Corriere di San Floro
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e
Calabria
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PROVOCAZIONI
Chiudiamo
le discoteche?
Chiamatela provocazione,
chiamatela come vi pare. Ma io
dico: chiudiamo le discoteche,
ovviamente non solo quelle
calabresi, quelle di tutt’Italia e
del mondo.
Vi pare possibile che migliaia e
migliaia di giovani italiani e
milioni in tutto il globo tornino a
casa all’alba dopo aver passato la
notte in quei micidiali dancing
dove si balla a ritmi scatenati e
magari ci si droga; e poi si alzino
nel pomeriggio, quando la
giornata per gli altri umani è
giunta quasi al termine? Questi
ragazzi hanno una famiglia dove
puntellare la loro fame di
divertimento e di scarsa voglia di
lavorare duro, dopo magari aver
preso una laurea, che serve a poco
o a niente. Questo accade mentre
A pag. 3 e 4
NOTIZIARIO
SANFLORESE
di Floro Varano
A pag. 2
Il Presidente
della Provincia
Wanda Ferro risponde
alla “Lettera aperta”
sul numero scorso
torme di giovani stranieri li
sostituiscono nelle imprese edili
o nelle campagne o aiutando gli
anziani malati.
Quanto durerà questa follia
mondiale, proprio mentre si parla
di recessione e di consumi
superiori alle entrate? Dovremo
aspettare, come per il debito
pubblico, che si giunga sull’orlo
del baratro per prendere drastici
provvedimenti? Una nonna di
San Floro mi ha detto quasi
piangendo: “Vedere i nipoti che
tornano all’alba e poi dormono
fino a sera mi fa tremare il cuore,
mentre noi faticavamo duro,
andavamo due volte al giorno a
Cannàlica per portare, sulla testa,
l’acqua a casa… Però comincio
a rassegnarmi, perché la
televisione dice che accade la
stessa cosa in tutto il mondo. Ma
cosa sarà di questi ragazzi
quando noi, genitori e nonni che
li manteniamo, non ci saremo
più?”
Già: cosa sarà di loro? Ovvio:
saranno soppiantati da chi indigeno o straniero - non ha
paura di sporcarsi le mani e,
come una volta, lavora e lavora
sodo, anche tra la polvere.
Magari usando la zappa (o un
piccolo trattore) per far fruttare
terre che non producono più
perché abbandonate dalla civiltà
del tavolino.
Aristarco Scannabue
SORPRESE AGOSTANE
In piazza a San Floro una serie di interessanti spettacoli curati
dall’Associazione “Castellitini” - Perchè non si sostituiscono con questi
prodotti nostrani le rumorose esibizioni di cantanti ed orchestre supercostose
e “straniere”? - Valanga di applausi per la nostra compaesana
che si è esibita in un brano di “Romeo et Juliette” di Gounod
MARTA AMOROSO subito
dopo l’esibizione a S. Floro
(Foto Feliciano Paravati)
che una giovane signora sanflorese,
Marta Amoroso, moglie di Angelo
Pugliese (sono residenti a Biella,
dove lei dà lezioni), ha grandissime
qualità di canto classico. Per la
piazza di San Floro si è esibita
in Je veux vivre dans le reve…,
tratto dal “Romeo et Juliette”
di Charles François Gounod.
La voce di Marta è veramente
superba, potente, affascinante,
sicura, degna di ben altre e
competenti platee. Comunque,
anche la nostra platea
“popolare” è andata in delirio
e gli applausi si sono ripetuti.
Questa “nostra” Marta ci ha
fatto ricordare le voci classiche
fino a metà del secolo scorso,
quando sul palco a cupola e
milleluci, allestito sempre
Sutta l’Urmu, si esibivano
personaggi e complessi di
rilievo nazionale (c’è chi cita
il Petruzzelli di Bari). Ma la voce
della signora Pugliese Amoroso è
ancora più bella tra quelle sentite
finora dalle nostre parti. Sarà lei la
nuova Callas?
Ad maiora, Marta!
Domenico Paravati
EMIGRAZIONE “ANTICA”
Paolo Casadonte, da San Floro
a Jersey City (N.York, USA)
Salvatore e Teresa
italo-americani
A sinistra:
PAOLO CASADONTE in una
foto conservata dai discendenti
sparsi negli Stati Uniti. (A pag.
9 un’altra foto della famiglia)
A destra:
SALVATORE CASADONTE
e TERESA MARINO il giorno
delle nozze. Teresa è deceduta
lo scorso anno all’età di 89
anni. Uno dei tre figli, Paul
Casadonte, è un famoso
psichiatra a New York
Nato a Borgia, si impegnò nella pittura
e nell’arte del restauro
Nato nel 1890 a Borgia da
Bernardo, uomo impegnato nella
pittura, restauro e decorazione
(attività artistiche che la “società”
gli aveva riconosciuto e lo aveva
premiato con medaglia d’oro) e da
Maria Rosa Maletta, donna
religiosa, sensibile e virtuosa,
Nicola comincia fin da ragazzo a
manifestare interesse per la pittura;
dipinge cose immaginarie e reali.
Il padre gli fa presto acquisire
qualche conoscenza sulla tecnica
NICOLA PIGNATARI
del disegno.
In seguito, egli frequenta la
Gli avvenimenti di guerra lo
scuola di Belle Arti di Pavia e ne distolgono, per alcuni anni, dagli
esce con le necessarie conoscenze impegni professionali.
culturali e tecniche di cui ha
Nel 1911 partecipa da
bisogno chi deve praticare l’arte
Antonio Zaccone
(segue a pag. 2)
del dipingere.
Il borgese Enrico Ferro
tra i 100 “migliori” a Yale
Risultare tra i cento migliori
studenti di Yale deve essere una
grande soddisfazione. Se poi tale
risultato è raggiunto da un nostro
concittadino, la soddisfazione è
estesa a tutto il nostro paese.
Enrico Ferro, originario di
Borgia, genitori borgesi e parenti
in loco, ha ottenuto il prestigioso
riconoscimento: tra i cento
migliori in una delle università più
prestigiose al mondo.
L’Università di Yale è la terza
istituzione di istruzione superiore
più antica degli Stati Uniti. Nel
corso dei secoli ha formato diversi
presidenti statunitensi, Premi
Nobel e accademici.
Entrare a Yale equivale ad
essere il migliore tra i migliori.
L’ammissione ai corsi è molto
difficile. Basti pensare che la
percentuale degli ammessi si
aggira al di sotto del 10%. Spesso
non basta avere nemmeno un
curriculum eccellente perché tra i
partecipanti ci sono ragazzi che
hanno vinto le olimpiadi di
matematica, di chimica e di fisica;
o poliglotti capaci di parlare cinque
lingue. Questo a dimostrazione
che a Yale vengono scelti i
migliori.
Se poi tra i pochissimi ammessi
vengono scelti i cento migliori per
ogni anno accademico, si capisce
bene perché quella su Enrico è
una notizia di primo livello. Il
nostro giornale vuole tributare ad
Enrico Ferro il giusto
riconoscimento al suo merito e
alle sue capacità. In bocca al lupo
al “nostro” studente, con la
certezza di vederlo un giorno tra
i medici più bravi al mondo.
Domenico Procopio
È rispuntato il “corvo” di San Floro
Premio Cassiodoro: Nemo propheta in patria
con i biblisti della cosiddetta
“prima università d’Europa” e
con il loro maestro), ad un
giovane giornalista (che ha
ancora tante tappe da percorrere
nell’antichità cristiana) e ad un
imprenditore, mi dicono, di
autolinee. I quali signori, con
tutto il rispetto, possono avere
mille meriti di altro genere, ma
forse non quello di essere
profondi conoscitori dell’opera
cassiodorea. Il nostro Viscido è
un filologo, vincitore in passato
di classici premi riservati ai
latinisti. E di Cassiodoro, il quale
scriveva ovviamente in latino ed
ha fondato il Vivarium, è pure
traduttore.
Il sindaco Rhodio, socio
Anno V - N° 3
Luglio-Agosto-Settembre 2011
Nicola Pignatari
A pag. 9
“ ’A Spartenza ”
o la voglia di rimanere
di Francesca Cosentino
SQUILLACE
Il mondo è bello perché vario.
O anche assurdo. Come accaduto
a Squillace, dove il Premio
Cassiodoro il Grande, è stato
assegnato, in agosto, non a chi
di Cassiodoro sa vita, morte e
fors’anche miracoli (esempio: il
nostro collaboratore Lorenzo
Viscido, che vive a New York ma
è originario di Squillace, e che di
Cassiodoro e dell’agiografia e
letteratura cristiana dell’Alto
Medioevo sa veramente tanto)
ma ad un arcivescovo emerito,
Mons. Cantisani (che però solo
da poco si interessa all’ex
ministro dei re Goti, con un
commento ai Salmi), ad un
cardiochirurgo (ma cuore e
chirurgia hanno poco a che fare
(Luca 4,24)
PERSONAGGI
Marta Amoroso, la nuova Callas
Che serata piacevole quella
del 19 agosto a San Floro!
Finalmente un po’ di musica,
non rumori e urla, fastidiosi
oltre ogni dire in certi giorni,
soprattutto alla vigilia della
festa del Patrono. Abbiamo
sentito - grazie all’associazione
Castellitini di Tonino Bressi una simpatica “mini-banda”
(provenienza Girifalco, che si
è esibita su marce suonate negli
Anni Cinquanta-Sessanta in
occasione dell’ Immacolata, la
cui processione e festa erano
volute da Rosuzza Amoroso);
ha cantato l’autore Domenico
Aracri, detto “Mimmo del Sud”
(di origine cortalese) della
famosa canzonetta “Tuppi
tuppi, Marescià…”; qualche altro
personaggio ci ha fatto morire dalle
risate; un bambino di cinque anni
in bombetta ha interpretato la
spassosissima canzone “E Berta
filava” di Rino Gaetano.
Ma soprattutto abbiamo scoperto
Nemo propheta
acceptus est
in patria sua
fondatore del Centro Culturale
Cassiodoro e certamente persona
benemerita per tante altre cose, si
era premurato di segnalare al
Presidente di quel Centro il nome
di Viscido? O la segnalazione non
è stata tenuta in alcun conto? E
perché mai? Forse perché
Lorenzo ha un carattere spigoloso
in quanto non accomodante,
soprattutto nel suo campo? E che
c’entrano gli spigoli con un
premio alla cultura?
In ogni caso, ripeto: il mondo
è bello perché vario. O anche
assurdo. E quindi, pazienza,
Lorenzo. Ricordi? “Nemo
propheta acceptus est in patria
sua” (Luca 4, 24).
D.P.
Chissà se è lo stesso corvo, ma
sempre corvo è. Dopo alcuni
anni di silenzio (prima era stato
preso di mira il sindaco di allora
Floro Vivino ed alcuni suoi
collaboratori o amici) negli
scorsi mesi estivi è stata la volta
del sindaco attuale, Maria Teresa
Procopio.
In entrambi i casi di uno o più
imbecilli si tratta; se non altro
perché l’anonimo, sia ora che
in passato, pur di buttare fango
ha sciorinato fatti veri o
presunti ma strettamente
personali. Questo o questi
imbecilli dimenticano che non
interessano i fatti privati degli
amministratori, ma solo il loro
comportamento nei confronti
degli amministrati. Quindi c’è
da sperare che la cittadinanza
ignori e disprezzi nel modo più
assoluto anche il corvo o i corvi
degli ultimi mesi.
Barbabianca
ABBONATEVI:
c/c/p 54078100
intestato
Domenico Paravati
Corriere di San Floro e della Calabria
Direttore responsabile: Domenico Paravati
Vice Direttori (ad honorem):
Feliciano Paravati (per i servizi fotografici)
Antonio Zaccone (per Borgia e Catanzaro)
Angiolino Guzzo (per i servizi tecnologici)
2
Corriere di San Floro e della Calabria
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
QUANDO LE ISTITUZIONI RISPONDONO
Wanda Ferro (Provincia) ribatte alla nostra “lettera aperta”
Da Wanda Ferro, Presidente
dell’Amministrazione
Provinciale di Catanzaro,
riceviamo e pubblichiamo:
Egregio Sig. Paravati,
ritengo doveroso rispondere
alla lettera aperta, pubblicata sul
periodico “Corriere di San Floro
e della Calabria”, in cui lei
chiedeva lumi circa l’evento
franoso che ha interessato
l’ingresso all’abitazione della sua
congiunta Maria Pia Paravati. A
seguito della sua lettera ho
immediatamente chiesto notizie
agli uffici di quest’Ente in ordine
alla problematica esposta e, dalle
informazioni assunte, mi risulta
che i luoghi da lei descritti siano
stati oggetto di numerosi
sopralluoghi da parte dei tecnici
dell’Amministrazione
Provinciale. Non può quindi
trovarmi d’accordo quando nella
sua lettera sembra paventare una
superficialità della Provincia
nell’affrontare il problema, né
tantomeno quando accusa l’Ente
di “noncuranza” e “insipienza”.
Nella sua lettera sostiene che
anche “un bambino si
renderebbe conto delle cause
della voragine”, cercando
surrettiziamente di attribuire alla
Provincia la responsabilità
dell’accaduto, e suggerendo
persino le modalità tecniche con
cui si sarebbe potuto evitare il
problema (naturalmente a spese
dell’Ente).
In verità, anche per fornire
un’informazione corretta ai
cittadini, occorre precisare che la
strada di ingresso all’abitazione
della sua congiunta risultava priva
di ogni caratteristica tecnica che
ne consentisse l’innesto alla Strada
Provinciale, sia in termini di
sicurezza stradale e coerenza col
Codice della Strada (era situato in
piena curva), che di caratteristiche
tecniche (la strada privata, peraltro
costruita in zona classificata a
rischio idrogeologico, era priva di
opere di sostegno e realizzata con
materiali quantomeno “inadatti”).
La sua analisi dell’accaduto
tende ad invertire il processo di
causa/effetto. La realtà dei fatti è
diversa: non è stata la strada
provinciale a franare, bensì la
strada privata della sig.ra Paravati.
È stato proprio il crollo della strada
privata a danneggiare, a sua volta,
la Provinciale mediante un effetto
di “trascinamento”.
Come spesso accade, anche in
questa vicenda è l’Ente pubblico
ad essere parte lesa rispetto ai
danni che vengono cagionati al
territorio dagli interventi
scriteriati dell’uomo. Eppure
nella nostra terra resiste la
convinzione che debba essere
sempre e comunque l’Ente
pubblico a risarcire e a pagare per
responsabilità non proprie.
Detto ciò, non posso che
esprimere il mio forte dispiacere
personale per il dramma che vive
la famiglia della sua congiunta,
impossibilitata persino a
raggiungere la propria abitazione.
Di tale situazione mi rammarico,
al pari di tutti i tecnici intervenuti
sul posto, e mi auguro che possa
essere risolta al più presto.
Tuttavia, nell’esercizio del mio
ruolo istituzionale non posso che
confermarle che la Provincia non
ha alcuna responsabilità rispetto
al problema che ha colpito la
sig.ra Paravati, alla quale posso
soltanto offrire la mia personale
solidarietà e confermare la piena
volontà di collaborare, per quanto
di competenza, alla soluzione del
problema.
Restando sempre disponibile ad
ogni ulteriore chiarimento, porgo
cordiali saluti.
Il presidente
Dott.ssa Wanda Ferro
Gentile Signora,
grazie intanto per la risposta.
Non tutti i responsabili di
pubbliche amministrazioni sono
pronti a rispondere, invertendo,
anche loro, il giusto rapporto;
dimenticando cioè che chi ricopre
un incarico pubblico elettivo ha
né più né meno che il dovere di
dare conto dell’ operato del
“suo” Ente, che non è però sua
proprietà. Di ciò dunque le do
merito.
Concordo con quanto afferma
sulla facilità con la quale il privato
dà in genere la colpa al pubblico
per i danni causati magari dallo
stesso cittadino. Ma nel caso di
mia sorella debbo precisarLe, in
quanto ne sono testimone diretto,
che la strada di accesso era lì da
moltissimi anni, certamente dalla
fine Anni Quaranta (cioè prima
che venisse realizzato quel tratto
stradale pubblico); quando io,
ragazzino, accompagnavo tra le
sue querce il mio prozio Domenico
De Nardo, proprietario del
terreno. Forse quella strada
d’accesso (magari sotto forma di
viottolo), e dunque quell’ingresso,
erano lì da secoli. Posso anche
essere d’accordo sull’assenza o
sulla non congruità di opere di
sostegno; ma ribadisco che la
causa immediata della frana mi
sembra l’acqua non fatta confluire
dalla strada provinciale in luogo
più adatto a riceverla senza
causare prevedibili danni al
privato.
Domenico Paravati
SAN FLORO
La “Due giorni” dei giovani di “Articolo 21. Liberi di...”
Il 12 e 13 agosto u.s., quegli
svegli e pimpanti ragazzi
sanfloresi di “Articolo 21. Liberi
di…” hanno presentato una duegiorni che, tirando le somme, si è
rivelata interessante e degna di
attenzione per chi intende lottare
contro le mafie di ogni tipo, ma
soprattutto quella classica,
nostrana: la ‘ndrangheta. Hanno
chiamato a convegno nella prima
giornata della loro “Festa della
libertà e della legalità” una diecina
di personaggi di varie parti della
Calabria ritenuti “esperti”
dell’argomento.
All’inizio, la serata – preceduta da
un’eccellente rievocazione, da parte
di due giovanissimi di “Uccideteci
tutti”, della morte venti anni fa del
magistrato Antonino Scopelliti, di
cui si lamenta lo scarso ricordo di
istituzioni e stampa - è sembrata
piuttosto noiosa, con interventi
spesso senza capo né coda, con
ragionamenti di difficile
comprensione da parte di un
pubblico estivo.
La seconda parte è apparsa invece
legata al vivo dell’argomento in
agenda, con racconti di fatti
concreti. Per esempio, con gli
interventi di due personaggi: uno
che ha attaccato con forza l’ipotesi
di amnistia (egli stesso ha avuto
un figlio ucciso da chi era uscito
dal carcere proprio grazie ad un
tale provvedimento); un altro che
ha raccontato l’ esperienza
personale di rifiuto della mazzetta
a ‘ndranghetisti nicastresi, rifiuto
portato avanti anche grazie al
SAN FLORO
Queste nostre
care ragazze
Facciamo
il paese più bello
Sentita con le mie orecchie,
disteso sulla sabbia alla
Roccelletta, il 16 di agosto, ore
11 circa, da un gruppetto di
ragazzine (dunque femmine, non
maschi), tutte intorno ai
quindici-sedici anni:
Ragazzina A- Si dice mia amica,
ma la verità è che sta solo
cercando di mettermela nel c….
Ragazzina B- Anche a me ha
rotto il c…da tempo.
Ragazzina C- Sì, è proprio
vero: ha proprio rotto i c….a
tutte!
Sapete bene quelle tre “c” a
quali eleganti paroline del
vocabolario corrispondono. Ma
tant’è. È questo ormai il modo
di dialogare delle nostre
disinvolte fanciulle.
A.S.
Da un po’ di tempo sono in
tanti ad avere ristrutturato la casa
a San Floro. In genere si tratta di
emigrati che vogliono avere al
loro ritorno, magari una volta
all’anno, un appartamentino da
godere in tutto e per tutto:
soprattutto con un bel colore
all’esterno. Si stanno quindi
moltiplicando le antiche case
che è possibile vedere circondate
dalle impalcature per il restyling.
C’è da sperare che la ventata di
voglia di bello continui. Avremo
un paese che in breve sarà un
autentico gioiello, favorito
oltretutto dallo svincolo che,
speriamo a breve, verrà aperto
sulla nuova statale 106; la quale
passa per la località Donnantona
di Borgia, a due passi quindi
dalla nostra San Floro.
sostegno di altri esercenti attività
commerciali. Ma c’è stato pure
chi, nella serata del 12 agosto, ha
puntato il dito sul lassismo, il
lasciar correre, quel certo modo
di vedere le cose da parte dei
calabresi in generale che tanto
male porta all’affermarsi della
giustizia.
Achiusura della due-sere su “libertà
e legalità”, i ragazzi di “Articolo
21.Liberi di…” hanno consegnato
al sindaco Procopio una pergamena
che ricorda i 200 anni della nascita
del Comune di San Floro (1811),
ricerca sulla quale si erano
impegnati.
Peccato che poco prima il
pubblico abbia dovuto registrare
un polemico intervento del
consigliere di minoranza ed ex
sindaco Florino Vivino in risposta
ad un altrettanto poco opportuno
intervento, ad inizio serata, dello
stesso sindaco, avente per oggetto
una recente diatrìba nel consiglio
comunale su attività della passata
amministrazione. Entrambi, come
suol dirsi, sono usciti dal seminato.
Con pubblico, convegnisti ed
organizzatori impegnati su
“giustizia e libertà” rimasti
letteralmente allibiti (come
sottolineato con forza dal giovane
Giuseppe Tassone di “Articolo
21”).
Ma, in fondo, nel convegno si
vantava o no la libertà, compresa
quella di parola? I due ne hanno
immediatamente approfittato, ma
forse con troppa passione.
D. P.
CIELO DI RAME
Le sventure
e chi ne approfitta
Cielo di rame
e canta una campana.
Tante le note
sull’arcobaleno.
Sta sfolgorando
il senso della vita
pur di quella fontana
inaridita.
Sciamate dal metallo
ore di festa
stanno cercando
non si sa chi sia.
Qualcuno
ha un dubbio
e gli scurisce il cuore
come se fosse
un alito di pena
come se fosse
frana di furore.
E nella sera
quella voce amica
danzando al vento
coglie sua fatica.
Agnese Cantalamessa
A CHISSA RUGA C’È ‘NA BELLA ROSA
A chissa ruga c’è ‘na bella rosa.
Sinnò la testa a li pìadi li posa,
Nessunu mu la tocca ch’è la mia!
lu sangu fa lu hjuma pe lla via!
Si ‘nc’esta ‘ncùnu chi pretènda cosa
cacciàra si la po’ la hantasìa.
(Dagli antichi canti popolari sanfloresi
accompagnati dall’organetto)
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
La divinità, a quanto pare, suole
mandare alcuni avvertimenti
quando delle gravi sventure stanno
per abbattersi sopra una città o su
un popolo poiché anche i Chii,
prima di queste vicende, avevano
avuto dei presagi manifesti.
Prima di tutto, avendo essi
mandato a Delfi un coro di cento
giovani, solo due di essi poterono
tornare. Gli altri novantotto se li
portò via la peste. Poi, nello stesso
torno di tempo, poco prima della
battaglia navale, in città il soffitto
di una scuola era crollato sul capo
di fanciulli che imparavano i primi
elementi, e di centoventi bambini
solo uno si salvò.
Questi i presagi che il dio aveva
in precedenza mandato. Dopo, era
seguita la battaglia navale che
aveva ridotto in ginocchio la città;
quindi, dopo lo scontro per mare,
era sopravvenuto Istieo alla testa
dei Lesbi ed era stato facile per lui
ottenere la sottomissione dei Chii,
ormai sfiniti dai mali.
(Erodoto-Le Storie –A
cura di Luigi Annibaletto- Libro
VI- par. 27-Oscar Mondadori
1982)
Nicola Pignatari
combattente all’occupazione della
Libia e in seguito prende parte al
primo conflitto mondiale (1915’18).
Un suo quadro si intitola “La
ritirata di Caporetto, 1917”.
Ancor giovane, sposa la gentile
e virtuosa Teresa Pinnarò. Dal
matrimonio nascono cinque
figli: Bernardo, Maria Rosa,
Domenico, Concetta ed Elena.
Nicola Pignatari utilizza l’arte
per esprimere principalmente
motivi religiosi. Su di lui esercita
una certa influenza la pittura dei
Carracci (Ludovico, Agostino e
Annibale), artisti bolognesi che,
nel passato, si erano dedicati di
preferenza ai soggetti sacri ed
avevano rivolto la loro
attenzione verso il dato naturale,
e i cui ideali (le grandi forme
decorative) informarono gran
parte della pittura italiana del
Seicento. I dipinti giovanili del
Pignatari evidenziano, in parte,
lo stile inaugurato dai Carracci,
senza che i lavori nascondano
l’originale creazione artistica del
pittore borgese.
A Borgia, nella chiesa
dell’Immacolata, vi è raffigurata
su muro la Pietà di Annibale
Carracci, riprodotta dal Pignatari
in maniera personale. Le sue opere
fanno trasparire un importante
significato: “la relazione uomodivino”.
Oltre all’arte del dipingere, egli
esplica l’attività del restauro e della
decorazione (risana affreschi
nell’interno di chiese e abbellisce
interni ed esterni di palazzi e di
sale). Per il suo modo di restaurare,
bene intonato al tema religioso,
ricevette via via un’infinità di
incarichi da parte di autorità
ecclesiastiche di Calabria, Sicilia,
Basilicata. Portano la sua
“impronta”, fra le tante altre, la
Basilica dell’Immacolata di
Catanzaro, la chiesa di Santa Maria
del Cedro, in provincia di Cosenza,
e la sede vescovile di Patti
(Messina).
I suoi quadri sono custoditi dai
familiari, e alcuni di essi
abbelliscono salotti di privati.
Nicola Pignatari terminò i suoi
giorni nel paese natìo, all’età di 74
anni.
Antonio Zaccone
Si allarga il parco eolico?
Ci sarebbe una volontà
istituzionale di ampliare ancora
di più il dissennato parco eolico
che tanti danni ambientali sta
arrecando anche alla nostra
regione. Non sappiamo se l’area
sanflorese sia inclusa in questo
progetto, ammesso che esso
venga realmente elaborato e
presentato. Ma a questo punto
bisogna tenere orecchie ed
occhi ben aperti per cercare di
bloccare tale eventuale
iniziativa.
SAN FLORO
Una croce per ogni morto
Tradizione e pietas cristiana vanno
a braccetto evidentemente tra gli
emigrati sanfloresi. O almeno uno
di questi, Paolo Pugliese, residente
a Casorate Sempione, in provincia
di Varese, ma molto legato alla sua
terra di origine, ha deciso di fare un
piccolo intervento a favore del
cimitero di San Floro. Ha notato che
nel nostro camposanto le tombe
nell’area riservata ai più poveri,
sepolti nella nuda terra, erano in
massima parte sprovviste di croci,
ormai distrutte dal tempo. E così ha
pensato di fornirne al Comune prima
una ventina, preparate di persona;
poi, in seguito ad un sopralluogo
diretto in agosto, notato che queste
tombe erano di più, ha deciso di
fornirne altre quaranta. Insomma,
sessanta croci in legno elegante da
piantare o già piantate sui tumuli di
terra sprovvisti di ogni segno
religioso, grazie alla eccezionale
sensibilità umana e cristiana di Paolo
Pugliese. Al quale non può che
andare l’ammirazione di tutti i
compaesani, “ricchi” e poveri.
SAN FLORO - Vincenzo Lamorea in una foto giovanile.
Lamorea, capopopolo comunista nel secondo dopoguerra ed
amministratore comunale negli Anni Settanta, può essere
indicato ad esempio per equilibrio, onestà, moralità ed impegno
nel trattare la cosa pubblica (Da “Ciao San Floro Ciao
Calabria” di Domenico e Feliciano Paravati)
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
Corriere di San Floro e della Calabria
3
NOTIZIARIO SANFLORESE - A cura di Floro Varano
I FESTEGGIAMENTI
IN ONORE
DI SANT’ANTONIO
Così come avviene ormai da
un ventennio, anche per
quest’anno, il colonnello
Antonio Nania ha organizzato la
festa al popolare Santo di
Padova.
La sua fede verso il Santo è
dovuta ad una storia particolare, che
affonda le radici nella propria
famiglia d’origine e che riguarda
addirittura la sua nascita, inaspettata
ma annunziata alla propria madre
da un sogno ricorrente che
anticipava l’evento dell’arrivo
inaspettato di un nuovo figlio. Nel
sogno, un fraticello che vestiva il
saio antoniano ripeteva che sarebbe
nato questo figlio e si sarebbe
dovuto chiamare Antonino. Il
padre, recatosi a suo tempo in
municipio per la
dichiarazione
dell’avvenuta nascita
aveva manifestato la
volontà di attribuirgli il
nome di Antonino,
giusto proprio come il
fraticello aveva indicato
alla mamma. Ma il
“cancelliere” dell’epoca,
alias ufficiale di stato
civile del comune di San
Floro, suggerì il nome
Antonio. E così venne
scritto sull’atto di nascita.
La famiglia del
colonnello ha sempre, da
allora, manifestato
devozione per detto Santo,
con la celebrazione di
messe e dei vespri in occasione della
ricorrenza del 13 giugno. Quindi,
dopo la scomparsa dei genitori, Totò
Nania si è sentito quasi in dovere di
continuare lui la tradizione di famiglia
ed ha avviato i festeggiamenti in onore
del Santo. Ha costituito un libretto
postale di risparmio dove allocava
le offerte dei fedeli e pagava di tasca
propria le spese affrontate per la
festa, come fuochi, banda, spese
chiesa ed altro. Quando la somma
accantonata ha raggiunto una certa
consistenza ha provveduto a far
eseguire alcuni lavori di restauro
della nostra chiesa: l’altare
maggiore, la parete absidale, la
volta a botte Ha dovuto per questo
affrontare alcune difficoltà di tipo
burocratico, ma non si è
scoraggiato; anzi ha tratto stimolo
e motivo per andare avanti nel
progetto di rendere più bella ed
accogliente la chiesa. Ma, come
spesso accade quando si combatte
contro un muro di gomma, da un
paio di anni, impegnate tutte le
somme raccolte nei vari restauri che
sono sotto gli occhi di tutti i fedeli,
ha chiuso l’argomento restauro ma
continua il suo impegno sia di fede
che economico, continua a far
personalmente fronte alle spese
mentre le offerte le devolve alla
parrocchia.
CONSIGLIO COMUNALE
AL CALOR BIANCO
L’aria dell’evento particolare si
respirava già in paese sin dal primo
pomeriggio.Ilgeom.FrancoBattaglia,
presidente dell’Associazione Articolo
21, liberi di…, aveva fatto affiggere
nelle bacheche della cittadina una
lunga ed articolata lettera aperta al
sindaco chiedendo un rinvio
dell’approvazione del PSA. Già, era
proprio il” Piano Strutturale
Associato” l’argomento forte che
aveva impegnato la tranquilla
atmosfera sanflorese di una sorta
di carica elettrica pruriginosa,
quasi esplosiva. Piazza municipio
era insolitamente popolata ed
animata, la saletta consiliare
gremita. All’appello del segretario
comunale quasi tutti presenti;
mancava la dott.ssa Luciana
Mungo, che però riusciva ad
arrivare sul filo dell’apertura dei
lavori. Solite e previste formalità,
che saltiamo per evitare di ripetere
la solita tiritera, fino a quando
interveniva l’assessore Aloi per
dare lettura di un corposo
documento che poi consegnava al
Sindaco, per l’acquisizione agli
atti, e con cui poneva una serie di
quesiti, chiedendo ovviamente
risposte, e che avevano come tema
alcune presunte irregolarità
inerenti al villaggio a valle
popolarmente identificato come
“Case gialle”. Successivamente si
discute un piano di lottizzazione,
presentato dalla ditta Giulia
Massara, che riguarda un’area di
trentaseimila metri quadri, in
SAN FLORO - Un sorridente
Don Giuseppe tra i giovani
(Foto F. Paravati)
località Andreotta. Passa con 9 voti
favorevoli e 3 contrari.
I tecnici illustrano il PSA (Piano
strutturale Associato), progettato
assieme ad altri sei comuni del
circondario, che prevede, tra l’altro,
una serie di raccordi stradali che
valorizzeranno, se mai saranno
realizzati, il nostro paese. Chi
volesse attingere notizie più
approfondite sul PSA, può trovarle
sul sito – www. Psa. Cortale. Sulla
discussione del piano si accende
una poco edificante e rissosa
discussione, con scambio reciproco
di accuse, tra maggioranza e
minoranza, che si conclude con la
minaccia di espulsione dall’aula del
consigliere Florino Vivino.Alla fine
comunque il PSA passa con i voti
della maggioranza.
Nella successiva seduta consiliare
per l’approvazione del bilancio, il
Sindaco Procopio annunziava la
revoca da assessore al consigliere
Aloi ed in contemporanea
l’attribuzione delle deleghe sia agli
assessori che ai consiglieri,
trattenendo per sé le competenze
relative ai lavori pubblici.
Il posto di assessore rimasto
libero dopo la defenestrazione di
Aloi veniva attribuito al
consigliere Massimiliano Maida,
residente presso il villaggio Torre
del duca.
Queste le deleghe attribuite.
·Protezione civile, turismo, rapporti
con le università- Assessore
Massimiliano Maida.
·Agricoltura e ambiente: Assessore
Flavio Costa
·Gestione delle risorse umane, sport,
decoro urbano, verde pubblico,
viabilità: Assessore Santino
Amoroso.
·Istruzione e politiche educative,
servizi per l’infanzia, asili nido e
scuole materne, mense scolastiche,
cooperazione internazionale e
gemellaggi,cultura, rapporti con le
associazione volontariato, pari
opportunità: Consigliere Flavia
Meta.
·Attività produttive, commerciali e
artigianali: Consigliere Antonio
Curcio.
·Politiche sociali, politiche per la
famiglia: Consigliere Luciana
Mungo.
·Bilancio, finanza e tributi,
programmazione, affari generali,
gestione eventi: Consigliere
Salvatore Pilo’.
Verso la fine della seduta si ripete
la rissa parolaia, che si conclude
anche questa volta con la richiesta
del sindaco dell’espulsione del
consigliere Florino Vivino.
IL CORVO
Il corvo è il titolo di un vecchio
film in bianco e nero che ben delinea
la situazione che periodicamente e
sistematicamente si verifica a San
Floro, in occasione di
eventi festivi -Natale e/o
Pasqua- o periodi
stagionali, cioè con
l’arrivo dell’estate e il
conseguente rientro degli
emigrati. Ci riferiamo alle
varie lettere anonime che
prendono di mira quei
personaggi che, per
motivi principalmente
politici, appaiono alla
ribalta della cronaca
paesana.Tutti ricordiamo
gli scritti diffusi in paese
del Passero solitario e
altre missive precedenti,
che hanno cercato di
avvelenare la tranquilla
atmosfera sanflorese. Ora
le tossine -che solitamente vengono
copiosamente sparse con queste
missive- producono un duplice
effetto: il primo è quello di denigrare
la persona o le persone bersaglio;
l’effetto collaterale è
determinato dalla ricerca
mentale che ognuno opera
cercando di individuare la
“fonte” che abbia potuto
originare gli scritti
anonimi. È questo l’effetto
più devastante che la lettera
anonima genera: molti
diventano i sospettati, per
cui ognuno identifica un
probabile corvo, verso il
quale si addensa un’aura
di diffidenza, di astio e
spesso di vero e proprio
odio. Per il moltiplicarsi
delle congetture le persone
sospettate sono -per almeno il 99
per cento- quelle che nulla hanno
avuto o hanno a che fare con le
lettere anonime. Rimane quell’1
per cento misterioso, a meno che
non si tratti di un “gruppo” di
corvi. Eventuale gruppo che non
può che essere ristrettissimo per
evitare la fuoruscita del segreto.
E così la micidiale caccia
all’untore o agli untori continua.
Ora non mi voglio avventurare
in considerazioni di tipo
moralistico, ma una lasciatemela
passare. I bisogni della nostra
comunità sono purtroppo ancora
tanti, ma delle lettere anonime
non sentiamo proprio alcun
bisogno. Lasciano il tempo che
trovano, non producono effetti
pratici, oltre il gossip che
solitamente dura una settimana,
forse anche perché gli anonimisti
ne hanno fatto uso ed abuso.
AGOSTO SANFLORESE
TERZA EDIZIONE
L’Agosto Sanflorese 2011 ha
preso il via con un grande
cartellone posto all’ingresso della
piazza principale del paese (con
una grafica attraente presenta il
calendario degli eventi).
Giorno 10 ha avuto luogo la
prima serata con uno spettacolo
di tipo cabarettistico con
l’esibizione dei noti comici
calabresi Pino e Rino. Durante
il pomeriggio, i magazzini che
sorgono lungo le viuzze del
rione Valle hanno ospitato una
mostra sugli antichi mestieri. Il
tutto è stato organizzato da una
neo- associazione denominata
“San Floro nel cuore”. Nei due
giorni successivi, sono stati
protagonisti i giovani di “Articolo
21. Liberi di…” che hanno
incentrato la due- giorni sul tema
della libertà e della legalità. La
prima serata alcuni giovani artisti
calabresi hanno ricordato la figura
ed il sacrificio del magistrato
Scopelliti, affiancando la sua opera
a quella dei più noti Falcone e
Borsellino. Dopo lo spettacolo un
dibattito con l’intervento di
politici, studiosi e docenti di diritto.
La serata è stata particolarmente
fresca. Sembrava di essere in Sila
piuttosto che a San Floro. La serata
numero due si è aperta con un
dibattito che ha visto l’intervento
del presidente dell’associazione
Franco Battaglia; a chiudere, un
complesso formato da giovani
sanfloresi che hanno riscosso
l’ammirazione e gli applausi della
numerosa cittadinanza presente.
Se proprio un appunto
dobbiamo farlo bisogna ricordare
a questi giovani che quando si
organizza un dibattito pubblico
sarebbe bene far partecipare
anche la gente comune, quale noi
crediamo di essere, e non
riservare la parola solo agli addetti
ai lavori. Piccolo peccato veniale
che però perdoniamo volentieri ai
nostri cari ragazzi.
Le serate sono state allietate dalla
SAN FLORO - La processione
giunta al termine (Foto F.
Paravati)
distribuzione di succulenti specialità
locali quali i nicatuli, ‘u morzeddhu,
la pasta con la nduja e la sagra del
cinghiale.
La quarta serata registriamo uno
spettacolo di emergenti musicisti
calabresi, per poi passare, il 16
agosto, alla esposizione nelle sale del
castello Caracciolo di una inedita
mostra di figure ed oggetti sacri,
allestita da Ernesto Lamanna, figlio
del nostro compaesanoAngelo.Alla
mostra è intervenuto l’ex
Governatore della Calabria, on.le
Guido Rhodio, attuale sindaco di
Squillace. Uno dei meriti da
attribuire all’iniziativa quello di aver
riproposto all’attenzione dei giovani
alcune significative opere firmate
dall’artista Micheluzzu Marinaro.
Tra i reperti più significativi abbiamo
potuto ammirare alcune opere del
Marinaro, tra cui una splendida
natività ed un crocefisso ligneo. La
figura e l’opera di questo nostro
conterraneo meriterebbero adeguata
rivisitazione ed essere rivalutate.
Registriamo nella stessa giornata
la presentazione presso la sala
consiliare di un progetto, patrocinato
dall’amministrazione comunale, che
dovrebbe consentire, a tutta la
cittadinanza, il collegamento ad
internet gratuitamente.
Le serate del 17 e 18, vigilia e
giorno di festa del Patrono San
Floro (parliamo ovviamente dello
spettacolo e non del programma
religioso) sono state due serate
“senza infamia e senza lode”, forse
meglio la seconda serata,
animata da un gruppo che
ha rievocato le canzoni
ancora attuali del crotonese
Rino Gaetano, scomparso
da tempo.
Questa formula
(soprattutto nella prima
serata con il cosiddetto
“cantante”) ha funzionato
a meraviglia negli Anni
Settanta ed Ottanta. Ma
mostra ormai la corda, appare
ingessata e logora, e le due serate
legate alla festa patronale non
rappresentano più il “ clou” delle
manifestazioni
agostane
sanfloresi. Se in una vetrina di
oreficeria, dove abitualmente
l’orafo, per anni, ha esposto
autentici gioielli, questi vengono
poi sostituiti con pezzi di
bigiotteria, state pur certi che
nessuno va a guardarli (o va a
guardarli un pubblico non molto
raffinato); la bigiotteria la si trova
ovunque,anche al mercatino
rionale. Ci vorrebbero fantasia ed
idee nuove, ma queste abitano
altrove. In tempi di crisi, come
quelli che stiamo vivendo,
solamente chi riesce a coniugare
innovazione con tradizione riesce
a far bene. Tonino Bressi docet,
con le sue rappresentazionispettacolo nei giorni seguenti che
hanno riscosso vivo successo.
Non possiamo poi sottacere
alcuni aspetti del programma
religioso che hanno
suscitato
vivo
malcontento tra la
popolazione dei fedeli.
La tradizione, legata al
culto del nostro Patrono,
vuole che la statua di San
Floro venga esposta alla
venerazione dei fedeli,
all’inizio della novena, e
fino
al
giorno
dell’ottavario. Possiamo
discutere quanto vogliamo
sulla bontà di tali
consuetudini, ma se queste
si sono ormai cementate
nella popolazione, non vediamo la
necessità e l’urgenza di estirparle,
anche perché non vi riscontriamo
alcun male, e nessun aspetto
negativo.
Non possiamo però nemmeno
ignorare la cura che il parroco dedica
alla chiesa, al gusto negli addobbi,
al lavoro che personalmente compie
per tenerla pulita ed in perfetto
ordine. Lo abbiamo personalmente
notato, all’approssimarsi delle
festività, salire sulle scale per ripulire
i vetri delle finestre. E questo,
assieme al resto, lo ascriviamo a
suo merito; ma da un parroco, cui
sono affidate le cure spirituali di un
intero popolo, ci aspetteremmo di
più, sul piano del dialogo con tutti,
fedeli e non; sul piano
dell’organizzazione e della vicinanza
al mondo giovanile. Non ce ne
voglia se ci permettiamo di
sottolinearlo, ricordandoglielo. Per
crescere c’è sempre tempo.
LA VOCE SPLENDIDA
DI MARTA AMOROSO
La giornata del 19 agosto è
stata particolare, ricca di eventi,
a cominciare dalla mattinata
dedicata alla prevenzione del
diabete, con la presenza di
personale specializzato che ha
eseguito prelievi di sangue ed
informato le persone sullo stato
dei loro valori glicemici. Il
pomeriggio ha visto la presenza
di numerosi centauri che hanno
fatto sfoggio dei loro bolidi, per
la gioia degli occhi di piccoli e
grandi. Per le vie del paese sono
sfilati alcuni figuranti che con
RINO GAETANO - La sua “E
Berta filava” è stata cantata in
maniera spassosa da un
bambino di 5 anni
chiarine e tamburi hanno creato
in paese quel clima di festa che
coinvolge un po’ tutti. Applaudito
ed accarezzato un asinello che
con il suo puledrino ha attratto
l’attenzione dei piccoli che
magari non avevano mai visto da
vicino questo paziente e laborioso
animale, che per secoli ha prestato
la sua forza alleviando il duro
lavoro dei contadini.
Poi la serata che ha visto un
succedersi di eventi e di
personaggi che si sono alternati
cambiando continuamente genere
ma mantenendo sempre alta e
desta l’attenzione e l’interesse.
Ricordarli tutti sarebbe oneroso
per lo spazio che non abbiamo a
disposizione, nel giornale. Di
questo ci scusiamo. La chicca
autentica è stata la presenza e la
voce di Marta Amoroso. Quando
le prime note canore si sono
diffuse tra la piazza, un brivido ha
percorso la folla, e la sensazione
di tutti è stata che in quel momento
si stava assistendo ad un evento
tanto magico quanto inatteso: la
nascita di una nuova stella della
lirica. I vocalizzi armoniosi, i
virtuosismi della voce forte e
potente, flebile e dolce, i
gorgheggi dell’usignolo, hanno
accarezzato il nostro udito. Era
musica autentica, quella celestiale
e divina che si sente nei grandi
teatri, nei templi della lirica.
Quanta emozione nell’ammirare
ed applaudire una giovane figlia
di San Floro che sicuramente è
votata ad incontrare il successo che
merita.
IL BALLO DELLA
PUPAZZA DI TONINO
E poi la premiazione dei bambini
della nostra scuola primaria, con la
presenza delle maestre e dei
dirigenti, il ballo della Pupazza, le
note ed i virtuosismi di Bruno
Bressi con la sua orami famosa
fisarmonica. A Tonino Bressi, che
ha organizzato il tutto, un corale
bravo! Ci hai saputo regalare una
serata coinvolgente, hai saputo
dimostrare che per emozionare e
divertire il pubblico sanflorese non
ci vogliono tanti soldi: basta
l’inventiva, il lavoro, l’impegno, la
fantasia. Insomma hai dimostrato
di saper coniugare l’innovazione
con la tradizione, dosando con
sapienza questi due ingredientibase fondamentali. Hai saputo
dosare ed amalgamare, con gusto,
i tanti ingredienti di uno spettacolo
che potevano diventare un
polpettone, ma come per magia si
sono trasformati invece in una sorta
di piccola opera d’arte. Continua
così, il popolo ti apprezza e ti vorrà
(segue a pag. 4)
4
Corriere di San Floro e della Calabria
(segue da pag. 3)
certamente seguire.
E siamo solamente alla prima
serata Bressi. Durante la seconda
ha avuto luogo la sesta edizione
del Concorso Nazionale di
Fisarmonica, che ha visto la
numerosa e qualificata partecipazione
di artisti provenienti da varie regioni
italiane. Da rimarcare la presenza
della fisarmonicista Sbarra che ha
incantato i presenti con i suoi
virtuosismi alla tastiera accompagnata
alla pari dal nostro giovane Bruno
Bressi.
LA PRO LOCO
SI RINNOVA
E SCOMMETTE
SUI GIOVANI
Si riparte con la Pro Loco
Tommaso Scarcella, con l’obiettivo
dichiarato di superare le fazioni
locali e di unire il paese, con
l’ambizione di formare un gruppo
di giovani capaci di impegnarsi
nella costruzione di un futuro
NOTIZIARIO SANFLORESE - A cura di Floro Varano
perché di marca. Il ticket, che
tanto ci pesa, con il farmaco
equivalente non lo paghiamo, così
come non lo paghiamo per quei
farmaci dei quali ancora non c’è
in commercio l’equivalente,
perché ancora protetti dal
brevetto; mentre il ticket è dovuto
per i farmaci di marca di cui si
trova in commercio l’equivalente.
Spero di essermi spiegato.
Dobbiamo comunque aver chiaro
che i soldi del ticket non vanno
nelle tasche della farmacista,
vanno al servizio sanitario.
Ultima considerazione da fare.
In un piccolo paese come il
nostro, avere una farmacia aperta
mattina e pomeriggio, per sei
giorni alla settimana, è per tutta
la cittadinanza una risorsa
preziosa da custodire e da
meritare. La presenza del medico
invece non è continuativa, perché
egli presta servizio per un numero
di ore rapportato al numero dei
SAN FLORO - La processione del Patrono sul Corso (Foto F.
Paravati)
migliore per la nostra comunità, con
l’intento di amalgamare la
popolazione del centro storico con
quella del villaggio in contrada
Torre del Duca, con il bisogno di
creare uno scambio intenso con tutti
i sanfloresi che hanno dovuto
lasciare la terra natia.
Le linee guida della nuova Pro
Loco sono così riassumibili:
1. promozione delle risorse umane
2. valorizzazione dei beni
ambientali
3. riscoperta della civiltà sanflorese.
I traguardi ci sembrano un
tantino ambiziosi, ed il percorso
è abbastanza lungo; con il
contributo di molti ce la
potremmo anche fare.
FARMACI, FARMACIA,
FARMACISTA
Tutti noi sanfloresi ormai
conosciamo ed apprezziamo la
dott.ssa Rocca, che gestisce
ormai da qualche anno la locale
farmacia. Una signora dai modi
affabili e gentili, che accoglie
sempre e tutti con il sorriso,
pronta a consigliarti per il
meglio. Sappiamo che la sanità
calabrese versa in notevoli
difficoltà economiche, e che il
pagamento del ticket sui
medicinali non piace a nessuno,
la nostra è una popolazione di
persone anziane che tirano avanti
con pensioni minime e quindi
anche i due- tre euro da pagare
sulla ricetta sono un aggravio
pesante per le loro scarse risorse.
La nostra farmacista ne è
pienamente consapevole, ed è per
questo che consiglia l’uso dei
farmaci equivalenti, che non
sono prodotti di serie B, ma sono
medicine che hanno la stessa
molecola che si trova nel
prodotto di “marca”. Con un
certo rammarico la dottoressa
Rocca chiede l’aiuto del giornale
per divulgare il suo appello a
preferire il farmaco cosiddetto
EQUIVALENTE perché identico
in tutto e per tutto a quello che
noi riteniamo più blasonato
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
libretti che fanno capo a lui.
Quindi la presenza della
farmacista dott.ssa Rocca è un
patrimonio che tutti i sanfloresi
dobbiamo saper apprezzare.
BRUNO BRESSI
E LA SUA FISARMONICA
SU RAI UNO
L’Accademia Internazionale del
Bergamotto organizza ogni anno la
festa dell’omonimo frutto in quel di
Reggio Calabria. Quest’anno uno
dei protagonisti dell’evento è stato il
nostro bravo fisarmonicista Bruno
Bressi. E fin qua tutto normale.
L’eccezionale consiste nel fatto che
la manifestazione è stata trasmessa
da Rai Uno; per cui questo
promettente artista è stato visto in
tutta Italia. Ad maiora… Bruno!
MILLE E NON PIU’
MILLE. L’ABBIAMO
SCAMPATA?
L’annuncio della soppressione
dei comuni con popolazione
inferiore ai mille abitanti aveva
gettato nello sconcerto la
popolazione tutta. Già si
discuteva con chi accorparsi: La
volontà unanime era di buttarci
in un mare grande… e quindi
Catanzaro prevaleva su ogni altra
ipotesi. Poi l’orizzonte si è
rasserenato, i piccoli comuni
erano stati salvati…… Una sorta
di grazia ricevuta in forza dei
numeri che penalizzavano
fortemente il nord; la fascia
pedemontana delle Alpi sarebbe
stata falcidiata da una vera e
propria ecatombe. Questa volta
il sig. Bossi, senza volerlo, ha
graziato anche San Floro.
IL CONSIGLIO COMUNALE
APERTO DEL 23 AGOSTO
(CON INTERVENTO
PARLACHIARO
DEL PREFETTO)
Le due ultime sedute consiliari
si sono concluse in un clima di
scontro, tra maggioranza e
minoranza. La stampa ha dato
ampio rilievo a questi avvenimenti,
veicolando un’ immagine non
certo positiva del paese e
dell’amministrazione comunale,
nella sua interezza. È quindi
apparsa, agli occhi dei i cittadini,
come necessaria una riflessione da
parte di tutti gli amministratori
affinché si rasserenassero gli
animi, e perché ognuno tornasse
ad operare, nel rispetto dei ruoli
che il popolo sovrano ha loro
delegato con il voto, e quindi che
la maggioranza pensasse ad
amministrare e la minoranza a
controllare. Il consiglio comunale
è stato convocato il 23 agosto u.s.
con questo scopo per discutere su
Governabilità e democrazia fra
prerogative e diritti delle
compagini di maggioranza e
minoranzaAdunanza quindi aperta anche
agli interventi dei cittadini e con
la presenza di qualificate
personalità come il prefetto di
Catanzaro, Antonio Reppucci;
Romano De Grazia, già magistrato
della Suprema Corte di
Cassazione; Guido Rhodio,
sindaco di Squillace. Il tema della
discussione era sentito da parte
della cittadinanza, e la riprova si è
avuta dalla sala consiliare gremita
di pubblico, nonostante il clima
quasi africano della serata. La
piazzetta antistante il Comune era
anch’essa animata da tante
persone che non hanno trovato
posto nell’aula.
In apertura il sindaco Teresa
Procopio ha ringraziato le autorità
per la partecipazione ed ha
dichiarato che la seduta si sarebbe
conclusa con un verbale che si
conserverà tra gli atti del
Consiglio.
Il sindaco ha testualmente
dichiarato : “Quello che l’odierna
maggioranza oggi non può
tollerare é che da questa attività
dell’opposizione politica - che
dovrebbe essere, al contrario, di
serio confronto e proficua
collaborazione - stia venendo fuori
un’immagine del Comune di San
Floro del tutto distorta e non
veritiera; ovvero che a San Floro
si agisca solo nella illegalità. Al
contrario, voglio ribadire che la
nostra azione amministrativa si è
connotata ed indirizzata, da subito,
nel solco della legalità.”. Il primo
cittadino si è poi soffermato sul
ruolo che dovrebbero avere, in un
contesto dialettico ma costruttivo,
sia la maggioranza sia la
minoranza; ed ha auspicato che in
futuro possano essere superate
posizioni tribali in contrasto con
l’odierna civiltà giuridica.
La parola è passata
all’opposizione; ed il consigliere
Salvatore Vivino ha esordito
definendo belle le parole del
sindaco, ma non corrispondenti alla
realtà. Ha poi letto un documento
da allegare agli atti, nel quale ha
lamentato che su Facebook siano
apparse notizie calunniose nei suoi
riguardi, per cui invitava la
maggioranza, attribuendo ad essa
la paternità del fatto, a voler provare
quanto pubblicato o a smentire
ufficialmente il tutto. In attesa che
questo avvenga si autosospendeva
da consigliere comunale e lasciava
la seduta.
È quindi intervenuta Luciana
Mungo -passata con la
maggioranza- che ha fatto un esame
sui disagi della condizione giovanile
a San Floro, aggiungendo: “Per
quanto riguarda la mia posizione
ideologica voglio che tutti sappiano
che rimane diversa da quella del
sindaco; e non ritengo che questo
sia un elemento ostativo alla
collaborazione nell’ambito delle
politiche sociali, nell’interesse della
collettività”
È stata poi la volta del
capogruppo di minoranza Florino
Vivino il quale affermava che non
basta chiedere la riappacificazione
“se non si è parlato di sviluppo,
non si è parlato di occupazione
giovanile; se non si è parlato della
decadenza del Comune. In questa
amministrazione - ha detto - ci sono
delle continue ingerenze
estranee…risorse che non vengono
impiegate adeguatamente…il
museo, l’hotel, il campo sportivo”.
Vivino continuava rimarcando
quello che a suo dire è lo stato di
abbandono in cui versa il Comune,
rimproverava il passaggio della
dott.ssa Mungo nell’area della
maggioranza, e annunciava che i
consiglieri di opposizione si
autosospenderanno dalla loro
carica pur continuando ad
esercitare la loro funzione di
controllo.
Il prefetto è intervenuto a più
riprese richiamando il ruolo di
autonomia che lo Stato riconosce
ai Comuni, e come in questa
ottica siano stati valorizzati i
compiti e le responsabilità che
maggioranza ed opposizione
esercitano; che tutto ciò debba
avvenire con rigore morale ed
onestà intellettuale e che la sua
presenza non debba essere vista
come quella del giudice, ma
come uno sprone al dialogo,
abbandonando, maggioranza e
opposizione, la volontà di
delegittimarsi reciprocamente.
Significative queste parole del
prefetto: “Ognuno di voi è
portatore di valori, ma nessuno
ha il Verbo. Si deve discutere e
si devono trovare le soluzioni
più appropriate. Fermo
restando che chi è stato
democraticamente eletto ha il
diritto-dovere di governare e
chi sta all’opposizione ha il
diritto di opporsi con i mezzi
che la legge consente alle
minoranze; mezzi tra i quali c’è
il dialogo e la critica costruttiva.
Ritengo che occorra discutere
del bene della comunità, che
richiede di essere guidata con
senso di responsabilità. La mia
speranza era di una certa
riappacificazione.”
Nel successivo intervento, il
capogruppo della maggioranza,
Salvatore Pilò, dichiara che le
notizie apparse su Facebbok
riguardanti Salvatore Vivino non
sono riconducibili alla volontà
dell’Amministrazione comunale
ed auspica che da parte di tutti si
pensi ad amministrare bene il
Comune. Significativa la
conclusione: “Sono stato presente
negli ultimi consigli comunali ed
ho assistito ad espressioni non
consone ad alcun soggetto e men
che meno ad un amministratore
allorquando, rivolgendosi al
sindaco, utilizza insulti ed
espressioni sgarbate. Con ciò
voglio dire che le regole devono
esserci, sia nel civico consesso che
nelle strade, ed il comportamento
delle istituzioni è il primo
insegnamento per la collettività. E
la collettività deve riappropriarsi
delle proprie idee. A questo
proposito cito una frase di Voltaire:
Non sono d’accordo con le tue
opinioni, ma difenderò sempre il
tuo diritto ad esprimerle.”
Guido Rhodio, attuale sindaco di
Squillace ed in passato ai vertici
della Regione Calabria, ricorda la
sua presenza in San Floro sin dagli
anni giovanili, e come la
cittadinanza sanflorese a lui sia tanto
cara. Poi afferma :“Quando parla il
prefetto le sue parole hanno un
peso, perché egli rappresenta lo
Stato. Allo stesso modo, quando
parla il sindaco, ciò che dice ha una
sua valenza. San Floro sta
diventando la punta di un iceberg.
Sembra che vi stiate ammazzando,
dando l’idea che ci sia chissà cosa
da spartire - e invece non c’è nulla
-, trasformando la sede istituzionale
in un tribunale.”
L’intervento del giudice De
Grazia è stato incentrato sui temi
afferenti la legalità. Con toni
accorati ha rievocato le prove
difficili che hanno dovuto
affrontare i nostri padri quando
la libertà è stata conculcata.
Riportiamo questo passaggio:
“La legalità è un valore importante
sancito nella carta costituzionale.
È chiaro che se in una società non
si ripristinano le regole all’interno
delle istituzioni, queste sono
destinate a finire. Io porto avanti il
concetto di legalità, ma anche di
responsabilità, come quella avuta
dal prefetto, che oggi ha
presenziato a questo consesso.”
Per il pubblico, il nostro direttore
Domenico Paravati dichiara la sua
“piacevole sorpresa” per aver
potuto incontrare, dopo più di
cinquanta anni e in una occasione
così straordinaria, il giudice
Romano De Grazia -originario di
Lamezia, dove egli ha vissuto da
giovanissimo- ma anche un
eccezionale uomo di Stato, il
prefetto Reppucci, che “sa parlare
alla gente”. Riferendosi poi ad
alcuni passi di interventi
precedenti, critici in merito ad
articoli su quanto avviene a San
Floro da mesi, Paravati difende
con parole accorate il ruolo dei
colleghi della stampa, la quale ha
sempre il dovere di registrare i
fatti, buoni o cattivi che siano,
ma anche quello di pubblicare
smentite o rettifiche di notizie
ritenute non veritiere dagli
interessati; che a loro volta - se
si ritengono offesi - hanno il
diritto di querela. Auspica
comunque il ritorno ad un clima
di pacificazione a San Floro e
richiama quindi, a sorpresa,
l’attenzione sugli effetti negativi
di una paventata discarica, di cui
diciamo più avanti.
Interviene Floro Varano, cronista
di questo giornale ma nelle vesti di
semplice cittadino, che invita la
minoranza a voler desistere
dall’idea di autosospendersi,
affrontando invece i problemi del
paese, ciascuno -maggioranza e
opposizione- nel proprio ruolo.
Anch’egli manifesta la sua assoluta
avversione riguardo ad ogni idea
di discarica, sicuro di interpretare
la volontà dei sanfloresi.
Sempre per il pubblico, il terzo
intervento con l’avv. Francesco
Cosentino, che lamenta l’assenza
dei concittadini della Cooperativa
Azzurra (il villaggio di Torre del
Duca) e si chiede se l’assenza sia
da interpretare come un segno di
protesta. Si dichiara solidale con il
Sindaco per le offese alla sua
persona.
SCARICHIAMO
LA DISCARICA
Dunque, nel consiglio comunale
“aperto” era emersa, meglio dire
diffusa platealmente, una notizia
ricavata da cittadini sul sito internet
del Comune. Un noto gruppo di
imprenditori aveva messo gli occhi
- con richiesta ufficiale - su quello
che noi riteniamo l’immacolato
territorio di San Floro, per creare
una mega- discarica di quaranta
ettari, per oggetti definiti “speciali”
ma “non pericolosi” .
Ogni sanflorese - è questa la nostra
sensazione - si è sentito subito come
violentato, derubato di quello che
di più prezioso ognuno sa di
possedere: la salubrità dell’aria, la
bellezza del paesaggio, l’ambiente
incontaminato.
Appariva
minacciato quel legame ancestrale
che ciascuno sente per la propria
terra; quella terra che generazioni
di uomini forti hanno dissodato,
spezzandosi la schiena col lavoro.
Noi sanfloresi siamo gente pacifica,
non andiamo in cerca di guerre.
Ma vuoi per la salubrità del clima,
l’aria pulita, cibi genuini, abbiamo
ancora le p… al loro posto. Sì,
perché non ce le siamo giocate o
svendute, e non consentiremo, mai
a nessuno, di “marciarci” sullo
stomaco e di coprirci di rifiuti… in
futurum et in perpetuum.
Dobbiamo comunque registrare per nostra e vostra tranquillità,
pregna però di forte attenzione - che
il Sindaco si è detto, anche sulla
stampa, assolutamente contrario
all’ipotesi discarica, pensando
invece per il territorio sanflorese ad
un mega-parcogiochi.
LA STRADA DEL LACCO
ANCORA INTRANSITABILE
Finisce l’estate ed i cittadini
sanfloresi attendono ancora fiduciosi
l’inizio dei lavori per ripristinare il
tratto franato da almeno due anni.
Abbiamo fatto due conti ed è emerso
che ci sono almeno una ventina di
famiglie che hanno i terreni serviti
da questa essenziale arteria della
viabilità rurale. I disagi che
giornalmente devono affrontare per
raggiungere i loro terreni non sono
davvero pochi, e con l’arrivo delle
piogge sarà materialmente
impossibile transitare. Ci risulta che
l’Amministrazione ha già ottenuto
un finanziamento per questa strada.
Perché allora indugiare e non
approfittare del “ tempo buono “ per
eseguire i lavori?
Floro Varano
Riaperte le scuole. Auguri ai giovani
Da un articolo-lettera aperta di
Cesare Segre pubblicata sul
“Corriere della Sera” il 12 settembre
2011, dal titolo Cari studenti, tra i
banchi imparate la ricchezza delle
differenze:
“(…) Imparare è un piacere, ma
è anche una fatica. Pedagoghi
troppo indulgenti hanno cercato di
trasformare questa fatica in
divertimento, o di alleggerirla. Ma
c’è poco da fare. Perché le nuove
conoscenze entrino nelle nostre
teste è necessario un impegno,
dunque uno sforzo; solo poi, una
volta assimilate queste conoscenze,
sentiamo il sollievo, anzi la gioia di
chi ha fatto una conquista”
“(…) Soprattutto se siete in una
scuola di stato, constaterete
differenze di opinione tra i docenti.
È una grande ricchezza. Perché
potrete riflettere su queste
differenze, e farvi un’opinione
personale. Da tutti si può imparare,
nessuno va condannato per le sue
idee. E ricordatevi che anche i mass
media, preziosa fonte di notizie e
spettacoli e modi di essere, vanno
sempre, dico sempre, sottoposti a
verifica, facile per chi è un po’
scaltrito. Utilizziamo tutti Internet;
ma dobbiamo renderci conto che
qualunque dato o notizia che
fornisce è soggetto ad errori o
mistificazioni, e va controllato”.
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
Corriere di San Floro e della Calabria
5
Il Parco Archeologico della Roccelletta
Abbattere quell’orrenda scala, non “modificare”
Che fine ha fatto il nome Borgia?
CATANZARO
L’architetto Franco Zagari, poco
tempo fa, nel palazzo del Comune
di Catanzaro - alla presenza del
sindaco on. Michele Traversa,
dell’assessore all’urbanistica
Maria Grazia Caporale e del
dirigente del settore Vincenzo
Belmonte, del coordinatore dei
dirigenti di area tecnica Pier Luigi
Mancuso, e dell’architetto Mario
Russo del settore urbanistica - ha
illustrato il progetto riguardante le
modifiche da apportare nello
spazio di Piazza Matteotti (la
“passeggiata”, con la demolizione
dei chioschi, il ridisegno della
“scaletta”, il giardino del Tribunale
e la piazza dell’orologio solare).
Il sindaco ha giudicato il progetto
di grande rilevanza: “Un’agorà
verde e luminosa che è nostra
intenzione far sentire propria dai
catanzaresi”.
Per quanto riguarda la “scala”,
l’architetto Zagari avrebbe previsto
il restauro con una “riscrittura” più
morbida, in modo da dare l’aspetto
alla struttura di una scultura
vegetale. Il sindaco, però, non
d’accordo su questo punto, ha
suggerito al progettista di valutare
la possibilità di eliminare del tutto
la scala, perché non accettata dai
catanzaresi fin dal primo momento.
Diciamo che l’eliminazione
della scala farebbe emettere un
sospiro di sollievo ai cittadini; i
quali la scala non l’hanno mai
guardata con simpatia.
Essa, realizzata venti anni fa, è
rimasta lì come una cattedrale nel
deserto. Lo scopo per cui era stata
ideata dallo stesso architetto Zagari
(favorire le aggregazioni giovanili)
non è stato raggiunto: i giovani non
vi si radunano, né salgono sulla
scala per osservare la piazza
dall’alto. Per tanti motivi sarebbe
veramente u no spreco di denaro
pubblico volerla restaurare. Farlo
vorrebbe dire non tener conto del
saggio suggerimento del primo
cittadino, né della risposta corale
negativa dei catanzaresi. Tentare
di lasciarla ancora lì, anche
dandole una forma un po’ diversa
come vorrebbe l’architetto Zagari,
sarebbe come somministrare
ossigeno ad una persona già morta.
Antonio Zaccone
Su Sette, allegato al Corriere
della Sera del 21 luglio 2011, è
uscito un articolo a firma
Francesca Pini, riguardante le
sculture tra gli scavi di Scolacium
e a ridosso dell’antica basilica
incompiuta della Roccelletta di
Borgia. Le opere sono del
maestro Mauro Staccioli. Lo
stesso, intervistato dalla
giornalista, lodava le bellezze
storiche del luogo e in particolare
la basilica normanna nonché
l’iiniziativa culturale che da anni
porta al Parco di Scolacium artisti
di rilevanza internazionale. Non
esprimiamo ulteriori giudizi su
tali mostre ed opere. Rimandiamo
a quanto già scritto nelle scorse
edizioni. L’attenzione la
spostiamo invece su una pecca di
questo articolo. Non compare
assolutamente il nome di Borgia.
Per niente! Addirittura nel testo
si fa riferimento al comune di
Catanzaro, come se il Parco
Archeologico rientrasse nel suo
territorio.
Peggiore la constatazione che
nessuno abbia rilevato, nelle
opportune sedi, le indicazioni
errate e l’assenza del riferimento,
nei testi pubblicitari, al comune
di appartenenza. Sembra che il
nome Borgia non sia amato
nemmeno dai suoi cittadini. Non
ci saremmo aspettati un moto di
orgoglio dagli organizzatori e
dagli amministratori, i quali sono
destinati ad essere una parentesi;
ma almeno gli uffici comunali
avrebbero potuto battersi per far
comparire il nome del proprio
paese, sventolandolo con
orgoglio.
Infine, abbiamo dovuto
comprare il biglietto per poter
entrare al Parco in una rivendita
di Catanzaro, in quanto non si è
proceduto ad inserire Borgia
nemmeno in questo iter,
scegliendo magari un’attività
commerciale che potesse
vendere i tickets.
Che dire? Il lettore esprima il
suo giudizio.
R.S.
150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA
“Martiri ed eroi catanzaresi nel Risorgimento”
CATANZARO
(P.ZZA MATTEOTTI) – La
Scala, ideata dall’architetto
Franco Zagari, super-criticata
dai catanzaresi, e non solo. È
un’ avveniristica ma poco
comprensibile scultura in
cemento armato, marmo e
acciaio a forma triangolare che
fa a pugni con quanto è intorno
(più o meno come avviene nel
parco archeologico della
Roccelletta). Realizzata nel 1991,
nell’ intenzione dell’autore
doveva favorire le aggregazioni
dei giovani disposti a salirci,
sedersi, affacciarsi per
“vedere” la piazza dall’alto;
un’intenzione che però non
sembra abbia trovato grande
conferma tra gli stessi
destinatari; parecchi dei quali
invece, soprattutto negli anni
scorsi, l’hanno trasformata in
un luogo di riunione notturno
per sorbire droghe e imbrattare
il manufatto, mettendolo a duro
confronto con il più gradito e
“comprensibile” Cavatore dello
scultore Rito, simbolo della
caparbia voglia di affermarsi dei
calabresi nella propria terra e
nel mondo. Ora il nuovo
sindaco, Michele Traversa,
sembra ne voglia realmente
l’eliminazione (e questo
giornale è perfettamente
d’accordo, come ha avuto modo
di sottolineare in passato).
L’autore della Scala ne propone
invece solo una modifica.
Ricordate il Gattopardo? Tutto
deve cambiare perché rimanga
lo stesso
(dopar)
RICORDI SANFLORESI
Il cirillino blu di Mariana Rocca
Avevo cinque anni. La mia
maestra d’asilo si chiamava
Iolanda, viveva insieme a sua zia,
già signorine molto religiose, che
osservavano con devozione i dieci
comandamenti, e a noi bambine
insegnavano tutte le preghiere della
dottrina cristiana, come fare le calze
ai ferri.
Loro vivevano tessendo la tela al
telaio, per il corredo di chi, su
ordinazione, gliela commissionava.
Avevano due telai, e facevano a
gara a chi lavorava di più e noi tutte
lì a guardare affascinate quel gioco
di piedi e mani sempre in
movimento, sincronizzati alla
perfezione.
Un giorno pensarono di fare un
gruppo di bambine, vestirle tutte in
modo uguale, per farle partecipare
alle processioni dei Santi e dei
morti. Dovevano avere tutte il
grembiule bianco, il cirillino blu e
la fascia blu, messa di traverso,
come quelle delle miss Italia, ma
dovevano avere tutte anche la stessa
altezza. Ricordo che la signorina
Iolanda venne più di una volta, di
sera, a casa mia per convincere mia
madre a comprarmi quella divisa,
finchè ci riuscì. Io però potetti
indossarla solo due volte, e sarei
stata felice di poterlo fare sempre.
.Mentre le mie compagne
continuavano a crescere tutte nella
norma, io crescevo di più ed in poco
tempo ero diventata più alta delle
altre. Così facevo brutta figura nella
fila. L’ultima volta che indossai
quella divisa tanto sognata fu per
partecipare al funerale di una
signora che conoscevo. Nella mia
ingenuità, quando la vidi stesa sul
letto, immobile, tutta bianca in viso,
mi avvicinai, le toccai le mani, che
erano gelate; io mi spaventai e dissi:
“com’è fredda, metteteci sopra una
coperta!”. Quella fu l’ultima volta
che indossai il mio cappellino blu,
anche se lo conservai per tanti anni.
Mariana Rocca
(*) Nota della Direzione:
Ricordiamo, per chi non avesse
letto quanto pubblicato nei numeri
precedenti, che Mariana, “figlia di
n.n.”, era stata data in adozione ad
una famiglia di San Floro (una
sorellina andò ad altra famiglia,
nello stesso paese). Il suo
matrimonio avvenne all’età di
quattordici anni; a quindici la
ragazzina era già mamma; poi ha
avuto altri sei figli– Il brano è
tratto da: Mariana Rocca- Una
donna così-Note di viaggioIntroduzione di Giovanni
Iaquinta- Pubblisfera Edizioni –
2010 – L’altro interessante volume
della Rocca (2008) è intitolato
“Nata per vivere” - Per eventuali
ordinativi: Pubblisfera s.n.c.-Via
della Repubblica-87055 San
Giovanni in Fiore (CS)- Tel.
0984993932
Secondo quanto
abbiamo appreso
Mariana Rocca
ha in preparazione
un nuovo libro
sempre ambientato
a San Floro
I festeggiamenti per i 150 anni
dell’unità d’Italia ravvivano il
ricordo dei martiri che hanno dato
la vita per la realizzazione
dell’ideale di Patria. Ogni regione
celebra i suoi, li venera, ne
ammira le imprese e gli estremi
sacrifici.
In un libretto scritto dall’avv.
Carlo Corigliano, intitolato
“Martiri ed eroi catanzaresi nel
Risorgimento”, l’autore ,
collegando i “fatti” del Sud al
contesto patriottico risorgimentale,
ricorda martiri ed eroi calabresi.
Qui di seguito quanto
estrapolato dall’opuscolo del
Corigliano.
In Catanzaro, nel 1821, esisteva
ed agiva la Carboneria. Il 23
marzo 1823, tre appartenenti
all’associazione
vengono
condannati a morte: Giacinto de
Iesse, Luigi De Pasquale e
Francesco Monaco. Per il primo
e il secondo vengono innalzate le
forche nello spiazzo dinanzi alla
Porta di Mare; per Francesco
Monaco vene approntata la
ghigliottina a “Fuori le Porte”.
Tra gli eroi catanzaresi che
hanno dato prova di dedizione
assoluta alla Patria, l’avvocato
elenca i seguenti: Achille Fazzari,
colonnello garibaldino, prode sul
Volturno, ferito a Montelibretti.
Raffaele Carbonari, uno dei Mille
a Calatafimi. Francesco Corrado,
garibaldino a Castel Morrone,
con Pilade Bronzetti. Damiano
Assanti, nel 1849 alla difesa di
Venezia e nel 1860 a Milazzo e
sul Volturno. Raffaele Scalfaro,
garibaldino e poi capitano
nell’esercito.
L’autore del testo mette in
risalto l’eroismo dei tre De Nobili
(Federico e Alberto, fratelli; e
Achille, loro cugino).
Federico, diciannovenne, faceva
parte degli insorti calabresi di
Francesco Stocco, i quali, al “Rio
della Grazia”, nei pressi del ponte
sull’Angitola, tentarono, nel 1848,
di sbarrare il passo sulla via di
Catanzaro alle agguerrite truppe
borboniche del generale
Nunziante, sbarcate a Pizzo per
reprimere l’insurrezione calabrese.
Il giovane Federico cadde trafitto
dalle baionette borboniche in
contrada “Campolongo”, sulla
strada consolare per Monteleone
(oggi nazionale per Vibo Valentia).
Gli rimase in mano un piccolo
FATE VIVERE QUESTO
GIORNALE ABBONANDOVI:
c/c/p 54078100 intestato
Domenico Paravati
GIUSEPPE GARIBALDI
tricolore e sul volto l’espressione
di chi aveva dato la vita per la
Patria. Accanto a lui caddero
Giuseppe Mazzei, di S. Stefano;
Domenico Morelli, del comitato
rivoluzionario di Catanzaro; e
Giuseppe Scaramuzzino, di
Nicastro.
Alberto combattè nel 1859 in
Lombardia, a Palestro e a San
Martino. Nel 1860 era a Quarto
con con Garibaldi. Combattè a
Calatafimi, a Milazzo e sul
Volturno.
Achille partecipò alla guerra del
1866. “Camicia Rossa”, seguì
Garibaldi nella sua ultima
impresa: la guerra francoprussiana del 1870-’71. Cadde sul
campo a Digione.
I patrioti di Cosenza, tutti affiliati
alla Giovane Italia mazziniana,
insorsero numerosi il 15 marzo
1844. Sei di essi furono condannati
alla fucilazione nel petto, con “il
terzo grado di pubblico esempio”:
avvolti in veli neri e con i piedi
nudi.
L’11 luglio 1844 caddero, nel
vallone di Rovito, sotto il fuoco di
quaranta fucili, Sante Cesario,
Pietro Villacci, Giuseppe Franzese,
Raffaele Camodeca e Nicola
Corigliano, animatore e capo.
Il 25 luglio 1844 caddero i fratelli
Bandiera e i loro generosi compagni.
Nel 1847 ci furono i moti di Reggio
e Gerace. Condannati a morte:
Rocco Verduci, Pietro Mazzoni,
Gaetano Ruffo e Michele Bello.
Antonio Zaccone
Sopra - I Garibaldini attraversano lo stretto di Messina (stampa
dell’Ottocento)
Sotto - Reggio Calabria, prima del terremoto. Il monumento a
Garibaldi
La fucilazione dei fratelli Bandiera in una stampa
ottocentesca (Roma, Museo del Risorgimento Vittoriano)
6
Corriere di San Floro e della Calabria
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
SQUILLACE - La sua nobile storia nel ciclo di conferenze della “Domus Pacis”
Sul precedente numero del
Corriere di San Floro e della
Calabria sono state riportate le
notizie relative alle prime due
conferenze inserite nel seminario
di studi “Squillace dall’epoca
greca a quella risorgimentale”,
promosso dall’associazione
culturale “Domus Pacis” con il
patrocinio della Provincia di
Catanzaro.
***
Nel corso della terza lezione dal
titolo “Scavi archeologici nella
cattedrale di Squillace”,
l’archeologo Alfredo Ruga ha
affermato che, “realizzata negli
anni 1784-1798 dal vescovo
mons. Nicola Notaris, la struttura
è stata dedicata alla Vergine
Assunta”. Nel 1995 la
Soprintendenza archeologica della
Calabria ha avviato un lavoro di
ricerca nel sottosuolo della
cattedrale al fine di chiarire alcuni
aspetti tipici del monumento.
“Durante l’esplorazione dell’area
occupata dal presbiterio, della
cappella del SS. Sacramento e
dell’abside maggiore – ha
proseguito Ruga – sono stati
individuati i resti di un muro
perimetrale con edicola e di un
altro muro pavimentato con lastre
di pietra locale gessosa”. Diversi
anche gli oggetti ritrovati in
metallo, vetro ed osso, nonché
monete in rame e manufatti
ceramici di produzione locale tra
il XVI e il XVII secolo. Numerose
le fosse sepolcrali rinvenute;
pregevole la pavimentazione a
scacchiera bianca e nera e la
riscoperta di un sarcofago in
marmo bianco risalente al 1200 e
riutilizzato per la sepoltura del
vescovo Rispoli.
***
“Cassiodoro, il politico, il
conversus ed il letterato” sono stati
i temi analizzati da Lorenzo
Viscido, filologo e docente
universitario, nel corso della
quarta, quinta e sesta lezione.
Tracciando il profilo politico del
grande statista, Viscido ha
affermato che “Cassiodoro già
all’età di vent’anni divenne
questore per poi essere eletto
“consul ordinarius”, “magister
officiorum” e “prefectus praetorio”,
carica quest’ultima paragonabile al
viceré”. Oltre a considerarlo un
precursore dell’unità d’Italia, in
quanto desiderava che la nostra
penisola fosse un regno autonomo
ed indipendente, senza distinzione
tra Nord e Sud, Cassiodoro rivolse
sentimenti di particolare
ammirazione a Teodorico, il quale
voleva creare una convivenza
pacifica tra Goti e Romani. Tale
progetto non ebbe successo e segnò
la “conversio”di Cassiodoro, cioè
la scelta di dedicarsi ad una vita più
rivolta a Dio. “Proprio nei pressi
della natia Squillace – ha proseguito
Viscido – Cassiodoro creò due
monasteri, il Vivariense e il
Castellense, il primo, per cenobiti,
presso l’attuale Copanello, il
secondo, per anacoreti, sul colle
dove sorge l’odierna Squillace.
Infine, trattando l’aspetto del
letterato e soffermandosi sulle opere
scritte sia nel periodo politico che
in quello della “conversio”,
riservando una specifica trattazione
alle “Variae” ed alle “Institutiones”,
Viscido ha rilevato che Cassiodoro
fu un eccellente letterato di vasta
erudizione e con una cultura
enciclopedica, ma soprattutto un
uomo fedele, probo e rispettoso
delle leggi. Quindi, un
amministratore incorruttibile.
La settima lezione dal titolo “Il
Castello di Squillace in epoca
normanna” è stata trattata anche
dal prof. Lorenzo Viscido, il quale
ha affermato che “cominciando
dal Lenormant che citava Lupo
Protospatario, un cronista del XII
secolo, si è più volte asserito che
il castello venne eretto nel 1044
da Guglielmo Braccio di Ferro e
Guarimario per poi essere
chiamato “Stridula” a causa del
fischio del vento che batteva
sulle mura”. Asserzioni queste
riprese da altri studiosi e
capovolte da Viscido, il quale ha
dimostrato che “Guglielmo e
Guarimario edificarono a
Squillace un castello di cui però
non viene citato il nome, mentre
Stridula è una località nei pressi
della valle del Crati”.
Importante anche l’analisi
relativa alla datazione storica del
monumento che ha portato a due
conclusioni: o che nella Squillace
d’oggi già esisteva un centro
fortificato nel quale i Normanni
avrebbero eretto verso la fine del
secolo XI un castello consistente
in una torre rettangolare; oppure
che un castrum si trovasse,
secondo Ghislaine Noyè e Chiara
Raimondo, sulle pendici del
promontorio di Stalettì, da dove il
castrum sarebbe stato spostato,
nella seconda metà del secolo XI,
sul colle dell’attuale Squillace,
dopo che nel 1059 i Normanni con
Ruggero I ne avevano distrutto
buona parte delle strutture militari
e dei principali edifici, costruendo
in seguito l’attuale castello.
Nel corso dell’ottava lezione dal
titolo “L’architettura federiciana a
Squillace” ha relazionato Giuseppe
Mercurio, appassionato di storia
locale. Parlando dell’influenza di
Federico II e degli Svevi
sull’architettura squillacese e
citando innanzitutto il castello, che
ha nella torre poligonale un chiaro
segno federiciano-svevo, Mercurio
si è poi soffermato sulla cosiddetta
chiesetta gotica di S. Maria della
Pietà, un piccolo edificio a pianta
quadrangolare, di cui ha tracciato
le vicissitudini storiche e
burocratiche.
Esaminando
l’impianto architettonico della
chiesetta, pare che la struttura non
ebbe in origine la funzione di
luogo di culto, essendo molto più
verosimilmente una sala capitolare
di un complesso architettonico più
vasto, forse templare. Solo nel
1853, infatti, venne consacrata al
culto dal vescovo del
tempo. ”L’area circostante al
monumento -ha aggiunto
Mercurio- è disseminata di
elementi architettonici ogivali e se
si considera che a pochi metri
spicca una bifora gotica con
colonnina tortile, ciò farebbe
pensare alla caratterizzazione di
quell’area
di
influenza
architettonica goticheggiante
dell’epoca federiciano-sveva”.
Il sodalizio squillacese ha infine
realizzato anche un’escursione
turistica presso i cosiddetti luoghi
cassiodorei, siti a Copanello di
Stalettì. Un gruppo di oltre quaranta
persone guidate dal prof. Lorenzo
Viscido ha avuto modo di visitare i
ruderi della chiesetta di San Martino,
appartenente al monastero
“Vivariense” e menzionata in tre
manoscritti dell’VIII sec. d.C. Il
presidente dell’associazione, Mario
Caso, insieme a tutti i partecipanti,
ha esternato “un senso di tristezza
nel constatare che l’intera area in cui
si trovano i ruderi della chiesetta
versa in uno stato di totale
abbandono, il che non ritorna di certo
ad onore dell’amministrazione
comunale responsabile e di tutti gli
altri enti preposti alla tutela dei beni
storici ed archeologi”. Durante la
visita guidata, inoltre, si è avuta la
possibilità di osservare le vasche
citate da Cassiodoro sia nelle
“Variae” che nelle “Institutiones”,
vasche scavate fra gli scogli di
Copanello e che venivano adibite a
vivai di pesci per il fabbisogno della
comunità monastica di “Vivarium”.
Di gran lunga suggestivo il
paesaggio che è stato notevolmente
apprezzato dai partecipanti, i quali
complimentandosi per l’iniziativa
intrapresa hanno vissuto un
ulteriore e piacevole momento di
socializzazione grazie alla
degustazione di un aperitivo sul
lungomare di Squillace.
***
La nona lezione, dal titolo “Storia
della diocesi di Squillace”, è stata
tenuta da don Leonardo Calabretta,
docente al Seminario teologico
regionale di Catanzaro, il quale ha
illustrato le varie epoche attraverso
un excursus storico. “La diocesi di
Squillace -ha sottolineato Calabrettaavrebbe origini addirittura
apostoliche anche se il primo
vescovo che ci viene documentato
è Gaudenzio, intorno all’anno 465".
Dopo aver considerato il buio
periodo bizantino in cui i vescovi
latini furono sostituiti con vescovi
greci e il rito greco soppiantò quello
latino, con l’avvento dei Normanni
si ritornò alla Chiesa di Roma dando
avvio alla rilatinizzazione, periodo
in cui rientrò la fondazione della
Certosa di Serra San Bruno, che però
si distaccò dalla diocesi.
L’epoca angioina-aragonese fu
caratterizzata da disordini e
controversie tra clero e religiosi. La
cura della diocesi venne affidata a
vicari, in quanto i vescovi titolari
risiedevano in Spagna, a Roma o a
Napoli; vennero istituiti dei seminari
e la storia venne segnata dalla
vicenda del domenicano Tommaso
Campanella. Il periodo più fortunato
fu quello borbonico, ma la presenza
del vescovo Notaris, dopo il
devastante terremoto del 1783,
permise di ricostruire la cattedrale
di Squillace. Il periodo
contemporaneo coincise con
l’inizio della fine, in quanto dopo
i vescovi Morisciano, Festa, Tosi,
Elli, Melomo e Fiorentini, giunta
la nomina di Fares si pose il
problema dell’autonomia della
diocesi. Nel 1980 venne nominato
mons. Antonio Cantisani, ultimo
vescovo dell’antica diocesi di
Squillace poiché il 30 settembre
1986 essa venne unita a quella di
Catanzaro segnando la fine di una
delle più antiche e più estese
diocesi della Calabria.
La decima ed ultima lezione
dal titolo “Dalle Signorie al
Risorgimento:
Storie
e
personaggi” è stato il tema della
conferenza tenuta da Guido
Rhodio, sindaco di Squillace e
giornalista pubblicista. Dopo
un’introduzione sull’importanza
della successione feudale nello
Stato di Squillace, definito “uno
dei feudi politicamente strategici
non solo della Calabria ma
dell’intero reame del tempo”,
Rhodio ha proseguito parlando dei
vari conti, principi, duchi e
marchesi giunti con l’arrivo dei
Normanni, degli Svevi, degli
Angioini e degli Aragonesi, fino
alla dinastia dei Borgia.
Raccontando diversi aneddoti, il
relatore ha spaziato con accenni ai
monasteri cassiodorei, agli
scheletri rinvenuti nel castello, agli
ultimi ritrovamenti nel corso degli
scavi e all’arrivo delle Clarisse con
la fondazione del monastero di
Santa Chiara. Importante anche la
vicenda del marchese Leopoldo
De Gregorio, l’ultimo signore di
Squillace, che poi seguì re Carlo
III in Spagna diventando suo
ministro. Tutti antefatti del
Risorgimento squillacese, che nel
1793 diede i natali a Guglielmo
Pepe, il padre della rivoluzione
italiana. Soltanto sei anni più tardi
tantissimi giovani nobili e borghesi
piantarono a Squillace l’albero
della libertà, facendo fiorire i primi
ideali unitari e patriottici che poi
saranno tipici del Risorgimento e
che Verga cristallizzerà nell’opera
letteraria “I carbonari della
montagna”, a quanto pare
ambientata a Squillace.
Al termine della conferenza, nella
sede sociale della “Domus Pacis”,
i giovani Mariarita Pietropaolo e
Nicola Talarico hanno presentato
un bellissimo affresco raffigurante
Squillace ed alcuni suoi personaggi
illustri.
***
Si è così concluso un percorso
storico-culturale straordinario
che, in ventitre giorni, attraverso
dieci conferenze, un’escursione
ed un affresco, ha coinvolto oltre
200 persone, le quali hanno
dimostrato coinvolgimento e
spirito partecipativo. Il presidente
Mario Caso ha affermato che “la
Domus Pacis ha già vinto una
prima scommessa perché la cosa
più preoccupante era capire se la
città di Squillace poteva rispondere
a questa sfida culturale o se l’apatia
e l’indignazione sociale si erano
trasformate in depressione anziché
in energia positiva e quindi in
partecipazione”.
Sulla scia del grande successo
ottenuto, Caso ha aggiunto che “da
sempre abbiamo ritenuto “vitale”
il valore della cultura come
necessaria antitesi a quel disegno
ben preciso che, ad ogni livello,
tende a ridurre gli spazi del
pensiero libero e pluralista. Siamo
convinti che a Squillace si debba
continuare ad investire in cultura
perché solo così la città potrà
crescere, aprirsi, non avere vincoli
e diventare una città viva.
Attraverso queste iniziative
continuiamo pacificamente la
rivoluzione culturale delle idee,
delle coscienze, dei linguaggi e
quindi dei comportamenti.
Continueremo ad aprirci al dialogo
rimanendo disponibili a confrontarci
su ogni tema che meriti di essere
approfondito. “Durante questa
avventura culturale - ha concluso
Caso - ho visto energie, sorrisi,
entusiasmo e passione; è stato un
sogno diventato realtà in cui è stata
riaccesa la fiaccola della cultura. È
questa la Squillace di cui dobbiamo
andare fieri”.
SQUILLACE - Il castello normanno (Da “Ciao San Floro Ciao Calabria” di Domenico e
Feliciano Paravati)
SQUILLACE
Un eccezionale meeting giovanile
Un’altra emozionante e
partecipata iniziativa culturalesociale ha visto protagonista
l’associazione “Domus Pacis” di
Squillace che ha promosso il
meeting giovanile dal titolo
“Libertà è…”.
Il presidente del sodalizio, Mario
Caso, ha affermato che “è stata una
manifestazione speciale perché ha
permesso di riflettere sul senso di
libertà, approfondendo temi
strettamente legati al mondo
giovanile e alla vita quotidiana. C’è
stata la possibilità di socializzare con
tante altre realtà giovanili e di
incrementare il senso della
responsabilità delle scelte di
ognuno”. Dopo aver accolto i tanti
partecipanti (in molti appartenenti
alle associazioni “Creativamente”,
“Rinnovamento nello Spirito” e
“Ulixes” di Catanzaro, “Esperanza”
di Davoli e “Gioventù Francescana”
di Chiaravalle), in Piazza del
Vescovado, il ricco e coinvolgente
programma ha avuto inizio con la
presentazione delle diverse realtà
giovanili. L’evento ha registrato la
partecipazione di oltre 80 giovani e
si è caratterizzato per la
testimonianza di vita e di impegno
sociale a cura di Elisa Gentile e per
l’interpretazione di una scena di vita
quotidiana che ha visto protagonisti
Stefano Sia e Rosalba Pietropaolo,
momenti, questi, intervallati
dall’esecuzione di brani musicali,
Appio (cioè Appio Claudio- è balletti e riflessioni sul senso di
rimasto il suo nome alla via Appia, libertà.
che congiungeva Roma a Capua),
pur cieco e vecchio, sapeva guidare
quattro vigorosi figli, cinque figlie,
Alla vista di tutto l’Ellesponto
una casa così grande e una così
numerosa clientela: aveva infatti uno coperto delle sue navi e di tutta la
spirito teso come un arco e non spiaggia del mare e la pianura di
soccombeva, infiacchendosi, alla Abido piene dei suoi soldati, allora sì
vecchiaia, ma manteneva verso i suoi che Serse si considerò felice; ma
non solo l’autorità, ma anche il subito dopo scoppiò a piangere.
Se ne accorse Artabano, suo zio
dominio. Lo temevano gli schiavi, lo
rispettavano i figli, tutti lo avevano paterno, quello stesso che in un primo
caro: vigeva in quella casa il costume tempo aveva francamente
e la disciplina dei padri. Tanto infatti manifestato la sua opinione,
è onorata la vecchiaia, quanto sa sconsigliando Serse dal fare una
difendersi da se stessa e sa conservare spedizione contro la Grecia.
i suoi diritti, e a nessuno cede la sua Quest’uomo, avendo osservato che
autorità, e sa dominare i suoi Serse piangeva, gli disse, in tono di
domanda: “O re, quanto è diverso il
famigliari fino all’ultimo respiro.
(M.Tullio Cicerone- tuo modo di comportarti ora da quello
De Senectute-XI- 37-38) di poco fa; prima, infatti, ti ritenevi
Elogio
della vecchiaia
Inoltre, si sono costituiti dei gruppi
di lavoro promiscui che, dopo aver
visitato il centro storico, hanno
approfondito alle pendici del
castello normanno il tema del
meeting per poi rappresentare i vari
elaborati nella plenaria finale a cui
ha fatto seguito la proiezione del
film “Gli Esperanza raccontano…
Barbara”.
“Questa manifestazione – ha
concluso Caso - ha consolidato il
rapporto di solida collaborazione
e di rete che la “Domus Pacis”
aveva già instaurato con molti
giovani del mondo associativo,
spirituale ed istituzionale di diverse
realtà territoriali, ma soprattutto ha
dimostrato che i giovani sono una
risorsa.
Peccato che molta gente,
volutamente e sempre più spesso,
se ne dimentichi”.
I Persiani invadono la Grecia
un uomo felice, ora piangi”. E quello
replicò: “Sì, perché mi è sopraggiunto
un senso di commiserazione al
pensare quanto è breve nel suo
complesso la vita umana, se di tutta
questa enorme folla (*) nessuno sarà
in vita fra cento anni”.
(Erodoto- Le Storie-Traduzione
di Luigi Annibaletto-Libro VIIpar. 45- 46- Oscar Mondadori1982)
(*) Secondo Erodoto erano quasi
cinque milioni - tra soldati e addetti
all’assistenza delle truppe di terra e di
mare - gli esseri umani che seguivano
il re di Persia nella sua straordinaria e
disastrosa avventura contro la Grecia.
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
Corriere di San Floro e della Calabria
RIFLESSIONI PERICOLOSE
L’inno antico a San Floro e i misteri della fede
Ho finalmente riascoltato in chiesa
l’antico canto dedicato al santo
patrono San Floro: “Santu Froru
protettòra…”.
Credevo fosse ormai morto,
dimenticato dalle nuove generazioni,
quel canto che il 18 di agosto degli
anni passati, nella Messa delle 11,
prorompeva, tutto solo, quasi come
un urlo nelle prime tre parole, dal
petto di Caterina Giampà, nel centro
della navata centrale della chiesa. E
poi, via via, le voci di tutte le donne
si accodavano con le altre strofe
di un inno veramente antico,
ultracentenario.
Evviva, dunque. Quel canto è
riecheggiato nella chiesa
parrocchiale nella solennità (dal
1765) della Prima Domenica di
Maggio mentre i fedeli, in fila e con
corona di spine sul capo, si
apprestavano a rendere il bacio alla
reliquia del Santo patrono; al quale
si chiede ancora che “ci scansi dal
terremoto, dalla peste e fame
ancor…”. Ma l’ho risentito in chiesa
anche in occasione della festa del
Santo, il 18 agosto u.s.
È bello quando una comunità si
ritrova unita grazie ai suoi simboli
più antichi. Quei simboli che non
devono mai diventare cosa
passeggera, perchè servono proprio
a rendere “popolo” la gente nata qui
o che comunque qui ha i suoi affetti;
e di questo colle argilloso e franante
ha preso l’anima.
Le chiese di tutte le religioni, solo
se riescono a conservare i simboli più
“lontani”e immodificati (vedi quelli
dei cristiano- ortodossi, con le sacre
immagini, i paramenti, i cerimoniali
infiniti…) hanno possibilità di
sopravvivere in questo mondo
dominato ormai dalla dea ragione. Se
li perdono a causa del tempo o vi
rinunciano volontariamente per
un’erronea interpretazione della
fede (che è sempre “popolare”
e “tradizionale”, anzi misteriosa,
e mai razionale: basti ascoltare
le parole “mistero della fede”
dopo l’Elevazione), vanno
inevitabilmente in rovina, prima
o poi spariscono.
Aristarco Scannabue
S. ANDREA SULLO JONIO
Arriva l’armistizio e fuga verso la campagna
Lo sbarco degli americani in
Sicilia aveva cambiato le sorti
della guerra. I tedeschi si
ritiravano attraversando la
Calabria, e ammassavano armi
lungo il torrente Callipari, a pochi
chilometri da Sant’Andrea, per
opporre resistenza agli americani.
Il timore di rimanere coinvolti in
una battaglia, spinse molti
andreolesi a cercare rifugio fuori
paese, e la mia famiglia si trasferì
a Tralò, nella casetta di campagna
di zio Giovani Ranieri. I giovani
andreolesi sotto le armi erano un
numero impressionante: più di
cinquecento, come risulta dagli
archivi comunali, circa il dieci per
cento della popolazione. A Tralò
c’erano mio padre, zio Giovanni
Ranieri, molte zie e cugini, in
totale 21 persone, tra le quali mio
cugino Angelo Iorfida. Io avevo
allora due anni, ma ricordo tutto,
come mio padre, che scherzava
sulla sua memoria prodigiosa
dicendo: Ricordo pure quando si
è sposata mia madre!
***
La scelta di Tralò non era stata
felice. La cima, che si vede a
occhio nudo dalla Locride fino alla
Presila, è un punto trigonometrico
riportato su tutte le mappe militari.
Gli aerei americani vi giravano
attorno per calcolare la rotta e poi
andavano a bombardare i ponti di
strada e ferrovia. Il rombo di
avvicinamento degli aerei era
terrorizzante, mio padre ansimava,
io chiedevo un asciugamano per
coprire le gambe, perché ero
convinto che le bombe me le
spezzavano, le donne imploravano
a gran voce tutti i santi. Come se
non bastasse, c’era anche un gran
serpente nero, innocuo ma
spaventoso, che strisciava nelle
vicinanze della casetta: la zia
Nunziata aveva appeso filze di
aglio per tenerlo lontano. Zio
Giovanni aveva un bosco di
castagni in montagna, a Farina, e
fu deciso di trasferirci lì. Mio padre
fece costruire in fretta dai carbonai
un gran capanno di frasche ben
fitte, con il tetto in terra battuta per
resistere alle piogge, e pagò una
cifra enorme: diecimila lire!
Era l’inizio di agosto e ci
muovemmo verso Farina. Mia
madre, anche se incinta al nono
mese, portava una sporta sulla
testa, io camminavo tenuto per
mano dalla zia Mariuzza. Anna
mia sorella, che aveva quattro
anni, portava una gallina. A
Farina, accanto al capanno, c’era
una capannina, dove stava il
suocero di zio Giovanni, Peppe
lo Zasso, anziano e sempre
coricato. All’inizio io avevo
paura di quel vecchio, coperto di
un lenzuolo bianco, che però mi
prese a benvolere e mi insegnava
le filastrocche:
Na vota era Carota
chi facìa cozzetta e vota
Sa masurava e non li jìa,
Jestimava a morta chi on venìa.
Oppure:
Ara ruga do Ferraru
ci stannu tri infantini:
Mara Rosa, Cuncipita
e Catarini.
O ancora:
E mo’ chi ti vivisti
tuttu u vinu da caseddha…
Attàccati a sta ciarameddha!
***
Intanto, il 23 agosto del 1943,
mia madre cominciò ad avere le
doglie del parto, e mio padre
mandò mio cugino Angelo a
chiamare in paese il medico Pietro
Voci. Per convincerlo a quella
trasferta, ci volle l’asino di
Gerardo Armogida, ma il medico
si rifiutò di salire sul duro basto,
e mandò Angelo dai Padri
Liguorini per farsi prestare la sella
da donna. I Padri, quando
andavano in missione nei paesi
sperduti, usavano quella sella
perché la sottana gli impediva di
cavalcare come i maschi. Le ore
passavano, e quando il medico
arrivò, trovò una bella bimba,
Caterina, che zio Giovanni aveva
aiutato a nascere come una
levatrice. Al medico Voci piacque
quel posto e vi rimase diversi
giorni, attirato dalle soppressate
e dal vino buono, facendo però
preoccupare mio padre per la
bocca in più da sfamare. Il medico
ricambiò l’ospitalità con una
astuzia. Sull’atto di nascita fece
scrivere: Nata in località Farina,
dove i genitori si trovavano a
villeggiare. Il medico spiegò che
era un accorgimento utile se la
bimba, da grande, avesse dovuto
sposare un forestiero: non era
necessario dovergli dire che era
nata sotto gli alberi! Non andò
così, e Caterina sposò il medico
andreolese Andrea Armogida.
Una notte una voce di uomo
echeggiò ripetutamente nella
vallata: Mastru Vicenzinu!
Qualcuno chiamava mio padre,
le zie raccomandarono di stare
zitti e spensero la lanterna a olio.
Poteva essere un traditore che
voleva scovare i fuggiaschi per
segnalarli ai tedeschi!
Mio padre si fece coraggio e
gridò: Chi sei?
L’uomo rispose: Sono il figlio di
Mannagajjha! – soprannome di
una famiglia andreolese.
Mio padre: Cosa vuoi?
L’uomo: La guerra è finita,
l’abbiamo sentito alla radio!
Mio padre: Abbiamo vinto?
L’eco faceva: o-o…
L’uomo: No, armistizio
incondizionato!
L’eco: o-o…
Mio padre: E vaffanculo!
L’eco: o-o…
Guerra e pace, vincere e perdere,
erano cose degli uomini che
l’eco non capiva. Per l’eco,
quella notte dell’8 settembre del
1943, tutto finiva con un o-o.
Salvatore Mongiardo
Agendina
giornali ucciso da Cesare Battisti
che, già con il solo nome, disonora
la memoria di quel Cesare Battisti
eroe dell’indipendenza italiana.
Nel 2009 a Sant’Andrea
incontrai Antonietta, la madre di
Andrea. Fu più forte di me, e mi
misi a parlare di Andrea, della sua
uccisione, di come lei lo venne a
sapere… Antonietta parlò con
estrema lucidità di quel giorno
terribile, e concluse:
“Dicono che bisogna perdonare,
ma io potrei dirlo solo con le
labbra, ma con il cuore no, mai!”,
e alzò ripetutamente la testa per
sottolineare il diniego.
Quando vado al cimitero del
paese, vedo la tomba di Andrea e
penso che il mondo va male perché
governato dalla feccia della terra,
i politici, i quali producono armi,
guerre, affamano i miseri e
lasciano morire i bambini. O
proteggono i delinquenti. E sogno
il giorno che gli abitanti della terra
insorgeranno per fare piazza pulita
di tutti i politici: un mondo così,
prima finisce meglio è.
Presidente Lula, quando verrà a
a cura di Feliciano Paravati
I GIORNI LIETI
Il 9 agosto, nella chiesa del
Sacro Cuore di Sant’Andrea
Superiore, hanno coronato il loro
sogno d’amore Gianluca Alcaro
e Mariagiovanna Stirparo. La
sposa ha radici nella nostra San
Floro (è figlia di Concetta
Paravati Stirparo, figlia di
Cicciuzzu Paravati ). Lo sposo è
di Soverato, ma con radici
familiari a S. Andrea dello Jonio.
Tanti i parenti e gli amici
presenti. Molto belle le parole
del sacerdote -don Calabrettasul significato che deve avere il
matrimonio, soprattutto in
questo momento di grave crisi
della famiglia. Don Calabretta ha
ricordato come l’unione cristiana
di uomo e donna debba mettere
in conto non solo le gioie ma
anche le difficoltà che la vita
insieme riserva quasi sempre. E
dunque deve essere fondata su
una forte volontà della coppia di
affrontare insieme, senza
cedimenti sia da una parte che
dall’altra, tutto quanto si andrà
ad incontrare nella vita insieme.
Dopo la cerimonia religiosa gli
sposi hanno offerto un ricco
pranzo al ristorante Costa degli
Aranci, in Montauro Scalo
Sopra - GIANLUCA E MARIAGIOVANNA
- I nonni Gaetano e Teresa
Lapiana vogliono fare una Sotto - EROS FA 3 ANNI
sorpresa dal Corriere di San
Floro e della Calabria al loro
nipotino Eros augurandogli, per
il compleanno (tre anni il 6
ottobre 2011) tanti giorni futuri
felici…
- Auguri ai coniugi dott.
Salvatore Pilò e signora
Graziella Virgillo per la nascita
il 13 giugno u.s. di una bella
bambina che ha un nome
altrettanto bello: Ginevra.
- Mario Zaccone, fratello del
nostro collaboratore Antonio, e
Isabella Cordaro hanno
festeggiato il 20 agosto u.s. a
Borgia il loro cinquantesimo
anniversario di matrimonio. Molti
auguri.
***
I GIORNI TRISTI
-Dopo una lunga malattia, il 1°
luglio .u.s., in San Floro, ci ha
lasciati Pietro Greco. Alla
moglie Antonietta Munizzi, ai
figli Franco, Tonino ed Elisabetta
le più sentite condoglianze da
parte del nostro giornale
FATE VIVERE
QUESTO
GIORNALE
ABBONANDOVI:
c/c/p 54078100
intestato
Domenico Paravati
“Invito” in Calabria (perchè no?) all’ex Presidente brasiliano Lula
Presidente Lula,
Lei ha annullato la sua visita a
Roma temendo disordini per avere
favorito la permanenza di Cesare
Battisti in Brasile. Ora io desidero
invitarla al mio paese, a
Sant’Andrea Ionio, in Calabria. Si
domanderà dove si trova e perché
quest’invito. Il mio paese è lo
stesso di un ragazzo dagli occhi
sorridenti. Si chiamava Andrea
Campagna, che emigrò a Milano
con la famiglia e diventò poliziotto.
Una mattina del 1979 vidi
Andrea sulla prima pagina dei
7
Sant’Andrea nessuno le dirà nulla
o le torcerà un capello.
L’accompagnerò io alla tomba di
Andrea e poi a casa di sua madre,
che alzerà la testa in senso di
diniego: Perdonare, mai!
Ho poche speranze che lei abbia
il coraggio di affrontare la madre
di una vittima. Dica però, al suo
protetto Battisti, di Antonietta
Campagna! Auguro a quel
vigliacco che se la veda ogni
giorno davanti mentre alza la testa
per negargli il perdono.
Salvatore Mongiardo
Appello a un abbonato sconosciuto
Il 20 giugno 2011 ci è pervenuto
l’accredito di un bollettino di
conto corrente di euro 20 con
l’indicazione “da canali
telematici”. Però non abbiamo
mai ricevuto il cartaceo, come
avviene per i normali bollettini
compilati e consegnati all’ufficio
postale. Per cui non sappiamo chi
ha effettuato tale versamento. Se
qualcuno dei nostri lettori
abbonati si riconosce è pregato di
farci avere il suo nominativo
inviando una e-mail all’indirizzo
[email protected] o telefonando al
n. 3389190271.
Questo numero del giornale è uscito grazie all’abbonamentolibero contributo di:
Montirosso Florina (rinn.)- Poirino, Pro Loco “T. Scarcella” –
San Floro, Iencarelli Giuseppe (rinn.)-Catanzaro, Viscido Lorenzo
(rinn.)- New York, Nobile Floro - San Floro, Aloi Luigi- Guidonia,
Virgillo Teresa (rinn.)-San Floro, Lacava Salvatore (rinn.)-Lainate,
Sabatino Livio (rinn.)-Genova, Maiuolo Francesco (rinn.)Castiglione Olona, Caso Mario- Squillace, Defilippo Antonio
(rinn.)-Lainate, Carrabetta Francesca (rinn.)-Fiumicello, Paravati
Munizzi Elisabetta (rinn.)-Buttrio, Maiuolo Francesco (rinn.)Torino, Rauti Antonio (rinn.)-Lainate, De Nardo Paola (rinn.)Merano, Paleologo Floro (rinn.)-Torino, Pugliese Paolo (rinn.)Casorate Sempione, Graziano Vincenzo (rinn.)- S. Floro, Bagnato
Flora Maria (rinn.)-S. Marinella, Bressi Floro-Varano Littoria
(rinn.)-S.Floro, Michele Cristofaro –Girifalco, Istituto per la
Biblioteca Calabrese (rinn.)-Soriano Calabro, Pugliese Angelo
Ubaldo (Sost. rinnovo) - Castelmassa, Nobile Flora (rinn.) Buenos Aires, Amoroso Agata Fabiola (rinn.) - Roma.
Chi non gradisce la pubblicazione in questo elenco, scriva
nello spazio “causale” del bollettino: “NOMINATIVO DA
NON PUBBLICARE” .
L’abbonamento-contributo volontario si effettua versando almeno
euro 20 con il conto corrente postale n. 54078100 intestato
Domenico Paravati- Rignano Flaminio- La vita di questo
giornale dipende esclusivamente dagli abbonati. –
L’EVENTUALE
INTERRUZIONE
DELLA
PUBBLICAZIONE NON DÀ DIRITTO AL RIMBORSO DI
QUANTO VERSATO - Dato l’alto costo delle spese postali e di
stampa l’invio viene sospeso se non coperto.
8
Corriere di San Floro e della Calabria
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
“Espropriamo l’Italia dei beni artistici ed archeologici e li trasferiamo altrove?”
Così scrisse un giorno il famoso quotidiano inglese Times
Dal sito web www.ilgalileo.eu
riprendiamo questo articolo del
direttore dell’omonimo periodico
scientifico Giuseppe Prunai che
fa riferimento alla battaglia di
Domenico Paravati perché sia
fatta luce sul “Timpunìaddhu de
i Spartacumpàri”, in agro di
Borgia, forse un antico tumulo
dai contenuti che potrebbero
essere eclatanti.
NE SUTOR ULTRA
CREPIDAM
Narra Plinio il Vecchio (I
secolo d.C.) che il pittore greco
Apelle (fine IV secolo a.C.)
avesse l’abitudine di esporre un
quadro appena dipinto dinanzi
alla propria bottega e, nascosto,
ascoltava i commenti dei
passanti. Un calzolaio, vista
un’opera, rilevò un difetto in uno
dei calzari. Apelle lo corresse
prontamente. Il giorno dopo, lo
stesso calzolaio notò un difetto
in una gamba. Allora, Apelle,
spazientito, avrebbe esclamato:
Ne sutor ultra crepidam, o
calzolaio non giudicare oltre la
scarpa! Come se il calzolaio non
fosse in grado di vedere un
difetto in un arto, in una parte
anatomica umana che aveva
sotto gli occhi tutti i giorni e della
quale egli stesso era dotato.
Insomma, il povero calzolaio
non era qualificato ad alzare gli
occhi dalle scarpe. In linguaggio
più moderno, diremmo che non
ne aveva la certificazione;
insomma, non aveva la patente.
Dal IV secolo a.C. ad oggi, sono
trascorsi un po’ più di 2.500
(duemilacinquecento) anni, ma
l’esclamazione di Apelle incombe
ancora come una maledizione
biblica su chi vuole occuparsi di
una qualsiasi tematica, della quale
è appassionato e ne ha contezza,
ma non ha la patente. Prassi
consolidata, almeno nel nostro
Paese, ostentare superiorità, quasi
arroganza, da parte di chi occupa
una certa carica e considera
qualsiasi studioso non accademico,
non inserito nell’apparato
burocratico ministeriale, alla
stregua di un ciarlatano. Sia ben
chiaro che di ciarlatani ve ne sono
tanti, ma ci sono anche tante
persone serie che studiano e
lavorano al di fuori degli schemi
canonici.
Nihil sub sole novum, recita
l’Ecclesiaste (I, 10). Basti
ricordare quanto disse l’on. Pietro
Lacava, ministro delle Poste e
Telegrafi del Regno d’Italia,
quando Guglielmo Marconi (che
non era laureato né disponeva di
appoggi di qualsiasi natura) gli
offrì il brevetto del telegrafo senza
fili: “Alla Longara!”, cioè che
andasse al manicomio di Roma,
situato, un tempo, in via della
Lungara! E Marconi, è risaputo,
emigrò in Gran Bretagna.
Ma procediamo con ordine.
Domenico Paravati è giornalista di
lungo corso. Inizi di carriera con
collaborazioni varie, poi lo troviamo
al Messaggero, quotidiano di Roma,
infine alla radio RAI. Debutto al
Giornale Radio unico (prima della
riforma del 1976), poi al GR1 di
Sergio Zavoli, infine al Giornale
Radio Rai nel quale vennero
riunificate le testate radiofoniche. Da
pensionato, il nostro Mimmo dirige
il giornale del suo paese natale e si
dedica ad un antico amore: la storia
antica e l’archeologia.
Rivisti alcuni luoghi, riletti
alcuni testi, il nostro Paravati
rilancia le proprie convinzioni sul
suo giornale. Immediata la
reazione della soprintendente per
i Beni archeologici della Calabria
che gli invia questa lettera.
“In riferimento alla Vostra nota
si comunica che l’area è nota da
tempo (anni ’60 del secolo scorso)
a seguito di segnalazioni di studiosi
ed eruditi del luogo, che ne hanno
fatto menzione in articoli a
carattere locale, ma preliminari
sopralluoghi effettuati, negli anni,
dai funzionari pro tempore e da
collaboratori altamente qualificati,
quali E. Arslan, hanno escluso la
sua natura archeologica.
È stata riscontrata, invece, la
sua composizione con sabbie e
terreni fossiliferi di tipo analogo
a quello delle colline vicine,
testimonianza dei fenomeni
erosivi ed alluvionali che da
sempre interessano la zona.
Un ulteriore riscontro è stato
possibile avere osservando uno
scavo clandestino realizzato con
ruspe da “cercatori di tesori”,
purtroppo stimolati da articoli
come quello da Voi scritto e da
dicerie popolari.
In nessun caso sono stati mai
osservati o recuperati manufatti
di qualsiasi epoca storica o
protostorica o di qualsiasi natura.
Firmato:
IL SOPRINTENDENTE :
Simonetta Bonomi”
proprio? E quando ? E con quali
risultati ufficiali scritti? In ogni
caso quei tempi (Anni SessantaSettanta-Ottanta) erano diversi
da quelli attuali, in cui la
tecnologia è molto avanzata.
Adesso mi pare che non ci sia
bisogno di scavare per sapere se
sotto un monticello di sabbia con
fondo in argilla si nasconda
qualcosa di solido e antico.
Inoltre: è fin troppo noto che
l’area intorno è ricchissima di
reperti archeologici, soprattutto
greci, tanto che nella primavera
BORGIA - Il tumulo (?) del Corace. È la tomba di Re Italo? La
collinetta (artificiale?) si trova nei pressi dell’ipotetica città
greca di Krotalla
Questa la prima parte della
replica di Paravati (testo
completo nel n.1/2011 del
“Corriere di San Floro e della
Calabria”):
Gentile Dottoressa Bonomi,
mi dispiace dirLe che le Sue
asserzioni non mi convincono
affatto. So della bravura di
Arslan, che ho conosciuto di
persona e con il quale, insieme
con il dott. Spadea negli Anni
Ottanta, se ben ricordo, abbiamo
fatto una passeggiata in auto
proprio dalla Roccelletta fino a
San Floro, passando dalle
contrade Varrèa, Abate e Gilo
(anzi, su quest’ultima collinetta
ricordo che disse: “è il sito
classico di una villa romana;
sono sicuro che se mi metto a
scavare lassù ne troverò i resti
”; quindi anche lui si lanciava
in ipotesi). Temo che anche sul
nostro timpone abbia solo
avanzato un’ipotesi. Non
corredata da prove. O c’è stato
un sondaggio geologico vero e
del 2008 l’allora governatore
della Calabria, Loiero,
ufficializzò in una conferenzastampa il “ritrovamento
archeologico più importante
degli ultimi trent’anni” nei pressi
della costruenda cittadella
regionale di Germaneto, ad un
tiro di schioppo dalla loc. Varrèa
(intorno alla quale c’è un
moltiplicarsi di grandi lavori
stradali). Sull’argomento, il 22
giugno 2008 il Quotidiano della
Calabria, pagina 52, pubblicava
un mio ampio articolo dal titolo
“Il mistero della Valle del
Corace” proprio sotto un altro
testo a firma del Suo
predecessore, Caterina Greco,
articolo dedicato ai “nuovi tesori
di Kaulon”.
Anche la Greco era al corrente
quindi di quanto vado scrivendo
da anni; ma, come è forse buona
regola tra i Soprintendenti alle
Antichità, si è guardata bene dal
rispondere ad un dilettante sul
famoso timpone, che io invece
sono convintissimo non sia
“naturale” ma non ho la
possibilità fisica di dimostrarlo;
anche perché non ho le carte in
regola per andare a ispezionare
località private…
A questo punto, è facile,
soprattutto per un giornalista che
ne ha viste un po’ troppe, non
ripensare alla teoria vichiana dei
corsi e dei ricorsi storici. Negli
anni 80 del secolo scorso, un
direttore di banca, appassionato
di storia antica, notò in
campagna, in un terreno di sua
proprietà, una collinetta il cui
profilo somigliava moltissimo ad
un ipogeo, cioè la parte superiore
di un’antica tomba, il tumulo che
la copre. Segnalò la cosa alla
Soprintendenza competente ma
non ricevette risposta. Scrisse
ancora e ancora e finalmente
ricevette due righe, non a firma
del soprintendente, bensì del vice
scambio del sottoaiuto che lo
informava che in quella zona non
esistevano antichi sepolcreti. E’
facile immaginare ciò che
avranno detto i solerti funzionari:
Cosa? Un bancario ci vuole dare
lezione? Ma vada….
Conclusione: il nostro bancario
si armò di piccone e badile e, al
cospetto di una troupe televisiva
che documentò tutto, cominciò a
scavare portando alla luce una
tomba etrusca ancora inviolata,
piena di preziosi manufatti. Al
nostro non restò che avvertire i
carabinieri, che ne informarono chi
di dovere che, quando si decise ad
intervenire, trovò la tomba
saccheggiata dai tombaroli.
E sono i ricorsi storici che ci
riportano con la memoria
all’opera di un altro dilettante: un
certo Heinrich Schliemann,
storico e archeologo non
accademico, la cui formazione
scolastica si fermava alle prime
classi del ginnasio e che portò
alla scoperta delle rovine della
città di Troia e di altre otto
antiche città, stratificate l’una
sull’altra.
È’ un fatto accertato il massimo
disinteresse dello stato italiano,
delle sue articolazioni e dei suoi
funzionari (tutti con la patente)
per i beni culturali del nostro
paese. Un esempio recente, i crolli
di Pompei. Ma si potrebbe
continuare. Nelle lettere e negli
articoli di Paravati si parlava di
reperti trafugati e di siti sepolti sotto
le strutture dell’acquedotto. Anche
questa è storia di sempre, è prassi.
Dopo l’alluvione del 4 novembre
1966, nel centro di Firenze si
svolgevano dei lavori di restauro del
caveau di una banca, quando gli
operai trovarono qualcosa che
somigliava molto ad un sito
archeologico. Alcuni esperti
azzardarono l’ipotesi che si trattasse
dei resti dell’accampamento di
Catilina. Ma se avessero torto o
ragione non lo sapremo mai. Per
paura che i lavori fossero interrotti
per consentire ricerche e studi, tutto
fu sepolto sotto una colata di
cemento. La punizione non tardò a
venire. Trionfò la nemesi storica,
anzi, nella città dantesca, la legge
del contrappasso: di lì ad alcuni anni
banca ed impresa fallirono.
Ma si potrebbe continuare
all’infinito ad elencare esempi ed
episodi di incuria e disinteresse.
A Milano, i resti della famigerata
“colonna infame” si trovano
negli scantinati di un negozio di
frutta e verdura nella zona di
Porta Ticinese; mentre, sempre
a Milano, il basamento della
torre romana che in antico
svettava nei pressi del Carrobbio,
è inglobato in un cavedio e può
essere ammirato soltanto dalla
finestrella del cesso di un bar.
Alcuni decenni fa, dopo un
ennesimo episodio di incuria, il
Times lanciò una provocatoria
proposta: espropriare l’Italia dei
suoi beni artistici ed archeologici
e trasferirli altrove, un modo –
secondo The Times – per salvarli
e tramandarli. E si chiedeva: ci
sarebbero ancora la Gioconda e la
Vergine delle rocce se non fossero
state conservate al Louvre? Ci
sarebbe ancora il Fetonte di
Michelangelo o il Capitano antico
di Leonardo se non fossero finiti
al British Museum?
Cosa rispondere?
Giuseppe Prunai
LA SCOMPARSA DI GUALTIERO JACOPETTI
Quando è vietato dire la verità
Il giornalista-regista girò Mondo Cane anche a Nocera Terinese - Sulla morte: “Non ho paura. Non credo che tutto finisca con la vita”
A metà agosto è morto a Roma, scomodo; attore, regista, tempo proprio per il “taglio”
a 91 anni, Gualtiero Jacopetti, fondatore del cinegiornale Ieri, irrispettoso nei confronti dei
giornalista di valore ma oggi, domani che durò poco potenti. Famoso soprattutto per:
Mondo Cane, Mondo
Cane 2 e Africa Addio.
Nel
primo,
filmdocumentario, vi è anche
la famosa scena dei
“vattienti” di Nocera
Terinese, che sconvolse i
bempensanti di tutt’Italia,
per quel sangue che si
vedeva scorrere dalle
ferite degli attori presi dal
vero, e nella stessa
cittadina calabrese ci fu
una dura presa di
posizione perché tutti
pensavano invece che il
giornalista fosse andato lì
solo per fare una
tranquilla pubblicità al
Nocera Terinese, Settimana Santa 1960- L’attrice ed amante di
Gualtiero Jacopetti, Belinda Lee, fotografata mentre era in corso paese, come usa tuttora dalle
la ripresa dei “Vattienti” per “Mondo Cane”. Belinda Lee - nostre parti. Jacopetti l’ho visto
interprete di Messalina in un popolare film- era stata in all’opera proprio in occasione
precedenza amante segreta di Filippo Orsini, “principe assistente delle riprese di Mondo Cane a
al Soglio Pontificio”. In seguito allo scandalo il Papa tolse quel Nocera (era accompagnato
titolo alla nobile e antica famiglia romana. L’attrice morì un dall’attrice Belinda Lee, uno dei
anno dopo la sua apparizione in Calabria in un incidente d’auto tanti suoi amori, dopo quello
negli Stati Uniti, al fianco di Jacopetti, che invece le sopravvisse “scandaloso” con la zingarella
quattordicenne che fu poi
fino a metà dell’agosto scorso.
costretto a sposare…). A lui si
ispirò un altro grande del
cinema, Federico Fellini, per la
figura del protagonista della
Dolce Vita, affidata a Marcello
Mastroianni.
Jacopetti era scomodo perché
amava dire e registrare la verità,
anche se dolorosa e irritante.
Venne dai suoi stessi colleghi
considerato uno fuori dal mondo
e quindi dimenticato per
anni e anni, fino alla
morte
nell’agosto
scorso e alcune ultime
(per pietà o riparatrici?)
apparizioni in tv e su
alcuni giornali, visto che
stava ormai morendo.
Tra le sue verità
scomode,
quella
secondo la quale la
“liberazione” dei popoli
africani dalla tirannide
delle potenze coloniali
(Inghilterra, Francia,
Italia, ecc.) avrebbe
inevitabilmente portato
quegli stessi popoli a
scannarsi fra di loro “per altri due
secoli”. Ma la sua fredda e
realistica diagnosi - come
dovrebbe essere sempre per un
giornalista libero - fu scambiata
come l’affermazione “politica”
per cui quei popoli “dovevano”
continuare a stare sotto il
tallone degli altri più o meno
civilizzati Paesi occidentali.
Egli fece, in realtà, solo una
diagnosi, come fa un medico
onesto. Ma nel mondo
giornalistico, soprattutto
nostrano, la verità spesso non
si può dire: perché può far
male.
Gualtiero Jacopetti, pur
dichiarandosi ateo, sulla morte
ha detto: “Non ho paura. Non
credo che tutto finisca con la
vita”. Non è il solo a pensarla
così.
Barbabianca
NOCERA TERINESE - I “Vattienti” (2002, da “Ciao San Floro
Ciao Calabria” di Domenico e Feliciano Paravati)
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
Corriere di San Floro e della Calabria
9
OBIETTIVO EMIGRAZIONE, LONTANA E VICINA
Paolo Condello, dagli Stati Uniti ricorda il nonno materno Paolo Casadonte (S.Floro)
Ricostruita la storia di un nostro emigrato in America a fine Ottocento. Provate a tradurla dall’originale: è facile… - “Gli immigrati italiani lavoravano duro
ed erano talvolta chiamati guappi” - “Ora c’è un simpatico cimitero in Maple GrovePark dove sono raccolti i resti di coloro i cui familiari non avevano avuto
la possibilità di un funerale. Ma su gran parte delle ossa fu fatta passare un’autostrada”
Caro Domenico,
my sister-in-law, Nadine, sent me
a copy of your note concerning
Marianna Casadonte (*). When I
was a teenager, my mother’s
mother, Concetta Casadonte,
would ask me to write the address
on her letters to her sister and your
grandmother, Elisabetta. ..
…
My grandmother was
Concetta. Was her maiden name
Cordaro? She had five children. I
attached a photo. At the top from
the left to right it is Mary, Concetta,
Erminia. The other younger
children from left to right are
Salvatore, Columbia and Theresa
(my mother). Salvatore married
Theresa Marino and they had three
children: Paul, Peter, and
Maryann. Salvatore Casadonte
was a wonderful man. He died at
age 41 of cancer of the spine. His
son Peter, my beloved cousin, died
of colon cancer at age 56. Theresa,
his wife, my Godmother, died last
year at age 89. Paul Casadonte is
a famous psychiatrist in New York
City (…).
Condello, Paul Joseph
Salvatore
[email protected]
(*) Nel numero scorso,
nell’Agendina, avevamo pubblicato
la notizia della morte della
sanflorese Marianna Casadonte
ved. Cristofaro. Il nonno materno
di Paul Condello, che invia questa
e.mail ,era Paolo Casadonte,
emigrato negli Stati Uniti più di
cento anni fa. Uno dei nipoti, per
linea maschile, è un suo omonimo
(Paul Casadonte), attualmente
“famoso psichiatra” in New York.
Ciao Domenico,
Yesterday was our Independence
Day. I watched the fireworks over
the Statue of Liberty. Many
immigrants from Italy passed the
Statue of Liberty when they came
to the United States in the early
1900’s , in hope of a better life.
Some worked on the railroads, and
some worked in the Pennsylvania
coal mines where they were slaves
to the mine owners. My
grandfather Vincenzo Condello
worked as a bricklayer. The Italian
immigrants worked very hard and
were strong laborers. They were
sometimes called “wops” in a
sarcastic manner, from the word
guappo.
We’re almost sure that Paolo
Tempo di ritorno (1970)
Dal popolare bollettino parrocchiale L’Eco di San
Floro riprendiamo questo testo apparso nel lontano
dicembre 1970, cioè più di quarant’anni fa. Vi vengono
ricordati l’emigrazione verso il Nord e l’arrivo
(finalmente!) dell’acqua nelle case mentre ancora
non era stata costruita l’autostrada Salerno-Reggio
Calabria; e da Roma a San Floro si poteva
viaggiare, per un’intera giornata, magari
in Cinquecento, seguendo l’antica statale 18.
Ora l’aria incomincia a farsi
fredda e per Natale sono rimaste
solo poche settimane. Ormai è
tempo di ritorno. Maria Pia e Floro
– i miei fratelli – passano ore intere
con me a discorrere dei preparativi
per la partenza. “Dovremo portarci
le catene – dice Floro – Chissà che
a Lagonegro non incontriamo la
neve”. “A zia Tetè ed alla nonna
porteremo i baci di cioccolato –
aggiunge Maria Pia, la dolce
minuta sorellina - A Feliciano solo
un libro. Forse farà il muso lungo,
ma deve capire: la bicicletta l’ha
già avuta qualche mese fa, per la
promozione alla quinta. Ora perciò
deve accontentarsi di un libro di
Salgari”. “E la casa, la casa credete
che sarà veramente bella, come la
immaginiamo?”
***
“La casa -ci ha scritto nostro
padre- non la riconoscerete più. È
più grande e più accogliente. Ora
abbiamo anche l’acqua calda e
fredda (Oh l’acqua…Il mio paese
fino a qualche anno fa era
assetato, aveva bisogno di acqua.
E l’acqua, promessa da cento
bocche, non arrivava mai…Le
donne – con i recipienti di
terracotta – facevano la spola tra
la casa e “Cannàlica”, sotto il
dardeggiare del sole d’estate o con
la pioggia dell’inverno…).
“Ho fatto venire degli operai da
Borgia per questo delicato lavoro.
Qui di capomastri è difficile
trovarne: quei pochi che non sono
partiti per la Svizzera sono
occupati. Non sapevo a chi
rivolgermi. E così ho fatto venire
capomastro ed operai da Borgia.
Ora tutto è a posto. Ho speso un
occhio. Ma sarete contenti. Natale
è vicino e sono sicuro che verrete,
come ogni anno…”.
***
Caro papà, certo che verremo.
Moriamo dalla voglia di dare cento
baci a te, a mamma, ad Elisabetta
e Feliciano. E moriamo dalla
voglia di farci il primo sonno nella
nostra nuova casa, questa casa che
ti è costata tanto sudore e tante
pene. Verremo a prendere il sole
sulla terrazza, verremo per
godercela assieme a te questa
nuova casa. Certo, papà; certo che
verremo in Calabria.
***
Maria Pia ha tutti i pensieri per
la sorella che fra qualche mese
andrà sposa: “Cosa le porterò: una
borsetta, un paio di guanti bianchi
o una spilla d’oro?”. Elisabetta è
l’angelo della nostra casa calabrese
e il giorno del matrimonio, a Dio
piacendo, non so se mia madre
verserà più lacrime o avrà più
sorrisi. Elisabetta non ha mai
voluto studiare, dopo le elementari
(una ferita nel cuore di mio padre);
ma quanto amore per i genitori,
quanto amore per i fratelli; quante
camicie stirate, quanti vestiti
rammendati, quanti dolci
rimproveri…Anche Elisabetta ha
scelto bene la sua strada: il suo
posto naturale è solo la casa. Io le
auguro dieci figli ed una vita di
sposa felice.
***
Feliciano sta invece in cima ai
pensieri di Floro. Quando siamo al
paese, l’uno è l’ombra dell’altro.
Feliciano è il fratellino di dieci anni
. Noi pensiamo sia nato per sbaglio
perché arrivò piangendo una notte
di febbraio, dopo dieci anni
dall’ultimo parto di mia madre. Quel
batuffoletto di cotone caduto dal
cielo non ci trovò molto lieti del suo
arrivo. Maria Pia, nei primi mesi,
provava addirittura un’avversione
Casadonte came to the United
States in1899 at age 27. Photo of
Paolo attached. He came over two
different times. He was an
entrepreneur and opened a
shoemaker shop called “Casadonte
Shoe” in Jersey City, New Jersey.
I attached a photo of Paolo outside
of his shop (circa 1915) with his
four girls Mary, Minnie, Connie(on
Minnie’s lap), and my mother,
Theresa, on the right. Salvatore
was a baby and was probably home
with Concetta. They lived close to
his shop, so the girls were close to
their father. Mary would always
say how close she was to her father,
and how much she loved him. She
said he was a very kind man. About
this time Paolo became very ill with
the consumption. He was taken to
the HudsonCountyHospital at a
place called Laurel Hill, which was
also called “Snake Hill”. I get very
emotional when I think of him in
that hospital, suffering alone, with
five young children. He died in
November of 1916.
My grandmother, Concetta
Cordaro
Casadonte , could not
FAMIGLIA CASADONTE, PRIMO NOVECENTO, JERSEY
afford
a
burial
and he was taken to
CITY - Da sinistra in alto: Mary, Concetta Cordaro (moglie di
Paolo Casadonte e sorella di Bettuzza e Mariuzza, rimaste in a potter’s field and buried on Snake
S. Floro), Erminia, Salvatore, Columbia, Theresa
Hill in Secaucus N.J. In the 1960’s
my cousins Fred Seeber (Connie’s
son), Paul and Peter Casadonte
(Sal’s sons), and I would search the
grounds of the burial grounds in
search of Grandpa’s grave. There
were only a few markers, but they
were small stones with only
numbers on them. The rest is a long
story. The politicians of our great
country decided to build a large
autostrada (New Jersey Turnpike)
on top of the grave site. There were
protests, and after many years, the
human remains that could be found
were moved to a lovely cemetery
in Maple GrovePark. It was the
largest internment of human
remains in United States history!!
We’re sure Paolo was included.
My Cousin Fred and I had the
honor of attending our Grandpa’s
funeral ceremony at the cemetary
in November of 2004, eighty-eight
years after his death. It was very
emotional. We were all very proud
of Paolo Casadonte!
You can find more information
on the Google-“The Dead of Snake
Hill”.
Con molto affetto,
Paolo Condello
LA DIASPORA ANNI SESSANTA
Un emigrato, tornando in vacanza, si sente un “intruso”
Illustre Domenico,
scusami per quello che ti sto
chiedendo, ma penso che tu
come persona cui sta a cuore il
comportarsi delle persone del
nostro paesello, possa fare
qualcosa per farlo uscire da quel
torpore che sta contagiando
quasi tutti. E mi spiego meglio.
Una buona parte del paese é di
destra, ma questo potrebbe
essere una manifestazione di
dissenso. I ragazzi, oltre che
rifugiarsi nelle loro auto,
addirittura per comunicare fra di
loro abbassano il finestrino
rimanendo seduti nella propria
vettura; i bambini della scuola
non la frequentano senza che
nessuno ne faccia un dramma
(secondo me c’è invece il
dramma se non si va a scuola).
Però nessuno fa niente. I giovani,
pur di non contraddire i vecchi,
non riescono a formarsi un
proprio carattere, formarsi una
famiglia, affrontare la vita con i
suoi alti e bassi ma che è la vita.
Forse sarò un po’ pessimista,
ma nel percorrere le strade dove
ho vissuto fino all’età di 24 anni,
ho avuto la sensazione d’essere
un forestiero, quasi un intruso.
Si festeggiano i 150 anni
dell’unità d’Italia; ma ho
provato a parlare con qualche
giovane chiedendogli se sapeva
veramente chi è stato Cavour, chi
è stato il generale Cialdini, chi
erano e chi sono i massoni, chi
era veramente Giuseppe
Garibaldi, il perchè fu ferito solo
in Aspromonte, chi erano i
Caracciolo.
Ho visto che sul giornale di
San Floro racconti la storia. Non
pensi che rivedere un po’ la storia
farebbe ai nostri paesani magari
organizzare una serata su questo
tema nel mese d’agosto?
Un cordiale saluto.
Floro Rauti
Caro Floro,
parlare di storia nazionale non
è nei nostri programmi
editoriali. Se qualche volta tocco
la storia, mi riferisco sempre a
quella locale, in particolare a ciò
che ho “visto” di antico con i
miei occhi nelle località più
vicine a noi.
Questa lettera viene pubblicata
ad agosto già passato proprio
perché, nel momento in cui l’ho
ricevuta (10 giugno), non sapevo
cosa fare per aiutarti. Per quanto
riguarda quella che tu in un certo
senso definisci indolenza dei
giovani sanfloresi, che dirti?,
anche a me sembra, ad occhio,
una malattia diffusa. Ma capirne
le cause non è proprio facile e
comunque il discorso sarebbe
lungo. Da aggiungere che noi
(delle passate generazioni)
emigravamo perché c’erano più
possibilità di lavoro fuori dalla
Calabria. Un sanflorese, adesso,
sarebbe sicuro di farcela
prendendo il treno per Milano?
Forse sì e forse no. Noialtri invece
eravamo sicuri di trovare, se non
subito, almeno nel giro di pochi
mesi, una sistemazione onorevole.
Come credo sia capitato a te ed è
certamente capitato a me.
D.P.
’A SPARTENZA OPPURE LA VOGLIA DI RIMANERE
...Ma noi rimasti non siamo vigliacchi. Io amo Catanzaro.
Anzi voglio costruire su di essa il mio futuro
‘A spartenza (la partenza) è un
canto popolare del Sud Italia che
ho imparato da bambina quando
mio fratello maggiore, voce
principale del gruppo folkloristico
della scuola, lo intonava ogni anno
durante gli spettacoli, nella
commozione generale della sala,
con valigia di cartone in mano e
vestito tipico di velluto. È un canto
d’addio che un giovane emigrante
dedica alla sua donna, alla sua
famiglia e alla sua terra prima di
intraprendere il triste viaggio che
lo porterà lontano da tutto quello
che ama. Avevo circa sei anni e non
capivo perché quel canto fosse
tanto sentito, fintanto che, una volta
cresciuta, “’a spartenza” ha smesso
di essere una rappresentazione ed
è diventata la realtà.
Con o senza diploma o laurea in
mano, ho visto tantissimi ragazzi
scegliere di partire e lasciare
Catanzaro, alla scoperta di città più
grandi, più belle, o semplicemente
diverse. Se ne sono andati perché
qui non c’è futuro o perché quello
che c’è non è abbastanza per loro.
Tutti, i coraggiosi e gli incoscienti,
sono partiti e continuano a partire
pieni di speranze, alcuni felici e
desiderosi di lasciare una realtà
troppo piccola per loro, altri
decisamente meno entusiasti, con
la medesima malinconia degli
emigranti di un tempo e il cuore più
pesante della loro stessa valigia,
oramai non più di cartone.
Una volta partiti, il tempo e la
lontananza li cambiano. Tutti
ritornano almeno d’estate, alcuni a
cuor leggero, perché la nuova vita
che si sono creati altrove è
esattamente quello che volevano;
altri un po’ seccati, come se tornare
a Catanzaro significasse far ritorno
ad un luogo privo di civiltà; altri
ancora più malinconici e talvolta
arrabbiati di quando sono andati
via, perché la loro nuova vita è
quello che volevano, ma lo
volevano qui, a casa loro, nella loro
terra. Talvolta poi qualcuno ritorna
per restare, perché il suo legame con
questi luoghi è talmente forte che
da essi dipende la sua serenità; e
così si unisce al nutrito gruppo di
ragazzi che non se ne sono mai
andati, che hanno scelto di
rimanere.
Chiunque accusi chi è rimasto di
aver preferito una vita comoda o di
essere un vigliacco non riesce a
comprendere che Catanzaro con i
suoi luoghi pieni di contraddizioni e
zone d’ombra è una città di una
silenziosa bellezza che in alcune sere
esplode con tutta la sua forza; e
quando si subisce il fascino di questo
spettacolo si è inesorabilmente
ammaliati e, come fosse un grande
amore, si sceglie di fidarsi di questa
terra e di costruire con essa e su di
essa il proprio futuro.
Francesca Cosentino
per lui, chissà perché. Ora però so
benissimo che Feliciano è
indispensabile alla nostra famiglia.
Lo abbiamo visto crescere di
giorno in giorno, di anno in anno,
e l’affetto per lui, il più piccolo, lo
scavezzacollo aumenta sempre a
dismisura.
***
Così, ora che è tempo di ritorno,
noi già pregustiamo le gioie
dell’incontro con il resto della
famiglia e con la terra madre.
Partiremo all’alba, dopo avere
stipato valigie e cappotti nella
minuscola cinquecento. E al
tramonto, come sempre, il cuore
avrà un sussulto quando, dai monti
della Lucania, grazie a Dio,
scenderemo verso il mare. E Praia,
con l’isola Dino, primo lembo di
Calabria, saranno ad accoglierci a
braccia aperte.
Mimmo Paravati
10
Corriere di San Floro e della Calabria
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
UN SALTO NEL PASSATO LEGGENDARIO
Ulisse, Nausicaa, Alcinoo, la terra dei Feaci nella ricerca di Luigi Aloi
Luigi Aloi, spinto dall’amore verso la sua terra d’origine (Borgia), ha messo insieme in una simpatica ricerca (che, come egli stesso ammette, “non ha valore
scientifico avendo io utilizzato quasi esclusivamente internet”) luoghi e personaggi che hanno o si ritiene abbiano avuto a che fare con la parte centrale
dell’attuale Calabria; per meglio dire, quella fascia di terra che va dal golfo di Squillace a quello di Lamezia. Pubblichiamo quanto Aloi ha raccolto sul
personaggio Ulisse e sul suo incontro con il re dei Feaci, Alcinoo, mettendo in risalto almeno in parte quanto ipotizzato dal prof. Armin Wolf in un suo libro
(Die wirkliche Reise des Odysseus: zur Rekonstruktion des Homerischen Weltbildes, München, Wien, Langen-Müller, 1983, 3. Auflage 1990).
L’Odissea (Odysseia) è un grande
poema epico greco attribuito al poeta
Omero, scritto intorno all’ottavo
secolo a.C. Racconta le avventure
dell’eroe greco Odisseo (o Ulisse, alla
latina) durante il lungo viaggio di
Ulisse
ritorno nella sua amata patria, Itaca,
dopo la caduta di Troia. L’Odissea
è divisa in 24 libri. In origine il poema
era tramandato oralmente da abili ed
esperti aedi. La storia si svolge
intorno al mitico Ulisse che, per
ritornare in patria, deve affrontare un
viaggio straordinario e pieno di
insidie, deve lottare contro gli dei, ma
alla fine riesce a raggiungere la sua
isola. Di questo viaggio, tra il reale ed
il fantastico, tra luoghi e posti veri e
immaginari, vogliamo raccontare, la
parte che riguarda l’incontro di Ulisse
con i Feaci.
Dopo svariate peripezie, Ulisse
trascorre gli ultimi sette anni
prigioniero -sulla lontana isola Ogigia
- della ninfa Calipso. Un giorno
decide di scappare e si costruisce una
zattera. Ma poichè il dio del mare,
Poseidone, gli è nemico, fa
inevitabilmente naufragio, e riesce a
salvarsi a nuoto, raggiungendo
Scheria, la terra dei Feaci sulla cui
riva, nudo ed esausto, cade
addormentato.
“Uscito dal fiume, l’eroe fra i giunchi
cadde bocconi, baciò la terra dono
di biade; ma disse affranto al suo
cuore magnanimo: “Ohimè, che
succede? Che altro mi capita?
Se veglio qui presso il fiume la notte
affannosa, temo che insieme la mala
brina e l’umida guazza non mi
finiscano il cuore, stremato dalla
fatica: un vento freddo spira dal fiume
avanti l’aurora. E se, il clivo salendo,
su per la selva buia,tra i fitti cespugli
mi distendo a dormire, e mi passano
freddo e stanchezza, e dolce viene a
me il sonno, temo di cader preda e
cibo di fiere”.
Questa, però, pensando, gli pare la
cosa migliore.
E mosse verso la selva; la trovò
non lontano dall’acqua, su una
piccola altura; s’infilò sotto un
doppio cespuglio, cresciuto
insieme da un ceppo d’olivo e
oleastro” (Odissea, V)
Il mattino dopo, svegliatosi, sente
delle risa di ragazze. Vede la giovane
Nausicaa che era andata sulla spiaggia
accompagnata dalle sue ancelle per
lavare i panni. Ulisse chiede così aiuto,
ed ella lo esorta a chiedere l’ospitalità
dei suoi genitori Arete e Alcinoo, re
dei Feaci.
“Ma tu sollecita il padre glorioso,
avanti l’aurora, a prepararti la mula
e il carro, che ti trasporti cinture e
pepli e mantelli vivaci; e anche per te
così è molto meglio che andare a
piedi: son molto lontani dalla città i
lavabi”. (Odissea, VI)
Queste
lo
accolgono
amichevolmente senza nemmeno,
dapprima, chiedergli chi egli sia.
Ulisse arriva nella città dei Feaci,
come ospite nel palazzo diAlcinoo.
Ma come in vista della città
arriveremo - un muro la cinge, alto,
e da un lato e dall’altro sono due
porti, ma stretta è l’entrata [...]”.
(Odissea, VI)
“Allora Odisseo si alzò per andare
in città: e intorno Atena gli versò
molta nebbia, pensando il suo bene,
perchè nessuno dei Feaci superbi,
incontrandolo, parole ingiuriose
dicesse o chiedesse chi era”.
(Odissea, VII)
“Cinquanta ancelle erano in casa di
Alcinoo: alcune con mole moliscono
giallo frumento,
altre tessono tele e girano fusi, sedute,
simili a foglie di altissimi pioppi: dalle
tele in lavoro gocciola limpido l’olio.
Quanto i Feaci son sapienti sugli
uomini tutti a reggere l’agile nave sul
mare, altrettanto le donne son
tessitrici di tele; a loro Atena donò in
grado massimo di far opere belle e
d’avere savia mente”. (Odissea, VII)
I Feaci erano un popolo
meraviglioso, progredito ed in pace,
esempio della migrazione. Scheria è
la loro nuova patria. I Feaci vivevano
una volta lontano da questa terra…
“…che una volta abitavano
nell’ampia Iperea, vicino ai Ciclopi,
uomini oltracotanti,
che li depredavano ed
erano più forti.
Li tolse di là Nausitoo
simile a un dio, li
condusse e insediò a
Scheria, lontano
dagli uomini che
mangiano pane,
cinse la città con un
muro e costruì le
dimore, e fece i templi
degli dei, e i campi
spartì»
…Il palazzo dove
vivevaAlcinoo era un
posto stupendo.
“[…] Ma Odisseo andava al palazzo
stupendo d’Alcinoo, e molto in cuore
esitava, là fermo, senza passare la
soglia di bronzo. Come splendore di
sole c’era, o di luna, nell’alta casa
del magnanimo Alcinoo. Muri di
bronzo di qua e di là s’allungavano
dalla soglia all’interno; e intorno un
fregio di smalto. Porte d’oro la solida
casa dentro chiudevano, d’argento
s’alzavano su bronzea soglia gli
stipiti; e l’architrave di sopra era
d’argento, d’oro l’anello: d’oro e
d’argento ai due lati eran cani, che
Efesto fece con arte sapiente, per
custodire la casa del magnanimo
Alcinoo; per sempre immortali erano
e senza vecchiezza.
Lungo il muro si appoggiavano i
troni, di qua e di là, in due file, dalla
soglia all’interno; e pepli sopra sottili,
ben tessuti, eran gettati, lavori di
donne.
Là dei Feaci sedevano i principi, a
bere e mangiare: in abbondanza ne
avevano. Fanciulli d’oro sopra solidi
piedistalli si tenevano dritti, reggendo
in mano fiaccole accese, illuminando
le notti ai banchettanti in palazzo.
Cinquanta ancelle erano in casa
d’Alcinoo: alcune con mole
moliscono giallo frumento,altre
tessono tele e girano i fusi, simili a
foglie d’altissimi pioppi: dalle tele in
lavoro goccia limpido l’olio.
Quanto i Feàci sono sapienti sugli
uomini tutti a reggere l’agile nave sul
mare, altrettanto le donne son
tessitrici di tele; a loro Atena donò in
grado massimo di far opere belle e
d’aver savia mente.
Fuori, poi, dal cortile, era un grande
orto, presso le porte, di quattro iugeri
corre tutt’intorno una siepe. Altialberi
là dentro, in pieno rigoglio, peri e
granati e meli dai frutti lucenti, e fichi
dolci e floridi ulivi; mai il loro frutto
vien meno o finisce, inverno o estate
per tutto l’anno: ma sempre il soffio
di Zeffiro altri fa nascere e altri
matura. Pera su pera appassisce,
mela su mela, e presso il grappolo il
grappolo, e il fico sul fico.
Là anche una vigna feconda era
piantata, ed una parte di questa in
aprico terreno matura al sole;
d’un’altra vendemmiano i grappoli
e altri ne pigiano; ma accanto ecco
grappoli verdi, che gettano il fiore,
altri appena maturano.
Più in là lungo l’estremo filare, aiuole
ordinate d’ogni ortaggio
verdeggiano, tutto l’anno ridenti.
E due fonti vi sono: una per tutto il
giardino si spande; l’altra all’opposto
corre fin sotto il cortile, fino all’alto
palazzo: qui viene per acqua la gente.
Questi mirabili doni dei numi erano
in casa d’Alcinoo”. (Odissea, VII)
L’eroe greco rimane alcuni giorni
ospite di Alcinoo, partecipa a gare
atletiche e ascolta il cieco cantore
Demodoco esibirsi nella narrazione
addormentato come un angioletto
sulla spiaggia dell’isola, circondato
da molti doni e da grandi ricchezze; e
al suo risveglio prenderà avvio
l’ultima parte della vicenda narrata
dall’Odissea, che finirà con la lotta di
Odisseo contro i centootto Proci e la
loro cruenta uccisione.
Triste sarà invece il ritorno della
nave dei Feaci, che mai ritornerà a
Schèria, quella nave che correva
sicura, diritta, più veloce del nibbio,
dello sparviero, e dietro l’onda del
mare urlante spumeggiava
sconvolta; perché Poseidone, quando
già la nave è in vista della città,
affinché tutti i Feaci possano assistere
dalla riva alla punizione divina, la
trasformerà in pietra, fermandola nella
sua rapida corsa e radicandola nel
profondo del mare, ma tutto questo
era stato previsto.
«Ma una volta sentii dire questo a mio
padre Nausitoo: diceva che
Poseidone era irato con noi, perché
senza danno siamo guide di tutti.
Diceva che un giorno avrebbe
spezzato una nave ben costruita ai
Feaci, mentre sul mare fosco da un
viaggio di scorta tornava, e avrebbe
avvolto la nostra città d’un grande
monte».
“Così parlava il vecchio, e questo il
dio compirà o lascerà incompiuto,
Qui sopra: “Ulisse e Nausicaa” del
pittore fiammingo Michele Desubleo - A
destra: “Nausicaa” del pittore inglese
Frederic Leighton - In basso: “Ulisse
alla corte di Alcinoo” del pittore italiano
Francesco Hayez
di due antichi poemi.
I Feaci lo riportano in patria, con le
loro navi senza pilota. Pagheranno per
questo loro gesto.
«Infatti, i Feaci non hanno pilota, le
navi non hanno i timoni che hanno
le altre, ma sanno da sole i pensieri e
la mente degli uomini, le città e i grassi
campi di tutti conoscono, e
traversano veloci l’abisso del mare
avvolte nella foschia e in una nube:
esse non temono mai di soffrire alcun
danno o d’andare in rovina».
Dopo l’ennesimo banchetto,
cinquantadue giovani feaci, robusti
rematori, riescono finalmente a
riportare a Itaca Odisseo, e lo lasciano
come piace al suo cuore.”. (Odissea,
VIII)
Questo popolo ha pagato con la
morte dei suoi uomini, l’aver voluto
aiutare Ulisse contro il volere degli
Dei, e così Alcìnoo, dopo il disastro
della nave dice:
«Ma su, come io dico facciamo tutti
d’accordo:
smettete
d’accompagnare mortali, quando
pur venga qualcuno alla nostra
città». (Odissea, XIII)
Fin qui la storia di Ulisse e del
popolo dei Feaci. In internet si trovano
dei riferimenti al libro Odysseus del
prof. Armin Wolf e di suo fratello
Hans e di altri studiosi, dove viene
argomentato scientificamente il
viaggio di Ulisse. Questi due studiosi
tedeschi vogliono dimostrare che la
leggenda di Ulisse è stata inserita in
un ambiente geograficamente vero.
Quindi i luoghi narrati da Omero sono
reali.
Attraverso anni di ricerche e
numerosi viaggi nel Mediterraneo
essi arrivano alla conclusione che,
attraverso i dati presenti nel poema, è
possibile ricostruire uno schema
d’itinerario ipotetico, all’interno del
Mediterraneo, ed è possibile
individuare esattamente i luoghi reali.
Di tutto il viaggio di Ulisse, nel
“Dodicesimo percorso - Dall’isola
di Ogigia alla Terra dei Feaci” è
sostenuto che SCHERIA, la terra del
popolo dei Feaci, è localizzata nella
fascia centrale della Calabria
compresa tra i golfi S. Eufemia e di
Squillace.
Il porto da dove Ulisse, dopo
l’ospitalità dei Feaci, s’imbarca per il
rientro a Itaca è da ubicare in
corrispondenza del Corace con la sua
foce nel Golfo di Squillace, in
sostanza nella zona a mare del
comune di Borgia, Scolacium. La
terra dei Feaci è stata localizzata, nelle
diverse teorie, in Palestina, Tunisia,
Andalusia, Istria, Cirenaica, Malta,
Creta, Corfù, Trapani, ed anche in…
Germania. Non si è riusciti a
rispondere, però, all’interrogativo di
come Ulisse dopo il primo passaggio
da Scilla e Cariddi, fu respinto
nuovamente oltre e, tuttavia, fu
condotto in patria dai Feaci, senza
attraversarlo una terza volta.
Secondo Omero, la terra dei Feaci,
vista dalla Grecia, si trova una volta
davanti e una volta dietro Scilla e
Cariddi (Stretto di Messina).Questa
“contraddizione” metteva in crisi tutte
le teorie che volevano giustificare la
realtà geografica del testo omerico.
Gli studiosi sostengono che se,
poniamo insieme i due riferimenti
di Omero e cerchiamo un paese
che in un mare giaccia
contemporaneamente dietro e
davanti allo Stretto, verremo
indotti a pensare alla Calabria, la cui
costa occidentale giace sul Tirreno e
l’orientale sullo Ionio. E proprio là sì
giungerà, se con percorso verso est,
si proviene da Lipari o da Stromboli
e di là bisogna salpare per raggiungere
Itaca, con percorso parimenti verso
est, come indica il testo omerico.
Se questa sorprendente spiegazione
è giusta, nel corso del suo viaggio
Ulisse deve, comunque, aver
attraversato un tratto di terra. Questo
fatto, mai osservato, è in realtà ciò che
dice Omero: nei pressi della terra dei
Feaci l’onda e la tempesta infrangono
la sua zattera e soltanto a nuoto Ulisse
riesce a porsi in salvo, raggiungendo
la costa. Di là dovette recarsi a piedi.
Prima marciò per un pendio, il giorno
dopo, portato su valli carrabili, con
carri guidati da muli, verso la capitale
dei Feaci; e ancora, un altro giorno
scese verso il porto e, quindi,
finalmente una nave lo riportò in
patria. Omero si riferirebbe a due
coste differenti e legate tra loro da una
certa distanza.
S’identificherebbe così la felice terra
dei Feaci di Omero con la Magna
Grecia dell’antichità e dunque con la
Calabria attuale, sull’istmo più stretto,
quello di Catanzaro, fra il Golfo di S.
Eufemia e il Golfo di Squillace.Qui i
due mari si avvicinano a circa trenta
chilometri, e qui si può facilmente
superare la catena montuosa
calabrese attraverso un comodo
valico a soli 300 metri s.l.m., invece
che a mille metri di altezza a nord e a
sud di là.
Ulisse incontra Nausicaa, figlia di
Alcinoo, re dei Feaci, nei pressi
dell’attuale Lamezia Terme. Poi, per
via terra, insieme, raggiungono il
palazzo reale, poco dopo il tramonto
e l’ospite viene accolto
amichevolmente daArete eAlcinoo.
La capitale dei Feaci deve trovarsi
sullo spartiacque dell’istmo (Tiriolo?),
perché dalle parole di Nausicaa si
presume che il suo paese stia tra due
mari ( Ulisse “[…]ammirò i due golfi
e le navi”), uno situato a est e uno a
ovest. L’accesso terrestre, invece, è
difficile.
La ricchezza dei Feaci era basata,
probabilmente, sulla dominazione
della via dei due mari, come avvenne
più tardi per le città greche di Sibari,
Crotone, Locri. Queste città
divennero le più floride della Magna
Grecia grazie alla funzione di
mediazione commerciale tra
l’Etruria e la Grecia. Le navi
provenienti dall’Oriente scaricavano
i loro carichi al porto sul mare Ionio;
da qui, attraverso i sentieri terrestri,
le merci venivano trasportate sul
Tirreno per essere di nuovo
imbarcate per il nord.
Ulisse è accompagnato dalla città
alla veloce nave, che lo porterà a
Itaca, dopo aver seguito
probabilmente il fiume Corace fino
alla riva del mare.
Nelle vicinanze dell’attuale
Roccelletta di Borgia, alla foce del
Corace, possiamo supporre
l’esistenza in antico di un sito idoneo
come porto perché nell’attuale Parco
Archeologico sono stati trovati,
pochi anni fa, i resti dell’antica
Scolacium e s’ipotizza lì stesso o nei
pressi la città greca di Skylletion.
Luigi Aloi
I benefici della “Ficarella”
l’acqua di S. Nicola da Crissa
L’ex sindaco democristiano di
Roma (1985-1988), Nicola
Signorello (85 anni), senatore e
ministro più volte, presentando nei
giorni scorsi in Campidoglio il suo
libro di memorie, ha detto che deve
la buona salute ed il bell’aspetto
alla Ficarella, che si fa mandare
dal suo paese, San Nicola da
Crissa, in Calabria. Onni soit qui
mal y pense. Nessuno si permetta
di malignare su quel toponimo. È
l’acqua Ficarella che fa bene, non
altro; soprattutto per un ex NICOLA SIGNORELLO in
importantissimo dc, rispettoso dei una foto Anni Ottanta quando
Comandamenti.
era Sindaco di Roma
Corriere di San Floro e della Calabria
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
NEL MONDO DEI LIBRI
Antonio Zaccone ci riprova
Ed ecco “King il Vittorioso”
Il nostro Antonio Zaccone - così
noto ai lettori del “Corriere” - è
tornato sulla scena della letteratura
infantile, quella che egli predilige,
con un nuovo simpatico volumetto:
“King il Vittorioso”. Intanto, quel
“Vittorioso”, vi fa subito pensare direbbe Freud - al famoso periodico
per ragazzi negli Anni Cinquanta,
con i disegni-caricature di Jacovitti.
Ma, tranquilli: Antonio non vuole
fare marcia indietro con gli anni (del
resto non gli è possibile) e forse
nemmeno lega con gli psicanalisti.
Ha solo voluto rimanere idealmente
a contatto con quei suoi alunni che
tanta gioia gli hanno dato nella vita,
visto che è stato prima insegnante
elementare e poi docente nelle
aule che si trovano un po’ più su;
e quindi ottimo conoscitore della
psiche dei ragazzini, la quale ha
tanto bisogno della fantasia per
una sana crescita.
Stavolta il personaggio-clou del
libro è, pensate un po’, addirittura
un… gallo, anzi un “supergallo”;
che, proprio perchè “super”, ne
combina di tutti i colori (ma non vi
diciamo come, sennò cala l’interesse
a leggere questa nuova messa in
scena della Onorata Forneria
Zaccone). Certo è che la distanza con
i più antichi “Sogni di Luisella” (una
cinquantina di anni fa) è piuttosto
ampia. Ma i tempi cambiano; e
quindi in questo libro troverete
addirittura i cinesi, la cui presenza
nei discorsi degli occidentali è ormai
quasi ossessiva visto che proprio
loro, i gialli -tanto per fare un salto
nel campo dell’economiacomprano oro a tutto spiano, quel
nostro oro, magari fuso, di orologi,
catenine, insomma i ricordi di giorni
lieti, che noi siamo ormai costretti a
vendere per far fronte alla quasi
disperazione della crisi nel mondo
occidentale. Vi troverete però - anche
per passare ad argomenti più “alti” un po’ di ecologia, come in questo
passo: “L’eccezionale pennuto era
rispettoso della flora e della fauna
…Non beccava mai i teneri
germogli…”. Ma sappiate anche che
vi si parla, anzi vi si scrive, di robot,
embrioni, clonazione, manipolazioni
genetiche, argomenti che soprattutto
per le menti giovanili sono certamente
affascinanti e in linea con i tempi. E
poi c’è - tanto per non far dispiacere
ai patiti dell’estetica muliebre, e siamo
in tanti - una “bellissima donna,
Eurinome, dea di tutte le cose” che
“sapeva fare le uova” e “quando le
venne in mente di creare il mondo…,
si trasformò per poco tempo in
colomba e depose l’Uovo
Universale…”.
Ma Zaccone, da buon pubblicista,
ha pensato anche al nostro mestiere;
e allora ecco cosa scrive: “Un giorno
vi si recò (dal super-gallo) un
giornalista che forniva a quotidiani
e riviste servizi importanti di
cronaca…Vi andò per verificarne la
bravura e, casomai, diffondere la
notizia a mezzo stampa”.
Insomma, ci viene spontaneo
dire al nostro carissimo Antonio:
“Ma dove diamine riesci a trovare
tutta questa fantasia? Certo è che
i bambini, ma non solo, ti
vorranno tanto bene per le
passeggiate che gli fai fare nel
mondo dei sogni”.
Domenico Paravati
Antonio Zaccone
“King il vittorioso”
L’Autore Libri - Firenze
Come Giosafatte Tallarico divenne brigante
Quando torno a San Floro,
magari solo per una settimana,
vado a frugare nella mia minibiblioteca “locale”, nel senso che
ha libri che trattano argomenti
calabresi. Nello scorso freddo e
piovoso mese di febbraio mi
imbatto in un volume che
attendeva da tempo di essere
letto. È una raccolta di racconti
di Nicola Misasi, un nostro
scrittore piuttosto noto quaggiù
a cavallo tra l’Ottocento e il
Novecento. Uno di questi
racconti è dedicato a Giosafatte
Tallarico, un brigante che
furoreggiava nella Sila
cosentina, intorno a Panettieri,
suo luogo di nascita, e che ne
aveva combinate di tutti i colori
negli anni successivi al 1820 per
poi finire i suoi giorni come un
normalissimo, onesto cittadino
in un angolo del Sud Italia,
lontano dalla scena delle sue
gesta tra il bandito gentiluomo e
l’assassino senza rimorsi.
In questo libro, anzi nel
racconto su Giosafatte Tallarico,
trovo una pagina che vi voglio
proporre perché è un autentico
affresco, se così posso dire, di
come si reagiva al cosiddetto
onore offeso delle donne e
quindi della famiglia nella quale
erano incardinate le fanciulle di
allora. Secondo me si tratta di
un autentico documento su
come una volta - grazie a Dio,
ora capita sempre più raramente
- si arrivava, da parte dei parenti,
all’omicidio per vendicare
anche il semplice fatto che una
donna della propria famiglia si
fosse volontariamente concessa
al suo ganzo ma poi l’amante
non aveva voluto sposarla.
E dunque, il giovane
Giosafatte, prima aspirante
prete e poi aspirante farmacista,
se ne sta nella bottega cosentina
del suo datore di lavoro, quando
viene informato che la
giovanissima sorella, da lui
ritenuta illibata, non è più
vergine per opera di un
signorotto locale, tale Don
Luigino Sparadei. Ecco come
Giosafatte vendica l’onore
ferito, dandosi quindi alla
macchia e divenendo uno dei
scapato in sacrestia. I gradini della
più temuti briganti calabresi.
Dopar chiesa erano bagnati di un rivolo
di sangue.
Don Luigino Speradei se ne
Infine il giovane, stanco di
veniva fischiettando una colpire, si levò dritto della
canzonetta, con quell’aria persona; si guardò intorno, poi
altezzosa del signorotto alla cui avvicinando il pugnale intriso
volontà tutto ubbidisce: stava di sangue alla bocca, lo forbì
per entrare in chiesa, quando con le labbra, perchè, come
di un tratto una mano gli afferrò vuole una credenza del nostro
il braccio. Si rivolse sdegnato popolo, le gambe acquistassero
alzando lo scudiscio.
forza nel correre, e voltosi agli
- Chi è il villano che osa…? astanti con voce terribile, con
Ma, avendo riconosciuto in occhi lampeggianti e terribili:
colui che gli era dinnanzi il
- Ecco, così Giosafatte
fratello di Carmela, lasciò Tallarico ha vendicato l’onor
cadere il braccio e impallidì. suo! Ed ora chi vuole mi cerchi
Pure affettando un’aria di sulla montagna.” (*)
sicurezza e di indifferenza:
- Che volete? gli chiese.
(*)-Nicola Misasi – In Magna
-Voglio questo: se fra otto Sila – Giosafatte Tallarico – Il
giorni non sposerete mia sorella gran bosco d’Italia –
che avete disonorata, io vi Introduzione di Pasquino
scanno, quanto è vero quel Dio Crupi -Luigi Pellegrini
che è sull’altare.
Editore -1976
Tutto ciò avveniva mentre
nella chiesetta il prete alzava
l’ostia consacrata e i contadini,
genuflessi, si picchiavano il
petto:qualcuno però aveva
voltata la testa verso la porta
d’entrata, attratto da quel
rumore delle voci.
Mentre degli altri ufficiali non
.. - Dunque, fece il giovine, che faccio nemmeno un rapido cenno,
mi rispondete?
perché non ne vedo la necessità,
Don Luigino Speradei alzò le faccio eccezione per Artemisia,
spalle.
che ammiro moltissimo per aver
…- Io non ho nulla da ella partecipato alla spedizione
rispondere perché di nulla sono contro la Grecia (da parte di Serseresponsabile…Sì, nol nego, ho n.d.r.) pur essendo una donna. Essa
fatto all’amore con tua sorella, che, dopo la morte del marito,
come tanti altri prima di me, ed teneva in pugno la tirannia e aveva
ho goduto quel che tanti altri un figlio ancor fanciullo, scendeva
avevano goduto.
in campo per il suo alto sentire e
- Ah vile, ah vile, ah vile!- per virile coraggio, senza che
ruggì il giovane.
necessità alcuna ve la costringesse.
E tratto il pugnale si scagliò su Il suo nome era Artemisia, figlia
Don Luigino Speradei, che cadde di Ligdami, di razza alicarnassea
riverso. La scena era orribile: su per parte di padre e cretese per
quell’uomo caduto il giovane parte di madre. Il suo dominio si
inferocito si era di un lancio estendeva su Alicarnasso, Cos,
chinato e lo andava crivellando di Nisiro e Calimna e forniva cinque
ferite: il pugnale si alzava e si navi. Come di tutta la flotta essa
abbassava lampeggiando, mentre forniva le navi più apprezzate,
la vittima sostava tentando di dopo quelle dei Sidoni, così di tutti
sollevarsi, ma poi ricadde inerte gli alleati era lei che dava al re i
mentre il giovane continuava a consigli più avveduti.
colpire folle di ferocia.
(Erodoto- Le Storie –A
I contadini esterrefatti cura di Luigi Annibaletto - Libro
guardavano non osando di VII-par. 99- Oscar Mondadoriaccorrere in soccorso; il prete era 1982)
Artemisia
e l’invasione
persiana
della Grecia
11
“Camicie rosse in Calabria”
uno studio di Francesco Pitaro
Dalle Grafiche Lucia Catanzaro,
per conto delle Edizioni “la
rondine”, è uscito di recente il libro
di Francesco Pitaro “Camicie
rosse in Calabria ”, pagg. 99, euro
10,00.
Una pubblicazione interessante,
preziosa soprattutto per i lettori
calabresi, adulti e giovani, che
desiderano approfondire le loro
conoscenze storiche di un numero
rilevante di particolari su quanto
il Meridione ha fatto per dare un
apporto più che positivo alla
liberazione del Sud dal dominio
borbonico.
Il testo, corredato di illustrazioni,
è una miniera di notizie riguardanti
appunto il contributo dato dai
calabresi al Risorgimento italiano.
L’autore, nella premessa, dice, tra
l’altro, che “nelle celebrazioni per
la ricorrenza del 150esimo
anniversario dell’unità d’Italia una
parte non irrilevante va senz’altro
riservata alla Calabria. La quale,
nelle varie fasi che scandirono il
nostro Risorgimento, dai moti del
1820-21 e del ’31 a quelli del ’47’48, fino ad arrivare alla spedizione
dei Mille del 1860 e dell’anno
successivo, in cui a Torino fu
proclamata l’unità della penisola,
essa ricoprì sempre un ruolo di
primissimo piano e di elevato
prestigio. Sia per essere stata teatro
di memorabili avvenimenti sia per
aver dato un contributo di
intelligenze, di idee e di vite umane
alla causa patriottica”.
Lo scrittore mette in risalto
l’operato di quei personaggi che
“ricoprirono ruoli e cariche
importanti al seguito dell’eroe dei
due mondi”. Francesco Stocco, di
Adami, frazione di Decollatura;
Benedetto Musolino, di Pizzo;
Vincenzo Niutta, di Caulonia.
Nel libro sono elencati (con brevi
note biografiche) i deputati e i
senatori calabresi facenti parte del
primo parlamento del Regno
d’Italia. Nelle ultime pagine, brani
antologici di Giuseppe CesareAbba
(Lo sbarco in Calabria, “Da Quarto
al Volturno”); di Giuseppe Bandi (La
presa di Reggio Calabria, da “I Mille,
da Genova a Capua”); diAlexandre
Dumas (Garibaldi a Soveria
Mannelli, da “I Garibaldini”).
Francesco Pitaro è nato a Gagliato
(Cz) nel 1953 e vive a Montepaone.
Giornalista, ha collaborato alla Radio
Vaticana e ha scritto per Tuttosport,
Corriere dello Sport –Stadio,
Giornale di Napoli, Giornale di
Calabria, Oggi Sud, il Quotidiano
della Calabria, Gazzetta del Sud. È
stato comunicatore presso il
Dipartimento”Politiche
Comunitarie” e all’Unità di progetto
“Relazioni internazionali” della
Regione Calabria. È collaboratore
fisso del periodico Calabria
Letteraria e scrive sulle pagine di
cultura e spettacolo di Gazzetta del
Sud.
Antonio Zaccone
POESIE
Andiamo “Sul filo del tempo”
con Roma Maggisano Gullì
Nella sala consiliare del
Comune di Borgia, gremita di
pubblico, è stato presentato dalla
prof.ssa Giulia Giovanna Carrì il
libro “Sul filo del tempo” di
Roma Maggisano Gullì.
La Garrì ha fatto una chiara e
sentita relazione orale sui
contenuti che caratterizzano
l’opera, interessando all’ascolto
i presenti, che l’hanno più volte
applaudita.
Dopo di lei ha parlato la
poetessa. Ha ringraziato la Carrì
per l’approfondita dissertazione
e il numeroso pubblico in sala.
Sono seguiti gli interventi di
alcuni dei presenti, i quali hanno
sottolineato l’importanza del
testo: lo scenografo e giornalista
Giuseppe Passafaro; il prof.
Roberto Chiarella; il prof.
Giuseppe Rocca, pittore; l’ins.
Masino Cristofaro; l’ins. “Pepè”
Calabretta; l’avv. Domenico
Rijllo; il prof. Rosario Tavano.
Il libro è stato stampato da
“Global Print” (Milano) per conto
della CSA Editrice. È composto
da 58 poesie e 28 brevi racconti.
La copertina ha un dipinto del
pittore Carmelo Fodaro. È
formato di 139 pagine. Prezzo eu
12,00. È dedicato al prof.
Leonardo Gullì, defunto marito
della signora Roma Maggisano,
e ai figli Salvatore, Valerio, Maria
Luigia, Cetti ( “i doni d’amore che
hanno illuminato…” la vita della
poetessa).
L’opera inizia con una chiara e
approfondita “presentazione”
dell’avv. Salvatore Gullì. “Roma
Maggisano Gullì nasce a Borgia,
in provincia di Catanzaro. Dopo
una breve esperienza come
insegnante, ha ricoperto per molti
anni il ruolo di Direttrice della
Biblioteca Comunale nonché
quello di Responsabile del settore
scolastico-culturale del Comune
del suo paese. Attualmente in
pensione, ricopre il ruolo di nonna
di otto splendidi nipoti, cura i fiori
del suo giardino e scrive”.
Antonio Zaccone
Le avventure dei ragazzi di S. Felice
È il racconto della vita in un borgo tanti anni fa,
con la “poesia” del focolare domestico; quando
si dava credito ai valori della vita, assenti nella
società di oggi, consumistica e deviante. Sembra per vari aspetti- la fotografia di Borgia o San Floro
negli Anni Quaranta-Cinquanta
“Le avventure dei ragazzi di San
Felice” è un libro autobiografico
di Carmine Correale, pubblicato
di recente dall’Editrice Italia
Letteraria di Milano, pagg. 193,
euro 13,50.
L’autore narra fatti avvenuti
cinquant’anni prima (a cominciare dal
dopoguerra fino agli Anni Sessanta)
nel villaggio di San Felice, piccolo
centro poco distante da Avellino, ad
opera di un numeroso gruppo di
ragazzi del luogo,compagni di
scuola,sollecitati dallo spirito di
avventura che albergava nella loro
mente.
Il Correale parla di antagonismo
tra ragazzi, di sfide, gare, scherzi,
dimostrazioni di abilità personali
in seno al gruppo, escursioni nei
boschi, ecc.
Lo scrittore riferisce l’aspetto
formativo, di crescita, in ogni
FATE VIVERE
QUESTO
GIORNALE
ABBONANDOVI:
c/c/p 54078100 intestato
Domenico Paravati
componente del gruppo, ottenuto
appunto attraverso le varie ROMA MAGGISANO GULLI’
avventure: crescita della
SVEGLIATI
dimensione sociale, acquisizione
di esperienze dirette, rispetto per Svegliati amore mio,
le istituzioni, le tradizioni, la troppo tempo hai dormito.
Tu non puoi:
famiglia.
L’autore descrive minuziosamente c’è Cettina che aspetta,
la vita del borgo: il lavoro dei campi, lei non sa
i prodotti della campagna, la non ne vuole sapere
“poesia” del focolare domestico, né di ciel né di Dio.
l’amicizia fra le persone, il rispetto Lei vuole il suo papà.
Vuole tanti giocattoli,
per la natura e gli animali.
Non tralascia di dire che allora vuole farti vedere
nelle case di San Felice mancava la sua bambola nuova;
la luce elettrica e l’acqua potabile anche Gigia ti aspetta
la si attingeva dai pozzi; che vi ma non dice,
erano solamente le prime tre deve farti sentire
classi elementari e che per come ha imparato
proseguire negli studi bisognava a leggere da sola.
raggiungere luoghi distanti Asciuga quella lacrima
chilometri, percorrendo a piedi o a Valerio
in bicicletta, anche con il cattivo che scende incontrollata,
vuole solo prometterti
tempo, strade dissestate.
Il Correale ricorda con che non farà il monello.
emozione il “piccolo mondo E infine Salvatore
antico” di San Felice, che l’ha deve farti vedere la pagella,
visto nascere e crescere. Lo merita la tua lode.
descrive come un ambiente di Dona pace al mio cuore
gioia, spontaneità, spensieratezza, che vuole ancora amare.
in cui si dava credito ai valori Troppe cose ti aspettano.
della vita, assenti nella società di Ma tu non puoi tornare.
Roma Maggisano Gullì
oggi, consumistica e deviante.
(Da
“Sul
filo del tempo”)
Antonio Zaccone
12
Corriere di San Floro e della Calabria
Ricordi
La strada era stata sgomberata
dal fogliame, ma passando di lì
nessuno avrebbe pensato che
prima era tutta campagna, col
solo deposito di legname oltre
l’ampio avvallamento di terra
rossa dove Piero passava per
andare al torrente. Stava
raccogliendo i funghi e,
raccogliendoli, ne esaminava la
consistenza, soffermandosi su
ogni piccolo gruppo e sulle
diverse varietà nate fra l’erba più
giovane. Ce n’erano molti, ai
margini della strada e lungo le
recinzioni in filo spinato. Estrasse
il piccolo serramanico che teneva
nel taschino della camicia,
s’inginocchiò, e facendo molta
attenzione recise il gambo sodo di
un fungo che affondava nel terreno
ancora umido di rugiada; pulì la
lama sporca di terra sulla stoffa dei
pantaloni e ripose il coltello nel
taschino. Erano due splendidi
funghi porcini. Li guardò
soddisfatto. Niente male davvero.
Aprì il borsellino di cuoio che
teneva attaccato alla cintola e li
mise con gli altri.
Proseguì sul terreno in terra
battuta e oltrepassò gli ultimi
caseggiati sorti quando si era
pensato di trasformare l’intera
vallata in un’enorme zona
industriale, svoltò prendendo una
stradina che proseguiva fra i campi
coltivati, con appezzamenti di
frumento ai lati, e raggiunto il
costone del monte riparato dal
bosco sedette esausto all’ombra di
una grossa quercia. Era una bella
giornata di aprile, col sole che
asciugava la rugiada fra l’erba, e
sui campi dietro i monti, il grano
era spuntato. Alcuni cavalli
pascolavano ciondolando la coda
ai margini del bosco. Piero
appoggiò la schiena contro la
corteccia ruvida dell’albero.
Ricordava ogni cosa. C’erano
molte cose che valevano la pena
di essere ricordate, ma per lui erano
sempre gli alberi. Alberi alti dietro
il fossato cinto dal filospinato. Lì i
cacciatori mettevano i lacci per i
cinghiali. Andavano a bere l’acqua
del torrente e al loro ritorno
rimanevano intrappolati. Ma loro
avevano proseguito oltre, correndo
lungo gli argini del fiume,
fermandosi solo quando si erano
sentiti veramente stanchi nel punto
in cui le foglie secche ricoprivano
il terreno ancora umido, in
un’ampia radura interamente
riparata da querce secolari, dove
il fogliame lasciava passare il sole
solo a tratti, e dopo erano rimasti
lì sdraiati per molto tempo, Piero
con lo sguardo che si perdeva
lontano, e Mary seduta in silenzio
vicino a lui. Suo padre gli aveva
regalato una fionda con un manico
di ferro che teneva sempre in un
di fodero di cuoio e che avrebbe
utilizzato solo in caso di pericolo.
Non amava cacciare.
“Potrei beccarlo ad occhi
chiusi.”
“Il tronco?”
“No, il ramo.”
“Potresti prendere il tronco.”
“Vuoi scommetterci qualcosa?”
“Cosa?”
“Un bacio.”
“E troppo lontano.”
“Potrei beccarlo ad occhi chiusi,
ti dico.”
Stavano tutti e due sdraiati
sull’erba e guardavano la luce
che passava tra le foglie degli
alberi. Piero prese un sassolino,
caricò la fionda, e restando
sdraiato a terra tese l’elastico,
prese la mira, e lasciò partire il
colpo. Il suo sasso passò vicino
al ramo ma non lo colpì.
“Al diavolo!”
“Hai fatto cilecca.”
“Un colpo sfortunato.”
“Prova di nuovo.”
Piero prese di nuovo la mira,
tese di con tutta la forza che
aveva l’elastico e lasciò
partire di nuovo il colpo, ma il
risultato fu ancor più deludente.
Il sasso non prese nessun ramo
e sparì lontano nel bosco.
Avrebbe potuto farlo altre cento
volte.
“Oggi non è giornata.”
Si alzò in piedi e mise la
fionda nella fodera in cuoio.
Mary, seduta sull’erba, lo
guardava. I lunghi capelli bruni
scendevano ai lati delle guance
lisce. Aveva due splendidi occhi
nocciola. La cosa più bella che
Piero avesse mai visto.
“Dovresti riprovare” disse Mary,
aggiustandosi i capelli con le
mani. Era più alta di Piero ma
avevano la stessa età.
“Sono stanco.”
“Non lo vuoi più un bacio?”
“Non importa.”
“A te non importa mai di niente”
disse Mary. “Sono la tua ragazza
o no?”
“Lascia stare.”
“Non ti piaccio più?”
“Smettila.”
“Avevi promesso.”
“Oggi è una giornataccia” disse
Piero.
Poi rimasero seduti in silenzio,
ascoltando il torrente che scorreva
morbido dietro di loro. Prima per
andare al torrente c’era la strada
con l’acciottolato che, dal casolare
di suo padre, scendeva riparata dai
larici fino alla pianura. Continuavi
sull’ampia spianata col sole
cocente sopra e i campi lavorati
alla tua destra, e poi la strada
diventava più accidentata, con
recinti di filospinato sui bordi e
granai e pecore che pascolavano
sui dolci declivi, e rotoli di fieno
nell’ampia distesa dorata. Se
proseguivi dritto c’erano i campi
di granoturco, e più giù una
cascina. Passavi la cascina e
entravi nel bosco. All’inizio c’era
sempre un fossato con dei cespugli
di spini dove crescevano le more
selvatiche e alberi di fichi.
Scavalcavi il fossato, e la terra era
morbida sotto i tuoi piedi. I blocchi
d’ardesia erano sotto la montagna,
dove il costone del monte
declinava improvvisamente, in un
letto di terra sabbiosa, con poca
vegetazione, e relitti di carri e
furgoni bruciati coperti dall’
edera. Ma tu proseguivi fino alla
piccola radura con i pioppi, e
sempre dritto sotto gli alberi alti
che coprivano l’azzurro del cielo,
su un morbido letto di foglie
secche che scricchiolavano sotto
le suole. Il torrente era pochi metri
più avanti. D’estate era sempre
pieno di salmoni. Poi un anno
cominciarono i lavori per deviare
il corso dell’acqua. Prendevano
tutta l’acqua di cui avevano
bisogno per le fabbriche, e il
torrente s’impoveriva ogni anno
che passava, e i pesci
cominciarono a morire. Dicevano
che era così che andavano le cose.
Così ogni anno il torrente si
prosciugava sempre di più, e
l’erba ricopriva ogni giorno il
greto, sempre più fitta. Ma allora
nessuno poteva farci niente.
“Amanda dice che sei il suo
ragazzo” disse Mary, aggiustandosi
i lunghi capelli bruni con le mani.
“Amanda è una gallina” disse
Piero. Era ancora seduto e guardava
le chiome alte che si muovevano
col vento.
“Lei dice che vi sposerete.”
“ È una stupida” disse Piero.
“Però ti piace.”
“A me non piacciono le galline.
Guarda: sai chi è questa?”
Piero si alzò in piedi, tirò indietro
buffamente la testa e cominciò a
camminare ancheggiando.
“Sei buffo” disse Mary.
“Indovina chi è?” disse Piero
continuando ad ancheggiare.
“Non so” disse Mary. “Mi viene
da ridere.”
Piero fece una specie di piroetta,
continuando ad ancheggiare, e finse
di aggiustarsi maliziosamente i
capelli. Mary rideva. Non gli
piaceva litigare con lei. Da un po’
di tempo andava sempre così. Piero
aveva sempre rovinato tutto
pensando che prima o poi ogni cosa
dovesse finire, e dopo, quando
davvero fu finita per sempre e lui
non la vide più avrebbe rimpianto
a lungo quei giorni. Ce n’ erano state
altre, dopo di lei, ma volevano tutte
ciò che lui non poteva dargli. Strano
che desiderassero sempre ciò che
lui non aveva.
“Sono Amanda” disse Piero
continuando ad ancheggiare come
una donna.
“Amanda la gallina fa le uova ogni
mattina.”
“Sei scemo” disse Mary.
“Scemo come una gallina” disse
Piero.
“Le somigli molto.”
“Vero?”
“Perché non vieni qui?”
“Sono una donna.”
“Smettila.”
“Va bene.”
Piero sedette contro il tronco
vicino a Mary.
“Credi che avremmo dei figli?”
“Probabilmente” disse Piero.
Guardava di nuovo gli alberi.
“Non sarai più cattivo, con me,
vero?”
“No.”
“E vorresti dei figli?”
“Un giorno.”
“Allora avremmo dei figli.”
“Molto probabilmente.”
“Quando partite?”
“Fra due giorni.”
“Prometti di sposami?”
“Va bene.”
“Mi scriverai?”
“Certo.”
“Dammi un bacio. Bene.”
“Torniamo a casa?”
“Va bene.”
“Domani arriviamo fino al
torrente.”
“Vuoi pescare?”
“Tu?”
“No.”
“Allora andiamo a casa.”
“Va bene.”
Piero sorrise e respirò il
profumo dell’erba bagnata di
rugiada. Aveva raccolto un bel po’
di funghi e tutti quei ricordi lo
avevano messo di buon umore.
Guardò il bosco che si stagliava
lontano. Era più piccolo di come
lo ricordava. La solita rabbia.
Quell’anno l’assessore era venuto
a casa sua. Suo padre lo aveva
fatto accomodare nel piccolo
salotto e l’assessore aveva bevuto
un bicchiere di sambuca e poi
aveva incrociato le grosse dita sul
tavolo e aveva sorriso a suo
padre. Ma non era della sambuca
che aveva bisogno. Così, quando
se ne fu andato, suo padre rimase
seduto sul tavolo in silenzio, con
Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011
Racconto di Umberto Soldatelli
ancora il bicchiere pieno fra le
mani e l’espressione indurita
sulla sua bella faccia bruna, e
aveva detto: “E’ la cosa migliore
per tutti.”
Poi aveva preso la scatola di
sigari che teneva sempre nel
cassetto della sala, si era seduto
sulla sua poltrona e aveva letto
il suo giornale. Ma sapeva che
non era affatto la cosa migliore.
Non per tutti, almeno. E non
aveva di certo l’aria di chi avesse
concluso un buon affare, quella
sera a cena. Ma era la vita, disse.
Una cosa non è tua solo perché la
possiedi. Bè, lui non avrebbe più
posseduto granchè, da quel giorno.
Era tutto scritto nero su bianco.
C’era solo da leggere. O mettere
una firma. Senza pensarci troppo
però. Senza pensare ai funghi che
crescevano da quelle parti o alla
beccaccia sui campi la mattina
presto. O agli uccelli che cantavano
fra rami, o alla lepre selvatica. O al
pettirosso nel bosco o all’odore
della resina in autunno quando si
camminava fino al torrente riparati
da enormi querce secolari che
coprivano l’azzurro del cielo nei
pomeriggi assolati. O alla faggeta
quando pioveva o ai cinghiali che
fuggivano fra i campi, o alla volpe
selvatica. O semplicemente ai
campi sterminati che digradavano
lenti nella bruma o il vecchio
mulino abbandonato che si
raggiungeva seguendo la strada
d’argilla oltre il campo di papaveri,
e l’odore di chiuso e di muffa che
vi si respirava, una volta dentro, e
le porte marce di legno e i nidi dei
piccioni nelle finestre buie come
orbite e le grosse pale spezzate e
marce e ferme da due secoli.
Bisognava solo non pensare a tutto
questo. Era molto semplice e
qualcuno lo aveva fatto senza
troppi problemi. Dovevi solo non
pensarci. Già. Ma una volta c’era
stato.
C’era stato il terreno arido della
riserva con la strada scavata nella
roccia e il rumore del ruscello sotto
la sorgente che stondava i massi
bianchi sotto il sole, e i pesci
guizzanti, e il terreno con gli alberi
fitti per il baco da seta quella
limpida mattina di marzo in cui
due cacciatori spararono a un
uomo che faceva i suoi bisogni in
un cespuglio.Avevano visto le foglie
muoversi, e avevano fatto fuoco
credendo che fosse un cinghiale.
Quella mattina faceva molto caldo, e
i soccorsi arrivarono dopo un’ora. Da
lì vedevi i campi sotto la valle ricoperti
di neve. Caricarono l’uomo che
aveva una grossa ferita nell’addome
sull’ambulanza, ma la strada era
ghiacciata, e alla fine si dovette
aspettare l’arrivo dell’elicottero. Non
nevicava da più di dieci anni e tutti i
presenti furono concordi sul fatto
che fosse un vero peccato non
potersi godere il panorama; c’era
la faggeta, che quell’anno prese
fuoco, e tutte le persone che
corsero con le autobotti e i
pompieri che spensero l’incendio
e quelli che diedero l’allarme e
dissero che era stato solo un
incidente. Invece non era stato un
incidente e tutti sapevano chi era
stato ma nessuno disse nulla. Alla
fine bruciarono più di seicento
piante, tra querce e pioppi.
Succedeva ogni estate. Così
rimanevano solo i detriti degli
alberi e la terra carbonizzata dove
non cresceva più niente; e c’era
l’odore pungente del letame, la
mattina presto, e quello più
morbido delle viole a primavera o
quello delle primule o delle
margherite o l’odore del rosmarino
e quello del finocchio selvatico.
D’estate potevi cogliere le more tra
i cespugli. Ce n’erano moltissime,
allora. E potevi camminare per
chilometri sotto l’ombra fresca
degli alberi alti dove non passavano
i raggi del sole senza il rischio di
perdere la strada. Era impossibile
smarrire la strada. Ora Piero lo
sapeva. C’era voluto del tempo. Ma
ora l’aveva capito.
Aprì il borsello attaccato alla cinta
dove c’erano i funghi che aveva
raccolto scendendo dal campo, ne
prese uno senza guardare e lo
osservò facendo ruotare il gambo
fra il pollice e l’indice. Sorrise.
C’era un po’ di terra che ricopriva
la parte del gambo che affondava
nel terreno. Piero la tolse sfregando
con un dito il grosso cappello, poi
se lo avvicinò alle narici
respirandone l’odore umido e
ferroso. Quante volte l’aveva fatto,
da ragazzo. Posò di nuovo il fungo
nel borsello e richiuse con cura le
due piccole cinghie metalliche. Si
era riposato abbastanza. Ora
andava meglio. O quasi. Dipendeva
dai punti di vista. Avrebbe fatto
meglio a incamminarsi, però. Non
voleva girare con il caldo. Si alzò
in piedi. Però era proprio una bella
giornata. Per fortuna aveva lasciato
a casa il cappotto. Non avrebbe
saputo che farsene, di un cappotto,
in una giornata come quella.
Camminò fino ai margini del bosco
e colse un enorme fungo cresciuto
proprio ai piedi di una grossa
quercia. Lo guardò attentamente,
scrollando la terra bagnata alla base
del gambo, e lo mise con gli altri.
Umberto Soldatelli
NICOLA MISASI
I briganti, la Madonna del Carmine
e la caverna alla Cupa di Tiriolo
Giosafatte Tallarico (… ) era
religiosissimo della Madonna
del Carmine specialmente. Da
noi la predilezione per questo o
per quel santo, per questa o
quella Madonna, assume
proporzioni grandissime, e
spesso si fa alle schioppettate o
alle coltellate e si uccide o si è
uccisi per sostenere
la
supremazia del santo favorito.
Nel Vallo cosentino si
venerano due crocefissi, quello
della Rinella e quello della
Riforma. Or fan dieci o dodici
anni i devoti dei due crocefissi
vennero a contesa a proposito dei
miracoli dell’uno e dell’altro. Il
nostro crocefisso della Riforma
ne vuole quattro del vostro della
Rinella, dicevano gli uni. E il
nostro della Rinella se lo mette
in tasca il vostro della Riforma,
rispondevano gli altri. Una
domenica si venne alle armi.
Circa cinquecento contadini
divisi in due schiere eran risoluti
a fare un massacro in onore e
gloria del crocefisso pel quale
parteggiavano. I contadini si eran
asserragliati nelle loro case e
aspettavano ansiosi che gli animi
tornassero alla calma, ma ci volle
del bello e del buono per
scongiurare il pericolo.
Io non so per quali attribuzioni
particolari la Madonna del
Carmine dai briganti sia stata
scelta a loro protettrice. Nella
caverna che la banda Perrella
avea scavato sotto uno degli
acquedotti della strada maestra
nella contrada detta la Cupa di
Tiriolo, furono trovate
appiccicate alle pareti alcune
rozze immagini della Madonna
del Carmine, di quelle che si
vendono a un soldo, e un quadro
ad olio innanzi al quale ardeva
perenne una lampada. Fra le
stranezze umane questa che
concilia la devozione, il
sentimento e il culto religioso
con la rapina, l’assassinio e il
ladroneggio mi è stata sempre
inesplicabile
(Da Nicola Misasi - In Magna
Sila- Giosafatte Tallarico- Il
Gran Bosco d’Italia- Con
introduzione di Pasquino Crupi
- Luigi Pellegrini Editore-1976
Segnaliamo agli interessati
gli ultimi libri editi dall’ Italia
Letteraria di Milano:
Le avventure dei ragazzi
di San Felice –di Carmine
Correale, pagg. 193, eu
13,50; Nel profumo dei
ricordi – di Ludovica Scotti,
pagg. 253, eu 18,00;
L’educazione alla deriva –
di Adelino Niero, pagg. 180,
eu 12,00; All’ombra di un
pezzo grosso-di Antonio
Mennella, pagg. 172, eu
15,00
A. Zac.
Arriva Pietro
Arriva Pietro.
Ha la macchina nuova
dal nome strano.
Viene dalla Svizzera,
un altro mondo
Il vento di ieri
ha strappato di colpo
i petali del mandorlo in fiore
del pesco
del susino
e del ciliegio rosa.
La terra ha i colori
dell’arcobaleno
Si scava
per far posto a una casa.
Un piccone urta il passato.
Indifferente la colata scende.
È sparito
il passato del sud.
Ancora qui
tutto è favole.
La vipera
depone il veleno
su di un sasso
prima di bere.
In ogni cespuglio
c’è un monachello insidioso,
in ogni sguardo
un malocchio latente.
Per questo
a te è facile
viver da noi.
Urla Ionio!
Luigi Rocca
(Da “L’urlo dello Jonio”Poesie-1981)
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Corriere di San Floro Calabria