la fonte MARZO 2015 ANNO 12 N 3 periodico dei terremotati o di resistenza umana € 1,00 Considero le migrazioni di milioni di esseri umani l’episodio più solenne e più grande del nostro tempo. Erri De Luca lotta e contemplazione l’alba della liberazione Rosalba Manes Un giorno Dio si mise in cerca di un pastore. L’ appuntamento fu presso un roveto. Dall’aridità di quel cespuglio uscì la Voce che scosse un uomo senza identità, un uomo che per fare giustizia a modo suo aveva ucciso, un uomo in fuga da tutti e da sé. Dio parlò dal fuoco accarezzando il roveto e anche Mosè. Il fuoco della santità a contatto con una pianta secca avrebbe dovuto distruggerla e invece no. Dio non distrugge la creatura umana, la purifica, la riscalda, la illumina. La vita di Mosè era una realtà arida, ma Dio l’amava così tanto da scendere per abitare quei rovi e visitare le ferite sanguinanti di un uomo strappato sin da piccolo ai suoi affetti dall’odio del faraone e sottratto alla sua famiglia d’adozione dalla pretesa di sradicare il male dalla terra con le sue sole forze. Dio libera Mosè dalle spine e lo rende liberatore del suo popolo quando gli insegna a convivere coi suoi limiti e col suo immenso bisogno di salvezza. Dio si ferisce scendendo anche tra le nostre spine. Il suo sangue cade sul roveto dei nostri fallimenti e i rovi pian piano iniziano a fiorire. Sta a noi permettere che questa linfa di giustizia scorra nelle nostre scelte perché dai rovi Silverio De Santis: Blues fiorisca quel germoglio che anGommapane sulle labbra nuncia ad altri prigionieri l’alba dell’uomo a lungo amato della liberazione. hanno ancora fame [email protected] di un volto cancellato. Il tuo sostegno ci consente di esistere la fonte ABBONAMENTI PER IL 2015 ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI € 10,00 € 20,00 € 30,00 2 la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 la fonte Direttore responsabile Antonio Di Lalla Tel/fax 0874732749 Redazione Dario Carlone Domenico D’Adamo Annamaria Mastropietro Maria Grazia Paduano Segreteria Marialucia Carlone Web master Pino Di Lalla www.lafonte2004.it E-mail [email protected] Quaderno n. 115 87 Chiuso in tipografia il 26/08/12 22/02/15 Stampato da Grafiche Sales s.r.l. via S. Marco zona cip. 71016 S. Severo (FG) Autorizzazione Tribunale di Larino n. 6/2004 Abbonamento Ordinario € 10,00 Sostenitore € 20,00 Autolesionista € 30,00 Estero € 50,00 40,00 ccp n. 4487558 intestato a: la fonte molise via Fiorentini, 14 10 86040 Ripabottoni (CB) i nodi e il pettine lettera aperta a paolo gentiloni ministro degli esteri Antonio Di Lalla Facciamo da anni la politica dello struzzo. Ci ostiniamo, di fronte ai problemi, anziché affrontarli, a mettere la testa sotto la sabbia e puntualmente rimaniamo col culo scoperto e ben in vista. Immigrazione, guerra ed economia sono profondamente intrecciate e interconnesse. È impossibile voler affrontare o risolvere l’una senza tener presente le altre due. Continuamente sentiamo parlare attraverso i media di emergenza immigrazione, in verità più per intimidirci che per aiutarci a prenderne coscienza seriamente. Il 3 ottobre 2013 dinanzi alla tragica morte di 366 immigrati in prossimità di Lampedusa abbiamo finto commozione, perché abbiamo visto i corpi allineati in bare (che in buona parte attendono ancora sepoltura). Di fronte agli oltre trecento morti del 12 febbraio scorso, a causa dei barconi affondati, di cui hanno dato testimonianza i pochi profughi superstiti, non avendo visto i corpi, siamo rimasti più o meno indifferenti. Sapere che solo nel nuovo millennio sono oltre 23 mila le persone che hanno trovato la morte in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa non ci ha fatto cambiare minimamente né politica né stile di vita. Come è possibile questa globalizzazione dell’indifferenza? Un ministro degli esteri, che per giunta fa professione sincera di fede cattolica, può non prendere di petto una tragedia quotidiana di simile portata? Se sulle nostre strade, per quanto scarrupate, succedono incidenti si cerca in tutti i modi di renderle più sicure, non di impedire che siano transitate - addirittura nel Molise stiamo per costruire la metropolitana leggera tra Bojano e Matrice nella speranza che qualcuno la frequenti - e allora come è possibile che non si rendano sicure le rotte del Mediterraneo, in modo che si ponga fine alle stragi quotidiane? Il primo marzo, ogni anno, sta a ricordarci il diritto alla libera circolazione delle persone umane, perché la natura non ha frontiere, la certezza che tutte le persone sono uguali ed hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, la necessità che noi abbiamo di manodopera e che un giorno senza di loro si paralizzerebbe la nostra economia. Perché questo esodo di massa, perché in tanti rischiano la vita mettendosi in mare su carrette che non resisterebbero all’urto delle onde neppure attraccate al porto? Per fuggire da morte certa a causa della violenza e della guerra nelle loro nazioni di origine. Noi fomentiamo i conflitti e contemporaneamente vorremmo impedire la fuga, siamo cioè per la mattanza ad oltranza nella loro terra! Come gli Stati Uniti vogliamo anche noi cominciare ad essere esportatori di democrazia. Con la differenza che loro fanno le guerre per farci i film, noi invece per lasciare scoperto il posteriore! Proprio come lo struzzo. In barba alla Costituzione. Questa meravigliosa carta, frutto della tragica esperienza fascista che ci aveva coinvolti nella seconda guerra mondiale, sintesi della cultura laica, socialista e cattolica, scritta col sangue dei partigiani e che una banda di avventurieri sta cercando da anni di saccheggiare, all’art.11 ci proibisce in modo tassativo il ricorso alla guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali e così abbiamo inventato operazioni chirurgiche con tonnellate di bombe, missioni di pace in cui in tutta tranquillità si uccide e si viene uccisi, interventi preventivi per andare ad assassinare prima che venga in mente a loro di farlo. Ministro Gentiloni, di provata fede cattolica, quando ha ipotizzato di portare la guerra in Libia era per un confronto spassionato sul campo avversario tra Bibbia e Corano, per nostalgia delle crociate, o il tentativo di imitare Barack Obama, per avere anche lei il Nobel per la pace? Un fatto certo è che in Italia e in tutte le nazioni cosiddette civili la crisi ha toccato tutti i settori fuorché l’industria bellica e la spesa per le forze armate, che anzi è in costante aumento. Che ci siamo andati a fare in Libia, in Iraq, in Afghanistan…? Veramente ci sta a cuore la democrazia di quelle nazioni o non invece i possibili profitti? Questo tipo di economia che i paesi occidentali si ostinano a difendere uccide; è tempo di dirlo con chiarezza. La non equità della distribuzione delle risorse, l’aver fatto sì che la politica viaggi a rimorchio della finanza e delle speculazioni porta sempre più a guerre fratricide e anzi fomentiamo le guerre dovunque intravvediamo risorse di cui ci possiamo impossessare perché nel caos è più semplice fare profitti, costi quel che costi. Oggi che anche il cosiddetto ceto medio è alla fame, finalmente dovremmo denunciare il fallimento più totale del capitalismo e porvi rimedio e invece ci ha resi così ciechi che facciamo finta di non vedere finché non ne rimarremo stritolati anche noi. On. Gentiloni, lei che mastica più fede che pane, le ha saltate a piè pari quelle pagine di vangelo in cui si dichiara l’incompatibilità radicale tra Dio e denaro o le hanno fornito qualche versione addomesticata? I nodi sono giunti al pettine: o cambiamo economia in modo da non fare più guerre per cui le persone non sono più costrette ad esulare per cercare posti tranquilli oppure l’unica pace che abbraccerà tutti sarà quella del cimitero. ☺ Hai rinnovato l’abbonamento? Dove sputa un popolo nasce… la fonte la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 20 3 spiritualità la fraternità cristiana Michele Tartaglia Nelle sue lettere, Paolo continuamente si riferisce ai membri della comunità a cui scrive chiamandoli fratelli, termine che è entrato anche nella liturgia, diventando in tal modo un termine convenzionale e anche svuotato della sua densità originaria. La fraternità a cui Paolo si riferisce è una modalità nuova di vivere le relazioni che va oltre le convenzioni e le divisioni sociali, determinata dall’inserimento in Gesù Cristo: “Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,26-28). Il legame tra i cristiani non è determinato da simpatie personali, dalla scelta di costituire un’associazione o un club per difendere comuni interessi, ma dal legame che si è instaurato con Dio Padre tramite Gesù Cristo: “Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,17). Ma cosa significa partecipare alle sofferenze di Cristo? Per molto tempo nella nostra tradizione cristiana ciò ha significato immedesimarsi nell’evento storico della Passione, così da rivivere annualmente la sofferenza catartica del venerdì santo per tornare alla vita di prima a pasqua, come avveniva nei riti di morte e resurrezione pagani che rappresentavano i cicli della natura. Tuttora, soprattutto nei nostri paesi latini, continuiamo a perpetuare questo rito, anche se ormai non se ne coglie più il significato. L’ideologia che stava dietro era quella del pensare alla propria salvezza, ad 4 espiare i propri peccati per evitare i castighi di Dio e ottenere un posto nel paradiso. Ma non è questo il senso che Paolo attribuiva alla partecipazione alle sofferenze di Cristo. In realtà questo concetto riguarda le conseguenze della propria adesione al vangelo: all’accoglienza del perdono gratuito di Dio (di ciò si occupa la prima parte della lettera ai Romani, fino al capitolo 11), corrisponde una mia risposta che passa necessariamente per il mio mettermi concretamente a servizio della salvezza dell’altro, facendo mio l’atteggiamento di Gesù che, dice Paolo, “mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Si tratta in sintesi, di quella “fede che agisce per mezzo dell’amore” (Gal 5,6). Detto così, si rischia di cadere di nuovo in una filantropia disincarnata, in un amore tanto universale quanto evanescente. Per questo, quando Paolo tratteggia le conseguenze dell’accoglienza di questo amore gratuito che perdona (come fa in Rm 12-15), scende nel concreto delle situazioni relazionali, tratteggiando un vero e proprio manifesto dell’agape (che traduciamo con carità o amore) che culmina nella sintesi di tutti i comandamenti in Rm 13,9-10: “Qualsiasi comandamento si riassume in queste parole: amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore”. In Rm 12 si dice che l’amore è rivolto a tutti, ma a la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 cominciare da quelli più vicini, i membri della comunità, che Paolo chiama ancora una volta “fratelli”. È proprio a partire da questa focalizzazione sulla comunità che Paolo si pone il problema del rapporto tra forti e deboli nella fede: membri, cioè, della stessa comunità ma con una diversa convinzione riguardo all’adesione al vangelo (Rm 14,1-15,6). Da uno che rimprovera chi vuole imporre la pratica della legge, ci si aspetterebbe un’esortazione alla coerenza rivolta a chi ha ancora l’abitudine di rispettare i divieti alimentari della legge di Mosè e il rispetto dei tempi sacri. Invece Paolo chiede la coerenza a chi è libero da queste convenzioni superate, non ovviamente con il sistema che hanno abbandonato, ma con l’adesione a Cristo Gesù che non è morto solo per i perfetti. Il criterio per agire, dice Paolo, è l’attenzione per la fragilità nella fede di un fratello “per il quale Cristo è morto” (Rm 14,15). La partecipazione alle sofferenze di Cristo, quindi, riguarda la condivisione del progetto salvifico universale che Gesù è venuto a realizzare, secondo cui non sono le risposte umane a determinare l’appartenenza a Cristo, bensì Dio che vuole la salvezza di tutti. La fraternità cristiana, in quest’ottica, non è data dalla simpatia per l’altro (cosa che è umana, anche nel senso paolino quindi, di ferita dal peccato), ma dall’adesione convinta al progetto di Gesù, dal fare proprie, direbbe Paolo, le sue sofferenze, che porta a vedere nell’altro non un semplice appartenente alla stessa specie umana, ma un fratello per cui Cristo è morto. La fraternità cristiana o ha un fondamento in Gesù o semplicemente non è, in quanto sarebbe continuamente ridefinita da criteri umani di appartenenza a un partito, a una nazione, a una razza, ma anche a una religione, terreni fertili per ogni guerra. La dialettica stimolante fra deboli e forti di una comunità costituisce per il cristiano la palestra per aiutare l’umanità a superare ogni tipo di divisione, nella consapevolezza grata che Gesù è morto per tutti, veramente tutti e tutti vivono per lui. ☺ [email protected] Lutto in famiglia Redazione e lettori si uniscono al lutto che ha colpito la nostra collaboratrice Ester Tanasso per la morte della mamma Silvana glossario contaminazioni Dario Carlone mare che separa l’Africa dalle coste italiane. Il Mediterraneo, quello che in antico era stato il “mare nostrum”, sta manifestando ultimamente tutta la sua violenza. Lontane ormai dagli echi delle battaglie per la supremazia in mare, dagli sbarchi di truppe alleate, queste acque sono diventate il regno incontrastato di trafficanti di uomini, che agiscono in maniera sempre più efferata mentre la “civile” Europa finge di non vedere, in un silenzio che li lascia agire indisturbati. Sì, perché l’operazione Triton, partita a novembre e coordinata dall’Italia, si occupa solo del controllo delle frontiere marittime: essa prevede semplicemente l’ individuazione delle imbarcazioni che trasportano profughi e richiedenti asilo, ma non contempla l’umanissima legge “non scritta” del soccorso a chi è in difficoltà. Il mandato dell’ agenzia è quello di controllare le frontiere, non di fare ricerca ed offrire soccorso. Diversamente dal precedente, denominato invece “Mare Nostrum”, in carico al nostro Paese, l’attuale programma non dispone di imbarcazioni in grado di oltrepassare le acque territoriali, né è autorizzato a farlo, rispondendo solo parzialmente alle reali ed attuali esigenze di prestare aiuto in mare a chi è in difficoltà, nonostante con sempre più frequenza si ripropongano situazioni in cui è necessario salvare innocenti vite uma- ne. Triton, una delle facce di un’unione, quella europea, basata essenzialmente sul profitto, che nel rafforzare il controllo dei confini riserva più importanza alle frontiere che alle persone. Essa mostra ancora una volta estraneità, accoglienza negata, disprezzo verso quanti bussano alle nostre porte; insensibilità verso quelle popolazioni che sono spinte dalla fame e dalla violenza a cercare altrove un luogo dove riprendersi la propria vita e la propria dignità. Migrazioni: la storia dell’umanità nasce da questo fenomeno; lo stesso mare che recentemente ha offerto soltanto morte ai disperati naufraghi, ha visto la sua meravigliosa vicenda svolgersi attraverso lo spostamento e la contaminazione di popoli e culture diverse. Aspro ed inebriante, culla di civiltà, custode di un’eredità millenaria, Mediterraneo, stai volgendo la tua pagina rombante - come cantava Eugenio Montale - per esser vasto e diverso/ e svuotarsi cosi d’ogni lordura / come tu fai che sbatti sulle sponde / tra sugheri alghe asterie / le inutili macerie del tuo abisso. Ora non sei altro che il Mediterraneo dei poveri. ☺ [email protected] Scatto d’autore di Guerino Trivisonno Nella mitologia greca era un dio marino, personificazione dei flutti impetuosi, onorato e temuto dalle popolazioni arcaiche; oggi è semplicemente il nome di un’“operazione” di sorveglianza delle acque del Mediterraneo. A coordinarla è l’agenzia europea Frontex, che se ne serve per individuare i “barconi” dei migranti. Triton [pronuncia: traiton] è dunque la traduzione inglese di Tritone, divinità mitologica preposta al dominio del mare e rappresentata solitamente come un uomo dalla coda di pesce e con in mano un tridente ed una conchiglia. Il mito suggerisce, con crudo realismo, il pericolo e l’ imprevedibilità legati al mare, ieri come oggi elemento naturale implacabile nella sua furia, quando inghiotte vite e speranze di centinaia di persone, sotto lo sguardo, colpevolmente indifferente, di un continente: il nostro! È ancora davanti ai nostri occhi la tragica conclusione di uno dei tanti viaggi che sfidano la morte in cerca della vita, compiuti da giovani e adolescenti, divenuti vittime inconsapevoli di un meccanismo che ruba loro la speranza con l’inganno, oltre che sottoporli a prove durissime anche prima della terribile traversata del braccio di La natura non ha frontiere la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 5 politica la politica del déjà-vu Antonio Celio Se per incanto risvegliassimo domattina politici di rango come Enrico Berlinguer e Aldo Moro, ci supplicherebbero di tornare al riposo eterno, inorriditi dall’attuale teatrino tragicomico di fantapolitica. Le immagini poco edificanti che si dispiegherebbero davanti ai loro occhi causerebbero nei due uno shock fulminante, dopo poche ore di continui e insopportabili déjà-vu. Non solo troverebbero ancora presidenti del consiglio e della repubblica democristiani (immaginate i loro volti sbigottiti), ma dovrebbero prendere atto, amaramente, che i mali della politica italiana si sono ripetuti nel tempo, sempre uguali a se stessi. Con un eccesso di semplificazione, possiamo rivisitare l’esperienza parlamentare italiana seguendo due o tre tendenze: il trasformismo, l’ingovernabilità e i tentativi maldestri di porvi rimedio attraverso artifici quali revisioni costituzionali a maggioranza e leggi elettorali raccapriccianti. Il trasformismo ha origini remote, nell’Italia liberale di quelli che Weber chiamava partiti di notabili: ogni deputato vendeva in aula il proprio consenso per votare le leggi e il capo di governo cercava di cooptarli. Non rappresentando l’intera società, i notabili non avevano bisogno di ideologie, né tanto meno di programmi da sottoporre ad un elettorato ristretto. Bastava fare gli interessi dei pochi. È trascorso più di un secolo e il cambio di casacca per non perdere la seggiola (ora si chiama “responsabilità”) pare ancora lo sport preferito dai politici dello Stivale. Le ricette per riadattare la più bella Costituzione del mondo al mutare della società sembrano sposarsi bene con un flute di scandali giudiziari, di propaganda antipartitica e di nuovi movimenti, che tendono a sgonfiarsi alla stessa velocità delle bolle finanzia- 6 rie che di tanto in tanto, anch’esse ciclicamente, tornano ad allargare la forbice sociale. Il tutto è servito da giullari e ballerine che, danzando leggiadramente, convincono l’elettore medio che se non riescono a governare non è perché non lo rappresentano neanche lontanamente, bensì perché il sistema non lo consente. Come se i padri costituenti, notoriamente amanti del caos, ce l’avessero messa tutta per impedire a lorsignori di fare il bene della Repubblica! Il primo tentativo degno di nota nel combattere il mostro dell’ingovernabilità fu senz’ombra di dubbio la “legge truffa” del ’53, quando la DC, sotto scacco dei partiti laici minori, pensò di correggere il proporzionale con un succulento premio di maggioranza che le garantisse i due terzi dei seggi. Fallito il tentativo degasperiano, i diccini tornarono a fare i conti con i partiti della coalizione, fino a morire tra le braccia dell’alleatoricattatore PSI. Fu proprio il segretario socialista, Bettino Craxi, ad accompagnare l’Italia verso la fine della Prima Repubblica, al motto di “governabilità” e “grandi riforme”. Per raggiungere questi obiettivi, sposò la tesi di Luhmann: ridurre la complessità sociale a favore della governabilità. I partiti dovevano cioè farsi più leggeri, puntare sulla figura di un leader carismatico e scrollarsi di dosso il fardello dell’ideologia. La politica dei due forni di scuola andreottiana, che lo vedeva intessere alleanze diverse a seconda dei contesti, non era dissimile dalla logica del Patto del Nazareno dei giorni nostri. Ma il colpo del K.O. per i partiti tradizionali coincise con la fine dello stesso Garofano, al suono delle monetine scagliate dai cittadini inferociti all’indomani di Tangentopoli. Inutile dirlo, alla crisi della partitocrazia seguì una nuova legge elettorale, quella che porta il nome del presidente Mattarella. Ma se nel maggioritario erano riposte le speranze di risolvere il problema della governabilità, ben presto si dovette fare i conti con la moltiplicazione di la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 partiti e movimenti che la frenavano. In un’anomalia tutta italiana, l’anti-partitocrazia ha finito col moltiplicare gli stessi partiti. Così, tra bicamerali che sognavano il premierato forte o il presidenzialismo alla francese e riforme costituzionali a maggioranza (nel 2001, nel 2005 e di nuovo in queste ore), i partiti si fanno sempre più snelli e antiideologici e si tengono impegnati nel disperato tentativo di sopravvivere, non potendo, giustamente, governare. Non sono mancate rivisitazioni fantasiose della “legge truffa” con il Porcellum di Calderoli e, più recentemente, con l’Italicum. Né altri movimenti populistici. Ma la nostra democrazia è ancora bloccata. Siamo sicuri, allora, che il problema si possa risolvere con altri tecnicismi e col superamento dei partiti? Se la Prima Repubblica era impantanata nella conventio ad excludendum, prassi che impediva ai partiti “estremisti”, PCI in primis, di governare, nella Seconda si è tornati all’idea di partito ottocentesca: il leader decisionista ha quali interlocutori i notabili seduti sugli scranni parlamentari, più che il Popolo sovrano. Se eliminassimo la funzione di cerniera dei partiti e continuassimo sulla strada della loro piena trasformazione in partiti “azienda” o “di cartello”, non ci sarebbe più - e forse già non c’è - la rappresentanza. Così, con partiti privi di visioni alternative della società, la vita politica continuerà caoticamente tra un popolo chiamato a scegliere lo slogan preferito e i suoi rappresentanti impreparati, che non avendo alle spalle un partito aperto alle istanze sociali saranno schiavi dei leader. Questi, invece, dovranno ricercare il consenso personale che, rispondendo alle logiche mediatiche, rincorre il sensazionalismo più che il buon senso. Anch’essi saranno a loro volta alla mercé dei gruppi di pressione che, soli, possono aiutarli ad affrontare una carriera in continua campagna elettorale. La soluzione? Bisognerebbe ricostruire una classe politica consapevole, magari tornando alle scuole di partito. Perché solo un politico preparato, non scelto da un capo in base alla fedeltà alla ditta ma dall’ elettorato sulla scorta delle soluzioni offerte, garantite a loro volta da ideologie ben individuabili, può opporsi alle derive populistiche da un lato e al giogo di attori internazionali più scafati dall’altro. Ancora una volta, nel Belpaese, si è confusa la medicina con la malattia.☺ [email protected] politica “Beati quelli che hanno un occhio solo in una valle di ciechi”, così si diceva. Nel nostro paese la situazione è ben più grave, ormai anche i monocoli sono rari, provate a fare un’istantanea sulle vicende che ci riguardano molto da vicino. In Ucraina vi è una vera e propria guerra civile, una violenza che, passo dopo passo, può trascinare l’intera Europa entro un nuovo conflitto mondiale. La responsabilità è di qualche fesso in Germania e di diversi complici in Europa, i quali hanno pensato di trattare l’affare ucraino allo stesso modo della vicenda croata. Il particolare è che l’Ucraina non è un pezzo della ex Jugoslavia, è un grande paese dove i Russi sono il 40%, profondamente intrecciato storicamente con la storia russa e collocato in quella pericolosissima faglia che dopo la crisi dell’URSS, divide la Russia dall’Europa. In questo contesto aver pensato di aprire le porte della NATO e dell’Unione Europea all’Ucraina non è stato un atto di generosità comunque pelosa, ma una scelta irresponsabile. I vertici dell’Unione Europea e della stessa Germania invece di impegnare le loro migliori energie nel tormentare stupidamente il popolo greco farebbero bene a riflettere sulle sciocchezze fatte e a lavorare per una vera Europa federale. A poche centinaia di chilometri dalle coste della Sicilia sventola la bandiera nera dei nuovi barbari dell’ISIS. È l’annuncio di nuovi crimini e di nuovi problemi, questa volta dietro l’angolo di casa. Tempo fa ho avanzato l’ipotesi di una corte internazionale per Tony Blair, l’ex premier inglese che, con le sue falsità, ha coperto una guerra che ancora oggi continua a causare grandi tragedie sociali e umane. Vorrei avanzare la stessa richiesta per un altro signore della guerra: un’istantanea Famiano Crucianelli Nicolas Sarkozy. L’ex premier francese, unito ad altri volenterosi, fu promotore e protagonista della guerra in Libia. L’obiettivo era quello di occupare i pozzi di petrolio dell’ENI ed emarginare gli italiani. I risultati di quella scelta indecorosa sono sotto gli occhi di tutti: in Libia non c’è neppure l’ombra di un francese e quel paese è ormai distrutto dalle guerre tribali e dall’avvento degli estremisti islamici. Infine la crisi economica e sociale. In molti sussurrano che la situazione volge al meglio. Ora, non vi è dubbio che qualche segnalino vi sia: il crollo del prezzo del petrolio e il calo dell’euro hanno aiutato la ripresina sia sul versante dei costi di produzione che su quello della competizione internazionale. Ritenere che questo significhi la fine della crisi e l’inizio di un nuovo e positivo ciclo economico è una pia illusione. La profonda recessione nella quale ci trasciniamo da tempo ha ragioni profonde, riflette squilibri strutturali e una nuova organizzazione dell’economia e del potere nel mondo che sarà duro cambiare, certo non nel breve periodo. Ora, quel che lascia senza parole, quel che avvilisce sopra ogni cosa va ben oltre questi fatti che sono ampiamente noti. Mentre vi sono rischi seri di gravi conflitti militari, di un terrorismo barbaro che bussa alle porte e di una crisi economica che ogni giorno macina pezzi di società, mentre tutto ciò accade, il mondo della politica dà il peggio di sé. Metà dei parlamentari sull’ Aventino e l’altra metà chiusa nell’aula di Monteci- la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 torio. Baruffe continue fra i partiti e all’interno degli stessi partiti. Ostruzionismi in Parlamento e transumanze da un gruppo parlamentare all’altro senza una comprensibile ragione. Grillo ogni notte annuncia il buio della Democrazia e Berlusconi considera autoritarie le riforme istituzionali che ha votato il giorno prima. Insomma un delirio, con il presidente del consiglio che più che statista e leader politico, sembra un giocatore di poker. Tutto ciò è molto grave, ma ancor più nefasta è la funzione della classe politica nel territorio, nelle diverse regioni italiane, perché alla generale indifferenza verso il bene comune si unisce un diffuso inquinamento morale e culturale delle comunità locali, una metastasi distruttiva di quelle cellule elementari e fondamentali che rappresentano il tessuto vitale del nostro paese. Non voglio evocare una fessa contrapposizione fra una società civile per bene e un mondo politico corrotto, basterebbe andare ad una riunione di condominio per vedere di quale pasta sia fatta la famosa “società civile”. Il paradosso sta nel fatto che la Politica sarebbe dovuta essere il luogo del progetto unitario, dell’esempio virtuoso, della pedagogia positiva, avrebbe dovuto rappresentare la testa e non la coda della società, avrebbe dovuto distribuire saggezza, sintesi e non pillole avvelenate. Nella sostanza avrebbe dovuto spingere la società un passo avanti e non tre passi indietro come è accaduto e continua ad accadere. La situazione è realmente giunta ad un punto critico, se qualcosa si vuole fare, è bene adoperarsi oggi, perché domani potrebbe essere già troppo tardi.☺ [email protected] 7 xx regione l’area che tira Giulia Di Paola Le aree industriali del Molise stanno diventando desertiche a seguito della scomparsa di molti degli impianti che solo fino a qualche anno fa erano in attività, causa crisi economica e produttiva. Intanto la Regione sta portando a termine la trasformazione dei Consorzi industriali in una Agenzia regionale per lo sviluppo delle attività produttive, l’ARSAP. La proposta licenziata in commissione sembrerebbe portare non solo ad uno snellimento delle strutture, che diverrebbero un unico corpo formato dalla sede centrale a Termoli ed eventuali sedi disaccate a Bojano e Venafro, ma anche ad un maggior controllo ed indirizzo da parte della Regione stessa. Questo aspetto risulta evidente nel modo in cui dovrebbe essere nominato il consiglio di amministrazione: il presidente verrebbe no- Tony Vaccaro (per gentile concessione di Reinhard Schultz): Donne al lavoro 8 minato direttamente dal presidente della Giunta, mentre la nomina degli altri tre membri spetterebbe al consiglio regionale. Esiste senza dubbio anche un carattere di economicità nella proposta di riordino e non solo per la riduzione degli organi direttivi. Da tempo, infatti si è cercato di tamponare l’emorragia di denaro generata dalle sedute del consiglio di amministrazione del consorzio industriale, ma i risultati sono stati scarsi. Incontri durante i quali si potrebbe pensare che la maggior parte del tempo venisse impegnata per la conta dei cancelli chiusi e dei lavoratori rimasti a casa. Il lauto gettone di presenza era, quindi, da ritenersi un antidoto alla depressione, quello stato fisico e mentale che ti assale quando ti rendi conto dell’ inutilità della tua presenza e del tuo agire, piuttosto che un vero e proprio compenso? Secondo la proposta da presentare al consiglio i compensi saranno fissati dalla giunta regionale “in ragione della loro adeguatezza alle funzioni svolte”. C’è da augurarsi che i parametri di riferimento siano diversi dal concetto di produttività attualmente in vigore presso le amministrazioni pubbliche dove si elargiscono bonus aggiuntivi per il solo fatto di essere in grado di timbrare correttamente il cartellino ed aver svolto più o meno il proprio lavoro senza provocare danni al capo. L’attività di controllo da parte della regione si esplica direttamente sugli atti adottati dall’Agenzia ed anche in forme ispettive e di verifica, ma non manca l’attività di indirizzo. Sembrerebbe anche che la regione, con questo nuovo sistema, riuscirebbe a coordinare le azioni di politica economica all’interno di questi nuclei produttivi con un la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 sistema di pianificazione nel quale verrebbe indicato il budget di finanziamento riferito alla programmazione prevista. Una programmazione che prevede la partecipazione di tutti gli attori interessati riuniti in una consulta delle attività produttive, ma che sarebbe comunque soggetta all’approvazione da parte del consiglio regionale. Non è possibile sapere, al momento, se in aula il testo subirà cambiamenti o stravolgimenti, ma il carattere che si evidenzia sembra proprio quello della centralità degli organi regionali, segno che la gestione dei consorzi industriali, così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, era veramente fuori controllo. È ancora tutto da dimostrare, però, che i tempi e i modi che caratterizzano l’ azione amministrativa siano in grado di condurre una pianificazione e un coordinamento efficaci per un organismo che dovrebbe tenere conto di una gran quantità di variabili, diverse da zona a zona; che un così stretto legame fra l’espressione politica dell’ amministrazione regionale e il maggior organismo per lo sviluppo industriale riesca a non rimanere intrappolato tra le maglie dei personalismi e dei favoritismi di tipo clientelare. Dubbi che diventano ancor più grandi se letti in chiave federalista. La centralità della regione significa anche un coinvolgimento diretto di altri attori economici e finanziari quali, tanto per fare nomi, Finmolise? E quale il ruolo del preposto assessorato?☺ [email protected] xx regione Le discariche, come i fiori, sono cosa delicata e come tale devono essere trattate. L’accostamento è volutamente ardito e volutamente provocatorio. Nel 2011, l’ARPA Molise rileva, presso la discarica di Colle Santo Ianni nel comune di Montagano, quanto segue “… il confronto dei valori sui campioni di acque superficiali … evidenziano una variazione sostanziale della facies chimica, chimico-fisica e microbiologica in quanto le concentrazioni dei diversi parametri risultano essere diffusamente aumentate nell’acqua a valle della discarica rispetto a quelle poste a monte della stessa”. Cause di questa trasformazione negativa delle acque del torrente delle Piane sono la mancata copertura definitiva di un bacino di smaltimento esaurito ed un inadeguato sistema di convogliamento delle acque piovane. In sostanza, la pioggia, anziché essere opportunamente incanalata e quindi allontanata dal sito in questione, permea la massa di rifiuti del bacino non isolato a norma e trasporta a valle sostanze dannose per le acque del torrente. Così risponde la comunità montana “Molise Centrale”, proprietaria della discarica: 1) Le cause della “episodica” anomalia rilevata dall’ARPA Molise sono da accertare in quanto nel punto in cui è stato fatto il prelievo confluisce l’acqua piovana proveniente dalla strada che collega il comune di Montagano alla Fondovalle Biferno, da quella di accesso alla stessa discarica e dai terreni agricoli circostanti. Ciò che nei periodi di secca si sedimenta sul fondo del torrente viene invece portato a galla dalle piogge abbondanti. Come dire che gli elementi inquinanti provenienti da questi tre siti sono notevolmente maggiori di quelli di tonnellate di rifiuti, o che la strada di collegamento con la fondovalle sia la Salerno-Reggio Calabria. 2) I lavori di copertura finale del bacino esauritosi nel 2008 furono sospesi “a causa di alcuni cedimenti dell’argine di valle della discarica,... si evidenziava lo stato di necessità ed urgenza per lavori di messa in sicurezza dell’impianto in trattazione”. Quindi con copertura provvisoria costituita da un metro circa di argilla, il bacino vede l’inizio dei lavori di messa in sicurezza nel settembre del 2008. I lavori sono ultimati a dicembre 2010; il dato si commenta da sé. Ma l’avventuroso cammino del sito non si conclude qui poiché solo a gennaio 2011 la comunità montana (ed la discarica di montagano Cristina Muccilli evidentemente la gestione della discarica) si rende conto che la copertura definitiva del bacino, così come prevista dal progetto originale, è troppo pesante. Reiterati solleciti di approvazione di un nuovo e più leggero pacchetto di copertura portano finalmente ad un incontro tra l’assessorato all’Ambiente della regione Molise e la comunità montana a giugno del 2011. Le discariche, come i fiori, sono cosa delicata. A gennaio l’amministrazione comunale di Montagano ha incontrato la cittadinanza, comitati, associazioni (non solo del territorio strettamente comunale) sul tema specifico della discarica di Colle Santo Ianni. In quella sede è stata lamentata da tutti la precaria struttura del sito interessato da una frana, è stato ribadito il concetto di determinazione temporale di una discarica che necessariamente deve avere un limite. Sono stati riconfermati i giudizi negativi sul progetto di ampliamento dell’impianto di compostaggio dell’organico proveniente da una agognata raccolta differenziata di una intera regione; perché spendere milioni di euro per un mega impianto in una discarica che deve chiudere, quando sono già operanti altri due siti? E qualora non fossero sufficienti perché non utilizzare tutto quel denaro per individuarne e progettarne un terzo in un luogo più idoneo? A cosa e a chi serve un sovradimensionamento così spropositato del tonnellaggio da compostare? E perché non richiedere una Valutazione di Impatto Ambientale, se non lo si fa per questo genere di opere, quando farla? La discarica è maleodorante, i miasmi raggiungono non solo Montagano ma anche Petrella, ci sono i gabbiani anche se non c’è il mare, cambiamenti così rilevanti danno molto da pensare. Per tutti i presenti il sito è da chiudere. Poi è arrivata la chicca, la ciliegina finale: secondo i risultati di analisi fatte da privati presso un laboratorio accreditato, la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 nel torrente delle Piane, a valle della discarica, si è riscontrata una rilevante presenza di metalli pesanti. La costernazione e lo stupore del sindaco e degli assessori era evidente e la risposta è stata immediata “Dai dati ARPA trasmessi a questo comune non è emersa alcuna anomalia, tutti valori nella norma”. Nessun accenno ai rilievi fatti dall’ARPA nel 2011. Come nessun accenno è stato fatto di ciò? Con nota del 28 novembre 2014 e successiva integrazione del 16 dicembre 2014, l’ARPA trasmetteva al comune di Montagano i risultati “delle attività di monitoraggio delle acque sotterranee effettuate in data 01.07.14 e in data 16.09.14” dai quali si evince il superamento dei valori fissati per i solfati e per il manganese. La prima nota ARPA si conclude così “… tenuto conto che ad oggi non è stata ancora attivata la procedura di cui all’art. 242 del D.Lgs 152/06 … si invita codesto comune ad attuare gli adempimenti di competenza….” ovvero l’avvio della procedura per la bonifica di siti contaminati. Ultima annotazione, ad ottobre 2014 anche la provincia di Campobasso, richiamandosi allo stesso D.Lgs, conclude le sue precisazioni al Comune così “…il Comune di Montagano risulta titolare dell’intero procedimento”. Ma tutto ciò che è stato taciuto è sicuramente una dimenticanza. Per nostra fortuna il Consiglio di Stato ha accolto la sospensiva del megaimpianto di compostaggio proposta nel ricorso Codacons. Le discariche, come i fiori, sono cosa delicata.☺ [email protected] 9 vincitori e vinti la comunità nella comunità Durante le ultime settimane il gruppo di lavoro ha discusso delle recenti occasioni di apertura della Comunità alla comunità (le feste di Natale e di Carnevale, con il rituale del fuoco di Sant’Antonio); gli aspetti emersi permettono di declinare in tutta la sua complessità la dimensione della contaminazione e dello scambio tra una realtà come quella rappresentata da Il Casone e il paese. In particolare, molto interessanti sono gli accenti posti sul ruolo attivo, propositivo e dinamico che la Comunità Terapeutica ha avuto e continua a rivestire in relazione alle tradizioni locali: lungi dalla riproposizione sterile di riti, un ospite sottolinea quanto la nostra presenza attiva nel territorio sia motore per un rinnovato spirito di… Comunità, in cui è possibile riconoscere i tratti della condivisione e della tradizione, alla luce delle necessarie innovazioni e contaminazioni introdotte da soggetti ed identità inedite. Essenziale ci pare anche il cenno alla istanza terapeutica che riveste la possibilità di scambio, intesa qui come antidoto alla chiusura e separazione; questi sarebbero, secondo un altro ospite, le vere declinazioni della patologia, i modi in cui le difficoltà individuali verrebbero amplificate e le differenze irrigidite nelle forme dello stigma e del pregiudizio. Ci piace citare, in chiusura di questa introduzione, F. Stoppa: “La dimensione transindividuale della comunità rappresenta un banco di prova per l’io, perché nel contatto con i nostri simili viene a palesarsi non solo la loro ma la nostra stessa alterità”. Di più, e considerando lo stato complicato in cui versa la dimensione comunitaria nel mondo contemporaneo, potremmo dire che Comunità terapeutica e città sono in soluzione di interscambio; in questo senso un pensiero “rivoluzionario” - orientato al cambiamento 10 reale dei rapporti di forze - “non deve porre rimedio allo stato di emarginazione del portatore di disagio, ma a quello di una comunità lasciata il più delle volte a se stessa, nutrita, nel migliore dei casi, dalla sola azione di socializzazione portata avanti dal volontariato o dalle istituzioni religiose”. Sergio Petrillo La relazione cura Nei pazienti con difficoltà psichiatrica o psicologica, la relazione assume importanza assai maggiore: non solo permette di mantenere un contatto con la realtà, molto spesso funge da contenitore di angosce e sollievo. Da non sottovalutare anche lo scambio che ogni relazione di per sé permette; tutti noi entrando in relazione con altri regaliamo qualcosa e prendiamo qualcosa, e usciamo modificati da questo processo. Ciò che non conosciamo spesso ci spaventa, il diverso spesso viene allontanato e stigmatizzato, la relazione permette di dare un nome alle cose e alle persone, e così quel pazzo che cammina da solo per il paese e che evitiamo per paura, quando lo identifichiamo con un nome diventa familia- la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 re e questo fa sì che venga riassorbito in un contesto di accettazione e, di conseguenza, di cura. Anche i riti sono importanti, attraverso essi noi riusciamo, purtroppo sempre meno spesso, ad incontrarci. Ricordo da bambina la bellezza del carnevale o del Natale, gli appuntamenti in piazza, il San Giuseppe ed il fuoco, tutto veniva vissuto come una grande famiglia, tutti si relazionavano gli uni con gli altri in un clima di festa; in una di queste occasioni mi venne raccontata la storia del “siamo al verde”: un’anziana diceva che in passato quando l’elettricità mancava e l’unico modo di illuminare le case erano le candele, accadeva spesso che l’olio si consumava lasciando un colore verdastro nell’ampolla; i malcapitati recandosi dai vicini pronunciavano la fatidica frase: “siamo al verde” e gentilmente venivano riforniti per ripristinare la luce. Oggi sempre più spesso noi rimaniamo al verde, e questo accade perché sebbene le distanze si siano assottigliate, come i muri degli appartamenti, a stento il buongiorno esce dalle bocche dei condomini. Oggi siamo al verde. Ma questo non possiamo permetterlo, sia per i pazienti psichiatrici che per coloro che soffrono di difficoltà psicologiche, ma anche per noi “semplicemente nevrotici” la relazione è assolutamente fondamentale e nonostante il conflitto tra le nostre due anime, sociale e individualista, è necessario aprirci in contesto di relazione senza timore di essere invasi o fagocitati, con la consapevolezza che la chiusura porterà inevitabilmente ad un inaridimento sociale, psicologico ed emotivo. Alessandra Ruberto Psicologa, Psicoterapeuta L’incontro con la comunità Gli incontri che la nostra struttura effettua con la comunità di Casacalenda sono dei momenti di aggregazione con le persone del paese. Attraverso il fuoco di Sant’Antonio, la festa di Natale e il San Giuseppe, cerchiamo di condividere momenti di felicità e di incontro con tutte le persone del posto. Incontrarsi significa mettere in campo la propria felicità con le persone. Cantare, ballare, mangiare insieme sono occasioni per conoscersi e stare insieme. L’incontro con gli altri è anche un modo per passare il proprio tempo libero con parenti e amici. A me piacciono molto questi momenti, perché mi sento in armonia con le persone che incontro in queste occasioni. Nicola Spadaccini convivialità delle differenze Era il 19 novembre 2010 e… per una volta tanto la Regione Molise poteva vantare un primato… quello di aver adottato, prima di ogni altra regione italiana, una legge di recepimento della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità e della legge 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), vale a dire la legge regionale n. 18/2010 “Interventi regionali per la vita indipendente”. La legge, la cui approvazione è stata frutto del grande lavoro portato avanti dall’associazione MO.VI. (Movimento per la vita indipendente) onlus per il Molise e dal suo presidente Domenico Costantino, recepisce i principi ispiratori della Convenzione Onu, che all’art. 19, mi piace ricordare, così recita: “Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che: (a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione; (b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione; (c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni”. Alla luce di questo principio cardine, la legge regionale 18/2010, salutata dagli stessi promotori come una vera e propria rivoluzione copernicana nell’offerta dei servizi per l’assistenza, per la prima volta strutturati dal basso ossia correlati ai bisogni concreti del beneficiario, consentirebbe alla persona vita indipendente? Tina De Michele con disabilità di costruirsi finalmente la propria vita indipendente scegliendo tempi e modalità dell’assistenza, la persona dell’assistente e le modalità di contrattazione del rapporto, alleggerendo contemporaneamente gli oneri del caregiver familiare, ove presente, ed evitando il ricorso all’ istituzionalizzazione della persona con disabilità. Infatti, l’art. 1 della legge citata chiarisce che tra gli scopi della norma vi è quello di realizzare a pieno il diritto alla vita indipendente della persona, ove per vita indipendente si intende il diritto all’ autodeterminazione dell’individuo ed il controllo del proprio quotidiano e del proprio futuro. La legge consentirebbe al beneficiario, vale a dire la persona con disabilità fisica e/o psichico-relazionale di età compresa tra i 18 ed i 65 anni, di finanziare un progetto di vita indipendente finalizzato a migliorare la propria qualità della vita, riducendone la dipendenza fisica ed economica, nonché l'emarginazione sociale, prevedendo tre diversi livelli di intensità assistenziale, a seconda delle necessità dell’individuo, fino alla copertura massima di € 18.000. In sostanza, consentirebbe alla persona con disabilità di vivere a pieno la propria libertà individuale, rimuovendo gli ostacoli che di fatto ne impediscono l’esercizio. Purtroppo non ho utilizzato a caso il condizionale … La legge attualmente è priva di copertura finanziaria e la regione Molise non è in grado di finanziare alcun progetto di vita indipendente. In pratica la regione Molise ha regalato ai cittadini una Ferrari e si è scordata di consegnare le chiavi. Non ci sono soldi. Chissà perché quando si parla di politiche sociali, si parla sempre di diritti sacrificabili, di situazioni che possono attendere, come se la libertà di un individuo possa essere sottoposta a termine o a condizione, ed a maggior ragione la libertà di un cittadino per cui è più com- plicato autodeterminarsi. Fa ancora più rabbia pensare che questo si svolga nel contesto di una regione che per anni ha avuto una classe politica inadeguata, in cui molti dei passati e presenti amministratori sono sotto processo per aver sperperato quei soldi che adesso mancano per finanziare la legge 18/2010. La regione che per prima, grazie all’impulso di alcuni cittadini, è riuscita ad adottare una legge all’ avanguardia ed in linea con le moderne politiche sociali e che oggi si limita a guardarla, senza poterla applicare. Questo è il Molise, oggi. Con i suoi ospedali in bilico, un disavanzo pauroso, aziende che chiudono, le prospettive sono tutt’altro che rosee, e non c’è un’idea o una ricetta che la politica sappia offrire. Dietro tutto questo ci sono i diritti e dietro i diritti le persone. E se invece si ripartisse dalle persone? Questa legge, oggi inapplicata, realizza diritti e crea lavoro. Sembra poco?☺ [email protected] www.su-mi.org: Nanà la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 11 pace e guerra l’intifada Maria Antonietta Crapsi L’Intifada, letteralmente “scrollarsi di dosso”, ha luogo nel periodo che va dal 1987 al 1991 e si caratterizza per la serie di rivolte contro l’occupazione israeliana che si propagano in tutti i territori occupati. L’evento scatenante è rappresentato dalla morte di quattro palestinesi del campo di Jaballiyya in un incidente d’auto provocato da un israeliano a Gaza l’8 dicembre 1987. L’episodio provoca una rivolta che inizia nel campo di Jaballiyya col lancio di pietre contro i soldati israeliani ed ha immediatamente un effetto domino in tutta la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Le donne e i bambini diventano sin da subito parte attiva di queste rivolte e la loro attività più conosciuta nel resto del mondo è il lancio di pietre contro i soldati israeliani per il quale a molti bambini palestinesi vengono letteralmente spezzate le braccia e le gambe. Si possono individuare quattro fasi dell’Intifada palestinese: una prima breve fase in cui le donne e le ragazze di tutte le classi e di tutte le età partecipano spontaneamente alle manifestazioni contro i soldati israeliani; una seconda fase più organizzata in cui diventa determinante il ruolo dei comitati delle donne; una terza fase che ha inizio nel settembre 1988 quando i comitati vengono dichiarati illegali dall’amministrazione israeliana e si inizia a pensare di gettare le basi per le future istituzioni statali e viene creato 12 l’Alto Consiglio delle Donne che adotta uno spirito rivoluzionario; una quarta fase in cui cresce l’insoddisfazione per l’attività dei partiti e si cerca un approccio più efficace per la risoluzione della questione palestinese e essa viene individuata nei gruppi islamici Hamas e Jihad Islamica. Già dal dicembre 1987 i volantini che circolano nella Striscia di Gaza riconoscono il ruolo delle donne nell’Intifada e invitano ulteriormente all’ azione. Le donne palestinesi rispondono: preparano cibo e vestiti per i prigionieri, scrivono slogan, sventolano la bandiera palestinese, donano sangue, violano il coprifuoco per mettere in piedi un sistema di educazione parallelo, lanciano le pietre ai soldati israeliani, trasportano le pietre per gli uomini, costruiscono barricate, bruciano automobili israeliane, organizzano manifestazioni contro l’utilizzo di lacrimogeni che provoca la morte di molti bambini, mettono a rischio la propria vita per difendere i figli dei palestinesi. Il compito delle donne sembra non essere più quello di allevare i figli ma quello di seguirli in strada per proteggerli dai soldati. Nel tentativo di proteggere gli uomini le donne palestinesi sfidano norme sociali che mai fino a quel momento sono state così ampiamente messe in discussione: permettono a uomini che cercano un nascondiglio di entrare nelle proprie case, gli fanno il bagno, gli permettono di dormire nel proprio letto e di indossare i propri abiti. Si assiste a un cambiamento del concetto di onore: le donne non devono mostrare di voler proteggere a tutti i costi la propria reputazione ma di voler aiutare il popo- la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 lo palestinese. Le donne operano nei comitati in diversi settori (agricoltura, medicina, educazione, fornitura di cibo) ma il maggior successo è rappresentato dalla creazione di una home economy basata su cooperative che si occupano del prodotto dalla nascita alla vendita, che permettono di avere un guadagno e di boicottare i prodotti israeliani. Tuttavia nelle ultime fasi si assiste anche a un arretramento delle donne: il fallimento dei negoziati per la fine dell’ occupazione israeliana genera un senso di frustrazione tra le donne che le allontana dalla sfera politica; la guerra del Golfo ha ripercussioni economiche negative sulle condizioni economiche delle famiglie palestinesi (molti uomini lavoravano nei paesi del Golfo); cresce il potere di Hamas e Jihad islamica. Hamas e Jihad islamica hanno acquistato potere grazie alla solida rete di assistenza che hanno creato a partire dagli anni ’70. Inoltre hanno ricevuto finanziamenti israeliani elargiti con l’obiettivo di fermare l’espansione dell’OLP. La Jihad islamica rifiuta la mobilitazione di massa in favore della formazione di una organizzazione segreta impegnata nella lotta armata contro Israele. Per Hamas la Palestina è un bene sacro, inalienabile ed eterno per la cui liberazione si deve combattere anche con la violenza; la soluzione dei due stati e la Dichiarazione di Indipendenza di Arafat non sono valide. Di queste visioni risentono soprattutto le donne che devono coprirsi e ritirarsi nelle loro case. Ma perché dopo una crescita consistente di consapevolezza delle donne questi princìpi hanno successo? Ciò è dovuto al potere acquisito da Hamas grazie alla fornitura di servizi sociali, alla disillusione nei confronti dei partiti, alla proposta di una immagine di unità e di lotta che non espone le donne al pericolo, alla debolezza del femminismo e al timore di provocare rotture all’interno della società palestinese. Ma come si vedrà il pacifismo non scompare. ☺ [email protected] Le Olgettine pagate 1,8milioni di euro. A saperlo prima, noi ci siamo stati fatti fottere gratis per vent’anni (www. spinoza. it) società La recente elezione del nuovo presidente della repubblica nella persona di Sergio Mattarella sembra aver rotto equilibri politici basati su accordi piuttosto opachi. Con la presa di distanza di Berlusconi sulla scelta del nuovo capo dello Stato, una fase di attività parlamentare, caratterizzata dall'impossibilità di cogliere i confini tra maggioranza e una parte dell'opposizione, potrebbe essersi conclusa. Le nuove intese, necessarie tra schieramenti politici opposti che vogliano contribuire alla riscrittura delle norme costituzionali ed elettorali, devono essere fatte auspicabilmente alla luce del sole. Si potrà tornare, a questo punto, ad una fisiologica dialettica tra paladini di programmi alternativi su progetti sociali ed economici meno confusi e inconcludenti. Le parole pronunciate da Mattarella, in occasione del suo giuramento, hanno avuto il merito di ricordare al parlamento e agli italiani che il patto costituzionale, al cui rispetto siamo tutti vincolati, ci obbliga a rendere effettivi diritti come quello allo studio, al lavoro, alla salute e alla sicurezza, ma anche doveri come quello di “concorrere, con lealtà, alle spese della comunità nazionale". Su ciascuno di questi temi le forze politiche presenti in parlamento dovranno fare uno sforzo aggiuntivo di elaborazione e di implementazione di strategie specifiche. La tecnica delle ammucchiate unanimistiche, volte a creare polveroni adatti ad impedire la distinzione delle responsabilità, va definitivamente accantonata. Resta il fatto che per un lungo, interminabile periodo la Costituzione è stata oggetto di molti estemporanei tentativi di modifica mentre gli obiettivi valoriali e civili che essa ci indica, con incisività e chiarezza, venivano semplicemente ignorati. Non è neppure il caso di sottolineare la necessità e l'urgenza di riformare alcune parti della Carta costituzionale, a partire dall'Ordinamento della Repubblica, ma non senza sottolineare ricominciare dalla legalità Giovanni Di Stasi che tali riforme vanno fatte solo al fine di rafforzare la qualità e l'efficacia della nostra democrazia. Il punto centrale delle riflessioni sulla Costituzione restano gli orizzonti che essa definisce ed è qui che torna utile citare altre parole di Mattarella: "Garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità. La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute. La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile. Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini. Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato. Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci". Parole importanti, che sono state riprese in parte e reinterpretate nel duro attacco appena sferrato dal presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, alla piaga dell'illegalità. "Crisi economica e corruzione procedono di pari passo, in un circolo vizioso nel quale l'una è causa ed effetto dell'altra", ha affermato Squitieri in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario. E ancora: "L'illegalità ha effetti devastanti sull'attività di impresa e quindi sulla crisi economica". Questo settennato presidenziale si apre, dun- la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 que, con il proposito di garantire la Costituzione attraverso l'affermazione e la diffusione di un senso forte della legalità e non c'è ombra di dubbio sul fatto che la riuscita di questa impresa rappresenti la condizione imprescindibile per la ripresa culturale, civile ed economica dell'Italia. Nello scenario europeo l'Italia si distingue per tre primati negativi, la corruzione, la malavita e l'infedeltà fiscale e noi non possiamo evitare di valutarne la portata e l'estrema pericolosità perché si tratta di tre forme di illegalità che corrodono e svuotano dall'interno il nostro paese. Il capo dello stato ci ha detto che questi sono i peccati capitali del belpaese e che farà la sua parte per combatterli, ma è chiaro che l'esito della battaglia necessaria per sconfiggerli è interamente nelle mani dei cittadini. Le classi dirigenti hanno imparato da tempo a convivere con questi mali e spesso hanno tratto vantaggi da essi. Inutile, dunque, sperare in un loro cambio di rotta spontaneo e radicale. Quello che serve è una condivisa volontà di rinascita che solleciti un dibattito approfondito, nelle varie istanze associative e nelle assemblee elettive a tutti i livelli, e pretenda dai partiti la formulazione di specifiche e articolate proposte mirate alla riduzione progressiva ma drastica dei mali in questione. E, tuttavia, sarebbe semplicistico affidare la soluzione di problemi così gravi e diffusi ai soli strumenti normativi e organizzativi. Serve quella nuova cultura della legalità indicata dal presidente Mattarella, alla cui affermazione devono contribuire tutti i cittadini, insieme a tutte le agenzie formative e informative presenti nel nostro paese.☺ [email protected] 13 cultura incubi e paure Christiane Barckhausen-Canale Per 72 anni della mia vita ho avuto, dietro le spalle, una madre. Poteva succedere qualsiasi cosa, anche bruttissima, sapevo che c’era lei e che potevo trovare un aiuto, un appoggio, una soluzione. Quando, da bambina, cadevo e mi facevo male, diciamo al ginocchio, lei si occupava della ferita e mi consolava. Da grande, davanti a qualsiasi problema, in una conversazione non tanto fra madre e figlia ma piuttosto fra donne, si trovava una soluzione. Se per 72 anni vivi con questa sicurezza, è quasi normale che cadi in una forte depressione quando la madre non c’è più. Il problema è che da un giorno all’altro non sei più figlia, madre e nonna, sei di colpo la più vecchia della famiglia, e la famiglia è convinta che sei tu quella che troverà, davanti a qualsiasi problema, la soluzione. Questa è una responsabilità che devi affrontare con le spalle scoperte, e questa prospettiva ti fa paura. Fin qua l’elemento privato, intimo, che nutre la tua depressione. Amiche e amici che hanno vissuto la stessa situazione e la stessa depressione ti dicono che passerà, che arriverà il giorno che ricominci a vedere la vita a colori e non più in bianco e nero. E ci sono momenti, in questi giorni, in cui lo credo veramente, perchè mi considero una persona ottimista che vede il bicchiere mezzo pieno. Mi dicono che per vincere la depressione hai degli alleati forti. Per esempio la famiglia, gli amici. Per esempio la natura, il cielo senza nuvole, le novità e le notizie che ti arrivano dal mondo che hai intorno a te. Hai un compagno, mi 14 dicono, che ti sta vicino e ti aiuta in tutto, hai un cane che dipende da te, che è la personificazione della fiducia a oltranza, che ti è fedele anche se, nella tua depressione, sei portata a sgridarlo più spesso del solito, ed anche senza motivo. Tutto questo è vero, ma come puoi vincere la depressione se tua figlia è lontano da te, in un paese africano nel quale, un giorno, potrebbe arrivare la bandiera nera del Califfato? Come puoi vincere la depressione se sai che i tuoi nipoti non hanno un futuro sicuro, un lavoro fisso, un paese democratico e pacifico, solidale con altri paesi e invece vivono in un paese dove la cancelliera, la signora Merkel, pochi giorni dopo la vittoria elettorale di Syriza in Grecia, non si vergognava di chiedere a Tsipras di dichiarare nulle le sue promesse fatte durante la campagna elettorale? È questa la democrazia della Merkel? Ma non è solo la democrazia alla Merkel che ti deprime. Da giorni, settimane, tutto quello che ti arriva dal mondo che hai intorno a te sono notizie che parlano del ritorno della guerra fredda, di guerre calde anche in Europa, di terrorismo, di popoli che dicono e pensano “prima noi, dopo gli altri”. Tutto questo non ti lascia dormire di notte, e se riesci a dormire per una, due ore, ti piovono addosso gli incubi. In parte ciò è colpa tua, perche hai la brutta abitudine di lasciare accesa la radio o la TV, nella speranza di addormentarti con il rumore delle parole. Ma il problema è che le parole entrano nel tuo cervello anche quando dormi. E ti tormentano, ti tormentano fino a svegliarti. L’altra notte ho sognato un paesaggio bello, coperto di neve, con un sentiero sul quale c’erano tre cavalli con le teste adornate da ghirlande e campanelle: quasi quasi riesco a sentire il tintinnare delle campanelle. E mi sveglio, di colpo, con la parola TROIKA nella mente. Troika si chiamavano, quando ero bambina, questi gruppi di tre cavalli che correvano sui sentieri della Russia che, in quel tempo, era parte dell’Unione Sovietica. Apro gli occhi, mi sveglio completamente e mi accorgo che la TV sta parlando della Troika che il popolo greco respinge perchè gli ha imposto delle misure e delle riforme la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 che sono il prezzo che il popolo deve pagare per avere un aiuto dell’Europa. Invece di cercare di addormentarmi nuovamente, comincio a pensare come sia possibile che una parola possa cambiare il suo senso. Ma subito ricordo che la parola Troika già aveva cambiato senso in un’epoca nella quale non ero ancora nata. Troika si chiamavano negli anni ‘30, nell’Unione Sovietica, i tribunali composti da tre persone che in pochi minuti pronunciavano le condanne a morte per i “traditori della patria”, arrestati senza motivo con accuse assurde, solo perché non la pensavano esattamente come Stalin. Adesso sono completamente sveglia e so che non mi potrò addormentare nuovamente. Comincio a chiedermi in quale momento della storia del socialismo questo ideale di un mondo di uguaglianza e di giustizia ha perso il suo senso, e mi chiedo come ha reagito la gente di fronte a questi fenomeni di totalitarismo. Mi chiedo fino a quale punto i popoli sono capaci di resistere in una società ingiusta e dove comincia la responsabilità individuale, personale, di ognuno di noi, nei momenti quando la democrazia è in pericolo. E voilà, dicono i francesi, eccoci, dicono gli italiani. Eccomi nuovamente davanti a me stessa, davanti alla mia propria responsabilità di quello che è successo, per esempio, nel paese dove sono cresciuta e dove ho vissuto fino alla sua sparizione. Quante volte ho taciuto davanti a cose che sapevo che non dovevano succedere in un paese socialista? Quante volte ho chiuso gli occhi davanti a fatti che andavano contro quel sogno di una società di uguaglianza e di giustizia? In questa madrugada ancora buia, ho paura. Ho paura di essere nuovamente codarda, di non aprire la bocca e gli occhi, di non uscire da questa depressione ma di utilizzarla come scusa per non parlare, per non vedere. Anche in questo paese che non è il mio ma che è diventato per me quasi una seconda patria, e dove succedono tante cose che mi preoccupano. Come ancora mi preoccupa tutto quello che succede intorno a me, nel mondo così fragile e minacciato, esposto ai pericoli che nascono sul terreno fertile dell’ indifferenza, dell’egoismo, della codardia e della stupidaggine di tutti noi che dimentichiamo ogni tanto che abbiamo solo questo mondo. È arrivato il nuovo giorno. So che lo devo affrontare, e non so ancora come posso riuscirci.☺ [email protected] il calabrone Quando ero piccola, avevo un libro di fiabe scandinave figurato e spesso Amalia (mia madre) me ne leggeva una abitata da un troll (orribile mostro) che gettava, per farla rotolare, una delle sue tante teste con gli occhi di fuoco; mentre io inorridivo e strizzavo gli occhi per la paura, Amalia veniva presa da riso irrefrenabile e ridendo diceva: quando la testa caracolla, quando la testa caracolla! Continuava a ridere nascondendo metà del viso fra spalla e braccio, sulla poltrona a fiori. Ho creduto più tardi che Amalia vedesse se stessa quando la “sua” testa andava via, libera, per il mondo che non era la stanza piena di compiti degli alunni, sparsi ovunque sul tavolo, da correggere, di libri da compulsare mentre noi quattro “caracollavamo” per casa. La neve scendeva abbondantissima, rendeva la casa un galeone pirata con ghiaccioli lunghi a barriera che venivano levati prima di andare a letto o il giorno dopo. Con il ghiaccio ci si faceva la granita con il succo e le amarene: sangue del nemico, vedevo gocciolare nella brocca, nel bicchiere. Come si sarebbe potuti uscire vittoriosi da lì? In questo mese, febbraio 2015, due o tre giorni di nevicata hanno sterminato l’Appennino emiliano, neve “troppo bagnata” e tutto è venuto giù, bollettini di guerra e stati d’animo da era glaciale. “Famiglie al freddo anche per oltre cinque e sei giorni, con casi che raggiungono ormai gli otto; mancanza di acqua, rete telefonica fissa generalmente interrotta, telefonia mobile guasta quasi ovunque e trasporto ferroviario sospeso”. A oltre una settimana dalla nevicata del 5, 6 e 7 febbraio, l’Unione dei Comuni dell’Appennino bolognese fa il punto della situazione, e il quadro non è davvero dei migliori” (Il resto del carlino). Dopo il primo momento di romanticismo tutti sono caduti nell’oscura paura di non potere tornare più al cell, a FB, al caldo, al centro della casa, al proprio regno, solo luogo dell’essere. E loro? Loro? Abbracciati come i due coniugi agli scavi di Pompei, sotto le nostre acque, sì proprio quelle dove d’estate andiamo a nuotare con pinne veloci e sicure e ci abbronziamo ad un sole che ci scaldi per l’inverno, loro che sono morti per il freddo cosa hanno sentito? A cosa erano destinati e perché, perché? Freddo e Gelo:caracolla la testa caracolla! “Dicono: il soccorso in mare non freddo e gelo Loredana Alberti è la soluzione. Infatti. La soluzione di che cosa? Del fenomeno della migrazione, della fuga da paesi in guerra civile, da persecuzioni religiose e civili, dalla fame? Bisognerebbe essere pazzi per crederlo. Il soccorso in mare è il soccorso in mare, ed è la soluzione di emergenza per chi sta per annegare o crepare di freddo. È strana questa storia della soluzione. Immaginate che sul Pronto Soccorso dei nostri ospedali sia inalberato un grosso avviso che dica: Non è la soluzio- “le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre”( Carlo Levi) ne! Non è la soluzione ai problemi della salute pubblica in Italia. Dunque aboliamo il Pronto Soccorso. Oppure teniamolo per un po', (Adriano Sofri - La Repubblica, tre giorni fa). “Giorni freddi e stupidi da ricordare/Maledette notti perse a non dormire altre a far l’amore” Sanremo 2015, canzone vincitrice (Il volo). La cosiddetta operazione Triton, inadeguata, uno scaricabarile per non sporcarsi non l’anima ma il portafoglio? Entro 30 miglia? Matteo Renzi reagisce a una tragedia annunciata e dunque più dolorosa ricordando che la gente annegava anche con Mare Nostrum, e avvertendo che il problema è la Libia. “Ha dato l'impressione di anteporre la denuncia della speculazione sui morti ai morti, e di difendere l'indifendibile” (Sofri). “Sto qui in mezzo a quella gente,/ Che non molla mai sto qui, sto qui, sto qui... sai. Ma io se solo io fossi Dio avrei/Un la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 sentimento anche io/Come gli altri uomini o santi ingannati dai tanti/Sogni infranti/Sì se io se solo io fossi Dio tornerei” Sanremo 2015 (Grignani). Durante la prigionia furono torturati: un giovane ha raccontato di essere stato appeso a testa in giù e picchiato sulla punte dei piedi, altri di essere stati frustati con fili elettrici dopo essere stati bagnati d'acqua (racconti di naufraghi - Ansa di questi giorni). “C’è sempre una strada sai/ Davanti a noi/Attraversando spirali di un mondo in disordine/Puoi inventarne un’altra se vuoi/Finché vedrò le api che si posano sui fiori/Mentre le nuvole disegnano il cielo/ Ovunque andrai io ci sarò perché/Perché è di me che hai bisogno/Ed io ho bisogno di te” Sanremo 2015 (Raf ) Freddo e Gelo: caracolla la testa caracolla! “Ci hanno chiuse in una casa deserta con altre due ragazze. Lei si è tagliata le vene. L’hanno portata in ospedale, c’è stata 5 giorni. Poi ci hanno portate in un altro edificio, 6 ragazze. Ci hanno picchiate per 10 giorni… Ho tentato di uccidermi 7 volte… C’era una ventina di caravan, due per noi ragazze … uno scontro fra l’Is e gente tribale, e siamo scappate, in sei. Ci siamo nascoste in un villaggio abbandonato per tre giorni, poi da una famiglia siriana, per altri tre, finché è venuta un’auto a prenderci. Avevano chiesto 40 mila dollari, poi ci hanno date per 30. Una era con me, Jilan, aveva tredici anni, si è suicidata dopo che l’avevano toccata sulla testa: hanno buttato via il corpo, come spazzatura. Come si è uccisa? È andata in bagno, si è tagliata i polsi e la gola con il coperchio del suo beauty-case. Il sangue scorreva sotto la porta” (racconto di ragazze violate in kuridstan da Is). “Con il vento sei andata/Via da te/ Via da qui/Via dalla notte infinita/Ed una mattina sei uscita/Non sei più tornata/Sei stata di parola/Non ti sei fermata/Con il vento sei volata via da quel che non è giusto” Sanremo 2015 (Irene Grandi). Freddo e Gelo: caracolla la testa caracolla!☺ [email protected] 15 arte amalia dupré Gaetano Jacobucci Maria Luisa Amalia, figlia dello scultore Giovanni e di Maria Mecocci, nacque a Firenze il 26 novembre 1842. Fu educata al disegno e al modellato dal padre e ben presto cominciò a seguire i suoi lavori, aiutandolo con crescente cura e dedizione; tuttavia fu anche autrice di opere in proprio, sebbene quasi sempre sotto l'assistenza paterna. La sua prima opera importante fu il “Giotto fanciullo”, il cui modello in gesso (Fiesole, villa Dupré) fu terminato nel 1862, mentre il marmo venne compiuto qualche anno più tardi e presentato con discreto successo all'Esposizione universale del 1867 a Parigi, accanto alle opere del padre (cfr. La Nazione, 18 luglio 1867); la critica commentò favorevolmente la gentile naturalezza, di impronta patema, di quell'opera, che venne poi replicata nel 1890 in una versione anch'essa a Fiesole nella villa Dupré. Nel 1867 eseguì un bassorilievo funebre per la tomba Ravaschieri nel cimitero di Napoli, che fu commentato da una poesia di A. Maffei (Dupré, 1885, p. 231). Nel 1869 modellò in gesso un “San Pietro in catene” (Montecatini, Museo dell'Accademia; cfr. La Nazione, 8 dic. 1869). Tre anni dopo eseguì il monumento funebre per la sorella minore Luisina (morta quell'anno) nella cappella di famiglia del cimitero di Fiesole, com- 16 posto da un sarcofago con sopra l'immagine distesa della defunta; e l'anno seguente eseguì un bassorilievo, con una Suora di Carità che guida i giovanetti dell'asilo, per la tomba di Francesco Aliotti nel cimitero di Arezzo. Anteriori al 1879 (perché citate nei Ricordi del padre, pp. 346 -349) sono le seguenti opere: una “Matelda” in gesso; il monumento funebre ad Adele Stracchi; un “San Giovanni e un angelo” in marmo per la cappella di una villa della marchesa Pieri Nerli di Siena; un angioletto in gesso e una “Madonna con Bambino” in marmo per la badia fiorentina; una piccola pila per l'acqua santa con Santa Edvige per la contessa Talon di Parigi; la Lunetta per lo studio Dupré in Borgo Pinti; una copia ridotta in bronzo della “Pietà” di G. Dupré; una “Santa Caterina” in terracotta per la cappella del Pio Ricovero delle orfanelle a Siena; le virtù teologali in marmo per Raffaello Agostini di Firenze; una “Addolorata” in terracotta per la chiesa di S. Emidio ad Agnone. Il lavoro più impegnativo di questo periodo è costituito dalle opere per il duomo di San Miniato, per il quale eseguì bassorilievi allegorici per le tombe di quattro personaggi: la Religione per quella del vescovo Poggi, la Storia per Bernardo la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 Buonaparte, la Fisica per il professor Taddei, la Poesia per il poeta P. Bagnoli. Per la medesima chiesa, inoltre, eseguì anche gli otto Santi che ornano il pulpito. Fra il 1879 e il 1882 la Dupré eseguì un “Angelo della pace”, che fu fuso in bronzo per il tempietto della villa Camerini a Piazzola sul Brenta (1879); il monumento funebre a Elena Mantellini nel fiorentino cimitero delle Porte Sante (1881); un “San Giuseppe col Bambino” per il ricovero delle orfanelle di Siena (1881); un “Cristo morto” in terracotta policroma, ripreso da quello della “Pietà” paterna, per la chiesa di S. Emidio ad Agnone. Dopo la morte del padre, oltre a terminare alcuni suoi lavori lasciati incompiuti, la Dupré esegui una “Santa Chiara” in marmo per la chiesa di San Ruffino ad Assisi; la “Santa Reparata” per la seconda nicchia del portale mediano del duomo di Firenze; un busto di Dante per la Casa di Dante a Firenze; tre Santi per la chiesa di Santa Margherita a Cortona, due statue della Madonna della Difesa in Casacalenda e altre opere ancora. Ma soprattutto si occupò di curare la memoria e la fama del padre, trasformando in museo lo studio Dupré in via degli Artisti e dedicandogli un piccolo monumento con la rappresentazione in bassorilievo degli episodi salienti della sua vita (Fiesole, villa Dupré). Scolpì anche un buon numero di ritratti. Mancano notizie sulla sua attività tarda, che comunque non fu particolarmente intensa. Morì a Firenze il 23 maggio 1928; suoi modelli in gesso sono conservati presso i suoi discendenti fiorentini e presso gli eredi Ciardi Dupré nella villa Dupré a Fiesole.☺ [email protected] mondoscuola valutare gli insegnanti? Gabriella de Lisio Qualche decennio fa, l’Anp, l’associazione nazionale dei presidi/dirigenti, condusse un sondaggio direttamente nelle scuole per tastare gli umori in merito alla valutazione dei docenti, chiedendo se i professori fossero d’accordo su una differenziazione di stipendio legata al merito, nella considerazione (banale ma concreta) che a scuola il buon senso comune e l’esperienza di tanti, rilevano la presenza di insegnanti fortemente impegnati e ligi al loro dovere di educatori e di professionisti seri, in evidente contrasto con colleghi meno… motivati. L’autoaggiornamento, l’implementazione della didattica, l’uso dei nuovi strumenti, il rapporto con la classe e la gestione dei conflitti, la valutazione, le eventuali pubblicazioni, sono molti i parametri che possono fare la differenza. Ma si parlò pure, all’epoca, di un riconoscimento anche per i docenti oberati in misura maggiore di altri dalle canoniche incombenze pomeridiane, come la correzione, la formulazione e il giudizio dei compiti scritti. La funzione docente è uguale per tutti ma, qualcuno a suo tempo disse, il tempo a disposizione per il proprio tempo libero, la propria famiglia o i propri interessi, è diseguale. All’epoca, dunque, una buona parte dei docenti si dichiarò d’accordo sulla valutazione, che anche l’ex ministra Gelmini volle sperimentare, ma con meccanismi così capziosi, oscuri e bizantini che nessuna scuola si sentì in grado di accettare in prima battuta. Il tentativo fallì. E allora? E allora, un recente sondaggio, condotto dalla redazione de La Tecnica della Scuola (un quotidiano online), che ha coinvolto oltre 1500 lettori, ha confermato la volontà dei nostri insegnanti di essere valutati: il 59% è infatti d’accordo contro un 41% che non vuole sentirne parlare. Nel dettaglio abbiamo una maggioranza, pari al 20,3%, favorevole ad essere valutata da un pool di figure scolastiche, come gli ispettori, un organo esterno, gli studenti e persino il dirigente; un abbondante 10% (10,6%) dai soli ispettori scolastici o da un organismo esterno, a pari percentuale, forse perché costoro sono meno soggetti a interferenze e, provenendo appunto da istituzioni slegate dalla particolare realtà di quella scuola, possono dare giudizi oggettivi. Colpisce poi, ed è persino difficile da credere, che un 8% dei lettori non disdegna il giudizio degli studenti (che sarebbero, a parere di chi scrive, i primi a dover essere coinvolti, anche se in forme e modalità accuratamente selezionate e ponderate), nella convinzione che i ragazzi, con ogni probabilità, sono ritenuti i giudici più attendibili. Pochissimi i professori che hanno fiducia nei giudizi del proprio dirigente, appena il 5,3%. Poco da aggiungere a questo dato. Quasi irrilevante infine, meno del 4%, la percentuale di coloro che pensano in via esclusiva ad un comitato interno alla scuola, in grado di valutare oggettivamente il lavoro dei propri colleghi. Cosa uscirà dal cilindro del grande prestigiatore? Si è lanciato su un terreno Gli anziani amano raccontarsi e raccontare si sa, ma le memorie personali, familiari o collettive, affidate a una comunicazione prevalentemente orale, sono labili narrazioni destinate fatalmente a scomparire. Proprio per difendere dall’oblio persone, fatti, accadimenti, il prof. Luigi Pizzuto ha raccolto in un libro-documento, eventi legati alla seconda guerra mondiale e in particolare all’occupazione tedesca, che hanno avuto come scenario Colletorto, suo villaggio dell’anima e come protagonista la gente del suo popolo. Il titolo Scoppio di mine si riferisce ad episodi avvenuti in paese che hanno coinvolto, a distanza di poche ore, un ragazzo e un uomo che si recavano in campagna, entrambi ridotti a brandelli da bombe lasciate dai tedeschi durante la ritirata. Eroi per caso questi, di cui non si parla e non si scrive nei libri; persone semplici che avrebbero preferito continuare a lavorare i campi piuttosto che lasciare il loro nome alla storia, fosse pure la piccola storia locale, ma che meritano un ricordo per avere dato, con il loro inconsapevole la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 estremamente scivoloso, la valutazione dei docenti. Ci rimetterà la noce del collo… o ce la rimetteremo noi? Una nota a margine. Nel momento in cui il giornale viene dato alle stampe, è recente la puntata della trasmissione Presa Diretta dedicata alle condizioni della scuola pubblica. Chi l’ha seguita, avrà toccato con mano ciò che significhi oggi l’irrisorio contributo che lo Stato elargisce, ormai da anni, nelle casse dell’istruzione. In alcuni istituti superiori del Nord Italia, e non solo, i laboratori di informatica (per dirne solo una) “campano” solo grazie alla generosità e ai sacrifici delle famiglie. E laddove le famiglie non ce la fanno? Dobbiamo arrenderci all’idea di scuole (pubbliche, dico pubbliche) di serie B o C? E, alla luce di tutto questo, non è scandaloso un grande prestigiatore che, nell’opuscolo La Buona Scuola, sdogana senza pudore l’intervento dei finanziamenti privati nella scuola perché tanto lo Stato “non ce la farà mai a coprire tutto il fabbisogno”? Una domanda. Ma questa scuola, la nostra scuola, che dovrà essere valutata da chi la sta affossando, dove sta andando? ☺ [email protected] sacrificio, un tributo di sangue nell’ultimo conflitto mondiale. Ricordo che vuole essere un monito per le nuove generazioni affinché il passato non sia il futuro, ma sia piuttosto occasione di crescita e di garanzia per tempi migliori. L’autore utilizza nel libro stralci di testimonianze, brani di ricordi che hanno valenza collettiva e foto d’epoca messe gentilmente a disposizione dalle famiglie e ripropone i valori di un piccolo mondo antico che ci appartiene, colti nella ricerca dei tanti fatti del passato tra Colletorto, S. Croce, San Giuliano. Usa, nella stesura del testo, codici espressivi diversi: socio-storico, drammaturgico, iconico, in un gioco di rimandi e di integrazioni che danno un quadro armonico e completo dell’argomento trattato. Il linguaggio è limpido, scorrevole, di facile comprensione, privo di retorica, adatto all’opera che ha scopo civile più che letterario; il tipo e la dimensione del carattere rendono la scrittura chiara, riposante e la lettura piacevole; la composizione grafica della copertina evoca memoria e pathos. Carolina Mastrangelo 17 popoli e culture casa dell’uno Giovanni Anziani Ogni qualvolta cerco di ascoltare notizie che vengono diffuse attraverso i mezzi di comunicazione (dalla stampa ai telegiornali) mi sento sconvolto e angosciato. Mi accorgo che la speranza di un nuovo mondo sta per morire e che la fede nelle promesse di Dio: Ecco, io faccio nuove tutte le cose (Apocalisse 21,5), si fa debole. Io vorrei che fossero diffuse notizie positive. Notizie per il tempo della raccolta di frutti buoni per poter avere fiducia nel nostro operare domani. Notizie non più di violenza o di morte. Vorrei ricevere la notizia che ai poveri è fatta finalmente giustizia perché non sono degli sfortunati, ma vittime della violenza umana. Vorrei soprattutto accogliere con gioia la notizia dell’impegno dei credenti, dei religiosi non più rinchiusi nelle proprie particolarità e dogmatismi, ma operanti nell’ amore. Vorrei … e invece. Dove oggi raccogliere segni di amore? Dove è seminata la giustizia per costruire la pace? Dove accadono eventi che conducono alla riconciliazione tra le persone e i popoli in conflitto? Nulla accade che possa infondere fiducia nell’opera umana e nulla che possa produrre speranza per il futuro! Eppure qualcosa accade. Qualcosa che pochi raccolgono e che pochi diffondono. Qualcosa che è veramente una “buona notizia”! Nel bollettino della Chiesa valdese di Milano (L’araldo) ho trovato questa incredibile notizia. Scrive la pastora Dorothee Mack: “ … A Berlino si è deciso di avviare un progetto, chiamato “House of one” “Casa dell’Uno”, che ospita, all’interno delle sue mura, una sinagoga, una moschea ed una chiesa! L’idea è stata lanciata dalla chiesa protestante della capitale tedesca. Si aveva a disposizione una piazza che negli ultimi 800 anni aveva ospitato 5 chiese diverse, dalla più antica della città ad una fatta esplodere dal regime della DDR nel 1964. Proprio in quel luogo, ora, si vuole costruire un edificio che prevede 4 spazi diversi che tengano conto delle diverse esigenze di cristiani, musulmani ed ebrei. Per gli ebrei, infatti, è previsto un terrazzo sul tetto dove costruire la capanna per la festa, appunto, 18 delle capanne. I musulmani hanno bisogno di una sala rettangolare per accogliere più persone possibili per la preghiera fatta spalla a spalla. E il quarto spazio, previsto in mezzo ai tre locali dedicati alla preghiera, a che cosa servirà? Verrà chiamato “luogo di insegnamento” ed è pensato per gli incontri di discussione e di approfondimento tra le tre comunità per conoscersi sempre meglio. L’idea è partita da un pastore protestante. Il coinvolgimento di un rabbino liberale nel progetto non è stato difficile. Più faticosa si è presentata la ricerca di un imam disponibile a partecipare. Infine si è trovato, come partner islamico, il Forum per il dialogo interculturale che ha creato una rete di scuole e di università in tutto il mondo e che promuove, appunto, il dialogo tra le religioni e la riconciliazione tra la religione e la modernità. Il progetto è stato presentato durante l’estate del 2014. L’edificio dovrà essere finanziato da offerte raccolte in tutto il mondo. Non si vogliono creare dipendenze da singole comunità religiose …”. Ecco l’esempio positivo che ho voluto raccontarvi per tenere viva la speranza che un altro mondo è possibile. Forse è poca cosa, forse domani vi sarà sempre la violenza in nome del proprio Dio. Forse … ma al momento io mi sento ricolmo di speranza e vorrei che tante altre persone potessero raccontare eventi positivi. Che accade di buono nelle vostre case? Cosa è stato del vostro lavoro e del vostro impegno nelle comunità di fede? Chi ha risposto all’appello della solidarietà? Come si è potuto superare difficoltà generate dai conflitti? Vorrei leggere veramente tante belle notizie per seminare speranza!☺ [email protected] (Per chi vuole leggere di più sul progetto di Berlino: www.hwww.house-ofone.org ) la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 il nome del padre Il sottotitolo di questa storia vera potrebbe essere: “Come la semplicità spiega molte cose”, ma non sono Voltaire, lasciamo stare. Una bambina italiana con madre cattolica e padre musulmano aveva da tempo assimilato l’idea che i genitori avessero gesti e parole diversi per ringraziare Dio del cibo servito sulla tavola. Aveva anche imparato a fare il segno della croce e delle tre persone quella che ricordava meglio, ovviamente, era la prima: il Padre. A poco più di tre anni non poteva sapere che proprio il Padre era il legame fra le tre religioni monoteiste; che la parola Allah è la traduzione araba per dire Dio, quello che in aramaico aveva lo stesso suono dell’invocazione innalzata dall’alto della croce: Elì o Eloì, come troviamo nei vangeli di Matteo e Marco. Entrambi questi racconti della morte di Cristo sottolineano la difficoltà dei presenti a comprendere il senso vero di quelle parole, le ultime, non solo per la limitatezza umana difronte ad un così grande mistero, ma anche per banali questioni linguistiche. A Gerusalemme, infatti, non si parlava l’aramaico, il dialetto della Galilea che aveva tradito anche i discepoli nella difficile notte che precede la crocifissione. Quando vide la prima volta la zia che si era cambiata d’abito per raccogliersi in preghiera, con il velo in testa, ebbe un attimo di timore, ma la curiosità fu più forte della paura e piano piano attraversò tutto il corridoio per arrivare nella stanza dove la donna era in ginocchio a mormorare le sue orazioni. Dalla porta sbirciava per capire se era l’ennesimo scherzo della parente giocherellona, tanto che le si avvicinò per toccarla e farle il solletico; ben presto capì che si trattava di una cosa seria e volle rimanere a guardare nonostante i ripetuti inviti da parte della madre a lasciare tranquilla la zia durante la preghiera. Imparò in fretta il gesto di muovere il dito su e giù per tenere il conto delle preghiere, con la leggerezza tipica dei bambini, come se fosse un gioco, un rituale scherzoso. Il giorno successivo era ormai popoli e culture primo marzo sparita la paura, ma la zia velata aveva un aspetto decisamente più austero e non se la sentiva di giocare con lei. Una cosa era certa: in determinate ore del giorno il cambiamento d’abito segnava l’inizio di un rito, sempre uguale nei tempi e nei gesti, che sembrava cambiare anche l’ atteggiamento della donna. Un giorno, all’ora di pranzo, venne chiesto alla bambina di andare a vedere dov’era la zia per dirle che era pronto. Lei andò dritta nella camera dove la trovò di nuovo con l’abito lungo e scuro e silenziosa nel suo raccoglimento. Appena tornata, da sola, le chiesero: “Che sta facendo zia?”. Disinvolta e convinta rispose: “Sta facendo il nome del Padre!” e, nel dirlo, si portò una mano alla fronte. A tutti, cristiani e musulmani, apparve un sorriso sulle labbra pensando: “Senti che sciocchezze che dicono i bambini”. L’unica seria era lei, la piccola, che in semplicità d’animo aveva capito che i figli trovano ascolto presso il Padre perché li ama tutti, incondizionatamente. Una mamma ore 18,30 auditorium ex gil via Milano - Campobasso, proiezione del film con la partecipazione dell’attrice protagonista Tasneem Fared Dal 2010 la giornata del Primo Marzo rappresenta un momento di riflessione e impegno contro le discriminazioni e lo sfruttamento nei confronti dei migranti. Esil’abrogazione del Regolamento di Dublino; stono dei diritti, che valgono per tutti gli essela chiusura dei CIE e una riformulazione ri umani, che non possono essere differenziati dell’intero sistema di accoglienza che garantio negati sulla base di confini territoriali o di sca il rispetto dei diritti dei richiedenti asilo ed appartenenze etniche, culturali e religiose. La eviti che l’attuazione dei piani di accoglienza difesa e la tutela di questi diritti è premessa si trasformi in un business. È necessario che fondamentale nella costruzione di una società la politica tenga conto delle trasformazioni in capace di riconoscere la dignità e atto nella nostra società sia in termini demol’autodeterminazione delle persone e il valore grafici sia economici, e che riconoscano il del dialogo come valore rappresentato manifestiamo con gli immigrati elemento fondante dalla straordinaria il 1° marzo alle ore 11,30 dell’evoluzione cultumobilità umana che piazza municipio a Campobasso rale, civile ed econosta caratterizzando la mica. nostra epoca. È per La crisi degli ultimi anni, invece di questo che auspichiamo anche una legge che spingere le istituzioni a ripensare le politiche riconosca la cittadinanza per tutti i figli di e la legislazione in materia di immigrazione, migranti nati e cresciuti nel nostro Paese. nel senso di una maggiore inclusione e di In dettaglio, le nostre richieste sono: sostegno per i deboli, sembra avere indotto 1. Una revisione della legislazione in materia immobilismo e ulteriori chiusure. Ciò ha di immigrazione centrata sul rispetto della contribuito ad accrescere diseguaglianze e persona e sulla partecipazione; disagio e, quindi, la distanza tra le diverse 2. Una legge sullo ius soli che riconosca il culture e tra i lavoratori che pure contribuidiritto di cittadinanza alle seconde generazioscono, ogni giorno, alla tenuta della nostra ni, la cui formulazione sia almeno in linea economia e del nostro sistema previdenziale. con gli altri paesi europei; La ricattabilità cui rimangono esposti i lavo3. Il diritto di voto amministrativo per gli ratori stranieri, a causa del legame tra permesstranieri residenti; so di soggiorno e contratto di lavoro, come è 4. Tutela e garanzia dei diritti dei lavoratori noto, favorisce lo sfruttamento, il caporalato, stranieri e contrasto ad ogni forma di sfruttacon ricadute che riguardano anche i lavoratori mento anche attraverso una più piena ed non stranieri, costretti ad accettare un rilancio efficacia ricezione della direttiva europea al ribasso delle condizioni contrattuali. Ma (52/2009); non è restringendo il riconoscimento dei 5. Abolizione dei dispositivi di monitoraggio diritti di cittadinanza e della persona che si e di controllo del Mediterraneo privi di obietpromuove una convivenza civile e pacifica. tivi umanitari (come Triton); Mentre la paura spinge all’isolamento e mina 6. Instaurazione dei corridoi umanitari e revila coesione sociale, la garanzia dei diritti, il sione della legge sull’asilo politico ispirata a sostegno e la cura delle relazioni sociali costiprincipi di solidarietà ed accoglienza effettiva tuiscono l’unico strumento attraverso cui e di trasparenza di gestione; realizzare una più soddisfacente qualità della 7. Chiusura dei CIE così come attualmente vita per tutti. concepiti e riformulazione in termini di luoA partire da queste considerazioni, ghi di facilitazione del percorso di accoglienrichiamiamo ad una riflessione sulle politiche za e indirizzo verso le destinazioni di possibidi accoglienza, chiedendo l’istituzione di le inclusione dei profughi; corridoi umanitari per consentire ai migranti 8. Impegno e diffusione per una informaziodi raggiungere l’Europa senza mettere a rene oggettiva e completa sui temi dell’ immipentaglio la vita e senza rivolgersi ai traffigrazione. ☺ [email protected] canti di uomini. Chiediamo, inoltre, la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 19 libera molise il cittadino e l’usura Franco Novelli La nostra società, e non solo quella occidentale, deve fare i conti con innumerevoli problemi di natura economica e politica. Uno di questi, motivo di grande preoccupazione sociale, è il fenomeno dell’usura su cui Libera concentra - da 20 anni - molte delle sue energie per contrastare tale forma di vergognoso sfruttamento delle sofferenze (individuali e aziendali) e per contribuire a dare una soluzione dignitosa a quanti sono vittime del’usura (pensiamo, tra l’altro, ad una nuova legiferazione che vada al di là delle indicazioni presenti nella legge n. 108 del 7 marzo 1996, buona vent’anni fa ed oggi da rimodulare sulla base di nuove esigenze). L’usura è un fenomeno antico, diffuso oggi, più di ieri. Fino al recente passato l’usura è stata considerata una pratica sicuramente immorale; dagli anni novanta del XX secolo essa viene percepita come un vero e proprio reato perseguibile sul piano penale e di qui l’emanazione della legge 108/1966, i cui cardini sono gli art.14 e 15. L’art. 14 prevede un “fondo di solidarietà” per le vittime dell’usura e le somme erogate sono a interesse “O”; l’art. 15 contempla un fondo per la “prevenzione del fenomeno dell’usura”. Da più parti apprendiamo che l’usura non esiste, ma non è così, perché essa attraversa tutto il paese; anche se il numero delle denunce è esiguo, tuttavia ciò non vuol significare che il fenomeno non si sia radicato nel tessuto sociale nazionale. Infatti, ascoltiamo anche da noi nel Molise e a Campobasso esperienze di profonda sofferenza causata dall’usura e dalle losche e inquietanti figure degli usurai. Il silenzio delle vittime (di cittadini caduti nella trappola patologica del gioco d’azzardo o di imprenditori soffocati dalle pressioni di gruppi malavitosi) è spiegabile per il timore di subire ulteriori pressioni (fisiche e psicologiche), per la preoccupazione di vendette e di conseguenza per il terrore di restare assolutamente sole e emarginate da tutti. L’usura colpisce piccoli imprenditori, commercianti e famiglie che l’attuale crisi economica (con l’ abnorme aumento del costo del danaro e del visibile calo di vendita delle merci prodotte) rende più vulnerabili, in quanto alla solitudine si accompagna anche l’affievolimento della speranza di dare una soluzione reale a tale tipo di penosa angoscia. Le famiglie vengono devastate dall’ usura, si smembrano i matrimoni, di conseguenza le inquietudini e gli affanni coinvolgono anche i figli la cui tribolazione maggiore è vedere i genitori allontanarsi e divenire dei veri e propri antagonisti, ostili gli uni agli altri. 20 L’usura è in rapida crescita, anche per la diffusione smisurata del racket del pizzo e dell’estorsione. Accanto allo “strozzino” classico sono fiorite nuove forme, talora bene occultate, di criminalità usuraia: prolificano, infatti, gruppi organizzati, spesso anche circuiti di veri e propri professionisti fino alla loro coniugazione con circoli mafiosi. Lo strozzinaggio usuraio, oggi, ha il volto di professionisti e di finanzieri, che connotano questo tipo di usura come quella dalla “faccia pulita”, quella dei “colletti bianchi”. Fatti di cronaca ci informano della operosa presenza di insospettabili soggetti, quali commercialisti, imprenditori, notai, avvocati, bancari, funzionari ministeriali, direttamente coinvolti nelle pratiche dell’usura. Proprio perché i margini e i confini dell’usura si sono ampliati, possiamo parlare di vera e propria usura di mafia; questo fenomeno è in forte crescita e come obiettivo ha quello di penetrare nell’economia legale. Le mafie, infatti, si prendono rigorosamente “cura” delle imprese, perché vogliono andare al di là della semplice riscossione degli interessi del mero credito elargito, puntando con prepotenza affaristica direttamente alla “garanzia”, all’ “accesso” cioè in compagini societarie di imprese sane e insospettabili. Pertanto, le mafie sono interessate al controllo delle attività economiche pulite, attraverso l‘acquisizione o di quote aziendali o di intere aziende, fortemente preoccupate per la riduzione della produttività commerciale, anche a causa di investimenti finiti male, dell’urgenza di pagare i fornitori, della difficoltà di ottemperare alle scadenze fiscali. Cosa bisogna fare per rendere più efficace il contrasto a tale deriva sociale? È quanto abbiamo affrontato nel corso della formazione antiracket e antiusura che la Camera di Commercio di Campobasso e Libera hanno tenuto nei mesi di novembre/dicembre 2014 e gennaio 2015. Il corso di formazione per sportellisti antiracket e antiusura ha avuto luogo a Campobasso nella sala “L. Falcione” della Camera di Commercio e i relatori di Libera (venuti dal Nazionale con don Marcello Cozzi in primis e dalla regione Molise) hanno affrontato con chiara e competente professionalità queste tematiche, allo scopo di formare quanti lavorano nelle istituzioni come pure di spingere cittadini responsabili (giovani, soprattutto) ad affrontare tali tematiche nella convinzione di dare un concreto contributo alle sofferenze di quanti sono oppressi dal debito e dall’usura che la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 ne deriva. Gli elementi che sono emersi in riferimento “a cosa fare per contrastare l’usura e per dare un nuovo orientamento alle norme che regolamentano il fenomeno dell’usura” sono diversi e tutti di estrema rilevanza. Innanzitutto, è necessario denunciare il fenomeno dell’usura e chi lo fa deve sapere che va incontro a rilevanti difficoltà: ma, nonostante ciò, deve farlo assolutamente, immaginando che c’è chi potrebbe ostacolare il suo cammino, ma anche chi potrebbe con estrema discrezione stargli al fianco e accompagnarlo nel suo iter di denuncia. Poi è auspicabile la celerità dei processi in un paese, come il nostro, che è abituato alle lungaggini dibattimentali; inoltre, è essenziale garantire la sicurezza di quanti hanno la forza di denunciare l’usura e l’usuraio; è anche augurabile ridurre i tempi dell’attuazione della specifica richiesta di inserimento nell’apposito programma di protezione; è ora, infine, di assegnare alle vittime di usura, per dare un concreto aiuto nel reintegrarli nel meccanismo produttivo, beni confiscati alle mafie. Dobbiamo, infatti, come ben si capisce dal quesito che ci poniamo qual è il nostro ruolo di fronte al problema dell’usura?, porre la tematica dell’usura su un piano culturale e non solo giudiziario: abbiamo il compito di ricostruire un sistema sociale che è esploso, un sistema sociale che ha posto il profitto e il danaro al centro, emarginando letteralmente la persona. Se il 65% dei cittadini dice che lavorerebbe anche con le mafie, allora vuol dire che il nostro cammino è in salita e che, comunque, vale la pena fare questa scommessa di civiltà. L’obiettivo delle mafie è quello di alterare le regole del mercato, rendendolo controllabile e assimilandolo alla definizione di società che esse sono solite dare. La verità amara è che lo Stato è il vero strozzino, perché ha legalizzato il gioco d’azzardo. Altra verità spiacevole è quella che rappresenta lo Stato come un Giano bifronte: da un lato, lo Stato incentiva il gioco d’azzardo, illudendo i cittadini e gabbandoli doppiamente; da un altro, è costretto poi a prendersi cura dei malati per il gioco d’azzardo. Di qui, comprendiamo bene che è opportuno coltivare strategie di modificazione dei nostri atteggiamenti e sforzarsi di condividere obiettivi politici e culturali che valorizzino forme di “robustezza” civile, oggi assolutamente necessaria per cambiare i rapporti di forza fra la cultura di un rinnovato umanesimo e l’incultura del profitto e dell’edonismo spinti all’eccesso. Erri De Luca nel suo libro La musica provata, autunno 2014, ad un certo punto così scrive: “Succede che i canti, più delle profezie, si avverano. Dipende dal fatto che la voce del profeta è solitaria, mentre l’altra è di una comunità in cammino”.☺ [email protected] società notte d’inverno Carolina Mastrangelo Il fragore di un ramo spezzato rompe il silenzio della notte e mi sveglia. Nevica. A luci spente, corro alla finestra, raschio con l’unghia i vetri arabescati dal gelo e un mondo incantato mi si spalanca davanti. Non è meditativa estasi di fronte a un paesaggio d’eccezione, né riflessione lirica; lo contemplo nella sua gratuita poeticità, con lo stupore rapito di un bambino, chiudendo per un attimo i cupi pensieri in granelli di luce. I fiocchi bianchi intrecciano danze inimitabili sulla collina; ondulano profili, appendono merletti, si accovacciano sugli alberi, rizzano magici fondali su cui sciamano i personaggi della graziosa e saltellante fauna boschereccia: nani, elfi, folletti e geni; osservano da buche muschiose, spiano da nodi di rami, sberleffano da tronchi scavati e si scatenano in un sabba di dirompente gioia, mentre ninfe vestite a festa ballano agitando le loro sciarpe tessute di rugiada e chiaro di luna… Mi viene in mente un racconto in cui Dino Buzzati ricorda gli inverni delle favole. In questa cornice di notturno mistero anch’io, con timidi passi, percorro i sentieri fatati conosciuti da bambina; attraverso giardini stregati e foreste piene di lupi, passo sotto alberi che parlano con voce umana, batto alla porta di un castello diruto dove il Re farà tagliare la testa al menestrello che non riesce a far ridere la principessa triste e nel buio mi perdo nel bosco, ma… non scorgo il lumicino lontano lontano di una capanna o di una casetta, rifugio dove approdare e sciogliere le mie consce ed inconsce paure.☺ [email protected] inclusività e coerenza Antonio De Lellis Partiamo dal Chaos, ma siamo diretti al kosmos. È l’impressione netta che ho avuto partecipando alla prima riunione del comitato transitorio de L’Altra Europa per Tsipras svoltasi a Roma alla presenza anche dei territori. A tutti ho espresso la mia valutazione positiva di un incontro fruttuoso e faticosissimo. È stata scritta una pagina importante che ha tenuto conto di tutti e delle opinioni di tutti. Forse si respira eccessiva animosità da parte di alcuni, ma i temi sono stati centrati e i territori ci sono. La grande questione, ragionando in termini politici, è nel rapporto tra inclusività e coerenza. Questo è un tema ampio che ci accompagnerà sempre e che andrà declinato di volta in volta: due binari che non possono fare a meno l'uno dell'altro e che non potranno che stare a stretto contatto. I fautori della coerenza non possono fare a meno dell'imprescindibile fondamento dell'inclusività. E quelli dell'inclusività non possono dimenticare il grande valore e il messaggio della coerenza. Le sfide sono alte e dovremmo munirci di ali, liberandoci delle zavorre interiori. Qui non è in gioco la storia di un partito, ma la costruzione di una biociviltà che consenta ai popoli di riappropriarsi della democrazia. Le grandi questioni a noi più vicine, il rischio Libia, Ucraina, Grecia, esprimono l’idea di “una guerra a pezzettini”. Dentro c’è anche l’Italia con la sua importante manifestazione a sostegno della Grecia. Tutti valutano positivamente la manifestazione “Dalla parte giusta. È cambiata la Grecia, cambiamo l’Europa”, in particolar modo per l’ampiezza delle adesioni sociali e politiche che si sono registrate: dai centri sociali, ai movimenti per l’acqua e alla presenza di associazioni come Attac. Il sostegno alla lotta del popolo greco e del governo Tsipras contro l’ austerità in Grecia ed in Euro- la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 pa è fondamentale. Il Comitato di transizione si impegna a continuare l’iniziativa a sostegno della Grecia con il coinvolgimento del più ampio schieramento di forze possibile. Le vicende che attraversano l’Europa e l’Italia, lo stesso percorso di costruzione della manifestazione, si intrecciano con la domanda del processo costituente della “casa comune”, della soggettività politica alternativa all’austerità, al neoliberismo e alle forze che lo sostengono, qui ed ora. Il Comitato di transizione si impegna per questo a svolgere una serie di incontri - a partire dai soggetti con cui abbiamo costruito la manifestazione - per verificare la disponibilità a promuovere una grande assemblea pubblica da tenersi quanto prima, che possa essere un passo in avanti nella costruzione della “casa comune” e che possa definire alcune campagne su cui connotare immediate e comuni iniziative. Vi chiederete: ma a quando l’alba di un nuovo modo di partecipare anche qui in Molise? Il tutto dipenderà da come le relazioni, che sono prima di tutto personali e poi collettive, supereranno conflitti atavici e da quanto avanzerà la destra populista e emarginante di Salvini. Nessuno sembra rendersi conto del fatto che rischiamo qualcosa di inimmaginabile che sempre più si configura come una guerra di civiltà o meglio una contrapposizione tra una civiltà di vita e una di guerra.☺ [email protected] 21 società neurodiversità i giorni della memoria Valeria Strada* “Dislessia, Disortografia e Discalculia possono essere definite caratteristiche dell’individuo fondate su una base neurobiologica; il termine caratteristica dovrebbe essere utilizzato dal clinico e dall’insegnante in ognuna delle possibili azioni (descrizione del funzionamento nelle diverse aree e organizzazione del piano di Aiuti) che favoriscono lo sviluppo delle potenzialità individuali e, con esso, la Qualità della Vita. L’uso del termine caratteristica può favorire nell’ individuo, nella sua famiglia e nella Comunità una rappresentazione non stigmatizzante del funzionamento delle persone con difficoltà di apprendimento; il termine caratteristica indirizza, inoltre, verso un approccio pedagogico che valorizza le differenze individuali”. Documento PARCC (2011) Un tempo anch’io andavo a scuola ed essendo DSA avevo le mie belle difficoltà. La mia diagnosi in età tardiva mi ha tolto un macigno dalle spalle ma non sempre è così. Che percezione si può avere di Sé dopo una diagnosi di DSA? E che idea ci si può fare rispetto alla rappresentazione che ha la società sui DSA? Che responsabilità noi tecnici abbiamo nel vissuto della famiglia e del bambino? E nel cambiamento culturale? Le nostre diagnosi sono piene di numeri, percentuali, deviazioni standard, dati sui Quozienti Intellettivi, codici. Oltre a dare un profilo funzionale, cosa dice al bambino? Che cosa dice alla famiglia? Che cosa comunica al mondo? In una ricerca condotta da Griffin & Pollak nel 2009 (Dyslexia 15: 23-41) è stato condotto uno studio qualitativo basato sulle esperienze di 27 studenti con DSA. I partecipanti hanno avuto una delle due seguenti concezioni sulla loro identità “neurodifferente”: una concezione in cui la neurodiversità viene vista come una differenza che comprende un insieme di forze e debolezze (caratteristica); una concezione “deficitaria” in cui la neurodivesità è vista come una condizione medica svantaggiosa (disturbo). È stato riscontrato che la prima concezione è associata ad una maggiore ambizione lavorativa nei soggetti, una maggiore autostima ed una maggiore capacità di proiet- 22 tarsi nel futuro. Noi, con il documento diagnostico, possiamo contribuire allo sviluppo di un’identità positiva e a quel cambiamento culturale in cui i nostri bambini crescono. Il tecnico può parlare di un “disturbo” oppure di neuro -varietà e di caratteristica, può specificare che ognuno di noi è diverso dall’altro, che ognuno di noi ha punti di forza e di debolezza. È questo cambiamento culturale la cornice etica in cui noi tutti dobbiamo inserire il nostro lavoro. Spesso assistiamo a numerosi convegni e formazioni per genitori e insegnanti ma poi, dopo qualche giorno, ci accorgiamo che nulla è cambiato soprattutto nella mentalità delle persone rispetto alla diversità. Il concetto di caratteristica porta dentro di sé la speranza che tutti gli individui possono essere riconosciuti per i loro talenti e vedersi abili e capaci, dove i doni sono amplificati e le debolezze ridotte. Il nostro contributo deve avere due finalità: rendere il sistema consapevole delle parole e dei concetti utilizzati e consentire ai ragazzi di costruire un’idea di sé ragionevolmente accettabile. Quindi un ragazzo con DSA vive una condizione esistenziale che richiede un aiuto per la realizzazione dei suoi diritti umani, secondo quanto stabilito dalla convenzione dell’ONU che afferma che lo sviluppo neurologico atipico è una normale differenza individuale che deve essere riconosciuta e rispettata come ogni altra variazione umana. Ognuno di noi parla, cammina, si relaziona, ama e impara in modo diverso. La caratteristica dei dislessici è una difficoltà marcata nei compiti di lettura e a volte di scrittura e di calcolo; tuttavia l'obiettivo degli aiuti non può e non deve limitarsi a favorire lo sviluppo di queste abilità ma favorire lo sviluppo dell'essere, del divenire e dell'appartenere. Le dislessie non sono cose ma persone e dovunque vi siano persone esiste multifattorialità, complessità, diversità. Concludo con una frase del prof. Ciro Ruggerini al quale mi sono ispirata per questa nota: “Dammi una mano a svilupparmi ma non pretendere di trasformarmi in qualcos’ altro” *Psicologa, psicoterapeuta ha un centro privato specialistico per DSA a Termoli (CB)☺ la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 Plumbei giorni del ricordo. Il lager, un negativo sfocato di caseggiati e campi innevati. Si aggira nei pressi una moltitudine di uomini, donne, bambini usciti dalle fosse comuni, ricomposti dalle ceneri dei forni crematoi. Hanno le vesti bianche dei tribolati. Vanno lungo i binari su cui stanziano vuoti i vagoni dei deportati. Guardano dietro il filo spinato i capannoni dov’erano ingabbiati e i camini da cui sfumava la vita. Desolati segni del passato il mucchio di scarpe e le valigie, ricordi del ghetto quando la vita scorreva proficua. Prima che il mondo si accanisse contro. Così la bufera delle leggi ingiuste, del pregiudizio e dell’odio li aveva sradicati e scagliati verso l’olocausto. Ombre dolenti e silenti, ogni anno tornano in questo luogo e ripercorrono l’amaro calvario. Poi in fila, al suono di violini s’avviano nella valle del Riposo dimora di una Pace che mai non finisce. Lina D’Incecco terzo settore Il significato incontrovertibile della parola politica: il potere al popolo. Dalla Carta dei Diritti dell’uomo art. 20-21: “Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti scelti liberamente…” Dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE art. 12, comma 2..! “I partiti politici contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini”. Dalla Costituzione Italiana art.1: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti espressi dalla costituzione”; Art.49: “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”; l’Art.118 riformato pone mano alla deriva partitocratrica e alla crisi dei vecchi gruppi iniziata negli anni 80 (M. Olivetti), introduce il concetto di sussidiarietà che restituisce più ampi poteri alle istituzioni più vicine al popolo: “Lo stato, le regioni, le province e i comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale....”. L’UE stessa nel documento di Laeken 2001 aveva dato grande rilievo e volontà di rilancio alla politica come partecipazione dei cittadini invocando la costituzione del Forum dei cittadini: Empower del dicembre 2006 a Bergamo. L’attuale legge elettorale in Italia è conforme a tali principi? E allora saranno legittimi i risultati che scaturiranno dalla prossima tornata elettorale? Si parla giorno dopo giorno di rivedere il modello in corso. Poi si rinvia l’impegno. Si rilancia la sfida volta all’innovazione e si creano scene di reciproco affronto tra schieramenti politici che non riescono a concertare riforme e leggi volte alla salvaguardia del principio di democrazia segnatamente comunitaria. Chi sta componendo le liste in occasione di elezioni…? Rappresentanza non coincide sempre con Partecipazione. La delega non si democrazia è partecipazione Leo Leone confà ai principi di diritto della persona che è sempre al centro dei documenti citati, a prescindere dal taglio politico di coloro che hanno contribuito a stenderli. Norberto Bobbio ebbe a dire: “… se il popolo può trasmettere questo potere, temporaneamente ad altri, per es. ai suoi rappresentanti, come accade nel sistema parlamentare, non può rinunciarvi e alienarlo per sempre”. Si tratta allora di un diritto/dovere irrinunciabile. Oggi si registra una notevole accentuazione del distacco tra cittadini e politica che, a ben tradurlo, significa “eclissi” della politica in quanto tale. Ma la cosa era partita già negli anni ’80. Qualche anno addietro Ilvo Diamanti parlando dei partiti si permetteva di etichettarli come “burocrati senza società”. La democrazia partecipata crea benessere sociale e promuove sviluppo, riduce lo sperpero delle risorse pubbliche, garantisce il controllo e il rispetto delle regole. E di questi tempi sarebbe opportuno tener conto di tali aspetti che in un momento di crisi generale accentuano le distanze tra potere e popolo, tra governi e cittadini. E non c’è giorno in cui non si riaffacciano su giornali, riviste e televisioni pessime sceneggiate di corruzione che investono anche figure politiche di diversa appartenenza. E vengono meno: costanza che produce cultura, buone prassi, contagio costruttivo, relazioni; non si stempera l’agonismo conflittuale tipico delle lobby partitiche e sempre più scade la dimensione dialogica volta ad alimentare un modello comunicativo alternativo allo stile rissoso che invade ogni angolo della scena politica e dell’intera società. Ne paghiamo il prezzo con un calo accentuato della cooperazione volta alla ricerca del bene comune. Sembrano ormai archiviate le esperienze sviluppate in tutta Italia in comuni anche di ristrette dimensioni: Malpignano (Le): bilancio partecipato, assemblee cittadine, raccolta differenziata, anziani protagonisti; Badolato (RC),Curdolato: integrazione civile, culturale, religiosa, lavorativa, edilizia (corretta e agevolata disponibilità di edifici del centro storico); Gubbio e hinterland: nascita di cooperative edilizie per l’ autorealizzazione di abitazioni per l’emigrazione, bilancio partecipato, cooperazione interculturale e sussidi raccolti attraverso la normativa regionale. La nostra realtà dovrà porsi prossimamente il compito di compiere una rivoluzione democratica fondata sulla sussidiarietà che ponga al centro i cittadini, il territorio e le relative istituzioni e agenzie territoriali per affrontare il futuro. La partecipazione è la strada maestra e non si può invocare solo nel momento in cui si vive la stagione elettorale. I gruppi isolati non hanno peso. Occorre recuperare la logica della rete che raccoglie singoli e gruppi in un contesto aperto al confronto e diretto al confronto aperto con la politica per proporre, suggerire e concordare.☺ [email protected] Via Marconi, 62/64 CAMPOBASSO la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 23 le nostre erbe una pianta millenaria Gildo Giannotti Nella piccola piazza del nostro paese, Bonefro, abbiamo il piacere di osservare da vicino una pianta ormai in via di estinzione: il tasso. Poiché si tratta di una specie dioica, un esemplare femminile si trova nell’aiuola circolare vicino allo zampillo, uno maschile dietro al monumento dei caduti. Molte regioni italiane lo hanno inserito nell’elenco delle specie protette. In Piemonte ne sono presenti due con una circonferenza superiore ai tre metri e mezzo e censiti fra gli alberi monumentali italiani. Altri esemplari si trovano nella Foresta Umbra nel Gargano e in poche altre zone montane, come l’area di Sos Nibberos in Sardegna, popolata da tassi millenari che raggiungono anche un metro di diametro e altezze sui 15 metri. L’habitat ideale per lo sviluppo del tasso è infatti la fascia montana temperata, con clima caratterizzato da inverni nevosi, ma non gelidi, ed estati relativamente tiepide e umide. La pianta del tasso (Taxus baccata) appartiene all’ordine delle conifere e alla famiglia delle Taxacee. Se l’epiteto baccata allude ai frutti, simili alle bacche, il nome del genere deriva dal greco táxos = “freccia”, e l’appellativo di “albero della morte” nasce proprio dal suo impiego nella fabbricazione di dardi velenosi, intrisi con il veleno da esso prodotto, oltre che dal fatto che veniva utilizzato nelle alberature dei cimiteri. Ma già nell’antichità si fabbricavano archi e frecce con il suo legno anche per la sua elasticità, tenacità e resistenza. 24 Il tasso è un albero o arbusto sempreverde molto longevo (può vivere infatti circa 2000 anni) con una crescita inizialmente rapida, poi molto lenta, che può portarlo a superare anche i 20 metri di altezza. I rami si sviluppano fin dalla base del tronco e sono così flessibili che in occasioni di abbondanti nevicate le loro punte si incurvano fino a toccare terra, per riprendere poi la loro naturale posizione allo scioglimento della neve. Le foglie, lineari, persistenti, di colore verde scuro nella pagina superiore, più chiare inferiormente, sono molto velenose. Il frutto, botanicamente un falso frutto, è detto arillo: è una escrescenza carnosa che ricopre il seme. Inizialmente verde, e rosso a maturità, contiene un solo seme, legnoso e molto velenoso; la polpa invece è innocua e commestibile. Gli uccelli mangiano gli arilli, e i semi, dopo aver attraversato intatti il processo digestivo vengono espulsi, originando, a contatto col terreno, una nuova pianta. Pur essendo considerato di scarsa importanza forestale, il legno, duro, pesante e resistente, di color arancio bruno e ben lucidabile, è ricercato per incisioni, sculture e piccoli oggetti. Inoltre viene spesso utilizzato per lavori al tornio e nell’ebanisteria, ma più spesso viene coltivato per uso ornamentale o per formare siepi, perché tollera la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 molto bene le potature. Già 5000 anni fa veniva utilizzato dall’uomo per la costruzione di archi, come dimostrano i ritrovamenti avvenuti sulle Alpi nel 1991. Infatti l’arco della famosa mummia di Similaun, conservata al Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano, era costruito proprio con i rami del tasso. A causa della velenosità sia per l’uomo sia per il bestiame (in tutte le sue parti tranne che nella polpa del frutto), questa pianta è stata sempre accompagnata da una cupa fama, che si rispecchia, come già detto, nel nome “albero della morte”, e per questo è stata sempre estirpata dai pastori. La sua velenosità è leggendaria: ne parla anche Giulio Cesare nel De Bello Gallico a proposito di un capo celtico (Catuvolco), il quale, piuttosto che arrendersi alle legioni romane, preferì togliersi la vita con il tasso. È inoltre ampiamente documentata nella letteratura. Nell’Amleto di Shakespeare, il padre del protagonista viene ucciso dal fratello proprio con questo veleno. Ancora un omicidio col veleno del tasso è alla base di uno dei racconti più famosi di Agatha Christie, Una tasca piena di avena. Tutte le parti della pianta contengono tassina, una miscela di alcaloidi terpenici tossica per il cuore. Vari sono stati i casi di avvelenamento di animali domestici di grossa taglia. L’avvelenamento umano riguarda essenzialmente l’ingestione volontaria delle foglie a scopo suicida. Poche manciate di foglie sono letali e non esistono antidoti specifici. Ma negli anni Novanta, il tasso, simbolo di morte, è stato rivalutato dalla ricerca farmaceutica grazie al tassolo, un diterpene presente nella corteccia di una specie di tasso americano, utilizzato per il trattamento del tumore al seno.☺ [email protected] le nostre erbe il ligustro Gildo Giannotti Il ligustro (Ligustrum vulgare var. italicum), della famiglia delle Oleacee, è un altro albero di cui sono presenti diversi esemplari nella piazza di Bonefro. Pianta molto docile, che i giardinieri foggiano nelle più svariate forme, viene coltivata soprattutto a scopo ornamentale, lungo i viali o nei giardini e nelle piazze delle città, dal mare alla collina. Piccoli alberelli o grandi arbusti, i ligustri sono presenti in Italia anche allo stato selvatico. In piena terra si dimostrano molto vigorosi e rustici, non temono il caldo né il freddo, e in genere si accontentano dell’acqua fornita dalle precipitazioni. Nelle zone con clima invernale mite, tendono a rimanere sempreverdi; quando invece il clima inverna- dono Madre, ora che mi sei figlia, dal tuo esilio lontano guardi e trabocchi l’impossibile. Non so da che profondo lago affiorano le parole che mi rimbalzano addosso come un’eco di dolci pensieri, ma accetto il tuo dono come il prodigio sublime di un giorno d’autunno e lascio che la terra sbocci così bagnata di pianto. Dalla raccolta Risonanze di Lia Serafini 2° premio sez.B concorso di poesie 7a edizione 2014 I segreti dell’animo organizzato dall’Associazione culturale Nuova Arcobaleno di San Martino in Pensilis. le diviene rigido, perdono tutto o gran parte del fogliame. Al ligustro coltivato in vaso viene data la classica forma ad alberello, a palla. Ma non va dimenticato che tra le siepi sempreverdi più usate vi è certamente quella di ligustro, che ha una crescita più lenta rispetto alle altre, ma presenta il vantaggio di non richiedere cure o attenzioni eccessive. Nei giardini e nei parchi delle città, inoltre, la siepe di ligustro svolge la preziosa funzione di assorbire i gas di scarico e le polveri inquinanti. Il genere Ligustrum comprende oltre quaranta specie, quasi tutte originarie della Cina e del Giappone. Quello sopra citato è la varietà dall’aspetto più ornamentale, con foglie persistenti, opposte nella disposizione sul ramo, dal picciolo corto, di spessore piuttosto consistente, acute all’apice e a margine intero, di color verde intenso, lucido superiormente e un po’ più chiaro ed opaco nella pagina inferiore. Ma sono da ricordare anche il L. lucidum, il L. ovalifolium e quello japonicum. Quest’ultimo è caratterizzato da foglie larghe, talvolta macchiate di giallo o di bianco, leggermente acuminate e da infiorescenze a pannocchia, grandi e con fiori piccoli e verdastri. Nel mese di maggio la pianta si ricopre di una fioritura veramente ricca e i fiori, piccoli, numerosi e riuniti in pannocchie giallo paglierino, emanano un profumo così intenso, che per qualcuno può risultare sgradevole. I frutti sono delle piccole bacche, che diventano nero-bluastre a maturità e rimangono sulla pianta fino ad inverno inoltrato. Esse sono velenose per l’ uomo, anche se un tempo, nella medicina popolare, si usavano come lassativi. Per la loro tossicità si raccomanda di impedire la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 ai bambini di raccoglierle e mangiarle; sono tuttavia molto gradite agli uccelli. Come i fiori, anche il legno emana un odore molto intenso. I rami sono flessibili ed infatti il nome del genere Ligustrum deriva dal latino ligare, proprio per la flessibilità dei rametti usati dai canestrai o nelle campagne come legacci; l’aggettivo vulgare si deve al fatto che è molto comune. Per quanto riguarda gli usi, dalla corteccia si estrae un colorante giallo, e dalle bacche si ottiene un inchiostro violetto e un colorante usato per rendere i vini più vivi. Sempre dai frutti si ricava una sostanza utile per tingere di nero i capelli. L’olio di ligustro si usa tuttora per frizioni contro dolori e in particolare per combattere la cellulite. I fiori, insieme ad altre piante deodoranti e rinfrescanti come timo e salvia, vengono utilizzati per pediluvi e per risanare la pelle macerata dal sudore. Le foglie servono a preparare gargarismi efficaci contro le affezioni croniche della bocca e della gola, specie dei fumatori.☺ [email protected] i nostri errori Questa pagina nel numero scorso annunciava un articolo di Gildo Giannotti praticamente inesistente. Lo riproponiamo nella pagina precedente, scusandoci con l’autore e i lettori. 25 etica ricchezza immorale Silvio Malic La melodia del silenzio di Rosalba Manes passa in rassegna, con occhi e cuore di donna, le poche e scarne pericopi evangeliche in cui appare la figura di Giuseppe. Nel testo risaltano due note caratteriali dell’uomo scelto da Dio per essere il padre del suo Figlio unigenito: la sobrietà e la discrezione, doti di cui avvertiamo tutti profonda nostalgia e desiderio, in un tempo di eccedenze e protagonismi in cui la parola si è sfibrata e si è mutata in frastuono. Il testo coglie il ruolo fondamentale di Giuseppe nella vita di Gesù, nella sua crescita come uomo, come membro del popolo di Israele e come ebreo praticante, ma coglie anche il suo apporto alla storia della salvezza e offre un contributo volto a illuminare i tratti della paternità umana alla luce di quella divina e i tratti del maschile nella reciprocità col femminile. Il libro si articola in nove capitoli, come a scandire il tempo di una novena, e a suggerire che la Parola si legge pregando e che la preghiera si vive attraversando le pagine della Scrittura per abitarle. Realizzato come testo di formazione su richiesta dei Padri Giuseppini del Murialdo, presso il cui Istituto teologico San Pietro di Viterbo l’Autrice ha insegnato alcuni anni, il testo appare oltre che nella versione originale in lingua italiana anche nelle traduzioni nelle altre lingue principali della Congregazione: cioè in spagnolo, portoghese e inglese. La melodia del silenzio ci ricorda che il silenzio che nasce dalla comunione con Dio e con gli altri parla più delle parole, custodisce gesti e scelte pregnanti che incidono sui percorsi della storia, ed è l’atmosfera in cui maturano quelle parole autentiche che danno la vita e fanno crescere. (Per ordinare il libro telefonare o scrivere in casa generalizia dei Giuseppini del Murialdo, Roma: 06 6242851 - [email protected]) 26 La speculazione - di cui si parla di continuo - consiste nel trasferire parte della propria disponibilità economica da altri possibili usi a una collocazione da cui ci si attende a breve termine un profitto maggiore. È dunque un’allocazione di ricchezza disponibile fondata su una previsione (speculazione) e quindi sempre con un certo margine di rischio, e mirata a incrementare al massimo possibile la propria ricchezza in tempi brevi o brevissimi. Ciò è reso possibile dalla comunicazione tramite computer e rete: oggi è possibile avere informazioni in tempo reale su allocazioni di ricchezza in tutto il mondo e sulla previsione dei relativi profitti (incremento di ricchezza), ed è possibile allocare ricchezze sempre in tempo reale e cambiare poi rapidamente allocazione. Superbia delle ricchezze Nella Scrittura e nella tradizione teologico-morale cristiana è condannato severamente il peccato di usura. Spesso si è considerato l’investimento come una forma di prestito a interesse, e quindi assimilabile all’usura, ma a torto. L’usuraio, o altre forme più moderne ma simili, dà in prestito a chi è nel momento del bisogno, in strettezze permanenti o momentanee, e impone scadenza e saggio di interesse sfruttando la debolezza di chi chiede. Nell’investimento invece non si fa un prestito, ma si partecipa al capitale di un’impresa per partecipare poi a una proporzionata quota degli utili. Inoltre nell’investimento il controllo delle eventuali scadenze e del saggio di interesse è determinato da chi riceve il denaro, non da chi lo dà. Ma la speculazione è un’altra cosa ancora, e del tutto diversa. In essa uno dà denaro al solo scopo di averne di più: non partecipa se non formalmente al capitale e ai suoi rischi, ma vuole esclusivamente avere di più entro breve termine (spesso pochi giorni o anche ore). Il grande tema di morale economica nel Vangelo non è il settimo comandamento ‘non rubare’. Lo è stato, purtroppo, in tutti i testi di teologia morale fino a tempi postconciliari. Il grande tema è ‘non la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 cercare di arricchirsi’ nel senso preciso di cercare di aver di più perché è di più; la ricchezza e la sua ricerca viste come fine in sé. Per il cristiano l’unico fine in sé, da perseguire in ogni circostanza, è il Signore e il suo Regno. Ricordiamo il cap. 16 di Luca. A commento della parabola dell’amministratore infedele il Signore contrappone una ricchezza iniqua alla ricchezza ‘vera’, una ricchezza non vostra (altrui) alla ricchezza ‘vostra’: Dio solo è la ricchezza per il cristiano. Irriso dai farisei (i potenti), Gesù risponde: “Grande davanti agli uomini, abominevole davanti a Dio”. Parole terribili, da applicarsi senza esitazione ai grandi della terra e specialmente ai più grandi, del mondo o di un singolo Stato. Non è necessariamente peccato essere ricchi: è invece sempre peccato non mettere la propria ricchezza a servizio del Regno, cioè dei tanti miseri della terra. Paolo pone nei suoi elenchi di peccati per i quali si è esclusi dal regno sia l’avidità che l’avarizia (l’unico termine greco ‘pleonexia’ può indicare tutte e due le cose a seconda del contesto); la voglia di aver di più e la voglia di tenerselo per sé escludono dunque dal regno. E nella prima lettera di Giovanni “la superbia delle ricchezze” (la traduzione CEI - la superbia della vita - è sbagliata) esclude dall’amore del Padre. Considerare le ricchezze come bene in sé, desiderabile per se stesso, è dunque idolatria come dice Paolo nella lettera ai Colossesi a proposito della pleonexia. Speculazione (o gioco in borsa, che poi sono la stessa cosa) sono da considerarsi gravi peccati. Proprietà e denaro Il ‘non rubare’, che ha ipnotizzato tutti i trattati di morale economica, è solo un caso particolare di questo peccato, con l’aggravante del danno e della violazione di diritti socialmente riconosciuti dell’altro. Ma si stia bene attenti: il ricco ha il dovere (di giustizia) di dare il necessario al povero, e se non lo fa (“si tamen”, dice San Tommaso) e il povero gli prende il necessario per vivere, il povero non commette furto perché quello che prende era già suo. Tale è la dottrina di San Tommaso, coerente con tutti i Padri della Chiesa e soprattutto col Vangelo. Le ricchez- etica ze non sono mai un fine in sé, ma sono uno strumento per l’unico scopo della nostra esistenza: che venga il Regno, una comunità fatta di fraternità, di pace, di condivisione e non di sopraffazione o disprezzo del misero. Il diritto di proprietà come naturale, sacro e inviolabile, - come lo concepiamo noi oggi è maturato nella teologia morale solo a partire dal XVI/XVII secolo. Per i Padri della Chiesa il rubare e il non dare a chi ha bisogno sono lo stesso peccato. Il diritto di proprietà, come lo si intende oggi, nasce da regole generate nella gestione della convivenza, “ex humano condictu”, ed è sempre sottoposto e finalizzato al bene della comunità. Più o meno negli stessi secoli, una nuova visione della ricchezza astratta - del denaro - è diventata dominante: dopo la prima industrializzazione la costruzione di macchinari e di impianti richiese capitali enormi concentrati in poche mani. Divenne così accettata come ovvia l’idea che la ricchezza (denaro) non serve solo a comprare beni utili, ma serve a produrre nuova ricchezza. Questa nuova ricchezza non viene tutta spesa per nuovi acquisti: una parte sempre maggiore per chi è già ricco serve a produrre nuova ricchezza, e così all’infinito. Vera idolatria Grazie soprattutto ai nuovi mezzi di comunicazione, oggi il mondo della finanza è praticamente indipendente da quello della produzione. Il legame sussiste ancora: senza finanziamenti non si produce. Ma le grandi finanziarie planetarie muovono i capitali disponibili dove più loro conviene. Un tempo si investiva in imprese che producessero con qualità migliore e a prezzi concorrenziali. Oggi le grandi finanziarie vere, quelle cioè che controllano le altre di grado inferiore e le banche, hanno davanti a sé tutto lo spettro dei possibili investimenti nel mondo, sono in mano privata e traggono il loro profitto muovendo capitali sempre nel senso nuova apertura della massimizzazione del profitto privato che da questi movimenti sperano di ottenere. Possono perciò lasciare o far cadere una impresa anche ottima in favore di altre per motivi geopolitici (p. es. sostenere le finanze di un Paese alleato), o per deprimere l’economia di Paesi concorrenti (basta operare sulle valute: mettendo in crisi le aziende si può mettere in crisi un sistema bancario), o con mille altri scopi e modi. Ormai questo è un dogma. Deve avvenire a qualunque costo: salari di fame, licenziamenti, lavoro minorile etc. senza alcun riguardo ai grandi problemi della fame e della miseria della famiglia umana. Ciò a lungo terframmenti di saggezza mine produce drammi sociali ed economici, ma il lungo termine a loro non interessa. In sintonia con il Vangelo e la più viva Sembra veramente indicata per questo 8 marzo, giornata tradizione cristiana, si internazionale delle donne, la commovente storia di Maud Chifamba. deve ritenere che ogni La rivista statunitense Forbes l'ha segnalata tra le cinque giovani forma di speculazione o donne più influenti d'Africa. Testimonial della federazione internadi gioco in borsa - per zionale “Terres des Hommes” per la difesa dei diritti dei bambini, sta come oggi funziona - sia ricevendo numerosi premi, dall'Africa alla Gran Bretagna, da Roma a complicità o inavvertita Dubai. cooperazione con l’ idoA soli 14 anni Maud è stata la più giovane studentessa latria, col male assoluto universitaria africana, pur essendo orfana di entrambi i genitori e pur in radicale opposizione provenendo da una realtà rurale poverissima, quella del centro nord con l’annuncio evangelidello Zimbabwe. Si svegliava alle cinque del mattino, in una camera co. Per esser fedeli al dove dormivano altre tredici persone, e percorreva a piedi sette km su Vangelo i cristiani assustrade dissestate e impraticabili durante la stagione delle piogge. Ad mano il coraggio di attenderla, una scuola non degna di questo nome, senza banchi, senza schierarsi uniti a tutti gli sedie, senza tetto. “Ce l’ho fatta grazie al mio amore per lo studio - ha uomini di buona volontà raccontato Maud - perché le difficoltà sono state tantissime”. con cui condividono la Ma il motivo per cui Maud è oggi più orgogliosa è il fatto sofferenza della famiglia di rappresentare un modello e una speranza per tante ragazze che umana. all’istruzione non possono accedere. Ragazze il cui destino è spesso Oseranno metquello di doversi sposare a 13 o 14 anni. O peggio, di finire sfruttate e tersi in crisi i “cristiani vittime di abusi. L’istruzione è per loro l’unica possibilità di cambiare occidentali” del nord, tale destino. Per questo Maud ha chiesto di poter portare la sua testipromotori di tale sistema monianza e la voce di milioni di ragazze che vivono in contesti di iniquo? ☺ povertà come il suo all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si terrà a New York a settembre, e nel corso della quale sarà stilata l’agenda dello sviluppo post 2015. Chiede che la loro istruzione diventi prioritaria per la Comunità internazionale e che venga inserita tra i nuovi obiettivi di sviluppo di qui al 2030. L’istruzione delle ragazze deve essere tra questi obiettivi. Perché, come diceva nella sua ormai leggendaria saggezza Nelson Mandela, premio Nobel per la Pace nel 1993, “l’istruzione è l’arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo”. Filomena Giannotti l’arma più potente 86043 CASACALENDA (CB ) - C.so Roma, 93 - Tel. 0874.844037 la fonte febbraio marzo 2005 2015 la la lafonte fonte fontegennaio gennaio marzo 2005 [email protected] 27 sisma caro frattura Domenico D’Adamo Nella serie dedicata alle dichiarazioni programmatiche pronunciate dal presidente Frattura nella fatidica sera di maggio di due anni orsono, non abbiamo ancora trattato del tema “ricostruzione post sisma”, nonostante le sollecitazioni dei nostri lettori. Non lo abbiamo fatto per dimenticanza ma più semplicemente perché non c’era nulla da raccontare. Dopo dieci anni di fallimenti, di cattivi ricordi, di inciuci, ci saremmo aspettati, non dico le scuse delle istituzioni ai terremotati che ancora vivono nelle baracche ma almeno una qualche spiegazione, una giustificazione, un impegno, un “faremo”, come di prassi: niente, non una sola parola sul terremoto. Nel silenzio assordante di maggioranza e opposizione, una sorta di bolla di sapone dove tutti gli interessi si ricompongono, qualcuno, quella sera, tra i banchi del pubblico, rivolto al presidente gli sussurrò la parola terremoto, lui sorrise e garbatamente ringraziò per quello che aveva ritenuto un apprezzamento. In realtà per tutti fu chiaro, oratore compreso, che non si trattava delle lusinghe di un ammiratore ammaliato dall’eloquio dell’oratore ma dell’invito a parlare dei problemi irrisolti della ricostruzione. Il governatore non si fece travolgere dall’entusiasmo, parlare delle tragedie causate dal terremoto in 28 quella memorabile sera di maggio gli sarà sembrato di cattivo gusto, e alla realtà tragica preferì il racconto della favola. L’evento che ha cambiato il destino di migliaia di persone nelle zone interne del Molise centrale non aveva lasciato alcun segno nella memoria del presidente Frattura, né abbiamo trovato indizi riconducibili alla risoluzione del problema nelle sue dichiarazioni programmatiche approvate, senza modifiche, dalla maggioranza di centro sinistra. Non hanno fatto nulla quando erano “contro” Iorio, a parte qualche scaramuccia sulla natura dell’ARPC, beghe di potere senza sostanza, si preparavano, ora che erano maggioranza, ad ignorare il problema. A distanza di due anni dall’ insediamento in consiglio regionale, bisogna riconoscere, sono stati di parola. L’unico punto del programma sul quale non hanno cambiato idea è appunto l’assenza di un impegno sulla ricostruzione post terremoto: non c’era nel programma di governo, non c’è nell’azione di governo. Il partito della nazione ha cambiato idea sulla realizzazione dell’Autostrada, sostituendola con la metropolitana leggera di Matrice; sulle dismissioni delle società partecipate della regione, ancora tutte di proprietà della stessa; sui presidi della sanità, tutti meritevoli di esistere quando a gestirli sono gli altri, sul terremoto sono invece rimasti fedeli agli impegni non presi. In quella particolare occasione e anche dopo, avremmo preferito sapere quali sono stati i problemi che hanno impedito ai terremotati di fare rientro nelle loro abitazioni dopo dodici anni e perché gli stessi non sono stati rimossi. Purtroppo, il presidente Frattura, quando incontra i suoi interlocutori politici ama iniziare il suo intervento con un ritornello: “non parliamo del passato, ma solo del presente e del futuro” e così, il suo interlocutore, che deve farsi perdonare tante cose, accetta senza riserva alcuna di farsi condonare tutto, con il risultato che a fare le spese del loro fair play siamo sempre noi, i destinatari delle loro decisioni. Caro presidente capisco che lei abbia un passato politico imbarazzante e non ami parlarne, ma fare politica igno- la la fonte marzo 2005 2015 lafonte fonte febbraio gennaio gennaio marzo 2005 2005 rando il passato - tutto ciò che è accaduto, quali sono le vittime rimaste sul terreno, chi le ha causate - non aiuta a costruire un futuro né migliore né peggiore. Noi, intanto, visto che lei non l’ha fatto e non intende farlo, ci limiteremo a dirle cosa avremmo voluto ascoltare: ci sono circa 800 sottoprogetti di classe A su 1266 che attendono da dodici anni di essere finanziati con soldi veri e realizzati con calce e mattoni. Lei, sig. presidente, in un incontro con i baraccati di Bonefro, mosso da una forte spinta emotiva è giunto a minacciare, un po’ Tsipras un po’ Grillo, di non rispettare i vincoli imposti dalla legge di stabilità pur di trovare una soluzione al problema. Non le chiediamo di suicidarsi, ma è così difficile risparmiare un po’ di soldi per finanziare autonomamente la ricostruzione? Invece di affidarsi agli improbabili parlamentari indigeni che tutti insieme valgono la modica cifra di 15 milioni di euro e centinaia di comunicati stampa in due anni di attività pro terremotati, perché non si impegna a costruire una proposta credibile da offrire a chi vive lo stesso dramma in altre regioni italiane? Non vuole saperne del passato, ma ha mai chiesto ai suoi collaboratori a cosa sono serviti quei due miliardi di euro registrati sotto le generiche voci di ricostruzione e ripresa produttiva? Avrebbe scoperto che anche in questa vicenda ci sono tante vittime che chiedono giustizia, non oblio. Si è chiesto ancora, presidente, perché gli oltre 500 milioni di euro assegnati alla regione per la ricostruzione in fascia A non sono più sufficienti a risarcire gli sventurati in egual misura? Se solo qualcuna di queste domande l’avesse inquietata, avrebbe scoperto che indagare il passato aiuta a comprendere gli errori commessi da chi l’ha preceduta, oltre che a indicare il percorso attraverso il quale le tante vittime lasciate per strada possano finalmente avere giustizia, in buona sostanza possano diventare più uguali agli altri. La ricostruzione è praticamente ferma da anni e in tutto questo grande pasticcio lei, presidente, rischia di essere ricordato, non per aver dato velocità al processo di ricostruzione ma per aver rimosso il dirigente della protezione civile sborsando, con soldi nostri e non suoi, due stipendi per un solo posto - della serie paghi due e ne prendi uno oltre che per aver coperto le nefandezze del passato. ☺ [email protected]