A. M. CIRESE 1959d Natura e valori del canto popolare secondo Pietro Ercole Visconti (1830) Lares, 25. (1959) : 523-531 Atti del VII Congresso nazionale delle tradizioni popolari, Chieti 1957. Menù Testo ricercabile Testo anastatico CLICCARE SULLE RIGHE PER VISUALIZZARE LE SEZIONI DESIDERATE A. M. CIRESE 1959d NATURA E VALORI DEL CANTO POPOLARE SECONDO PIETRO ERCOLE VISCONTI (1830) ∗ Nel quadro della storia degli studi che in Italia si dedicarono al canto popolare nel primo ottocento assume un rilievo il Saggio di canti popolari della provincia di Marittima e Campagna (Roma, 1830) di Pietro ErcoleVisconti . 1 E ciò per due ragioni. Da un lato le enunciazioni del Visconti a proposito della natura e dei valori del canto popolare sono più ampie ed articolate di quanto non sia dato riscontrare nelle piuttosto sporadiche ed isolate annotazioni in materia che la storia degli studi in Italia registra negli anni precedenti ; 2 dall'altro per la prima volta nella storia degli studi italiani di poesia popolare uno scritto riguardante il canto popolare trova eco immediata ed esplicita, non resta cioè sepolto nell'indifferenza onella dimenticanza, ma varca i confini regionali e suscita discussione ed ulteriore elaborazione di idee: al Saggio del Visconti infatti Niccolò Tommaseo dedicherà subito sull'Antologia (vol. XXXIX, agosto 1830, pp. 95-104) una recensione ampia, critica e ragionata. Questo secondo fatto è notevole: per la prima volta in Italia si stabilisce un esplicito legame di continuità tra due scritti di poesia popolare, e si dà l'avvio ad un filone continuativo di ricerche che è consapevole, almeno in parte, di ciò che s'era già venuti facendo e di ciò che era necessario fare ulteriormente. Ma di tale questione meglio si tratterà altrove, discorrendo dei primi scritti del Tommaseo (1830 e 1832) in materia di canto popolare. Qui invece intendiamo dedicare la nostra attenzione all'esame dei concetti che il Visconti espresse nella sua prefazione al Saggio. 3 Atanasio Basetti e Paolo Oppici, nel presentare il primo gruppo di canti popolari dell'Appennino parmense ai lettori della Gazzetta di Parma (12 maggio 1824),avevano mostrato una sorta di timidezza iniziale. "Modeste per troppo naturale gentilezza, e vergognose del dover comparire innanzi ad una incivilita società, sono oggi pubblicate queste poetiche produzioni...":così infatti cominciava la loro presentazione. Nel Visconti notia∗ Lares, 25. (1959) : 523-531. Atti del VII Congresso nazionale delle tradizioni po- polari, Chieti 1957. 1 (1) P.E. Visconti, della nota famiglia di archeologi romani, visse dal 1802 al 1880 e fu anch'egli archeologo, oltre che letterato classicheggiante. In materia di canti popolari, dopo il Saggio del '30 di cui qui ci occupiamo, pubblicò una seconda raccolta, Saggio dei canti popolari di Roma, Sabina, Marittima e Campagna, nella Strenna romana, Firenze, 1858. Per notizie sul Visconti v. G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano, 19343, ad v. 2 (2) Vedi lo scritto sugli anni 1811-1829 3 (3) Gioveranno alcune notizie esterne sul lavoro del Visconti: esso fu dapprima un discorso letto all'Accademia Tiberina, accompagnato da alcuni esempi di canti popolari; divenne poi l'opuscolo che conosciamo e che contiene una aulica dedica a Madamigella Anastasia de Klustine, la prefazione di cui discorriamo, 32 stambotti e varie note di carattere estetico e linguistico. Il Visconti afferma di aver raccolto personalmente i testi. C'è da notare che il tipo di componimenti cui il Visconti dedica la sua attenzione è il canto lirico-monostrofico; ad esso avevano limitato la loro attenzione anche Basetti e Oppici. e questo "genere" resterà a lungo, e cioè fino agli studi del Nigra, al centro degli interessi italiani per la poesia popolare. Tuttavia, prima del Visconti Goethe, i Grimm ed Egeria avevano già pubblicati componimenti popolari di tipo narrativo o iterativo. 1 mo invece un attacco più deciso e consapevole: l'importanza dei canti popolari è immediatamente e nettamente affermata sin dalle prime righe del suo scritto: "I canti popolari, strettamente legati all'indole nazionale, alle condizioni dei luoghi, allo stato del costume, al grado di civiltà, meritano l'attenzione del filosofo". "Meritano l'attenzione del filosofo": appena un anno prima era stata pubblicata la ben nota raccolta di poesie popolari italiane, l'Egeria di Muller e Wolff: ed il Wolff, nella sua prefazione, aveva scritto: "I dotti italiani, nella loro pedanteria che vuol essere nobile, non si curano di esse (e cioè poesie popolari ) e si sentirebbero molto offesi se qualcuno volesse indurli ad occuparsi della scienza plebea". L'affermazione del Visconti par quasi essere una risposta ed una smentita alla asserzione del Wolff; e se non abbiamo alcuna prova che il Visconti conoscesse l'Egeria (lo stesso Tommaseo dichiarerà di averne avuto notizia solo nel 1841: cfr. Canti pop. toscani, p. 385), tuttavia appare abbastanza evidente che l'atteggiamento del Visconti, così deciso e così articolato in ben chiare motivazioni, dovè nascere di necessità da una cognizione sia pur generica e indiretta di quanto s'era già venuti facendo in materia di poesia popolare fuori d'Italia. Ed è infatti notevole che i temi romantici già presenti nello scritto di Basetti e Oppici ora ci si offrano ampliati, arricchiti e fatti più maturi. Tutta la prima parte della prefazione del Visconti vuol essere una ragionata giustificazione dell'importanza dei canti popolari e della opportunità di ricercarli e pubblicarli. E fa subito la sua comparsa uno dei motivi romantici fondamentali: la concezione della poesia popolare come poesia nascente con immediatezza dalla commozione, dalla passione (e dunque come poesia non artificiosa, o fatta per vezzo e per desiderio di fama e di applausi); come poesia che scaturisce da una schietta vicinanza alla natura. Concezioni analoghe, l'abbiamo detto, comparivano anche nel Saggio Basetti e Oppici; ma ora, nel Visconti, esse da un lato si accompagnano ad un interesse etnico meno impreciso (anche se non ancora "nazionale") e dall'altro si avviano a superare la semplice constatazione della immediatezza sentimentale per articolarsi in un primo esame di quella semplicità espressiva che è il corrispondente necessario della genuinità e immediatezza delle passioni da cui i canti si ritengono scaturiti. E vediamo innanzi tutto come compaia ed entro quali limiti si sviluppi quell'interesse che abbiamo detto "etnico". Ecco come il Visconti indica le ragioni per cui "gli Italiani abbondano di popolari canzoni". "Sotto un cielo mitissimo, fra il variato spettacolo di una natura sempre bella e sempre benefica, dotati di un linguaggio tutto poesia, inchinevoli all' entusiasmo, gl'Italiani abbondano di popolari canzoni che, prese in prestito da buoni scrittori, o dettate da alcun bardo occulto, o sorte di nativa vena d'ingegno, sono ad ogni modo, o per creazione o per adozione cosa del popolo". Lasciamo da parte, per il momento, le osservazioni circa l'origine dei canti popolari: torneremo su di esse più oltre. Ora invece è importante notare come quella natura, la cui immediata vicinanza era stata considerata già da Basetti e Oppici come una delle fonti prime della schiettezza e della bellezza dei canti popolari, si sia fatta meno generica ed imprecisa; come si avvii divenire una natura nazionalmente configurata. Non si tratta, nelle righe del Visconti, della contemplazione di un qualsiasi "cielo", ma dello spettacolo di un "cielo mitissimo" quale l'italiano; non si tratta della visione di un qualsiasi spettacolo naturale, ma del "variato spettacolo di una natura sempre bella e sempre benefica" quale è quella italiana; non si tratta della schiettezza di un linguaggio qualsiasi, ma di quella particolare poeticità che si suol attribuire alla lingua italiana; non si tratta infine di una capacità di sentimenti genericamente attribuita ad ogni popolo, ma di una particolare caratteristica degli italiani " inchinevoli agli entusiasmi". 2 Per vaghi e generali che siano, questi accenni del Visconti hanno un certo interesse: il canto popolare comincia a configurarsi come documento e come fatto estetico non astorico e universale, nascente soltanto da certe profonde radici umane indipendenti dal condizionamento storico delle nazioni: cuore, verginità intellettuale, aderenza alla natura senza interposti schermi di cultura. I canti popolari invece appaiono al Visconti "strettamente legati all'indole nazionale, alle condizioni dei luoghi, allo stato del costume, al grado di civiltà", come appunto egli scrive fin dalle primissime righe della presentazione. Ed ecco quindi che essi sono non soltanto documenti estetici, ma anche e soprattutto documenti "storici". Ma, come abbiamo già accennato, questo atteggiamento del Visconti non assume configurazione politica precisa, non trova un legame, sia pur celato e prudente ma consapevole, con i problemi risorgimentali. Non si può certo dimenticare che egli scriveva nel 1830 e nello Stato pontificio; tuttavia dobbiamo registrare il fatto che le questioni politiche non paiono sollecitarlo o toccarlo in alcuna misura . 4 Ben più avanti su questo terreno, pur con prudenza e riserbo, andrà il Tommaseo nella sua recensione; ed assai più avanti era già andato lo stesso Wolff che, nella prefazione all'Egeria, tentando di cogliere le peculiarità nazionali dei canti popolari italiani, aveva scritto: "I canti popolari degli Italiani sono diversi da quel li di altri popoli, per esempio degli Scozzesi, dei Tedeschi, dei Serbi ecc., tanto più per il fatto che in un paese diviso non possono svolgersi azioni patriottiche, ed è così tolta una fonte principale della poesia popolare". Nel Visconti invece manca ogni riferimento ai problemi nazionali. L'indole nazionale, il grado di civiltà, lo stato del costume di cui egli fa cenno non si specificano sul terreno politico, ma si articolano su quello morale, meno avanzato e rivoluzionario, più moderato e prudente: si sfugge ad ogni impegno politico-sociale e si evade sul terreno della "gentilezza" e della bontà dei costumi. I canti popolari di Marittima e Campagna 5 , egli scrive, "non mostrano né selvatichezza di costume, né crudeltà: ché pochi tristi esasperati e condotti all'estremo, sparsero men veramente tanto disfavore su genti quiete, ossequienti, e intese alla più mite delle arti, l'agricoltura". Una analoga genericità, un identico carattere di evasione dai problemi nazionali che in quegli anni erano così sanguinosamente sul tappeto si riscontra là dove il Visconti tratta del contributo che la coscienza dei canti popolari può dare alla nazione (che non è nominata ed è detta soltanto "dolcissima madre"): "Né infruttuosa inchiesta sarebbe quella di chi tutti ricogliesse canti siffatti. Di cari e preziosi modi, e locuzioni, e parole; di be' versi tutti germana purità; di produzioni nate con la nostra favella, feconda riuscirebbe la sua ricerca. E forse questa dolcissima madre nostra, privilegiata nutrice d'ogni bellezza, ne apparirebbe coronata d'un nuovo serto non indegno al venerato suo capo". In sostanza la valutazione dei canti popolari come documenti "nazionali" che nel Visconti appare già assai più chiaramente che in Basetti e Oppici non si spinge tropo oltre, ed alla fin fine - toccata la "gentilezza" dell'indole e dei costumi - si risolve quasi interamente nella fantasia etico-estetica della purità della lingua. Naturalmente anche quello 4 (4) E' da notare che il Visconti rimase fedele allo scomparso Stato pontificio anche dopo il 1870. 5 (5) Di questa zona il Visconti dice anche: "luoghi pieni di terrore e di atrocità, tornati ora alla sicurezza e alla calma"; si riferiva evidentemente al brigantaggio. Nella dedica a Anastasia e Klustine dice pure "contrada di che si conoscevano solo le spie"; è dunque cosa degna presentarne i "poetici fiori". 3 della lingua è un tema "nazionale" e risorgimentale; tuttavia esso è qui trattato senza una particolare intensità politica così che rimane, da questo punto di vista, assolutamente generico. Maggior rilievo però assume questo tema della lingua per altri rispetti che hanno un indubbio interesse. Oltre agli sparsi cenni che ne dà in vari punti, il Visconti così si occupa specificamente della lingua dei suoi canti popolari: "Per quello che si appartiene alla lingua, alcune di queste stanze sono della maggiore purità; in altre incontrano alcune voci e alcune forme tutte proprie del vernacolo, e dell'arcaico pure talora. Rinettandole di alcune di queste cose, che non son molte, potrebbero comparire agli occhi de' più con maggiore vantaggio. Io però ho voluto serbare intero tutto il loro carattere; e di questo sonomi fatto un dovere che ho osservato fino allo scrupolo". Basetti e Oppici avevano seguito un criterio del tutto opposto: non solo non avevano esitato a scegliere tra i canti solo quelli che ad essi erano parsi più belli, ma ne avevano addirittura mutilato qualcuno pubblicandone "quel solo bello che vi era"; giacché era parso loro "sano consiglio l'offrire quanto poteva esser fonte di godimento, e allontanarne quanto il poteva di noia, o distrazione". Il Visconti invece si fa un dovere "osservato fino allo scrupolo" di serbare intero il carattere dei canti che pubblica. Può sembrare una anticipazione dei criteri "scientifici" che più tardi si imporranno nello studio dei canti popolari; ma non è così. L'atteggiamento del Visconti non nasce da un intendimento di registrazione freddamente obbiettiva; è invece anch'esso una manifestazione di "gusto". Egli giudica che le forme vernacole e arcaiche presenti nei canti siano parte costitutiva della loro bellezza. E dunque la sua registrazione integrale e non alterata dei testi non è il rifiuto scientifico di far intervenire il proprio gusto in nome della fedeltà al documento, ma è piuttosto allargamento del gusto alla comprensione di bellezze sino ad allora non riconosciute, e degne invece di essere apprese e gustate. Dopo aver scritto che aveva voluto "serbare intero il... carattere" delle canzoni popolari da lui raccolte il Visconti infatti prosegue: "Molto più, che o mi inganno, o tal ancora quali elle sono, mi pare che a meraviglia esprimano la veemenza di un immaginar caldo e vivace; e i poetici concetti abbiano poetica locuzione; e le adorni un certo che di grave e di dolce, di amoroso e di verecondo, perché brillano di alcuni lumi, che se non sono lo splendore de' nostri versi migliori, meritano però senza meno di venir riguar dati". Insomma alla fedeltà al documento lo guida non un presentimento della necessità scientifica della obbiettività, ma un gusto, una valutazione estetica: il riconoscimento che esistono altre bellezze oltre quelle che pienamente si conformano alla tradizione illustre della nostra letteratura . 6 Queste considerazioni ci hanno portato assai vicino all'altro tema che, come abbiamo già detto, nel Visconti trova maggiore sviluppo che non in Basetti ed Oppici: al tema del rapporto tra schiettezza di sentimenti e semplicità di espressione. La questione aveva avuto in Basetti e Opici un accenno significativo ma sommario: dei canti popolari essi avevano detto che si trattava di "amorosi sentimenti così espressi in rime semplicissime". Vediamo che il Visconti va oltre. Già nella enunciazione della prefazione egli aveva scritto: "Osservabili per quella espressione che viene spontanea a chi sia veramente commosso, dando a vedere un misto sempre interessante di comune e d'insolito, d'ordinario e di nuovo. 6 (6) In una delle note ai testi il Visconti scrive ad es.: "Piena di assonanze in luogo di rime, e di que' troncamenti propri del popolo di cavà per cavare, scrive per scrivere, è però d'una vaghissima invenzione, e piena d 'immagini e d'affetto". 4 Inspirati intieramente dal cuore, ne palesano i due potenti effetti, l'amore e lo sdegno. E li esprimono con quella energia che fa uno il sentir r lo esprimere". Poesia popolare è dunque immediatezza e insieme immediatezza espressiva. Ma a questa affermazione generale fa seguito, in altra parte della prefazione, una analisi più particolareggiata: "Un proprio e particolare carattere di questi canti è che il poeta vi prorompe senza preambolo alcuno alla effusione del suo affetto. e questo parmi derivarsi appunto dallo esser essi una locuzione tutta espressa nel forte e nel vero della passione che spinge a governar l'immaginativa. Donde si manifesta ancor esser essi stati fatti per satisfazione propria di quale li compose, assai più che d'altri; e di chi a tal segno si paghi senza cercare più oltre. Quindi arditissimi ne sono i modi, e pieni di nerbo e di vita, Notabile e principale differenza fra questi versi e quelli d'una poesia a dir così calcolata per l'effetto che abbia a produrre negli altri; dove ben si conosce meglio che dal cuore, partir dalla mente la cagione de'movimenti e colori poetici, tutti volti a risvegliare il comune applauso". E' qui chiaramente presente una decisa contrapposizione, tipicamente romantica, tra il canto popolare e la poesia d'arte: l'uno immediato, spontaneo, nascente solo da necessità interiore, sentimentale ed espressiva; e l'altra invece intellettualistica, ricercata e nascente spesso da vanità e da desiderio di gloria. Ma oltre questo fatto c'è presente l'avvio ad un giudizio estetico meno generico: l'analisi infatti non si limita a sottolineare la schiettezza dei sentimenti da cui nascerebbe la poesia popolare, ma si volge anche a considerare come questa schiettezza sentimentale diventi schiettezza espressiva: il poeta "prorompe senza preambolo alcuno alla effusione del suo affetto"; i "modi" sono "arditissimi", "pieni di nerbo e di vita". Altrove abbiamo visto, aveva sottolineato come i canti popolari esprimessero "a meraviglia la veemenza di un immaginar caldo e vivace" e come i "poetici concetti" avessero "poetica locuzione". E nelle note che accompagnano molti dei testi, è costante l'attenzione ai modi espressivi, alla "poetica locuzione" . 7 Certo si tratta di analisi ancora vaghe; e tuttavia è notevole come esse non siano mai puramente contenutistiche ma accennino sempre a divenire stilistiche e formali 8 . 7 (7) Così, i una di queste note, a proposito del verso "Lo tuo padre non fu qualche pittori", osserva "Questa immagine vaghissima piena di espressione e di vivacità, parrebbe ad alcuna delle nostre cittadinesche bellezze un ben amaro epigramma"; in una altra, dedicata al canto che inizia, "Rosa gentil che nel giardin d'Amore", dice: "Elegante è certo l'amplificazione della rosa scelta ad adombrare la persona amata; ma ne' due versi 7 e 8, parmi l'espressione essere elegantissima; molto più a chi guarda con quanta delicatezza vi sia continuata la stabilita comparazione, e in che leggiadro modo si conduca al chieder mercede"; un un'altra ancora, che piacque al Tommaseo, a proposito di strofe "Son sforzato a cantar non dall'amore" osserva "Gentilissimo modo si tiene in questo canto a palesar le bellezze dell'oggetto amato, come chi solo per esse sia condotto a farlo. Legiadrissimi versi sono fra gli altri il 7 e 18, ove senza altutto pronunciarlo si manifesta l'amore". E ancora, commentando l'ottava "Prima ch'io lasci te gentil signora", scrive: "D'osservabile artifizio è questa strofa, nella quale con immagini tratte dalle cose più comuni si promette costanza nell'affetto. 'quando il mondo ritorni a quel che era' è modo rimarchevole ad esprimerne la fine. Ma che vi ha di più energico di quell'altro 'Il mezzo giorno sonerà la sera'?". E infine, a proposito della strofe "O cielo, o terra, o mar meco piangete", scrive: "Invita nel suo dolor il poeta tutti a pianger seco gli elementi; e tutti li vede piangere. E tal pianto essendo indizio di compassione, li prega poi di vendetta. Non so se possa desiderarsi più energico esprimere e più forte sentire". 8 (8) Va notato che il Visconti volse l'occhio anche alla struttura metrica "Eguale è in tutte (le strofe) il metro, come quello ch'esser debbe in rapporto ai modi della musica con la quale si cantano. Il verso è di undici sillabe: le stanze sono composte di otto versi legati 5 Oltre che documenti di storia e documenti di lingua, i canti popolari sono dunque anche fatti poetici: meritevoli di "venir riguardati" anche per questo rispetto. Ma nel Visconti non v'è traccia della esaltazione della poesia popolare come unica e vera poesia. Egli non accenna minimamente alla forza del sentimento come forza primigenia che va al di là di ogni schermo culturale e civile: la genuinità del sentimento non è forza selvaggia: i canti popolari da lui raccolti "non mostrano né selvatichezza di costume, né crudeltà". Ma c'è di più: il canto popolare, agli occhi del Visconti, non appare mai tale da poter soppiantare la poesia colta e d illustre: le sue bellezze meritano d 'essere gustate, ma non giungono ad offuscare lo splendore della grande poesia. Di questa moderazione di giudizio del Visconti abbiamo un altro segno là dove egli tocca del problema degli autori del canto popolare. Alla questione avevano fatto cenno anche Basetti e Oppici che avevano dato per certo (ma in modo piuttosto vago) che i testi dell'Appennino parmense avessero origine "popolare": essi non si prospettavano neppure in modo remoto la questione della eventuale "discesa" dei canti culti al livello popolare, il problema della circolazione dei fatti di cultura e di poesia. Il Visconti invece è assai più preciso: egli non analizza in modo particolareggiato la questione, e tuttavia avanza ipotesi diverse che non solo mostrano una notevole cautela di giudizio ma dichiarano anche una visione abbastanza precisa del problema d'autore. Come abbiamo già visto, egli infatti scrisse che le canzoni popolari italiane "prese i prestito da buoni scrittori, o dettate da alcun bardo occulto, o sorte di nativa vena d'ingegno, sono ad ogni modo, o per adozione o per creazione cosa del popolo". Le ipotesi sono disposte tutte sullo stesso piano: i canti popolari possono essere poesia culta "discesa" tra il popolo, possono essere opera di poeti semicolti, possono nascere da animi dotati di fantasia ma privi di cultura. Il Visconti non sceglie: elenca. E la sua conclusione è che i canti popolari sono "cosa del popolo" in due modi: per adozione o per creazione. E' notevole questa chiarezza d'idee che si manifesta così presto nella storia degli studi italiani. Essa nel Visconti per derivare, oltre che dalla cautela generale con cui egli si accosta al canto popolare, anche dalla natura dei componimenti che aveva raccolto: non tutti hanno in effetti quella semplicità campestre, quella naturalezza, quella assenza di cultura che potevano far pensare ad una loro natura integralmente "popolare", e cioè popolare "per creazione" prima ancora per diffusione . 9 Il Tommaseo, nella sua recensione, porrà subito l'occhio sui componimenti meno "incolti": rileverà immediatamente che espressioni come "i supremi Dei", "il giardino" o "la palma d'amore", versi come "giacché la Dea non vedo, il tempi adoro" (che sono espressioni e versi che s'incontrano nei canti popolari raccolti dal Visconti) facessero a tutta prima dubitare che quella raccoltina non fosse "uno scherzo felice di qualch'uomo d'ingegno". E riferendo il passo del Visconti in cui si indicano le diverse probabili origini dei canti popolari il Tommaseo sottolineerà decisamente l'ipotesi del prestito dai buoni scrittori e della "adozione". Il Visconti, come abbiamo detto, non sceglie: ma la natura dei testi a sua disposizione doveva di necessità dettargli le ipotesi che abbiamo visto. Ed anche il solo fatto di elencarle in forma dubitativa segna una differenza cospicua con gli orientamenti che più o meno acriticamente attribuivano esclusivamente al popolo non solo la creazione dei canti popolari, ma addirittura ogni possibilità di poesia vera. Digitalizzato a cura di Elisa Barone fra loro con la rima alterna; la qual maniera di strofe non mi sovviene aver veduto seguirsii in ordinato modo di poetare. I due primi versi che hanno sempre un proprio finito concetto, ripetuti al terminar d'ogni stanza ne formano la chiusa; altre volte ho inteso finire il canto con una licenza in versi rimati, adattabile e adattata a molti di essi". 9 (9) Sulla origine libresca dei canti raccolti dal Visconti, v. A. D'Ancona, La poesia popolare italiana, Livorno, 19062, pp. 452 sgg., che giudica più autenticamente popolari i canti raccolti dal Visconti nel secondo Saggio, cit. 6