LE APPARENZE INGANNANO Capitolo 1 Siamo agli inizi degli anni ’50 e la nostra storia ha inizio a Livorno, città natale del nostro personaggio, mentre si accinge a partire per uno dei suoi frequenti viaggi.. Eugenio Della Noce è un uomo d’affari di 31 anni, costretto a continui, brevi viaggi e trasferte in varie città d’Italia, dal nord al sud in continui spostamenti in diverse località con un massimo due o tre giorni di permanenza e poi via a toccare altre città o paesi per portare a conclusione i suoi affari. Dopo di che rientra nella sua Livorno per un breve periodo di riposo, fare un bilancio degli affari conclusi e programmare le prossime tappe. Bell’aspetto, modi gentili, sempre sorridente ed elegantemente vestito, Eugenio è il classico tipo che ha raggiunto una certa posizione sociale e che ispira fiducia a chi lo incontra e deve trattare con lui. Ha una voce calda, suadente e accattivante, non è molto loquace, anzi, usa poche parole, misurate, appropriate che fanno capire all’interlocutore immediatamente il concetto, le necessità, i desideri, espressi coerentemente e con precisione, senza giri di parole inutili, egli sa andare subito al dunque mettendo, nel contempo, a suo agio chi gli sta di fronte che non ha nessun bisogno di interpretare i concetti tanto sono lineari e limpidi. 1 Eravamo il 6 di Giugno dell’anno 1951, era un mercoledì, ed Eugenio stava programmando una capatina, per lavoro, a Trieste. In quell’epoca Trieste, pur essendo una città italiana, per questioni postbelliche, di accordi internazionali relativi al “memorandum di Londra”, era amministrata dalle truppe anglo-americane che sovrintendevano quella che era chiamata zona A del “Territorio Libero di Trieste”; la zona B era amministrata dalla Jugoslavia. Il preventivo di permanenza nella città di Trieste era di due o al massimo tre giorni, pertanto Eugenio tolse dall’armadio una piccola valigia, poco più di una 24 ore, ci ripose la biancheria necessaria, un paio di camicie, alcune cravatte ed un vestito di ricambio in tessuto leggero di fresco lana, tanto ormai la stagione era avanzata ed il tepore dell’aria era confortevole e non necessitava appesantire la valigia con maglie di lana. Il mattino dopo, di buonora, Eugenio si recò alla stazione ferroviaria di Livorno a prendere il treno locale che lo avrebbe portato a Firenze per attendere la coincidenza con il “rapido” proveniente da Roma, salito sul quale sarebbe arrivato direttamente a Trieste. Il primo tratto del viaggio, da Livorno a Firenze con un treno “locale”, fu lungo ma piacevole, il finestrino aperto lasciava entrare un’aria tiepida che recava con sé il dolce profumo della campagna toscana, che lui conosceva bene, ma che ogni volta guardava ammirato come fosse la prima, inspirando a pieni polmoni l’aria di casa. Giunto a Firenze, circa mezz’ora dopo, alle 11.22, avrebbe avuto la coincidenza con il rapido proveniente da Roma che, guarda caso, sia i tabelloni luminosi che la voce gracchiante degli altoparlanti informavano in ritardo di venti minuti sull’orario previsto. Si recò al bar della stazione per prendere un caffè ed acquistare il Corriere della Sera e un settimanale illustrato da leggere durante le sei ore di viaggio. Quando Dio volle il “rapido” arrivò ed Eugenio salì sulla vettura di prima classe per non fumatori, trovò uno scompartimento occupato solamente da due persone. Erano, un signore di mezza età di corporatura molto robusta, con un paio di folti baffi che scendevano ai lati della bocca, che sonnecchiava seduto nell’angolo vicino 2 alla porta d’ingresso allo scompartimento, nel senso di marcia. Dalla parte opposta, vicino al finestrino, una ragazza, mora con i capelli lunghi e ricci, stava attentamente leggendo un libro. Aperta la porta scorrevole dello scompartimento, Eugenio entrò. - Buon giorno signori. L’uomo grasso con i baffi accennò un mezzo saluto da assonnato, mentre la signorina, alzando gli occhi dal libro, con un sorriso, rispose: - Buon giorno. Eugenio sistemò la sua valigia sulla retina sopra il divano e tenne con sé la borsa porta atti contenente i documenti e dove aveva riposto i giornali. Si sedette vicino al finestrino, di fronte alla signorina, anche se così viaggiava con la schiena al senso di marcia, ma piuttosto di stare seduto vicino al baffuto dormiente, preferì quel disagio per trovarsi al cospetto di una visione più piacevole. Tolse dalla borsa il Corriere della Sera e cominciò a leggere la prima pagina, sbirciando ogni tanto la bella moretta. Riuscì a leggere il titolo del libro “Anatomia peritale nei casi di infortunio mortale”, non era certo un romanzetto rosa. Calando il giornale si rivolse alla ragazza, con voce dal tono abbassato per non disturbare il baffuto: - Permette signorina? Mi chiamo Eugenio Della Noce, non ho potuto fare a meno di leggere il titolo del libro che sta leggendo e ne sono rimasto allibito. Come mai un argomento così inusuale? - Piacere sig. Della Noce, io sono Rossella Venturi, vengo da Arezzo e sono al quinto anno di medicina a Padova e sto raccogliendo materiale per la tesi che dovrò discutere nella prossima primavera. Essa tratterà sullo studio delle cause più frequenti di incidenti mortali sul lavoro. - Cara signorina Rossella, permette che la chiami Rossella? E io gradirei che mi chiamasse Eugenio... sono esterrefatto che una così bella ragazza tratti argomenti così macabri e lugubri che fanno venire in mente vecchie megere vestite di nero con fare spettrale e non certamente la vitalità, la gioventù, la gioia di vivere che il suo aspetto dimostra. 3 - Sì, signor Eugenio, potrebbe sembrare così, ma la mia ricerca tende a stabilire che molte volte, troppe forse, gli incidenti sul lavoro vengono addebitati alla mancata osservanza delle norme antinfortunistiche, incolpando così il responsabile del cantiere, della fabbrica, della manifattura, dell’officina, ecc., ma al contrario succede che la causa sia dovuta, ad esempio, ad un’alterazione del soggetto causata da un giramento di testa e temporanea perdita dei riflessi, causata dalla pressione sanguigna troppo alta, oppure il caldo canicolare o il freddo intenso che fanno rilassare per un attimo l’attenzione dovuta all’espletamento delle proprie mansioni. Di cause ce ne sono centinaia che non andrò, sicuramente, ad elencare per non divenire monotona. Solo l’autopsia può stabilire le vere cause del decesso. - E’ vero - rispose Eugenio - non ci avevo pensato. Tante volte si legge sul giornale: “Operaio edile precipita dall’impalcatura e muore”. Non è detto infatti che l’impalcatura fosse stata eretta in modo non corretto o che le scarpe non fossero state quelle previste, come i guanti, il casco, ecc., ma l’operaio può, effettivamente, avere avuto un malore se non un infarto addirittura. - Sì, macabro ma interessante. Auguri per i suoi studi; non voglio distoglierla dai suoi doveri sembrando di essere il solito “pappagallo” che cerca pretesti per iniziare una conversazione. - Non si preoccupi, signor Eugenio, un po’ di pausa durante gli studi, serve a rilassare la tensione e recuperare energie, e poi una persona gentile e cortese come lei non può sicuramente essere un “pappagallo”, anzi a guardarla ispira fiducia. Di cosa si occupa lei? - Il mio lavoro è un po’ vario ed è inerente alla redditività delle cose, delle merci, degli affari in genere. Infatti in ogni città in cui vado, l’affare, il soggetto commerciale, le persone interessate, variano da caso a caso, secondo logiche di mercato del momento ed esigenze dei contraenti. Oggi infatti mi sto recando a Trieste, ma non ho ancora una visione ben chiara del genere d’affare che mi verrà proposto, quando avrò trovato i soggetti giusti deciderò il da farsi. - Non ho capito molto - rispose Rossella incuriosita, - ma sicuramente il suo dev’essere un lavoro assai vario ed interessante . 4 Il treno continuava la sua corsa e Bologna era vicina, mancavano circa dieci minuti per arrivarci. Il grasso baffuto diede qualche segno di vita, si raddrizzò e sbirciò l’orologio. Guardando gli altri due viaggiatori esclamò, con spiccato accento bolognese: - Scusate se non sono stato molto di compagnia, ma sono molto stanco, sono quattro giorni che viaggio da una città all’altra del sud e centro Italia per mantenere fede a degli appuntamenti con i miei clienti. Scusate, non mi sono presentato, mi chiamo Giuseppe Nardi e possiedo un piccolo salumificio alla periferia di Bologna, dove produco con la mia famiglia ed alcuni dipendenti, insaccati di tutti i tipi con il tradizionale sistema artigianale su antica ricetta di famiglia. Togliendo dal taschino del panciotto due biglietti da visita, li porse a Rossella e ad Eugenio. - Se passate dalle mie parti, venite a trovarmi che sarò ben lieto di farvi assaggiare i miei prodotti e farvene alcuni omaggi. Si girò verso la reticella, tolse le sue due valige, aprì la porta dello scompartimento ed uscì dicendo ancora, rivolto ai due viaggiatori: - Ci conto che veniate a trovarmi, buona giornata! - e richiuse la porta. I due giovani lo videro uscire in silenzio e, simultaneamente, si guardarono in viso e scoppiarono a ridere, con una forza tale che alcune lacrime uscirono dai loro occhi. Eugenio, calmatosi un po’, disse a Rossella: - Ha fatto tutto lui, noi non abbiamo detto una parola, credo che se fa così con i suoi clienti, li lascia senza fiato e gli ordini fioccano a decine. Potrebbe essere un soggetto adatto alle sue ricerche, non le pare? - No, non può essere adatto alle mie ricerche, è ancora vivo. Anche lui gira le città d’Italia per fare affari come lei, ma che differenza di classe! - Devo dire la verità - replicò Eugenio - nelle mie molteplici occasioni non ho mai trattato salumi ed affini, ma non si sa mai nella vita, chissà che un giorno, magari con industrie più grosse, non abbia anch'io qualche cosa da trattare. 5 Finite le battute e le argomentazioni, Rossella si concentrò nuovamente sul suo macabro libro ed Eugenio riprese a leggere il Corriere della Sera. Il treno si rimise in moto, lasciando Bologna alle spalle, quando si aprì la porta dello scompartimento ed entrarono due militari in divisa con la loro brava sacca. - Possiamo, non disturbiamo?, scendiamo presto, a Verona dove prestiamo il servizio di leva. - Prego, prego - risposero contemporaneamente Eugenio e Rossella - accomodatevi pure, c’è posto. Appoggiati i loro sacchi sulle retine sopra la testa, si sedettero vicino alla porta d’ingresso; uno dove stava seduto, fino a poco tempo prima, Nardi e uno di fronte iniziando, nel contempo, a parlare di sport. Uno sosteneva che il calcio era il più bello sport del mondo, seguito da milioni di persone, che ogni domenica vivevano con la squadra del cuore e con essa soffrivano, spasimavano, trepidavano, imprecavano, gioivano, esultavano, andavano in visibilio a seconda se avesse perso o vinto. L’altro invece era un appassionato del ciclismo e decantava le doti fisiche che un atleta di quello sport doveva avere per poter riuscire a sopportare le fatiche di pedalate, veloci in pianura, possenti in montagna, sforzi che un giocatore di calcio nemmeno si sognava di fare in quell’ora e mezzo che dura una partita, nella quale correva solamente se aveva la palla al piede, altrimenti si riposava. Divergenze di opinioni che, suffragate da mille altri argomenti, facevano divenire la discussione sempre più animata e vivace tanto da disturbare i compagni di viaggio. Eugenio si rivolse loro pregandoli di parlare sottovoce in quanto la signorina stava studiando e lui stava cercando di leggere attentamente il giornale. I due arrossirono e, scusandosi per il disturbo, si zittirono subito; il sostenitore del calcio si mise a leggere, guarda caso, la Gazzetta dello Sport mentre il ciclista, presa la Settimana Enigmistica, si mise a risolvere i cruciverba. La pace e la quiete ritornarono nello scompartimento. Dopo qualche minuto la porta si aprì ed apparve il controllore dicendo: - Biglietti prego signori - guardando con l’occhio truce i militari. 6 Rossella ed Eugenio porsero i loro biglietti, mentre i soldati, alzatisi in piedi, frugavano nella sacca. Il controllore restituì i biglietti punzonati a Rossella ed Eugenio e prendendo in mano i biglietti dei due militari, esclamò: - Sempre la solita storia con voi militari, avete il biglietto di seconda classe e vi ritrovo in prima, comodo eh?. O pagate il supplemento con la multa, o spostatevi immediatamente nella carrozza di seconda classe! I due ragazzi, rossi in viso per la vergogna, si scusarono dicendo che non si erano accorti e che si sarebbero spostati subito. Imbarazzati, presero i sacchi, chiesero scusa, ed uscirono di corsa mentre il controllore sbraitando li apostrofava: - Se vi becco un’altra volta ve la faccio pagare cara! Rossella disse di sentirsi un po’ a disagio ed imbarazzata per quanto era successo e che il controllore avrebbe potuto essere un poco più gentile e non urlare a quel modo con dei poveri ragazzi. Eugenio annuì, ma precisò che, viaggiando molto spesso in treno, queste scene, per lui, erano all’ordine del giorno. Poteva essere che in questo caso fossero in buona fede, ma si sa che, per brevi tragitti, tentano di stare più comodi nella speranza che non arrivi il controllore. Rossella guardò dal finestrino e disse: - Tra poco siamo a Verona, poi Vicenza e la fermata seguente saremo a Padova dove dovrò scendere, mentre lei ce l’avrà ancora lunga per arrivare a Trieste. Non la invidio a dover viaggiare tanto in treno. - No, non è vero - replicò Eugenio - i viaggi possono essere noiosi ma anche piacevoli, come quello che sto facendo, quando si ha la fortuna di avere una così simpatica e bella compagna di viaggio. Non abbiamo parlato molto è vero, però è stato molto piacevole e, per me, istruttivo. Oggi ho appreso qualche cosa di nuovo sugli infortuni e sono nozioni che potrebbero essere, per il futuro, fonte di approfondimento forse per il mio lavoro. - Già! Il suo lavoro, che in definitiva non ho ben capito cosa sia e che non voglio approfondire, per carità, ma non vedo assolutamente come delle autopsie possano esserle d’aiuto nel campo degli affari. - Vede, cara Rossella, il bagaglio di cultura di una persona non deve fermarsi allo stretto necessario per svolgere una determinata attività. Domani lei sarà un 7 medico e, mi auguro, di successo, ma la sua cultura, al di fuori della medicina, vedrà, le servirà moltissimo per capire e analizzare chi le sta di fronte. Capire le ansie, le emozioni, i sentimenti, i turbamenti, oppure il controllo, l’autocontrollo forzato, le ragioni, gli interessi, l’imperturbabilità possono aiutarla a formulare delle diagnosi più rispondenti alla verità. Vede, io non ho studiato medicina, ma sono convinto che la vera abilità e professionalità di un medico consistano nel il diagnosticare, perché, una volta scoperto il male, il rimedio lo può trovare anche un farmacista, non le pare? E poi non a caso, quando ha fatto il liceo, pur sapendo che avrebbe scelto la facoltà di medicina, ha dovuto studiare, storia, geografia, storia dell’arte, mitologia, geometria e tante altre cose che con i principi di Esculapio hanno poco a che vedere. Ma la scuola italiana, anche se non molto apprezzata dagli studenti, è forse una delle migliori del mondo come preparazione alla vita. Lei già prima di iniziare l’università sapeva chi fosse Esculapio? Probabilmente no! Ma ha potuto appurare che trattasi del nome latino del greco Asclepio, figlio di Apollo, già venerato in Grecia come il dio della medicina. Il suo culto, di tipo originariamente eroico in Grecia, solo successivamente fu considerato divino e così, in questa forma, fu trasmesso a Roma nel 293 a. C. mentre infuriava una pestilenza. Al dio, cui si attribuiva il potere di resuscitare i morti, fu subito dedicato un tempio nell’isola Tiberina sostituito poi, dagli imperatori, con altro tempio sull’Esquilino. Sua compagna, o detta di alcuni studiosi figlia, era la dea Igea. La figura di Esculapio era raffigurata come un uomo imponente con folta barba ricciuta, avvolto nell’ampio mantello che lasciava scoperta una spalla, appoggiato ad un bastone attorno al quale si attorcigliava il serpente sacro. - Sì, certo, è vero - disse Rossella - anche se tanti particolari, da lei citati, non li ricordavo affatto. Devo dire che per essere un uomo d’affari conosce tante cose che non siano solo fare soldi. Oh, mi scusi non volevo, sono imperdonabile, me ne dolgo, scusi ancora. - Niente scuse, è la verità, lo scopo del mio lavoro è guadagnare, possibilmente bene, però quasi sempre bisogna, prima di entrare nel merito dell’affare, fare conversazione e, per non fare scena muta con l’interlocutore, bisogna essere all’altezza di poter parlare 8 la “stessa lingua” cosa che di solito fa molto piacere. Vede, anche lei è rimasta impressionata della mia esposizione su Esculapio, ma, le assicuro, la mia cultura finisce là. Se lei avesse cominciato, restando nel campo medico, a parlare di periartrite scapolo-omerale, sinusite, laparatomia o paroloni del genere, avrebbe scoperto la mia completa ignoranza. Così invece, impressionandola, ho guadagnato dei punti. Ecco come, con poco, si può avere successo. Nel frattempo il treno stava entrando nella stazione di Verona, quasi in perfetto orario. Certamente il macchinista era riuscito a recuperare il ritardo con cui era entrato nella stazione di Firenze. Aperto il finestrino, Eugenio cercò di attirare l’attenzione dell’addetto alle bibite che con il carretto transitava lungo la pensilina. Il carretto si avvicinò al finestrino e lui chiese a Rossella cosa volesse bere. Dopo la solite frasi di circostanza, Rossella accettò un’aranciata, mentre egli prese un’acqua minerale. Quando stava pagando le bibite, sul marciapiede passarono i due militari giunti a destinazione che, vistolo, abbassarono lo sguardo accelerando il passo. Eugenio, richiuso il finestrino, mentre sorseggiava la bibita, chiese a Rossella se conosceva Verona. Questa rispose di no in quanto, essendo lungo il tragitto da Arezzo a Padova, le impediva di andare a casa di sovente, pertanto non poteva permettersi il lusso di lasciare, sia pur brevemente, gli studi per fare la turista. - Peccato - commentò Eugenio - io per motivi di lavoro ci sono stato un paio di volte. E’ una città veramente interessante posizionata alla convergenza di importanti direttrici di traffico, anche con l’estero attraverso il passo del Brennero. Verona è stata eretta sulle due rive dell’Adige nel punto in cui il fiume forma una duplice ansa che ha la sembianza di una stretta “esse”. Nel centro storico è ancora facilmente rilevabile la regolare struttura a scacchiera con lunghe vie rettilinee e ortogonali dell’antico nucleo romano. In alcuni punti il tessuto urbano, invece, ha conservato l’aspetto medioevale, come nelle piazze delle Erbe e dei Signori. Discorso a parte è l’anfiteatro, la cosiddetta Arena, uno dei massimi monumenti del genere che risale al I° secolo dopo Cristo. Data la sua posizione, negli ultimi decenni Verona ha conosciuto un sostanziale 9 mutamento nelle basi della sua economia, infatti è divenuto un importante mercato dei prodotti agricoli e zootecnici, tanto da essere la più importante Fiera Internazionale del settore in tutta Europa. Anche molte industrie sono state create e sono in via di espansione nel settore metalmeccanico, tessile, alimentare, calzaturiero, del legno e dei materiali da costruzione. Sì, anche qui ho concluso qualche eccellente affare, devo dire la verità. Rossella stette ad ascoltare Eugenio che esponeva le notizie guardando fuori dal finestrino, mentre il treno era ripartito in direzione di Vicenza. - Vede, Eugenio, lei è stato a Verona per motivi di lavoro eppure ne parla come se ci fosse stato da turista. Non mi dica che tutto ciò è normale, capisco l’interesse per l’arte, anch’io ce l’avrei, ma se studio non posso sviluppare questo desiderio e anche lavorando, credo, non si abbia tempo. - Vede Rossella, prima di andare in una città, cerco di documentarmi un pochino per non essere un pesce fuor d’acqua e fare brutta figura con i potenziali clienti. Devo conoscere quali sono i buoni alberghi e i buoni ristoranti perché, con il mio lavoro, non posso soggiornare in una pensioncina modesta e se devo invitare al ristorante il possibile cliente devo sapere dove portarlo in modo da non cadere in una bettola. Quando siamo a tavola è mio preciso intendimento che non si debba parlare di lavoro per non imbarazzare il cliente, pertanto bisogna portare l’argomento sulle bellezze che la città offre, sulla sua storia, i suoi usi ed i suoi costumi, ecc., chiedere informazioni e notizie sui principali palazzi, castelli, cattedrali o semplici monumenti in modo da far vedere che si conosce la città, ma che piacerebbe approfondire la conoscenza. Funziona sempre! A Trieste ci vado per la prima volta, ma nella mia borsa ho l’ultima edizione della guida del Turing Club e un’aggiornata Guida Michelin, nonché lo stradario della città e quando, purtroppo, lei scenderà a Padova e non avrò più il piacere di questa splendida conversazione, mi dedicherò a rinfrescare le mie conoscenze apprese su libri, opuscoli e depliants della città di S.Giusto anche per potermi muovere con una certa sicurezza per le vie senza dover stare sempre con la pianta della città in mano e farmi notare come uno che non sa quello che cerca. La sicurezza nei movimenti è alla base del mio lavoro. 10 Il treno correva veloce nella pianura assolata, si potevano vedere estesi campi ben coltivati, casolari, villaggi, paesi, di tanto in tanto i binari correvano paralleli a delle strade secondarie percorse da automobili che sembravano fare una gara di velocità con il treno, tanti motorini, ciclisti, ecc. Poi all’improvviso i percorsi si dividevano ed il paesaggio perdeva vitalità per riacquistare la pace della campagna. Eugenio e Rossella si misero nuovamente a leggere, quasi controvoglia, sarebbe stato bello conversare ancora, ma nessuno dei due osava riaprire il discorso con nuovi argomenti generici. Eugenio sollevando di tanto in tanto gli occhi dal giornale dava un’occhiatina a Rossella e pensieri più intimi cominciarono a passargli per la testa. Non era facile trovare un ragazza così a modo, riservata, ben educata, colta, quella che si potrebbe dire una ragazza di buona famiglia. Bisognava trovare il modo e la maniera per riprendere un discorso più personale, ma il tempo correva veloce come il treno e Vicenza si stava avvicinando, poi Padova......pochi minuti. Ad Eugenio sembrò che Rossella non attendesse altro che lui ricominciasse a parlare, in quanto anche lei, ogni tanto, con un leggero sorriso, sollevava gli occhi dal libro per poi rituffarsi immediatamente. - Rossella, scusi, siamo presto a Vicenza e avrei piacere di parlare ancora un po’ con lei, non le spiace vero? - No, tutt’altro, sinceramente speravo me lo chiedesse, mi sento a mio agio nel parlare con lei, c’è una certa affinità di pensiero che rende piacevole la conversazione. Stiamo arrivando a Vicenza e lei che conosce tutto cosa può dirmi di questa città? - Ti prego Rossella, non farmi arrossire, scusi, non mi faccia arrossire, so qualche cosa, magari sapessi tutto! - Eugenio, niente scuse, mi farebbe piacere se ci dessimo del tu senza tante formalità, d’accordo? - Sì, grazie, ne sono felice. Dunque mi chiedevi di Vicenza, ma non voglio annoiarti con sequenze di dati, ti dirò solamente che è una città eretta in pianura ai piedi del versante settentrionale dei Monti Berici ed è attraversata da un fiume dal nome poco conosciuto, mi sembra Baccarione o Baglione. Ah! no, ora ricordo, si chiama Bacchiglione. 11 Le mura che la circondano si sviluppano per lunghi tratti su possenti argini artificiali chiamati localmente “mottoni”. A Vicenza l’industria è rappresentata da imprese di medie e piccole dimensioni, operanti per lo più in settori interstiziali ad alta densità di manodopera, scarsi investimenti per addetto e a basso tenore tecnologico. Per lo più nel campo del tessile, abbigliamento, legno e mobile, pellami e meccanica minore. Ma ora basta con queste storie cerchiamo di conoscerci meglio. - Permetti mi presento prima io! Sono Eugenio Della Noce, ho 35 anni, nato a Livorno il 18 Marzo 1920 dove sono sempre vissuto con i miei fino a quando ho frequentato e mi sono laureato in giurisprudenza presso l’università di Firenze, ma non ho mai inteso esercitare la professione in quanto avrei dovuto fare il tirocinio presso qualche studio legale, praticamente senza paga, per tre anni e poi tentare di dare l’esame per diventare avvocato. Avevo già 26 anni e non intendevo diventare vecchio per cominciare a guadagnare qualche cosa e, pertanto, mi sono “buttato” nel campo degli affari. Ora vivo da solo, non sono fidanzato e non ho legami sentimentali, il mio indirizzo a Livorno è piazza Felice Cavallotti 26. Ora dimmi di te, ma se vuoi altre notizie, non hai altro che chiedere. - Io sono Rossella Venturi, ho 25 anni, sono nata il 7 gennaio del 1926 ad Arezzo, abito con i miei genitori e i miei due fratelli, in via Fra le Torri 18. Sono laureanda in medicina all’università di Padova, come sai. Anche per me sarà dura agli inizi, dovrò fare la tirocinante presso qualche ambulatorio medico o, se avrò capacità e fortuna, presso qualche ospedale. Io voglio, a qualunque costo, mettere a frutto quello che per tanti anni ho studiato. Mio padre è farmacista ed ha una farmacia propria ad Arezzo, chissà che un giorno non possa aprire uno studio nelle vicinanze, sarebbe il massimo delle mie aspirazioni. - Non porre limiti alla Provvidenza, cara Rossella, perché limitarsi ad una vita monotona di medico della mutua, con le tue capacità ed intelligenza puoi arrivare ben più in alto, il campo della medicina è vastissimo, le specializzazioni sono infinite, i campi di ricerca scientifica ancor di più. Siamo in un periodo di grandi fermenti, la guerra è finita da poco, c’è tanto spazio per nuovi giovani talenti, la scienza fa passi da gigante, basta starle dietro e saper cogliere il momento migliore per prendere il “treno” 12 giusto. Tra qualche anno, voglio vedere il tuo nome sulle prime pagine dei giornali e, più in là chissà, forse, candidata al premio Nobel. - Ti prego Eugenio, non correre con la fantasia, le tue sono parole che fanno tanto bene al cuore, ma bisogna rimanere con i piedi per terra. Anch’io, un giorno, potrei leggere il tuo nome sulle prime pagine dei giornali quale “mago” degli affari. Oh! guarda siamo a Vicenza, ancora questa fermata e poi io dovrò prepararmi a scendere. Il viaggio è stato bellissimo, è volato in un momento, in cinque anni ho fatto tante volte il percorso di andata e ritorno, ma non ricordo di aver mai incontrato un compagno di viaggio così. Ti scrivo il mio indirizzo e numero telefonico su di un pezzetto di carta in quanto avrei tanto piacere che mi scrivessi o mi telefonassi qualche volta per dirmi di te e, chissà che non ci si possa anche rivedere, già tu viaggi tanto! - Sì Rossella, da parte mia, è un impegno che accetto volentieri e puoi stare sicura che tra un viaggio e l’altro troverò il momento magico per scriverti e raccontarti brevemente di me, ma quello che aspetterò con più ansia saranno le tue notizie e quando le leggerò mi sembrerà di esserti vicino mentre me le racconti con la tua dolce voce. Altro impegno che prendo è quello di cercare di spostare i miei prossimi affari il più possibile vicino a Padova in modo da poterci vedere, magari per breve tempo. Ecco ti do il mio biglietto da visita che ti farà ricordare quello che già ti ho detto a voce. - Grazie Eugenio, lo terrò da conto, ah! ecco, dott. Eugenio Della Noce “Procacciatore d’affari e ProcuratoreMediatore”, che paroloni, dicono tutto, ma non specificano niente, continuo a non coglierne il significato. Lascia perdere, il tuo è un mondo a parte nel quale io non ci capirei niente. Stiamo lasciando Vicenza, io raccolgo le mie cose. Eugenio si avvicinò a Rossella, le prese la mano, gliela strinse gentilmente portandola alle labbra in un semplice bacio d’affetto. - Lascia, prendo io le valigie, queste potrebbero un giorno essere le mani di un grande chirurgo che non devono far sforzi per portare pesi. Non devi vivere nella bambagia, ma devi riguardarti un pochino, come hai detto tu prima, non puoi buttare al vento tanti anni di studi a 13 causa, magari, di un banale infortunio. Stai facendo la tesi sugli infortuni, no? Eugenio, per la prima volta, rise discretamente e con signorilità mentre lei, presa da un impulso di gioia, sorridendo, lo abbracciò leggermente dicendo: - Sei forte Eugenio! Ancor di più spero di avere tue notizie e poterti incontrare, ho bisogno di un buon angelo custode che mi protegga e mi consigli. Il treno, con il suo ritmico srotolare sui binari, correva veloce, Padova era vicinissima e, pur non dandolo a vedere, Eugenio e Rossella pregavano che il treno si fermasse per ritardare il momento dei saluti. Stavano bene insieme e, per un ragazzo, non è facile ispirare fiducia a prima vista. Si erano conosciuti poche ore prima, ma loro si sentivano come fossero vecchi amici o, chissà, anche qualche cosa in più di vecchi amici. Il treno cominciò a rallentare, lo stridio delle ruote in ferro, frenate sui binari, riempì, con il suo lamento, le orecchie di Rossella ed Eugenio che capirono che il momento degli addii stava arrivando. Con uno scossone il treno si fermò, Eugenio prese le valigie, aprì lo scompartimento uscendo in corridoio, si avvicinò allo sportello, lo aprì e scese sul marciapiede deponendo le valigie. Rossella scese i tre gradini, si avvicinò ad Eugenio, lo prese sulle braccia all’altezza dei gomiti, gli diede un bacio sulla guancia sussurrando con voce rotta dall’emozione: - A presto caro.....”. Afferrò le valigie e, di corsa, con la testa china scappò verso l’uscita. Eugenio rimase di sasso, il tempo si era fermato, solo la voce imperiosa che diceva: “ In carrozza signori, in carrozza “ lo scosse e lo fece salire sul treno e rientrare nello scompartimento. 14 Capitolo 2 Arrivato allo scompartimento, aprì la porta, entrò e vide, sedute su uno dei due divani, due suore. Una delle due alzò la testa: - E’ suo lo scompartimento? Possiamo restare, non disturbiamo? - Ma prego sorelle, sono solo e non è uno scompartimento riservato, ma adesso devo preparare il materiale necessario per il mio lavoro che dovrò svolgere a Trieste e programmarne i tempi di esecuzione , quindi me ne starò buono buono nel mio angolo. - Io sono suor Maria Assunta e la mia compagna è Suor Gabriella. Noi scenderemo a Latisana in quanto, per il momento, presteremo la nostra opera presso un centro estivo per anziani a Bibione, ma io sono stata parecchi anni a Trieste presso le Ancelle della Carità. Gran bella città, Trieste, la gente è cordiale e la generosità della popolazione verso chi soffre ed ha bisogno, credo, non abbia riscontro in altre parti d’Italia. Conservo un bel ricordo della mia permanenza in quella città, me la saluti, la prego. - Non mancherò sorella, per me sarà la prima volta che vedrò la città, ma anch’io ne ho sentito parlare molto bene e spero di concludere dei buoni affari. Eugenio si sedette e tolse dalla borsa la pianta della città di Trieste con lo stradario e, apertala sul tavolinetto cercò prima di tutto dov’era posizionata la stazione ferroviaria rispetto al centro città. Aiutandosi sia con la guida del Touring Club che con la Guida Michelin cominciò a cerchiare sulla mappa, la posizione dove erano situati i migliori alberghi ed i migliori ristoranti. Il viaggio continuò tranquillo, in silenzio, infatti le due suore stavano sgranando il rosario in una mesta e silente preghiera. Eugenio prestò attenzione e riuscì a sentire solamente il ritmico andare del treno che con il suo rumore riempiva il vuoto silenzio dello scompartimento. Solo di tanto in tanto si sentivano delle risate giovanili provenire da qualche scompartimento più avanti. Presto il convoglio sarebbe arrivato a Mestre e mancavano circa 2 ore e mezzo per la fine del viaggio. L’arrivo a Trieste era previsto alle 19.30 circa. Eugenio 15 pensò come poteva essere intenso il viaggio, in così poco tempo, aveva conosciuto Rossella, Nardi, i due militari, ora le suore, quanti incontri, quante esperienze, quanti differenti personaggi e situazioni! Come bagaglio conoscitivo tutto era importante, Rossella però aveva lasciato un solco più profondo nella sua mente e nei suoi ricordi, tant’è che con un sorriso abbozzato sulle labbra e lo sguardo perso nel vuoto, rivide il dolce volto di Rossella e gli sembrò quasi di risentire il calore sulla guancia lasciato dal casto bacio di commiato alla stazione di Padova. Suor Maria Assunta, che nel frattempo aveva finito di recitare il rosario e teneva in mano il Vangelo, vide l’espressione di Eugenio e rivolta a lui proferì: – Che bei pensieri devono passare per la sua mente, ha un’espressione così dolce e serena che fa capire il suo stato d’animo e la bontà che c’è in lei. Eugenio, sentendo queste parole, si scosse e rispose: - Sì, effettivamente pensavo ad una persona cara, ad una simpatica ragazza che ho conosciuto oggi e della quale serbo un piacevole e dolce ricordo. - Si vede, si vede - incalzò suor Maria Assunta oserei dire che questa ragazza le ha toccato il cuore. Era un po’ che la stavo guardando, dopo aver finito di recitare il rosario e mentre mi accingevo a leggere il Vangelo. Prima era assorto nelle sue carte, pensieroso e meditabondo, concentrato nel lavoro che stava preparando con il volto serio e tirato, quando, all’improvviso, ho notato il suo cambiamento sia nello sguardo che nei lineamenti del volto. Sembrava che una pace interiore si fosse sprigionata in lei e che vorrei paragonare, il Signore mi perdoni, allo stato di grazia in cui ho avuto, alle volte, l’occasione di vedere la qui presente suor Gabriella quando ha le visioni della Madonna. Eugenio si ricompose e rivolto alla suora si schernì: - Sorella cosa dice mai?! Potrò essere stato assorto in pensieri piacevoli ricordando quella ragazza, ma quello che ha la fortuna di vedere suor Gabriella è qualche cosa di sacro, di mistico, di soprannaturale, qualche cosa che nulla ha a che vedere con la vita terrena. - Le vie ed i mezzi che il Signore usa per toccare il cuore delle persone buone sono infinite e logicamente i pensieri, le sensazioni, le emozioni, gli interessi di un laico 16 sono differenti da quelle di un ecclesiastico, ma il fine può essere lo stesso ed appagare lo spirito di entrambi. Eugenio si tuffò nelle sue carte e le suore aprirono il Vangelo ed iniziarono la lettura mentre il treno stava rallentando per entrare nella stazione di Mestre. Nei corridoi ci fu un viavai di gente, di valigie, di pacchi; chi scendeva, chi saliva, il rumore era tanto intenso che egli dovette sospendere il suo lavoro in attesa di un po’ di pace. I viaggiatori si fermavano davanti allo scompartimento che era semivuoto, ma viste le suore, riprendevano il loro peregrinare in cerca di altra sistemazione. Chissà perché questi preconcetti! Si fermò davanti alla porta una giovane coppia con un bel bambino; il padre aprì la porta: – Buongiorno, è permesso? Fece entrare la moglie ed il bambino che si accomodarono nei posti disponibili. Ora lo scompartimento era pieno. Eugenio raccolse le sue carte in modo da rendere disponibile il sedile accanto a lui. Suor Maria Assunta accarezzò i capelli del bambino, che si era seduto vicino a lei, e con un ampio sorrise gli chiese: - Come ti chiami bel bambino? - Mi chiamo Mauro Candotti, - rispose con sicurezza - ho presto cinque anni e abito a Trieste, in via Salem numero 7. Eugenio, sentita la risposta assennata del bambino, alzò lo sguardo e sorridendo, si rivolse a lui: - Che bravo bambino e che bravi i genitori che gi hanno insegnato così bene a rispondere. Non si sa mai cosa possa succedere, ma così non si perderebbe di certo e in caso di bisogno si potrebbero rintracciare immediatamente i genitori. Mauro si rivolse a suor Maria Assunta e mostrando con il ditino teso indicò: - Quella è la mia mamma Maria e quello è il mio papà Antonio, siamo stati a trovare la nonna ed ora ritorniamo a casa. - Ma che bravo che sei - replicò la suora - ci hai presentato la tua famiglia. Io sono Maria Assunta, lei è suor Gabriella ed il signore che ti ha fatto i complimenti prima, anche lui va a Trieste, però non conosco il suo nome. Eugenio si rivolse ai genitori di Mauro e porgendo la mano si presentò: 17 - Permettete? Sono Eugenio Della Noce, sono nativo di Livorno e vado a Trieste un paio di giorni per lavoro. - Molto lieto - rispose Antonio - e grazie per le belle parole che ha detto a Mauro, ma cosa vuole oggigiorno i pericoli sono tanti e per quanto si stia attenti può sempre succedere che il bambino si perda, così almeno speriamo non subisca traumi e la polizia avrebbe la possibilità di informarci rapidamente del ritrovamento. Pur essendo di origini venete, anch’io, per lavoro, mi trasferii a Trieste dove conobbi Maria, la sposai ed eccomi qua che, oramai, mi sento triestino pure io. E’ una città splendida anche se ora, causa motivi politici, è stata privata di tutto il suo entroterra naturale. - Sì, l’ho sentito dire - replicò Eugenio - ma mi sembra che l’economia della città sia in forte sviluppo, anche se c’è stato un ricambio con l’arrivo dei profughi istriani e l’emigrazione, verso l’Australia, di parecchi Triestini. - Cosa vuole, signor Della Noce, sembra, guardando superficialmente, che Trieste sia una città florida. Sì, ci sono, in centro, dei bei negozi, bar, ristoranti sempre pieni di avventori, ma è solo apparenza in quanto sono gli Inglesi, e soprattutto gli Americani, che li frequentano perché hanno i mezzi finanziari per poterlo fare. La popolazione ha ben altro a cui pensare che spassarsela a mangiare e bere tutto il giorno, deve far quadrare lo stipendio dal primo all'ultimo giorno del mese. Eugenio rimase pensieroso dopo aver ascoltato queste parole, tant’è che Antonio aggiunse: - E’ rimasto perplesso su quello che le ho detto? o non mi sono spiegato bene? - No, no, ho capito benissimo, però riflettevo come era possibile che un simile giro di soldi non facesse decollare a tutti i livelli il benessere della città. Anche se pochi negozianti incassano il grosso dei soldi, a loro volta devono assumere del personale per le loro aziende, acquistare merci dando lavoro a fabbriche che le producono e che necessitano di dover acquistare materie prime dai loro fornitori, ecc. Tutto ciò forma una catena di nuove fonti di reddito che a loro volta vanno ad incrementare l’economia. - Il ragionamento fila - commentò Antonio - ma il problema è ben più complesso. Trieste non ha grosse industrie, i cantieri navali tirano avanti alla meno peggio, la 18 manodopera non è qualificata. A parte rari casi, gli esuli istriani sono degli ex agricoltori, pieni di buona volontà, si adattano a fare tutti i lavori pur di raggranellare il necessario per il sostentamento della famiglia, ma rimangono pur sempre dei manovali non specializzati. - Vede, signor Della Noce, la grande aspirazione di tutti è il “posto fisso”, magari come usciere, bidello, operaio, ma che alla fine mese ci sia lo stipendio sicuro su cui contare per gli impegni del mantenimento della famiglia. Avere la certezza di possedere quanto necessita per pagare la pigione o il mutuo, le varie bollette dei servizi, la scuola dei figli, ecc., non importano i divertimenti ed il superfluo, ma conta la sicurezza e la tranquillità. La signora Maria, che stava ascoltando il discorso, si rivolse verso le suore: - Cosa volete sorelle ora non avremo più pace, quando mio marito trova lo spunto per parlare di problemi economico-finanziari e si imbatte in un valido interlocutore, non si ferma più. D’altro canto lui lavora in banca e questo è un argomento che lo tocca da vicino quotidianamente, problemi con piccoli e grandi imprenditori, sempre alla caccia di finanziamenti, o semplici cittadini che chiedono aiuto per avere dei piccoli prestiti per soddisfare improvvise ed urgenti necessità familiari. - Comprendo - rispose suor Maria Assunta anche noi, nel nostro piccolo, ci troviamo a dover risolvere i nostri quotidiani piccoli problemi, ma noi confidiamo nella misericordia del Signore e sugli aiuti dei, per fortuna, tanti benefattori, che con piccole o grandi elargizioni, ci permettono di continuare le nostre opere di carità. Anche adesso, noi andiamo a servire un gruppo di anziani indigenti e bisognosi di cure salso-iodate, presso una casa di accoglienza a Bibione. Tutto ciò, cure comprese, lo dobbiamo alla generosità dei nostri benefattori. Sia lodato il Signore! Il treno correva veloce nella campagna veneta con il suo ritmico andare intercalato, di tanto in tanto, dal fischio lacerante che il macchinista lanciava all’avvicinarsi dei tanti passaggi a livello custoditi e non. Nello scompartimento i discorsi si intrecciavano pacati, ma fitti, nei due gruppi di interlocutori finché il treno giunse a Portogruaro. 19 A questo punto suor Maria Assunta e la taciturna suor Gabriella, cominciarono a raccogliere le loro poche e misere cose per prepararsi a scendere alla successiva fermata. Infatti tra Portogruaro e Latisana il percorso era di una quindicina di minuti e bisognava preparasi per tempo in quanto, essendo delle fermate intermedie, il treno rimaneva in stazione pochi minuti. Salutarono cordialmente la famiglia Candotti dando, nel contempo, un bacino al piccolo Mauro e suor Maria Assunta si rivolse ad Eugenio con voce semplice e suadente: - Caro signor Eugenio, probabilmente noi non avremo più occasione di incontrarci, ma mi permetta un piccolo e modesto suggerimento, non dimentichi la persona che è scesa a Padova, le telefoni, potrebbe essere la svolta decisiva della sua vita, almeno così ho letto nel suo sguardo. Tanti auguri e buona fortuna! - Grazie sorella, chissà che non abbia ragione, che il Signore l’ascolti e accompagni lei e suor Gabriella nella vostra meravigliosa missione. Le suore uscirono dallo scompartimento per avviarsi accanto allo sportello del vagone, i signori Candotti si accomodarono tutti e tre, con il bimbo in mezzo, sul divano di fronte ad Eugenio che poté così, sistemare meglio le sue carte e riprendere la lettura dei suoi fascicoli. Mancava oramai poco più di un’ora per giungere alla fine del viaggio ed Eugenio doveva decidere in che albergo avrebbe alloggiato. Dalla sua guida poté rilevare che i migliori alberghi della città erano il “Savoia Palace Hotel”, il “Grand Hotel e de la Ville” o l’albergo “Regina”, anche l’albergo “al Corso” non era male, quale scegliere? Si rivolse allora al signor Candotti e gli chiese: - Scusi, mi potrebbe aiutare nel scegliere, tra questi quattro, l’albergo dove alloggiare, dato che lei vive e conosce bene Trieste. Mauro lesse i nomi sulla guida turistica e sentenziò: - Ha scelto i migliori alberghi della città, ma per quanto mi riguarda i primi due sono i migliori, sulle rive, in faccia al mare con una bellissima vista sul golfo. Il Savoia 20 è splendido, ma è un po’ più decentrato mentre l’Hotel de la Ville, altrettanto di pregio, ha alle sue spalle tutto il centro cittadino, infatti si trova tra le via Mazzini e Genova ed è a due passi dalla stazione ferroviaria. I prezzi non sono dei più economici, anzi, ma in essi vi risiedono, quasi permanentemente, gli alti ufficiali dell’esercito angloamericano. di conseguenza il servizio e la cucina sono di primissima qualità. - Immaginavo - replicò Eugenio - ma d’altro canto è tutto previsto e preventivato, per questione d’immagine nel mio lavoro, devo risiedere in ambienti di alto livello. Per quanto riguarda i ristoranti, oltre a quello dell’hotel, cosa mi consiglia? - Signor Della Noce, come le dicevo prima, per quanto riguarda ristoranti e bar non ha che l’imbarazzo della scelta. Alle spalle del suo hotel ci sono innumerevoli ristoranti di alto livello, specializzati nel servire pesce o carne, ma ci sono anche di quelli dove può gustare entrambe le specialità. Le cito alcuni, il ristorante “Posta” che si trova appunto nelle vicinanze della posta centrale, il ristorante dell’hotel Vanoli che dà proprio sulla “piazza dell’Unità” dove si affacciano pure i palazzi del Governo, il Municipio ed il palazzo del Lloyd Triestino, poi nella centralissima via Carducci c’è un rinomatissimo ristorante, si chiama “Alle viole” frequentato dalla gente “bene” di Trieste, ma dove vede un ristorante, ovviamente non una trattoria, in centro può star sicuro che si troverà benissimo. - Grazie signor Candotti, mi ha risparmiato un bel po’ di lavoro nel leggere le mie guide che illustrano, forse non sempre aggiornatissime, le caratteristiche dei locali e degli hotels. Dallo stradario della città credo di notare che le vie più importanti della città per i negozi di un certo pregio siano la Contrada del Corso, la via Mazzini e la via Carducci con alcune strade che le intersecano, o sbaglio? - No, ha perfettamente ragione, infatti sono le vie più frequentate quando si fanno le passeggiate “in centro” e si vanno ad ammirare le vetrine dei negozi di abbigliamento, di scarpe e borsette, di gioiellerie, ecc.. Anche mia moglie ed io, la domenica, andiamo ad accontentare la vista, unica cosa che noi ci possiamo permettere, per poi scegliere i negozi di periferia dove si possono trovare cose analoghe visivamente, ma 21 certamente non di quelle marche e soprattutto non di quel prezzo. Il treno entrò nella stazione di Monfalcone, ultima tappa prima dell’arrivo a Trieste ed Eugenio raccolse le sue carte, le riordinò e le sistemò nella sua borsa. Gli capitò tra le mani il bigliettino scritto da Rossella con l’indirizzo e i numeri telefonici di Padova e di Arezzo. Lo guardò con un sorriso e rivide il suo bel visetto acqua e sapone, sorridente e dolce. Rimase così alcuni minuti poi lo piegò in due e lo ripose nel portafoglio che rimise nella tasca interna della giacca sul lato sinistro, vicino al cuore. Chiuse gli occhi ed appoggiò il capo sullo schienale del divano, rivedendo ed analizzando la situazione. Ma cosa gli stava succedendo? A lui che vedeva solo gli affari, il lavoro, il correre da una città all’altra senza quasi mai ritornarvici se non dopo lungo tempo, un nuovo interesse lo affascinava: rivedere quanto prima Rossella, poterle parlare e poterla toccare! Bene, Eugenio si diede una scrollata, riaprì gli occhi e pensò che ora doveva solo pensare al lavoro, freddamente, senza emozioni, senza turbamenti che avrebbero potuto compromettere l’esito del suo viaggio a Trieste. La signora Maria che aveva seguito il comportamento di Eugenio negli ultimi minuti si rivolse a lui dicendogli: - Si sente bene signor Della Noce? Ha bisogno di qualche cosa? - No, no grazie, veramente molto gentile, mi riposavo un momento. Sa tante ore di viaggio, anche se seduti stancano. Arriveremo a Trieste alle 19.30, dovrò andare in albergo, fare una doccia, cambiarmi, andare a mangiare un boccone e poi mettermi a dormire in un sonno ristoratore per essere in forma domani mattina. Grazie ancora dell’interessamento. Il treno, partito da Monfalcone, stava viaggiando un po’ all’interno, dapprima lungo il Carso Monfalconese e poi lungo quello Triestino. Giunto all’altezza di Sistiana-Visogliano, la linea ferroviaria avrebbe viaggiato a ridosso del ciglione prospicente il mare. D’un tratto una vista meravigliosa apparve ad Eugenio che era seduto vicino al finestrino ed egli ne fu affascinato. 22 Vide il golfo argenteo, con il sole che stava abbassandosi in un’angolazione che lo faceva risplendere in tutta la sua bellezza, alcune navi in navigazione, molte barche a vela che veloci e silenziose andavano in tutte le direzioni per rientrare, data l’ora, nei porticcioli di attracco. Il golfo di Panzano, la laguna di Grado, di fronte la costa istriana si stagliava nella sua maestosità con i sui colli e le insenature frastagliati di gruppi di casette e piccole cittadine, facevano da corona alla perla in fondo al golfo. Quella perla era Trieste, anch’essa circondata dai suoi colli, quasi a proteggerla. Eugenio rimase incantato, si alzò in piedi quasi che, così facendo, avesse potuto vedere di più. I suoi occhi correvano da destra a sinistra velocemente, quasi avesse paura di perdere qualche scorcio, qualche veduta, qualche angolo di paesaggio. - Bello eh! - disse la signora Maria - le piace il nostro golfo e la vista della città? A chi ci viene per la prima volta fa veramente una bella impressione, ma posso assicurarle che anche per me che ci sono nata e mio marito che ci vive da tanti anni, ogni volta è un’emozione nuova, una sensazione che prende la bocca dello stomaco e toglie il fiato. La costa è sempre là, la città pure, il mare non si muove, eppure le sensazioni a tale visione cambiano di volta in volta, vuoi per l’ora diversa che fa cambiare i colori, vuoi per la stagione che, come un pittore, pennella le colline nelle tinte che variano dal dolce e tenero verde primaverile al rosso e giallo infuocati dell’autunno. Ogni volta il quadro è diverso. - Cari signori Candotti, come avrete sentito, io viaggio molto, ma cose del genere non mi erano mai capitate di vedere. Ho ammirato degli scorci stupendi sulle coste, delle baie e delle insenature che facevano paragonare le località a piccoli paradisi in terra, ma erano piccoli scorci, qui invece quello che colpisce e stupisce sono la vastità della bellezza, la completezza dell’immagine che riempiono l’occhio e che non si riesce a trattenere con uno solo sguardo. Il treno procedeva veloce e, per un tratto, apparve, proteso verso il mare, il bianco castello di Miramare per subito nascondersi alla vista come fosse il veloce scorrere di una diapositiva proiettato su di uno schermo. 23 La velocità diminuì progressivamente, il treno stava entrando lentamente nella stazione di Trieste. Il convoglio procedeva molto lentamente in quanto si trattava di una stazione terminale e non di transito dove il treno non può permettersi il lusso di fermare un po’ prima o un po’ dopo. I respingenti della motrice avrebbero dovuto poggiare sui ceppi d’arrivo. Non c’era bisogno di fare in fretta, tanto il treno non ripartiva, ma sia i signori Candotti che Eugenio, prima di raccogliere i loro bagagli, si salutarono ringraziandosi reciprocamente per la conversazione che aveva fatto passare in un lampo il viaggio. - Buona permanenza nella nostra città - disse il signor Candotti - vedrà che le piacerà tanto e sono sicuro, ci ritornerà o prima o dopo. Trieste è una città nella quale ci si lascia un pezzetto del proprio cuore. Di nuovo, arrivederci. Ringraziando, Eugenio porse la mano alla signora Maria ed al signor Antonio e facendo un buffetto sulla guancia del piccolo Mauro disse: - Grazie di tutto e soprattutto delle preziose informazioni sul come destreggiarmi nella città, grazie ancora e arrivederci. Presa la borsa e la valigia, Eugenio si avvicinò all’uscita mentre, proprio in quell’istante, il treno si fermò in mezzo ad un rumore assordante di valvole della pressione che scaricavano i compressori del treno. 24 Capitolo 3 La pensilina era lunga da percorrere, infatti tra vagoni tolti nelle varie stazioni e vagoni aggiunti in altre, la carrozza del convoglio era diventata una delle ultime. I portabagagli, con i loro carretti, andavano gridando: - Valigie signori, facchino, pacchi, borse, bauli, prego signori, prego. Eugenio, avendo una piccola valigia ed una borsa, rifiutò gentilmente e di buon passo si avviò all’uscita in mezzo ad un folto numero di viaggiatori scesi da quel treno. Giunto all’uscita vide una fila di taxi in attesa e, pur sapendo che l’albergo era vicino, avendo precedentemente studiato dettagliatamente la pianta della città, preferì salire su uno di essi e farsi condurre all’hotel. - Dove la porto signore? – chiese il tassista. - Al Grand Hotel e de la Ville, grazie. Il taxi partì lentamente ed imboccò la via Ghega percorrendola tutta fino a piazza Oberdan, da lì proseguì per la via Carducci, per poi svoltare nella piazza Goldoni e scendere lungo Contrada del Corso fino a piazza della Borsa. Presa la via del Canal Piccolo giunse in piazza Tommaseo e svoltando a destra, sulle rive, giunse davanti all’Hotel de la Ville e si fermò. Il tassista abbassò la bandierina del contachilometri e chiese ad Eugenio il prezzo della corsa. Eugenio consegnò la somma richiesta, prese le borse e scendendo commentò: - Se un’altra volta vorrò fare un giro turistico glielo chiederò, non occorreva lo facesse lei di sua iniziativa dato che la stazione è laggiù in fondo. Se poi la corsa aveva un prezzo minimo me lo comunicava e non mi faceva perdere tempo. Scese, sbattendo lo sportello e lasciando il tassista ammutolito e rosso in volto. 25 Entrato nella lussuosa hall dell’albergo, si diresse verso la reception dove un gallonato portiere lo accolse con uno smagliante, ma discreto sorriso: - Buona sera signore, in che cosa posso esserle utile? – Desidero una stanza, possibilmente in facciata con vista sul golfo. – Ma certamente, potrei darle la numero 316, al terzo piano, dal quale godrà una amena vista sul mare e sentire una dolce brezza dall’odore salmastro del mare che le allieterà il riposo notturno. - Benissimo - concluse Eugenio consegnando i documenti ed un biglietto da visita - mi fermerò due o al massimo tre notti, le saprò dire. Data l’ora, salgo in stanze per rinfrescarmi, vuole riservarmi un posto al ristorante per la cena? - Sarà mia premura, dottor Della Noce, faccia pure con comodo - mentre con un cenno della mano chiamava il facchino dell’albergo. – Il bagaglio del dottor Della Noce alla 316! e a lei dottore buona permanenza e per qualsiasi necessità sono a sua completa disposizione, può contarci. Seguendo il facchino verso l’ascensore, Eugenio pensò: - Che cosa si è costretti a fare per garantirsi una buona mancia al momento della partenza! Giunti al terzo piano si incamminarono attraverso un lungo e ampio corridoio costellato di preziosi divanetti, pregevoli specchi e tappeti persiani fino a giungere davanti alla porta della stanza 316. Il facchino aprì la porta, fece accomodare Eugenio, posò la valigia e la borsa su di una panca vicino alla porta e consegnando le chiavi fece un breve inchino. Eugenio mise la mano nella tasca della giacca, prelevò una banconota e la diede al facchino il quale con un ulteriore inchino bisbigliò: - Grazie mille, dottore! La stanza era di notevoli dimensioni, in stile primi ottocento con un bel lettone con copriletto in broccato, un grande armadio, una cassettiera con uno specchio dalla cornice dorata. In un angolo c’erano due poltrone con un tavolinetto, mentre tra la finestra e la porta finestra che 26 dava su di un balconcino era posizionata una scrivania con lo scrittoio e la carta e le buste intestate dell’hotel. Eugenio scostò le tende ed aprì la porta finestra che dischiuse una bellissima visione del porto con davanti il molo Audace e leggermente sulla sinistra la Stazione Marittima, mentre sulla destra era visibile quelle che un tempo fu l’idroscalo. Il sole era oramai calato e le prime ombre della sera giocavano con gli ultimi riflessi dorati sul mare, mentre alcune barche a vela, ormeggiate sulla riva, si dondolavano pigramente facendo sentire il tintinnio delle sartie che battevano sull’albero lungo e proteso verso il cielo. Il portiere aveva ragione, un delizioso profumo di mare si espanse nella stanza, mentre la temperatura diventava più fresca e gradevole. Si tolse gli abiti stropicciati per il lungo viaggio e li depose sull’apposita gruccia perché, il giorno dopo, il personale lo portasse in lavanderia per essere rinfrescato e stirato, Entrò nel bagno, notando che anch’esso era all’altezza della fama dell’albergo, ampio, lindo, con luci soffuse che dava un caldo senso di intimità. Su di un mobiletto erano posizionati i flaconi sigillati di bagno schiuma, sali da bagno, shampoo, lozioni per capelli ed acqua di colonia oltre, s’intende, ad un set di asciugamani e teli da bagno che poteva far parte di un corredo nuziale. Per rilassarsi e riposare Eugenio decise di preparare una bella vasca piena d’acqua, piuttosto calda, con i sali ed immergersi per almeno una decina di minuti nella speranza di non addormentarsi in quel dolce tepore. Uscito dalla stanza da bagno, si rivestì con i ricambi che aveva portato con sé e mise anche il vestito scuro che non si era per niente stropicciato, anche se piegato nella valigia. Chiusa la stanza, ripercorse il corridoio, prese l’ascensore e scese al piano terreno per recarsi al ristorante. Il portiere lo vide, uscì da dietro il banco, gli si avvicinò indicandogli la direzione che doveva prendere. – Prego dottore, da questa parte, dopo il bar, sulla sinistra c’è la sala ristorante. – Grazie, credo che mangerò volentieri, ho un certo appetito, è dalla colazione di stamattina che non metto nulla di consistente sotto i denti. Attraversò il bar dove alcune persone erano sedute ai tavolini e conversavano tra di loro, o leggevano qualche giornale. Si diresse quindi alla porta del ristorante che, al 27 suo arrivo, si aprì ed un ragazzo in giacca bianca lo accolse: - Buonasera signore, ha riservato un tavolo? – Sì, ho chiesto al portiere di prenotare, sono Della Noce. – Ma certo dottore, l’accompagno. Il ragazzo fece strada ed accompagnò Eugenio ad un tavolo vicino alla finestra e, dopo l’immancabile mancia, si sedette su di una comoda poltroncina. Immediatamente giunse il maitre: - Buona sera dottore, mi chiamo Osvaldo. Spero che la sua permanenza presso l’hotel ed in città possa essere gradevole. Al che, ossequiosamente, chiese ad Eugenio se avesse dei desideri particolari o potesse essere lui a consigliare. Eugenio disse solamente: - Grazie per gli auguri Osvaldo. Essendo in una città di mare, gradirei mangiare del buon pesce. - Era quello che mi sarei permesso di suggerirle dottore e per iniziare le consiglierei un paio di ostriche allo champagne seguite da un antipastino di mare con salsine varie. Per primo le proporrei dei tagliolini con l’astice ed un assaggio di risotto dell’Adriatico, una delle specialità nel nostro chef. Per secondo, le proporrei, un branzino al sale con dell’insalatina di stagione. Per i vini mi permetta di mandarle il somelier per i consigli del caso. - Va bene Osvaldo, faccia lei, e mentre aspetto gradirei un Martini cocktail ben ghiacciato. – Ma certo dottore, le auguro buon pranzo, vado a dare gli ordini in cucina, permesso. Eugenio prese il giornale e continuò la sua lettura tante volte interrotta durante il viaggio. Dopo qualche minuto arrivò il ragazzo del bar con il cocktail su di un vassoio corredato da salatini ed olive verdi. Al suo seguito sopraggiunse il somelier con la sua brava cartella contenente la lista dei vini ed il menù scelto da Eugenio. - Buonasera signore, data l’ottima scelta del menù, consiglierei dello campagne brut ghiacciatissimo per gli antipasti, con il primo un po’ di tokaj sec del ’49, mentre, per il secondo mi permetta di suggerirle del pinot grigio novello della zona del Collio. – Faccia lei, ma sappia che bevo pochissimo, pertanto in me non troverà un appassionato intenditore, 28 comunque amo degustare del buon vino, altrimenti preferisco l’acqua. - Comprendo signore, lasci fare a me, vedrà che rimarrà soddisfatto. – Lo credo anch’io - pensò Eugenio - bevo poco, apre tre bottiglie ed il conto sale. Non fa niente, il tutto fa parte del gioco per crearsi un’immagine. La cena venne servita con gran dispiego di personale in una scenografia che solo un grand hotel come quello poteva offrire, in un vorticare di cambi di posate, bicchieri, piatti, carrelli che andavano e venivano in un turbinio che solo la consolidata esperienza di Eugenio, in alberghi del genere, evitava di fargli girare la testa. Dopo poco più di un’ora di questo carosello, bevuto il caffè, Eugenio si alzò dal tavolo e si diresse alla sua stanza, ossequiato e riverito da tutto lo staff del ristorante. La giornata era finita, bisognava fare un bel riposo per essere arzilli ed iniziare la giornata di lavoro preparatorio all’affare che Eugenio aveva in mente di sviluppare. Salito alla stanza 316, si affacciò alla finestra, che era rimasta aperta, per ammirare la bellezza notturna del golfo. Era una nottata senza la luna, pertanto il buio era totale, reso suggestivo dai punti luminosi che sui piroscafi all’ancora in rada disegnavano la sagoma pigra della nave. Più in là le forti lampare delle barche dei pescatori, che attiravano i pesci nelle reti tese tra di esse, davano la sensazione dell’operosità notturna di quelle piccole imbarcazioni che con pochi uomini a bordo stavano procurando il pesce fresco per l’indomani da offrire ad una città che al momento stava dormendo. Eugenio inspirò a pieni polmoni la fresca aria dal profumo salmastro, diede ancora un ultimo sguardo al golfo, chiuse le persiane e si apprestò ad andare a letto. 29 Capitolo 4 Erano le 7.30 quando Eugenio aprì gli occhi perfettamente soddisfatto della nottata trascorsa in un sonno tranquillo e ristoratore. Si sentiva bene, si alzò e andò alla finestra, che spalancò per aprire le persiane e vedere come si sarebbe presentata la giornata. Uno splendido cielo terso e un caldo sole di fine primavera abbracciarono Eugenio quasi a dargli un affettuoso benvenuto dalla città. La vita operosa si stava risvegliando, la gente andava di fretta, vetture e furgoncini passavano veloci lungo le rive, mentre sulla destra, nel porto vecchio, si vedevano le gru già all’opera e si udiva, in lontananza, il frastuono dello spostamento delle merci, che venivano scaricate dalle navi per essere poste nei magazzini. Eugenio stette qualche minuto appoggiato al davanzale ad osservare il movimento ed il viavai dei veicoli ancora contenuto data l’ora, respirando la pura e fragrante aria che la brezza mattutina, dolcemente, portava a lui quando, improvvisamente, il paesaggio si dissolse ed alla sua mente apparve il dolce e sorridente viso di Rossella. Rimase così per breve tempo, che a lui sembrò lunghissimo, finché si scosse e pensò tra sé e sé: - Ahi, Ahi Eugenio!! Ho paura che questa sia una “cotta” per la laureanda in medicina. A lei, però, sarà meglio pensarci dopo il lavoro, ora bisogna avere la mente libera da pensieri per non essere distratti nel portare a termine il lavoro che ti sei prefissato. Si ritirò dalla finestra per entrare nel bagno, radersi e fare tutte quelle cose che quotidianamente si devono eseguire per affrontare al meglio la giornata. Si vestì e scelse una cravatta chiara a pois adatta ad una splendida giornata come quella. Scese al piano terra e si recò nella sala, attigua la bar, per consumare la prima colazione. C’era parecchia gente seduta ai tavoli tra cui si potevano notare parecchi ufficiali in divisa; si sarebbe capito che erano americani non solo dalla divisa, ma anche dal tipo di alimenti e bevande che stavano consumando: caffè lunghissimo in tazze grandissime, 30 cereali, pane tostato caldo, tre o quattro uova fritte con la pancetta. Eugenio si sistemò in un angolino onde cercare di non dover annusare, al mattino presto, l’odore di fritto cui non era abituato e poter consumare un cappuccino con brioche, colazione certamente più tipicamente italiana. Un giornale locale, “Il Giornale di Trieste” era collocato, piegato, sull’angolo destro del tavolo. Era l’edizione di venerdì 8 Giugno 1951, Eugenio diede un’occhiata ai titoli In prima pagina il titolo dell’articolo di fondo, in grassetto, era: “MISTERIOSA SCOMPARSA DALL’INGHILTERRA DI DUE ALTI FUNZIONARI DEL FOREIGN OFFICE” L’articolo iniziava così: Un telegramma da Parigi li conferma sani e salvi però risultano vane le ricerche della polizia francese che sorveglia gli aeroporti e le frontiere. Non è esclusa una fuga in Russia in quanto erano a conoscenza di importanti segreti di Stato. Nelle pagine interne, tra l’altro, veniva evidenziato il problema della ricettività alberghiera di Trieste nel timore di una scarsa capienza in vista della prossima inaugurazione della locale Fiera Campionaria Internazionale. Ed ancora, il giro d’Italia, che aveva fatto tappa in città alcuni giorni addietro, ieri era giunto a Cortina d’Ampezzo con all’attacco Bobec e Fausto Coppi che hanno preceduto sulla linea di traguardo Fiorenzo Magni. Van Steenberger conserva la “maglia rosa”. In città la segnaletica stradale è poco efficace e, più che agevolare il traffico, lo complica. Denunciato l’eccesso di zelo dei tutori dell’ordine. Vasta eco per gli spettacoli in programma: Al Teatro Verdi si replica “La figlia di Jorio”, al Politeama Rossetti continua con successo gli spettacoli della Compagnia di Wanda Osiris, alla Ginnastica Triestina si inaugura la stagione teatrale estiva. Nella pagina della cronaca politica si può leggere: “Incomincia il sogno dell’unione dei paesi europei”, l’Italia è rappresentata da Alcide De Gasperi che, in ottimo tedesco, è intervenuto al dibattito evidenziando, tra l’altro, il pericolo comunista per l’Europa, prospettando la necessità di arginare questa avanzata. Dopo la breve scorsa, ripose il giornale sul tavolo e, alzatosi si avviò verso la hall. 31 Uscito dall’hotel, Eugenio fece un breve tratto di strada e raggiunse la piazza del Tommaseo per poi salire verso la Contrada del Corso. Bellissimi negozi si aprivano da una parte e dall’altra della strada ed anche nelle tante strade laterali e nelle vie parallele al Corso. Tutto il centro cittadino era un susseguirsi di negozi le cui tende parasole erano abbassate in modo che la merce esposta non venisse danneggiata dai raggi del sole. Eravamo verso la fine della settimana e la gente si affrettava per svolgere sia le commissioni che gli ultimi acquisti. Si soffermò, come fosse un turista, ad ammirare i capi d’abbigliamento, le scarpe, le camicie, le cravatte, borse ed oggetti in pelle di tutti i tipi, gli sfavillanti gioielli esposti nelle oreficerie. Ogni tanto l’olfatto veniva stuzzicato dal fragrante odore del pane e dei dolci appena sfornati da alcune pasticcerie, molto rinomate, che incontrava lungo il suo percorso. In altri punti del suo vagabondare, l’olfatto fu colpito dall’acre odore dei crauti appena cotti e dalla carne di maiale bollita assieme a salsicce, cotechini e zamponi nelle caldaie dei caratteristici buffet, che solo a Trieste era dato di incontrare; punti di riferimento e di sosta sia per veloci spuntini di mezza mattina a base di panino e birretta che di piatti misti più sostanziosi con contorno di fumanti crauti, senape e kren (termine tedesco che si riferisce al rafano forte) per una veloce colazione consumata da chi non riusciva, per questioni di tempo, ad andare a casa a mangiare In tutto questo vario mondo del commercio triestino, ad Eugenio interessavano di più due attività nel complesso, avrebbe cercato la migliore pasticceria ed il più rinomato gioielliere della zona per cercare di concludere l’affare per cui era venuto a Trieste. Dopo aver girato parecchio, ed essendosi fatto una sua opinione personale, volle confrontare le sue conclusioni con delle informazioni attinte chiedendo consigli presso qualche bar. In quel momento si trovava dalle parti della chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo e pensò di entrare per prendere un caffè in un grande bar d’angolo. L’ambiente era in classico stile austriaco con tavolini il cui piano, rotondo, era di marmo bianco su basi metalliche, le cui gambe terminavano con degli appoggi simboleggianti la zampa 32 del leone. Attorno ai tavolini c’erano sia delle poltroncine in pelle che le mitiche sedie “Thonet” con il sedile in paglia di Vienna e lo schienale a doppio arco in legno. Il bancone del bar era un cesello con medaglioni incastonati contenenti stampe antiche che raffiguravano scene di caccia, tenute, castelli. Al centro troneggiava un vecchio registratore di cassa in ferro argentato sul quale erano scolpite delle foglie di acanto e dei tralci di vite, rigorosamente funzionante a manovella. Oltre un tendaggio in pesante velluto rosso cupo leggermente aperto, vide alcuni tavoli da biliardo sui quali, chini, stavano cimentandosi con le stecche degli esperti giocatori. Eugenio , durante i primi approcci, aveva detto a Rossella che a lui piaceva studiare un po' la città per non fare la figura del turista che "vaga“ e viene notato da tutti, ma in questo caso, non poté ostentare indifferenza e fare a meno di non rimanere a bocca aperta di fronte a una cosa, per lui, nuova e splendida. Si ricompose immediatamente, si avvicinò al banco e chiese al barista un caffè con un po’ di latte freddo a parte. Eugenio sorbì il caffè apprezzandone la fragranza e l’aroma, cose che solo a Napoli, poteva trovarne simili. Il barista, nel frattempo, stava sistemando alcuni bicchieri su di un tovagliolo sotto il banco ed egli approfittò per chiedere: - Mi scusi, avrebbe la compiacenza di indicarmi un’ottima pasticceria qui, nei paraggi? – Ma certamente - rispose il cameriere - proprio all’altro lato della piazza c’è una delle migliori pasticcerie di Trieste, se non la migliore. Indicò con la mano la direzione che avrebbe dovuto prendere per raggiungerla. - Grazie molte, è stato davvero assai gentile, quanto le devo? Il banconiere incassò il prezzo del caffè ed Eugenio lasciò accanto al piattino una buona mancia. – Grazie signore, arrivederci e torni presto a trovarci. Uscito dal bar, si avviò lentamente per andare a vedere da vicino la pasticceria suggeritagli dal solerte barista. Attraversò la piazza guardandosi in giro per vedere quanto movimento ci fosse a quell’ora e in quel punto. La pasticceria era veramente bella e nelle vetrinette facevano bella mostra di sé tantissimi pasticcini, pastine e 33 torte di tutti i tipi. Il profumo che usciva in strada era delicato e gradevole e sopra di tutto si sentiva la fragranza del burro con cui i dolci erano stati preparati. All’interno, due clienti stavano scegliendo alcune pastine da portare a casa e la commessa le sistemava sapientemente su dei piccoli vassoi di cartone. Eugenio pensò che l’ambiente fosse sicuramente di una raffinatezza unica, ma non faceva al caso suo per l’affare che avrebbe voluto concludere. Passando lungo il fianco della chiesa di Sant’Antonio, si avviò verso la centralissima via Carducci, piena di vita e di traffico e fatte poche decine di metri, vide una grande panetteria-pasticceria dal cui ingresso si notava un continuo viavai di gente che entrava ed usciva. Avvicinatosi alla porta, sbirciò dentro e vide una cosa quasi inverosimile: decine di persone assiepate vicino al banco vendita che chiedevano a gran voce alle sei commesse di essere servite. Una settima persona, un omone grande e grosso con la giacca bianca da panettiere stava alla cassa cercando di accelerare il lavoro di incasso per far defluire le persone e lasciare il posto alle tante altre che entravano. Ecco, questa sì! Era la pasticceria che cercava, piena di vita febbrile, di movimento, di animazione, di agitazione, di folla, gente, viavai che facevano girare la testa e stordivano. All’esterno, a fianco della porta, c’era una targhetta sulla quale, per ordine delle autorità, veniva inciso il nome del depositario delle chiavi con il recapito telefonico. Questa era una vecchia ordinanza della Pubblica Sicurezza e serviva, in caso di necessità, durante le ore di chiusura, per reperire il responsabile e poter aprire l’esercizio se fosse stato necessario entrare per controlli su eventuali principi d’incendio o tentativi di scasso e furti. Il nome era Bonifacio! Il tempo passava veloce e mezzogiorno era da poco passato quando egli si allontanò dalla pasticceria Bonifacio dirigendosi nella vicina piazza Goldoni dove si sedette ad un tavolino esterno di un bar d’angolo per prendere un aperitivo. Ordinò un aperitivo leggermente alcolico. Il sole era a picco sulla piazza, ma il tavolino era sistemato sotto un 34 ombrellone e una leggera brezza rendeva piacevole il luogo. Ai tavoli vicini erano sedute parecchie persone, per lo più anziane, che leggevano un giornale o chiacchieravano tra di loro, qualche mamma lavorava a maglia o ricamava mentre guardava il suo bambino giocare con i coetanei sulla piazza, che centralmente era adibita a isola pedonale, pertanto senza pericoli. Il cameriere gli portò un bicchiere molto alto contenente l’aperitivo di un colore rosato chiaro con parecchi cubetti di ghiaccio ed una cannuccia. Sul vassoio c’erano pure alcune ciotoline contenenti arachidi tostati , olive verdi, patatine e alcuni biscottini salati. Osservò il cameriere che era bassissimo di statura, poco più di un nano. Infatti in piedi era alto poco di più dei clienti seduti, ma si destreggiava con abilità ed eleganza a posizionare sul tavolo l’aperitivo e gli accessori. Terminato di servire il cameriere si rivolse ad Eugenio: - Spero che sia di suo gradimento l’aperitivo, lo assaggi altrimenti le faccio preparare qualche cosa d’altro. Rimase colpito dalla gentilezza di quell’ometto e rispose: - Andrà bene di sicuro, io non conosco molti tipi di aperitivi e ad ora di colazione preferisco qualche cosa di leggero e dissetante come sembra, essere questo che mi ha servito. Grazie comunque della sua premura. Come si chiama? Il cameriere assunse un’aria afflitta: - Vede, egregio signore, la sorte alle volte si accanisce in modo particolare con le persone e nel mio caso ha fatto il massimo. Sono basso di statura, ho un metro e sessanta centimetri, ed è già una disgrazia in una città dove la media del l’altezza degli uomini supera il metro e settantacinque centimetri, ma quello che completa la mia disgrazia è il nome. I miei genitori mi hanno chiamato Ercole, comprende la mia pena? - Suvvia non si abbatta - replicò Eugenio - se tutti i mali fossero questi........la statura ha un’importanza relativa ed il nome di Ercole è sinonimo di forza e di potenza che, non è detto sia solo fisica, può essere anche forza morale. Cosa dovrei dire io che mi chiamo Eugenio, nome portato da un vescovo di Cartagine, da un grande ammiraglio e letterato siciliano, dal viceré d'Italia figlio di 35 Giuseppina, la prima moglie di Napoleone, e persino da quattro Papi. Io invece che, molto più semplicemente, sono un uomo d’affari? - La ringrazio signore per le belle parole, ma sono una magra consolazione di fronte agli scherzi e ai lazzi dei ragazzi che passano per la piazza e da lontano mi gridano: - A che fatica sei arrivato oggi Ercole? Ora mi perdoni, devo andare, altri clienti mi reclamano. Eugenio rimase pensieroso e perplesso, sì effettivamente era una bella disgrazia, povero Ercole e le comparazioni col proprio nome non furono sicuramente un’uscita né felice né tantomeno consolatrice. Sorseggiò l’aperitivo, molto gradevole, il cui sottofondo aveva il gusto di albicocca che si combinava molto bene con gli stuzzicchini salati. Assorto nei suoi pensieri, non si accorse che oramai era rimasto quasi solo seduto ai tavolini, infatti un orologio posto su di un palazzo di fronte batté in quel momento i suoi tredici rintocchi e la gente era rincasata per la colazione. Chiamò il cameriere per poter pagare, Ercole si avvicinò, prese la banconota dal tavolo e vi pose il resto che non era molto. Eugenio si alzò, lasciando il resto, e chiese al cameriere dove si potesse fare uno spuntino veloce lì vicino. - Se le fa piacere, c’è un luogo caratteristico, dove si possono mangiare anche dei piatti singoli, ma tutti genuinamente appartenenti alla cucina tradizionale triestina. Attraversi la piazza e, laggiù, sotto quel portico, c’è una famosa “Taverna”, vedrà si troverà bene. Ercole prese la mancia, ringraziò, tolse il vassoio e rientrò all’interno del bar per depositare i vuoti. Eugenio attraversò la piazza, ormai vuota, senza i bimbi festanti che giocavano, poche persone ritardatarie sostavano alle numerose fermate delle filovie, degli autobus e dei tram per far ritorno a casa. I negozi e gli uffici erano chiusi per la pausa meridiana e la città sembrava essersi fermata, i rumori erano limitati ed ovattati, tanto che Eugenio riuscì a sentire quello dei suoi passi sulle lastre di pietra arenaria che ricoprivano la piazza. Arrivò davanti all’arco indicatogli da Ercole che era l’inizio di un passaggio sotto la casa conducente al cortile 36 interno ricoperto da una pergola di uva fragola sotto la quale erano sistemati alcuni tavoli pieghevoli in legno, caratteristici delle trattorie di campagna. Dietro alla pergola si apriva la porta d’ingresso della taverna vera e propria. Era veramente un locale caratteristico, molto modesto, ma sul banco di mescita vide una gran varietà di pietanze poste su dei piatti da portata sistemati l’uno accanto all’altro in un insieme di colori e forme che mai aveva visto in altri posti d’Italia. L’aspetto era invitante e cominciò a guardare nel tentativo di capire cosa vi fosse esposto. Visto l’imbarazzo di Eugenio un cameriere gli si avvicinò: - Permette signore, immagino lei sia forestiero, posso illustrarle le nostre specialità? – Sì, certo, anzi gliene sarei grato. - Allora incominciamo: quelli sono chiamati “gnocchi di pane” e sono fatti con del pane raffermo messo a mollo ed impastati con della pancetta affumicata tagliata a dadini, pezzetti di formaggio, aglio e prezzemolo e vengono lessati e conditi con il ragù di carne di maiale. - Lì abbiamo il “rodolo de spinaze” che sarebbe una sfoglia fatta con l’impasto degli gnocchi di patate riempita di spinaci al burro e parmigiano, viene arrotolato su se stesso, messo in un canovaccio e fatto bollire in brodo bollente. Viene servito a fettine condite con del burro fuso con salvia e una spolverata di grana. Il cameriere indica un altro piatto: – Quelli sono i “nervetti” che sono i tendini attorno al ginocchio e nella parte bassa delle zampe anteriori del vitello, tagliati a pezzetti, lessati e conditi con olio, tanta cipolla cruda, sale e pepe. - Quelle sono delle melanzane e degli zucchini tagliati a fette ed impanate, vengono servite tiepide o fredde, mai calde. - Quelle che vede lì sono una delle nostre specialità, sono semplici polpette fritte, ma il nostro cuoco ha una ricetta segreta nella quale mescola in proporzioni giuste vari tipi di carne, so che ci mette del prosciutto e chissà quante spezie ed aromi. L’impasto lo fa il mattino presto quando non c’è nessuno tanto è geloso della sua ricetta e delle sue proporzioni. Le garantisco che vengono qui da tutta Trieste per mangiarle e ne friggiamo circa duecento e cinquanta pezzi, che non arrivano mai alla sera. Infine 37 abbiamo la classica caldaia con le specialità di carni di maiale ed insaccati. Eugenio fissò tutti questi piatti indeciso su cosa prendere per soddisfare le sue curiosità, fu allora che azzardò una richiesta: - Sarebbe possibile avere degli assaggini di un po’ di tutto? – Ma certamente signore, posso proporle il nostro piatto tipico denominato “I sapori di Trieste” che è composto appunto da una serie di piccoli assaggi di tutte le nostre specialità. Se mi permette le suggerisco di accompagnarlo con del vino Terrano, tipica produzione del Carso, che bene si accompagna con i gusti forti. - Bene mi siedo a quel tavolo d’angolo e attendo fiducioso e curioso di assaggiare tante cose, per me, nuove. Sembra quasi di essere all’estero! Si sedette al tavolo prescelto, si guardò in giro e vide un arredamento molto modesto, anche se pulitissimo, ben differente dai locali che normalmente era uso frequentare, ma il folklore vuole anche queste varianti e sacrifici per rendere la vita piacevole e varia. Mentre stava aspettando impaziente il piatto ordinato, cominciò a pensare a dove si sarebbe recato il pomeriggio alla riapertura dei negozi e presa la sua inseparabile guida iniziò a sfogliare le pagine sulle quali erano elencati i vari negozi dei diversi settori merceologici. Scorrendo le righe vide menzionata pure la “premiata pasticceria Bonifacio” che reclamizzava le sue famose paste creme, i cannoli, le francesine e i krapfen indiani. Il suo sguardo si fermò su di un elenco di orologerie-oreficerie. Alcune vantavano marchi di fabbrica di alto prestigio in concessione esclusiva per il territorio di Trieste, altri proponevano gioielli creati da maestri olandesi, specialisti nel taglio dei brillanti. Mentre leggeva gli indirizzi di gioiellieri del centro cittadino, arrivò il cameriere con un gigantesco piatto ovale fumante e pieno di ogni ben di Dio. Il cameriere posò il piatto dinanzi ad lui, stappò la bottiglia di vino e dopo aver annusato il tappo, per controllare che il vino si fosse ben conservato, versò un goccio di vino sul fondo del bicchiere invitando il commensale a provarlo per vedere se era di suo gradimento. Eugenio, controllò contro luce il colore del vino in trasparenza e notò che era molto corposo e lasciava, 38 facendolo roteare all’interno del bicchiere, un alone intenso. Lo assaggiò, rimase un momento perplesso per quel nuovo gusto che lui non conosceva, così forte, un po’ asprigno, ma che una volta lasciato scivolare in gola, lasciava sul palato una fragranza inaspettata ed un marcato gusto d'uva. – Sì, un gusto nuovo ma piacevole, penso che sarà adatto per far digerire questa pantagruelica portata. Meno male che avevo deciso di fare un leggero spuntino!!! - Mangi con calma, signore, assapori pian piano tutti i gusti e vedrà che, alla fine, non avrà alcun problema di digestione. Al massimo, semmai, una buona grappa dell’Istria in chiusura la farà uscire come non avesse nemmeno pranzato. Buon appetito! Eugenio si destreggiò con coltello e forchetta per prendere dei piccoli pezzi delle varie specialità ed assaggiarli. Tutto favoloso, gusti nuovi, intensi, fragranti, sapori inusitati, ma piacevoli: il rotolo di spinaci con burro fuso leggermente tostato, aromatizzato con la salvia, delicato e intenso nello stesso tempo, gli gnocchi di pane, al primo impatto quasi dolci per poi variare di sapore quando la pancetta affumicata, l’aglio ed il prezzemolo li rendevano gustosi unitamente al ragù alquanto piccante. La battaglia con il piatto fu dura, ma alla fine, come sempre, vinse Eugenio, sorseggiò il vino rimasto nel bicchiere pensando che, per uno che era quasi astemio, bere più di mezza bottiglia, era davvero molto. Anche in questo, Trieste era riuscita ad incantare e far cambiare abitudini al forestiero, tant’è che per un momento, pensò di essere in città da una vita e non da poco più di mezza giornata. Ordinò un caffè, rifiutando cortesemente la grappa dato che aveva ecceduto con il vino e riprese a consultare la sua guida. Quando ci si trova bene, il tempo passa veloce e data una rapida occhiata all’orologio, vide che erano le 15 e 30, ora di riprendere il suo giro di perlustrazione ai negozi del centro che a quell’ora avrebbero riaperto i battenti. Pagato il conto e ringraziato il cameriere per l’ottimo suggerimento, uscì all’aria aperta e provenendo da un ambiente oscuro e fresco, l’intensità di luce solare che colpì i suoi occhi, gli diede un attimo di sofferenza. In piazza Goldoni il viavai di persone e mezzi era ricominciato, la gente ritornava al lavoro dopo la pausa per 39 il pranzo, magari qualcuno s’era attardato e correva un po’ di più per non giungere fuori orario al lavoro. Eugenio imboccò via Mazzini che percorse lentamente osservando superficialmente le vetrine dei numerosi negozi che vi si affacciavano. Giunse davanti alla vetrina di una piccola oreficeria ed osservò la merce esposta, alcune catenine, un paio di bracciali, una serie di anelli di modesto valore, per lo più con pietre incastonate di bassa qualità e costo. Imboccò alcune strade laterali dove, grazie alla guida che prima aveva consultato, sapeva fossero ubicate delle gioiellerie di più alta levatura. Infatti nella seconda laterale a destra vide un negozietto delle stesse dimensioni di quello di via Mazzini, ma nella sua vetrina spiccavano gioielli di ben altra fattezza, bracciali a maglia con splendidi rubini incastonati, orologi di prestigiose marche svizzere con la cassa in oro, alcuni anelli con delle montature di brillanti di buon taglio. Scese in direzione del mare zigzagando tra le strade principali e le vie laterali, finché giunse davanti ad un negozio che nulla aveva da invidiare ai famosi gioiellieri di Parigi o Londra. Le ricche vetrine presentavano i loro gioielli singolarmente per non essere confusi con quelli vicini, evidenziati su panni di velluto di colori intensi e scuri per far ancor di più risplendere quelle meraviglie, frutto di paziente lavoro di maestri orafi e cesellatori. I prezzi, ovviamente, non erano esposti onde evitare degli infarti ai possibili acquirenti. Eugenio decise che quello era sicuramente il negozio a cui si sarebbe rivolto. Finito il giro di ricognizione che si era prefissato, risalì la contrada del Corso per andare alla pasticceria Bonifacio individuata in mattinata. Procedette a passo lento, assorto nei suoi pensieri, quando all’improvviso gli apparve nuovamente il viso sorridente di Rossella. Pensò a lei con nostalgia ed il desiderio di rivederla quanto prima lo pervase tanto che decise di accelerare i tempi della permanenza a Trieste in modo che, al rientro, avrebbe potuto fare una fermata a Padova, magari per un paio d'ore, per poter incontrare nuovamente di persona e prendere per mano quella ragazza che ormai si era insinuata nei suoi più intimi pensieri e che, quasi a sua insaputa, aveva preso posto nel suo cuore. Che fosse amore? Pareva proprio di sì, il classico colpo di fulmine! Erano ormai le 17 e 30 ed Eugenio si ritrovò davanti alla pasticceria Bonifacio, la ressa della mattina era finita, c’erano solamente due commesse, un cliente e l’omone 40 alla cassa. Entrò nel negozio, si rivolse al cassiere nella speranza che fosse il titolare: - Buon pomeriggio!...... il signor Bonifacio? - Sono io, in che cosa posso esserle utile? – Ah! ho avuto fortuna, non sono di Trieste e dei miei buoni conoscenti mi hanno indicato la sua pasticceria perché avrei bisogno di acquistare un bel po’ di pastine assortite. - Grazie della fiducia - rispose il signor Bonifacio effettivamente la nostra produzione è artigianale e la faccio preparare con i migliori ingredienti che si possano trovare da un abile pasticcere che lavora tutta la notte per sfornare al mattino la produzione calda e fragrante. Spero che non le servano per oggi in quanto sono rimaste solamente quelle poche invendute di stamattina. - No, no volevo appunto ordinarle per domani, verso la fine della mattinata. Domani, sabato, infatti faremo una bella festa per il mio fidanzamento nel giardino della villa della mia promessa sposa. Saremo almeno duecento persone e desidererei prenotare cinquecento pastine, magari di dimensioni un po’ ridotte, ma varie e ben assortite. - Bene signore, dato il numero, le farò preparare una fornitura a lei riservata che potrebbe essere pronta, diciamo alle 11 e 30, le andrebbe bene? - Perfetto, il tempo di ritirarle e darle alla servitù che le disponga opportunamente, per il dessert, alla fine del rinfresco. Mi va benissimo, quanto le devo? – Lasci stare, rispose il signor Bonifacio, le pagherà domani, per un signore distinto come lei non è il caso. - No - replicò Eugenio - sono passato già stamattina e ho visto la mole di lavoro che ha e io non avrò tempo di aspettare il mio turno non volendo nel contempo attirami le ire dei suoi clienti nello scavalcarli. Le pago volentieri adesso. - Come crede, dato la fornitura elevata le farò una piccola riduzione di prezzo. I costi sono leggermente differenti a secondo del tipo delle pastine, le farò un valore unificato di venticinque lire cadauna. Il totale è 12.500 lire. Eugenio trasse dalla tasca interna della giacca il suo bel portafoglio di coccodrillo, prese alcune banconote che consegnò. Il pasticcere prese un blocchetto sul quale scrisse “500 pastine lusso, assortite, tutte e 12 le nostre specialità” consegna ore 11 e 30 al sig.........che nome devo mettere? - Ennio Rossi - rispose. e ritirato il resto del contante, salutò il titolare della pasticceria ed uscì. 41 Eugenio si ritrovò nel traffico convulso del venerdì sera e si diresse, lungo la via Carducci, in direzione verso la stazione ferroviaria. Giunto al primo incrocio, con il semaforo rosso, si fermò e vide un taxi libero, fermo anche lui. Fece un cenno al conducente, il quale annuì e lui salì mentre il semaforo passava al verde. - Buona sera signore dove la debbo portare? – Faccia lei - replicò Eugenio - ho avuto una giornata pesante e prima di rientrare all’albergo vorrei sostare in un luogo tranquillo. – Se le va bene, io proporrei di accompagnarla sul lungomare di Barcola, dove ci sono parecchi bar dai quali, seduto al tavolino tranquillamente, può ammirare la bellezza del golfo e in distanza lo stagliarsi splendido del bianco castello di Miramare verso l’azzurro del mare. - Ottima idea, vada pure! Giunti che furono sul lungomare, l’autista fermò il taxi davanti ad un bar gelateria e disse: - Ecco signore, per rientrare in città farà una passeggiatina lungo il mare di circa 600 metri e si troverà al capolinea del tram numero 6 o se preferisce, lì accanto, c’è pure il posteggio fisso dei tassametri. Eugenio pagò la corsa, ringraziò e salutò l’autista scendendo dalla macchina chiuse la portiera. Il sole stava calando verso il crepuscolo, illuminava di riflessi argentei e dorati le creste di piccole onde che increspavano dolcemente il mare mosso da una leggera brezza da ovest. Parecchia gente sostava ancora ai tavoli del bar, tranquilla, senza far rumore, parlando sottovoce quasi a non voler turbare la pace e la bellezza di quella scena. Sedette ad un tavolo laterale per poter godere ancora di più la tranquillità del posto, ma si accorse di avere la gola secca e il desiderio di bere una bella birra fresca, pensò che, forse, il lauto pasto meridiano non fosse stato così digeribile come reclamizzato, fece cenno al cameriere che si avvicinò. - Buona sera signore, cosa posse servirle? - Una bella birra fresca di buona marca, grazie. – - Non ci sono problemi, qui a Trieste abbiamo una delle migliori fabbriche di birra d’Europa, la Dreher, che nulla ha da imparare dalle fabbriche di birra germaniche, gliela porto subito, con permesso. 42 Alcuni minuti dopo il cameriere gli portò la birra in uno strano bicchiere a forma di stivale, bella, dorata e spumeggiante. – Ecco signore, con questo bicchiere si ha il modo migliore per gustare la birra. Lei è forestiero vero?, stia attento che la punta dello stivale deve essere rivolta sempre verso il basso, quando beve, altrimenti, se la punta è rivolta verso l’alto, per caduta fuoriesce e si bagna tutta la camicia. - Grazie del suggerimento, io non ci avrei pensato e quasi d’istinto avrei messo la punta verso l’alto. Giusto! per la legge dei vasi comunicanti il livello si sarebbe unificato e la fuoruscita di birra sarebbe stata maggiore. Se si vuole, si può fare veramente un tiro mancino agli ignari amici. Prese con avidità il bicchiere e si dissetò con due bei sorsi di birra, poi fissò lo sguardo sulle crestine delle onde argentee e mosse. Come fossero la moneta fatta dondolare da un ipnotizzatore ebbero il potere di concentrare la sua attenzione e l’ondeggiare argenteo si avvicinò sempre più fino a farlo entrare in un mondo nuovo, evanescente, etereo, celestiale, incorporeo. In questa strana luce da lontano udì una voce che lo chiamava: - Eugeniooooo.... . Poi una figura si concretizzò quasi si materializzò, vide Rossella con le braccia protese in avanti che gli correva incontro e, raggiuntolo, lo abbracciò forte poggiando la guancia sulla sua spalla. Lui la strinse a sé dolcemente, avrebbe voluto darle un bacio, ma ebbe paura che staccandola da lui, quella meravigliosa sensazione cessasse e non voleva assolutamente che quell’attimo meraviglioso finisse. Quanto tempo fosse passato non si sa, ma venne riportato alla realtà dalla voce del cameriere che diceva: - Si sente bene signore? Ha bisogno di qualche cosa? - No, grazie, scusi ma sono in po’ stanco, ho avuto una giornata pesante e, rilassandomi, qui al fresco, probabilmente mi sono appisolato. Finì di bere la birra, pagò e si alzò dal tavolo salutando e dirigendosi verso il tram che l’avrebbe riportato in città. Strada facendo, a mente lucida, ripensò a quello che gli stava succedendo. Rossella era proprio entrata prepotentemente nella sua vita, ma lei si ricordava ancora di lui? o era stato solo un incontro fugace, una breve conoscenza di viaggio. Però.............quel bacio innocente alla stazione di Padova, quella fuga a testa bassa, il non voltarsi a salutarlo, potevano avere un significato? Quel 43 visetto acqua e sapone avrebbe cambiato la sua vita disordinata di eterno vagabondo? Che fosse giunto il momento di voltare pagina, mettere la testa a posto e ricominciare daccapo e crearsi un avvenire sereno, tranquillo, sicuro, una vita in due da percorrere parallelamente in sintonia, armonia, dialogo, simpatia e amore? - Sarebbe bello - pensò - però non corriamo troppo con la fantasia, Rossella sarebbe il traguardo, il sogno che si avvera, la serenità per il futuro. Queste sono speranze non certezze, una conoscenza di un paio d’ore, anche se intense con una persona che pensa e ragiona allo stesso modo è certamente un buon inizio, ma che bisogna sviluppare e approfondire. – Bisogna che mi sbrighi qua a Trieste, potrei telefonare questa sera a Rossella, per poi correre a Padova domani pomeriggio e rivederla. Nel frattempo era giunto al capolinea del tram numero 6. Vide una motrice coperta e un rimorchio tutto aperto, con le panche in legno. Decise di non prendere il taxi e di rientrare con il mezzo pubblico anche se mancavano pochi minuti alle 20. Salì sul rimorchio. Non aveva molto appetito, i crauti, le salsicce ed il ragù piccante si facevano ancora sentire, avrebbe preso, al ristorante dell’albergo, qualche cosa di leggero. Lo sferragliante tram cominciò il suo viaggio di rientro verso la città. C’erano poco più di una decina di viaggiatori seduti che, sballottati sui sedili, ondeggiavano con il veloce procedere del mezzo nella sua corsia riservata. Lungo il percorso, alle fermate intermedie, nessuno doveva scendere e passeggeri in attesa non ce n’erano, pertanto tutto il viale Miramare fu percorso in breve tempo. Apprestandosi ad arrivare nella piazza della stazione, si alzò avvicinandosi alla porta per schiacciare in tempo il pulsante di richiesta di fermata. Sceso nel piazzale antistante la stazione si avviò verso il corso Cavour per raggiungere in breve tempo l’Hotel de la Ville. Erano le 20 e 30 da poco trascorse quando entrò nella hall dell’albergo dirigendosi alla reception per prendere la chiave della stanza 316. - Buona sera dott. Della Noce - disse il portiere porgendo la chiave della stanza - trascorsa bene la giornata? Le è piaciuta Trieste? Scende per il pranzo? - Grazie, tutto bene, giornata lunga e faticosa, ma anche piacevole, ho trascorso anche un paio d’ore, 44 stasera, a Barcola a rilassarmi. Salgo a rinfrescarmi e a cambiarmi poi scendo per il pranzo. Il tavolo di ieri se possibile, grazie. Certamente dottore, do immediatamente disposizione per il tavolo e se dopo pranzo ha piacere nel nostro piccolo night, riservato solamente agli ospiti dell’albergo, ci sarà una serata danzante con un trio, molto noto in città, che intratterrà gli ospiti con musica soft e rilassante. - Mi lasci pensare, ma credo che andrò preso a letto in quanto domani mattina devo concludere un importante affare e voglio essere lucido e ben sveglio. Entrato nella stanza, notò immediatamente che il vestito lasciato sulla gruccia la sera prima, era stato pulito e perfettamente stirato, come pure tutta la biancheria profumata e sistemata in modo ineccepibile nei cassetti dell’armadio. La camicia inamidata in modo impeccabile. Si svestì, entrò nel bagno e dopo una veloce doccia riempì la vasca di acqua calda, vi sciolse una buona quantità di sali rilassanti e rivitalizzanti e vi si immerse per una quindicina di minuti in assoluto relax. Caso volle che in quello stato di abbandono, la mente ritornasse imperiosa e prepotente a pensare a Rossella mentre correva libera, spensierata e felice su di un prato d’erbetta verde chiaro con tanti fiori gialli e tante margherite. Vestiva un ampio e leggero vestito rosa che la rendeva ancora più leggiadra e piacevole alla vista. Immaginò di essere seduto, appoggiato al tronco d’un albero e canticchiando aspettava che lei si avvicinasse per sedersi accanto a lui. Il timer dei 15 minuti suonò ed uscì dalla vasca, si avvolse nell’accappatoio asciugandosi velocemente. Si rivestì con gli abiti rimessi a nuovo dal servizio dell’albergo e scese al ristorante. - Buona sera dottor Della Noce - così il maitre Osvaldo lo accolse, con un largo sorriso e un mezzo inchino - il suo tavolo è pronto, s’accomodi prego, l’accompagno. Eugenio ringraziò e si avviò lentamente verso il tavolo sempre seguito da Osvaldo. Giuntovi, si sedette e anticipando il maitre disse: - Stasera, Osvaldo, voglio mangiare leggero, mi sono appesantito troppo a colazione, desidererei un consommé e poi un bel filetto di manzo al pepe verde con una insalatina, un po’ di frutta fresca e basta. - Ma certamente dottore, ai suoi ordini, permette, vado a dare disposizioni. Nell’attesa, si guardò in giro e vide la sala da pranzo abbastanza vuota rispetto alla sera precedente, chissà se 45 era così perché l’ora di pranzo era già passata o gli ospiti dell’hotel erano meno numerosi essendo venerdì sera e gli uomini d’affari avevano fatto ritorno a casa, in famiglia, nelle loro città d’origine. Egli sarebbe rientrato l’indomani dopo aver fatto, forse, una fermata a Padova. - A proposito di Padova - pensò Eugenio - devo assolutamente telefonare a Rossella per vedere se domani avrà piacere di incontrarmi. Fece cenno ad uno dei ragazzi di sala al quale chiese se fosse possibile avere un telefono. - Ma sicuramente dottore - rispose il ragazzo - mi faccio premura di procurarglielo. Dopo pochi minuti il ragazzo rientrò con un telefono che poggiò sul tavolo ed allacciò ad una presa telefonica posizionata sulla parete lì a fianco. – Ecco la linea è a sua disposizione - si girò e si allontanò velocemente. Eugenio trasse dal suo portafoglio il bigliettino sul quale aveva scritto il numero telefonico di Rossella e, sollevata la cornetta, chiese al centralinista di passargli il numero desiderato. Appoggiata la cornetta sulla forcella restò in attesa dello squillo, le mani cominciarono a sudare e una strana sensazione si impadronì di lui, una sensazione di panico, d’ansia, di impazienza, che mai aveva provato prima d’allora. Arrivò il cameriere e gli porse una fumante tazza di consommé. Ci aggiunse un po’ di parmigiano ed iniziò a mescolare con il cucchiaio d’argento il brodo in modo che, evaporando, si raffreddasse un po’, ma con l’orecchio teso al telefono pronto a mollare tutto e rispondere al primo squillo. L’attesa non fu molto lunga, udì il trillo discreto del telefono ed alzò di scatto la cornetta: - Pronto...... Il cuore in gola nell’attesa di sentire la dolce voce di Rossella, invece la roca voce maschile del centralinista scandì: – Padova in linea, signore. Il telefono dava il segnale di linea libera, 1, 2 , 3 , 4 squilli...... – Oh! Dio non è in casa, forse è uscita con un’amica o magari con un amico. Un senso di gelosia si impossessò dei suoi sentimenti, quando al quinto trillo si udì lo scatto della cornetta sollevata e una debole voce, sommessa, timida, incuriosita disse: 46 - Pronto! Un attimo che sembrò un secolo trascorse prima che Eugenio, con un nodo in gola, riuscisse a proferire parola: - Rosella sei tu? All’altro capo del filo la voce prese corpo, anima, sonorità e quasi con un urlo gridò: - Eugenio, che bella sorpresa, che bel regalo, che gioia risentirti, dove sei? Come stai? Cosa fai? Da dove chiami? - Piano, piano, quante domande, non ci corre dietro nessuno. Sentire la tua voce è una gioia intensa per me, mi sembra di vederti, immagino il tuo dolce viso, il tuo sorriso, il tuo timido atteggiamento che fa di te un simbolo unico, una dolce immagine, fragile, pura e indifesa. - Adesso rispondo alle tue numerose domande. Sono, come sai, a Trieste, sono seduto al tavolo del ristorante per il pranzo, sto bene, grazie, ma starei meglio se fossi vicino te. - Eugenio, che gioia sentirti e che belle parole che sai dire, mi confondi, non merito tanto! Come va con il tuo lavoro? Quando parti? Quando rientri a casa?..........Quando ci vedremo? Quest’ultima piccola frase la disse con voce sommessa, quasi schiva, come non volesse far capire che, in fondo in fondo, anche lei aveva desiderio di incontrarlo. Tirato un sospiro profondo per aver rotto il ghiaccio, Eugenio rispose volentieri alle ultime domande: - Domani, in mattinata, se tutto va bene, dovrei concludere i miei affari, prendere il treno e.........se ti facesse piacere, mi fermerei per qualche ora a Padova per la gioia di rivederti. - Che bello, sì, sì, dimmi a che ora arriverai in modo da venire alla stazione ad aspettarti. - Non ho l’orario ferroviario qui con me, ma il treno parte dalla stazione centrale di Trieste alle 13.02 e penso che dovrebbe essere a Padova subito dopo le 15 e 30, magari guardi sugli arrivi, in stazione, a che ora è prevista la fermata del treno proveniente da Trieste. Ciao Rossella, spero che queste ore passino in fretta, che io sia puntuale nel prendere il treno, perché non vedo l’ora di abbracciarti..........credo di amarti! Eugenio chiuse immediatamente il telefono e rimase fermo a fissarlo. Cosa avrebbe risposto Rossella! Aveva paura di saperlo, forse avrebbe detto “ma sei matto?” Forse sarebbe rimasta senza parole, forse, peggio, si sarebbe messa a ridere. Chi lo sa! In cuor suo sperava di vedere il volto di Rossella arrossire, abbassare il capo 47 quasi a proteggersi da una cosa più grande di lei che le stava capitando, ma anche poter vedere un piccolo cenno del capo che fosse un assenso. La sentenza a tutto questo era rimandata di 15 ore, se sceso a Padova avesse visto la sua Rossella attenderlo, sarebbe stato l’uomo più felice del mondo, pronto a cambiare vita, a scegliere un lavoro che lo avesse fatto rientrare ogni sera a casa; in fondo aveva o non aveva una laurea in giurisprudenza? Servirà a qualche cosa sì o no?! Si sentiva pronto a soddisfare, proteggere, difendere e amare quella creatura che il destino gli aveva fatto incontrare per caso. Altrimenti, se non fosse stata lì ad attenderlo, sarebbe risalito sul prossimo treno con il castello di sogni e di speranze distrutto, pronto a ricominciare la sua vita errante e riprendere un lavoro che cominciava a non piacergli più. Chinò lo sguardo verso la tazza del consommé e constatato che era poco più che tiepido, lo sorbì direttamente dalla ciotola. Osvaldo, da debita distanza, teneva d’occhio, con discrezione, quello che Eugenio stava facendo. Visto che aveva bevuto tutto il consommé, si affrettò a mandare il ragazzo a togliere la tazza vuota e poter portare la carne con l’insalata. - Ecco dottore, il suo filetto al pepe verde. - Grazie Osvaldo, uhm! bello ed appetitoso; credo che lo mangerò molto volentieri. Finito che ebbe di pranzare chiese gli portassero un caffè ed un buon Cognac. Anche questa tumultuosa giornata volgeva alla fine. Quanti fatti, quanti posti, quanti pensieri, quante cose erano successe e anche riassumendole, era difficile scorrere la giornata nelle sua complessa interezza. Si alzò dal tavolo e decise di fermarsi un po’ nella sala di lettura per scorrere qualche giornale illustrato e attendere l’ora per andare a dormire. Il maitre ed i ragazzi di sala lo salutarono, ormai era rimasto l’ultimo commensale a lasciare la sala. Uscito dalla sala da pranzo, tra il bar e la hall, sulla sinistra, c’era appunto la sala di lettura con alcuni divani e delle poltrone in pelle, oltre ad alcuni tavoli e seggiole. Su di un tavolo, a lato, erano disposti parecchi quotidiani in diverse lingue oltre a molti giornali illustrati. Prese la vecchia, ma sempre valida “Domenica del Corriere” e si sedette sul comodo divano. 48 Nella sala c’erano un paio di persone che, silenziosamente, sfogliavano e leggevano i loro giornali, sembravano annoiate e stessero lì solo per aspettare l’ora di andare a dormire. Del resto anche lui era lì per lo stesso motivo. Non aveva nessuna voglia di andare nel dancing dell’hotel come offertogli dal portiere. Ma perché non ne aveva voglia? Come mai? E si soffermò ad analizzare questo rifiuto. Il primo pensiero che gli venne in testa fu che, essendo un night, ci sarebbero state anche delle signore e forse anche delle signorine. No! non poteva e non voleva! Rossella....... - Ahi, vecchio mio – disse tra sé e sé – ma allora sei proprio cotto, stai già rifiutando altre compagnie femminili per essere “fedele” a lei? - Lascia stare, non è ancora detto che lei ti voglia e poi domani mattina devi essere lucido per concludere l’affare. Si immerse nella lettura del giornale nella speranza di liberare la sua testa da quel chiodo fisso....però che bel chiodo! Dopo una ventina di minuti, mancavano dieci minuti alle 23, Eugenio decise di andate a letto, nella speranza di riuscire a dormire serenamente. Depose il giornale sul tavolo, dove l’aveva preso e si diresse verso il bar per prendere una bella camomilla doppia e concentrata che l’aiutasse a riposare meglio. Ritirata la chiave della sua stanza, salì ed aprì un attimo le finestre per dare un’ultima occhiata notturna al golfo, che chissà quando avrebbe rivisto. Dopo aver riempito i polmoni d’aria iodata, aspirando con forza, richiuse le finestre e si sistemò nel comodo lettone. Contrariamente a quello che temeva, probabilmente causa la stanchezza, si addormentò immediatamente in un sonno ristoratore. 49 Capitolo 5 Il sabato 9 giugno era arrivato, si svegliò riposato e ritemprato, scese dal letto, aprì le finestre per far entrare l’aria del mattino e vide che la giornata era splendida. Il mare, calmo come fosse d’olio, era illuminato dal sole e le ultime barche ritardatarie dei pescatori stavano rientrando. Altre stavano ormeggiando lungo i moli e scaricavano le casse con il pesce fresco pescato durante la notte. Entrò nel bagno con calma per fare una doccia fresca, sferzante e rivitalizzante, per svegliarsi completamente e cancellare ogni possibile residua traccia di stanchezza. Si sentiva bene ed era pronto ad affrontare la mattinata impegnativa. Si vestì, preparò la valigia e la borsa in modo da essere pronto a partire. Scese al piano terra per consumare la prima colazione e passando davanti al bureau si rivolse al portiere di turno che non aveva mai visto prima: - Sono Della Noce, mi può preparare il conto, per favore, dopo colazione ritiro il bagaglio e parto. - Certamente, vediamo, ah sì! stanza 316. Bene glielo preparo subito! Dovendo partire alle 13.02, probabilmente, non sarebbe stato possibile fare un pasto decente a mezzogiorno, pertanto decise di fare una prima colazione più abbondante e non il solito cappuccino e cornetto. Certamente non avrebbe preso la colazione all’americana con uova e pancetta, ma semplicemente del pane, burro e marmellata e magari un toast, quello sì! Finita la prima colazione, prese ancora un caffè espresso ristretto e si alzò per andare alla reception. - Il suo conto è pronto dottor Della Noce, ecco a lei! - Grazie, nel frattempo, mandi a prendere in stanza la mia valigia e la mia borsa, per favore. - Ma senz’altro dottore. Il portiere chiamò il facchino e diede ordine di prendere il bagaglio della 316. Eugenio controllò il conto, un po’ salato, ma d’altro canto l’ambiente e il servizio erano di prim’ordine e non aveva nulla da recriminare. Trasse dal portafoglio un bel po’ di soldi che mise sul piattino: 50 - Tenga il resto per il personale. - Grazie dottor Della Noce, veramente gentile, spero che tutto sia stato di suo gradimento e che possa rivederla presto nel nostro hotel. Buongiorno e buon viaggio. Eugenio si allontanò dal bureau e si sedette, in attesa del bagaglio, su di una poltroncina nella hall dell’albergo. Alcuni minuti dopo il facchino gli si avvicinò e consegnandogli la valigia e la borse, disse: - Ecco dottore il suo bagaglio e grazie ancora a nome del personale tutto. Buon viaggio! Si alzò dalla poltroncina, prese il bagaglio e si diresse all’uscita: - Mi sono trovato bene, se sarò di passaggio nuovamente per Trieste, mi ricorderò di questo hotel. Buongiorno. Uscito, girò a destra e si diresse verso la stazione ferroviaria, laggiù in fondo al lungomare. Pur essendo appena le nove e mezzo, la giornata era già calda. Si avviò a passo lento per non sudare; una breve passeggiata e giunse alla stazione. Appena entrato, andò alla ricerca del deposito bagagli, dove avrebbe lasciato in custodia la valigia. Lo trovò, infilò la valigia nell’armadietto e chiusa la porta, ritirò la chiave dalla serratura e lo scontrino per pagare poi, alla cassa, il tempo di custodia. Non volendo ritornare a piedi in centro città, prese un taxi e si fece portare davanti alla gioielleria che la mattina prima aveva visto. - Alla gioielleria Huber, per favore. - Certo signore! Il tassametrista abbassò la “bandierina” del contachilometri, mise in moto la macchina e inserendosi nel traffico veicolare, si diresse verso l’indirizzo richiesto. Erano quasi le dieci quando il tassametro si fermò davanti alla gioielleria, Eugenio pagò la corsa, ringraziò e scese dalla vettura chiudendo lo sportello. Con la sua fida cartella in mano si avvicinò alle vetrine e dopo aver dato una sommaria occhiata, entrò nel negozio. Dietro agli eleganti banchetti di vendita in cristallo c’erano una bella signora bionda, elegantemente vestita che “portava” alcuni gioielli, probabilmente allo scopo di invogliare l’acquirente sull’eleganza di alcuni autentici capolavori e un signore molto distinto, di mezza età, che con un accenno d’inchino si rivolse ad Eugenio: 51 - Buongiorno signore, sono il signor Huber, il titolare e questa è mia moglie. Come posso esserle utile? cercava qualche cosa in particolare? o desiderava solamente farsi un’idea di che cosa potremmo offrirle? - Avrei intenzione di acquistare un anello con brillante. Sa, oggi, in serata, mi fidanzo e vorrei un oggetto all’altezza della mia splendida ragazza. Un anello che possa renderla felice e la lasci ammirata dalla lucentezza della pietra. - Come lei saprà il brillante può avere tanti pregi e tanti difetti, può essere di pochi grani o di alcuni carati a seconda se sarà il primario o il secondario dopo il taglio del diamante originale. - Non sono tanto esperto in materia ed è per questo che sono venuto in questo negozio che ritengo in grado di aiutarmi nella scelta. - Grazie signore, spero di poterla annoverare tra i nostri clienti. Le farò vedere alcuni anelli di varie dimensioni, purezza e valore, comunque tutti con taglio triplo moderno detto anche taglio classico da cui derivano particolari modellature come il taglio americano, a stella o del Cairo, Anversa. Amsterdam, eccetera. Permetta che prenda dalla cassaforte alcuni modelli. Si girò per aprire la cassaforte mentre la moglie gli si avvicinò per aiutarlo nella scelta di cosa far vedere al cliente. Presero alcuni piccoli espositori in velluto blu scuro che posero su di un vassoio d’argento, richiudendo nel contempo la cassaforte. - Ecco signore, per cominciare le faccio vedere alcune creazioni di buona fattura con un discreto indice di rifrazione e quindi con un buon gioco di luci. I nostri brillanti sono, comunque, tutti a 57 facce e con certificato di garanzia. Ci sono alcuni, come questo ad esempio con taglio americano che ha circa un grano e tre quarti, quindi poco mento di mezzo carato, il cui valore, montatura compresa, varia dalle centocinquanta alle duecento mila lire. Cosa ne dice? - Belli sicuramente e anche di un certo valore, ma a vederli sembrano piccoli, si nota solo una parte del brillante e pertanto all’effetto ottico sembrano microscopici. - Lei ha centrato il problema signore, infatti il padiglione viene inserito nella montatura e resta visibile solamente la corona che è pari a circa il sedici per cento di tutto il brillante. Intervenne allora anche la moglie del signor Huber: - Vede signore, esistono delle montature a soli quattro gancetti che fanno vedere quasi interamente il 52 brillante e quindi le sue reali dimensioni, ma non sono per niente sicuri. Basta che uno dei gancetti venga allentato, anche accidentalmente, che la gemma esce dal castone e va perduta, sarebbe un peccato. Se ha piacere che la corona sia più visibile bisogna optare per delle pietre che si avvicinino al carato. - Me ne fa vedere qualcuno, magari solo per accontentare l'occhio in quanto, immagino, il prezzo salirà in modo esponenziale. - No! non è proprio così – interloquì il signor Huber – però certamente il prezzo sale in quanto anche la parte in oro bianco deve essere di maggior spessore per contenere saldamente la pietra di dimensioni più grandi. Le faccio vedere questo da tre grani e tredici sedicesimi, quindi quasi in carato. E’ un oggetto di ottima fattura con taglio tipo Anversa ad alto indice di rifrazione e splendidi giochi di luci. La prego osservi, muovendolo, che miriade di luci colorate, sembra di vedere dei fuochi d’artificio. Il valore di questo si aggira sulle trecento cinquantamila lire. Il prezzo è impegnativo ma l’effetto è garantito. Eugenio prese l’anello in mano, lo rigirò tra le dita per vedere, sotto la luce di un faretto, il gioco di luci che rifletteva sul cristallo del banchetto. - Stupendo, questo sì che è un anello, la pietra si vede bene e ci si può rendere conto della sua reale dimensione anche da parte di un profano come me. Il signor Huber, visto che il cliente non aveva battuto ciglio sul prezzo, si sbilanciò tentando la possibile migliore vendita del mese. - Se permette, dato che le piacciono le cose belle, vorrei farle vedere un pezzo raro, quasi unico, un solitario. Ovviamente per essere considerato solitario, deve essere un brillante molto pregiato e che abbia una dimensione considerevole, l’indice di rifrazione deve essere perfetto, lo splendore e il gioco di luci ineccepibile. Il gioielliere si girò nuovamente verso la cassaforte, l’aprì, vi ripose i gioielli che aveva fatto vedere al cliente su di un pianale, mentre la moglie apriva un’altra piccola porta blindata di un contenitore interno togliendo da esso un gioiello che già a quella distanza toglieva il fiato. Nell’oscurità dell’armadio blindato sembrava essersi accesa una luce ad illuminarlo, era il brillante che già con la poca luce che lo circondava riusciva a mandare lampi di luce stupenda. - Ecco, questo è il nostro fiore all’occhiello – disse la signora Huber - è il più bel solitario che abbiamo nella nostra collezione. Ce ne sono anche di più grandi e più belli, ma per Trieste, credo sia il più importante che si 53 possa trovare di questi tempi. D’altro canto per far fede al nostro nome l’abbiamo preso e lo conserviamo gelosamente. Il marito prese dal piccolo vassoio l’anello con delicatezza, come fosse un oggetto sacro e sollevatolo dal suo supporto, lo infilò parzialmente sul dito della moglie. - Vede signore, il massimo del suo splendore lo si può apprezzare ponendolo al dito di una signora. Il contatto con la pelle, il movimento della mano sono due cose che fanno esaltare la bellezza di questo brillante. Questo è un brillante purissimo tagliato con il modello Amsterdam. La riflessione e quindi lo splendore e il gioco di luci non temono confronti e rivali. - Vedo, vedo – annuì Eugenio – effettivamente toglie il fiato; la corona è grandiosa ed in rapporto a quelli che mi ha fatto vedere questo deve avere almeno un carato e mezzo. La montatura e favolosamente ricca ed esalta la bellezza di questo gioiello. Adesso sentiamo le dolenti note, il prezzo! - Il cerchietto dell’anello è in platino, mentre il punto dove viene incastonata la pietra è in oro bianco, molto più duro e sicuro del platino. Il brillante è esattamente di un carato e mezzo e proviene direttamente dal mercato di Amsterdam dove è stato tagliato, molato e confezionato da uno dei più noti e rinomati laboratori della città dei diamanti. - Se al signore potesse andar bene questo gioiello – intervenne la signora Huber – cerca di vedere e fargli un buon prezzo e così, in qualche modo, partecipiamo anche noi al bellissimo avvenimento cui l’anello è destinato. - Lo sai cara che il mercato è in continua crescita e i prezzi volano, ma comunque cercheremo di venire incontro al signore. Penso che potremmo proporre questa meraviglia, tirando, tirando, al prezzo di 485.000 lire. Lo so che è un prezzo impegnativo, ma anche il prezioso è una cosa impegnativa, la sua unicità lo fa paragonare ad un dipinto di famoso autore del settecento! Cosa ne dice signore? - Cerco di tirare il fiato, volevo qualche cosa di bello per la mia futura sposa, ma non credevo costasse tanto. Io sono esperto in materie dolciarie e conosco tutti i prezzi di quei prodotti e dei suoi ingredienti, non certamente del prezzo dei gioielli. Il valore di questo splendido anello lo posso calcolare in più di un anno del mio lavoro! - Sì indubbiamente è una grossa spesa, però deve tener presente che oltre a fare oggi una splendida figura, è pure un investimento. Il valore dell’anello cammina con l’andare dei tempi e degli aumenti. La cifra che lei spende 54 oggi, mantiene nel tempo il suo potere d’acquisto in quanto segue il mercato e non si svaluta come fanno le banconote. In fondo sarà un bene di famiglia, una volta sposi, e l’investimento di capitale è e sarà garantito. Ci pensi! Eugenio sembrava indeciso, il suo sguardo correva dall’anello posto al dito della signora Huber a quei tre anelli dell’esposizione precedente, che erano rimasti sul banco. Si vedeva che lo sguardo si fermava sempre più di sovente e per più tempo ad ammirare il solitario. C’è poco da fare le cose belle piacciono a tutti, e si fanno notare! - Senta signor Huber, ho intenzione di fare un colpo di testa, opterei per il solitario. Guardando l’orologio notò che il tempo era volato, erano infatti oramai le undici ed alzando gli occhi verso il signor Huber disse: - Ovviamente non dispongo in tasca di una simile somma, però alle undici e trenta ho l’appuntamento con il signor Bonifacio, dell’omonima pasticceria, che deve saldarmi una grossa fornitura effettuata dalla Ditta per cui lavoro ai suoi laboratori. Se viene con me le faccio dare il corrispettivo da lui. Che ne dice? - Non ci sono problemi, il signor Bonifacio lo conosco di fama, anche se non di persona, e so che la sua solvibilità è indiscutibile. Cara, sistema l’anello in un bell’astuccio e prepara la confezione per il signor.........a sì a proposito non conosco nemmeno il suo nome e mi serve per la compilazione del certificato di garanzia! - Mi scusi nell’emozione del momento non mi sono neanche presentato. Sono Ennio Rossi, ecco qui il mio biglietto da visita. Il signor Huber lo prese e lo lesse: BOTTA – Industria Dolciaria – Milano – dott. Ennio Rossi – Direttore Responsabile Amministrativo. - Piacere dottor Rossi, ora capisco i suoi rapporti con il signor Bonifacio, ma non ci sono problemi può passare nel pomeriggio a ritirare la confezione e a saldare, con comodo suo. - Veramente andrei di fretta, nel primo pomeriggio ho tanti impegni ancora qui in città e poi devo correre a prendere il treno per rientrare a Venezia dove mi aspetta la mia futura sposa, lei è nata e risiede a Venezia, e non vorrei far tardi proprio oggi! - Se è così, vengo ben volentieri con lei, facciamo due passi e saremo puntuali al suo appuntamento con il Signor Bonifacio. Prenda il pacchetto, le compilo il certificato di garanzia ed andiamo. Tu cara rimani qui, chiudi la porta dall’interno mi raccomando, stai attenta che 55 non entri qualche male intenzionato. Sa dottore, di questi tempi non si sa mai! - Fa bene a dare questi consigli, d’altro canto anch’io potrei essere un lestofante, per quel che ne sa. - Dottor Rossi, cosa dice, le persone per bene si vedono a prima vista, tant’è vero che mi ha dato pure il suo biglietto! - Mi fa piacere che la pensi così, anch’io devo stare attento, perché i nostri rappresentanti pur di fare copie commissioni e incassare le provvigioni, danno forniture, anche rilevanti, a commercianti disonesti. Poi mi devo dar da fare per recuperare i crediti! Per esempio, quando il rappresentante di zona, otto mesi fa, mi presentò il primo ordine del signor Bonifacio che consisteva, per avere un ulteriore sconto sulla quantità, di una fornitura, con consegne mensili, per un totale di cinquecentomila lire da pagarsi alla fine del periodo, rimasi un po’ perplesso. Assunte informazioni commerciali, presso i nostri istituti di credito, mi assicurarono che la ditta era solida e solvibilissima. Tant'è vero che oggi salda per intero la fornitura! Giunti in piazza Goldoni, l’attraversarono e atteso il segnale di via libera da parte del vigile, passarono sul marciapiedi opposto della via Carducci e giunsero davanti alla porta della pasticceria. Solita ressa, i clienti disposti su tre file che si sbracciavano per essere serviti, il signor Bonifacio che incassava velocemente per cercare di smaltire il più possibile il lavoro. Essi erano vicino alla porta d’ingresso, quando il pasticcere sollevò lo sguardo e vedendoli esclamò a voce alta: - Signor Rossi, le ho preparato tutto, un attimo solo che finisco con queste clienti e le consegno immediatamente quanto le devo. - Grazie signor Bonifacio, io devo scappare, ma di quelle cinquecento che mi deve, quattrocento e ottanta cinque, le dia al signore che è qui con me. Nel primo pomeriggio, quando riapre, passo a prendere il resto. Grazie di tutto e spero che lei sia rimasto soddisfatto, ci vediamo quanto prima per ulteriori ordinazioni. Buon pranzo! - OK! va bene! faccio subito e grazie a lei signor Rossi, a ben presto rivederci. - Faccia con comodo, signor Bonifacio, non ho fretta – replicò il gioielliere – posso attendere, sono cose delicate si sa! - Signor Huber ancora grazie, soprattutto per la sua competenza e le sue preziose informazioni. Mi ricordi 56 ancora alla sua gentile signora e spero di ben presto rivedervi. Eugenio mise il pacchetto nella sua inseparabile borsa, porse la mano al felice e sorridente gioielliere in un saluto di commiato ed uscì. Erano le dodici e quindici minuti e a passo normale si diresse lungo la via Carducci affollatissima e si confuse tra la gente che andava avanti e indietro, da destra a sinistra e viceversa come fossero delle formiche operaie attorno al loro formicaio. Giunse alla stazione, giusto in tempo per prendere il biglietto per Padova, andare alla cassa del deposito bagagli per pagare il sevizio, ritirare la valigia e salire sul rapido che tra pochi minuti sarebbe partito in direzione di Padova. Questi ultimi minuti furono tremendi, nella spasmodica attesa che il treno partisse, i minuti sembravano ore e non passavano mai. La valigia sulla retina e la borsa ben stretta al suo fianco, stava pensando se il raggiro fosse già stato scoperto e cercava di immaginare la faccia del signor Huber quando si era visto consegnare quattrocento e ottantacinque pastine assortite. La polizia era già stata chiamata? La denuncia e le deposizioni erano già state redatte o gli interrogatori erano ancora in corso? Queste le domande che assillarono Eugenio. Proprio in quel momento si udì la voce stentorea del capostazione che diceva: - In carrozza, signori, in carrozza. E’ in partenza dal binario quattro il rapido per Monfalcone, Portogruaro, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Milano e Torino. In carrozza, si parte! Sbatterono gli ultimo sportelli ed il convoglio si mise in moto acquistando pian piano velocità..... Miramare.....Grignano.....Sistiana.....e via! Era fatta! Eugenio sentì il bisogno di rilassarsi un momento, era solo nello scompartimento, e chiusi gli occhi ripensò all’ennesimo “affare” che aveva messo a segno. Tutto liscio come l’olio, toccata, elaborazione improvvisa, e fuga, questo era il suo segreto. Quanto poteva ancora andare avanti così? Quante città rimanevano ancora da visitare? Quante idee potevano ancora scaturire? Era ora di finirla! Bisognava mettere la testa a posto! Adesso c’era Rossella che era entrata prepotentemente nella sua vita. Con lei non c’era posto per l’inganno, per i raggiri, per le truffe. Ella era purezza, candore, onestà. 57 Ennio Rossi doveva sparire, finire di esistere, cancellarlo dalla faccia della terra, Rossella non lo meritava. Eugenio Dalla Noce avrebbe, forse, potuto sperare di meritarla, mettendo a frutto la sua laurea, trovare un lavoro onesto, agli inizi anche mal pagato, ma che fosse un trampolino di lancio per futuri miglioramenti. Anche Eugenio era intelligente e avrebbe potuto mettere a buon frutto la versatilità, l’estro, l’eclettismo, la poliedricità di Ennio, ma a fin di bene, per farsi notare ed apprezzare dai superiori sul posto di lavoro in modo da avere sempre più responsabilità e fiducia. Ennio Rossi sarebbe morto sicuramente e definitivamente se alla stazione di Padova, Eugenio avesse trovato Rossella ad attenderlo. Il treno correva veloce, con il suo ritmico incedere che sembrava voler cadenzare i secondi, i minuti, le ore del viaggio. Il passato si allontanava ed il futuro si avvicinava? Il conflitto interno era intenso, Eugenio era fermamente convinto di cacciare Ennio, ma quest’ultimo, ghignando, ripeteva: - Già non la troverai in stazione a Padova! Lei non ti aspetta! Non si ricorderà neppure più di te! Ma chi è Rossella? Cosa sai di lei? Ma cosa vuoi? Ella deve studiare, laurearsi, andare a fare il medico condotto vicino alla farmacia del padre. E tu? Perché vuoi rinunciare ai grandi alberghi, ai buoni ristoranti, ai posti di lusso che sei uso frequentare? Perché? Per chi? Per cosa? Ma fammi il piacere ritorna in te, non rammollirti. - No Ennio! Io l’amo, ormai è tutto per me, voglio cambiare, voglio essere una persona normale, anche mediocre magari, ma poterle stare vicino e guardarla fissa nei suoi splendidi occhi senza dovermi vergognare! Il passato è tuo Ennio, il futuro è mio! Me lo merito e lo voglio. Non voglio più fuggire. Spero di aver trovato lo scopo della mia vita – ed incalzò - facciamo una cosa, una scommessa, un patto tra di noi: se Rossella sarà a Padova ad aspettarmi, capirà ed accetterà il mio amore, tu te ne andrai per sempre, sparirai dalla mia vita e non ti vorrò più vedere né sentire. Se il mio amore non si farà vedere, allora tornerai a convivere con me, per dannarmi e portarmi in quell’inferno che tu rappresenti. - Ci sto! Lo so, come sempre vinco io e la tua anima mi apparterrà ancora. Tu sei fatto ormai della mia pasta e nulla e nessuno riuscirà a redimerti.......nemmeno 58 “l’amore”. E scomparve dalla mente di Eugenio sghignazzando. Quando riaprì gli occhi, venne ferito dalla luce del sole che entrava dal finestrino. Probabilmente era rimasto parecchio tempo con le palpebre abbassate. Guardò l’orologio e vide che erano le quattordici e dieci minuti. Tra pochi minuti avrebbe dovuto esserci la fermata alla stazione di Portogruaro. Aprì la sua borsa, vide il pacchetto della gioielleria in fondo ad essa, lo toccò e ripensò allo splendore che esso conteneva. Tolse dalla borsa un giornale di Enigmistica che era solito tenere per usarlo quando aveva voglia di impegnare la mente con qualche cosa che non l’avesse fatto pensare ad altro. Prese dalla tasca interna della giacca una penna e, aperto il giornale incominciò a leggere le definizioni del primo cruciverba che gli era capitato sotto gli occhi. Il destino continuava a giocare con lui ed i suoi sentimenti. Dopo aver risolto alcuni incroci orizzontali e verticali, al sette verticale, formata da sei lettere, trovò la definizione “Città veneta il cui Santo Patrono è Antonio” Padova naturalmente! e più avanti “Il nome della O’Hara, protagonista di via col Vento” Guarda caso, “Rossella”. Sembrava che tutto si mettesse a complottare con lui o contro di lui, che tutto cercasse di pungolare la sua sensibilità o ferire le sue emozioni. La cosa lo lasciò in uno stato di prostrazione, sembrava quasi che le forze lo avessero abbandonato, si sentiva un sacco vuoto. Un solo pensiero lo sosteneva, il dolce volto di Rossella unitamente alla speranza di poterla abbracciare per urlarle il suo represso amore, che voleva, prepotentemente uscire all’aperto e manifestarsi in tutta la sua pienezza e grandezza alla sua amata. Erano le tre, quando il treno ripartì dalla stazione di Mestre, ultima tappa prima di Padova, ultima tappa verso il tanto desiderato cambio di vita, ultima tappa verso la felicità, ultima tappa per chiudere l’oscuro oggi e riaprire un radioso domani. Eugenio si sentì addosso una serenità e una calma che non riusciva a comprendere. Avrebbe dovuto essere ansioso, fremente, agitato nel dubbio e nell’incertezza del suo incontro con Rossella. Avrebbe o non avrebbe scorto dal finestrino del treno che si fermava la sua amata. Forse non sarebbe stato facile distinguerla tra la massa di viaggiatori che si sarebbero assiepati sulla pensilina. Invece no! il suo inconscio lo stava rassicurando, gli 59 infondeva non la speranza, ma la certezza di quell’incontro. Una volta nella vita sarebbe dovuto giungere anche per lui il momento felice. A 31 anni avrebbe iniziato tutto da capo, onestamente, a fronte alta, una vita meno agiata sicuramente, ma più vera, più pura, abbandonando le falsità, le futili e frivole apparenze che l’avevano sino ad ora accompagnato. Cosa aveva costruito sinora? Nulla, solo soldi, parecchi anche, ma, come venivano così se ne andavano. La vita lussuosa e le apparenze di facciata costano care! Ora si trattava di cercare un lavoro, non sarebbe stato facile, data l’età ed il non poter vantare precedenti lavorativi, ma la sua laurea e, comunque, la sua esperienza, avrebbero sopperito alla carenza. Milano, sì Milano! ecco il posto giusto per ricominciare, chi ha voglia di lavorare sodo e non ha paura delle fatiche, trova sempre la sua giusta collocazione e la possibilità, in breve tempo, di avanzare, di migliorare, di crearsi spazi sempre più grandi sia in ambito lavorativo che nella scala sociale. Milano, tra l’altro, era una città che non aveva mai visitato nei suoi precedenti “lavori” e pertanto non avrebbe avuto l’assillo e la paura di essere riconosciuto da qualche suo “cliente”. Guardò l’orologio, erano le 15.38 minuti, il treno probabilmente stava per arrivare alla stazione di Padova. Si alzò, tolse dalla retina la sua valigetta che sistemò accanto alla borsa ed abbassò il finestrino per vedere se si vedesse la città in lontananza. Padova era abbastanza vicina, un paio di minuti e il treno sarebbe entrato nella stazione. La calma che lo aveva accompagnato durante il viaggio cominciava ad abbandonarlo, una stretta allo stomaco si faceva sentire, quasi,dolorosa. - Rossella ci sarai o non ci sarai? Riuscirò a scorgerti subito oppure dovrò cercarti ansiosamente tra la folla? Il treno si avvicinava e l’ansia saliva, aveva già raggiunto la gola, un nodo gliela serrava. La corsa del treno rallentò ed Eugenio, chiuso il finestrino, uscì con il suo bagaglio nel corridoio e, vicino allo sportello del vagone, aprì nuovamente il finestrino. Si affacciò. Il treno stava entrando e si notava, ancora in distanza, la gente assiepata sulla pensilina. Egli cominciò a scrutare alla spasmodica ricerca di un qualche cosa che gli facesse riconoscere Rossella. - Il destino, le premonizioni, le visioni, i sogni esistono – disse tra sé e sé. 60 Dalla massa di persone vide stagliarsi, quasi ad uscire da essa, la silhouette di una ragazza.............. vestita con un vaporoso, leggero vestito rosa.................se la folla fosse stato un prato di tenera erbetta verde e lui fosse stato appoggiato al tronco di un albero e non al finestrino di un treno, avrebbe rivissuto il suo sogno di venerdì sera mentre si stava rilassando nella vasca da bagno dell’Hotel de la Ville. Il treno si avvicinò, sempre più lentamente. I suoi occhi rimasero fissi su quella figuretta rosa. - Sì, sì. sì è lei! Cominciò ad agitare il braccio a mo’ di richiamo, vide lo sguardo della ragazza che, ansiosa, cercava tra le decine di braccia ondeggianti, di rintracciarlo. Il treno si fermò, gli sguardi si intrecciarono, lei sorrise, lui scese e un altro sogno si stava avverando, quello fatto al tavolino del bar di Barcola.......... Rossella gli corse incontro gridando: – Eugeniooooo....... . Con le braccia tese, lo raggiunse, lo strinse ed appoggiò la guancia sulla sua spalla. Questa volta non era un sogno, ma una stupenda realtà ed egli non ebbe paura di staccarla da sé per timore di vederla svanire. Lo fece, lentamente, e fissandola diritto negli occhi, appoggiò le labbra sulle sue, dolcemente, cercando di trasmettere quel profondo sentimento che scaturiva dal suo cuore. Rossella si abbandonò, stringendo ancor di più le spalle di Eugenio. Il bacio durò a lungo, fintanto ché le due guance si unirono in una calorosa testimonianza d’affetto. Ella gli sussurrò all’orecchio: - La sera scorsa sei stato cattivo! Perché dopo avermi detto che credevi di amarmi. hai chiuso il telefono? - Rossella, amore mio, ho avuto paura della tua risposta, mi sembrava impossibile che una cosa così bella potesse capitare a me.......invece.... - Stupidone, non ti eri accorto che giovedì, quando ci siamo lasciati in questa stessa stazione, ero scappata via piangendo...........Ho passato, fino alla tua telefonata, dei momenti terribili, ero certa che per te fosse solo un diversivo ai tuoi continui viaggi in treno e basta, invece per me.......... - Certo che sì! mi ero accorto! Però anch’io ho avuto le tue stesse paure. Ma tutto ciò non ha più importanza, ora siamo qui, uno accanto all’altra per non lasciarci più! Si staccarono dall’abbraccio, egli la prese sotto braccio e con il bagaglio nell’altra mano si avviarono verso l’uscita. Fatti due passi, Eugenio si fermò, si girò verso un gruppo di persone e disse: 61 - Ciao Ennio, buona fortuna a te, io ne ho avuta tanta, non ci rivedremo più! - Con chi stai parlando? Chi saluti? - Oh! niente, è stato un mio compagno di viaggio, abbiamo tanto parlato e discusso, opinioni divergenti, succede, ed ora ognuno per la sua strada. Io la mia l’ho trovata, accanto a te! Adesso usciamo e tu mi farai da Cicerone. Andiamo, prima di tutto, in un bar a prendere qualche cosa per celebrare e festeggiare questo splendido momento. Mi sento felice, sono al settimo cielo! - Oh! caro, sono tanto felice anch’io. Non so chi sia questo Ennio che hai salutato, ma se non la pensa come te, hai fatto bene! I tuoi modi, i tuoi gesti, i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti sono così buoni e gentili che chi non ha le tue prerogative non può aspirare ad esserci amico. 62 Capitolo 6 Uscirono dalla stazione, sempre a braccetto, lentamente quasi a voler fermare il tempo e rimanere così in questa prima, dolce realtà. Lui tolse il braccio da quello di Rossella per prenderla delicatamente e affettuosamente, cingendole le spalle. Automaticamente lei, con il braccio liberato, prese lui intorno alla vita. Il contatto era migliore e loro si sentirono bene, tant’è che lei chinò leggermente il capo sino ad appoggiarlo sulla sua spalla. Camminarono in silenzio, con i loro pensieri, con i loro sogni, quasi timorosi di rompere quell’incantesimo. Fatta alcune centinaia di metri arrivarono davanti ad un bar dove, all’esterno, contornato di fioriere con piante verdi piuttosto alte, c’era un delizioso angolino con dei tavolini. Si sedettero, uno accanto all’altra, ed Eugenio chiese: - Cosa prendi cara? - Non so, e tu di che cosa hai desiderio? - Sono ormai le 16.20 ed io, a parte la colazione di stamattina, non ho preso nulla. Credo che prenderò, se ce l’hanno, un buon toast o un panino ed una birra. E tu hai fame? Sorridendo Rossella confermò: - Sì adesso ho fame anch’io. Per l’emozione, la paura di far tardi in stazione, tutta la situazione insomma, al cibo non ci ho nemmeno pensato ed anch’io sono praticamente digiuna da stamattina. Il cameriere arrivò, salutò i due piccioncini e con un blocchetto in mano si rivolse loro: - Prego signori, cosa posso servire? - Si potrebbe mangiare qualche cosa? Non abbiamo fatto colazione ed abbiamo un po’ di appetito. Magari dei toast o dei panini.......... - Abbiamo anche il servizio di cucina, ma a quest’ora, per quanto riguarda i primi piatti, è chiusa. Comunque oltre ai toasts ed ai panini, se avete piacere, posso servirvi una bistecca con insalatina, una milanese con patate fritte oppure dell’arrosto di vitello con i piselli, oltre, s’intende, il dessert. - Ottimo, allora cosa prederesti Rossella? - Mi è venuta una gran fame, gradirei una bella bistecca ai ferri. 63 - Benissimo, allora ci porti due grosse bistecche ai ferri con l’insalatina, un po’ di vino rosso e dell’acqua minerale. Grazie! - Grazie a lei signore, il tempo di accendere la piastra e le bistecche sono pronte. Le preferiscono al sangue, cotte o ben cotte? Le gradiscono con qualche salsetta d’accompagnamento? - Per me leggermente al sangue e se ci sono delle salsette piccanti le gradirei. Tu Rossella come vuoi la carne? - Anche per me uguale, grazie. - Vado e torno, con permesso, signori. Eugenio prese le mani di Rossella e le strinse dolcemente tra le sue: - Devo toccarti perché temo di essere ancora in un sogno. Da quando ci siamo salutati a Padova prima che io andassi a Trieste, quattro o cinque volte ti ho rivista nei miei pensieri, anche di giorno, per strada, seduto al tavolino di un bar. Dapprima apparizioni fugaci del tuo volto sorridente, poi sempre più lunghe ed insistenti ed è li che ho capito che tu ormai facevi parte di me, che non dovevo e non volevo perderti, che eri diventata lo scopo della mia vita. Ho giurato che se oggi ti avessi ritrovata alla stazione, come grazie a Dio è avvenuto, avrei cambiato tipo di vita e di lavoro. Ho giurato che non avrei più fatto l’uomo d’affari in giro per l’Italia, ma che avrei trovato un lavoro fisso in modo da poterti stare vicino. Eugenio vide i begli occhioni di Rossella lucidi lucidi e dall’angolo uscire una lacrima che, lentamente, scendeva lungo la guancia. - Io pure da quando ci siamo lasciati, non ho più toccato un libro, ho pianto tanto dalla paura di non rivederti più. Le mie due compagne d’appartamento, hanno cercato di consolarmi dicendomi che se tu fossi stato solamente la metà di quello che io ti avevo descritto loro, entro brevissimo tempo ti avrei rivisto, altrimenti voleva dire che non mi meritavi. La ragazza scoppiò in un pianto liberatore che era pure di gioia, ritrasse le mani per prendere dalla borsetta un fazzolettino. Eugenio la prese per le spalle e l’avvicinò a lui e facendole appoggiare la fronte sulla sua spalla, cominciò ad accarezzarle i capelli lentamente e dolcemente in un gesto d’affetto, liberatorio e di conforto. Arrivò il cameriere con il vino, l’acqua minerale e le insalate, si fermò un attimo: - Posso?........ Su signorina si vede tre ore lontano che sono lacrime d’amore, forza, tiri un bel sospiro e coccoli questo fortunato giovanotto. Dopo mangiata la bistecca il 64 mondo lo vedrà sotto un’altra luce e scapperete via verso la felicità. Tanti auguri! Rossella, si asciugò gli occhi e accennò un sorriso al cameriere guardando, con gli occhi rossi, il suo bell’innamorato. - Basta piangere! D’ora in poi solo allegria e risate, il brutto è passato, il temporale è finito, la tempesta è stata breve. D’ora in poi il sole radioso illuminerà la nostra vita. OK? Promesso? - Quanto sei dolce e comprensivo, mi sento veramente felice e soddisfatta, oggi è un giorno che rimarrà scolpito nel mio cuore come il giorno più importante della mia vita. Il giorno in cui ho capito e scoperto che il Vero Amore, quello con la “A” maiuscola esiste veramente ed io sono stata prescelta dal Signore per questa grande felicità, per questa gioia immensa. Si avvicinò a lui e gli diede un dolce bacio, ricambiato con la stessa dolcezza. Eugenio versò un po’ d’acqua minerale nei due bicchieri: - Beviamo un sorso, ci tirerà su lo spirito, dopo di che un sorso di vino ci metterà addosso la giusta allegria per finire bene la giornata. In quel momento giunse il cameriere con le due belle bistecche fumanti e nel servirle disse: - Mi sono permesso di aggiungere sopra la bistecca un croccante uovo “all’occhio di bue”. Vedrete dopo questo pasto avrò il piacere di leggere la serenità sui vostri volti. Veramente........ buon appetito! - Grazie – risposero all’unisono – che belle, che bell’aspetto, che invitanti, senti che profumo........all’attacco! Quando la fame, unita all’emozione e alla felicità si sommano, il mondo circostante sparisce e la battaglia ingaggiata con la forchetta ed il coltello affondati nello spessore della carne diventa la cosa principale in quel momento e assaporare il cibo in una lenta masticazione diventa un rito. Giunti che furono a metà della bistecca, si guardarono negli occhi e in un sol colpo si misero a ridere, sempre più intensamente e simultaneamente in un crescendo che terminò con un grosso sospiro e un rilassamento di tutto il corpo adagiato sullo schienale delle seggiole. Il ghiaccio era rotto, le ansie erano passate, i tormenti ed i crucci pure. La serenità e la gioia, finalmente, si erano impadronite dei due giovani amanti che, riprendendo la conversazione, finirono il loro pasto pomeridiano tra sorrisi e battute scherzose. - Che cosa hai deciso di fare Eugenio, riparti oggi o ti fermi per un po’? 65 - Veramente pensavo di ripartire oggi, però essendo domani domenica, anche se andassi a casa, non potrei sbrigare le mie incombenze. Partirò domani pomeriggio, sei contenta? - Felice, non contenta, così potremo stare insieme ancora una giornata. - OK! approvato, adesso pago il conto e andiamo a cercare un alberghetto dove sistemarmi per questa notte, che sia relativamente vicino alla tua abitazione così domani ci potremo vedere presto. - Ma che alberghetto, ti prego! Nell’appartamento, che divido con le altre due ragazze, in soggiorno c’è un divano letto che, alternativamente, usiamo quando vengono a trovarci i rispettivi genitori. Ora è libero perché non abbiamo nessuno. Parlo io con le ragazze, così avrò anche il piacere di presentarti alle mie compagne di studi. - Non vorrei disturbare, in primo luogo, e poi non vorrei che le male lingue dei vicini avessero a dire che porti un uomo in casa. Per la tua reputazione e quella delle tue amiche. - Non pensarci minimamente, se alle mie amiche va bene, deve andare bene a tutti. Pagato il conto, con i ringraziamenti e gli auguri del cameriere, Rossella ed Eugenio ripresero il cammino lungo le vie di Padova per recarsi all’abitazione di lei. Strada facendo, passarono dinanzi allo storico “caffè Pedrocchi” e Rossella glielo fece notare. - Ne avevo tanto sentito parlare, ma non ho mai avuto l’occasione di visitarlo, vuol dire che domani andremo a prendere l'aperitivo prima di pranzo e così l’ammirerò. Girato l’angolo, fecero alcune centinaia di metri ed arrivarono davanti la casa in cui le ragazze avevano affittato l’appartamento. Via Mantica n° 3. Un bel palazzo d’epoca, una casa signorile in centro. Di fronte sorgeva l’imponente palazzo della Sede Centrale della Cassa di Risparmio di Padova. - Eccoci arrivati, noi abitiamo al terzo piano. Suono il campanello per annunciare, se sono in casa, che stiamo arrivando. Preso l’ascensore giunsero al pianerottolo e una bella brunetta era sulla soglia aperta dell’appartamento che li attendeva. - Ciao Gisella, siamo noi! Eugenio, questa è la mia compagna Gisella Moro, che fa il quarto anno di architettura e questo è il mio........ amico, Eugenio Della Noce che fa l’uomo d’affari. C’è anche Fulvia? - No, non ancora, ma dovrebbe rientrare tra poco. Molto lieta Eugenio, Rossella ci ha parlato tanto di lei che mi 66 sembra di conoscerla da una vita. Però, complimenti Rossella, è veramente un bel ragazzo, avevi ragione! Eugenio, sorridendo, disse: - Mi sarebbe piaciuto poter sentire cosa vi raccontava di me la mia Rossella, certamente avrà esagerato. - Ah! ma allora è vero – incalzò Gisella - ....la mia Rossella......allora ci siamo! Le speranze, i desideri, i sospiri, le ore insonni di Rossella hanno funzionato. E’ sbocciato, è nato, è fiorito il grande amore. Gisella, corse incontro a Rossella, l’abbracciò forte forte, quasi gridando esclamò: - Sono felice per te, tanti e tanti auguri, che tutto possa filare liscio per entrambi e che l’amore non vi abbandoni mai. Venga Eugenio, venga qui, che possa abbracciare tutti e due. Quando Eugenio si avvicinò e tutti e tre commossi erano abbracciati, si aprì la porta ed apparve Fulvia, che restò immobile e attonita sulla soglia. - Cosa succede qui? Cosa si festeggia? Chi è quel bel ragazzo? Perché vedo occhi lucidi? Volete spiegarlo anche a me? - Fulvia, cara amica mia, ti presento Eugenio, il mio ragazzo, avevi ragione tu! E’ venuto da me e mi vuole tanto bene........anche di più! - Ohhh! finalmente, se non veniva lei qui a Padova, sarei venuta io a cercarla, non ne potevamo più........Eugenio di qua, Eugenio di la, tutto il giorno, ieri, non parlava che di lei, di com’era, di come parlava, della sua cultura, della sua eleganza, del suo aspetto, degli occhi, delle mani....... sembrava che nell’appartamento fossimo in quattro, come adesso. Comunque, devo dire che Rossella aveva ragione, l’ha descritta perfettamente e ne sono contenta per la mia amica e anche per lei Eugenio, Rossella è una gran brava ragazza! - Ragazze mie, mi sento imbarazzato! Nel lavoro che facevo ho dovuto affrontare situazioni impreviste di tutti i tipi, ma mai mi sono trovato così, assalito da lodi e complimenti che, in fondo in fondo non credo di meritare. Rossella stringendosi al braccio di Eugenio si rivolse alle sue amiche: - Sapete lui ha deciso di cambiare lavoro per potermi stare più vicino e non assentarsi in viaggi per l’Italia che, anche se per un paio di giorni, l’avrebbero tenuto lontano da me. Anche questo è amore! Ma hai deciso cosa farai? - Sì, lunedì mattina, dopo sistemate alcune cose a Livorno, partirò per Milano dove mi attendono alcuni colloqui di lavoro per scegliere quello che più si adatterebbe al mio carattere ed al mio modo di pensare e, perché no, anche al 67 migliore dal punto di vista economico. Tutto questo avverrà se Rossella mi promette formalmente di riprendere lunedì gli studi e laurearsi nei tempi previsti. Dopo di che si potrà pensare e decidere la data del matrimonio ed il suo trasferimento nella città in cui prenderò servizio che non è detto debba essere necessariamente Milano.......... Ah! sempre che lei voglia sposarmi, ben inteso! Rossella rimase muta, con la bocca semi aperta, con gli occhi sgranati e lucidi dall’emozione, quasi incredula nel sentire una dichiarazione pronunciata dinanzi a delle estranee, anche se amiche, come fosse una cosa scontata e già nota al mondo intero. - Evviva, evviva – gridarono Gisella e Fulvia – noi vogliamo essere le damigelle di Rossella e tenerle ben sollevato il lungo velo a strascico accompagnandola all’altare. Fulvia, presa dall’eccitazione, si rivolse agli innamorati: - Su, datevi un bacio d’impegno, di vincolo, di patto e di promessa che sancisca la vostra unione! Rossella si volse lentamente verso Eugenio con un sorriso radioso, un po’ rossa in viso, trattenendo il respiro si fece abbracciare e baciare dal suo uomo. Il bacio durò a lungo, tanto che le amiche si girarono per non invadere la privacy dei due innamorati e si allontanarono dirigendosi verso le rispettive stanze, quando la voce di Eugenio, leggermente affannata le chiamò: - No! vi prego non andatevene, il momento è solenne e come tutti i momenti solenni deve essere ufficializzato in tutti i suoi aspetti, anche con i testimoni. Le ragazze si fermarono, si girarono, pur rimanendo stupite e distanti, mentre lui si rivolse alla sua amata prendendole teneramente il viso tra le mani: - Rossella vuoi sposarmi? - Certo che sì! Lo voglio con tutto il mio cuore e tutta me stessa! Eugenio le diede un leggero bacio, l’allontanò da lui e andò vicino al divano dove aveva appoggiato la valigia e la borsa. Presa quest’ultima, l’aprì, vi infilò la mano e trasse la scatoletta finemente confezionata dalla signora Huber. Sciolse il fiocchetto, tolse la carta ed aprì la scatoletta: - Rossella, accetta questo anello in pegno del mio amore con la promessa che mai ti deluderò, mai ti abbandonerò e che cercherò, nel limite delle mie possibilità, di non farti mancare nulla, per tutta la vita. Aprì l’astuccio ed apparve quella meraviglia d’anello che esso conteneva. Rossella si mise a piangere senza freno non riuscendo ad emettere alcun suono dalla gola 68 strozzata dalla sorpresa, dall’emozione, dalla gioia. Le amiche lanciarono un urlo: - Dio mio! – gridò più forte Fulvia - Rossella, guarda, è pazzesco, è immenso, è di uno splendore, una lucentezza, una luminosità, un fulgore grandioso. E’ l’anello per una regina!!! Eugenio prese l’anello e delicatamente lo infilò all’anulare della mano tremante di Rossella che, dopo averlo ammirato al dito per qualche istante si avvinghiò al collo di lui sussurrando: - Matto! pazzo! che cosa hai fatto! avrai speso una fortuna! Non dovevi, ..........bastava un piccolo segno,............. per me sarebbe già stato una cosa grande........ma questo è un anello principesco! Devo chiamare i miei genitori e raccontare loro cosa è successo, così all’improvviso.......... Mia madre, alla notizia, o andrà in svenimento o farà salti di gioia, chissà? Comunque vorranno conoscerti! - Sicuramente, è logico, ma con calma ti prego. Ora tu devi pensare a finire gli studi, io devo sistemare parecchie cose, dopo di ché farò volentieri la loro conoscenza, magari durante una bella festa in famiglia per ufficializzare il fidanzamento e decidere assieme la data delle nozze. Va bene così? - Sì, sì, va bene, sono ancora tutta agitata, non posso credere che sia io la fortunata. Ma pensate, amiche mie, che fortuna essere andata a casa ed essere rientrata proprio quel giorno che Eugenio era in viaggio nella stessa direzione. Il destino, c’è poco da dire, ha un ruolo importante nella vita di ognuno di noi. L’atmosfera, da tesa ed emotiva che era, si stava rasserenando. Bisogna dire la verità, Gisella e Fulvia erano veramente delle amiche sincere che avevano partecipato affettuosamente e con gioia alla felicità della loro compagna Rossella. Si sedettero nel soggiorno mentre Eugenio rivolto alle tre fanciulle disse: - Ci vorrebbe dello champagne per brindare, ma in mancanza, anche un bel bicchierone di acqua minerale andrebbe bene, forse anche meglio perché l’alcol non sempre aiuta. Ne avete? - Sì, ma c’è anche Coca Cola e aranciata, basta l’imbarazzo della scelta – disse scherzando e ridendo Gisella – vado di là a prendere le bottiglie ed i bicchieri. Ritornata che fu con le bibite, Fulvia si alzò in piedi esclamando: - Non accetto discussioni! Ormai è ora di cena. Scendo dabbasso in pizzeria, a prendere quattro belle pizze e quattro dolci ché dobbiamo festeggiare. 69 - Ma Fulvia, sempre così generosa tu – rispose Rossella - semmai dovremmo essere noi ad offrire. Piuttosto ragazze volevo chiedervi una cosa, posso far restare Eugenio, solo per questa notte, sul divano dato che è libero? - Ci mancherebbe altro! – esclamò Gisella – se non lo chiedevi tu, te l’avrei proposto io. Voi non offrite nulla, siete i festeggiati, gli ospiti d’onore, anche se tu Rossella paghi la quota di pigione di questo appartamento! Poi ci vuole un uomo che protegga e sorvegli quel tesoro che porti al dito – disse sorridendo. La serata passò in allegria e le ore trascorsero in men che non si dica, allorquando udirono in distanza i rintocchi di un orologio di qualche campanile che scandivano le 23. Controllando l’orologio da polso, Eugenio confermò l’ora e propose di andare a riposare. Chiese riscontro ad un suo programmino per l’indomani: - Dopo colazione, domani mattina, Rossella ed io potremmo andare un po’ a zonzo per Padova. Appuntamento con voi ragazze alle 12.45 al Caffè Pedrocchi per prendere l’aperitivo e potervi salutare con a un ben presto rivederci. Poi nel primo pomeriggio prenderò il treno per Firenze e da lì a Livorno. OK? approvato? In un consenso generale si scambiarono la buona notte e andarono a dormire. La domenica mattina trascorse fin troppo velocemente per i due innamorati. Dopo aver bevuto, assieme a Gisella e Fulvia, l’aperitivo promesso, Eugenio salutò cordialmente le amiche e con Rossella si avviò lentamente verso la stazione per prendere quello stesso treno rapido che, il giorno prima, l’aveva condotto al punto di partenza della sua nuova vita. Per i due innamorati il tempo passava tanto velocemente che le 15.45 giunsero in battibaleno. Un ultimo bacio appassionato sul fischio del treno che stava muovendosi, un salto sul vagone con il suo bagaglio urlando: - Domani ti chiamo e ti so dire come prosegue il tutto. Studia mi raccomando! - Te lo giuro! Voglio fare una bella laurea, per te! Te lo meriti! A presto amore! Il treno prese velocità mentre gli occhi, sempre più lontani, si cercavano in un disperato tentativo di non perdere l’immagine. Eugenio s’incamminò lungo il corridoio alla ricerca di uno scompartimento vuoto. Aveva bisogno di pensare, di riflettere, di progettare, di programmare e non voleva essere disturbato da qualche viaggiatore chiacchierone. In uno scompartimento vide seduto un prete da solo che leggeva un grosso volume con la copertina nera, entrò: 70 Buongiorno reverendo, posso? - Good morning, sir, sit down please. - Thank you very much, but J am sorry, my English is not so good. Is scholastich English! - Never mind! J am reading! - Ottimamente - pensò Eugenio – ha detto che non importa, che sta leggendo. Potrò chiudere gli occhi e riflettere sui miei programmi, in silenzio ed avere la mente concentrata. Si sedette comodamente, dopo aver sistemato la valigia e la borsa sulla retina. Per un attimo guardò fuori dal finestrino lo scorrere veloce dello stesso paesaggio visto quattro giorni prima ma nell’altro senso di marcia. Appoggiata la testa sullo schienate, chiuse gli occhi. Per un momento pensò che doveva essere come Giuseppe Nardi, il fabbricante di salumi, che dormiva nell’angolino della carrozza. Solamente che Nardi dormiva perché era stanco del lavoro, mentre Eugenio non dormiva affatto, teneva gli occhi chiusi per riflettere meglio e non essere distratto dalle visioni che lo circondavano. La prima cosa da farsi, l’indomani mattina, era regolarizzare la sua posizione con il sig. Huber! Non poteva assolutamente cominciare la nuova vita con un raggiro. L’anello che aveva donato a Rossella doveva essere puro e onesto e non frutto della passata vita. Dell’esistenza di Ennio che aveva allontanato, anzi, cacciato da lui definitivamente non doveva restarne traccia! L’unica cosa da fare era andare nella sua banca, prelevare il prezzo pattuito per l’anello, andare in un ufficio postale e fare un vaglia telegrafico a favore dell’Oreficeria Huber di Trieste e quale mittente indicare Ennio Rossi – Milano – e nello spazio riservato alle comunicazioni del mittente avrebbe scritto: Saldo fornitura anello. Erano buone le pastine? Scusi l’accaduto! Ennio Rossi (oggi morto) Prelevando le 485.000 lire, poco contante gli sarebbe rimasto, avrebbe quasi prosciugato il conto corrente. Meglio così, d’ora in poi i soldi versati sarebbero stati soldi onesti, frutto di un lavoro che lo avrebbe impegnato quotidianamente, faticosamente: pranzi nella mensa aziendale; spostamenti in tram o al massimo in macchina; niente più abiti di grandi sarti e biancheria d’alta moda con scarpe rigorosamente di Varese, cravatte in pura seta. Non più Grand’hotels, ristoranti con maitre e sommelier. Senza rimpianti! Finalmente una vita serena! Una famiglia, uno scopo nella vita, una moglie affettuosa da amare e proteggere e, chissà ............. dei figli da crescere! 71 Viva l’onestà, viva la vita , viva la felicità e l’amore. Con questa frase, ben stampata in mente, Eugenio cedette al sonno ristoratore e rivitalizzante che l’avrebbe condotto, al suo risveglio, ad intraprendere assieme alla sua Rossella il duro, ma felice ed onesto cammino della vita: Capitolo 7 – la conclusione Siamo il 7 Giugno 1985, sono trascorsi 34 anni dal giorno in cui Eugenio conobbe Rossella e poco più di 31 anni dal loro matrimonio. Eugenio ha 65 anni e Rossella 59, sono sposi felici, genitori altrettanto felici e da tre mesi anche nonni, ancor più felici! Eugenio, tra un paio di mesi, andrà in pensione per raggiunti limiti di età. La sua visita a Milano del 11 giugno del 1951 ebbe esito positivo e, guarda caso fu assunto in un’industria dolciaria che non era la Botta, di cui Ennio presentava i biglietti da visita, ma una altrettanto importante in campo sia nazionale che mondiale. Essendo laureato in giurisprudenza, iniziò presso l’ufficio legale della Ditta quale responsabile del recupero crediti, ma ben presto date le sue doti innate per il mondo degli affari, passò nell’amministrazione e salendo la scala gerarchica oggi è “Direttore Responsabile Amministrativo”. Chissà se il destino gli aveva riservato questo privilegio quale premio per la sua abilità o a monito e ricordo di un passato che Eugenio era stato capace di ripudiare per amore della sua Rossella. Non lo sapremo mai! Rossella, aveva presento la sua tesi nei tempi prefissati e si era laureata a pieni voti tra i complimenti del relatore e del corpo accademico che ritenne di assegnare la “menzione” all’opera trattata sia per la perfezione della ricerca sia per l’argomento impegnativo. 72 Verso la fine del 1953 si unirono in matrimonio nel duomo di Arezzo e Rossella si trasferì a Milano. Data la sua particolare tesi di laurea, ebbe facilità di entrare nel locale policlinico dove, ora, ricopre la carica di aiuto primario. Nacquero due figli di cui uno, il maggiore, nel 1982 convolò a giuste nozze ed ora ha fatto diventare nonni i due innamorati del 1951. .-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.- Questa storia vuol far evidenziare come “le apparenze ingannano”. Apparentemente Ennio era una persona per bene, in realtà era un lestofante. L’episodio raccontato, di cui tratta la parte centrale di questo racconto, è realmente accaduta anche se i nomi dei personaggi, i luoghi e i tempi sono stati parzialmente e volutamente distorti per romanzare l’episodio. In realtà il colpo messo a segno è stato fine a sé stesso e certamente il povero gioielliere fu abilmente raggirato e non fu certamente risarcito da un Eugenio ravveduto. E’ bello pensare però e sperare che anche tanti altri Ennio vengano sostituiti da tanti altri Eugenio e che il bene e l’amore trionfino sul male. Prendiamo tutti come impegno che “le apparenze non devono più ingannare” e il domani per i nostri figli, nipoti e pronipoti e così via per secoli e secoli, sia sereno, felice, fulgido, e che il “Male”, scusate, Ennio non possa mai più dominare l’Eugenio del momento. LA REALTA’ E’ EUGENIO L’APPARENZA.......ERA ENNIO 73