Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Generatio aequivoca.
Sottosuoli dell'immaginario nella filmografia dei Quay Brothers
di Vincenzo Cuomo
La natura procede gradualmente dall'inanimato agli animali,
passando attraverso quelle forme che sono vive, ma non sono
animali. All'interno di questa serie ininterrotta ci rimangono
oscuri i confini e i termini medi, sicché non ci risulta possibile
affermare con sicurezza a quale sezione appartengano gli esseri
che si trovano fra l'uno e l'altro gradino.
da Aristotele, Historia animalium
Abstract
This essay is an introduction to the Quay Brothers' poetics. Since Seventies the works of the two
filmmakers have investigated the undergrounds of imagery produced by the collapse of all symbolic
orders. There are many cultural influences involved in their work: the surrealistic cinema, the central
European literature (Schulz, Kafka, Walser…), the artistic avant-garde. Following Shulz's imaginary
theory of the generatio aequivoca the Quay Brothers can show the contingency and the unpredictability of
the forms generation. In this way they can put the rest of symbolic orders on the same level as the basic
materials from which the generatio aequivoca originates.
La fermentazione della materia
In origine non fu il Logos, o non fu il Logos soltanto. Perché è forse possibile intendere la genesi
cosmica da due prospettive differenti. La prima è quella logica: in origine c’è il Logos che divide
la Luce dalla Tenebra e, dividendoli, crea il cosmo, vale a dire l’Ordine, escludendo il Disordine.
Ma le cose potrebbero essere andate in tutt’altro modo. In origine potrebbe esserci stata solo la
materia, per quanto percorsa da infinite vibrazioni formali.
È quel che l’altra prospettiva sulla genesi cosmica sembra descriverci.
I Quay Brothers – di cui dirò qualcosa di più fra poco – nella loro filmografia, in particolare nei
loro “corti”, seguono questa strada, che chiameremo, riprendendo l'espressione di Bruno Schulz,
quella della “seconda demiurgia”. È appunto dal grande narratore polacco che essi riprendono
l'idea di un'altra genesi, lontana dalla perfezione creatrice del Demiurgo, e legata alla
fermentazione della materia.
Al centro della raccolta narrativa più famosa di Schulz, Le botteghe color cannella, troviamo il
Trattato sui manichini, vale a dire secondo Libro della Genesi che – in tre parti – racchiude la
dottrina esplicitamente eretica elaborata da Jacob, il personaggio che, dalla voce narrante, viene
descritto come un padre bizzarro e misterioso, frutto della trasformazione mitopoietica cui
l'autore sottopone il ricordo del suo padre reale.
1
Data di pubblicazione: 13.06.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Secondo Jacob, il Demiurgo «non ebbe il monopolio della creazione»1, perché anche la materia
«è dotata di una fecondità senza fine». Tuttavia, mentre il Demiurgo impone la perfezione delle
Forme alla materia, quest'ultima, per quanto passiva e indifesa, è in grado di fermentare, e
delirare, abbozzi di forme, per quanto instabili, fragili, provvisorie e incomplete.
La materia è dotata di una fecondità senza fine, di un'esauribile forza vitale e al tempo stesso di
un seducente potere di tentazione che ci spinge a creare. Nelle profondità della materia si
delineano indistinti sorrisi, sorgono contrasti, si affollano abbozzi di forme […]. Tutte le
organizzazioni della materia sono instabili e fragili, facili a regredire e a dissolversi2.
Mentre il Demiurgo, il grande Artista, imponendo ordine alla materia la rende invisibile, Jacob,
invece, «ama la sua dissonanza, la sua resistenza, la sua maldestra rozzezza»3. In una parola –
afferma programmaticamente – «noi vogliamo creare una seconda volta l'uomo, a immagine e
somiglianza di un manichino»4.
I manichini di cui parla Jacob sono innanzitutto segnati dall'incompletezza e dalla provvisorietà.
Sono come esseri umani con una sola parte del viso, oppure con una sola mano, oppure con una
sola gamba, potremmo dire con un solo organo, esclusivamente quello che essi, di volta in volta,
esprimono. Incompleti per tutto il resto, i manichini sono l'azione che compiono, sono l'organo
(provvisorio) che li fa esistere e grazie al quale esistono.
Dal di dietro potrebbero essere semplicemente cuciti con una tela, oppure imbiancati.
Riporremo le nostre ambizioni in questo fiero motto: un attore per ogni gesto. Per ogni parola,
per ogni azione, chiameremo alla vita un uomo diverso5.
Questa è la prima caratterizzazione che Jacob dà di questi esseri, uomini a immagine di
manichini. Sono esseri che, di volta in volta, sono l'azione che compiono e che potrebbero anche
scomparire subito dopo.
Dall'altro lato, nella pagina seguente, Schulz, per il tramite di Jacob, sottolinea un'altra
caratteristica prodotta dalla fermentazione della materia: mentre il Demiurgo «si innamorò di
materiali sperimentati, perfezionati e complessi, noi daremo la preferenza alla paccottiglia»6.
Questi esseri, cioè, dal punto di vista del Logos demiurgico, non sarebbero altro che “scarto”,
“rifiuto”, “paccottiglia”. In tal modo ciò che Jacob-Schulz intende con il concetto di “manichino”
diventa più misterioso.
Nella seconda parte del Trattato sui manichini, Schulz dà al lettore qualche elemento in più di
comprensione. Lo fa attraverso un paragone, quello tra i manichini/burattini che abbiamo avuto
l'occasione di conoscere nei baracconi delle fiere, e il concetto di manichino che l'eresiarca Jacob
ha in mente. Quando alla materia si impone una determinata espressione la si violenta, la si
opprime. Si pensi alle espressioni stampate sul volto dei manichini da fiera:
Non immaginate il dolore, la sofferenza sorda, repressa, imprigionata nella materia di quel
fantoccio che non sa chi è, né perché deve restare in quella forma imposta con la forza e che è
soltanto una parodia? […] Voi date a una qualsiasi testa di pezza di stoppa un'espressione d'ira e
la lasciate con quell'ira, con quello spasimo, con quella tensione una volta per sempre chiusa in
una collera cieca che non ha sfogo. La folla ride di questa parodia. […] Avete mai udito di notte
1
B. Schulz, Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi, i disegni, trad. it. di A. Vivanti Salmon, V.
Verdiani e A. Zieliński, a cura di F. M. Cataluccio, Einaudi, Torino 2008, p. 35.
2
Ibidem.
3
Ivi, p. 38.
4
Ibidem.
5
Ivi, p. 37.
6
Ivi, p. 38.
2
Data di pubblicazione: 13.06.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
gli urli terribili di questi fantocci di cera, chiusi nei baracconi da fiera, il coro lamentoso di quei
tronchi di legno e di porcellana che tempestano di pugni le pareti delle loro prigioni?7
Non è affatto di questi «equivoci incarnati»8 che Jacob intende parlare. Con esplicito riferimento
alla antica nozione di generatio aequivoca, la seconda genesi che Jacob immagina consiste in
«una generazione di esseri solo a metà organici, una sorta di pseudovegetazione e di pseudofauna,
risultati di una fermentazione fantastica della materia»9
Erano creazioni apparentemente simili ad esseri viventi, a vertebrati, crostacei, artropodi, ma
quell'apparenza ingannava. In realtà erano creature amorfe, senza struttura interna, prodotti delle
tendenze imitatrici della materia, che, dotata di memoria, ripete per abitudine le forme una volta
prese10.
Da Rehersals for Extinct Anatomies (1987)
Tuttavia Jacob, senza escludere da tali quasi-forme vitali quelle generate spontaneamente dalla
materia inorganica indipendentemente dal mondo umano – in fondo è alla genesi di tali forme che
la teoria della generatio aequivoca anticamente si riferiva –, chiarisce che, tra queste quasi-forme,
le più importanti sono quelle derivanti dalla degradazione e dalla putrefazione degli ambienti di
esistenza umani. Le semplici fermentazioni della materia sono elementari e ripetitive nei
confronti di queste altre forme:
[…] Quelle forme primitive erano niente in confronto con la ricchezza di forme e con la
magnificenza della pseudofauna e della pseudoflora che compaiono talvolta in certi ambienti
strettamente delimitati: vecchi appartamenti, saturi delle emanazioni di molte esistenze e molti
7
8
9
10
Ivi, pp. 40-41.
Ivi, p. 43.
Ibidem (corsivo mio).
Ibidem.
3
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avvenimenti, atmosfere consunte, ricche di ingredienti specifici dei sogni umani, ruderi,
traboccanti dell'humus dei ricordi, dei rimpianti, della noia sterile. In un simile terreno quella
pseudovegetazione germogliava in fretta e superficialmente, parassitava rigogliosa ed effimera,
faceva sbocciare generazioni fugaci che fiorivano improvvise e splendide per subito spegnersi e
appassire11.
L'interesse che riveste per noi l'interpretazione schulziana della generatio aequivoca consiste in
ciò: pur senza recidere la relazione con il problema della generazione del vivente dal non
vivente12, la generazione spontanea delle forme descritta dal narratore polacco ha a che fare, da
un lato, con quel che chiama la fermentazione fantastica delle materie, e, dall'altro, con la
degradazione degli ambienti umanizzati. Il primo processo, quello della fermentazione fantastica
delle materie, con cui gli autentici pittori, scultori e, in qualche caso, architetti (Gaudì) hanno
dimestichezza da sempre, è un processo di produzione “energetica” e polimorfa di un sottosuolo
immaginario materiale, minerale e ancestrale indipendente dal Logos e dal Linguaggio; il
secondo, quello della degradazione degli ambienti umanizzati, è un processo “entropico” di
sfaldamento, disorganizzazione, degrado e putrefazione dei milieux antropici che contribuisce
anch'esso a produrre un immaginario artistico; un immaginario che risulta essere il “sottosuolo”
degli Ordini immaginario-simbolici.
Il lavoro artistico dei Quay Brothers si pone esplicitamente sulla strada della generatio aequivoca
schulziana, pur rielaborandola, contaminandola e forse radicalizzandola.
11
Ivi, p. 44.
La teoria della generatio aequivoca ha una lunga storia. Sostenuta da Aristotele nel De generatione animalium
(III, 11, 762a sgg.) – il quale riteneva che nelle sostanze in disfacimento alcune forme di vita non nascessero da
germi, ma si sviluppassero spontaneamente – è stata poi demolita in epoca moderna (cfr. Francesco Redi, Esperienze
intorno alla generazione degl'insetti, 1668; cfr. anche Lazzaro Spallanzani, Saggio di osservazioni microscopiche
concernenti il sistema della generazione dei signori di Needham e Buffon, 1765). Tuttavia il suo interesse riposa nel
fatto che fu fortemente avversata dai teologi cristiani, in quanto di fatto sosteneva l'origine non divina per lo meno di
alcune forme di vita, come quella degli insetti. Paradossalmente l'ipotesi della generatio aequivoca è stata di fatto
ripresa dalla teoria dell'evoluzione poiché, in tale ambito, a meno di non voler riproporre la teoria creazionista,
l'unica strada percorribile sembra essere quella della generazione della vita dalla non-vita, dell'organico
dall'inorganico.
12
4
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Da Rehersals for Extinct Anatomies (1987)
Twin Brothers
I Quay Brothers – fratelli gemelli nati a Norristown, vicino Philadelphia, nel 1947 – si
trasferiscono a Londra verso la fine degli anni Settanta dove, grazie all'appoggio del produttore
Keith Griffith, lavorano soprattutto nel campo del film di animazione. In tale ambito si fanno
apprezzare sia per le loro elevate capacità tecniche, sia per la complessità sincretica dei
riferimenti culturali che mettono in gioco. La grande letteratura mitteleuropea di Bruno Schulz, di
Robert Walser e di Franz Kafka è per loro fonte continua di ispirazione. Per quel che concerne
l'ambito più strettamente cinematografico, gli influssi che appaiono con maggior chiarezza e
frequenza sono quelli del cinema surrealista, da Luis Bunuel (L'age d'or in particolare) a Jan
Švankmajer. Sul piano dei riferimenti alle arti visive troviamo il Marcel Duchamp dei ready
made e di Etant donné, ma anche tutta la pittura materica e informale del Novecento. Le loro
colonne sonore, infine – molte delle quali realizzate dal compositore polacco Leszec Jankowski –
pongono sullo stesso piano la musica, i suoni e i rumori, in una prospettiva post-cageana.
Il film di animazione che ha segnato il punto di svolta nella loro produzione è stato sicuramente
The Street of Crocodiles, del 1986, ispirato ad un racconto, dal medesimo titolo, di Bruno Schulz.
In esso troviamo concentrato il loro universo di riferimenti culturali, percorso dai due processi di
fermentazione fantastica delle materie e di degradazione degli ambienti antropici che prima ho
evidenziato.
Anche se il cortometraggio The Street of Crocodiles non ha affatto una trama “narrativa”, è utile
una breve descrizione del racconto di Schulz, in quanto una delle operazioni messe in campo dai
QB è quella di sfaldare e putrefare il racconto letterario fino a che tale degrado non renda meglio
visibili i sottosuoli dell'immaginario, di un immaginario del tutto spersonalizzato e, al limite, deantropizzato.
5
Data di pubblicazione: 13.06.2015
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Da The Street of Crocodiles (1986)
Eppure già il racconto di Schulz – che segue i tre brani in cui è esposto il Trattato sui manichini –
è quasi senza trama, o meglio è come se la trama in esso si perdesse nel vuoto, letteralmente
inghiottita nei labirinti della Strada dei coccodrilli.
Tutto parte da una mappa in-folio e “a volo d'uccello” della cittadina che fa da sfondo ai racconti
contenuti nella raccolta Le botteghe color cannella. In questa mappa c'è un vuoto bianco come ad
indicare una zona inesplorata. Si tratta del quartiere della Via dei Coccodrilli che, evidentemente,
non è neanche cartografabile. Si tratta del quartiere più moderno e commerciale della città, ma
anche unanimamente considerato volgare e kitch, abitato com'è «dal popolino, dalla feccia, da
creature senza carattere, senza spessore, da un vero e proprio ciarpame morale»13. Tutto in questo
quartiere sembra equivoco, ma, a quel che è possibile capire, non c'è cittadino che non l'abbia
visitato di nascosto. Eppure qual è il segreto di Via dei Coccodrilli? Non la sua atmosfera di
depravazione morale, ma, rivela Schulz, il fatto che in esso niente si concluda:
Diciamolo francamente: la fatalità di quel quartiere è che niente vi si conclude, niente vi giunge
a un suo definitum, tutti i movimenti abbozzati restano sospesi nell'aria, tutti i gesti si
esauriscono prematuramente e non riescono ad oltrepassare un certo punto morto14.
Le forme organiche ed inorganiche che appaiono in Via dei Coccodrilli sono, quindi, delle
forme-manichino, degli organi che si manifestano solo in ragione della loro funzione e che, il
più delle volte, subito dopo svaniscono. È il mondo della seconda Genesi teorizzata da Jacob.
Un mondo in cui la vitalità non è esclusivamente organica e in cui la norma è l'anomalia15.
13
14
15
B. Schulz, Op. cit., p. 76.
Ivi, p. 83.
Cfr. J. Baudrillard, Le strategie fatali, trad. it. di S. D'Alessandro, SE, 2007, pp., 27 sgg.
6
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Da The Street of Crocodiles (1986)
The Street of Crocodiles dei QB radicalizza proprio questo segreto aspetto del quartiere
descritto da Schulz.
Dopo aver seguito la figura di un anonimo e misterioso addetto ad un teatro, aggirantesi tra
scene dismesse e macchine teatrali e che ad un certo punto sputa in una sorta di imbuto, la
macchina da presa rende visibile un sottosuolo organico-macchinico in cui le forme sono
abbozzate, i movimenti ripetuti in modalità “celibe”, la vitalità si ibrida con la meccanicità, in
una sorta di impasse tra un proliferare di slanci vitali e continue ricadute nella ripetizione
automatica, per dirla alla Bergson. Non è un caso che qui, come anche in molti altri
cortometraggi dei QB – ad esempio The Cabinet of Švankmajer (1984) – le due forme di vita
che appaiono prevalere sono quelle insettiformi e quelle macchiniche e inorganiche. Spesso
ibridate fra loro senza soluzione di continuità, queste sono le forme di vita che la particolare
generatio aequivoca fantastica delle materie rende visibili.
7
Data di pubblicazione: 13.06.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Da Rehersals for Extinct Anatomies (1987)
Da The Street of Crocodiles (1986)
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Data di pubblicazione: 13.06.2015
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La bachelardiana poetica della rêverie16 sembra trovare qui la sua radicalizzazione e la sua
generalizzazione, che, a partire dai quattro elementi materiali della fisica arcaica, arriva a
coinvolgere tutte le materie artificiali possibili. Queste attivano un'immaginazione che,
passivizzata nella ricezione delle affordance materiche e macchiniche, assume un duplice e
paradossale ruolo: da un lato, processo energetico di aggregazione e di organizzazione parabiologica degli scarti materici con cui reagisce; dall'altro, processo entropico di
disorganizzazione e di disordinamento delle forme corpuscolari di materia in cui si imbatte.
Questo duplice processo di fermentazione fantastica delle materie trova la sua paradigmatica
manifestazione nelle connessioni e nelle disconnessioni dei puppets – in parte antropomorfi in
molta parte non-antropomorfi – che appaiono presi o nel loro divenire celibe oppure nel loro
divenire corpo senza organi. Da un lato essi infatti tendono a staccarsi dalle altre macchinemanichino, divenendo così macchine celibi che funzionano a vuoto; dall'altro essi
continuamente tendono ad instaurare connessioni “mostruose” e del tutto anomale con altri
puppets, creando così concatenamenti macchinici ibridi e oniricamente paradossali. Ma
ovunque si tratta solo di abbozzi, di forme mai compiute o compibili.
Da The Street of Crocodiles (1986)
Come ben sintetizza Suzanne Buchan nello studio più ampio e articolato reperibile sui QB: «I
loro film consentono allo spettatore l'esperienza del nonumano, del nonvegetale, della forma
nonantropomorfa di uno spirito vitalistico che si esprime attraverso una trasformazione
cinematica della materia – organica e inorganica – grazie all'importante concetto della generatio
aequivoca di Bruno Schulz»17.
16
Cfr. G. Bachelard, La poetica della rêverie, trad. it. di G. Silvestri Stevan, Dedalo libri, Bari 1972.
S. Buchan, The Quay Brothers. Into a Metaphisical Playroom, University of Minesota Press, Minneapolis –
London 2011, p. 33.
17
9
Data di pubblicazione: 13.06.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Universi simbolici in polvere
Polvere dappertutto. Insieme alle viti e ai chiodi, la polvere appare nella filmografia dei QB come
la forma corpuscolare più elementare e diffusa. Ma la polvere è soprattutto qualcosa che ha a che
fare con l'interieur, con la casa. Ha a che fare innanzitutto con la degradazione degli ambienti
antropici. Quando una casa è non curata o abbandonata diventa polverosa e ogni suo elemento
acquista una tonalità di grigio. Tuttavia, per i QB, la polvere è una materia attraversata forse più
delle altre dai processi energetici ed entropici.
Da The Street of Crocodiles (1986)
La polvere la troviamo anche nel film Institute Benjamenta. Or this Dream People call Human
Life (1995), opera che segna il loro debutto nel lungometraggio non di animazione. Il film, di
profonda suggestività e bellezza, è una rielaborazione dello Jacob von Gunten di Robert
Walser18. Samuel Frederick, a tal proposito scrive: «Walser compose la maggior parte dei suoi
lavori […] su pezzetti di carta o sul retro di calendari e di lettere in una minuscola scrittura
corsiva che è più simile ad un esperimento visuale in colore grigio piuttosto che a qualcosa di
leggibile. Il mondo dei QB è similmente infestato da minuscoli oggetti dimenticati, spesso sul
punto di sparire completamente: un pezzo di ghiaccio che sta per fondersi; la fragile testa di un
soffione; trucioli di matita; filamenti di ferro; insetti (un grillo, una mosca); persino la polvere
(alla quale i QB concedono dei primi piani estremi che rivelano la consistenza delle sue particelle
color cenere)»19.
18
R. Walser, Jakob von Gunten. Un diario, trad. it. di E. Castellani, con un saggio di R. Calasso, Adelphi eBook,
Milano 2014.
19
S. Frederick, Redemption of the Miniature: The Quay Brothers and Robert Walser, nell'opuscolo accluso al CD
Institute Benjamenta. Or this Dream that People call Human Life, BFI, London 2010, p. 1.
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Data di pubblicazione: 13.06.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Da Institute Benjamenta. Or this Dream People call Human Life (1995)
Nel romanzo di Walser, l'Istituto berlinese Benjamenta è una scuola per domestici. Vi si insegna
l'arte del servire, e la virtù che gli allievi devono acquisire, attraverso una rigida disciplina e
continui esercizi, è quella di diventare “simili allo zero”, insomma dei perfetti servitori senza
“io”. Tuttavia, se questo è l'obiettivo della scuola, in essa, nelle pieghe della sua routine
addestrativa, circola il mistero: professori che appaiono in sonno profondo e interminabile, un
passaggio segreto che consente al protagonista Jacob di fare esperienze sconcertanti, la strana
relazione tra il signore e la signorina Benjamenta e l'attrazione esoterico-erotica tra i due
proprietari della scuola e lo stesso Jacob. Quello walseriano è un romanzo di formazione:
l'Istituto Benjamenta è il luogo nel quale Jacob si prepara ad andare nel mondo di fuori, fatto che
avviene dopo la misteriosa morte della signorina e la chiusura della scuola.
I QB sottopongono a mio avviso il romanzo di Walser a due torsioni. La prima è una torsionetaglio: essi espungono dal film tutte le parti che narrano della vita che Jacob svolge fuori
dall'Istituto, in città. La scuola diviene così un mondo chiuso che, per ciò stesso, attiva dentro di
sé un processo implosivo. La seconda è una torsione-temporale: Jacob e gli allievi dell'Istituto,
invece che degli adolescenti, appaiono dei trentenni, fatto che enfatizza le relazioni erotiche (ma
senza contatto carnale) tra Jacob e la signorina Benjamenta (mentre più sfumata, quasi di sfondo,
appare la relazione, nel romanzo walseriano anch'essa fortemente erotizzata, tra il protagonista e
il signor Benjamenta).
11
Data di pubblicazione: 13.06.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Da Institute Benjamenta. Or this Dream People call Human Life (1995)
Da Institute Benjamenta. Or this Dream People call Human Life (1995)
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Data di pubblicazione: 13.06.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
Volendo brutalmente sintetizzare, potremmo affermare che, nel film, la prima torsione forclude
l'uscita di Jacob nel mondo di fuori, impedendo così il compimento della sua formazione. Infatti,
la scena finale, che apparentemente mostra l'abbandono dell'Istituto da parte di Jacob e del signor
Benjamenta (dopo la morte della signorina), è inquadrata da una finestra della scuola come in un
vecchio film, nel senso che appare un film nel film. Dal mondo claustrofobico dell'Istituto
Benjamenta non si esce, da vivi. La seconda torsione, poi, ci mostra che dall'amore non si esce se
non da morti.
Da Institute Benjamenta. Or this Dream People call Human Life (1995)
Insomma, dal mondo e dall'amore non si esce, non si può uscire da vivi. La vita, questo sogno
che chiamano vita – come recita il sottotitolo del film – non può trascendersi. Non c'è al di là del
mondo e della vita umana, nel senso che non c'è vita (umana) né mondo (umano) al di là.
Tuttavia questo non significa che non si dia degradazione della vita e che tale degrado, nel suo
stesso movimento entropico, non produca l'emergere “energetico” di un sottosuolo che sta al di
qua della vita e del mondo umani, per così dire. Di nuovo troviamo il demi-monde degli abbozzi,
dei manichini, delle quasi-macchine e della polvere. Di una polvere che conserva ancora le tracce
della vita e degli amori umani.
In Absentia
La polvere che de-genera e de-lira gli ambienti umani e che si ibrida con gli scarti, i detriti, in
particolare con quelli scriptori, fa da sfondo e da coprotagonista del cortometraggio In Absentia
commissionato ai QB dalla BBC nel 2000. La colonna sonora di Karlheinz Stockhausen precede
la realizzazione del film. Il nucleo tematico-visivo del film ha origine nel fascino che sui QB
ebbero le lettere scritte da Emma Hauck al marito da un ospedale psichiatrico e che essi poterono
osservare nella mostra Beyond Reason. Arte and Psychosis – Works from Prinzhorn Collection
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Data di pubblicazione: 13.06.2015
Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli
allestita, nel 1996, presso la Hayward Gallery di Londra20. In un angolo della mostra erano
esposte le lettere di Emma Hauck, affastellate da una scrittura claustrofobica che si duplicava
identica, ad ogni linea, negli stessi scarabocchi.
Da In Absentia (2000)
Forse la protagonista del cortometraggio è questa scrittura, ridotta a pura lettera, a pura
materialità senza significato e non più neanche significante, nel senso lacaniano del termine21:
una scrittura-sintomo impossibile da “far parlare” e da interpretare e che non è in grado di
fungere da sostituto del soggetto in un qualche ordine simbolico. Ciò che la scrittura, nella sua
coazione a ripetere, mostra non è altro che quella quota di godimento che essa consente ad un
soggetto che, forcluso dall'ordine significante, si cela, muto, dietro di essa, nel movimento stesso
di quel godimento letterale che si ripete infinitamente. Emma Hauck è questo soggetto che parla
senza parlare, che parla da muto.
Eppure i QB sembrano in grado di distanziare il loro sguardo filmico dalla sofferenza di Emma.
Essi filmano il sottosuolo della lettera, dove non c'è più neanche quel soggetto muto e
singolarizzato e dove troviamo di nuovo la polvere, i detriti della scrittura, gli accenni-manichino
di forme che ibridano organico e inorganico, al di là di qualsiasi sex-appeal. Filmano una
dimensione dell'essere in cui prolifera una vita non più umana.
20
Cfr. S. Buchan, The Quay Brothers, cit., pp. 223-230.
Cfr. J. Lacan, Lituraterra, in Id., Altri scritti, ed. it. a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2013, pp. 9-19; il
lavoro artistico dei Quay Brothers può essere incluso, a mio avviso, in quella “poetica dello slavamento del
simbolico” di cui si trovano moltissimi esempi nella letteratura e nell'arte a partire dalla seconda metà del Novecento
(vedi V. Cuomo, Eccitazioni mediali. Forme di vita e poetiche non simboliche, kaiak edizioni, Tricase 2014, pp. 117122).
21
14
Data di pubblicazione: 13.06.2015
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Da In Absentia (2000)
All'interno di questo immaginario, ancestrale e post-umano nello stesso tempo, il mondo umano
appare in una prospettiva inedita. Appare in una prospettiva in cui la disperazione, la sofferenza
psichica, la perdita della parola appaiono ovattate, distanziate, immerse in una generatio
aequivoca che le ingloba e che in parte, ma solo in parte, esse stesse contribuiscono a produrre.
Da In Absentia (2000)
15
Data di pubblicazione: 13.06.2015
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Generatio aequivoca. Sottosuoli dell`immaginario nella filmografia