamente, quella vandeana – avrebbero assunto
Fondamentali, sul tema, restano gli studi di F. Traniello, ora raccolti in Id., Religione cattolica e stato nazionale. Dal
Risorgimento al secondo dopoguerra, Il Mulino, Bologna 2007.
12
Per una sintesi efficace: R. Rémond, La secolarizzazione. Religione e società nell‟Europa contemporanea, Laterza,
Roma-Bari 1999 [ed. originale Le Seuil, Paris 1996].
13
Quel che qui cercherò di tracciare è, tuttavia, un progetto alternativo – diciamolo pure, meno ambizioso – per ambiti e
prospettive, rispetto a quello d’une histoire politique de la religion delineato nel celebre studio di M. Gauchet, Il
disincanto del mondo. Una storia politica della religione, Einaudi, Torino 1992 [ed. originale Gallimard, Paris 1985].
14
Cfr. D. Pelletier, Les catholiques en France depuis 1815, La Découverte, Paris 1997, pp. 112-115.
15
Ricorderò almeno, di D. Menozzi, Sacro Cuore cit.; di F. De Giorgi, Forme spirituali, forme simboliche, forme
politiche cit.; di J. Benoist, Le Sacré-Cœur de Montmartre cit., 2 voll.; di R. Jonas, The tragic tale of Claire Ferchaud
& the Great War cit., Id., France and the cult of the Sacred Heart. An epic tale for modern times, University of
California Press, Berkeley-Los Angeles-London, 2000.
4
l’immagine del Sacro Cuore a insegna della contro-rivoluzione. Ma è attorno agli anni sessantasettanta dell’ottocento che si collocano le origini della nostra storia, quando alcuni ambienti della
cultura cattolica intransigente16 – tra i quali, in primo piano, il gesuita francese Henry Ramière –
avrebbero condensato, attorno alla teologia politica del «regno del Sacro Cuore», lo strumento,
teorico e cultuale, per la riaffermazione della «regalità sociale di Cristo». Non si sarebbe trattato di
una ridefinizione da poco. Ramière, in particolare, muovendo da un’originale – quanto
anacronistica – rilettura delle lettere di Margherita Maria, individuava nel «regno del Sacro Cuore»
che le era stato annunciato quel «regno sociale di Cristo» alla cui formulazione egli stesso, tra i
primi, andava contribuendo, proprio in quegli anni, come alternativa alla «satanica» rivoluzione in
atto nel mondo contemporaneo. Disincagliando la cultura cattolica dalle secche dell’opposizione,
sic et simpliciter, al mondo moderno – nonché da tentazioni apocalittiche, tutt’altro che estranee al
cattolicesimo dell’età di Pio IX – il gesuita francese proponeva, sotto l’insegna del «regno sociale
del Sacro Cuore» un ambizioso – quanto flessibile, come vedremo subito – progetto di ricostruzione
cristiana della società. Monarchici, repubblicani, liberali, democratici avrebbero potuto – e dovuto –
riconoscere la «regalità» di Cristo sulla società, riaffermando i «diritti» di Dio e della sua chiesa: in
questo caso – come avrebbe scritto in una delle sue opere più importanti, Les espèrances de l‟Église
– «persino i principi del 1789 [avrebbero perso] tutta la loro pericolosità e [sarebbero diventati]
delle utili verità». Sul finire del secolo la proposta elaborata dal gesuita francese – dopo un
ventennio di ridefinizione, approfondimento, ma soprattutto di enorme diffusione, da parte di attori
e organizzazioni diverse – sarebbe stata assunta da parte del magistero papale: Leone XIII, con
l’enciclica Annum Sacrum (1899), proclamava, per il nuovo secolo, l’inizio di una nuova era
costantiniana, che si sarebbe aperta con la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore e che
avrebbe segnato il ritorno delle società alla tutela ecclesiastica e, più in particolare, alla tutela e alla
direzione del papato romano. La linea assunta da Leone XIII non avrebbe registrato alcuna
significativa correzione da parte dei suoi successori almeno sino al 1925, anno in cui Pio XI, con
l’enciclica Quas Primas, avrebbe assegnato un’autonoma dimensione liturgica alla regalità sociale
di Cristo istituendo, a tal fine, la festa di «Cristo Re».
Che ne sarebbe stato del «regno del Sacro Cuore» annunciato da Roma? Quale ruolo
avrebbe giocato, di lì a qualche anno, l’elaborazione teologico-politica appena delineata nel
contesto di quella «Grande Guerra» che avrebbe registrato, in Francia, in Italia, per molti versi
16
Il rinvio, scontato, è a: G. Miccoli, «L'avarizia e l'orgoglio di un frate laido...». Problemi e aspetti
dell'interpretazione cattolica di Lutero, in L. Perrone (a cura di), Lutero in Italia. Studi storici nel V centenario della
nascita, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983, pp. VII-XXXIII; Id., Chiesa e società in Italia fra Ottocento e
Novecento: il mito della cristianità, in Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesasocietà nell‟età contemporanea, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1985, pp. 21-92; D. Menozzi, La chiesa cattolica e
la secolarizzazione, Einaudi, Torino 1993.
5
anche in Germania, l’integrazione a pieno titolo, dopo decenni di «opposizione», dei cattolici nello
stato nazionale?17 La mia ipotesi – che, formulata ormai due anni fa, non metteva ancora in conto di
che tipo di successo si trattasse – muoveva, e muove ancora, da qui: che il successo delle pratiche di
consacrazione dipese proprio dalla straordinaria efficacia di quell’elaborazione nel contesto delle
sfide che accompagnarono l’ingresso delle chiese nazionali nelle Unions Sacrées a partire dai primi
giorni di agosto del 1914. Chiamate a non «tradire» la patria nell’«ora suprema», le chiese di
Francia, Italia, Germania – diverso, ma comparativamente istruttivo è il caso austriaco – trovarono,
nell’arsenale simbolico del culto – nonché nella forma specifica delle pratiche di consacrazione – la
strumentazione, teorica e cultuale, attraverso la quale compiere la propria adesione alla «crociata»
nazionale. Esse avrebbero garantito la propria «mediazione»18, rendendosi disponibili a celebrare i
riti della «religione della patria»: allo stesso tempo, però, l’insegna del Sacro Cuore avrebbe dato
loro le parole d’ordine di quella «ricostruzione cristiana» posta a pegno, per così dire, del «nuovo
patto» tra Dio e i suoi novelli crociati. Per dirla con una formula, le pratiche di consacrazione al
Sacro Cuore offrivano la possibilità di una strategica combinazione di nazionalismo e
intransigentismo: meglio ancora, esse offrivano la struttura narrativa e rituale di un nazionalismo
cattolico capace – almeno potenzialmente – di esercitare la propria egemonia sul discorso nazionalpatriottico.
Non si trattava, d’altro canto, di una combinazione del tutto inedita. Nei primi anni settanta
dell’ottocento, infatti, in Francia, Alexandre-Félix Légentil e Hubert Rohault de Fleury – due
personalità di primo piano dell’alta borghesia cattolica, impegnati nelle Conferenze di san Vincenzo
– avevano dato il là a un grandioso progetto di erezione d’un tempio nazionale da offrirsi in «voto»
per la rigenerazione della Francia peccatrice – e sconfitta – del Secondo Impero. L’opera del Vœu
National19, la cui costruzione, sulla collina di Montmartre, avrebbe accompagnato gran parte della –
contrastata – storia politica e religiosa della Terza Repubblica20, testimoniava così, con qualche
decennio di anticipo rispetto alla Grande Guerra, un’autentica forma di «patriottismo cattolico»,
slegato ormai da qualsiasi antica nostalgia legittimista, e ancorato invece – e saldamente – al tema
della «nazione».
Sin qui, il perché – almeno a mio parere – “dell’ossessivo” ricorso alle pratiche di
consacrazione: un perché, come accennato, che ci porta per altro nel cuore del nodo chiesa/nazione,
e in uno dei contesti certamente più rilevanti del suo svolgimento storico. Ma, come dicevo sopra,
17
Per una panoramica generale: J.-M. Mayeur, C. Pietri, A. Vauchez e M. Venard (sous la direction de), Histoire du
christianisme, t. XII, J.-M. Mayeur (sous la responsabilité de), Guerres mondiales et totalitarismes ( 1914 – 1958 ),
Desclée-Fayard, Paris 1990.
18
Cfr. G. Filoramo, Il sacro e il potere. Il caso cristiano, Einaudi, Torino 2009.
19
Al Vœu National è dedicata la thèse di J. Benoist, da cui Id., Le Sacré-Cœur de Montmartre cit.
20
Una classica sintesi è J.-M. Mayeur, La vie politique sous la Troisième République. 1870-1940, Seuil, Paris 1984.
Ma cfr. anche J. Lalouette, La République anticléricale. XIXe – XXe siècles, Seuil, Paris 2002.
6
preferirei, in questa sede, soffermarmi su un’altra direttrice del mio lavoro di tesi, che in questi due
anni di ricerca si è lentamente imposta come la direttrice fondamentale del mio lavoro. E che mi dà
anche l’occasione di formalizzare – almeno di tentare una prima formulazione – di quel che mi
piacerebbe riuscire a fare sul terreno di una storia politica del religioso. Daniele Menozzi, all’atto di
presentare la propria ricerca, nel 2001, scriveva:
[…] la ricerca sui riflessi politici della vita cultuale appare assai poco praticata. Se è vero che le «liturgie politiche»
adottate dai regimi totalitari del Novecento sono state convincentemente esplorate, assai meno sviluppato risulta invece
l’esame del ruolo politico che le chiese cristiane, ed in particolare quella cattolica, hanno attribuito alle loro pratiche
religiose. Non si tratta infatti solo di cogliere nessi tra due dimensioni apparentemente assai distanti e giudicate per lo
più senza relazioni, ma anche di penetrare all’interno degli aspetti – il culto, la pietà, la spiritualità – più specifici ed
intimi della vita della chiesa, che investono il profondo significato della sua presenza nella società. Particolarmente in
Italia, una storiografia troppo attenta alle vicende organizzative dei movimenti politici e sociali dei cattolici, ha sovente
trascurato queste dimensioni, lasciandole a specialisti del «sacro» disinteressati a coglierne le concrete determinazioni e
evoluzioni storiche21.
Pur non dimenticando la pluralità dei luoghi di politicizzazione del culto – dai documenti del
magistero alle «intenzioni» quotidianamente associate alle preghiere – quel che vorrei fare è
concentrare la mia analisi soprattutto sul rito, proponendone un’analisi a tre livelli: dalla sua esegesi
teologico-politica, che tenga conto dei diversi livelli di responsabilità dell’interprete – il superiore
dei cappellani della basilica di Montmartre non è l’arcivescovo di Parigi, per intenderci – alle parole
e ai contesti della sua celebrazione – cosa si consacra? in che contesto liturgico? a chi ne è riservata
la recitazione? – sino alla sua ricezione, spesso la sua contestazione, da parte soprattutto delle
autorità politiche e militari – penso alla Francia, soprattutto, ma anche all’Italia. Come dirò tra un
attimo, credo che un’impostazione del genere possa dirci molto di quale rapporto tra politico e
religioso incorporassero – e, al tempo stesso, mettessero in scena – le nostre cerimonie di
consacrazione. Ma prima di anticipare alcuni tra i risultati raggiunti in questi primi due anni e
mezzo di lavoro – ultimato da poco il lavoro di ricerca ho appena iniziato la stesura della tesi – vale
la pena di chiarire attraverso quali fonti ho cercato di rispondere alle domande appena formulate.
4. Le fonti
Al centro, ideale, della mia analisi saranno perciò i testi delle cerimonie di consacrazione:
nel paragrafo successivo, al momento di anticipare alcuni tra i risultati sin qui raggiunti, ne citerò
anche un esempio significativo. Stampati il più delle volte in forma di «santino» – o di opuscolo,
ma anche sul verso di cartoline illustrate – per facilitarne la distribuzione, essi sarebbero stati spesso
21
D. Menozzi, Sacro Cuore cit., pp. 13-14.
7
riprodotti sulla stampa cattolica, nonché intercettati – e archiviati, perciò – dalle autorità preposte
alla censura: non è stato difficile, insomma, ripescarne qualche copia. Ma, come accennavo,
l’analisi testuale – delle parole così come delle immagini delle cerimonie di consacrazione – dovrà
essere inserita all’interno di una rete più ampia di fonti, di tipologia e provenienza diverse: dagli
archivi degli attori e delle istituzioni ecclesiastiche che promossero le cerimonie a quelli delle
autorità che – almeno per quel che riguarda la Francia e l’Italia – ne avrebbero cercato, come
vedremo, di impedire o quantomeno di contenere lo svolgimento. Oltre all’organizzazione e alla
promozione delle cerimonie, ho cercato di sondare, sempre sul terreno della documentazione
archivistica, anche la loro ricezione, affiancando così, alla consultazione di archivi istituzionali
anche quella di archivi privati. Non c’è bisogno d’insistere, credo, sull’importanza della
documentazione d’archivio: essa, come cercherò di mostrare, mi ha permesso di cogliere, per così
dire, i sottotesti, le allusioni, le ambizioni profonde di coloro che si sarebbero fatti promotori delle
nostre pratiche. E non c’è bisogno d’insistere troppo, allo stesso modo, sull’importanza dello studio
della documentazione archivistica romana, vero e proprio sismografo delle impressioni che
avrebbero suscitato, presso la Santa Sede, le cerimonie organizzate da parte delle diverse chiese
nazionali.
Molta dell’analisi dovrà essere svolta, ciò nonostante, sul terreno della documentazione a
stampa: lettere pastorali, opuscoli, ma anche stampa periodica, cattolica e non. Oltre all’esegesi
teologico-politica, affidata a lettere pastorali ma anche – da parte di pubblicisti vari – a trattatelli,
brochures – più o meno accurate – una parte importante della ricerca è stata dedicata, infatti, al
setaccio sia della grande stampa quotidiana sia della stampa periodica più specializzata, allo scopo –
questo soprattutto per il caso francese – di misurare l’andamento del dibattito politico-religioso
innescato dalle pratiche di consacrazione.
Le indagini principali, più concretamente, hanno riguardato (con riferimento, in particolare,
alla documentazione d’archivio):
- per l’Italia: i materiali relativi all’organizzazione della duplice consacrazione, prima
dell’esercito italiano, poi delle nazioni dell’Intesa al Sacro Cuore di Gesù, promossa da padre
Agostino Gemelli (1878-1959) sono stati rintracciati prevalentemente in Archivio Barelli22
(Milano), Biblioteca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) e Archivio della Provincia
Lombarda dei Frati Minori (Milano), p. A. Gemelli; ulteriore documentazione, concernente
22
Su Armida Barelli, strettissima collaboratrice di padre Gemelli sin dai primi anni dieci del novecento, cfr., in prima
battuta, la voce curata da L. Rozza per F. Traniello e G. Campanini (a cura di), Dizionario storico del movimento
cattolico in Italia (1860-1980), vol. II, I protagonisti, Marietti, Casale Monferrato 1982, pp. 30-33. Per un ulteriore
approfondimento: M. Sticco, Una donna fra due secoli: Armida Barelli, Edizioni OR, Milano 1983 [ed. originale, Vita
e Pensiero, Milano 1967] e M. Bocci, Una “distrazione” significativa: il caso di Armida Barelli, in «Annali di storia
moderna e contemporanea», a. IX, 2003, pp. 429-443.
8
soprattutto la partecipazione – o quantomeno la ricezione, per lo più entusiasta – alle due iniziative
gemelliane – soprattutto di cappellani militari, ma anche di ordinari diocesani, semplici parroci, è
stata rintracciata in Archivio della Fondazione per le Scienze Religiose (Bologna), Roncalli;
Archivio dell’Apostolato della Preghiera (Roma); Archivio Storico Diocesano di Susa (Susa,
Torino), Bartolomasi; Museo del Risorgimento (Milano), Archivio della Guerra; Museo della
Guerra
(Rovereto,
Trento),
Collezione
Monterumisi.
Qualche
indicazione
a
proposito
dell’atteggiamento delle autorità di governo in Archivio Centrale dello Stato (Roma), Ministero
dell‟Interno, Direzione Generale Affari di Culto e Ministero dell‟Interno, Divisione Generale di
Pubblica Sicurezza, Affari Generali Riservati, A5G (prima guerra mondiale). Un saggio dell’analisi
della duplice consacrazione gemelliana che vorrei proporre all’interno della mia tesi sarà dato nel
prossimo paragrafo, a mo’ di campione delle possibilità euristiche legate a un approccio come
quello che ho descritto sopra. Non mi sembra il caso, dunque, d’insistere oltre in una presentazione
generale dei materiali presi in esame;
- per la Francia: il grosso della documentazione archivistica recuperata proviene dalle
Archives Historiques du Diocèse de Paris (AHAP). Faccio riferimento, in particolare, a AHDP, 1 D
11, 13, Audiences au Vatican; AHDP, 2 A 3, 1, Voyages à Rome; AHDP, 3 G 2, 8, Sacré Cœur.
Basiliques de Rome et Jérusalem; AHDP, 3 G 2, 8, Sacré-Cœur. Consécration de la France;
AHDP, 3 G 2, 8, Sacré-Cœur. Intronisations; AHDP, 3 G 2, 8, Sacré-Cœur. Propositions et
Réclamations; AHDP, 3 G 2, 8, Sacré-Cœur. Question du drapeau; AHDP, 4 E 1, 8, Claire
Ferchaud; AHDP, 5 B 2, 13, Guerre 1914-1918. Sempre presso le AHDP ho avuto modo di
consultare le Archives de la Basilique du Sacré-Cœur, 4 C, Procès-verbaux des réunions de la
réparation mensuelle à Montmartre; 4 C 23, Culte du Sacré-Cœur au front; carton 6, Claire
Ferchaud, e les Archives Dubois23 (attualmente in inventariazione), Ce qui s‟est fait au sujet de
l‟appel : « La France au Sacré Cœur »; Correspondance de Mgr Dubois. I materiali rintracciati
consentono, in primo luogo, di ricostruire con sufficiente chiarezza le due consacrazioni “maggiori”
promosse dai cardinali francesi (l’una su iniziativa del card. Amette, arcivescovo di Parigi, l’altra su
iniziativa del card. Andrieu, arcivescovo di Bordeaux) nel 1915 e nel 1917 in occasione della festa
del Sacro Cuore. Di particolare interesse, nello specifico, alcune lettere scambiate tra i cardinali di
Parigi, Bordeaux e Reims a proposito della «solennizzazione» della festa del Sacro Cuore
inaugurata nel giugno del 1917: al centro della consultazione intercorsa tra i tre cardinali nell’aprile
del 1917 alcuni dubia, tra i quali uno, formulato dal card. Luçon, arcivescovo di Reims, merita di
essere citato letteralmente: «N’y a-t-il pas inconvénient à ce que nous paraissions accréditer par un
23
L.-E. Dubois (1856-1929), all’epoca della Grande Guerra arcivescovo di Bourges, sino al 1916, e poi di Rouen, dopo
quella data, sarebbe stato nominato, nel 1920, arcivescovo di Parigi, ruolo che avrebbe ricoperto sino alla morte: è per
questo che le sue carte personali si trovano attualmente presso le AHDP.
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acte public et solennel de tout l’Episcopat français, quoique ne l’indiquant pas formellement, une
révélation sur laquelle l’Eglise ne s’est pas prononcée ?» Il dubium formulato dal cardinale puntava
dritto sull’autenticità di quelle «promesse» – mai approvate – a Luigi XIV sulle quali la maggior
parte del cattolicesimo francese fondava allora le proprie ambizioni e le proprie speranze: speranze
o, per meglio dire, “certezze” di vittoria di una Francia che avesse prestato ufficialmente il proprio
«omaggio» al Cuore di Gesù. Strettamente – e, per certi versi, ambiguamente – intrecciata alla
campagna per la «solennizzazione» della festa del Sacro Cuore promossa dall’episcopato francese
nel 1917, è la cosiddetta question du drapeau, a proposito della quale è confluita a Parigi
documentazione d’origine diversa e proprio per questo di notevole interesse. I fondi delle AHAP
permettono di intrecciare, infatti, le carte Amette, quelle dell’allora “soltanto” mons. Dubois,
arcivescovo di Rouen, e quelle della Basilica di Montmartre, consentendo così d’accedere
“dall’interno”, per così dire, alle ragioni di molti degli attori coinvolti nella querelle. Tra le tante
altre vicende rintracciate nelle AHAP, mi limito qui ad accennare alla consacrazione della Francia
al Cuore Immacolato di Maria, indetta dal card. Amette per l’8 dicembre 1914 con l’appoggio
compatto degli altri cardinali d’oltralpe e che per più d’un verso si sarebbe trovata a anticipare la
«solenne» consacrazione nazionale al Sacro Cuore del 15 giugno seguente.
Per quel che concerne gli archivi pubblici, ho cominciato il lavoro dai due fondi classici
della série F 7, Police Générale, delle Archives Nationales, 12881, L‟Église pendant la Grande
Guerre e 13213, Mouvement catholique (ho aggiunto, successivamente, anche 13216, Activité de la
Ligue patriotique des Françaises). Anche qui val la pena, direi, piuttosto che di soffermarsi su
risultanze specifiche, anticipare un risultato più generale della consultazione dei tre cartoni, e che
rimanda direttamente alla “produzione” del materiale che vi è, oggi, archiviato. Ciò che colpisce è
infatti la sistematicità – assolutamente unica – con la quale le autorità di pubblica sicurezza si
occuparono delle opere e delle iniziative gravitanti, a titolo diverso, attorno alla Basilica di
Montmartre: prima e più che sintomatica attestazione di quale fosse, all’epoca, la percezione, da
parte delle autorità di polizia e di governo, degli ambienti “radunati” attorno al simbolo, politico e
religioso, del Sacro Cuore di Gesù. Altrettanto fruttuosa si è rivelata la consultazione delle Archives
de l’Armée de Terre (Vincennes): ho lavorato, in un primo tempo, sui cartoni 5 N 10, 13, 14, 18, 24,
46, contenenti i dispacci telegrafici – tanto in entrata, quanto in uscita – del Ministero della Guerra,
riuscendo a recuperare – spero – l’intera serie degli ordini di censura, più o meno “totale”, impartiti
dai ministri della Guerra/dell’Interno a proposito delle pratiche di consacrazione al Sacro Cuore
promosse al fronte e in tutto il paese durante la guerra. Ho aggiunto in un secondo tempo la
consultazione, sempre in situ, delle Archives Veuillot (K 284, 104). Fondo sino ad ora pressoché
ignorato dalla storiografia, l’archivio Veuillot raccoglie l’insieme della documentazione prodotta
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dal «Bureau de l’Aumônerie volontaire» di F. Veuillot e G. de Grandmaison: carte ufficiali, lettere
di soldati, materiale devozionale, documentazione a diverso titolo utile a far luce sulla ricezione, al
fronte, di pratiche di consacrazione per lo più promosse al di là – anche se magari non
giuridicamente – della zona di guerra. Spigolature meno significative sono state condotte, infine,
presso le Archives de la Préfecture de Police de Paris, da cui non ho avuto modo che di trarre una,
pur interessante, «ordonnance rappelant l’interdiction de toute inscription sur les drapeaux,
emblèmes et insignes aux couleurs nationales» del luglio 1915 da cui sarebbe scaturita una
lunghissima contesa simbolica – oltre che più strettamente giuridica – per tutto il corso della guerra,
attorno alla possibilità o meno di «esibire», in forma privata – sulla propria giacca, sulla propria
uniforme – l’immagine del Sacro Cuore «aux couleurs nationales».
- per Austria e Germania: l’idea, per i prossimi mesi, è affiancare ai materiali rintracciati in
Archivio Segreto Vaticano, in particolare Nunziatura di Vienna, lo spoglio sistematico di «Stimmen
der Zeit» e «Sendbote des göttlichen Herzens Jesu»: pur nell’impossibilità, infatti, di estendere
anche agli Imperi Centrali un’indagine comparabile a quella svolta sui casi italiano e francese, i due
periodici consentirebbero – almeno credo – di allargare lo spettro delle pratiche da poter prendere in
considerazione.
- infine, in Archivio Segreto Vaticano, e negli archivi della ex Congregazione per gli Affari
Ecclesiastici Straordinari (oggi II Sezione della Segreteria di Stato – Sezione per i Rapporti con gli
Stati) e dell’ex Sant’Uffizio (oggi Congregazione per la Dottrina della Fede) ho avuto modo di
accedere non soltanto alla documentazione relativa al rilancio del culto operato da Benedetto XV,
ma anche alla documentazione relativa allo “sguardo” con cui, da Roma, si osservavano – e si
cercavano di “governare” – le singole vicende nazionali. Tra gli altri, mi limito a segnalare –
certamente tra i più interessanti – AES, Francia, III periodo, pos. 1215, fasc. 651, Dossier sulla
preghiera per la pace di Benedetto XV: la posizione, da analizzare congiuntamente ai fascc. 58 e 63
dell’Archivio della Segreteria di Stato, Guerra 1914-1918 (contenenti i rapporti tra Benedetto XV e
gli episcopati dei paesi impegnati nel conflitto), consente di “misurare” da vicino, per così dire,
“l’impossibile” pastorale della pace costruita da papa Benedetto attorno alla promozione del culto al
Sacro Cuore. Le carte restituiscono, infatti, uno sforzo continuo ma spesso inutile, da parte del
pontefice, di controllarne le interpretazioni nazionalistiche rilanciate soprattutto dall’episcopato
francese, all’interno d’una intricatissima sequenza di possumus e non possumus attraverso i quali i
vescovi d’oltralpe riescono ad imporre la propria linea, insistendo sull’intrinseca polisemia della
linea dettata da Roma – al termine degli sforzi, tanto di pacificazione, quanto di supporto
all’impegno bellico, non c’era forse, per Benedetto così come per i vescovi francesi, lo stesso
obiettivo della «ricostruzione» del «regno del Sacro Cuore»?
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5. I risultati raggiunti
O Sacro Cuore di Gesù, che ti sei lagnato d’aver tanto amato gli uomini e di non aver avuto da essi che
ingratitudine e disprezzo, nel desiderio ardente di contribuire al sociale riconoscimento della sovranità d’amore del Tuo
sacro Cuore, seguendo l’esempio delle famiglie che vanno sempre più consacrandosi a Te, noi pure, soldati d’Italia, a
Te ci consacriamo. Ti riconosciamo Dio nostro, ti proclamiamo nostro Sovrano d’amore ed intendiamo renderti e
procurarti gloria, riparazione ed amore. Tu accogli e benedici i nostri propositi, accetta la nostra offerta, vieni e rimani
con noi. Illumina, dirigi, benedici e conduci a vittoria il nostro Re, i nostri Generali, noi tutti, soldati d’Italia; rendi la
nostra patria grande e cristiana, ridonaci alle nostre famiglie più forti e più buoni, regna sulla Nazione tutta e sui singoli
cuori. Noi Ti apparteniamo e per esserti più sicuramente graditi, veniamo a Te per la Tua e nostra dolce Madre, Maria
Immacolata. Lei ci dia di conoscerti, amarti, servirti, appartenerti quaggiù e lassù. Amen 24.
Questo il testo dell’Atto di consacrazione recitato da due milioni di soldati italiani venerdì 5
gennaio 1917. A metà tra una formula di «consacrazione» e un giuramento politico, il testo dell’atto
non si limitava, certamente, a invocare sulla patria in pericolo l’aiuto divino. Esso «proclamava» –
riallacciandosi all’elaborazione teologico-politica della «regalità sociale» di Cristo – la «sovranità»
del Cuore di Gesù «sulla Nazione tutta e sui singoli cuori»: quel che i soldati erano chiamati a
«proclamare», in altre parole, non era che la propria «appartenenza», in forma individuale e
collettiva, al regno «sociale» di Cristo. Non è però sulle implicazioni, a un tempo ierocratiche e
nazionalistiche del testo che vorrei, ora, soffermarmi. Quel di cui mi preme dare un piccolo saggio
esemplificativo, qui, è piuttosto l’importanza di un’analisi degli “accorgimenti” rituali che
accompagnarono la cerimonia del 5 gennaio. Tre furono, sostanzialmente, le preoccupazioni che
orientarono l’organizzazione della cerimonia e, di conseguenza, le «istruzioni» diramate da padre
Gemelli: che a consacrarsi fossero «quanti più uomini è possibile»; che le consacrazioni si
svolgessero contemporaneamente, come se a levarsi fosse una sola voce – l’Atto era declinato, non
a caso, alla prima persona plurale; che la recita fosse accompagnata dall’ostensione pubblica, sulla
giacca, dell’immagine del Sacro Cuore25. “Accorgimenti” di una consacrazione – per dirla con le
due parole-chiave delle «istruzioni» a più riprese diramate da Gemelli – «collettiva» e «solenne», di
una consacrazione che prima ancora di «proclamare» l’avvento del «regno sociale» di Cristo, ne
metteva in scena i lineamenti simbolici. Prima di tutto – mi ero permesso di anticipare, in sede di
presentazione delle «domande» della mia ricerca – le pratiche di consacrazione incorporavano una
certa articolazione del rapporto tra politico e religioso: questa, come molte altre – penso alle grandi
consacrazioni «nazionali» promosse, in Francia, dall’episcopato – credo possano servire a farcene
24
Tra le altre, una copia dell’Atto è in Archivio Segreto Vaticano, Guerra 1914-1918, fasc. 415, f. 209.
Si veda, in particolare, la circolare indirizzata ai cappellani, da parte del Comitato italiano per la consacrazione dei
soldati al Sacro Cuore di Gesù, nel novembre 1916, in Archivio della Fondazione per le Scienze Religiose, fondo
Roncalli, Vita militare, b. 131, 1916.
25
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intuire il profilo. Profilo d’una religione pubblica, fondamento ultimo non soltanto – o non tanto,
verrebbe da dire – della salvezza individuale, ma anche della vita collettiva, della «Nazione».
Quale, tra le due “dimensioni” ora accennate, dominasse i pensieri dei promotori delle pratiche,
emerge nettamente da un appunto privato di mons. Angelo Bartolomasi, all’epoca vescovo di
campo e partecipe entusiasta della consacrazione gemelliana. Questi, commentando il rifiuto, da
parte delle autorità politiche e militari, di aderire «ufficialmente» alla cerimonia, scriveva:
Mi addolora e mi fa temere la constatazione che nell’esercito non si fanno né si sanno fare preghiere collettive, ufficiali.
Il tentativo fatto della consacrazione dei soldati e delle truppe non è riuscito, per quanto confortante sia il numero dei
soldati consacrati. Manca l’alto riconoscimento del bisogno di ottenere le divine benedizioni sugli umani sforzi.
Signore, benediteci ugualmente26.
6. Struttura della tesi
L’indice provvisorio che ho steso in preparazione della scrittura – alla quale, come dicevo,
ho appena iniziato a lavorare – prevede una divisione della tesi in tre parti: I) Davanti alla guerra;
II) Dentro la guerra; III) Il dopoguerra: ciascuna delle tre parti sarà organizzata, a sua volta, in una
serie di capitoli dedicati agli snodi di maggiore importanza all’interno delle singole vicende
nazionali. In ciascuna delle tre parti, inoltre, un capitolo sarà riservato all’analisi della linea di
rilancio del culto portata avanti da Benedetto XV; un capitolo, infine, della seconda parte, Dentro la
guerra, prenderà in considerazione la più importante pratica realmente promossa in una dimensione
internazionale, vale a dire quella della consacrazione delle nazioni dell’Intesa che ebbe luogo il 15
giugno 1917. La struttura della tesi vorrebbe rispondere, in particolare, a due esigenze: la prima è
quella di rendere conto della dimensione comparativa della ricerca, la seconda è quella di tenere
costantemente presente l’intreccio tra la linea – teoricamente universale – dettata da papa Benedetto
e quelle, per lo più sorde ai richiami romani, concretamente portate avanti dalle diverse chiese
nazionali. Com’è evidente anche a un rapido sguardo dell’indice (cfr. allegato), la maggior parte dei
capitoli saranno dedicati al caso francese, certamente il più rilevante, in considerazione
dell’assoluta centralità del culto all’interno di quella religione di guerra che si sarebbe attivata sin
dai primissimi giorni di combattimento. Per quel che riguarda il caso italiano, uno/due capitoli della
saranno dedicati alla duplice consacrazione gemelliana, nell’intento di mostrarne la ricezione, la
pervasività all’interno della chiesa italiana impegnata allora nel conflitto. Chiesa italiana che
avrebbe infatti svelato, e ai più diversi livelli, un terreno niente affatto impermeabile a
quell’interpretazione antimoderna ed assieme nazionalistica del culto proposta da padre Agostino.
Capitoli più brevi, ma comparativamente interessanti saranno consacrati, infine, ai casi austriaco e
26
Archivio Storico Diocesano di Susa, fondo Angelo Bartolomasi, fald. 4, fasc. 54, Agenda personale (1917).
13
tedesco: il primo, in ragione della apparente “non contemporaneità” – se pensiamo a quel che
accade in Francia e in Italia – di una consacrazione ufficiale dell’Impero; il secondo, invece, in
ragione dell’inedita scelta – anche qui, rispetto ai due casi al centro della mia analisi – da parte
dell’episcopato, d’includere tra i motivi della «pubblica ammenda» dinanzi al Cuore sofferente di
Gesù anche le colpe della chiesa.
Appendice
Titolo (provvisorio): In hoc signo vinces. Pratiche di consacrazione al Sacro Cuore in Francia e in
Italia durante la Grande Guerra
I. Parte Prima: Davanti alla guerra
I.1: [Benedetto XV e il rilancio del culto: la definizione di una linea dall’allocuzione
natalizia del 1914 alla preghiera per la pace (gennaio-febbraio 1915)]
I.2: [Austria: Il rilancio del culto in una monarchia d’antico regime: dalle funzioni espiatorie
dell’estate 1914 alla consacrazione della famiglia imperiale del gennaio 1915] (da definire)
I.3: [Germania: S. Cuore, consacrazione nazionale e colpe della chiesa nelle lettere pastorali
dell’episcopato (1915-1916)] (da definire)
I. 4: [Francia: La «costruzione» di un discorso cattolico sulla guerra e la nazione attorno al
S. Cuore come «segno» di una nuova allenza tra Dio e la Francia: dallo scoppio della guerra
alla polemica «La Croix» – «Le Temps» dell’autunno 1914]
I.5: [Francia: Il miracolo della Marna: la «costruzione» di un mito politico (settembre 1914)]
I.6: [Francia: Dalla mancata consacrazione della Basilica di Montmartre alla consacrazione
della Francia al S. Cuore (ottobre 1914-giugno 1915)]
I.7 [Francia: La polemica sulle «insignes» (luglio 1915-) e l’«uso» magico-miracolistico del
culto]
I.8 [Italia: Padre Gemelli e la consacrazione dell’esercito al S. Cuore (dicembre 1914gennaio 1917)]
II. Parte Seconda: Dentro la guerra
II.1 [La ricezione/distorsione della linea di Benedetto XV: alcuni casi di studio]
II.2 [Francia: Claire Ferchaud e la question du drapeau (1916-1917)] (da definire)
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II.3 [Francia: La «solennizzazione» della festa del S. Cuore (aprile-giugno 1917)]
II.4 [Italia-Francia: La consacrazione delle nazioni dell’Intesa al S. Cuore (aprile-giugno
1917)]
II.4 [Francia: L’Affaire Billot e le «promesse» a Luigi XIV (maggio 1918-maggio 1920)] (da
definire)
III. Il dopoguerra (da definire)
III.1 [La Pacem Dei Munus di Benedetto XV (23 maggio 1920)]
III.2 [Francia: La consacrazione della Basilica di Montmartre e il Te Deum della vittoria
(ottobre 1919)]
III.3 [Padre Gemelli, l’Università Cattolica del S. Cuore e la ricezione delle due encicliche
Quas Primas (1925) e Miserentissimus Redemptor (1928)]
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In hoc signo vinces. Pratiche di consacrazione al Sacro