ANNO SCOLASTICO 2013/2014 ESAME DI STATO Miglietta Lucia Classe 5ª C P. Picasso, Guernica, 1937 Sezione Scientifica 2 3 1. Premessa Da sempre sono stata incuriosita ed affascinata dalle persone, dagli eventi e dagli aneddoti caratterizzanti la Seconda Guerra Mondiale; dopo avere letto già nella scuola primaria “Se questo è un uomo” di P. Levi, il mio entusiasmo nello studiare tale periodo storico si è trasformato in interrogativi e dubbi sulla condotta dell’umanità che ho cercato di chiarirmi e approfondire e ai quali ho provato a dare una mia risposta ed interpretazione. Crescendo, mi sono sentita spinta da un’esigenza personale di ricerca di chiarezza e di nuovi stimoli. E, al termine del mio percorso di studi, credo di non poter dire di avere trovato una conclusione per quello che era diventato un vero e proprio dissidio interiore, ma semmai di aver tentato di cercare delle motivazioni, identificando un percorso di riflessione per me percorribile. Le mie valutazioni nascono dalla percezione di una completa mancanza di etica nelle scelte di molte persone vissute in quegli anni, dai fisici, ai medici, ai vertici del potere. Dal momento che, anche oggi, la scienza dovrebbe operare tenendo presente il fatto che non tutto ciò che è possibile scientificamente sia eticamente lecito, credo che l’ambito della bioetica sia perfettamente in linea con le tematiche individuate; pertanto, esso è un argomento che attrae la mia attenzione da tempo, nel quale cerco di trovare una conclusione e una risposta alle mie domande. Come sostiene G .Fornero in un suo saggio, si occupano di bioetica: “Coloro che, paventando un prossimo olocausto tecnologico e ritenendo che non tutto ciò che è scientificamente possibile e tecnicamente realizzabile sia anche moralmente lecito, prospettano i compiti della bioetica in termini di “barriera” o di “frontiera etica”, ossia di un’attività indirizzata a porre limiti invalicabili all’attività tecnico-scientifica”1 Sono fermamente convinta del fatto che, per me, sia imprescindibile cercare di trovare un giusto equilibrio fra quelli che sono il progresso scientifico, la “sete di conoscenza” e l’etica, visione cattolica o laica che sia. Nel libro “La banalità del male” di H. Arendt, il titolo esplicita una terribile e temibile verità: denota la superficialità di troppi nel compiere azioni malvagie; denuncia la possibilità del male di crescere in superficie, pur non avendo radici profonde. Mette in luce come “una persona comune, ʻnormaleʻ, non svanita né indottrinata né cinica, possa essere a tal punto incapace di distinguere il bene dal male.”. “Insomma, la situazione odierna assomiglia nel modo più terribile a quella di ieri” [..] “Si accorge di qualcosa, Klaus Eichmann? Si accorge che il cosiddetto problema Eichmann non è un problema di ieri? Che esso non appartiene al passato? Che non abbiamo alcun motivo - e le eccezioni sono veramente molto poche - di essere presuntuosi nei confronti del passato? Si accorge che noi tutti, proprio come Lei, 1 G. Fornero ,Bioetica cattolica e bioetica laica,p.5 4 abbiamo a che fare con qualcosa che è troppo grande per noi? [..] “che tutti noi siamo ugualmente figli di Eichmann? O, perlomeno, figli del mondo eichmiano?”2 “il mostruoso non soltanto “è stato”, ma è stato un’introduzione. Auschwitz ha impresso il suo marchio alla nostra epoca, e ciò che è accaduto là potrebbe ripetersi ogni giorno.”3 Ancor più agghiacciante è l’idea che si possa individuare un netto e chiaro parallelismo fra la situazione di allora e quella odierna: potremmo sostenere che “Historia non est magistra vitae” o, citando un famoso verso di Montale “La storia non è magistra di niente che ci riguardi”. È importante fare tesoro degli errori del passato, eppure, mi sembra che la maggior parte di noi – io per prima - sia sicura nella propria tiepida casa, subendo, o semplicemente osservando e constatando passivamente, quello che avviene ogni giorno davanti ai nostri occhi. 2 G. Anders “Noi figli di Eichman” , p.63 3 Ibid, p.65 5 2. «Agisci in una maniera che il Führer, se conoscesse le tue azioni, approverebbe» 4 «Agisci in una maniera che il Führer, se conoscesse le tue azioni, approverebbe» (Die Technik des Staates, 1942, pp. 15-16). Questa è la riformulazione che aveva dato uno degli importanti esponenti del Partito nazionalsocialista tedesco, Hans Frank, dell’ imperativo etico kantiano. All’ interpretazione di Frank rimasero fedeli tutti i soldati delle SS, i quali credevano con fermezza a quanto affermato e che vedevano nel pensiero kantiano una giustificazione alle proprie azioni ed al proprio ignorante ed inconsapevole servilismo. Ciò che più spaventa è il fatto che la maggior parte dei Tedeschi vivesse con convinzione e dedizione questa “legge morale”, asserendo che il proprio compito fosse quello di sottostare agli ordini, in modo incondizionato. Naturalmente non ricordavano il fatto che, per Kant, la valenza dell’imperativo categorico fosse diametralmente opposta; la legge del filosofo tedesco asserisce: “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale”5, prevedendo di agire secondo una massima che possa valere universalmente, tenendo sempre presenti gli altri e rispettando la dignità umana. Nella Critica della ragion pratica il filosofo di Köninsberg afferma che il sommo bene è l’ oggetto trascendente e regolativo della morale e che l’uomo, per sua natura scisso fra volontà e ragione, fra sensibilità e razionalità, in virtù della libertà che ne fa un essere morale, deve agire non in vista di un imperativo ipotetico o soggettivo, ma al fine di una legge oggettivamente necessaria, valida per tutti gli esseri razionali. Un esempio lampante di questo atteggiamento ci è dato dal personaggio di Adolf Eichmann; la filosofa Hannah Arendt, infatti, scrive che, durante il processo tenutosi a Gerusalemme per giudicare il gerarca nazista, egli dichiarò con grande enfasi di aver sempre vissuto secondo i principi dell’etica kantiana. Naturalmente, un simile affermazione risulta agghiacciante, se consideriamo che l’etica di Kant si fonda, soprattutto, sulla facoltà di giudizio dell’uomo, e non sulla sua cieca obbedienza. È ancor più sconcertante se pensiamo che, per il grande filosofo, la legge aveva come fonte la ragion pratica; per il nazista, invece, la sua legge sarebbe scaturita dalla volontà del Führer. I gerarchi nazisti si servivano della menzione di grandi uomini della cultura tedesca come Hegel, Wagner, Kant, per giustificare il proprio agire e per darne un fondamento degno di credito. La popolazione civile tedesca era influenzata e rassicurata al credere che il sistema politico che li 4 5 H. Arendt, La banalità del male, p. 143 I. Kant, Critica della ragion pratica, p.167 6 rappresentava ponesse le proprie radici nelle dottrine di geni e pensatori la cui grandezza era ufficialmente riconosciuta e, per di più, tedeschi. Così, per ignoranza e superficialità, subendo il fascino dei nomi dei maestri, si limitava ad approvare e accogliere, come giuste e veritiere, le leggi e le decisioni dello stato, senza metterne in dubbio i principi distorti. 3. Caso storico: Adolf Eichmann “La banalità del male” La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme è un saggio di Hannah Arendt. Pubblicato nel 1963, riprende i resoconti che l'autrice pubblicò come corrispondente del settimanale New Yorker , per il processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista catturato nel 1960, processato a Gerusalemme nel 1961 e condannato a morte lo stesso anno. L'esecuzione di Adolf Eichmann avvenne il 31 maggio del 1962, per impiccagione. All'epoca, il processo ad Eichmann suscitò varie polemiche: in primo luogo perché l’imputato non venne mai legalmente arrestato, ma rapito dai servizi segreti israeliani in territorio argentino, dove godeva dell'asilo politico. In secondo luogo perché Eichmann venne processato in Israele: risultava contrario a qualunque diritto penale che non fosse un giudice imparziale a giudicare un carnefice. “La banalità del male” inizia con una critica a come era stato guidato il processo ad Adolf Eichmann: secondo la Arendt è evidente come il pubblico ministero (fortemente condizionato dal primo ministro israeliano Ben Gurion) cercò, in ogni modo, di spostare l’attenzione della corte dal giudizio della persona di Eichmann a quella dell’antisemitismo nazista, per privare di credibilità i paesi arabi del medio oriente – ricordando le loro simpatie per il nazismo – e per convincere gli Ebrei sparsi per il mondo che Israele fosse il solo luogo dove i loro diritti sarebbero sati effettivamente protetti. Successivamente, l’autrice passa all’esame dell’imputato, che è l’aspetto che è più interessante indagare. Adolf Eichmann Adolf Eichmann, nato in Renania da una famiglia borghese nel 1906, fu uno studente poco brillante: si ritirò dalle scuole superiori, come da quelle di avviamento professionale. Dopo avere svolto vari lavori, entrò nel partito nazista austriaco nel 1932, senza troppa convinzione: “mi chiese “perché non entri nel partito nazista?” – e io risposi- “già, perché no?” ; egli non conosceva nulla del partito nazista, non aveva mai letto il “Mein Kampf”; giustificava il proprio impegno politico asserendo di non accettare le condizioni imposte alla Germania dal Trattato di Versailles (1919) e di volerle cambiare: una motivazione generica, tanto era opinione diffusa nei tedeschi che il trattato fosse stato troppo punitivo. 7 Quando il partito nazista austriaco divenne illegale, ritornò in Germania, dove fu spinto da un ufficiale alla carriera militare: egli entrò nel servizio di sicurezza delle SS, confondendolo con il servizio di sicurezza del partito. Per quattro mesi lavorò -di malavoglia- all’ufficio di raccolta informazioni, prima di essere trasferito al corrispondente ufficio ebraico. In poco tempo fu nominato “esperto in questioni ebraiche” e pensò di “aiutare gli ebrei a fondare un loro Stato”, organizzandone l’emigrazione forzata; si considerava un idealista realista: realizzava il volere del partito (una Germania ripulita dagli Ebrei) e il volere della razza ebraica (avere un proprio territorio). Si dedicherà ad attuare progetti assegnati al suo ufficio da tempo, ma giacenti, in quanto irrealizzabili, come l’emigrazione di 4 milioni di Ebrei in Madagascar; quest’ultima iniziativa era già stata presa in considerazione da Theodor Herzl, un avvocato e giornalista ebreo-ungherese, il quale nel 1896 aveva pubblicato Der Judenstaat (Lo stato Ebraico), dove propugnava ai governi europei l'idea che si creasse uno stato ebraico (in una qualsiasi colonia delle potenze europee), che sottraesse gli Ebrei alle persecuzioni antisemite. Naturalmente, il fatto che una simile proposta fosse giunta proprio da un individuo ebreo aveva fatto sì che i tedeschi ritenessero questa possibilità una gentile e pacifica concessione, invece che uno dei tanti modi di gestire la questione ebraica. Successivamente, Eichmann creerà il Theresienstadt, ghetto dove si deportavano vecchi e personalità ebraiche in vista. Nel momento in cui fu stabilita da Hitler la soluzione finale, da esperto in emigrazione divenne “esperto in evacuazione”: organizzava il trasporto degli Ebrei tra i vari campi. Dopo la fine della guerra, Eichmann fu catturato dagli Alleati, ma non identificato; riuscì a fuggire dal carcere dov'era stato rinchiuso, per poi recarsi in Argentina, sotto falso nome. Qui visse facendo lavori umilianti, finché la moglie non lo raggiunse coi figli. Divenne capomeccanico alla Mercedes di Buenos Aires e costruì una casa in una zona senza luce, né acqua corrente. Disseminò numerosissimi indizi della sua esistenza: era così affranto dalla sua piccolezza che non perdeva occasione per rivivere i fasti del Reich, tant’è che accettò di farsi intervistare dall’exSS Willem Sassen. Quando si rese conto di essere pedinato dai servizi segreti israeliani, si lasciò catturare, senza opporre resistenza, esaltandosi: con la sua condanna a morte avrebbe espiato i peccati della Germania nazista. L’autrice sottolinea come Eichmann non odiasse gli Ebrei, non fosse un efferato criminale, né tanto meno una nazista fanatico. Egli era un uomo terribilmente normale, quasi mediocre, che viveva di idee altrui: non era abituato a pensare con la sua testa. Partendo da queste ultime righe, è possibile tracciare un quadro dell’imputato. “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso.”6 6 H. Arendt, La banalità del male, p. 282 8 Aveva bisogno di qualcuno che pensasse per lui e che gli dicesse cosa fare. Eichmann aveva il carattere del burocrate, cioè del funzionario della burocrazia, che esegue gli ordini, senza chiedersi cosa sia giusto e cosa sbagliato. Era convinto che ai capi non si potesse disubbidire, dunque eseguiva tutti i loro ordini, con grande senso del dovere. “l’8 maggio 1945, data ufficiale della sconfitta della Germania, fu per lui un Tragico giorno, soprattutto perché da quel momento non avrebbe più potuto essere membro di questo o di quell’organismo. “sentivo che la mia vita sarebbe stata difficile senza un capo; non avrei più ricevuto direttive da nessuno, non mi sarebbero più stati trasmessi ordini e comandi, non avrei più potuto consultare regolamenti – in breve mi aspettava una vita che non avevo mai provato” 7 Un’altra cosa che stupisce del personaggio è che avesse una pessima memoria: egli ricordava solo i propri successi personali, i suoi stati d’animo e le frasi fatte ad essi collegate. Era suggestionabile dalle parole d’ordine e, di conseguenza, era naturalmente l’individuo ideale per i nazisti. Un aspetto sul quale la Arendt si sofferma molto è quello della COSCIENZA del criminale. Eichmann mostrò, anche durante il processo, di non saperla usare, tant’è che un capitolo del libro è intitolato “La conferenza di Wannsee, ovvero Ponzio Pilato”8. Durante il processo, l’imputato spiegò che alla conferenza, sentendo parlare uomini illustri, con idee proprie, intelligenti e sicuri, egli si sentì libero da ogni colpa: disse che non aveva mai agito di sua iniziativa, ma che aveva solo eseguito ordini. La sua colpa era stata l'ubbidienza, da sempre ritenuta una virtù, e di questa sua virtù i capi avevano abusato. Eichmann se la prese, poi, con la sfortuna e il destino: "Il suddito di un governo buono è fortunato, quello di un governo cattivo è sfortunato. Io non ho avuto fortuna"9. Espresse una simile sentenza con tono mite, di chi è convinto d'aver agito nel modo giusto. Insomma, Eichmann non usò mai la propria coscienza e non si assunse mai le proprie responsabilità; era tranquillizzato dal vedere lo zelo con cui la “buona società” reagiva al suo stesso modo. Le sue colpe erano, tuttavia, minori di quanto sembrasse: era “semplicemente” estremamente attento sul lavoro, non per ideologia, ma per il desiderio di compiacere i propri comandanti e guadagnare riconoscimenti. Questa visione venne supportata quando Eichmann, in una successiva udienza, giunse a dire di essersi comportato secondo l’etica kantiana; questa prevede che si debba agire in modo che le nostre azioni possano diventare legge morale. Egli pervertì il concetto, arrivando a dire che si comportò come pensava che il Führer avrebbe voluto legiferare. 7 Ibid., p. 40 Ibid., p. 120 9 Ibid., p. 32 8 9 Al termine del saggio , la Arendt parla della sentenza: Eichmann fu riconosciuto responsabile di crimini contro gli Ebrei e crimini contro l’umanità. Fu accettata la tesi secondo cui egli avrebbe solo reso possibile lo sterminio, ma non lo avrebbe messo in atto personalmente. Questo è un punto fondamentale per capire come sia stato possibile l’olocausto, secondo l’autrice: nessuno era responsabile, ma ciascuno eseguiva gli ordini. Eichmann stesso si sentì vittima di un'ingiustizia, convinto di pagare per le colpe degli altri. La Arendt si occupa della genesi del male, non tanto della sua manifestazione. Nel suo pensiero, per un essere umano è male l'essere un inconsapevole volontario, il braccio intenzionalmente ignorante di un processo e sistema troppo grande; ed è qualcosa di estremamente comune e banale. “È anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al pensiero, come ho scritto, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s'interessa al male viene frustrato, perché non c'è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.”10 4. Eugenetica e biocrazia Uno degli ambiti in cui si vede tristemente presente il problema etico è, senza dubbio, quello che presenta al centro del programma politico nazista le pratiche di eugenetica. L’eugenetica nella storia eu-ge-nè-ti-ca. il termine deriva dal greco: [eu] buona [genesis] nascita. Con tale sostantivo si indica la disciplina volta al perfezionamento della specie umana. L’eugenetica ha un punto di partenza sicuramente inaspettato. È in Platone, infatti, che per la prima volta il “razionale allevamento umano” viene indicato come strumento forte nelle mani dello Stato, necessario alla repubblica dei filosofi, per conservare la propria virtù e perpetuarla, con omicidi e segretezza. «Se dobbiamo tener conto – risposi – di ciò che abbiamo già ammesso, conviene che gli uomini migliori si accoppino con le donne migliori il più spesso possibile e che, al contrario, i peggiori si uniscano con le peggiori, meno che si può; e se si vuole che il gregge sia veramente di razza occorre che i nati dai primi vengano allevati; non invece quelli degli altri. E questa trama, nel suo complesso, deve essere 10 H. Arendt,Scambio di lettere con B. Scholen 10 tenuta all’oscuro di tutti, tranne che dei reggitori, se si desidera che il gruppo dei guardiani sia per lo più al sicuro da sedizioni». (Repubblica, V) Il Cristianesimo medioevale, dando per scontata la degenerazione umana dal peccato originale e l'intrinseca negatività dell'atto sessuale, lascia alla sfera ultraterrena ogni possibilità di "miglioramento". Nel Rinascimento Tommaso Campanella, nella prospettiva utopica de “La città del Sole” sostiene l'opportunità di combinare i matrimoni e controllare la vita sessuale dei cittadini. Tra Settecento e Ottocento si afferma la frenologia, disciplina non scientifica che sosteneva di riuscire ad individuare dalla forma del cranio le tendenze psicologiche delle persone. Successivamente, Herbert Spencer prese a prestito i concetti chiave dell'evoluzione darwiniana e li applicò alle scienze sociali, sostenendo l'opportunità e la necessità delle differenze sociali, allo scopo di assecondare il naturale processo di selezione dei più adatti. Com’è noto, dunque, la teoria dell’eugenetica ha una storia molto più antica di quanto ci si aspetterebbe. Tuttavia è innegabile che essa raggiungerà livelli di esasperazione e terribile esagerazione solo con la fine dell’ Ottocento e gli inizi del Novecento. Nascita e diffusione della teoria eugenetica Negli anni sessanta dell'Ottocento l'eugenetica venne riportata sotto l’attenzione generale da Francis Galton, il quale fu coniatore del termine stesso. Galton era cugino di Charles Darwin, ma malgrado la parentela non portò a termine né gli studi in medicina, né ottenne il diploma di matematica a Cambridge. Personaggio polivalente ed intellettualmente prolifico, scrisse più di 340 fra articoli e libri, nel corso della sua vita. La sua teoria è anche detta darwinismo sociale: teorizzò il miglioramento progressivo della razza, secondo criteri analoghi a quelli dell'evoluzione biologica. La teoria evolutiva portava con sé un ottimismo razionale, quello secondo cui la selezione naturale avrebbe migliorato le specie e avrebbe garantito la qualità della stessa. Ma, poiché per la razza umana tale teoria era più complicata da vedere realizzata, egli sosteneva necessario un intervento delle istituzioni per questo fine, mediante l'incrocio selettivo degli adatti. Questa teoria ebbe grande successo, specialmente in Inghilterra ed in Germania, grazie anche alla forte impostazione positivista della scienza e all'ideale imperante di progresso della civiltà. Muovendo da questa concezione, Francis Galton si accinse a studiare l'eredità delle grandi personalità del suo tempo; egli trovò che molti degli uomini superiori erano imparentati fra di loro e che tutti appartenevano a un numero relativamente ristretto di famiglie. Tuttavia, trascurò che la classe dominante inglese del suo tempo costituiva un'esigua minoranza di famiglie, legate fra di loro da vincoli matrimoniali. Il lavoro di Galton ha comunque il merito di essere il primo esempio, per quanto grossolano, di statistica applicata allo studio dell'ereditarietà; esso pose le fondamenta dell'eugenetica. 11 Il fine dello studioso era quello di “guidare attraverso l’eugenetica il corso dell’evoluzione, al fine di raggiungere nessun altro scopo se non il bene dell’umanità intera”; si capisce chiaramente che la sua idea di fondo era assolutamente atea, materialista, determinista, e che l’eugenetica era per lui una sorta di religione atea, civile, di salvezza, che avrebbe realizzato, come si diceva, la razza pura, la razza felice, intelligente, bella, giusta e persino ricca. Le sue dottrine vennero attuate per la prima volta, con sistematicità e scientificità, negli Stati Uniti (nei laboratori di Long Island), alla fine dell’Ottocento, prima di essere riprese da Hitler che, con il proprio programma eutanasico, volto ad eliminare malati, anziani, mutilati e deformi, avrebbe definitivamente screditato una “scienza” che aveva goduto fino ad allora di grandi entusiasmi, non solo presso molti scienziati, ma anche presso diversi governi nel mondo. Nel “Mein Kampf”, dopo aver spiegato che lo Stato “dovrà impedire ai malati o ai difettosi” di procreare, Hitler aggiungeva: “Basterebbe per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di spirito, per salvare l’umanità da una immane sfortuna e portarla ad una condizione di sanità oggi pressoché incredibile” . Del resto Rudolf Hess era solito definire il nazismo una “biologia applicata”, mentre lo studioso Lifton parlò del nazismo come di una “biocrazia”, perché fondato su una visione di controllo assoluto dei processi biologici: i nazisti cercarono di sostituirsi alla natura e a Dio, per essere loro a dirigere e controllare l’evoluzione umana. Tale biocrazia si esplicò con le leggi razziali sul matrimonio, con la creazione di luoghi appositi dove ariani e ariane di particolare bellezza e forza venissero spinti ad unirsi, con la sterilizzazione forzata, l’eutanasia di determinate categorie di inadatti e improduttivi, l’utilizzo dell’aborto per le donne tedesche gravide di bambini non “puri”. Hitler Adolf Hitler entrò in contatto con le idee sull'eugenetica durante il suo periodo di detenzione nel carcere di Landsberg, quando lesse dei trattati di igiene razziale. Egli ritenne che la Germania avrebbe potuto riacquistare il proprio status di potenza solo se lo stato avesse applicato alla società tedesca i principi basilari dell'eugenetica e dell'igiene razziale. Hitler attribuiva lo stato di debolezza della nazione all'esistenza di "elementi degenerati", che avevano compromesso la purezza della popolazione. Era di sua opinione, quindi, che gli "elementi degenerati" dovessero essere eliminati il prima possibile. La riproduzione dei forti e dei razionalmente puri avrebbe dovuto essere incoraggiata, mentre i deboli ed impuri avrebbero dovuto essere neutralizzati. Egli aveva anche lodato le politiche di Sparta, definendola il primo Stato Völkisch, ovvero uno stato populista: Sparta va considerata come il primo stato Völkisch. L'esposizione dei bambini malati, deboli, deformi - in breve: la loro distruzione è stata più decente ed in verità migliaia di volte più umana della miserevole follia dei giorni nostri, che protegge i soggetti più patologici a qualsiasi costo, e ciò nonostante toglie la vita - mediante la contraccezione o l'aborto - a centinaia di migliaia di bambini sani, solo per poi nutrire una razza di degenerati carichi di malattie. 12 Aktion T4 L'Aktion T4 è il nome convenzionale con cui viene designato il Programma nazista di eutanasia. T4 è l'abbreviazione di "Tiergartenstrasse 4", l'indirizzo di Berlino dove era situato il quartier generale dell'ente pubblico per la salute e l'assistenza sociale. La clinica di Hadamar era la clinica psichiatrica nella città stessa, usata dai nazisti come sede del programma. Il programma T4 mirava a diminuire le spese statali derivanti dalle cure e dal mantenimento, nelle strutture ospedaliere, dei pazienti affetti da disabilità, in un momento in cui le priorità economiche erano rivolte al riarmo dell'esercito della Germania. Lo stato di estrema prostrazione nel quale si trovava la Germania al termine della prima guerra mondiale, la rese particolarmente ricettiva ad idee di questo tipo. Come riporta Robert Jay Lifton, uno dei massimi studiosi del fenomeno medico nazista: « Il ragionamento era che i giovani morivano in guerra, causando una perdita per il Volk [comunità nazionale] dei migliori geni disponibili. I geni di coloro che non combattevano (che erano anche i geni peggiori) potevano quindi proliferare liberamente, accelerando la degenerazione biologica e culturale. » La Grande depressione del 1929 incrementò ulteriormente il sentimento di «uccisione pietosa» quando gli istituti medici e psichiatrici si trovarono in gravi difficoltà a causa del taglio negli stanziamenti a loro destinati, e si vennero a creare situazioni di sovraffollamento e di degrado nel trattamento dei pazienti. I maggiori esponenti del movimento eugenetico, nazionalisti ed antisemiti, abbracciarono con fervore l'ideologia nazionalsocialista e negli anni successivi imposero la loro idea ai medici tedeschi. Nel suo Mein Kampf (1925-1926) Hitler definì chiaramente le sue idee in merito e significativamente lo fece nel capitolo «Lo Stato», dedicato alla visione nazionalsocialista di come una nazione moderna avrebbe dovuto «gestire» il problema: « Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze nel corpo del suo bambino. Qui, lo Stato nazionale deve fornire un enorme lavoro educativo, che un giorno apparirà quale un'opera grandiosa, più grandiosa delle più vittoriose guerre della nostra epoca borghese. » In sintonia con questa visione di Stato il regime nazista proseguì, subito dopo l'ascesa al potere, con le prime politiche di igiene razziale. Il 14 luglio 1933 venne discussa dal parlamento tedesco la Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie. E, poiché il 20 luglio era prevista la firma del Concordato con la Chiesa cattolica, si ritenne più opportuno posticipare la promulgazione della legge al 25 luglio. Questa legge stabiliva la sterilizzazione forzata di persone affette da una serie di malattie ereditarie o di quelle supposte tali. 13 Subito dopo il varo del programma di sterilizzazione coatta, Hitler espresse il proprio favore all'uccisione dei malati incurabili, delle «vite indegne di vita». Nel 1935 disse a Gerhard Wagner, Reichsärzteführer («Capo dei medici del Reich»), che la questione non avrebbe potuto essere risolta in tempo di pace ed affermò che “questo problema potrà essere portato a termine senza intoppi e più facilmente in tempo di guerra” e ancora “in caso di guerra risolveremo radicalmente il problema degli istituti psichiatrici”. Lo scoppio della guerra permise così ad Hitler di realizzare il progetto che accarezzava già da lungo tempo; inoltre, addusse anche nuove giustificazioni all'idea del Führer: i malati, anche se sterilizzati, continuavano a dover essere ricoverati in appositi istituti e, di conseguenza, ad occupare spazi e risorse che avrebbero potuto essere utilizzati per i soldati feriti e per gli sfollati delle città bombardate. Opinione pubblica Dal 1933 al 1939 il Regime preparò l'opinione pubblica, attraverso un oculato e mirato programma propagandistico. Le organizzazioni naziste misero a punto opuscoli, poster e film, dove si mostrava il costo di mantenimento degli istituti medici preposti alla cura dei malati incurabili e nei quali si affermava che il denaro risparmiato poteva essere speso con più profitto per il “progresso” del popolo tedesco “sano”. Un ulteriore campo di intervento a favore dell'eugenetica fu rappresentato dalle scuole dove gli studenti si trovarono a risolvere problemi di aritmetica a sfondo razziale. A testimonianza dell’influenza dell’ideologia nazista nella vita delle persone, è da sottolineare un fatto agghiacciante, avvenuto verso la fine del 1938: la Cancelleria del Führer ricevette, da parte della famiglia di un bambino affetto da gravi malformazioni fisiche, una richiesta affinché Hitler desse il suo assenso per un'uccisione pietosa. Hitler inviò il suo medico personale presso la clinica dell'Università di Lipsia per verificare, con i medici che avevano in cura il bambino, se realmente egli fosse un caso disperato e, in tal caso, autorizzarne l'uccisione. Al termine dell’ispezione il fanciullo fu “aiutato” a morire. Metodi Inizialmente i pazienti vennero uccisi, come già accadeva nel programma per i bambini, con iniezioni letali. Il metodo era però lento ed inefficace e con il prosieguo della guerra, quando i farmaci utilizzati nelle iniezioni divennero sempre più scarsi, fu chiaro che sarebbe stato necessario trovare una nuova strategia. Hitler stesso, basandosi sul consiglio del professor Heyde, propose l'utilizzo di monossido di carbonio, dopo che una serie di esperimenti avevano dimostrato la superiore efficienza di quest'ultimo. L'uccisione mediante monossido di carbonio puro (cioè prodotto industrialmente) venne presto estesa a tutti i sei centri dell'Aktion T4, quasi tutti ex ospedali o case di cura convertite. 14 Gli esperimenti medici Parallelamente al programma Aktion T4, in molti campi di concentramento si procedette alla sperimentazione di nuove tecniche mediche sui corpi degli internati, che erano usati come cavie. Otmar von Verschuer Lo scoppio della guerra offre agli scienziati l'occasione di occuparsi delle "razze inferiori": degli ebrei, degli zingari, degli slavi. Un incredibile "materiale umano" diviene improvvisamente disponibile, per poter dimostrare sul campo le teorie genetiche che gli scienziati nazisti hanno elaborato. Tra questi scienziati il più conosciuto e rispettato è il professor Freiherr Otmar von Verschuer. Egli è esperto nella genetica ed è un appassionato ricercatore nel campo della biologia dei gemelli. In uno dei suoi deliranti articoli pseudo scientifici dal titolo "La biologia razziale degli ebrei" afferma che gli Ebrei sono una razza, misurabile con altezza media, con alta frequenza dei cosiddetti "piedi piatti", con una forma del naso, degli occhi, delle orecchie e del naso ben definiti. Certo, il nazista spiega che alcuni di loro hanno anche capelli ed occhi chiari, ma il fatto si spiegherebbe con incroci con popolazioni baltiche. Addirittura, Verschuer parla di un "odore caratteristico” degli stessi, dovuta alle ghiandole sudorifere, ma soprattutto spiega che sono portatori di malattie ereditarie e che hanno caratteristiche psicologiche comuni. In una qualsiasi nazione civile le affermazioni di Verschuer sarebbero state considerate puri e semplici discorsi di un pazzo; nella Germania nazista erano, invece, ritenute degne di altissima considerazione. Nel 1942 Verschuer divenne il direttore del Dipartimento di Antropologia del prestigioso Kaiser Wilhelm Institut a Berlino. In questa posizione poté dedicarsi alla continuazione dei suoi studi biologico-razziali sui gemelli. In simili ricerche collaborava con lui uno dei suoi più promettenti: il dottor Josef Mengele. Josef Mengele Josef Mengele nacque il 16 marzo 1911 a Günzburg. La famiglia aveva una solida tradizione cattolica ed un orientamento politico nazionalista. Dal 1930 decise di studiare medicina e si laureò nel 1935; il suo relatore era un antropologo, convinto della disparità tra le razze. Il giovane medico si recò a Lipsia per compiere la sua pratica ospedaliera e vi rimase quattro mesi. Qui conobbe il professor Verschuer: con quest’ultimo Mengele conseguì il suo dottorato e questi gli propose di unirsi a lui, per proseguire gli studi sulla biologia dei gemelli. Vi erano enormi possibilità di indagine nel campo di concentramento ad Auschwitz; il 30 maggio 1943 Josef Mengele si presentava ad Auschwitz, per prendervi servizio. 15 I bambini gemelli che arrivavano ad Auschwitz da tutta Europa venivano selezionati da Mengele in persona, appena scesi dai treni. Il dottore si aggirava lungo le fila dei prigionieri gridando "Zwillinge heraus!" ("Fuori i gemelli"). Una volta isolati dai propri genitori, i bambini venivano marchiati, come gli altri prigionieri, ma con un numero speciale al quale spesso veniva aggiunta la sigla "ZW" (per "Zwillinge"). Poi, arrivati alle baracche che avrebbero dovuto ospitarli, venivano esaminati e misurati dalla testa ai piedi. Venivano richieste loro informazioni sulla famiglia secondo un formulario preparato dal professor Verschuer, al quale venivano spediti i fascicoli. Erano sottoposti ad una doccia, per poi essere condotti nell'ambulatorio medico e, a differenza di tutti gli altri prigionieri, ai gemelli era consentito di mantenere i capelli lunghi, per diversi giorni dopo l'esame. Gli esami iniziavano dalla testa: veniva misurata accuratamente, anche per più giorni. Successivamente erano sottoposti ai raggi X in tutto il corpo. Seguiva una fase nella quale i bambini erano fotografati, con particolare attenzione ai capelli e ai peli delle ascelle. Successivamente, dopo avere esaminato i capelli, i bambini erano completamente rasati, depilati e nuovamente fotografati. La fase seguente consisteva nel praticare clisteri, esami rettali e gastrointestinali, pur senza alcuna anestesia ed infine veniva eseguito l’esame urologico. Dopo tre settimane i due gemelli venivano uccisi simultaneamente con un'iniezione al cuore; i cadaveri venivano dissezionati e gli organi interni venivano inviati al professor Verschuer all'Istituto di ricerca biologico-razziale di Berlino. Questa orribile trafila rappresentava la norma, ma Mengele stava conducendo altri studi, ancora più macabri, sui gemelli. Uno di questi riguardava le anomalie dell'apparato visivo, poiché egli era particolarmente interessato all’eterocromia, uno scoloramento dell'iride dell'occhio. Inoltre, a Berlino, Verschuer ed il suo assistente si interessavano allo studio delle proteine del sangue e inseguivano il sogno di riuscire a trovare una differenza sostanziale tra il sangue degli ebrei e quello degli ariani. Per questo, Mengele si impegnava nell'operare prelievi di sangue da inviare a Berlino, spesso totali. È agghiacciante notare che questi esperimenti non avevano alcuna base scientifica. 16 5. Brave new world - Aldous HuxleyClosely related to the field of eugenics and biocracy, as they’re the predominant topics of the novel, is the book of Haldous Huxley entitled “Brave new world". As a part of the science fiction novel, it is denoted with the term “dystopia” a particular sub-genre in which the author imagines a future or alternative time, usually the result of the contemporary contradictions and dangers, in which the worst fears come to life and give shape to an unfair and anti-libertarian society. The dystopian genre gave birth to absolute masterpieces, especially in the Anglo-Saxon world: for example “Fahrenheit 451” by Ray Bradbury or “1984” by Orwell. But none comes close to a reality as surprising and terrifying as the one described in Brave New World by Aldous Huxley. Brave New World is written in 1931 and published in 1932. Set in London of AD 2540, the novel anticipates developments in reproductive technology, sleep-learning, psychological manipulation, and classical conditioning that combine with a profound change of the society. Although the novel is set in the future, it deals with contemporary issues. But it does not predict much about science in general. Its theme "is the advancement of science as it affects human individuals". Huxley did not focus on physical sciences like nuclear physics, though even in 1931 he knew that the production of nuclear energy (and weapons) was probable. He was more worried about the dangers that appeared more obvious at that time- the possible misuse of biology, physiology, and psychology to achieve community, identity, and stability. Genetic engineering is a term that has come into use in recent years as scientists have learned to manipulate RNA and DNA. Huxley doesn't use the phrase, but he describes the same process, when he explains how his new world breeds prescribed numbers of humans artificially with specified qualities. Even if the biological techniques used do not include genetic engineering, the eugenics movement, based on artificial selection, was well established in Europe and in the USA. Moreover, Huxley's family included a number of prominent biologists; Brave New World is a benevolent dictatorship: a static, efficient, totalitarian welfare-state. There is no war, poverty or crime. It is suggested that the price of universal happiness and peace will be the sacrifice of the most hallowed shibboleths of our culture: "motherhood", "home", "family", "freedom", even "love". It is described a land where there is no scope in the political struggle. Moreover, the concept of 'policy' has no meaning: it has developed the perfect 'psychological' revolution of humanity, and not just the socialone. In the "new world", procedures for the mental and emotional control are 17 imagined, to guarantee a perfect domination over humanity, without any need of violent repression. The family doesn’t exist: the government bears the burden of programming the number of births through advanced techniques of eugenetic or "dysgenetic", in order to give the exact amount that is necessary for human society. The fetuses are divided, from conception in vitro, in five hierarchical categories of importance and they are conditioned since incubation. Society is stratified by genetically-predestined castes. It is divided into five classes: Alphas are intellectually superior. Servile, purposely brain-damaged Gammas, Deltas and Epsilons are at the bottom. There is no social mobility. In the lower three classes, people are cloned in order to produce up to 96 identical "twins." Identity is also achieved by teaching everyone to conform, so that someone who has or feels more than a minimum of individuality is made to feel different, odd, almost an outcast. From birth, members of every class are indoctrinated by recorded voices, repeating slogans while they sleep (called "hypnopædia" in the book) to believe their own class is superior, and that the other classes have to do needed functions. In his novel education is uniform, based on the racist division of the working class and imparted through forced constraints of the unconscious. They render meaningless love relationships, stable couples, motherhood, creativity, love for nature and for personal opinions. The combination of genetic engineering, bottle-birth, and sexual promiscuity means there is no monogamy, marriage, or family. The desire for stability, for instance, requires the production of large numbers of genetically identical "individuals," because people who are exactly the same are less likely to come into conflict. Stability means minimizing conflicts, risks, and changes. A society can achieve stability only when everyone is happy, and the brave new world tries hard to ensure that every person is happy. Soma is an antidepressant and hallucinogenic drug used to obtain a calm and lovely life. The philosopher Bertrand Russel wrote in New Leader: “he has undertaken to make up sad by contemplation of a world without sadnass… i’m afraid that while Mr Huxley’s prophecy is meant to be fantastic, it is all too likely to come true”. In 1931, when Brave New World was being written, I was convinced that there was still plenty of time. The completely organized society, the scientific caste system, the abolition of free will by methodical conditioning, the servitude made acceptable by regular doses of chemically induced happiness, the orthodoxies drummed in by nightly corse of sleep-teaching -- these things were coming all right, but not in my time, not even in the time of my grandchildren. I forget the exact date of the events recorded in Brave New World; but it was somewhere in the sixth or seventh century A.F. (After Ford). 18 As we can see, Huxley was convinced that what he had written about, would be a fantastic projection of the far future. Indeed he must have realized that it was all terribly next to the fulfillment. In the essay “Back to the new world” (initially “Brave New World Revisited” ), written in 1958, he traces an analysis of human society in the light of the issues raised in his previous novel “Brave New World”, and of the technical and scientific discoveries that have occurred in the time span that separates the two works . For Huxley, the social and political situation of the late 50s , is rapidly progressing towards what is described in his novel . The essay ends with a chapter entitled “What to do?” , in which he offers a series of reflections and suggestions to avoid a totalitarian drift even in democratic societies. In particular , the author highlights the need to go back to less complex forms of social organization. His beliefs about the ideal society are based on education for freedom to develope the mankind. Huxley states that the universal values have to be used as glue for humanity must be individual freedom as a result of genetic uniqueness ; charity and compassion as a result of the psychological need of the love of every man; intelligence " without which love is impotent and freedom unattainable ". 6. Questione nucleare Come detto precedentemente, Huxley non si concentrò, nel suo romanzo, sull’argomento dell’energia nucleare e sulla costruzione di eventuali armi. Nel 1931, anno in cui scrisse la sua distopia, era consapevole che sarebbe stata possibile una simile evoluzione della scienza, visti i passi da gigante che questa stava compiendo nelle prime decadi del Novecento. Naturalmente, sappiamo che lo scrittore inglese non si sbagliava, in quanto, di lì a pochi anni, vedremo la questione nucleare al centro di dibattici scientifici, politici ed etici in molti stati del mondo. In merito a questo capitolo storico-scientifico, può essere interessante fare alcune brevi riflessioni sulle figure emblematiche di un aspetto cardine e determinante negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. E’ noto che è possibile individuare atteggiamenti decisamente contrapposti nel modo di porsi degli scienziati di ogni nazionalità; pertanto, le due potenze maggiormente implicate nell’ambito della ricerca nucleare furono la Germania nazista e gli Stati Uniti. 19 Per quanto concerne lo stato tedesco, l’uomo più discusso è senza dubbio Werner Heisenberg, premio Nobel per la Fisica nel 1932, il quale aveva deciso di guidare il programma nucleare nazista, mirante a costruire armi nucleari e bomba atomica. Intorno allo scienziato si sono delineati, nel corso degli anni, dubbi, incertezze ed interrogativi, circa quale fosse la sua reale implicazione nei lavori che lui stesso guidava. Si sono formate ipotesi divergenti e confuse, dal momento che la Germania non giungerà mai ad avere un’arma nucleare, nonostante i costi e gli sforzi spesi in questa causa. Alcuni hanno voluto vedere in Heisenberg un baluardo di eticità che abbia sabotato il proprio progetto, semplicemente omettendo un “banale” difetto di massa, per evitare che un ordigno con potenzialità distruttive giungesse in mano ad Hitler; altri, invece, hanno visto in lui una superficialità e disattenzione tali da non permettergli di scorgere una simile errore. Si è indagato molto sul fatto che Heisenberg potesse avere degli scrupoli morali, ed egli stesso tentò, successivamente, di sostenere questa tesi. Il libro Heisenberg's War di Thomas Power e l'opera teatrale "Copenhagen" di Michael Frayn adottarono questa interpretazione. Nel febbraio 2002, però, emerse una lettera scritta e mai spedita da Bohr ad Heisenberg nel 1957, nella quale sembra che Heisenberg, nella conversazione avuta con il suo maestro Bohr nel 1941 a Copenaghn (uno degli aspetti più oscuri della questione), non espresse alcun problema morale riguardo al progetto di costruzione della bomba. Proprio Bohr, invece, sembra aver avuto un comportamento convinto e determinato, senza mai partecipare alla realizzazione della bomba atomica: quando nel corso della Seconda guerra mondiale i Tedeschi invasero la Danimarca, preoccupato che riuscissero a costruire l’ordigno, egli fuggì in Inghilterra, dando il proprio contributo, solo come consulente, al Progetto Manhattan (avviato nel 1942 dagli Stati Uniti, in collaborazione con il governo britannico). Conclusa la guerra, diventò attivissimo nella propaganda contro le armi nucleari: sostenne l'uso pacifico dell'energia atomica e patrocinò la creazione del Laboratorio europeo di fisica delle particelle elementari, ovvero il Cern. Spostandoci sul fronte americano, possiamo individuare tre protagonisti della vicenda in esame: Albert Einstein, Enrico Fermi e Robert Oppenheimer. Albert Einstein, in principio, fu favorevole alla costruzione della bomba atomica, al fine di prevenirne la costruzione da parte di Hitler; scrisse anche una lettera al presidente Roosevelt, incoraggiandolo a iniziare un programma di ricerca, per sfruttare l'energia nucleare. Tuttavia, dopo la guerra, egli fece pressioni per il disarmo nucleare. Nel luglio 1955 fu compilato il Manifesto pacifista di Russell-Einstein che diede vita al Movimento Pugwash (dal nome della cittadina della Nuova Scozia in cui si tenne il primo convegno), premiato nel 1995 con il Nobel per la Pace. Il filosofo-matematico e lo scienziato promossero una 20 dichiarazione, controfirmata da altri 11 scienziati e intellettuali di primo piano, invitando tutto il mondo a riunirsi per discutere sui rischi per l'umanità prodotti dall'esistenza delle armi nucleari. “Nella tragica situazione che affronta l’umanità, noi riteniamo che gli scienziati dovrebbero riunirsi in un congresso per valutare i pericoli che sono sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito della seguente bozza di documento. Non stiamo parlando, in questa occasione, come membri di questa o quella nazione o continente o fede religiosa, ma come esseri umani, membri della specie umana, la cui sopravvivenza è ora messa a rischio. [..]Cercheremo di non dire una sola parola che possa piacere più ad un gruppo piuttosto che all’altro. Tutti, in eguale misura, sono in pericolo e se il pericolo è compreso, c’è speranza che lo si possa collettivamente evitare. [..] Ci attende, se sapremo scegliere, un continuo progresso di felicità, conoscenza e saggezza. Dovremmo invece scegliere la morte, perché non riusciamo a rinunciare alle nostre liti? Facciamo un appello come esseri umani ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticatevi del resto. Se riuscirete a farlo si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; se non ci riuscirete, si spalancherà dinanzi a voi il rischio di un’estinzione totale.” Enrico Fermi ebbe un ruolo determinante nella costruzione della bomba atomica, lavorando al Progetto Manatthan, proprio grazie alla sua pila atomica – assemblata a Chicago nel 1942 – che aveva costituito il primo esempio di reattore nucleare in grado di produrre una reazione a catena controllata. Anche dopo il suicidio di Hitler e la resa della Germania, Fermi fu sempre convinto del fatto che la bomba andasse usata, perché soltanto un attacco atomico contro il Giappone avrebbe posto fine al conflitto: “Noi in quanto uomini di scienza [...] non rivendichiamo una particolare competenza nella soluzione dei problemi politici, sociali e militari che sorgono dalla scoperta dell’energia atomica. Ma, dal momento che l’arma può essere usata per salvare vite americane e che non siamo in grado di proporre alcuna dimostrazione tecnica suscettibile di porre fine alla guerra, non vediamo alcuna alternativa accettabile all’impegno militare diretto”. A conferma di questa sua ferrea convinzione, si può dire che egli non si pentirà mai: rimarrà sempre convinto di aver fatto il proprio dovere, in difesa della libertà e della democrazia del Paese che l’aveva ospitato, contro il dilagare della minaccia nazista.. L’ultima figura che rimane da indagare è quella di Robert Oppenheimer che nel 1942 fu chiamato dal Governo degli Stati Uniti a dirigere il Progetto Manhattan. A tal fine, si circondò dei migliori fisici nucleari del mondo, costituendo il gruppo di ricerca più importante che sia mai esistito in tutta la storia della scienza. A differenza di molti suoi colleghi, fu sempre consapevole della propria parte di responsabilità per il lancio dell'atomica su Hiroshima e Nagasaki: “I fisici hanno conosciuto il peccato e questa è una conoscenza che non possono perdere” fu il suo sconsolato commento dopo l'esplosione della bomba. 21 Il suo dramma si manifestò in modo più acceso nel dopoguerra quando, come presidente del comitato consultivo della commissione per l'energia atomica, si oppose alla costruzione della bomba all'idrogeno, ritenendo che un'arma di tale potenza non avrebbe risolto i problemi strategici degli USA, ma ne avrebbe abbassato il livello etico. Il Premio Enrico Fermi, conferitogli nel 1963, volle essere il segno di una "riabilitazione" ufficiale, anche se tardiva, che gli Stati Uniti d'America concedevano allo scienziato che, più di ogni altro, aveva mostrato le contraddizioni laceranti dell'uomo di scienza di fronte all'impiego bellico dell'energia nucleare. Infine, è interessante citare anche la personalità italiana di Franco Rasetti, la cui classe di grande fisico sperimentale sarebbe stata sicuramente utilizzabile nel Progetto Manhattan. Tuttavia, egli ritenne che uno scienziato non si doveva impegnare nella progettazione di armi e di questa posizione divenne un simbolo. Dopo aver abbandonato l’Italia nel 1939, pur senza dirette motivazioni razziali, ma indubbiamente consapevole dell’ arrivo imminente della guerra, si trasferì all’Università Laval in Quebec, dove è ancora oggi ricordato come uno dei fondatori della fisica canadese. Egli fu orgoglioso per tutta la vita di avere rifiutato di partecipare all’impresa tecnica e scientifica che si sarebbe conclusa ad Hiroshima. Tuttavia, la sua, non fu una scelta indolore: le parole desolate ed amare con le quali egli commentò, in seguito, il comportamento dei suoi amici e colleghi, e l’abbandono della fisica come principale attività di ricerca,ne sono la diretta testimonianza. " Sono rimasto talmente disgustato dalle ultime applicazioni della fisica (con cui, se Dio vuole, sono riuscito a non aver niente a che fare) che penso seriamente a non occuparmi più che di geologia e biologia. Non solo trovo mostruoso l'uso che si è fatto e che si sta facendo delle applicazioni della fisica, ma per di più la situazione attuale rende impossibile rendere a questa scienza quel carattere libero e internazionale che aveva una volta e la rende soltanto un mezzo di oppressione politica e militare. Pare quasi impossibile che persone che una volta consideravo dotate di un senso della dignità umana si prestino a essere lo strumento di queste mostruose degenerazioni. Eppure è proprio così e sembra che neppure se ne accorgano. Tra tutti gli spettacoli disgustosi di questi tempi ce ne sono pochi che eguaglino quello dei fisici che lavorano nei laboratori sotto la sorveglianza militare per preparare mezzi più violenti di distruzione per la prossima guerra". L’affermazione di non avere partecipato alla realizzazione della bomba non lo fece però sentire completamente innocente; egli fu sempre ossessionato dalla responsabilità che pensava di doversi assumere per avere partecipato alla scoperta del meccanismo fisico su cui si basa il funzionamento della bomba atomica. 22 Dopo aver parlato di figure così di spicco nello scenario novecentesco, può essere bello ed appagante considerare uno dei più importanti risvolti positivi negli anni successivi alla guerra. Durante i primi anni Cinquanta, con alle spalle le rovine materiali, economiche e morali della guerra, le coscienze del mondo intero erano sconvolte e terrorizzate. In questo clima di disagio ed incertezza, gli stati europei progettarono di costruire un centro di ricerca; si sentiva, infatti, il bisogno di fondare un centro europeo all’avanguardia per la ricerca, per ridare all’Europa il primato della fisica. I loro rappresentanti si riunirono, dunque, a Parigi il 3 gennaio 1952, per deciderne la sede. Nel 1954 nacque, così, il Cern, nella periferia di Ginevra. Il CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) è visto come un laboratorio di pace,in quanto persone da tutte le parti del mondo si incontrano, collaborano, discutono e progettano insieme, senza distinzione di razza e provenienza. « Il CERN è stato fondato meno di 10 anni dopo la costruzione della bomba atomica. Penso che l'esistenza della bomba abbia avuto una grande importanza nel rendere possibile il CERN. L'Europa è stata teatro di violente guerre per più di duecento anni. Adesso, con la fondazione del CERN, abbiamo qualcosa di diverso. Spero che gli scienziati al CERN si ricordino di avere anche altri doveri oltre che proseguire la ricerca nella fisica delle particelle. Essi rappresentano il risultato di secoli di ricerca e di studio per mostrare il potere dello spirito umano, quindi mi appello a loro affinché non si considerino tecnici, ma guardiani di questa fiamma dell'unità europea, così che l'Europa possa salvaguardare la pace nel mondo. » Isidor Isaac Rabi - in occasione del trentesimo anniversario del CERN (1984)- Il coinvolgimento ampio e profondo della comunità degli scienziati alla prima esplosione nucleare ha rappresentato un fatto nuovo nella storia dell’umanità. Tuttavia, la questione è oramai considerata chiusa: la totalità dei protagonisti delle vicende è ormai defunta e le conoscenze acquisite in quegli anni fanno parte, nel bene e nel male, del bagaglio culturale dell’umanità. Il problema di quale debba essere considerato un comportamento eticamente corretto da parte degli scienziati è, invece, ancora attualissimo. L’interesse che oggi abbiamo per questa vicenda -e che dobbiamo avere- non nasce dal bisogno di dare giudizi morali ex-post, il che sarebbe ridicolo, oltre che inutile, ma dalla necessità di individuare come nascano e si sviluppino certi atteggiamenti individuali e collettivi, la cui influenza sulla storia della nostra società si è poi mostrata così rilevante: quello che allora è successo alla comunità dei fisici, ha successivamente interessato altri scienziati e, sicuramente, ne coinvolgerà ulteriori in futuro. 23 Verso una visione condivisa L’esigenza di arrivare ad un’idea condivisa sul rapporto tra scienza ed etica, che sia capace di non limitare la ricerca di frontiera, ma al tempo stesso rispettosa delle libertà e dei diritti di tutti, è una questione prioritaria, se inquadrata nell’attuale contesto europeo che mira a una piena integrazione delle attività di ricerca. Da molti viene riconosciuta l’importanza di sostenere ed incoraggiare un dibattito comune, andando al di là dei confini nazionali. Le questioni etiche legate al progredire delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, infatti, sono percepite nei vari paesi in modo differente. Tale diversità dipende da aspetti culturali e morali che devono essere rispettati e valorizzati, poiché rappresentano una ricchezza per l’Europa. Un passo importante verso questa direzione è rappresentato dall’adozione, nel 2005, della Carta Europea dei Ricercatori - documento che enuncia un insieme di principi e prescrizioni generali sul ruolo, sulle responsabilità e sui diritti dei ricercatori e dei soggetti che li assumono e/o li finanziano - dove tra i “principi generali e requisiti applicabili ai ricercatori” sono espressamente contemplati: “la libertà di ricerca, i principi etici, la responsabilità professionale e la diffusione e valorizzazione dei risultati”. I ricercatori, inoltre, sono invitati “ad aderire alle pratiche etiche riconosciute ed ai principi etici fondamentali applicabili nella o nelle loro discipline, nonché alle norme etiche stabilite dai vari codici nazionali, settoriali o istituzionali”. 7. Rischio prossimo “olocausto tecnologico” “Noi figli di Eichmann” Nonostante una ricerca di visione condivisa sia già stata messa in atto, siamo tutti consapevoli che oggi il mostruoso è ancora reso possibile dal fatto che il mondo in cui ci troviamo è stato inventato ed edificato da noi, grazie al trionfo e all’evoluzione della tecnica; tuttavia esso è diventato tanto grande che in realtà ha smesso di essere “nostro”. Ciò che siamo in grado di produrre e di provocare è tanto sproporzionato e dirompente che non riusciamo a controllarlo. Ne “Noi figli di Eichmann”, l’autore concretizza il concetto con l’esempio del processo di produzione: quando un individuo svolge il proprio lavoro, generalmente, perde l’interesse per l’intero meccanismo e per i suoi effetti finali. Di conseguenza, quanto più si complica l’apparato nel quale è incorporato, tanto più piccola è la chance del singolo di comprendere i procedimenti dei quali egli stesso è parte o condizione. 24 Un altro esempio calzante è dato dall’attuale armamento nucleare: milioni di persone vengono assunte con estrema naturalezza per co-preparare e, in caso di emergenza, per co-attuare l’eliminazione di popoli interi o addirittura della stessa umanità. Ancora più agghiacciante è l’idea che tali uomini svolgano il proprio lavoro con senso del dovere e in modo scrupoloso e coscienzioso. Ed allora è proprio vero che la situazione odierna assomiglia terribilmente a quella di ieri, che il problema Eichmann non è un problema del passato: oggi, come allora, milioni di persone furono e sono messe e mantenute all’oscuro del tutto, per il semplice fatto che esse non volevano e non vogliono, o ancor peggio, non potevano e non possono, saperne nulla. “That men do not learn very much from the lessons of history is the most important of all the lessons that History has to teach” 25 Bibliografia N. Abbagnano- G. Fornero, La filosofia dall’ Illuminismo a Hegel ,Milano- Torino 2010, Pearson G. Anders, Noi figli di Eichmann, Firenze 1995, La Giuntina H. Arendt, La banalita’ del male, Milano 1964, Feltrinelli G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Milano 2005, Mondadori M. Frayan, Copenaghen,Milano 2010, Sironi Editore A. Huxley, Brave new world,Essex 1991, Longman Group A.Huxley, Il mondo nuovo Ritorno al nuovo mondo,Milano 1971, A. Mondadori Editore E. Kant, Critica della ragion pratica, Torino 1986, U.T.E.T. P. Levi, Se questo è un uomo, Milano 1995, Einaudi M. Vadacchino, La morale degli scienziati e la bomba atomica, Torino 2012, Nuvole 26 Sitografia http://www.senzatomica.it/approfondimenti-12/documentazione.html http://www.olokaustos.org/ www.huxley.net http://www.mi.infn.it/~troncon/viaggioalcern/index.php www.treccani.it innovando.loescher.it/ 27 SOMMARIO Percorso cognitivo …………………………………………………………………………………..……………………………………………2 1. Premessa ............................................................................................................................................3 2. «Agisci in una maniera che il Führer, se conoscesse le tue azioni, approverebbe» ................................................................................................................... 5 3. Caso storico: Adolf Eichmann “La banalità del male” ...................................................6 4. Eugenetica e biocrazia ................................................................................................................. 9 Eugenetica nella storia ……………………………………...…………………………………………………….…………. 9 Nascita e diffusione della teoria eugenetica............................................................................ 10 Hitler.....................................................................................................................................................11 Aktion T4.…………………………………………………………………………………………………………………………..………....12 Opinione pubblica ………………………………………………………………………………………………………………………..13 Metodi …………………………………………………………………………………………………………………………………………. 13 Esperimenti medici ……………………………………………………………………………………………………………………...14 5. Brave new world ……….……………………………………………………………………………………………………………16 6. Questione nucleare ………………………………….………………………………………………………………………….. 18 Verso una visione condivisa………………………………………..…………………………………………………………………..23 7. Rischio prossimo olocausto tecnologico – Noi figli di Eichmann …….…………………..23 8. Bibliografia ……….……………………………………………………………………………………………………………………….25 9. Sitografia ……….…………………………………………………………………………………………………………………………..26