Corriere di San Floro lla e d e Calabria Periodico trimestrale in distribuzione gratuita - Direttore responsabile DOMENICO PARAVATI - Registrato presso il Tribunale di Tivoli al n. 13 del 2007 Editore-Proprietà-Dir.ne-Red.ne: Domenico Paravati - V.le Trieste 19 - 00068 Rignano Flaminio (RM) Tel./Fax 0761.597431- e-mail: [email protected] - Stampato da Tipografia Vallelunga - Via Monte Razzano 11 - Campagnano di Roma - Tel. 06/9043081 La collaborazione è sempre gratuita. I testi, pubblicati o no, non si restituiscono - Responsabile dati personali: Domenico Paravati Attività editoriale senza fini di lucro (art.4 D.P.R. 26.10.1972 n.633 e successive modifiche) - Per controversie legali foro competente è quello di Tivoli Per consegna a domicilio (Abbon. annuale per posta): euro 20; sostenitore euro 50; benemerito euro 100. 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Questo accade mentre A pag. 3 e 4 NOTIZIARIO SANFLORESE di Floro Varano A pag. 2 Il Presidente della Provincia Wanda Ferro risponde alla “Lettera aperta” sul numero scorso torme di giovani stranieri li sostituiscono nelle imprese edili o nelle campagne o aiutando gli anziani malati. Quanto durerà questa follia mondiale, proprio mentre si parla di recessione e di consumi superiori alle entrate? Dovremo aspettare, come per il debito pubblico, che si giunga sull’orlo del baratro per prendere drastici provvedimenti? Una nonna di San Floro mi ha detto quasi piangendo: “Vedere i nipoti che tornano all’alba e poi dormono fino a sera mi fa tremare il cuore, mentre noi faticavamo duro, andavamo due volte al giorno a Cannàlica per portare, sulla testa, l’acqua a casa… Però comincio a rassegnarmi, perché la televisione dice che accade la stessa cosa in tutto il mondo. Ma cosa sarà di questi ragazzi quando noi, genitori e nonni che li manteniamo, non ci saremo più?” Già: cosa sarà di loro? Ovvio: saranno soppiantati da chi indigeno o straniero - non ha paura di sporcarsi le mani e, come una volta, lavora e lavora sodo, anche tra la polvere. Magari usando la zappa (o un piccolo trattore) per far fruttare terre che non producono più perché abbandonate dalla civiltà del tavolino. Aristarco Scannabue SORPRESE AGOSTANE In piazza a San Floro una serie di interessanti spettacoli curati dall’Associazione “Castellitini” - Perchè non si sostituiscono con questi prodotti nostrani le rumorose esibizioni di cantanti ed orchestre supercostose e “straniere”? - Valanga di applausi per la nostra compaesana che si è esibita in un brano di “Romeo et Juliette” di Gounod MARTA AMOROSO subito dopo l’esibizione a S. Floro (Foto Feliciano Paravati) che una giovane signora sanflorese, Marta Amoroso, moglie di Angelo Pugliese (sono residenti a Biella, dove lei dà lezioni), ha grandissime qualità di canto classico. Per la piazza di San Floro si è esibita in Je veux vivre dans le reve…, tratto dal “Romeo et Juliette” di Charles François Gounod. La voce di Marta è veramente superba, potente, affascinante, sicura, degna di ben altre e competenti platee. Comunque, anche la nostra platea “popolare” è andata in delirio e gli applausi si sono ripetuti. Questa “nostra” Marta ci ha fatto ricordare le voci classiche fino a metà del secolo scorso, quando sul palco a cupola e milleluci, allestito sempre Sutta l’Urmu, si esibivano personaggi e complessi di rilievo nazionale (c’è chi cita il Petruzzelli di Bari). Ma la voce della signora Pugliese Amoroso è ancora più bella tra quelle sentite finora dalle nostre parti. Sarà lei la nuova Callas? Ad maiora, Marta! Domenico Paravati EMIGRAZIONE “ANTICA” Paolo Casadonte, da San Floro a Jersey City (N.York, USA) Salvatore e Teresa italo-americani A sinistra: PAOLO CASADONTE in una foto conservata dai discendenti sparsi negli Stati Uniti. (A pag. 9 un’altra foto della famiglia) A destra: SALVATORE CASADONTE e TERESA MARINO il giorno delle nozze. Teresa è deceduta lo scorso anno all’età di 89 anni. Uno dei tre figli, Paul Casadonte, è un famoso psichiatra a New York Nato a Borgia, si impegnò nella pittura e nell’arte del restauro Nato nel 1890 a Borgia da Bernardo, uomo impegnato nella pittura, restauro e decorazione (attività artistiche che la “società” gli aveva riconosciuto e lo aveva premiato con medaglia d’oro) e da Maria Rosa Maletta, donna religiosa, sensibile e virtuosa, Nicola comincia fin da ragazzo a manifestare interesse per la pittura; dipinge cose immaginarie e reali. Il padre gli fa presto acquisire qualche conoscenza sulla tecnica NICOLA PIGNATARI del disegno. In seguito, egli frequenta la Gli avvenimenti di guerra lo scuola di Belle Arti di Pavia e ne distolgono, per alcuni anni, dagli esce con le necessarie conoscenze impegni professionali. culturali e tecniche di cui ha Nel 1911 partecipa da bisogno chi deve praticare l’arte Antonio Zaccone (segue a pag. 2) del dipingere. Il borgese Enrico Ferro tra i 100 “migliori” a Yale Risultare tra i cento migliori studenti di Yale deve essere una grande soddisfazione. Se poi tale risultato è raggiunto da un nostro concittadino, la soddisfazione è estesa a tutto il nostro paese. Enrico Ferro, originario di Borgia, genitori borgesi e parenti in loco, ha ottenuto il prestigioso riconoscimento: tra i cento migliori in una delle università più prestigiose al mondo. L’Università di Yale è la terza istituzione di istruzione superiore più antica degli Stati Uniti. Nel corso dei secoli ha formato diversi presidenti statunitensi, Premi Nobel e accademici. Entrare a Yale equivale ad essere il migliore tra i migliori. L’ammissione ai corsi è molto difficile. Basti pensare che la percentuale degli ammessi si aggira al di sotto del 10%. Spesso non basta avere nemmeno un curriculum eccellente perché tra i partecipanti ci sono ragazzi che hanno vinto le olimpiadi di matematica, di chimica e di fisica; o poliglotti capaci di parlare cinque lingue. Questo a dimostrazione che a Yale vengono scelti i migliori. Se poi tra i pochissimi ammessi vengono scelti i cento migliori per ogni anno accademico, si capisce bene perché quella su Enrico è una notizia di primo livello. Il nostro giornale vuole tributare ad Enrico Ferro il giusto riconoscimento al suo merito e alle sue capacità. In bocca al lupo al “nostro” studente, con la certezza di vederlo un giorno tra i medici più bravi al mondo. Domenico Procopio È rispuntato il “corvo” di San Floro Premio Cassiodoro: Nemo propheta in patria con i biblisti della cosiddetta “prima università d’Europa” e con il loro maestro), ad un giovane giornalista (che ha ancora tante tappe da percorrere nell’antichità cristiana) e ad un imprenditore, mi dicono, di autolinee. I quali signori, con tutto il rispetto, possono avere mille meriti di altro genere, ma forse non quello di essere profondi conoscitori dell’opera cassiodorea. Il nostro Viscido è un filologo, vincitore in passato di classici premi riservati ai latinisti. E di Cassiodoro, il quale scriveva ovviamente in latino ed ha fondato il Vivarium, è pure traduttore. Il sindaco Rhodio, socio Anno V - N° 3 Luglio-Agosto-Settembre 2011 Nicola Pignatari A pag. 9 “ ’A Spartenza ” o la voglia di rimanere di Francesca Cosentino SQUILLACE Il mondo è bello perché vario. O anche assurdo. Come accaduto a Squillace, dove il Premio Cassiodoro il Grande, è stato assegnato, in agosto, non a chi di Cassiodoro sa vita, morte e fors’anche miracoli (esempio: il nostro collaboratore Lorenzo Viscido, che vive a New York ma è originario di Squillace, e che di Cassiodoro e dell’agiografia e letteratura cristiana dell’Alto Medioevo sa veramente tanto) ma ad un arcivescovo emerito, Mons. Cantisani (che però solo da poco si interessa all’ex ministro dei re Goti, con un commento ai Salmi), ad un cardiochirurgo (ma cuore e chirurgia hanno poco a che fare (Luca 4,24) PERSONAGGI Marta Amoroso, la nuova Callas Che serata piacevole quella del 19 agosto a San Floro! Finalmente un po’ di musica, non rumori e urla, fastidiosi oltre ogni dire in certi giorni, soprattutto alla vigilia della festa del Patrono. Abbiamo sentito - grazie all’associazione Castellitini di Tonino Bressi una simpatica “mini-banda” (provenienza Girifalco, che si è esibita su marce suonate negli Anni Cinquanta-Sessanta in occasione dell’ Immacolata, la cui processione e festa erano volute da Rosuzza Amoroso); ha cantato l’autore Domenico Aracri, detto “Mimmo del Sud” (di origine cortalese) della famosa canzonetta “Tuppi tuppi, Marescià…”; qualche altro personaggio ci ha fatto morire dalle risate; un bambino di cinque anni in bombetta ha interpretato la spassosissima canzone “E Berta filava” di Rino Gaetano. Ma soprattutto abbiamo scoperto Nemo propheta acceptus est in patria sua fondatore del Centro Culturale Cassiodoro e certamente persona benemerita per tante altre cose, si era premurato di segnalare al Presidente di quel Centro il nome di Viscido? O la segnalazione non è stata tenuta in alcun conto? E perché mai? Forse perché Lorenzo ha un carattere spigoloso in quanto non accomodante, soprattutto nel suo campo? E che c’entrano gli spigoli con un premio alla cultura? In ogni caso, ripeto: il mondo è bello perché vario. O anche assurdo. E quindi, pazienza, Lorenzo. Ricordi? “Nemo propheta acceptus est in patria sua” (Luca 4, 24). D.P. Chissà se è lo stesso corvo, ma sempre corvo è. Dopo alcuni anni di silenzio (prima era stato preso di mira il sindaco di allora Floro Vivino ed alcuni suoi collaboratori o amici) negli scorsi mesi estivi è stata la volta del sindaco attuale, Maria Teresa Procopio. In entrambi i casi di uno o più imbecilli si tratta; se non altro perché l’anonimo, sia ora che in passato, pur di buttare fango ha sciorinato fatti veri o presunti ma strettamente personali. Questo o questi imbecilli dimenticano che non interessano i fatti privati degli amministratori, ma solo il loro comportamento nei confronti degli amministrati. Quindi c’è da sperare che la cittadinanza ignori e disprezzi nel modo più assoluto anche il corvo o i corvi degli ultimi mesi. Barbabianca ABBONATEVI: c/c/p 54078100 intestato Domenico Paravati Corriere di San Floro e della Calabria Direttore responsabile: Domenico Paravati Vice Direttori (ad honorem): Feliciano Paravati (per i servizi fotografici) Antonio Zaccone (per Borgia e Catanzaro) Angiolino Guzzo (per i servizi tecnologici) 2 Corriere di San Floro e della Calabria SEGUE DALLA PRIMA PAGINA QUANDO LE ISTITUZIONI RISPONDONO Wanda Ferro (Provincia) ribatte alla nostra “lettera aperta” Da Wanda Ferro, Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, riceviamo e pubblichiamo: Egregio Sig. Paravati, ritengo doveroso rispondere alla lettera aperta, pubblicata sul periodico “Corriere di San Floro e della Calabria”, in cui lei chiedeva lumi circa l’evento franoso che ha interessato l’ingresso all’abitazione della sua congiunta Maria Pia Paravati. A seguito della sua lettera ho immediatamente chiesto notizie agli uffici di quest’Ente in ordine alla problematica esposta e, dalle informazioni assunte, mi risulta che i luoghi da lei descritti siano stati oggetto di numerosi sopralluoghi da parte dei tecnici dell’Amministrazione Provinciale. Non può quindi trovarmi d’accordo quando nella sua lettera sembra paventare una superficialità della Provincia nell’affrontare il problema, né tantomeno quando accusa l’Ente di “noncuranza” e “insipienza”. Nella sua lettera sostiene che anche “un bambino si renderebbe conto delle cause della voragine”, cercando surrettiziamente di attribuire alla Provincia la responsabilità dell’accaduto, e suggerendo persino le modalità tecniche con cui si sarebbe potuto evitare il problema (naturalmente a spese dell’Ente). In verità, anche per fornire un’informazione corretta ai cittadini, occorre precisare che la strada di ingresso all’abitazione della sua congiunta risultava priva di ogni caratteristica tecnica che ne consentisse l’innesto alla Strada Provinciale, sia in termini di sicurezza stradale e coerenza col Codice della Strada (era situato in piena curva), che di caratteristiche tecniche (la strada privata, peraltro costruita in zona classificata a rischio idrogeologico, era priva di opere di sostegno e realizzata con materiali quantomeno “inadatti”). La sua analisi dell’accaduto tende ad invertire il processo di causa/effetto. La realtà dei fatti è diversa: non è stata la strada provinciale a franare, bensì la strada privata della sig.ra Paravati. È stato proprio il crollo della strada privata a danneggiare, a sua volta, la Provinciale mediante un effetto di “trascinamento”. Come spesso accade, anche in questa vicenda è l’Ente pubblico ad essere parte lesa rispetto ai danni che vengono cagionati al territorio dagli interventi scriteriati dell’uomo. Eppure nella nostra terra resiste la convinzione che debba essere sempre e comunque l’Ente pubblico a risarcire e a pagare per responsabilità non proprie. Detto ciò, non posso che esprimere il mio forte dispiacere personale per il dramma che vive la famiglia della sua congiunta, impossibilitata persino a raggiungere la propria abitazione. Di tale situazione mi rammarico, al pari di tutti i tecnici intervenuti sul posto, e mi auguro che possa essere risolta al più presto. Tuttavia, nell’esercizio del mio ruolo istituzionale non posso che confermarle che la Provincia non ha alcuna responsabilità rispetto al problema che ha colpito la sig.ra Paravati, alla quale posso soltanto offrire la mia personale solidarietà e confermare la piena volontà di collaborare, per quanto di competenza, alla soluzione del problema. Restando sempre disponibile ad ogni ulteriore chiarimento, porgo cordiali saluti. Il presidente Dott.ssa Wanda Ferro Gentile Signora, grazie intanto per la risposta. Non tutti i responsabili di pubbliche amministrazioni sono pronti a rispondere, invertendo, anche loro, il giusto rapporto; dimenticando cioè che chi ricopre un incarico pubblico elettivo ha né più né meno che il dovere di dare conto dell’ operato del “suo” Ente, che non è però sua proprietà. Di ciò dunque le do merito. Concordo con quanto afferma sulla facilità con la quale il privato dà in genere la colpa al pubblico per i danni causati magari dallo stesso cittadino. Ma nel caso di mia sorella debbo precisarLe, in quanto ne sono testimone diretto, che la strada di accesso era lì da moltissimi anni, certamente dalla fine Anni Quaranta (cioè prima che venisse realizzato quel tratto stradale pubblico); quando io, ragazzino, accompagnavo tra le sue querce il mio prozio Domenico De Nardo, proprietario del terreno. Forse quella strada d’accesso (magari sotto forma di viottolo), e dunque quell’ingresso, erano lì da secoli. Posso anche essere d’accordo sull’assenza o sulla non congruità di opere di sostegno; ma ribadisco che la causa immediata della frana mi sembra l’acqua non fatta confluire dalla strada provinciale in luogo più adatto a riceverla senza causare prevedibili danni al privato. Domenico Paravati SAN FLORO La “Due giorni” dei giovani di “Articolo 21. Liberi di...” Il 12 e 13 agosto u.s., quegli svegli e pimpanti ragazzi sanfloresi di “Articolo 21. Liberi di…” hanno presentato una duegiorni che, tirando le somme, si è rivelata interessante e degna di attenzione per chi intende lottare contro le mafie di ogni tipo, ma soprattutto quella classica, nostrana: la ‘ndrangheta. Hanno chiamato a convegno nella prima giornata della loro “Festa della libertà e della legalità” una diecina di personaggi di varie parti della Calabria ritenuti “esperti” dell’argomento. All’inizio, la serata – preceduta da un’eccellente rievocazione, da parte di due giovanissimi di “Uccideteci tutti”, della morte venti anni fa del magistrato Antonino Scopelliti, di cui si lamenta lo scarso ricordo di istituzioni e stampa - è sembrata piuttosto noiosa, con interventi spesso senza capo né coda, con ragionamenti di difficile comprensione da parte di un pubblico estivo. La seconda parte è apparsa invece legata al vivo dell’argomento in agenda, con racconti di fatti concreti. Per esempio, con gli interventi di due personaggi: uno che ha attaccato con forza l’ipotesi di amnistia (egli stesso ha avuto un figlio ucciso da chi era uscito dal carcere proprio grazie ad un tale provvedimento); un altro che ha raccontato l’ esperienza personale di rifiuto della mazzetta a ‘ndranghetisti nicastresi, rifiuto portato avanti anche grazie al SAN FLORO Queste nostre care ragazze Facciamo il paese più bello Sentita con le mie orecchie, disteso sulla sabbia alla Roccelletta, il 16 di agosto, ore 11 circa, da un gruppetto di ragazzine (dunque femmine, non maschi), tutte intorno ai quindici-sedici anni: Ragazzina A- Si dice mia amica, ma la verità è che sta solo cercando di mettermela nel c…. Ragazzina B- Anche a me ha rotto il c…da tempo. Ragazzina C- Sì, è proprio vero: ha proprio rotto i c….a tutte! Sapete bene quelle tre “c” a quali eleganti paroline del vocabolario corrispondono. Ma tant’è. È questo ormai il modo di dialogare delle nostre disinvolte fanciulle. A.S. Da un po’ di tempo sono in tanti ad avere ristrutturato la casa a San Floro. In genere si tratta di emigrati che vogliono avere al loro ritorno, magari una volta all’anno, un appartamentino da godere in tutto e per tutto: soprattutto con un bel colore all’esterno. Si stanno quindi moltiplicando le antiche case che è possibile vedere circondate dalle impalcature per il restyling. C’è da sperare che la ventata di voglia di bello continui. Avremo un paese che in breve sarà un autentico gioiello, favorito oltretutto dallo svincolo che, speriamo a breve, verrà aperto sulla nuova statale 106; la quale passa per la località Donnantona di Borgia, a due passi quindi dalla nostra San Floro. sostegno di altri esercenti attività commerciali. Ma c’è stato pure chi, nella serata del 12 agosto, ha puntato il dito sul lassismo, il lasciar correre, quel certo modo di vedere le cose da parte dei calabresi in generale che tanto male porta all’affermarsi della giustizia. Achiusura della due-sere su “libertà e legalità”, i ragazzi di “Articolo 21.Liberi di…” hanno consegnato al sindaco Procopio una pergamena che ricorda i 200 anni della nascita del Comune di San Floro (1811), ricerca sulla quale si erano impegnati. Peccato che poco prima il pubblico abbia dovuto registrare un polemico intervento del consigliere di minoranza ed ex sindaco Florino Vivino in risposta ad un altrettanto poco opportuno intervento, ad inizio serata, dello stesso sindaco, avente per oggetto una recente diatrìba nel consiglio comunale su attività della passata amministrazione. Entrambi, come suol dirsi, sono usciti dal seminato. Con pubblico, convegnisti ed organizzatori impegnati su “giustizia e libertà” rimasti letteralmente allibiti (come sottolineato con forza dal giovane Giuseppe Tassone di “Articolo 21”). Ma, in fondo, nel convegno si vantava o no la libertà, compresa quella di parola? I due ne hanno immediatamente approfittato, ma forse con troppa passione. D. P. CIELO DI RAME Le sventure e chi ne approfitta Cielo di rame e canta una campana. Tante le note sull’arcobaleno. Sta sfolgorando il senso della vita pur di quella fontana inaridita. Sciamate dal metallo ore di festa stanno cercando non si sa chi sia. Qualcuno ha un dubbio e gli scurisce il cuore come se fosse un alito di pena come se fosse frana di furore. E nella sera quella voce amica danzando al vento coglie sua fatica. Agnese Cantalamessa A CHISSA RUGA C’È ‘NA BELLA ROSA A chissa ruga c’è ‘na bella rosa. Sinnò la testa a li pìadi li posa, Nessunu mu la tocca ch’è la mia! lu sangu fa lu hjuma pe lla via! Si ‘nc’esta ‘ncùnu chi pretènda cosa cacciàra si la po’ la hantasìa. (Dagli antichi canti popolari sanfloresi accompagnati dall’organetto) Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 La divinità, a quanto pare, suole mandare alcuni avvertimenti quando delle gravi sventure stanno per abbattersi sopra una città o su un popolo poiché anche i Chii, prima di queste vicende, avevano avuto dei presagi manifesti. Prima di tutto, avendo essi mandato a Delfi un coro di cento giovani, solo due di essi poterono tornare. Gli altri novantotto se li portò via la peste. Poi, nello stesso torno di tempo, poco prima della battaglia navale, in città il soffitto di una scuola era crollato sul capo di fanciulli che imparavano i primi elementi, e di centoventi bambini solo uno si salvò. Questi i presagi che il dio aveva in precedenza mandato. Dopo, era seguita la battaglia navale che aveva ridotto in ginocchio la città; quindi, dopo lo scontro per mare, era sopravvenuto Istieo alla testa dei Lesbi ed era stato facile per lui ottenere la sottomissione dei Chii, ormai sfiniti dai mali. (Erodoto-Le Storie –A cura di Luigi Annibaletto- Libro VI- par. 27-Oscar Mondadori 1982) Nicola Pignatari combattente all’occupazione della Libia e in seguito prende parte al primo conflitto mondiale (1915’18). Un suo quadro si intitola “La ritirata di Caporetto, 1917”. Ancor giovane, sposa la gentile e virtuosa Teresa Pinnarò. Dal matrimonio nascono cinque figli: Bernardo, Maria Rosa, Domenico, Concetta ed Elena. Nicola Pignatari utilizza l’arte per esprimere principalmente motivi religiosi. Su di lui esercita una certa influenza la pittura dei Carracci (Ludovico, Agostino e Annibale), artisti bolognesi che, nel passato, si erano dedicati di preferenza ai soggetti sacri ed avevano rivolto la loro attenzione verso il dato naturale, e i cui ideali (le grandi forme decorative) informarono gran parte della pittura italiana del Seicento. I dipinti giovanili del Pignatari evidenziano, in parte, lo stile inaugurato dai Carracci, senza che i lavori nascondano l’originale creazione artistica del pittore borgese. A Borgia, nella chiesa dell’Immacolata, vi è raffigurata su muro la Pietà di Annibale Carracci, riprodotta dal Pignatari in maniera personale. Le sue opere fanno trasparire un importante significato: “la relazione uomodivino”. Oltre all’arte del dipingere, egli esplica l’attività del restauro e della decorazione (risana affreschi nell’interno di chiese e abbellisce interni ed esterni di palazzi e di sale). Per il suo modo di restaurare, bene intonato al tema religioso, ricevette via via un’infinità di incarichi da parte di autorità ecclesiastiche di Calabria, Sicilia, Basilicata. Portano la sua “impronta”, fra le tante altre, la Basilica dell’Immacolata di Catanzaro, la chiesa di Santa Maria del Cedro, in provincia di Cosenza, e la sede vescovile di Patti (Messina). I suoi quadri sono custoditi dai familiari, e alcuni di essi abbelliscono salotti di privati. Nicola Pignatari terminò i suoi giorni nel paese natìo, all’età di 74 anni. Antonio Zaccone Si allarga il parco eolico? Ci sarebbe una volontà istituzionale di ampliare ancora di più il dissennato parco eolico che tanti danni ambientali sta arrecando anche alla nostra regione. Non sappiamo se l’area sanflorese sia inclusa in questo progetto, ammesso che esso venga realmente elaborato e presentato. Ma a questo punto bisogna tenere orecchie ed occhi ben aperti per cercare di bloccare tale eventuale iniziativa. SAN FLORO Una croce per ogni morto Tradizione e pietas cristiana vanno a braccetto evidentemente tra gli emigrati sanfloresi. O almeno uno di questi, Paolo Pugliese, residente a Casorate Sempione, in provincia di Varese, ma molto legato alla sua terra di origine, ha deciso di fare un piccolo intervento a favore del cimitero di San Floro. Ha notato che nel nostro camposanto le tombe nell’area riservata ai più poveri, sepolti nella nuda terra, erano in massima parte sprovviste di croci, ormai distrutte dal tempo. E così ha pensato di fornirne al Comune prima una ventina, preparate di persona; poi, in seguito ad un sopralluogo diretto in agosto, notato che queste tombe erano di più, ha deciso di fornirne altre quaranta. Insomma, sessanta croci in legno elegante da piantare o già piantate sui tumuli di terra sprovvisti di ogni segno religioso, grazie alla eccezionale sensibilità umana e cristiana di Paolo Pugliese. Al quale non può che andare l’ammirazione di tutti i compaesani, “ricchi” e poveri. SAN FLORO - Vincenzo Lamorea in una foto giovanile. Lamorea, capopopolo comunista nel secondo dopoguerra ed amministratore comunale negli Anni Settanta, può essere indicato ad esempio per equilibrio, onestà, moralità ed impegno nel trattare la cosa pubblica (Da “Ciao San Floro Ciao Calabria” di Domenico e Feliciano Paravati) Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 Corriere di San Floro e della Calabria 3 NOTIZIARIO SANFLORESE - A cura di Floro Varano I FESTEGGIAMENTI IN ONORE DI SANT’ANTONIO Così come avviene ormai da un ventennio, anche per quest’anno, il colonnello Antonio Nania ha organizzato la festa al popolare Santo di Padova. La sua fede verso il Santo è dovuta ad una storia particolare, che affonda le radici nella propria famiglia d’origine e che riguarda addirittura la sua nascita, inaspettata ma annunziata alla propria madre da un sogno ricorrente che anticipava l’evento dell’arrivo inaspettato di un nuovo figlio. Nel sogno, un fraticello che vestiva il saio antoniano ripeteva che sarebbe nato questo figlio e si sarebbe dovuto chiamare Antonino. Il padre, recatosi a suo tempo in municipio per la dichiarazione dell’avvenuta nascita aveva manifestato la volontà di attribuirgli il nome di Antonino, giusto proprio come il fraticello aveva indicato alla mamma. Ma il “cancelliere” dell’epoca, alias ufficiale di stato civile del comune di San Floro, suggerì il nome Antonio. E così venne scritto sull’atto di nascita. La famiglia del colonnello ha sempre, da allora, manifestato devozione per detto Santo, con la celebrazione di messe e dei vespri in occasione della ricorrenza del 13 giugno. Quindi, dopo la scomparsa dei genitori, Totò Nania si è sentito quasi in dovere di continuare lui la tradizione di famiglia ed ha avviato i festeggiamenti in onore del Santo. Ha costituito un libretto postale di risparmio dove allocava le offerte dei fedeli e pagava di tasca propria le spese affrontate per la festa, come fuochi, banda, spese chiesa ed altro. Quando la somma accantonata ha raggiunto una certa consistenza ha provveduto a far eseguire alcuni lavori di restauro della nostra chiesa: l’altare maggiore, la parete absidale, la volta a botte Ha dovuto per questo affrontare alcune difficoltà di tipo burocratico, ma non si è scoraggiato; anzi ha tratto stimolo e motivo per andare avanti nel progetto di rendere più bella ed accogliente la chiesa. Ma, come spesso accade quando si combatte contro un muro di gomma, da un paio di anni, impegnate tutte le somme raccolte nei vari restauri che sono sotto gli occhi di tutti i fedeli, ha chiuso l’argomento restauro ma continua il suo impegno sia di fede che economico, continua a far personalmente fronte alle spese mentre le offerte le devolve alla parrocchia. CONSIGLIO COMUNALE AL CALOR BIANCO L’aria dell’evento particolare si respirava già in paese sin dal primo pomeriggio.Ilgeom.FrancoBattaglia, presidente dell’Associazione Articolo 21, liberi di…, aveva fatto affiggere nelle bacheche della cittadina una lunga ed articolata lettera aperta al sindaco chiedendo un rinvio dell’approvazione del PSA. Già, era proprio il” Piano Strutturale Associato” l’argomento forte che aveva impegnato la tranquilla atmosfera sanflorese di una sorta di carica elettrica pruriginosa, quasi esplosiva. Piazza municipio era insolitamente popolata ed animata, la saletta consiliare gremita. All’appello del segretario comunale quasi tutti presenti; mancava la dott.ssa Luciana Mungo, che però riusciva ad arrivare sul filo dell’apertura dei lavori. Solite e previste formalità, che saltiamo per evitare di ripetere la solita tiritera, fino a quando interveniva l’assessore Aloi per dare lettura di un corposo documento che poi consegnava al Sindaco, per l’acquisizione agli atti, e con cui poneva una serie di quesiti, chiedendo ovviamente risposte, e che avevano come tema alcune presunte irregolarità inerenti al villaggio a valle popolarmente identificato come “Case gialle”. Successivamente si discute un piano di lottizzazione, presentato dalla ditta Giulia Massara, che riguarda un’area di trentaseimila metri quadri, in SAN FLORO - Un sorridente Don Giuseppe tra i giovani (Foto F. Paravati) località Andreotta. Passa con 9 voti favorevoli e 3 contrari. I tecnici illustrano il PSA (Piano strutturale Associato), progettato assieme ad altri sei comuni del circondario, che prevede, tra l’altro, una serie di raccordi stradali che valorizzeranno, se mai saranno realizzati, il nostro paese. Chi volesse attingere notizie più approfondite sul PSA, può trovarle sul sito – www. Psa. Cortale. Sulla discussione del piano si accende una poco edificante e rissosa discussione, con scambio reciproco di accuse, tra maggioranza e minoranza, che si conclude con la minaccia di espulsione dall’aula del consigliere Florino Vivino.Alla fine comunque il PSA passa con i voti della maggioranza. Nella successiva seduta consiliare per l’approvazione del bilancio, il Sindaco Procopio annunziava la revoca da assessore al consigliere Aloi ed in contemporanea l’attribuzione delle deleghe sia agli assessori che ai consiglieri, trattenendo per sé le competenze relative ai lavori pubblici. Il posto di assessore rimasto libero dopo la defenestrazione di Aloi veniva attribuito al consigliere Massimiliano Maida, residente presso il villaggio Torre del duca. Queste le deleghe attribuite. ·Protezione civile, turismo, rapporti con le università- Assessore Massimiliano Maida. ·Agricoltura e ambiente: Assessore Flavio Costa ·Gestione delle risorse umane, sport, decoro urbano, verde pubblico, viabilità: Assessore Santino Amoroso. ·Istruzione e politiche educative, servizi per l’infanzia, asili nido e scuole materne, mense scolastiche, cooperazione internazionale e gemellaggi,cultura, rapporti con le associazione volontariato, pari opportunità: Consigliere Flavia Meta. ·Attività produttive, commerciali e artigianali: Consigliere Antonio Curcio. ·Politiche sociali, politiche per la famiglia: Consigliere Luciana Mungo. ·Bilancio, finanza e tributi, programmazione, affari generali, gestione eventi: Consigliere Salvatore Pilo’. Verso la fine della seduta si ripete la rissa parolaia, che si conclude anche questa volta con la richiesta del sindaco dell’espulsione del consigliere Florino Vivino. IL CORVO Il corvo è il titolo di un vecchio film in bianco e nero che ben delinea la situazione che periodicamente e sistematicamente si verifica a San Floro, in occasione di eventi festivi -Natale e/o Pasqua- o periodi stagionali, cioè con l’arrivo dell’estate e il conseguente rientro degli emigrati. Ci riferiamo alle varie lettere anonime che prendono di mira quei personaggi che, per motivi principalmente politici, appaiono alla ribalta della cronaca paesana.Tutti ricordiamo gli scritti diffusi in paese del Passero solitario e altre missive precedenti, che hanno cercato di avvelenare la tranquilla atmosfera sanflorese. Ora le tossine -che solitamente vengono copiosamente sparse con queste missive- producono un duplice effetto: il primo è quello di denigrare la persona o le persone bersaglio; l’effetto collaterale è determinato dalla ricerca mentale che ognuno opera cercando di individuare la “fonte” che abbia potuto originare gli scritti anonimi. È questo l’effetto più devastante che la lettera anonima genera: molti diventano i sospettati, per cui ognuno identifica un probabile corvo, verso il quale si addensa un’aura di diffidenza, di astio e spesso di vero e proprio odio. Per il moltiplicarsi delle congetture le persone sospettate sono -per almeno il 99 per cento- quelle che nulla hanno avuto o hanno a che fare con le lettere anonime. Rimane quell’1 per cento misterioso, a meno che non si tratti di un “gruppo” di corvi. Eventuale gruppo che non può che essere ristrettissimo per evitare la fuoruscita del segreto. E così la micidiale caccia all’untore o agli untori continua. Ora non mi voglio avventurare in considerazioni di tipo moralistico, ma una lasciatemela passare. I bisogni della nostra comunità sono purtroppo ancora tanti, ma delle lettere anonime non sentiamo proprio alcun bisogno. Lasciano il tempo che trovano, non producono effetti pratici, oltre il gossip che solitamente dura una settimana, forse anche perché gli anonimisti ne hanno fatto uso ed abuso. AGOSTO SANFLORESE TERZA EDIZIONE L’Agosto Sanflorese 2011 ha preso il via con un grande cartellone posto all’ingresso della piazza principale del paese (con una grafica attraente presenta il calendario degli eventi). Giorno 10 ha avuto luogo la prima serata con uno spettacolo di tipo cabarettistico con l’esibizione dei noti comici calabresi Pino e Rino. Durante il pomeriggio, i magazzini che sorgono lungo le viuzze del rione Valle hanno ospitato una mostra sugli antichi mestieri. Il tutto è stato organizzato da una neo- associazione denominata “San Floro nel cuore”. Nei due giorni successivi, sono stati protagonisti i giovani di “Articolo 21. Liberi di…” che hanno incentrato la due- giorni sul tema della libertà e della legalità. La prima serata alcuni giovani artisti calabresi hanno ricordato la figura ed il sacrificio del magistrato Scopelliti, affiancando la sua opera a quella dei più noti Falcone e Borsellino. Dopo lo spettacolo un dibattito con l’intervento di politici, studiosi e docenti di diritto. La serata è stata particolarmente fresca. Sembrava di essere in Sila piuttosto che a San Floro. La serata numero due si è aperta con un dibattito che ha visto l’intervento del presidente dell’associazione Franco Battaglia; a chiudere, un complesso formato da giovani sanfloresi che hanno riscosso l’ammirazione e gli applausi della numerosa cittadinanza presente. Se proprio un appunto dobbiamo farlo bisogna ricordare a questi giovani che quando si organizza un dibattito pubblico sarebbe bene far partecipare anche la gente comune, quale noi crediamo di essere, e non riservare la parola solo agli addetti ai lavori. Piccolo peccato veniale che però perdoniamo volentieri ai nostri cari ragazzi. Le serate sono state allietate dalla SAN FLORO - La processione giunta al termine (Foto F. Paravati) distribuzione di succulenti specialità locali quali i nicatuli, ‘u morzeddhu, la pasta con la nduja e la sagra del cinghiale. La quarta serata registriamo uno spettacolo di emergenti musicisti calabresi, per poi passare, il 16 agosto, alla esposizione nelle sale del castello Caracciolo di una inedita mostra di figure ed oggetti sacri, allestita da Ernesto Lamanna, figlio del nostro compaesanoAngelo.Alla mostra è intervenuto l’ex Governatore della Calabria, on.le Guido Rhodio, attuale sindaco di Squillace. Uno dei meriti da attribuire all’iniziativa quello di aver riproposto all’attenzione dei giovani alcune significative opere firmate dall’artista Micheluzzu Marinaro. Tra i reperti più significativi abbiamo potuto ammirare alcune opere del Marinaro, tra cui una splendida natività ed un crocefisso ligneo. La figura e l’opera di questo nostro conterraneo meriterebbero adeguata rivisitazione ed essere rivalutate. Registriamo nella stessa giornata la presentazione presso la sala consiliare di un progetto, patrocinato dall’amministrazione comunale, che dovrebbe consentire, a tutta la cittadinanza, il collegamento ad internet gratuitamente. Le serate del 17 e 18, vigilia e giorno di festa del Patrono San Floro (parliamo ovviamente dello spettacolo e non del programma religioso) sono state due serate “senza infamia e senza lode”, forse meglio la seconda serata, animata da un gruppo che ha rievocato le canzoni ancora attuali del crotonese Rino Gaetano, scomparso da tempo. Questa formula (soprattutto nella prima serata con il cosiddetto “cantante”) ha funzionato a meraviglia negli Anni Settanta ed Ottanta. Ma mostra ormai la corda, appare ingessata e logora, e le due serate legate alla festa patronale non rappresentano più il “ clou” delle manifestazioni agostane sanfloresi. Se in una vetrina di oreficeria, dove abitualmente l’orafo, per anni, ha esposto autentici gioielli, questi vengono poi sostituiti con pezzi di bigiotteria, state pur certi che nessuno va a guardarli (o va a guardarli un pubblico non molto raffinato); la bigiotteria la si trova ovunque,anche al mercatino rionale. Ci vorrebbero fantasia ed idee nuove, ma queste abitano altrove. In tempi di crisi, come quelli che stiamo vivendo, solamente chi riesce a coniugare innovazione con tradizione riesce a far bene. Tonino Bressi docet, con le sue rappresentazionispettacolo nei giorni seguenti che hanno riscosso vivo successo. Non possiamo poi sottacere alcuni aspetti del programma religioso che hanno suscitato vivo malcontento tra la popolazione dei fedeli. La tradizione, legata al culto del nostro Patrono, vuole che la statua di San Floro venga esposta alla venerazione dei fedeli, all’inizio della novena, e fino al giorno dell’ottavario. Possiamo discutere quanto vogliamo sulla bontà di tali consuetudini, ma se queste si sono ormai cementate nella popolazione, non vediamo la necessità e l’urgenza di estirparle, anche perché non vi riscontriamo alcun male, e nessun aspetto negativo. Non possiamo però nemmeno ignorare la cura che il parroco dedica alla chiesa, al gusto negli addobbi, al lavoro che personalmente compie per tenerla pulita ed in perfetto ordine. Lo abbiamo personalmente notato, all’approssimarsi delle festività, salire sulle scale per ripulire i vetri delle finestre. E questo, assieme al resto, lo ascriviamo a suo merito; ma da un parroco, cui sono affidate le cure spirituali di un intero popolo, ci aspetteremmo di più, sul piano del dialogo con tutti, fedeli e non; sul piano dell’organizzazione e della vicinanza al mondo giovanile. Non ce ne voglia se ci permettiamo di sottolinearlo, ricordandoglielo. Per crescere c’è sempre tempo. LA VOCE SPLENDIDA DI MARTA AMOROSO La giornata del 19 agosto è stata particolare, ricca di eventi, a cominciare dalla mattinata dedicata alla prevenzione del diabete, con la presenza di personale specializzato che ha eseguito prelievi di sangue ed informato le persone sullo stato dei loro valori glicemici. Il pomeriggio ha visto la presenza di numerosi centauri che hanno fatto sfoggio dei loro bolidi, per la gioia degli occhi di piccoli e grandi. Per le vie del paese sono sfilati alcuni figuranti che con RINO GAETANO - La sua “E Berta filava” è stata cantata in maniera spassosa da un bambino di 5 anni chiarine e tamburi hanno creato in paese quel clima di festa che coinvolge un po’ tutti. Applaudito ed accarezzato un asinello che con il suo puledrino ha attratto l’attenzione dei piccoli che magari non avevano mai visto da vicino questo paziente e laborioso animale, che per secoli ha prestato la sua forza alleviando il duro lavoro dei contadini. Poi la serata che ha visto un succedersi di eventi e di personaggi che si sono alternati cambiando continuamente genere ma mantenendo sempre alta e desta l’attenzione e l’interesse. Ricordarli tutti sarebbe oneroso per lo spazio che non abbiamo a disposizione, nel giornale. Di questo ci scusiamo. La chicca autentica è stata la presenza e la voce di Marta Amoroso. Quando le prime note canore si sono diffuse tra la piazza, un brivido ha percorso la folla, e la sensazione di tutti è stata che in quel momento si stava assistendo ad un evento tanto magico quanto inatteso: la nascita di una nuova stella della lirica. I vocalizzi armoniosi, i virtuosismi della voce forte e potente, flebile e dolce, i gorgheggi dell’usignolo, hanno accarezzato il nostro udito. Era musica autentica, quella celestiale e divina che si sente nei grandi teatri, nei templi della lirica. Quanta emozione nell’ammirare ed applaudire una giovane figlia di San Floro che sicuramente è votata ad incontrare il successo che merita. IL BALLO DELLA PUPAZZA DI TONINO E poi la premiazione dei bambini della nostra scuola primaria, con la presenza delle maestre e dei dirigenti, il ballo della Pupazza, le note ed i virtuosismi di Bruno Bressi con la sua orami famosa fisarmonica. A Tonino Bressi, che ha organizzato il tutto, un corale bravo! Ci hai saputo regalare una serata coinvolgente, hai saputo dimostrare che per emozionare e divertire il pubblico sanflorese non ci vogliono tanti soldi: basta l’inventiva, il lavoro, l’impegno, la fantasia. Insomma hai dimostrato di saper coniugare l’innovazione con la tradizione, dosando con sapienza questi due ingredientibase fondamentali. Hai saputo dosare ed amalgamare, con gusto, i tanti ingredienti di uno spettacolo che potevano diventare un polpettone, ma come per magia si sono trasformati invece in una sorta di piccola opera d’arte. Continua così, il popolo ti apprezza e ti vorrà (segue a pag. 4) 4 Corriere di San Floro e della Calabria (segue da pag. 3) certamente seguire. E siamo solamente alla prima serata Bressi. Durante la seconda ha avuto luogo la sesta edizione del Concorso Nazionale di Fisarmonica, che ha visto la numerosa e qualificata partecipazione di artisti provenienti da varie regioni italiane. Da rimarcare la presenza della fisarmonicista Sbarra che ha incantato i presenti con i suoi virtuosismi alla tastiera accompagnata alla pari dal nostro giovane Bruno Bressi. LA PRO LOCO SI RINNOVA E SCOMMETTE SUI GIOVANI Si riparte con la Pro Loco Tommaso Scarcella, con l’obiettivo dichiarato di superare le fazioni locali e di unire il paese, con l’ambizione di formare un gruppo di giovani capaci di impegnarsi nella costruzione di un futuro NOTIZIARIO SANFLORESE - A cura di Floro Varano perché di marca. Il ticket, che tanto ci pesa, con il farmaco equivalente non lo paghiamo, così come non lo paghiamo per quei farmaci dei quali ancora non c’è in commercio l’equivalente, perché ancora protetti dal brevetto; mentre il ticket è dovuto per i farmaci di marca di cui si trova in commercio l’equivalente. Spero di essermi spiegato. Dobbiamo comunque aver chiaro che i soldi del ticket non vanno nelle tasche della farmacista, vanno al servizio sanitario. Ultima considerazione da fare. In un piccolo paese come il nostro, avere una farmacia aperta mattina e pomeriggio, per sei giorni alla settimana, è per tutta la cittadinanza una risorsa preziosa da custodire e da meritare. La presenza del medico invece non è continuativa, perché egli presta servizio per un numero di ore rapportato al numero dei SAN FLORO - La processione del Patrono sul Corso (Foto F. Paravati) migliore per la nostra comunità, con l’intento di amalgamare la popolazione del centro storico con quella del villaggio in contrada Torre del Duca, con il bisogno di creare uno scambio intenso con tutti i sanfloresi che hanno dovuto lasciare la terra natia. Le linee guida della nuova Pro Loco sono così riassumibili: 1. promozione delle risorse umane 2. valorizzazione dei beni ambientali 3. riscoperta della civiltà sanflorese. I traguardi ci sembrano un tantino ambiziosi, ed il percorso è abbastanza lungo; con il contributo di molti ce la potremmo anche fare. FARMACI, FARMACIA, FARMACISTA Tutti noi sanfloresi ormai conosciamo ed apprezziamo la dott.ssa Rocca, che gestisce ormai da qualche anno la locale farmacia. Una signora dai modi affabili e gentili, che accoglie sempre e tutti con il sorriso, pronta a consigliarti per il meglio. Sappiamo che la sanità calabrese versa in notevoli difficoltà economiche, e che il pagamento del ticket sui medicinali non piace a nessuno, la nostra è una popolazione di persone anziane che tirano avanti con pensioni minime e quindi anche i due- tre euro da pagare sulla ricetta sono un aggravio pesante per le loro scarse risorse. La nostra farmacista ne è pienamente consapevole, ed è per questo che consiglia l’uso dei farmaci equivalenti, che non sono prodotti di serie B, ma sono medicine che hanno la stessa molecola che si trova nel prodotto di “marca”. Con un certo rammarico la dottoressa Rocca chiede l’aiuto del giornale per divulgare il suo appello a preferire il farmaco cosiddetto EQUIVALENTE perché identico in tutto e per tutto a quello che noi riteniamo più blasonato Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 libretti che fanno capo a lui. Quindi la presenza della farmacista dott.ssa Rocca è un patrimonio che tutti i sanfloresi dobbiamo saper apprezzare. BRUNO BRESSI E LA SUA FISARMONICA SU RAI UNO L’Accademia Internazionale del Bergamotto organizza ogni anno la festa dell’omonimo frutto in quel di Reggio Calabria. Quest’anno uno dei protagonisti dell’evento è stato il nostro bravo fisarmonicista Bruno Bressi. E fin qua tutto normale. L’eccezionale consiste nel fatto che la manifestazione è stata trasmessa da Rai Uno; per cui questo promettente artista è stato visto in tutta Italia. Ad maiora… Bruno! MILLE E NON PIU’ MILLE. L’ABBIAMO SCAMPATA? L’annuncio della soppressione dei comuni con popolazione inferiore ai mille abitanti aveva gettato nello sconcerto la popolazione tutta. Già si discuteva con chi accorparsi: La volontà unanime era di buttarci in un mare grande… e quindi Catanzaro prevaleva su ogni altra ipotesi. Poi l’orizzonte si è rasserenato, i piccoli comuni erano stati salvati…… Una sorta di grazia ricevuta in forza dei numeri che penalizzavano fortemente il nord; la fascia pedemontana delle Alpi sarebbe stata falcidiata da una vera e propria ecatombe. Questa volta il sig. Bossi, senza volerlo, ha graziato anche San Floro. IL CONSIGLIO COMUNALE APERTO DEL 23 AGOSTO (CON INTERVENTO PARLACHIARO DEL PREFETTO) Le due ultime sedute consiliari si sono concluse in un clima di scontro, tra maggioranza e minoranza. La stampa ha dato ampio rilievo a questi avvenimenti, veicolando un’ immagine non certo positiva del paese e dell’amministrazione comunale, nella sua interezza. È quindi apparsa, agli occhi dei i cittadini, come necessaria una riflessione da parte di tutti gli amministratori affinché si rasserenassero gli animi, e perché ognuno tornasse ad operare, nel rispetto dei ruoli che il popolo sovrano ha loro delegato con il voto, e quindi che la maggioranza pensasse ad amministrare e la minoranza a controllare. Il consiglio comunale è stato convocato il 23 agosto u.s. con questo scopo per discutere su Governabilità e democrazia fra prerogative e diritti delle compagini di maggioranza e minoranzaAdunanza quindi aperta anche agli interventi dei cittadini e con la presenza di qualificate personalità come il prefetto di Catanzaro, Antonio Reppucci; Romano De Grazia, già magistrato della Suprema Corte di Cassazione; Guido Rhodio, sindaco di Squillace. Il tema della discussione era sentito da parte della cittadinanza, e la riprova si è avuta dalla sala consiliare gremita di pubblico, nonostante il clima quasi africano della serata. La piazzetta antistante il Comune era anch’essa animata da tante persone che non hanno trovato posto nell’aula. In apertura il sindaco Teresa Procopio ha ringraziato le autorità per la partecipazione ed ha dichiarato che la seduta si sarebbe conclusa con un verbale che si conserverà tra gli atti del Consiglio. Il sindaco ha testualmente dichiarato : “Quello che l’odierna maggioranza oggi non può tollerare é che da questa attività dell’opposizione politica - che dovrebbe essere, al contrario, di serio confronto e proficua collaborazione - stia venendo fuori un’immagine del Comune di San Floro del tutto distorta e non veritiera; ovvero che a San Floro si agisca solo nella illegalità. Al contrario, voglio ribadire che la nostra azione amministrativa si è connotata ed indirizzata, da subito, nel solco della legalità.”. Il primo cittadino si è poi soffermato sul ruolo che dovrebbero avere, in un contesto dialettico ma costruttivo, sia la maggioranza sia la minoranza; ed ha auspicato che in futuro possano essere superate posizioni tribali in contrasto con l’odierna civiltà giuridica. La parola è passata all’opposizione; ed il consigliere Salvatore Vivino ha esordito definendo belle le parole del sindaco, ma non corrispondenti alla realtà. Ha poi letto un documento da allegare agli atti, nel quale ha lamentato che su Facebook siano apparse notizie calunniose nei suoi riguardi, per cui invitava la maggioranza, attribuendo ad essa la paternità del fatto, a voler provare quanto pubblicato o a smentire ufficialmente il tutto. In attesa che questo avvenga si autosospendeva da consigliere comunale e lasciava la seduta. È quindi intervenuta Luciana Mungo -passata con la maggioranza- che ha fatto un esame sui disagi della condizione giovanile a San Floro, aggiungendo: “Per quanto riguarda la mia posizione ideologica voglio che tutti sappiano che rimane diversa da quella del sindaco; e non ritengo che questo sia un elemento ostativo alla collaborazione nell’ambito delle politiche sociali, nell’interesse della collettività” È stata poi la volta del capogruppo di minoranza Florino Vivino il quale affermava che non basta chiedere la riappacificazione “se non si è parlato di sviluppo, non si è parlato di occupazione giovanile; se non si è parlato della decadenza del Comune. In questa amministrazione - ha detto - ci sono delle continue ingerenze estranee…risorse che non vengono impiegate adeguatamente…il museo, l’hotel, il campo sportivo”. Vivino continuava rimarcando quello che a suo dire è lo stato di abbandono in cui versa il Comune, rimproverava il passaggio della dott.ssa Mungo nell’area della maggioranza, e annunciava che i consiglieri di opposizione si autosospenderanno dalla loro carica pur continuando ad esercitare la loro funzione di controllo. Il prefetto è intervenuto a più riprese richiamando il ruolo di autonomia che lo Stato riconosce ai Comuni, e come in questa ottica siano stati valorizzati i compiti e le responsabilità che maggioranza ed opposizione esercitano; che tutto ciò debba avvenire con rigore morale ed onestà intellettuale e che la sua presenza non debba essere vista come quella del giudice, ma come uno sprone al dialogo, abbandonando, maggioranza e opposizione, la volontà di delegittimarsi reciprocamente. Significative queste parole del prefetto: “Ognuno di voi è portatore di valori, ma nessuno ha il Verbo. Si deve discutere e si devono trovare le soluzioni più appropriate. Fermo restando che chi è stato democraticamente eletto ha il diritto-dovere di governare e chi sta all’opposizione ha il diritto di opporsi con i mezzi che la legge consente alle minoranze; mezzi tra i quali c’è il dialogo e la critica costruttiva. Ritengo che occorra discutere del bene della comunità, che richiede di essere guidata con senso di responsabilità. La mia speranza era di una certa riappacificazione.” Nel successivo intervento, il capogruppo della maggioranza, Salvatore Pilò, dichiara che le notizie apparse su Facebbok riguardanti Salvatore Vivino non sono riconducibili alla volontà dell’Amministrazione comunale ed auspica che da parte di tutti si pensi ad amministrare bene il Comune. Significativa la conclusione: “Sono stato presente negli ultimi consigli comunali ed ho assistito ad espressioni non consone ad alcun soggetto e men che meno ad un amministratore allorquando, rivolgendosi al sindaco, utilizza insulti ed espressioni sgarbate. Con ciò voglio dire che le regole devono esserci, sia nel civico consesso che nelle strade, ed il comportamento delle istituzioni è il primo insegnamento per la collettività. E la collettività deve riappropriarsi delle proprie idee. A questo proposito cito una frase di Voltaire: Non sono d’accordo con le tue opinioni, ma difenderò sempre il tuo diritto ad esprimerle.” Guido Rhodio, attuale sindaco di Squillace ed in passato ai vertici della Regione Calabria, ricorda la sua presenza in San Floro sin dagli anni giovanili, e come la cittadinanza sanflorese a lui sia tanto cara. Poi afferma :“Quando parla il prefetto le sue parole hanno un peso, perché egli rappresenta lo Stato. Allo stesso modo, quando parla il sindaco, ciò che dice ha una sua valenza. San Floro sta diventando la punta di un iceberg. Sembra che vi stiate ammazzando, dando l’idea che ci sia chissà cosa da spartire - e invece non c’è nulla -, trasformando la sede istituzionale in un tribunale.” L’intervento del giudice De Grazia è stato incentrato sui temi afferenti la legalità. Con toni accorati ha rievocato le prove difficili che hanno dovuto affrontare i nostri padri quando la libertà è stata conculcata. Riportiamo questo passaggio: “La legalità è un valore importante sancito nella carta costituzionale. È chiaro che se in una società non si ripristinano le regole all’interno delle istituzioni, queste sono destinate a finire. Io porto avanti il concetto di legalità, ma anche di responsabilità, come quella avuta dal prefetto, che oggi ha presenziato a questo consesso.” Per il pubblico, il nostro direttore Domenico Paravati dichiara la sua “piacevole sorpresa” per aver potuto incontrare, dopo più di cinquanta anni e in una occasione così straordinaria, il giudice Romano De Grazia -originario di Lamezia, dove egli ha vissuto da giovanissimo- ma anche un eccezionale uomo di Stato, il prefetto Reppucci, che “sa parlare alla gente”. Riferendosi poi ad alcuni passi di interventi precedenti, critici in merito ad articoli su quanto avviene a San Floro da mesi, Paravati difende con parole accorate il ruolo dei colleghi della stampa, la quale ha sempre il dovere di registrare i fatti, buoni o cattivi che siano, ma anche quello di pubblicare smentite o rettifiche di notizie ritenute non veritiere dagli interessati; che a loro volta - se si ritengono offesi - hanno il diritto di querela. Auspica comunque il ritorno ad un clima di pacificazione a San Floro e richiama quindi, a sorpresa, l’attenzione sugli effetti negativi di una paventata discarica, di cui diciamo più avanti. Interviene Floro Varano, cronista di questo giornale ma nelle vesti di semplice cittadino, che invita la minoranza a voler desistere dall’idea di autosospendersi, affrontando invece i problemi del paese, ciascuno -maggioranza e opposizione- nel proprio ruolo. Anch’egli manifesta la sua assoluta avversione riguardo ad ogni idea di discarica, sicuro di interpretare la volontà dei sanfloresi. Sempre per il pubblico, il terzo intervento con l’avv. Francesco Cosentino, che lamenta l’assenza dei concittadini della Cooperativa Azzurra (il villaggio di Torre del Duca) e si chiede se l’assenza sia da interpretare come un segno di protesta. Si dichiara solidale con il Sindaco per le offese alla sua persona. SCARICHIAMO LA DISCARICA Dunque, nel consiglio comunale “aperto” era emersa, meglio dire diffusa platealmente, una notizia ricavata da cittadini sul sito internet del Comune. Un noto gruppo di imprenditori aveva messo gli occhi - con richiesta ufficiale - su quello che noi riteniamo l’immacolato territorio di San Floro, per creare una mega- discarica di quaranta ettari, per oggetti definiti “speciali” ma “non pericolosi” . Ogni sanflorese - è questa la nostra sensazione - si è sentito subito come violentato, derubato di quello che di più prezioso ognuno sa di possedere: la salubrità dell’aria, la bellezza del paesaggio, l’ambiente incontaminato. Appariva minacciato quel legame ancestrale che ciascuno sente per la propria terra; quella terra che generazioni di uomini forti hanno dissodato, spezzandosi la schiena col lavoro. Noi sanfloresi siamo gente pacifica, non andiamo in cerca di guerre. Ma vuoi per la salubrità del clima, l’aria pulita, cibi genuini, abbiamo ancora le p… al loro posto. Sì, perché non ce le siamo giocate o svendute, e non consentiremo, mai a nessuno, di “marciarci” sullo stomaco e di coprirci di rifiuti… in futurum et in perpetuum. Dobbiamo comunque registrare per nostra e vostra tranquillità, pregna però di forte attenzione - che il Sindaco si è detto, anche sulla stampa, assolutamente contrario all’ipotesi discarica, pensando invece per il territorio sanflorese ad un mega-parcogiochi. LA STRADA DEL LACCO ANCORA INTRANSITABILE Finisce l’estate ed i cittadini sanfloresi attendono ancora fiduciosi l’inizio dei lavori per ripristinare il tratto franato da almeno due anni. Abbiamo fatto due conti ed è emerso che ci sono almeno una ventina di famiglie che hanno i terreni serviti da questa essenziale arteria della viabilità rurale. I disagi che giornalmente devono affrontare per raggiungere i loro terreni non sono davvero pochi, e con l’arrivo delle piogge sarà materialmente impossibile transitare. Ci risulta che l’Amministrazione ha già ottenuto un finanziamento per questa strada. Perché allora indugiare e non approfittare del “ tempo buono “ per eseguire i lavori? Floro Varano Riaperte le scuole. Auguri ai giovani Da un articolo-lettera aperta di Cesare Segre pubblicata sul “Corriere della Sera” il 12 settembre 2011, dal titolo Cari studenti, tra i banchi imparate la ricchezza delle differenze: “(…) Imparare è un piacere, ma è anche una fatica. Pedagoghi troppo indulgenti hanno cercato di trasformare questa fatica in divertimento, o di alleggerirla. Ma c’è poco da fare. Perché le nuove conoscenze entrino nelle nostre teste è necessario un impegno, dunque uno sforzo; solo poi, una volta assimilate queste conoscenze, sentiamo il sollievo, anzi la gioia di chi ha fatto una conquista” “(…) Soprattutto se siete in una scuola di stato, constaterete differenze di opinione tra i docenti. È una grande ricchezza. Perché potrete riflettere su queste differenze, e farvi un’opinione personale. Da tutti si può imparare, nessuno va condannato per le sue idee. E ricordatevi che anche i mass media, preziosa fonte di notizie e spettacoli e modi di essere, vanno sempre, dico sempre, sottoposti a verifica, facile per chi è un po’ scaltrito. Utilizziamo tutti Internet; ma dobbiamo renderci conto che qualunque dato o notizia che fornisce è soggetto ad errori o mistificazioni, e va controllato”. Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 Corriere di San Floro e della Calabria 5 Il Parco Archeologico della Roccelletta Abbattere quell’orrenda scala, non “modificare” Che fine ha fatto il nome Borgia? CATANZARO L’architetto Franco Zagari, poco tempo fa, nel palazzo del Comune di Catanzaro - alla presenza del sindaco on. Michele Traversa, dell’assessore all’urbanistica Maria Grazia Caporale e del dirigente del settore Vincenzo Belmonte, del coordinatore dei dirigenti di area tecnica Pier Luigi Mancuso, e dell’architetto Mario Russo del settore urbanistica - ha illustrato il progetto riguardante le modifiche da apportare nello spazio di Piazza Matteotti (la “passeggiata”, con la demolizione dei chioschi, il ridisegno della “scaletta”, il giardino del Tribunale e la piazza dell’orologio solare). Il sindaco ha giudicato il progetto di grande rilevanza: “Un’agorà verde e luminosa che è nostra intenzione far sentire propria dai catanzaresi”. Per quanto riguarda la “scala”, l’architetto Zagari avrebbe previsto il restauro con una “riscrittura” più morbida, in modo da dare l’aspetto alla struttura di una scultura vegetale. Il sindaco, però, non d’accordo su questo punto, ha suggerito al progettista di valutare la possibilità di eliminare del tutto la scala, perché non accettata dai catanzaresi fin dal primo momento. Diciamo che l’eliminazione della scala farebbe emettere un sospiro di sollievo ai cittadini; i quali la scala non l’hanno mai guardata con simpatia. Essa, realizzata venti anni fa, è rimasta lì come una cattedrale nel deserto. Lo scopo per cui era stata ideata dallo stesso architetto Zagari (favorire le aggregazioni giovanili) non è stato raggiunto: i giovani non vi si radunano, né salgono sulla scala per osservare la piazza dall’alto. Per tanti motivi sarebbe veramente u no spreco di denaro pubblico volerla restaurare. Farlo vorrebbe dire non tener conto del saggio suggerimento del primo cittadino, né della risposta corale negativa dei catanzaresi. Tentare di lasciarla ancora lì, anche dandole una forma un po’ diversa come vorrebbe l’architetto Zagari, sarebbe come somministrare ossigeno ad una persona già morta. Antonio Zaccone Su Sette, allegato al Corriere della Sera del 21 luglio 2011, è uscito un articolo a firma Francesca Pini, riguardante le sculture tra gli scavi di Scolacium e a ridosso dell’antica basilica incompiuta della Roccelletta di Borgia. Le opere sono del maestro Mauro Staccioli. Lo stesso, intervistato dalla giornalista, lodava le bellezze storiche del luogo e in particolare la basilica normanna nonché l’iiniziativa culturale che da anni porta al Parco di Scolacium artisti di rilevanza internazionale. Non esprimiamo ulteriori giudizi su tali mostre ed opere. Rimandiamo a quanto già scritto nelle scorse edizioni. L’attenzione la spostiamo invece su una pecca di questo articolo. Non compare assolutamente il nome di Borgia. Per niente! Addirittura nel testo si fa riferimento al comune di Catanzaro, come se il Parco Archeologico rientrasse nel suo territorio. Peggiore la constatazione che nessuno abbia rilevato, nelle opportune sedi, le indicazioni errate e l’assenza del riferimento, nei testi pubblicitari, al comune di appartenenza. Sembra che il nome Borgia non sia amato nemmeno dai suoi cittadini. Non ci saremmo aspettati un moto di orgoglio dagli organizzatori e dagli amministratori, i quali sono destinati ad essere una parentesi; ma almeno gli uffici comunali avrebbero potuto battersi per far comparire il nome del proprio paese, sventolandolo con orgoglio. Infine, abbiamo dovuto comprare il biglietto per poter entrare al Parco in una rivendita di Catanzaro, in quanto non si è proceduto ad inserire Borgia nemmeno in questo iter, scegliendo magari un’attività commerciale che potesse vendere i tickets. Che dire? Il lettore esprima il suo giudizio. R.S. 150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA “Martiri ed eroi catanzaresi nel Risorgimento” CATANZARO (P.ZZA MATTEOTTI) – La Scala, ideata dall’architetto Franco Zagari, super-criticata dai catanzaresi, e non solo. È un’ avveniristica ma poco comprensibile scultura in cemento armato, marmo e acciaio a forma triangolare che fa a pugni con quanto è intorno (più o meno come avviene nel parco archeologico della Roccelletta). Realizzata nel 1991, nell’ intenzione dell’autore doveva favorire le aggregazioni dei giovani disposti a salirci, sedersi, affacciarsi per “vedere” la piazza dall’alto; un’intenzione che però non sembra abbia trovato grande conferma tra gli stessi destinatari; parecchi dei quali invece, soprattutto negli anni scorsi, l’hanno trasformata in un luogo di riunione notturno per sorbire droghe e imbrattare il manufatto, mettendolo a duro confronto con il più gradito e “comprensibile” Cavatore dello scultore Rito, simbolo della caparbia voglia di affermarsi dei calabresi nella propria terra e nel mondo. Ora il nuovo sindaco, Michele Traversa, sembra ne voglia realmente l’eliminazione (e questo giornale è perfettamente d’accordo, come ha avuto modo di sottolineare in passato). L’autore della Scala ne propone invece solo una modifica. Ricordate il Gattopardo? Tutto deve cambiare perché rimanga lo stesso (dopar) RICORDI SANFLORESI Il cirillino blu di Mariana Rocca Avevo cinque anni. La mia maestra d’asilo si chiamava Iolanda, viveva insieme a sua zia, già signorine molto religiose, che osservavano con devozione i dieci comandamenti, e a noi bambine insegnavano tutte le preghiere della dottrina cristiana, come fare le calze ai ferri. Loro vivevano tessendo la tela al telaio, per il corredo di chi, su ordinazione, gliela commissionava. Avevano due telai, e facevano a gara a chi lavorava di più e noi tutte lì a guardare affascinate quel gioco di piedi e mani sempre in movimento, sincronizzati alla perfezione. Un giorno pensarono di fare un gruppo di bambine, vestirle tutte in modo uguale, per farle partecipare alle processioni dei Santi e dei morti. Dovevano avere tutte il grembiule bianco, il cirillino blu e la fascia blu, messa di traverso, come quelle delle miss Italia, ma dovevano avere tutte anche la stessa altezza. Ricordo che la signorina Iolanda venne più di una volta, di sera, a casa mia per convincere mia madre a comprarmi quella divisa, finchè ci riuscì. Io però potetti indossarla solo due volte, e sarei stata felice di poterlo fare sempre. .Mentre le mie compagne continuavano a crescere tutte nella norma, io crescevo di più ed in poco tempo ero diventata più alta delle altre. Così facevo brutta figura nella fila. L’ultima volta che indossai quella divisa tanto sognata fu per partecipare al funerale di una signora che conoscevo. Nella mia ingenuità, quando la vidi stesa sul letto, immobile, tutta bianca in viso, mi avvicinai, le toccai le mani, che erano gelate; io mi spaventai e dissi: “com’è fredda, metteteci sopra una coperta!”. Quella fu l’ultima volta che indossai il mio cappellino blu, anche se lo conservai per tanti anni. Mariana Rocca (*) Nota della Direzione: Ricordiamo, per chi non avesse letto quanto pubblicato nei numeri precedenti, che Mariana, “figlia di n.n.”, era stata data in adozione ad una famiglia di San Floro (una sorellina andò ad altra famiglia, nello stesso paese). Il suo matrimonio avvenne all’età di quattordici anni; a quindici la ragazzina era già mamma; poi ha avuto altri sei figli– Il brano è tratto da: Mariana Rocca- Una donna così-Note di viaggioIntroduzione di Giovanni Iaquinta- Pubblisfera Edizioni – 2010 – L’altro interessante volume della Rocca (2008) è intitolato “Nata per vivere” - Per eventuali ordinativi: Pubblisfera s.n.c.-Via della Repubblica-87055 San Giovanni in Fiore (CS)- Tel. 0984993932 Secondo quanto abbiamo appreso Mariana Rocca ha in preparazione un nuovo libro sempre ambientato a San Floro I festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia ravvivano il ricordo dei martiri che hanno dato la vita per la realizzazione dell’ideale di Patria. Ogni regione celebra i suoi, li venera, ne ammira le imprese e gli estremi sacrifici. In un libretto scritto dall’avv. Carlo Corigliano, intitolato “Martiri ed eroi catanzaresi nel Risorgimento”, l’autore , collegando i “fatti” del Sud al contesto patriottico risorgimentale, ricorda martiri ed eroi calabresi. Qui di seguito quanto estrapolato dall’opuscolo del Corigliano. In Catanzaro, nel 1821, esisteva ed agiva la Carboneria. Il 23 marzo 1823, tre appartenenti all’associazione vengono condannati a morte: Giacinto de Iesse, Luigi De Pasquale e Francesco Monaco. Per il primo e il secondo vengono innalzate le forche nello spiazzo dinanzi alla Porta di Mare; per Francesco Monaco vene approntata la ghigliottina a “Fuori le Porte”. Tra gli eroi catanzaresi che hanno dato prova di dedizione assoluta alla Patria, l’avvocato elenca i seguenti: Achille Fazzari, colonnello garibaldino, prode sul Volturno, ferito a Montelibretti. Raffaele Carbonari, uno dei Mille a Calatafimi. Francesco Corrado, garibaldino a Castel Morrone, con Pilade Bronzetti. Damiano Assanti, nel 1849 alla difesa di Venezia e nel 1860 a Milazzo e sul Volturno. Raffaele Scalfaro, garibaldino e poi capitano nell’esercito. L’autore del testo mette in risalto l’eroismo dei tre De Nobili (Federico e Alberto, fratelli; e Achille, loro cugino). Federico, diciannovenne, faceva parte degli insorti calabresi di Francesco Stocco, i quali, al “Rio della Grazia”, nei pressi del ponte sull’Angitola, tentarono, nel 1848, di sbarrare il passo sulla via di Catanzaro alle agguerrite truppe borboniche del generale Nunziante, sbarcate a Pizzo per reprimere l’insurrezione calabrese. Il giovane Federico cadde trafitto dalle baionette borboniche in contrada “Campolongo”, sulla strada consolare per Monteleone (oggi nazionale per Vibo Valentia). Gli rimase in mano un piccolo FATE VIVERE QUESTO GIORNALE ABBONANDOVI: c/c/p 54078100 intestato Domenico Paravati GIUSEPPE GARIBALDI tricolore e sul volto l’espressione di chi aveva dato la vita per la Patria. Accanto a lui caddero Giuseppe Mazzei, di S. Stefano; Domenico Morelli, del comitato rivoluzionario di Catanzaro; e Giuseppe Scaramuzzino, di Nicastro. Alberto combattè nel 1859 in Lombardia, a Palestro e a San Martino. Nel 1860 era a Quarto con con Garibaldi. Combattè a Calatafimi, a Milazzo e sul Volturno. Achille partecipò alla guerra del 1866. “Camicia Rossa”, seguì Garibaldi nella sua ultima impresa: la guerra francoprussiana del 1870-’71. Cadde sul campo a Digione. I patrioti di Cosenza, tutti affiliati alla Giovane Italia mazziniana, insorsero numerosi il 15 marzo 1844. Sei di essi furono condannati alla fucilazione nel petto, con “il terzo grado di pubblico esempio”: avvolti in veli neri e con i piedi nudi. L’11 luglio 1844 caddero, nel vallone di Rovito, sotto il fuoco di quaranta fucili, Sante Cesario, Pietro Villacci, Giuseppe Franzese, Raffaele Camodeca e Nicola Corigliano, animatore e capo. Il 25 luglio 1844 caddero i fratelli Bandiera e i loro generosi compagni. Nel 1847 ci furono i moti di Reggio e Gerace. Condannati a morte: Rocco Verduci, Pietro Mazzoni, Gaetano Ruffo e Michele Bello. Antonio Zaccone Sopra - I Garibaldini attraversano lo stretto di Messina (stampa dell’Ottocento) Sotto - Reggio Calabria, prima del terremoto. Il monumento a Garibaldi La fucilazione dei fratelli Bandiera in una stampa ottocentesca (Roma, Museo del Risorgimento Vittoriano) 6 Corriere di San Floro e della Calabria Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 SQUILLACE - La sua nobile storia nel ciclo di conferenze della “Domus Pacis” Sul precedente numero del Corriere di San Floro e della Calabria sono state riportate le notizie relative alle prime due conferenze inserite nel seminario di studi “Squillace dall’epoca greca a quella risorgimentale”, promosso dall’associazione culturale “Domus Pacis” con il patrocinio della Provincia di Catanzaro. *** Nel corso della terza lezione dal titolo “Scavi archeologici nella cattedrale di Squillace”, l’archeologo Alfredo Ruga ha affermato che, “realizzata negli anni 1784-1798 dal vescovo mons. Nicola Notaris, la struttura è stata dedicata alla Vergine Assunta”. Nel 1995 la Soprintendenza archeologica della Calabria ha avviato un lavoro di ricerca nel sottosuolo della cattedrale al fine di chiarire alcuni aspetti tipici del monumento. “Durante l’esplorazione dell’area occupata dal presbiterio, della cappella del SS. Sacramento e dell’abside maggiore – ha proseguito Ruga – sono stati individuati i resti di un muro perimetrale con edicola e di un altro muro pavimentato con lastre di pietra locale gessosa”. Diversi anche gli oggetti ritrovati in metallo, vetro ed osso, nonché monete in rame e manufatti ceramici di produzione locale tra il XVI e il XVII secolo. Numerose le fosse sepolcrali rinvenute; pregevole la pavimentazione a scacchiera bianca e nera e la riscoperta di un sarcofago in marmo bianco risalente al 1200 e riutilizzato per la sepoltura del vescovo Rispoli. *** “Cassiodoro, il politico, il conversus ed il letterato” sono stati i temi analizzati da Lorenzo Viscido, filologo e docente universitario, nel corso della quarta, quinta e sesta lezione. Tracciando il profilo politico del grande statista, Viscido ha affermato che “Cassiodoro già all’età di vent’anni divenne questore per poi essere eletto “consul ordinarius”, “magister officiorum” e “prefectus praetorio”, carica quest’ultima paragonabile al viceré”. Oltre a considerarlo un precursore dell’unità d’Italia, in quanto desiderava che la nostra penisola fosse un regno autonomo ed indipendente, senza distinzione tra Nord e Sud, Cassiodoro rivolse sentimenti di particolare ammirazione a Teodorico, il quale voleva creare una convivenza pacifica tra Goti e Romani. Tale progetto non ebbe successo e segnò la “conversio”di Cassiodoro, cioè la scelta di dedicarsi ad una vita più rivolta a Dio. “Proprio nei pressi della natia Squillace – ha proseguito Viscido – Cassiodoro creò due monasteri, il Vivariense e il Castellense, il primo, per cenobiti, presso l’attuale Copanello, il secondo, per anacoreti, sul colle dove sorge l’odierna Squillace. Infine, trattando l’aspetto del letterato e soffermandosi sulle opere scritte sia nel periodo politico che in quello della “conversio”, riservando una specifica trattazione alle “Variae” ed alle “Institutiones”, Viscido ha rilevato che Cassiodoro fu un eccellente letterato di vasta erudizione e con una cultura enciclopedica, ma soprattutto un uomo fedele, probo e rispettoso delle leggi. Quindi, un amministratore incorruttibile. La settima lezione dal titolo “Il Castello di Squillace in epoca normanna” è stata trattata anche dal prof. Lorenzo Viscido, il quale ha affermato che “cominciando dal Lenormant che citava Lupo Protospatario, un cronista del XII secolo, si è più volte asserito che il castello venne eretto nel 1044 da Guglielmo Braccio di Ferro e Guarimario per poi essere chiamato “Stridula” a causa del fischio del vento che batteva sulle mura”. Asserzioni queste riprese da altri studiosi e capovolte da Viscido, il quale ha dimostrato che “Guglielmo e Guarimario edificarono a Squillace un castello di cui però non viene citato il nome, mentre Stridula è una località nei pressi della valle del Crati”. Importante anche l’analisi relativa alla datazione storica del monumento che ha portato a due conclusioni: o che nella Squillace d’oggi già esisteva un centro fortificato nel quale i Normanni avrebbero eretto verso la fine del secolo XI un castello consistente in una torre rettangolare; oppure che un castrum si trovasse, secondo Ghislaine Noyè e Chiara Raimondo, sulle pendici del promontorio di Stalettì, da dove il castrum sarebbe stato spostato, nella seconda metà del secolo XI, sul colle dell’attuale Squillace, dopo che nel 1059 i Normanni con Ruggero I ne avevano distrutto buona parte delle strutture militari e dei principali edifici, costruendo in seguito l’attuale castello. Nel corso dell’ottava lezione dal titolo “L’architettura federiciana a Squillace” ha relazionato Giuseppe Mercurio, appassionato di storia locale. Parlando dell’influenza di Federico II e degli Svevi sull’architettura squillacese e citando innanzitutto il castello, che ha nella torre poligonale un chiaro segno federiciano-svevo, Mercurio si è poi soffermato sulla cosiddetta chiesetta gotica di S. Maria della Pietà, un piccolo edificio a pianta quadrangolare, di cui ha tracciato le vicissitudini storiche e burocratiche. Esaminando l’impianto architettonico della chiesetta, pare che la struttura non ebbe in origine la funzione di luogo di culto, essendo molto più verosimilmente una sala capitolare di un complesso architettonico più vasto, forse templare. Solo nel 1853, infatti, venne consacrata al culto dal vescovo del tempo. ”L’area circostante al monumento -ha aggiunto Mercurio- è disseminata di elementi architettonici ogivali e se si considera che a pochi metri spicca una bifora gotica con colonnina tortile, ciò farebbe pensare alla caratterizzazione di quell’area di influenza architettonica goticheggiante dell’epoca federiciano-sveva”. Il sodalizio squillacese ha infine realizzato anche un’escursione turistica presso i cosiddetti luoghi cassiodorei, siti a Copanello di Stalettì. Un gruppo di oltre quaranta persone guidate dal prof. Lorenzo Viscido ha avuto modo di visitare i ruderi della chiesetta di San Martino, appartenente al monastero “Vivariense” e menzionata in tre manoscritti dell’VIII sec. d.C. Il presidente dell’associazione, Mario Caso, insieme a tutti i partecipanti, ha esternato “un senso di tristezza nel constatare che l’intera area in cui si trovano i ruderi della chiesetta versa in uno stato di totale abbandono, il che non ritorna di certo ad onore dell’amministrazione comunale responsabile e di tutti gli altri enti preposti alla tutela dei beni storici ed archeologi”. Durante la visita guidata, inoltre, si è avuta la possibilità di osservare le vasche citate da Cassiodoro sia nelle “Variae” che nelle “Institutiones”, vasche scavate fra gli scogli di Copanello e che venivano adibite a vivai di pesci per il fabbisogno della comunità monastica di “Vivarium”. Di gran lunga suggestivo il paesaggio che è stato notevolmente apprezzato dai partecipanti, i quali complimentandosi per l’iniziativa intrapresa hanno vissuto un ulteriore e piacevole momento di socializzazione grazie alla degustazione di un aperitivo sul lungomare di Squillace. *** La nona lezione, dal titolo “Storia della diocesi di Squillace”, è stata tenuta da don Leonardo Calabretta, docente al Seminario teologico regionale di Catanzaro, il quale ha illustrato le varie epoche attraverso un excursus storico. “La diocesi di Squillace -ha sottolineato Calabrettaavrebbe origini addirittura apostoliche anche se il primo vescovo che ci viene documentato è Gaudenzio, intorno all’anno 465". Dopo aver considerato il buio periodo bizantino in cui i vescovi latini furono sostituiti con vescovi greci e il rito greco soppiantò quello latino, con l’avvento dei Normanni si ritornò alla Chiesa di Roma dando avvio alla rilatinizzazione, periodo in cui rientrò la fondazione della Certosa di Serra San Bruno, che però si distaccò dalla diocesi. L’epoca angioina-aragonese fu caratterizzata da disordini e controversie tra clero e religiosi. La cura della diocesi venne affidata a vicari, in quanto i vescovi titolari risiedevano in Spagna, a Roma o a Napoli; vennero istituiti dei seminari e la storia venne segnata dalla vicenda del domenicano Tommaso Campanella. Il periodo più fortunato fu quello borbonico, ma la presenza del vescovo Notaris, dopo il devastante terremoto del 1783, permise di ricostruire la cattedrale di Squillace. Il periodo contemporaneo coincise con l’inizio della fine, in quanto dopo i vescovi Morisciano, Festa, Tosi, Elli, Melomo e Fiorentini, giunta la nomina di Fares si pose il problema dell’autonomia della diocesi. Nel 1980 venne nominato mons. Antonio Cantisani, ultimo vescovo dell’antica diocesi di Squillace poiché il 30 settembre 1986 essa venne unita a quella di Catanzaro segnando la fine di una delle più antiche e più estese diocesi della Calabria. La decima ed ultima lezione dal titolo “Dalle Signorie al Risorgimento: Storie e personaggi” è stato il tema della conferenza tenuta da Guido Rhodio, sindaco di Squillace e giornalista pubblicista. Dopo un’introduzione sull’importanza della successione feudale nello Stato di Squillace, definito “uno dei feudi politicamente strategici non solo della Calabria ma dell’intero reame del tempo”, Rhodio ha proseguito parlando dei vari conti, principi, duchi e marchesi giunti con l’arrivo dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini e degli Aragonesi, fino alla dinastia dei Borgia. Raccontando diversi aneddoti, il relatore ha spaziato con accenni ai monasteri cassiodorei, agli scheletri rinvenuti nel castello, agli ultimi ritrovamenti nel corso degli scavi e all’arrivo delle Clarisse con la fondazione del monastero di Santa Chiara. Importante anche la vicenda del marchese Leopoldo De Gregorio, l’ultimo signore di Squillace, che poi seguì re Carlo III in Spagna diventando suo ministro. Tutti antefatti del Risorgimento squillacese, che nel 1793 diede i natali a Guglielmo Pepe, il padre della rivoluzione italiana. Soltanto sei anni più tardi tantissimi giovani nobili e borghesi piantarono a Squillace l’albero della libertà, facendo fiorire i primi ideali unitari e patriottici che poi saranno tipici del Risorgimento e che Verga cristallizzerà nell’opera letteraria “I carbonari della montagna”, a quanto pare ambientata a Squillace. Al termine della conferenza, nella sede sociale della “Domus Pacis”, i giovani Mariarita Pietropaolo e Nicola Talarico hanno presentato un bellissimo affresco raffigurante Squillace ed alcuni suoi personaggi illustri. *** Si è così concluso un percorso storico-culturale straordinario che, in ventitre giorni, attraverso dieci conferenze, un’escursione ed un affresco, ha coinvolto oltre 200 persone, le quali hanno dimostrato coinvolgimento e spirito partecipativo. Il presidente Mario Caso ha affermato che “la Domus Pacis ha già vinto una prima scommessa perché la cosa più preoccupante era capire se la città di Squillace poteva rispondere a questa sfida culturale o se l’apatia e l’indignazione sociale si erano trasformate in depressione anziché in energia positiva e quindi in partecipazione”. Sulla scia del grande successo ottenuto, Caso ha aggiunto che “da sempre abbiamo ritenuto “vitale” il valore della cultura come necessaria antitesi a quel disegno ben preciso che, ad ogni livello, tende a ridurre gli spazi del pensiero libero e pluralista. Siamo convinti che a Squillace si debba continuare ad investire in cultura perché solo così la città potrà crescere, aprirsi, non avere vincoli e diventare una città viva. Attraverso queste iniziative continuiamo pacificamente la rivoluzione culturale delle idee, delle coscienze, dei linguaggi e quindi dei comportamenti. Continueremo ad aprirci al dialogo rimanendo disponibili a confrontarci su ogni tema che meriti di essere approfondito. “Durante questa avventura culturale - ha concluso Caso - ho visto energie, sorrisi, entusiasmo e passione; è stato un sogno diventato realtà in cui è stata riaccesa la fiaccola della cultura. È questa la Squillace di cui dobbiamo andare fieri”. SQUILLACE - Il castello normanno (Da “Ciao San Floro Ciao Calabria” di Domenico e Feliciano Paravati) SQUILLACE Un eccezionale meeting giovanile Un’altra emozionante e partecipata iniziativa culturalesociale ha visto protagonista l’associazione “Domus Pacis” di Squillace che ha promosso il meeting giovanile dal titolo “Libertà è…”. Il presidente del sodalizio, Mario Caso, ha affermato che “è stata una manifestazione speciale perché ha permesso di riflettere sul senso di libertà, approfondendo temi strettamente legati al mondo giovanile e alla vita quotidiana. C’è stata la possibilità di socializzare con tante altre realtà giovanili e di incrementare il senso della responsabilità delle scelte di ognuno”. Dopo aver accolto i tanti partecipanti (in molti appartenenti alle associazioni “Creativamente”, “Rinnovamento nello Spirito” e “Ulixes” di Catanzaro, “Esperanza” di Davoli e “Gioventù Francescana” di Chiaravalle), in Piazza del Vescovado, il ricco e coinvolgente programma ha avuto inizio con la presentazione delle diverse realtà giovanili. L’evento ha registrato la partecipazione di oltre 80 giovani e si è caratterizzato per la testimonianza di vita e di impegno sociale a cura di Elisa Gentile e per l’interpretazione di una scena di vita quotidiana che ha visto protagonisti Stefano Sia e Rosalba Pietropaolo, momenti, questi, intervallati dall’esecuzione di brani musicali, Appio (cioè Appio Claudio- è balletti e riflessioni sul senso di rimasto il suo nome alla via Appia, libertà. che congiungeva Roma a Capua), pur cieco e vecchio, sapeva guidare quattro vigorosi figli, cinque figlie, Alla vista di tutto l’Ellesponto una casa così grande e una così numerosa clientela: aveva infatti uno coperto delle sue navi e di tutta la spirito teso come un arco e non spiaggia del mare e la pianura di soccombeva, infiacchendosi, alla Abido piene dei suoi soldati, allora sì vecchiaia, ma manteneva verso i suoi che Serse si considerò felice; ma non solo l’autorità, ma anche il subito dopo scoppiò a piangere. Se ne accorse Artabano, suo zio dominio. Lo temevano gli schiavi, lo rispettavano i figli, tutti lo avevano paterno, quello stesso che in un primo caro: vigeva in quella casa il costume tempo aveva francamente e la disciplina dei padri. Tanto infatti manifestato la sua opinione, è onorata la vecchiaia, quanto sa sconsigliando Serse dal fare una difendersi da se stessa e sa conservare spedizione contro la Grecia. i suoi diritti, e a nessuno cede la sua Quest’uomo, avendo osservato che autorità, e sa dominare i suoi Serse piangeva, gli disse, in tono di domanda: “O re, quanto è diverso il famigliari fino all’ultimo respiro. (M.Tullio Cicerone- tuo modo di comportarti ora da quello De Senectute-XI- 37-38) di poco fa; prima, infatti, ti ritenevi Elogio della vecchiaia Inoltre, si sono costituiti dei gruppi di lavoro promiscui che, dopo aver visitato il centro storico, hanno approfondito alle pendici del castello normanno il tema del meeting per poi rappresentare i vari elaborati nella plenaria finale a cui ha fatto seguito la proiezione del film “Gli Esperanza raccontano… Barbara”. “Questa manifestazione – ha concluso Caso - ha consolidato il rapporto di solida collaborazione e di rete che la “Domus Pacis” aveva già instaurato con molti giovani del mondo associativo, spirituale ed istituzionale di diverse realtà territoriali, ma soprattutto ha dimostrato che i giovani sono una risorsa. Peccato che molta gente, volutamente e sempre più spesso, se ne dimentichi”. I Persiani invadono la Grecia un uomo felice, ora piangi”. E quello replicò: “Sì, perché mi è sopraggiunto un senso di commiserazione al pensare quanto è breve nel suo complesso la vita umana, se di tutta questa enorme folla (*) nessuno sarà in vita fra cento anni”. (Erodoto- Le Storie-Traduzione di Luigi Annibaletto-Libro VIIpar. 45- 46- Oscar Mondadori1982) (*) Secondo Erodoto erano quasi cinque milioni - tra soldati e addetti all’assistenza delle truppe di terra e di mare - gli esseri umani che seguivano il re di Persia nella sua straordinaria e disastrosa avventura contro la Grecia. Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 Corriere di San Floro e della Calabria RIFLESSIONI PERICOLOSE L’inno antico a San Floro e i misteri della fede Ho finalmente riascoltato in chiesa l’antico canto dedicato al santo patrono San Floro: “Santu Froru protettòra…”. Credevo fosse ormai morto, dimenticato dalle nuove generazioni, quel canto che il 18 di agosto degli anni passati, nella Messa delle 11, prorompeva, tutto solo, quasi come un urlo nelle prime tre parole, dal petto di Caterina Giampà, nel centro della navata centrale della chiesa. E poi, via via, le voci di tutte le donne si accodavano con le altre strofe di un inno veramente antico, ultracentenario. Evviva, dunque. Quel canto è riecheggiato nella chiesa parrocchiale nella solennità (dal 1765) della Prima Domenica di Maggio mentre i fedeli, in fila e con corona di spine sul capo, si apprestavano a rendere il bacio alla reliquia del Santo patrono; al quale si chiede ancora che “ci scansi dal terremoto, dalla peste e fame ancor…”. Ma l’ho risentito in chiesa anche in occasione della festa del Santo, il 18 agosto u.s. È bello quando una comunità si ritrova unita grazie ai suoi simboli più antichi. Quei simboli che non devono mai diventare cosa passeggera, perchè servono proprio a rendere “popolo” la gente nata qui o che comunque qui ha i suoi affetti; e di questo colle argilloso e franante ha preso l’anima. Le chiese di tutte le religioni, solo se riescono a conservare i simboli più “lontani”e immodificati (vedi quelli dei cristiano- ortodossi, con le sacre immagini, i paramenti, i cerimoniali infiniti…) hanno possibilità di sopravvivere in questo mondo dominato ormai dalla dea ragione. Se li perdono a causa del tempo o vi rinunciano volontariamente per un’erronea interpretazione della fede (che è sempre “popolare” e “tradizionale”, anzi misteriosa, e mai razionale: basti ascoltare le parole “mistero della fede” dopo l’Elevazione), vanno inevitabilmente in rovina, prima o poi spariscono. Aristarco Scannabue S. ANDREA SULLO JONIO Arriva l’armistizio e fuga verso la campagna Lo sbarco degli americani in Sicilia aveva cambiato le sorti della guerra. I tedeschi si ritiravano attraversando la Calabria, e ammassavano armi lungo il torrente Callipari, a pochi chilometri da Sant’Andrea, per opporre resistenza agli americani. Il timore di rimanere coinvolti in una battaglia, spinse molti andreolesi a cercare rifugio fuori paese, e la mia famiglia si trasferì a Tralò, nella casetta di campagna di zio Giovani Ranieri. I giovani andreolesi sotto le armi erano un numero impressionante: più di cinquecento, come risulta dagli archivi comunali, circa il dieci per cento della popolazione. A Tralò c’erano mio padre, zio Giovanni Ranieri, molte zie e cugini, in totale 21 persone, tra le quali mio cugino Angelo Iorfida. Io avevo allora due anni, ma ricordo tutto, come mio padre, che scherzava sulla sua memoria prodigiosa dicendo: Ricordo pure quando si è sposata mia madre! *** La scelta di Tralò non era stata felice. La cima, che si vede a occhio nudo dalla Locride fino alla Presila, è un punto trigonometrico riportato su tutte le mappe militari. Gli aerei americani vi giravano attorno per calcolare la rotta e poi andavano a bombardare i ponti di strada e ferrovia. Il rombo di avvicinamento degli aerei era terrorizzante, mio padre ansimava, io chiedevo un asciugamano per coprire le gambe, perché ero convinto che le bombe me le spezzavano, le donne imploravano a gran voce tutti i santi. Come se non bastasse, c’era anche un gran serpente nero, innocuo ma spaventoso, che strisciava nelle vicinanze della casetta: la zia Nunziata aveva appeso filze di aglio per tenerlo lontano. Zio Giovanni aveva un bosco di castagni in montagna, a Farina, e fu deciso di trasferirci lì. Mio padre fece costruire in fretta dai carbonai un gran capanno di frasche ben fitte, con il tetto in terra battuta per resistere alle piogge, e pagò una cifra enorme: diecimila lire! Era l’inizio di agosto e ci muovemmo verso Farina. Mia madre, anche se incinta al nono mese, portava una sporta sulla testa, io camminavo tenuto per mano dalla zia Mariuzza. Anna mia sorella, che aveva quattro anni, portava una gallina. A Farina, accanto al capanno, c’era una capannina, dove stava il suocero di zio Giovanni, Peppe lo Zasso, anziano e sempre coricato. All’inizio io avevo paura di quel vecchio, coperto di un lenzuolo bianco, che però mi prese a benvolere e mi insegnava le filastrocche: Na vota era Carota chi facìa cozzetta e vota Sa masurava e non li jìa, Jestimava a morta chi on venìa. Oppure: Ara ruga do Ferraru ci stannu tri infantini: Mara Rosa, Cuncipita e Catarini. O ancora: E mo’ chi ti vivisti tuttu u vinu da caseddha… Attàccati a sta ciarameddha! *** Intanto, il 23 agosto del 1943, mia madre cominciò ad avere le doglie del parto, e mio padre mandò mio cugino Angelo a chiamare in paese il medico Pietro Voci. Per convincerlo a quella trasferta, ci volle l’asino di Gerardo Armogida, ma il medico si rifiutò di salire sul duro basto, e mandò Angelo dai Padri Liguorini per farsi prestare la sella da donna. I Padri, quando andavano in missione nei paesi sperduti, usavano quella sella perché la sottana gli impediva di cavalcare come i maschi. Le ore passavano, e quando il medico arrivò, trovò una bella bimba, Caterina, che zio Giovanni aveva aiutato a nascere come una levatrice. Al medico Voci piacque quel posto e vi rimase diversi giorni, attirato dalle soppressate e dal vino buono, facendo però preoccupare mio padre per la bocca in più da sfamare. Il medico ricambiò l’ospitalità con una astuzia. Sull’atto di nascita fece scrivere: Nata in località Farina, dove i genitori si trovavano a villeggiare. Il medico spiegò che era un accorgimento utile se la bimba, da grande, avesse dovuto sposare un forestiero: non era necessario dovergli dire che era nata sotto gli alberi! Non andò così, e Caterina sposò il medico andreolese Andrea Armogida. Una notte una voce di uomo echeggiò ripetutamente nella vallata: Mastru Vicenzinu! Qualcuno chiamava mio padre, le zie raccomandarono di stare zitti e spensero la lanterna a olio. Poteva essere un traditore che voleva scovare i fuggiaschi per segnalarli ai tedeschi! Mio padre si fece coraggio e gridò: Chi sei? L’uomo rispose: Sono il figlio di Mannagajjha! – soprannome di una famiglia andreolese. Mio padre: Cosa vuoi? L’uomo: La guerra è finita, l’abbiamo sentito alla radio! Mio padre: Abbiamo vinto? L’eco faceva: o-o… L’uomo: No, armistizio incondizionato! L’eco: o-o… Mio padre: E vaffanculo! L’eco: o-o… Guerra e pace, vincere e perdere, erano cose degli uomini che l’eco non capiva. Per l’eco, quella notte dell’8 settembre del 1943, tutto finiva con un o-o. Salvatore Mongiardo Agendina giornali ucciso da Cesare Battisti che, già con il solo nome, disonora la memoria di quel Cesare Battisti eroe dell’indipendenza italiana. Nel 2009 a Sant’Andrea incontrai Antonietta, la madre di Andrea. Fu più forte di me, e mi misi a parlare di Andrea, della sua uccisione, di come lei lo venne a sapere… Antonietta parlò con estrema lucidità di quel giorno terribile, e concluse: “Dicono che bisogna perdonare, ma io potrei dirlo solo con le labbra, ma con il cuore no, mai!”, e alzò ripetutamente la testa per sottolineare il diniego. Quando vado al cimitero del paese, vedo la tomba di Andrea e penso che il mondo va male perché governato dalla feccia della terra, i politici, i quali producono armi, guerre, affamano i miseri e lasciano morire i bambini. O proteggono i delinquenti. E sogno il giorno che gli abitanti della terra insorgeranno per fare piazza pulita di tutti i politici: un mondo così, prima finisce meglio è. Presidente Lula, quando verrà a a cura di Feliciano Paravati I GIORNI LIETI Il 9 agosto, nella chiesa del Sacro Cuore di Sant’Andrea Superiore, hanno coronato il loro sogno d’amore Gianluca Alcaro e Mariagiovanna Stirparo. La sposa ha radici nella nostra San Floro (è figlia di Concetta Paravati Stirparo, figlia di Cicciuzzu Paravati ). Lo sposo è di Soverato, ma con radici familiari a S. Andrea dello Jonio. Tanti i parenti e gli amici presenti. Molto belle le parole del sacerdote -don Calabrettasul significato che deve avere il matrimonio, soprattutto in questo momento di grave crisi della famiglia. Don Calabretta ha ricordato come l’unione cristiana di uomo e donna debba mettere in conto non solo le gioie ma anche le difficoltà che la vita insieme riserva quasi sempre. E dunque deve essere fondata su una forte volontà della coppia di affrontare insieme, senza cedimenti sia da una parte che dall’altra, tutto quanto si andrà ad incontrare nella vita insieme. Dopo la cerimonia religiosa gli sposi hanno offerto un ricco pranzo al ristorante Costa degli Aranci, in Montauro Scalo Sopra - GIANLUCA E MARIAGIOVANNA - I nonni Gaetano e Teresa Lapiana vogliono fare una Sotto - EROS FA 3 ANNI sorpresa dal Corriere di San Floro e della Calabria al loro nipotino Eros augurandogli, per il compleanno (tre anni il 6 ottobre 2011) tanti giorni futuri felici… - Auguri ai coniugi dott. Salvatore Pilò e signora Graziella Virgillo per la nascita il 13 giugno u.s. di una bella bambina che ha un nome altrettanto bello: Ginevra. - Mario Zaccone, fratello del nostro collaboratore Antonio, e Isabella Cordaro hanno festeggiato il 20 agosto u.s. a Borgia il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio. Molti auguri. *** I GIORNI TRISTI -Dopo una lunga malattia, il 1° luglio .u.s., in San Floro, ci ha lasciati Pietro Greco. Alla moglie Antonietta Munizzi, ai figli Franco, Tonino ed Elisabetta le più sentite condoglianze da parte del nostro giornale FATE VIVERE QUESTO GIORNALE ABBONANDOVI: c/c/p 54078100 intestato Domenico Paravati “Invito” in Calabria (perchè no?) all’ex Presidente brasiliano Lula Presidente Lula, Lei ha annullato la sua visita a Roma temendo disordini per avere favorito la permanenza di Cesare Battisti in Brasile. Ora io desidero invitarla al mio paese, a Sant’Andrea Ionio, in Calabria. Si domanderà dove si trova e perché quest’invito. Il mio paese è lo stesso di un ragazzo dagli occhi sorridenti. Si chiamava Andrea Campagna, che emigrò a Milano con la famiglia e diventò poliziotto. Una mattina del 1979 vidi Andrea sulla prima pagina dei 7 Sant’Andrea nessuno le dirà nulla o le torcerà un capello. L’accompagnerò io alla tomba di Andrea e poi a casa di sua madre, che alzerà la testa in senso di diniego: Perdonare, mai! Ho poche speranze che lei abbia il coraggio di affrontare la madre di una vittima. Dica però, al suo protetto Battisti, di Antonietta Campagna! Auguro a quel vigliacco che se la veda ogni giorno davanti mentre alza la testa per negargli il perdono. Salvatore Mongiardo Appello a un abbonato sconosciuto Il 20 giugno 2011 ci è pervenuto l’accredito di un bollettino di conto corrente di euro 20 con l’indicazione “da canali telematici”. Però non abbiamo mai ricevuto il cartaceo, come avviene per i normali bollettini compilati e consegnati all’ufficio postale. Per cui non sappiamo chi ha effettuato tale versamento. Se qualcuno dei nostri lettori abbonati si riconosce è pregato di farci avere il suo nominativo inviando una e-mail all’indirizzo [email protected] o telefonando al n. 3389190271. Questo numero del giornale è uscito grazie all’abbonamentolibero contributo di: Montirosso Florina (rinn.)- Poirino, Pro Loco “T. Scarcella” – San Floro, Iencarelli Giuseppe (rinn.)-Catanzaro, Viscido Lorenzo (rinn.)- New York, Nobile Floro - San Floro, Aloi Luigi- Guidonia, Virgillo Teresa (rinn.)-San Floro, Lacava Salvatore (rinn.)-Lainate, Sabatino Livio (rinn.)-Genova, Maiuolo Francesco (rinn.)Castiglione Olona, Caso Mario- Squillace, Defilippo Antonio (rinn.)-Lainate, Carrabetta Francesca (rinn.)-Fiumicello, Paravati Munizzi Elisabetta (rinn.)-Buttrio, Maiuolo Francesco (rinn.)Torino, Rauti Antonio (rinn.)-Lainate, De Nardo Paola (rinn.)Merano, Paleologo Floro (rinn.)-Torino, Pugliese Paolo (rinn.)Casorate Sempione, Graziano Vincenzo (rinn.)- S. Floro, Bagnato Flora Maria (rinn.)-S. Marinella, Bressi Floro-Varano Littoria (rinn.)-S.Floro, Michele Cristofaro –Girifalco, Istituto per la Biblioteca Calabrese (rinn.)-Soriano Calabro, Pugliese Angelo Ubaldo (Sost. rinnovo) - Castelmassa, Nobile Flora (rinn.) Buenos Aires, Amoroso Agata Fabiola (rinn.) - Roma. Chi non gradisce la pubblicazione in questo elenco, scriva nello spazio “causale” del bollettino: “NOMINATIVO DA NON PUBBLICARE” . L’abbonamento-contributo volontario si effettua versando almeno euro 20 con il conto corrente postale n. 54078100 intestato Domenico Paravati- Rignano Flaminio- La vita di questo giornale dipende esclusivamente dagli abbonati. – L’EVENTUALE INTERRUZIONE DELLA PUBBLICAZIONE NON DÀ DIRITTO AL RIMBORSO DI QUANTO VERSATO - Dato l’alto costo delle spese postali e di stampa l’invio viene sospeso se non coperto. 8 Corriere di San Floro e della Calabria Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 “Espropriamo l’Italia dei beni artistici ed archeologici e li trasferiamo altrove?” Così scrisse un giorno il famoso quotidiano inglese Times Dal sito web www.ilgalileo.eu riprendiamo questo articolo del direttore dell’omonimo periodico scientifico Giuseppe Prunai che fa riferimento alla battaglia di Domenico Paravati perché sia fatta luce sul “Timpunìaddhu de i Spartacumpàri”, in agro di Borgia, forse un antico tumulo dai contenuti che potrebbero essere eclatanti. NE SUTOR ULTRA CREPIDAM Narra Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) che il pittore greco Apelle (fine IV secolo a.C.) avesse l’abitudine di esporre un quadro appena dipinto dinanzi alla propria bottega e, nascosto, ascoltava i commenti dei passanti. Un calzolaio, vista un’opera, rilevò un difetto in uno dei calzari. Apelle lo corresse prontamente. Il giorno dopo, lo stesso calzolaio notò un difetto in una gamba. Allora, Apelle, spazientito, avrebbe esclamato: Ne sutor ultra crepidam, o calzolaio non giudicare oltre la scarpa! Come se il calzolaio non fosse in grado di vedere un difetto in un arto, in una parte anatomica umana che aveva sotto gli occhi tutti i giorni e della quale egli stesso era dotato. Insomma, il povero calzolaio non era qualificato ad alzare gli occhi dalle scarpe. In linguaggio più moderno, diremmo che non ne aveva la certificazione; insomma, non aveva la patente. Dal IV secolo a.C. ad oggi, sono trascorsi un po’ più di 2.500 (duemilacinquecento) anni, ma l’esclamazione di Apelle incombe ancora come una maledizione biblica su chi vuole occuparsi di una qualsiasi tematica, della quale è appassionato e ne ha contezza, ma non ha la patente. Prassi consolidata, almeno nel nostro Paese, ostentare superiorità, quasi arroganza, da parte di chi occupa una certa carica e considera qualsiasi studioso non accademico, non inserito nell’apparato burocratico ministeriale, alla stregua di un ciarlatano. Sia ben chiaro che di ciarlatani ve ne sono tanti, ma ci sono anche tante persone serie che studiano e lavorano al di fuori degli schemi canonici. Nihil sub sole novum, recita l’Ecclesiaste (I, 10). Basti ricordare quanto disse l’on. Pietro Lacava, ministro delle Poste e Telegrafi del Regno d’Italia, quando Guglielmo Marconi (che non era laureato né disponeva di appoggi di qualsiasi natura) gli offrì il brevetto del telegrafo senza fili: “Alla Longara!”, cioè che andasse al manicomio di Roma, situato, un tempo, in via della Lungara! E Marconi, è risaputo, emigrò in Gran Bretagna. Ma procediamo con ordine. Domenico Paravati è giornalista di lungo corso. Inizi di carriera con collaborazioni varie, poi lo troviamo al Messaggero, quotidiano di Roma, infine alla radio RAI. Debutto al Giornale Radio unico (prima della riforma del 1976), poi al GR1 di Sergio Zavoli, infine al Giornale Radio Rai nel quale vennero riunificate le testate radiofoniche. Da pensionato, il nostro Mimmo dirige il giornale del suo paese natale e si dedica ad un antico amore: la storia antica e l’archeologia. Rivisti alcuni luoghi, riletti alcuni testi, il nostro Paravati rilancia le proprie convinzioni sul suo giornale. Immediata la reazione della soprintendente per i Beni archeologici della Calabria che gli invia questa lettera. “In riferimento alla Vostra nota si comunica che l’area è nota da tempo (anni ’60 del secolo scorso) a seguito di segnalazioni di studiosi ed eruditi del luogo, che ne hanno fatto menzione in articoli a carattere locale, ma preliminari sopralluoghi effettuati, negli anni, dai funzionari pro tempore e da collaboratori altamente qualificati, quali E. Arslan, hanno escluso la sua natura archeologica. È stata riscontrata, invece, la sua composizione con sabbie e terreni fossiliferi di tipo analogo a quello delle colline vicine, testimonianza dei fenomeni erosivi ed alluvionali che da sempre interessano la zona. Un ulteriore riscontro è stato possibile avere osservando uno scavo clandestino realizzato con ruspe da “cercatori di tesori”, purtroppo stimolati da articoli come quello da Voi scritto e da dicerie popolari. In nessun caso sono stati mai osservati o recuperati manufatti di qualsiasi epoca storica o protostorica o di qualsiasi natura. Firmato: IL SOPRINTENDENTE : Simonetta Bonomi” proprio? E quando ? E con quali risultati ufficiali scritti? In ogni caso quei tempi (Anni SessantaSettanta-Ottanta) erano diversi da quelli attuali, in cui la tecnologia è molto avanzata. Adesso mi pare che non ci sia bisogno di scavare per sapere se sotto un monticello di sabbia con fondo in argilla si nasconda qualcosa di solido e antico. Inoltre: è fin troppo noto che l’area intorno è ricchissima di reperti archeologici, soprattutto greci, tanto che nella primavera BORGIA - Il tumulo (?) del Corace. È la tomba di Re Italo? La collinetta (artificiale?) si trova nei pressi dell’ipotetica città greca di Krotalla Questa la prima parte della replica di Paravati (testo completo nel n.1/2011 del “Corriere di San Floro e della Calabria”): Gentile Dottoressa Bonomi, mi dispiace dirLe che le Sue asserzioni non mi convincono affatto. So della bravura di Arslan, che ho conosciuto di persona e con il quale, insieme con il dott. Spadea negli Anni Ottanta, se ben ricordo, abbiamo fatto una passeggiata in auto proprio dalla Roccelletta fino a San Floro, passando dalle contrade Varrèa, Abate e Gilo (anzi, su quest’ultima collinetta ricordo che disse: “è il sito classico di una villa romana; sono sicuro che se mi metto a scavare lassù ne troverò i resti ”; quindi anche lui si lanciava in ipotesi). Temo che anche sul nostro timpone abbia solo avanzato un’ipotesi. Non corredata da prove. O c’è stato un sondaggio geologico vero e del 2008 l’allora governatore della Calabria, Loiero, ufficializzò in una conferenzastampa il “ritrovamento archeologico più importante degli ultimi trent’anni” nei pressi della costruenda cittadella regionale di Germaneto, ad un tiro di schioppo dalla loc. Varrèa (intorno alla quale c’è un moltiplicarsi di grandi lavori stradali). Sull’argomento, il 22 giugno 2008 il Quotidiano della Calabria, pagina 52, pubblicava un mio ampio articolo dal titolo “Il mistero della Valle del Corace” proprio sotto un altro testo a firma del Suo predecessore, Caterina Greco, articolo dedicato ai “nuovi tesori di Kaulon”. Anche la Greco era al corrente quindi di quanto vado scrivendo da anni; ma, come è forse buona regola tra i Soprintendenti alle Antichità, si è guardata bene dal rispondere ad un dilettante sul famoso timpone, che io invece sono convintissimo non sia “naturale” ma non ho la possibilità fisica di dimostrarlo; anche perché non ho le carte in regola per andare a ispezionare località private… A questo punto, è facile, soprattutto per un giornalista che ne ha viste un po’ troppe, non ripensare alla teoria vichiana dei corsi e dei ricorsi storici. Negli anni 80 del secolo scorso, un direttore di banca, appassionato di storia antica, notò in campagna, in un terreno di sua proprietà, una collinetta il cui profilo somigliava moltissimo ad un ipogeo, cioè la parte superiore di un’antica tomba, il tumulo che la copre. Segnalò la cosa alla Soprintendenza competente ma non ricevette risposta. Scrisse ancora e ancora e finalmente ricevette due righe, non a firma del soprintendente, bensì del vice scambio del sottoaiuto che lo informava che in quella zona non esistevano antichi sepolcreti. E’ facile immaginare ciò che avranno detto i solerti funzionari: Cosa? Un bancario ci vuole dare lezione? Ma vada…. Conclusione: il nostro bancario si armò di piccone e badile e, al cospetto di una troupe televisiva che documentò tutto, cominciò a scavare portando alla luce una tomba etrusca ancora inviolata, piena di preziosi manufatti. Al nostro non restò che avvertire i carabinieri, che ne informarono chi di dovere che, quando si decise ad intervenire, trovò la tomba saccheggiata dai tombaroli. E sono i ricorsi storici che ci riportano con la memoria all’opera di un altro dilettante: un certo Heinrich Schliemann, storico e archeologo non accademico, la cui formazione scolastica si fermava alle prime classi del ginnasio e che portò alla scoperta delle rovine della città di Troia e di altre otto antiche città, stratificate l’una sull’altra. È’ un fatto accertato il massimo disinteresse dello stato italiano, delle sue articolazioni e dei suoi funzionari (tutti con la patente) per i beni culturali del nostro paese. Un esempio recente, i crolli di Pompei. Ma si potrebbe continuare. Nelle lettere e negli articoli di Paravati si parlava di reperti trafugati e di siti sepolti sotto le strutture dell’acquedotto. Anche questa è storia di sempre, è prassi. Dopo l’alluvione del 4 novembre 1966, nel centro di Firenze si svolgevano dei lavori di restauro del caveau di una banca, quando gli operai trovarono qualcosa che somigliava molto ad un sito archeologico. Alcuni esperti azzardarono l’ipotesi che si trattasse dei resti dell’accampamento di Catilina. Ma se avessero torto o ragione non lo sapremo mai. Per paura che i lavori fossero interrotti per consentire ricerche e studi, tutto fu sepolto sotto una colata di cemento. La punizione non tardò a venire. Trionfò la nemesi storica, anzi, nella città dantesca, la legge del contrappasso: di lì ad alcuni anni banca ed impresa fallirono. Ma si potrebbe continuare all’infinito ad elencare esempi ed episodi di incuria e disinteresse. A Milano, i resti della famigerata “colonna infame” si trovano negli scantinati di un negozio di frutta e verdura nella zona di Porta Ticinese; mentre, sempre a Milano, il basamento della torre romana che in antico svettava nei pressi del Carrobbio, è inglobato in un cavedio e può essere ammirato soltanto dalla finestrella del cesso di un bar. Alcuni decenni fa, dopo un ennesimo episodio di incuria, il Times lanciò una provocatoria proposta: espropriare l’Italia dei suoi beni artistici ed archeologici e trasferirli altrove, un modo – secondo The Times – per salvarli e tramandarli. E si chiedeva: ci sarebbero ancora la Gioconda e la Vergine delle rocce se non fossero state conservate al Louvre? Ci sarebbe ancora il Fetonte di Michelangelo o il Capitano antico di Leonardo se non fossero finiti al British Museum? Cosa rispondere? Giuseppe Prunai LA SCOMPARSA DI GUALTIERO JACOPETTI Quando è vietato dire la verità Il giornalista-regista girò Mondo Cane anche a Nocera Terinese - Sulla morte: “Non ho paura. Non credo che tutto finisca con la vita” A metà agosto è morto a Roma, scomodo; attore, regista, tempo proprio per il “taglio” a 91 anni, Gualtiero Jacopetti, fondatore del cinegiornale Ieri, irrispettoso nei confronti dei giornalista di valore ma oggi, domani che durò poco potenti. Famoso soprattutto per: Mondo Cane, Mondo Cane 2 e Africa Addio. Nel primo, filmdocumentario, vi è anche la famosa scena dei “vattienti” di Nocera Terinese, che sconvolse i bempensanti di tutt’Italia, per quel sangue che si vedeva scorrere dalle ferite degli attori presi dal vero, e nella stessa cittadina calabrese ci fu una dura presa di posizione perché tutti pensavano invece che il giornalista fosse andato lì solo per fare una tranquilla pubblicità al Nocera Terinese, Settimana Santa 1960- L’attrice ed amante di Gualtiero Jacopetti, Belinda Lee, fotografata mentre era in corso paese, come usa tuttora dalle la ripresa dei “Vattienti” per “Mondo Cane”. Belinda Lee - nostre parti. Jacopetti l’ho visto interprete di Messalina in un popolare film- era stata in all’opera proprio in occasione precedenza amante segreta di Filippo Orsini, “principe assistente delle riprese di Mondo Cane a al Soglio Pontificio”. In seguito allo scandalo il Papa tolse quel Nocera (era accompagnato titolo alla nobile e antica famiglia romana. L’attrice morì un dall’attrice Belinda Lee, uno dei anno dopo la sua apparizione in Calabria in un incidente d’auto tanti suoi amori, dopo quello negli Stati Uniti, al fianco di Jacopetti, che invece le sopravvisse “scandaloso” con la zingarella quattordicenne che fu poi fino a metà dell’agosto scorso. costretto a sposare…). A lui si ispirò un altro grande del cinema, Federico Fellini, per la figura del protagonista della Dolce Vita, affidata a Marcello Mastroianni. Jacopetti era scomodo perché amava dire e registrare la verità, anche se dolorosa e irritante. Venne dai suoi stessi colleghi considerato uno fuori dal mondo e quindi dimenticato per anni e anni, fino alla morte nell’agosto scorso e alcune ultime (per pietà o riparatrici?) apparizioni in tv e su alcuni giornali, visto che stava ormai morendo. Tra le sue verità scomode, quella secondo la quale la “liberazione” dei popoli africani dalla tirannide delle potenze coloniali (Inghilterra, Francia, Italia, ecc.) avrebbe inevitabilmente portato quegli stessi popoli a scannarsi fra di loro “per altri due secoli”. Ma la sua fredda e realistica diagnosi - come dovrebbe essere sempre per un giornalista libero - fu scambiata come l’affermazione “politica” per cui quei popoli “dovevano” continuare a stare sotto il tallone degli altri più o meno civilizzati Paesi occidentali. Egli fece, in realtà, solo una diagnosi, come fa un medico onesto. Ma nel mondo giornalistico, soprattutto nostrano, la verità spesso non si può dire: perché può far male. Gualtiero Jacopetti, pur dichiarandosi ateo, sulla morte ha detto: “Non ho paura. Non credo che tutto finisca con la vita”. Non è il solo a pensarla così. Barbabianca NOCERA TERINESE - I “Vattienti” (2002, da “Ciao San Floro Ciao Calabria” di Domenico e Feliciano Paravati) Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 Corriere di San Floro e della Calabria 9 OBIETTIVO EMIGRAZIONE, LONTANA E VICINA Paolo Condello, dagli Stati Uniti ricorda il nonno materno Paolo Casadonte (S.Floro) Ricostruita la storia di un nostro emigrato in America a fine Ottocento. Provate a tradurla dall’originale: è facile… - “Gli immigrati italiani lavoravano duro ed erano talvolta chiamati guappi” - “Ora c’è un simpatico cimitero in Maple GrovePark dove sono raccolti i resti di coloro i cui familiari non avevano avuto la possibilità di un funerale. Ma su gran parte delle ossa fu fatta passare un’autostrada” Caro Domenico, my sister-in-law, Nadine, sent me a copy of your note concerning Marianna Casadonte (*). When I was a teenager, my mother’s mother, Concetta Casadonte, would ask me to write the address on her letters to her sister and your grandmother, Elisabetta. .. … My grandmother was Concetta. Was her maiden name Cordaro? She had five children. I attached a photo. At the top from the left to right it is Mary, Concetta, Erminia. The other younger children from left to right are Salvatore, Columbia and Theresa (my mother). Salvatore married Theresa Marino and they had three children: Paul, Peter, and Maryann. Salvatore Casadonte was a wonderful man. He died at age 41 of cancer of the spine. His son Peter, my beloved cousin, died of colon cancer at age 56. Theresa, his wife, my Godmother, died last year at age 89. Paul Casadonte is a famous psychiatrist in New York City (…). Condello, Paul Joseph Salvatore [email protected] (*) Nel numero scorso, nell’Agendina, avevamo pubblicato la notizia della morte della sanflorese Marianna Casadonte ved. Cristofaro. Il nonno materno di Paul Condello, che invia questa e.mail ,era Paolo Casadonte, emigrato negli Stati Uniti più di cento anni fa. Uno dei nipoti, per linea maschile, è un suo omonimo (Paul Casadonte), attualmente “famoso psichiatra” in New York. Ciao Domenico, Yesterday was our Independence Day. I watched the fireworks over the Statue of Liberty. Many immigrants from Italy passed the Statue of Liberty when they came to the United States in the early 1900’s , in hope of a better life. Some worked on the railroads, and some worked in the Pennsylvania coal mines where they were slaves to the mine owners. My grandfather Vincenzo Condello worked as a bricklayer. The Italian immigrants worked very hard and were strong laborers. They were sometimes called “wops” in a sarcastic manner, from the word guappo. We’re almost sure that Paolo Tempo di ritorno (1970) Dal popolare bollettino parrocchiale L’Eco di San Floro riprendiamo questo testo apparso nel lontano dicembre 1970, cioè più di quarant’anni fa. Vi vengono ricordati l’emigrazione verso il Nord e l’arrivo (finalmente!) dell’acqua nelle case mentre ancora non era stata costruita l’autostrada Salerno-Reggio Calabria; e da Roma a San Floro si poteva viaggiare, per un’intera giornata, magari in Cinquecento, seguendo l’antica statale 18. Ora l’aria incomincia a farsi fredda e per Natale sono rimaste solo poche settimane. Ormai è tempo di ritorno. Maria Pia e Floro – i miei fratelli – passano ore intere con me a discorrere dei preparativi per la partenza. “Dovremo portarci le catene – dice Floro – Chissà che a Lagonegro non incontriamo la neve”. “A zia Tetè ed alla nonna porteremo i baci di cioccolato – aggiunge Maria Pia, la dolce minuta sorellina - A Feliciano solo un libro. Forse farà il muso lungo, ma deve capire: la bicicletta l’ha già avuta qualche mese fa, per la promozione alla quinta. Ora perciò deve accontentarsi di un libro di Salgari”. “E la casa, la casa credete che sarà veramente bella, come la immaginiamo?” *** “La casa -ci ha scritto nostro padre- non la riconoscerete più. È più grande e più accogliente. Ora abbiamo anche l’acqua calda e fredda (Oh l’acqua…Il mio paese fino a qualche anno fa era assetato, aveva bisogno di acqua. E l’acqua, promessa da cento bocche, non arrivava mai…Le donne – con i recipienti di terracotta – facevano la spola tra la casa e “Cannàlica”, sotto il dardeggiare del sole d’estate o con la pioggia dell’inverno…). “Ho fatto venire degli operai da Borgia per questo delicato lavoro. Qui di capomastri è difficile trovarne: quei pochi che non sono partiti per la Svizzera sono occupati. Non sapevo a chi rivolgermi. E così ho fatto venire capomastro ed operai da Borgia. Ora tutto è a posto. Ho speso un occhio. Ma sarete contenti. Natale è vicino e sono sicuro che verrete, come ogni anno…”. *** Caro papà, certo che verremo. Moriamo dalla voglia di dare cento baci a te, a mamma, ad Elisabetta e Feliciano. E moriamo dalla voglia di farci il primo sonno nella nostra nuova casa, questa casa che ti è costata tanto sudore e tante pene. Verremo a prendere il sole sulla terrazza, verremo per godercela assieme a te questa nuova casa. Certo, papà; certo che verremo in Calabria. *** Maria Pia ha tutti i pensieri per la sorella che fra qualche mese andrà sposa: “Cosa le porterò: una borsetta, un paio di guanti bianchi o una spilla d’oro?”. Elisabetta è l’angelo della nostra casa calabrese e il giorno del matrimonio, a Dio piacendo, non so se mia madre verserà più lacrime o avrà più sorrisi. Elisabetta non ha mai voluto studiare, dopo le elementari (una ferita nel cuore di mio padre); ma quanto amore per i genitori, quanto amore per i fratelli; quante camicie stirate, quanti vestiti rammendati, quanti dolci rimproveri…Anche Elisabetta ha scelto bene la sua strada: il suo posto naturale è solo la casa. Io le auguro dieci figli ed una vita di sposa felice. *** Feliciano sta invece in cima ai pensieri di Floro. Quando siamo al paese, l’uno è l’ombra dell’altro. Feliciano è il fratellino di dieci anni . Noi pensiamo sia nato per sbaglio perché arrivò piangendo una notte di febbraio, dopo dieci anni dall’ultimo parto di mia madre. Quel batuffoletto di cotone caduto dal cielo non ci trovò molto lieti del suo arrivo. Maria Pia, nei primi mesi, provava addirittura un’avversione Casadonte came to the United States in1899 at age 27. Photo of Paolo attached. He came over two different times. He was an entrepreneur and opened a shoemaker shop called “Casadonte Shoe” in Jersey City, New Jersey. I attached a photo of Paolo outside of his shop (circa 1915) with his four girls Mary, Minnie, Connie(on Minnie’s lap), and my mother, Theresa, on the right. Salvatore was a baby and was probably home with Concetta. They lived close to his shop, so the girls were close to their father. Mary would always say how close she was to her father, and how much she loved him. She said he was a very kind man. About this time Paolo became very ill with the consumption. He was taken to the HudsonCountyHospital at a place called Laurel Hill, which was also called “Snake Hill”. I get very emotional when I think of him in that hospital, suffering alone, with five young children. He died in November of 1916. My grandmother, Concetta Cordaro Casadonte , could not FAMIGLIA CASADONTE, PRIMO NOVECENTO, JERSEY afford a burial and he was taken to CITY - Da sinistra in alto: Mary, Concetta Cordaro (moglie di Paolo Casadonte e sorella di Bettuzza e Mariuzza, rimaste in a potter’s field and buried on Snake S. Floro), Erminia, Salvatore, Columbia, Theresa Hill in Secaucus N.J. In the 1960’s my cousins Fred Seeber (Connie’s son), Paul and Peter Casadonte (Sal’s sons), and I would search the grounds of the burial grounds in search of Grandpa’s grave. There were only a few markers, but they were small stones with only numbers on them. The rest is a long story. The politicians of our great country decided to build a large autostrada (New Jersey Turnpike) on top of the grave site. There were protests, and after many years, the human remains that could be found were moved to a lovely cemetery in Maple GrovePark. It was the largest internment of human remains in United States history!! We’re sure Paolo was included. My Cousin Fred and I had the honor of attending our Grandpa’s funeral ceremony at the cemetary in November of 2004, eighty-eight years after his death. It was very emotional. We were all very proud of Paolo Casadonte! You can find more information on the Google-“The Dead of Snake Hill”. Con molto affetto, Paolo Condello LA DIASPORA ANNI SESSANTA Un emigrato, tornando in vacanza, si sente un “intruso” Illustre Domenico, scusami per quello che ti sto chiedendo, ma penso che tu come persona cui sta a cuore il comportarsi delle persone del nostro paesello, possa fare qualcosa per farlo uscire da quel torpore che sta contagiando quasi tutti. E mi spiego meglio. Una buona parte del paese é di destra, ma questo potrebbe essere una manifestazione di dissenso. I ragazzi, oltre che rifugiarsi nelle loro auto, addirittura per comunicare fra di loro abbassano il finestrino rimanendo seduti nella propria vettura; i bambini della scuola non la frequentano senza che nessuno ne faccia un dramma (secondo me c’è invece il dramma se non si va a scuola). Però nessuno fa niente. I giovani, pur di non contraddire i vecchi, non riescono a formarsi un proprio carattere, formarsi una famiglia, affrontare la vita con i suoi alti e bassi ma che è la vita. Forse sarò un po’ pessimista, ma nel percorrere le strade dove ho vissuto fino all’età di 24 anni, ho avuto la sensazione d’essere un forestiero, quasi un intruso. Si festeggiano i 150 anni dell’unità d’Italia; ma ho provato a parlare con qualche giovane chiedendogli se sapeva veramente chi è stato Cavour, chi è stato il generale Cialdini, chi erano e chi sono i massoni, chi era veramente Giuseppe Garibaldi, il perchè fu ferito solo in Aspromonte, chi erano i Caracciolo. Ho visto che sul giornale di San Floro racconti la storia. Non pensi che rivedere un po’ la storia farebbe ai nostri paesani magari organizzare una serata su questo tema nel mese d’agosto? Un cordiale saluto. Floro Rauti Caro Floro, parlare di storia nazionale non è nei nostri programmi editoriali. Se qualche volta tocco la storia, mi riferisco sempre a quella locale, in particolare a ciò che ho “visto” di antico con i miei occhi nelle località più vicine a noi. Questa lettera viene pubblicata ad agosto già passato proprio perché, nel momento in cui l’ho ricevuta (10 giugno), non sapevo cosa fare per aiutarti. Per quanto riguarda quella che tu in un certo senso definisci indolenza dei giovani sanfloresi, che dirti?, anche a me sembra, ad occhio, una malattia diffusa. Ma capirne le cause non è proprio facile e comunque il discorso sarebbe lungo. Da aggiungere che noi (delle passate generazioni) emigravamo perché c’erano più possibilità di lavoro fuori dalla Calabria. Un sanflorese, adesso, sarebbe sicuro di farcela prendendo il treno per Milano? Forse sì e forse no. Noialtri invece eravamo sicuri di trovare, se non subito, almeno nel giro di pochi mesi, una sistemazione onorevole. Come credo sia capitato a te ed è certamente capitato a me. D.P. ’A SPARTENZA OPPURE LA VOGLIA DI RIMANERE ...Ma noi rimasti non siamo vigliacchi. Io amo Catanzaro. Anzi voglio costruire su di essa il mio futuro ‘A spartenza (la partenza) è un canto popolare del Sud Italia che ho imparato da bambina quando mio fratello maggiore, voce principale del gruppo folkloristico della scuola, lo intonava ogni anno durante gli spettacoli, nella commozione generale della sala, con valigia di cartone in mano e vestito tipico di velluto. È un canto d’addio che un giovane emigrante dedica alla sua donna, alla sua famiglia e alla sua terra prima di intraprendere il triste viaggio che lo porterà lontano da tutto quello che ama. Avevo circa sei anni e non capivo perché quel canto fosse tanto sentito, fintanto che, una volta cresciuta, “’a spartenza” ha smesso di essere una rappresentazione ed è diventata la realtà. Con o senza diploma o laurea in mano, ho visto tantissimi ragazzi scegliere di partire e lasciare Catanzaro, alla scoperta di città più grandi, più belle, o semplicemente diverse. Se ne sono andati perché qui non c’è futuro o perché quello che c’è non è abbastanza per loro. Tutti, i coraggiosi e gli incoscienti, sono partiti e continuano a partire pieni di speranze, alcuni felici e desiderosi di lasciare una realtà troppo piccola per loro, altri decisamente meno entusiasti, con la medesima malinconia degli emigranti di un tempo e il cuore più pesante della loro stessa valigia, oramai non più di cartone. Una volta partiti, il tempo e la lontananza li cambiano. Tutti ritornano almeno d’estate, alcuni a cuor leggero, perché la nuova vita che si sono creati altrove è esattamente quello che volevano; altri un po’ seccati, come se tornare a Catanzaro significasse far ritorno ad un luogo privo di civiltà; altri ancora più malinconici e talvolta arrabbiati di quando sono andati via, perché la loro nuova vita è quello che volevano, ma lo volevano qui, a casa loro, nella loro terra. Talvolta poi qualcuno ritorna per restare, perché il suo legame con questi luoghi è talmente forte che da essi dipende la sua serenità; e così si unisce al nutrito gruppo di ragazzi che non se ne sono mai andati, che hanno scelto di rimanere. Chiunque accusi chi è rimasto di aver preferito una vita comoda o di essere un vigliacco non riesce a comprendere che Catanzaro con i suoi luoghi pieni di contraddizioni e zone d’ombra è una città di una silenziosa bellezza che in alcune sere esplode con tutta la sua forza; e quando si subisce il fascino di questo spettacolo si è inesorabilmente ammaliati e, come fosse un grande amore, si sceglie di fidarsi di questa terra e di costruire con essa e su di essa il proprio futuro. Francesca Cosentino per lui, chissà perché. Ora però so benissimo che Feliciano è indispensabile alla nostra famiglia. Lo abbiamo visto crescere di giorno in giorno, di anno in anno, e l’affetto per lui, il più piccolo, lo scavezzacollo aumenta sempre a dismisura. *** Così, ora che è tempo di ritorno, noi già pregustiamo le gioie dell’incontro con il resto della famiglia e con la terra madre. Partiremo all’alba, dopo avere stipato valigie e cappotti nella minuscola cinquecento. E al tramonto, come sempre, il cuore avrà un sussulto quando, dai monti della Lucania, grazie a Dio, scenderemo verso il mare. E Praia, con l’isola Dino, primo lembo di Calabria, saranno ad accoglierci a braccia aperte. Mimmo Paravati 10 Corriere di San Floro e della Calabria Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 UN SALTO NEL PASSATO LEGGENDARIO Ulisse, Nausicaa, Alcinoo, la terra dei Feaci nella ricerca di Luigi Aloi Luigi Aloi, spinto dall’amore verso la sua terra d’origine (Borgia), ha messo insieme in una simpatica ricerca (che, come egli stesso ammette, “non ha valore scientifico avendo io utilizzato quasi esclusivamente internet”) luoghi e personaggi che hanno o si ritiene abbiano avuto a che fare con la parte centrale dell’attuale Calabria; per meglio dire, quella fascia di terra che va dal golfo di Squillace a quello di Lamezia. Pubblichiamo quanto Aloi ha raccolto sul personaggio Ulisse e sul suo incontro con il re dei Feaci, Alcinoo, mettendo in risalto almeno in parte quanto ipotizzato dal prof. Armin Wolf in un suo libro (Die wirkliche Reise des Odysseus: zur Rekonstruktion des Homerischen Weltbildes, München, Wien, Langen-Müller, 1983, 3. Auflage 1990). L’Odissea (Odysseia) è un grande poema epico greco attribuito al poeta Omero, scritto intorno all’ottavo secolo a.C. Racconta le avventure dell’eroe greco Odisseo (o Ulisse, alla latina) durante il lungo viaggio di Ulisse ritorno nella sua amata patria, Itaca, dopo la caduta di Troia. L’Odissea è divisa in 24 libri. In origine il poema era tramandato oralmente da abili ed esperti aedi. La storia si svolge intorno al mitico Ulisse che, per ritornare in patria, deve affrontare un viaggio straordinario e pieno di insidie, deve lottare contro gli dei, ma alla fine riesce a raggiungere la sua isola. Di questo viaggio, tra il reale ed il fantastico, tra luoghi e posti veri e immaginari, vogliamo raccontare, la parte che riguarda l’incontro di Ulisse con i Feaci. Dopo svariate peripezie, Ulisse trascorre gli ultimi sette anni prigioniero -sulla lontana isola Ogigia - della ninfa Calipso. Un giorno decide di scappare e si costruisce una zattera. Ma poichè il dio del mare, Poseidone, gli è nemico, fa inevitabilmente naufragio, e riesce a salvarsi a nuoto, raggiungendo Scheria, la terra dei Feaci sulla cui riva, nudo ed esausto, cade addormentato. “Uscito dal fiume, l’eroe fra i giunchi cadde bocconi, baciò la terra dono di biade; ma disse affranto al suo cuore magnanimo: “Ohimè, che succede? Che altro mi capita? Se veglio qui presso il fiume la notte affannosa, temo che insieme la mala brina e l’umida guazza non mi finiscano il cuore, stremato dalla fatica: un vento freddo spira dal fiume avanti l’aurora. E se, il clivo salendo, su per la selva buia,tra i fitti cespugli mi distendo a dormire, e mi passano freddo e stanchezza, e dolce viene a me il sonno, temo di cader preda e cibo di fiere”. Questa, però, pensando, gli pare la cosa migliore. E mosse verso la selva; la trovò non lontano dall’acqua, su una piccola altura; s’infilò sotto un doppio cespuglio, cresciuto insieme da un ceppo d’olivo e oleastro” (Odissea, V) Il mattino dopo, svegliatosi, sente delle risa di ragazze. Vede la giovane Nausicaa che era andata sulla spiaggia accompagnata dalle sue ancelle per lavare i panni. Ulisse chiede così aiuto, ed ella lo esorta a chiedere l’ospitalità dei suoi genitori Arete e Alcinoo, re dei Feaci. “Ma tu sollecita il padre glorioso, avanti l’aurora, a prepararti la mula e il carro, che ti trasporti cinture e pepli e mantelli vivaci; e anche per te così è molto meglio che andare a piedi: son molto lontani dalla città i lavabi”. (Odissea, VI) Queste lo accolgono amichevolmente senza nemmeno, dapprima, chiedergli chi egli sia. Ulisse arriva nella città dei Feaci, come ospite nel palazzo diAlcinoo. Ma come in vista della città arriveremo - un muro la cinge, alto, e da un lato e dall’altro sono due porti, ma stretta è l’entrata [...]”. (Odissea, VI) “Allora Odisseo si alzò per andare in città: e intorno Atena gli versò molta nebbia, pensando il suo bene, perchè nessuno dei Feaci superbi, incontrandolo, parole ingiuriose dicesse o chiedesse chi era”. (Odissea, VII) “Cinquanta ancelle erano in casa di Alcinoo: alcune con mole moliscono giallo frumento, altre tessono tele e girano fusi, sedute, simili a foglie di altissimi pioppi: dalle tele in lavoro gocciola limpido l’olio. Quanto i Feaci son sapienti sugli uomini tutti a reggere l’agile nave sul mare, altrettanto le donne son tessitrici di tele; a loro Atena donò in grado massimo di far opere belle e d’avere savia mente”. (Odissea, VII) I Feaci erano un popolo meraviglioso, progredito ed in pace, esempio della migrazione. Scheria è la loro nuova patria. I Feaci vivevano una volta lontano da questa terra… “…che una volta abitavano nell’ampia Iperea, vicino ai Ciclopi, uomini oltracotanti, che li depredavano ed erano più forti. Li tolse di là Nausitoo simile a un dio, li condusse e insediò a Scheria, lontano dagli uomini che mangiano pane, cinse la città con un muro e costruì le dimore, e fece i templi degli dei, e i campi spartì» …Il palazzo dove vivevaAlcinoo era un posto stupendo. “[…] Ma Odisseo andava al palazzo stupendo d’Alcinoo, e molto in cuore esitava, là fermo, senza passare la soglia di bronzo. Come splendore di sole c’era, o di luna, nell’alta casa del magnanimo Alcinoo. Muri di bronzo di qua e di là s’allungavano dalla soglia all’interno; e intorno un fregio di smalto. Porte d’oro la solida casa dentro chiudevano, d’argento s’alzavano su bronzea soglia gli stipiti; e l’architrave di sopra era d’argento, d’oro l’anello: d’oro e d’argento ai due lati eran cani, che Efesto fece con arte sapiente, per custodire la casa del magnanimo Alcinoo; per sempre immortali erano e senza vecchiezza. Lungo il muro si appoggiavano i troni, di qua e di là, in due file, dalla soglia all’interno; e pepli sopra sottili, ben tessuti, eran gettati, lavori di donne. Là dei Feaci sedevano i principi, a bere e mangiare: in abbondanza ne avevano. Fanciulli d’oro sopra solidi piedistalli si tenevano dritti, reggendo in mano fiaccole accese, illuminando le notti ai banchettanti in palazzo. Cinquanta ancelle erano in casa d’Alcinoo: alcune con mole moliscono giallo frumento,altre tessono tele e girano i fusi, simili a foglie d’altissimi pioppi: dalle tele in lavoro goccia limpido l’olio. Quanto i Feàci sono sapienti sugli uomini tutti a reggere l’agile nave sul mare, altrettanto le donne son tessitrici di tele; a loro Atena donò in grado massimo di far opere belle e d’aver savia mente. Fuori, poi, dal cortile, era un grande orto, presso le porte, di quattro iugeri corre tutt’intorno una siepe. Altialberi là dentro, in pieno rigoglio, peri e granati e meli dai frutti lucenti, e fichi dolci e floridi ulivi; mai il loro frutto vien meno o finisce, inverno o estate per tutto l’anno: ma sempre il soffio di Zeffiro altri fa nascere e altri matura. Pera su pera appassisce, mela su mela, e presso il grappolo il grappolo, e il fico sul fico. Là anche una vigna feconda era piantata, ed una parte di questa in aprico terreno matura al sole; d’un’altra vendemmiano i grappoli e altri ne pigiano; ma accanto ecco grappoli verdi, che gettano il fiore, altri appena maturano. Più in là lungo l’estremo filare, aiuole ordinate d’ogni ortaggio verdeggiano, tutto l’anno ridenti. E due fonti vi sono: una per tutto il giardino si spande; l’altra all’opposto corre fin sotto il cortile, fino all’alto palazzo: qui viene per acqua la gente. Questi mirabili doni dei numi erano in casa d’Alcinoo”. (Odissea, VII) L’eroe greco rimane alcuni giorni ospite di Alcinoo, partecipa a gare atletiche e ascolta il cieco cantore Demodoco esibirsi nella narrazione addormentato come un angioletto sulla spiaggia dell’isola, circondato da molti doni e da grandi ricchezze; e al suo risveglio prenderà avvio l’ultima parte della vicenda narrata dall’Odissea, che finirà con la lotta di Odisseo contro i centootto Proci e la loro cruenta uccisione. Triste sarà invece il ritorno della nave dei Feaci, che mai ritornerà a Schèria, quella nave che correva sicura, diritta, più veloce del nibbio, dello sparviero, e dietro l’onda del mare urlante spumeggiava sconvolta; perché Poseidone, quando già la nave è in vista della città, affinché tutti i Feaci possano assistere dalla riva alla punizione divina, la trasformerà in pietra, fermandola nella sua rapida corsa e radicandola nel profondo del mare, ma tutto questo era stato previsto. «Ma una volta sentii dire questo a mio padre Nausitoo: diceva che Poseidone era irato con noi, perché senza danno siamo guide di tutti. Diceva che un giorno avrebbe spezzato una nave ben costruita ai Feaci, mentre sul mare fosco da un viaggio di scorta tornava, e avrebbe avvolto la nostra città d’un grande monte». “Così parlava il vecchio, e questo il dio compirà o lascerà incompiuto, Qui sopra: “Ulisse e Nausicaa” del pittore fiammingo Michele Desubleo - A destra: “Nausicaa” del pittore inglese Frederic Leighton - In basso: “Ulisse alla corte di Alcinoo” del pittore italiano Francesco Hayez di due antichi poemi. I Feaci lo riportano in patria, con le loro navi senza pilota. Pagheranno per questo loro gesto. «Infatti, i Feaci non hanno pilota, le navi non hanno i timoni che hanno le altre, ma sanno da sole i pensieri e la mente degli uomini, le città e i grassi campi di tutti conoscono, e traversano veloci l’abisso del mare avvolte nella foschia e in una nube: esse non temono mai di soffrire alcun danno o d’andare in rovina». Dopo l’ennesimo banchetto, cinquantadue giovani feaci, robusti rematori, riescono finalmente a riportare a Itaca Odisseo, e lo lasciano come piace al suo cuore.”. (Odissea, VIII) Questo popolo ha pagato con la morte dei suoi uomini, l’aver voluto aiutare Ulisse contro il volere degli Dei, e così Alcìnoo, dopo il disastro della nave dice: «Ma su, come io dico facciamo tutti d’accordo: smettete d’accompagnare mortali, quando pur venga qualcuno alla nostra città». (Odissea, XIII) Fin qui la storia di Ulisse e del popolo dei Feaci. In internet si trovano dei riferimenti al libro Odysseus del prof. Armin Wolf e di suo fratello Hans e di altri studiosi, dove viene argomentato scientificamente il viaggio di Ulisse. Questi due studiosi tedeschi vogliono dimostrare che la leggenda di Ulisse è stata inserita in un ambiente geograficamente vero. Quindi i luoghi narrati da Omero sono reali. Attraverso anni di ricerche e numerosi viaggi nel Mediterraneo essi arrivano alla conclusione che, attraverso i dati presenti nel poema, è possibile ricostruire uno schema d’itinerario ipotetico, all’interno del Mediterraneo, ed è possibile individuare esattamente i luoghi reali. Di tutto il viaggio di Ulisse, nel “Dodicesimo percorso - Dall’isola di Ogigia alla Terra dei Feaci” è sostenuto che SCHERIA, la terra del popolo dei Feaci, è localizzata nella fascia centrale della Calabria compresa tra i golfi S. Eufemia e di Squillace. Il porto da dove Ulisse, dopo l’ospitalità dei Feaci, s’imbarca per il rientro a Itaca è da ubicare in corrispondenza del Corace con la sua foce nel Golfo di Squillace, in sostanza nella zona a mare del comune di Borgia, Scolacium. La terra dei Feaci è stata localizzata, nelle diverse teorie, in Palestina, Tunisia, Andalusia, Istria, Cirenaica, Malta, Creta, Corfù, Trapani, ed anche in… Germania. Non si è riusciti a rispondere, però, all’interrogativo di come Ulisse dopo il primo passaggio da Scilla e Cariddi, fu respinto nuovamente oltre e, tuttavia, fu condotto in patria dai Feaci, senza attraversarlo una terza volta. Secondo Omero, la terra dei Feaci, vista dalla Grecia, si trova una volta davanti e una volta dietro Scilla e Cariddi (Stretto di Messina).Questa “contraddizione” metteva in crisi tutte le teorie che volevano giustificare la realtà geografica del testo omerico. Gli studiosi sostengono che se, poniamo insieme i due riferimenti di Omero e cerchiamo un paese che in un mare giaccia contemporaneamente dietro e davanti allo Stretto, verremo indotti a pensare alla Calabria, la cui costa occidentale giace sul Tirreno e l’orientale sullo Ionio. E proprio là sì giungerà, se con percorso verso est, si proviene da Lipari o da Stromboli e di là bisogna salpare per raggiungere Itaca, con percorso parimenti verso est, come indica il testo omerico. Se questa sorprendente spiegazione è giusta, nel corso del suo viaggio Ulisse deve, comunque, aver attraversato un tratto di terra. Questo fatto, mai osservato, è in realtà ciò che dice Omero: nei pressi della terra dei Feaci l’onda e la tempesta infrangono la sua zattera e soltanto a nuoto Ulisse riesce a porsi in salvo, raggiungendo la costa. Di là dovette recarsi a piedi. Prima marciò per un pendio, il giorno dopo, portato su valli carrabili, con carri guidati da muli, verso la capitale dei Feaci; e ancora, un altro giorno scese verso il porto e, quindi, finalmente una nave lo riportò in patria. Omero si riferirebbe a due coste differenti e legate tra loro da una certa distanza. S’identificherebbe così la felice terra dei Feaci di Omero con la Magna Grecia dell’antichità e dunque con la Calabria attuale, sull’istmo più stretto, quello di Catanzaro, fra il Golfo di S. Eufemia e il Golfo di Squillace.Qui i due mari si avvicinano a circa trenta chilometri, e qui si può facilmente superare la catena montuosa calabrese attraverso un comodo valico a soli 300 metri s.l.m., invece che a mille metri di altezza a nord e a sud di là. Ulisse incontra Nausicaa, figlia di Alcinoo, re dei Feaci, nei pressi dell’attuale Lamezia Terme. Poi, per via terra, insieme, raggiungono il palazzo reale, poco dopo il tramonto e l’ospite viene accolto amichevolmente daArete eAlcinoo. La capitale dei Feaci deve trovarsi sullo spartiacque dell’istmo (Tiriolo?), perché dalle parole di Nausicaa si presume che il suo paese stia tra due mari ( Ulisse “[…]ammirò i due golfi e le navi”), uno situato a est e uno a ovest. L’accesso terrestre, invece, è difficile. La ricchezza dei Feaci era basata, probabilmente, sulla dominazione della via dei due mari, come avvenne più tardi per le città greche di Sibari, Crotone, Locri. Queste città divennero le più floride della Magna Grecia grazie alla funzione di mediazione commerciale tra l’Etruria e la Grecia. Le navi provenienti dall’Oriente scaricavano i loro carichi al porto sul mare Ionio; da qui, attraverso i sentieri terrestri, le merci venivano trasportate sul Tirreno per essere di nuovo imbarcate per il nord. Ulisse è accompagnato dalla città alla veloce nave, che lo porterà a Itaca, dopo aver seguito probabilmente il fiume Corace fino alla riva del mare. Nelle vicinanze dell’attuale Roccelletta di Borgia, alla foce del Corace, possiamo supporre l’esistenza in antico di un sito idoneo come porto perché nell’attuale Parco Archeologico sono stati trovati, pochi anni fa, i resti dell’antica Scolacium e s’ipotizza lì stesso o nei pressi la città greca di Skylletion. Luigi Aloi I benefici della “Ficarella” l’acqua di S. Nicola da Crissa L’ex sindaco democristiano di Roma (1985-1988), Nicola Signorello (85 anni), senatore e ministro più volte, presentando nei giorni scorsi in Campidoglio il suo libro di memorie, ha detto che deve la buona salute ed il bell’aspetto alla Ficarella, che si fa mandare dal suo paese, San Nicola da Crissa, in Calabria. Onni soit qui mal y pense. Nessuno si permetta di malignare su quel toponimo. È l’acqua Ficarella che fa bene, non altro; soprattutto per un ex NICOLA SIGNORELLO in importantissimo dc, rispettoso dei una foto Anni Ottanta quando Comandamenti. era Sindaco di Roma Corriere di San Floro e della Calabria Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 NEL MONDO DEI LIBRI Antonio Zaccone ci riprova Ed ecco “King il Vittorioso” Il nostro Antonio Zaccone - così noto ai lettori del “Corriere” - è tornato sulla scena della letteratura infantile, quella che egli predilige, con un nuovo simpatico volumetto: “King il Vittorioso”. Intanto, quel “Vittorioso”, vi fa subito pensare direbbe Freud - al famoso periodico per ragazzi negli Anni Cinquanta, con i disegni-caricature di Jacovitti. Ma, tranquilli: Antonio non vuole fare marcia indietro con gli anni (del resto non gli è possibile) e forse nemmeno lega con gli psicanalisti. Ha solo voluto rimanere idealmente a contatto con quei suoi alunni che tanta gioia gli hanno dato nella vita, visto che è stato prima insegnante elementare e poi docente nelle aule che si trovano un po’ più su; e quindi ottimo conoscitore della psiche dei ragazzini, la quale ha tanto bisogno della fantasia per una sana crescita. Stavolta il personaggio-clou del libro è, pensate un po’, addirittura un… gallo, anzi un “supergallo”; che, proprio perchè “super”, ne combina di tutti i colori (ma non vi diciamo come, sennò cala l’interesse a leggere questa nuova messa in scena della Onorata Forneria Zaccone). Certo è che la distanza con i più antichi “Sogni di Luisella” (una cinquantina di anni fa) è piuttosto ampia. Ma i tempi cambiano; e quindi in questo libro troverete addirittura i cinesi, la cui presenza nei discorsi degli occidentali è ormai quasi ossessiva visto che proprio loro, i gialli -tanto per fare un salto nel campo dell’economiacomprano oro a tutto spiano, quel nostro oro, magari fuso, di orologi, catenine, insomma i ricordi di giorni lieti, che noi siamo ormai costretti a vendere per far fronte alla quasi disperazione della crisi nel mondo occidentale. Vi troverete però - anche per passare ad argomenti più “alti” un po’ di ecologia, come in questo passo: “L’eccezionale pennuto era rispettoso della flora e della fauna …Non beccava mai i teneri germogli…”. Ma sappiate anche che vi si parla, anzi vi si scrive, di robot, embrioni, clonazione, manipolazioni genetiche, argomenti che soprattutto per le menti giovanili sono certamente affascinanti e in linea con i tempi. E poi c’è - tanto per non far dispiacere ai patiti dell’estetica muliebre, e siamo in tanti - una “bellissima donna, Eurinome, dea di tutte le cose” che “sapeva fare le uova” e “quando le venne in mente di creare il mondo…, si trasformò per poco tempo in colomba e depose l’Uovo Universale…”. Ma Zaccone, da buon pubblicista, ha pensato anche al nostro mestiere; e allora ecco cosa scrive: “Un giorno vi si recò (dal super-gallo) un giornalista che forniva a quotidiani e riviste servizi importanti di cronaca…Vi andò per verificarne la bravura e, casomai, diffondere la notizia a mezzo stampa”. Insomma, ci viene spontaneo dire al nostro carissimo Antonio: “Ma dove diamine riesci a trovare tutta questa fantasia? Certo è che i bambini, ma non solo, ti vorranno tanto bene per le passeggiate che gli fai fare nel mondo dei sogni”. Domenico Paravati Antonio Zaccone “King il vittorioso” L’Autore Libri - Firenze Come Giosafatte Tallarico divenne brigante Quando torno a San Floro, magari solo per una settimana, vado a frugare nella mia minibiblioteca “locale”, nel senso che ha libri che trattano argomenti calabresi. Nello scorso freddo e piovoso mese di febbraio mi imbatto in un volume che attendeva da tempo di essere letto. È una raccolta di racconti di Nicola Misasi, un nostro scrittore piuttosto noto quaggiù a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Uno di questi racconti è dedicato a Giosafatte Tallarico, un brigante che furoreggiava nella Sila cosentina, intorno a Panettieri, suo luogo di nascita, e che ne aveva combinate di tutti i colori negli anni successivi al 1820 per poi finire i suoi giorni come un normalissimo, onesto cittadino in un angolo del Sud Italia, lontano dalla scena delle sue gesta tra il bandito gentiluomo e l’assassino senza rimorsi. In questo libro, anzi nel racconto su Giosafatte Tallarico, trovo una pagina che vi voglio proporre perché è un autentico affresco, se così posso dire, di come si reagiva al cosiddetto onore offeso delle donne e quindi della famiglia nella quale erano incardinate le fanciulle di allora. Secondo me si tratta di un autentico documento su come una volta - grazie a Dio, ora capita sempre più raramente - si arrivava, da parte dei parenti, all’omicidio per vendicare anche il semplice fatto che una donna della propria famiglia si fosse volontariamente concessa al suo ganzo ma poi l’amante non aveva voluto sposarla. E dunque, il giovane Giosafatte, prima aspirante prete e poi aspirante farmacista, se ne sta nella bottega cosentina del suo datore di lavoro, quando viene informato che la giovanissima sorella, da lui ritenuta illibata, non è più vergine per opera di un signorotto locale, tale Don Luigino Sparadei. Ecco come Giosafatte vendica l’onore ferito, dandosi quindi alla macchia e divenendo uno dei scapato in sacrestia. I gradini della più temuti briganti calabresi. Dopar chiesa erano bagnati di un rivolo di sangue. Don Luigino Speradei se ne Infine il giovane, stanco di veniva fischiettando una colpire, si levò dritto della canzonetta, con quell’aria persona; si guardò intorno, poi altezzosa del signorotto alla cui avvicinando il pugnale intriso volontà tutto ubbidisce: stava di sangue alla bocca, lo forbì per entrare in chiesa, quando con le labbra, perchè, come di un tratto una mano gli afferrò vuole una credenza del nostro il braccio. Si rivolse sdegnato popolo, le gambe acquistassero alzando lo scudiscio. forza nel correre, e voltosi agli - Chi è il villano che osa…? astanti con voce terribile, con Ma, avendo riconosciuto in occhi lampeggianti e terribili: colui che gli era dinnanzi il - Ecco, così Giosafatte fratello di Carmela, lasciò Tallarico ha vendicato l’onor cadere il braccio e impallidì. suo! Ed ora chi vuole mi cerchi Pure affettando un’aria di sulla montagna.” (*) sicurezza e di indifferenza: - Che volete? gli chiese. (*)-Nicola Misasi – In Magna -Voglio questo: se fra otto Sila – Giosafatte Tallarico – Il giorni non sposerete mia sorella gran bosco d’Italia – che avete disonorata, io vi Introduzione di Pasquino scanno, quanto è vero quel Dio Crupi -Luigi Pellegrini che è sull’altare. Editore -1976 Tutto ciò avveniva mentre nella chiesetta il prete alzava l’ostia consacrata e i contadini, genuflessi, si picchiavano il petto:qualcuno però aveva voltata la testa verso la porta d’entrata, attratto da quel rumore delle voci. Mentre degli altri ufficiali non .. - Dunque, fece il giovine, che faccio nemmeno un rapido cenno, mi rispondete? perché non ne vedo la necessità, Don Luigino Speradei alzò le faccio eccezione per Artemisia, spalle. che ammiro moltissimo per aver …- Io non ho nulla da ella partecipato alla spedizione rispondere perché di nulla sono contro la Grecia (da parte di Serseresponsabile…Sì, nol nego, ho n.d.r.) pur essendo una donna. Essa fatto all’amore con tua sorella, che, dopo la morte del marito, come tanti altri prima di me, ed teneva in pugno la tirannia e aveva ho goduto quel che tanti altri un figlio ancor fanciullo, scendeva avevano goduto. in campo per il suo alto sentire e - Ah vile, ah vile, ah vile!- per virile coraggio, senza che ruggì il giovane. necessità alcuna ve la costringesse. E tratto il pugnale si scagliò su Il suo nome era Artemisia, figlia Don Luigino Speradei, che cadde di Ligdami, di razza alicarnassea riverso. La scena era orribile: su per parte di padre e cretese per quell’uomo caduto il giovane parte di madre. Il suo dominio si inferocito si era di un lancio estendeva su Alicarnasso, Cos, chinato e lo andava crivellando di Nisiro e Calimna e forniva cinque ferite: il pugnale si alzava e si navi. Come di tutta la flotta essa abbassava lampeggiando, mentre forniva le navi più apprezzate, la vittima sostava tentando di dopo quelle dei Sidoni, così di tutti sollevarsi, ma poi ricadde inerte gli alleati era lei che dava al re i mentre il giovane continuava a consigli più avveduti. colpire folle di ferocia. (Erodoto- Le Storie –A I contadini esterrefatti cura di Luigi Annibaletto - Libro guardavano non osando di VII-par. 99- Oscar Mondadoriaccorrere in soccorso; il prete era 1982) Artemisia e l’invasione persiana della Grecia 11 “Camicie rosse in Calabria” uno studio di Francesco Pitaro Dalle Grafiche Lucia Catanzaro, per conto delle Edizioni “la rondine”, è uscito di recente il libro di Francesco Pitaro “Camicie rosse in Calabria ”, pagg. 99, euro 10,00. Una pubblicazione interessante, preziosa soprattutto per i lettori calabresi, adulti e giovani, che desiderano approfondire le loro conoscenze storiche di un numero rilevante di particolari su quanto il Meridione ha fatto per dare un apporto più che positivo alla liberazione del Sud dal dominio borbonico. Il testo, corredato di illustrazioni, è una miniera di notizie riguardanti appunto il contributo dato dai calabresi al Risorgimento italiano. L’autore, nella premessa, dice, tra l’altro, che “nelle celebrazioni per la ricorrenza del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia una parte non irrilevante va senz’altro riservata alla Calabria. La quale, nelle varie fasi che scandirono il nostro Risorgimento, dai moti del 1820-21 e del ’31 a quelli del ’47’48, fino ad arrivare alla spedizione dei Mille del 1860 e dell’anno successivo, in cui a Torino fu proclamata l’unità della penisola, essa ricoprì sempre un ruolo di primissimo piano e di elevato prestigio. Sia per essere stata teatro di memorabili avvenimenti sia per aver dato un contributo di intelligenze, di idee e di vite umane alla causa patriottica”. Lo scrittore mette in risalto l’operato di quei personaggi che “ricoprirono ruoli e cariche importanti al seguito dell’eroe dei due mondi”. Francesco Stocco, di Adami, frazione di Decollatura; Benedetto Musolino, di Pizzo; Vincenzo Niutta, di Caulonia. Nel libro sono elencati (con brevi note biografiche) i deputati e i senatori calabresi facenti parte del primo parlamento del Regno d’Italia. Nelle ultime pagine, brani antologici di Giuseppe CesareAbba (Lo sbarco in Calabria, “Da Quarto al Volturno”); di Giuseppe Bandi (La presa di Reggio Calabria, da “I Mille, da Genova a Capua”); diAlexandre Dumas (Garibaldi a Soveria Mannelli, da “I Garibaldini”). Francesco Pitaro è nato a Gagliato (Cz) nel 1953 e vive a Montepaone. Giornalista, ha collaborato alla Radio Vaticana e ha scritto per Tuttosport, Corriere dello Sport –Stadio, Giornale di Napoli, Giornale di Calabria, Oggi Sud, il Quotidiano della Calabria, Gazzetta del Sud. È stato comunicatore presso il Dipartimento”Politiche Comunitarie” e all’Unità di progetto “Relazioni internazionali” della Regione Calabria. È collaboratore fisso del periodico Calabria Letteraria e scrive sulle pagine di cultura e spettacolo di Gazzetta del Sud. Antonio Zaccone POESIE Andiamo “Sul filo del tempo” con Roma Maggisano Gullì Nella sala consiliare del Comune di Borgia, gremita di pubblico, è stato presentato dalla prof.ssa Giulia Giovanna Carrì il libro “Sul filo del tempo” di Roma Maggisano Gullì. La Garrì ha fatto una chiara e sentita relazione orale sui contenuti che caratterizzano l’opera, interessando all’ascolto i presenti, che l’hanno più volte applaudita. Dopo di lei ha parlato la poetessa. Ha ringraziato la Carrì per l’approfondita dissertazione e il numeroso pubblico in sala. Sono seguiti gli interventi di alcuni dei presenti, i quali hanno sottolineato l’importanza del testo: lo scenografo e giornalista Giuseppe Passafaro; il prof. Roberto Chiarella; il prof. Giuseppe Rocca, pittore; l’ins. Masino Cristofaro; l’ins. “Pepè” Calabretta; l’avv. Domenico Rijllo; il prof. Rosario Tavano. Il libro è stato stampato da “Global Print” (Milano) per conto della CSA Editrice. È composto da 58 poesie e 28 brevi racconti. La copertina ha un dipinto del pittore Carmelo Fodaro. È formato di 139 pagine. Prezzo eu 12,00. È dedicato al prof. Leonardo Gullì, defunto marito della signora Roma Maggisano, e ai figli Salvatore, Valerio, Maria Luigia, Cetti ( “i doni d’amore che hanno illuminato…” la vita della poetessa). L’opera inizia con una chiara e approfondita “presentazione” dell’avv. Salvatore Gullì. “Roma Maggisano Gullì nasce a Borgia, in provincia di Catanzaro. Dopo una breve esperienza come insegnante, ha ricoperto per molti anni il ruolo di Direttrice della Biblioteca Comunale nonché quello di Responsabile del settore scolastico-culturale del Comune del suo paese. Attualmente in pensione, ricopre il ruolo di nonna di otto splendidi nipoti, cura i fiori del suo giardino e scrive”. Antonio Zaccone Le avventure dei ragazzi di S. Felice È il racconto della vita in un borgo tanti anni fa, con la “poesia” del focolare domestico; quando si dava credito ai valori della vita, assenti nella società di oggi, consumistica e deviante. Sembra per vari aspetti- la fotografia di Borgia o San Floro negli Anni Quaranta-Cinquanta “Le avventure dei ragazzi di San Felice” è un libro autobiografico di Carmine Correale, pubblicato di recente dall’Editrice Italia Letteraria di Milano, pagg. 193, euro 13,50. L’autore narra fatti avvenuti cinquant’anni prima (a cominciare dal dopoguerra fino agli Anni Sessanta) nel villaggio di San Felice, piccolo centro poco distante da Avellino, ad opera di un numeroso gruppo di ragazzi del luogo,compagni di scuola,sollecitati dallo spirito di avventura che albergava nella loro mente. Il Correale parla di antagonismo tra ragazzi, di sfide, gare, scherzi, dimostrazioni di abilità personali in seno al gruppo, escursioni nei boschi, ecc. Lo scrittore riferisce l’aspetto formativo, di crescita, in ogni FATE VIVERE QUESTO GIORNALE ABBONANDOVI: c/c/p 54078100 intestato Domenico Paravati componente del gruppo, ottenuto appunto attraverso le varie ROMA MAGGISANO GULLI’ avventure: crescita della SVEGLIATI dimensione sociale, acquisizione di esperienze dirette, rispetto per Svegliati amore mio, le istituzioni, le tradizioni, la troppo tempo hai dormito. Tu non puoi: famiglia. L’autore descrive minuziosamente c’è Cettina che aspetta, la vita del borgo: il lavoro dei campi, lei non sa i prodotti della campagna, la non ne vuole sapere “poesia” del focolare domestico, né di ciel né di Dio. l’amicizia fra le persone, il rispetto Lei vuole il suo papà. Vuole tanti giocattoli, per la natura e gli animali. Non tralascia di dire che allora vuole farti vedere nelle case di San Felice mancava la sua bambola nuova; la luce elettrica e l’acqua potabile anche Gigia ti aspetta la si attingeva dai pozzi; che vi ma non dice, erano solamente le prime tre deve farti sentire classi elementari e che per come ha imparato proseguire negli studi bisognava a leggere da sola. raggiungere luoghi distanti Asciuga quella lacrima chilometri, percorrendo a piedi o a Valerio in bicicletta, anche con il cattivo che scende incontrollata, vuole solo prometterti tempo, strade dissestate. Il Correale ricorda con che non farà il monello. emozione il “piccolo mondo E infine Salvatore antico” di San Felice, che l’ha deve farti vedere la pagella, visto nascere e crescere. Lo merita la tua lode. descrive come un ambiente di Dona pace al mio cuore gioia, spontaneità, spensieratezza, che vuole ancora amare. in cui si dava credito ai valori Troppe cose ti aspettano. della vita, assenti nella società di Ma tu non puoi tornare. Roma Maggisano Gullì oggi, consumistica e deviante. (Da “Sul filo del tempo”) Antonio Zaccone 12 Corriere di San Floro e della Calabria Ricordi La strada era stata sgomberata dal fogliame, ma passando di lì nessuno avrebbe pensato che prima era tutta campagna, col solo deposito di legname oltre l’ampio avvallamento di terra rossa dove Piero passava per andare al torrente. Stava raccogliendo i funghi e, raccogliendoli, ne esaminava la consistenza, soffermandosi su ogni piccolo gruppo e sulle diverse varietà nate fra l’erba più giovane. Ce n’erano molti, ai margini della strada e lungo le recinzioni in filo spinato. Estrasse il piccolo serramanico che teneva nel taschino della camicia, s’inginocchiò, e facendo molta attenzione recise il gambo sodo di un fungo che affondava nel terreno ancora umido di rugiada; pulì la lama sporca di terra sulla stoffa dei pantaloni e ripose il coltello nel taschino. Erano due splendidi funghi porcini. Li guardò soddisfatto. Niente male davvero. Aprì il borsellino di cuoio che teneva attaccato alla cintola e li mise con gli altri. Proseguì sul terreno in terra battuta e oltrepassò gli ultimi caseggiati sorti quando si era pensato di trasformare l’intera vallata in un’enorme zona industriale, svoltò prendendo una stradina che proseguiva fra i campi coltivati, con appezzamenti di frumento ai lati, e raggiunto il costone del monte riparato dal bosco sedette esausto all’ombra di una grossa quercia. Era una bella giornata di aprile, col sole che asciugava la rugiada fra l’erba, e sui campi dietro i monti, il grano era spuntato. Alcuni cavalli pascolavano ciondolando la coda ai margini del bosco. Piero appoggiò la schiena contro la corteccia ruvida dell’albero. Ricordava ogni cosa. C’erano molte cose che valevano la pena di essere ricordate, ma per lui erano sempre gli alberi. Alberi alti dietro il fossato cinto dal filospinato. Lì i cacciatori mettevano i lacci per i cinghiali. Andavano a bere l’acqua del torrente e al loro ritorno rimanevano intrappolati. Ma loro avevano proseguito oltre, correndo lungo gli argini del fiume, fermandosi solo quando si erano sentiti veramente stanchi nel punto in cui le foglie secche ricoprivano il terreno ancora umido, in un’ampia radura interamente riparata da querce secolari, dove il fogliame lasciava passare il sole solo a tratti, e dopo erano rimasti lì sdraiati per molto tempo, Piero con lo sguardo che si perdeva lontano, e Mary seduta in silenzio vicino a lui. Suo padre gli aveva regalato una fionda con un manico di ferro che teneva sempre in un di fodero di cuoio e che avrebbe utilizzato solo in caso di pericolo. Non amava cacciare. “Potrei beccarlo ad occhi chiusi.” “Il tronco?” “No, il ramo.” “Potresti prendere il tronco.” “Vuoi scommetterci qualcosa?” “Cosa?” “Un bacio.” “E troppo lontano.” “Potrei beccarlo ad occhi chiusi, ti dico.” Stavano tutti e due sdraiati sull’erba e guardavano la luce che passava tra le foglie degli alberi. Piero prese un sassolino, caricò la fionda, e restando sdraiato a terra tese l’elastico, prese la mira, e lasciò partire il colpo. Il suo sasso passò vicino al ramo ma non lo colpì. “Al diavolo!” “Hai fatto cilecca.” “Un colpo sfortunato.” “Prova di nuovo.” Piero prese di nuovo la mira, tese di con tutta la forza che aveva l’elastico e lasciò partire di nuovo il colpo, ma il risultato fu ancor più deludente. Il sasso non prese nessun ramo e sparì lontano nel bosco. Avrebbe potuto farlo altre cento volte. “Oggi non è giornata.” Si alzò in piedi e mise la fionda nella fodera in cuoio. Mary, seduta sull’erba, lo guardava. I lunghi capelli bruni scendevano ai lati delle guance lisce. Aveva due splendidi occhi nocciola. La cosa più bella che Piero avesse mai visto. “Dovresti riprovare” disse Mary, aggiustandosi i capelli con le mani. Era più alta di Piero ma avevano la stessa età. “Sono stanco.” “Non lo vuoi più un bacio?” “Non importa.” “A te non importa mai di niente” disse Mary. “Sono la tua ragazza o no?” “Lascia stare.” “Non ti piaccio più?” “Smettila.” “Avevi promesso.” “Oggi è una giornataccia” disse Piero. Poi rimasero seduti in silenzio, ascoltando il torrente che scorreva morbido dietro di loro. Prima per andare al torrente c’era la strada con l’acciottolato che, dal casolare di suo padre, scendeva riparata dai larici fino alla pianura. Continuavi sull’ampia spianata col sole cocente sopra e i campi lavorati alla tua destra, e poi la strada diventava più accidentata, con recinti di filospinato sui bordi e granai e pecore che pascolavano sui dolci declivi, e rotoli di fieno nell’ampia distesa dorata. Se proseguivi dritto c’erano i campi di granoturco, e più giù una cascina. Passavi la cascina e entravi nel bosco. All’inizio c’era sempre un fossato con dei cespugli di spini dove crescevano le more selvatiche e alberi di fichi. Scavalcavi il fossato, e la terra era morbida sotto i tuoi piedi. I blocchi d’ardesia erano sotto la montagna, dove il costone del monte declinava improvvisamente, in un letto di terra sabbiosa, con poca vegetazione, e relitti di carri e furgoni bruciati coperti dall’ edera. Ma tu proseguivi fino alla piccola radura con i pioppi, e sempre dritto sotto gli alberi alti che coprivano l’azzurro del cielo, su un morbido letto di foglie secche che scricchiolavano sotto le suole. Il torrente era pochi metri più avanti. D’estate era sempre pieno di salmoni. Poi un anno cominciarono i lavori per deviare il corso dell’acqua. Prendevano tutta l’acqua di cui avevano bisogno per le fabbriche, e il torrente s’impoveriva ogni anno che passava, e i pesci cominciarono a morire. Dicevano che era così che andavano le cose. Così ogni anno il torrente si prosciugava sempre di più, e l’erba ricopriva ogni giorno il greto, sempre più fitta. Ma allora nessuno poteva farci niente. “Amanda dice che sei il suo ragazzo” disse Mary, aggiustandosi i lunghi capelli bruni con le mani. “Amanda è una gallina” disse Piero. Era ancora seduto e guardava le chiome alte che si muovevano col vento. “Lei dice che vi sposerete.” “ È una stupida” disse Piero. “Però ti piace.” “A me non piacciono le galline. Guarda: sai chi è questa?” Piero si alzò in piedi, tirò indietro buffamente la testa e cominciò a camminare ancheggiando. “Sei buffo” disse Mary. “Indovina chi è?” disse Piero continuando ad ancheggiare. “Non so” disse Mary. “Mi viene da ridere.” Piero fece una specie di piroetta, continuando ad ancheggiare, e finse di aggiustarsi maliziosamente i capelli. Mary rideva. Non gli piaceva litigare con lei. Da un po’ di tempo andava sempre così. Piero aveva sempre rovinato tutto pensando che prima o poi ogni cosa dovesse finire, e dopo, quando davvero fu finita per sempre e lui non la vide più avrebbe rimpianto a lungo quei giorni. Ce n’ erano state altre, dopo di lei, ma volevano tutte ciò che lui non poteva dargli. Strano che desiderassero sempre ciò che lui non aveva. “Sono Amanda” disse Piero continuando ad ancheggiare come una donna. “Amanda la gallina fa le uova ogni mattina.” “Sei scemo” disse Mary. “Scemo come una gallina” disse Piero. “Le somigli molto.” “Vero?” “Perché non vieni qui?” “Sono una donna.” “Smettila.” “Va bene.” Piero sedette contro il tronco vicino a Mary. “Credi che avremmo dei figli?” “Probabilmente” disse Piero. Guardava di nuovo gli alberi. “Non sarai più cattivo, con me, vero?” “No.” “E vorresti dei figli?” “Un giorno.” “Allora avremmo dei figli.” “Molto probabilmente.” “Quando partite?” “Fra due giorni.” “Prometti di sposami?” “Va bene.” “Mi scriverai?” “Certo.” “Dammi un bacio. Bene.” “Torniamo a casa?” “Va bene.” “Domani arriviamo fino al torrente.” “Vuoi pescare?” “Tu?” “No.” “Allora andiamo a casa.” “Va bene.” Piero sorrise e respirò il profumo dell’erba bagnata di rugiada. Aveva raccolto un bel po’ di funghi e tutti quei ricordi lo avevano messo di buon umore. Guardò il bosco che si stagliava lontano. Era più piccolo di come lo ricordava. La solita rabbia. Quell’anno l’assessore era venuto a casa sua. Suo padre lo aveva fatto accomodare nel piccolo salotto e l’assessore aveva bevuto un bicchiere di sambuca e poi aveva incrociato le grosse dita sul tavolo e aveva sorriso a suo padre. Ma non era della sambuca che aveva bisogno. Così, quando se ne fu andato, suo padre rimase seduto sul tavolo in silenzio, con Anno V - N° 3 - Luglio - Agosto - Settembre 2011 Racconto di Umberto Soldatelli ancora il bicchiere pieno fra le mani e l’espressione indurita sulla sua bella faccia bruna, e aveva detto: “E’ la cosa migliore per tutti.” Poi aveva preso la scatola di sigari che teneva sempre nel cassetto della sala, si era seduto sulla sua poltrona e aveva letto il suo giornale. Ma sapeva che non era affatto la cosa migliore. Non per tutti, almeno. E non aveva di certo l’aria di chi avesse concluso un buon affare, quella sera a cena. Ma era la vita, disse. Una cosa non è tua solo perché la possiedi. Bè, lui non avrebbe più posseduto granchè, da quel giorno. Era tutto scritto nero su bianco. C’era solo da leggere. O mettere una firma. Senza pensarci troppo però. Senza pensare ai funghi che crescevano da quelle parti o alla beccaccia sui campi la mattina presto. O agli uccelli che cantavano fra rami, o alla lepre selvatica. O al pettirosso nel bosco o all’odore della resina in autunno quando si camminava fino al torrente riparati da enormi querce secolari che coprivano l’azzurro del cielo nei pomeriggi assolati. O alla faggeta quando pioveva o ai cinghiali che fuggivano fra i campi, o alla volpe selvatica. O semplicemente ai campi sterminati che digradavano lenti nella bruma o il vecchio mulino abbandonato che si raggiungeva seguendo la strada d’argilla oltre il campo di papaveri, e l’odore di chiuso e di muffa che vi si respirava, una volta dentro, e le porte marce di legno e i nidi dei piccioni nelle finestre buie come orbite e le grosse pale spezzate e marce e ferme da due secoli. Bisognava solo non pensare a tutto questo. Era molto semplice e qualcuno lo aveva fatto senza troppi problemi. Dovevi solo non pensarci. Già. Ma una volta c’era stato. C’era stato il terreno arido della riserva con la strada scavata nella roccia e il rumore del ruscello sotto la sorgente che stondava i massi bianchi sotto il sole, e i pesci guizzanti, e il terreno con gli alberi fitti per il baco da seta quella limpida mattina di marzo in cui due cacciatori spararono a un uomo che faceva i suoi bisogni in un cespuglio.Avevano visto le foglie muoversi, e avevano fatto fuoco credendo che fosse un cinghiale. Quella mattina faceva molto caldo, e i soccorsi arrivarono dopo un’ora. Da lì vedevi i campi sotto la valle ricoperti di neve. Caricarono l’uomo che aveva una grossa ferita nell’addome sull’ambulanza, ma la strada era ghiacciata, e alla fine si dovette aspettare l’arrivo dell’elicottero. Non nevicava da più di dieci anni e tutti i presenti furono concordi sul fatto che fosse un vero peccato non potersi godere il panorama; c’era la faggeta, che quell’anno prese fuoco, e tutte le persone che corsero con le autobotti e i pompieri che spensero l’incendio e quelli che diedero l’allarme e dissero che era stato solo un incidente. Invece non era stato un incidente e tutti sapevano chi era stato ma nessuno disse nulla. Alla fine bruciarono più di seicento piante, tra querce e pioppi. Succedeva ogni estate. Così rimanevano solo i detriti degli alberi e la terra carbonizzata dove non cresceva più niente; e c’era l’odore pungente del letame, la mattina presto, e quello più morbido delle viole a primavera o quello delle primule o delle margherite o l’odore del rosmarino e quello del finocchio selvatico. D’estate potevi cogliere le more tra i cespugli. Ce n’erano moltissime, allora. E potevi camminare per chilometri sotto l’ombra fresca degli alberi alti dove non passavano i raggi del sole senza il rischio di perdere la strada. Era impossibile smarrire la strada. Ora Piero lo sapeva. C’era voluto del tempo. Ma ora l’aveva capito. Aprì il borsello attaccato alla cinta dove c’erano i funghi che aveva raccolto scendendo dal campo, ne prese uno senza guardare e lo osservò facendo ruotare il gambo fra il pollice e l’indice. Sorrise. C’era un po’ di terra che ricopriva la parte del gambo che affondava nel terreno. Piero la tolse sfregando con un dito il grosso cappello, poi se lo avvicinò alle narici respirandone l’odore umido e ferroso. Quante volte l’aveva fatto, da ragazzo. Posò di nuovo il fungo nel borsello e richiuse con cura le due piccole cinghie metalliche. Si era riposato abbastanza. Ora andava meglio. O quasi. Dipendeva dai punti di vista. Avrebbe fatto meglio a incamminarsi, però. Non voleva girare con il caldo. Si alzò in piedi. Però era proprio una bella giornata. Per fortuna aveva lasciato a casa il cappotto. Non avrebbe saputo che farsene, di un cappotto, in una giornata come quella. Camminò fino ai margini del bosco e colse un enorme fungo cresciuto proprio ai piedi di una grossa quercia. Lo guardò attentamente, scrollando la terra bagnata alla base del gambo, e lo mise con gli altri. Umberto Soldatelli NICOLA MISASI I briganti, la Madonna del Carmine e la caverna alla Cupa di Tiriolo Giosafatte Tallarico (… ) era religiosissimo della Madonna del Carmine specialmente. Da noi la predilezione per questo o per quel santo, per questa o quella Madonna, assume proporzioni grandissime, e spesso si fa alle schioppettate o alle coltellate e si uccide o si è uccisi per sostenere la supremazia del santo favorito. Nel Vallo cosentino si venerano due crocefissi, quello della Rinella e quello della Riforma. Or fan dieci o dodici anni i devoti dei due crocefissi vennero a contesa a proposito dei miracoli dell’uno e dell’altro. Il nostro crocefisso della Riforma ne vuole quattro del vostro della Rinella, dicevano gli uni. E il nostro della Rinella se lo mette in tasca il vostro della Riforma, rispondevano gli altri. Una domenica si venne alle armi. Circa cinquecento contadini divisi in due schiere eran risoluti a fare un massacro in onore e gloria del crocefisso pel quale parteggiavano. I contadini si eran asserragliati nelle loro case e aspettavano ansiosi che gli animi tornassero alla calma, ma ci volle del bello e del buono per scongiurare il pericolo. Io non so per quali attribuzioni particolari la Madonna del Carmine dai briganti sia stata scelta a loro protettrice. Nella caverna che la banda Perrella avea scavato sotto uno degli acquedotti della strada maestra nella contrada detta la Cupa di Tiriolo, furono trovate appiccicate alle pareti alcune rozze immagini della Madonna del Carmine, di quelle che si vendono a un soldo, e un quadro ad olio innanzi al quale ardeva perenne una lampada. Fra le stranezze umane questa che concilia la devozione, il sentimento e il culto religioso con la rapina, l’assassinio e il ladroneggio mi è stata sempre inesplicabile (Da Nicola Misasi - In Magna Sila- Giosafatte Tallarico- Il Gran Bosco d’Italia- Con introduzione di Pasquino Crupi - Luigi Pellegrini Editore-1976 Segnaliamo agli interessati gli ultimi libri editi dall’ Italia Letteraria di Milano: Le avventure dei ragazzi di San Felice –di Carmine Correale, pagg. 193, eu 13,50; Nel profumo dei ricordi – di Ludovica Scotti, pagg. 253, eu 18,00; L’educazione alla deriva – di Adelino Niero, pagg. 180, eu 12,00; All’ombra di un pezzo grosso-di Antonio Mennella, pagg. 172, eu 15,00 A. Zac. Arriva Pietro Arriva Pietro. Ha la macchina nuova dal nome strano. Viene dalla Svizzera, un altro mondo Il vento di ieri ha strappato di colpo i petali del mandorlo in fiore del pesco del susino e del ciliegio rosa. La terra ha i colori dell’arcobaleno Si scava per far posto a una casa. Un piccone urta il passato. Indifferente la colata scende. È sparito il passato del sud. Ancora qui tutto è favole. La vipera depone il veleno su di un sasso prima di bere. In ogni cespuglio c’è un monachello insidioso, in ogni sguardo un malocchio latente. Per questo a te è facile viver da noi. Urla Ionio! Luigi Rocca (Da “L’urlo dello Jonio”Poesie-1981)