Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 4 - 30 gennaio 2014
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Discorso di Denis Branzanti alla commemorazione per il 90° anniversario della scomparsa
del grande Maestro del proletariato internazionale tenuta a Cavriago
Studiamo e applichiamo gli insegnamenti
di Lenin sulla
lotta contro
i revisionisti
e i riformisti
italiani
PAGG. 3-4
Il saluto di Giovanni Scuderi,
Segretario generale del PMLI
Occorre studiare Lenin
per impedire che i falsi
comunisti si infiltrino nel
PMLI e per smascherarli
davanti ai sinceri comunisti
PAG. 2
4 scritti
di Lenin
Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia), 19 gennaio 2014. Militanti e simpatizzanti dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Piemonte e delle Marche del PMLI
commemorano il grande Maestro del proletariato internazionale Lenin, in occasione del 90° Anniversario della scomparsa. Al centro da destra, i compagni Denis
Branzanti, membro dell’Ufficio politico del PMLI e Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna, Federico Picerni, Responsabile della Commissione giovani del
CC del PMLI e Angelo Urgo, Segretario del Comitato lombardo del PMLI (foto Il Bolscevico)
sulla fondazione dell’Internazionale Comunista
tra cui: “Tesi e rapporto sulla democrazia borghese
e sulla dittatura del proletariato”
PAGG. 5-9
XVII congresso della Cgil
Le contraddizioni del leader della Fiom
prefigura una Cgil subalterna alle esigenze padronali e governative
documento congressuale
BOCCIAMO IL DOCUMENTO Landini accusa la Camusso di non essere
democratica. Però ha firmato il suo
DELLA
CAMUSSO
Il documento congressuale che porta anche la firma di Landini
appoggiamo e votiamo il documento 2
PAG. 12
Respingere l’accordo capitolazionista sulla rappresentanza, appoggiare la mozione 2
e sconfiggere la destra della Camusso al XVII congresso della Cgil
PAG. 10
Congresso SPI-CIGL A CATANIA
Schembri relatore per la seconda mozione chiede lo sciopero generale
di otto ore con manifestazione nazionale a Roma
Faraone,
uomo di Renzi,
indagato per
peculato sui
rimborsi
97 indagati, 83 sono
deputati di tutti i partiti
dell’Assemblea siciliana.
Crocetta deve dimettersi
PAG. 13
lanciata la proposta del Sindacato delle lavoratrici e dei
PAG. 12
lavoratori, delle pensionate e dei pensionati
Nonostante violenti cariche delle “forze dell’ordine” del ministro Alfano
LA RIBELLIONE DELLE MASSE POPOLARI
GIUGLIANESI BLOCCA IL PAGAMENTO DELLA TARES
Utilizzati gli spray urticanti contro i manifestanti. Ferma e unanime condanna di tutti i Comitati campani in lotta per la salute e l’ambiente
SOLIDARIETà DEL PMLI ALLE MASSE IN LOTTA E AI LORO COMITATI
PAG. 14
Favoritismi, clientelismo, minacce e
metodi di governo da boss nel suo
feudo nel Sannio
La ministra
De Girolamo
deve dimettersi
PAG. 13
2 il bolscevico / 90° anniversario della morte di Lenin
N. 4 - 30 gennaio 2014
Nel 90° anniversario della scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale
Il PMLI commemora Lenin
in piazza a Cavriago
Scuderi: “Facciamo diventare il PMLI un Gigante Rosso anche nel corpo e smascheriamo
la cricca trotzkista controrivoluzionaria di Rizzo”
Branzanti: “Studiamo e applichiamo gli insegnamenti di Lenin
sulla lotta contro i revisionisti e i riformisti”
‡‡Dal nostro corrispondente
dell’Emilia-Romagna
Domenica 19 gennaio militanti
e simpatizzanti dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del Piemonte e delle Marche del PMLI hanno
commemorato il grande Maestro
del proletariato internazionale Lenin in occasione del 90° anniversario della scomparsa, in piazza
Lenin a Cavriago.
Dalle 10,30 compagne e compagni sono affluiti nella piazza
sovrastata da un bellissimo busto
di Lenin collocato al suo centro.
L’incontro tra i compagni giunti
dalle province dell’Emilia-Romagna e dalle altre regioni è stato per
tutti motivo di entusiasmo e di fratellanza proletaria uniti dal comune intento di onorare Lenin e dare
una bella immagine di piazza del
PMLI.
Le bandiere del PMLI, così
come la biografia e un numero
speciale de “Il Bolscevico” dedicato alla Rivoluzione d’Ottobre
contornavano il busto, manifesti
di Lenin e Stalin erano posizionati
di fronte, numerose le bandiere dei
Maestri e del PMLI sorrette con
orgoglio dai marxisti-leninisti.
Alle 11,30 il compagno Denis
Branzanti, membro dell’Ufficio
politico del PMLI e Responsabile
del PMLI per l’Emilia-Romagna,
ha tenuto il discorso commemorativo (pubblicato a parte) leggendo
anche l’importante saluto (pubblicato a parte) inviato dal compagno
Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI.
Al termine dell’applaudito intervento il compagno Branzanti ha depositato un mazzo di fiori con un messaggio del PMLI ai
piedi del busto, poi tutti i presenti
si sono uniti nel canto de L’internazionale, Bandiera Rossa, il Sole
Rosso e per inneggiare ai Maestri
e al PMLI.
Come tradizione al termine dell’entusiasmante iniziativa
i compagni hanno consumato un
pranzo collettivo in un ristorante
della zona rimanendo ancora qualche ora a fraternizzare e a scambiarsi esperienze e considerazioni.
La commemorazione del 90°
della scomparsa di Lenin è stata
coronata da un ulteriore successo
rappresentato dalla inedita e positiva ricaduta sui media locali e nazionali che hanno dato un certo risalto all’iniziativa del PMLI, pur
distorcendone in parte il messaggio politico.
Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia), 19 gennaio 2014. Un momento
del discorso commemorativo tenuto
dal compagno Denis Branzanti (foto
Il Bolscevico)
Il saluto dI Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI
Occorre studiare Lenin per impedire
che i falsi comunisti si infiltrino nel PMLI
e per smascherarli davanti ai sinceri comunisti
Care compagne, cari compagni,
come tutti gli anni passati, tutto il PMLI è idealmente presente
assieme a voi a Cavriago per commemorare Lenin, in occasione del
90° Anniversario della sua scomparsa. Un saluto caloroso, fraterno
e militante a tutti i presenti, in particolare alle compagne e ai compagni provenienti da altre regioni.
Da sempre, ancor prima che
voi, compagni dell’Emilia Romagna con alla testa il compagno Denis Branzanti, faceste da
apripista, abbiamo pensato di indire una manifestazione nazionale per commemorare Lenin a Cavriago, davanti al suo monumento.
Quando avremo le forze, i mezzi
e le risorse sufficienti la realizzeremo senz’altro. Intanto, a nome
del Comitato centrale, vi ringrazio profondamente per questa vostra esemplare iniziativa, che ogni
anno, grazie anche agli importanti
discorsi commemorativi del compagno Denis, rappresenta un momento di riflessione per tutto il nostro amato Partito.
Lenin conosceva profondamente la situazione italiana, e ha
dato delle indicazioni preziosissime per come affrontare la lotta di
classe da parte dei veri comunisti,
cioè marxisti-leninisti, e del proletariato rivoluzionario italiano.
Soprattutto per quanto riguarda
la lotta per l’unità degli autentici
marxisti-leninisti nello stesso Partito e la lotta contro i revisionisti e
gli opportunisti.
È nostro dovere rivoluzionario e marxista-leninista studiare e applicare tali insegnamenti
per impedire che i falsi comunisti
si infiltrino nel PMLI e per smascherare coloro che alzando strumentalmente le bandiere di Lenin
e del socialismo cercano di rifarsi una verginità marxista-leninista
per unire a sé i sinceri comunisti e
tenerli sotto controllo.
È il caso della cricca trotzkista controrivoluzionaria di Marco Rizzo, fino a ieri con Krusciov,
Breznev e Gorbaciov e oggi con
Stalin, che proprio in questi giorni, sponsorizzata dal PC di Grecia,
ha rifondato il PCI sul pensiero di
Gramsci e di Secchia.
Si tratta di una operazione politica e organizzativa ancora più insidiosa di quella dei falsi partiti comunisti, il PRC di Ferrero e Grassi
e il PdCI di Diliberto, per imbrigliare il proletariato rivoluzionario
nel capitalismo e per impedirgli di
aprirsi e legarsi al PMLI.
Per quanto è nelle nostre possibilità dobbiamo farla fallire decuplicando i nostri sforzi per fare
del PMLI un Gigante Rosso anche nel corpo e per legarci sempre
più al proletariato, alle masse popolari e alle ragazze e ai ragazzi
che vogliono cambiare il mondo.
Dando battaglia al XVII Congresso della CGIL contro la destra della Camusso, per unire la sinistra e
per rilanciare la linea sindacale del
PMLI.
Smascherando l’Unione europea imperialista, chiedendo che
l’Italia esca da essa e invitando
l’elettorato ad astenersi alle prossime elezioni del proletariato europeo.
Lottando in prima fila contro
il governo affamatore e servo del
capitalismo Letta-Alfano, per gli
interessi immediati delle masse,
prima di tutto il lavoro per tutti i
disoccupati, e l’aumento dei salari
e delle basse pensioni.
Un grazie di cuore per il sostegno economico che avete dato e
date per pagare l’affitto e le spese
di gestione della nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” a Firenze.
Tutto per il PMLI, il proletariato e il socialismo!
Viva il grande Maestro Lenin!
Con Lenin per sempre contro il
capitalismo, per il socialismo!
Avanti con forza e fiducia verso l’Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Il vostro fedele compagno di lotta
e primo servitore del PMLI
Giovanni Scuderi
Impariamo da Lenin per smascherare
la democrazia borghese
e propagandare la prospettiva
del socialismo
In occasione dell’anniversario
della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, è stata studiata
l’opera di Lenin pubblicata da “Il
Bolscevico”: “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”, un
grande esempio di esposizione
marxista-leninista e di battaglia
dialettica antirevisionista su un
fondamentale tema della rivoluzione proletaria, anche per trarre
insegnamenti e spunti utili all’oggi, specie per smascherare le bugie dei riformisti e dei revisionisti
sulla “democrazia” senza aggettivi (“ma un marxista non dimenticherà mai di domandarsi: ‘per
quale classe?’”).
Proprio mentre noi marxistileninisti italiani siamo impegnati a
propagandare e spiegare la prospettiva del socialismo, questo
libro di Lenin ci viene in aiuto per
smascherare la democrazia borghese, “limitata, monca, falsa,
ipocrita, un paradiso per i ricchi,
una trappola e un inganno per gli
sfruttati, per i poveri”, senza dare
tregua alle sofisterie dei liberali e
dei riformisti. Come già Lenin prevedeva, oggi le masse popolari italiane si rendono sempre più conto
della “stridente contraddizione
tra l’uguaglianza formale, pro-
clamata dalla ‘democrazia’ dei
capitalisti, e gli infiniti sotterfugi
e restrizioni reali, che fanno dei
proletari degli schiavi salariati”.
Noi marxisti-leninisti dobbiamo far
capire che non si può cambiare veramente l’Italia (e il mondo) senza
mettere fine al capitalismo, ossia il
sistema fondato sullo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, l’unico modo
per eliminare “non ci può essere
reale uguaglianza, uguaglianza
di fatto, fino a che non viene eliminata qualsiasi possibilità che
una classe ne sfrutti un’altra”. E
non ci può essere autentica democrazia, democrazia per la classe
operaia, per le larghe masse popolari, senza eliminare il sistema
nel quale al grande capitale e alla
grande finanza è consentito fare il
bello e il cattivo tempo, imporre i
governi e addirittura Costituzioni
fasciste in sprezzo della volontà
popolare.
Lenin, smascherando “la posizione del democratico borghese, il quale non ammette che gli
interessi del proletariato e della
lotta di classe proletaria siano
al di sopra di tutto”, da ben 95
anni di distanza demolisce teoricamente e politicamente persino
i teorici della Costituzione come
“via maestra”, i quali non capiscono (o nascondono) che non
si può cambiare la società se si
resta nell’ambito delle istituzioni
borghesi.
E, infine, il grande Lenin non
lascia scampo al riformismo di ieri
e di oggi, che “si batte per ‘perfezionare’ mediante le riforme
l’imperialismo, per adattarsi e
subordinarsi ad esso”, quando
afferma senza mezzi termini che
“un rivoluzionario marxista si
distingue da un filisteo e da un
piccolo borghese proprio perché sa predicare alle masse
ignoranti la necessità della rivoluzione che matura, dimostrarne
l’ineluttabilità, spiegarne l’utilità
per il popolo, preparare a essa
il proletariato e tutte le masse
lavoratrici e sfruttate”.
Questo libro è un capolavoro
immortale del tesoro del marxismo-leninismo-pensiero di Mao
e mantiene una straordinaria attualità.
Abbiamo davvero tantissimo
da imparare dagli insegnamenti,
dallo stile, dalla dialettica e dalla
sintesi di Lenin.
(Dal rapporto mensile di dicembre dell’Organizzazione di Castelvetro di Modena del PMLI)
90° anniversario della morte di Lenin / il bolscevico 3
N. 4 - 30 gennaio 2014
Discorso di Denis Branzanti alla commemorazione per il 90° anniversario della scomparsa
del grande Maestro del proletariato internazionale tenuta a Cavriago
Studiamo e applichiamo
gli insegnamenti di Lenin sulla lotta
contro i revisionisti e i riformisti italiani
Care compagne e cari compagni,
90 anni sono passati da quando
ci ha lasciati il grande Maestro del
proletariato internazionale Lenin,
principale artefice della Grande
Rivoluzione Socialista d’Ottobre
e guida nel primo periodo dell’edificazione socialista nell’Unione
sovietica.
Sono passati 90 anni, tanti, ma
i popoli del mondo non possono e
non devono dimenticarsi di Lenin,
in particolare i popoli dell’ex Unione Sovietica che Lenin lasciò, il 21
gennaio del 1924, come popoli liberi dallo sfruttamento e dall’oppressione capitalista, avanguardia
del proletariato di tutto il mondo,
e che oggi, appunto 90 anni dopo,
sono esattamente al punto di partenza, per colpa dei revisionisti,
come popoli oppressi e sfruttati dai
pescecani capitalisti.
E non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo noi marxisti-leninisti italiani perché abbiamo ancora tantissimo da imparare da Lenin,
come da Marx, Engels, Stalin e
Mao, per condurre bene e fin in
fondo la lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo.
Non basta certo la demolizione
di una sua statua da parte di un pugno di fascisti avvenuta lo scorso
8 dicembre durante le proteste in
Ucraina a cancellare l’immortale
opera ideologica e pratica di Lenin.
Oggi siamo qui a Cavriago, in
Piazza Lenin, per ricordare a noi
stessi e al nostro popolo che Lenin è una grande bandiera del socialismo e del comunismo, e per
ricordare alla borghesia che finchè in Italia esisteranno il PMLI e
i marxisti-leninisti questa bandiera
sventolerà alta nelle piazze del nostro Paese.
Il PMLI.Emilia-Romagna, che
ha indetto questa manifestazione,
vi ringrazia tutti, compagne e compagni, in particolare quelli giunti
da fuori regione, per la vostra partecipazione che dà forza e vigore a
questa iniziativa, che puntualmente
si tiene ogni anno.
Ringraziamo anche la Commissione per il lavoro di Organizzazione del Comitato Centrale del
PMLI che ha inviato i propri saluti e il compagno Giovanni Scuderi, Segretario Generale del PMLI,
che scrive:
Care compagne, cari compagni,
come tutti gli anni passati, tutto
il PMLI è idealmente presente assieme a voi a Cavriago per commemorare Lenin, in occasione del 90°
Anniversario della sua scomparsa.
Un saluto caloroso, fraterno e militante a tutti i presenti, in particolare alle compagne e ai compagni
provenienti da altre regioni.
Da sempre, ancor prima che
voi, compagni dell’Emilia Romagna con alla testa il compagno Denis Branzanti, faceste da apripista,
abbiamo pensato di indire una manifestazione nazionale per commemorare Lenin a Cavriago, davanti
al suo monumento. Quando avremo le forze, i mezzi e le risorse sufficienti la realizzeremo senz’altro.
Intanto, a nome del Comitato centrale, vi ringrazio profondamente
Il compagno Denis Branzanti, membro dell’Ufficio politico del PMLI e Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna, mentre pronuncia il discorso commemorativo per l’Anniversario della scomparsa di Lenin (foto Il Bolscevico)
per questa vostra esemplare iniziativa, che ogni anno, grazie anche
agli importanti discorsi commemorativi del compagno Denis, rappresenta un momento di riflessione per tutto il nostro amato Partito.
Lenin conosceva profondamente la situazione italiana, e ha dato
delle indicazioni preziosissime per
come affrontare la lotta di classe
da parte dei veri comunisti, cioè
marxisti-leninisti, e del proletariato rivoluzionario italiano. Soprattutto per quanto riguarda la lotta
per l’unità degli autentici marxisti-leninisti nello stesso Partito e
la lotta contro i revisionisti e gli
opportunisti.
È nostro dovere rivoluzionario e marxista-leninista studiare e applicare tali insegnamenti
per impedire che i falsi comunisti
si infiltrino nel PMLI e per smascherare coloro che alzando strumentalmente le bandiere di Lenin
e del socialismo cercano di rifarsi una verginità marxista-leninista
per unire a sé i sinceri comunisti e
tenerli sotto controllo.
È il caso della cricca trotzkista
controrivoluzionaria di Marco Rizzo, fino a ieri con Krusciov, Breznev e Gorbaciov e oggi con Stalin, che proprio in questi giorni,
sponsorizzata dal PC di Grecia,
ha rifondato il PCI sul pensiero di
Gramsci e di Secchia.
Si tratta di una operazione politica e organizzativa ancora più insidiosa di quella dei falsi partiti comunisti, il PRC di Ferrero e Grassi
e il PdCI di Diliberto, per imbrigliare il proletariato rivoluzionario nel capitalismo e per impedirgli di aprirsi e legarsi al PMLI.
Per quanto è nelle nostre possibilità dobbiamo farla fallire decuplicando i nostri sforzi per fare del
PMLI un Gigante Rosso anche nel
corpo e per legarci sempre più al
proletariato, alle masse popolari
e alle ragazze e ai ragazzi che vogliono cambiare il mondo. Dando
battaglia al XVII Congresso della
CGIL contro la destra della Camusso, per unire la sinistra e per
rilanciare la linea sindacale del
PMLI.
Smascherando l’Unione europea imperialista, chiedendo che
l’Italia esca da essa e invitando
l’elettorato ad astenersi alle prossime elezioni del proletariato europeo.
Lottando in prima fila contro
il governo affamatore e servo del
capitalismo Letta-Alfano, per gli
interessi immediati delle masse,
prima di tutto il lavoro per tutti i
disoccupati, e l’aumento dei salari
e delle basse pensioni.
Un grazie di cuore per il sostegno economico che avete dato e
date per pagare l’affitto e le spese
di gestione della nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” a Firenze.
Tutto per il PMLI, il proletariato e il socialismo!
Viva il grande Maestro Lenin!
Con Lenin per sempre contro il
capitalismo, per il socialismo!
Avanti con forza e fiducia verso l’Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Il vostro fedele compagno di
lotta e primo servitore del PMLI
Giovanni Scuderi
L’amore, il rispetto, la riconoscenza, che i marxisti-leninisti provano verso Lenin, sono dovuti a
quanto egli ha fatto per l’emancipazione dei popoli di tutto il mondo dallo sfruttamento capitalista e
dall’oppressione imperialista.
Ci sono gli esempi e i modelli
della borghesia, e ci sono gli esempi e i modelli del proletariato.
La borghesia erige a propri modelli grandi capitalisti, pescecani
della finanza, innovatori in qualche campo della tecnologia o della scienza, personaggi dello sport e
dello spettacolo, a volte anche personaggi che hanno effettivamente combattuto battaglie importanti,
ma sempre sul terreno democratico borghese, tutt’al più progressista, come ad esempio quella contro
l’apartheid, ma nessuno merita di
stare sullo stesso piano dei nostri 5
Maestri Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, che sono e devono rimanere i modelli universali del proletariato, perché nessun altro ha dato
gli stessi contributi alla lotta per
l’emancipazione non in uno o più
campi, ma in ogni campo della vita
politica, economica e sociale delle
masse di tutto il mondo.
Nessun altro, come loro, ha lavorato incessantemente per fornire
al proletariato l’arma più potente:
la sua cultura, la sua storia, la sua
concezione del mondo.
Per questo deve essere incessante il nostro lavoro di studio e di
propaganda del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, seguito dalla
sua applicazione conseguente e coerente alla nostra situazione specifica, in base al principio “Studio e
azione, azione e studio” secondo la
dialettica della lotta di classe condotta col metodo marxista-leninista.
I marxisti-leninisti hanno tantissimo da guadagnare studiando e ristudiando gli scritti e i discorsi di
Lenin e degli altri Maestri per trasformare la propria concezione del
mondo, per l’enorme esperienza
del movimento operaio internazionale, per attenersi alla via dell’Ottobre, per ricercare spunti e indicazioni che ci orientino a risolvere i
problemi che affrontiamo.
In questo momento occorre approfondire gli insegnamenti di Lenin per combattere il riformismo
e l’opportunismo, con particolare
1914 culminate nella storica “settimana rossa” che dal 7 al 14 giugno
scosse nelle fondamenta il dominio
della borghesia, a dimostrazione
della volontà di lotta e dello spirito rivoluzionario del nostro popolo
che venne lasciato solo e finanche
sabotato dalla dirigenza del PSI.
Ciò che avvenne anche quando
i dirigenti sindacali e del PSI abbandonarono il grande movimento dell’occupazione delle fabbriche
giunto al suo momento culminante
nel settembre 1920.
Ma il tradimento più grande il
Partito socialista lo consumò, assieme agli altri opportunisti della II
Internazionale a partire dal 4 agosto 1914, quando i socialisti francesi, inglesi, belgi, italiani votarono i crediti di guerra alle borghesie
dei propri paesi, tradendo il proletariato e gli impegni da loro stessi votati e sottoscritti, per finire col
farsi la guerra l’un l’altro nella carneficina della prima guerra mondiale.
Per ingannare la classe operaia
e intossicarla col veleno del nazionalismo, gli agenti della borghesia
infiltratisi nelle file del proletariato mascherarono l’appoggio alle
borghesie nazionali con una falsa e
ipocrita fraseologia pacifista, così
come fece appunto il PSI di Lazzari lanciando la parola d’ordine “né
verni ai fini della lotta per la rivoluzione sociale, difende effettivamente la vera libertà di tutte le nazioni, che è possibile solo
nel socialismo”1. “I socialisti (non
opportunisti) di ogni pae­se debbono vedere il loro nemico principale nel “proprio” patrio sciovinismo”2.
Secondo Lenin quindi, si trattava di scegliere tra difendere “col
fucile o con la penna, direttamente o indirettamente”, i privilegi o le pretese della “propria”
borghesia, oppure di servirsi di
ogni lotta allo scopo di “smascherare e abbattere ogni governo, e
in prima linea, il proprio governo per mezzo dell’azione rivoluzionaria del proletariato internazionale solidale”3.
Il compito dei socialdemocratici doveva essere quello di adoperarsi per la sconfitta del “proprio
governo”, non certo a favore delle borghesie degli altri paesi, ma
nell’interesse del proletariato nazionale e internazionale che doveva approfittare della guerra per
“assestare colpi alla ‘propria’
borghesia, al ‘proprio’ governo”.
“Una classe rivoluzionaria non
può, durante una guerra reazionaria, non augurarsi la sconfitta
del proprio governo”4.
La maggioranza dei partiti della
Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia). Alcuni compagni posano con “Il Bolscevico” n. 3/2014 stampato a cura dei
compagni romagnoli. Al centro da destra, i compagni Denis Branzanti, Federico Picerni, Responsabile della Commissione
giovani del CC del PMLI e Angelo Urgo, Segretario del Comitato lombardo del PMLI (foto Il Bolscevico)
riferimento alla questione italiana, affrontata da Lenin prevalentemente nella critica al Partito socialista italiano.
Quel partito cioè fondato nel
1894 come partito del proletariato
ma che ha avuto sempre una guida
appunto riformista e opportunista,
per poi essere risucchiato in breve
tempo e completamente nel sistema capitalistico e successivamente pure nel suo vortice di malaffare, a dimostrazione che se le radici
di una pianta sono marce è inutile insistere sperando che dia buoni frutti.
Un partito quindi che mostrò
la sua vera “anima” borghese sin
dalle prime grandi lotte del proletariato italiano nella primavera del
aderire né sabotare”.
Da quel momento in poi, essendo venuta meno ai propri impegni,
la II Internazionale cessò di fatto di
esistere e progressivamente si disgregò in una serie di partiti social
sciovinisti.
Lenin condusse una dura battaglia politica contro tale risma di
rinnegati e servi della borghesia,
per fare chiarezza su come dovevano schierarsi allora gli autentici socialdemocratici (cioè i marxisti-leninisti di oggi).
“Chi non condanna la partecipazione a questa guerra - disse Lenin - perpetua l’oppressione imperialista delle nazioni. Chi
incita ad approfittare delle difficoltà in cui si trovano oggi i go-
II Internazionale cadde invece nelle mani delle borghesie nazionali
propagandando per lo più uno sterile quanto dannoso neutralismo:
“né vittoria né sconfitta”, confondendo il carattere della guerra (reazionaria o rivoluzionaria) che dipende non da chi ha attaccato e dal
paese occupato dal “nemico”, ma
dalla classe che conduce la guerra,
dalla politica di cui la guerra è la
continuazione.
Lenin chiarì che “I riformisti
ed i pacifisti borghesi sono gente che, per regola generale, è pagata in una forma o in un’altra,
perché consolidi con dei piccoli rappezzamenti il dominio del
SEGUE IN 4ª
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4 il bolscevico / 90° anniversario della morte di Lenin
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DALLA 3ª
capitalismo, perché addormenti
le masse popolari distogliendone
l’attenzione dalla lotta rivoluzionaria”5.
“Il marxismo non è pacifismo”,
in quanto in regime capitalistico,
particolarmente nella fase imperialistica, le guerre sono inevitabili, e
“solo con l’appello alla lotta rivoluzionaria, la vera rivendicazione della ‘pace’ acquista un significato proletario”6.
Occorreva quindi che i socialisti si separassero nettamente dagli
opportunisti e dai social sciovinisti, venuti allo scoperto in particolare allo scoppio della prima guerra
mondiale.
Ma Lenin indicò tale via ai socialisti italiani ancor prima della guerra, quando i rivoluzionari
(che al congresso di Reggio Emilia del 1912 avevano la maggioranza), convivevano con i riformisti di sinistra (con Turati alla testa)
e i riformisti di destra (capeggiati
da Bissolati), ma solo una piccola
parte di questi ultimi venne espulsa
dal partito, seguita poi volontariamente dagli altri riformisti di destra
che fondarono il “partito socialista
riformista”.
Al riguardo Lenin disse che
“Una scissione è cosa grave e dolorosa. Ma qualche volta è necessaria e in questi casi ogni debolezza, ogni ‘sentimentalismo’
è un delitto. I capi degli operai
non sono angeli, non sono santi,
eroi, ma sono uomini come tutti
gli altri. Essi commettono errori.
Il partito li corregge. Ma se si insiste nell’errore, se per la difesa
dell’errore si forma un gruppo
che calpesta tutte le decisioni del
partito, tutta la disciplina dell’esercito proletario, la scissione è
indispensabile. E il partito del
proletariato socialista italiano,
allontanando da sé i sindacalisti
e i riformisti di destra, ha preso
la strada giusta”7.
Anche nel suo saluto al Congresso del Partito socialista italiano del 1916 Lenin rimarcava “l’inevitabilità e la necessità della
rottura coi social sciovinisti, cioè
coi socialisti a parole e sciovinisti nei fatti, e precisamente: con
tutti coloro che sostengono o approvano la ‘difesa della patria’
nella guerra imperialista attuale,
che direttamente o indirettamente sostengono il ‘proprio’ governo, la ‘propria’ borghesia in questa guerra reazionaria, brigantesca, fatta per la spartizione delle
colonie e per la dominazione del
mondo. Noi consideriamo la rottura con i social sciovinisti storicamente inevitabile e necessaria
per una lotta sincera – e non limitata a proteste verbali – del
proletariato per il socialismo. I
rappresentanti del vostro partito
partivano dal punto di vista della
possibilità della vittoria del proletariato sui socialsciovinisti senza una rottura con essi. Noi vo-
gliamo sperare che lo sviluppo
degli avvenimenti nel socialismo
mondiale allontani sempre più la
causa di questo dissenso fra noi”.
Nel 1917 poi Lenin metterà in
evidenza come in Italia “tutto il
partito ha preso una posizione
social pacifista”8 e che “il Partito
socialista italiano, se vuole essere
realmente per la III Internazionale, scacci con ignominia dalle sue file i signori Turati e consorti e diventi un partito comunista, non soltanto di nome, ma
anche per le sue azioni”9, definendo i vari Turati, Treves e gli altri
rappresentanti della destra del partito italiano “ancora più a destra
di Kautski”, addirittura “Per loro
ne del socialismo prima in URSS
e poi in Cina il proletariato aprì e
percorse con successo l’autentica
via rivoluzionaria per l’emancipazione, questo almeno fino a quando
i falsi comunisti, i revisionisti e gli
opportunisti hanno gettato la maschera e deviato progressivamente
dal campo del socialismo a quello
del capitalismo.
E in questo processo Lenin vi
ha svolto un ruolo di primo piano,
fondamentale, che ha trovato prima in Stalin e poi in Mao dei degni
successori.
È grazie a Stalin se il leninismo
non è stato buttato nella pattumiera
alla sua morte nel 1924, ed è grazie soprattutto a Mao se il lenini-
Al termine del discorso commemorativo il compagno Denis Branzanti depone
un mazzo di fiori con un messaggio del PMLI ai piedi del busto del Maestro del
proletariato internazionale (foto Il Bolscevico)
la ‘dittatura’ del proletariato è in
contraddizione con la ‘democrazia’!!!”10.
Lenin metteva in guardia la
classe operaia da tale risma di traditori del proletariato e del socialismo: “per dirigere le masse, gli
operai coscienti debbono capire che alcuni capi del socialismo,
come Turati, Kautski e C. sono in
completa putrefazione”11.
La II internazionale, che fu diretta da Engels fino alla sua scomparsa nel 1895, svolgendovi un’opera insostituibile e meritoria di
orientamento ideologico e politico, grazie alla quale, tra l’altro, si
formarono organizzazioni e partiti socialisti della classe operaia in
numerosi paesi europei, cadde così
“nell’immensa maggioranza dei
suoi rappresentanti… nell’opportunismo”12.
Solo con la separazione dei comunisti dai riformisti, con la costituzione dei partiti comunisti,
la Grande Rivoluzione Socialista
d’Ottobre, la fondazione della Terza Internazionale e l’edificazio-
smo non è rimasto lettera morta risalente al suo tempo ma un pensiero attuale e ricco di preziosi insegnamenti anche 90 anni dopo, ed è
grazie al PMLI se ancora oggi il leninismo vive non solo sulla carta,
ma anche e soprattutto nelle fabbriche, nelle scuole e nelle piazze del
nostro Paese.
Lenin è stato quindi l’artefice
della prima fondamentale battaglia
storica dei marxisti-leninisti contro la socialdemocrazia, i vecchi riformisti e i revisionisti. È infatti il
revisionismo, cioè lo svuotamento
del marxismo-leninismo dei suoi
caratteri proletari rivoluzionari, la
causa della liquidazione dei partiti che si richiamavano al comunismo. Se non si capisce questo saremo eternamente subalterni e in
balia della borghesia e degli imbroglioni politici sul piano ideologico,
politico e organizzativo.
Dobbiamo essere capaci di mettere in pratica le indicazioni di
Lenin e cioè che “I socialisti – e
quindi oggi i marxisti-leninistidevono mettere alla base del loro
lavoro la lotta contro il riformismo, che ha sempre corrotto, con
idee borghesi, il movimento operaio”13, occorre andare a “una rottura seria, definitiva, netta e decisa con il riformismo”.
Lo dobbiamo fare per preservare la corretta linea marxista-leninista, e ciò è possibile solo se rispettiamo e facciamo rispettare la
linea politica e organizzativa e il
centralismo democratico del Partito, e non venendo mai meno ai
tre principi esposti da Mao: “praticare il marxismo e non il revisionismo, sostenere l’unità e non
la scissione, essere aperti e leali
e non ricorrere agli intrighi e ai
complotti”.
Ma per tenere alla larga il revisionismo e il riformismo dal Partito, dobbiamo essere innanzitutto
capaci di riconoscerli.
I falsi comunisti si possono infatti nascondere anche dietro Lenin e persino a Stalin. Lo faceva
anche Trotzki che si rifaceva a Lenin strumentalizzandone il pensiero. Oggi questa tattica è seguita in
Italia dai falsi comunisti diretti da
Marco Rizzo che hanno imbastito
una nuova sporca e insidiosa operazione per imbrigliare nel capitalismo i sinceri comunisti, rifondando il PCI sul pensiero di Gramsci
e Secchia. Questa nuova situazione ci richiede di studiare e applicare gli insegnamenti di Lenin sulla
lotta contro i revisionisti e i riformisti italiani, nonché le opere antirevisioniste degli altri 4 Maestri,
in particolare quelle di Mao, non a
caso ignorato da Rizzo.
Dobbiamo anche studiare ciò
che ha prodotto il PMLI riguardo
i revisionisti italiani, a cominciare
da Gramsci.
Altrimenti è impossibile poter
smascherare ed emarginare dalle
masse operaie, lavoratrici, disoccupate, precarie e giovanili i “nuovi” vecchi imbroglioni politici opportunisti e trotzkisti travestiti da
comunisti.
Il proletariato del nostro Paese deve comprendere, e lo farà con
l’esperienza che maturerà nel corso della lotta di classe ma anche
grazie al lavoro di propaganda e
di radicamento dei marxisti-leninisti, che in Italia occorre dare forza
e fiducia all’unico partito autenticamente comunista, il PMLI, che
da quasi 37 anni, senza contare i
precedenti 10 di preparazione, batte incessantemente con tutte le sue
forze sul chiodo rosso della lotta
contro il capitalismo, per il socialismo, perché solo così ci si potrà
liberare dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dalla miseria, dalla
disoccupazione, dalle ingiustizie e
dalle disuguaglianze sociali, territoriali e di sesso, dalle guerre imperialiste.
Perché solo così potremo cacciare il governo Letta-Alfano, subentrato in corsa al governo Letta-Berlusconi.
Dopo la decadenza del neoduce
e l’uscita della ricostituita Forza fascisti dalla maggioranza, Letta ha
ribadito il proprio programma liberista, presidenzialista e di macelleria sociale per “risanare” i conti dello Stato e rilanciare l’economia capitalistica, rimarcando così
la lontananza dalle drammatiche
condizioni degli operai, dei contadini, dei disoccupati, dei precari,
dei pensionati, dei dipendenti pubblici, degli studenti, dei piccoli imprenditori e artigiani rovinati e del
Mezzogiorno abbandonato, nonostante che fuori del Palazzo si faccia sempre più forte il rumore delle
rivolte popolari.
Basti citare i miliardi di euro
impiegati per finanziare le missioni militari all’estero, l’acquisto di
mezzi come i caccia bombardieri F-35 e le navi da guerra Fremm,
per non parlare delle dannose e
inutili grandi opere come la TAV e
la militarizzazione permanente dei
N. 4 - 30 gennaio 2014
Il compagno Branzanti insieme alla
simpatizzante che ha realizzato la
torta con il simbolo del PMLI (foto Il
Bolscevico)
suoi cantieri.
Soldi che potrebbero invece sostenere i lavoratori precari e quelli
che perdono il lavoro, ristrutturare
le scuole e finanziare il diritto allo
studio, alla sanità, garantire il diritto alla casa.
Solo con l’estensione e la radicalizzazione dell’opposizione
di classe e di massa nelle fabbriche, in tutti i luoghi di lavoro, nelle
scuole, nelle università, nelle piazze, nelle organizzazioni di massa,
specie sindacali è possibile cacciare questo governo, proclamando a
tal fine anche lo sciopero generale
di 8 ore con manifestazione nazionale a Roma.
Occorre andare fino in fondo nelle importanti mobilitazioni
in corso, in particolare quelle studentesche e dei lavoratori, portandole ad un livello sempre più elevato e cosciente, i marxisti-leninisti hanno l’importante compito di
orientarle correttamente, in base
alle forze attuali, senza lasciare peraltro in mano alla piccola borghesia e soprattutto ai fascisti il movimento contro l’austerità, le tasse, la
povertà, Equitalia e il governo, che
invece i partiti e i sindacati della sinistra borghese hanno abbandonato completamente e attaccato sin
dall’inizio.
Ma non basta. Tutte queste lotte devono convergere contro il nemico comune, che è il capitalismo.
Se si vuole un futuro migliore, occorre affrontare la questione fondamentale del sistema economico vigente. Non si può cambiare senza
abbattere il capitalismo e i governi che gli reggono il sacco, anche
se sono espressione della “sinistra”
borghese. L’unica vera alternativa
passa dalla distruzione di questo
sistema fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dalla sua
sostituzione con il socialismo, la
società dei lavoratori, con la classe
operaia al potere.
È un compito gravoso, ma non
dobbiamo farci spaventare dagli attuali rapporti di forze.
Lenin ci insegna che “Basta un
partito piccolissimo per condurre le masse al proprio seguito. In
determinati momenti non c’è la
necessità di grandi organizzazioni. Ma per vincere bisogna avere
Onore a Lenin, una
grande occasione per
chi ha a cuore il PMLI
Cari compagni/e
oggi ho avuto l’onore di partecipare alla commemorazione del
compagno Lenin a Cavriago, una
grande occasione per chi ha a cuore il PMLI. Il compagno Denis ha
fatto un ottimo discorso centrandosi anche sul revisionismo e sugli pseudocomunisti di Rizzo che,
approfittando della crisi, non rinnegano più ideali e concetti ma
solo per opportunismo. Inoltre,
abbiamo ascoltato con piacere il
saluto recapitatogli da Scuderi:
anche se non era presente basta-
la simpatia delle masse. La maggioranza assoluta non è sempre
necessaria”14.
I marxisti-leninisti, imparando da Lenin, devono “organizzare effettivamente la propaganda
e l’agitazione rivoluzionaria, anche in una situazione non rivoluzionaria”15, “I rivoluzionari prima che la rivoluzione scoppi, la
prevedono, ne riconoscono l’inevitabilità, ne insegnano la necessità alle masse, ne spiegano alle
masse le vie ed i metodi”16.
Noi marxisti-leninisti non ci
arrendiamo, vogliamo e possiamo abbattere la borghesia il capitalismo, vogliamo e possiamo conquistare il socialismo, vogliamo e
possiamo cancellare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e portare il
proletariato al potere.
“Noi marxisti-leninisti siamo
fatti di una pasta speciale e non ci
lasciamo intimorire dalle difficoltà
che si frappongono alla realizzazione di questo grandioso compito
storico né sopraffare dai nostri limiti e inadeguatezze”17.
Care compagne e cari compagni,
facciamo nostra e rilanciamo
l’esortazione diretta di Lenin “Scegliete, compagni, scegliete, operai italiani…”, scegliete la lotta di
classe e non il riformismo, scegliete il marxismo-leninismo-pensiero
di Mao e non il revisionismo, scegliete il PMLI e non i falsi comunisti, scegliete il socialismo e non il
capitalismo!
Tutto per il PMLI, per il proletariato e il socialismo!
Con Lenin per sempre contro il
capitalismo per il socialismo!
Avanti con forza e fiducia verso l’Italia unita, rossa e socialista!
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!
Note
1 - La guerra europea e il socialismo internazionale – 1914
2 - Imperialismo e socialismo in Italia –
1915
3 - Imperialismo e socialismo in Italia –
1915
4 - I compiti del proletariato nella guerra
imperialista – 1915
5 - Una svolta nella politica mondiale –
1917
6 - Il socialismo e la guerra
7 - Il Congresso di Reggio Emilia – 1912
8 - I compiti del proletariato nella nostra
rivoluzione – 1917
9 - L’estremismo malattia infantile del comunismo
10 - Stato e rivoluzione – 1917
11 - Stato e rivoluzione-1917
12 - Stato e rivoluzione – 1917
13 - La lotta contro il riformismo – 1917
14 - Discorso sulle condizioni di ammissione all’I.C. – 1920
15 - Discorso sulle condizioni di ammissione all’I.C. – 1920
16 - I marxisti rivoluzionari alla Conferenza internazionale socialista del 5-8
settembre 1915
17 - Discorso di Mino Pasca, a nome
del CC del PMLI, per il 37° Anniversario della scomparsa di Mao – pubblicato
Il Bolscevico n°39-2013
va osservare le rosse bandiere del
PMLI sventolare vicino al busto di
Lenin per avere tutto il Partito intorno a sé.
L’unione, il gruppo e lo spirito fa del PMLI l’unico vero Partito
comunista e l’unica vera soluzione
per tutto il proletariato.
Ancora una volta ribadisco che
il PMLI è una grande famiglia e
me ne sento di far parte. Ora dobbiamo rimboccarci le maniche per
il congresso della CGIL, per il sindacato vero dei lavoratori e come
sempre ad ogni occasione darò il
mio contributo.
W il PMLI sempre!
Antonio - Modena
90° anniversario della morte di Lenin / il bolscevico 5
N. 4 - 30 gennaio 2014
Discorso di Lenin: “La fondazione dell’Internazionale comunista”
Tentano di isolarci, ma gli operai
di Cavriago sono per noi
Pubblichiamo il discorso pronunciato da Lenin alla
seduta comune del Comitato
esecutivo centrale dei soviet
di Mosca, del comitato moscovita del partito comunista, del Consiglio centrale dei
sindacati, dei sindacati e dei
comitati di fabbrica e d’officina di Mosca il 6 marzo
1919. Il titolo è redazionale.
Compagni, non siamo riusciti a riunire al primo congresso dell’Internazionale comunista i rappresentanti di tutti i paesi
dove si trovano gli amici più fedeli di quest’organizzazione, dove vi
sono operai che simpatizzano appieno per noi. Consentitemi quindi di cominciare con una breve citazione che vi mostrerà quanto i
nostri amici siano più numerosi di
quel che vediamo e pensiamo, di
quelli che siamo riusciti a radunare qui, a Mosca, nonostante tutte le
persecuzioni, nonostante la coalizione dell’onnipotente (così sembra) borghesia del mondo intero.
Queste persecuzioni sono arrivate
al punto che si è tentato di circondarci come con una muraglia cinese e che si sono espulsi i bolscevichi, a decine e a dozzine, dalle
repubbliche più libere del mondo,
quasi si temesse che una decina o
una dozzina di bolscevichi fosse
capace di contagiare il mondo intero; ma noi sappiamo che questo
timore è ridicolo, perché i bolscevichi hanno già contagiato tutto il
mondo, perché la lotta degli operai
corso della guerra si sono schierati con la borghesia dei loro paesi.
Ebbene, nel numero del 13 gennaio 1919, questo giornale informa
che a Parigi si è tenuta un’assemblea molto larga, come riconosce
Io stesso quotidiano, dei quadri
di partito e dell’attivo dei sindacati operai della federazione della
Senna, cioè della zona più vicina
a Parigi, della zona che è il centro
del movimento proletario, il centro di tutta la vita politica francese.
All’assemblea ha preso anzitutto
la parola Bracke, un socialista che
per tutta la guerra ha condiviso le
posizioni dei nostri menscevichi e
dei nostri difensisti di destra. Bracke è stato cheto come l’olio. Non
ha nemmeno sfiorato una sola
questione spinosa! E ha concluso
dichiarandosi contrario all’intervento del governo del suo paese
nella lotta del proletariato degli altri paesi. Le sue parole sono state sommerse dagli applausi. È poi
intervenuto uno dei suoi compagni di idee, un certo Pierre Laval,
che ha parlato della smobilitazione, cioè della questione più dolente della Francia odierna, del paese
che ha forse sopportato più sacrifici di ogni altro in questa guerra
criminale. La Francia vede oggi
che la smobilitazione si trascina
per le lunghe, viene rallentata, che
non si ha alcun desiderio di realizzarla e che si prepara invece una
nuova guerra, che imporrà evidentemente agli operai francesi nuovi sacrifici, al fine di determinare
quale parte del bottino dovranno
Pietrogrado, 7 novembre 1917. Lenin si intrattiene con delegati e guardie rosse
durante i lavori del II Congresso dei soviet nella notte della presa del Palazzo
d’Inverno
russi ha già fatto comprendere alle
masse operaie di tutti i paesi che
proprio qui, in Russia, si decide la
sorte della rivoluzione mondiale.
Compagni, ho qui tra le mani
L’humanité, un giornale francese
che per il suo indirizzo è soprattutto affine all’orientamento dei
nostri menscevichi e socialisti-rivoluzionari di destra. Durante la
guerra questo giornale ha perseguitato nel modo più implacabile
coloro che si attenevano alle nostre posizioni. Attualmente il giornale sostiene gli elementi che nel
ancora ricevere i capitalisti francesi o inglesi. Ebbene, il giornale
dichiara che la folla ha ascoltato il
discorso di Pierre Laval, ma che le
sue affermazioni ostili al bolscevismo hanno suscitato tali proteste
e provocato tale indignazione che
l’assemblea è stata sospesa. In seguito il cittadino Pierre Renaudel
non è riuscito a prendere la parola, e la riunione si è conclusa con
un breve intervento del cittadino
Péricat, cioè di uno dei pochi rappresentanti del movimento operaio francese che nella sostanza so-
Lenin, Mosca 23 aprile 1920
lidarizzano con noi. Il giornale è
stato pertanto costretto a confessare che l’assemblea toglieva la parola all’oratore non appena costui
cominciava ad attaccare i bolscevichi.
Compagni, nel momento presente non siamo riusciti ad avere
qui direttamente dalla Francia un
solo delegato, e soltanto con grande fatica è potuto arrivare fra noi
un francese, il compagno Guilbeaux. Egli prenderà la parola oggi.
È stato rinchiuso per mesi nelle
prigioni della Svizzera, di questa
libera repubblica, sotto l’accusa di
essere in rapporto con Lenin e di
preparare la rivoluzione in Svizzera. Gli hanno fatto attraversare la Germania sotto una scorta di
gendarmi e ufficiali, temendo, evidentemente, che vi facesse cadere
un fiammifero dando così fuoco
alla Germania. Ma la Germania
è già in fiamme anche senza questo fiammifero. E, come si vede,
in Francia non manca chi simpatizza per il movimento bolscevico. Le masse francesi sono forse
tra le masse più esperte, educate
politicamente, vive è sensibili. In
un’assemblea popolare non permettono a un oratore una sola nota
falsa. Gli tolgono la parola. Ed è
ancora una fortuna per lui, se, dato
il temperamento francese, non lo
tirano giù dalla tribuna! Pertanto,
quando un giornale che ci è ostile riferisce ciò che è avvenuto in
questa grande assemblea, noi diciamo che il proletariato francese
è con noi.
Riporto ora una breve citazione da un giornale italiano. Si tenta di isolarci dal resto del mondo
in modo tale che noi riceviamo i
giornali socialisti degli altri paesi come una grande rarità. Come
una rarità ci è pervenuto un numero del giornale italiano Avanti!, organo del Partito socialista
italiano, che ha partecipato a Zimmerwald, che ha lottato contro la
guerra e che ha deciso oggi di non
intervenire al congresso dei gialli
a Berna, al congresso della vecchia Internazionale, al congresso
di coloro che hanno contribuito
con i propri governi a tirare in lungo questa guerra criminale. L’Avanti! è ancora sottoposto a una
censura rigorosa. Ma nel numero, che ci è capitato di avere per
caso, leggo una corrispondenza
sulla vita del partito da una località chiamata Cavriago (un angolino
sperduto, evidentemente, perché
non si trova sulla carta geografica) e vedo che gli operai, dopo essersi riuniti, hanno approvato una
risoluzione in cui si esprime simpatia al giornale per la sua intransigenza e dichiarano di approvare
gli spartachisti tedeschi; seguono
quindi parole che, pur scritte in
italiano, sono comprensibili in tutto il mondo: “sovietisti russi”; gli
operai salutano i “sovietisti” russi ed esprimono l’augurio che il
programma dei rivoluzionari russi
e tedeschi sia accettato in tutto il
mondo e serva a condurre sino in
fondo la lotta contro la borghesia
e contro la dominazione militare.
Ebbene, quando leggiamo una tale
risoluzione di una qualsiasi sperduta Poscekhonie italiana, possiamo dire a buon diritto che le masse
italiane sono per noi, che le masse italiane hanno capito che cosa
sono i “sovietisti” russi, quale è
il programma dei “sovietisti” russi e degli spartachisti tedeschi. E
dire che fino a poco fa non avevamo un tale programma! Non avevamo alcun programma comune
con gli spartachisti tedeschi! Ma
gli operai italiani respingono tutto ciò che leggono nella loro stampa borghese, la quale, pagata dai
milionari e dai miliardari, diffonde
in milioni di copie calunnie contro di noi. Gli operai italiani non
si fanno ingannare. Essi capiscono che cosa sono gli spartachisti e
i “sovietisti” e dichiarano di simpatizzare per il loro programma,
persino nel momento in cui questo
programma non è ancora tracciato. Ecco perché è stato così facile
il nostro lavoro a questo congresso. Ci è bastato trascrivere come
programma ciò che era già impresso nella coscienza e nei cuori degli
operai, persino di quelli isolati in
un angolino sperduto, separati da
noi mediante cordoni polizieschi e
militari. Ecco perché abbiamo ottenuto così facilmente e concordemente, in tutte le questioni principali, una decisione unanime, ecco
perché siamo pienamente convinti
che queste decisioni avranno una
ripercussione possente sul proletariato di tutti i paesi.
Il movimento dei soviet, compagni, ecco la forma che è stata
conquistata in Russia, che si propaga oggi nel mondo intero e che
con il suo solo nome fornisce agli
operai un programma. Compagni,
io mi auguro che noi, a cui è toccata la grande fortuna di sviluppare
la forma dei soviet fino alla vittoria, non finiremo per trovarci nella
situazione di chi può essere biasimato per presunzione.
Noi sappiamo molto bene,
compagni, che siamo riusciti a
prender parte per primi alla rivoluzione proletaria sovietica non
perché fossimo preparati come gli
altri operai, o meglio di loro, ma
solo perché eravamo peggio preparati. Questa circostanza ha fatto
sì che ci trovassimo dinanzi il nemico più feroce e decrepito, questa circostanza ha determinato la
palese ampiezza della rivoluzione. Ma noi sappiamo anche che i
soviet esistono da noi e combattono tuttora contro difficoltà immani, causate dall’inadeguato grado
di cultura e dal peso che grava da
più di un anno su di noi, che restiamo al nostro posto isolati, mentre i
nemici ci accerchiano da ogni lato
e mentre, voi lo sapete benissimo,
sofferenze incredibili, la tortura
della fame e tormenti atroci si abbattono su di noi.
Compagni, coloro che direttamente o indirettamente si schierano con la borghesia cercano
spesso di rivolgersi agli operai e
di suscitare la loro indignazione,
mostrando a quali gravi sofferenze siano oggi soggetti gli operai.
Per parte nostra diciamo che queste sofferenze sono gravi e che noi
non ve le nascondiamo. Così noi
parliamo agli operai, ed essi lo
sanno bene per loro esperienza.
Voi vedete che lottiamo per la vittoria del socialismo non soltanto
per noi, non soltanto perché i nostri figli si ricordino dei capitalisti e dei grandi proprietari fondiari come di mostri preistorici, ma
anche perché gli operai del mondo intero vincano insieme con noi.
Il primo congresso dell’Internazionale comunista, il quale ha
rivelato che i soviet si conquistano la simpatia degli operai in
tutto il mondo, ci mostra che la
vittoria della rivoluzione internazionale comunista è assicurata. La
borghesia imperverserà ancora in
molti paesi, dove si sta accingendo a mandare a morte gli uomini
migliori, i migliori rappresentanti del socialismo, come attesta il
selvaggio assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht da
parte delle guardie bianche. Non
cerchiamo intese con la borghesia,
marciamo contro di essa verso la
battaglia decisiva, finale, ma sappiamo che, dopo le torture, le sofferenze, le sventure della guerra,
nel momento in cui le masse lottano in tutto il mondo per la smobilitazione, si sentono ingannate, capiscono quanto sia gravoso il peso
delle imposte a cui le sottopongono i capitalisti, che hanno martoriato decine di milioni di uomini
per stabilire chi dovesse ottenere un profitto più alto, noi sappiamo che l’ora della dominazione di
questi banditi sta ormai passando!
Oggi che la parola “soviet” è
diventata chiara per tutti, la vittoria della rivoluzione comunista è
assicurata. I compagni presenti in
questa sala hanno visto come sia
stata fondata la prima repubblica
dei soviet, essi vedono oggi come
venga fondata la III Internazionale, l’Internazionale comunista, vedranno domani come sarà fondata
la repubblica federativa mondiale
dei soviet.
(Lenin, “La fondazione dell’Internazionale comunista”, 7 marzo
1919, Opere complete vol. 28, Editori Riuniti, pagg. 484-488)
Manifesto sovietico per il 5° Anniversario della morte di Lenin
6 il bolscevico / 90° anniversario della morte di Lenin
N. 4 - 30 gennaio 2014
Lenin: Discorso di apertura del primo congresso dell’Internazionale Comunista
Il proletariato e’ in grado
di realizzare il suo dominio
Pubblichiamo il discorso di
apertura pronunciato da Lenin
il 2 marzo 1919 al I Congresso
dell’Internazionale Comunista.
Il titolo è redazionale.
Per incarico del Comitato cen­
trale del Partito comunista di Rus­
sia dichiaro aperto il primo con­
gresso internazionale comunista.
E invito subito tutti i presenti ad
alzarsi per onorare la memoria dei
migliori rappresentanti della III
Internazionale: Karl Liebknecht e
Rosa Luxemburg.
Compagni, la nostra assemblea
assume un grande significato sto­
rico mondiale. Essa attesta il falli­
mento di tutte le illusioni della de­
mocrazia borghese. In realtà, non
soltanto in Russia, ma anche nei
paesi capitalistici più progredi­
ti d’Europa, come ad esempio in
Germania, la guerra civile è dive­
nuta un fatto.
La borghesia è presa da fol­
le spavento dinanzi all’ascesa del
movimento rivoluzionario del
proletariato. E questo è compren­
sibile, se si pensa che il corso de­
gli eventi, dopo la guerra imperia­
listica, favorisce inevitabilmente
il movimento rivoluzionario del
proletariato e che la rivoluzione
mondiale comincia e si rafforza in
tutti i paesi.
Il popolo è consapevole del­
la grandezza e del significato del­
la lotta che si sta combattendo
nell’ora attuale. Basta solo tro­
vare la forma pratica, che assicu­
ri al proletariato la possibilità di
realizzare il suo dominio. Questa
forma è il sistema dei soviet con
la dittatura del proletariato. Ditta­
tura del proletariato! Fino a oggi,
per le masse, queste parole erano
latino. Ma, in virtù della diffusio­
ne del sistema dei soviet in tutto
il mondo, questo latino viene tra­
dotto in tutte le lingue moderne; la
forma pratica della dittatura è stata
scoperta dalle masse operaie. Ed è
diventata comprensibile alle gran­
di masse degli operai per l’affer­
marsi del potere sovietico in Rus­
sia, per l’azione degli spartachisti
in Germania e delle organizzazio­
ni analoghe in altri paesi, quali ad
esempio gli Shop stewards com­
mittees in Inghilterra. Tutto questo
dimostra che la forma rivoluziona­
ria della dittatura del proletariato è
stata scoperta e che il proletariato
è ormai in condizione di realizzare
praticamente il suo dominio.
Compagni, io penso che, dopo
i fatti di Russia, dopo la lotta di
gennaio in Germania, sia partico­
larmente importante rilevare che
la forma più moderna del movi­
mento proletario viene alla luce e
prende il sopravvento anche in al­
tri paesi. Ho letto oggi, ad esem­
pio, in un giornale antisocialista
un dispaccio da cui risulta che il
governo inglese ha ricevuto i so­
viet dei deputati operai di Bir­
mingham e si è dichiarato pronto
a riconoscere i soviet come orga­
nismi economici. Il sistema sovie­
tico ha vinto non solo nella Russia
arretrata, ma anche nel paese più
avanzato d’Europa, in Germania,
e nel più vecchio paese capitalisti­
co, in Inghilterra.
Continui pure la borghesia a in­
fierire, continui ad assassinare mi­
gliaia di operai! La vittoria è no­
stra, la vittoria della rivoluzione
comunista mondiale è assicurata!
Compagni, salutandovi cor­
dialmente a nome del Comitato
centrale del Partito comunista di
Russia, vi propongono di passare
all’elezione dell’ufficio di presi­
denza. Vi prego di designare i can­
didati.
(Lenin, “Primo Congresso del­
l’Internazionale Comunista” - ca­
pitolo “Discorso di apertura del
congresso”, 2 marzo 1919, Opere
complete, Editori Riuniti, vol. 28,
pagg. 459-460).
Pietrogrado 19 luglio 1920. Lenin interviene alla giornata di apertura dei lavori del II Congresso del Comintern
Lenin
TESI E RAPPORTO SULLA DEMOCRAZIA
BORGHESE E SULLA DITTATURA
DEL PROLETARIATO
Pubblichiamo le Tesi pro­
nunciate da Lenin il 4 marzo al
I Congresso dell’Internaziona­
le Comunista e poi approvate dal
congresso di fondazione della III
Internazionale, svoltosi a Mosca
dal 2 al 6 marzo 1919 con la par­
tecipazione di 52 delegati in rap­
presentanza di 30 paesi, di cui
34 con voto deliberativo e 18 con
voto consultivo.
1. Lo sviluppo del movimento
rivoluzionario del proletariato in
tutti i paesi ha suscitato gli sforzi
convulsi della borghesia e dei suoi
agenti nelle organizzazioni opera­
ie al fine di trovare gli argomen­
ti politici e ideologici per difende­
re il dominio degli sfruttatori. Tra
questi argomenti vengono messi
in particolare rilievo la condanna
della dittatura e la difesa della de­
mocrazia. La falsità e l’ipocrisia
di quest’argomentazione, ripetuta
in tutti i toni sulla stampa capita­
listica e alla conferenza dell’Inter­
nazionale gialla, tenutasi a Berna
nel febbraio 1919, sono evidenti
per chiunque non voglia tradire i
postulati fondamentali del socia­
lismo.
2. Prima di tutto, in quest’ar­
gomentazione, si opera con i con­
cetti di “democrazia in generale”
e di “dittatura in generale”, senza
che ci si domandi di quale classe
si tratta. Impostare così il proble­
ma, al di fuori o al di sopra del­
le classi, come si trattasse di tutto
il popolo, significa semplicemen­
te prendersi giuoco della dottrina
fondamentale del socialismo, cioè
appunto della dottrina della lotta
di classe, che viene riconosciuta a
parole ma dimenticata nei fatti da
quei socialisti che sono passati alla
borghesia. In effetti, in nessun pae­
se civile capitalistico esiste la “de­
mocrazia in generale”, ma esiste
soltanto la democrazia borghese, e
la dittatura di cui si parla non è la
“dittatura in generale”, ma la ditta­
tura della classe oppressa, cioè del
proletariato, sugli oppressori e su­
gli sfruttatori, cioè sulla borghesia,
allo scopo di spezzare la resistenza
che gli sfruttatori oppongono nella
lotta per il loro dominio.
3. La storia insegna che nessu­
na classe oppressa è mai giunta e
ha potuto accedere al dominio sen­
za attraversare un periodo di ditta­
tura, cioè di conquista del potere
politico e di repressione violen­
ta della resistenza più furiosa, più
disperata, che non arretra dinan­
zi a nessun delitto, quale è quel­
la che hanno sempre opposto gli
sfruttatori. La borghesia, il cui do­
minio è difeso oggi dai socialisti
che si scagliano contro la “dittatu­
ra in generale” e si fanno in quat­
tro per esaltare la “democrazia in
generale”, ha conquistato il pote­
re nei paesi progrediti a prezzo di
una serie di insurrezioni e guerre
civili, con la repressione violenta
dei re, dei feudatari, dei proprie­
tari di schiavi e dei loro tentativi
di restaurazione. I socialisti di tut­
ti i paesi, nei loro libri e opuscoli,
nelle risoluzioni dei loro congres­
si, nei loro discorsi d’agitazione,
hanno illustrato al popolo miglia­
ia e milioni di volte il carattere di
classe di queste rivoluzioni bor­
ghesi, di questa dittatura borghe­
se. E pertanto, quando oggi si di­
fende la democrazia borghese con
discorsi sulla “democrazia in ge­
nerale”, quando oggi si grida e si
strepita contro la dittatura del pro­
letariato fingendo di gridare con­
tro la “dittatura in generale”, non
si fa che tradire il socialismo, pas­
sare di fatto alla borghesia, negare
al proletariato il diritto alla propria
rivoluzione proletaria, difendere il
riformismo borghese nel momen­
to storico in cui esso è fallito in
tutto il mondo e la guerra ha cre­
ato una situazione rivoluzionaria.
4. Tutti i socialisti, chiarendo il ca­
rattere di classe della civiltà bor­
ghese, della democrazia borghe­
se, del parlamentarismo borghese,
hanno espresso la stessa idea che
già Marx e Engels avevano espo­
sto con il massimo rigore scien­
tifico, dicendo che la repubblica
borghese più democratica è soltan­
to una macchina che permette alla
borghesia di schiacciare la clas­
se operaia, che permette a un pu­
gno di capitalisti di schiacciare le
masse lavoratrici. Non c’è un solo
rivoluzionario, non c’è un solo
marxista, tra coloro che oggi stre­
pitano contro la dittatura e a favo­
re della democrazia, che non giu­
ri e spergiuri dinanzi agli operai
di accettare questa fondamentale
verità del socialismo. Ma proprio
ora, mentre il proletariato rivolu­
zionario è in fermento e si muove
per distruggere questa macchina
di oppressione e per conquistare
la dittatura del proletariato, questi
traditori del socialismo presentano
le cose come se la borghesia aves­
se regalato ai lavoratori la “demo­
crazia pura”, come se la borghesia,
rinunciando a resistere, fosse di­
sposta a sottomettersi alla maggio­
ranza dei lavoratori, come se nella
repubblica democratica non ci fos­
se stata e non ci fosse alcuna mac­
china statale per l’oppressione del
Lenin, seduto sui gradini della tribuna prende appunti durante i lavori del III Congresso del Comintern svoltosi a Mosca (giugno-luglio 1921)
90° anniversario della morte di Lenin / il bolscevico 7
N. 4 - 30 gennaio 2014
lavoro da parte del capitale.
5. La Comune di Parigi, che
tutti coloro i quali desiderano pas­
sare per socialisti onorano a pa­
role, perché sanno che le masse
operaie nutrono per essa una sim­
patia appassionata e sincera, ha
mostrato con singolare evidenza
il carattere storicamente conven­
zionale e il valore limitato del par­
lamentarismo e della democrazia
borghesi, istituzioni sommamen­
te progressive rispetto al medioe­
vo, ma che richiedono inevitabil­
mente una trasformazione radicale
nell’epoca della rivoluzione prole­
taria. Proprio Marx, che ha valu­
tato meglio di ogni altro la portata
storica della Comune, ha mostra­
to, nel farne l’analisi, il carattere
sfruttatore della democrazia bor­
ghese e del parlamentarismo bor­
ghese, in cui le classi oppresse si
vedono concesso il diritto di deci­
dere, una volta ogni tanti anni qua­
le esponente delle classi abbienti
dovrà “rappresentare e reprime­
re” (ver und zertreten) il popolo in
parlamento. Proprio oggi, mentre
il movimento dei soviet, abbrac­
ciando il mondo intero, prosegue
l’opera della Comune sotto gli oc­
chi di tutti, i traditori del sociali­
smo dimenticano l’esperienza e
gli insegnamenti concreti della
Comune di Parigi, riprendendo il
vecchio ciarpame borghese sulla
“democrazia in generale’. La Co­
mune non è stata un’istituzione
parlamentare.
6. Il significato della Comu­
ne sta inoltre nel fatto che essa
ha tentato di spezzare, di distrug­
gere dalle fondamenta l’appara­
to statale borghese, burocratico,
giudiziario, militare, poliziesco,
sostituendolo con l’organizzazio­
ne autonoma delle masse operaie,
che non conosceva distinzioni tra
il potere legislativo e il potere ese­
cutivo. Tutte le repubbliche demo­
cratiche borghesi contemporanee,
compresa quella tedesca, che i tra­
ditori del socialismo a disprezzo
della verità definiscono proletaria,
mantengono questo apparato sta­
tale. Viene così confermato ancora
una volta, e con assoluta eviden­
za, che gli strepiti in difesa della
“democrazia in generale” sono di
fatto una difesa della borghesia e
dei suoi privilegi di sfruttatrice.
7. La “libertà di riunione” può es­
sere presa a modello delle istan­
ze della “democrazia pura”. Ogni
operaio cosciente, che non ab­
bia rotto con la sua classe, capirà
subito che sarebbe assurdo pro­
mettere la libertà di riunione agli
sfruttatori in un periodo e in una
situazione in cui gli sfruttatori op­
pongono resistenza per non essere
abbattuti e difendono i propri pri­
vilegi. La borghesia, quando era
rivoluzionaria, sia in Inghilterra
nel 1649 che in Francia nel 1793,
non ha mai concesso “libertà di ri­
unione” ai monarchici e ai nobili,
che avevano chiamato gli eserciti
stranieri e che si “radunavano” per
organizzare un tentativo di restau­
razione. Se la borghesia odierna,
che è divenuta già da tempo rea­
zionaria, esige dal proletariato che
esso garantisca preventivamente
la “libertà di riunione” agli sfrut­
tatori, qualunque sia la resistenza
opposta dai capitalisti per non es­
sere espropriati, gli operai posso­
no soltanto ridere di questa ipocri­
sia borghese.
D’altra parte, gli operai sanno
bene che la “libertà di riunione” è
una frase vuota persino nella re­
pubblica borghese più democrati­
ca, perché i ricchi dispongono di
tutti i migliori edifici pubblici e
privati, hanno abbastanza tempo
per riunirsi e godono della pro­
tezione dell’apparato borghese
del potere. I proletari delle città
e della campagna e i piccoli con­
tadini, cioè la stragrande maggio­
ranza della popolazione, non han­
no nessuna di queste tre cose. E,
fino a quando la situazione rimar­
rà immutata l’’“uguaglianza”, cioè
la “democrazia pura”, è un ingan­
no. Per conquistare l’uguaglianza
effettiva, per realizzare di fatto la
democrazia per i lavoratori, biso­
gna prima togliere agli sfruttatori
tutti gli edifici pubblici e i lussuosi
edifici privati, bisogna prima assi­
curare ai lavoratori tempo libero,
bisogna fare in modo che la liber­
tà delle loro riunioni sia difesa da­
gli operai armati e non dai nobili e
dagli ufficiali capitalisti con i loro
soldati abbrutiti.
Solo dopo questo cambiamento
si potrà parlare di libertà di riunio­
ne e di uguaglianza, senza che ciò
suoni come un insulto agli operai,
ai lavoratori, ai poveri. Ma nessu­
no potrà realizzare questo cambia­
mento, se non l’avanguardia dei
lavoratori, il proletariato, che ab­
batte gli sfruttatori, la borghesia.
8. Anche la “libertà di stampa” è
una delle parole d’ordine fonda­
mentali della “democrazia pura”.
Tuttavia, gli operai sanno, e i so­
cialisti di tutti i paesi hanno ri­
conosciuto milioni di volte, che
questa libertà è un inganno, fino
a quando le migliori tipografie e
le immense provviste di carta ri­
mangono nelle mani dei capitali­
sti, fino a quando permane sulla
stampa il potere del capitale, che
si manifesta nel mondo intero in
forma tanto più evidente, brutale e
cinica, quanto più sono sviluppati
la democrazia e il sistema repub­
blicano, come ad esempio in Ame­
rica. Per conquistare l’uguaglian­
za effettiva e la democrazia reale
per i lavoratori, per gli operai e i
contadini, bisogna prima toglie­
re al capitale la possibilità di as­
Pietrogrado. Con l’apertura del II Congresso del Comintern il 19 luglio 1920 viene inaugurato il monumento ai martiri
della Comune di Parigi
indirettamente la stampa al potere
del denaro, in cui niente impedi­
rà a ciascun lavoratore (o gruppo
di lavoratori di qualsivoglia enti­
tà) di godere in linea di principio e
nei fatti dell’uguale diritto di usare
le tipografie e la carta appartenenti
alla società.
9. La storia dei secoli XIX e
XX ha mostrato ancor prima della
guerra che cosa sia nei fatti la fa­
la borghesia. Decine di milioni di
uomini sono stati uccisi e persino
nelle repubbliche più democrati­
che è stata instaurata la dittatura
militare della borghesia per con­
sentire al gruppo di milionari o mi­
liardari tedeschi o inglesi di arric­
chirsi. Questa dittatura militare è
ancora in vigore nei paesi dell’In­
tesa anche dopo il crollo della
Germania. Proprio la guerra, più
Lenin e Stalin entrano allo Smolny, quartier generale della Rivoluzione d’Ottobre
soldare gli scrittori, di comprare
le case editrici e di corrompere i
giornali, e, per fare questo, biso­
gna abbattere il giogo del capita­
le rovesciare gli sfruttatori, schiac­
ciare la loro resistenza. I capitalisti
hanno sempre chiamato “libertà”
la libertà di arricchirsi per i ric­
chi e la libertà di morire di fame
per gli operai. I capitalisti chiama­
no libertà di stampa la libertà per
i ricchi di corrompere la stampa,
la libertà di usare le loro ricchez­
ze per fabbricare e contraffare la
cosiddetta opinione pubblica. In
realtà i difensori della “democra­
zia pura” sono i difensori del più
immondo e corrotto sistema di do­
minio dei ricchi sui mezzi d’istru­
zione delle masse, essi ingannano
il popolo, in quanto lo distolgono,
con le loro belle frasi seducenti e
profondamente ipocrite, dal com­
pito storico concreto di affrancare
la stampa dal suo asservimento al
capitale. L’effettiva libertà e ugua­
glianza si avrà nel sistema costrui­
to dai comunisti e in cui non ci si
potrà arricchire a spese altrui, in
cui non ci sarà la possibilità ogget­
tiva di sottomettere direttamente o
migerata “democrazia pura” in re­
gime capitalistico. I marxisti han­
no sempre sostenuto che, quanto
più la democrazia è sviluppata
e “pura”, tanto più diventa pale­
se e implacabile la lotta di clas­
se, tanto più il giogo del capitale
e la dittatura della borghesia ap­
paiono nella loro “purezza”. L’af­
fare Dreyfus nella Francia repub­
blicana, le sanguinose repressioni
di scioperanti ad opera di squadre
assoldate e armate dai capitalisti
nella libera e democratica repub­
blica americana, questi e migliaia
di altri fatti del genere mettono a
nudo quella verità che la borghesia
si sforza con ogni cura di nascon­
dere, la verità che nelle repubbli­
che più democratiche regnano di
fatto il terrorismo e la dittatura
della borghesia, i quali si manife­
stano apertamente ogni volta che
agli sfruttatori comincia a sembra­
re vacillante il potere del capitale.
10. La guerra imperialistica del
1914-1918 ha rivelato definitiva­
mente, persino agli operai più ar­
retrati, il reale carattere della de­
mocrazia borghese anche nelle
repubbliche più libere: la demo­
crazia borghese è la dittatura del­
d’ogni altra cosa, ha aperto gli oc­
chi ai lavoratori, ha strappato alla
democrazia borghese i suoi orpel­
li, ha mostrato al popolo quali in­
genti profitti e speculazioni erano
stati fatti durante la guerra e in oc­
casione della guerra. La borghesia
ha fatto questa guerra in nome del­
la “libertà” e dell’“uguaglianza”,
e, in nome della “libertà” e del­
l’“uguaglianza”, si sono arricchiti
favolosamente i fornitori militari.
Nessuno sforzo dell’Internazio­
nale gialla di Berna riuscirà a na­
scondere alle masse il carattere
sfruttatore - ormai definitivamen­
te smascherato - della libertà bor­
ghese, dell’uguaglianza borghe­
se, della democrazia borghese.
11. In Germania, nel paese capi­
talistico più progredito del conti­
nente europeo, i primi mesi del­
la completa libertà repubblicana,
apportata dal crollo della Germa­
nia imperialistica, hanno mostra­
to agli operai tedeschi e a tutto il
mondo in che cosa consista la rea­
le sostanza di classe della repub­
blica democratica borghese. L’as­
sassinio di Karl Liebknecht e di
Rosa Luxemburg è un fatto di por­
tata storico-mondiale, non solo
perché sono caduti tragicamen­
te gli elementi migliori e i capi
dell’effettiva Internazionale pro­
letaria comunista, ma anche per­
ché uno Stato europeo progredito
(e, si può dire senza esagerazio­
ne, uno Stato progredito su scala
mondiale) ha rivelato sino in fon­
do la sua sostanza classista. Se dei
cittadini in stato d’arresto, presi
cioè dal potere statale sotto la sua
protezione, possono essere assas­
sinati impunemente dagli ufficia­
li e dai capitalisti, mentre è al po­
tere un governo di socialpatrioti,
da ciò consegue che la repubbli­
ca democratica dove questo fatto
può accadere è una dittatura della
borghesia. Chi esprime la sua in­
dignazione per l’assassinio di Karl
Liebknecht e di Rosa Luxemburg
ma non comprende questa verità
dà prova soltanto della sua ottusi­
tà o ipocrisia. La “libertà” in una
delle repubbliche più democrati­
che e progredite del mondo, nel­
la repubblica tedesca, è la libertà
di assassinare impunemente i capi
del proletariato in stato d’arresto.
Né può succedere diversamente,
fino a quando sussiste il capitali­
smo, perché lo sviluppo della de­
mocrazia non attenua ma acuisce
la lotta di classe che, per effetto di
tutti i risultati e influssi della guer­
ra e delle sue conseguenze, giunge
al punto cruciale.
In tutto il mondo civile i bolsce­
vichi vengono oggi espulsi, perse­
guitati, incarcerati: così avviene,
per esempio, in Svizzera, cioè in
una delle repubbliche borghesi
più libere; pogrom antibolscevi­
chi vengono effettuati in America,
ecc. Sotto il profilo della “demo­
crazia in generale” o della “de­
mocrazia pura” è persino ridico­
lo che dei paesi progrediti, civili,
democratici, armati fino ai denti,
temano la presenza in essi di po­
che decine di uomini provenienti
dalla Russia arretrata, affamata e
devastata, che i giornali borghesi,
diffusi in decine di milioni di co­
pie, chiamano selvaggia, crimina­
le, ecc. È chiaro che la situazione
sociale che ha potuto generare una
contraddizione così stridente è di
fatto la dittatura della borghesia.
12. In questo stato di cose la dit­
tatura del proletariato è non solo
legittima, come mezzo per abbat­
tere gli sfruttatori e schiacciarne la
resistenza, ma assolutamente ne­
cessaria per tutta la massa dei la­
voratori, come unica difesa contro
la dittatura della borghesia, che ha
già portato alla guerra e che prepa­
ra nuove guerre.
Il punto essenziale, che i so­
cialisti non comprendono e in cui
consiste la loro miopia teorica, la
loro soggezione ai pregiudizi bor­
ghesi e il loro tradimento politi­
co nei confronti del proletariato,
è che nella società capitalistica, di
fronte all’acuirsi più o meno forte
della lotta di classe che ne costitu­
isce il fondamento, non può dar­
si alcun termine medio tra la dit­
tatura della borghesia e la dittatura
del proletariato. Ogni sogno d’u­
na qualsiasi terza via è querimo­
nia reazionaria piccolo-borghese.
Lo attesta anche l’esperienza del­
lo sviluppo più che secolare della
democrazia borghese e del movi­
mento operaio in tutti i paesi pro­
grediti e, in particolare, l’espe­
rienza dell’ultimo quinquennio.
Lo afferma inoltre tutta la scien­
za dell’economia politica, tutto il
contenuto del marxismo, il quale
chiarisce come in ogni economia
di mercato sia economicamente
inevitabile la dittatura della bor­
ghesia, una dittatura che può esse­
re soppiantata soltanto dalla classe
dei proletari, cioè dalla classe che
si sviluppa, si moltiplica, si unifi­
ca e si consolida con lo sviluppo
del capitalismo.
13. Un altro errore teorico e
politico dei socialisti consiste
nell’incomprensione del fatto che
le forme della democrazia sono
necessariamente cambiate nel cor­
so dei millenni, fin dai primi ger­
mi nell’antichità, con il succedersi
di una classe dominante all’altra.
Nelle antiche repubbliche greche,
nelle città del medioevo, nei paesi
capitalistici progrediti la democra­
zia ha assunto forme diverse e un
diverso grado d’applicazione. Sa­
rebbe la peggiore delle assurdità
credere che la rivoluzione più pro­
fonda della storia dell’umanità, il
trapasso - compiuto per la prima
volta nel mondo - del potere da
una minoranza di sfruttatori alla
maggioranza degli sfruttati, possa
realizzarsi entro il vecchio quadro
della vecchia democrazia borghe­
se parlamentare, possa realizzarsi
senza le fratture più radicali, sen­
za la creazione di nuove forme di
democrazia, senza la creazione di
nuovi istituti, che ne incarnino le
nuove condizioni d’applicazione,
ecc.
14. La dittatura del proletaria­
to è affine alla dittatura delle al­
tre classi solo in quanto è imposta,
come ogni altra dittatura, dalla ne­
cessità di schiacciare con la vio­
lenza la resistenza della classe che
perde il suo dominio politico. La
differenza radicale tra la dittatura
del proletariato e la dittatura delle
altre classi - la dittatura dei gran­
di proprietari fondiari nel medio­
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
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sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
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murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
Associato all’USPI
ISSN: 0392-3886
Unione Stampa
Periodica Italiana
chiuso il 22/1/2014
ore 16,00
8 il bolscevico / 90° anniversario della morte di Lenin
evo, la dittatura della borghesia
in tutti i paesi capitalisti progre­
diti - è nel fatto che la dittatura dei
grandi proprietari fondiari e della
borghesia schiacciava con la vio­
lenza la resistenza della stragran­
de maggioranza della popolazio­
ne, cioè dei lavoratori, mentre la
dittatura del proletariato schiaccia
con la violenza la resistenza de­
gli sfruttatori, cioè di un’esigua
minoranza della popolazione, dei
grandi proprietari fondiari e dei
capitalisti.
Deriva di qui, a sua volta, che
la dittatura del proletariato deve
inevitabilmente portare con sé
non solo un mutamento delle for­
me e degli istituti democratici in
generale, ma un mutamento tale
che implichi un’estensione senza
precedenti dell’effettiva utilizza­
zione della democrazia da parte di
coloro che sono oppressi dal ca­
pitalismo, da parte delle classi la­
voratrici.
E, in realtà, la forma di dittatu­
ra del proletariato che è stata già
elaborata nella pratica, cioè il po­
tere sovietico in Russia, il RäteSystem in Germania, gli Shop
stewerds committees e altre ana­
loghe istituzioni sovietiche negli
altri paesi, dimostrano tutti e ren­
dono effettiva per le classi lavora­
trici, cioè per la stragrande mag­
gioranza della popolazione, la
possibilità di esercitare i diritti e
le libertà democratiche, possibili­
tà che non è mai esistita, nemme­
no approssimativamente, nelle re­
pubbliche borghesi migliori e più
democratiche.
L’essenza del potere sovieti­
co sta nel fatto che l’intero pote­
re statale, l’intero apparato statale
ha come fondamento unico e per­
manente l’organizzazione di mas­
sa proprio di quelle classi che sono
state finora oppresse dal capitali­
smo, cioè degli operai e dei semi­
proletari (contadini che non sfrut­
tano il lavoro altrui e che vendono
costantemente anche solo una par­
te della loro forza-lavoro). Proprio
queste masse, che persino nelle
repubbliche borghesi più demo­
cratiche, pur avendo uguali dirit­
ti dinanzi alla legge, sono di fatto
escluse in mille modi e con mil­
le sotterfugi dalla vita politica e
dall’esercizio delle libertà e dei di­
ritti democratici, vengono ora as­
sociate in modo permanente e ne­
cessario, ma soprattutto in modo
decisivo alla gestione democratica
dello Stato.
15. L’uguaglianza dei cittadi­
ni, indipendentemente dal sesso,
dalla religione, dalla nazionali­
tà, - uguaglianza che la democra­
zia borghese ha promesso sempre
e dappertutto, ma che non ha mai
realizzato e potuto realizzare, per­
manendo il dominio del capita­
le - viene realizzata subito e inte­
gralmente dal potere sovietico, o
dittatura del proletariato, poiché
soltanto il potere degli operai, che
non sono interessati alla proprie­
tà privata dei mezzi di produzio­
ne e alla lotta per la loro spartizio­
ne e ripartizione, è in condizione
di farlo.
16. La vecchia democrazia,
cioè la democrazia borghese, e il
parlamentarismo erano organiz­
zati in modo che proprio le masse
dei lavoratori venivano soprattutto
estraniate dall’apparato ammini­
strativo. Il potere sovietico, cioè la
dittatura del proletariato, è invece
strutturato in modo da avvicina­
re le masse lavoratrici all’appara­
to amministrativo. A questo scopo
tende anche l’unificazione del po­
tere legislativo e del potere esecu­
tivo nell’organizzazione sovietica
dello Stato e la sostituzione delle
circoscrizioni elettorali territoriali
con le unità elettorali fondate sui
luoghi di produzione: fabbrica, of­
ficina, ecc.
17. L’esercito era uno strumen­
to di oppressione non solo in re­
Il Bolscevico numero unico del 1970 dedicato al 100° Anniversario della nascita
di Lenin
gime monarchico. È rimasto tale
anche in tutte le repubbliche bor­
ghesi, persino nelle più democrati­
che. Solo il potere sovietico, come
organizzazione statale permanente
delle classi oppresse dal capitali­
smo, ha la possibilità di sopprime­
re la subordinazione dell’esercito
al comando borghese e di fonde­
re realmente il proletariato con
l’esercito, di realizzare l’effetti­
vo armamento del proletariato e il
disarmo della borghesia, senza di
che è impossibile la vittoria del so­
cialismo.
18. L’organizzazione sovie­
tica dello Stato è adatta alla fun­
zione dirigente del proletariato,
come classe che il capitalismo ha
maggiormente concentrato e istru­
ito. L’esperienza di tutte le rivolu­
zioni e di tutti i movimenti delle
classi oppresse, l’esperienza del
movimento socialista mondiale ci
insegna che soltanto il proletariato
è in condizione di unirsi e guida­
re gli strati dispersi e arretrati del­
la popolazione lavoratrice e sfrut­
tata.
19. Soltanto l’organizzazione
sovietica dello Stato può realmen­
te spezzare di colpo e distruggere
definitivamente il vecchio appa­
rato, cioè l’apparato burocratico e
giudiziario borghese, che è rima­
sto e doveva necessariamente ri­
manere intatto in regime capitali­
stico persino nelle repubbliche più
democratiche, poiché era di fatto
il maggiore ostacolo alla realiz­
zazione della democrazia per gli
operai e per i lavoratori. La Comu­
ne di Parigi ha fatto il primo pas­
so su questa strada, un passo che
ha una portata storica mondiale; il
potere sovietico ha fatto il secon­
do passo.
20. La soppressione del potere
dello Stato è il fine che tutti i so­
cialisti, e Marx per primo, si sono
posti. Se non si raggiunge que­
sto obiettivo, non si può realiz­
zare la vera democrazia, cioè l’u­
guaglianza e la libertà. Ma verso
questa mèta può condurre nella
pratica soltanto la democrazia so­
vietica, o proletaria, poiché essa,
facendo partecipare in modo per­
manente e necessario le organiz­
zazioni di massa dei lavoratori
alla gestione dello Stato, comin­
cia a preparare immediatamente la
completa estinzione di ogni Stato.
21. Il totale fallimento dei so­
cialisti riuniti a Berna, la loro
completa incomprensione della
nuova democrazia proletaria risul­
ta evidente da quanto segue. Il 10
febbraio 1919 Branting ha chiuso
a Berna la conferenza dell’interna­
zionale gialla. L’11 febbraio 1919,
a Berlino, Die Freiheit, giorna­
le degli aderenti a quest’interna­
zionale, pubblicava un appello
del partito degli “indipendenti” al
proletariato. Nell’appello si rico­
nosceva il carattere borghese del
governo Scheidemann, a cui si fa­
ceva rimprovero di voler abolire i
soviet, definiti Trager un Schutzer
der Revolution, portatori e custodi
della Rivoluzione, e si proponeva
di legalizzare i soviet, di concede­
re a essi diritti statali, il diritto di
sospendere le decisioni dell’As­
semblea nazionale e fare ricorso al
referendum popolare.
Questa proposta rivela il com­
pleto fallimento ideologico dei
teo­rici che difendono la democra­
zia senza capirne il carattere bor­
ghese. Il ridicolo tentativo di col­
legare il sistema dei soviet, cioè
la dittatura del proletariato, con
l’Assemblea nazionale, cioè con
la dittatura della borghesia, sma­
schera sino in fondo la povertà di
pensiero dei socialisti e socialde­
mocratici gialli, il loro spirito poli­
tico reazionario di piccoli borghe­
si, le loro pusillanimi concessioni
alla forza della nuova democrazia
proletaria che si sviluppa in modo
incontenibile.
22. Nel condannare il bolscevi­
smo, la maggioranza dell’interna­
zionale gialla di Berna, che, per ti­
more delle masse operaie, non si
era decisa ad approvare formal­
mente su questo problema una ri­
soluzione, ha agito correttamente
dal punto di vista di classe. Pro­
prio questa maggioranza è piena­
mente solidale con i menscevichi
e con i socialisti-rivoluzionari rus­
si, nonché con gli Scheidemann in
Germania. I menscevichi e i so­
cialisti-rivoluzionari russi, lamen­
tandosi di essere perseguitati dai
bolscevichi, cercano di nascon­
dere il fatto che tali persecuzioni
sono causate dalla partecipazio­
ne dei menscevichi e dei sociali­
sti-rivoluzionari alla guerra civile
dalla parte della borghesia contro
il proletariato. Proprio nello stes­
so senso si sono mossi in Germa­
nia gli Scheidemann e il loro par­
tito partecipando alla guerra civile
dalla parte della borghesia contro
gli operai.
È quindi assolutamente na­
turale che la maggioranza degli
aderenti all’internazionale gial­
la di Berna si sia pronunciata per
la condanna dei bolscevichi. Si è
avuta qui non la difesa della “de­
mocrazia pura”, ma l’autodifesa di
chi sa e sente che nella guerra ci­
vile si schiererà con la borghesia
contro il proletariato.
Ecco perché, da un punto di
vista di classe, non si può non ri­
tenere giusta la decisione della
maggioranza dell’internazionale
gialla. Il proletariato deve guarda­
re in faccia la verità, senza temer­
la, e deve trarre tutte le conclusio­
ni politiche che si impongono.
Compagni, vorrei aggiungere
qualcosa sugli ultimi due punti.
Ritengo che i compagni incarica­
ti di tenere il rapporto sulla con­
ferenza di Berna ci parleranno più
diffusamente su questo tema.
Durante tutta la conferenza di
Berna non è stata detta una sola
parola sul significato del potere
sovietico. Sono ormai due anni
che dibattiamo questo problema
in Russia. Nell’aprile del 1917,
alla conferenza del partito, aveva­
mo già posto, sul piano teorico e
politico, il problema: “Che cos’è
il potere sovietico, quale ne è il
contenuto, in che cosa consiste la
sua portata storica?’. Da circa due
anni ormai dibattiamo questo pro­
blema, e il congresso del nostro
partito ha già approvato al riguar­
do una risoluzione.
La Freiheit berlinese ha pub­
blicato l’11 febbraio un appello
al proletariato tedesco, sottoscrit­
to non solo dai leaders dei social­
democratici indipendenti in Ger­
mania, ma anche da tutti i membri
della frazione degli indipenden­
ti. Nell’agosto del 1918, Kautsky,
che è il teorico più autorevole di
questi indipendenti, nell’opusco­
lo intitolato La dittatura del pro­
letariato si è proclamato fautore
della democrazia e degli organi
sovietici, soggiungendo che que­
sti ultimi devono svolgere una
funzione esclusivamente econo­
mica e non essere affatto ricono­
sciuti come organizzazioni sta­
tali. Kautsky ripete la stessa tesi
nella Freiheit dell’11 novembre e
del 12 gennaio. Il 9 febbraio ap­
pare un articolo di Rudolf Hilfer­
ding, che è anch’egli considerato
uno dei maggiori teorici della II
Internazionale. Hilferding propo­
ne di unificare legislativamente,
Il Bolscevico n. 40 del 2007 dedicato al 90° Anniversario della Rivoluzione d’Ottobre
N. 4 - 30 gennaio 2014
per mezzo della legislazione stata­
le, il sistema dei soviet e l’Assem­
blea nazionale. Questo accade il 9
febbraio. L’11 dello stesso mese la
proposta viene approvata da tutto
il partito degli indipendenti e pub­
blicata sotto forma di appello.
Ma, sebbene l’Assemblea na­
zionale già esista, persino dopo
che la “democrazia pura” è diven­
tata una realtà, dopo che i più au­
torevoli teorici dei socialdemocra­
tici indipendenti hanno dichiarato
che le organizzazioni sovietiche
non devono essere organizzazioni
statali, nonostante tutto questo, si
hanno di nuovo esitazioni! Ciò di­
sono un indice degli stati d’animo
degli strati arretrati del proletaria­
to. Sta qui, a mio giudizio, la gran­
de importanza storica di questo
conferenza. Abbiamo sperimenta­
to qualcosa di analogo nella nostra
rivoluzione. I nostri menscevichi
hanno percorso quasi lo stesso iti­
nerario seguito dai teorici degli in­
dipendenti in Germania. Dappri­
ma, quando nei soviet avevano
la maggioranza, erano favorevoli
ai soviet. Allora si sentiva grida­
re soltanto: “Viva i soviet!”, “Sia­
mo per i soviet!”, “I soviet sono la
democrazia rivoluzionaria!’. Ma,
quando in seno ai soviet la mag­
Il Bolscevico n. 3 del 2004 dedicato all’80° Anniversario della morte di Lenin
mostra che questi signori non han­
no capito un bel niente del nuovo
movimento e delle condizioni in
cui si svolge la sua lotta. Ma ciò
dimostra anche un’altra cosa, di­
mostra cioè che devono esistere
condizioni e motivi da cui le esi­
tazioni sono provocate! Dopo tutti
questi fatti, dopo circa un biennio
di rivoluzione vittoriosa in Rus­
sia, nel momento in cui ci vengo­
no proposte risoluzioni nelle quali
non si parla affatto dei soviet e del
loro significato, risoluzioni come
quelle approvate alla conferenza
di Berna, dove nessun delegato ha
detto una sola parola a questo pro­
posito, possiamo affermare con
pieno diritto che tutti questi signo­
ri sono morti per noi come sociali­
sti e come teorici.
Ma sul piano pratico, sul terre­
no politico, si ha qui, compagni,
la riprova che tra le masse si sta
operando un grande spostamento,
se è vero che gli indipendenti, già
contrari in linea teorica e di prin­
cipio a queste organizzazioni sta­
tali, propongono d’improvviso
una stoltezza come la “pacifica”
combinazione dell’Assemblea na­
zionale con il sistema dei soviet,
cioè la combinazione della ditta­
tura della borghesia con la ditta­
tura del proletariato. Noi vediamo
come essi abbiano fatto fallimento
sul terreno del socialismo e della
teoria, noi vediamo quale immen­
so cambiamento si stia operando
tra le masse. Le masse arretrate
del proletariato tedesco vengono a
noi, sono già venute a noi! L’im­
portanza del partito indipenden­
te dei socialdemocratici tedeschi,
cioè della parte migliore della
conferenza di Berna, è quindi pari
a zero sotto il profilo della teoria
e del socialismo; a esso rimane
tuttavia una qualche importanza
nel senso che gli elementi esitanti
gioranza è passata a noi bolscevi­
chi, allora essi hanno intonato al­
tre canzoni: i soviet non devono
coesistere con l’Assemblea costi­
tuente. E i diversi teorici mensce­
vichi hanno formulato proposte
come quella di fondere il sistema
dei soviet con l’Assemblea costi­
tuente e di inserire i soviet nell’or­
ganizzazione statale. Qui si mani­
festa ancora una volta che il corso
generale della rivoluzione proleta­
ria è identico in tutto il mondo. Si
ha all’inizio la costituzione spon­
tanea dei soviet, viene poi la loro
estensione e il loro sviluppo, si
pone quindi nella pratica il proble­
ma: soviet o Assemblea naziona­
le, soviet o Assemblea costituente,
soviet o parlamentarismo borghe­
se; allo smarrimento completo dei
leader segue, infine, la rivoluzio­
ne proletaria. Ritengo tuttavia che
dopo circa due anni di rivoluzio­
ne non dobbiamo impostare così il
problema, ma presentare soluzio­
ni concrete, poiché la diffusione
del sistema dei soviet è per noi, e
in particolare per la maggior par­
te dei paesi europei occidentali, il
compito più importante.
Vorrei citare qui una sola riso­
luzione dei menscevichi. Ho pre­
gato il compagno Obolenski di
tradurla in tedesco. Si era impe­
gnato a farlo, ma, purtroppo, ora
è assente. Cercherò di citare a me­
moria, dato che non dispongo del
testo integrale della risoluzione.
Uno straniero che non abbia
mai sentito parlare del bolsce­
vismo stenterebbe molto a farsi
un’opinione sulle nostre questioni
controverse. I menscevichi nega­
no tutte le cose che i bolscevichi
affermano, e viceversa. Natural­
mente, nel corso della lotta non
può accadere altrimenti, ed è quin­
di molto importante che l’ultima
conferenza del partito menscevi­
90° anniversario della morte di Lenin / il bolscevico 9
N. 4 - 30 gennaio 2014
co, tenuta nel dicembre 1918, ab­
bia approvato una risoluzione lun­
ga e particolareggiata, pubblicata
integralmente nella menscevica
Gazieta peciatnikov. Nella riso­
luzione i menscevichi espongono
succintamente la storia della lotta
di classe e della guerra civile. Essi
dicono che condannano quei grup­
pi del loro partito che sono lega­
ti alle classi possidenti negli Urali,
nel sud, in Crimea, in Georgia, ed
enumerano tutte queste regioni. I
gruppi del partito menscevico che,
in alleanza con le classi abbienti,
sono andati contro il potere sovie­
tico vengono oggi condannati nel­
la risoluzione, ma l’ultimo punto
del documento condanna anche
quelli che sono passati ai comu­
nisti. Ed ecco la conseguenza: i
menscevichi sono costretti a rico­
noscere che nel loro partito non
c’è unità e che essi sono o dalla
parte della borghesia o dalla parte
del proletariato. La maggior parte
dei menscevichi si è schierata con
la borghesia e durante la guerra ci­
vile ha combattuto contro di noi.
Naturalmente, noi perseguitiamo
i menscevichi, e arriviamo perfi­
no a fucilarli, quando, nella guerra
contro di noi, si battono contro il
nostro Esercito rosso e fucilano i
nostri comandanti rossi. Alla guer­
ra della borghesia rispondiamo
con la guerra del proletariato: non
ci può essere un’altra soluzione.
Così, sul piano politico, tutto que­
sto non è che ipocrisia menscevi­
ca. È storicamente incomprensi­
bile che alla conferenza di Berna
degli individui, non dichiarati uffi­
cialmente pazzi, abbiamo parlato,
per incarico dei menscevichi e dei
socialisti-rivoluzionari, della lotta
dei bolscevichi contro di loro, ma
non abbiamo fatto parola della lot­
ta combattuta dai menscevichi in
alleanza con la borghesia contro il
proletariato.
Tutti costoro sono accaniti con­
tro di noi perché li perseguitiamo.
È vero. Ma essi non fanno il mini­
mo accenno alla loro diretta parte­
cipazione alla guerra civile! Credo
che dovrò consegnare per la reda­
zione degli atti il testo integrale
della risoluzione, e invito i com­
pagni stranieri a rivolgere la loro
attenzione su questo documento,
perché si tratta di un documen­
to storico, nel quale la questione è
posta in termini esatti e che forni­
sce il materiale migliore per valu­
tare la controversia delle correnti
“socialiste” in Russia. Tra il pro­
letariato e la borghesia c’è ancora
una classe di uomini che si sposta­
no ora da una parte ora dall’altra;
così è avvenuto sempre, in tutte
le rivoluzioni; ed è assolutamente
impossibile che nella società ca­
pitalistica, dove il proletariato e la
borghesia sono due campi nemici,
non esistano strati intermedi. L’e­
sistenza di questi elementi tenten­
nanti è storicamente inevitabile, e,
purtroppo, esisteranno ancora ab­
bastanza a lungo elementi i quali
non sanno essi stessi da che parte
si batteranno domani.
Voglio formulare una propo­
sta pratica: che si approvi cioè una
risoluzione in cui devono esse­
re specificamente sottolineati tre
punti.
Primo punto: uno dei compiti
più importanti per i compagni dei
paesi europei occidentali è quello
di chiarire alle masse il significato,
la portata e la necessità del sistema
dei soviet. Si registra al riguardo
una comprensione inadeguata. Se
Kautsky e Hilferding, come teori­
ci, hanno fatto fallimento, i più re­
centi articoli della Freiheit dimo­
strano tuttavia che essi esprimono
Il Bolscevico n. 3 del 2007 dedicato all’83° Anniversario della morte di Lenin
esattamente gli stati d’animo dei
reparti arretrati del proletariato te­
desco. Anche a noi è accaduta la
stessa cosa: nei primi otto mesi di
rivoluzione il problema dell’or­
ganizzazione sovietica era da noi
molto dibattuto, e gli operai non
vedevano con chiarezza in che
cosa consistesse il nuovo sistema
e se con i soviet si potesse costi­
tuire l’apparato statale. Nella no­
stra rivoluzione non siamo anda­
ti avanti sul piano teorico ma sul
terreno della pratica. Per esem­
pio, noi non avevamo posto prima
teo­ricamente il problema dell’As­
semblea costituente e non aveva­
mo dichiarato che non avremmo
riconosciuto tale Assemblea. Solo
più tardi, quando le organizzazio­
ni sovietiche si sono diffuse in tut­
to il paese e hanno conquistato il
potere politico, abbiamo deciso di
scioglere l’Assemblea costituente.
Oggi vediamo che in Ungheria e
in Svizzera la questione è diven­
tata molto più acuta. Da una par­
te, è un gran bene: noi ricaviamo
di qui il saldo convincimento che
la rivoluzione avanzerà più rapi­
damente e ci recherà vittorie più
grandi negli Stati europei occiden­
tali. Dall’altra parte, è qui racchiu­
so un pericolo, il pericolo cioè che
la lotta si svolga con tanto impeto
che la coscienza delle masse ope­
raie non potrà tener dietro a quel
ritmo di sviluppo. Il significato del
sistema dei soviet è tuttora poco
chiaro per grandi masse di operai
tedeschi politicamente preparati,
poiché essi sono stati educati nello
spirito del parlamentarismo e dei
pregiudizi borghesi.
Secondo punto: la diffusio­
ne del sistema dei soviet. Quan­
do apprendiamo con quale rapi­
dità si stia diffondendo l’idea dei
soviet in Germania e anche in In­
ghilterra, questa è per noi la di­
mostrazione più importante del
fatto che la rivoluzione proleta­
ria trionferà. Solo per breve tem­
po se ne potrà frenare l’avanzata.
È però diverso quando i compagni
Albert e Platten ci dicono che da
loro, nelle campagne, fra gli ope­
rai agricoli e i piccoli contadini, i
soviet quasi non esistono. Ho letto
nella Rote Fahne un articolo con­
tro i soviet contadini, ma del tutto
giustamente favorevole ai soviet
di salariati agricoli e contadini po­
veri. La borghesia e i suoi vallet­
ti, come Scheidemann e soci, han­
no già lanciato la parola d’ordine
dei soviet contadini. Ma a noi oc­
corrono soltanto i soviet di salaria­
ti agricoli e contadini poveri. Pur­
troppo, dai rapporti dei compagni
Albert, Platten e di altri compagni
possiamo rilevare che, se si eccet­
tua l’Ungheria, si fa ancora molto
poco per estendere il sistema dei
soviet nelle campagne. È forse qui
racchiuso un pericolo pratico ab­
bastanza grave per il proletaria­
to tedesco nel conseguimento di
una vittoria sicura. La vittoria può
considerarsi assicurata solo quan­
do verranno organizzati non sol­
tanto gli operai di città, ma anche
i proletari agricoli, e solo quando
essi saranno organizzati, non in
sindacati e cooperative, come pri­
ma, ma in soviet. La nostra vittoria
è stata più facile perché, nell’otto­
bre 1917, ci siamo messi insieme
con i contadini, con tutti i conta­
dini. In questo senso la nostra ri­
voluzione era allora borghese. Il
primo atto del nostro governo pro­
letario è consistito nel riconosce­
re, in una legge emanata dal nostro
governo il 26 ottobre (secondo il
vecchio calendario) 1917, l’indo­
mani della rivoluzione, le vecchie
rivendicazioni di tutti i contadi­
ni, già espresse ancora sotto Ke­
renski dai soviet e dalle assemblee
dei contadini. Ecco in che cosa è
consistita la nostra forza, ecco per­
ché ci è stato tanto facile conqui­
stare la stragrande maggioranza.
Per la campagna la nostra rivolu­
zione continuava a essere borghe­
se, e solo più tardi, dopo sei mesi,
siamo stati costretti a iniziare, nel
quadro dell’organizzazione stata­
le, la lotta di classe nelle campa­
gne, a costituire in ogni villaggio
i comitati di contadini poveri, se­
miproletari, e a combattere meto­
dicamente la borghesia agricola.
Da noi ciò è stato inevitabile, a
causa dell’arretratezza della Rus­
sia. In Europa occidentale le cose
andranno diversamente, e pertan­
to noi dobbiamo sottolineare che
l’estensione del sistema dei soviet
anche tra la popolazione agricola,
in forme adeguate e forse nuove, è
assolutamente necessaria.
Terzo punto: dobbiamo dire
che la conquista della maggioran­
za da parte dei comunisti nei so­
viet è il compito principale in tut­
ti i paesi in cui il potere sovietico
non ha ancora vinto. La nostra
commissione per le risoluzioni ha
esaminato ieri questo problema.
Forse altri compagni si sofferme­
ranno ancora su questo tema, ma
io vorrei proporre di approvare
questi tre punti in una risoluzione
speciale. Ovviamente, non siamo
in condizione di prescrivere una
via di sviluppo. È assai probabi­
le che in molti paesi dell’Europa
occidentale la rivoluzione si rea­
lizzi molto presto. Ma noi, come
reparto organizzato dalla classe
operaia, come partito, tendiamo
e dobbiamo tendere a conquistare
la maggioranza nei soviet. Allora
la nostra vittoria sarà assicurata, e
nessuna forza sarà capace di pren­
dere iniziative contro la rivoluzio­
ne comunista. In caso contrario, la
vittoria non sarà né facile né dure­
vole. Vorrei quindi proporre di ap­
provare questi tre punti in una ri­
soluzione a sé stante.
(Lenin, “Primo Congresso del­
l’Internazionale Comunista” Capitolo “Tesi e Rapporto sulla
democrazia borghese e sulla dit­
tatura del proletariato”, 4 marzo
1919, Opere complete, Editori Ri­
uniti, vol. 28, pagg. 461-477)
Lenin: Conquistato e registrato
Il potere sovietico avanza come
un torrente di milioni di proletari
Pubblichiamo l’articolo
scritto da Lenin il 5 marzo
1919 e pubblicato sulla Pra­
vda, n. 51 del 6 marzo 1919.
Il titolo è redazionale.
Lenin durante i lavori del II Congresso del Comintern (luglio-agosto 1920)
Nella rivoluzione è duraturo
solo ciò che è stato conquistato
dalle masse del proletariato. Meri­
ta di essere registrato solo ciò che
è stato conquistato in modo real­
mente duraturo.
La fondazione della III Interna­
zionale, dell’Internazionale comu­
nista, a Mosca, il 2 marzo 1919,
è stata la registrazione di ciò che
hanno conquistato le masse non
solo russe, non solo di Russia, ma
anche tedesche, austriache, unghe­
resi, finlandesi, svizzere, in breve,
le masse proletarie internazionali.
E appunto per questo è una
cosa stabile la fondazione della
III Internazionale, la fondazione
dell’Internazionale comunista.
Solo quattro mesi fa non si po­
teva ancora dire che il potere so­
vietico, la forma sovietica dello
Stato, era una conquista interna­
zionale. In quel potere era impli­
cito qualcosa, e qualcosa di so­
stanziale, che non apparteneva
soltanto alla Russia, ma a tutti i
paesi capitalistici. E tuttavia non si
poteva ancora dire, prima della ve­
rifica dei fatti, quali modificazio­
ni, di quale portata e profondità,
avrebbe recato l’ulteriore sviluppo
della rivoluzione mondiale.
La rivoluzione tedesca ha for­
nito questa verifica. Un paese ca­
pitalistico progredito - dopo uno
dei paesi più arretrati - ha mostra­
to al mondo intero, in un breve pe­
riodo di tempo, in poco più di cen­
to giorni, non solo le stesse forze
fondamentali della rivoluzione,
non solo la sua stessa direzione
fondamentale, ma anche la stessa
forma fondamentale della nuova
democrazia proletaria: i soviet.
In pari tempo, in Inghilterra, in
un paese vincitore, nel paese più
ricco di colonie, nel paese che più
di ogni altro era e aveva fama di
essere un modello di “pace socia­
le”, nel paese capitalistico più an­
tico, registriamo un vasto, incon­
tenibile, divampante e poderoso
sviluppo dei soviet e delle nuove
forme sovietiche della lotta prole­
taria di massa; gli Shop stewards
committees, i comitati dei delegati
di fabbrica.
In America, nel paese capita­
listico più giovane e forte, si ri­
scontra un’immensa simpatia del­
le masse operaie per i soviet.
Il ghiaccio è rotto.
I soviet hanno vinto in tutto il
mondo.
Hanno vinto anzitutto e soprat­
tutto nel senso che si sono con­
quistati la simpatia delle masse
proletarie. Questo è l’essenziale.
Nessuna atrocità della borghesia
imperialistica, nessuna persecu­
zione, nessun assassinio di bol­
scevichi potrà strappare alle mas­
se questa conquista. Quanto più la
borghesia “democratica” infierirà,
tanto più durature saranno queste
conquiste nell’animo delle masse
proletarie, nei loro sentimenti, nel­
la loro coscienza, nella loro eroica
volontà di lotta.
Il ghiaccio è rotto.
Ecco perché il lavoro della
conferenza internazionale comu­
nista di Mosca, che ha fondato la
III Internazionale, si è svolto così
agevolmente, senza impacci, con
tanta serenità e fermezza.
Abbiamo registrato ciò che
era stato conquistato. Abbiamo
trascritto sulla carta ciò che era
già radicato nella coscienza delle
masse. Tutti sapevano (anzi tutti
vedevano, sentivano, percepiva­
no, ognuno in base all’esperienza
del suo paese) che stava divam­
pando un movimento proletario
nuovo, che non aveva preceden­
ti per forza e profondità, che non
si sarebbe adattato a nessuna delle
vecchie cornici, che non sarebbe
stato frenato né dai grandi mae­stri
del meschino politicantismo, né
dai Lloyd George e dai Wilson del
capitalismo “democratico” angloamericano, noti a tutto il mondo
per la loro perizia e abilità, né dai
Renaudel, Henderson, Branting e
da tutti gli altri eroi del socialscio­
vinismo, che ne hanno fatto di cot­
te e di crude.
Il nuovo movimento avanza
verso la dittatura del proletaria­
to, nonostante tutte le oscillazioni,
nonostante le più gravi sconfitte,
nonostante l’inaudito e inverosi­
mile caos “russo” (se si giudica
dall’esterno, dal di fuori), avanza
verso il potere sovietico con la for­
za di un torrente di milioni e deci­
ne di milioni di proletari che tutto
travolge nel suo corso.
Abbiamo registrato tutto que­
sto. Nelle nostre risoluzioni, tesi,
rapporti e discorsi si è fissato
quanto è già stato conquistato.
La teoria del marxismo, illu­
minata dalla viva luce della nuo­
va esperienza degli operai rivo­
luzionari, arricchita dall’apporto
di tutto il mondo, ci ha aiutato a
capire che tutto si svolge secondo
certe leggi. Essa aiuterà i proletari
del mondo intero che combattono
per distruggere la schiavitù sala­
riata capitalistica a prendere chia­
ra coscienza dei fini della loro lot­
ta, a procedere con più fermezza
per la via già tracciata, a vincere in
modo più sicuro e stabile e a con­
solidare la vittoria.
La fondazione della III Interna­
zionale, dell’Internazionale comuni­
sta, è il preludio della repubblica in­
ternazionale dei soviet, della vittoria
internazionale del comunismo.
5 marzo
(Lenin, “Conquistato e re­
gistrato”, 5 marzo 1919, Opere
complete, Editori Riuniti, vol. 28,
pagg. 481-483)
10 il bolscevico / rappresentanza sindacale
N. 4 - 30 gennaio 2014
Le contraddizioni del leader della Fiom
Landini accusa la Camusso di non
essere democratica. Però ha firmato
il
suo
documento
congressuale
Respingere l’accordo capitolazionista sulla rappresentanza, appoggiare
la mozione 2 e sconfiggere la destra della Camusso al XVII congresso della Cgil
Una dura lettera di Maurizio Landini a Susanna Camusso,
in cui il leader della Fiom accusa il segretario della Cgil di violazione della democrazia sindacale, ha aperto improvvisamente
una grossa crepa nell’alleanza tra
i due, che si erano accordati insieme al leader della corrente “Lavoro e società”, Nicola Nicolosi, per
presentarsi al prossimo congresso
della CGIL con le nuove cariche
già spartite a tavolino e con una
mozione unitaria saldamente ancorata a destra: la mozione 1, “Il
lavoro decide il futuro”, a cui si
contrappone solo la mozione 2 “Il
sindacato è un’altra cosa”, mozione alternativa più a sinistra e che
anche il PMLI appoggia.
La causa che ha fatto scoppiare
la contraddizione e riacceso la battaglia congressuale è stata la firma
da parte della Cgil il 10 gennaio
scorso, insieme a Cisl, Uil e Confindustria, del “Testo unico sulla
rappresentanza”, ovvero del regolamento attuativo dell’accordo padroni-sindacati confederali del 31
maggio 2013 sulla rappresentanza
sindacale, che recepiva a sua volta i principi contenuti nell’accordo
interconfederale, capitolazionista
e collaborazionista del 28 giugno
2011 su contrattazione e rappresentanza, firmato sotto l’egida del
governo neofascista BerlusconiTremonti e in pieno attacco mussoliniano del nuovo Valletta della
Fiat, Marchionne, ai diritti sindacali e costituzionali dei lavoratori. Un testo, cioè, che chiudendo
il lungo processo iniziato col famigerato accordo separato del
2009 tra la Confindustria e i crumiri Bonanni e Angeletti, a cui si
è poi unita anche la leader della
destra della Cgil, disegna nero su
bianco il nuovo modello di sindacato neocorporativo e collaborazionista conforme all’articolo 39
della Costituzione borghese: modello che liquida i contratti collettivi in favore di quelli territoriali e
aziendali, legalizza solo i sindacati filopadronali e collaborazionisti
mettendo praticamente fuorilegge
i “sindacati di base” e il dissenso
sindacale, consente alle aziende di
derogare dalle regole contrattuali
per qualsiasi esigenza produttiva
e di mercato, limita fortemente il
diritto di sciopero e gli altri diritti sindacali, e prevede pesanti sanzioni pecuniarie e normative a carico di chi si ribella.
Nella sua lettera indirizzata a
Camusso a nome della segreteria della Fiom, Landini protestava per aver “appreso della firma,
da parte del segretario della Cgil,
di un accordo definito ‘Testo unico sulla rappresentanza Confindustria-Cgil, Cisl, Uil’ con una serie
di contenuti mai discussi in nessun organismo dirigente della nostra organizzazione”. A suo dire,
infatti, quel testo rappresenterebbe un “nuovo accordo” rispetto a quello (anche da lui firmato)
del 31 maggio 2013, in particolare perché “prevede sanzioni verso
le organizzazioni sindacali o i lavoratori eletti, introduce l’arbitrato interconfederale in sostituzione
dell’autonomia delle singole categorie e compaiono elementi che
configurano una concezione proprietaria dei diritti sindacali, di
fatto limitano le libertà sindacali
in contrasto con la recente sentenza della Corte costituzionale sulla
Fiat”. Il segretario Fiom chiedeva
pertanto una riunione urgente del
Direttivo nazionale Cgil, un referendum tra gli iscritti “vincolante con il voto certificato” a norma
dello statuto della confederazione,
“la sospensione della firma fino
all’esito finale della consultazione” e la convocazione di assemblee sui luoghi di lavoro per far
conoscere a tutti e discutere i contenuti dell’accordo.
Estensione a tutti del
modello Marchionne
Landini si riferiva alle clausole
del “Testo unico” che, al fine di garantire l’“esigibilità” estesa a tutti
dei contratti collettivi e aziendali
firmati anche solo dal 50%+1 dei
sindacati ammessi alla trattativa
(in pratica il modello Marchionne
applicato a Pomigliano con il consenso solo di Fim e Uilm, giudicato incostituzionale dalla Consulta), prevedono forti sanzioni
pecuniarie e di sospensione dei diritti sindacali per chi non si adegua
e ricorre a lotte e scioperi; sanzioni stabilite da un “collegio arbitrale paritetico” composto da un
rappresentante per ogni sindacato
firmatario e da altrettanti rappresentanti della Confindustria, più
un consulente esterno con la funzione di presidente: vale a dire da
parte di un comitato in cui i padroni e i sindacalisti collaborazionisti
rappresentano la stragrande maggioranza, tanto che se fosse stato
in vigore durante la vertenza Fiat,
la Fiom avrebbe dovuto rassegnarsi a capitolare o essere punita in
tutta legalità con forti multe e la
perdita dei diritti sindacali.
Camusso, forte dell’appoggio
dei segretari delle altre federazioni, come Fillea (edili), Filctem
(elettrici, chimici, tessili) e Filcams (commercio), per i quali il
“Testo unico” è del tutto “coerente” con gli accordi già stipulati, gli
ha ribattuto a muso duro che le sue
erano paure infondate, e che invece quella intesa “di straordinaria
importanza” apre “una nuova stagione, dove imprese e governo
non hanno più la libertà di decidere e scegliere il sindacato con cui
fare accordi”. Il Comitato direttivo della Cgil si è poi tenuto il 17
gennaio, e come previsto, Landini ne è uscito sconfitto per 95 voti
contro 13, ammonendo però i vincitori che “una cosa così nei luoghi di lavoro non passerà mai” e
annunciando che la Fiom non si
sentirà vincolata da questo risultato se l’accordo sulla rappresentanza non sarà sottoposto al voto dei
lavoratori, o almeno degli iscrit-
ti alla Cgil. Anzi, ha alzato i toni
dello scontro denunciando che “il
modo in cui è stata gestita la vicenda è grave, perché non si mette
il Direttivo di fronte ad un accordo già firmato”, e che tutto questo
“vuol dire che c’è anche un problema di democrazia nella Cgil, si
rende evidente che c’è anche una
crisi democratica della Cgil”. La
minoranza di sinistra della mozione congressuale alternativa guidata da Cremaschi si era rifiutata
di partecipare al voto in Direttivo,
giudicandolo contrario allo statuto
in quanto la firma della Camusso
era illegittima e annunciando che
adirà alle vie formali per farlo rispettare.
Perché Landini
si sveglia solo ora?
Naturalmente Landini ha ragioni da vendere nell’indignarsi e nel denunciare il metodo arrogante e antidemocratico con cui
la la Camusso ha firmato e preteso
di imporre a cose già fatte e senza
discussione questo regolamento
di inaudita gravità, che stravolge
la natura stessa del sindacato riducendolo ad un’appendice obbediente del padronato. Così come
non si può che convenire con lui
che le clausole sull’“esigibilità”
dei contratti firmati solo dai sindacati maggioritari, con le inaudite
sanzioni contro i sindacati che non
li accettano e si rifiutano di rinunciare a lotte e scioperi, “è la conferma e l’estensione di fatto a tutte
le aziende del modello Pomigliano di Fiat”.
Quello che però contestiamo al
segretario della Fiom è che se ne
sia reso conto solo adesso, dopo
aver già mandato giù da tempo sia
l’accordo del 28 giugno 2011 che
quello del 31 maggio 2013, accordi di cui il “Testo unico sulla rappresentanza” che ora egli contesta
non è altro che il regolamento attuativo finale. Al punto da aver firmato d’amore e d’accordo la mozione congressuale unitaria della
Camusso, che tra le varie cose recita anche: “L’accordo del 28 giugno 2011, al di là dei diversi giudizi, impegna tutta l’organizzazione
e non è scindibile dall’accordo del
31 maggio 2013. Accordo positivo, frutto dell’iniziativa di tutta la
Cgil, che rappresenta un significativo cambiamento nel sistema di
regole e di rappresentanza per la
contrattazione e su cui tutta l’organizzazione è impegnata a garantirne l’esigibilità”.
È singolare perciò che Landini
si metta a fare la bella addormentata nel bosco scandalizzandosi
perché i suddetti principi capitolazionisti e collaborazionisti che
anche lui aveva sottoscritto convintamente sono stati ora semplicemente messi nero su bianco
in un regolamento attuativo. Che
cosa si aspettava, che la Confindustria e i sindacalisti crumiri al
suo servizio permanente effettivo Bonanni e Angeletti, si conten-
tassero dei soli principi enunciati
negli accordi del 28 giugno e del
31 maggio senza pretendere poi la
loro attuazione pratica? Possibile
che solo il paio di punti da lui denunciati siano da rigettare e tutto
il resto del documento e gli accordi che lo hanno preparato vadano
bene?
A meno che Landini non sperasse che le cose andassero più
per le lunghe, quantomeno a dopo
il congresso della Cgil, e che arrivasse prima Renzi, con cui sta
coltivando un asse privilegiato, a
levargli le castagne dal fuoco con
una legge sulla rappresentanza inserita nel suo “Jobs act”, e magari
dopo averlo aiutato a prendere il
posto della Camusso. A quel punto avrebbe potuto presentare ai lavoratori la legge sulla rappresentanza, ispirata agli stessi principi
neocorporativi e collaborazionisti
dell’articolo 39 della Costituzione e dell’accordo del 31 maggio,
ma spacciandola come un’iniziativa autonoma del sindacato e della “sinistra” borghese, e non come
una pretesa imposta dai padroni a
sindacati accucciati come appare
in tutta evidenza adesso.
In altre parole il leader della
Fiom si deve essere sentito improvvisamente scoperto a sinistra
da un accordo tanto infame, e temendo di passare alla storia come
corresponsabile della sua accettazione insieme alla destra della Camusso, ha cercato di prendere le
distanze all’ultimo minuto per salvare la faccia e la reputazione di
“sinistra”, già abbastanza compromesse dai suoi continui cedimenti
a destra e dal recente feeling col
berluschino democristiano Renzi.
È molto probabile, perciò, che la
sua sia solo un’opposizione tat-
tica e di facciata, pronta a cedere a nuovi compromessi appena
calmatesi le acque, come avvenne dopo l’accordo del 28 giugno
2011. Del resto anche la sua richiesta di sottoporre l’accordo a
referendum ha un’impronta rinunciataria e capitolazionista, dal momento che l’accordo è già firmato,
e perciò andrebbe semmai respinto dichiarando esplicitamente il rifiuto di applicarlo.
L’ambiguità
di Landini
e il dissenso della
sinistra della Fiom
A tale riguardo non promette
nulla di buono il fatto che il Comitato centrale della Fiom, svoltosi
immediatamente prima del Direttivo Cgil, abbia bocciato l’ordine del giorno di Sergio Bellavita,
esponente della “Rete 28 aprile”, che respingeva in toto l’accordo giudicandolo come la “resa
della Cgil al modello sindacale della Cisl” e come “il modello
Marchionne esteso a tutti”, respingendo al contempo anche il referendum in quanto la firma della
Camusso era da considerarsi illegittima, e riservandosi “di agire
ogni iniziativa a contrastare l’applicazione dell’accordo”. Mentre invece è passato a stragrande
maggioranza l’odg della segreteria, alquanto ambiguo e strettamente circoscritto ai punti criticati
da Landini, richiedente una “consultazione vincolante e straordinaria” e il ritiro sì della firma, ma per
la “riapertura del negoziato”.
Comunque staremo a vedere se
Landini sarà coerente con la posi-
zione assunta e avrà il coraggio di
dare veramente battaglia alla destra della Camusso per respingere l’accordo. E per coerenza lo dovrebbe fare anche togliendo subito
la firma alla mozione 1 e schierandosi con la sinistra e la mozione 2.
Ma temiamo che alla fine potrebbe limitarsi a presentare qualche
emendamento in sede congressuale che metta qualche paletto “interpretativo” alle clausole del “Testo unico” da lui contestate, come
mette in guardia anche un volantino della mozione 2 che denunciando l’accordo Confindustria-Cgil,
Cisl, Uil chiede che la Cgil ritiri la
firma e annuncia che in ogni caso
non lo rispetterà e lo contrasterà:
“La segreteria della Fiom – sottolinea infatti il volantino – ora dice
no, ma ha approvato l’intesa del
31 maggio di cui questo accordo
è la pura applicazione. Inoltre la
segreteria della Fiom al congresso
della Cgil sostiene il documento
di maggioranza che esalta questo
terribile accordo. Coerenza minima vuole ora che chi non è d’accordo con queste regole antidemocratiche lo dica anche al congresso
della Cgil. Basta con i giochi”!
Siamo d’accordo, e per parte
nostra incitiamo le Rsu e i lavoratori a respingere nelle assemblee e
in ogni istanza sindacale questo infame accordo sulla rappresentanza, e nel contempo, come indica
il Documento della Commissione
di Massa del CC del PMLI del 2
gennaio 2014, invitiamo la sinistra
della Cgil ad unirsi sulla mozione 2 e fare una battaglia comune
al XVII congresso della Cgil per
sconfiggere la linea di destra, riformista e collaborazionista della
Camusso e dei dirigenti opportunisti che la coprono a sinistra.
Al Direttivo provinciale della FILCTEM-CGIL di Firenze
Incalzata la CGIL affinché dia
battaglia alla legge di stabilità
del governo Letta-Alfano
Lo scorso 17 dicembre si è
svolto il Direttivo provinciale della
FILCTEM-CGIL di Firenze presso
la Casa del Popolo di San Bartolo
a Cintoia.
Alla presenza di circa 50 delegate e delegati, la riunione ha
avuto all’ordine del giorno gli
adempimenti da svolgere in vista
del Congresso CGIL e l’avvio della discussione per caratterizzare
il Congresso stesso.
In avvio ha preso la parola il
Segretario provinciale della FILCTEM-CGIL che si è limitato ad annunciare la presentazione ufficiale di due mozioni contrapposte e
a indicare la data del Congresso
provinciale fissata per il prossimo
28 febbraio.
Si è poi passati agli interventi,
alcuni dei quali significativi soprattutto riguardo alla difficile situazione attuale.
Particolarmente significativo
l’intervento di un operaio mugellano di una lavanderia industriale,
il quale prendendo ad esempio
la lotta dei lavoratori dell’ATAF
di Firenze, che con il loro impegno hanno ottenuto dei primi
importanti risultati, ha criticato
la mancanza di volontà della dirigenza del sindacato di portare
la lotta dei lavoratori ad oltranza
per respingere i provvedimenti
della legge di stabilità del governo Letta-Alfano. Ha poi esortato
i delegati presenti a far sì che il
sindacato torni a fare il proprio
lavoro, senza cercare accordi o
patti con Confindustria, governo
e dirigenti sindacali crumiri “per
superare questa difficile fase del
nostro Paese stritolato nella morsa di una crisi capitalistica che
sta macinando fabbriche e lavoratori!”.
Infine ha chiesto esplicitamente che al Congresso si tenga conto di quanto viene chiesto dalla
base soprattutto in tema di lotta
e democrazia sindacali “perché
è dal basso che si costruisce il
sindacato delle lavoratrici e dei
lavoratori!”. L’intervento è stato
largamente e convintamente applaudito dai presenti ed alcuni
delegati si sono complimentati
con l’operaio.
Andrea - operaio
del Mugello (Firenze)
rappresentanza sindacale / il bolscevico 11
N. 4 - 30 gennaio 2014
Estratti del famigerato “Testo unico
sulla rappresentanza”
Pubblichiamo ampi estratti del “Testo unico sulla rappresentanza” firmato il 10 gennaio 2014 da Confindustria e Cgil,
Cisl e Uil, con sottolineato da noi
i passaggi più significativi.
Parte prima:
Misura e certificazione della
rappresentanza ai fini della
contrattazione collettiva
nazionale di categoria
Per la misura e la certificazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali aderenti alle
Confederazioni firmatarie dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, del Protocollo d’intesa
del 31 maggio 2013 e del presente
Accordo, ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria,
si assumono i dati associativi (deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori) e i dati
elettorali ottenuti (voti espressi) in
occasione delle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie.
Il datore di lavoro provvederà,
alle condizioni e secondo le modalità contenute nel presente accordo,
ad effettuare la rilevazione del numero delle deleghe dei dipendenti
iscritti alle organizzazioni sindacali
di categoria aderenti alle Confederazioni firmatarie dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011,
del Protocollo 31 maggio 2013 e del
presente Accordo.
...
Il numero delle deleghe viene rilevato dall’INPS tramite un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali (Uniemens).
...
I dati raccolti dall’INPS saranno
trasmessi - previa definizione di un
protocollo d’intesa con i firmatari
del Protocollo del 31 maggio 2013
e del presente Accordo - al CNEL
che li pondererà con i consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle
Rappresentanze Sindacali Unitarie
da rinnovare ogni tre anni.
...
I dati sulla rappresentanza saranno determinati e comunicati
dal CNEL entro il mese di maggio
dell’anno successivo a quello della
rilevazione e, per l’anno 2015, saranno utili, oltre che per il raggiungimento della soglia del 5%:
a) per la verifica della maggioranza del 50% + 1, per tutti i rinnovi
contrattuali che saranno sottoscritti dopo la comunicazione effettuata
dal CNEL;
b) ai fini della misurazione delle maggioranze relative alle piattaforme di rinnovo per i contratti che
scadono dal novembre 2015.
Successivamente e di regola, i
dati comunicati dal CNEL saranno
validamente utilizzabili, oltre che
per il raggiungimento della soglia
del 5% anche per la determinazione
della maggioranza del 50% + 1: a)
ai fini della sottoscrizione dei ccnl,
in base all’ultimo dato disponibile;
b) ai fini della presentazione delle piattaforme, in base al dato disponibile sei mesi prima della scadenza
del contratto.
Parte seconda:
Regolamentazione delle
rappresentanze in azienda
...
All’elezione della r.s.u. possono
concorrere liste elettorali presentate dalle:
a) organizzazioni sindacali di
categoria aderenti a confederazioni
firmatarie del presente accordo oppure dalle organizzazioni sindacali
di categoria firmatarie del contratto
collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità produttiva;
b) associazioni sindacali formalmente costituite con un proprio statuto ed atto costitutivo a condizione che:
1) accettino espressamente, formalmente ed integralmente i contenuti del presente accordo, dell’Accodo Interconfederale del 28 giugno
2011 e del Protocollo del 31 maggio
2013;
2) la lista sia corredata da un numero di firme di lavoratori dipendenti dall’unità produttiva pari al
5% degli aventi diritto al voto nelle aziende con oltre 60 dipendenti.
Nelle aziende di dimensione compresa fra 16 e 59 dipendenti la lista dovrà essere corredata da almeno tre firme di lavoratori.
...
Parte terza:
Titolarita’ ed efficacia della
contrattazione collettiva
nazionale di categoria e
aziendale
...
Sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le Federazioni delle Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo
e dell’Accordo Interconfederale del
28 giugno 2011 e del Protocollo
del 31 maggio 2013, che abbiano,
nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro,
una rappresentatività non inferiore
al 5%, considerando a tale fine la
media fra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale
voti ottenuti su voti espressi) come
risultante dalla ponderazione effettuata dal Cnel.
...
Ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali previsti dalla legge, ai
sensi dell’art. 19 e ss della legge 20
maggio 1970, n. 300, si intendono
partecipanti alla negoziazione le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza, secondo i criteri concordati nel presente
accordo, e che abbiano partecipato alla negoziazione in quanto hanno contribuito alla definizione della
piattaforma e hanno fatto parte della delegazione trattante l’ultimo rinnovo del c.c.n.l. definito secondo le
regole del presente accordo.
Fermo restando quanto previsto
al secondo paragrafo, in assenza di
piattaforma unitaria, la parte datoriale favorirà, in ogni categoria, che
la negoziazione si avvii sulla base
della piattaforma presentata da organizzazioni sindacali che abbiano
complessivamente un livello di rappresentatività nel settore pari almeno al 50% +1. I contratti collettivi
nazionali di lavoro sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni Sindacali che rappresentino almeno il
50% +1 della rappresentanza, come
sopra determinata, previa consultazione certificata delle lavoratrici e
dei lavoratori, a maggioranza semplice - le cui modalità saranno sta-
Firenze
Forte protesta dei precari delle
biblioteche comunali contro Renzi
Rischiano il licenziamento con il nuovo appalto senza clausola sociale
‡‡Redazione di Firenze
Lunedì 13 gennaio, durante la
seduta del consiglio comunale,
erano tutti sotto Palazzo Vecchio i
70 precari delle biblioteche e degli
archivi comunali in sciopero, assediandolo per 4 ore con striscioni,
megafoni e slogan contro il neopodestà Matteo Renzi, l’onnipresente
leader del PD. Il presidio si è svolto
nell’ambito di uno sciopero indetto
da CGIL e USB.
Protestano perché all’interno
del nuovo bando di gara per i servizi bibliotecari e archivistici del
Comune (gara da 7,7 milioni di
euro che sarà fatta entro l’estate)
non è stata inserita la clausola sociale, ovvero l’obbligo di riassumere i lavoratori che già operano per
l’amministrazione. Il testo steso
dall’assessore Sergio Givone vede
la riassunzione come un optional,
legato al punteggio da assegnare
al nuovo appaltante, 8 miseri punti su un totale di 65. Se riassunti
questi lavoratori rischiano anche di
cambiare inquadramento, con una
perdita di salario sui 200-300 euro
al mese.
Tanti gli slogan urlati: “vergogna vergogna”, “Givone, dacci la
clausola sociale” e contro Renzi
“Jobs act, unemployed in fact”,
cioè col job act di Renzi disoccupati di fatto.
Una nota sindacale sottolinea:
“Il ricorso all’appalto per i servizi pubblici dimostra la fragilità di
un sistema che non è in grado di
garantire occupazione stabile e la
volontà di non utilizzare tutte le
possibili forme di tutela previste è
la dimostrazione, ancora una volta,
di predicare bene, ma di razzolare
molto peggio”.
Firenze, 13 gennaio 2014. Il presidio di protesta dei precari delle biblioteche,
sotto Palazzo Vecchio
bilite dalle categorie per ogni singolo contratto – saranno efficaci ed
esigibili. La sottoscrizione formale
dell’accordo, come sopra descritta,
costituirà l’atto vincolante per entrambe le Parti... Conseguentemente le parti firmatarie e le rispettive
Federazioni si impegnano a dare
piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti.
...
I contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad
assicurare la capacità di aderire
alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi
aziendali possono pertanto definire,
anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali
di lavoro nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti
collettivi nazionali di lavoro. Ove
non previste ed in attesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti
collettivi aziendali conclusi con le
rappresentanze sindacali operanti
in azienda d’intesa con le relative
organizzazioni sindacali territoriali
di categoria espressione delle Confederazioni sindacali firmatarie del
presente accordo interconfederale o
che comunque tali accordi abbiano
formalmente accettato, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per
favorire lo sviluppo economico ed
occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con
riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli
orari e l’organizzazione del lavoro.
Le intese modificative così definite
esplicano l’efficacia generale come
disciplinata nel presente accordo.
Parte quarta:
Disposizioni relative
alle clausole e alle procedure
di raffreddamento e alle
clausole sulle conseguenze
dell’inadempimento
Le parti firmatarie dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno
2011, del Protocollo d’intesa del 31
maggio 2013 ovvero del presente
Accordo convengono sulla necessità di definire disposizioni volte a
prevenire e a sanzionare eventuali
azioni di contrasto di ogni natura,
finalizzate a compromettere il regolare svolgimento dei processi negoziali come disciplinati dagli accordi interconfederali vigenti nonché
l’esigibilità e l’efficacia dei contratti collettivi stipulati nel rispetto dei
principi e delle procedure contenute
nelle intese citate. Pertanto i contratti collettivi nazionali di categoria,
sottoscritti alle condizioni di cui al
Protocollo d’intesa 31 maggio 2013
e del presente accordo, dovranno
definire clausole e/o procedure di
raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l’esigibilità
degli impegni assunti con il contratto collettivo nazionale di categoria e
a prevenire il conflitto. I medesimi
contratti collettivi nazionali di lavoro dovranno, altresì, determinare le
conseguenze sanzionatorie per gli
eventuali comportamenti attivi od
omissivi che impediscano l’esigibilità dei contratti collettivi nazionali
di categoria stipulati ai sensi della
presente intesa.
Le disposizioni definite dai
contratti collettivi nazionali di lavoro, al solo scopo di salvaguardare il rispetto delle regole concordate nell’accordo del 28 giugno 2011,
del Protocollo del 31 maggio 2013
e nel presente accordo, dovranno riguardare i comportamenti di tutte le
parti contraenti e prevedere sanzioni, anche con effetti pecuniari, ovvero che comportino la temporanea sospensione di diritti sindacali
di fonte contrattuale e di ogni altra
agibilità derivante dalla presente intesa.
….
Clausole transitorie
e finali
Le parti firmatarie della presente
intesa si impegnano a far rispettare
le regole qui concordate e si impegnano, altresì, affinché le rispettive
organizzazioni di categoria ad esse
aderenti e le rispettive articolazioni a livello territoriale e aziendale si
attengano a quanto pattuito nel presente accordo.
In via transitoria, ed in attesa che
i rinnovi dei contratti nazionali defi-
niscano la materia disciplinata dalla parte quarta del presente accordo,
le parti contraenti concordano che
eventuali comportamenti non conformi agli accordi siano oggetto di
una procedura arbitrale da svolgersi
a livello confederale.
A tal fine, le organizzazioni di
categoria appartenenti ad una delle
Confederazioni firmatarie del presente accordo, ovvero che comunque tale accordo abbiano formalmente accettato, sono obbligate a
richiedere alle rispettive Confederazioni la costituzione di un collegio
di conciliazione e arbitrato composto, pariteticamente, da un rappresentante delle organizzazioni sindacali confederali interessate e da
altrettanti rappresentanti della Confindustria, nonché da un ulteriore membro, che riveste la carica di
Presidente, individuato di comune
accordo o, in mancanza di accordo,
a sorteggio fra esperti della materia
indicati in una apposita lista definita di comune accordo, entro 30 giorni, dalle parti stipulanti il presente
accordo.
Nella decisone del collegio, che
dovrà intervenire entro dieci giorni
dalla sua composizione, dovranno
essere previste le misure da applicarsi nei confronti delle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro in caso di inadempimento degli
obblighi assunti con il presente accordo e, in particolare, dell’obbligo di farne rispettare i contenuti alle
rispettive articolazioni, a tutti i livelli.
Viene poi istituita, a cura delle
parti firmatarie del presente accordo, una Commissione Interconfederale permanente con lo scopo di favorirne e monitorarne l’attuazione,
nonché di garantirne l’esigibilità.
La Commissione sarà composta,
pariteticamente, da sei membri, designati da Confindustria e dalle tre
organizzazioni sindacali più rappresentative al momento della composizione della Commissione, tra
esperti in materia di diritto del lavoro e di relazioni industriali. Un settimo componente della Commissione
Interconfederale, che assumerà funzioni di Presidente, sarà individuato
fra esperti della materia indicati in
una apposita lista definita di comune accordo. La Commissione potrà
avvalersi della consulenza di esperti. Ai componenti non spetta alcuna
indennità.
La Commissione è nominata per
un triennio e i suoi membri possono
essere confermati una sola volta.
Pirelli di Figline Valdarno (Firenze)
Sciopero e presidio a Roma
per difendere il posto di lavoro
800 lavoratori a rischio. Sciopero in solidarietà dei
lavoratori turchi della Pirelli. Dalla Regione solo parole
‡‡Redazione di Firenze
Si sta facendo sempre più buio
il futuro per i 400 lavoratori della
Pirelli di Figline Valdarno e per i circa 400 lavoratori dell’indotto.
È praticamente conclusa la
vendita all’azienda belga Bekaert
dello stabilimento Pirelli di Figline
che produce steel cord (la cordicella d’acciaio per i pneumatici).
Questa notizia raggelante è stata
comunicata dall’azienda di Tronchetti Provera nell’incontro al ministero allo sviluppo economico di
martedì 14 gennaio, mentre i lavoratori erano in sciopero per otto
ore e una folta delegazione presidiava combattiva la sede governativa nonostante la pioggia batten-
te. La fondata preoccupazione dei
lavoratori è che la Bekaert voglia
comprare lo stabilimento italiano per chiuderlo perché costoso
e continuare la produzione dello
steel cord in quelli brasiliano, rumeno, cinese e turco.
Sciopero anche in Turchia, in
solidarietà con i lavoratori di Figline, nello stabilimento Pirelli di Izmit
che occupa circa 400 persone e
dove si lavora alla stessa particolare produzione industriale che la
multinazionale italiana vuole cedere non ritenendola più strategica.
Al tavolo delle trattative anche l’assessore al lavoro della
Regione Toscana Gianfranco
Simoncini (PD), i parlamentari toscani Elisa Simoni (PD) e David
Ermini (PD), praticamente azzittiti dall’arroganza padronale dopo
che il governatore Enrico Rossi
(PD), che ha disertato la trattativa, aveva dichiarato: “La Pirelli di
Figline Valdarno rappresenta da
52 anni il cuore della manifattura
dello “steel cord”, un’eccellenza
assoluta per l’Italia e una delle poche aziende di questo tipo
in Europa, con un patrimonio di
competenze ed elevate professionalità che non può andare disperso e faremo di tutto per far
restare in Toscana”.
Dal canto loro i coraggiosi operai di Figline hanno indetto un nuovo sciopero di otto ore per martedì
21 gennaio, quando si terrà una
nuova riunione al ministero.
12 il bolscevico / xvii congresso cgil
N. 4 - 30 gennaio 2014
XVII congresso della Cgil
BOCCIAMO IL DOCUMENTO
DELLA CAMUSSO
Il 17° congresso della Cgil, seppur lentamente e con ripetuti rinvii
di molte assemblee di base, è partito. Sul numero 2 de “Il Bolscevico” 2014 abbiamo già illustrato in
linea generale i nostri giudizi sui
due documenti congressuali e indicato qual è la posizione e l’atteggiamento che dovranno tenere i militanti e i simpatizzanti del
PMLI e tutti quei lavoratori che si
riconoscono nella proposta sindacale del PMLI. In questa occasione vogliamo approfondire l’analisi del documento che vede prima
firmataria Susanna Camusso, sostenuto anche da Landini, Rinaldini, Nicolosi e buona parte di chi
all’ultimo congresso aveva presentato un documento alternativo in contrapposizione a quello
dell’allora segretario (e padrino
della Camusso) Guglielmo Epifani.
L’illusione
di un capitalismo
più “buono”
Questo documento porta come
titolo “il lavoro decide il futuro”
ed è costituito da una premessa e
da 11 capitoli chiamati “azioni”.
Non ci trova d’accordo praticamente su nulla e già nella premessa è da rigettare in blocco l’analisi
generale della situazione economica, politica e sindacale italiana
ed internazionale. L’attuale crisi
economica capitalistica non nasce
solo dal “primato del sistema finanziario” né tanto meno dal neoliberismo, quest’ultimo è solo una
faccia del sistema, certo la più brutale. Dicendo questo si vuol far
credere che sono le distorsioni, gli
errori, le cattive interpretazioni del
capitalismo a causare miseria e disoccupazione e non il sistema in
se stesso basato sullo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo. Questo filo
conduttore attraversa tutto il documento spargendo l’illusione di poter realizzare una specie di capitalismo dal “volto umano”.
Lo scollamento tra le masse e
le istituzioni borghesi ha raggiunto livelli altissimi si dice, è un fatto oggettivo aggiungiamo noi.
Secondo la dirigenza della Cgil
questo strappo va ricucito: i lavoratori, cioè le vittime della crisi, dovrebbero sostenere i carnefici, cioè chi scarica su di loro le
conseguenze della crisi. Per Camusso e soci basta attuare la Costituzione e tutto si risolve. Ma a
quale Costituzione si riferiscono?
Perché fanno finta di non vedere che la vecchia Carta del ’48 è
stata fatta a pezzi da tempo e Napolitano già governa come in una
repubblica presidenziale, come di
fatto siamo? Non spendono una
parola sull’involuzione neofascista del nostro Paese evidente an-
Il documento congressuale che porta anche la firma di Landini
prefigura una Cgil subalterna alle esigenze padronali e governative
appoggiamo e votiamo il documento 2
che ai democratici più moderati.
Al massimo arrivano a parlare di
“partiti personali”. Ci sembra un
po’ poco!
Anche sul più specifico campo sindacale non ci siamo: ci sono
enunciazioni contraddittorie oltretutto smentite dall’attualità. Ad
esempio si auspica la riunificazione del lavoro dipendente poiché ci
sono centinaia di tipologie di contratti che creano differenze tra i
lavoratori, intaccandone l’unità e
limitando la stessa azione dei sindacati. Questo è vero ma se la contromisura è il contratto unico che
abbiamo visto propagandare da
Landini e Renzi in queste settimane allora siamo alla riunificazione della perdita dei diritti per tutti
i neoassunti. Le proposte dei segretari di Fiom e PD, stranamente
simili, propongono una specie di
“periodo di prova” di 2 anni in cui
il lavoratore non ha alcun diritto e
può essere licenziato in ogni momento. Alla faccia dell’artico 18!
Cgil subalterna
a governo
e padronato
Manca totalmente una critica serrata alle politiche dei governi nazionali ed europei che in
sintonia con il padronato hanno
compresso i salari, ridotto i diritti, tagliato i servizi pubblici, precarizzato il rapporto di lavoro,
aumentato lo sfruttamento nelle fabbriche, rimandato l’accesso
alla pensione, ingrossato l’esercito dei disoccupati. L’atteggiamento generale è di collaborazione e
subalternità alle controparti.
Uno dei passi più significativi
della premessa recita: “L’accordo
del 28 giugno 2011, al di là dei diversi giudizi, impegna tutta l’organizzazione e non è scindibile
dall’accordo del 31maggio 2013.
Accordo positivo, frutto dell’iniziativa di tutta la CGIL, che rappresenta un significativo cambiamento nel sistema di regole e di
rappresentanza per la contrattazione e su cui tutta l’organizzazione è impegnata a garantirne l’esigibilità”. Gli accordi in questione
prevedono le deroghe ai contratti
nazionali, che si possono ignorare con intese aziendali, restringono la democrazia sindacale e prevedono sanzioni per chi sciopera
contro gli accordi al ribasso.
Queste poche righe fanno intendere più di tanti capitoli quale
sarà la linea che si vuole imporre
alla Cgil: subalternità alle esigen-
Numero di telefono e fax
della Sede centrale del PMLI
e de “Il Bolscevico”
Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI
e de “Il Bolscevico” è il seguente: 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato
al PMLI e al suo Organo
ze di padronato e governo, supremazia di Cgil-Cisl-Uil rispetto agli
altri sindacati, democrazia limitata
nelle fabbriche, bavaglio alle lotte per non disturbare la competitività delle aziende dei capitalisti
nostrani. E il tono perentorio non
ammette distinguo o dissenso, alla
faccia di Landini e di quelli che dicono che questo congresso è aperto al contributo di tutti. Insomma
si offre su di un piatto d’argento la
collaborazione del sindacato a sostenere la borghesia nazionale ad
uscire dalla bufera scatenata dalla
crisi globale del capitalismo.
Proposte inadeguate
e fuorvianti
Con queste premesse anche gli
approfondimenti portano a conclusioni fuorvianti e inaccettabili mentre le rivendicazioni non potevano che essere del tutto inadeguate,
sproporzionate e subalterne di fronte all’attacco portato avanti dalle
politiche capitalistiche neoliberiste
degli ultimi 20-30 anni e ingigantitosi con la crisi scoppiata nel 2008.
All’Unione Europea imperialista
(UE) vengono addebitati tanti errori ma viene comunque vista come
un’opportunità per i lavoratori anziché uno strumento di oppressione
che ha messo sul lastrico interi Paesi come la Grecia. Ci si arrampi-
ca sugli specchi per far accettare
la UE: si chiedono più poteri alle
istituzioni europee ma alcune righe prima si chiedeva più autonomia ai governi nazionali. La preoccupazione principale è quella
di ridurre il profondo distacco che
c’è tra i vari popoli del continente e la UE.
Alle pensioni viene dedicato un
intero capitolo. Viene criticata la
controriforma Fornero ma quando
fu varata, l’opposizione della Cgil
fu molto blanda e l’atteggiamento verso l’allora governo Monti fu
più che benevolo. Tante parole ma
non si rivendica l’età pensionabile a 60 anni e quella contributiva
a 40 come viene chiesto dal documento 2, un’età già alta per i lavori usuranti.
Sull’assetto istituzionale del
nostro Paese il documento della
Camusso si esprime contro il presidenzialismo ma questo di fatto è
già stato instaurato. Anche qui la
preoccupazione principale è garantire stabilità e governabilità alle
istituzioni borghesi. La Camusso è
per il superamento del cameralismo perfetto, per il senato federale
e il federalismo in generale, per la
riduzione del finanziamento pubblico dei partiti ma non per la sua
abolizione.
Quando si parla di difesa
dell’occupazione ci si può imma-
ginare che si chieda il blocco dei
licenziamenti che stanno mettendo sul lastrico migliaia di lavoratori, niente di tutto questo. Il
capitolo dedicato allo sviluppo e
alle politiche industriali è un richiamare a raccolta di tutte le
energie disponibili del capitalismo italiano (testuali parole), insomma è un rimprovero alla borghesia nostrana affinché sia più
competitiva nella sfida imposta
dal capitalismo globalizzato. Si
dice di combattere la precarietà
ma in modo generico, senza rivendicare il lavoro a tempo indeterminato per tutti, salvo casi di
particolare stagionalità ed eccezionalità.
Anche riaffermare il valore e
la funzione universale del contratto nazionale non significa niente
se poi la Camusso e i suoi chiedono di rispettare rigidamente accordi che vanno nel senso opposto.
Stesso discorso quando si parla
di democrazia e partecipazione
nella Cgil. Si riconosce una difficoltà del sindacato a rappresentare i lavoratori, specie i giovani e
i precari, e il bisogno di allargare la democrazia nelle fabbriche e
sul territorio ma nelle stesse righe
si richiamano di nuovo i famigerati accordi del giugno 2011 e del
maggio 2013 che sono la negazione di tutto questo.
Gli emendamenti
I più significativi sono sui temi
delle pensioni, della contrattazione e della democrazia presentati da Landini, Nicolosi e Moccia.
Questi non sono altro che delle foglie di fico che servono a dare una
copertura a sinistra al documento
della Camusso, impugnati per giustificare la loro resa alla destra e la
mancata adesione a un documento
alternativo, tuttalpiù buoni per assicurarsi delle poltrone.
Non vogliamo negare che questi emendamenti presi singolarmente abbiano anche un certo
peso. Ma nel contesto del congresso, dove c’è l’esigenza di marcare un forte dissenso dal gruppo
dirigente filo-PD della Cgil per
la condotta fallimentare tenuta in
questi ultimi anni e riunire tutta la
sinistra sindacale, questi emendamenti non spostano di una virgola
la linea della Camusso e rompono
il fronte dell’opposizione interna
alla Cgil.
Quindi nelle assemblee dove
vengono presentati dobbiamo invitare i lavoratori che vogliono
veramente cambiare, a sostenere
il documento 2 anziché gli emendamenti, perché comunque ogni
voto al documento della maggioranza verrà considerato come un
sostegno alla linea filopadronale e
cogestionaria della Camusso e agli
accordi che essa ha firmato, compreso quello che restringe la democrazia sindacale del 31 maggio
2013 e sottoscritto definitivamente da Cgil-Cisl-Uil e Confindustria
il 10 gennaio 2014.
Congresso SPI-CIGL a Catania
Schembri relatore per la seconda mozione
chiede lo sciopero generale di otto ore
con manifestazione nazionale a Roma
Consensi e applausi tra i pensionati
lanciata la proposta del sindacato delle lavoratrici
e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Stalin” della
provincia di Catania
Il 16 gennaio, presso la Camera del Lavoro di San Giovanni La Punta si è tenuto il congresso locale dello Spi-CGIL. Una
cinquantina i partecipanti a rappresentare circa 500 pensionati
iscritti. Il relatore della I mozione, Oliveri, ha parlato, in un discorso di forte denuncia, delle
gravissime condizioni in cui sopravvivono i pensionati, i disoccupati, precari, giovani, forte della sua esperienza di volontario del
CAF (Centro Assistenza Fiscale). Oliveri ha lanciato delle critiche ai governi passati e presenti. Sullo stesso tono l’intervento
di Giovanni Foti, segretario dello SPI-CGIL di San Giovanni La
Punta. È intervenuto il compagno
Sesto Schembri, relatore della II
mozione, che, dopo aver apprezzato la dura denuncia di Oliveri
sulla macelleria sociale procurata
dai governi passati e dal governo
presente, ha svolto una riflessione sul fatto che la crisi non è caduta dal cielo, ma ha le sue cause
nel sistema capitalista, nella ciclicità della sua economia, nelle logiche di mercato, nelle politiche
dell’Europa imperialista che scarica tutto il peso della crisi sulle
masse popolari. Non sono stati gli
operai, i pensionati, i disoccupati
responsabili di questa crisi. Tutto quello che vediamo intorno a
noi è prodotto da operai, mentre
i padroni si impossessano della
ricchezza prodotta dai lavoratori.
L’unico modo per cambiare il sistema è abbatterlo, instaurando la
società socialista. Il compagno ha
continuato criticando il governo
Letta-Alfano e i governi passati
che sono tutti al servizio del capitalismo, della grande finanza e
scaricano tutto il peso sulle masse
popolari, ma ha anche dato le giuste responsabilità all’operato dei
vertici del sindacato inadeguati a
fronteggiare l’attacco dei governi
al servizio del capitale, sottolineandone le responsabilità storiche
che ci hanno condotti agli attuali livelli di attacco ai diritti dei
pensionati: “Bisogna appoggiare ha continuato il compagno - la
seconda mozione ‘Il sindacato è
un’altra cosa’, ma – ha argomentato – bisogna andare anche oltre.
Dobbiamo organizzarci per costruire un grande sindacato delle
lavoratrici e dei lavoratori, delle
pensionate e dei pensionati, fondato sulla democrazia diretta, con
il potere sindacale e contrattuale
in mano alle assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati.
L’obbiettivo è di costruire un unico, grande sindacato, basato sulla democrazia diretta perché i lavoratori hanno tutti il medesimo
interesse. Sono i padroni che vogliono i lavoratori divisi per far
perdere loro forza e potere contrattuale e asservire i sindacati ai loro interessi”. Il compagno
ha concluso leggendo l’articolo
pubblicato su “Il Bolscevico” un
anziano su due non riesce ad arrivare a fine mese, insistendo sulla parola conclusiva dell’articolo che rilancia la linea del Partito
sull’argomento: “Ci chiediamo
cosa aspettino i sindacati confederali e i sindacati di base ad indire lo sciopero generale di 8 ore,
unitario con manifestazione nazionale a Roma, per fermare la
macelleria sociale di Letta-Alfano, avallata da Napolitano”. Questa richiesta finale, come tutto
l’intervento, hanno riscosso consensi tra i pensionati che hanno
applaudito il discorso.
Nella sua conclusione Giovanni Foti, certo rispondendo al relatore della seconda mozione, ha
sostenuto che il sindacato ha fatto
tutto il possibile per opporsi alla
macelleria sociale. Pare abbastanza possibile che abbia vinto la prima mozione, ma il risultati definitivi si avranno entro pochi giorni.
corruzione / il bolscevico 13
N. 4 - 30 gennaio 2014
Favoritismi, clientelismo, minacce e metodi di governo da boss nel suo feudo nel Sannio
La ministra De Girolamo deve dimettersi
Nonostante le smentite di rito
del ministro alle Politiche agricole del Nuovo centro destra (Ncd)
Nunzia De Girolamo che il 17
gennaio in Aula ha negato ogni
suo coinvolgimento nello scandalo
della Asl di Benevento, l’inchiesta
della magistratura sul “direttorio
politico-partitico” che agiva nella Asl del capoluogo sannita decidendo nomine, appalti e incarichi
sulla pelle dei malati si arricchisce
di nuovi e inquietanti capitoli.
Almeno cinque componenti
del “direttorio” sono finiti nel registro degli indagati. Le ipotesi di
reato vanno dall’associazione per
delinquere all’abuso e alla turbativa d’asta. La stessa sorte potrebbe toccare nei prossimi giorni anche a due stretti collaboratori della
De Girolamo come Giacomo Papa
(vice capo di gabinetto che ha lavorato con il papà di Nunzia al
consorzio agrario di Benevento) e
Luigi Barone (ex vicedirettore de
“Il Sannio”, oggi capo della segreteria del Mipaf (Ministero Politiche Agricole e Forestali) e amico
del cuore di Nunzia. Gli altri protagonisti dello scandalo sono l’attuale manager dell’Asl Michele
Rossi, il direttore sanitario Gelsomino Ventucci e lo stesso Felice
Pisapia, ex direttore amministrativo della Asl, accusato di truffa e
malversazione.
A chiamare in causa la De Girolamo, all’epoca dei fatti coordinatore provinciale e parlamentare
del Pdl, è proprio Pisapia che ha
consegnato agli inquirenti le registrazioni di una serie di collo-
qui avvenuti nell’estate del 2012 a
casa del padre della De Girolamo
da cui emerge un verminaio di favoritismi, minacce e metodi di gestione del potere politico in perfetto stile mafioso.
Nell’ordinanza con la quale è
stato disposto nei suoi confronti l’obbligo di dimora il Giudice
per le indagini preliminari (Gip)
Flavio Cusani scrive fra l’altro
che esiste un “direttorio politicopartitico” che ha condizionato e
influenzato le scelte nella Asl di
Benevento. Un direttorio che “si
occupava, in funzione di interessi privati e di ricerca del consenso
elettorale, con modalità a dir poco
deprimenti ed indecorose, di ogni
aspetto della gestione della Asl”.
Dalle registrazioni, effettuate all’insaputa dei partecipanti,
emerge che la boss del Ncd riuniva i vertici dell’Asl di Benevento
a casa di suo padre per decidere
l’assegnazione dell’appalto di 12
milioni per tre anni per la gestione del 118, dove ubicare presidi e
strutture dell’Asl, ma si occupava
anche di questioni spicciole come
un sequestro di mozzarelle in un
negozio di un “amico di Nunzia”
o di come mandare “i controlli”
negli ospedali guidati da persone
non gradite alla parlamentare.
Emblematica in tal senso è la
registrazione del “direttorio”del
30 luglio 2012 la De Girolamo se
la prende coi vertici del Fatebenefratelli, l’ospedale religioso di Benevento convenzionato. Li chiama
“stronzi”, poi si rivolge a Rossi:
“Michè, scusami, al Fatebenefra-
telli facciamo capire che un minimo di comando ce l’abbiamo. Altrimenti mi creano coppetielli con
questa storia. Mandagli i controlli e vaffanculo!… Io non mi permetto di farlo, però ad essere presa per culo da Carrozza, quando
poi gli ho dato tanta disponibilità
ogni volta che mi hanno chiesto,
Miché”. Giovanni Carrozza, citato
nel colloquio, è il direttore amministrativo del Fatebenefratelli.
Appena una settimana prima,
in un’analoga riunione del “direttorio” del 23 luglio 2012 dedicata al bando per l’appalto del 118,
la De Girolamo si era accordata con Papa su come “bypassare
la gara pubblica” perché può darsi che “tra poco ci commissariano
e la gara pubblica se la fa la Regione”. Mentre Rossi giura fedeltà eterna alla ministra: “Nunzia,
premesso che io non resterò un secondo su quell’Asl se non per te
e con te, perché io la nomina l’ho
chiesta a te, tu me l’hai data ed è
giusto che ci sia un riscontro…”.
Va bene, ma l’ufficio territoriale
dell’Asl “Dove dovremmo metterlo? – si chiede la De Girolamo – a
Sant’Agata che Valentino (il sindaco, del Pd, ndr) è uno stronzo?
Cioè, nemmeno è venuto da me”.
Mentre sull’ipotesi di piazzare una
struttura Asl a Forchia la De Girolamo è categorica: “No, Forchia
no! Preferisco poi darlo ad uno del
Pd che ci vado a chiedere 100 voti
…”.
Pisapia ha parlato anche dei loschi retroscena che hanno caratterizzato la campagna elettorale e la
conseguente vittoria della De Girolamo al congresso del Pdl a Benevento il 12 marzo del 2012 e
dell’andamento dei pagamenti nei
confronti di due ditte impegnate
nel servizio 118 per la Asl e rivela che “Rossi voleva favorire Modisan e danneggiare la Sanit. Così
Sanit veniva demonizzata mentre
la società Modisan, siccome sponsorizzava la campagna elettorale che c’era stata per il congresso
del 2012 per il Pdl, veniva esaltata (…) come emerge dagli incontri
politici ai quali ho partecipato”.
A rincarare la dose di accuse contro la ministra e il suo clan
c’è anche uno dei testimoni-chiave dell’indagine, Arnaldo Falato, ex Udeur, dirigente medico dell’azienda sanitaria che nei
mesi scorsi ha a lungo parlato di
un suo progressivo demansionamento posto in essere dai vertici
dell’azienda. “Il direttore generale Rossi - mette a verbale Falato nell’ambito della sua attività persecutoria nei mei confronti, mi ha
fatto chiamare sul mio cellulare
aziendale dalla sua segretaria per
una immediata convocazione nella sua stanza per comunicazioni il
27 maggio 2013.
Alla presenza di tutti gli alti
dirigenti dell’Asl, tra cui il direttore sanitario Ventucci, gli fu sottoposto un contratto di lavoro per
un incarico “confezionato ad arte,
del tutto inconsistente, al solo fine
di punirmi per i miei trascorsi mastelliani” di dirigente a Montesarchio. Contratto che prevedeva un
compenso aggiuntivo a titolo di
“posizione aziendale variabile”
pari a 30.000 euro circa, “del tutto
spropositato rispetto all’incarico e
superiore al valore massimo degli incarichi di massima affidabilità affidati in Asl che si attestano
sui 10-11.000 euro annui. “Capii –
sostiene Falato – che era il prezzo
per comprare il mio assenso: un regalo personalizzato”. Piccatissima
la lettera di rifiuto che ricostruisce
l’episodio con toni sarcastici: “La
situazione mi ha fatto sentire tanto Fantozzi, una voce immaginaria mi diceva: ‘Fantozzi merdaccia
siediti, firma e falla finita, sei alla
presenza di tutti i direttori megagalattici. Suvvia!”.
Secondo Falato, Rossi è il portatore degli interessi personali ed
elettorali della ministra nella gestione della sanità pubblica, alimentando un sistema di promozioni e rimozioni che premiava gli
amici e metteva in un angolo i nemici della vecchia guardia mastelliana.
Il 14 gennaio 2013 Falato riassume al Pm Giovanni Tartaglia
Polcini la tentata soppressione di
due posti da primario (tra cui un
radiologo) per risparmiare risorse.
Ma il clan De Girolamo si “oppose fermamente alla soppressione”
tant’è che “Barone e Papa ebbero
con me due diversi incontri violentissimi, perché volevano favorire il subentro nel posto di primario del dottor Giovanni Molinaro.
Io ebbi il torto di dire che non era
possibile perché Molinaro non era
nemmeno specialista in radiologia. Mi ricordo che Papa mi dis-
se di non preoccuparmi perché lui
insegnava diritto sanitario all’università e avrebbe potuto risolvere
il problema”.
Ciononostante la De Girolamo ha avuto la faccia tosta di affermare durante la sua audizione
alla Camera che “Mai, mai e poi
mai il mio nome è coinvolto nella
truffa di Benevento”, il nome del
ministro dell’Agricoltura “compare solo perchè frutto di un complotto ai miei danni... la mia vita
di politico, persona e donna è stata travolta da un linciaggio mediatico senza precedenti. Mai, mai e
poi mai ho abusato del mio ruolo
di deputato e mai, mai ho violato
la legge e la Costituzione su cui ho
giurato”.
In realtà se il nome della De
Girolamo non compare ancora sul
registro degli indagati è solo grazie alle leggi ad personam imposte
da Berlusconi che non consentono
l’uso delle intercettazioni “abusive” di Pisapia. Ma il convolgimento politico e morale della De
Girolamo in tutto questo marciume è fuori discussione. Altro che
“forza della mia pulizia interiore”
in difesa del “mio onore, la mia
onestà, la mia dignità”.
La De Girolamo non è una
“vittima” ma una protagonista di
questo marcio sistema di potere
borghese e perciò deve dimettersi immediatamente. E, se davvero non ha niente da nascondere, e
non c’entra niente con il mercimonio della Asl di Benevento, si presenti subito dai magistrati e chiarisca tutto.
Faraone, uomo di Renzi, indagato
per peculato sui rimborsi
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
A Davide Faraone, boss dei
renziani siciliani, parlamentare
nazionale, parlamentare regionale
dal 2008 al 2012, candidato renziano trombato alle primarie per
il sindaco di Palermo, sono contestate 3.380,60 euro di spese non
giustificate nell’inchiesta sui fondi pubblici ai gruppi parlamentari
siciliani. Non è ancora noto come
avrebbe speso illecitamente parte
dei consistenti fondi destinati al
suo gruppo, fatto sta che la procura
di Palermo indaga su 83 tra parlamentari ed ex-parlamentari siciliani e 14 consulenti al fine di accertare che fine abbia fatto il 50%, e
forse più, dei 13 milioni annui destinati ai gruppi parlamentari. Tra
le varie contestazioni ci sono l’acquisto di gioielli, borse, profumi e
cravatte di marca, regali di nozze,
auto, soggiorni in alberghi di lusso
per deputati regionali e famiglie.
Si tratta dell’ennesimo scivolone politico del rampante pupillo
siciliano del segretario del PD. Il
volto “nuovo” Faraone era già finito in un giro di chiacchiere durante
le primarie per il candidato PD di
Palermo e per un presunto voto di
Al responsabile Welfare del PD viene contestata una spesa di 3.380 euro
97 indagati, 83 sono deputati di tutti i partiti
dell’Assemblea siciliana. Crocetta deve dimettersi
scambio. Esisterebbero persino riprese in cui Faraone entra in casa
di Agostino Pizzuto, mafioso del
quartiere San Lorenzo-Resuttana,
e intercettazioni compromettenti
sull’origine dei suoi voti. Costui,
il braccio destro di Renzi in Sicilia, è adesso il responsabile Welfare voluto da Renzi nella segretaria
nazionale del PD.
L’inchiesta
Nelle indagini, coordinate dal
procuratore aggiunto di Palermo
Leonardo Agueci, sui milioni utilizzati da tutti i gruppi presenti in
parlamento siciliano tra il 2008 e
il 2012, anche il segretario regionale del PD, Giuseppe Lupo, per
39.337 euro, e il capogruppo in
parlamento Antonello Cracolici.
Cifre alte anche per gli altri parlamentari piddini, come Francesco Rinaldi (45.300 euro), Giacomo Di Benedetto (27.425 euro),
Bruno Marziano (12.813 euro),
Giovanni Barbagallo (11.569,44
euro), Michele Donato Donegani
(10mila euro), Bernardo Mattarella (6.224 euro). La lista potrebbe
continuare a lungo.
Tra gli altri parlamentari finiti
sotto inchiesta per peculato anche
l’ex-presidente della Regione Raffaele Lombardo, MPA, (5.810,66
euro), l’ex presidente del parlamento Francesco Cascio, PDL
(5.810,66 euro), l’attuale presidente Giovanni Ardizzone, UDC,
(2.090 euro).
Non si spiega, ad esempio,
l’ammanco di 45mila euro prelevati dal capogruppo del MPA
Francesco Musotto, ex-presidente
della provincia di Palermo per FI.
Si spiega invece quello di Rudy
Maira (PID), già sindaco di Caltanissetta, che ha ricevuto 24 bonifici per un totale di 51mila giustificati come acquisto di un’auto Audi
A6 che dalle indagini è risultata di
uso privato. I 1.690 euro spesi da
Giulia Adamo (adesso UDC sindaco di Marsala) spesi quando era
capogruppo del PDL al parlamento sono “giustificati” come acquisto di gioielli.
Gli alleati di Crocetta
tra gli indagati
È scandaloso un tale sperpero di
danaro pubblico, mentre le masse
popolari siciliane sono allo stremo
e questo e i precedenti parlamenti e governi non fanno che approvare tagli su tagli. Solo per fare
un esempio con la cifra di denaro
pubblico scomparso che oscilla tra
i 6,5 e i 10 milioni di euro, avrebbero potuto essere stabilizzati un
numero di precari che oscilla tra i
cinquecento e gli ottocento. E invece no, i soldi sono serviti a pagare il gioiello della deputata o l’auto
di lusso del deputato!
L’attuale governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, PD; approfitta dell’inchiesta per “criticare”
il suo partito e lo sperpero di denaro pubblico dei parlamentari. Fatto sta che lo stesso Crocetta, che
vorrebbe con vuoti discorsi moralistici allontanare da sé responsabilità in questa vicenda, fa parte egli stesso, sostiene e alimenta
concretamente un sistema politico
marcio, corrotto, inciucista, scambista di favori, che delapida fondi pubblici. Anzitutto perché lui è
uno dei massimi dirigenti regionali e nazionali del PD, responsabile come gli altri di quanto accade
nel suo partito. In secondo luogo
perché il suo governo è sostenuto da una maggioranza che ha tra
le sue file decine di indagati per
peculato in questa recente inchiesta. Che dire, ad esempio, del fatto che uno degli indagati più importati è Lino Leanza (DC a CCD
a UDC, MPA) ex-assessore e vice-presidente nel secondo governo Cuffaro, presidente ad interim
dopo le dimissioni di Cuffaro. Leanza è colui che ha recentemente
inventato l’operazione Articolo 4
per dare alla maggioranza di Crocetta una maggiore consistenza.
È in questa melma politica reazionaria e intrallazzista, con loschi
passati e presenti, che Crocetta ha
piantato le fondamenta della sua
ascesa politica e mantiene il suo
governo. Dunque rivolga anche a
se stesso le critiche che ha rivol-
to ai suoi colleghi parlamentari.
Non ne facciamo un discorso unicamente moralista. Diciamo molto
più concretamente che questi parlamentari che hanno saccheggiato
a piene mani fondi pubblici sono
gli stessi che non hanno esitato ad
approvare la recente finanziaria di
lacrime e sangue del governo Crocetta. E tra le ruberie e i tagli c’è
un nesso molto più forte di quello che Crocetta voglia far credere. Anzitutto perché sono le masse
popolari siciliane che pagano con
i loro sacrifici i lussi di questi politicanti borghesi. Comunque sia
il governo Crocetta ne esce ancora una volta del tutto delegittimato, mostrando il suo vero volto che
non è per nulla diverso da quello
dei recenti governi Lombardo e
Cuffaro.
Crocetta si dimetta insieme
a tutti i deputati inquisiti, se non
vuole l’appellativo di doppio traditore della Sicilia in quanto, dopo
aver imposto dolorosissimi tagli,
finisce per coprire e giustificare
questo ladrocinio criminale. Siamo abbastanza certi che non lo
farà. E se non lo farà devono essere le masse popolari siciliane a
mandarlo a casa, come fecero con
Cuffaro,
14 il bolscevico / cronache locali
N. 4 - 29 gennaio 2014
Nonostante violenti cariche delle “forze dell’ordine” del ministro Alfano
LA RIBELLIONE DELLE MASSE
POPOLARI GIUGLIANESI BLOCCA
IL PAGAMENTO DELLA TARES
Utilizzati gli spray urticanti contro i manifestanti. Ferma e unanime
condanna di tutti i Comitati campani in lotta per la salute e l’ambiente
SOLIDARIETÀ DEL PMLI ALLE MASSE IN LOTTA E
AI LORO COMITATI
 Dal nostro corrispondente
della Campania
In un clima sempre più teso
nella zona Nord della provincia di
Napoli, con il comune di Giugliano e le frazioni di Licola, Varcaturo e Lago Patria tristi protagonisti
del criminale scempio ambientale,
giovedì 16 gennaio si è consumata l’ennesima grave repressione ai
danni delle masse popolari in lotta contro le politiche antipopolari
e antiambientali delle istituzioni
locali e nazionali della borghesia.
L’incapacità di dare una risposta alle masse giuglianesi si è trasformata addirittura in una durissima e violenta carica poliziesca
sotto la sede del comune di Giugliano (commissariato per camorra per 18 mesi dalla primavera
scorsa) dove centinaia di attivisti,
ma anche popolazione, avevano
inscenato un presidio spontaneo.
Motivo principale della protesta è
l’invio ai più di 100mila residenti delle bollette Tares (il “Tributo
comunale sui rifiuti e sui servizi”),
un vero e proprio salasso di centinaia di euro da pagare per la gestione dei rifiuti, in vigore dal primo gennaio 2013. Un fatto che
non è andato giù alle masse e soprattutto alle famiglie povere o
indigenti che hanno manifestato
la loro rabbia con un combattivo
presidio cui i commissari (ossia i
vice prefetti Giuseppe Guetta, Fabio Giombini e il dirigente Luigi
Colucci), hanno risposto inviando
le “forze dell’ordine” del ministro
Alfano con caschi e scudi, in assetto antisommossa.
All’apice della rabbia per non
essere stati ricevuti, i manifestanti hanno lanciato delle uova verso gli uffici dei commissari e slogan anti-Tares e anti-inceneritore.
Mentre viene fatta salire una delegazione dei manifestanti per discutere e chiedere la sospensione
del pagamento della Tassa, le “forze dell’ordine” dello scelbiano Alfano attaccano senza preavviso il
presidio utilizzando manganelli
e spray urticanti. Ma le masse in
lotta, compatte e determinate, rispondono alla carica con l’intento di entrare nella sede comunale. È partita quindi una seconda
carica molto più violenta, sempre
con l’uso di urticante e con lacrimogeni, innescando nelle strade
scene di resistenza e di solidarietà.
Infatti, numerosi sono stati i giuglianesi che hanno aperto le porte
delle proprie case per dare rifugio
ai manifestanti inseguiti dalla polizia. Gli scontri sono durati fino
alle 13 quando i commissari han-
no ceduto alla lotta delle masse
che ottengono la sospensione della Tares fino al 28 febbraio, con
richiesta di un parere immediato
ai ministeri dell’Interno e dell’Economia sull’ipotesi di agevolazione alle fasce più deboli. Viene,
dunque, firmato un protocollo dal
dirigente del settore tributi e delle
risorse finanziarie, Gerardo D’Alterio, con una delegazione rappresentante dei Comitati in lotta.
Si tratta di una prima importante vittoria delle masse in lotta per
la salute e l’ambiente contro l’indifferenza delle istituzioni locali in camicia nera; ferma la con-
Importante giornata di volantinaggio a
Napoli del Comitato “Attivisti Campani
in Difesa di Salute e Ambiente”
Discusso con le masse popolari l’importanza di un nuovo
piano rifiuti sotto il controllo popolare e dei comitati di lotta
Nella giornata di sabato 18
gennaio Il Comitato “Attivisti
Campani in Difesa di Salute e
Ambiente” è stato protagonista
di un proficuo volantinaggio tra le
masse popolari partenopee. Gli
attivisti hanno distribuito centinaia di copie della piattaforma redatta in vista della battaglia concernente la cosiddetta “Terra dei
fuochi” e la costruzione dell’inceneritore di Giugliano (Napoli).
I combattivi attivisti si sono
riuniti in piazza del Gesù facendo controinformazione al
subdolo appuntamento inaugurale della sesta edizione de
“Il Sabato delle Idee”, dedicato
al tema “La Terra dei fuochi e il
futuro dell’ambiente in Campania” presieduto dal ministro per
l’Ambiente Andrea Orlando, e
alla presenza del Governatore
della Campania Caldoro, e del
vicesindaco della giunta di De
Magistris, Tommaso Sodano e
che si teneva all’istituto provato
Suor Orsola Benincasa.
I diffusori hanno suscitato
molto interesse e approvazione,
in molti casi hanno interloquito
con i passanti che chiedevano
approfondimenti in merito. Unica
nota stonata è avvenuta quando tra le masse vi è stato uno
scambio di opinioni con un ex
assessore alla provincia. Costui
ha provocatoriamente addossato
tutte le responsabilità della cattiva gestione dei rifiuti alle masse
Studentesse e studenti
napoletani bloccati e
minacciati in piazza
dalla polizia di Alfano
Il sindaco De Magistris non spende una parola
per condannare la repressione poliziesca
 Redazione di Napoli
Sabato 18 gennaio centinaia di studenti medi e universitari
hanno contestato la passerella
istituzionale del presidente della Regione Stefano Caldoro e
del ministro dell’Ambiente Orlando che dovevano presiedere un dibattito che in partenza
doveva essere pubblico sulla
Terra dei Fuochi. L’iniziativa doveva svolgersi al liceo Casanova ma, la pronta risposta degli
studenti e delle studentesse,
ha costretto gli organizzatori a
rifugiarsi in un’università priva-
lezioni ma devono pagarne le
conseguenze.
Nonostante il clima repressivo e le intimidazioni poliziesche gli studenti hanno continuato la protesta invadendo
la strada, bloccando il traffico
e spingendo sul cordone della
polizia in assetto antisommossa per provare a forzare il blocco. Infine, dopo diverse cariche dei reparti antisommossa,
le studentesse e gli studenti
sono scesi in corteo verso il
centro storico per riunirsi in
assemblea a Mezzocannone
Giugliano (Napoli), 16 gennaio 2014. La repressione poliziesca contro la protesta popolare contro il pagamento della Tares
MENTRE I RESPONSABILI POLITICI LOCALI E NAZIONALI DELLA DEVASTAZIONE
AMBIENTALE E DEL BIOCIDIO CAMPANO SI BLINDAVANO ALL’ISTITUTO PRIVATO
SUOR ORSOLA BENINCASA
 Redazione di Napoli
NEL CORAGGIOSO TENTATIVO DI CONTESTARE I
RESPONSABILI POLITICI DEL BIOCIDIO CAMPANO
popolari anziché al sistema politico borghese. Questo mette in
evidenza che senza alcun dubbio
le masse popolari campane non
possono aver fiducia in questi
loschi personaggi e nella politica
di palazzo che in modo affaristico criminale e senza scrupoli non
hanno la benché minima dignità
e mentono con molta disinvoltura
per favorire e perpetuare i loro interessi e profitti. Non meritano un
briciolo di fiducia.
L’alternativa reale a questo
disastro ambientale può essere
determinante solo attraverso un
ferreo controllo delle masse popolari e dei loro comitati in materia di un nuovo piano rifiuti e di
controllo sulle bonifiche costringendo parallelamente le istituzioni al ritiro immediato del bando
dell’inceneritore di Giugliano.
Alla giornata di volantinaggio
hanno partecipato diversi compagni napoletani della Cellula
“Vesuvio Rosso” che fa parte
attivamente del Comitato “Attivisti Campani in Difesa di Salute e
Ambiente”.
danna degli altri Comitati sparsi
nel territorio campano, il cui sentimento sembra ben sintetizzato
nell’efficace e tempestivo comunicato lanciato dal Comitato Attivisti Campani Salute-Ambiente:
“Condanniamo le violente cariche
scatenate stamani a Giugliano da
parte delle ‘forze dell’ordine’ per
reprimere la giusta protesta popolare contro la Tares e la costruzione dell’inceneritore in questo
martoriato territorio. Una chiara
operazione preventiva tesa a intimidire, con la mannaia della repressione, le popolazioni in lotta e
i loro Comitati. Inoltre, esprimiamo tutta la nostra solidarietà alla
popolazione di Giugliano e ai suoi
organismi di massa che si battono
in difesa della salute e l’ambiente.
Riteniamo Caldoro, la sua giunta
e le Istituzioni locali, gli unici responsabili del disastro ambientale
in Campania”.
Anche i marxisti-leninisti, tramite il compagno Franco Di Matteo, Responsabile del PMLI per la
Campania, hanno condannato la
vile repressione ed espresso tutta la loro solidarietà militante alle
masse popolari giuglianesi e ai
loro comitati di lotta.
Napoli, 18 gennaio 2014. Gli studenti vengono caricati dalle “forze dell’ordine” per impedire la contestazione al governatore Caldoro
ta, Suor Orsola Benincasa, per
evitare le contestazioni. Questa mossa non è bastata per
mettere a tacere la rabbia degli
studenti e della popolazione: è
stato indetto un secondo appuntamento in corso Vittorio
Emanuele.
Sul posto era presente un
ingente schieramento di “forze
dell’ordine” dello scelbiano Alfano a evidenziare ancora una
volta quanto di “pubblico” ci
fosse nel dibattito organizzato:
l’università è stata dichiarata
“zona rossa” e le vie circostanti blindate mentre il corteo
è stato bloccato nel vicolo del
Petraio. In piazza Cariati la polizia ha tentato di allontanare gli
studenti, i quali, nonostante le
minacce e gli spintoni, hanno
resistito e hanno fatto intendere chiaramente che coloro che
hanno inquinato, non hanno
alcun diritto di parlare e dare
Occupato e discutere di come
continuare, in città, sui territori, nei luoghi della formazione,
la lotta contro il biocidio che
dall’autunno infiamma le piazze e riempie le strade di tutta la
nostra amata regione.
Riteniamo vergognoso il silenzio della giunta comunale
dell’imbroglione e antipopolare
De Magistris sui gravi episodi
repressivi di sabato scorso ai
danni delle studentesse e degli studenti in lotta per difendere salute e ambiente, privati
anche del diritto di intervenire
al convegno; altresì è vergognoso che il suo vice-sindaco
e assessore all’ambiente Tommaso Sodano, presente al dibattito con Caldoro e Orlando,
non abbia speso una parola a
sostegno di chi fuori e in piazza
veniva brutalmente aggredito
dalla furia delle “forze dell’ordine”.
Proteggendo il nero convegno di “Lealtà e Azione” nel Politecnico
LA POLIZIA CARICA GLI STUDENTI
ANTIFASCISTI DI MILANO
Il PMLI rivendica la messa fuorilegge di tutti i gruppi nazifascisti
 Redazione di Milano
Nella mattina di venerdì 17
gennaio era stato programmato
a Milano un convegno promosso
dai nazifascisti di “Lealtà e Azione” (sotto l’etichetta di copertura “Gruppo Alpha”) in Università
Statale dove gli studenti hanno
organizzato un presidio antifascista. Non appena giunta la notizia
che i nazifascisti - vistisi ritirata
l’autorizzazione presso la Statale
proprio a seguito della protesta
studentesca - avrebbero tenuto
l’incontro al Politecnico, il presidio si è qui diretto. Le istituzioni
del regime neofascista, in questo caso quelle universitarie del
Politecnico dirette dal rettore
Giovanni Azzone, avevano infatti
subito concesso l’autorizzazione
per lo svolgimento del suddetto
convegno con ospiti dichiaratamente fascisti, nazisti, razzisti e
negazionisti.
Il Politecnico è stato subito
blindato e presidiato dalle “forze
dell’ordine” del governo LettaAlfano – che hanno caricato gli
studenti quando hanno portato
la protesta antifascista all’interno dell’ateneo. Il bilancio degli
scontri è di un fermo per identificazione. La perseverante protesta degli studenti antifascisti ha
comunque ottenuto la sospensione del convegno nazifascista.
“Un comportamento simile è
in contrasto con i dettami della
nostra Costituzione antifascista
e ribadiamo l’assurdità della concessione degli spazi universitari
del Politecnico, che invece erano
stati negati da parte della Statale
in precedenza - hanno denunciato gli studenti organizzati dell’Unione degli Studenti (UdS) - condanniamo il comportamento delle
istituzioni universitarie e la violenza utilizzata dalle forze dell’ordine
in difesa di tale iniziativa”.
La Cellula “Mao” di Milano
del PMLI esprime totale solidarietà antifascista agli studenti
antifascisti aggrediti dalle cariche e dalla repressione poliziesche e rivendica il divieto assoluto - inerente al reato di apologia
di fascismo - allo svolgimento di
convegni nazifascisti e il rispetto integrale della legge n.645/52
compresa la messa fuorilegge di
tutti i gruppi nazifascisti.
esteri / il bolscevico 15
N. 4 - 30 gennaio 2014
Referendum sulla Costituzione
Solo il 38% dell’elettorato
egiziano
va
alle
urne
I Sì superano il 98%
Al referendum del 14 e del 15
gennaio sul testo della nuova costituzione egiziana il voto favorevole ha superato il 98% dei voti
validi ma la vera entità del plebiscito cercato dal governo insediato
dal generale Abdel Fattah al Sisi è
espressa dai votanti che sono stati
solo il 38% degli oltre 53 milioni
di elettori.
Lo scontato voto favorevole
alla carta costituzionale, nelle intenzioni di al Sisi, dovrebbe legittimare il governo insediato al
Cairo dopo la deposizione e l’arresto dell’ex presidente Morsi del
3 luglio scorso cancellando le parti più contestate della Costituzione voluta dal partito dei Fratelli
musulmani in particolare riguardo
la preminenza data alla religione
islamica.
Sapendo di non riscontrare
una larga approvazione nel paese, ai militari bastava superare il
dato della partecipazione al referendum della precedente Costituzione nel luglio 2012 quando
a votare si era recato il 33% degli elettori e il documento ottenne il 64% di consensi; i due terzi
dell’elettorato disertarono le urne
nel 2012 e poco di meno lo hanno
fatto il 15 gennaio. Da ricordare
che il 19 marzo del 2011, al primo
voto dopo le rivolte iniziate il 25
gennaio che portarono alla caduta della dittatura del generale Hosni Mubarak, la partecipazione al
voto era stata del 70%.
Questa volta al boicottaggio
del voto hanno dato il loro contributo il principale partito islamico,
quello dei Fratelli musulmani, ma
non quello salafita di al Nour che
ha partecipato alla stesura del documento e appoggia il governo di
al Sisi, e diversi movimenti giovanili e laici tra i protagonisti della
rivolta di piazza Tahir che contestano la militarizzazione dello Stato a partire dai maggiori poteri dati
all’esercito nel reprimere le manifestazioni di piazza.
Il testo della nuova costituzione, elaborato dalla apposita commissione composta da 50 membri
nominati dai militari, conferma
l’islam quale religione ufficiale
del paese ma prevede molte aperture nei confronti delle minoranze, compresa la libertà religiosa,
e esclude dall’attività politica tutti i partiti a “base religiosa”, quelli che nelle prime elezioni di due
anni fa avevano ottenuto il consenso di due terzi degli elettori.
Per partecipare alle future elezioni
politiche dovranno cambiare forma o schierare candidati indipendenti in altre liste. Potranno invece
tornare in corsa alcuni protagonisti della dittatura di Mubarak che
la precedente costituzione aveva
messo al bando. La carta proclama inoltre la libertà di riunione e
di espressione e proibisce la tortura e il traffico di esseri umani.
Questi passaggi della costitu-
zione cancellano anche la svolta
teocratica semifeudale imposta a
colpi di maggioranza dall’ex presidente Morsi e dai Fratelli musulmani ma non hanno convinto
neanche parte delle opposizioni
laiche e liberali a appoggiarla perché sull’impostazione del documento pesa come un macigno
l’impronta dei militari. Il Consiglio supremo delle forze armate, il
vero governo del paese, ha il potere di veto sulla nomina del ministro della Difesa, in altre parole il
ministro lo scelgono i generali che
tra l’altro mantengono il diritto di
parola su ogni legge in materia di
sicurezza per bloccare all’occorrenza le riforme non gradite; altre
norme prevedono che il bilancio
delle forze armate rimanga ancora
fuori dalle competenze e dalla sorveglianza del parlamento. Infine è
ripristinata la competenza dei tribunali militari a giudicare i civili
che era stata cancellata nel precedente testo.
Il primo a congratularsi con
al Sisi per il “successo” elettorale è stato il nuovo zar del Cremlino Vladimir Putin; gli Usa, che
con Turchia e Qatar erano stati tra
i sostenitori e finanziatori del regime di Morsi, sembra stiano facendo buon viso a cattiva sorte e dato
che anche al Sisi garantisce la continuità della politica della dittatura
di Mubarak di copertura verso i
sionisti di Tel Aviv si preparano a
sganciare anche per il 2014 il consueto aiuto finanziario annuale di
1,5 miliardi di dollari all’esercito
egiziano. Che li mette in cassa assieme a quelli del suo nuovo sponsor, l’Arabia Saudita.
Contro la chiusura della fabbrica e i 1.173 licenziamenti
Gli operai occupano la Goodyear di Amiens
La decisione dei dirigenti francesi della Goodyear, il gigante statunitense dei pneumatici, di chiudere lo stabilimento
di Amiens nel nord della Francia
perché poco redditizio rispetto la
concorrenza era stata annunciata il 31 gennaio 2013 al termine
di un lungo confronto con le organizzazioni sindacali di fabbrica che si erano opposte chiedendo il mantenimento dell’attività
produttiva o in alternativa la ricollocazione dei lavoratori in altre aziende. Il piano di chiusura
doveva partire con l’invio delle prime lettere di licenziamento
nel gennaio 2014 e a fronte della
conferma del piano i lavoratori e
le organizzazioni sindacali decidevano il 6 gennaio di occupare
lo stabilimento.
I lavoratori e i sindacati di fabbrica e di categoria si erano opposti fin dalle prime avvisaglie della chiusura dello stabilimento che
erano state ventilate dalla direzione aziendale fin dal 2007 e avevano messo in campo tutte le ini-
ziative di lotta e di ricorsi legali
possibili per bloccare il progetto
di chiusura e del conseguente licenziamento dei 1.173 addetti.
Durante tutto il 2013 i lavoratori più volte avevano scioperato
e protestato anche fuori della fabbrica, con blocchi stradali e copertoni bruciati. La trattativa con
la partecipazione anche dell’amministrazione locale per cercare
soluzioni alternative alla chiusura doveva riprendere il 7 gennaio ma nell’incontro preliminare in
fabbrica del 6 gennaio la direzione aziendale ribadiva l’intenzione di chiudere le attività e i lavoratori già impegnati nel blocco dei
cancelli decidevano di inasprire la
lotta e di passare all’occupazione dello stabilimento. La decisione partiva non appena due responsabili aziendali, il direttore della
produzione e il capo del personale (oggi si chiama direttore delle
risorse umane, ndr) confermavano l’avvio del piano di ristrutturazione dell’azienda in prospettiva della chiusura; alcune centinaia
di operai che presidiavano l’edificio dove si svolgeva l’incontro
ne bloccavano l’ingresso con un
grosso pneumatico di trattore e intrappolavano due dirigenti impedendogli per alcune ore l’uscita.
“Vogliamo che i dirigenti capiscano che dopo 7 anni di lotta la
nostra motivazione è intatta. È la
nostra fabbrica, punto”, affermavano le rappresentanze sindacali
spiegando le motivazioni del gesto. Rilasciati i due dirigenti i sindacati annunciavano l’occupazione del sito col blocco delle attività
e ribadivano la richiesta dell’apertura di un tavolo di trattative per
scongiurare la chiusura definitiva dello stabilimento. Denunciando che le iniziative fino ad allora
messe in campo dall’azienda erano state fallimentari, una presa di
giro.
La direzione della Goodyear nel corso delle trattative dello scorso anno aveva promesso di
aiutare i lavoratori a trovare una
ricollocazione o in alternativa offrire loro incentivi alla mobilità e
Amiens, gennaio 2014. Un picchetto degli operai della Goodyear e il pneumatico gigantesco con cui hanno bloccato l’uscita della sala dove si decideva il futuro dei loro posti di lavoro.
un piano di pensionamenti anticipati. Ma la fase di ricollocamento già avviata con l’apertura, nella vicina cittadina di Boves, di un
centro di servizi di consulenza per
trovare posti di lavoro nella zona
di Amiens ne ha trovati solo un
centinaio.
D’altra parte nelle zone indu-
striali di Amiens, come in quelle principali della Francia, la lista
delle ristrutturazioni e dei licenziamenti anche delle grandi aziende si allunga di giorno in giorno
per effetto della crisi economica.
Secondo una indagine del quotidiano economico Les Echos sarebbero almeno 20 mila i licenzia-
menti diretti previsti nei prossimi
anni nei gruppi Accelor-Mittal,
Psa, AirFrance, Alcatel, Petroplus,
Doux, Sfr, Renault e Sanofi. E il
governo socialista del presidente
Hollande, impegnatissimo nelle
missioni militari imperialiste nelle
ex colonie in Africa, resta sostanzialmente a guardare.
Introdotto dall’amministrazione socialdemocratica per reprimere migranti e centri sociali antagonisti
Stato d’eccezione poliziesco ad Amburgo
Dal 4 gennaio nei quartieri
St. Pauli, Sternschanze e Altona
della zona centrale di Amburgo,
l’amministrazione socialdemocratica guidata dal sindaco Olaf
Scholz ha istituito a tempo indeterminato la Gefahrengebiet (letteralmente “zona di pericolo”),
un’enorme “zona rossa” militarizzata all’interno della quale vige
lo stato d’eccezione poliziesco
con lo scopo di compiere “azioni preventive contro la criminalità”. Che nella pratica vuol dire
posti di blocco con mezzi blindati
e agenti schierati in assetto antisommossa per le strade, poliziotti
che possono fermare, identificare
e decidere chi e per quanto tempo
arrestare sulla base di un semplice
sospetto. Possono fermare e bloccare dentro autobus pubblici requisiti allo scopo chiunque passi
per strada dal mattino fino alle ore
20; dalle 20 e fino al mattino vige
una sorta di coprifuoco con l’invito agli stessi residenti a non uscire di casa. All’interno del perimetro dei tre grandi quartieri è stata
sospesa la circolazione di auto e
mezzi pubblici e alcuni bus di linea sono stati trasformati in posti
di polizia mobili.
Uno stato di polizia che applica la legge marziale e che tiene
significativamente a battesimo il
governo della “grande coalizione”
tra i democristiani della Cdu-Csu
e i socialdemocratici della Spd
guidato dalla cancelliera Merkel.
Il sindaco socialdemocratico
della seconda città del paese, una
città-Stato, ha poteri pari a quelli del governatore di un land, una
Regione-Stato, fra i quali quello di
dichiarare la sospensione parziale
di diritti democratici e attuare le
pratiche di un regime fascista. Al-
tre volte negli ultimi otto anni le
amministrazioni locali nella “democratica” Germania hanno dato
il via libera alla polizia di istituire “zone di pericolo” nelle aree urbane in più di quaranta casi, nella
maggior parte soltanto per poche
ore in occasione di partite di calcio, manifestazioni politiche o
eventi simili. Il provvedimento fascista applicato a Amburgo non ha
limiti di tempo, il Senato anseatico, il governo della città-Stato della Spd, pensa di averne bisogno
per diverso tempo per affrontare
col pugno di ferro situazioni per
lui complicate nella zona centrale
della città.
A Sternschanze e nel vicino
quartiere di St. Pauli si trovano
il centro sociale Rote Flora, attivo da quasi 25 anni in un palazzo occupato e sotto sfratto e attivo
nell’organizzare la protesta socia-
le e in difesa degli immigrati, un
gruppo di vecchie case occupate
che il comune vuole abbattere per
edificare al loro posto uffici e appartamenti di lusso e la chiesa di
St. Pauli che ha accolto un gruppo
di circa 300 profughi, di cui una
settantina provenienti da Lampedusa.
Già da alcuni mesi la polizia di
Amburgo aveva messo nel mirino il quartiere Sternschanze con
controlli a tappeto e fermi per intimidire le proteste e preparandosi all’intervento di sgombero della serie di case occupate e di Rote
Flora. Nelle ultime settimane di
dicembre si erano susseguite varie
manifestazioni tra le quali quelle
dei richiedenti asilo del collettivo ‘Lampedusa ad Amburgo’ che
ha portato in piazza i migranti
con manifestazioni, occupazioni
e forme di resistenza passiva alle
espulsioni di cittadini stranieri.
L’episodio che ha portato alla
militarizzazione del centro della città anseatica secondo l’amministrazione socialdemocratica
sarebbe stata la reazione di una
parte dei manifestanti alle selvagge cariche della polizia al corteo,
al quale partecipavano più di 10
mila persone, che il 21 dicembre
era partito dal centro sociale per
protestare contro la decisione degli sgomberi dietro la parola d’ordine “La città appartiene a tutti:
i rifugiati, le case Esso e la Rote
Flora devono restare!”. Gli agenti intervenivano con largo uso di
idranti, spray al peperoncino e
manganelli; i dimostranti rispondevano ingaggiando duro scontri
e secondo alcune fonti ci sarebbero stati 600 feriti.
Nonostante la repressione poliziesca e la proclamazione dello
stato d’eccezione poliziesco alcune proteste con esposizione di cartelli e striscioni si svolgevano lo
stesso nella zona proibita dal 5 al 7
gennaio; la polizia interveniva con
decine di fermi e diversi arresti.
Da evidenziare che lo stato di
polizia attuato a Amburgo è permesso dal Trattato di Velsen, stipulato nel 2007 dai governi imperialisti europei per promuovere
l’Eurogendfor, un corpo di polizia a carattere sovranazionale
da utilizzare in casi situazioni di
caos dovuti a cataclismi ambientali o piuttosto in caso di “disordine pubblico” generato da varie situazioni di difficile gestione per il
cosiddetto “ordine pubblico”. Tra
i firmatari delle norme fasciste del
Trattato di Velsen c’è anche l’Italia che l’ha ratificato nel maggio
2010.
1924 - 21 Gennaio - 2014
il bolscevico / corruzione
90°10
ANNIVERSARIO
DELLA SCOMPARSA DEL GRANDE MAESTRO
DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE
N. 3 - 23 gennaio 2014
CON LENIN
PER SEMPRE
PARTITO
MARXISTA-LENINISTA
ITALIANO
Comitato centrale
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiuolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 - recapito postale: Il Bolscevico - C.P. 477 - 50100 Firenze
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