LE APPARENZE INGANNANO
Capitolo 1
Siamo agli inizi degli anni ’50 e la nostra storia
ha inizio a Livorno, città natale del nostro personaggio,
mentre si accinge a partire per uno dei suoi frequenti
viaggi..
Eugenio Della Noce è un uomo d’affari di 31
anni, costretto a continui, brevi viaggi e trasferte in varie
città d’Italia, dal nord al sud in continui spostamenti in
diverse località con un massimo due o tre giorni di
permanenza e poi via a toccare altre città o paesi per
portare a conclusione i suoi affari. Dopo di che rientra
nella sua Livorno per un breve periodo di riposo, fare un
bilancio degli affari conclusi e programmare le prossime
tappe.
Bell’aspetto, modi gentili, sempre sorridente ed
elegantemente vestito, Eugenio è il classico tipo che ha
raggiunto una certa posizione sociale e che ispira fiducia a
chi lo incontra e deve trattare con lui.
Ha una voce calda, suadente e accattivante,
non è molto loquace, anzi, usa poche parole, misurate,
appropriate
che
fanno
capire
all’interlocutore
immediatamente il concetto, le necessità, i desideri,
espressi coerentemente e con precisione, senza giri di
parole inutili, egli sa andare subito al dunque mettendo,
nel contempo, a suo agio chi gli sta di fronte che non ha
nessun bisogno di interpretare i concetti tanto sono lineari
e limpidi.
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Eravamo il 6 di Giugno dell’anno 1951, era un
mercoledì, ed Eugenio stava programmando una
capatina, per lavoro, a Trieste.
In quell’epoca Trieste, pur essendo una città
italiana,
per
questioni
postbelliche,
di
accordi
internazionali relativi al “memorandum di Londra”, era
amministrata dalle truppe anglo-americane
che
sovrintendevano quella che era chiamata zona A del
“Territorio Libero di Trieste”; la zona B era amministrata
dalla Jugoslavia.
Il preventivo di permanenza nella città di Trieste
era di due o al massimo tre giorni, pertanto Eugenio tolse
dall’armadio una piccola valigia, poco più di una 24 ore, ci
ripose la biancheria necessaria, un paio di camicie, alcune
cravatte ed un vestito di ricambio in tessuto leggero di
fresco lana, tanto ormai la stagione era avanzata ed il
tepore dell’aria era confortevole e non necessitava
appesantire la valigia con maglie di lana.
Il mattino dopo, di buonora, Eugenio si recò alla
stazione ferroviaria di Livorno a prendere il treno locale
che lo avrebbe portato a Firenze per attendere la
coincidenza con il “rapido” proveniente da Roma, salito sul
quale sarebbe arrivato direttamente a Trieste.
Il primo tratto del viaggio, da Livorno a Firenze
con un treno “locale”, fu lungo ma piacevole, il finestrino
aperto lasciava entrare un’aria tiepida che recava con sé il
dolce profumo della campagna toscana, che lui conosceva
bene, ma che ogni volta guardava ammirato come fosse
la prima, inspirando a pieni polmoni l’aria di casa.
Giunto a Firenze, circa mezz’ora dopo, alle
11.22, avrebbe avuto la coincidenza con il rapido
proveniente da Roma che, guarda caso, sia i tabelloni
luminosi che la voce gracchiante degli altoparlanti
informavano in ritardo di venti minuti sull’orario previsto. Si
recò al bar della stazione per prendere un caffè ed
acquistare il Corriere della Sera e un settimanale illustrato
da leggere durante le sei ore di viaggio.
Quando Dio volle il “rapido” arrivò ed Eugenio
salì sulla vettura di prima classe per non fumatori, trovò
uno scompartimento occupato solamente da due persone.
Erano, un signore di mezza età di corporatura molto
robusta, con un paio di folti baffi che scendevano ai lati
della bocca, che sonnecchiava seduto nell’angolo vicino
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alla porta d’ingresso allo scompartimento, nel senso di
marcia. Dalla parte opposta, vicino al finestrino, una
ragazza, mora con i capelli lunghi e ricci, stava
attentamente leggendo un libro.
Aperta
la
porta
scorrevole
dello
scompartimento, Eugenio entrò.
- Buon giorno signori.
L’uomo grasso con i baffi accennò un mezzo
saluto da assonnato, mentre la signorina, alzando gli occhi
dal libro, con un sorriso, rispose:
- Buon giorno.
Eugenio sistemò la sua valigia sulla retina sopra il divano
e tenne con sé la borsa porta atti contenente i documenti
e dove aveva riposto i giornali. Si sedette vicino al
finestrino, di fronte alla signorina, anche se così viaggiava
con la schiena al senso di marcia, ma piuttosto di stare
seduto vicino al baffuto dormiente, preferì quel disagio
per trovarsi al cospetto di una visione più piacevole.
Tolse dalla borsa il Corriere della Sera e
cominciò a leggere la prima pagina, sbirciando ogni tanto
la bella moretta. Riuscì a leggere il titolo del libro
“Anatomia peritale nei casi di infortunio mortale”, non era
certo un romanzetto rosa. Calando il giornale si rivolse alla
ragazza, con voce dal tono abbassato per non disturbare il
baffuto:
- Permette signorina? Mi chiamo Eugenio
Della Noce, non ho potuto fare a meno di leggere il titolo
del libro che sta leggendo e ne sono rimasto allibito. Come
mai un argomento così inusuale?
- Piacere sig. Della Noce, io sono Rossella
Venturi, vengo da Arezzo e sono al quinto anno di
medicina a Padova e sto raccogliendo materiale per la
tesi che dovrò discutere nella prossima primavera. Essa
tratterà sullo studio delle cause più frequenti di incidenti
mortali sul lavoro.
- Cara signorina Rossella, permette che la chiami
Rossella? E io gradirei che mi chiamasse Eugenio... sono
esterrefatto che una così bella ragazza tratti argomenti
così macabri e lugubri che fanno venire in mente vecchie
megere vestite di nero con fare spettrale e non certamente
la vitalità, la gioventù, la gioia di vivere che il suo aspetto
dimostra.
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- Sì, signor Eugenio, potrebbe sembrare così,
ma la mia ricerca tende a stabilire che molte volte, troppe
forse, gli incidenti sul lavoro vengono addebitati alla
mancata osservanza delle norme antinfortunistiche,
incolpando così il responsabile del cantiere, della fabbrica,
della manifattura, dell’officina, ecc., ma al contrario
succede che la causa sia dovuta, ad esempio, ad
un’alterazione del soggetto causata da un giramento di
testa e temporanea perdita dei riflessi, causata dalla
pressione sanguigna troppo alta, oppure il caldo
canicolare o il freddo intenso che fanno rilassare per un
attimo l’attenzione dovuta all’espletamento delle proprie
mansioni. Di cause ce ne sono centinaia che non andrò,
sicuramente, ad elencare per non divenire monotona. Solo
l’autopsia può stabilire le vere cause del decesso.
- E’ vero - rispose Eugenio - non ci avevo pensato.
Tante volte si legge sul giornale: “Operaio edile precipita
dall’impalcatura e muore”. Non è detto infatti che
l’impalcatura fosse stata eretta in modo non corretto o
che le scarpe non fossero state quelle previste, come i
guanti, il casco, ecc., ma l’operaio può, effettivamente,
avere avuto un malore se non un infarto addirittura.
- Sì, macabro ma interessante. Auguri per i suoi
studi; non voglio distoglierla dai suoi doveri sembrando di
essere il solito “pappagallo” che cerca pretesti per iniziare
una conversazione.
- Non si preoccupi, signor Eugenio, un po’ di pausa
durante gli studi, serve a rilassare la tensione e
recuperare energie, e poi una persona gentile e cortese
come lei non può sicuramente essere un “pappagallo”,
anzi a guardarla ispira fiducia. Di cosa si occupa lei?
- Il mio lavoro è un po’ vario ed è inerente alla
redditività delle cose, delle merci, degli affari in genere.
Infatti in ogni città in cui vado, l’affare, il soggetto
commerciale, le persone interessate, variano da caso a
caso, secondo logiche di mercato del momento ed
esigenze dei contraenti. Oggi infatti mi sto recando a
Trieste, ma non ho ancora una visione ben chiara del
genere d’affare che mi verrà proposto, quando avrò
trovato i soggetti giusti deciderò il da farsi.
- Non ho capito molto - rispose Rossella incuriosita,
- ma sicuramente il suo dev’essere un lavoro assai vario
ed interessante .
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Il treno continuava la sua corsa e Bologna era
vicina, mancavano circa dieci minuti per arrivarci. Il grasso
baffuto diede qualche segno di vita, si raddrizzò e sbirciò
l’orologio. Guardando gli altri due viaggiatori esclamò, con
spiccato accento bolognese:
- Scusate se non sono stato molto di compagnia, ma
sono molto stanco, sono quattro giorni che viaggio da una
città all’altra del sud e centro Italia per mantenere fede a
degli appuntamenti con i miei clienti. Scusate, non mi sono
presentato, mi chiamo Giuseppe Nardi e possiedo un
piccolo salumificio alla periferia di Bologna, dove produco
con la mia famiglia ed alcuni dipendenti, insaccati di tutti i
tipi con il tradizionale sistema artigianale su antica ricetta
di famiglia.
Togliendo dal taschino del panciotto due biglietti da
visita, li porse a Rossella e ad Eugenio.
- Se passate dalle mie parti, venite a trovarmi che
sarò ben lieto di farvi assaggiare i miei prodotti e farvene
alcuni omaggi.
Si girò verso la reticella, tolse le sue due valige, aprì
la porta dello scompartimento ed uscì dicendo ancora,
rivolto ai due viaggiatori:
- Ci conto che veniate a trovarmi, buona giornata! - e
richiuse la porta.
I due giovani
lo videro uscire in silenzio e,
simultaneamente, si guardarono in viso e scoppiarono a
ridere, con una forza tale che alcune lacrime uscirono dai
loro occhi.
Eugenio, calmatosi un po’, disse a Rossella:
- Ha fatto tutto lui, noi non abbiamo detto una parola,
credo che se fa così con i suoi clienti, li lascia senza fiato
e gli ordini fioccano a decine. Potrebbe essere un
soggetto adatto alle sue ricerche, non le pare?
- No, non può essere adatto alle mie ricerche, è
ancora vivo. Anche lui gira le città d’Italia per fare affari
come lei, ma che differenza di classe!
- Devo dire la verità - replicò Eugenio - nelle mie
molteplici occasioni non ho mai trattato salumi ed affini,
ma non si sa mai nella vita, chissà che un giorno, magari
con industrie più grosse, non abbia anch'io qualche cosa
da trattare.
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Finite le battute e le argomentazioni, Rossella si
concentrò nuovamente sul suo macabro libro ed Eugenio
riprese a leggere il Corriere della Sera.
Il treno si rimise in moto, lasciando Bologna alle
spalle, quando si aprì la porta dello scompartimento ed
entrarono due militari in divisa con la loro brava sacca.
- Possiamo, non disturbiamo?, scendiamo presto, a
Verona dove prestiamo il servizio di leva.
- Prego, prego - risposero contemporaneamente
Eugenio e Rossella - accomodatevi pure, c’è posto.
Appoggiati i loro sacchi sulle retine sopra la testa, si
sedettero vicino alla porta d’ingresso; uno dove stava
seduto, fino a poco tempo prima, Nardi e uno di fronte
iniziando, nel contempo, a parlare di sport. Uno sosteneva
che il calcio era il più bello sport del mondo, seguito da
milioni di persone, che ogni domenica vivevano con la
squadra del cuore e con essa soffrivano, spasimavano,
trepidavano,
imprecavano,
gioivano,
esultavano,
andavano in visibilio a seconda se avesse perso o vinto.
L’altro invece era un appassionato del ciclismo e
decantava le doti fisiche che un atleta di quello sport
doveva avere per poter riuscire a sopportare le fatiche di
pedalate, veloci in pianura, possenti in montagna, sforzi
che un giocatore di calcio nemmeno si sognava di fare in
quell’ora e mezzo che dura una partita, nella quale
correva solamente se aveva la palla al piede, altrimenti si
riposava.
Divergenze di opinioni che, suffragate da mille altri
argomenti, facevano divenire la discussione sempre più
animata e vivace tanto da disturbare i compagni di
viaggio. Eugenio si rivolse loro pregandoli di parlare
sottovoce in quanto la signorina stava studiando e lui
stava cercando di leggere attentamente il giornale. I due
arrossirono e, scusandosi per il disturbo, si zittirono subito;
il sostenitore del calcio si mise a leggere, guarda caso, la
Gazzetta dello Sport mentre il ciclista, presa la Settimana
Enigmistica, si mise a risolvere i cruciverba. La pace e la
quiete ritornarono nello scompartimento.
Dopo qualche minuto la porta si aprì ed apparve il
controllore dicendo:
- Biglietti prego signori - guardando con l’occhio truce
i militari.
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Rossella ed Eugenio porsero i loro biglietti, mentre i
soldati, alzatisi in piedi, frugavano nella sacca. Il
controllore restituì i biglietti punzonati a Rossella ed
Eugenio e prendendo in mano i biglietti dei due militari,
esclamò:
- Sempre la solita storia con voi militari, avete il
biglietto di seconda classe e vi ritrovo in prima, comodo
eh?. O pagate il supplemento con la multa, o spostatevi
immediatamente nella carrozza di seconda classe!
I due ragazzi, rossi in viso per la vergogna, si
scusarono dicendo che non si erano accorti e che si
sarebbero spostati subito. Imbarazzati, presero i sacchi,
chiesero scusa, ed uscirono di corsa mentre il controllore
sbraitando li apostrofava:
- Se vi becco un’altra volta ve la faccio pagare cara!
Rossella disse di sentirsi un po’ a disagio ed imbarazzata
per quanto era successo e che il controllore avrebbe
potuto essere un poco più gentile e non urlare a quel
modo con dei poveri ragazzi. Eugenio annuì, ma precisò
che, viaggiando molto spesso in treno, queste scene, per
lui, erano all’ordine del giorno.
Poteva essere che in questo caso fossero in buona
fede, ma si sa che, per brevi tragitti, tentano di stare più
comodi nella speranza che non arrivi il controllore.
Rossella guardò dal finestrino e disse:
- Tra poco siamo a Verona, poi Vicenza e la fermata
seguente saremo a Padova dove dovrò scendere, mentre
lei ce l’avrà ancora lunga per arrivare a Trieste. Non la
invidio a dover viaggiare tanto in treno.
- No, non è vero - replicò Eugenio - i viaggi possono
essere noiosi ma anche piacevoli, come quello che sto
facendo, quando si ha la fortuna di avere una così
simpatica e bella compagna di viaggio. Non abbiamo
parlato molto è vero, però è stato molto piacevole e, per
me, istruttivo. Oggi ho appreso qualche cosa di nuovo
sugli infortuni e sono nozioni che potrebbero essere, per il
futuro, fonte di approfondimento forse per il mio lavoro.
- Già! Il suo lavoro, che in definitiva non ho ben
capito cosa sia e che non voglio approfondire, per carità,
ma non vedo assolutamente come delle autopsie possano
esserle d’aiuto nel campo degli affari.
- Vede, cara Rossella, il bagaglio di cultura di una
persona non deve fermarsi allo stretto necessario per
svolgere una determinata attività. Domani lei sarà un
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medico e, mi auguro, di successo, ma la sua cultura, al di
fuori della medicina, vedrà, le servirà moltissimo per
capire e analizzare chi le sta di fronte. Capire le ansie, le
emozioni, i sentimenti, i turbamenti, oppure il controllo,
l’autocontrollo forzato, le ragioni, gli interessi,
l’imperturbabilità possono aiutarla a formulare delle
diagnosi più rispondenti alla verità. Vede, io non ho
studiato medicina, ma sono convinto che la vera abilità e
professionalità di un medico consistano nel il
diagnosticare, perché, una volta scoperto il male, il
rimedio lo può trovare anche un farmacista, non le pare?
E poi non a caso, quando ha fatto il liceo, pur sapendo
che avrebbe scelto la facoltà di medicina, ha dovuto
studiare, storia, geografia, storia dell’arte, mitologia,
geometria e tante altre cose che con i principi di Esculapio
hanno poco a che vedere. Ma la scuola italiana, anche se
non molto apprezzata dagli studenti, è forse una delle
migliori del mondo come preparazione alla vita.
Lei già prima di iniziare l’università sapeva chi fosse
Esculapio? Probabilmente no! Ma ha potuto appurare che
trattasi del nome latino del greco Asclepio, figlio di Apollo,
già venerato in Grecia come il dio della medicina. Il suo
culto, di tipo originariamente eroico in Grecia, solo
successivamente fu considerato divino e così, in questa
forma, fu trasmesso a Roma nel 293 a. C. mentre
infuriava una pestilenza. Al dio, cui si attribuiva il potere di
resuscitare i morti, fu subito dedicato un tempio nell’isola
Tiberina sostituito poi, dagli imperatori, con altro tempio
sull’Esquilino. Sua compagna, o detta di alcuni studiosi
figlia, era la dea Igea. La figura di Esculapio era raffigurata
come un uomo imponente con folta barba ricciuta, avvolto
nell’ampio mantello che lasciava scoperta una spalla,
appoggiato ad un bastone attorno al quale si attorcigliava
il serpente sacro.
- Sì, certo, è vero - disse Rossella - anche se tanti
particolari, da lei citati, non li ricordavo affatto. Devo dire
che per essere un uomo d’affari conosce tante cose che
non siano solo fare soldi. Oh, mi scusi non volevo, sono
imperdonabile, me ne dolgo, scusi ancora.
- Niente scuse, è la verità, lo scopo del mio lavoro è
guadagnare, possibilmente bene, però quasi sempre
bisogna, prima di entrare nel merito dell’affare, fare
conversazione e, per non fare scena muta con
l’interlocutore, bisogna essere all’altezza di poter parlare
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la “stessa lingua” cosa che di solito fa molto piacere.
Vede, anche lei è rimasta impressionata della mia
esposizione su Esculapio, ma, le assicuro, la mia cultura
finisce là. Se lei avesse cominciato, restando nel campo
medico, a parlare di periartrite scapolo-omerale, sinusite,
laparatomia o paroloni del genere, avrebbe scoperto la
mia completa ignoranza. Così invece, impressionandola,
ho guadagnato dei punti. Ecco come, con poco, si può
avere successo.
Nel frattempo il treno stava entrando nella stazione di
Verona, quasi in perfetto orario. Certamente il macchinista
era riuscito a recuperare il ritardo con cui era entrato nella
stazione di Firenze. Aperto il finestrino, Eugenio cercò di
attirare l’attenzione dell’addetto alle bibite che con il
carretto transitava lungo la pensilina. Il carretto si avvicinò
al finestrino e lui chiese a Rossella cosa volesse bere.
Dopo la solite frasi di circostanza, Rossella accettò
un’aranciata, mentre egli prese un’acqua minerale.
Quando stava pagando le bibite, sul marciapiede
passarono i due militari giunti a destinazione che, vistolo,
abbassarono lo sguardo accelerando il passo.
Eugenio, richiuso il finestrino, mentre sorseggiava la
bibita, chiese a Rossella se conosceva Verona. Questa
rispose di no in quanto, essendo lungo il tragitto da Arezzo
a Padova, le impediva di andare a casa di sovente,
pertanto non poteva permettersi il lusso di lasciare, sia pur
brevemente, gli studi per fare la turista.
- Peccato - commentò Eugenio - io per motivi di
lavoro ci sono stato un paio di volte. E’ una città
veramente interessante posizionata alla convergenza di
importanti direttrici di traffico, anche con l’estero attraverso
il passo del Brennero. Verona è stata eretta sulle due rive
dell’Adige nel punto in cui il fiume forma una duplice ansa
che ha la sembianza di una stretta “esse”. Nel centro
storico è ancora facilmente rilevabile la regolare struttura a
scacchiera con lunghe vie rettilinee e ortogonali dell’antico
nucleo romano. In alcuni punti il tessuto urbano, invece,
ha conservato l’aspetto medioevale, come nelle piazze
delle Erbe e dei Signori. Discorso a parte è l’anfiteatro, la
cosiddetta Arena, uno dei massimi monumenti del genere
che risale al I° secolo dopo Cristo. Data la sua posizione,
negli ultimi decenni Verona ha conosciuto un sostanziale
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mutamento nelle basi della sua economia, infatti è
divenuto un importante mercato dei prodotti agricoli e
zootecnici, tanto da essere la più importante Fiera
Internazionale del settore in tutta Europa. Anche molte
industrie sono state create e sono in via di espansione nel
settore metalmeccanico, tessile, alimentare, calzaturiero,
del legno e dei materiali da costruzione. Sì, anche qui ho
concluso qualche eccellente affare, devo dire la verità.
Rossella stette ad ascoltare Eugenio che esponeva le
notizie guardando fuori dal finestrino, mentre il treno era
ripartito in direzione di Vicenza.
- Vede, Eugenio, lei è stato a Verona per motivi di
lavoro eppure ne parla come se ci fosse stato da turista.
Non mi dica che tutto ciò è normale, capisco l’interesse
per l’arte, anch’io ce l’avrei, ma se studio non posso
sviluppare questo desiderio e anche lavorando, credo, non
si abbia tempo.
- Vede Rossella, prima di andare in una città, cerco
di documentarmi un pochino per non essere un pesce fuor
d’acqua e fare brutta figura con i potenziali clienti. Devo
conoscere quali sono i buoni alberghi e i buoni ristoranti
perché, con il mio lavoro, non posso soggiornare in una
pensioncina modesta e se devo invitare al ristorante il
possibile cliente devo sapere dove portarlo in modo da
non cadere in una bettola. Quando siamo a tavola è mio
preciso intendimento che non si debba parlare di lavoro
per non imbarazzare il cliente, pertanto bisogna portare
l’argomento sulle bellezze che la città offre, sulla sua
storia, i suoi usi ed i suoi costumi, ecc., chiedere
informazioni e notizie sui principali palazzi, castelli,
cattedrali o semplici monumenti in modo da far vedere che
si conosce la città, ma che piacerebbe approfondire la
conoscenza. Funziona sempre!
A Trieste ci vado per la prima volta, ma nella mia
borsa ho l’ultima edizione della guida del Turing Club e
un’aggiornata Guida Michelin, nonché lo stradario della
città e quando, purtroppo, lei scenderà a Padova e non
avrò più il piacere di questa splendida conversazione, mi
dedicherò a rinfrescare le mie conoscenze apprese su
libri, opuscoli e depliants della città di S.Giusto anche per
potermi muovere con una certa sicurezza per le vie senza
dover stare sempre con la pianta della città in mano e
farmi notare come uno che non sa quello che cerca. La
sicurezza nei movimenti è alla base del mio lavoro.
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Il treno correva veloce nella pianura assolata, si
potevano vedere estesi campi ben coltivati, casolari,
villaggi, paesi, di tanto in tanto i binari correvano paralleli a
delle strade secondarie percorse da automobili che
sembravano fare una gara di velocità con il treno, tanti
motorini, ciclisti, ecc. Poi all’improvviso i percorsi si
dividevano ed il paesaggio perdeva vitalità per riacquistare
la pace della campagna.
Eugenio e Rossella si misero nuovamente a leggere,
quasi controvoglia, sarebbe stato
bello conversare
ancora, ma nessuno dei due osava riaprire il discorso con
nuovi argomenti generici. Eugenio sollevando di tanto in
tanto gli occhi dal giornale dava un’occhiatina a Rossella e
pensieri più intimi cominciarono a passargli per la testa.
Non era facile trovare un ragazza così a modo, riservata,
ben educata, colta, quella che si potrebbe dire una
ragazza di buona famiglia. Bisognava trovare il modo e la
maniera per riprendere un discorso più personale, ma il
tempo correva veloce come il treno e Vicenza si stava
avvicinando, poi Padova......pochi minuti.
Ad Eugenio sembrò che Rossella non attendesse
altro che lui ricominciasse a parlare, in quanto anche lei,
ogni tanto, con un leggero sorriso, sollevava gli occhi dal
libro per poi rituffarsi immediatamente.
- Rossella, scusi, siamo presto a Vicenza e avrei
piacere di parlare ancora un po’ con lei, non le spiace
vero?
- No, tutt’altro, sinceramente speravo me lo
chiedesse, mi sento a mio agio nel parlare con lei, c’è una
certa affinità di pensiero che rende piacevole la
conversazione. Stiamo arrivando a Vicenza e lei che
conosce tutto cosa può dirmi di questa città?
- Ti prego Rossella, non farmi arrossire, scusi, non mi
faccia arrossire, so qualche cosa, magari sapessi tutto!
- Eugenio, niente scuse, mi farebbe piacere se ci
dessimo del tu senza tante formalità, d’accordo?
- Sì, grazie, ne sono felice. Dunque mi chiedevi di
Vicenza, ma non voglio annoiarti con sequenze di dati, ti
dirò solamente che è una città eretta in pianura ai piedi
del versante settentrionale dei Monti Berici ed è
attraversata da un fiume dal nome poco conosciuto, mi
sembra Baccarione o Baglione. Ah! no, ora ricordo, si
chiama Bacchiglione.
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Le mura che la circondano si sviluppano per lunghi
tratti su possenti argini artificiali chiamati localmente
“mottoni”.
A Vicenza l’industria è rappresentata da imprese di medie
e piccole dimensioni, operanti per lo più in settori
interstiziali ad alta densità di manodopera, scarsi
investimenti per addetto e a basso tenore tecnologico. Per
lo più nel campo del tessile, abbigliamento, legno e
mobile, pellami e meccanica minore. Ma ora basta con
queste storie cerchiamo di conoscerci meglio.
- Permetti mi presento prima io! Sono Eugenio Della
Noce, ho 35 anni, nato a Livorno il 18 Marzo 1920 dove
sono sempre vissuto con i miei fino a quando ho
frequentato e mi sono laureato in giurisprudenza presso
l’università di Firenze, ma non ho mai inteso esercitare la
professione in quanto avrei dovuto fare il tirocinio presso
qualche studio legale, praticamente senza paga, per tre
anni e poi tentare di dare l’esame per diventare avvocato.
Avevo già 26 anni e non intendevo diventare vecchio per
cominciare a guadagnare qualche cosa e, pertanto, mi
sono “buttato” nel campo degli affari. Ora vivo da solo, non
sono fidanzato e non ho legami sentimentali, il mio
indirizzo a Livorno è piazza Felice Cavallotti 26. Ora dimmi
di te, ma se vuoi altre notizie, non hai altro che chiedere.
- Io sono Rossella Venturi, ho 25 anni, sono nata il 7
gennaio del 1926 ad Arezzo, abito con i miei genitori e i
miei due fratelli, in via Fra le Torri 18. Sono laureanda in
medicina all’università di Padova, come sai. Anche per me
sarà dura agli inizi, dovrò fare la tirocinante presso
qualche ambulatorio medico o, se avrò capacità e fortuna,
presso qualche ospedale. Io voglio, a qualunque costo,
mettere a frutto quello che per tanti anni ho studiato. Mio
padre è farmacista ed ha una farmacia propria ad Arezzo,
chissà che un giorno non possa aprire uno studio nelle
vicinanze, sarebbe il massimo delle mie aspirazioni.
- Non porre limiti alla Provvidenza, cara Rossella,
perché limitarsi ad una vita monotona di medico della
mutua, con le tue capacità ed intelligenza puoi arrivare
ben più in alto, il campo della medicina è vastissimo, le
specializzazioni sono infinite, i campi di ricerca scientifica
ancor di più. Siamo in un periodo di grandi fermenti, la
guerra è finita da poco, c’è tanto spazio per nuovi giovani
talenti, la scienza fa passi da gigante, basta starle dietro e
saper cogliere il momento migliore per prendere il “treno”
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giusto. Tra qualche anno, voglio vedere il tuo nome sulle
prime pagine dei giornali e, più in là chissà, forse,
candidata al premio Nobel.
- Ti prego Eugenio, non correre con la fantasia, le tue
sono parole che fanno tanto bene al cuore, ma bisogna
rimanere con i piedi per terra. Anch’io, un giorno, potrei
leggere il tuo nome sulle prime pagine dei giornali quale
“mago” degli affari. Oh! guarda siamo a Vicenza, ancora
questa fermata e poi io dovrò prepararmi a scendere. Il
viaggio è stato bellissimo, è volato in un momento, in
cinque anni ho fatto tante volte il percorso di andata e
ritorno, ma non ricordo di aver mai incontrato un
compagno di viaggio così. Ti scrivo il mio indirizzo e
numero telefonico su di un pezzetto di carta in quanto
avrei tanto piacere che mi scrivessi o mi telefonassi
qualche volta per dirmi di te e, chissà che non ci si possa
anche rivedere, già tu viaggi tanto!
- Sì Rossella, da parte mia, è un impegno che accetto
volentieri e puoi stare sicura che tra un viaggio e l’altro
troverò il momento magico per scriverti e raccontarti
brevemente di me, ma quello che aspetterò con più ansia
saranno le tue notizie e quando le leggerò mi sembrerà di
esserti vicino mentre me le racconti con la tua dolce voce.
Altro impegno che prendo è quello di cercare di spostare i
miei prossimi affari il più possibile vicino a Padova in
modo da poterci vedere, magari per breve tempo. Ecco ti
do il mio biglietto da visita che ti farà ricordare quello che
già ti ho detto a voce.
- Grazie Eugenio, lo terrò da conto, ah! ecco, dott.
Eugenio Della Noce “Procacciatore d’affari e ProcuratoreMediatore”, che paroloni, dicono tutto, ma non specificano
niente, continuo a non coglierne il significato. Lascia
perdere, il tuo è un mondo a parte nel quale io non ci
capirei niente. Stiamo lasciando Vicenza, io raccolgo le
mie cose.
Eugenio si avvicinò a Rossella, le prese la mano,
gliela strinse gentilmente portandola alle labbra in un
semplice bacio d’affetto.
- Lascia, prendo io le valigie, queste potrebbero un
giorno essere le mani di un grande chirurgo che non
devono far sforzi per portare pesi. Non devi vivere nella
bambagia, ma devi riguardarti un pochino, come hai detto
tu prima, non puoi buttare al vento tanti anni di studi a
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causa, magari, di un banale infortunio. Stai facendo la tesi
sugli infortuni, no?
Eugenio, per la prima volta, rise discretamente e con
signorilità mentre lei, presa da un impulso di gioia,
sorridendo, lo abbracciò leggermente dicendo: - Sei forte
Eugenio! Ancor di più spero di avere tue notizie e poterti
incontrare, ho bisogno di un buon angelo custode che mi
protegga e mi consigli.
Il treno, con il suo ritmico srotolare sui binari, correva
veloce, Padova era vicinissima e, pur non dandolo a
vedere, Eugenio e Rossella pregavano che il treno si
fermasse per ritardare il momento dei saluti. Stavano bene
insieme e, per un ragazzo, non è facile ispirare fiducia a
prima vista. Si erano conosciuti poche ore prima, ma loro
si sentivano come fossero vecchi amici o, chissà, anche
qualche cosa in più di vecchi amici.
Il treno cominciò a rallentare, lo stridio delle ruote in
ferro, frenate sui binari, riempì, con il suo lamento, le
orecchie di Rossella ed Eugenio che capirono che il
momento degli addii stava arrivando. Con uno scossone il
treno si fermò, Eugenio prese le valigie, aprì lo
scompartimento uscendo in corridoio, si avvicinò allo
sportello, lo aprì e scese sul marciapiede deponendo le
valigie. Rossella scese i tre gradini, si avvicinò ad
Eugenio, lo prese sulle braccia all’altezza dei gomiti, gli
diede un bacio sulla guancia sussurrando con voce rotta
dall’emozione:
- A presto caro.....”.
Afferrò le valigie e, di corsa, con la testa china scappò
verso l’uscita. Eugenio rimase di sasso, il tempo si era
fermato, solo la voce imperiosa che diceva: “ In carrozza
signori, in carrozza “ lo scosse e lo fece salire sul treno e
rientrare nello scompartimento.
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Capitolo 2
Arrivato allo scompartimento, aprì la porta, entrò e
vide, sedute su uno dei due divani, due suore. Una delle
due alzò la testa:
- E’ suo lo scompartimento? Possiamo restare, non
disturbiamo?
- Ma prego sorelle, sono solo e non è uno
scompartimento riservato, ma adesso devo preparare il
materiale necessario per il mio lavoro che dovrò svolgere
a Trieste e programmarne i tempi di esecuzione , quindi
me ne starò buono buono nel mio angolo.
- Io sono suor Maria Assunta e la mia compagna è
Suor Gabriella. Noi scenderemo a Latisana in quanto, per
il momento, presteremo la nostra opera presso un centro
estivo per anziani a Bibione, ma io sono stata parecchi
anni a Trieste presso le Ancelle della Carità. Gran bella
città, Trieste, la gente è cordiale e la generosità della
popolazione verso chi soffre ed ha bisogno, credo, non
abbia riscontro in altre parti d’Italia. Conservo un bel
ricordo della mia permanenza in quella città, me la saluti,
la prego.
- Non mancherò sorella, per me sarà la prima volta
che vedrò la città, ma anch’io ne ho sentito parlare molto
bene e spero di concludere dei buoni affari.
Eugenio si sedette e tolse dalla borsa la pianta della
città di Trieste con lo stradario e, apertala sul tavolinetto
cercò prima di tutto dov’era posizionata la stazione
ferroviaria rispetto al centro città. Aiutandosi sia con la
guida del Touring Club che con la Guida Michelin
cominciò a cerchiare sulla mappa, la posizione dove erano
situati i migliori alberghi ed i migliori ristoranti.
Il viaggio continuò tranquillo, in silenzio, infatti le due
suore stavano sgranando il rosario in una mesta e silente
preghiera. Eugenio prestò attenzione e riuscì a sentire
solamente il ritmico andare del treno che con il suo rumore
riempiva il vuoto silenzio dello scompartimento. Solo di
tanto in tanto si sentivano delle risate giovanili provenire
da qualche scompartimento più avanti.
Presto il convoglio sarebbe arrivato a Mestre e
mancavano circa 2 ore e mezzo per la fine del viaggio.
L’arrivo a Trieste era previsto alle 19.30 circa. Eugenio
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pensò come poteva essere intenso il viaggio, in così poco
tempo, aveva conosciuto Rossella, Nardi, i due militari,
ora le suore, quanti incontri, quante esperienze, quanti
differenti personaggi e situazioni! Come bagaglio
conoscitivo tutto era importante, Rossella però aveva
lasciato un solco più profondo nella sua mente e nei suoi
ricordi, tant’è che con un sorriso abbozzato sulle labbra e
lo sguardo perso nel vuoto, rivide il dolce volto di Rossella
e gli sembrò quasi di risentire il calore sulla guancia
lasciato dal casto bacio di commiato alla stazione di
Padova.
Suor Maria Assunta, che nel frattempo aveva finito di
recitare il rosario e teneva in mano il Vangelo, vide
l’espressione di Eugenio e rivolta a lui proferì:
– Che bei pensieri devono passare per la sua mente,
ha un’espressione così dolce e serena che fa capire il suo
stato d’animo e la bontà che c’è in lei.
Eugenio, sentendo queste parole, si scosse e rispose:
- Sì, effettivamente pensavo ad una persona cara, ad
una simpatica ragazza che ho conosciuto oggi e della
quale serbo un piacevole e dolce ricordo.
- Si vede, si vede - incalzò suor Maria Assunta oserei dire che questa ragazza le ha toccato il cuore. Era
un po’ che la stavo guardando, dopo aver finito di recitare
il rosario e mentre mi accingevo a leggere il Vangelo.
Prima era assorto nelle sue carte, pensieroso e
meditabondo, concentrato nel lavoro che stava
preparando con il volto serio e tirato, quando,
all’improvviso, ho notato il suo cambiamento sia nello
sguardo che nei lineamenti del volto. Sembrava che una
pace interiore si fosse sprigionata in lei e che vorrei
paragonare, il Signore mi perdoni, allo stato di grazia in
cui ho avuto, alle volte, l’occasione di vedere la qui
presente suor Gabriella quando ha le visioni della
Madonna.
Eugenio si ricompose e rivolto alla suora si schernì:
- Sorella cosa dice mai?! Potrò essere stato assorto
in pensieri piacevoli ricordando quella ragazza, ma quello
che ha la fortuna di vedere suor Gabriella è qualche cosa
di sacro, di mistico, di soprannaturale, qualche cosa che
nulla ha a che vedere con la vita terrena.
- Le vie ed i mezzi che il Signore usa per toccare il
cuore delle persone buone sono infinite e logicamente i
pensieri, le sensazioni, le emozioni, gli interessi di un laico
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sono differenti da quelle di un ecclesiastico, ma il fine può
essere lo stesso ed appagare lo spirito di entrambi.
Eugenio si tuffò nelle sue carte e le suore aprirono il
Vangelo ed iniziarono la lettura mentre il treno stava
rallentando per entrare nella stazione di Mestre.
Nei corridoi ci fu un viavai di gente, di valigie, di
pacchi; chi scendeva, chi saliva, il rumore era tanto
intenso che egli dovette sospendere il suo lavoro in attesa
di un po’ di pace. I viaggiatori si fermavano davanti allo
scompartimento che era semivuoto, ma viste le suore,
riprendevano il loro peregrinare in cerca di altra
sistemazione. Chissà perché questi preconcetti!
Si fermò davanti alla porta una giovane coppia con un
bel bambino; il padre aprì la porta:
– Buongiorno, è permesso?
Fece entrare la moglie ed il bambino che si
accomodarono nei posti disponibili. Ora lo scompartimento
era pieno. Eugenio raccolse le sue carte in modo da
rendere disponibile il sedile accanto a lui. Suor Maria
Assunta accarezzò i capelli del bambino, che si era seduto
vicino a lei, e con un ampio sorrise gli chiese: - Come ti
chiami bel bambino?
- Mi chiamo Mauro Candotti, - rispose con sicurezza
- ho presto cinque anni e abito a Trieste, in via Salem
numero 7.
Eugenio, sentita la risposta assennata del bambino,
alzò lo sguardo e sorridendo, si rivolse a lui:
- Che bravo bambino e che bravi i genitori che gi
hanno insegnato così bene a rispondere. Non si sa mai
cosa possa succedere, ma così non si perderebbe di certo
e in caso di bisogno si potrebbero rintracciare
immediatamente i genitori.
Mauro si rivolse a suor Maria Assunta e mostrando
con il ditino teso indicò: - Quella è la mia mamma Maria e
quello è il mio papà Antonio, siamo stati a trovare la nonna
ed ora ritorniamo a casa.
- Ma che bravo che sei - replicò la suora - ci hai
presentato la tua famiglia. Io sono Maria Assunta, lei è
suor Gabriella ed il signore che ti ha fatto i complimenti
prima, anche lui va a Trieste, però non conosco il suo
nome.
Eugenio si rivolse ai genitori di Mauro e porgendo la
mano si presentò:
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- Permettete? Sono Eugenio Della Noce, sono nativo
di Livorno e vado a Trieste un paio di giorni per lavoro.
- Molto lieto - rispose Antonio - e grazie per le belle
parole che ha detto a Mauro, ma cosa vuole oggigiorno i
pericoli sono tanti e per quanto si stia attenti può sempre
succedere che il bambino si perda, così almeno speriamo
non subisca traumi e la polizia avrebbe la possibilità di
informarci rapidamente del ritrovamento. Pur essendo di
origini venete, anch’io, per lavoro, mi trasferii a Trieste
dove conobbi Maria, la sposai ed eccomi qua che, oramai,
mi sento triestino pure io. E’ una città splendida anche se
ora, causa motivi politici, è stata privata di tutto il suo
entroterra naturale.
- Sì, l’ho sentito dire - replicò Eugenio - ma mi sembra
che l’economia della città sia in forte sviluppo, anche se
c’è stato un ricambio con l’arrivo dei profughi istriani e
l’emigrazione, verso l’Australia, di parecchi Triestini.
- Cosa vuole, signor Della Noce, sembra, guardando
superficialmente, che Trieste sia una città florida. Sì, ci
sono, in centro, dei bei negozi, bar, ristoranti sempre pieni
di avventori, ma è solo apparenza in quanto sono gli
Inglesi, e soprattutto gli Americani, che li frequentano
perché hanno i mezzi finanziari per poterlo fare. La
popolazione ha ben altro a cui pensare che spassarsela a
mangiare e bere tutto il giorno, deve far quadrare lo
stipendio dal primo all'ultimo giorno del mese.
Eugenio rimase pensieroso dopo aver ascoltato
queste parole, tant’è che Antonio aggiunse:
- E’ rimasto perplesso su quello che le ho detto? o
non mi sono spiegato bene?
- No, no, ho capito benissimo, però riflettevo come
era possibile che un simile giro di soldi non facesse
decollare a tutti i livelli il benessere della città. Anche se
pochi negozianti incassano il grosso dei soldi, a loro volta
devono assumere del personale per le loro aziende,
acquistare merci dando lavoro a fabbriche che le
producono e che necessitano di dover acquistare materie
prime dai loro fornitori, ecc. Tutto ciò forma una catena di
nuove fonti di reddito che a loro volta vanno ad
incrementare l’economia.
- Il ragionamento fila - commentò Antonio - ma il
problema è ben più complesso. Trieste non ha grosse
industrie, i cantieri navali tirano avanti alla meno peggio, la
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manodopera non è qualificata. A parte rari casi, gli esuli
istriani sono degli ex agricoltori, pieni di buona volontà, si
adattano a fare tutti i lavori pur di raggranellare il
necessario per il sostentamento della famiglia, ma
rimangono pur sempre dei manovali non specializzati.
- Vede, signor Della Noce, la grande aspirazione di
tutti è il “posto fisso”, magari come usciere, bidello,
operaio, ma che alla fine mese ci sia lo stipendio sicuro su
cui contare per gli impegni del mantenimento della
famiglia. Avere la certezza di possedere quanto necessita
per pagare la pigione o il mutuo, le varie bollette dei
servizi, la scuola dei figli, ecc., non importano i divertimenti
ed il superfluo, ma conta la sicurezza e la tranquillità.
La signora Maria, che stava ascoltando il
discorso, si rivolse verso le suore:
- Cosa volete sorelle ora non avremo più pace,
quando mio marito trova lo spunto per parlare di problemi
economico-finanziari e si imbatte in un valido interlocutore,
non si ferma più. D’altro canto lui lavora in banca e questo
è un argomento che lo tocca da vicino quotidianamente,
problemi con piccoli e grandi imprenditori, sempre alla
caccia di finanziamenti, o semplici cittadini che chiedono
aiuto per avere dei piccoli prestiti per soddisfare
improvvise ed urgenti necessità familiari.
- Comprendo - rispose suor Maria Assunta anche noi, nel nostro piccolo, ci troviamo a dover risolvere
i nostri quotidiani piccoli problemi, ma noi confidiamo nella
misericordia del Signore e sugli aiuti dei, per fortuna, tanti
benefattori, che con piccole o grandi elargizioni, ci
permettono di continuare le nostre opere di carità. Anche
adesso, noi andiamo a servire un gruppo di anziani
indigenti e bisognosi di cure salso-iodate, presso una casa
di accoglienza a Bibione. Tutto ciò, cure comprese, lo
dobbiamo alla generosità dei nostri benefattori. Sia lodato
il Signore!
Il treno correva veloce nella campagna veneta
con il suo ritmico andare intercalato, di tanto in tanto, dal
fischio lacerante che il macchinista lanciava all’avvicinarsi
dei tanti passaggi a livello custoditi e non. Nello
scompartimento i discorsi si intrecciavano pacati, ma fitti,
nei due gruppi di interlocutori finché il treno giunse a
Portogruaro.
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A questo punto suor Maria Assunta e la
taciturna suor Gabriella, cominciarono a raccogliere le loro
poche e misere cose per prepararsi a scendere alla
successiva fermata.
Infatti tra Portogruaro e Latisana il percorso era
di una quindicina di minuti e bisognava preparasi per
tempo in quanto, essendo delle fermate intermedie, il
treno rimaneva in stazione pochi minuti. Salutarono
cordialmente la famiglia Candotti dando, nel contempo, un
bacino al piccolo Mauro e suor Maria Assunta si rivolse ad
Eugenio con voce semplice e suadente:
- Caro signor Eugenio, probabilmente noi non
avremo più occasione di incontrarci, ma mi permetta un
piccolo e modesto suggerimento, non dimentichi la
persona che è scesa a Padova, le telefoni, potrebbe
essere la svolta decisiva della sua vita, almeno così ho
letto nel suo sguardo. Tanti auguri e buona fortuna!
- Grazie sorella, chissà che non abbia ragione,
che il Signore l’ascolti e accompagni lei e suor Gabriella
nella vostra meravigliosa missione.
Le suore uscirono dallo scompartimento per
avviarsi accanto allo sportello del vagone, i signori
Candotti si accomodarono tutti e tre, con il bimbo in
mezzo, sul divano di fronte ad Eugenio che poté così,
sistemare meglio le sue carte e riprendere la lettura dei
suoi fascicoli.
Mancava oramai poco più di un’ora per
giungere alla fine del viaggio ed Eugenio doveva decidere
in che albergo avrebbe alloggiato. Dalla sua guida poté
rilevare che i migliori alberghi della città erano il “Savoia
Palace Hotel”, il “Grand Hotel e de la Ville” o l’albergo
“Regina”, anche l’albergo “al Corso” non era male, quale
scegliere?
Si rivolse allora al signor Candotti e gli chiese:
- Scusi, mi potrebbe aiutare nel scegliere, tra
questi quattro, l’albergo dove alloggiare, dato che lei vive
e conosce bene Trieste.
Mauro lesse i nomi sulla guida turistica e
sentenziò:
- Ha scelto i migliori alberghi della città, ma per
quanto mi riguarda i primi due sono i migliori, sulle rive, in
faccia al mare con una bellissima vista sul golfo. Il Savoia
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è splendido, ma è un po’ più decentrato mentre l’Hotel de
la Ville, altrettanto di pregio, ha alle sue spalle tutto il
centro cittadino, infatti si trova tra le via Mazzini e Genova
ed è a due passi dalla stazione ferroviaria. I prezzi non
sono dei più economici, anzi, ma in essi vi risiedono, quasi
permanentemente, gli alti ufficiali dell’esercito angloamericano. di conseguenza il servizio e la cucina sono di
primissima qualità.
- Immaginavo - replicò Eugenio - ma d’altro
canto è tutto previsto e preventivato, per questione
d’immagine nel mio lavoro, devo risiedere in ambienti di
alto livello. Per quanto riguarda i ristoranti, oltre a quello
dell’hotel, cosa mi consiglia?
- Signor Della Noce, come le dicevo prima, per
quanto riguarda ristoranti e bar non ha che l’imbarazzo
della scelta. Alle spalle del suo hotel ci sono innumerevoli
ristoranti di alto livello, specializzati nel servire pesce o
carne, ma ci sono anche di quelli dove può gustare
entrambe le specialità. Le cito alcuni, il ristorante “Posta”
che si trova appunto nelle vicinanze della posta centrale, il
ristorante dell’hotel Vanoli che dà proprio sulla “piazza
dell’Unità” dove si affacciano pure i palazzi del Governo, il
Municipio ed il palazzo del Lloyd Triestino, poi nella
centralissima via Carducci c’è un rinomatissimo ristorante,
si chiama “Alle viole” frequentato dalla gente “bene” di
Trieste, ma dove vede un ristorante, ovviamente non una
trattoria, in centro può star sicuro che si troverà benissimo.
- Grazie signor Candotti, mi ha risparmiato un
bel po’ di lavoro nel leggere le mie guide che illustrano,
forse non sempre aggiornatissime, le caratteristiche dei
locali e degli hotels. Dallo stradario della città credo di
notare che le vie più importanti della città per i negozi di
un certo pregio siano la Contrada del Corso, la via Mazzini
e la via Carducci con alcune strade che le intersecano, o
sbaglio?
- No, ha perfettamente ragione, infatti sono le
vie più frequentate quando si fanno le passeggiate “in
centro” e si vanno ad ammirare le vetrine dei negozi di
abbigliamento, di scarpe e borsette, di gioiellerie, ecc..
Anche mia moglie ed io, la domenica, andiamo ad
accontentare la vista, unica cosa che noi ci possiamo
permettere, per poi scegliere i negozi di periferia dove si
possono trovare cose analoghe visivamente, ma
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certamente non di quelle marche e soprattutto non di quel
prezzo.
Il treno entrò nella stazione di Monfalcone,
ultima tappa prima dell’arrivo a Trieste ed Eugenio
raccolse le sue carte, le riordinò e le sistemò nella sua
borsa. Gli capitò tra le mani il bigliettino scritto da
Rossella con l’indirizzo e i numeri telefonici di Padova e di
Arezzo. Lo guardò con un sorriso e rivide il suo bel visetto
acqua e sapone, sorridente e dolce. Rimase così alcuni
minuti poi lo piegò in due e lo ripose nel portafoglio che
rimise nella tasca interna della giacca sul lato sinistro,
vicino al cuore. Chiuse gli occhi ed appoggiò il capo sullo
schienale del divano, rivedendo ed analizzando la
situazione. Ma cosa gli stava succedendo? A lui che
vedeva solo gli affari, il lavoro, il correre da una città
all’altra senza quasi mai ritornarvici se non dopo lungo
tempo, un nuovo interesse lo affascinava: rivedere quanto
prima Rossella, poterle parlare e poterla toccare!
Bene, Eugenio si diede una scrollata, riaprì gli
occhi e pensò che ora doveva solo pensare al lavoro,
freddamente, senza emozioni, senza turbamenti che
avrebbero potuto compromettere l’esito del suo viaggio a
Trieste.
La signora Maria che aveva seguito il
comportamento di Eugenio negli ultimi minuti si rivolse a
lui dicendogli:
- Si sente bene signor Della Noce? Ha bisogno
di qualche cosa?
- No, no grazie, veramente molto gentile, mi
riposavo un momento. Sa tante ore di viaggio, anche se
seduti stancano. Arriveremo a Trieste alle 19.30, dovrò
andare in albergo, fare una doccia, cambiarmi, andare a
mangiare un boccone e poi mettermi a dormire in un
sonno ristoratore per essere in forma domani mattina.
Grazie ancora dell’interessamento.
Il treno, partito da Monfalcone, stava
viaggiando un po’ all’interno, dapprima lungo il Carso
Monfalconese e poi lungo quello Triestino. Giunto
all’altezza di Sistiana-Visogliano, la linea ferroviaria
avrebbe viaggiato a ridosso del ciglione prospicente il
mare. D’un tratto una vista meravigliosa apparve ad
Eugenio che era seduto vicino al finestrino ed egli ne fu
affascinato.
22
Vide il golfo argenteo, con il sole che stava
abbassandosi in un’angolazione che lo faceva risplendere
in tutta la sua bellezza, alcune navi in navigazione, molte
barche a vela che veloci e silenziose andavano in tutte le
direzioni per rientrare, data l’ora, nei porticcioli di attracco.
Il golfo di Panzano, la laguna di Grado, di fronte la costa
istriana si stagliava nella sua maestosità con i sui colli e le
insenature frastagliati di gruppi di casette e piccole
cittadine, facevano da corona alla perla in fondo al golfo.
Quella perla era Trieste, anch’essa circondata dai suoi
colli, quasi a proteggerla.
Eugenio rimase incantato, si alzò in piedi quasi
che, così facendo, avesse potuto vedere di più. I suoi
occhi correvano da destra a sinistra velocemente, quasi
avesse paura di perdere qualche scorcio, qualche veduta,
qualche angolo di paesaggio.
- Bello eh! - disse la signora Maria - le piace il
nostro golfo e la vista della città? A chi ci viene per la
prima volta fa veramente una bella impressione, ma posso
assicurarle che anche per me che ci sono nata e mio
marito che ci vive da tanti anni, ogni volta è un’emozione
nuova, una sensazione che prende la bocca dello
stomaco e toglie il fiato. La costa è sempre là, la città
pure, il mare non si muove, eppure le sensazioni a tale
visione cambiano di volta in volta, vuoi per l’ora diversa
che fa cambiare i colori, vuoi per la stagione che, come un
pittore, pennella le colline nelle tinte che variano dal dolce
e tenero verde primaverile al rosso e giallo infuocati
dell’autunno. Ogni volta il quadro è diverso.
- Cari signori Candotti, come avrete sentito, io
viaggio molto, ma cose del genere non mi erano mai
capitate di vedere. Ho ammirato degli scorci stupendi sulle
coste, delle baie e delle insenature che facevano
paragonare le località a piccoli paradisi in terra, ma erano
piccoli scorci, qui invece quello che colpisce e stupisce
sono la vastità della bellezza, la completezza
dell’immagine che riempiono l’occhio e che non si riesce a
trattenere con uno solo sguardo.
Il treno procedeva veloce e, per un tratto,
apparve, proteso verso il mare, il bianco castello di
Miramare per subito nascondersi alla vista come fosse il
veloce scorrere di una diapositiva proiettato su di uno
schermo.
23
La velocità diminuì progressivamente, il treno
stava entrando lentamente nella stazione di Trieste. Il
convoglio procedeva molto lentamente in quanto si
trattava di una stazione terminale e non di transito dove il
treno non può permettersi il lusso di fermare un po’ prima
o un po’ dopo. I respingenti della motrice avrebbero
dovuto poggiare sui ceppi d’arrivo.
Non c’era bisogno di fare in fretta, tanto il treno
non ripartiva, ma sia i signori Candotti che Eugenio, prima
di raccogliere i loro bagagli, si salutarono ringraziandosi
reciprocamente per la conversazione che aveva fatto
passare in un lampo il viaggio.
- Buona permanenza nella nostra città - disse il
signor Candotti - vedrà che le piacerà tanto e sono sicuro,
ci ritornerà o prima o dopo. Trieste è una città nella quale
ci si lascia un pezzetto del proprio cuore. Di nuovo,
arrivederci.
Ringraziando, Eugenio porse la mano alla
signora Maria ed al signor Antonio e facendo un buffetto
sulla guancia del piccolo Mauro disse:
- Grazie di tutto e soprattutto delle preziose
informazioni sul come destreggiarmi nella città, grazie
ancora e arrivederci.
Presa la borsa e la valigia, Eugenio si avvicinò
all’uscita mentre, proprio in quell’istante, il treno si fermò in
mezzo ad un rumore assordante di valvole della pressione
che scaricavano i compressori del treno.
24
Capitolo 3
La pensilina era lunga da percorrere, infatti tra vagoni
tolti nelle varie stazioni e vagoni aggiunti in altre, la
carrozza del convoglio era diventata una delle ultime.
I portabagagli, con i loro carretti, andavano gridando:
- Valigie signori, facchino, pacchi, borse, bauli, prego
signori, prego.
Eugenio, avendo una piccola valigia ed una borsa,
rifiutò gentilmente e di buon passo si avviò all’uscita in
mezzo ad un folto numero di viaggiatori scesi da quel
treno.
Giunto all’uscita vide una fila di taxi in attesa e, pur
sapendo
che
l’albergo
era
vicino,
avendo
precedentemente studiato dettagliatamente la pianta della
città, preferì salire su uno di essi e farsi condurre all’hotel.
- Dove la porto signore? – chiese il tassista.
- Al Grand Hotel e de la Ville, grazie.
Il taxi partì lentamente ed imboccò la via Ghega
percorrendola tutta fino a piazza Oberdan, da lì proseguì
per la via Carducci, per poi svoltare nella piazza Goldoni
e scendere lungo Contrada del Corso fino a piazza della
Borsa. Presa la via del Canal Piccolo giunse in piazza
Tommaseo e svoltando a destra, sulle rive, giunse davanti
all’Hotel de la Ville e si fermò. Il tassista abbassò la
bandierina del contachilometri e chiese ad Eugenio il
prezzo della corsa.
Eugenio consegnò la somma richiesta, prese le
borse e scendendo commentò:
- Se un’altra volta vorrò fare un giro turistico glielo
chiederò, non occorreva lo facesse lei di sua iniziativa
dato che la stazione è laggiù in fondo. Se poi la corsa
aveva un prezzo minimo me lo comunicava e non mi
faceva perdere tempo.
Scese, sbattendo lo sportello e lasciando il
tassista ammutolito e rosso in volto.
25
Entrato nella lussuosa hall dell’albergo, si
diresse verso la reception dove un gallonato portiere lo
accolse con uno smagliante, ma discreto sorriso:
- Buona sera signore, in che cosa posso
esserle utile?
– Desidero una stanza, possibilmente in facciata con
vista sul golfo.
– Ma certamente, potrei darle la numero 316, al terzo
piano, dal quale godrà una amena vista sul mare e sentire
una dolce brezza dall’odore salmastro del mare che le
allieterà il riposo notturno.
- Benissimo - concluse Eugenio consegnando i
documenti ed un biglietto da visita - mi fermerò due o al
massimo tre notti, le saprò dire. Data l’ora, salgo in stanze
per rinfrescarmi, vuole riservarmi un posto al ristorante per
la cena?
- Sarà mia premura, dottor Della Noce, faccia pure
con comodo - mentre con un cenno della mano chiamava
il facchino dell’albergo.
– Il bagaglio del dottor Della Noce alla 316! e a lei
dottore buona permanenza e per qualsiasi necessità sono
a sua completa disposizione, può contarci.
Seguendo il facchino verso l’ascensore, Eugenio
pensò:
- Che cosa si è costretti a fare per garantirsi una
buona mancia al momento della partenza!
Giunti al terzo piano si incamminarono attraverso un
lungo e ampio corridoio costellato di preziosi divanetti,
pregevoli specchi e tappeti persiani fino a giungere
davanti alla porta della stanza 316. Il facchino aprì la
porta, fece accomodare Eugenio, posò la valigia e la
borsa su di una panca vicino alla porta e consegnando le
chiavi fece un breve inchino.
Eugenio mise la mano nella tasca della giacca,
prelevò una banconota e la diede al facchino il quale con
un ulteriore inchino bisbigliò:
- Grazie mille, dottore!
La stanza era di notevoli dimensioni, in stile primi
ottocento con un bel lettone con copriletto in broccato, un
grande armadio, una cassettiera con uno specchio dalla
cornice dorata. In un angolo c’erano due poltrone con un
tavolinetto, mentre tra la finestra e la porta finestra che
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dava su di un balconcino era posizionata una scrivania
con lo scrittoio e la carta e le buste intestate dell’hotel.
Eugenio scostò le tende ed aprì la porta finestra che
dischiuse una bellissima visione del porto con davanti il
molo Audace e leggermente sulla sinistra la Stazione
Marittima, mentre sulla destra era visibile quelle che un
tempo fu l’idroscalo. Il sole era oramai calato e le prime
ombre della sera giocavano con gli ultimi riflessi dorati sul
mare, mentre alcune barche a vela, ormeggiate sulla riva,
si dondolavano pigramente facendo sentire il tintinnio delle
sartie che battevano sull’albero lungo e proteso verso il
cielo. Il portiere aveva ragione, un delizioso profumo di
mare si espanse nella stanza, mentre la temperatura
diventava più fresca e gradevole.
Si tolse gli abiti stropicciati per il lungo viaggio e li
depose sull’apposita gruccia perché, il giorno dopo, il
personale lo portasse in lavanderia per essere rinfrescato
e stirato, Entrò nel bagno, notando che anch’esso era
all’altezza della fama dell’albergo, ampio, lindo, con luci
soffuse che dava un caldo senso di intimità. Su di un
mobiletto erano posizionati i flaconi sigillati di bagno
schiuma, sali da bagno, shampoo, lozioni per capelli ed
acqua di colonia oltre, s’intende, ad un set di asciugamani
e teli da bagno che poteva far parte di un corredo nuziale.
Per rilassarsi e riposare Eugenio decise di preparare
una bella vasca piena d’acqua, piuttosto calda, con i sali
ed immergersi per almeno una decina di minuti nella
speranza di non addormentarsi in quel dolce tepore.
Uscito dalla stanza da bagno, si rivestì con i ricambi
che aveva portato con sé e mise anche il vestito scuro che
non si era per niente stropicciato, anche se piegato nella
valigia.
Chiusa la stanza, ripercorse il corridoio, prese
l’ascensore e scese al piano terreno per recarsi al
ristorante. Il portiere lo vide, uscì da dietro il banco, gli si
avvicinò indicandogli la direzione che doveva prendere.
– Prego dottore, da questa parte, dopo il bar, sulla
sinistra c’è la sala ristorante.
– Grazie, credo che mangerò volentieri, ho un certo
appetito, è dalla colazione di stamattina che non metto
nulla di consistente sotto i denti.
Attraversò il bar dove alcune persone erano sedute ai
tavolini e conversavano tra di loro, o leggevano qualche
giornale. Si diresse quindi alla porta del ristorante che, al
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suo arrivo, si aprì ed un ragazzo in giacca bianca lo
accolse:
- Buonasera signore, ha riservato un tavolo?
– Sì, ho chiesto al portiere di prenotare, sono Della
Noce.
– Ma certo dottore, l’accompagno.
Il ragazzo fece strada ed accompagnò Eugenio ad un
tavolo vicino alla finestra e, dopo l’immancabile mancia, si
sedette su di una comoda poltroncina. Immediatamente
giunse il maitre:
- Buona sera dottore, mi chiamo Osvaldo. Spero che
la sua permanenza presso l’hotel ed in città possa essere
gradevole.
Al che, ossequiosamente, chiese ad Eugenio se
avesse dei desideri particolari o potesse essere lui a
consigliare.
Eugenio disse solamente:
- Grazie per gli auguri Osvaldo. Essendo in una città
di mare, gradirei mangiare del buon pesce.
- Era quello che mi sarei permesso di suggerirle dottore
e per iniziare le consiglierei un paio di ostriche allo
champagne seguite da un antipastino di mare con salsine
varie. Per primo le proporrei dei tagliolini con l’astice ed un
assaggio di risotto dell’Adriatico, una delle specialità nel
nostro chef. Per secondo, le proporrei, un branzino al
sale con dell’insalatina di stagione. Per i vini mi permetta
di mandarle il somelier per i consigli del caso.
- Va bene Osvaldo, faccia lei, e mentre aspetto
gradirei un Martini cocktail ben ghiacciato.
– Ma certo dottore, le auguro buon pranzo, vado a
dare gli ordini in cucina, permesso.
Eugenio prese il giornale e continuò la sua lettura
tante volte interrotta durante il viaggio. Dopo qualche
minuto arrivò il ragazzo del bar con il cocktail su di un
vassoio corredato da salatini ed olive verdi. Al suo seguito
sopraggiunse il somelier con la sua brava cartella
contenente la lista dei vini ed il menù scelto da Eugenio.
- Buonasera signore, data l’ottima scelta del menù,
consiglierei dello campagne brut ghiacciatissimo per gli
antipasti, con il primo un po’ di tokaj sec del ’49, mentre,
per il secondo mi permetta di suggerirle del pinot grigio
novello della zona del Collio.
– Faccia lei, ma sappia che bevo pochissimo,
pertanto in me non troverà un appassionato intenditore,
28
comunque amo degustare del buon vino, altrimenti
preferisco l’acqua.
- Comprendo signore, lasci fare a me, vedrà che
rimarrà soddisfatto.
– Lo credo anch’io - pensò Eugenio - bevo poco, apre
tre bottiglie ed il conto sale. Non fa niente, il tutto fa parte
del gioco per crearsi un’immagine.
La cena venne servita con gran dispiego di personale
in una scenografia che solo un grand hotel come quello
poteva offrire, in un vorticare di cambi di posate, bicchieri,
piatti, carrelli che andavano e venivano in un turbinio che
solo la consolidata esperienza di Eugenio, in alberghi del
genere, evitava di fargli girare la testa.
Dopo poco più di un’ora di questo carosello, bevuto il
caffè, Eugenio si alzò dal tavolo e si diresse alla sua
stanza, ossequiato e riverito da tutto lo staff del ristorante.
La giornata era finita, bisognava fare un bel riposo
per essere arzilli ed iniziare la giornata di lavoro
preparatorio all’affare che Eugenio aveva in mente di
sviluppare.
Salito alla stanza 316, si affacciò alla finestra, che era
rimasta aperta, per ammirare la bellezza notturna del
golfo. Era una nottata senza la luna, pertanto il buio era
totale, reso suggestivo dai punti luminosi che sui piroscafi
all’ancora in rada disegnavano la sagoma pigra della
nave. Più in là le forti lampare delle barche dei pescatori,
che attiravano i pesci nelle reti tese tra di esse, davano la
sensazione dell’operosità notturna di quelle piccole
imbarcazioni che con pochi uomini a bordo stavano
procurando il pesce fresco per l’indomani da offrire ad una
città che al momento stava dormendo.
Eugenio inspirò a pieni polmoni la fresca aria dal
profumo salmastro, diede ancora un ultimo sguardo al
golfo, chiuse le persiane e si apprestò ad andare a letto.
29
Capitolo 4
Erano le 7.30 quando Eugenio aprì gli occhi
perfettamente soddisfatto della nottata trascorsa in un
sonno tranquillo e ristoratore. Si sentiva bene, si alzò e
andò alla finestra, che spalancò per aprire le persiane e
vedere come si sarebbe presentata la giornata.
Uno splendido cielo terso e un caldo sole di fine
primavera abbracciarono Eugenio quasi a dargli un
affettuoso benvenuto dalla città. La vita operosa si stava
risvegliando, la gente andava di fretta, vetture e furgoncini
passavano veloci lungo le rive, mentre sulla destra, nel
porto vecchio, si vedevano le gru già all’opera e si udiva,
in lontananza, il frastuono dello spostamento delle merci,
che venivano scaricate dalle navi per essere poste nei
magazzini.
Eugenio stette qualche minuto appoggiato al
davanzale ad osservare il movimento ed il viavai dei
veicoli ancora contenuto data l’ora, respirando la pura e
fragrante aria che la brezza mattutina, dolcemente,
portava a lui quando, improvvisamente, il paesaggio si
dissolse ed alla sua mente apparve il dolce e sorridente
viso di Rossella.
Rimase così per breve tempo, che a lui sembrò
lunghissimo, finché si scosse e pensò tra sé e sé:
- Ahi, Ahi Eugenio!! Ho paura che questa sia una
“cotta” per la laureanda in medicina. A lei, però, sarà
meglio pensarci dopo il lavoro, ora bisogna avere la mente
libera da pensieri per non essere distratti nel portare a
termine il lavoro che ti sei prefissato.
Si ritirò dalla finestra per entrare nel bagno, radersi e
fare tutte quelle cose che quotidianamente si devono
eseguire per affrontare al meglio la giornata.
Si vestì e scelse una cravatta chiara a pois adatta ad
una splendida giornata come quella. Scese al piano terra
e si recò nella sala, attigua la bar, per consumare la prima
colazione. C’era parecchia gente seduta ai tavoli tra cui si
potevano notare parecchi ufficiali in divisa; si sarebbe
capito che erano americani non solo dalla divisa, ma
anche dal tipo di alimenti e bevande che stavano
consumando: caffè lunghissimo in tazze grandissime,
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cereali, pane tostato caldo, tre o quattro uova fritte con la
pancetta. Eugenio si sistemò in un angolino onde cercare
di non dover annusare, al mattino presto, l’odore di fritto
cui non era abituato e poter consumare un cappuccino
con brioche, colazione certamente più tipicamente italiana.
Un giornale locale, “Il Giornale di Trieste” era
collocato, piegato, sull’angolo destro del tavolo. Era
l’edizione di venerdì 8 Giugno 1951, Eugenio diede
un’occhiata ai titoli
In prima pagina il titolo dell’articolo di fondo, in
grassetto, era:
“MISTERIOSA SCOMPARSA DALL’INGHILTERRA DI
DUE ALTI FUNZIONARI DEL FOREIGN OFFICE”
L’articolo iniziava così: Un telegramma da Parigi li
conferma sani e salvi però risultano vane le ricerche della
polizia francese che sorveglia gli aeroporti e le frontiere.
Non è esclusa una fuga in Russia in quanto erano a
conoscenza di importanti segreti di Stato.
Nelle pagine interne, tra l’altro, veniva evidenziato il
problema della ricettività alberghiera di Trieste nel timore
di una scarsa capienza in vista della prossima
inaugurazione
della
locale
Fiera
Campionaria
Internazionale.
Ed ancora, il giro d’Italia, che aveva fatto tappa in
città alcuni giorni addietro, ieri era giunto a Cortina
d’Ampezzo con all’attacco Bobec e Fausto Coppi che
hanno preceduto sulla linea di traguardo Fiorenzo Magni.
Van Steenberger conserva la “maglia rosa”.
In città la segnaletica stradale è poco efficace e, più
che agevolare il traffico, lo complica. Denunciato l’eccesso
di zelo dei tutori dell’ordine.
Vasta eco per gli spettacoli in programma: Al Teatro
Verdi si replica “La figlia di Jorio”, al Politeama Rossetti
continua con successo gli spettacoli della Compagnia di
Wanda Osiris, alla Ginnastica Triestina si inaugura la
stagione teatrale estiva.
Nella pagina della cronaca politica si può leggere:
“Incomincia il sogno dell’unione dei paesi europei”, l’Italia
è rappresentata da Alcide De Gasperi che, in ottimo
tedesco, è intervenuto al dibattito evidenziando, tra l’altro,
il pericolo comunista per l’Europa, prospettando la
necessità di arginare questa avanzata.
Dopo la breve scorsa, ripose il giornale sul tavolo e,
alzatosi si avviò verso la hall.
31
Uscito dall’hotel, Eugenio fece un breve tratto di
strada e raggiunse la piazza del Tommaseo per poi salire
verso la Contrada del Corso. Bellissimi negozi si aprivano
da una parte e dall’altra della strada ed anche nelle tante
strade laterali e nelle vie parallele al Corso. Tutto il centro
cittadino era un susseguirsi di negozi le cui tende parasole
erano abbassate in modo che la merce esposta non
venisse danneggiata dai raggi del sole. Eravamo verso la
fine della settimana e la gente si affrettava per svolgere
sia le commissioni che gli ultimi acquisti.
Si soffermò, come fosse un turista, ad ammirare i capi
d’abbigliamento, le scarpe, le camicie, le cravatte, borse
ed oggetti in pelle di tutti i tipi, gli sfavillanti gioielli esposti
nelle oreficerie. Ogni tanto l’olfatto veniva stuzzicato dal
fragrante odore del pane e dei dolci appena sfornati da
alcune pasticcerie, molto rinomate, che incontrava lungo il
suo percorso. In altri punti del suo vagabondare, l’olfatto fu
colpito dall’acre odore dei crauti appena cotti e dalla carne
di maiale bollita assieme a salsicce, cotechini e zamponi
nelle caldaie dei caratteristici buffet, che solo a Trieste era
dato di incontrare; punti di riferimento e di sosta sia per
veloci spuntini di mezza mattina a base di panino e birretta
che di piatti misti più sostanziosi con contorno di fumanti
crauti, senape e kren (termine tedesco che si riferisce al
rafano forte) per una veloce colazione consumata da chi
non riusciva, per questioni di tempo, ad andare a casa a
mangiare
In tutto questo vario mondo del commercio triestino,
ad Eugenio interessavano di più due attività nel
complesso, avrebbe cercato la migliore pasticceria ed il
più rinomato gioielliere della zona per cercare di
concludere l’affare per cui era venuto a Trieste.
Dopo aver girato parecchio, ed essendosi fatto una
sua opinione personale, volle confrontare le sue
conclusioni con delle informazioni attinte chiedendo
consigli presso qualche bar.
In quel momento si trovava dalle parti della chiesa di
Sant’Antonio Taumaturgo e pensò di entrare per prendere
un caffè in un grande bar d’angolo. L’ambiente era in
classico stile austriaco con tavolini il cui piano, rotondo,
era di marmo bianco su basi metalliche, le cui gambe
terminavano con degli appoggi simboleggianti la zampa
32
del leone. Attorno ai tavolini c’erano sia delle poltroncine
in pelle che le mitiche sedie “Thonet” con il sedile in paglia
di Vienna e lo schienale a doppio arco in legno. Il bancone
del bar era un cesello con
medaglioni incastonati
contenenti stampe antiche che raffiguravano scene di
caccia, tenute, castelli. Al centro troneggiava un vecchio
registratore di cassa in ferro argentato sul quale erano
scolpite delle foglie di acanto e dei tralci di vite,
rigorosamente funzionante a manovella.
Oltre un tendaggio in pesante velluto rosso cupo
leggermente aperto, vide alcuni tavoli da biliardo sui quali,
chini, stavano cimentandosi con le stecche degli esperti
giocatori.
Eugenio , durante i primi approcci, aveva detto a
Rossella che a lui piaceva studiare un po' la città per non
fare la figura del turista che "vaga“ e viene notato da tutti,
ma in questo caso, non poté ostentare indifferenza e fare
a meno di non rimanere a bocca aperta di fronte a una
cosa, per lui, nuova e splendida.
Si ricompose immediatamente, si avvicinò al banco e
chiese al barista un caffè con un po’ di latte freddo a parte.
Eugenio sorbì il caffè apprezzandone la fragranza e
l’aroma, cose che solo a Napoli, poteva trovarne simili. Il
barista, nel frattempo, stava sistemando alcuni bicchieri su
di un tovagliolo sotto il banco ed egli approfittò per
chiedere:
- Mi scusi, avrebbe la compiacenza di indicarmi
un’ottima pasticceria qui, nei paraggi?
– Ma certamente - rispose il cameriere - proprio
all’altro lato della piazza c’è una delle migliori pasticcerie
di Trieste, se non la migliore.
Indicò con la mano la direzione che avrebbe dovuto
prendere per raggiungerla.
- Grazie molte, è stato davvero assai gentile, quanto
le devo?
Il banconiere incassò il prezzo del caffè ed Eugenio
lasciò accanto al piattino una buona mancia.
– Grazie signore, arrivederci e torni presto a trovarci.
Uscito dal bar, si avviò lentamente per andare a
vedere da vicino la pasticceria suggeritagli dal solerte
barista. Attraversò la piazza guardandosi in giro per
vedere quanto movimento ci fosse a quell’ora e in quel
punto. La pasticceria era veramente bella e nelle vetrinette
facevano bella mostra di sé tantissimi pasticcini, pastine e
33
torte di tutti i tipi. Il profumo che usciva in strada era
delicato e gradevole e sopra di tutto si sentiva la fragranza
del burro con cui i dolci erano stati preparati. All’interno,
due clienti stavano scegliendo alcune pastine da portare a
casa e la commessa le sistemava sapientemente su dei
piccoli vassoi di cartone. Eugenio pensò che l’ambiente
fosse sicuramente di una raffinatezza unica, ma non
faceva al caso suo per l’affare che avrebbe voluto
concludere.
Passando lungo il fianco della chiesa di Sant’Antonio,
si avviò verso la centralissima via Carducci, piena di vita e
di traffico e fatte poche decine di metri, vide una grande
panetteria-pasticceria dal cui ingresso si notava un
continuo viavai di gente che entrava ed usciva.
Avvicinatosi alla porta, sbirciò dentro e vide una cosa
quasi inverosimile: decine di persone assiepate vicino al
banco vendita che chiedevano a gran voce alle sei
commesse di essere servite. Una settima persona, un
omone grande e grosso con la giacca bianca da
panettiere stava alla cassa cercando di accelerare il lavoro
di incasso per far defluire le persone e lasciare il posto
alle tante altre che entravano.
Ecco, questa sì! Era la pasticceria che cercava, piena
di vita febbrile, di movimento, di animazione, di agitazione,
di folla, gente, viavai che facevano girare la testa e
stordivano.
All’esterno, a fianco della porta, c’era una targhetta
sulla quale, per ordine delle autorità, veniva inciso il nome
del depositario delle chiavi con il recapito telefonico.
Questa era una vecchia ordinanza della Pubblica
Sicurezza e serviva, in caso di necessità, durante le ore di
chiusura, per reperire il responsabile e poter aprire
l’esercizio se fosse stato necessario entrare per controlli
su eventuali principi d’incendio o tentativi di scasso e furti.
Il nome era Bonifacio!
Il tempo passava veloce e mezzogiorno era da poco
passato quando egli
si allontanò dalla pasticceria
Bonifacio dirigendosi nella vicina piazza Goldoni dove si
sedette ad un tavolino esterno di un bar d’angolo per
prendere un aperitivo.
Ordinò un aperitivo leggermente alcolico. Il sole era a
picco sulla piazza, ma il tavolino era sistemato sotto un
34
ombrellone e una leggera brezza rendeva piacevole il
luogo.
Ai tavoli vicini erano sedute parecchie persone, per lo
più anziane, che leggevano un giornale o chiacchieravano
tra di loro, qualche mamma lavorava a maglia o ricamava
mentre guardava il suo bambino giocare con i coetanei
sulla piazza, che centralmente era adibita a isola
pedonale, pertanto senza pericoli.
Il cameriere gli portò un bicchiere molto alto
contenente l’aperitivo di un colore rosato chiaro con
parecchi cubetti di ghiaccio ed una cannuccia. Sul vassoio
c’erano pure alcune ciotoline contenenti arachidi tostati ,
olive verdi, patatine e alcuni biscottini salati. Osservò il
cameriere che era bassissimo di statura, poco più di un
nano. Infatti in piedi era alto poco di più dei clienti seduti,
ma si destreggiava con abilità ed eleganza a posizionare
sul tavolo l’aperitivo e gli accessori.
Terminato di servire il cameriere si rivolse ad
Eugenio:
- Spero che sia di suo gradimento l’aperitivo, lo
assaggi altrimenti le faccio preparare qualche cosa d’altro.
Rimase colpito dalla gentilezza di quell’ometto e
rispose:
- Andrà bene di sicuro, io non conosco molti tipi di
aperitivi e ad ora di colazione preferisco qualche cosa di
leggero e dissetante come sembra, essere questo che mi
ha servito. Grazie comunque della sua premura. Come si
chiama?
Il cameriere assunse un’aria afflitta:
- Vede, egregio signore, la sorte alle volte si
accanisce in modo particolare con le persone e nel mio
caso ha fatto il massimo. Sono basso di statura, ho un
metro e sessanta centimetri, ed è già una disgrazia in una
città dove la media del l’altezza degli uomini supera il
metro e settantacinque centimetri, ma quello che completa
la mia disgrazia è il nome. I miei genitori mi hanno
chiamato Ercole, comprende la mia pena?
- Suvvia non si abbatta - replicò Eugenio - se tutti i
mali fossero questi........la statura ha un’importanza
relativa ed il nome di Ercole è sinonimo di forza e di
potenza che, non è detto sia solo fisica, può essere anche
forza morale. Cosa dovrei dire io che mi chiamo Eugenio,
nome portato da un vescovo di Cartagine, da un grande
ammiraglio e letterato siciliano, dal viceré d'Italia figlio di
35
Giuseppina, la prima moglie di Napoleone, e persino da
quattro Papi. Io invece che, molto più semplicemente,
sono un uomo d’affari?
- La ringrazio signore per le belle parole, ma sono
una magra consolazione di fronte agli scherzi e ai lazzi dei
ragazzi che passano per la piazza e da lontano mi
gridano:
- A che fatica sei arrivato oggi Ercole? Ora mi
perdoni, devo andare, altri clienti mi reclamano.
Eugenio rimase pensieroso e perplesso, sì
effettivamente era una bella disgrazia, povero Ercole e le
comparazioni col proprio nome non furono sicuramente
un’uscita né felice né tantomeno consolatrice.
Sorseggiò l’aperitivo, molto gradevole, il cui
sottofondo aveva il gusto di albicocca che si combinava
molto bene con gli stuzzicchini salati.
Assorto nei suoi pensieri, non si accorse che oramai
era rimasto quasi solo seduto ai tavolini, infatti un orologio
posto su di un palazzo di fronte batté in quel momento i
suoi tredici rintocchi e la gente era rincasata per la
colazione. Chiamò il cameriere per poter pagare, Ercole si
avvicinò, prese la banconota dal tavolo e vi pose il resto
che non era molto. Eugenio si alzò, lasciando il resto, e
chiese al cameriere dove si potesse fare uno spuntino
veloce lì vicino.
- Se le fa piacere, c’è un luogo caratteristico, dove si
possono mangiare anche dei piatti singoli, ma tutti
genuinamente appartenenti alla cucina tradizionale
triestina. Attraversi la piazza e, laggiù, sotto quel portico,
c’è una famosa “Taverna”, vedrà si troverà bene. Ercole
prese la mancia, ringraziò, tolse il vassoio e rientrò
all’interno del bar per depositare i vuoti.
Eugenio attraversò la piazza, ormai vuota, senza i
bimbi festanti che giocavano, poche persone ritardatarie
sostavano alle numerose fermate delle filovie, degli
autobus e dei tram per far ritorno a casa. I negozi e gli
uffici erano chiusi per la pausa meridiana e la città
sembrava essersi fermata, i rumori erano limitati ed
ovattati, tanto che Eugenio riuscì a sentire quello dei suoi
passi sulle lastre di pietra arenaria che ricoprivano la
piazza.
Arrivò davanti all’arco indicatogli da Ercole che era
l’inizio di un passaggio sotto la casa conducente al cortile
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interno ricoperto da una pergola di uva fragola sotto la
quale erano sistemati alcuni tavoli pieghevoli in legno,
caratteristici delle trattorie di campagna. Dietro alla
pergola si apriva la porta d’ingresso della taverna vera e
propria. Era veramente un locale caratteristico, molto
modesto, ma sul banco di mescita vide una gran varietà di
pietanze poste su dei piatti da portata sistemati l’uno
accanto all’altro in un insieme di colori e forme che mai
aveva visto in altri posti d’Italia. L’aspetto era invitante e
cominciò a guardare nel tentativo di capire cosa vi fosse
esposto.
Visto l’imbarazzo di Eugenio un cameriere gli si
avvicinò:
- Permette signore, immagino lei sia forestiero, posso
illustrarle le nostre specialità?
– Sì, certo, anzi gliene sarei grato.
- Allora incominciamo: quelli sono chiamati “gnocchi
di pane” e sono fatti con del pane raffermo messo a mollo
ed impastati con della pancetta affumicata tagliata a
dadini, pezzetti di formaggio, aglio e prezzemolo e
vengono lessati e conditi con il ragù di carne di maiale.
- Lì abbiamo il “rodolo de spinaze” che sarebbe una
sfoglia fatta con l’impasto degli gnocchi di patate riempita
di spinaci al burro e parmigiano, viene arrotolato su se
stesso, messo in un canovaccio e fatto bollire in brodo
bollente. Viene servito a fettine condite con del burro fuso
con salvia e una spolverata di grana.
Il cameriere indica un altro piatto:
– Quelli sono i “nervetti” che sono i tendini attorno al
ginocchio e nella parte bassa delle zampe anteriori del
vitello, tagliati a pezzetti, lessati e conditi con olio, tanta
cipolla cruda, sale e pepe.
- Quelle sono delle melanzane e degli zucchini
tagliati a fette ed impanate, vengono servite tiepide o
fredde, mai calde.
- Quelle che vede lì sono una delle nostre specialità,
sono semplici polpette fritte, ma il nostro cuoco ha una
ricetta segreta nella quale mescola in proporzioni giuste
vari tipi di carne, so che ci mette del prosciutto e chissà
quante spezie ed aromi. L’impasto lo fa il mattino presto
quando non c’è nessuno tanto è geloso della sua ricetta e
delle sue proporzioni. Le garantisco che vengono qui da
tutta Trieste per mangiarle e ne friggiamo circa duecento e
cinquanta pezzi, che non arrivano mai alla sera. Infine
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abbiamo la classica caldaia con le specialità di carni di
maiale ed insaccati.
Eugenio fissò tutti questi piatti indeciso su cosa
prendere per soddisfare le sue curiosità, fu allora che
azzardò una richiesta:
- Sarebbe possibile avere degli assaggini di un po’ di
tutto?
– Ma certamente signore, posso proporle il nostro
piatto tipico denominato “I sapori di Trieste” che è
composto appunto da una serie di piccoli assaggi di tutte
le nostre specialità. Se mi permette le suggerisco di
accompagnarlo con del vino Terrano, tipica produzione del
Carso, che bene si accompagna con i gusti forti.
- Bene mi siedo a quel tavolo d’angolo e attendo
fiducioso e curioso di assaggiare tante cose, per me,
nuove. Sembra quasi di essere all’estero!
Si sedette al tavolo prescelto, si guardò in giro e vide
un arredamento molto modesto, anche se pulitissimo, ben
differente dai locali che normalmente era uso frequentare,
ma il folklore vuole anche queste varianti e sacrifici per
rendere la vita piacevole e varia.
Mentre stava aspettando impaziente il piatto ordinato,
cominciò a pensare a dove si sarebbe recato il pomeriggio
alla riapertura dei negozi e presa la sua inseparabile guida
iniziò a sfogliare le pagine sulle quali erano elencati i vari
negozi dei diversi settori merceologici. Scorrendo le righe
vide menzionata pure la “premiata pasticceria Bonifacio”
che reclamizzava le sue famose paste creme, i cannoli, le
francesine e i krapfen indiani. Il suo sguardo si fermò su di
un elenco di orologerie-oreficerie. Alcune vantavano
marchi di fabbrica di alto prestigio in concessione
esclusiva per il territorio di Trieste, altri proponevano
gioielli creati da maestri olandesi, specialisti nel taglio dei
brillanti. Mentre leggeva gli indirizzi di gioiellieri del centro
cittadino, arrivò il cameriere con un gigantesco piatto
ovale fumante e pieno di ogni ben di Dio.
Il cameriere posò il piatto dinanzi ad lui, stappò la
bottiglia di vino e dopo aver annusato il tappo, per
controllare che il vino si fosse ben conservato, versò un
goccio di vino sul fondo del bicchiere invitando il
commensale a provarlo per vedere se era di suo
gradimento.
Eugenio, controllò contro luce il colore del vino in
trasparenza e notò che era molto corposo e lasciava,
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facendolo roteare all’interno del bicchiere, un alone
intenso. Lo assaggiò, rimase un momento perplesso per
quel nuovo gusto che lui non conosceva, così forte, un po’
asprigno, ma che una volta lasciato scivolare in gola,
lasciava sul palato una fragranza inaspettata ed un
marcato gusto d'uva.
– Sì, un gusto nuovo ma piacevole, penso che sarà
adatto per far digerire questa pantagruelica portata. Meno
male che avevo deciso di fare un leggero spuntino!!!
- Mangi con calma, signore, assapori pian piano tutti i
gusti e vedrà che, alla fine, non avrà alcun problema di
digestione. Al massimo, semmai, una buona grappa
dell’Istria in chiusura la farà uscire come non avesse
nemmeno pranzato. Buon appetito!
Eugenio si destreggiò con coltello e forchetta per
prendere dei piccoli pezzi delle varie specialità ed
assaggiarli. Tutto favoloso, gusti nuovi, intensi, fragranti,
sapori inusitati, ma piacevoli: il rotolo di spinaci con burro
fuso leggermente tostato, aromatizzato con la salvia,
delicato e intenso nello stesso tempo, gli gnocchi di pane,
al primo impatto quasi dolci per poi variare di sapore
quando la pancetta affumicata, l’aglio ed il prezzemolo li
rendevano gustosi unitamente al ragù alquanto piccante.
La battaglia con il piatto fu dura, ma alla fine, come
sempre, vinse Eugenio, sorseggiò il vino rimasto nel
bicchiere pensando che, per uno che era quasi astemio,
bere più di mezza bottiglia, era davvero molto.
Anche in questo, Trieste era riuscita ad incantare e
far cambiare abitudini al forestiero, tant’è che per un
momento, pensò di essere in città da una vita e non da
poco più di mezza giornata. Ordinò un caffè, rifiutando
cortesemente la grappa dato che aveva ecceduto con il
vino e riprese a consultare la sua guida.
Quando ci si trova bene, il tempo passa veloce e
data una rapida occhiata all’orologio, vide che erano le 15
e 30, ora di riprendere il suo giro di perlustrazione ai
negozi del centro che a quell’ora avrebbero riaperto i
battenti. Pagato il conto e ringraziato il cameriere per
l’ottimo suggerimento, uscì all’aria aperta e provenendo da
un ambiente oscuro e fresco, l’intensità di luce solare che
colpì i suoi occhi, gli diede un attimo di sofferenza.
In piazza Goldoni il viavai di persone e mezzi era
ricominciato, la gente ritornava al lavoro dopo la pausa per
39
il pranzo, magari qualcuno s’era attardato e correva un po’
di più per non giungere fuori orario al lavoro.
Eugenio imboccò
via Mazzini che percorse
lentamente osservando superficialmente le vetrine dei
numerosi negozi che vi si affacciavano. Giunse davanti
alla vetrina di una piccola oreficeria ed osservò la merce
esposta, alcune catenine, un paio di bracciali, una serie di
anelli di modesto valore, per lo più con pietre incastonate
di bassa qualità e costo.
Imboccò alcune strade laterali dove, grazie alla guida
che prima aveva consultato, sapeva fossero ubicate delle
gioiellerie di più alta levatura. Infatti nella seconda laterale
a destra vide un negozietto delle stesse dimensioni di
quello di via Mazzini, ma nella sua vetrina spiccavano
gioielli di ben altra fattezza, bracciali a maglia con
splendidi rubini incastonati, orologi di prestigiose marche
svizzere con la cassa in oro, alcuni anelli con delle
montature di brillanti di buon taglio.
Scese in direzione del mare zigzagando tra le strade
principali e le vie laterali, finché giunse davanti ad un
negozio che nulla aveva da invidiare ai famosi gioiellieri di
Parigi o Londra. Le ricche vetrine presentavano i loro
gioielli singolarmente per non essere confusi con quelli
vicini, evidenziati su panni di velluto di colori intensi e scuri
per far ancor di più risplendere quelle meraviglie, frutto di
paziente lavoro di maestri orafi e cesellatori.
I prezzi, ovviamente, non erano esposti onde evitare
degli infarti ai possibili acquirenti. Eugenio decise che
quello era sicuramente il negozio a cui si sarebbe rivolto.
Finito il giro di ricognizione che si era prefissato, risalì
la contrada del Corso per andare alla pasticceria Bonifacio
individuata in mattinata. Procedette a passo lento, assorto
nei suoi pensieri, quando all’improvviso gli apparve
nuovamente il viso sorridente di Rossella. Pensò a lei con
nostalgia ed il desiderio di rivederla quanto prima lo
pervase tanto che decise di accelerare i tempi della
permanenza a Trieste in modo che, al rientro, avrebbe
potuto fare una fermata a Padova, magari per un paio
d'ore, per poter incontrare nuovamente di persona e
prendere per mano quella ragazza che ormai si era
insinuata nei suoi più intimi pensieri e che, quasi a sua
insaputa, aveva preso posto nel suo cuore. Che fosse
amore? Pareva proprio di sì, il classico colpo di fulmine!
Erano ormai le 17 e 30 ed Eugenio si ritrovò davanti
alla pasticceria Bonifacio, la ressa della mattina era finita,
c’erano solamente due commesse, un cliente e l’omone
40
alla cassa. Entrò nel negozio, si rivolse al cassiere nella
speranza che fosse il titolare:
- Buon pomeriggio!...... il signor Bonifacio?
- Sono io, in che cosa posso esserle utile?
– Ah! ho avuto fortuna, non sono di Trieste e dei miei
buoni conoscenti mi hanno indicato la sua pasticceria
perché avrei bisogno di acquistare un bel po’ di pastine
assortite.
- Grazie della fiducia - rispose il signor Bonifacio effettivamente la nostra produzione è artigianale e la
faccio preparare con i migliori ingredienti che si possano
trovare da un abile pasticcere che lavora tutta la notte per
sfornare al mattino la produzione calda e fragrante. Spero
che non le servano per oggi in quanto sono rimaste
solamente quelle poche invendute di stamattina.
- No, no volevo appunto ordinarle per domani, verso
la fine della mattinata. Domani, sabato, infatti faremo una
bella festa per il mio fidanzamento nel giardino della villa
della mia promessa sposa. Saremo almeno duecento
persone e desidererei prenotare cinquecento pastine,
magari di dimensioni un po’ ridotte, ma varie e ben
assortite.
- Bene signore, dato il numero, le farò preparare una
fornitura a lei riservata che potrebbe essere pronta,
diciamo alle 11 e 30, le andrebbe bene?
- Perfetto, il tempo di ritirarle e darle alla servitù che le
disponga opportunamente, per il dessert, alla fine del
rinfresco. Mi va benissimo, quanto le devo?
– Lasci stare, rispose il signor Bonifacio, le pagherà
domani, per un signore distinto come lei non è il caso.
- No - replicò Eugenio - sono passato già stamattina
e ho visto la mole di lavoro che ha e io non avrò tempo di
aspettare il mio turno non volendo nel contempo attirami le
ire dei suoi clienti nello scavalcarli. Le pago volentieri
adesso.
- Come crede, dato la fornitura elevata le farò una
piccola riduzione di prezzo. I costi sono leggermente
differenti a secondo del tipo delle pastine, le farò un valore
unificato di venticinque lire cadauna. Il totale è 12.500 lire.
Eugenio trasse dalla tasca interna della giacca
il suo bel portafoglio di coccodrillo, prese alcune
banconote che consegnò. Il pasticcere prese un
blocchetto sul quale scrisse “500 pastine lusso, assortite,
tutte e 12 le nostre specialità” consegna ore 11 e 30 al
sig.........che nome devo mettere?
- Ennio Rossi - rispose. e ritirato il resto del contante,
salutò il titolare della pasticceria ed uscì.
41
Eugenio si ritrovò nel traffico convulso del venerdì
sera e si diresse, lungo la via Carducci, in direzione verso
la stazione ferroviaria. Giunto al primo incrocio, con il
semaforo rosso, si fermò e vide un taxi libero, fermo
anche lui. Fece un cenno al conducente, il quale annuì e
lui salì mentre il semaforo passava al verde.
- Buona sera signore dove la debbo portare?
– Faccia lei - replicò Eugenio - ho avuto una giornata
pesante e prima di rientrare all’albergo vorrei sostare in un
luogo tranquillo.
– Se le va bene, io proporrei di accompagnarla sul
lungomare di Barcola, dove ci sono parecchi bar dai quali,
seduto al tavolino tranquillamente, può ammirare la
bellezza del golfo e in distanza lo stagliarsi splendido del
bianco castello di Miramare verso l’azzurro del mare.
- Ottima idea, vada pure!
Giunti che furono sul lungomare, l’autista fermò il taxi
davanti ad un bar gelateria e disse:
- Ecco signore, per rientrare in città farà una
passeggiatina lungo il mare di circa 600 metri e si troverà
al capolinea del tram numero 6 o se preferisce, lì accanto,
c’è pure il posteggio fisso dei tassametri.
Eugenio pagò la corsa, ringraziò e salutò l’autista
scendendo dalla macchina chiuse la portiera.
Il sole stava calando verso il crepuscolo, illuminava
di riflessi argentei e dorati le creste di piccole onde che
increspavano dolcemente il mare mosso da una leggera
brezza da ovest.
Parecchia gente sostava ancora ai tavoli del bar,
tranquilla, senza far rumore, parlando sottovoce quasi a
non voler turbare la pace e la bellezza di quella scena.
Sedette ad un tavolo laterale per poter godere ancora
di più la tranquillità del posto, ma si accorse di avere la
gola secca e il desiderio di bere una bella birra fresca,
pensò che, forse, il lauto pasto meridiano non fosse stato
così digeribile come reclamizzato, fece cenno al cameriere
che si avvicinò.
- Buona sera signore, cosa posse servirle?
- Una bella birra fresca di buona marca, grazie. –
- Non ci sono problemi, qui a Trieste abbiamo una
delle migliori fabbriche di birra d’Europa, la Dreher, che
nulla ha da imparare dalle fabbriche di birra germaniche,
gliela porto subito, con permesso.
42
Alcuni minuti dopo il cameriere gli portò la birra in
uno strano bicchiere a forma di stivale, bella, dorata e
spumeggiante.
– Ecco signore, con questo bicchiere si ha il modo
migliore per gustare la birra. Lei è forestiero vero?, stia
attento che la punta dello stivale deve essere rivolta
sempre verso il basso, quando beve, altrimenti, se la
punta è rivolta verso l’alto, per caduta fuoriesce e si bagna
tutta la camicia.
- Grazie del suggerimento, io non ci avrei pensato e
quasi d’istinto avrei messo la punta verso l’alto. Giusto!
per la legge dei vasi comunicanti il livello si sarebbe
unificato e la fuoruscita di birra sarebbe stata maggiore.
Se si vuole, si può fare veramente un tiro mancino agli
ignari amici.
Prese con avidità il bicchiere e si dissetò con due bei
sorsi di birra, poi fissò lo sguardo sulle crestine delle onde
argentee e mosse. Come fossero la moneta fatta
dondolare da un ipnotizzatore ebbero il potere di
concentrare la sua attenzione e l’ondeggiare argenteo si
avvicinò sempre più fino a farlo entrare in un mondo
nuovo, evanescente, etereo, celestiale, incorporeo.
In questa strana luce da lontano udì una voce che lo
chiamava: - Eugeniooooo.... . Poi una figura si concretizzò
quasi si materializzò, vide Rossella con le braccia protese
in avanti che gli correva incontro e, raggiuntolo, lo
abbracciò forte poggiando la guancia sulla sua spalla. Lui
la strinse a sé dolcemente, avrebbe voluto darle un bacio,
ma ebbe paura che staccandola da lui, quella
meravigliosa sensazione cessasse e non voleva
assolutamente che quell’attimo meraviglioso finisse.
Quanto tempo fosse passato non si sa, ma venne
riportato alla realtà dalla voce del cameriere che diceva:
- Si sente bene signore? Ha bisogno di qualche
cosa?
- No, grazie, scusi ma sono in po’ stanco, ho avuto
una giornata pesante e, rilassandomi, qui al fresco,
probabilmente mi sono appisolato.
Finì di bere la birra, pagò e si alzò dal tavolo
salutando e dirigendosi verso il tram che l’avrebbe
riportato in città.
Strada facendo, a mente lucida, ripensò a quello che
gli stava succedendo. Rossella era proprio entrata
prepotentemente nella sua vita, ma lei si ricordava ancora
di lui? o era stato solo un incontro fugace, una breve
conoscenza di viaggio. Però.............quel bacio innocente
alla stazione di Padova, quella fuga a testa bassa, il non
voltarsi a salutarlo, potevano avere un significato? Quel
43
visetto acqua e sapone avrebbe cambiato la sua vita
disordinata di eterno vagabondo? Che fosse giunto il
momento di voltare pagina, mettere la testa a posto e
ricominciare daccapo e crearsi un avvenire sereno,
tranquillo, sicuro, una vita in due da percorrere
parallelamente in sintonia, armonia, dialogo, simpatia e
amore?
- Sarebbe bello - pensò - però non corriamo troppo
con la fantasia, Rossella sarebbe il traguardo, il sogno che
si avvera, la serenità per il futuro.
Queste sono speranze non certezze, una
conoscenza di un paio d’ore, anche se intense con una
persona che pensa e ragiona allo stesso modo è
certamente un buon inizio, ma che bisogna sviluppare e
approfondire.
– Bisogna che mi sbrighi qua a Trieste, potrei
telefonare questa sera a Rossella, per poi correre a
Padova domani pomeriggio e rivederla.
Nel frattempo era giunto al capolinea del tram numero
6. Vide una motrice coperta e un rimorchio tutto aperto,
con le panche in legno. Decise di non prendere il taxi e di
rientrare con il mezzo pubblico anche se mancavano
pochi minuti alle 20. Salì sul rimorchio.
Non aveva molto appetito, i crauti, le salsicce ed il
ragù piccante si facevano ancora sentire, avrebbe preso,
al ristorante dell’albergo, qualche cosa di leggero.
Lo sferragliante tram cominciò il suo viaggio di rientro
verso la città. C’erano poco più di una decina di viaggiatori
seduti che, sballottati sui sedili, ondeggiavano con il
veloce procedere del mezzo nella sua corsia riservata.
Lungo il percorso, alle fermate intermedie, nessuno
doveva scendere e passeggeri in attesa non ce n’erano,
pertanto tutto il viale Miramare fu percorso in breve tempo.
Apprestandosi ad arrivare nella piazza della stazione,
si alzò avvicinandosi alla porta per schiacciare in tempo il
pulsante di richiesta di fermata.
Sceso nel piazzale antistante la stazione si avviò
verso il corso Cavour per raggiungere in breve tempo
l’Hotel de la Ville.
Erano le 20 e 30 da poco trascorse quando entrò
nella hall dell’albergo dirigendosi alla reception per
prendere la chiave della stanza 316.
- Buona sera dott. Della Noce - disse il portiere
porgendo la chiave della stanza - trascorsa bene la
giornata? Le è piaciuta Trieste? Scende per il pranzo?
- Grazie, tutto bene, giornata lunga e faticosa, ma
anche piacevole, ho trascorso anche un paio d’ore,
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stasera, a Barcola a rilassarmi. Salgo a rinfrescarmi e a
cambiarmi poi scendo per il pranzo. Il tavolo di ieri se
possibile, grazie.
Certamente
dottore,
do
immediatamente
disposizione per il tavolo e se dopo pranzo ha piacere nel
nostro piccolo night, riservato solamente agli ospiti
dell’albergo, ci sarà una serata danzante con un trio, molto
noto in città, che intratterrà gli ospiti con musica soft e
rilassante.
- Mi lasci pensare, ma credo che andrò preso a letto
in quanto domani mattina devo concludere un importante
affare e voglio essere lucido e ben sveglio.
Entrato nella stanza, notò immediatamente che il
vestito lasciato sulla gruccia la sera prima, era stato pulito
e perfettamente stirato, come pure tutta la biancheria
profumata e sistemata in modo ineccepibile nei cassetti
dell’armadio. La camicia inamidata in modo impeccabile.
Si svestì, entrò nel bagno e dopo una veloce doccia
riempì la vasca di acqua calda, vi sciolse una buona
quantità di sali rilassanti e rivitalizzanti e vi si immerse per
una quindicina di minuti in assoluto relax.
Caso volle che in quello stato di abbandono, la mente
ritornasse imperiosa e prepotente a pensare a Rossella
mentre correva libera, spensierata e felice su di un prato
d’erbetta verde chiaro con tanti fiori gialli e tante
margherite. Vestiva un ampio e leggero vestito rosa che
la rendeva ancora più leggiadra e piacevole alla vista.
Immaginò di essere seduto, appoggiato al tronco d’un
albero e canticchiando aspettava che lei si avvicinasse per
sedersi accanto a lui. Il timer dei 15 minuti suonò ed uscì
dalla vasca, si avvolse nell’accappatoio asciugandosi
velocemente. Si rivestì con gli abiti rimessi a nuovo dal
servizio dell’albergo e scese al ristorante.
- Buona sera dottor Della Noce - così il maitre
Osvaldo lo accolse, con un largo sorriso e un mezzo
inchino - il suo tavolo è pronto, s’accomodi prego,
l’accompagno.
Eugenio ringraziò e si avviò lentamente verso il tavolo
sempre seguito da Osvaldo. Giuntovi, si sedette e
anticipando il maitre disse:
- Stasera, Osvaldo, voglio mangiare leggero, mi sono
appesantito troppo a colazione, desidererei un consommé
e poi un bel filetto di manzo al pepe verde con una
insalatina, un po’ di frutta fresca e basta.
- Ma certamente dottore, ai suoi ordini, permette,
vado a dare disposizioni.
Nell’attesa, si guardò in giro e vide la sala da pranzo
abbastanza vuota rispetto alla sera precedente, chissà se
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era così perché l’ora di pranzo era già passata o gli ospiti
dell’hotel erano meno numerosi essendo venerdì sera e
gli uomini d’affari avevano fatto ritorno a casa, in famiglia,
nelle loro città d’origine.
Egli sarebbe rientrato l’indomani dopo aver fatto,
forse, una fermata a Padova.
- A proposito di Padova - pensò Eugenio - devo
assolutamente telefonare a Rossella per vedere se
domani avrà piacere di incontrarmi. Fece cenno ad uno
dei ragazzi di sala al quale chiese se fosse possibile avere
un telefono.
- Ma sicuramente dottore - rispose il ragazzo - mi
faccio premura di procurarglielo.
Dopo pochi minuti il ragazzo rientrò con un telefono
che poggiò sul tavolo ed allacciò ad una presa telefonica
posizionata sulla parete lì a fianco.
– Ecco la linea è a sua disposizione - si girò e si
allontanò velocemente.
Eugenio trasse dal suo portafoglio il bigliettino sul
quale aveva scritto il numero telefonico di Rossella e,
sollevata la cornetta, chiese al centralinista di passargli il
numero desiderato.
Appoggiata la cornetta sulla forcella restò in attesa
dello squillo, le mani cominciarono a sudare e una strana
sensazione si impadronì di lui, una sensazione di panico,
d’ansia, di impazienza, che mai aveva provato prima
d’allora.
Arrivò il cameriere e gli porse una fumante tazza di
consommé. Ci aggiunse un po’ di parmigiano ed iniziò a
mescolare con il cucchiaio d’argento il brodo in modo che,
evaporando, si raffreddasse un po’, ma con l’orecchio teso
al telefono pronto a mollare tutto e rispondere al primo
squillo.
L’attesa non fu molto lunga, udì il trillo discreto del
telefono ed alzò di scatto la cornetta:
- Pronto...... Il cuore in gola nell’attesa di sentire la dolce voce di
Rossella, invece la roca voce maschile del centralinista
scandì:
– Padova in linea, signore.
Il telefono dava il segnale di linea libera, 1, 2 , 3 , 4
squilli......
– Oh! Dio non è in casa, forse è uscita con un’amica
o magari con un amico.
Un senso di gelosia si impossessò dei suoi
sentimenti, quando al quinto trillo si udì lo scatto della
cornetta sollevata e una debole voce, sommessa, timida,
incuriosita disse:
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- Pronto!
Un attimo che sembrò un secolo trascorse prima che
Eugenio, con un nodo in gola, riuscisse a proferire parola:
- Rosella sei tu?
All’altro capo del filo la voce prese corpo, anima,
sonorità e quasi con un urlo gridò:
- Eugenio, che bella sorpresa, che bel regalo, che
gioia risentirti, dove sei? Come stai? Cosa fai? Da dove
chiami?
- Piano, piano, quante domande, non ci corre dietro
nessuno. Sentire la tua voce è una gioia intensa per me,
mi sembra di vederti, immagino il tuo dolce viso, il tuo
sorriso, il tuo timido atteggiamento che fa di te un simbolo
unico, una dolce immagine, fragile, pura e indifesa.
- Adesso rispondo alle tue numerose domande.
Sono, come sai, a Trieste, sono seduto al tavolo del
ristorante per il pranzo, sto bene, grazie, ma starei meglio
se fossi vicino te.
- Eugenio, che gioia sentirti e che belle parole che sai
dire, mi confondi, non merito tanto! Come va con il tuo
lavoro?
Quando
parti?
Quando
rientri
a
casa?..........Quando ci vedremo?
Quest’ultima piccola frase la disse con voce
sommessa, quasi schiva, come non volesse far capire
che, in fondo in fondo, anche lei aveva desiderio di
incontrarlo.
Tirato un sospiro profondo per aver rotto il ghiaccio,
Eugenio rispose volentieri alle ultime domande:
- Domani, in mattinata, se tutto va bene, dovrei
concludere i miei affari, prendere il treno e.........se ti
facesse piacere, mi fermerei per qualche ora a Padova
per la gioia di rivederti.
- Che bello, sì, sì, dimmi a che ora arriverai in modo
da venire alla stazione ad aspettarti.
- Non ho l’orario ferroviario qui con me, ma il treno
parte dalla stazione centrale di Trieste alle 13.02 e penso
che dovrebbe essere a Padova subito dopo le 15 e 30,
magari guardi sugli arrivi, in stazione, a che ora è prevista
la fermata del treno proveniente da Trieste. Ciao Rossella,
spero che queste ore passino in fretta, che io sia puntuale
nel prendere il treno, perché non vedo l’ora di
abbracciarti..........credo di amarti!
Eugenio chiuse immediatamente il telefono e rimase
fermo a fissarlo. Cosa avrebbe risposto Rossella! Aveva
paura di saperlo, forse avrebbe detto “ma sei matto?”
Forse sarebbe rimasta senza parole, forse, peggio, si
sarebbe messa a ridere. Chi lo sa! In cuor suo sperava di
vedere il volto di Rossella arrossire, abbassare il capo
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quasi a proteggersi da una cosa più grande di lei che le
stava capitando, ma anche poter vedere un piccolo cenno
del capo che fosse un assenso.
La sentenza a tutto questo era rimandata di 15 ore,
se sceso a Padova avesse visto la sua Rossella
attenderlo, sarebbe stato l’uomo più felice del mondo,
pronto a cambiare vita, a scegliere un lavoro che lo
avesse fatto rientrare ogni sera a casa; in fondo aveva o
non aveva una laurea in giurisprudenza? Servirà a
qualche cosa sì o no?!
Si sentiva pronto a soddisfare, proteggere, difendere
e amare quella creatura che il destino gli aveva fatto
incontrare per caso.
Altrimenti, se non fosse stata lì ad attenderlo, sarebbe
risalito sul prossimo treno con il castello di sogni e di
speranze distrutto, pronto a ricominciare la sua vita
errante e riprendere un lavoro che cominciava a non
piacergli più.
Chinò lo sguardo verso la tazza del consommé e
constatato che era poco più che tiepido, lo sorbì
direttamente dalla ciotola.
Osvaldo, da debita distanza, teneva d’occhio, con
discrezione, quello che Eugenio stava facendo. Visto che
aveva bevuto tutto il consommé, si affrettò a mandare il
ragazzo a togliere la tazza vuota e poter portare la carne
con l’insalata.
- Ecco dottore, il suo filetto al pepe verde.
- Grazie Osvaldo, uhm! bello ed appetitoso; credo
che lo mangerò molto volentieri.
Finito che ebbe di pranzare chiese gli portassero un
caffè ed un buon Cognac.
Anche questa tumultuosa giornata volgeva alla fine.
Quanti fatti, quanti posti, quanti pensieri, quante cose
erano successe e anche riassumendole, era difficile
scorrere la giornata nelle sua complessa interezza.
Si alzò dal tavolo e decise di fermarsi un po’ nella
sala di lettura per scorrere qualche giornale illustrato e
attendere l’ora per andare a dormire.
Il maitre ed i ragazzi di sala lo salutarono, ormai era
rimasto l’ultimo commensale a lasciare la sala.
Uscito dalla sala da pranzo, tra il bar e la hall, sulla
sinistra, c’era appunto la sala di lettura con alcuni divani e
delle poltrone in pelle, oltre ad alcuni tavoli e seggiole. Su
di un tavolo, a lato, erano disposti parecchi quotidiani in
diverse lingue oltre a molti giornali illustrati. Prese la
vecchia, ma sempre valida “Domenica del Corriere” e si
sedette sul comodo divano.
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Nella sala c’erano un paio di persone che,
silenziosamente, sfogliavano e leggevano i loro giornali,
sembravano annoiate e stessero lì solo per aspettare l’ora
di andare a dormire. Del resto anche lui era lì per lo stesso
motivo. Non aveva nessuna voglia di andare nel dancing
dell’hotel come offertogli dal portiere.
Ma perché non ne aveva voglia? Come mai? E si
soffermò ad analizzare questo rifiuto. Il primo pensiero che
gli venne in testa fu che, essendo un night, ci sarebbero
state anche delle signore e forse anche delle signorine.
No! non poteva e non voleva! Rossella.......
- Ahi, vecchio mio – disse tra sé e sé – ma allora sei
proprio cotto, stai già rifiutando altre compagnie femminili
per essere “fedele” a lei?
- Lascia stare, non è ancora detto che lei ti voglia e
poi domani mattina devi essere lucido per concludere
l’affare.
Si immerse nella lettura del giornale nella speranza di
liberare la sua testa da quel chiodo fisso....però che bel
chiodo!
Dopo una ventina di minuti, mancavano dieci minuti
alle 23, Eugenio decise di andate a letto, nella speranza di
riuscire a dormire serenamente. Depose il giornale sul
tavolo, dove l’aveva preso e si diresse verso il bar per
prendere una bella camomilla doppia e concentrata che
l’aiutasse a riposare meglio.
Ritirata la chiave della sua stanza, salì ed aprì un
attimo le finestre per dare un’ultima occhiata notturna al
golfo, che chissà quando avrebbe rivisto. Dopo aver
riempito i polmoni d’aria iodata, aspirando con forza,
richiuse le finestre e si sistemò nel comodo lettone.
Contrariamente a quello che temeva, probabilmente causa
la stanchezza, si addormentò immediatamente in un
sonno ristoratore.
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Capitolo 5
Il sabato 9 giugno era arrivato, si svegliò riposato e
ritemprato, scese dal letto, aprì le finestre per far entrare
l’aria del mattino e vide che la giornata era splendida. Il
mare, calmo come fosse d’olio, era illuminato dal sole e le
ultime barche ritardatarie dei pescatori stavano rientrando.
Altre stavano ormeggiando lungo i moli e scaricavano le
casse con il pesce fresco pescato durante la notte.
Entrò nel bagno con calma per fare una doccia
fresca, sferzante e rivitalizzante, per svegliarsi
completamente e cancellare ogni possibile residua traccia
di stanchezza. Si sentiva bene ed era pronto ad affrontare
la mattinata impegnativa.
Si vestì, preparò la valigia e la borsa in modo da
essere pronto a partire. Scese al piano terra per
consumare la prima colazione e passando davanti al
bureau si rivolse al portiere di turno che non aveva mai
visto prima:
- Sono Della Noce, mi può preparare il conto, per
favore, dopo colazione ritiro il bagaglio e parto.
- Certamente, vediamo, ah sì! stanza 316. Bene glielo
preparo subito!
Dovendo partire alle 13.02, probabilmente, non
sarebbe stato possibile fare un pasto decente a
mezzogiorno, pertanto decise di fare una prima colazione
più abbondante e non il solito cappuccino e cornetto.
Certamente non avrebbe preso la colazione all’americana
con uova e pancetta, ma semplicemente del pane, burro e
marmellata e magari un toast, quello sì!
Finita la prima colazione, prese ancora un caffè
espresso ristretto e si alzò per andare alla reception.
- Il suo conto è pronto dottor Della Noce, ecco a lei!
- Grazie, nel frattempo, mandi a prendere in stanza la
mia valigia e la mia borsa, per favore.
- Ma senz’altro dottore.
Il portiere chiamò il facchino e diede ordine di
prendere il bagaglio della 316.
Eugenio controllò il conto, un po’ salato, ma d’altro
canto l’ambiente e il servizio erano di prim’ordine e non
aveva nulla da recriminare. Trasse dal portafoglio un bel
po’ di soldi che mise sul piattino:
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- Tenga il resto per il personale.
- Grazie dottor Della Noce, veramente gentile, spero
che tutto sia stato di suo gradimento e che possa rivederla
presto nel nostro hotel. Buongiorno e buon viaggio.
Eugenio si allontanò dal bureau e si sedette, in
attesa del bagaglio, su di una poltroncina nella hall
dell’albergo.
Alcuni minuti dopo il facchino gli si avvicinò e
consegnandogli la valigia e la borse, disse:
- Ecco dottore il suo bagaglio e grazie ancora a nome
del personale tutto. Buon viaggio!
Si alzò dalla poltroncina, prese il bagaglio e si diresse
all’uscita:
- Mi sono trovato bene, se sarò di passaggio
nuovamente per Trieste, mi ricorderò di questo hotel.
Buongiorno.
Uscito, girò a destra e si diresse verso la stazione
ferroviaria, laggiù in fondo al lungomare.
Pur essendo appena le nove e mezzo, la giornata
era già calda. Si avviò a passo lento per non sudare; una
breve passeggiata e giunse alla stazione. Appena entrato,
andò alla ricerca del deposito bagagli, dove avrebbe
lasciato in custodia la valigia.
Lo trovò, infilò la valigia nell’armadietto e chiusa la
porta, ritirò la chiave dalla serratura e lo scontrino per
pagare poi, alla cassa, il tempo di custodia.
Non volendo ritornare a piedi in centro città, prese un
taxi e si fece portare davanti alla gioielleria che la mattina
prima aveva visto.
- Alla gioielleria Huber, per favore.
- Certo signore!
Il tassametrista abbassò la “bandierina” del
contachilometri, mise in moto la macchina e inserendosi
nel traffico veicolare, si diresse verso l’indirizzo richiesto.
Erano quasi le dieci quando il tassametro si fermò
davanti alla gioielleria, Eugenio pagò la corsa, ringraziò e
scese dalla vettura chiudendo lo sportello.
Con la sua fida cartella in mano si avvicinò alle
vetrine e dopo aver dato una sommaria occhiata, entrò nel
negozio.
Dietro agli eleganti banchetti di vendita in cristallo
c’erano una bella signora bionda, elegantemente vestita
che “portava” alcuni gioielli, probabilmente allo scopo di
invogliare l’acquirente sull’eleganza di alcuni autentici
capolavori e un signore molto distinto, di mezza età, che
con un accenno d’inchino si rivolse ad Eugenio:
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- Buongiorno signore, sono il signor Huber, il titolare e
questa è mia moglie. Come posso esserle utile? cercava
qualche cosa in particolare? o desiderava solamente farsi
un’idea di che cosa potremmo offrirle?
- Avrei intenzione di acquistare un anello con
brillante. Sa, oggi, in serata, mi fidanzo e vorrei un oggetto
all’altezza della mia splendida ragazza. Un anello che
possa renderla felice e la lasci ammirata dalla lucentezza
della pietra.
- Come lei saprà il brillante può avere tanti pregi e
tanti difetti, può essere di pochi grani o di alcuni carati a
seconda se sarà il primario o il secondario dopo il taglio
del diamante originale.
- Non sono tanto esperto in materia ed è per questo
che sono venuto in questo negozio che ritengo in grado di
aiutarmi nella scelta.
- Grazie signore, spero di poterla annoverare tra i
nostri clienti. Le farò vedere alcuni anelli di varie
dimensioni, purezza e valore, comunque tutti con taglio
triplo moderno detto anche taglio classico da cui derivano
particolari modellature come il taglio americano, a stella o
del Cairo, Anversa. Amsterdam, eccetera. Permetta che
prenda dalla cassaforte alcuni modelli.
Si girò per aprire la cassaforte mentre la moglie gli si
avvicinò per aiutarlo nella scelta di cosa far vedere al
cliente. Presero alcuni piccoli espositori in velluto blu
scuro che posero su di un vassoio d’argento, richiudendo
nel contempo la cassaforte.
- Ecco signore, per cominciare le faccio vedere
alcune creazioni di buona fattura con un discreto indice di
rifrazione e quindi con un buon gioco di luci. I nostri
brillanti sono, comunque, tutti a 57 facce e con certificato
di garanzia. Ci sono alcuni, come questo ad esempio con
taglio americano che ha circa un grano e tre quarti, quindi
poco mento di mezzo carato, il cui valore, montatura
compresa, varia dalle centocinquanta alle duecento mila
lire. Cosa ne dice?
- Belli sicuramente e anche di un certo valore, ma a
vederli sembrano piccoli, si nota solo una parte del
brillante e pertanto all’effetto ottico sembrano
microscopici.
- Lei ha centrato il problema signore, infatti il
padiglione viene inserito nella montatura e resta visibile
solamente la corona che è pari a circa il sedici per cento di
tutto il brillante.
Intervenne allora anche la moglie del signor Huber:
- Vede signore, esistono delle montature a soli
quattro gancetti che fanno vedere quasi interamente il
52
brillante e quindi le sue reali dimensioni, ma non sono per
niente sicuri. Basta che uno dei gancetti venga allentato,
anche accidentalmente, che la gemma esce dal castone e
va perduta, sarebbe un peccato. Se ha piacere che la
corona sia più visibile bisogna optare per delle pietre che
si avvicinino al carato.
- Me ne fa vedere qualcuno, magari solo per
accontentare l'occhio in quanto, immagino, il prezzo salirà
in modo esponenziale.
- No! non è proprio così – interloquì il signor Huber –
però certamente il prezzo sale in quanto anche la parte in
oro bianco deve essere di maggior spessore per
contenere saldamente la pietra di dimensioni più grandi.
Le faccio vedere questo da tre grani e tredici sedicesimi,
quindi quasi in carato. E’ un oggetto di ottima fattura con
taglio tipo Anversa ad alto indice di rifrazione e splendidi
giochi di luci. La prego osservi, muovendolo, che miriade
di luci colorate, sembra di vedere dei fuochi d’artificio. Il
valore di questo si aggira sulle trecento cinquantamila lire.
Il prezzo è impegnativo ma l’effetto è garantito.
Eugenio prese l’anello in mano, lo rigirò tra le dita per
vedere, sotto la luce di un faretto, il gioco di luci che
rifletteva sul cristallo del banchetto.
- Stupendo, questo sì che è un anello, la pietra si
vede bene e ci si può rendere conto della sua reale
dimensione anche da parte di un profano come me.
Il signor Huber, visto che il cliente non aveva battuto
ciglio sul prezzo, si sbilanciò tentando la possibile migliore
vendita del mese.
- Se permette, dato che le piacciono le cose belle,
vorrei farle vedere un pezzo raro, quasi unico, un solitario.
Ovviamente per essere considerato solitario, deve essere
un brillante molto pregiato e che abbia una dimensione
considerevole, l’indice di rifrazione deve essere perfetto, lo
splendore e il gioco di luci ineccepibile.
Il gioielliere si girò nuovamente verso la cassaforte,
l’aprì, vi ripose i gioielli che aveva fatto vedere al cliente su
di un pianale, mentre la moglie apriva un’altra piccola
porta blindata di un contenitore interno togliendo da esso
un gioiello che già a quella distanza toglieva il fiato.
Nell’oscurità dell’armadio blindato sembrava essersi
accesa una luce ad illuminarlo, era il brillante che già con
la poca luce che lo circondava riusciva a mandare lampi di
luce stupenda.
- Ecco, questo è il nostro fiore all’occhiello – disse la
signora Huber - è il più bel solitario che abbiamo nella
nostra collezione. Ce ne sono anche di più grandi e più
belli, ma per Trieste, credo sia il più importante che si
53
possa trovare di questi tempi. D’altro canto per far fede al
nostro nome l’abbiamo preso e lo conserviamo
gelosamente.
Il marito prese dal piccolo vassoio l’anello con
delicatezza, come fosse un oggetto sacro e sollevatolo dal
suo supporto, lo infilò parzialmente sul dito della moglie.
- Vede signore, il massimo del suo splendore lo si
può apprezzare ponendolo al dito di una signora. Il
contatto con la pelle, il movimento della mano sono due
cose che fanno esaltare la bellezza di questo brillante.
Questo è un brillante purissimo tagliato con il modello
Amsterdam. La riflessione e quindi lo splendore e il gioco
di luci non temono confronti e rivali.
- Vedo, vedo – annuì Eugenio – effettivamente toglie
il fiato; la corona è grandiosa ed in rapporto a quelli che mi
ha fatto vedere questo deve avere almeno un carato e
mezzo. La montatura e favolosamente ricca ed esalta la
bellezza di questo gioiello. Adesso sentiamo le dolenti
note, il prezzo!
- Il cerchietto dell’anello è in platino, mentre il punto
dove viene incastonata la pietra è in oro bianco, molto più
duro e sicuro del platino. Il brillante è esattamente di un
carato e mezzo e proviene direttamente dal mercato di
Amsterdam dove è stato tagliato, molato e confezionato
da uno dei più noti e rinomati laboratori della città dei
diamanti.
- Se al signore potesse andar bene questo gioiello –
intervenne la signora Huber – cerca di vedere e fargli un
buon prezzo e così, in qualche modo, partecipiamo anche
noi al bellissimo avvenimento cui l’anello è destinato.
- Lo sai cara che il mercato è in continua crescita e i
prezzi volano, ma comunque cercheremo di venire
incontro al signore. Penso che potremmo proporre questa
meraviglia, tirando, tirando, al prezzo di 485.000 lire. Lo
so che è un prezzo impegnativo, ma anche il prezioso è
una cosa impegnativa, la sua unicità lo fa paragonare ad
un dipinto di famoso autore del settecento! Cosa ne dice
signore?
- Cerco di tirare il fiato, volevo qualche cosa di bello
per la mia futura sposa, ma non credevo costasse tanto.
Io sono esperto in materie dolciarie e conosco tutti i prezzi
di quei prodotti e dei suoi ingredienti, non certamente del
prezzo dei gioielli. Il valore di questo splendido anello lo
posso calcolare in più di un anno del mio lavoro!
- Sì indubbiamente è una grossa spesa, però deve
tener presente che oltre a fare oggi una splendida figura, è
pure un investimento. Il valore dell’anello cammina con
l’andare dei tempi e degli aumenti. La cifra che lei spende
54
oggi, mantiene nel tempo il suo potere d’acquisto in
quanto segue il mercato e non si svaluta come fanno le
banconote. In fondo sarà un bene di famiglia, una volta
sposi, e l’investimento di capitale è e sarà garantito. Ci
pensi!
Eugenio sembrava indeciso, il suo sguardo correva
dall’anello posto al dito della signora Huber a quei tre
anelli dell’esposizione precedente, che erano rimasti sul
banco. Si vedeva che lo sguardo si fermava sempre più di
sovente e per più tempo ad ammirare il solitario. C’è poco
da fare le cose belle piacciono a tutti, e si fanno notare!
- Senta signor Huber, ho intenzione di fare un colpo di
testa, opterei per il solitario.
Guardando l’orologio notò che il tempo era volato,
erano infatti oramai le undici ed alzando gli occhi verso il
signor Huber disse:
- Ovviamente non dispongo in tasca di una simile
somma, però alle undici e trenta ho l’appuntamento con il
signor Bonifacio, dell’omonima pasticceria, che deve
saldarmi una grossa fornitura effettuata dalla Ditta per cui
lavoro ai suoi laboratori. Se viene con me le faccio dare il
corrispettivo da lui. Che ne dice?
- Non ci sono problemi, il signor Bonifacio lo conosco
di fama, anche se non di persona, e so che la sua
solvibilità è indiscutibile. Cara, sistema l’anello in un
bell’astuccio e prepara la confezione per il signor.........a
sì a proposito non conosco nemmeno il suo nome e mi
serve per la compilazione del certificato di garanzia!
- Mi scusi nell’emozione del momento non mi sono
neanche presentato. Sono Ennio Rossi, ecco qui il mio
biglietto da visita.
Il signor Huber lo prese e lo lesse: BOTTA – Industria
Dolciaria – Milano – dott. Ennio Rossi – Direttore
Responsabile Amministrativo.
- Piacere dottor Rossi, ora capisco i suoi rapporti con
il signor Bonifacio, ma non ci sono problemi può passare
nel pomeriggio a ritirare la confezione e a saldare, con
comodo suo.
- Veramente andrei di fretta, nel primo pomeriggio ho
tanti impegni ancora qui in città e poi devo correre a
prendere il treno per rientrare a Venezia dove mi aspetta
la mia futura sposa, lei è nata e risiede a Venezia, e non
vorrei far tardi proprio oggi!
- Se è così, vengo ben volentieri con lei, facciamo
due passi e saremo puntuali al suo appuntamento con il
Signor Bonifacio. Prenda il pacchetto, le compilo il
certificato di garanzia ed andiamo. Tu cara rimani qui,
chiudi la porta dall’interno mi raccomando, stai attenta che
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non entri qualche male intenzionato. Sa dottore, di questi
tempi non si sa mai!
- Fa bene a dare questi consigli, d’altro canto anch’io
potrei essere un lestofante, per quel che ne sa.
- Dottor Rossi, cosa dice, le persone per bene si
vedono a prima vista, tant’è vero che mi ha dato pure il
suo biglietto!
- Mi fa piacere che la pensi così, anch’io devo stare
attento, perché i nostri rappresentanti pur di fare copie
commissioni e incassare le provvigioni, danno forniture,
anche rilevanti, a commercianti disonesti. Poi mi devo dar
da fare per recuperare i crediti! Per esempio, quando il
rappresentante di zona, otto mesi fa, mi presentò il primo
ordine del signor Bonifacio che consisteva, per avere un
ulteriore sconto sulla quantità, di una fornitura, con
consegne mensili, per un totale di cinquecentomila lire da
pagarsi alla fine del periodo, rimasi un po’ perplesso.
Assunte informazioni commerciali, presso i nostri istituti di
credito, mi assicurarono che la ditta era solida e
solvibilissima. Tant'è vero che oggi salda per intero la
fornitura!
Giunti in piazza Goldoni, l’attraversarono e atteso il
segnale di via libera da parte del vigile, passarono sul
marciapiedi opposto della via Carducci e giunsero davanti
alla porta della pasticceria.
Solita ressa, i clienti disposti su tre file che si
sbracciavano per essere serviti, il signor Bonifacio che
incassava velocemente per cercare di smaltire il più
possibile il lavoro. Essi erano vicino alla porta d’ingresso,
quando il pasticcere sollevò lo sguardo e vedendoli
esclamò a voce alta:
- Signor Rossi, le ho preparato tutto, un attimo solo
che finisco con queste clienti e le consegno
immediatamente quanto le devo.
- Grazie signor Bonifacio, io devo scappare, ma di
quelle cinquecento che mi deve, quattrocento e ottanta
cinque, le dia al signore che è qui con me. Nel primo
pomeriggio, quando riapre, passo a prendere il resto.
Grazie di tutto e spero che lei sia rimasto soddisfatto, ci
vediamo quanto prima per ulteriori ordinazioni. Buon
pranzo!
- OK! va bene! faccio subito e grazie a lei signor
Rossi, a ben presto rivederci.
- Faccia con comodo, signor Bonifacio, non ho fretta
– replicò il gioielliere – posso attendere, sono cose
delicate si sa!
- Signor Huber ancora grazie, soprattutto per la sua
competenza e le sue preziose informazioni. Mi ricordi
56
ancora alla sua gentile signora e spero di ben presto
rivedervi.
Eugenio mise il pacchetto nella sua inseparabile
borsa, porse la mano al felice e sorridente gioielliere in un
saluto di commiato ed uscì.
Erano le dodici e quindici minuti e a passo normale si
diresse lungo la via Carducci affollatissima e si confuse tra
la gente che andava avanti e indietro, da destra a sinistra
e viceversa come fossero delle formiche operaie attorno al
loro formicaio.
Giunse alla stazione, giusto in tempo per prendere il
biglietto per Padova, andare alla cassa del deposito
bagagli per pagare il sevizio, ritirare la valigia e salire sul
rapido che tra pochi minuti sarebbe partito in direzione di
Padova.
Questi ultimi minuti furono tremendi, nella
spasmodica attesa che il treno partisse, i minuti
sembravano ore e non passavano mai. La valigia sulla
retina e la borsa ben stretta al suo fianco, stava pensando
se il raggiro fosse già stato scoperto e cercava di
immaginare la faccia del signor Huber quando si era visto
consegnare quattrocento e ottantacinque pastine
assortite. La polizia era già stata chiamata? La denuncia e
le deposizioni erano già state redatte o gli interrogatori
erano ancora in corso? Queste le domande che
assillarono Eugenio.
Proprio in quel momento si udì la voce stentorea del
capostazione che diceva:
- In carrozza, signori, in carrozza. E’ in partenza dal
binario quattro il rapido per Monfalcone, Portogruaro,
Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Milano e Torino. In
carrozza, si parte!
Sbatterono gli ultimo sportelli ed il convoglio si mise in
moto
acquistando
pian
piano
velocità.....
Miramare.....Grignano.....Sistiana.....e via! Era fatta!
Eugenio sentì il bisogno di rilassarsi un momento, era
solo nello scompartimento, e chiusi gli occhi ripensò
all’ennesimo “affare” che aveva messo a segno. Tutto
liscio come l’olio, toccata, elaborazione improvvisa, e fuga,
questo era il suo segreto. Quanto poteva ancora andare
avanti così? Quante città rimanevano ancora da visitare?
Quante idee potevano ancora scaturire?
Era ora di finirla! Bisognava mettere la testa a posto!
Adesso c’era Rossella che era entrata prepotentemente
nella sua vita. Con lei non c’era posto per l’inganno, per i
raggiri, per le truffe. Ella era purezza, candore, onestà.
57
Ennio Rossi doveva sparire, finire di esistere,
cancellarlo dalla faccia della terra, Rossella non lo
meritava.
Eugenio Dalla Noce avrebbe, forse, potuto sperare di
meritarla, mettendo a frutto la sua laurea, trovare un
lavoro onesto, agli inizi anche mal pagato, ma che fosse
un trampolino di lancio per futuri miglioramenti. Anche
Eugenio era intelligente e avrebbe potuto mettere a buon
frutto la versatilità, l’estro, l’eclettismo, la poliedricità di
Ennio, ma a fin di bene, per farsi notare ed apprezzare dai
superiori sul posto di lavoro in modo da avere sempre più
responsabilità e fiducia.
Ennio Rossi sarebbe morto sicuramente e
definitivamente se alla stazione di Padova, Eugenio
avesse trovato Rossella ad attenderlo.
Il treno correva veloce, con il suo ritmico incedere che
sembrava voler cadenzare i secondi, i minuti, le ore del
viaggio.
Il passato si allontanava ed il futuro si avvicinava? Il
conflitto interno era intenso, Eugenio era fermamente
convinto di cacciare Ennio, ma quest’ultimo, ghignando,
ripeteva:
- Già non la troverai in stazione a Padova! Lei non ti
aspetta! Non si ricorderà neppure più di te! Ma chi è
Rossella? Cosa sai di lei? Ma cosa vuoi?
Ella deve studiare, laurearsi, andare a fare il medico
condotto vicino alla farmacia del padre.
E tu? Perché vuoi rinunciare ai grandi alberghi, ai
buoni ristoranti, ai posti di lusso che sei uso frequentare?
Perché? Per chi? Per cosa? Ma fammi il piacere ritorna in
te, non rammollirti.
- No Ennio! Io l’amo, ormai è tutto per me, voglio
cambiare, voglio essere una persona normale, anche
mediocre magari, ma poterle stare vicino e guardarla fissa
nei suoi splendidi occhi senza dovermi vergognare! Il
passato è tuo Ennio, il futuro è mio! Me lo merito e lo
voglio. Non voglio più fuggire. Spero di aver trovato lo
scopo della mia vita – ed incalzò - facciamo una cosa, una
scommessa, un patto tra di noi: se Rossella sarà a
Padova ad aspettarmi, capirà ed accetterà il mio amore, tu
te ne andrai per sempre, sparirai dalla mia vita e non ti
vorrò più vedere né sentire. Se il mio amore non si farà
vedere, allora tornerai a convivere con me, per dannarmi e
portarmi in quell’inferno che tu rappresenti.
- Ci sto! Lo so, come sempre vinco io e la tua anima
mi apparterrà ancora. Tu sei fatto ormai della mia pasta e
nulla e nessuno riuscirà a redimerti.......nemmeno
58
“l’amore”. E scomparve dalla mente di Eugenio
sghignazzando.
Quando riaprì gli occhi, venne ferito dalla luce del
sole che entrava dal finestrino. Probabilmente era rimasto
parecchio tempo con le palpebre abbassate. Guardò
l’orologio e vide che erano le quattordici e dieci minuti. Tra
pochi minuti avrebbe dovuto esserci la fermata alla
stazione di Portogruaro.
Aprì la sua borsa, vide il pacchetto della gioielleria in
fondo ad essa, lo toccò e ripensò allo splendore che esso
conteneva. Tolse dalla borsa un giornale di Enigmistica
che era solito tenere per usarlo quando aveva voglia di
impegnare la mente con qualche cosa che non l’avesse
fatto pensare ad altro. Prese dalla tasca interna della
giacca una penna e, aperto il giornale incominciò a
leggere le definizioni del primo cruciverba che gli era
capitato sotto gli occhi.
Il destino continuava a giocare con lui ed i suoi
sentimenti. Dopo aver risolto alcuni incroci orizzontali e
verticali, al sette verticale, formata da sei lettere, trovò la
definizione “Città veneta il cui Santo Patrono è Antonio”
Padova naturalmente! e più avanti “Il nome della O’Hara,
protagonista di via col Vento” Guarda caso, “Rossella”.
Sembrava che tutto si mettesse a complottare con lui o
contro di lui, che tutto cercasse di pungolare la sua
sensibilità o ferire le sue emozioni. La cosa lo lasciò in uno
stato di prostrazione, sembrava quasi che le forze lo
avessero abbandonato, si sentiva un sacco vuoto. Un solo
pensiero lo sosteneva, il dolce volto di Rossella
unitamente alla speranza di poterla abbracciare per urlarle
il suo represso amore, che voleva, prepotentemente
uscire all’aperto e manifestarsi in tutta la sua pienezza e
grandezza alla sua amata.
Erano le tre, quando il treno ripartì dalla stazione di
Mestre, ultima tappa prima di Padova, ultima tappa verso
il tanto desiderato cambio di vita, ultima tappa verso la
felicità, ultima tappa per chiudere l’oscuro oggi e riaprire
un radioso domani.
Eugenio si sentì addosso una serenità e una calma
che non riusciva a comprendere. Avrebbe dovuto essere
ansioso, fremente, agitato nel dubbio e nell’incertezza del
suo incontro con Rossella. Avrebbe o non avrebbe scorto
dal finestrino del treno che si fermava la sua amata. Forse
non sarebbe stato facile distinguerla tra la massa di
viaggiatori che si sarebbero assiepati sulla pensilina.
Invece no! il suo inconscio lo stava rassicurando, gli
59
infondeva non la speranza, ma la certezza di
quell’incontro. Una volta nella vita sarebbe dovuto
giungere anche per lui il momento felice. A 31 anni
avrebbe iniziato tutto da capo, onestamente, a fronte alta,
una vita meno agiata sicuramente, ma più vera, più pura,
abbandonando le falsità, le futili e frivole apparenze che
l’avevano sino ad ora accompagnato.
Cosa aveva costruito sinora? Nulla, solo soldi,
parecchi anche, ma, come venivano così se ne andavano.
La vita lussuosa e le apparenze di facciata costano care!
Ora si trattava di cercare un lavoro, non sarebbe stato
facile, data l’età ed il non poter vantare precedenti
lavorativi, ma la sua laurea e, comunque, la sua
esperienza, avrebbero sopperito alla carenza.
Milano, sì Milano! ecco il posto giusto per
ricominciare, chi ha voglia di lavorare sodo e non ha paura
delle fatiche, trova sempre la sua giusta collocazione e la
possibilità, in breve tempo, di avanzare, di migliorare, di
crearsi spazi sempre più grandi sia in ambito lavorativo
che nella scala sociale. Milano, tra l’altro, era una città che
non aveva mai visitato nei suoi precedenti “lavori” e
pertanto non avrebbe avuto l’assillo e la paura di essere
riconosciuto da qualche suo “cliente”.
Guardò l’orologio, erano le 15.38 minuti, il treno
probabilmente stava per arrivare alla stazione di Padova.
Si alzò, tolse dalla retina la sua valigetta che sistemò
accanto alla borsa ed abbassò il finestrino per vedere se
si vedesse la città in lontananza.
Padova era abbastanza vicina, un paio di minuti e il
treno sarebbe entrato nella stazione. La calma che lo
aveva accompagnato durante il viaggio cominciava ad
abbandonarlo, una stretta allo stomaco si faceva sentire,
quasi,dolorosa.
- Rossella ci sarai o non ci sarai? Riuscirò a
scorgerti subito oppure dovrò cercarti ansiosamente tra la
folla?
Il treno si avvicinava e l’ansia saliva, aveva già
raggiunto la gola, un nodo gliela serrava.
La corsa del treno rallentò ed Eugenio, chiuso il
finestrino, uscì con il suo bagaglio nel corridoio e, vicino
allo sportello del vagone, aprì nuovamente il finestrino. Si
affacciò.
Il treno stava entrando e si notava, ancora in
distanza, la gente assiepata sulla pensilina. Egli cominciò
a scrutare alla spasmodica ricerca di un qualche cosa che
gli facesse riconoscere Rossella.
- Il destino, le premonizioni, le visioni, i sogni esistono
– disse tra sé e sé.
60
Dalla massa di persone vide stagliarsi, quasi ad
uscire da essa, la silhouette di una ragazza..............
vestita con un vaporoso, leggero vestito rosa.................se
la folla fosse stato un prato di tenera erbetta verde e lui
fosse stato appoggiato al tronco di un albero e non al
finestrino di un treno, avrebbe rivissuto il suo sogno di
venerdì sera mentre si stava rilassando nella vasca da
bagno dell’Hotel de la Ville.
Il treno si avvicinò, sempre più lentamente. I suoi
occhi rimasero fissi su quella figuretta rosa.
- Sì, sì. sì è lei!
Cominciò ad agitare il braccio a mo’ di richiamo, vide
lo sguardo della ragazza che, ansiosa, cercava tra le
decine di braccia ondeggianti, di rintracciarlo. Il treno si
fermò, gli sguardi si intrecciarono, lei sorrise, lui scese e
un altro sogno si stava avverando, quello fatto al tavolino
del bar di Barcola..........
Rossella
gli
corse
incontro
gridando:
–
Eugeniooooo....... . Con le braccia tese, lo raggiunse, lo
strinse ed appoggiò la guancia sulla sua spalla.
Questa volta non era un sogno, ma una stupenda
realtà ed egli non ebbe paura di staccarla da sé per timore
di vederla svanire. Lo fece, lentamente, e fissandola diritto
negli occhi, appoggiò le labbra sulle sue, dolcemente,
cercando di trasmettere quel profondo sentimento che
scaturiva dal suo cuore.
Rossella si abbandonò, stringendo ancor di più le
spalle di Eugenio. Il bacio durò a lungo, fintanto ché le due
guance si unirono in una calorosa testimonianza d’affetto.
Ella gli sussurrò all’orecchio: - La sera scorsa sei
stato cattivo! Perché dopo avermi detto che credevi di
amarmi. hai chiuso il telefono?
- Rossella, amore mio, ho avuto paura della tua
risposta, mi sembrava impossibile che una cosa così bella
potesse capitare a me.......invece....
- Stupidone, non ti eri accorto che giovedì, quando ci
siamo lasciati in questa stessa stazione, ero scappata via
piangendo...........Ho passato, fino alla tua telefonata, dei
momenti terribili, ero certa che per te fosse solo un
diversivo ai tuoi continui viaggi in treno e basta, invece per
me..........
- Certo che sì! mi ero accorto! Però anch’io ho avuto
le tue stesse paure. Ma tutto ciò non ha più importanza,
ora siamo qui, uno accanto all’altra per non lasciarci più!
Si staccarono dall’abbraccio, egli la prese sotto
braccio e con il bagaglio nell’altra mano si avviarono verso
l’uscita. Fatti due passi, Eugenio si fermò, si girò verso un
gruppo di persone e disse:
61
- Ciao Ennio, buona fortuna a te, io ne ho avuta tanta,
non ci rivedremo più!
- Con chi stai parlando? Chi saluti?
- Oh! niente, è stato un mio compagno di viaggio,
abbiamo tanto parlato e discusso, opinioni divergenti,
succede, ed ora ognuno per la sua strada. Io la mia l’ho
trovata, accanto a te! Adesso usciamo e tu mi farai da
Cicerone. Andiamo, prima di tutto, in un bar a prendere
qualche cosa per celebrare e festeggiare questo splendido
momento. Mi sento felice, sono al settimo cielo!
- Oh! caro, sono tanto felice anch’io. Non so chi sia
questo Ennio che hai salutato, ma se non la pensa come
te, hai fatto bene! I tuoi modi, i tuoi gesti, i tuoi pensieri, i
tuoi sentimenti sono così buoni e gentili che chi non ha le
tue prerogative non può aspirare ad esserci amico.
62
Capitolo 6
Uscirono dalla stazione, sempre a braccetto,
lentamente quasi a voler fermare il tempo e rimanere così
in questa prima, dolce realtà.
Lui tolse il braccio da quello di Rossella per prenderla
delicatamente e affettuosamente, cingendole le spalle.
Automaticamente lei, con il braccio liberato, prese lui
intorno alla vita. Il contatto era migliore e loro si sentirono
bene, tant’è che lei chinò leggermente il capo sino ad
appoggiarlo sulla sua spalla.
Camminarono in silenzio, con i loro pensieri, con i
loro sogni, quasi timorosi di rompere quell’incantesimo.
Fatta alcune centinaia di metri arrivarono davanti ad un
bar dove, all’esterno, contornato di fioriere con piante
verdi piuttosto alte, c’era un delizioso angolino con dei
tavolini.
Si sedettero, uno accanto all’altra, ed Eugenio chiese:
- Cosa prendi cara?
- Non so, e tu di che cosa hai desiderio?
- Sono ormai le 16.20 ed io, a parte la colazione di
stamattina, non ho preso nulla. Credo che prenderò, se ce
l’hanno, un buon toast o un panino ed una birra. E tu hai
fame?
Sorridendo Rossella confermò: - Sì adesso ho fame
anch’io. Per l’emozione, la paura di far tardi in stazione,
tutta la situazione insomma, al cibo non ci ho nemmeno
pensato ed anch’io sono praticamente digiuna da
stamattina.
Il cameriere arrivò, salutò i due piccioncini e con un
blocchetto in mano si rivolse loro:
- Prego signori, cosa posso servire?
- Si potrebbe mangiare qualche cosa? Non abbiamo
fatto colazione ed abbiamo un po’ di appetito. Magari dei
toast o dei panini..........
- Abbiamo anche il servizio di cucina, ma a quest’ora,
per quanto riguarda i primi piatti, è chiusa. Comunque oltre ai
toasts ed ai panini, se avete piacere, posso servirvi una
bistecca con insalatina, una milanese con patate fritte oppure
dell’arrosto di vitello con i piselli, oltre, s’intende, il dessert.
- Ottimo, allora cosa prederesti Rossella?
- Mi è venuta una gran fame, gradirei una bella
bistecca ai ferri.
63
- Benissimo, allora ci porti due grosse bistecche ai
ferri con l’insalatina, un po’ di vino rosso e dell’acqua
minerale. Grazie!
- Grazie a lei signore, il tempo di accendere la piastra
e le bistecche sono pronte. Le preferiscono al sangue, cotte
o ben cotte? Le gradiscono con qualche salsetta
d’accompagnamento?
- Per me leggermente al sangue e se ci sono delle
salsette piccanti le gradirei. Tu Rossella come vuoi la carne?
- Anche per me uguale, grazie.
- Vado e torno, con permesso, signori.
Eugenio prese le mani di Rossella e le strinse
dolcemente tra le sue:
- Devo toccarti perché temo di essere ancora in un
sogno. Da quando ci siamo salutati a Padova prima che io
andassi a Trieste, quattro o cinque volte ti ho rivista nei miei
pensieri, anche di giorno, per strada, seduto al tavolino di un
bar. Dapprima apparizioni fugaci del tuo volto sorridente, poi
sempre più lunghe ed insistenti ed è li che ho capito che tu
ormai facevi parte di me, che non dovevo e non volevo
perderti, che eri diventata lo scopo della mia vita. Ho giurato
che se oggi ti avessi ritrovata alla stazione, come grazie a
Dio è avvenuto, avrei cambiato tipo di vita e di lavoro. Ho
giurato che non avrei più fatto l’uomo d’affari in giro per
l’Italia, ma che avrei trovato un lavoro fisso in modo da
poterti stare vicino.
Eugenio vide i begli occhioni di Rossella lucidi lucidi e
dall’angolo uscire una lacrima che, lentamente, scendeva
lungo la guancia.
- Io pure da quando ci siamo lasciati, non ho più
toccato un libro, ho pianto tanto dalla paura di non rivederti
più. Le mie due compagne d’appartamento, hanno cercato di
consolarmi dicendomi che se tu fossi stato solamente la
metà di quello che io ti avevo descritto loro, entro brevissimo
tempo ti avrei rivisto, altrimenti voleva dire che non mi
meritavi.
La ragazza scoppiò in un pianto liberatore che era
pure di gioia, ritrasse le mani per prendere dalla borsetta un
fazzolettino. Eugenio la prese per le spalle e l’avvicinò a lui e
facendole appoggiare la fronte sulla sua spalla, cominciò ad
accarezzarle i capelli lentamente e dolcemente in un gesto
d’affetto, liberatorio e di conforto.
Arrivò il cameriere con il vino, l’acqua minerale e le
insalate, si fermò un attimo:
- Posso?........ Su signorina si vede tre ore lontano
che sono lacrime d’amore, forza, tiri un bel sospiro e coccoli
questo fortunato giovanotto. Dopo mangiata la bistecca il
64
mondo lo vedrà sotto un’altra luce e scapperete via verso la
felicità. Tanti auguri!
Rossella, si asciugò gli occhi e accennò un sorriso al
cameriere guardando, con gli occhi rossi, il suo
bell’innamorato.
- Basta piangere! D’ora in poi solo allegria e risate, il
brutto è passato, il temporale è finito, la tempesta è stata
breve. D’ora in poi il sole radioso illuminerà la nostra vita.
OK? Promesso?
- Quanto sei dolce e comprensivo, mi sento
veramente felice e soddisfatta, oggi è un giorno che rimarrà
scolpito nel mio cuore come il giorno più importante della mia
vita. Il giorno in cui ho capito e scoperto che il Vero Amore,
quello con la “A” maiuscola esiste veramente ed io sono
stata prescelta dal Signore per questa grande felicità, per
questa gioia immensa.
Si avvicinò a lui e gli diede un dolce bacio, ricambiato
con la stessa dolcezza.
Eugenio versò un po’ d’acqua minerale nei due
bicchieri:
- Beviamo un sorso, ci tirerà su lo spirito, dopo di che
un sorso di vino ci metterà addosso la giusta allegria per
finire bene la giornata.
In quel momento giunse il cameriere con le due belle
bistecche fumanti e nel servirle disse:
- Mi sono permesso di aggiungere sopra la bistecca
un croccante uovo “all’occhio di bue”. Vedrete dopo questo
pasto avrò il piacere di leggere la serenità sui vostri volti.
Veramente........ buon appetito!
- Grazie – risposero all’unisono – che belle, che
bell’aspetto, che invitanti, senti che profumo........all’attacco!
Quando la fame, unita all’emozione e alla felicità si
sommano, il mondo circostante sparisce e la battaglia
ingaggiata con la forchetta ed il coltello affondati nello
spessore della carne diventa la cosa principale in quel
momento e assaporare il cibo in una lenta masticazione
diventa un rito.
Giunti che furono a metà della bistecca, si guardarono
negli occhi e in un sol colpo si misero a ridere, sempre più
intensamente e simultaneamente in un crescendo che
terminò con un grosso sospiro e un rilassamento di tutto il
corpo adagiato sullo schienale delle seggiole. Il ghiaccio era
rotto, le ansie erano passate, i tormenti ed i crucci pure. La
serenità e la gioia, finalmente, si erano impadronite dei due
giovani amanti che, riprendendo la conversazione, finirono il
loro pasto pomeridiano tra sorrisi e battute scherzose.
- Che cosa hai deciso di fare Eugenio, riparti oggi o ti
fermi per un po’?
65
- Veramente pensavo di ripartire oggi, però essendo
domani domenica, anche se andassi a casa, non potrei
sbrigare le mie incombenze. Partirò domani pomeriggio, sei
contenta?
- Felice, non contenta, così potremo stare insieme
ancora una giornata.
- OK! approvato, adesso pago il conto e andiamo a
cercare un alberghetto dove sistemarmi per questa notte,
che sia relativamente vicino alla tua abitazione così domani
ci potremo vedere presto.
- Ma che alberghetto, ti prego! Nell’appartamento, che
divido con le altre due ragazze, in soggiorno c’è un divano
letto che, alternativamente, usiamo quando vengono a
trovarci i rispettivi genitori. Ora è libero perché non abbiamo
nessuno. Parlo io con le ragazze, così avrò anche il piacere
di presentarti alle mie compagne di studi.
- Non vorrei disturbare, in primo luogo, e poi non
vorrei che le male lingue dei vicini avessero a dire che porti
un uomo in casa. Per la tua reputazione e quella delle tue
amiche.
- Non pensarci minimamente, se alle mie amiche va
bene, deve andare bene a tutti.
Pagato il conto, con i ringraziamenti e gli auguri del
cameriere, Rossella ed Eugenio ripresero il cammino lungo
le vie di Padova per recarsi all’abitazione di lei. Strada
facendo, passarono dinanzi allo storico “caffè Pedrocchi” e
Rossella glielo fece notare.
- Ne avevo tanto sentito parlare, ma non ho mai avuto
l’occasione di visitarlo, vuol dire che domani andremo a
prendere l'aperitivo prima di pranzo e così l’ammirerò.
Girato l’angolo, fecero alcune centinaia di metri ed
arrivarono davanti la casa in cui le ragazze avevano affittato
l’appartamento. Via Mantica n° 3. Un bel palazzo d’epoca,
una casa signorile in centro. Di fronte sorgeva l’imponente
palazzo della Sede Centrale della Cassa di Risparmio di
Padova.
- Eccoci arrivati, noi abitiamo al terzo piano. Suono il
campanello per annunciare, se sono in casa, che stiamo
arrivando.
Preso l’ascensore giunsero al pianerottolo e una bella
brunetta era sulla soglia aperta dell’appartamento che li
attendeva.
- Ciao Gisella, siamo noi! Eugenio, questa è la mia
compagna Gisella Moro, che fa il quarto anno di architettura
e questo è il mio........ amico, Eugenio Della Noce che fa
l’uomo d’affari. C’è anche Fulvia?
- No, non ancora, ma dovrebbe rientrare tra poco.
Molto lieta Eugenio, Rossella ci ha parlato tanto di lei che mi
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sembra di conoscerla da una vita. Però, complimenti
Rossella, è veramente un bel ragazzo, avevi ragione!
Eugenio, sorridendo, disse: - Mi sarebbe piaciuto
poter sentire cosa vi raccontava di me la mia Rossella,
certamente avrà esagerato.
- Ah! ma allora è vero – incalzò Gisella - ....la mia
Rossella......allora ci siamo! Le speranze, i desideri, i sospiri,
le ore insonni di Rossella hanno funzionato. E’ sbocciato, è
nato, è fiorito il grande amore.
Gisella, corse incontro a Rossella, l’abbracciò forte
forte, quasi gridando esclamò:
- Sono felice per te, tanti e tanti auguri, che tutto
possa filare liscio per entrambi e che l’amore non vi
abbandoni mai. Venga Eugenio, venga qui, che possa
abbracciare tutti e due.
Quando Eugenio si avvicinò e tutti e tre commossi
erano abbracciati, si aprì la porta ed apparve Fulvia, che
restò immobile e attonita sulla soglia.
- Cosa succede qui? Cosa si festeggia? Chi è quel bel
ragazzo? Perché vedo occhi lucidi? Volete spiegarlo anche
a me?
- Fulvia, cara amica mia, ti presento Eugenio, il mio
ragazzo, avevi ragione tu! E’ venuto da me e mi vuole tanto
bene........anche di più!
- Ohhh! finalmente, se non veniva lei qui a Padova,
sarei venuta io a cercarla, non ne potevamo più........Eugenio
di qua, Eugenio di la, tutto il giorno, ieri, non parlava che di
lei, di com’era, di come parlava, della sua cultura, della sua
eleganza, del suo aspetto, degli occhi, delle mani.......
sembrava che nell’appartamento fossimo in quattro, come
adesso. Comunque, devo dire che Rossella aveva ragione,
l’ha descritta perfettamente e ne sono contenta per la mia
amica e anche per lei Eugenio, Rossella è una gran brava
ragazza!
- Ragazze mie, mi sento imbarazzato! Nel lavoro che
facevo ho dovuto affrontare situazioni impreviste di tutti i tipi,
ma mai mi sono trovato così, assalito da lodi e complimenti
che, in fondo in fondo non credo di meritare.
Rossella stringendosi al braccio di Eugenio si rivolse
alle sue amiche:
- Sapete lui ha deciso di cambiare lavoro per potermi
stare più vicino e non assentarsi in viaggi per l’Italia che,
anche se per un paio di giorni, l’avrebbero tenuto lontano da
me. Anche questo è amore! Ma hai deciso cosa farai?
- Sì, lunedì mattina, dopo sistemate alcune cose a
Livorno, partirò per Milano dove mi attendono alcuni colloqui
di lavoro per scegliere quello che più si adatterebbe al mio
carattere ed al mio modo di pensare e, perché no, anche al
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migliore dal punto di vista economico. Tutto questo avverrà
se Rossella mi promette formalmente di riprendere lunedì gli
studi e laurearsi nei tempi previsti. Dopo di che si potrà
pensare e decidere la data del matrimonio ed il suo
trasferimento nella città in cui prenderò servizio che non è
detto debba essere necessariamente Milano.......... Ah!
sempre che lei voglia sposarmi, ben inteso!
Rossella rimase muta, con la bocca semi aperta, con
gli occhi sgranati e lucidi dall’emozione, quasi incredula nel
sentire una dichiarazione pronunciata dinanzi a delle
estranee, anche se amiche, come fosse una cosa scontata e
già nota al mondo intero.
- Evviva, evviva – gridarono Gisella e Fulvia – noi
vogliamo essere le damigelle di Rossella e tenerle ben
sollevato il lungo velo a strascico accompagnandola
all’altare.
Fulvia, presa dall’eccitazione, si rivolse agli
innamorati:
- Su, datevi un bacio d’impegno, di vincolo, di patto e
di promessa che sancisca la vostra unione!
Rossella si volse lentamente verso Eugenio con un
sorriso radioso, un po’ rossa in viso, trattenendo il respiro si
fece abbracciare e baciare dal suo uomo.
Il bacio durò a lungo, tanto che le amiche si girarono
per non invadere la privacy dei due innamorati e si
allontanarono dirigendosi verso le rispettive stanze, quando
la voce di Eugenio, leggermente affannata le chiamò:
- No! vi prego non andatevene, il momento è solenne
e come tutti i momenti solenni deve essere ufficializzato in
tutti i suoi aspetti, anche con i testimoni.
Le ragazze si fermarono, si girarono, pur rimanendo
stupite e distanti, mentre lui si rivolse alla sua amata
prendendole teneramente il viso tra le mani:
- Rossella vuoi sposarmi?
- Certo che sì! Lo voglio con tutto il mio cuore e tutta me
stessa!
Eugenio le diede un leggero bacio, l’allontanò da lui e
andò vicino al divano dove aveva appoggiato la valigia e la
borsa. Presa quest’ultima, l’aprì, vi infilò la mano e trasse la
scatoletta finemente confezionata dalla signora Huber.
Sciolse il fiocchetto, tolse la carta ed aprì la scatoletta:
- Rossella, accetta questo anello in pegno del mio
amore con la promessa che mai ti deluderò, mai ti
abbandonerò e che cercherò, nel limite delle mie possibilità,
di non farti mancare nulla, per tutta la vita.
Aprì l’astuccio ed apparve quella meraviglia d’anello
che esso conteneva. Rossella si mise a piangere senza
freno non riuscendo ad emettere alcun suono dalla gola
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strozzata dalla sorpresa, dall’emozione, dalla gioia. Le
amiche lanciarono un urlo:
- Dio mio! – gridò più forte Fulvia - Rossella, guarda, è
pazzesco, è immenso, è di uno splendore, una lucentezza,
una luminosità, un fulgore grandioso. E’ l’anello per una
regina!!!
Eugenio prese l’anello e delicatamente lo infilò
all’anulare della mano tremante di Rossella che, dopo averlo
ammirato al dito per qualche istante si avvinghiò al collo di lui
sussurrando:
- Matto! pazzo! che cosa hai fatto! avrai speso una
fortuna!
Non
dovevi,
..........bastava
un
piccolo
segno,............. per me sarebbe già stato una cosa
grande........ma questo è un anello principesco! Devo
chiamare i miei genitori e raccontare loro cosa è successo,
così all’improvviso.......... Mia madre, alla notizia, o andrà in
svenimento o farà salti di gioia, chissà? Comunque vorranno
conoscerti!
- Sicuramente, è logico, ma con calma ti prego. Ora tu
devi pensare a finire gli studi, io devo sistemare parecchie
cose, dopo di ché farò volentieri la loro conoscenza, magari
durante una bella festa in famiglia per ufficializzare il
fidanzamento e decidere assieme la data delle nozze. Va
bene così?
- Sì, sì, va bene, sono ancora tutta agitata, non posso
credere che sia io la fortunata. Ma pensate, amiche mie, che
fortuna essere andata a casa ed essere rientrata proprio quel
giorno che Eugenio era in viaggio nella stessa direzione. Il
destino, c’è poco da dire, ha un ruolo importante nella vita di
ognuno di noi.
L’atmosfera, da tesa ed emotiva che era, si stava
rasserenando. Bisogna dire la verità, Gisella e Fulvia erano
veramente delle amiche sincere che avevano partecipato
affettuosamente e con gioia alla felicità della loro compagna
Rossella. Si sedettero nel soggiorno mentre Eugenio rivolto
alle tre fanciulle disse:
- Ci vorrebbe dello champagne per brindare, ma in
mancanza, anche un bel bicchierone di acqua minerale
andrebbe bene, forse anche meglio perché l’alcol non
sempre aiuta. Ne avete?
- Sì, ma c’è anche Coca Cola e aranciata, basta
l’imbarazzo della scelta – disse scherzando e ridendo Gisella
– vado di là a prendere le bottiglie ed i bicchieri.
Ritornata che fu con le bibite, Fulvia si alzò in piedi
esclamando:
- Non accetto discussioni! Ormai è ora di cena.
Scendo dabbasso in pizzeria, a prendere quattro belle pizze
e quattro dolci ché dobbiamo festeggiare.
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- Ma Fulvia, sempre così generosa tu – rispose
Rossella - semmai dovremmo essere noi ad offrire. Piuttosto
ragazze volevo chiedervi una cosa, posso far restare
Eugenio, solo per questa notte, sul divano dato che è libero?
- Ci mancherebbe altro! – esclamò Gisella – se non lo
chiedevi tu, te l’avrei proposto io. Voi non offrite nulla, siete i
festeggiati, gli ospiti d’onore, anche se tu Rossella paghi la
quota di pigione di questo appartamento! Poi ci vuole un
uomo che protegga e sorvegli quel tesoro che porti al dito –
disse sorridendo.
La serata passò in allegria e le ore trascorsero in men
che non si dica, allorquando udirono in distanza i rintocchi di
un orologio di qualche campanile che scandivano le 23.
Controllando l’orologio da polso, Eugenio confermò
l’ora e propose di andare a riposare. Chiese riscontro ad un
suo programmino per l’indomani:
- Dopo colazione, domani mattina, Rossella ed io
potremmo andare un po’ a zonzo per Padova. Appuntamento
con voi ragazze alle 12.45 al Caffè Pedrocchi per prendere
l’aperitivo e potervi salutare con a un ben presto rivederci.
Poi nel primo pomeriggio prenderò il treno per Firenze e da lì
a Livorno. OK? approvato?
In un consenso generale si scambiarono la buona
notte e andarono a dormire.
La domenica mattina trascorse fin troppo velocemente
per i due innamorati. Dopo aver bevuto, assieme a Gisella e
Fulvia, l’aperitivo promesso, Eugenio salutò cordialmente le
amiche e con Rossella si avviò lentamente verso la stazione
per prendere quello stesso treno rapido che, il giorno prima,
l’aveva condotto al punto di partenza della sua nuova vita.
Per i due innamorati il tempo passava tanto
velocemente che le 15.45 giunsero in battibaleno. Un ultimo
bacio appassionato sul fischio del treno che stava
muovendosi, un salto sul vagone con il suo bagaglio urlando:
- Domani ti chiamo e ti so dire come prosegue il tutto.
Studia mi raccomando!
- Te lo giuro! Voglio fare una bella laurea, per te! Te lo
meriti! A presto amore!
Il treno prese velocità mentre gli occhi, sempre più
lontani, si cercavano in un disperato tentativo di non perdere
l’immagine.
Eugenio s’incamminò lungo il corridoio alla ricerca di
uno scompartimento vuoto. Aveva bisogno di pensare, di
riflettere, di progettare, di programmare e non voleva essere
disturbato da qualche viaggiatore chiacchierone.
In uno scompartimento vide seduto un prete da solo
che leggeva un grosso volume con la copertina nera, entrò:
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Buongiorno reverendo, posso?
- Good morning, sir, sit down please.
- Thank you very much, but J am sorry, my English is
not so good. Is scholastich English!
- Never mind! J am reading!
- Ottimamente - pensò Eugenio – ha detto che non
importa, che sta leggendo. Potrò chiudere gli occhi e
riflettere sui miei programmi, in silenzio ed avere la mente
concentrata.
Si sedette comodamente, dopo aver sistemato la
valigia e la borsa sulla retina. Per un attimo guardò fuori dal
finestrino lo scorrere veloce dello stesso paesaggio visto
quattro giorni prima ma nell’altro senso di marcia.
Appoggiata la testa sullo schienate, chiuse gli occhi.
Per un momento pensò che doveva essere come Giuseppe
Nardi, il fabbricante di salumi, che dormiva nell’angolino della
carrozza.
Solamente che Nardi dormiva perché era stanco del
lavoro, mentre Eugenio non dormiva affatto, teneva gli occhi
chiusi per riflettere meglio e non essere distratto dalle visioni
che lo circondavano.
La prima cosa da farsi, l’indomani mattina, era
regolarizzare la sua posizione con il sig. Huber! Non poteva
assolutamente cominciare la nuova vita con un raggiro.
L’anello che aveva donato a Rossella doveva essere puro e
onesto e non frutto della passata vita. Dell’esistenza di Ennio
che aveva allontanato, anzi, cacciato da lui definitivamente
non doveva restarne traccia!
L’unica cosa da fare era andare nella sua banca,
prelevare il prezzo pattuito per l’anello, andare in un ufficio
postale e fare un vaglia telegrafico a favore dell’Oreficeria
Huber di Trieste e quale mittente indicare Ennio Rossi –
Milano – e nello spazio riservato alle comunicazioni del
mittente avrebbe scritto: Saldo fornitura anello. Erano buone
le pastine? Scusi l’accaduto! Ennio Rossi (oggi morto)
Prelevando le 485.000 lire, poco contante gli sarebbe
rimasto, avrebbe quasi prosciugato il conto corrente. Meglio
così, d’ora in poi i soldi versati sarebbero stati soldi onesti,
frutto di un lavoro che lo avrebbe impegnato
quotidianamente, faticosamente: pranzi nella mensa
aziendale; spostamenti in tram o al massimo in macchina;
niente più abiti di grandi sarti e biancheria d’alta moda con
scarpe rigorosamente di Varese, cravatte in pura seta. Non
più Grand’hotels, ristoranti con maitre e sommelier. Senza
rimpianti! Finalmente una vita serena! Una famiglia, uno
scopo nella vita, una moglie affettuosa da amare e
proteggere e, chissà ............. dei figli da crescere!
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Viva l’onestà, viva la vita , viva la felicità e l’amore.
Con questa frase, ben stampata in mente, Eugenio cedette
al sonno ristoratore e rivitalizzante che l’avrebbe condotto, al
suo risveglio, ad intraprendere assieme alla sua Rossella il
duro, ma felice ed onesto cammino della vita:
Capitolo 7 – la conclusione
Siamo il 7 Giugno 1985, sono trascorsi 34 anni dal
giorno in cui Eugenio conobbe Rossella e poco più di 31 anni
dal loro matrimonio. Eugenio ha 65 anni e Rossella 59, sono
sposi felici, genitori altrettanto felici e da tre mesi anche
nonni, ancor più felici!
Eugenio, tra un paio di mesi, andrà in pensione per
raggiunti limiti di età.
La sua visita a Milano del 11 giugno del 1951 ebbe
esito positivo e, guarda caso fu assunto in un’industria
dolciaria che non era la Botta, di cui Ennio presentava i
biglietti da visita, ma una altrettanto importante in campo sia
nazionale che mondiale. Essendo laureato in giurisprudenza,
iniziò presso l’ufficio legale della Ditta quale responsabile del
recupero crediti, ma ben presto date le sue doti innate per il
mondo degli affari, passò nell’amministrazione e salendo la
scala
gerarchica oggi è
“Direttore Responsabile
Amministrativo”.
Chissà se il destino gli aveva riservato questo
privilegio quale premio per la sua abilità o a monito e ricordo
di un passato che Eugenio era stato capace di ripudiare per
amore della sua Rossella. Non lo sapremo mai!
Rossella, aveva presento la sua tesi nei tempi
prefissati e si era laureata a pieni voti tra i complimenti del
relatore e del corpo accademico che ritenne di assegnare la
“menzione” all’opera trattata sia per la perfezione della
ricerca sia per l’argomento impegnativo.
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Verso la fine del 1953 si unirono in matrimonio nel
duomo di Arezzo e Rossella si trasferì a Milano. Data la sua
particolare tesi di laurea, ebbe facilità di entrare nel locale
policlinico dove, ora, ricopre la carica di aiuto primario.
Nacquero due figli di cui uno, il maggiore, nel 1982
convolò a giuste nozze ed ora ha fatto diventare nonni i due
innamorati del 1951.
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Questa storia vuol far evidenziare come “le
apparenze ingannano”. Apparentemente Ennio era una
persona per bene, in realtà era un lestofante. L’episodio
raccontato, di cui tratta la parte centrale di questo
racconto, è realmente accaduta anche se i nomi dei
personaggi, i luoghi e i tempi sono stati parzialmente e
volutamente distorti per romanzare l’episodio. In realtà il
colpo messo a segno è stato fine a sé stesso e
certamente il povero gioielliere fu abilmente raggirato e
non fu certamente risarcito da un Eugenio ravveduto. E’
bello pensare però e sperare che anche tanti altri Ennio
vengano sostituiti da tanti altri Eugenio e che il bene e
l’amore trionfino sul male.
Prendiamo tutti come impegno che “le apparenze non
devono più ingannare” e il domani per i nostri figli, nipoti e
pronipoti e così via per secoli e secoli, sia sereno, felice,
fulgido, e che il “Male”, scusate, Ennio non possa mai più
dominare l’Eugenio del momento.
LA REALTA’ E’ EUGENIO
L’APPARENZA.......ERA ENNIO
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LE APPARENZE INGANNANO Capitolo 1