Rassegna Stampa N 78
27/07/2010
Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la
mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'e' nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi.
È il nostro modo sbagliato di comportarci. Rita Atria (4 settembre 1974-26 luglio 1992)
La Omsa chiude e va in Serbia 350 dipendenti restano a casa da Unità.it
Allarme del Viminale, progetti di attentati a Palermo di Maria Loi
Vogliono imbavagliare (anche) la Rete di Guido Scorza
Wikileaks svela il “disastro” della guerra americana in Afghanistan
di Redazione Il Fatto Quotidiano
Wikileaks pubblica i segreti Usa, “Una lezione per l’Italia, la stampa controlli il potere”
di Luigi Franco
P3: Tutti i manager del Carboni di Monica Centofante
Il rettore sogna da politico e si fa una legge ad personam per prolungarsi il mandato
di Gaetano Pecoraro
Economia, cronaca, svago, sport e politica ecco come B. imbavaglia l’informazione
di Redazione Il Fatto Quotidiano
Csm senza politica di Marco Travaglio
A Roma non hanno fretta di indagare su B. di Marco Lillo
Romani, l’uomo della Brianza al servizio di B. per risolvere gli affari che scottano
di Davide Vecchi
E' ignobile usare in senso dispregiativo il termine ''Spatuzzisti'' di Maggiani Chelli
Nucleare, come si calcola un costo eterno? di Giulietto Chiesa
Quelle stragi sul “continente” che nessuno fermò. Firenze, Milano e Roma 1993
Di Giovanni Vignali
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La Omsa chiude e va in Serbia 350 dipendenti restano a casa da Unità.it
La Golden Lady Company, proprietaria dello stabilimento Omsa di Faenza (Ravenna) - di cui è
stata decisa la chiusura con il licenziamento di 350 dipendenti, in gran parte donne - ha
formalizzato un accordo con il ministro dell'Economia serbo per l'apertura di uno stabilimento
in Serbia, il terzo del gruppo nella regione. Lo ha reso noto la Filctem-Cgil di Faenza, che ha
protestato perchè i sindacati hanno incontrato la proprietà il 20 luglio ma nessuno li ha
informati.
«Abbiamo appreso di questo accordo dai giornali locali», ha spiegato Samuela Meci della
Filctem-Cgil faentina, indignata perchè «a questo imprenditore è stato permesso di chiudere
un'azienda italiana di 350 persone senza che nessuno, soprattutto il ministero, abbia posto dei
vincoli e fatto richieste a tutela della forza lavoro in Italia».
La Cgil se la prende anche con le istituzioni locali e la Regione che «avrebbero dovuto puntare
i piedi», ha sottolineato Ildo Cigarini. Ora, finita la processione dei politici che in campagna
elettorale sono andati a fare visita alle lavoratrici in lotta davanti allo stabilimento di Faenza,
resta la cassa integrazione per cessazione di attività per i 350 dipendenti. Ma se a marzo del
prossimo anno almeno il 30% non troverà una ricollocazione, la cig cesserà per tutti. E, al
momento, nonostante la ricerca di possibili nuovi acquirenti o di una riconversione del sito
faentino, non si intravedono altre possibilità. «Penso che sia necessario che tutti comincino a
prendere posizioni forti contro le aziende che nei loro 'piani strategicì decidono una
delocalizzazione così forte da mettere a rischio i posti di lavoro in Italia», ha affermato
Samuela Meci.
Intanto, le macchine che sono state portate fuori dallo stabilimento di Faenza, secondo i
sindacati finiranno in parte nell'impianto di Mantova e in parte nella nuova fabbrica in Serbia. Il
gruppo, che fa capo all'industriale mantovano Nerino Grassi, detiene marchi prestigiosi come
Omsa, Golden Lady, Sisì, Philipe Martignon, Filodoro. Tra i leader mondiali del settore conta
7.000 dipendenti e, al momento, 15 stabilimenti, 9 in Italia, 4 in Usa e 2 in Serbia, che presto
diventeranno tre.
27 luglio 2010
http://www.unita.it/news/economia/101735/la_omsa_chiude_e_va_in_serbia_dipendenti_restano_a_casa
Allarme del Viminale, progetti di attentati a Palermo di Maria Loi
26 luglio 2010
Palermo. Un’informativa inviata dal Viminale ai vertici della sicurezza a Palermo mette in
allerta sulla possibilità di nuovi progetti di attentati da parte di Cosa Nostra.
Potenziate nel capoluogo siciliano le misure straordinarie di controllo su alcuni edifici
istituzionali tra cui il Palazzo di Giustizia e la sede della Squadra Mobile.
Secondo quanto si legge su Repubblica di ieri, l’allarme sarebbe scattato in seguito a voci
raccolte in alcune carceri italiane. Cosa Nostra decimata dagli arresti e alla ricerca di nuovi
capi starebbe pensando a una nuova stagione di terrore.
Le informazioni che arrivano dalle carceri parlano di summit che si sarebbero svolti a Palermo
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ai quali, secondo radio carcere, avrebbe partecipato anche il superlatitante Matteo Messina
Denaro, capo indiscusso della mafia trapanese, o un suo delegato. E in una riunione in
particolare si sarebbe discusso dei progetti dei boss emergenti; anche se, sempre secondo radio
carcere, il padrino trapanese sarebbe contrario all’apertura di una nuova stagione di bombe.
“Il leone ferito può essere più pericoloso perché capace di dare zampate o colpi di coda
pesanti. La delicatezza della situazione esige il silenzio più assoluto. È ovvio, comunque, che
quando parliamo di obiettivi sensibili indichiamo sia strutture che persone”. Ha dichiarato ai
microfoni del Tg Sicilia della Rai il questore di Palermo, Alessandro Marangoni.
La nota del ministero degli Interni, ora al vaglio degli inquirenti, trova conferma negli ambienti
della Procura di Palermo che sta valutando gli elementi finora raccolti dagli investigatori, in
particolare dal Ros dei Carabinieri.
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/29919/78/
Vogliono imbavagliare (anche) la Rete di Guido Scorza
26 luglio 2010 - Il nostro Premier non ama la Rete e questo non è né un mistero né una notizia.
Perché mai, d’altra parte, il Signore dell’oligopolio dell’informazione italiana ed il Re del
TELE-COMANDO dovrebbe guardare anche solo con interesse ad uno strumento come la Rete
che consente a chiunque di dire la sua a pochi click di distanza dal sito internet di RAI UNO
che pubblica i video promo del prode Minzolini?
In un mondo che guarda al web – eccezion fatta per qualche regime totalitario – come ad una
straordinaria risorsa democratica ed ad un diritto fondamentale dell’uomo e del cittadino, la
radicale assenza, da parte di questo Governo, di qualsivoglia politica dell’innovazione è di per
sé un fatto preoccupante.
Difficile sentirsi sereni e cittadini di un Paese moderno quando il Sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio, Gianni Letta – mentre il resto d’Europa investe milioni di euro per
promuovere la diffusione della banda larga per uscire dalla crisi – ti dice che noi investiremo in
banda larga solo dopo che – non è dato sapere come – saremo usciti dalla crisi o, piuttosto,
quando il Ministro dell’Innovazione nel promuovere un progetto vecchio di cinque anni e antiinnovativo come la PEC, destinata a far la gioia solo di Poste Italiane aggiudicataria – non certo
a sorpresa – di una concessione da 50 milioni di euro l’anno, lo battezza “la più grande
rivoluzione culturale mai prodotta in questo Paese” nonché “la migliore riforma italiana dal
dopoguerra ad oggi” .
Negli ultimi mesi, tuttavia, sta accadendo qualcosa di più.
C’è un disegno nel Palazzo che ha per obiettivo quello di imbavagliare anche l’informazione
libera online e consegnare la Rete nelle mani dei Signori dell’informazione di un tempo perché
la utilizzino come una grande TV.
Nessuna teoria complottista ma solo l’analisi dei fatti.
L’ormai celebre – nel senso dello strangolatore di Boston e non certo di un premio nobel per la
pace – DDL intercettazioni, tra le tante disposizioni liberticida, contiene un art. 29 che estende
a tutti i gestori di siti informatici – e dunque all’intera blogosfera italiana – l’obbligo di rettifica
previsto dalla vecchia legge sulla Stampa datata 1948 e scritta dai padri costituenti quando
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Internet non esisteva neppure nell’immaginario degli scrittori di fantascienza.
All’indomani dell’approvazione del DDL, se un blogger ricevuta una richiesta di rettifica non
provvederà entro 48 ore sarà passibile di una sanzione pecuniaria fino a 12 mila e 500 euro: una
pena accettabile per un editore tradizionale ma di gran lunga superiore agli utili di un lustro di
uno dei tanti blog che popolano la blogosfera italiana, garantendo quell’informazione libera che
solo pochi giornali e poche TV hanno potuto e saputo sin qui assicurare.
Il malcelato obiettivo perseguito dal Palazzo con questa disposizione, ancora una volta, non ha
niente a che vedere con la tutela della privacy dei cittadini e risponde, piuttosto, alla finalità di
disincentivare i non professionisti dell’informazione ad occuparsi di informazione in modo tale
che, anche nell’era di internet, l’informazione, in Italia, possa essere controllata esercitando
pressioni politiche ed economiche su un numero quanto più limitato possibile di persone.
Nei giorni scorsi due emendamenti al comma 29 dell’art. 1 del DDL intercettazioni presentati,
in Commissione Giustizia alla Camera, al fine di “ammorbidire” l’impatto della disposizione
sull’ecosistema Internet, sono stati, addirittura, dichiarati – del tutto inspiegabilmente –
inammissibili dal Presidente, Giulia Bongiorno .
La Rete ha reagito con una lettera aperta indirizzata al Presidente Fini ed a tutti i deputati
italiani, ma, naturalmente, le chance che il testo del comma 29 venga modificato nella
discussione in aula appaiono prossime allo zero.
Frattanto – ed è proprio questa coincidenza e sovrapposizione di eventi a non consentire più di
giustificare quanto sta accadendo sulla base del fatto che il Palazzo sia abitato da dinosauri che
non conoscono la Rete – l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato,
nell’ambito di una consultazione pubblica, gli schemi di due Regolamenti volti a disciplinare la
diffusione di contenuti audiovisivi a mezzo internet in ossequio all’ormai famoso Decreto
Romani.
Tutte le web tv ed i video blogger italiani, in forza degli emanandi regolamenti, dovranno
chiedere all’Agcom un’autorizzazione – o almeno indirizzarle una dichiarazione di inizio
attività -, versare 3000 euro per il rimborso delle spese di istruttoria (quali?) e, soprattutto,
finiranno assoggettati, tra gli altri al solito obbligo di rettifica, sempre entro 48 ore e sempre
sotto la minaccia di una sanzione fino a 12 mila e 500 euro .
L’obiettivo dell’ultimo scellerato progetto di Palazzo sembra evidente: ora che il Cavaliere si
accinge a sbarcare in Rete avendone forse, almeno, subodorato le enormi potenzialità, la vuole
tutta per lui, per i suoi amici e per i soli suoi nemici che ha, comunque, la garanzia di poter
controllare almeno in termini economici.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/26/vogliono-imbavagliare-anche-la-rete/44067/
Wikileaks svela il “disastro” della guerra americana in Afghanistan
di Redazione Il Fatto Quotidiano
26 luglio 2010 - Pubblicati 75mila documenti segreti del Pentagono che provano uccisioni di
civili di cui non si sapeva nulla e legami tra i servizi segreti pakistani e i talebani
Un disastroso fallimento. Questo il ritratto della guerra in Afghanistan che emerge dai
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documenti segreti del Pentagono pubblicati da Wikileaks, secondo cui tra le carte “potrebbero
esserci le prove di crimini di guerra”.
Civili morti e di cui non si è mai saputo nulla, un’unità segreta incaricata di “uccidere o
catturare” talebani senza alcun processo, i droni Reaper telecomandati a distanza da una base
del Nevada, l’escalation della campagna talebana con le mine nascoste (che finora ha causato
almeno 2.000 vittime civili), la collaborazione tra i servizi segreti pakistani e i talebani, il ruolo
dell’Iran: alla divulgazione delle informazioni hanno collaborato il New York Times, il
Guardian e Der Spiegel, a cui i documenti sono stati consegnati da Wikileaks. Per ora sono stati
diffusi 75mila rapporti degli oltre 90mila a disposizione del portale Internet creato proprio per
pubblicare carte riservate: coprono sei anni di Guerra in Afghanistan, dal gennaio 2004 al
dicembre 2009, sia sotto l’amministrazione Bush che quella Obama. Si tratta della maggiore
fuga di notizie della storia militare americana, da cui emerge un’immagine devastante di quello
che è effettivamente successo in Afghanistan
La Casa Bianca ha condannato con forza la pubblicazione del materiale riservato: “Può mettere
a rischio – ha detto il consigliere per la sicurezza nazionale di Barack Obama, il generale James
Jones – la vita degli americani e dei nostri alleati, e minacciare la nostra sicurezza nazionale”.
Ancora più dura la reazione del Pentagono, che ha definito lo scoop “un atto criminale”.
Indispettito anche l’ambasciatore del Pakistan negli Stati Uniti, Husain Haqqani, che ha
definito “irresponsabile” la pubblicazione del materiale riservato. Tra le carte emerge, tra
l’altro, che “il Pakistan, ostentatamente alleato degli Stati Uniti, ha permesso a funzionari dei
suoi servizi segreti di incontrare direttamente i capi talebani in riunioni segreti per organizzare
reti di gruppi militanti per combattere contro i soldati americani, e perfino per mettere a punto
complotti per eliminare leader afghani”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/26/wikileaks-svela-il-disastro-della-guerra-americana-inafghanistan/44424/
Wikileaks pubblica i segreti Usa, “Una lezione per l’Italia, la stampa controlli il potere”
di Luigi Franco
26 luglio 2010 Maurizio Viroli, docente alla Princeton University, commenta la divulgazione
dei documenti segreti del Pentagono sulla guerra in Afghanistan, che ricorda la pubblicazione
dei Pentagon Papers nel '71: "Democrazia e libertà si difendono così"
“Il giornalismo è la spina dorsale della libertà dell’opinione pubblica”. Così Maurizio Viroli,
docente di Teoria politica alla Princeton University, commenta lo scoop di Wikileaks: la
pubblicazione di 75mila documenti segreti del Pentagono sulla guerra in Afghanistan. Stragi di
civili, morti per fuoco amico, servizi segreti del Pakistan che fanno il doppio gioco e aiutano i
Talebani: insomma, la prova del fallimento della missione americana. La Casa Bianca ha
condannato con forza una fuga di notizie che “mette a rischio la vita di americani e alleati e
minaccia la sicurezza nazionale”.
Ma a nessuno è sinora venuto in mente di mettere un bavaglio alla stampa. È così,
professor Viroli?
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Pur tra tante contraddizioni, negli Stati Uniti c’è la tendenza a rendere il potere sempre più
visibile ai cittadini. In Italia succede l’opposto. E il potere politico, reso invisibile, diventa
sempre più incontrollabile.
Il fondatore di Wikileaks, l’australiano Julian Assange, ha detto che è buon giornalismo
puntare l’indice contro gli abusi di potere.
Se in un Paese la stampa non ha più il senso della propria missione, la vita democratica si
incrina. È difficile parlare di libero consenso, se non c’è libero dissenso.
È il caso dell’Italia?
Esatto. Sui nostri media Berlusconi ha non solo un controllo diretto, ma anche indiretto: è in
grado di evitare che pure i direttori delle testate non sue esercitino una critica severa su quello
che accade. Cosa che invece la democrazia esige.
La vicenda di Wikileaks ricorda quella dei Pentagon Papers: nel 1971 il New York Times
pubblicò documenti segreti che provavano le bugie dell’amministrazione americana sulla
guerra in Vietnam. Fu una vittoria per la stampa libera.
Di fronte alle pressioni del governo, il direttore del giornale rispose: “Io metto in pagina ciò che
ritengo necessario per l’opinione pubblica”. In Italia dovremmo prendere esempio da queste
schiene dritte: sono una garanzia fondamentale di libertà.
Grazie ai Pentagon Papers, l’opinione pubblica americana si convinse che la guerra in
Vietnam era ingiusta. Accadrà lo stesso per quella in Afghanistan?
Credo che gli americani continueranno a considerare la guerra in Afghanistan giusta. Ma si
rafforzerà l’idea che è difficile vincerla. Molti esperti vicini all’amministrazione americana, del
resto, già lo pensano.
Resta il fatto che all’opinione pubblica non è stata detta la verità sulla reale situazione in
Afghanistan.
Obama ha basato la sua politica estera su due presupposti: andare via dall’Iraq e portare a
termine l’operazione in Afghanistan. Le informazioni segrete diffuse oggi fanno emergere che
questo obiettivo è difficile da raggiungere. Questo può avere spinto l’attuale amministrazione a
non divulgare certi documenti. Ma le responsabilità più gravi sono dell’ex presidente George
W. Bush: ha cercato in tutti i modi di giustificare la guerra totale al terrorismo, forzando i limiti
costituzionali. Se quanto è stato pubblicato oggi proverà che qualcuno ha commesso degli
errori, Obama dovrà punirlo con severità. Se no perderà consensi.
E sul piano della strategia militare?
È presto per dirlo. Ma sarà più difficile per Obama giustificare il rafforzamento della presenza
militare nell’immediato, per poi lasciare l’Afghanistan.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/26/wikileaks-pubblica-documenti-segreti-americani-una-lezione-perlitalia-la-stampa-deve-controllare-il-potere/44367/
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P3: Tutti i manager del Carboni di Monica Centofante
Nel business dell'eolico sull'asse Sardegna-Germania-Puglia-Emilia Romagna
26 luglio 2010
C'è un groviglio di società che spunta nell'inchiesta sulla P3, in quella parte che ruota attorno al
filone dell'eolico per il quale sarà sentito oggi dai pm romani l'indagato Denis Verdini
(coordinatore del Pdl) seguito dal senatore Marcello Dell'Utri, appena condannato in appello a
7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Mercoledì scorso i finanzieri del Nucleo di polizia valutaria di Roma sono saliti a Forlì per
tentare di fare luce su circa 4 milioni di euro che da lì sarebbero partiti per finire nel business
dell'energia pulita che Flavio Carboni stava strutturando in Sardegna. E per ascoltare presunti
finanziatori del lucroso affare, che emergono da compromettenti intercettazioni.
L'operazione eolico, si legge nelle informative allegate all'ordinanza di custodia cautelare che
ha portato in carcere Carboni, Lombardi e Martino, parte nell'estate del 2009. Quando lo stesso
Carboni è impegnato ad avviare una serie di iniziative per realizzare in Sardegna gli impianti di
produzione di energia pulita. Come prima cosa il faccendiere si muove per far nominare
Ignazio Farris, persona a lui gradita a direttore generale dell'Arpas, l'organismo regionale
competente nel settore della tutela dell'ambiente e del territorio. Poi intrattiene rapporti costanti
con lui e con altri rappresentanti istituzionali allo scopo di ottenere l'approvazione, nel settore
delle energie alternative, di un regolamento regionale favorevole ai propri progetti.
Contemporaneamente cerca i finanziamenti e le ditte giuste per avviare l'affare e le sue
telefonate rivelano metodi e contatti.
I primi ad essere interessati, per quanto emerge dalle informative dei Carabinieri, sono
imprenditori di nazionalità tedesca che nel luglio del 2009 il faccendiere deve incontrare a
Roma. Ne parla al telefono con tale Alessandra, mediatrice del contatto, ma il suo tono è
risentito a causa di un “equivoco”: una “ricompensa” di circa 5 o 6 milioni di euro che i
tedeschi avrebbero dovuto corrispondere al Carboni, ma per il faccendiere sardo sono “cifre
relative” che “riducono i discorsi d'affari a questioni poco onorevoli”. Carboni è nervoso: lui
non “tratta” ricompense e quei “5 milioni o 10 o altro” sono cose “che sarebbero dovute essere
già decise a priori della sua richiesta”. Sarebbe stato “più giusto e dignitoso” se la controparte
quella “ricompensa” l'avesse offerta.
L'interlocutrice incassa il colpo e prosegue cercando di organizzare comunque l'appuntamento
e concordando un giorno anche sulla base degli impegni di “Scheller”. Carboni però non sente
ragioni: se i tedeschi voglioni incontrarlo bene, “altrimenti stessero in Germania”. “Per questi
affari in Sardegna vi è il mondo intero interessato e loro si permettono il lusso di prendere
tempo”. La donna cerca di calmarlo, l'interesse c'è gli conferma, ma lui insiste: le impressioni
che ha avuto non sono positive e lo stesso vale per il suo non meglio precisato “amico di
Milano”.
Prima di chiudere la comunicazione Alessandra aggiunge: “All'affare sarebbe interessata anche
la fondazione creata dal nipote di Kennedy”.
Società e prestanome
Un capitolo delle prime informative dei Carabinieri di Roma è dedicato alle “società che
dovranno essere utilizzate nell'operazione [parchi eolici] e nelle quali il Carboni ed altri
soggetti a lui collegati non potranno apparire ufficialmente”.
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Il 19 luglio del 2009 Carboni parla con il commercialista di Forlì Fabio Porcellini, inserito con
incarichi diversi in numerose società e suo stretto collaboratore. Che al momento della
conversazione è in compagnia di tale Sandro, ergo, Alessandro Fornari, presentato come “suo
suocero”.
Oggetto del discorso: le società in via di acquisizione o di costituzione per la gestione
dell'affare energia pulita.
“Bisogna creare una società vuota” spiega Sandro, “che l'abbiamo già in cui dentro
confluiscono... confluiscono dei soci che vogliamo noi”. Meglio detto dei prestanome,
intervengono i Carabinieri, che trascrivono le parti di interesse della conversazione.
“Come si chiama la nostra società di Amadori, quella?” chiede Carboni e Porcellini risponde:
“Fortore” alludendo alla Fortore energia spa con sede legale a Foggia che annovera tra i
consiglieri delegati Germano Lucchi di Cesena, presidente di Unibanca spa, la holding a cui fa
capo la Cassa di Risparmio di Cesena e Fondazioni di altre Carisp romagnole. Oggetto sociale
dell'impresa, che vanta proprietà e quote in numerosissime altre società, “la produzione,
l'importazione, l'esportazione, l'acquisto e la vendita di energia elettrica derivante
prevalentemente da fonti rinnovabili”.
Tra i soci del gruppo Fortore, all'interno della Holding Fortore Energia srl, c'è proprio il gruppo
Amadori che comprende la “Amadori Finanziaria Spa” (consigliere: Germano Lucchi) e la
“Agricola Amadori Spa” (Sindaco effettivo: Germano Lucchi), quella dei polli.
Discutendo fra loro Carboni, Porcellini e Sandro cercano di ricordare il nome del dirigente
della Fortore, ma la cosa è irrilevante: “Chi comanda – concludono i primi due – è Germano
Lucchi”, “che ha il 50%, che è nostro socio anche in Slovacchia e ovunque”. Carboni
aggiunge: “Anche a Bucarest”.
Germano Lucchi non è indagato, ma su di lui gli interlocutori sembrano essere ben informati:
“Ha il 10% del gruppo Amadori” prosegue Porcellini che aggiunge: “Più più più c'è anche
Amadori ecco dentro...” e Carboni rafforza: “E c'è Amadori dentro”.
Il discorso prosegue e gli interlocutori fanno la conta delle società già pronte. Porcellini
annuncia: “Quelle vuote nuove” sono “tre”, “poi dopo noi abbiamo Puglia, Energeol eee”. Più
avanti Sandro precisa: “Noi abbiamo tre società in cui abbiamo una è l'Idroromagna, poi Puglia
Energia e l'altra Energeol”. “In tutte e tre noi possiamo con una società nuova doc... possiamo
sfruttare la famosa società Fortore perché io già ho parlato se tu hai bisogno di una società
importante che abbia esperienza nel settore”. Carboni afferma di averne di certo bisogno e
Sandro incalza: allora bisogna sfruttare una delle società vuote nelle quali far confluire “i soci
che vogliamo noi”. Carboni ha capito: “Mi è chiaro – dice – domani o dopodomani vedrò
anche gli Scheller... e vediamo di chiudere... abbiamo bisogno di altre tre, quattro situazioni ma
preferirei parlartene di persona”.
Tanto “in qualche modo ci dobbiamo incontrare. Vuol dire che verrò a Forlì anche perché c'è
un fatto politico di cui mi sono occupato” “e devo perfezionarlo”.
Tradimenti e nuovi affari
Qualche giorno prima, il 15 luglio, Carboni parla con l'imprenditore Matteo Cosmi e si lamenta
del fatto che nella documentazione che lo stesso Cosmi gli ha inviato “relativamente ad una
società verosimilmente coinvolta nell'operazione imprenditoriale è inserito anche tale Ragni
Cristiano, soggetto che il Carboni stesso sta sponsorizzando per una rilevante nomina politica”.
Lo scrivono ancora i Carabinieri, annotando che Carboni è preoccupato poiché le stesse carte
erano state consegnate anche a Denis Verdini.
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Cosmi però chiarisce subito l'equivoco: “Le carte lasciate al Verdini si riferiscono ad una
società che non fa capo al Ragni, ma a tale Alberani, mentre il Ragni è sì loro socio ma in
un'altra società”.
Cristiano Ragni è oggi un uomo di primo piano del Pdl nella provincia di Forlì-Cesena,
Alberani invece è un imprenditore che con Carboni si sarebbe accordato per versare somme
per il progetto dell'eolico in Sardegna e che all'ultimo momento si sarebbe tirato indietro.
Le telefonate tra Ragni e Carboni sono agli atti, incrociate con quelle tra Carboni, Marcello
Dell'Utri e Matteo Cosmi. Che più di una volta si sono incontrati insieme nella residenza
romana di Denis Verdini, alias “l'amico Verde”, per discutere tra le altre cose del business
dell'eolico. In una occasione, il 21 ottobre del 2009, era presente anche la moglie di Alberani,
Serena Salvigni. Anche lei inserita nel coordinamento provinciale di Forlì-Cesena del Popolo
delle Libertà.
E' il 10 novembre del 2009 quando Alberani fa dietro-front e Pau Antonella, moglie del
Carboni, rivela il suo sdegno ad un'amica tramite un sms: “Alberani si è tirato indietro, non fa
più nulla dopo che gli abbiamo sistemato la moglie, questa è la ricompensa. Matteo è molto
dispiaciuto, ha fatto di tutto, invece Ragni che si considera un amico ci ha remato contro, ci ha
traditi, siamo arrabbiati, ma come al solito Flavio non reagisce”.
Da quel momento in poi i rapporti del gruppo occulto con Ragni, Alberani e Salvigni si
interrompono e gli affari continuano, per quanto emerge ancora dalle intercettazioni, con
Porcellini e Fornari.
Sentiti dai finanzieri come persone informate sui fatti i due hanno spiegato di essersi
semplicemente interessati alla proposta economica di Carboni, conosciuto tramite Cristiano
Ragni. Affermazioni al vaglio degli inquirenti insieme ai contratti stipulati per l'affare
dell'eolico che Porcellini e Fornari avrebbero consegnato agli investigatori, che stanno
scandagliando conti e passaggi di denaro. Tra questi, parte dei 4 milioni che partiti da Forlì
sarebbero finiti nei conti del Credito Cooperativo Fiorentino, la banca, fino a ieri, di Denis
Verdini. Che, notizia di questa mattina, ha rassegnato le sue “dimissioni irrevocabili” da
presidente e da componente. Si tratterebbe di quattro operazioni da 850, un milione, 997 e 845
mila euro, individuate dai carabinieri tra giugno e dicembre. E delle quali forse Verdini,
nell'interrogatorio di oggi, sarà chiamato a rispondere.
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/29909/78/
Il rettore sogna da politico e si fa una legge ad personam per prolungarsi il mandato
di Gaetano Pecoraro
27 luglio 2010 - Si tratta di Roberto Lagalla dell'università di Palermo. Resterà in sella fino al
2013, anno delle prossime politiche in cui si candiderà per il Pdl
I tre anni del mandato, previsti dallo Statuto, non bastavano. Per il Rettore dell’Università di
Palermo, Roberto Lagalla, ce ne vogliono cinque. La ragione è semplice: cinque anni è il
tempo “sufficientemente lungo – afferma il Magnifico – per l’attuazione del programma e per
prevenire il consolidamento di situazioni sclerotizzate”. In realtà, per Lagalla due anni in più è
un tempo “sufficientemente lungo” per restare nella sua poltrona di Rettore sino alle elezioni
politiche del 2013. Pare infatti che il ministro della Giustizia Angelino Alfano gli abbia
promesso un futuro prestigioso nel Pdl. Del resto, uomo fedele del Guardasigilli, il Rettore
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dell’Ateneo palermitano ha da sempre manifestato velleità politiche.
Da ex assessore alla Sanità della Giunta Cuffaro, nel 2007 lascerà un buco spaventoso,
certificato dalla Corte dei Conti. Poi l’anno successivo vincerà con un vero e proprio plebiscito
la corsa per la carica di Rettore. E a distanza di due anni dal suo insediamento a Palazzo Steri,
ex sede del Tribunale dell’Inquisizione del Santo Uffizio, oggi edificio dell’Ateneo, ecco
arrivare il prolungamento del mandato. La legge ad rectorem, presentata il 4 marzo 2010 e
votata a maggioranza dal senato accademico, oltre all’allungamento dell’incarico per il Rettore,
prevede il prolungamento del mandato per i Presidi in carica e il congelamento, fino al 30
giugno 2011, “di tutti gli altri responsabili di strutture e articolazioni accademiche”. Con l’ok
del Ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, la legge ad rectorem diventerà legge
dell’ateneo.
Lagalla non è il primo a prolungarsi il mandato, ma ha chiesto più tempo. A Messina, il Rettore
Francesco Tomasello , ha infatti già chiesto e ottenuto una proroga degli incarichi, per sé e i
presidi di Facoltà, con le stesse motivazioni. Ma se a Messina, per completare “ la realizzazione
del progetto di rimodulazione della governance” bastava un anno, a Palermo ce ne vogliono
due.
“Fuori i parenti dall’Ateneo”, disse Lagalla appena insediato. L’Università del capoluogo
siciliano, infatti, è nota alle cronache come centro di una “cupola di clan accademici” che da
decenni, di padre in figlio, si spartiscono il sapere. Qui comandano cento famiglie: i Cannizzaro
con altre 23 famiglie a medicina; i Galasso con altre 9 famiglie a giurisprudenza; i Milone ad
architettura; i Tudisca con altre 10 famiglie ad Agraria, la facoltà più piena di mogli e figli (su
129 docenti, 23 sono parenti). Ma questo è solo un accenno. Basta sfogliare l’annuario
accademico per rilevare i casi di nepotismo, con in testa la facoltà di Medicina. Una situazione
così insostenibile che anche il neo Rettore non potè non notarla. All’inizio del suo mandato
(2008), ai giornalisti che lo incalzavano sul tema parentopoli, Lagalla promise: “Entro sei mesi
anche l’Università di Palermo avrà il suo Codice Etico”. Di mesi ne son passati 24 e che fine ha
fatto il codice etico? Dopo due anni nella proposta di modifica dello Statuto si annuncia
solo“l’adozione (in corso) del codice e la previsione di più aggiornati ed evoluti istituti di
garanzia”. Se il Rettore di Palermo in 24 mesi non è riuscito a dotare l’Ateneo di un
provvedimento antinepotismo, è riuscito però a cambiare l’intero Statuto per allungare la durata
della sua carica. Cose italiane.
E che dire dei concorsi? Scommettere sul nome del vincitore è quasi la norma: il nome
dell’idoneo è deciso in anticipo dalla Facoltà nel momento in cui “chiede” il posto. Tutto il
resto (pubblicazione del bando in gazzetta ufficiale, elezione dei commissari, loro
convocazione nella sede con relativa ospitalità in albergo, prove scritte e orali) è un’inutile
messa in scena. Sono emblematici i casi di Rosita Lo Baido, moglie del proprietario del
Giornale di Sicilia Antonio Ardizzone, che da semplice psichiatra ospedaliero presso il
Policlinico di Palermo, sei anni fa ha fatto il grande salto diventando in un sol colpo professore
associato. E della moglie dell’ex presidente della Regione Cuffaro. Giacoma Chirielli,
radiologa, è riuscita a trovare un posto più adeguato, data la “disgrazia” in cui è caduta tutta la
famiglia negli ultimi anni. Per lei poteva andar bene solo un posto da ricercatrice. Così un mese
fa la dipendente del Policlinico è tornata a fare esami, grazie a un concorso, dove sarebbe stata
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unica candidata.
“Fuori i partiti dall’Università”, prometteva Lagalla. Tranne uno: il Partito Dell’Amore. Uno di
quelli che grazie al nuovo statuto si vedrà prolungato l’incarico è Adelfio Elio Cardinale,
Preside della Facoltà di Medicina dal 2001, e opinionista del Giornale di Sicilia. Adelfio Elio
Cardinale è uomo di Schifani, già nominato dal Pdl Presidente del Cerisdi (Centro ricerche e
studi direzionali), con sede al castello Utveggio. La moglie di Cardinale, invece, è la dottoressa
Anna Maria Palma, già procuratore aggiunto di Palermo e oggi capo di gabinetto del Presidente
del Senato Renato Schifani. All’area di Schifani appartiene anche il direttore amministrativo
dell’Università Antonio Valenti e il nuovo direttore generale del Policlinico – che è azienda
ospedaliera dell’università – Mario La Rocca, ingegnere, ex capo della segreteria tecnica
dell’assessorato regionale ai Lavori pubblici. Insomma Lagalla ha consegnato alla politica
l’intero Ateneo, Policlinico compreso.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/27/il-rettore-sogna-da-politico-e-si-fa-una-legge-ad-personam-perprolungarsi-il-mandato/44371/
Economia, cronaca, svago, sport e politica ecco come B. imbavaglia l’informazione
di Redazione Il Fatto Quotidiano
26 luglio 2010 Palazzo Chigi nel tardo pomeriggio fa sapere che il premier non ha intenzione
alcuna di commentare le dichiarazione di Gianfranco Fini. E Berlusconi mantiene la parola.
Ma, alle 17.51, una nota si rivolge ai suoi sostenitori nel sito www.forzasilvio.it per
commentare le prime pagine dei giornali di stamani che riportano fedelmente le parole del
deputato Fabio Granata, finiano doc, sulla legalità di alcuni esponenti del Pdl in particolare
sui rapporti con la mafia. Il presidente del Consiglio, già che c’è, stila una sorta di “classifica”
degli argomenti che a suo avviso i giornali dovrebbero trattare se pensassero a ciò che interessa
ai lettori. Al primo posto l’economia, seguita dalla cronaca e dallo svago. Fuori dal podio, al
quarto posto, lo sport. Infine “ma molto infine”, scrive il premier, la politica. Il titolo della
nota: “Gli italiani apprezzano i fatti”. Qui di seguito il testo integrale.
“Abbiamo sotto gli occhi le prime pagine dei quotidiani di oggi. Ad eccezione de Il Sole 24 Ore
(che il lunedì esce preconfezionato) e dell’Unità (che dedica le proprie attenzioni alla villa del
premier in Sardegna), non ce n’è una che non abbia in apertura il “caso Granata”. Cioè le
critiche mosse da un singolo parlamentare, vicino a Gianfranco Fini, al Popolo della Libertà,
movimento al quale egli stesso appartiene. Ma siamo davvero sicuri che l’informazione –
tuttora libera e priva di “bavaglio” – dia ai suoi lettori le notizie di cui hanno bisogno, ciò che
corrisponde alle attese di chi va in edicola e spende se va bene un euro per informarsi?
Che cosa davvero interessa oggi alla gente? Come sempre, come in tutto il mondo, al primo
punto c’è l’economia, la borsa della spesa. Al secondo la cronaca. O viceversa, dipende del
momento. Poi viene l’evasione, lo spettacolo, il tempo libero. Quindi lo sport, quando lo
merita. Anche in questo caso l’inversione nel posto in classifica è possibile, per esempio a
seconda che si tratti di lettori o di lettrici. Importante, molto importante, è la sicurezza.
Infine, ma molto infine, c’è la politica: quella di partito, di correnti, di polemiche. Diciamo che
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questa interessa molto chi la fa ed un giro più o meno ristretto di addetti ai lavori, tra i quali
(purtroppo) anche qualche direttore di giornale.
Che cosa interessa realmente alla popolazione? In questo momento siamo nella coda della
crisi economica, e dunque metteremmo al primo posto l’economia. Il lavoro, le tasse, gli
stipendi, le opportunità per i giovani, la scuola”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/26/berlusconi-scrive-ai-sostenitori-la-classifica-per-igiornali/44444/
Csm senza politica di Marco Travaglio
Buongiorno a tutti, oggi iniziamo una serie di puntate estive, quindi per vostra e per mia fortuna
molto più brevi di quelle ordinarie, che vengono registrate perché parto in vacanza.
La cricca e il nuovo Csm
Questo lunedì parliamo del Csm che sta per essere totalmente rinnovato dopo che i magistrati
hanno eletto i loro 16 consiglieri, cosiddetti togati.
Il Csm è formato da un Presidente che è il Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica, ci
sono altri due membri di diritto che sono il primo Presidente della Cassazione, il Procuratore
Generale della Cassazione, quindi chi c’è in quel momento entra di diritto nel Csm, i due
magistrati di vertice della Cassazione insieme al Capo dello Stato non sono eletti, ma sono lì
sempre, poi c’è un vice Presidente che è eletto dal Parlamento, all’interno di 8 membri laici che
secondo gli intendimenti dei nostri padri costituenti, devono essere degli alti esponenti del
mondo del diritto, della giurisprudenza, delle persone di notoria competenza, autorevolezza,
prestigio, indipendenza e che invece visto che sono eletti dal Parlamento, soprattutto negli
ultimi decenni, sono diventati praticamente dei politici trombati in cerca di collocamento,
oppure dei politici addirittura in servizio permanente effettivo che vanno a farsi 5 anni di Csm,
poi se ne tornano all’attività politica e rappresentano così non il diritto, i cittadini in quanto
eletti dal Parlamento, ma rappresentano i loro partiti.
Intanto vediamo cosa stabilisce la nostra Costituzione repubblicana sul Csm che è un organo
costituzionale, all’Art. 104 leggiamo “la Magistratura costituisce un ordine autonomo e
indipendente da ogni altro potere”, quindi è un ordine ma è anche un potere dello Stato, il Csm
è presieduto dal Presidente della Repubblica, ne fanno parte di diritto il primo Presidente e il
Procuratore generale della Corte di Cassazione, gli altri componenti sono eletti per 2/3 da tutti i
magistrati ordinari, tra gli appartenenti alle varie categorie e per 1/3 dal Parlamento, ve l’ho
detto, nell’attuale composizione sono 8 i laici e 16 i togati, quindi 1/3 e 2/3.
Per 1/3 dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie
giuridiche e Avvocati dopo 15 anni di esercizio, il Consiglio elegge un Vicepresidente tra i
componenti designati dal Parlamento, i membri elettivi del Consiglio durano in carica 4 anni,
prima ho detto una sciocchezza, ho detto 5 invece sono 4 gli anni di durata e non sono
immediatamente rieleggibili, devono almeno aspettare un turno per tornarci, non possono,
finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un
Consiglio regionale.
Spettano, Art. 105, al Csm, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le
assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei
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magistrati. Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso, dice l’Art. 106, la legge
sull’ordinamento giudiziario può mettere alla nomina anche elettiva di Magistrati onorari per
tutte le funzioni attribuite a giudici singoli, su designazione del Csm possono essere chiamati
all’ufficio di consiglieri di Cassazione per meriti insigni professori ordinari di università in
materie giuridiche e abbiano 15 anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le
giurisdizioni superiori, questo è quello che bisogna sapere sul Csm.
Adesso cosa sta succedendo? Sta succedendo che la Magistratura, almeno una parte di essa è
nel centro delle polemiche perché un bel gruppetto di magistrati sono stati beccati, grazie alle
intercettazioni telefoniche in rapporto con i faccendieri di quella che è stata chiamata la nuova
P2 o detta anche P3, gente che aveva rapporti con Carboni condannato per il crac
dell’Ambrosiano con Dell’Utri condannato definitivamente per evasione fiscale e condannato
in appello per mafia, imputato in altri processi per calunnia etc., con un certo Pasqualino
Lombardi, un geometra in pensione di Avellino che incredibilmente riusciva ad arrivare
dappertutto, con un certo Arcangelo Martino anche lui condannato per concussione, ex
socialista, ora nel Popolo della Libertà e altri personaggini, tra questi magistrati presi in
rapporti con questa cricca ci sono il sottosegretario alla Giustizia, Massimo Caliendo, c’è il
Giudice Gargani, fratello di un deputato ex democristiano e poi di Forza Italia, c’è il Giudice
Marra che è stato spinto alla presidenza della Corte d’Appello di Milano anche da pressioni di
questa cricca, ci sono giudici come il Presidente della Corte d’Appello di Salerno Marconi e
altri dei quali si sta occupando anche il Csm.
Le pressioni di questa cricca venivano rivolte a membri del Csm, per far nominare magistrati
amici, considerati affidabili dalla cricca e dai mandanti della cricca, oppure per non nominare
magistrati non affidabili, questo Consiglio mentre nominava magistrati di quel genere, non
dimentichiamo la figura del primo Presidente della Cassazione che fortunatamente da un mese
o due è andato in pensione, Vincenzo Carbone che era anche egli intimo di quel Pasqualino da
Avellino e è il primo Presidente della Cassazione che ha presieduto le sezioni unite che hanno
cacciato o punito magistrati evidentemente inaffidabili per queste cricche come Clementina
Forleo, Luigi De Magristris, Nuzi, Verasani e Apicella a Salerno, hanno punito Alfonso Sabella
che non ha ottenuto le nomine che aveva chiesto e che è stato sottoposto a un discreto
linciaggio dopo essersi opposto alla dissociazione, un progetto che fa parte delle trattative Stato
– mafia quando lui era al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, alla direzione delle
carceri, magistrati inaffidabili al potere, questa cricca e i suoi amichetti, tra i laici e anche tra i
togati di diritto del Csm, sono stati messi da parte o addirittura puniti.
Per questo, per recuperare il prestigio del Csm, sarebbe assolutamente necessario che questo
nuovo Csm, venisse composto da personaggi di specchiata indipendenza e autonomia, che si
ritornasse a quello spirito costituzionale che voleva arrivare a consigli migliori nel mondo del
diritto, infatti i nomi non mancano, ci sono insigni giuristi, insigni costituzionalisti che
potrebbero essere votati dal Parlamento, anche perché poi tra loro verrà scelto il successore di
Mancino, il Vicepresidente e Mancino, ce ne siamo occupati diverse volte, non possiamo
certamente dire che sia stato un Vicepresidente che rappresentasse un capolavoro di autonomia
e indipendenza, ha sempre fatto politica fin da giovane, nella DC, poi nel Partito Popolare,
nella Margherita, in questi anni si è visto dalle sue decisioni, dalle sue prese di posizione, che
non era certamente una figura tra quelle auspicate come rappresentative di un’indipendenza
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assoluta, aveva anche lui i suoi amici etc., poi è naturale, mica nessun delitto, ma sarebbe
meglio che i membri del Csm, soprattutto il Vicepresidente non avesse amicizie e una carriera
politica così attiva e così, in qualche modo, influenzante alle sue spalle.
Un Csm pulito nell'interesse di tutti
Quindi sarebbe opportuno che i partiti facessero non uno, ma 10 passi indietro, sarebbe
opportuno che il Capo dello Stato li invitasse nel momento in cui dice: eleggete i membri laici,
perché i membri laici devono essere votati dal Parlamento con maggioranza qualificata, non
con il 50% e quindi il rischio è che avvenga una spartizione, che il centro-destra dica al centrosinistra: noi certa gente ve la votiamo e certa gente non ve la votiamo, ma anche che il centrosinistra dica al centro-destra: certa gente non ve la votiamo, ne votiamo degli altri.
Quindi urge un appello del Presidente del Csm, affinché si eviti di mandare avvocati di politici
o politici in servizio permanente e invece purtroppo i nomi che si leggono sui giornali per gli 8
membri laici del nuovo Csm, sono tutti politici o Avvocati di politici, peraltro con delle storie
tutt’altro che cristalline.
Il centro-destra ne dovrebbe eleggere 5 e il centro-sinistra ne dovrebbe eleggere 3, tra i quali
dovrebbe essere tratto il Vicepresidente del Csm, che Berlusconi voglia mettere dei suoi
amichetti affidabili lo sappiamo, la sua concezione delle istituzioni è una concezione
proprietaria, io mando lì gente fedele a me, pensa così persino della Corte Costituzionale,
figuratevi del Csm, infatti ci vuole mettere Biondi l’ex Ministro della il giustizia, quello del
Decreto Salvaladri, quello delle ispezioni contro la Procura di Milano, nonché parlamentare da
50 anni, a dire poco.
Ci vuole mandare Gargani, il fratello del Magistrato che è sotto procedimento disciplinare per i
rapporti con la P3 e non stiamo parlando delle colpe di un fratello che devono ricadere
sull’altro, ma i fratelli Gargani, come ha raccontato Il Fatto l’altro giorno, anche loro avellinesi,
hanno una storia in comune, il Giudice Gargani, fratello dell’On. Gargani, è stato spesso al
Ministero, ha lavorato spesso al Ministero, dentro governi di Berlusconi, quindi non stiamo
parlando di capolavori di lontananza dalla classe politica e poi vogliono mettere, si parla di
altri.
Quindi è ovvio che da Berlusconi non ci si può attendere che nomini persone di specchiata
indipendenza e autonomia, ci sarebbe da meravigliarsi lo facesse, c’è da aspettarsi però che lo
facciano altri, per esempio i finiani, i quali invece pare che vogliano nominare un certo Lo
Presti che è un Avvocato siciliano che ha fatto il parlamentare anche lui più volte, che non è
certamente rispondente a quei criteri di estraneità ai giochi della politica e ci sarebbe da
attenderselo dal PD, il quale essendo insieme all’Italia dei Valori, e all’Udc all’opposizione, è
chiamato a concordare 3 candidature, a meno che l’Udc non ottenga una delle 5 del centrodestra e chi vogliono mettere questi signori del PD? Vogliono mettere l’ex Avvocato di
D’Alema, Guido Calvi è un ottimo Avvocato, persona eccelsa, ma anche lui nel pieno della
contesa politica, oltre a avere rappresentato D’Alema, per esempio nel caso Unipol, dove si
scatenò contro i magistrati che avevano indagato, osato indagare sui rapporti tra D’Alema e
consorte e raccogliere le intercettazioni e chiedere al Parlamento di utilizzarle, Guido Calvi era
proprio uno degli ayatollah contro Clementina Forleo etc., è opportuno che l’Avvocato di
D’Alema vada al Csm? Assolutamente no, come non è opportuno che ci vada Fanfani nipote di
cotanto politico e anche lui persona perbenissimo naturalmente, però anche lui parlamentare
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della Margherita per diversi anni e poi non è opportuno che ci vadano altri politici i cui nomi si
fanno in questi giorni.
L’Udc chi ci vuole spedire? Ci vuole spedire Michele Vietti, fedelissimo di Casini, è un politico
democristiano torinese, che ha fatto il sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo
Berlusconi, quando l’Udc stava con Berlusconi e come sottosegretario alla Giustizia ha
condiviso e votato e contribuito a scrivere tutte le leggi vergogna della legislatura dal 2001 al
2006 e materialmente si è occupato di stilare le tabelle con le soglie di non punibilità per la
legge sul falso in bilancio, sapete che il falso in bilancio è reato soltanto quando si superano
certe soglie e guarda caso Vietti calcolò quelle soglie in modo che Berlusconi ci stesse dentro
per mandare in fumo i suoi processi per falso in bilancio, vogliono mandare questo al Csm e
addirittura con l’appoggio del PD, eleggerlo Vicepresidente del Csm al posto di Mancino.
Ricordo che anni dopo, persino Tremonti disse che forse era il caso di ripristinare il reato di
falso in bilancio come era prima, ma Vietti rispose: sono contrario a cambiare di nuovo il falso
in bilancio, una nuova riforma farebbe sospettare che la precedente sia stata fatta per salvare dal
processo qualche imputato in particolare, ma va?! E certo la volevano cambiare dopo che la
legge sul falso in bilancio, aveva consentito a Berlusconi di mandare in fumo i suoi processi per
falso in bilancio, con la formula “il fatto non è più previsto dalla legge come reato” perché
l’imputato con l’aiuto di Castelli e di Vietti, gliel’aveva depenalizzato e questa dovrebbe essere
la figura destinata a restituire il prestigio di autonomia e di indipendenza di un Csm inquinato
dalla P3, ci si manda uno politicamente inquinato già in partenza, non c’è neanche il timore che
si inquini dopo perché arriva già inquinato prima e il PD vuole fare una scelta di questo genere?
Noi su Il Fatto abbiamo lanciato un appello ai finiani, al PD e all’Italia dei Valori perché
mandino personalità di provata indipendenza, che non abbiano tessere, avventure politiche alle
spalle, finora ci ha risposto soltanto Di Pietro, Micromega ha lanciato un appello firmato da
Margherita Hack, Paolo Flores D’Arcais, Andrea Camilleri e Umberto Eco in tal senso e non
hanno avuto risposte, hanno avuto naturalmente decine di migliaia di persone che l’hanno
sottoscritto, anzi andate sul sito di Micromega oppure su quello del Il Fatto quotidiano,
sottoscrivetelo, solo Di Pietro ha risposto dicendo: non metto, inizialmente sembrava
intenzionato a mettere l’Avvocato Li Gotti che un’ottima persona anche lui, ma è parlamentare,
è stato sottosegretario del Governo Prodi, quindi non è bene che in questa fase ci vadano
uomini di partito, infatti Di Pietro ha detto: faccio un passo indietro e per me va bene se
sosteniamo giuristi come Vittorio Grevi, come l’ex Presidente della Consulta Gustavo
Zagrebelsky, come l’ex giudice Bruno Tinti o come Franco Cordero, uno dei padri del diritto
penale, della procedura penale in Italia, sono questi i nomi naturalmente che sarebbero
auspicabili e tanti altri ce ne sono il Prof. Giostra, il Prof. Ainis, Lorenza Carlassare
collaboratrice de Il Fatto, costituzionalista insignissima, Borrelli, l’ex Procuratore di Milano,
che sarebbe una figura altissima e nobilissima e darebbe lustro a questa istituzione.
Credo che dipenda molto anche da noi che il Consiglio Superiore uscirà da questa settimana
che comincia oggi, dipende dalla pressione che questi appelli e dal numero di firme che questi
appelli riceveranno per fare pressione sul Partito Democratico dove già gli amici di D’Alema
pare si siano messi d’accordo con gli amici di Casini per mandare avanti Vietti in cambio del
permanere di Casini all’opposizione della sua resistenza alle sirene per un ritorno di fiamma
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con Berlusconi nelle cene a casa Vespa, il Csm usato addirittura, come merce di scambio per
contropartite politiche. Questo è quello che non solo si spera, ma che bisogna pretendere dai
partiti di opposizione, gli elettori del PD se lo ricordino, è in queste fasi cruciali che si valuta la
qualità dell'opposizione e è in queste frasi cruciali che bisogna decidere per chi votare alle
prossime elezioni in qualunque momento saranno, se il PD si presterà a questo orrendo inciucio
per mandare Vietti o altri politicanti al Csm, vorrà dire che non ha imparato nessuna lezione e
che è rimasto lo stesso di prima e che quindi non merita nessuna fiducia.
L’unico modo per farglielo sapere è scrivere, telefonare, firmare l’appello, mandare fax, e-mail
a questi signori con la minaccia di non votarli mai più, se non ci daranno finalmente un Csm
dal quale scompaiano le zampe dei partiti, almeno di alcuni partiti che dicono, sostengono e
sperano che la gente ci creda di essere diversi da Berlusconi, passate parola!
http://voglioscendere.ilcannocchiale.it/post/2513134.html
A Roma non hanno fretta di indagare su B. di Marco Lillo
Inchiesta Agcom: dopo tre mesi sentiti i primi testimoni. Con questo (strano) ritmo le audizioni
non saranno completate prima di ottobre
26 luglio 2010
Con una lentezza imbarazzante e in un silenzio tombale, l’indagine sul presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi per violenza e minaccia a corpo dello Stato e concussione sta andando
avanti. Il 19 luglio scorso sono stati sentiti a Roma i tre testimoni chiave del procedimento:
Giancarlo Innocenzi, Corrado Calabrò e Mauro Masi. Il commissario dell’Agcom che si è
dimesso a seguito dello scandalo dell’inchiesta di Trani, il presidente dell’Autorità di Garanzia
delle Comunicazioni e il direttore generale della Rai per un’ora a testa hanno risposto alle
domande dei giudici del collegio dei reati ministeriali che indagano sul premier.
Anche se nessunone parla, infatti, Silvio Berlusconi è tuttora indagato. Grazie al Fatto
Quotidiano, che ha rivelato il 12 marzo del 2010 le intercettazioni telefoniche nelle quali
Berlusconi ordinava al consigliere dell’Autorità garante per le Comunicazioni di far chiudere
Annozero e gli altri “pollai”, come Ballarò e Parla con me, gli italiani sanno cosa ha combinato
il presidente del Consiglio. Da allora vorrebbero sapere, magari in tempi brevi, se quelle
pressioni su un’Autorità indipendente per impedire alla tv pubblica la messa in onda della
trasmissione più seguita, costituiscono un reato. La Procura di Trani riteneva di sì e ha iscritto
Berlusconi nel registro degli indagati per poi trasmettere il 24 marzo le carte alla Procura di
Roma per competenza. Nella cittadina pugliese è rimasto solo il procedimento gemello contro il
commissario Innocenzi, accusato di favoreggiamento perché avrebbe mentito ai pm negando le
pressioni di Berlusconi. Entrambi i procedimenti da marzo hanno imboccato un binario lento.
Il fascicolo su Berlusconi sonnecchia dall’8 aprile scorso in via Triboniano, sede del collegio
dei reati ministeriali. Eppure non c’è bisogno di un grande sforzo investigativo: le accuse si
basano solo sulle telefonate eloquenti relative alle manovre contro la libertà di stampa del
premier e dei suoi sodali annidati nella Rai, nella magistratura, nell’Agcom e in Parlamento. I
giudici non devono fare altro che sentire una dozzina di persone indicate dalla Procura come
testimoni e poi tirare le somme. In un paese normale un procedimento simile sarebbe chiuso da
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un pezzo e sarebbe sotto i riflettori della stampa e delle tv. Invece cosa sta accadendo? Il caso
Berlusconi è stato fermo nel mese di aprile perché mancava uno dei tre giudici. Il 19 aprile è
stato sorteggiato il terzo membro del collegio, Pier Luigi Balestrieri e finalmente il Tribunale
dei ministri ha cominciato a studiare le carte. I tre giudici sorteggiati per questo incarico a
tempo però continuano a svolgere i loro compiti ordinari. Evidentemente non hanno potuto
dedicare molto tempo al fascicolo più importante sul loro tavolo. Solo lunedì 19 luglio, tre mesi
dopo l’approdo delle carte nel palazzo vicino a Castel Sant’Angelo, sono stati sentiti i primi tre
testimoni. Nell’ordine è entrato prima il presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, poi il
direttore generale della Rai, Mauro Masi e infine è stata la volta di Giancarlo Innocenzi.
Chi ha assistito alla scena non ha avuto la sensazione di una grande tensione investigativa e
mediatica. Nulla a che vedere con quello che sta accadendo per esempio in Francia dove
un’inchiesta che vede coinvolto (e non indagato) il presidente Sarkozy è seguita con ansia dai
magistrati e dal pubblico. Nessun giornalista e nessuna telecamera era lì a documentare
l’evento. In un clima tranquillo e un po’ burocratico i giudici non hanno fatto nemmeno
ascoltare e contestato le telefonate intercettate con la voce di Innocenzi e Berlusconi. Sulla
carta la posizione più delicata era quella di Mauro Masi, obbligato a dire la verità in quanto
testimone (non indagato in reato connesso come Innocenzi) e in una posizione diversa da
Calabrò, che aveva resistito alle pressioni di Berlusconi. Le telefonate pubblicate su Il Fatto
dimostravano invece che il direttore generale ha collaborato con il commissario dell’Agcom
Innocenzi nella strategia tesa a bloccare Annozero. Masi ha persino concordato con Innocenzi
uno scambio di lettere preordinato a ostacolare la messa in onda di una trasmissione che porta
alla sua azienda pubblico e introiti pubblicitari.
I tre giudici,però, non hanno infierito troppo nemmeno con lui nella contestazione delle
telefonate più imbarazzanti e, esaurita la pratica, hanno chiuso bottega per partire per le ferie.
L’attività istruttoria, a causa della sospensione feriale dei termini, riprenderà in autunno.
Restano da sentire molti altri personaggi coinvolti a vario titolo nelle telefonate di Innocenzi: il
parlamentare della commissione di Vigilanza sulla Rai, Giorgio Lainati, il consigliere
dell’azienda pubblica, Giorgio Gorla, il magistrato ed ex consigliere del Csm Cosimo Ferri, il
segretario dell’Agcom Roberto Viola e tanti altri ancora.
Con questo ritmo le audizioni non saranno completate prima di ottobre. Conseguentemente
anche il procedimento di Trani contro Innocenzi è bloccato. Il procuratore capo Alberto Maria
Capistro non chiude l’inchiesta per favoreggiamento a Berlusconi prima di sapere se
Berlusconi è colpevole. Intanto il tempo passa e il Cavaliere sta per incassare l’approvazione
della legge bavaglio. Così le migliaia di telefonate di Innocenzi e del direttore del Tg1 Augusto
Minzolini con il premier, con ministri e politici del Pdl, alcune delle quali molto imbarazzanti,
non saranno mai pubblicate. Se Il Fatto Quotidiano non avesse deciso di stamparle, nessuno
avrebbe saputo nulla di questa storia. Il 23 settembre Michele Santoro, nonostante i tentativi
disperati di Masi di assecondare il volere del sire di Arcore, probabilmente andrà in onda. C’è
da chiedersi se, senza la pubblicazione di quelle telefonate che mettevano a nudo il triangolo
Berlusconi-Innocenzi-Masi, Annozero sarebbe stato confermato.
Da Il Fatto Quotidiano del 25 luglio 2010
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/26/a-roma-non-hanno-frettadi-indagare-su-b/43900/
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Romani, l’uomo della Brianza al servizio di B. per risolvere gli affari che scottano
di Davide Vecchi
26 luglio 2010
Fedelissimo del premier, è il suo "ministro delle tv". Ma ha anche seguito affari di famiglia del
Cavaliere al Nord, come la variazione urbanistica per la maxi area della Cascinazza di Monza.
E adesso è in pole position per diventare il successore di Scajola
Per gli amici ministro lo è già. Almeno da dieci anni. Da tanto infatti lo chiamano “ministro
delle tv”, riferendosi a quelle di Silvio Berlusconi. Anche se a Mediaset Paolo Romani non ha
mai lavorato. Ma ha sempre avuto buone idee per il Biscione. Altre valide per il premier. Altre
ancora ottime per entrambi. E si è sempre dato un gran da fare. Avviando sulle sue orme anche
il giovane figlio Federico. Sdoppiando, in pratica, se stesso. Due Romani is meglio che one.
Per questo ora sono in molti quelli che dipingono Romani come il successore dell’uomo a cui
compravano le case a sua insaputa; l’indimenticabile e indimenticato Claudio Scajola.
Il Corriere della Sera scrive che sarà proprio lui a sedere sulla poltrona di responsabile del
dicastero dello Sviluppo Economico, dopo che il presidente Giorgio Napolitano ha detto al
premier come fosse venuto il momento di lasciare l’interim dell’importante ministero. E allora
Romani sogna e spera che non abbia ragione Il Giornale di domenica che, a sorpresa, in una
lunga intervista a Michela Vittoria Brambilla, diceva alla rossa ministra del Turismo “adesso
il premier dovrebbe darle il posto che fu di Scajola”, senza che l’ex presentatrice del
programma trash di Canale 5 “I misteri della notte” facesse una piega.
Come finirà lo sapremo comunque in settimana. Anche se gli esperti di palazzo dicono che la
pole position, a meno di un outsider, sia del fedelissimo Romani. Lui del resto è una vita che
aspetta. E la sua biografia lo conferma.
Nato a Milano nel settembre del 1947, Romani comincia da subito a lavorare nel settore
televisivo. Prima ancora di Silvio. Ad appena 27 anni installa TeleLivorno. A 29 diventa
direttore generale di Rete A. Amico di Paolo Berlusconi, Romani viene segnalato a Salvatore
Ligresti che lo cerca per il rilancio di Telelombardia. Nel 1986 ne diventa amministratore
delegato, fino al 1990 quando Ligresti lo chiama: “Lei è bravissimo, ma Craxi mi ha chiesto
una televisione socialista”. Romani, che è un liberale, non si scompone. E s’inventa a dirigere
Lombardia7 dove con il programma “Vizi privati e pubbliche visioni”, condotto da Maurizia
Paradiso, conquista un buon successo e qualche guaio giudiziario per l’uso delle linee
telefoniche con numerazioni 144 e 166.
Ma è ormai l’autunno del 1993, si sta organizzando la discesa in campo del Cavaliere. Romani
è tra i primi a imboccare la via di Arcore, al seguito di Marcello Dell’Utri, Mario Valducci,
Enzo Ghigo e gli altri reclutati in Publitalia. Nel marzo 1994 fa il suo ingresso con la spilletta
di Forza Italia a Montecitorio. Da allora non se n’è più andato dal Palazzo. E’ passato per le
commissioni difesa, trasporti, finanza, giunta delle elezioni, poste e comunicazioni, riordino del
sistema televisivo, vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
Nel 2005 è nominato sottosegretario alle Comunicazioni. Si allontana dalla capitale solo su
incarico del Cavaliere per risolvere due vicende delicate: individuare un erede per guidare il
partito in Lombardia, dove i ciellini di Formigoni creano qualche problema, e risolvere l’annosa
e imbarazzante questione dell’area monzese della Cascinazza, di proprietà del fratello del
premier.
La carica di coordinatore regionale di Forza Italia, che detiene dal ’98, la lascia dopo sette anni
solo con la certezza che non finisca in mano agli uomini di Roberto Formigoni, braccio
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politico di Comunione e Liberazione, invisa a Romani, capitano dei liberal. Passa il testimone
alla giovane ma già promettente Mariastella Gelmini.
Ben più complicata e delicata la questione della Cascinazza. Un’area di 700mila metri quadrati
che Paolo Berlusconi acquista nel 1980 con l’intento di realizzare 1 milione 750mila metri cubi
in cambio della cessione a titolo gratuito di 282mila metri quadrati al comune di Monza. Ma
l’immobiliare non è mai riuscita a costruire. Le volumetrie azzerate, l’area vincolata a verde.
Comincia il balletto di esposti, ricorsi, denunce che si protrae inutilmente per trent’anni.
Persino la Cassazione si pronuncia: lì non ci si può piantare neanche una tenda, figurarsi
costruirci una città. Nel 2005 la Regione però, con una piccola variazione approvata con appena
un voto di scarto, modifica la legge urbanistica. Berlusconi torna alla carica. E’ il momento di
agire. Si riprende in mano tutto, ma questa volta serve un amico nel comune di Monza.
E alle elezioni del 2007 chi si candida? Paolo Romani. Che a giugno entra in giunta ed è
nominato assessore all’urbanistica e a Expo 2015. Pur mantenendo l’incarico di sottosegretario
del governo, lavora in Brianza. Si dedica alla Cascinazza. Ma Paolo ha deciso di vendere. È
costretto a fare cassa: il gruppo Pbf ha perdite per 28,4 milioni e debiti per 108.
Nell’ottobre 2007 si libera dell’area cedendola per 40 milioni di euro con una clausola che
prevede un’integrazione di 60 milioni nel caso i terreni fossero stati “valorizzati”. Di Romani,
del resto, c’è da fidarsi. A ragione. Perché nel novembre 2009 il Comune, grazie a una variante
(a Monza nota come “variante Romani”) sblocca la costruzione di 420mila metri cubi.
A guardare il progetto sembra Dubai: è prevista pure una pista di sci coperta, una monorotaia
sul canale Villoresi, piscine, palestre, negozi. Anche se bastano due gocce di pioggia ad allagare
tutto. Lo dice il piano di assetto idrogeologico della Regione Lombardia. Ma tant’è. Berlusconi
intasca anche i 60 milioni di bonus. Paolo Romani può lasciare l’assessorato all’urbanistica (ma
si conserva quello per Expo 2015, l’evento più importante che l’Italia avrà nei prossimi anni) e
può tornarsene a Roma. Dove l’attende l’incarico di viceministro allo Sviluppo Economico.
Romani non è tipo da occupare poltrone stando con le mani in mano. Torna così al primo
amore, la televisione. Si era già dilettato con la legge Gasparri. Decide di affrontare il nodo par
condicio. Le elezioni del resto sono vicine. Già aveva tentato una variazione nel 2006,
proponendo una nuova ricetta per la bulimia propagandistica del Cavaliere: lasciare inalterata la
normativa introducendo però la possibilità per i partiti di promuovere i programmi elettorali
senza alcun limite, a pagamento. Ciascuno secondo le proprie disponibilità economiche. Nulla
da fare però. E se non si riesce a cambiare la legge tanto vale ribaltarla: nessuno vada in tv.
Questa l’idea che nel 2009, in vista delle regionali, riesce a realizzare. Un genio. La Rai ferma i
talk show. Annozero e Ballarò in primis. Che per protesta organizzarono “Raiperunanotte” a
Bologna. Romani disse di non avere responsabilità nella decisione: “La commissione Vigilanza
ha applicato alla lettera una sciagurata legge che si chiama par condicio, che noi vorremo
abolire”. Come da abolire, dice in diverse occasioni, sono i programmi di Michele Santoro e
Serena Dandini. Critica anche RaiNews24. Per non parlare di Marco Travaglio, che definisce
“incompatibile con il servizio pubblico”.
Romani del resto è lapidario. Quando la Ue bocciò l’estromissione di Sky dal digitale terrestre,
il viceministro con i suoi sbottò: “Me ne frego dell’Europa, decido io”. E giusto pochi giorni fa,
il 21 luglio, quando da Bruxelles è arrivato il via libera allo sbarco di Sky sul ddt, Romani ha
commentato: “Un regalo al monopolista della pay-tv”. Sa che di lavoro ce n’è ancora molto da
fare. Tempo non ne perde. Va detto. Ed è lungimirante.
In questi mesi è riuscito a stilare un regolamento che, così come è, sostanzialmente tarpa le ali
alle web-tv. Che oggi sono 5mila in Italia, ma sono ovviamente destinate a crescere. Facile farsi
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una web tv, ed economico. Il regolamento invece prevede richiesta di permessi, registrazione
con versamento di tremila euro, mega sanzioni per chi sbaglia e una gran mole di documenti da
presentare. Si preoccupa anche della diffusione della fibra ottica e suggerisce che siano i
Corecom (che dipendono dall’Agcom) a gestire l’ormai vicina diffusione sul territorio della
nuova rete.
Questo per quanto riguarda il lavoro. Ma Romani, come tutti, ha anche una vita privata. Una
famiglia. Due mogli. Figli. Preoccupazioni. Problemi. Qualche guaio. In particolare il
fallimento di Lombardia7, la tv del programma di Maurizia Paradiso. Secondo l’accusa quando
la rete era già in stato di decozione, Romani avrebbe eseguito una serie di pagamenti
preferenziali per più di un miliardo di lire. Con assegni “monetizzati dallo stesso Romani”.
L’udienza preliminare termina con un proscioglimento. Deve però pagare 400mila euro come
risarcimento al curatore fallimentare della tv.
Una cifra rilevante. 200mila euro arrivano con una fideiussione dalla banca Popolare di Lodi,
all’epoca nelle mani di Giampiero Fiorani. Per l’altra metà gli è concessa la rateizzazione con
versamenti mensili. Finora onorati con assoluta e signorile puntualità. Va detto.
Come gli va riconosciuta la capacità di essere stato esempio per i figli. Nonostante i numerosi
impegni romani. In particolare il 27enne Federico deve aver imparato molto dal padre. Tanto da
volerne seguire le orme. Per quanto il papà abbia insistito a farlo lavorare in televisione, prima
a Telereporter e poi a Mediaset, lui ha voluto a tutti i costi entrare in politica.
L’occasione per il debutto arriva con la nascita della provincia di Monza e Brianza. Il 7 giugno
2009 Federico è eletto nelle file del Pdl. Come il padre si da un gran da fare. E’ membro di tre
commissioni su nove: energia e ambiente, personale e affari generali, finanze e bilancio. Inoltre
propone, con altri tre consiglieri, di candidare Silvio Berlusconi al premio Nobel per la Pace.
Le motivazioni? “Le attività svolte in prima persona per il rispetto dei diritti dell’uomo e degli
ideali democratici in favore della convivenza pacifica tra i popoli”.
La figlia Lucrezia, invece, sembra essere più propensa a seguire le passioni della madre,
Patrizia Zea, seconda moglie di Romani. I due si sono conosciuti a Lombardia7. Lei, oggi
39enne, era una giovane e bellissima show girl che ebbe occasione di mostrare le sue qualità
nel programma di Maurizia Paradiso prima, poi in Colpo Grosso di Umberto Smaila come
ragazza cin cin. Una sorta di amore a prima vista coronato dalla nascita, 15 anni fa, di Lucrezia.
La giovane liceale dello Zaccaria, condivide con la madre la passione per i cavalli. Insieme
hanno anche partecipato a qualche gara, seppur con scarsi risultati (un primo posto su 11
concorsi disputati). Lucrezia sempre in sella a Campari, la mamma a Fosbury Flop 3. Non
frequenta la politica né ambienti politici. Solo una volta ha ceduto alle opportunità fornitele dal
ruolo del padre: la prima alla Scala del 2009. Andò a vedere la Carmen. Venne notata nel foyer
tra dame d’altra epoca per la sua giovane età e perché indossava un vestito poco consono
all’evento: un abito nero corto su gambe svettanti. Ma si giustificò: “Scusate, sono giovane, il
lungo non fa per me”. Come ribatterle. La notizia era piuttosto che una 14enne si aggirava nel
museo delle cere pur di assistere all’opera di Bizet. Volontariamente. Insomma, di figli così c’è
solo da esserne fieri.
Come soddisfatto deve ritenersi Silvio Berlusconi del lavoro di Paolo Romani. Altro che
Brambilla. Lui la poltrona da ministro se la merita proprio.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/26/romani-luomo-della-brianza-al-servizio-di-b-per-risolvere-gliaffari-che-scottano/44045/
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E' ignobile usare in senso dispregiativo il termine ''Spatuzzisti'' di Maggiani Chelli
26 luglio 2010
Vogliamo fortemente dire al Dr Capezzone che noi non siamo affatto “scollegati dalla realtà
del Paese” e come potremmo visto che ogni giorno piangiamo i figli morti e massacrati in via
dei Georgofili il 27 Maggio 1993?
Infatti siamo costretti da 17 anni a fare i conti con una tragica realtà di questo Paese, ovvero la
mancanza di giustizia e la verità completa su di un massacro senza pari sulla pelle di innocenti,
la mafia ha ucciso bambini e ragazzi sotto la Torre dè Pulci e non era sola.
Assicuriamo il portavoce del PDL che noi conosciamo un mondo tutto diverso dal suo, ovvero
quello che la verità su quelle stragi maledette la vuole, perché tutti convinti che pagina non si
volta se non sapremo prima chi c’era insieme alla mafia “cosa nostra” la notte tragica
dell’attentato ai Georgofili.
Che una buona parte del Paese vuole la verità su quelle stragi, lo sanno benissimo tutti ed è
ignobile usare in senso dispregiativo il termine “Spatuzzisti”.
In questo caso la politica sul fatto delle stragi del 1993 stà passando il segno e noi siamo
profondamente offesi.
Gaspare Spatuzza è un collaboratore di giustizia per ben tre Procure in Italia e solo un pubblico
dibattimento potrà dire se mente o se dice il vero, non le isteriche affermazioni di chi mai ha
guardato per un solo attimo della propria vita politica verso le vittime di mafia.
Comunque se “spatuzzisti”, vuol dire voler ascoltare un collaboratore di giustizia in una aula di
Tribunale su fatti che strettamente ci riguardano e arrivare finalmente a capire il movente non
solo mafioso delle stragi del 1993, ebbene noi, fino a quando la Magistratura crederà in
Spatuzza, siamo “Spatuzzisti” e non accetteremo offese da nessuno senza rimandarle al
mittente.
Cordiali saluti
Giovanna Maggiani Chelli
Portavoce Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/29910/48/
Nucleare, come si calcola un costo eterno? di Giulietto Chiesa
Domenica 25 Luglio 2010 13:19
È cominciata in grande stile la campagna a favore del nucleare. Talmente grande, lo stile, che
perfino un cardinale (che deve avere una grande esperienza nucleare) ha firmato un opuscolo,
riccamente pagato, pare, dall’ENEL, per spiegare ai fedeli delle parrocchie, come è bello, utile
e sicuro avere sotto casa una bomba a scoppio ritardato. Non so quanti milioni di copie siano
state stampate dell’opuscolo aureo. Che misura comunque, prima di tutto, la potenza della
scimmia impazzita che sta portando il pianeta alla catastrofe.
Non solo nucleare. Ce ne sono parecchie che si accumulano (climatica, energetica, ambientale
in generale, finanziaria, dei rifiuti, dell’acqua etc). Ma quella nucleare è, in un certo senso, il
riassunto della stupidità umana e dell’inganno nel quale viviamo.
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Gli argomenti contro sono tanti. Ma, a proposito di stupidità e di irresponsabilità (verso i nostri
figli, nipoti, discendenti): quanti si rendono conto, Sua Eminenza, che, costruendo una centrale
nucleare si getta sulle spalle di tutte le generazioni future (tutte, proprio tutte) per il prossimi
150 mila anni, una serie di conseguenze imprevedibili, imparabili, mostruosamente costose,
comunque certamente nocive?
Capisco, Eminenza, che lei vuole stare al caldo e con la luce accesa. Ma ha pensato a quelli che
verranno dopo?
Anche Piero Angela, quello che ci racconta la scienza da decenni dagli schermi della Rai, è
sceso in campo per illustrarci quanto è buono il nucleare. Ma non ha spiegato quanto costa una
centrale nucleare. Perchè? Semplice: perchè non esiste nessuno al mondo in grado di calcolare
quanto costa realmente. Visto che, una volta costruita, essa resterà per sempre sul groppone
dell’Umanità, come calcolare spese “eterne”? Forse è qui che entra in campo Sua Eminenza, il
cardinale che ha firmato l’opuscolo.
Aspettiamo lumi. Intanto facciamo un altro conto. Forse banale. Quando la prima delle centrali
nucleari progettate dal governo italiano entrerà in funzione (ma scommetto mille contro uno
che non riusciranno nemmeno a farla) il problema del riscaldamento climatico sarà già esploso
con tutta la sua virulenza. Invece di buttare via 20 miliardi di euro per fare una cosa pericolosa,
che non serve, potremmo stanziarli per produrre energie rinnovabili. Con quelle cifre ci
sarebbero 100 mila nuovi posti di lavoro.
Ma tutto questo sarebbe logico. Invece noi abbiamo una scimmia impazzita al comando.
Aspettarsi che prenda decisioni logiche è come attendersi che, trepestando sulla tastiera del
computer, scriva la Divina Commedia.
Questo articolo è comparso sull'ultimo numero del periodico «Comunicare il Sociale».
http://www.megachipdue.info/tematiche/beni-comuni/4288-nucleare-come-si-calcola-un-costo-eterno-.html
Quelle stragi sul “continente” che nessuno fermò. Firenze, Milano e Roma 1993
Di Giovanni Vignali
Le stragi mafiose in continente potevano essere fermate? C’era chi, negli apparati di
sicurezza dello Stato aveva le informazioni sufficienti a intercettare in anticipo la decisione
(datata 1993) di Cosa nostra di colpire il patrimonio artistico del Paese e non colse i segnali –
seppur clamorosi – che vennero lanciati già sette mesi prima dagli “uomini d’onore”? Il
ritrovamento di una bomba a Palazzo Pitti non fu considerato un indizio sufficiente, alla luce di
una trattativa fra Stato e mafia che aveva avuto come oggetto proprio questo: recupero di quadri
in cambio di benefici carcerari ai boss? Lo scambio venne abortito dalla perentoria decisione
dell’allora colonnello Mario Mori, ma l’anno successivo fu contrassegnato da una serie di
attentati gravissimi proprio contro gallerie d’arte e importanti chiese della capitale. Quel filone
e le sue possibili implicazioni vennero sottovalutati, male interpretati, accantonati?
“Beati gli ultimi…”
Il 27 luglio di diciassette anni fa tre bombe colpirono Roma e Milano. Non tre luoghi
qualunque: S.Giovanni in Laterano, S.Giorgio al Velabro e il Padiglione di arte contemporanea
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del capoluogo lombardo. A Milano rimasero uccisi i vigili del fuoco Alessandro Ferrari,
Carlo La Catena e Sergio Pasotto, il vigile urbano Stefano Picerno e l’immigrato Moussafir
Driss.
Questi attentati, portati a termine esattamente due mesi dopo l’esplosione all’Accademia dei
Georgofili di Firenze, sono oggi conosciuti come l’assalto di Cosa Nostra al patrimonio
artistico del Paese, che costò all’Italia 10 morti, oltre 100 feriti e danni incalcolabili a
monumenti, quadri e sculture conosciuti in tutto il mondo.
Il racconto degli eventi in una relazione dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro. Il
mistero dell’esplosivo utilizzato
Due anni dopo questi fatti l’allora vicecapo della polizia Giovanni De Gennaro ha tenuto una
relazione al seminario “Falcon One” nella quale ha descritto gli eventi di quella sera, ricostruiti
sulla base delle relazioni di servizio: «Alle ore 23.14 del 27 luglio 1993 in via Palestro, a
Milano, esplodeva un’autovettura sulla quale era stata collocata una miscela di pentrite, T4 e
tritolo. La deflagrazione causava la morte di cinque persone e il ferimento di altre tredici,
nonché la distruzione dell‘immobile adibito a Padiglione di arte contemporanea e delle
autovetture in sosta. La carica esplosiva è stata collocata all’interno di un’autovettura Fiat Uno,
oggetto di furto in data 23 luglio 1993 in via Baldinucci a Milano.
Alle ore 0.03 del 28 luglio 1993, a Roma, nel piazzale antistante il vicariato di piazza San
Giovanni in Laterano e alle ore 0.08 in via del Velabro, esplodevano due autovetture, sulle quali
era stata collocata una miscela esplosiva composta da pentrite, T4 e tritolo. In entrambe gli
eventi, la deflagrazione causava il ferimento di persone, nonché ingenti danni agli edifici
adiacenti ed alle autovetture in sosta. Le cariche esplosive erano state collocate in entrambi i
casi all’interno di autovetture Fiat Uno, oggetto di furto nella capitale rispettivamente la prima
il 26 e la seconda tra il 26 e il 27 luglio 1993».
Sul tipo di esplosivo utilizzato anche in questo caso, come nell’attentato che un anno prima
aveva tolto la vita al giudice Paolo Borsellino, il Presidente della Commissione Bicamerale
Antimafia Giuseppe Pisanu nella sua relazione sulle stragi del 1992-93 ha avuto modo di
osservare: «L’esplosivo impiegato da Via Fauro in poi è lo stesso di Via D’Amelio: il plastico
“T4 o pentrite”. Prodotto in Austria, Regno Unito, Svezia e Stati Uniti, il “T4″ è fuori
commercio in Italia e lo hanno in dotazione soltanto le nostre Forze Armate. Cosa Nostra ne
disponeva in grandi quantità. nei primi cinque episodi or ora richiamati ne fece esplodere ben
670 Kg (…)».
Oltre le commemorazioni. L’esistenza di due trattative stato-mafia nella relazione del
Presidente Pisanu
In questi giorni si terranno a Roma e (soprattutto) a Milano le doverose commemorazioni per le
vittime di quell’attacco vile. E, mentre Daniele Capezzone spicca per l’ironia di dubbio gusto
nei confronti dell’Associazione tra i familiari delle vittime dei Georgofili (definiti
“spatuzzisti”), le stragi in continente della mafia restano, sui grandi media, in secondo piano. Il
processo Dell’Utri, le rivelazioni di Massimo Ciancimino, le accuse al Generale Mori, l’enorme
emozione per il ricordo avvenuto solo pochi giorni or sono del giudice Borsellino, la ricerca
della verità a proposito di via D’Amelio. Gran parte del dibattito pubblico degli ultimi mesi si è
concentrato sulla trattativa fra Stato e mafia, attraverso le ricostruzioni che il figlio di don Vito
Ciancimino da una parte, e l’ex capo del Sisde Mario Mori dall’altra, hanno proposto. A
corredo, una serie di dichiarazioni di politici e funzionari che hanno improvvisamente
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recuperato la memoria su quei terribili frangenti della nostra vita democratica.
Eppure, come ha avuto modo di certificare (casomai ce ne fosse stato ancora bisogno, dopo i
pronunciamenti del tribunale di Firenze e l’inchiesta del procuratore Gabriele Chelazzi) proprio
il Presidente dell’Antimafia Pisanu, le trattative furono due: «Oggi abbiamo notizie abbastanza
chiare su due trattative – ha scritto – quella ‘dai contorni anomali’ tra Mori e Ciancimino che
forse fu la deviazione di una audace attività investigativa; e quella tra Bellini-Gioè-BruscaRiina, dalla quale nacque l’idea di aggredire il patrimonio artistico dello Stato, avendo spiegato
Bellini ai suoi interlocutori che ‘ucciso un giudice questi viene sostituito, ucciso un poliziotto
avviene la stessa cosa, ma distrutta la Torre di Pisa, viene distrutta una cosa insostituibile con
incalcolabili danni per lo Stato’ (atti Corte Assise Firenze)».
La trattativa fra Bellini, ex estremista di destra, e Gioè (trasferita, per suo tramite, a Brusca e
Riina) si sviluppò lungo l’arco dell’estate del 1992. Ne furono informati sia il maresciallo
Tempesta, del Nucleo tutela patrimonio artistico dei carabinieri, sia l’allora colonnello, poi
generale, Mori. Lo scambio indecente che venne proposto fu quello di far recuperare quadri di
valore alle forze dell’ordine in cambio di benefici carcerari ai boss. Tutto il confronto si svolse
su questo tema: l’importanza delle opere d’arte per l’Italia. Il futuro capo del Sisde troncò
questa discussione, dopo esserne stato informato da Tempesta.
L’anno dopo 10 persone rimanevano uccise e oltre 100 ferite: la mafia aveva deciso di attaccare
proprio gli Uffizi, S.Giovanni in Laterano e S.Giorgio al Velabro, oltre al Padiglione di arte
contemporanea di Milano. Eppure già prima del 1993 c’era stata un’avvisaglia che la strategia
di attacco di Cosa nostra volgeva verso obiettivi nuovi, inediti. A Palazzo Pitti, una delle culle
culturali della civiltà fiorentina, il 5 novembre 1992 venne ritrovato un proiettile al Giardino di
Boboli. Brusca anni dopo lo descrisse come una bomba a mano posizionata agli Uffizi, gli
inquirenti constarono invece che si trattava di una bomba da mortaio di quarantacinque
millimetri, chiamata Brixia, risalente al 1935, seconda guerra mondiale. Lunga dodici
centimetri e caricata con circa settanta grammi di esplosivo, venne posizionata a circa dieci
minuti di cammino dall’ingresso del giardino, dietro alla statua del magistrato Marco Cautius,
avvolta da un sacchetto nero. Poco o nulla si sa dell’attività investigativa volta a scoprire cosa
significasse quell’ordigno in un luogo così simbolico per l’Italia intera. Chi indagò, a quanto
pare, non colse il vero significato del messaggio lanciato dagli “uomini d’onore” in pieno
centro a Firenze, fra turisti e comitive di studenti.
Gli elementi ci sono tutti, dunque. Una trattativa – condita da minacce – che ha come oggetto
l’affossamento della torre di Pisa e le elucubrazioni attorno al potere ricattatorio di minacciare
la distruzione dei monumenti della nostra storia (estate 1992); il niet perentorio delle forze
dell’ordine che la stroncano (presumibilmente fine agosto 1992); un primo segnale lanciato dai
mafiosi: una bomba a Palazzo Pitti che non fa vittime (novembre 1992). Infine l’evoluzione,
tragica e terribile, dell’anno successivo, il 1993: 10 morti e oltre 100 feriti.
In questi giorni a Milano saranno i giorni del ricordo e del dolore. Due mesi or sono lo furono a
Firenze. Ma, i familiari delle vittime così elegantemente bistrattati da Capezzone aspettano
ancora la risposta ad alcune domande che li assillano da 17 anni: le stragi mafiose in continente
potevano essere fermate? Il ritrovamento di una bomba a Palazzo Pitti non fu considerato un
indizio illuminante?
http://www.gliitaliani.it/2010/07/quelle-stragi-sul-continente-che-nessuno-fermo-firenze-milano-e-roma-1993/
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Rassegna Stampa N 78 27/07/2010 Prima di combattere la