Direzione centrale lavoro, formazione, istruzione, pari opportunità, politiche giovanili, ricerca e università area istruzione, alta formazione e ricerca QUARANTAsette QUADERNI DI ORIENTAMENTO Periodico semestrale - II_2015 QUARANTAsette QUADERNI DI ORIENTAMENTO Periodico semestrale - II_2015 in copertina Vecchia e bambina a Sauris di Sopra, 192, olio su tela.(particolare) Redazione 34170 Gorizia Via Roma, 7 Telefono 0481 386 278 Fax 0481 386 413 e-mail: [email protected] Direttore responsabile Roberto Micalli Coordinamento redazione Diego Lavaroni Comitato di redazione Gabriella Alessandri, Rita Giannetti, Diego Lavaroni, Tiziana Zanella Impaginazione Ufficio stampa e comunicazione regione FVG Immagini Archivio fotografico Istituto regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia Stampa Centro stampa regionale Servizio logistica, digitalizzazione e servizi generali N. 47 Il periodico viene realizzato a cura della Direzione centrale lavoro, formazione, istruzione, pari opportunità, politiche giovanili, ricerca e università Area istruzione, alta formazione e ricerca nell’ambito del lavoro d’Istituto 2 Iscr. Tribunale n. 774 Registro Periodici del 6.2.1990 CODICEISSN 1971-6680 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 IN QUESTO NUMERO Giuseppe Barazzutti “Pittore di paesaggio” Franca Merluzzi ........................................................................ 5 Editoriale Redazione................................................................................................ 9 ORIENTAMENTO La stoffa di chi fa prevenzione a scuola Perché non re-inventare la Peer-education? Marco Vinicio Masoni.............................................. 12 ORIENTAMENTO E LAVORO Il nuovo confine della carriera La sostenibilità Rita Chiesa, Dina Guglielmi, Guido Sarchielli .................................................................... 22 L’area adulti dei servizi sociali e le fragilità crescenti Valutazione ed interventi per un’occupabilità possibile delle fasce deboli Mario Pradella, Giuseppe Marino .............................................................. 34 La centralità del lavoro L’importanza dei valori professionali della persona Fortunato Mior ..................................................................... 56 SPAZIO APERTO Ben-essere a scuola Laboratorio esperenziale-motivazionale con approccio integrato Patrizia Missana ................................................................. 70 INFORMA Lavori in corso Imparare lavorando durante l’estate Elisa Marzinotto, Raffaella Pianca .................................................................. 82 FVG Economy I dati socio economici regionali in un’APP Giulia Mardero ....................................................................... 92 LIBRI La classe capovolta (M. Maglioni, F. Biscaro) Innovare la didattica con la flipped classaroom a cura di Chiara Busato ...................................... 96 ALLEGATO L’esperienza in Friuli Venezia Giulia nella prevenzione e nel contrasto del bullismo omofobico: confronti e prospettive di sviluppo a cura di Lucia D’Odorico 3 GIUSEPPE BARAZZUTTI Veduta di Gemona in pieno sole vista da sud, 1929-1930, olio su cartone. 4 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 GIUSEPPE BARAZZUTTI PITTORE DI PAESAGGIO LA LUCE, LE FORME, I COLORI. Nel ricordo dell’architetto Silvano Crapiz Questo numero dei Quaderni di Orientamento è dedicato all’artista gemonese Giuseppe Barazzutti (18901940) e all’architetto Silvano Crapiz, scomparso nell’aprile di quest’anno, che ne ha custodito con devozione la memoria. Come nei numeri precedenti, l’autore delle immagini riprodotte è Gianni Benedetti che le ha realizzate per l’archivio del Centro regionale di catalogazione e restauro dei beni culturali al quale è subentrato nel 2015 l’Istituto regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia. Barazzutti artista d’ingegno e dai molti interessi, fu pittore e disegnatore, frescante e progettista, insegnante e direttore per circa otto anni del mobilificio Giovanni Fantoni. Per vari motivi non ebbe la notorietà di altri suoi contemporanei con cui condivise ricerche ed esperienze pittoriche. Le testimonianze dei suoi collaboratori e di chi lo conobbe ne hanno messo in luce le doti umane e professionali ma anche le difficoltà di inserimento nei circuiti artistici del tempo che avrebbero potuto valorizzarne l’opera e riconoscerne i meriti. La sua città natale lo ricorda con tre opere esposte nel Museo civico: due riproducono soggetti gemonesi: una tavoletta con la processione notturna del venerdì santo davanti al duomo (1922 circa) e una veduta invernale, probabilmente di qualche anno posteriore, con il colle del castello e “Neve”, datata 1921, con uno scorcio di Sauris di Sopra. Nel 2002 l’allora Centro regionale ha realizzato la schedatura di oltre un centinaio di opere e disegni eseguiti da Barazzutti nel periodo 1919-1930, selezionati all’interno della collezione personale del pittore. Precedentemente, nel 1994, lo stesso Centro regionale e il Comune di Sauris avevano promosso la mostra e il catalogo “Un pittore a Sauris. Giuseppe Barazzutti 1890-1940” con l’intento di far conoscere gli aspetti più originali della sua produzione. NELLA GEMONA DEI PITTORI MIGRANTI All’interno dei flussi migratori dal Friuli – che si protrassero dalla metà del XIX secolo fino alla prima guerra mondiale Gemona si distinse per l’alto numero di maestranze esperte nella decorazione pittorica, sacra e profana. Assai richiesti, i gemonesi operarono in Stiria, Carinzia, Croazia e Slovenia; per i lavori più lunghi i capibottega organizzarono cantieri stagionali con i collaboratori e ottennero spesso committenze da parte di altri friulani che all’estero dirigevano o erano titolari di imprese. Giacomo Ceconi di Pielungo di Vito d’Asio - il conte di Montececon - costruttore di ferrovie dalle eccezionali capacità tecniche ed organizzative e Angelo Comini impresario di Artegna - per citarne alcuni - si avvalsero a lungo di gemonesi per decorare palazzi da loro costruiti. Francesco Barazzutti (1847-1918), padre di Giuseppe, dimorò stabilmente dal 1876 al 1887 a Graz e fu chiamato 5 GIUSEPPE BARAZZUTTI Il monte San Simeone visto dalla borgata di Stalis a Gemona, 1919, olio su cartone. 6 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 da Comini a dipingere nella rinomata stazione termale di Badgastein e nel Salisburghese. Giuseppe crebbe in questo ambiente di artigiani e di pittori “migranti”, ma la sua formazione gli consentì di raggiungere esiti superiori a quelli dei suoi concittadini. Dal 1907 al 1911 frequentò l’Accademia di Belle Arti di Venezia e perfezionò la sua preparazione a Roma dove mantenne contatti il cugino monsignor Pio Paschini, storico e in quel periodo docente in Vaticano. Dopo la morte del padre (1918) continuò l’attività di frescante e dipinse numerosi cicli in chiese friulane, anche di notevole impegno per vastità e soggetti rappresentati. Visse a Gemona alternando soggiorni in varie località della regione e con la prospettiva - attraverso il gemonese Gino Peressutti progettista di Cinecittà - di un lavoro di scenografo nella capitale. Morì nel novembre 1940 a causa della malaria contratta durante la guerra in Albania. LA RACCOLTA DEL PITTORE: DIPINTI E DISEGNI Fino alla mostra allestita nel Centro etnografico di Sauris di Sopra, Giuseppe Barazzutti era noto per lo più in ambito ecclesiastico come pittore di affreschi. L’esposizione documentò i vari settori in cui egli mise a frutto le sue capacità ma fu anche l’occasione per presentare un inedito e interessante compendio di opere pittoriche. Fino ad allora si era quasi persa memoria di Barazzutti pittore di paesaggio: forse per il suo carattere schivo, poco incline alla promozione della sua attività, le opere di cavalletto non entrarono a far parte, salvo pochi casi, di collezioni pubbliche o private. Sono rimaste invendute nel suo studio gemonese e la raccolta, assieme a disegni su carta, sopravvissuta al secondo conflitto mondiale e al terremoto del 1976 grazie alla cura dei famigliari, è pervenuta quasi del tutto integra. Parte dei dipinti pubblicati in questa rivista non sono stati finora riprodotti in cataloghi ma solo on line, grazie al progetto di catalogazione, attraverso il Sistema informativo regionale del patrimonio culturale (www.sirpac-fvg.org ). Alcune vedute prendono a soggetto il paesaggio di Gemona e dei paesi vicini: le dolci colline di Artegna, la piana del Tagliamento e soprattutto gli scorci con le montagne e il colle del Castello gemonese, rappresentate in varie condizioni di luce; a volte il disegno non esiste più e prevale la semplificazione della forma a favore del colore. Nella tavoletta di pagina 80, solo chi conosce davvero i punti di vista delle località gemonesi intuisce una veduta di neve in direzione della piana di Osoppo: la stesura della pennellata è sciolta e rapida, gioca con spessori e tinte bellissime sconfinando nell’informale. Numerose sono anche le opere che prendono a soggetto Sauris e la valle del Lumiei, ma anche Forni di Sotto e la Val Resia, con cime di monti, distese innevate, prati alpini fioriti, case tipiche, figure in abbigliamento tradizionale. La mostra di Sauris ha offerto ai visitatori la possibilità di scoprire un artista poco noto e di apprezzarne le opere proprio dove egli le aveva dipinte, di riconoscere spesso nell’ambiente circostante le inquadrature adottate dal pittore. I PAESAGGI INNEVATI, I MOTIVI INTAGLIATI Barazzutti fu amico dei pittori Giovanni Napoleone Pellis (1888-1962) e di Marco Davanzo (1872-1955). Dai carteggi risulta che Pellis invitava spesso Barazzutti a raggiungerlo per dipingere assieme, all’aperto e a diretto contatto con la natura, nelle varie località di montagna in cui si ritirava alla ricerca dell’ispirazione creativa, di nuovi soggetti 7 GIUSEPPE BARAZZUTTI Paesaggio primaverile, dat. 1919, olio su compensato. 8 e di luoghi incontaminati. Anche nel catalogo della mostra “Montagne di luce. L’opera di Marco Davanzo”, tenutasi a Tolmezzo nell’estate 2015, si fa riferimento alla corrispondenza che intercorse tra il pittore gemonese e Davanzo che viveva stabilmente ad Ampezzo. Nel corso dei mesi invernali (19201921, 1921-22) Barazzutti raggiunse Pellis che soggiornava a Sauris ed eseguì bozzetti e quadri con scorci di paesaggio innevato adottando tecniche divisioniste affini alle opere di Giovanni Segantini. Esemplare a questo proposito la tela intitolata “Vecchia e bambina” (1921 ca.) e altre tavolette rese attraverso un accentuato puntinismo oppure filamenti di colore puro. “Motivo di Sauris” è una tela importante realizzata nel 1922 per la partecipazione alla Biennale di Venezia di quell’anno (accolta e numerata, inspiegabilmente non comparve nel catalogo) in cui inquadra, con taglio fotografico, una via del paese su cui affacciano case rustiche in ombra, mentre altre in piena luce sullo sfondo appaiono colorate di gialli, azzurri e arancione. Ispirato dai luoghi, Barazzutti dipinse bozzetti, deliziose tavolette ad olio, su cartone o compensato, per lo più di piccole dimensioni, di cui oggi si apprezza il fantasioso colorismo e la rielaborazione di spunti tratti da diverse tendenze artistiche. Immediate, dettate dal desiderio di trasferire in pittura le atmosfere e i giochi chiaroscurali, i bozzetti rimandano in pochi casi a un’opera finita, ma sembrano piuttosto rispondere solo al ritmo veloce e sicuro della pennellata. Il bianco della neve diventa pretesto per mescolanze di colori, per dare spessore e movimento alla superficie dipinta. L’artista è attratto anche dalle tonalità dell’alba e del tramonto rese con inusuali accostamenti dal blu al viola al verde chiaro. Nel 1927 salì a Forni di Sotto dove soggiornava Pellis e più volte, probabilmente non nella stagione invernale, in Val Resia alla riscoperta dei luoghi più appartati e dei paesaggi più suggestivi. A Forni e Sauris fu attratto dalle facciate delle case con i ballatoi in legno i cui motivi ad intaglio furono rilevati attraverso schizzi e disegni dal vero che ancora si conservano. Un interesse che può essere motivato dall’incarico, svolto dai primi anni Venti al febbraio 1928, di direttore artistico del Mobilificio Fantoni di Gemona dove attuò il recupero del mobile rustico friulano ispirandosi ai principi dell’Art Déco. Sui fogli di carta sono tracciati a matita forme e motivi con annotazioni relative alla località e alla datazione dei manufatti sulla base dei motivi stilistici (alcuni attribuiti al XVIII, altri al XIX secolo). L’incendio di Vico di Forni di Sotto durante la seconda guerra mondiale e le distruzioni delle case rustiche in tempi più recenti, in nome della modernità, fanno si che i disegni costituiscano una testimonianza importante di particolari decorativi e di tipologie costruttive. Franca Merluzzi Coordinatore dell’Istituto regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia Si ringraziano i collezionisti per aver concesso la riproduzione delle opere QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 EDITORIALE L’insegnante, l’educatore, lo psicologo, il tutor dovrebbero combinare la dimensione etica a quella emica, riflette Marco Vinicio Masoni. Solo in questo modo gli educatori possono trasmettere ai giovani il messaggio che la scuola rappresenta un’ineludibile opportunità di formazione e di crescita, ma richiede determinazione, impegno e fatica. Le trasformazioni organizzative e la flessibilità occupazionale con cui si sta rispondendo alla crisi economica e alla volatilità del mercati, accentuano la tendenza ad avere rapporti lavorativi precari. L’obiettivo principale degli operatori dell’orientamento, scrivono Rita Chiesa, Dina Guglielmi e Guido Sarchielli, è lo sviluppo/incremento dei vari tipi di competenze personali per la gestione autonoma della carriera, anche di natura progettuale. Conoscere e condividere con le persone interessate la reale natura dei bisogni, per farne emergere le risorse, i potenziali e i limiti, è fondamentale per dare risposte progettuali credibili, alle persone deboli. Mario Pradella e Giuseppe Marino scrivono che la prospettiva trasformativa non mira tanto a mutare lo stato contingente di disoccupazione, quanto a intervenire sulle dotazioni personali e professionali funzionali ad affrontare la complessità delle sfide esistenziali maturando diverse e più funzionali “prospettive di significato”. Fortunato Mior, analizzando le tematiche relative al lavoro, scrive che la rappresentazione del lavoro e l’acquisizione del suo valore è diventato negli adolescenti un processo più complesso e difficile, poiché tale processo è oggi meno esperito e più mediato da altre esperienze come la scuola, le attività del tempo libero e l’informazione mediatica. Patrizia Missana, che ha sviluppato un’attività originale di insegnamento nelle aule della SS di I grado, nello Spazio Aperto propone un laboratorio esperienziale e motivazionale, sviluppando le tematiche dell’ascolto, del counseling e del disagio in ambito scolastico. L’obiettivo è quello di aiutare gli allievi a imparare a prendersi cura di sé, fin dall’adolescenza. I ragazzi coinvolti possono sperimentare, allenare e far emergere al meglio le loro potenzialità riconosciute e sommerse. 9 GIUSEPPE BARAZZUTTI I colli di Artegna visti da Surnins, dat.1920, olio su cartone. 10 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 11 ORIENTAMENTO LA STOFFA DI CHI FA PREVENZIONE A SCUOLA PERCHÉ NON RE-INVENTARE LA PEER EDUCATION? Marco Vinicio Masoni L Il tentativo di spiegare tutto tramite costellazioni di cause ha alla base l’illusione metodologica che esista realmente un insieme stabile e costante di fattori capaci di spiegare i comportamenti trasgressivi e/o devianti 12 RAGAZZI A RISCHIO? Iniziamo, liberandoci dell’espressione di senso comune “ragazzi a rischio”, che ci ha disturbato per più di vent’anni producendo effetti nefasti che nessuno ancora ha misurato. Se il ragazzo/a è a rischio significa che si è già visto che è nei guai, che è già nelle sabbie mobili, e se un ragazzo è già nei guai non c’è prevenzione che tenga, c’è azione che segue; così come se avessi l’influenza, non prenderei il vaccino per curarla, avrei dovuto prenderlo prima. Inoltre, se lo/ la etichettiamo “a rischio”, lo/la stiamo autorizzando a comportarsi come tale, a ritenere normale e adatto a lui/lei commettere sciocchezze, e poiché i ragazzi, come noi, aspirano alla normalità, staremmo suggerendo che ci aspettiamo da loro solo sciocchezze. Chiamatela profezia che si autoadempie, chiamatelo suggerimento identitario oppure invito ad indossare un abito narrativistico corrivo, di fatto si tratta di qualcosa non degno di essere accostato all’idea di prevenzione. Che cosa dovrebbe essere e cosa dovrebbe “fare” allora la prevenzione? E con chi? Altra perla di senso comune è che, messa da parte la persona, si dovrebbero prevenire i comportamenti a rischio. Ma, ancora, non può sfuggire ad alcun ricercatore degno di questo nome che l’assunzione di rischi è il sale della vita, e soprattutto della vita di ogni adolescente, tanto che apparirebbe oggi indicatore di problemi il fatto che un ragazzo si astenga sistematicamente dall’affrontarli (Colecchia, 1995, Masoni, 1999). Non dovrebbe nemmeno sfuggire che, in tempi come questi, con albe che non preludono a giorni felici, con la certezza che il futuro dei giovani sarà molto peggiore di quello che hanno avuto i loro padri, con l’attesa di eventi oscuri, l’analogia che subito viene a mente é quella dei giovani del Decameron che in tempo di peste si isolano e condividono i piaceri adatti alla loro epoca. Il racconto di storie d’amore e licenziose allora, lo sballo oggi. I rischi vanno quindi definiti e seguono i mutamenti delle convinzioni culturali di senso comune e della realtà casuale del presente storico. Le sottoculture omofobe per esempio si sforzano (ancora) di prevenire l’omosessualità. Le idee su droghe pesanti e leggere dettano, secondo le loro differenze, le regole “etiche” di prevenzione; le ideologie sui livelli di tolleranza suggeriscono che cosa sia e che cosa non sia il bullismo o la distinzione fra azioni devianti o soltanto trasgressive. E così via. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Una posizione teorica moderna ed elegante dovrebbe affermare subito che molti tentativi di prevenzione mostrano di avere in comune un nocciolo duro: ciò che è ritenuto corrivo è “spiegato” dai nessi di causa/effetto, il ragazzo non usa precauzioni nelle attività sessuali a causa della sua ignoranza, o a causa della sua timidezza, o a causa del suo amore per il rischio; se si droga lo fa a causa dei cattivi rapporti in famiglia, o nella scuola, o a causa di un io non correttamente maturato, o a causa dell’influenza del gruppo dei pari, (Masoni, 1999). Per teorie apparentemente più sofisticate i comportamenti devianti hanno luogo a causa di un gran numero di questi fattori che interagiscono e complessificano i propri effetti. Se i giovani insomma tendono a comportarsi in determinati modi, ciò è provocato da un insieme di fattori causali. Ma il tentativo di spiegare tutto tramite costellazioni di cause ha alla base l’illusione metodologica che esista realmente un insieme stabile e costante di fattori capaci di spiegare i comportamenti trasgressivi e/o devianti. UNA VECCHIA TEORIA DELLA MOTIVAZIONE Mi è parsa allora calzante e funzionale, a questo punto, una vecchia teoria della motivazione che viene suggerita dalla posizione etno-metodologica: gli atti delle persone, senza distinzione fra atti devianti e atti “normali”, sono compiuti affinché, dopo, possano acquistare un senso e un significato socialmente condivisibile. Non sfuggono a questa lettura nemmeno le ricerche degli scienziati sociali poiché le loro scoperte e i loro metodi ricalcano sempre, in modo più o meno mimetizzato, le conoscenze, le convinzioni e i metodi che la gente utilizza con il comune buon senso per fornire le sue spiegazioni del comportamento sociale. In tal modo gli scienziati sociali lavorano affinché dopo la gente accetti le loro posizioni in quanto già note e, tutto sommato, implicitamente accettate. Esattamente come facciamo tutti, adolescenti compresi. Questa scelta teorica ci ha permesso di aggirare il limite meccanicistico del nesso semplice di causa/effetto. Essa consente infatti di leggere gli atti come non più provocati da cause “meccaniche” (situazioni sociali, economiche), ma prodotti (non importa se in modo consapevole o no) affinché ne venga condiviso il significato, cioè come atti comunicativi. Abbiamo quindi scelto il punto di vista per il quale i problemi, i disagi, i “sintomi” delle persone sono messi a punto per affrontare il futuro e acquistare significati affinché il mondo degli altri comprenda anche loro. Una prima posizione assiomatica delle attività di prevenzione: tutti i ragazzi vanno incontro a rischi e quindi occorre che si stia attenti a tutti i ragazzi. Secondo assioma: andare incontro a rischi è un “fare comunicativo intenzionale”, non importa quanto consapevole. Corollario: si fa prevenzione mostrando in modo convincente che gli obiettivi perseguibili con azioni trasgressive e devianti possono essere raggiunti tramite modi meno rischiosi e/o dispendiosi. Ora entriamo in quella nube chiamata in generale “prevenzione”, termine così vasto da apparire quasi una metafora. Se ne parla a qualcuno e chi ascolta traduce il termine a modo suo, secondo la sua cultura, la sua esperienza e il suo lavoro: se è un operaio, pensa all’elmetto, ai guanti del ferraiolo, alle scarpe corrazzate di chi lavora in fonderia; se è un medico, pensa alle vaccinazioni, se è un fanatico dell’alimentazione pensa alle diete salutari. Noi pensiamo ad altro: la scuola pensa soprattutto a conoscenza e informazione. 13 ORIENTAMENTO LA CO-COSTRUZIONE DI STRUMENTI PER CAMBIARE “Prevenzione” indica tutto un “attrezzare” in vista di un eventuale cambiamento. Una co-costruzione di strumenti per poter cambiare strada, per combattere, affrontare eventuali futuri pericoli. E il cambiamento, malgrado le voci correnti su magiche ed eteree strategie di cambiamento, su mosse da mago e su magie da guru, è sempre dovuto al fatto che si danno nuovi significati agli eventi. Il grande agente di cambiamento è chi consente e trasforma in competenze la scoperta di nuove letture di eventi letti prima diversamente. Quindi conoscenze e informazioni capaci di ribaltare i significati correnti (di senso comune) sono fondamentali. Ma, ahimè, tali comunicazioni, conoscenze, notizie, non basta che siano espresse con le frasi asettiche di un manuale o di un volonteroso insegnante. Occorre la presenza di altro. Tenterò di mostrare l’“altro” necessario tramite esempi, implicitamente, secondo il metodo che Wittgenstein riteneva il più efficace per dare luce e rendere più chiari i discorsi. PRIMO ESEMPIO: I MANIFESTI LONDINESI 14 Una trentina di anni fa (negli anni Ottanta), a Londra, al tempo dell’eroina regnante e della sua massima gloria, per combattere la diffusione della droga, il Municipio mise in atto questa manovra preventiva: riempì la città con migliaia di manifesti che rappresentavano volti di tossicodipendenti all’ultimo stadio, devastati dalla droga, brutti, sdentati, sgradevoli da vedere. Cosa accadde? Che molti ragazzi strappavano dal muro il manifesto, lo portavano a casa e lo appendevano in camera loro. Il manifesto piaceva. Prima indicazione importante: non basta informare. Quel manifesto in- formava: “guarda che diventi così”. Non basta. Abbiamo a che fare con l’adolescenza, già, ma cosa diavolo è l’adolescenza? Non è un fenomeno metastorico, non c’è sempre stata in questo modo e cambia con le culture. L’adolescenza occidentale, europea, americana, neozelandese, australiana, l’Occidente in pratica, la vive in un certo modo, con qualche differenza al suo interno; altre culture in altri modi, con tempi diversi, con durate diverse. Il ragazzo amazzonico si lega la liana alla caviglia, si butta da venti metri da un albero: se non schiatta dopo la caduta è adulto. Pochi secondi di adolescenza. Per noi dura circa diciotto anni, coincide con la scuola, con il rituale scuola. E nel nostro mondo in quei diciotto anni accadono cose molto interessanti. Si è pensato per molto tempo, annoiando con questa convinzione, che adolescenza e pubertà fossero strettamente connesse e cronologicamente apparentate: non è semplicemente così, la pubertà è un accidente di questa età. L’adolescenza è soprattutto un fatto culturale, si sta abbassando la sua età. Abbiamo adolescenti di sette, otto anni. Abbiamo esempi di bambini di sette anni che hanno stuprato una coetanea. Probabilmente perché hanno visto uno spezzone pornografico dove l’adulto faceva così. “Quindi” avrà forse pensato il bambino ”se voglio essere adulto, grande, farò così anch’io”. L’adolescenza è questo. In quei diciotto anni in cui non si è né carne né pesce, non più bambini autorizzati al gioco continuo e neanche adulti, cioè senza diritti in pratica, il ragazzo incomincia a mettere a punto, condivide, assorbe, beve, apprende che c’è un compito che scatta, sempre prima. Il compito è: sii adulto, sii autonomo, sii grande. E autonomo per il ragazzo significa, in generale, non obbediente alle gerarchie. La figura dell’adulto viene spesso semplificata. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 L’adulto viene visto come chi non obbedisce. Sappiamo che non è vero, ma la loro lettura è questa. “Lui sì che è libero” E se voglio essere grande adulto, occorre che io non obbedisca, non rispetti, non legga le gerarchie. Da qui, una frustrazione profonda. Il ragazzo dice ormai a otto anni, a nove, a dodici, non più a sedici “dovrei essere già grande, già autonomo, ma di fatto non lo sono, non ho soldi, di fatto non lavoro, ho la paghetta che svanisce in due giorni, non ho le competenze per le battaglie della vita, ho un lessico limitato, sono una nullità”. Frustrazione profonda alla quale si risponde di solito con una geniale scoperta. Un mio collega americano, Kenneth Lee Pike, formulò questa bella sintesi: “l’adolescente sereno ed equilibrato (non ce n’è, è solamente un’ipotesi, una simpatica utopia) fa le cose che ritiene utili e sane per sé, cioè si cura, si lava, mangia bene, non fuma le canne, non si fa le pere, fa palestra, eccetera, anche se i genitori sono d’accordo”. Il che vuol dire che se il genitore, o, in altri casi, l’insegnante, il vigile urbano, l’istituzione in generale mi richiede qualcosa e io dico di no a quelle richieste, sto disobbedendo, sono quindi adulto. Questo è un surrogato accettabile: per essere grandi, adulti, basta essere disobbedienti. Questa è l’adolescenza oggi in Occidente. Certo che l’ho tremendamente semplificata, ma l’arricchimento di questo nocciolo, di questo catalizzatore del cristallo, l’abbiamo intorno a noi, visibile, prorompente: demotivazione, apatia, bullismi di vario genere, aggressività, passività eccessiva . Tutto questo è attributo, arricchimento della visione, allargamento retorico della descrizione sintetica del disobbediente. Allora occorre, ed è il primo ingrediente necessario oltre alla conoscenza e all’informazione, che si sappia passare conoscenza e informazione senza che queste vengano in qualche modo oscurate e inquinate da un’aura autoritaria, da un’aura che comunica la gerarchia: “fai così perché lo dico io, perché sono l’insegnante”. Occorre riuscire a far fare “le cose” cioè senza comandarle. I modi esistono. SECONDO ESEMPIO: “FARSI” DI EROINA Negli anni Ottanta, ricevo un incarico dalla regione Lombardia, allora lavoravo in un carcere, al Beccaria, il carcere minorile di Milano. L’incarico riguardava una ricerca su come si arriva a diventare tossicodipendenti, poiché molti ragazzi detenuti erano tali. E quindi intervisto una ventina di ragazzi di allora, siamo sempre al tempo della droga intesa per lo più come eroina. Oggi, mutatis mutandis, il problema è sempre lo stesso. Vi riporto un’intervista a rappresentarne anche altre molto simili. Immaginatela così. − Hai cominciato a “farti” a che età? − − Ho cominciato a 13 anni a farmi di eroina. − − E come è successo? − − È successo che il gruppo ha detto adesso è ora che ti fai anche tu per essere poi uguale a noi. Siamo andati ai giardinetti, mi hanno messo il laccio emostatico, hanno sciolto nel cucchiaio la roba, e poi mi hanno fatto la pera. − − E come è andata? − chiedo io. − È andata malissimo, Masoni, una cosa bruttissima, si sta male, ho detto basta! − − E quindi l’hai assaggiata, faceva schifo e hai smesso… − − No, no. L’indomani abbiamo provato ancora. − − Ah... E come è andata? − − Peggio che il giorno prima! Mi sembrava di morire, vomito, tremori…− − E quindi hai smesso!” − Dico per la seconda volta, un po’ seccato. Sei così stupido? pensavo. − No, non ho smesso! Ho continuato, finché dopo alcuni giorni, sette, 15 ORIENTAMENTO otto, dieci, non mi ricordo, ha cominciato a fare effetto, mi sono sentito bene, e il gruppo mi ha accolto con sé. − Fine della storia. Morale: la droga non cattura subito. È come la sigaretta, chi di voi è fumatore ricorderà la prima sigaretta, la fumi perché sei in mezzo al gruppo, perché vuoi diventare grande, un duro. Ma provoca nausea, giramenti di testa, non è piacevole. Se insisti un po’, inizi ad esserne dipendente. Domando al ragazzo: − Faceva schifo, stavi male, perché allora insistere? − − Per entrare nel gruppo, altrimenti non mi prendevano. − Ma certo. Domanda ulteriore: − E perché è così importante per te pagare un prezzo così alto, perché sai già cosa vuol dire essere dipendente, no? li hai visti in giro i tossici! Perché è così importante per te entrare in quel gruppo? − Risposta, ed è la seconda informazione importante per noi: − Perché in quel gruppo, possono anche picchiarmi, trattarmi male, sono duri, usano le maniere forti, ma in quel gruppo mi capiscono. Noi ci capiamo, ci conosciamo, sappiamo come siamo fatti. Loro sanno come sto. Invece a casa e a scuola no. − 16 Informazione vitale. Ci sta comunicando, è un esempio soltanto, ma potrei portarvene a centinaia, ci sta comunicando che per loro è importante sentirsi capiti. Mi fermo un attimo. Non sto dicendo: dobbiamo comprenderli, frase che risuona come una sciocchezza vaga. Non sto dicendo: ho capito perché fai così, ora sì…che puoi farlo. Non è questo che dico. Prendo atto che mi stanno dicendo: voglio che sappiate come stiamo. Che è cosa molto diversa dall’essere accondiscendenti o banalmente “comprensivi”. Ci stanno dicendo: “Voglio che proviate ad assumere per qualche secondo il mio punto di vista e che indossiate la mia pelle. Voglio che sentiate come sto”. Hanno provato in America ad utilizzare questa modalità. Durante un tempo in cui ci fu un calo di iscrizioni al livello della nostra scuola media, il governo preoccupato, promosse una manovra americana, cioè piuttosto costosa: milioni di dollari per fare una campagna annuale che comunicasse ai ragazzi: scuola è bello. Il messaggio insomma avrebbe dovuto essere questo: la scuola è un investimento, è cultura, è costruire il tuo domani. Milioni buttati via. Opuscoli, dépliants, spot televisivi, documentari al cinema, conferenze di esperti. Milioni bruciati, le iscrizioni alle scuola “medie” non salivano. Finché dopo un anno, studiando la faccenda a fondo e sperimentando, capirono che, invece, dire ai ragazzi “Guardate, la scuola è pesante, è carica di ingiustizie, con insegnanti spesso parziali, a volte non preparati, con compagni che possono non piacerti e a cui puoi non piacere. Questa scuola, questo pantano sappiamo che è pesante, che a volte è brutta, che ci si sta male ma… va fatta!” diventava un messaggio efficace e le iscrizioni aumentavano. Quindi non basta dire “È pesante, so come si sta” ma occorre aggiungere “ma va fatta!”. Diamo il nome a queste modalità. C’è una dimensione etica. Il “va fatta” è una dimensione etica che va riconosciuta e condivisa. L’altra dimensione, “leggo le tue ragioni e so come stai”, ha un nome, coniato sessanta anni fa: possiamo chiamarla dimensione “emica”, espressione creata da un vecchio antropologo che usò il termine per la prima volta. Due dimensioni che vanno messe insieme. L’insegnante, l’educatore, lo psicologo, il tutor occorre che accostino queste due competenze: etica ed emica. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Se uso soltanto la prima è come se mi mettessi a fare il giudice, se uso soltanto la seconda rischio di dare un grosso contributo alla costruzione dei deficienti. Il magistrato fa un altro mestiere, giudica e basta. Ma il giudizio non fa crescere. Condanna, punisce e per quanto la nostra bella Costituzione ci insista in una delle sue rare bolle di ingenuità, non educa. Emicità e eticità, quindi, due modalità da utilizzare insieme da parte di chi vuole educare. TERZO ESEMPIO: SMETTERE DI “FARSI” Siamo sempre al Beccaria, ancora interviste ai ragazzi, questa volta su un altro campione: mi chiedono di intervistare ragazzi che hanno smesso di farsi e di capire come han fatto. E mi imbatto in una grande scoperta. Mi sento raccontare questa storia, ve ne prendo una, ma si assomigliano tutte, sono le storie dei ragazzi in carcere per spaccio. “Io volevo smettere, ero un tossico, ormai strafatto, stavo sempre male, però vedevo il boss del mio quartiere, quello che è a capo degli spacciatori, che è un ragazzo fantastico, è un capo, un figo incredibile, intelligente, in gamba, comanda tutti: io volevo stare con lui. Eh.., ma come faccio, loro non prendono i tossici… una volta però mi sono preso coraggio e gliel’ho chiesto. − Io vorrei stare con voi, spacciare con voi − e lui m’ha detto: − Basta che smetti di farti, perché chi spaccia non può farsi; basta che smetti di farti e vieni a spacciare con noi − E come faccio? vado in crisi d’astinenza se smetto di farmi! A quel punto il boss si fa una grossa risata: − Ma quale crisi! Sono stronzate! Non c’è nessuna crisi. Guarda, stai male sette giorni esatti, smetti di farti, sentirai un po’ di mal di reni, sudi un po’ di più, un po’ di mal di schiena, un po’ di nausea, setti giorni e poi finito! Altro che crisi! “Be’, Masoni, io l’ho fatto: sette giorni esatti, esattamente tutto quello che aveva detto lui, e ne sono uscito.” Morale: se chi ti dice queste cose, chi ti sta parlando è, per te, affidabile, autorevole, credibile, ciò che dice diventa efficace. Analizzando il procedimento nei dettagli ciò che accade potrebbe essere descritto così: 1) Il disagio viene categorizzato dalla fonte autorevole (e così “semplificato”) su schemi corrispondenti a sintomi già noti. 2) La teoria che gli viene comunicata per permettergli il cambiamento si basa sulle attribuzioni della cultura o della sottocultura che il ragazzo condivide. Ora il ragazzo la pensa come la fonte autorevole e si avrà la remissione del sintomo secondo quanto suggerito dal teorema di Thomas: “Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse sono reali nelle loro conseguenze” . 3) È il terzo ingrediente. Occorre che quando si insegna, si spiega, si informa, si comunica sui rischi, si offre conoscenza, dati, ecc., occorre che chi parla sembri a chi ascolta affidabile, credibile. Non è cosa che riguarda i ragazzi e basta. È cosa, questa sì quasi metastorica, riguarda l’umanità, questo è il nostro grande motore, è grazie alla fiducia, alle sue credenze, alle fedi, che l’umanità ha difeso strenuamente il presente o ha prodotto grandi mutamenti. Non si cambia perché ci “dimostrano” le cose, ma perché chi le dice diventa credibile, importante, un ipse dixit. 17 ORIENTAMENTO BASTA CHE LO DICA GÖDEL Il trattato di Copernico pubblicato nel 1543, il “De revolutionibus orbium terrarum” e la nuova conoscenza ivi mostrata, ci mette due secoli perché diventi senso comune. Lo diventa quando Copernico è diventato Copernico. Qualche anno fa, era di moda Gödel, l’autore del teorema della indecidibilità della matematica: ogni saggio un po’ sofisticato citava Gödel: la frase “Come Gödel ha dimostrato”, era diventata il prezzemolo dell’intellighenzia europea, ma, sono disposto a scommetterlo, pochissimi avevano letto il teorema di Gödel e di quei pochissimi solo una piccola percentuale l’aveva capito. Non occorre essere convinti: basta che lo dica Gödel, se è già diventato Gödel. Si fa così con Einstein oggi; hanno fatto così per mille anni con Aristotele. Allora, occorre che chi parla e comunica informazione e conoscenza diventi in qualche modo ancora oggi degno di essere pensato come un ipse dixit. Abbiamo ora i tre ingredienti importanti: possiamo fare prevenzione: 1) tenendo conto che possiamo comunicare ciò che comunichiamo senza mostrare poteri perché davanti all’aura di potere, al suo odore, al suo olezzo, il ragazzo chiude le porte; 2) comunicando al ragazzo che sappiamo come sta, che leggiamo il suo mondo; non è facile; 3) avendo acquisito il ruolo di chi parla in maniera autorevole, di chi ormai per definizione è credibile, cosa anch’essa non facile. 18 Un‘agenzia il cui compito è prevenire occorre che sappia che occorrono queste tre competenze e che le abbia o che si metta in cammino per averle. Quando le ha è necessario che le metta in atto e che contemporaneamente le comunichi, le passi (con incontri di condivisione, di sensibilizzazione, di formazione) alla scuola e all’insegnante. PEER PREVENTION Ora c’è il terzo passaggio, le presenze competenti di una agenzia di prevenzione (o di qualunque altro genere, nella scuola) occorre che siano provvisorie. Se la scuola, questa scuola, la scuola dei nostri tempi, la scuola che ha scoperto che i suoi insegnanti devono affiancare le competenze disciplinari a competenze relazionali, se una scuola così, che non ha ancora quelle competenze, chiama un esperto ad aiutarla risolvere i suoi problemi e l’esperto funziona bene, ma poi resta lì, mette radici, la figura credibile e capace di relazione diventa l’esperto, non la scuola; e poiché la scuola è la parte che insegna, avremmo una scuola che insegna senza essere credibile: un pesante colpo di zappa sui propri piedi. Allora occorre che l’esperto o l’agenzia “esperta”, qualunque sia il tipo di esperienza che porta, stia nella scuola per insegnare, per formare, per condividere con gli insegnanti le sue competenze affinché e fino a che l’istituzione diventi capace di comunicarle e permetterle ai ragazzi. E poi, se ne vada. Come fare quindi in pratica? Occorre avere esperti con quelle tre competenze e per l’adulto, averle, è difficile. Allora perché non allargare il campo delle nostre sperimentazioni? Abbiamo già alcune esperienze. Abbiamo messo già a punto alcuni strumenti: l’apprendimento cooperativo tratta proprio di questo. L’insegnante appare come un facilitatore, non è più quello che dice “si fa così”, lo fanno i ragazzi; non c’è più il gruppo classe omologato, ci sono differenze utilizzate in QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 quanto differenze nel tavolo dell’apprendimento cooperativo. Abbiamo la peer education, non potendo insegnare noi, faccio insegnare a chi è credibile, ai coetanei. Perché non ci re-inventiamo una peer prevention studiandola e attrezzandola con gli studenti? Perché non sostenerli in questo? E perché non insegnare e passare loro strumenti anche sofisticati, del sapere adulto nel campo della prevenzione? Compiti nuovi, terreno poco esplorato. Ne parlano in pochi, ma ne parlano già alcune consulte provinciali degli studenti, solo però in riferimento a piccole sperimentazioni in singoli istituti. Allora aiutiamo questi ragazzi a farci aiutare da loro, su dimensioni più vaste, con sperimentazioni comunali, regionali, statali. BIBLIOGRAFIA Colecchia N. (a cura di) Adolescenti e prevenzione, disagio, marginalità, devianza, Il pensiero scientifico editore, Roma, 1995. Masoni M.V., La consultazione psicologica nella scuola, Giuffrè Editore, Milano, 1999. Marco Vinicio Masoni 19 GIUSEPPE BARAZZUTTI L’Interckerl dalla Casera Festons a Sauris, dat.1920, olio su cartone. 20 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 21 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO IL NUOVO CONFINE DELLA CARRIERA LA SOSTENIBILITÀ Rita Chiesa, Dina Guglielmi, Guido Sarchielli I In questo contesto di insicurezza economica si parla sempre più spesso di «carriere senza confini» ovvero di tortuosi e rapidi passaggi da un lavoro all’altro, da una organizzazione all’altra senza avere più, da parte delle persone, una traiettoria lineare e ben chiara da seguire 22 LA NUOVA RELAZIONE PERSONA-LAVORO I cambiamenti in atto nelle realtà lavorative incidono profondamente non solo sulle modalità di organizzare il lavoro ma anche sul ruolo delle aspettative e scopi personali nel progettare percorsi professionali soddisfacenti e sul tipo di risorse personali e sociali necessarie per avere una migliore probabilità di riuscita nell’integrarsi nella vita sociale e professionale. In una parola, sta cambiando la relazione persona-lavoro e appare necessario riconsiderare con attenzione i diversi fattori personali e situazionali che possono renderla soddisfacente per le persone. Su questo tema, che coinvolge la progettazione delle carriere personali dalla fase di preparazione delle scelte scolastico-professionali alla gestione di situazioni di mobilità volontaria e involontaria fino alla perdita del lavoro nella vita adulta, si è riflettuto nell’ambito di un recente workshop1 finalizzato a: a) individuare competenze chiave da potenziare in contesti diversi affinché le persone padroneggino l’evoluzione del loro percorso professionale; b) definire linee di azione sostenibili per favorire l’integrazione tra servizi (nell’ambito della scuola, formazione professionale, servizi per il lavoro, orientamento). I paragrafi che seguono sintetizzano la traccia iniziale di discussione poi approfondita dai contributi dei partecipanti. CONTINUUM CARRIERE TRADIZIONALI CARRIERE MUTEVOLI Uno degli effetti più vistosi dei cambiamenti del lavoro, delle organizzazioni e del mercato occupazionale dovuti alla globalizzazione dell’economia sembra essere la progressiva diminuzione delle tradizionali carriere che i lavoratori costruivano dentro un’unica organizzazione, dal momento della loro assunzione sino al pensionamento. Una seconda caratteristica del sistema occupazionale odierno è la sua forte dipendenza dal ciclo economico. In particolare, le trasformazioni organizzative e la flessibilità occupazionale con cui si sta rispondendo alla crisi economica e alla volatilità del mercati accentuano la tendenza ad avere rapporti lavorativi precari, con diffusa sottoccupazione o vera e propria disoccupazione, soprattutto tra i giovani. Questi due fenomeni hanno stimolato la riflessione sulle modalità di costruzione delle carriere individuali odierne impostata sul contrasto tra «vecchie» e QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 «nuove carriere» e sulla identificazione delle loro caratteristiche e dei fattori da considerare per comprendere le difficoltà delle persone nel progettare un loro inserimento sociale soddisfacente. Il tema risulta di particolare rilievo sociale poiché tali andamenti - se fossero confermati nel tempo e divenissero prevalenti – potrebbero modificare in profondità anche il modo con cui le persone considerano il loro lavoro, investono più o meno energie per trovare un soddisfacente adattamento e cercano di trovare i modi possibili per regolare il proprio percorso di carriera divenuto più accidentato. Non solo, ma anche i servizi dedicati (di orientamento, di formazione o di sostegno alle carriere) dovrebbero modificare radicalmente il loro modus operandi focalizzando meglio i loro interventi onde potenziare nelle persone il tipo di risorse adatte ad affrontare i compiti più complessi che si stanno delineando. In questo contesto di insicurezza economica e di diffusa percezione di job insecurity si parla sempre più spesso di «carriere senza confini» ovvero di tortuosi e rapidi passaggi da un lavoro all’altro, da una organizzazione all’altra senza avere più, da parte delle persone una traiettoria lineare e ben chiara da seguire, come veniva offerta dalle organizzazioni sino a poco tempo fa. L’esistenza di tali carriere mobili e instabili comporterebbe anche un passaggio di responsabilità dall’organizzazione alla persona nel gestire i propri percorsi professionali. A tale riguardo si utilizza comunemente il concetto di «carriera proteiforme» e versatile per sottolineare le nuove capacità che dovrebbe possedere una persona per riuscire ad adattarsi ai cambiamenti del lavoro e alla variabilità di una carriera senza più confini e sostegni organizzativi. Spesso, però, nel dibattito sulle «nuove carriere» si dà per scontato un modello di «carriera tradizionale» ritenuto sempre facilitante il match tra persona e lavoro e la sua integrazione sociale nel tempo, applicabile a tutti, e favorente sia la coerenza tra self e realtà lavorativa sia lo sviluppo professionale e la mobilità di carriera. Tale raffigurazione polarizzata positivamente si scontra con una serie di evidenze discordanti (Biemann, Zacher e Feldman, 2012), relative alla diffusa e forte differenziazione dei percorsi di carriera passati e presenti in funzione di vari fattori personali e contestuali. Non vanno dimenticate cioè le ampie differenze di percorso legate all’età, al genere, al livello di istruzione, alla qualità dei sostegni familiari, alla localizzazione geografica, al settore pubblico o privato di inserimento lavorativo e alla presenza di mercati del lavoro locali più o meno aperti. Una verifica empirica più attenta mostrerebbe che anche nel recente passato, non erano rare le partecipazioni al lavoro assai distanti dal modello dell’occupazione a tempo pieno, continuativa in un dato posto di lavoro e attivamente sostenuta da una singola organizzazione come si vorrebbe dire contrapponendo le «vecchie» e «nuove carriere». Una serie di critiche alla stessa nozione di «carriera senza confini» sta emergendo proprio negli ultimi anni rilevando il forte schematismo della sua contrapposizione con le carriere tradizionali. Infatti, essa porta a enfatizzare eccessivamente il ruolo attivo della persona nello strutturare la sua carriera sin dall’inizio della sua esperienza lavorativa, attribuendole delle responsabilità che possono essere assunte solo in presenza di specifiche risorse e competenze personali. Inoltre, «pur riconoscendo la forza di stimolo riflessivo implicita nella metafora di «carriera senza confini», le evidenze empiriche circa la sua validità risultano ancora assai modeste» (Toderi e Sarchielli, 2013, p.78). In sostanza, i dubbi sull’eccesso di polarizzazione tra vecchie e nuove carriere sono stati avanzati per rendere più accurata l’analisi delle multiformi ed eterogenee carriere che ancora oggi si stanno costituendo, per evitare il rischio di progettare interventi professionali 23 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO di orientamento e counselling non rispondenti ai bisogni delle persone e per riconoscere la natura differenziale di un compito di sviluppo comunque affrontato dalla persona onde dare un senso alla sua storia lavorativa. Per questa ragione vale la pena assumere l’idea di un continuum di carriera ai cui poli estremi stanno le «carriere senza confini» e le «carriere tradizionali» (come entità quasi idealtipiche) ma che richiede molta attenzione per riconoscere i punti intermedi (cioè le carriere reali) e le condizioni personali e contestuali che hanno un peso nel delinearli in concreto. Ciò evidentemente ri-orienta il significato di carriera riducendone il carattere quasi prescrittivo («un percorso simile per tutti»), sottolineandone invece gli aspetti differenziali di «storia personale» e permettendo di focalizzare l’attenzione sugli effettivi bisogni e capacità della persona per riuscire a padroneggiarla. DAL SUCCESSO DI CARRIERA ALLA RIUSCITA PERSONALE 24 Lo scenario attuale, in cui coesistono carriere di tipo tradizionale e percorsi lavorativi frammentati e compositi fa sì che sempre più spesso ci si interroghi se sia ancora possibile (e lecito) parlare di «successo di carriera», oppure esso sia un costrutto applicabile solo ad un numero limitato di privilegiati che possono ancora aspirarvi essendo dotati delle risorse personali e sociali con cui delineare e perseguire i propri progetti ed essendo collocati nelle posizioni medio-alte della scala sociale delle occupazioni. In realtà, il dibattito scientifico sulle carriere ha già portato da tempo al superamento del concetto di successo come inteso nel senso comune. Infatti, rispetto al dispiegarsi della sequenza delle esperienze lavorative di una persona nel corso del tempo, che definisce una carriera, sono state considerate due dimensioni ad essa associate: la prima, di tipo soggettivo, riguarda la percezione di quello che la propria carriera è o sta diventando; la seconda, di tipo oggettivo, comprende indicatori tangibili, i quali servono come punto di riferimento per valutare il posizionamento di una persona nell’ambiente sociale (Arthur, Khapova e Wilderom, 2005). Il progressivo riconoscimento della dimensione soggettiva della carriera ha portato alla revisione del concetto di successo, non più riconosciuto solo in termini oggettivi (o espliciti), definibili da una prospettiva esterna all’individuo che valuta la situazione occupazionale attraverso una serie di indicatori come il reddito o il livello organizzativo raggiunto, ma anche in termini soggettivi o «impliciti», ovvero rispetto all’opinione che il lavoratore ha della propria carriera. Tale opinione è ancorata ad una serie di dimensioni che la persona considera importanti, in quanto riflettono l’ampio sistema dei valori e delle aspirazioni personali. Riconoscere l’importanza del significato psicologico della storia lavorativa non equivale a disconoscere la dimensione oggettiva della carriera, ma anzi aiuta a riconoscere che i fattori oggettivi non intervengono solo a valle del processo di sviluppo professionale, sancendone o disconoscendone il successo, bensì hanno un ruolo anche a monte in quanto influenzano gli obiettivi che la persona identifica come desiderabili, ma soprattutto come possibili per sé. In altre parole, il sistema di opportunità e barriere all’interno del quale ciascuno definisce il proprio progetto professionale concorre a modellare i parametri con cui la persona e il suo contesto sociale di riferimento valuteranno gli esiti effettivi dell’esperienza lavorativa. La progettazione di interventi a sostegno delle carriere non dovrebbe QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 quindi prescindere dalla ricostruzione - fatta insieme alla persona- delle condizioni, favorevoli e sfavorevoli, entro le quali essa si trova ad orientare il proprio progetto professionale. Questa attenzione è necessaria per bilanciare gli assunti che sottolineano sempre con maggiore forza la responsabilità dell’individuo nel gestire la sua carriera (DeFillippi e Arthur, 1996; Kuijpers, Schyns e Scheerens, 2006). Infatti, se da un lato è importante riconoscere il ruolo attivo della persona nella ricerca e costruzione delle opportunità, dall’altro lato se non si aiuta la persona ad individuare obiettivi realistici e sostenibili si corre il rischio di una sua eccessiva colpevolizzazione in caso di mancato ottenimento di risultati positivi. In questo senso, possiamo immaginare il superamento dell’eccessiva separatezza tra dimensioni oggettiva e soggettiva di carriera a favore di una visione integrata di carriera sostenibile, finalizzata alla promozione del successo psicologico, ovvero il sentimento di orgoglio e riuscita personale dovuto alla consapevolezza di avere fatto del proprio meglio (Hall e Mirvis, 1996). Per di più parlare di carriera sostenibile implica - da parte delle organizzazioni e dei servizi di sostegno al lavoro - il riconoscimento del valore delle persone in ogni tappa anche provvisoria del loro percorso mettendo in luce il loro capitale cognitivo e psicosociale comunque acquisito (nella stessa o in altra organizzazione o nella comunità) presente nel portfolio individuale e assumendolo come base per ulteriori passi di crescita socio-professionale. Ciò significa assumere una prospettiva life-course cioè proiettata nel tempo medio-lungo, senza le tradizionali scadenze di carriera lineare e verticale del passato, e dare importanza al percorso individuale da cui la persona possa derivare la sua soddisfazione anche integrando i suoi diversi scopi, lavorativi e non lavorativi (ad esempio, un equilibrio tra vita lavorativa e vita per- sonale). In linea con quanto appena detto, il successo/riuscita di carriera è ridefinibile come l’insieme degli «esiti positivi psicologici e lavorativi che una persona accumula come risultato delle sue esperienze professionali» (Judge, Cable, Boudreau e Bretz, 1995) e come tale rientra in una visione di benessere globale e soddisfazione per la propria vita, che conduce la riflessione verso il rapporto tra lavoro e altri domini di vita. DAL LAVORO AI DOMINI DI VITA I modelli tradizionali di relazione tra persona e lavoro hanno cercato valorizzare lo sforzo della persona di trovare un adeguato match tra esigenze personali, lavoro svolto e avanzamenti in un percorso di carriera delineato nelle e dalle organizzazioni. Del resto, lo sviluppo della carriera andava di pari passo con l’elaborazione del self professionale, attivato e sostenuto dalle interazioni sociali sul lavoro, che, assumendo un buon livello di congruenza con la realtà lavorativa, diveniva il principio informativo su cui basare le decisioni da prendere. Esso poteva assicurare soddisfazione e chiarezza delle prospettive di sviluppo professionale a lungo termine come pure sostenere gli individui nella negoziazione dei cambiamenti e nella gestione delle varie transizioni psicosociali senza perdere il senso di continuità garantita dalla propria identità personale e sociale. Attualmente per molte delle carriere che si posizionano all’interno del continuum «carriere senza confini-carriere tradizionali» diviene un compito assai difficile quello di confrontare la propria concezione di sé, i propri valori e scopi solo con una realtà lavorativa concreta assai instabile. La ricerca di un filo conduttore unitario (di signi- 25 GIUSEPPE BARAZZUTTI Case di Sauris e veduta verso il Bivera, 1921, olio su cartone. 26 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 La piazzetta del villaggio, 1921, olio su tavola. 27 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO 28 ficato analogo a quello offerto dalla tradizionale carriera) implica la considerazione dei vari domini di vita che hanno un valore per le persone e da cui esse traggono gli elementi informativi e di scambio/sostegno sociale per delineare gli scopi da raggiungere, per la soddisfazione dei propri progetti e, in ultima istanza, per costruire o aggiustare il proprio self nel corso della vita (Guichard e Di Fabio, 2010). In sostanza, il nuovo assetto dei lavori e le loro ridotte opportunità di crescita spingono anche a un cambiamento nelle cognizioni e attribuzioni di significato da parte delle persone alle esperienze lavorative ora messe in più stretta connessione (e confronto) con la vita personale e familiare. Questa relativizzazione del significato della carriera lavorativa ha un’immediata conseguenza: un efficace career self-management potrebbe fondarsi utilmente sulla messa in atto di numerose strategie da parte della persona per accrescere le possibilità di controllo e regolazione della propria carriera mettendo al centro non solo il lavoro, ma tutte le opportunità (e vincoli) presenti nel suo contesto di vita. Infatti, se il lavoro dovesse diventare per molti una semplice transazione strumentale tempo-denaro, esso diverrebbe di fatto assai meno centrale per la costruzione di progetti personali a lungo termine. In altri termini, i criteri di costruzione di una «carriera psicosociale» sembrano divenire oggi più importanti della semplice «carriera lavorativa» e appaiono sempre più legati alla considerazione dei vari ambiti di vita ove la persona elabora e realizza le proprie aspettative per il presente e il futuro. La nozione di carriera sostenibile (Newman, 2011) va in questa direzione poiché mette in luce il valore delle interdipendenze tra i vari ambiti di vita e l’utilità di considerarli come fonte complementare di scambio di energie vitali nel momento in cui la persona deve individuare la priorità degli scopi da raggiungere. Tenere in comunicazione i vari ambiti (lavorativo, sociale, familiare, amicale, di comunità) in cui la persona sperimenta se stessa, apprende e sviluppa capacità e strategie di azione rappresenta un modo assai promettente per rispondere all’esigenza prioritaria di mantenersi fedeli ad un’immagine di sé più articolata (i vari sé possibili) e al riconoscimento da parte degli altri, aspetti messi in discussione da un contesto lavorativo assai meno capace di offrire persistenti sostegni e gratificazioni alla persona. Ciò che emerge è che la carriera lavorativa oggi può essere reinterpretata sullo sfondo degli altri domini importanti per la persona e può essere affrontata tenendo conto delle esperienze riuscite in tali domini, delle competenze così acquisite, delle qualità personali implementate (come ad esempio la fiducia, l’ottimismo, la resilienza, ecc.) nonché delle energie e spinte motivazionali che si ricavano da tali esperienze positive. Da ciò si deriva anche l’idea di una «occupabilità allargata» (life long employability) connessa non solamente a competenze tecnico-scientifiche aggiornate e riferite a una specifica famiglia di occupazioni, bensì centrata anche su competenze di apprendimento continuo e su risorse e qualità personali plastiche e adattabili a differenti contesti. Naturalmente resta importante capire come tali risorse e qualità possono essere sviluppate, quali azioni professionali di orientamento e sostegno possano contribuire al loro potenziamento e quali modalità e strumenti (comprese le nuove tecnologie comunicative) usare per rilanciare la motivazione anche di coloro - e sono molti - che risultano meno coinvolti e attrezzati rispetto al compito di progettare le proprie carriere. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 COMPETENZE PER LA GESTIONE DI CARRIERA E SFIDE EMERGENTI PER L’ORIENTAMENTO Il ruolo chiave delle competenze di career self-management nello sviluppo dei percorsi personali di carriera ha portato al fiorire di molti tentativi di modellizzazione delle stesse. Al di là delle etichette utilizzate dai diversi autori (si vedano gli esempi in tabella 1), emerge come trasversale il riconoscimento di una componente «direzionale» che si riferisce alla capacità di identificare il perché delle proprie scelte e azioni, una componente di «attivazione» che rispecchia la capacità proattiva di costruzione delle proprie opportunità ed infine una componente di «mantenimento» che coincide con la capacità di fronteggiamento degli ostacoli e delle circostanze avverse grazie a comportamenti alternativi o alla riesamina dei propri obiettivi. Per poter implementare tali competenze, il riferimento alla dotazione e sviluppo di differenti tipi di risorse risulta ampiamente condiviso nella letteratura scientifica. Hirschi (2012), ad esempio, categorizza quattro categorie di risorse (di capitale umano, psicologiche, sociali e di identità) che raggruppano i differenti costrutti che si stanno attualmente usando (come self-efficacy, employability o adattabilità) e che hanno un ruolo critico nello sviluppo e gestione della carriera. Competenze della persona Fattori di contesto Kuijpers, Schyns e Scheerens (2006): esempi di competenze per la gestione delle carriere London (1997): esempi di risorse e barriere per la gestione della propria carriera Abilità di attualizzazione della carriera: grado con cui le persone sono capaci di realizzare obiettivi e valori personali nella loro carriera lavorativa; Barriere Interne: Riflessione di carriera: capacità di esaminare le proprie competenze rispetto alla propria carriera; prestazioni scolastiche/formative negative ridotta autoefficacia e capitale psicologico percezioni di scarse opportunità nell’ambiente Riflessione alla motivazione: capacità di definire i propri desideri rispetto alla propria carriera; Esterne: Esplorazione del lavoro: grado di conoscenza dei valori e competenze richiesti in una specifica situazione lavorativa; ambiente sociale/relazionale sfavorevole Controllo della carriera: capacità di pianificazione e influenza sul processo di lavoro; oggettive, socio-economiche e culturali discriminazioni e diseguaglianze di opportunità locali negative social support Networking: capacità di costruire contatti che sono rilevanti per la propria carriera. 29 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO DeFillippi e Arthur (1996): esempi di competenze per la gestione delle carriere senza confini Sapere come (Knowing-how): capacità di sviluppare un port-folio di conoscenze e abilità lavorative trasferibili Risorse o fattori di supporto Interne: Sapere perché (Knowing-why): consapevolezza dei propri interessi, bisogni, abilità, valori, aspirazioni e preferenze relative all’esperienza lavorativa Possibilità di accumulare capitale sociale Sapere con chi (Knowing-whom ): capacità di sviluppare e utilizzare una rete estesa di relazioni che possano offrire informazioni, sostegno e guida all’individuo Esterne: Possibilità di sviluppare competenze tecniche e sociali Possibilità di potenziare gli stili di coping Possibilità di riferirsi a modelli di ruolo adatti Sostegno sociale di vario tipo e di varie figure significative Tab. 1: Risorse e barriere nella gestione della carriera Dal punto di vista della pratica professionale, si profila per l’orientamento e gli altri servizi di sostegno la sfida di saper differenziare la propria offerta rispetto a due macroaree di intervento: l l 30 la prima riguarda soprattutto i percorsi di carriera più lineari e risponde ai bisogni legati allo sviluppo della progettualità ancorata alla definizione di obiettivi desiderabili, sostenuta da buone risorse personali e di contesto; la seconda riguarda principalmente i percorsi più tortuosi che suscitano bisogni legati alla ridefinizione di una progettualità sostenibile alla luce dei vincoli personali e contestuali. Nella prima tipologia di interventi, che possiamo definire “più classica”, l’obiettivo principale è lo sviluppo/incremento dei vari tipi di competenze personali per la gestione autonoma della carriera, anche di natura progettuale. Nella seconda macroarea di intervento va invece segnalata l’importanza di approfondire il piano dei fattori conte- stuali (sia come «barriere» da superare sia come «risorse» da arricchire, vedi Tab. 1) per evitare di stare sul piano dell’analisi solamente di livello intraindividuale e soggettivo, considerando che la «storia di una persona» - ovvero la sua carriera soggettiva e oggettivaè frutto dell’interazione con il contesto reale oltre che con quello percepito. In questo caso l’obiettivo principale è duplice: oltre al potenziamento delle risorse diventa centrale la riduzione delle barriere (soggettive e oggettive) cioè dei fattori contestuali negativi. E ciò comporta la necessità di progettare azioni anche focalizzate sull’interazione persona-contesto. Una prospettiva individualistica potrebbe infatti non essere sufficiente soprattutto pensando alle categorie di utenti svantaggiati e alle diverse fasi meno lineari e più “accidentate” della loro storia/carriera personale. Rita Chiesa Dina Guglielmi Guido Sarchielli Università degli Studi di Bologna QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 NOTE 1 Al workshop “Quali competenze per la gestione delle nuove carriere multiformi e «senza confini»?”, svoltosi all’interno della UNESCO Chair on Lifelong Guidance and Counseling Conference (Università di Firenze, 5-6 giugno 2015), hanno partecipato, oltre agli estensori del presente contributo, i seguenti ricercatori e professionisti Graziella Pellegrini (Regione Friuli Venezia Giulia); Francesco Varagona (IAL Marche); Fidelma De Luca (IAL Marche); Paola Paolinelli (Regione Marche); Massimo Peron (Ciofs Bologna); Annalisa Rinaldi (psicologa del Lavoro – libera professionista); Francesco Pisanu (Iprase, Trento); Rita Chiesa (Università di Bologna); Marco Mariani (Università di Bologna); Michela Cortini (Univeristà di Chieti), Giancarlo Tanucci (Università di Bari), Mario Fulcheri (Università di Chieti); Massimo Bellotto (Università di Verona). 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Toderi S., Sarchielli G., Sviluppare la carriera lavorativa, Bologna, Il Mulino, 2013. 31 GIUSEPPE BARAZZUTTI Il boscaiolo, dat.1921, olio su tela. 32 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 33 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO L’AREA ADULTI DEI SERVIZI SOCIALI E LE FRAGILITÀ CRESCENTI A Attraverso percorsi di potenziamento delle risorse personali e professionali che concorrono a sostanziare i livelli dell’occupabilità delle persone, condotti con strumenti del sistema sociale e della formazione, il servizio si prefigge l’accompagnamento al sistema d’offerta delle politiche attive del lavoro 34 VALUTAZIONE ED INTERVENTI PER UN’OCCUPABILITÀ POSSIBILE DELLE FASCE DEBOLI Mario Pradella, Giuseppe Marino SVANTAGGIO SOCIALE: CONCETTO DA INTEGRARE Dal 2001, all’interno dei Servizi Sociali del Comune di Pordenone ed in seguito nell’Ambito 6.5 che riunisce cinque comuni, ci si è dedicati ad un progetto sperimentale, oggi servizio stabile dell’Ambito stesso, rivolto alle persone assistite che portano multiformi necessità attorno al tema occupazionale. Ci riferiamo ad una casistica ampia che quotidianamente giunge ai Servizi Sociali e che non beneficia di una normativa effettivamente tutelante: lo svantaggio sociale collegato allo stato di difficoltà occupazionale. A tutt’oggi il concetto di svantaggio sociale, piuttosto generico ed indistinto, non permettendo una chiara definizione delle effettive difficoltà all’esercizio dei diritti di cittadinanza, in primis il lavoro, costringe le persone richiedenti aiuto e sostegno sociale a competere ad armi impari nell’agone del mondo produttivo e selettivo. Lo svantaggio sociale negli ultimi decenni ha assunto valenze diverse da quelle storicamente connotate. Accanto alle tipiche esigenze economiche, che segnano costantemente lo svantaggio e la fragilità di persone e nuclei familiari, si presentano nuove necessità di ri-adattamento delle persone alle mutate richieste e condizioni poste dal mercato del lavoro (MdL) in continua trasformazione. Chi non dispone di queste capacità evidenzia condizioni di vulnerabilità e svantaggio diversamente connotabili – già presenti in nuce – e non riferibili necessariamente alle sole problematiche della povertà e dell’esclusione quali fattori-oggetti tradizionali e categorie interpretative dell’intervento sociale. La necessità di una ricerca chiarificatoria sia nell’ambito culturale, per una necessaria rivisitazione del concetto delle ‘nuove povertà’, sia nell’ambito strettamente operativo per giungere, nei servizi sociali comunali, a nuovi approcci e metodiche più attinenti ai reali bisogni riportati dalle persone seguite, ha richiesto una ridefinizione dell’interpretazione semantica del concetto di svantaggio che non fosse più immediatamente afferibile alle sole limitazioni da condizioni di povertà o invalidità normativamente riconosciute. Il rapporto tra le capacità lavorative e le componenti di svantaggio personali non si esaurisce in due polarità antitetiche “normalità”/occupabilità verso svantaggio acuto/inoccupabilità ma si inserisce, piuttosto, in un quadro variegato di capacità esprimibili e di limitazioni a tali capacità, che QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 comportano diversi percorsi e destini personali. Basandoci sulla cultura del servizio sociale e dell’accompagnamento degli adulti fragili, ci siamo addentrati in un’analisi multidimensionale dei requisiti richiesti dal MdL locale, rivolta alle specificità delle competenze trasversali che precedono e sostengono le abilità, conoscenze e dotazioni professionali demandabili al sistema della formazione lavorativa professionale. L’analisi dei requisiti ci ha condotti all’individuazione di fattori determinanti lo svantaggio sociale adulto ed abbiamo riscontrato che la volontà è parte importante ma non sufficiente nel novero delle componenti da ri-attivare e potenziare per la costruzione dei requisiti al lavoro. I fattori di occupabilità sono molteplici e complessi perché correlati a parimenti complesse origini della fragilità. È la dimensione della possibilità reale di uno sviluppo che, prioritariamente, va indagata, approfondita e innescata nelle premesse del lavoro con i soggetti deboli; questo correlando la buona prassi alla sostenibilità individuale del processo. Il MdL attuale ricerca autonomie complesse anche nei lavori semplici (dinamicità, flessibilità, sufficiente eloquio in condizioni di lavoro di gruppo, autonomia di giudizio e d’azione, riflessività, riconoscimento dei feedback, abilità negoziali, decisionali, organizzative e di programmazione) che il soggetto lavoratore deve sostenere per reggere la sfida. Per ‘possibilità’ intendiamo sia la disposizione o acquisibilità delle competenze trasversali e tecnico-professionali che attengono all’esercizio di un lavoro e all’adattamento all’ambiente che lo regola, sia la condizione proattiva iniziale in cui la persona può prefigurarsi delle opzioni (delle possibilità) che aprano a scenari auspicati e motivanti il suo processo volto all’obiettivo. LE CONDIZIONI DI SVANTAGGIO SOCIALE ADULTO In questi anni di impegno rivolto al potenziamento delle risorse personali delle fasce deboli, abbiamo riscontrato essere generale condizione, riconducibile alla debolezza delle persone da noi incontrate, la fragilità del processo di autonomizzazione individuale. Soprattutto nella fascia d’età dai 25 ai 45 anni, in cui viene a collocarsi la maggior parte delle persone da noi seguite nel tempo, abbiamo raccolto testimonianze costanti di disagio connesso, sia ad una limitazione del proprio personale potere d’azione (agency debole), sia ad una dolorosa e perdurante sensazione di incompiutezza che le persone ci trasmettono quando provano a descrivere il mancato raggiungimento delle proprie aspirazioni. Più specificamente riscontriamo essere condizioni originanti le problematicità, sia pur con diversi livelli di gravità: condizioni di basso livello culturale e difficoltà di integrazione sociale; carenze dell’autostima e dell’assertività che inibiscono le relazioni e le scelte adulte; stati di precarietà personali legati ad una mancata risoluzione di conflitti interiori; debole maturazione di responsabilità adulte connessa a modalità di scelta incoerenti che possono condizionare l’esistenza; carenze cognitivo-intellettive (non certificate o non certificabili per la moderata gravità) che limitano l’acquisizione di competenze complesse in ordine all’occupabilità. Tali elementi costitutivi di una condizione di svantaggio si correlano non di rado a più stati di difficoltà personali ed esistenziali, quali le condizioni di madri sole con figli piccoli, quella degli stranieri gravati da scarsa integrazione e carenti padronanze linguistiche, quella delle persone dotate di percorsi d’istruzione carenti, assenti o precocemente interrotti che non hanno recepito 35 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO l’importanza della formazione professionale extrascolastica. Le condizioni di difficoltà personale e sociale, come sopra descritte, con le autonomie complessive, le capacità acquisite o latenti – specie nell’area dell’apprendimento – le competenze operative ed organizzative, concorrono alla definizione di variegati quadri dell’occupabilità delle persone, dei potenziali di sviluppo e dei limiti al cambiamento, inteso come evoluzione personale integrativa. Il progetto intende coniugare attivamente interventi propri di politiche di assistenza (Welfare) e di politiche attive del lavoro (Workfare), posizionandosi nell’area di contatto tra cultura sociale e politiche occupazionali (Tab.1). Tale finalità ha richiesto una progettazione orientata alla sperimentazione e alla costruzione di significati condivisi fra vari attori del sistema territoriale su una molteplicità di livelli: la configurazione organizzativa del servizio, il suo assetto e le interlocuzioni territoriali con gli stakeholder, la metodologia di lettura della domanda e la definizione del sistema dell’offerta. Il sistema d’offerta del servizio denominato “Orienta Lavoro”, di matrice educativa per adulti, punta allo sviluppo delle risorse personali e lavorative, partendo da una valutazione di fattori individuali e sociali incidenti sull’occupabilità delle persone a cui seguono progettazioni individualizzate. Nel corso del tempo il servizio, in raccordo con gli altri attori del sistema locale sociale, lavoro e della formazione, si è disposto ad una innovazione e differenziazione delle pratiche professionali, applicando metodologie che spaziano dalle pratiche di accompagnamento sociale ed educativo per adulti, al self empowerment 1, all’orientamento professionale, alla costruzione di percorsi formativi e di inserimento lavorativo. La rilevazione dei bisogni individuali si pone alla base di una progettazione che, supportata dalle competenze degli assistenti sociali, può avvalersi di una gamma di interventi comprendenti l’integrazione del reddito, la borsa sociale con finalità formative o inclusive, l’orientamento, il tirocinio, la formazione professionalizzante. Fin dai primi anni di attività è emersa la necessità di impostare il supporto e l’affiancamento agli individui fragili o svantaggiati con specifici percorsi di accompagnamento utili ad elevare le soglie di occupabilità, organizzando le risorse valutative e gli interventi orientativi del servizio. Nel sistema agiscono 12 assistenti sociali dell’Area adulti e 2 educatori per adulti; il servizio Orienta Lavoro opera sia come “assessment centre” sia come ufficio di progettazione degli interventi. Nell’arco temporale della nostra esperienza professionale ci siamo occupati di circa 650 utenti con interventi con- UN SERVIZIO PER L’OCCUPABILITÀ Tab.1: Il progetto coniuga attivamente interventi propri di politiche di assistenza (Welfare) e di politiche attive del lavoro (Workfare), posizionandosi nell’area di contatto tra cultura sociale e politiche occupazionali 36 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 sulenziali, orientativi e, tramite i centri accreditati, formativi; tra questo gruppo 450 persone sono state coinvolte in processi di accompagnamento mirati di potenziamento delle risorse e contrasto della fragilità. LA DEFINIZIONE DI QUADRI TIPICI DI FUNZIONAMENTO Un team valutativo procede periodicamente alla ricognizione delle caratteristiche dello svantaggio correlate ai livelli di occupabilità. La valutazione si prefigge l’emersione delle tipicità caratterizzanti le categorie dello svantaggio, correlate al grado di rilevanza dello stesso. La mission del servizio, partendo dalla categorizzazione di tipologie d’utenza omogenee per livelli di fragilità e potenziale di occupabilità, mira ad una risposta che rispetti le aspirazioni del singolo entro un processo di sviluppo. Le categorizzazioni per tipologie non si prefiggono un etichettamento statico delle condizioni di svantaggio rilevate ma sono da intendersi come ‘fotografie di stato’ mutabili, perché soggette ai processi evolutivi e trasformativi interpretati dai beneficiari. Non esistono infatti situazioni immutabili in quanto, pur nei casi più complessi, si riscontrano margini di sviluppo, ancorché slegati da un’occupabilità perseguibile. Si sono individuate 5 dimensioni tipologiche dello svantaggio, correlati ai trattamenti più consoni alle specificità: VULNERABILITÀ TRANSITORIA VULNERABILITÀ SVANTAGGIO LIEVE SVANTAGGIO COMPLESSO SVANTAGGIO CONCLAMATO (Tab. 2) . Tale categorizzazione, specie per le condizioni di vulnerabilità, che presentano caratteristiche di maggiore prossi- mità all’occupabilità, non è immune dal condizionamento dei fattori ambientali e correlati al quadro socio-economico che determina le mutate condizioni del mercato del lavoro. Una lettura attenta, precedente la progettazione dell’offerta, delle potenzialità di sviluppo delle persone agevola e rafforza qualitativamente il lavoro sociale. Tale modello valutativo è strettamente coniugato alla professionalità degli operatori, che si sentono coadiuvati dagli indicatori di valutazione predisposti e li possono funzionalmente rapportare ai propri schemi valutativi. Gli operatori attivi entro il sistema dedicato agli adulti con difficoltà occupazionali, utilizzano gli stessi ‘indicatori bersaglio’ di una specifica griglia di valutazione, articolata in due passaggi valutativi e predisposta all’individuazione dei profili sopra illustrati, ricercandone l’omogeneità applicativa e concorrono così al rafforzamento di un linguaggio e di una cultura valutativa condivisa. PRIMO PASSAGGIO VALUTATIVO: FATTORI COMUNI DI FRAGILITÀ Il primo passaggio valutativo della griglia opera una ricognizione di ‘fattori comuni di fragilità’, fondati su dati “di stato” oggettivi della persona e sulla sua storia formativo-lavorativa: l’età; l’istruzione; la formazione extrascolastica; lo stato di povertà; il contesto familiare; le reti socio relazionali; la presenza di carichi di cura familiari; lo stato di salute; il periodo di disoccupazione; l’omogeneità e longevità delle esperienze lavorative (facilitanti la professionalizzazione); la disponibilità oraria al lavoro; l’autonomia nella mobilità; le competenze linguistiche; le competenze informatiche e infine la cura di sé. La lettura di questi fattori permette una riflessione sulle dotazioni funzio- 37 GIUSEPPE BARAZZUTTI Vecchia e bambina a Sauris di Sopra, 192, olio su tela. 38 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 39 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO nali all’occupabilità, sia pur parziale e necessitante l’integrazione valutativa: i luoghi originari di provenienza, i vissuti personali e familiari con il bagaglio di diverse culture, le caratteristiche di personalità, la molteplicità delle situazioni esistenziali che hanno prodotto una condizione di svantaggio confluiscono nel definire specifici stili di vita, atteggiamenti e comportamenti contribuendo, tutti assieme, a individualizzare e differenziare ampiamente la casistica. Risulta pertanto indispensabile valutare degli indicatori di funzionamento personale, sociale e organizzativo che rinforzino il primo quadro di indagine. la natura dei problemi che richiedono una soluzione; i livelli di dipendenza/autonomia da condizionamenti esterni; le capacità auto valutative che consentono alla persona di individuare aspetti di sé che potrebbe integrare o modificare; la capacità - proattiva - di anticipare i problemi, le esigenze ed i cambiamenti. l SECONDO PASSAGGIO VALUTATIVO: INDIVIDUAZIONE DEL ‘CAPITALE DELLE RISORSE INDIVIDUALI’ A completamento del quadro d’indagine, il secondo passaggio valutativo della griglia compone una rappresentazione articolata in cinque dimensioni – socio cognitiva, valoriale/motivazionale, socio relazionale, emotiva, operativa o dell’agency – i cui indicatori, desunti dalla pluriennale esperienza degli accompagnamenti personalizzati di Orienta Lavoro, compongono il ‘capitale delle risorse individuali’. l 40 La dimensione socio cognitiva concerne le abilità che consentono alla persona adulta di esercitare un’influenza significativa sul piano vita aspirato e ricercato, appoggiandosi a doti innate e acquisite: riflessività; perspicacia; adeguati schemi di ragionamento; capacità di stare su un piano di realtà; il problem solving come abilità di individuare le fonti e l l La dimensione valoriale/motivazionale riguarda quegli attributi di valore (desunti dal rapporto con gli operatori) che consentono alla persona di collaborare sintonicamente con gli altri per il raggiungimento degli obiettivi personali, esercitando la responsabilità adulta: la prontezza alla collaborazione; una condotta collaborativa e tollerante; la franchezza; la dotazione di spirito di iniziativa ed intraprendenza; la percezione dell’inopportunità dell’autoindulgenza e dell’autogiustificazione protratte; la volontà di migliorare alcuni aspetti personali in un’ottica evolutiva per favorire gli obiettivi concordati con il servizio. La dimensione socio relazionale si riferisce alle componenti fondamentali delle relazioni umane: abilità comunicative e dialogico-empatiche; flessibilità ed assertività relazionale con attenzione all’alterità; capacità di esercitare una relazione non gravata da inibizioni, insicurezze e remissività penalizzanti; correttezza nei rapporti, con condotte esenti da aggressività e manipolazioni; abilità negoziali; individuazione dei presupposti che convalidano la capacità di inserirsi in nuovi contesti sociali e/o lavorativi tra cui il rispetto delle norme esplicite ed implicite. La dimensione emotiva è fondamentale per la maturazione dei requisiti al lavoro nella dimensione lavorativa dei soggetti deboli. La dotazione di razionalità ed emotività sufficientemente QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 correlate e bilanciate, accompagnano le persone al confronto con i momenti cruciali della loro esistenza. E’ questa la dimensione che forse, più di altre, richiede interventi di sostegno perché l’abilità derivata dalla consapevole gestione, nelle persone fragili, della loro interiorità, con il raccordo tra le componenti riflessive ed emotive, favorisce le scelte strategiche, gli atteggiamenti e comportamenti adeguati nei contesti organizzativi complessi, le relazioni stabili e costruttive. Quando la persona con accorta riflessività si investe nella valutazione e gestione delle emozioni positive, a fronte di un riconoscimento dell’importanza dell’autocontrollo dei propri impulsi e delle emozioni spiacevoli, ne ricava un dominio delle esperienze e delle relazioni favorente la costruzione dei propri obiettivi vitali. Ne derivano quindi: sicurezza e fiducia interiore; tenuta agli stress e alle avversità; una relativa libertà dalle situazioni generatrici d’ansia con capacità di prefigurazione di una diversa e più positiva rappresentazione di sé. l La dimensione dell’agency chiude l’indagine del capitale delle risorse individuali. Gli avvii dei percorsi di empowerment individualizzati si reggono sulle possibilità di cambiamento delle persone e sul loro investimento di apertura al futuro tramite la ‘possibilitazione’2 . Essenziale risulta l’impegno ad attivare e sostenere la competenza ad agire (“agency”). Non è possibile pervenire ad un’attività lavorativa e poterla perseguire a prescindere dalla disposizione di adeguate capacità di azione per le quali ci misuriamo con il termine polisemico agency, inteso prioritariamente come disposizione mentale e strategica delle persone all’azione finalizzata al raggiungimento degli scopi 3. Oltre alla dotazione di capacità decisionali ed organizzative si valutano le seguenti abilità: saper integrare e potenziare le proprie risorse e competenze; disponibilità a seguire percorsi orientativi, di formazione di base o formazione professionale (ri)qualificante; giungere ad una domanda di lavoro sostenuti dalla consapevolezza che le esperienze frammentate e diversificate possono richiedere una ricomposizione nella formazione; dimostrare capacità di assumere iniziative autonome ed operativamente efficaci, ciò a premessa dell’esercizio di abilità gestionali e operative. VULNERABILITÀ, SVANTAGGI LIEVI E OCCUPABILITÀ: L’OFFERTA INTEGRATA DEI SERVIZI La presa d’atto di una crescita di vulnerabilità in segmenti significativi di popolazione e la mutazione del fenomeno svantaggio che si ri-connota assumendo forme eterogenee e di varia gravità (che spaziano dalla lievità alla complessità fino alla più tipica, ben connotata, marginalità sociale) e la conseguente necessità di rispondere con interventi interistituzionali specifici ha indotto i Servizi sociali ad utilizzare l’occasione offerta dalla programmazione del Piano di Zona provinciale (PdZ 2013-2015) per una diversa, innovativa, impostazione delle pratiche di supporto e per la costruzione di una struttura di connessione tra le istanze sociali e quelle formativo-lavorative-occupazionali. Già da alcuni anni nel territorio dell’Ambito 6.5 era stato avviato il Progetto VAI (valorizzazione accoglienza integrata) che riuniva i servizi in un protocollo operativo di rete per sostenere scelte di vita appropriate e responsabili tramite un modello condiviso di accoglienza degli utenti 41 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO 42 e di congruità dell’offerta dedicata4. Queste spinte ed esperienze hanno pertanto favorito entro la progettazione del PdZ e la realizzazione delle relative “Misure di contrasto alla povertà – integrazione con le politiche del lavoro” (Obiettivo 9) un processo di avvicinamento e ricomposizione delle conoscenze e delle competenze – in particolare tra gli Ambiti sociali, la Provincia di Pordenone con i Centri per l’Impiego e il Centro Regionale di Orientamento – volto ad un sistema dedicato alla transizione tra l’area sociale e lavoristica. Ne è sorto un progetto denominato ‘Sistema Provinciale per l’integrazione e l’inserimento lavorativo delle persone in condizione di svantaggio sociale e lavorativo’ che ha condotto alla costituzione delle ‘Equipe integrate territoriali per l’occupabilità’ (ETO) in ognuno dei cinque Ambiti distrettuali provinciali. Il confronto costante tra operatori dei diversi servizi sociali, del lavoro e dell’orientamento, con l’ausilio dell’esperienza maturata in Orienta Lavoro, si è focalizzato soprattutto in sessioni di lavoro di gruppo condotte con modalità autoformative per individuare, rivalutare e ampliare gli indicatori essenziali a sostanziare i profili della vulnerabilità e dello svantaggio. In tali sedi si è convenuto che, in presenza di interventi adeguati, l’occupabilità è alla portata dei profili di vulnerabilità (transitoria o meno) e di svantaggio lieve mentre, per gli altri profili (svantaggio complesso, svantaggio conclamato) è necessario approntare percorsi diversamente finalizzati che, in taluni casi, potrebbero condurre ad occupabilità. Entro il sistema provinciale, le ETO hanno adottato la griglia di valutazione creata nell’Ambito 6.5 – e aggiornata in seguito al confronto provinciale di cui sopra – come strumento elettivo di codifica dei profili sociali che, in relazione alle diverse fragilità, possono accedere ad occupabilità di- retta tramite l’intervento dei Centri per l’Impiego o a percorsi propedeutici l’occupabilità volti al potenziamento delle risorse; per i percorsi socio occupazionali e quelli inclusivi a contrasto di marginalità è esclusa la segnalazione all’ETO. Per ogni utente segnalato al sistema viene predisposto un piano di azione individualizzato che prevede la costruzione di un progetto alla cui cura concorrono gli operatori dei diversi servizi coinvolti (sociali, educativo e orientativo professionali e del lavoro). La complessità degli interventi rivolti ai vari profili, che non comprende i soli interventi volti all’occupabilità, richiederebbe un allontanamento dalle finalità di questo scritto, segue pertanto una illustrazione delle caratteristiche dei profili di vulnerabilità e di svantaggio lieve che meglio rispondono alle azioni di sviluppo delle competenze generali e specifiche messe in campo dal servizio Orienta Lavoro. PROFILI DELLA VULNERABILITÀ CARATTERISTICHE I soggetti inquadrabili nei profili della vulnerabilità, separati per diversi gradi di gravità delle condizioni in vulnerabilità e v. transitoria (vedi Tab. 2), sono persone dotate di consapevolezza dei loro limiti e delle loro risorse e coadiuvate da capacità riflessive ed autocritiche in cui i problemi di autostima, che gravano sugli altri profili, risultano essere marginali. Dispongono di discrete e veloci capacità di focalizzare le questioni di fondo che consentono loro scelte responsabili. Generalmente vivono sentimenti di spiazzamento in quanto hanno costruito esperienze positive nell’organizzazione personale e lavorativa, a fronte di un presente di disoccupazione e spesso di solitudine. Quest’ultima de- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 riva solitamente da situazioni familiari che si sono complicate per i carichi di cura di figli o genitori e una contemporanea assenza di un partner o altri di supporti; ciò determina la limitazione a scegliere alternative costruttive. VULNERABILITÀ TRANSITORIA In molti casi è evidente l’azione di aspetti sfavorevoli ed imprevedibili nella determinazione della vulnerabilità: la persona non poteva evitare gli eventi problematizzanti (repentini e dolorosi abbandoni, malattie e lutti improvvisi in famiglia,…) ciò costituisce un aspetto importante della condizione di vulnerabilità transitoria, che si accompagna ad abilità generali sulla molteplicità degli indicatori osservati. VULNERABILITÀ In altri casi ciò che può generare vulnerabilità deriva da difficoltà di moderata gravità accumulatesi nel tempo, dalla non sempre efficace capacità di fronteggiarle e dalle incertezze decisionali e a questo si correlano, sia pur in forma minore degli altri profili, percorsi d’istruzione e formazione post scolastici non del tutto adeguati alle attuali esigenze del MdL. Queste condizioni rendono la vulnerabilità leggermente più strutturata (non transitoria) e i conseguenti interventi dei servizi coinvolti più elaborati. Gli esiti dei percorsi sono generalmente connotati da riscontrabili incrementi di competenze sociali e operative. AZIONI POSITIVE GENERALI NEL PROFILO Nel profilo generale della vulnerabilità si è potuto accertare nel tempo che le persone necessitano di orientamento professionale breve, di un eventuale bilancio di competenze professionale, di integrazione formativa e di strumenti incentivanti l’occupabilità quali i tirocini. La necessità (frequente) di perseguire una formazione ri-qualificante o una integrazione formativa è velocemente accolta e condivisa e gli operatori sociali devono solo facilitare le condizioni per realizzarla tramite i centri accreditati dalla Regione. PROFILO VULNERABILITÀ E OCCUPABILITÀ Le esperienze professionali di queste persone declinate nei curricula comportano solitamente l’interesse dei contesti lavorativi che ricercano personale per cui, rispetto ad altre casistiche, risulta un maggior numero di colloqui di selezione nel MdL. Le selezioni dagli esiti sfavorevoli sembrano marcare soprattutto il ‘fattore età’ (persone più giovani con minori competenze vengono favorite) o l’esigenza di assumere personale con particolari competenze specialistiche. Tab. 2: Le potenzialità per l’occupabilità, individuate ex ante gli accompagnamenti per il rinforzo, sono inversamente proporzionali alla gravità di svantaggio che, opportunamente contrastata, può ridursi 43 GIUSEPPE BARAZZUTTI Bimba e veduta di Sauris di Sopra, 1921, olio su tela. 44 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Il traino del concime, 1921, olio su legno. 45 GIUSEPPE BARAZZUTTI 46 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Pomeriggio festivo, 1922, olio su tela, part. 47 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO PROFILI DELLO SVANTAGGIO LIEVE Lo svantaggio lieve è il profilo a cui è afferibile la maggior parte dell’utenza seguita da Orienta Lavoro negli ultimi anni; ciò non è in corrispondenza all’entità dell’utenza seguita dalle politiche sociali dell’Ambito 6.5 ma piuttosto ad una scelta organizzativa compiuta alcuni anni fa guidata dall’esigenza di sostenere processi di autonomizzazione, a contrasto di possibili derive assistenzialistiche e di acutizzazione delle fragilità, nelle persone aventi i requisiti a tali processi. Illustriamo di seguito le quattro condizioni più diffuse seguite dal Servizio attinenti al profilo, sottolineando che ad ogni condizione corrispondono situazioni di minore o maggiore gravità che determinano la durata complessiva degli accompagnamenti offerti. Le condizioni più diffuse su cui si è intervenuto riguardano: adulti con maturità deboli, stranieri con difficoltà di integrazione, soggetti over 50 con bassi livelli di istruzione, giovani adulti con difficoltà relazionali. Per affrontare queste ben connotabili condizioni di disagio si è intervenuti con azioni di self empowerment, formazione professionale, orientamento e borse sociali formative (tirocini sull’asse sociale); è interessante notare come tali diverse condizioni talvolta si intrecciano nelle componenti ‘bassa istruzione – formazione’ e ‘debole autostima – assertività’. 48 ADULTITÀ FRAGILI Questa condizione inseribile nello svantaggio lieve (con forme più o meno gravi) è generalmente determinata da una generale difficoltà personale ad esprimere compiutamente le responsabilità adulte che si ripercuotono negativamente nelle dimensioni formative e lavorative. Le persone conosciute, generalmente connotabili come insufficientemente consapevoli delle proprie risorse, con un’autostima bassa o com- promessa e con una scarsa conoscenza di sé e degli obiettivi a cui rivolgersi, tendono ad operare scelte con criteri inopportuni e disfunzionali ai risultati (incostanza, incoerenza dei comportamenti, tendenza a ripetere azioni fallimentari, inadeguata valutazione delle decisioni strategiche, inclinazione all’impulsività e carente esercizio della riflessività, tendenza presente o passata ad agire senza consultazioni,…) venendosi a trovare in una situazione esistenziale difficile che comporta la ricerca d’aiuto ai Servizi Sociali. La fascia d’età maggiormente coinvolta in questi problemi spazia dai 30 ai 40 anni. Essendo debole, in questo profilo, la capacità di modificare autonomamente la propria situazione, queste persone vivono nell’incertezza, percepiscono di avere delle risorse ma non riescono ad individuarle con chiarezza ed organizzarle a loro vantaggio. Dopo i 40 anni queste problematiche tendono a radicarsi e l’azione d’aiuto diviene più complessa. STRANIERI CON DIFFICOLTÀ DI INTEGRAZIONE Possono pure individuarsi nel più generale profilo di svantaggio lieve condizioni di uomini e donne stranieri (generalmente tra i 30 e i 45 anni), che denotano alcune, leggere, difficoltà di socializzazione, competenze linguistiche ritenute insufficienti alle esigenze aziendali e soprattutto livelli di istruzione e di formazione inadeguati al MdL attuale perché non accompagnati da competenze specifiche. Nel periodo immediatamente successivo all’inizio della crisi che ha investito pesantemente le aziende del territorio provinciale (metalmeccaniche, stamperie di materie plastiche, aziende del mobile,…) sono fuoriusciti dai circuiti occupazionali molti stranieri con queste caratteristiche, senza più rientrarvi. Le carenze sono situate su alcuni assi principali: debole autonomia (personale ed economica) ad investire in apprendimenti generali e specifici rivolti alle nuove, superiori, competenze QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 richieste dal MdL; difficoltà ad esercitare una adeguata (auto)promozione delle proprie abilità e competenze, sia per le carenze linguistiche che comunicative (linguaggio ridotto e bassa assertività); tendenza a rivestire ruoli esecutivi, standardizzati e gregari non più ricercati dalle aziende locali, maggiormente rivolte alla ricerca di profili generalmente più istruiti, operativamente molto autonomi, duttili nell’esercizio delle mansioni. ADULTI OVER 50 CON BASSI LIVELLI DI ISTRUZIONE Soggetti over 50, in maggioranza italiani, generalmente autonomi e responsabili e con un pregresso lavorativo di lavoratori non qualificati, con più frequenza afferiscono alla tipologia di svantaggio lieve. Soffrono il disagio di una perdurante disoccupazione che erode, rendendole più fragili, quelle capacità e competenze socio-cognitive, riflessive ed emotive che presiedono all’adattamento a nuovi contesti di lavoro e alle funzioni organizzativo-decisionali che facilitano la produttività. Il fattore età è molto penalizzante per un reingresso nel MdL: sebbene le statistiche provinciali indicherebbero un favorevole riscontro dovuto all’effetto degli incentivi, le persone richiedenti aiuto ai Servizi Sociali per la citata componente ‘bassa istruzione – formazione’ e per la sovrapposizione (in toto) delle caratteristiche già descritte per gli stranieri (scarsa duttilità e flessibilità) risultano pressoché bloccate nel riposizionamento lavorativo. GIOVANI CON DIFFICOLTÀ RELAZIONALI Riguarda ragazzi inoccupati tendenzialmente responsabili e collaborativi alla relazione d’aiuto loro rivolta, desiderosi di accedere al futuro lavorativo e contemporaneamente timorosi di esprimersi fattivamente. Ad inizio percorso sono generalmente collocabili nella forma più accentuata del profilo dello svantaggio lieve ma, in quanto giovani, il loro potenziale di sviluppo (e di uscita dalle condizioni problematiche) è generalmente molto elevato. Denotano difficoltà nella dimensione socio relazionale ed emozionale, talvolta inibizione sociale; soffrono di una carente autostima che influenza le loro capacità negoziali e l’assertività. La loro sensibilità li rende fragili di fronte ai piccoli insuccessi, temono eccessivamente il giudizio altrui. Le esperienze scolastiche possono essere interrotte ma non è infrequente il possesso del diploma superiore. Le citate difficoltà rallentano le loro esperienze preparatorie al MdL, ma questi giovani dispongono di motivazioni ad investirsi al cambiamento e generalmente sono costanti ed affidabili. Quando gli operatori concordano con loro un percorso di sviluppo personale e un supporto formativo, le esperienze on the job (con borse sociali formative o tirocini) ottengono discreti, se non ottimi, esiti sia per l’acquisizione di fiducia di sé che per l’incremento delle competenze trasversali e operative. AZIONI POSITIVE GENERALI NEL PROFILO Le persone afferibili al profilo di svantaggio lieve (di maggiore o minore gravità) necessitano di percorsi strutturati personalizzati, seguiti da operatori sociali ed educativi esperti nel fronteggiare lo svantaggio adulto. La durata di questi percorsi spazia solitamente dagli 8 ai 18 mesi, in relazione alla gravità, e si struttura in pratiche di self empowerment5 e di educativa per adulti. I trattamenti sono improntati a condurre le persone da una diffusa condizione di learned helplessness (impotenza appresa) alla condizione di learned hopefulness (fiducia)6 , valutando e sviluppando diverse modalità di interpretazione delle cause che ostacolano i risultati, perfezionando capacità riflessive e decisionali, e affrontando l’impostazione e gestione delle principali scelte di vita in ambiti relazionali e operativi. L’utilizzo di borse sociali formative in contesti protetti perfeziona 49 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO gli accompagnamenti favorendo lo sviluppo di competenze lavorative e socio relazionali. SVANTAGGIO LIEVE E OCCUPABILITÀ L’accompagnamento di persone in situazione di svantaggio lieve, tenuto conto delle esperienze, abilità e competenze acquisite nel pregresso lavorativo o nel percorso di accompagnamento formativo offerto dai Servizi, indica statisticamente una maggiore facilità all’accesso ad occupazione protetta (cooperative o contesti fidelizzati dai servizi territoriali). La compatibilità ad occupazione non protetta – con l’età favorevole – può essere maggiore qualora la persona abbia maturato competenze di lavoro specializzato certificabili dai Centri per l’Impiego. Difficile il reingresso nel MdL (compresa la cooperazione sociale) per gli over 50 con bassa istruzione/formazione. 50 PROSPETTIVE TRASFORMATIVE PER PERSONE E SERVIZI Riteniamo che il Servizio Sociale debba occuparsi delle possibilità di restituire alle persone accompagnate le competenze per affermarsi e raggiungere obiettivi vitali. Sono compiti centrali di un servizio sociale l’analisi dei bisogni e la formulazione di una offerta progettuale condivisa con gli interessati, coerente con tale analisi. È altrettanto importante che le progettualità si fondino su presupposti di sostenibilità e conseguenti potenziali di efficacia degli interventi correlati. Questo vale anche per un servizio, interno alle politiche sociali comunali, che si occupa di sostegno e accompagnamento di persone portatrici di bisogni e problematiche nell’area formativo lavorativa7. Perché tale processo virtuoso sia solido e quanto più possibile al riparo da dolorosi fallimenti per l’utenza, risulta indispensabile consolidare e aggiornare con continuità le prassi valutative. Conoscere e condividere con le persone interessate la reale natura dei bisogni; approfondire l’analisi dei nodi problematici ambientali e individuali; farne emergere le risorse, i potenziali e i limiti, sono passaggi fondamentali per dare risposte progettuali credibili, convintamene condivisibili e foriere di un cambiamento anche trasformativo. La prospettiva trasformativa non mira tanto a mutare lo stato contingente di disoccupazione quanto a intervenire sulle dotazioni personali e professionali funzionali ad affrontare, in un’ottica di affrancamento dalle necessità di assistenza, la complessità delle sfide esistenziali maturando diverse e più funzionali “prospettive di significato” 8. A chiusura di questa trattazione ci pare necessario soffermarci brevemente sul ‘fattore professionale’ che forse, in una congiuntura generale di risorse limitate, potrebbe essere considerato aspetto demandabile al futuro ed invece, per quanto riguarda le pratiche professionali che cercano l’innovazione ed il superamento di barriere, anche culturali, che ostacolano il raccordo tra mondi diversi (sociali produttivi) è aspetto ineludibile. Non è possibile raggiungere cambiamenti significativi senza disporre di metodiche e pratiche che contemplino interventi interprofessionali in continuità operativa non solo tra servizi diversi ma entro la quotidianità operativa di una singola organizzazione. Componente fondamentale di successo delle progettazioni giunte ad occupabilità è risultata, in base alla esperienza del nostro Ambito, la convergenza di due culture intrecciate nell’operatività ma distinte, più di quanto appaia ad un primo sguardo, nelle matrici di riferimento: l’educativa professionale e l’assistenza sociale. L’epistemologia che conduce l’intervento degli assistenti sociali si differenzia da quella che guida e sostiene gli educatori professionali ma i ‘territori del confronto’, nell’esperienza di quasi 15 anni QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 di lavoro, indicano che le due professioni, quando operano entro un quadro d’azione strutturato, possono soddisfare obiettivi complessi non facilmente raggiungibili negli interventi condotti autonomamente nei propri tradizionali ambiti. Mario Pradella Educatore professionale Marino Giuseppe Educatore e Tecnico del sostegno educativo Ambito distrettuale urbano 6.5 NOTE 1 La metodica del self empowerment, rivolta a soggetti esenti da quadri psicopatologici della personalità, ci pare si integri efficacemente con le azioni orientative, la formazione professionale e le esperienze di tirocinio. Abbiamo riscontrato nel corso del tempo una sua congruità con le pratiche sociali ed educativo professionali adottate nei percorsi di sviluppo individualizzati per adulti. Inoltre, il richiamo teorico del self empowerment, così come descritto da Gheno S. (2005), ai costrutti di autoefficacia (A.Bandura), responsabilità (J. Rotter), speranza (Zimmerman, Seligman), pensabilità positiva (M. Bruscaglioni), ci pare coincidere con i bisogni profondi di parte significativa dell’utenza incontrata. Per un approfondimento rimandiamo a Gheno S., L’uso della forza – il self empowerment nel lavoro sociale e comunitario, McGraw-Hill, 2005 4 Per approfondimenti: Giannetti R. , Zoff G., Chiesa R., Il Progetto V.A.I. – Un modello di rete locale realizzata con la progettazione partecipata - “Quaderni di Orientamento” - Direzione centrale istruzione formazione e cultura Regione FVG, Periodico semestrale n. 35, 12/2009, pp. 54 et sgg. http://www.regione.fvg.it/quaderni/ Quaderno%2035_II%20semestre_Dicembre2009/files/assets/basic-html/ index.html#1 5 M. Bruscaglioni 1991, 1995, 2000; S. Gheno 2005. 6 C. Peterson, S. F. Maier & Seligman, 1993; B.J. Zimmermann 2000. 7 Sulla necessità della trasformazione e 2 Per i processi di possibilitazione rimandiamo a Bruscaglioni M., Persona empowerment, AIF - Franco Angeli, 2007 pp. 25 e seg. dell’aggiornamento dei servizi dedicati al contrasto delle problematiche lavorative dei soggetti deboli si confronti: Villa M., Dalla protezione all’attivazione – Le politiche contro l’esclusione tra frammentazione istituzionale e nuovi bisogni, Franco Angeli, 2007. 3 Per un approfondimento della poli- 8 Per la prospettiva trasformativa inne- semicità del concetto di agency, su cui ritorneremo, rimandiamo al confronto con Agency e linguaggio: etnoteorie della soggettività e della responsabilità nell’azione sociale, Donzelli A. e Fasulo A., (a cura di), Meltemi editore, 2007. scabile in taluni percorsi di cambiamento personale rimandiamo a Mezirow J., Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti, Raffaello Cortina Editore, 2003. 51 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO BIBLIOGRAFIA Bandura A., Autoefficacia: teoria e applicazioni, Erickson, 2000. Brandani W.,Tomisich M., La progettazione educativa – Il lavoro sociale nei contesti educativi, Carocci, 2008. Bruscaglioni M., Persona empowerment, AIF - Franco Angeli, 2007. Colaianni L., La competenza ad agire: agency, capabilities e servizio sociale, Ed. Franco Angeli, 2004. Demetrio D., Tornare a crescere. L’età adulta tra persistenze e cambiamenti, Guerini e Associati, 1991. Gheno S., L’uso della forza – il self empowerment nel lavoro sociale e comunitario, McGraw-Hill, 2005. Giannetti R. e Zoff G. (a cura di) – Un’esperienza di rete locale co-partecipata: il Progetto V.A.I., presentazione al convegno ‘transizioni e domanda di orientamento’ - Udine, 4 ottobre 2011. Gregori D., Gui L., Povertà: politiche e azioni per l’intervento sociale, Carocci Faber, 2012. 52 Negri N., La vulnerabilità sociale – I fragili orizzonti delle vite contemporanee, Animazione Sociale Agosto/Sett. 2006. Quaglino G.P., La scuola della vita. Manifesto della terza formazione, Raffaello Cortina Editore, 2011. Ragazzi E. e Di Meo E., L’inserimento lavorativo dei soggetti deboli nelle imprese: aspetti teorici e approfondimenti empirici, in Vitali G., e Ragazzi E. (a cura di), I fabbisogni formativi dei soggetti deboli, CERIS Franco Angeli, 2005. Sicora A., L’assistente sociale riflessivo, Pensa Multimedia, Lecce, 2005. Villa M., Dalla protezione all’attivazione – Le politiche contro l’esclusione tra frammentazione istituzionale e nuovi bisogni, Franco Angeli, 2007. Padoan I., Forme del disagio adulto, Pensa Multimedia Editore 2005. Palmieri C., Prada G. (a cura di), La diagnosi educativa. La questione della conoscenza del soggetto nelle pratiche pedagogiche, Franco Angeli, 2005. Palmieri C., La cura educativa. Riflessioni ed esperienze tra le pieghe dell’educare, Franco Angeli, 2003. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Rilievi di case a borgo Tredolo a Forni di Sotto, 1927-1929, matita su carta. Case di Sauris e figura femminile, 1922, matita su carta. 53 GIUSEPPE BARAZZUTTI Studio di interno con due figure, 1921 ca., matita su carta. 54 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 55 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO LA CENTRALITÀ DEL LAVORO L’IMPORTANZA DEI VALORI PROFESSIONALI DELLA PERSONA A A parità di condizioni le persone che mettono al centro della loro vita il lavoro hanno maggiori probabilità di continuare a lavorare anche dopo una grossa vincita (e viceversa). Quale ruolo gioca la centralità del lavoro nella costruzione dell’identità professionale o nella ricerca di una professione? 56 Fortunato Mior CENTRALITÀ DEL LAVORO: LA DEFINIZIONE DEL COSTRUTTO Il costrutto della Centralità del lavoro, inteso come espressione di valori professionali di una persona, in passato è stato poco considerato dalla ricerca sociale, anche se – almeno in ambito sociologico – una sua definizione risale agli inizi del ’900 con lo studio di Weber sull’etica del protestantesimo. Nella nota tesi esposta da Weber (1930) si sostiene che la “mentalità” del protestante abbia influenzato la nascita di una “mentalità” capitalista: dove cioè la persona è portata a considerare il lavoro come un valore in se stesso, perché attraverso il lavoro, o meglio attraverso il reinvestimento dei frutti del lavoro, si possono generare iniziative economiche e avere così altro benessere, considerato, quest’ultimo, come il segno tangibile della grazia divina. Nel dopoguerra nell’ambito della psicologia vanno segnalati sia alcuni questionari tendenti a valutare il livello di “etica protestante”, come il Protestant ethic scale di Mirels e Garett (1971), sia alcuni apporti in qualche modo pertinenti con il tema della centralità del lavoro: l l Meclelland e Atkinson (1953) introdussero il costrutto di bisogno di realizzazione (need for achievment) riguardante la necessità, per determinate persone, come il protestante, di portare a termine un compito con successo. Dubin (1956), invece, spostò l’attenzione dall’etica del lavoro alla percezione degli interessi centrali della vita elaborando un questionario che permetteva di confrontare l’importanza per il proprio lavoro – non il lavoro in generale - con altre aree della propria vita come la famiglia e il tempo libero. Solo dagli anni ’80, il costrutto è stato analizzato con maggiore sistematicità ed è stato confrontato con altri fattori simili o sovrapponibili. Kostek (2012) riporta le principali definizioni di Centralità del lavoro: l l Per Manheim (1975) riguarda i contenuti relativi al lavoro nei processi mentali dell’individuo, che si riflettono nel modo di rispondere a questioni che lo coinvolgono nel ruolo di lavoratore come preoccupazioni, il grado di conoscenze e degli interessi. Per Warr e Cook (1979) riguarda il grado con cui una persona vuole impegnarsi nel lavoro. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 l l l Per Kanungo (1982) è la convinzione personale circa il grado d’importanza che il lavoro svolge nella propria vita. Per Mow (1987) è il grado d’importanza generale che il lavoro ha in ogni momento nella vita di un individuo. Per Paullay (1994) sono le credenze che gli individui hanno per quanto riguarda il grado d’importanza che il lavoro gioca nella loro vita. Alcuni autori, come Kanungo (1982) hanno usato il termine coinvolgimento lavorativo (work involvement) per definire il medesimo concetto. Tuttavia, va detto, che la Centralità del lavoro è riferita a una concezione della vita, a un orientamento che implica l’identificazione con il lavoro e l’impegno nel lavoro tout court e, quindi, va distinta dal coinvolgimento, dall’impegno e dalla preoccupazione che una persona può manifestare in una determinata situazione lavorativa o in un particolare periodo lavorativo. A tal proposito Paullay et altri (1994) hanno chiarito la distinzione tra i due concetti attraverso l’analisi fattoriale e individuando due fattori distinti tra loro. Un’ulteriore comprensione del costrutto in questione è data dal confronto con il Work Alchoolic e con il Comportamento di Cittadinanza Organizzativa. Il termine work Alcholic, introdotto da Oates (1971), è definito attualmente come un “Disturbo ossessivo-compulsivo che si manifesta attraverso richieste autoimposte, un’incapacità di regolare le proprie abitudini di lavoro ed eccessiva indulgenza nel lavoro fino all’esclusione delle altre principali attività della vita. Inoltre si riferisce a una persona il cui bisogno di lavorare è talmente eccessivo da creare notevoli disagi e interferenze nello stato di salute, nella felicità personale, nelle relazioni personali e familiari e nel suo funzionamento sociale (Robinson, 1998). Come si può notare i due costrutti per molti aspetti sono l’un con l’altro opposti: ad esempio per quanto riguarda la soddisfazione lavorativa. La centralità del lavoro sembra invece essere in relazione con il comportamento di cittadinanza organizzativa (Organizational citizenship behavior, OCB) descritto da Organ (1988) e che consiste nella scelta personale e discreta a impegnarsi nel far funzionare un’organizzazione lavorativa senza che ciò rientri tra i compiti lavorativi assegnati oppure senza un riconoscimento formale e senza incorrere in sanzioni qualora interrompa tale comportamento. La persona OCB, tradizionalmente nominata Buon Soldato è caratterizzata da altruismo, virtù civica e lealtà (helping behavior, civic virtue, sportmanship) (Podsakoff, 1997). La ricerca di Ucanok (2008) evidenzia che il comportamento OCB in parte dipende dalla centralità del lavoro. In particolare la centralità del lavoro sembra privilegiare una relazione con la dimensione “virtù civica” dell’OCB, cioè con il senso di coinvolgimento responsabile e costruttivo in un’organizzazione. I DETERMINANTI DELLA CENTRALITÀ DEL LAVORO Tra gli antecedenti, cioè tra le cause, della centralità del lavoro possiamo indicare le seguenti variabili: l Il genere: Una relazione tra il sesso e la centralità del lavoro è ipotizzabile laddove sussiste una diversità nei ruoli lavorativi tra uomini e donne: quanto più i ruoli sono diversi tanto più sono centrati sulla carriera lavorativa per l’uomo e sulla famiglia per la donna. In una società con una forte divi- 57 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO sione dei ruoli all’uomo è delegato il compito del sostegno economico della famiglia è, quindi, maggiore dovrebbe essere l’investimento delle risorse personali nello sviluppo della carriera professionale e dell’identità di lavoratore con una conseguente forte centralità del lavoro. Gli studi passati in rassegna da Kostek (2012) sono contrastanti: in alcuni non vi è alcuna differenza di sesso nella Centralità del lavoro mentre in altri, gli uomini, in generale, riportano livelli di centralità del lavoro più elevati. Ciò può essere il segno che le forti trasformazioni sociali degli ultimi decenni che hanno portato a una maggiore parità di genere nel mondo occidentale non hanno ancora colmato tutte le differenze rispetto al lavoro (guadagni e livelli di carriera inferiori nelle donne) con ripercussioni sulla centralità del lavoro, senza contare che alle donne è chiesto di investire e distribuire le proprie risorse personali parimenti in una molteplicità di ruoli, famiglia, genitore, lavoro. l 58 L’età: Con l’aumentare dell’età la centralità del lavoro tende a crescere come dimostrano alcune ricerche citate da Bal e Kooij (2011). Aumentando con l’età le responsabilità verso se stessi e/o i famigliari maggiore diventa la necessità di garantirsi una stabilità finanziaria, che passa anche attraverso una maggiore importanza data al lavoro (Gould & Werbel, 1983). È stato ipotizzato (Manneheim, 1975) ma non ancora verificato, che la relazione tra l’età e la centralità del lavoro sia di tipo curvilineo in virtù del fatto che possa essere meno marcata tra i giovani e i lavoratori più anziani: i giovani possono non aver avuto abbastanza tempo da investire pienamente se stessi nel loro lavoro, mentre le persone anziane avvicinandosi alla pensione possono iniziare a svincolarsi dal lavoro per prepararsi alla vita di pensionato. Bal e Kooij (2011), hanno anche riscontrato che l’età svolge un ruolo mediatore nel modo di “relazionarsi” con l’organizzazione lavorativa da parte di persone con alta o bassa centralità del lavoro. Le persone con un’alta centralità del lavoro tendono ad avere un Contratto Psicologico1, termine che si riferisce alle credenze personali che si hanno nel merito degli accordi e degli scambi con l’organizzazione lavorativa cui si appartiene, di tipo relazionale, inteso come un investimento per la crescita della carriera professionale. Al contrario tra le persone con una bassa centralità del lavoro, si riscontra maggiormente un modo di relazionarsi di tipo transazionale, inteso come un rapporto di minore durata e volto a ottenere benefici materiali. L’età, giovani lavoratori o lavoratori adulti, rafforza queste due tendenze, in particolar modo i lavoratori adulti e con alta Centralità del lavoro tendono maggiormente a un tipo di contratto psicologico di tipo relazionale. l l Il livello d’istruzione: Goldman (1973) ha fornito prove che suggeriscono che le persone che si pongono obiettivi professionali elevati, investendo il loro tempo nella preparazione per il lavoro attraverso un percorso lungo d’istruzione, in linea con i propri interessi e valori, hanno maggiori probabilità di identificarsi con il lavoro scelto e di metterlo al centro della propria condotta di vita. Le variabili personali: Le persone che possiedono un’autoefficacia lavorativa alta tendono ad avere anche una maggiore centralità del lavoro (Oguegbe et altri, 2014). Ciò concorda con la teoria di Bandura, dove le credenze di efficacia personale contribuiscono a incrementare sentimenti di serenità nell’affrontare compiti e attività difficili. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 LE CONSEGUENZE DELLA CENTRALITÀ DEL LAVORO Tra le conseguenze della Centralità del lavoro vanno segnalate: La soddisfazione al lavoro È stato ipotizzato che tra le conseguenze derivanti dalla centralità del lavoro vi sia la soddisfazione al lavoro (job satisfaction), in base al presupposto che il lavoratore tanto è più coinvolto nel suo lavoro tanto più, potrà trarne soddisfazione, rispetto al lavoratore meno coinvolto. In effetti, le ricerche sembrano confermare questa ipotesi (Mannheim et altri, 1997) anche se la correlazione tra i due fattori in genere non è molto elevata essendo data l’influenza di molti fattori sul job satisfaction. Inoltre, più un ruolo lavorativo è gratificante o soddisfacente, più rafforzerà il legame tra la soddisfazione sul lavoro e la centralità del lavoro come hanno dimostrato Mortimer e Lorence, (1989). Il tempo lavorativo Coloro, che vedono il lavoro come una parte importante della loro vita, sono più propensi a dedicargli più tempo. Ciò può implicare disponibilità per lo straordinario o per tempi prolungati. Essendo il lavoro parte della loro vita sono più interessati a vedere il proprio impegno portato a termine, senza badare al tempo che vi è dedicato. Al contrario, s’è visto che le persone cercano di fare lavori part-time in modo da avere più tempo da dedicare ad attività non legate al lavoro (Diefendorff et altri, 2002). L’impegno nell’organizzazione lavorativa L’impegno nell’organizzazione lavorativa (Organizational commitment) fa riferimento alla relazione tra il dipendente e l’organizzazione ed è inteso come il desiderio di mantenere la propria permanenza all’interno dell’organizzazione, di partecipazione attiva, d’impegno. L’attaccamento affettivo verso l’organizzazione, il senso di responsabilità morale nei suoi confronti è “una forma d’identificazione degli individui con l’organizzazione, identificazione con i suoi obiettivi unitamente al desiderio di rimanere a farne parte“ (Meyer, 1993). L’impegno nell’organizzazione lavorativa pare essere una conseguenza anche della centralità del lavoro perché chi ha una centralità del lavoro alta è più incline a sviluppare una relazione positiva e affettiva (e quindi d’impegno) con l’organizzazione e, ad esempio, è più restio a smettere o ad andare in pensione (Schmidt et altri, 2008). Il coinvolgimento lavorativo L’entusiasmo e la partecipazione allo svolgimento della propria attività lavorativa (job involvement), dovrebbero rimanere relativamente costanti al variare delle situazioni lavorative nelle persone con alta centralità del lavoro. Oltre a ciò, quasi tutte le ricerche hanno dimostrato una relazione positiva, anche se moderata, tra la centralità del lavoro e lo Job Involvement (Paulley et altri, 1994; Diefendorff et altri, 200). MISURARE LA CENTRALITÀ DEL LAVORO La psicologia ha proposto un’ampia gamma di strumenti finalizzati alla valutazione dei valori professionali, cioè strumenti volti a individuare quali dimensioni valoriali le persone desiderano esplicitare attraverso il lavoro (creatività, autonomia, leadership, prestigio, crescita personale, ecc.). Tuttavia, questi strumenti solitamente non ci indicano quanto il lavoro sia importante e fondamentale nella vita di una persona o per meglio dire la sua “etica del lavoro”. 59 GIUSEPPE BARAZZUTTI Case di Gemona in piena luce viste dalla finestra dello studio del pittore, 1922, olio su compensato. 60 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Motivo di Sauris, 1922, olio su tela. 61 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO Per niente disaccordo Disaccordo Né d’accordo né in disaccordo Work Involvement Questionnaire (Kanungo, 1982) Tra gli strumenti ricordiamo il Work Involvement Questionnaire di Kanungo (1982) composto di sei items (vedi tabella 1). D’accordo Ecco perché nel counseling orientativo accanto ai valori professionali Gli strumenti che misurano la centralità del lavoro sono perlopiù brevi, essendo la centralità del lavoro mono fattoriale. Molto d’accordo Tabella1: Work Involvement Questionnaire (Kanungo, 1982) (*) Nota: La traduzione è indicativa 1. A mio modo di vedere gli obiettivi che una persona persegue nella vita dovrebbero essere orientati sul lavoro. 2. Il lavoro dovrebbe essere considerato centrale nella vita. 3. Ciò che di importante accade nella vita ha a che fare con il lavoro. 4. La vita è degna di essere vissuta solo quando le persone sono assorbite dal lavoro. 5. Il lavoro è qualcosa dove la gente dovrebbe essere coinvolta per la maggior parte del tempo. 6. Il lavoro dovrebbe essere solo una piccola parte della vita di una persona. 1. Solo una piccola parte della vita di una persona dovrebbe essere incentrata sul lavoro. * 2. A mio avviso, gli obiettivi personali nella vita di un individuo devono essere orientati verso il lavoro. 3. La vita è degna di essere vissuta solo quando le persone sono assorbite nel lavoro. 4. La maggiore soddisfazione della mia vita viene dal mio lavoro. 5. Le cose più importanti che mi accadono riguardano il mio lavoro. 6. Ho altre attività nella vita che sono più importanti del lavoro.* 7. Il lavoro dovrebbe essere considerato fondamentale per la vita. 8. Vorrei probabilmente continuare a lavorare, anche se non avessi bisogno di soldi. 9. Per me, il lavoro è solo una piccola parte di ciò che sono.* 10. La maggior parte delle cose della vita sono più importanti del lavoro.* 11. Anche se il sussidio di disoccupazione fosse rilevante io preferirei lavorare. 12. Nel complesso, ritengo che il lavoro sia molto centrale nella mia esistenza. 62 Molto d’accordo D’accordo Un po’ d’accordo Un po’ in disaccordo Centrality Work Scale (Paullay et altri, 1994) Non sono d’accordo La scala di Paullay Centrality Work Scale (Paullay et altri, 1994) è invece composta da dodici items, come riporta la tabella 2. Fortemente in disaccordo Tabella2: Centrality Work Scale (Paullay et altri, 1994)) (*) Nota: La traduzione è indicativa QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Per niente d’accordo Disaccordo Né d’accordo né in disaccordo Molto d’accordo Work Ethics Scale (Miller et altri, 2001) Tabella 3: Work Ethics Scale (Miller et altri, 2001) (*) Nota: La traduzione è indicativa D’accordo Infine, anche il Work Ethics Scale di Miller et altri (2001) contiene una sotto scala sulla centralità del lavoro composta da dieci items (vedi tabella 3) in uno strumento che valuta sette dimensioni etiche del lavoro. 2. Mi sento a disagio quando ho poco lavoro da fare. 4. Mi sento contento quando ho passato la giornata lavorando. 10. Anche se finanziariamente potessi, io non smetterei di lavorare. 13. Una dura giornata di lavoro è molto appagante. 30. E’ molto importante per me essere sempre in grado di lavorare. 33. Anche se ereditassi una fortuna, continuerei a lavorare. 40. Anche se per me fosse possibile andare in pensione, vorrei ancora continuare a lavorare. 41. La vita senza lavoro sarebbe molto noiosa. 52. lavorare mi fa provare un senso di appagamento. 64. Una giornata di lavoro impegnativo dà un senso di realizzazione. LA CENTRALITÀ DEL LAVORO NEI GIOVANI La rappresentazione del lavoro e l’acquisizione del suo valore è diventato negli adolescenti un processo più complesso e difficile, anche perché tale processo è oggi meno esperito e più mediato da altre esperienze come la scuola, le attività del tempo libero e dall’informazione mediatica. La società moderna ha allontanato i giovani dall’esperienza concreta del lavoro non essendo quest’ultimo più al centro della loro vita; se non in forma di un progetto la cui realizzazione è procrastinata nel tempo. Un giovane, quindi, a causa della mancanza di esperienza diretta nel lavoro può avere difficoltà a definire quanto importante e significativo sia per lui il lavoro - inteso nel senso più ampio - che un giorno andrà a realizzare. Le ragioni del differimento dell’incontro con il mondo del lavoro da parte dei giovani sono note e riguardano i cambiamenti sociali avvenuti in questi decenni. In Italia, ad esempio, alla fine del secondo conflitto mondiale la maggioranza delle persone erano contadini, casalinghe e piccoli artigiani con una scolarità bassa e l’entrata nel mondo del lavoro coincideva spesso con l’inizio dell’adolescenza. Questo rapporto diretto con il mondo del lavoro e il lavoro erano il modo più concreto e reale per definire e ridefinire una personale “etica del lavoro”. Negli ultimi decenni, invece, la scuola e le attività di leisure (sport, volontariato, relazioni sociali, hobbies) sono diventate sempre più il vero mondo delle esperienze di vita dell’adolescente e per quanto, direttamente o indirettamente, siano formative per il lavoro che i giovani andranno a fare forse non lo 63 ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO 64 sono altrettanto per trasmettere i “valori del lavoro”. Inoltre in questi ultimi decenni la famiglia – importante fonte di trasmissione dei valori sul lavoro - è andata incontro a profondi cambiamenti lasciandosi alle spalle un modello rurale dove la concezione del lavoro si fondava sullo spirito di sacrificio, dedizione, abnegazione, fatica, concretezza, aspetti che senz’altro sono propri della centralità del lavoro. Infine, l’enorme importanza assunta dai mass media nell’informazione/formazione dell’identità dei giovani non sempre aiuta a dare l’esatta visione delle professioni e del mondo del lavoro proprio sotto il profilo della Centralità del lavoro. Il successo e il guadagno che la televisione, ad esempio, offre non sempre permettono di percepire le reali dimensioni del “tempo dedicato” per raggiungere quel successo: la casalinga simpatica che prepara dei piatti regionali e il premio Nobel che spiega la sua scoperta non “trasmette” il diverso tempo dedicato che li ha portati lì. Sul piano empirico va segnalato la rassegna di studi di Sharaby e Harpaz (2007) che evidenziano come nel mondo occidentale, negli ultimi decenni, assistiamo a una diminuzione della centralità del lavoro mentre aumenta l’importanza data al tempo libero. Twenge e Kasser (2013) fanno anche rilevare che se da una parte, nell’occidente negli ultimi tre decenni è diminuita nei giovani la centralità del lavoro, dall’altra parte sono anche aumentati i valori materialistici (maggiore bisogno di denaro e oggetti costosi) e ciò rappresenta una crescente discrepanza tra il desiderio di soddisfazioni materiali e la volontà di attivare il lavoro necessario per ottenerli. Speaks (2013) ha indagato la Centralità del lavoro in un campione di studenti universitari mettendola in relazioni agli interessi per il tempo libero, riscontrando che gli studenti orientati al lavoro, rispetto agli studenti orientati al leisure, hanno maggiori preferenze per attività come il giardinaggio e “arti e mestieri”. Ciò perché queste attività del tempo libero richiedono conoscenze, attività fisiche e mentali, di pianificazione, tipiche delle attività lavorative. Kulenovic & Super (1995) hanno indagato la relazione tra la Centralità del lavoro, la maturità professionale (career maturity) e il livello di educazione, riscontrando che la Centralità del lavoro, che è maggiore negli studenti che intendono proseguire negli studi, è in relazione con la maturità professionale. Il soggetto della centralità del lavoro è stato affrontato dall’università dello Stato del Michigan con un programma rivolto agli studenti dal titolo How Central is Work to Young Adults? (Chao, Gardner, 2007). Il programma si pone come obiettivo di informare e far riflettere lo studente sulla dimensione della centralità del lavoro, allargando così l’orizzonte dei valori riguardanti il lavoro e ampliando le loro opzioni sulle scelte di vita. La pubblicazione inizia con la definizione del costrutto della centralità del lavoro e di com’è cambiata la sua importanza nei giovani nel tempo. L’argomento successivo affronta le differenze possibili tra maschi e femmine nella centralità del lavoro e le eventuali barriere culturali e sociali che alimentano tali differenze. Infine sono analizzate le caratteristiche dei giovani che presentano alti, medi e bassi valori nella centralità del lavoro in relazione ad aspetti salienti della vita lavorativa e dove si riscontra che chi ha un’alta centralità del lavoro hanno una visione più chiara e un piano più definito della sua carriera e un modo meno stressante di affrontare le situazioni lavorative. Fortunato Mior Psicologo COR Pordenone QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 NOTE 1 Un questionario di 18 items per la misura del contratto psicologico è stato preparato da Raja, U., Johns, G., & Ntalianis. The impact of personality on psychological contracts. Academy of Management Journal, (2004) 47, 350–367. BIBLIOGRAFIA* Bal M. P., Kooij D., The relations between work centrality, psychological contracts, and job attitudes: The influence of age. 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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Processione notturna del venerdì santo davanti al Duomo di Gemona, 1921, olio su tavola, Museo Civico di Gemona del Friuli. 67 GIUSEPPE BARAZZUTTI Veduta di Sauris di Sopra, 1922, olio su tavola. 68 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Maina e capitello a Sauris di Sopra, olio su cartone. 69 SPAZIO APERTO BEN-ESSERE A SCUOLA LABORATORIO ESPERIENZIALE– MOTIVAZIONALE CON APPROCCIO INTEGRATO Patrizia Missana 70 INTRODUZIONE LABORATORI ESPERENZIALIMOTIVAZIONALI Sulla scia degli interventi attuati negli anni precedenti, nel mio Istituto1 è stato possibile condurre un laboratorio esperienziale e motivazionale, sviluppando le tematiche dell’ascolto, del counseling e del disagio in ambito scolastico, ai quali mi sono ripetutamente interessata sin dall’inizio della mia attività d’insegnamento. Questo laboratorio è rivolto ad alcuni alunni delle classi terze della secondaria di I grado, che segnalavano difficoltà di relazione e di accettazione di sé. Si tratta di un percorso di breve durata, finalizzato ad aumentare nei giovani l’autostima, il senso di appartenenza al contesto scolastico ed il benessere a scuola, a renderli consapevoli delle loro risorse e a farli interagire proficuamente, rafforzando la metodologia del fare, tramite attività pratiche. L’itinerario proposto nasce da un bagaglio di esperienze personali che integra esercizi pratici di varie discipline quali ad esempio la Bioenergetica, il Tao Yoga, la Mindfulness, il Chi Kung, la filosofia Zen, la medicina tradizionale cinese. Perché proporre laboratori esperienziali-motivazionali ai ragazzi che frequentano la scuola? L’obiettivo è quello di aiutare gli allievi a imparare a prendersi cura di sé, fin dall’adolescenza. I ragazzi coinvolti possono sperimentare, allenare e far emergere al meglio le loro potenzialità riconosciute e sommerse. Quali sono i passi importanti da fare? La novità del laboratorio proposto consiste nell’inserimento di esercizi di consapevolezza corporea, definita anche “ginnastica sensoriale”, che accompagnano la pratica della Nutripuntura2, o meglio della “scuola dei cinque sensi” per imparare di nuovo a: l pensare e proiettare il proprio sguardo; l rispettare il proprio perimetro; l riflettere e far fiorire la creatività; l parlare, ascoltare, comunicare; l esprimere la propria identità; l coltivare fiducia e ispirazione; l camminare, muoversi e orientarsi; l agire, trasformarsi e realizzare. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Di seguito, vengono presentati gli elementi che costituiscono il percorso laboratoriale: Presenza nel Qui ed Ora Si può partire con la “presenza nel Qui e Ora”, data per scontata da parte di molti adulti, ma per niente semplice da mettere in pratica costantemente. Questo stato di consapevolezza, rispetto al proprio sé, una osservazione costante senza giudizio, l’integrazione delle nostre emozioni e dei nostri pensieri nel nostro corpo, uniti ad un respiro regolare e consapevole, costituiscono tutto ciò a cui un essere umano può aspirare per trovare il suo centro ed esprimere se stesso. Chi sono Io? Potrebbe apparire un po’ azzardato partire con ragazzi così giovani e porli davanti a questa domanda, ma credo che ciò non solo sia utile ma obbligatorio. È fondamentale dar loro la possibilità di crearsi un centro stabile all’interno di se stessi, per far fronte all’instabilità che li circonda: incertezza affettiva, relazionale, lavorativa, ideale. In poche parole il vuoto. Diventa assolutamente necessario sganciarsi dall’idea del proprio “ruolo” e soffermarsi maggiormente sulla propria dimensione interiore, in vista della costruzione del sé, per fondare il proprio radicamento su un terreno stabile e conosciuto su cui potersi esprimere con autenticità. Solo così potranno maturare una scelta consapevole rispetto al proprio vivere. Un secondo passo, che concorre alla costruzione dell’identità del sé, consiste nel dare ampio spazio alle emozioni e al corpo, oltre che ai pensieri, sempre al centro dell’attività didattica. Il corpo, meccanismo di per sé perfetto, ci comunica costantemente lo stato delle cose e i propri bisogni e, se sappiamo ascoltarlo nella sua totalità, è una guida esemplare a tutte le nostre scelte. Per imparare ad ascoltarlo, dobbiamo passare attraverso la respirazione consapevole, che ci permette di entrare in contatto profondo con esso, contemporaneamente sia dall’interno che dall’esterno. Ulteriori passi verso la coscienza di sé implicano l’affermazione del proprio nome, l’osservazione delle proprie reazioni e il riconoscimento dei propri limiti, sempre con una presenza costante e contemporanea nel corpo (respiro), emozioni (sensi) e mente (pensieri). Prestare attenzione consapevole Prestare attenzione a qualcosa in modo consapevole (e intanto essere nel proprio respiro, nella percezione dei propri sensi, nella presenza costante) produce energia nuova, sia quantitativamente che qualitativamente superiore e si costruiscono nuove reti neuronali. Tutto ciò, che appare un esercizio da niente, produce oltre che all’energia rinnovata, un distacco dai problemi, una sorta di felicità, rilassamento e lo scioglimento di stress e tensioni. “Lo stato mentale consapevole favorisce l’apertura a nuove informazioni. La ricezione di nuove informazioni amplifica le capacità mentali” 3. Essere e apprendere: approccio ludico-creativo Per arrivare a rispondere alla domanda “Chi sono io?” bisogna inizialmente capire e conoscere le varie componenti del nostro essere (corpo, mente ed emozioni). L’apprendimento, per concorrere al suo scopo, deve passare attraverso queste stesse componenti, che dovrebbero essere (percepite) presenti contemporaneamente. Anche se esistono, in ognuno di noi, canali preferenziali (cinestesico, visivo, uditivo), l’apprendimento che avviene attraverso il centro motorio, si insedia sicuramente nella memoria più profonda. Sarebbe auspicabile organizzare delle lezioni multisensoriali per soddisfare i bisogni di ogni ragazzo, in modo che tutti possano sentire, vedere e/o rice- 71 SPAZIO APERTO vere un’impressione di ciò che devono apprendere. Se affrontiamo argomenti nuovi, in modo ludico e creativo, e li colleghiamo ad un movimento, stimoliamo maggiormente l’apprendimento. Non sottovalutiamo che la motivazione e l’entusiasmo appartengono al centro emotivo (disegni, musica, favole, fantasia) e non a quello cognitivo (ragionamento, analisi, grafici, materiale scritto, lezione frontale). In questa prospettiva, il ricorso ad una didattica ludico-creativa che unisca corpo, emozioni e mente (mimo, danza, interazione, role play, personificazione storica) risulta partico- larmente efficace. Oggi, soprattutto alla luce delle ultime conquiste delle neuroscienze, non si può più separare l’ambito cognitivo da quello emotivo. Come sostiene D. Goleman nel suo celebre testo “Intelligenza emotiva”, la nostra cultura ci insegna erroneamente che pensieri e sentimenti stiano in mondi quasi separati. In realtà, essi sono sempre intrecciati. Emozione e comprensione rappresentano una realtà biunivoca, non è possibile scinderle così come non si possono impedire i rapporti continui tra la neocorteccia e l’amigdala a livello cerebrale, e i conseguenti mutamenti a livello fisico. TEMPO 8 ORE – NUMERO:12 ESERCIZI CONCETTI La comunicazione identità rispetto-prossemica I limiti sagoma/respirazione consapevole limiti corporei La presenza percezione corporea esplorazione della mano “Qui e Ora” Il radicamento albero grounding La postura orientamento (spazio-tempo) propriocezione-camminata La luce colori rifrazione della luce La vista cartoline-disegno “Osservazione” L’olfatto gioco delle essenze scelta Tab. n. 1: Schema del progetto laboratoriale 72 IL PROGETTO LABORATORIALE Per meglio sostenere il processo di maturazione cognitivo-sensoriale e preparare un terreno fertile per il raggiungimento, nel tempo, di uno stato di benessere profondo e maggior consapevolezza di sé, ci si è soffermati principalmente sulla “presenza corporea”, sperimentandola, ove possibile, attraverso i cinque sensi. Il progetto laboratoriale ha previsto 8 ore di attività come descritte nella Tab. 1. Si inizia con la autopresentazione da parte degli alunni4. Rilevante risulta l’affermazione del proprio nome legato ad un gesto, ad un suono e ad una immagine e l’importanza che viene data alla gestualità, alla prossemica e al linguaggio verbale e non verbale, e ai concetti di rispetto, di ascolto attivo e in particolare al non giudizio sia verso gli altri, che (soprattutto) verso se stessi. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Per far comprendere al ragazzo ancor meglio l’idea della prossemica si introduce il concetto di “limite” con una presa di coscienza della propria figura attraverso l’osservazione e la percezione fisica del proprio corpo. Con l’ausilio di una respirazione si è riusciti ad allentare la tensione che alcuni ragazzi accusavano durante la parte pratica. Nella successiva riflessione di gruppo, tutti gli allievi dichiaravano d’aver compreso l’idea “fisica” del concetto del limite e di sentirsi “sicuramente diversi“, più presenti e più “esistenti”. Coltivare la presenza corporea nel “Qui e Ora” ci permette di essere attenti al mondo circostante, tanto da consentirci di apprendere nuove nozioni con più facilità e sostenere così il processo di maturazione cognitivo, ottenendo un miglioramento nelle prestazioni scolastiche. Nell’esercizio guidato di respirazione consapevole e percezione corporea, “esplorazione della mano”, i ragazzi comprendono in prima persona cosa significa osservare consapevolmente qualcosa: molti sentono una differenza tra la mano osservata e l’altra, altri sensazioni di formicolio, calore; alcuni la percepiscono estranea e lontana. Viene spiegato loro che la sensibilità aumenta in modo proporzionale alla capacità di occuparsi di ciò che ci circonda. Quando si fissa l’attenzione su una parte del corpo, è possibile che questa venga colta da un eccesso di vitalità. In riferimento alla presenza, decisamente importanti risultano essere gli esercizi pratici di orientamento spaziale, e propriocezione, con riferimenti corporei (destra-sinistra, alto-basso, dietrodavanti, dentro-fuori) e quelli di inserimento nello spazio e nel tempo tramite affermazioni della data e del luogo di nascita, del luogo di residenza, della scuola. Questi esercizi sono “testabili” dagli esperti di Nutripuntura (o da coloro che prestano attenzione e hanno un ottimo sentire), tramite l’ascolto della voce e l’osservazione della postura, della gestualità e dello sguardo. I ragazzi percepiscono un cambiamento in loro stessi e nei compagni rispetto all’inizio dell’incontro: sono più presenti, più reattivi. Lo sguardo, in alcuni, è cambiato e la voce appare più “profonda”. Si introduce il concetto di radicamento con riferimento alla “terra”, elemento importante e fondamentale per ognuno di noi, per mantenere la presenza e non essere in balia degli eventi/situazioni. Si approfondisce la respirazione consapevole eseguendo, all’aperto, esercizi di Chi Kung.5 Viene dato spazio a quello dell’“albero” con particolare attenzione all’ambiente circostante, per rivitalizzare anche le percezioni sensoriali: suoni, profumi, colori. Alla fine, l’esercizio sortisce effetti di rilassamento e di pesantezza, d’aderenza e appartenenza alla “terra”. Si sottolinea l’importanza della postura prima da fermi e poi in movimento (“camminata”) e della connessione tra gli organi di senso e la loro risonanza nel nostro corpo. Una errata postura può essere indice talvolta di disagi interiori profondi. Dall’osservazione di alcuni ragazzi sono emerse delle rigidità e/o poca centratura; alcuni, che da fermi evidenziavano un’ottima “presenza”, camminando perdevano certi riferimenti corporei. Rientrando in aula, queste corrispondenze sono state fissate utilizzando il disegno dell’uomo vitruviano di Leonardo: natura perfetta della creazione dell’uomo in sintonia con Terra e Universo. Si introduce il concetto di “luce”: in che modo la visualizzazione dei colori, prodotti dalla rifrazione della luce e la loro risonanza con le parti del corpo, possano riportarci velocemente in equilibrio.6 Prima di introdurre l’esercizio viene sottolineata l’importanza, per il nostro benessere e per il nostro potenziale, dell’impatto della Luce del Sole sul nostro corpo, che si traduce come nutrimento a livello cellulare. 73 GIUSEPPE BARAZZUTTI Veduta invernale di Sauris dalla chiesa di San Lorenzo, 1921, olio su tavola. Nevicata. La casa del Cristo a Forni di Sotto, 1927 ca., olio su tela. 74 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 75 SPAZIO APERTO 76 Si propone l’esercizio dei colori: visualizzazione guidata veicolata dal respiro. Questa tecnica è consigliata in caso di tensione all’interno dell’ambiente scolastico, ad esempio prima di una verifica, con l’obiettivo di perseguire una migliore prestazione. Viene proposto un esercizio per rivitalizzare, potenziare il senso della vista: si sottolinea l’importanza dell’osservazione del particolare, tramite l’utilizzo di immagini/cartoline/quadri d’autore da descrivere. Viene spiegato che il nostro cervello percepisce tutto ciò che ci circonda e che tutto viene registrato. La cosa principale è, quindi, attivare la nostra consapevolezza in questo senso, abituandoci ad essere più presenti anche durante le nostre attività scolastiche e a registrare maggiormente quanto accade intorno a noi migliorando, di conseguenza, le nostre prestazioni. Se durante l’apprendimento intervengono più organi di senso, in situazioni piacevoli/di gioco, verrà attivata maggiormente la nostra memoria a lungo termine. Quando i ragazzi portano la loro attenzione a “qualcosa” in particolare e sono presenti nel Qui e Ora, interrompono momentaneamente il flusso dei loro pensieri e si allontanano da quelli ricorrenti. In seguito, si discute sulle differenze di percezione/sensazione tra l’osservazione di un’immagine rispetto ad un’altra. Attraverso queste riflessioni si attivano meccanismi di scelta più rispettosi delle proprie percezioni ed attitudini, anche in campo scolastico. La rivitalizzazione7 e l’uso consapevole dei sensi risultano decisamente importanti anche nella scelta della scuola secondaria di secondo grado. Secondo la Nutripuntura avere l’idea è in connessione con l’olfatto, e vedere con i propri occhi dove e cosa fare in un futuro più lontano con la vista. Oltre a rivitalizzare l’olfatto con “il gioco delle essenze”, i ragazzi hanno interrotto il flusso continuo dei loro pensieri (interruzione del flusso = rigenerazione), hanno dato tregua alla loro mente, che per un attimo è stata tacitata, hanno dato spazio al loro sentire, al loro “essere” e non per ultimo hanno operato una scelta. L’esperienza si conclude con una tavola rotonda dove vengono osservati e ridiscussi i temi trattati e viene consegnata una scheda con un riepilogo degli esercizi proposti (esercizio/finalità/ difficoltà incontrate/benefici ottenuti). La comunicazione tra coetanei ha avuto giovamento; si è sviluppata la loro capacità di osservazione, ascolto e soprattutto rispetto reciproco. Sicuramente i partecipanti si sono soffermati su loro stessi, hanno imparato ad ascoltarsi o comunque a dare ascolto alla loro parte interiore (pancia = nostro cervello emozionale), a riconoscere le espressioni del corpo, delle emozioni e della mente e talvolta come esse interagiscono. I ragazzi hanno compreso l’importanza dell’utilizzo dei sensi per effettuare una scelta, non in automatismo o per imitazione. Alcuni, sottolineano il loro miglioramento in ambito scolastico, altri in ambito relazionale. BEN-ESSERE TRA I BANCHI Queste metodologie, pensate primariamente per attività di tipo laboratoriale, hanno la loro valenza anche all’interno delle singole discipline e possono essere inserite dai docenti, durante le lezioni curricolari, qualora la situazione contingente lo richieda. Ad esempio con alunni apparentemente “assenti”, svogliati e poco disponibili a lavorare, possono essere proposte l’osservazione della postura (l’importanza della postura, della presenza e del qui e ora), l’utilizzo di affermazioni sull’identità, sullo spazio e sul tempo, in modo che i ragazzi possano riattivarsi da un punto di QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 vista corporeo, emozionale e cognitivo. Ci si può soffermare sul significato profondo di affermazioni così apparentemente banali: “Mi chiamo....”, “Oggi è...”, “Questa é la mia destra” Tutto ciò viene proposto all’intera classe in una dimensione ludica. L’attenzione dei ragazzi è alta e ciò sortisce immediatamente l’effetto di presa di coscienza, di presenza, non solo del ragazzo in questione, ma anche del resto del gruppo. Queste metodologie interattive, propongono nella pratica quotidiana in classe, l’utilizzo delle life-skills.8 I programmi che si limitano a fornire informazioni per una acquisizione dei contenuti, hanno una capacità limitata di intervenire sui comportamenti degli adolescenti. L’interattività è una componente fondamentale e va intesa in senso più ampio del semplice scambio di domande e risposte: si tratta di stimolare gli alunni a discutere e a lavorare insieme in modo positivo. Le stesse abilità verranno poi richieste nel futuro mondo del lavoro: capacità decisionali, pensiero creativo, pensiero critico, auto-consapevolezza, capacità di relazione, capacità di comunicare, capacità di saper gestire le emozioni, capacità decisionali, capacità di risolvere i problemi, empatia. Patrizia Missana Docente di Lingua tedesca Istituto Comprensivo Fontanafredda (Pn) 77 SPAZIO APERTO NOTE 1 Istituto Comprensivo di Fontanafredda, Pn. Vedi anche Viaggio alla ricerca della consapevolezza di sé, in Quaderni di Orientamento, N. 43, Dicembre 2013. 2 La nutripuntura è una nuova professione non Ordinistica, riconosciuta dalla Regione Friuli Venezia Giulia nell’ambito delle discipline del benessere e Bio-Naturali, il cui obiettivo è sostenere la vitalità umana e favorire l’espressione individuale della voce, del movimento e della musica. È un metodo di osservazione e studio dei punti di trasmissione del corpo che costituiscono e collegano la complessità psicosomatica dell’essere umano. Questa complessità si costruisce durante le tappe evolutive della vita, stimolata dall’ambiente con cui interagisce. È una disciplina del benessere e della prevenzione che nasce in Francia negli Anni ‘80 ad opera del dott. Patrick Veret, che pur avendo obiettivi comuni con l’agopuntura, si distingue per la sua originalità e utilizza, al posto degli aghi, dei nutrimenti endocellulari la cui sinergia, proprio come gli aghi in agopuntura, attiva la circolazione di informazioni elettromagnetiche indispensabili alla vita cellulare. 3 F. Fabbro, “La Mindfulness: un’educazione alla consapevolezza. Apprendimento ed effetti psicologici”, in Quaderni di Orientamento, N. 40, 2012. 4 L’attività è stata accompagnata dall’e- 78 sperto nutripuntore Dott. Fabio De Sibio. 5 Si tratta di un’antica arte cinese che comprende forme di movimento che seguono i meridiani cinesi, posture statiche, meditazioni. Esplora la quiete nel movimento e il movimento che vi è nella quiete. Questo tipo di lavoro aiuta a scoprire la postura ideale, il centro di equilibrio, fulcri per il movimento, con minime contrazioni muscolari per muoversi, fare sport o rimanere calmi, efficacemente. Aiuta ad ottenere un livello di salute ottimale. 6 Si fa riferimento agli studi condotti dal fisico F. A. Popp (Teoria dei Biofotoni) nel 1970 e da L. Montagnier, Premio Nobel per la Medicina nel 2008 (uso delle onde elettromagnetiche per la diagnosi della malattia). 7 “Ogni cosa osservata si rivitalizza e prende forma”. (Eckart Tolle). 8 “Le LS definiscono l’insieme di abilità utili ad affrontare la vita, tra cui l’abilità di apprezzare e rispettare gli altri, di creare relazioni positive con la famiglia e gli amici, di ascoltare e comunicare in modo efficace, di fidarsi degli altri e di assumersi le proprie responsabilità” (EU-DAP progetto europeo: Unplugged, Prevenzione a scuola, Manuale per insegnante - basato sul modello di influenza sociale - Comprehensive Social Influence - CSI) QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 BIBLIOGRAFIA Balboni P. E., Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino, 1998. Balboni P. E., Imparare le lingue straniere, Marsilio Ed., Venezia, 2010. Bettoni C., Imparare un’altra lingua, Bari, Laterza, 2001 . Bottani N., Insegnanti al timone? Fatti e parole dell’autonomia scolastica, Il Mulino, Bologna, 2002. Buddhadasa, La consapevolezza del respiro, Astrolabio, Roma, 1991. Cardona M., Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue, UTET Libreria, Torino, 2001. 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Le “Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente”1, riconoscono la centralità del sistema scolastico luogo dove ogni giovane deve acquisire e potenziare le competenze di base e trasversali per l’orientamento, necessarie a sviluppare la propria identità, autonomia, decisione e progettualità. Ribadiscono inoltre la necessità di articolare i percorsi scolastici con esperienze reali di lavoro a concreta valenza orientativa, che avvicinino i giovani al mondo delle professioni e del lavoro sia in termini di maturazione sociale e responsabilizzazione, sia in termini di sviluppo di competenze e autoimprenditorialità. L’esperienza promossa dall’Ammini- strazione Provinciale di Pordenone e denominata “Lavori in Corso” si colloca nell’ambito di una più ampia strategia in materia di politiche giovanili. L’obiettivo intende offrire un’esperienza di lavoro occasionale accessorio inserita in un contesto a forte valenza orientativa, dove gli apprendimenti si configurano come processi di crescente partecipazione alla vita sociale, crescita personale e responsabilizzazione, nella misura in cui la partecipazione è essa stessa un processo di apprendimento alla vita sociale. L’impianto progettuale si propone di promuovere un contesto di lavoro organizzato capacitante, che permette ai giovani studenti di essere protagonisti attivi nella cura e manutenzione del patrimonio pubblico oltre che acquisire le competenze di base per realizzare semplici lavori manuali e di manutenzione del verde. Non si tratta di una proposta esclusivamente lavorativa né meramente formativa, ma di un percorso che stabilisce un nesso tra questi due campi di esperienza, dove i giovani hanno la possibilità di imparare facendo e di fare imparando insieme ad altri. Si potrebbe dire che in questa esperienza estiva i giovani non studiano e non lavorano, ma probabilmente si QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 formano e si sperimentano in un’attività lavorativa, con la possibilità di rielaborare l’esperienza sia a sostegno della motivazione allo studio, che alla maturazione di un atteggiamento e di un comportamento proattivo per lo sviluppo delle capacità di gestione autonoma e consapevole del proprio processo di orientamento e trovare una strada per il proprio futuro. IL FABBISOGNO RILEVATO L’esperienza progettuale nasce nel 2010 dalla volontà di sostenere i giovani studenti delle scuole superiori del territorio provinciale nel loro processo di crescita e di autodeterminazione, verso una sensibilizzazione ad una cittadinanza responsabile. Fin dall’inizio, si propone quale laboratorio esperienziale a forte valenza orientativa, inteso anche come riscoperta ed occasione di autorealizzazione per i giovani studenti, in un particolare momento di difficoltà legata alla generale crisi congiunturale che ha interessato anche il territorio pordenonese. Negli ultimi decenni, infatti, sono diminuite le possibilità degli studenti di accedere ad esperienze lavorative di tipo stagionale durante le pause scolastiche estive. In linea con i principali documenti in materia di istruzione e orientamento. Viene ribadita la necessità di un avvicinamento graduale dei giovani al mondo del lavoro ed in particolare alla creazione di occasioni lavorative per l’acquisizione delle principali regole del lavoro, di semplici mansioni manuali e di inserimento in un contesto di lavoro di squadra. Un ulteriore elemento di stimolo del progetto nasce dai frequenti casi rilevati di poca cura nell’uso degli spazi e delle attrezzature messe a disposizione dalle scuole, che a volte sfociano in veri e propri atti vandalici. IL PROGETTO PROPOSTO A fronte del fabbisogno suesposto l’Amministrazione Provinciale ha promosso negli ultimi sei anni il progetto “Lavori in Corso”, rivolto a studenti delle classi terze e quarte superiori che hanno compiuto 16 anni di età. Gli studenti, organizzati in squadre di lavoro e supervisionati da maestri di mestiere e tutor socio-pedagogici, hanno l’opportunità di effettuare un’esperienza di lavoro occasionale accessorio, nei mesi di luglio e agosto, presso le sedi delle scuole superiori e altre aree di pertinenza dell’Ente, occupandosi di piccoli lavori di manutenzione, imbiancatura, pulizie esterne e manutenzione del verde. Il contesto di apprendimento proposto crea un vero e proprio laboratorio del fare, delle relazioni, della responsabilizzazione e della rielaborazione esperienziale. Se per i ragazzi rappresenta, da un lato, una spinta alla concretezza e a mettersi in gioco, dall’altro, una situazione, per quanto guidata, di sperimentazione diretta delle proprie competenze lavorative. Il contesto così strutturato è utile per accompagnare i ragazzi verso una riflessione sugli aspetti di crescita e sviluppo delle competenze, facilitati dalle verifiche costanti, dal dialogo tra lavoratore esperto e giovane lavoratore, con il supporto dei tutor socio-pedagogici. La conferma delle capacità seppur apparentemente elementari, è fonte di aumento di autostima e sicurezza nelle relazioni personali, nonché dimostrazione di capacità di tenuta sulle regole e di esecuzione del compito. Gli studenti lavoratori vengono retribuiti con i buoni lavoro (voucher), che rappresentano un sistema di pagamento del lavoro occasionale accessorio, cioè di quelle prestazioni di lavoro svolte al di fuori di un normale contratto in modo discontinuo e saltuario. Così come previsto dal Testo Unico sulla Salute e sulla Sicurezza sul Lavo- 83 INFORMA ro (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.i.), l’Amministrazione Provinciale individua le mansioni, le sedi di lavoro, effettua la valutazione dei rischi, fornisce le attrezzature e i dispositivi di protezione individuale, organizza la formazione, l’addestramento e gli accertamenti sanitari previsti. Il contesto organizzativo si propone come un luogo connotato da un alto tasso di pragmatismo, da una logica orientata al fare, ma che lascia spazio alla rielaborazione dell’esperienza grazie al confronto con il gruppo, il maestro e il tutor al tempo stesso consente e alimenta una logica di scambio e di condivisione. LE OPPORTUNITÀ La proposta progettuale si inserisce in un contesto di forte trasversalità andando a produrre opportunità di crescita e rispondenza ai fabbisogni di almeno tre categorie di beneficiari. Primi tra tutti i giovani studenti coinvolti, beneficiari diretti, che hanno la concreta occasione di: l l l l l 84 responsabilizzazione rispetto al tema della cura e della manutenzione del patrimonio scolastico; possibilità di mettersi alla prova nell’acquisizione di semplici competenze manuali; possibilità di percepire una retribuzione (indicativamente 487,50 € netti per 64 ore lavorative) e acquisire consapevolezza in merito all’importo netto, lordo e agli oneri previdenziali e assicurativi; opportunità di acquisire le principali regole in merito alla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro; acquisizione di un attestato per la partecipazione al progetto e uno per la formazione sulla sicurezza utile ai fini dei crediti formativi; l possibilità di ritrovarsi in un momento di aggregazione che vede come tema di fondo “l’imparare lavorando”. Ad ogni squadra di lavoro viene affiancato un maestro di mestiere e un tutor socio-pedagogico, figure esterne all’Amministrazione Provinciale. Gli studenti, oltre ad avere un’opportunità di lavoro estivo sperimentano una modalità di lavoro e di messa in discussione con gruppi di giovani adolescenti, uniche nel genere. Inoltre, il progetto ha delle evidenti ricadute positive per l’Amministrazione Provinciale e per le scuole nei termini di manutenzione del patrimonio e di sensibilizzazione e consapevolezza degli studenti rispetto alla cura delle scuole che frequentano durante l’anno scolastico. ORGANIZZAZIONE PREVISTA (STRUMENTI E METODI) L’avvio del progetto vede l’attivazione dei referenti interni della Provincia già dal mese di febbraio/marzo per coordinarsi con i referenti scolastici al fine di conoscere quali cantieri e dove è possibile attivarli nelle varie scuole. Si può fare una previsione di quante squadre organizzare e in che area territoriale della provincia. Tra aprile e maggio vengono avviate le procedure ad evidenza pubblica di individuazione e incarico dei tutor socio-pedagogici e dei maestri di mestiere. Nello stesso periodo viene effettuata la promozione del progetto nelle scuole con incontri dedicati agli studenti, diffusione attraverso brochure, mail e comunicati stampa. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Il target di riferimento per la partecipazione al progetto sono gli studenti iscritti al 3° o 4° anno degli Istituti superiori, che abbiano compiuto i 16 anni, senza impegni/obblighi scolastici nel periodo di svolgimento dell’attività e residenti in provincia di Pordenone. A fine maggio vengono raccolte le adesioni degli studenti disponibili ad effettuare l’esperienza estiva. In considerazione dell’elevato numero di richieste (in media 900 adesioni per 200 posti ogni anno), è stato necessario strutturare una modalità di adesione on line attraverso apposite form e web application. Viene quindi formulata una graduatoria che assegna i ragazzi al cantiere dell’area di residenza, sulla base della rispondenza ai requisiti di accesso, dell’ordine di arrivo della domanda, del periodo prescelto di lavoro e della disponibilità di posti per ogni cantiere. Gli studenti, formati sulle nozioni di base in materia di rischi, sicurezza e comportamento nei luoghi di lavoro, sulle mansioni da svolgere e dotati di tutti i materiali, i dispositivi di protezione individuale e le attrezzature previste, vengono avviati al lavoro occasionale accessorio per un monte ore complessivo di 64, articolate in tre settimane nei mesi tra fine giugno e agosto presso gli Istituti Superiori ed altre aree di proprietà dell’Amministrazione Provinciale. Il progetto è condotto con la tecnica della sperimentazione in situazione assistita, la cui tenuta dipende molto dal valore dell’esperienza proposta, dalla possibilità di interrompere il vissuto di sfiducia e a volte di rifiuto nei confronti di qualsiasi proposta provenga dal mondo adulto, ma dipende anche dall’approccio comunicativo e relazionale messo in campo dagli adulti di riferimento. L’impianto progettuale prevede infatti la suddivisione dei ragazzi in gruppi di lavoro (indicativamente 10-14 studenti), affiancati durante tutta l’esperienza da due figure di supporto: l l il “maestro di mestiere”, persona in pensione, in mobilità o disoccupata, con il compito di fornire ai ragazzi un valido supporto tecnico-pratico e di facilitare il passaggio intergenerazionale delle competenze; il “tutor socio-pedagogico”, esperto in processi educativi con esperienza di tutoraggio in situazione, con l’obiettivo specifico di promuovere l’apprendimento di competenze trasversali, quali la capacità di lavorare in gruppo, di relazionarsi con il contesto e le figure di riferimento lavorative e di facilitare il dialogo intergenerazionale. L’elevato carattere sperimentale del progetto e l’elevato numero di ragazzi coinvolti, impone una attenzione continua al monitoraggio delle attività nella fase di avvio del progetto, in itinere e a conclusione, che viene sviluppato attraverso questionari di autovalutazione, verifiche nei cantieri, incontri con referenti interni e personale scolastico, focus group. I referenti interni del Settore Politiche Sociali e giovanili, del Servizio gestione Immobili e del Servizio Prevenzione e Protezione effettuano costanti verifiche in loco per monitorare il clima nelle squadre di lavoro, l’andamento dei lavori di manutenzione, l’eventuale necessità di materiali aggiuntivi, il rispetto della sicurezza sul lavoro. A conclusione dell’attività vengono acquisite, sia in modo individuale, che in sedute di gruppo, le osservazioni e le criticità di una organizzazione così ampia e complessa, e le relazioni conclusive di ogni tutor sull’attività e clima delle squadre di lavoro. Inoltre, è stato messo a punto un questionario di ingresso come autovalutazione delle competenze e uno finale semi-strutturato come occasione di accompagnamento e riflessione da parte dei gruppi di giovani lavoratori sull’esperienza vissuta. 85 GIUSEPPE BARAZZUTTI Veduta di borgata di Forni di Sotto, 1928 ca., olio su compensato. Case di San Giorgio in Val Resia, 1924, olio su tavola. 86 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Veduta invernale di Forni di Sotto, 1927ca., olio su compensato. 87 INFORMA RISULTATI OUTPUT (ESITO VERIFICATO) Dal primo progetto pilota realizzato nell’anno 2010, sono state effettuate sei edizioni del progetto per un totale di 1416 studenti avviati all’esperienza di lavoro occasionale accessorio, in particolare vedi la Tab. 1. (sostituire con tab. in immagini) Tipologia 2010 2011 2012 2013 2014 2015 totale Numero di domande 242 772 725 905 982 917 4.660 1.416 1.416 Numero di studenti lavoratori 100 273 250 247 215 214+ 117 dei comuni Numero di studenti formati 100 273 250 247 215 331 Numero di maestri di mestiere 8 ogni anno Numero di tutor 9 ogni anno Numero cantieri 18 cantieri anno Stima dei metri quadri di edifici imbiancati oltre 25.000 m. q. all’anno (esclusa la manutenzione del verde) Tab. 1: Dati delle sei edizioni del progetto pilota 88 L’esito dei questionari di autovalutazione somministrati in ingresso e in uscita agli studenti evidenzia, oltre alle caratteristiche del campione coinvolto nelle dimensioni di età, sesso, l’istituto scolastico di provenienza, la presenza di altre esperienze di lavoro, la motivazione alla partecipazione al progetto e l’autovalutazione delle capacità e degli apprendimenti. L’analisi dei questionari dell’edizione 2015, in linea con quella delle altre edizioni, vede un’età media degli studenti lavoratori pari a 17.4, quasi equamente suddivisi tra maschi e femmine e tra ragazzi che frequentano un liceo o un istituto tecnico. Il 64% dei ragazzi segnala una precedente esperienza di stage o volontariato e il 72% non ha mai effettuato un’esperienza di lavoro. Tra le motivazioni alla partecipazione al progetto si evidenziano l’opportunità formativa e la possibilità di ricevere un compenso, ma per il 28% è importante anche l’esperienza di aggregazione. Il grafico sull’autovalutazione delle capacità e degli apprendimenti in ingresso e in uscita evidenzia un aumento dei punteggi medi su tutte le dimensioni dallo spirito di cooperazione e disponibilità al lavoro di gruppo, alla comprensione e velocità di apprendimento, al rispetto dei tempi di esecuzione e organizzazione, all’acquisizione di competenze e abilità pratico-manuali, al senso di responsabilità. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Distribuzione percentuale maschi e femmine 49,5% Maschi 50,5% Femmine Anno frequentato Tipologia di Istituto scolastico 52% Licei 48% Tecnico Industriale Professionale 57% 3°anno 43% 4°anno Distribuzione percentuale per età 40,2% 36,9% 13,6% 7,9% 16 anni 17 anni 1,4% 18 anni 19 anni 20 anni 89 INFORMA Altre esperienze di lavoro o di volontariato No, 72% Si, 64% Si, 28% Si, 36% Esperienze lavorative pregresse Attività integrative, tirocini scolastici, attività di volontariato 90 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 TRASFERIBILITÀ DELL’IMPIANTO PROGETTUALE L’impianto organizzativo può essere trasferito a qualsiasi Ente pubblico che intende utilizzare lo strumento del lavoro occasionale accessorio per effettuare attività di manutenzione, cura del verde, supporto alle attività interne per offrire agli studenti un contesto ad alta valenza educativa e orientativa. Per lo specifico target di studenti e, qualora si volessero gestire numeri importanti, è opportuno prevedere delle figure di affiancamento per lo sviluppo delle competenze tecniche e delle competenze relazionali (maestri di mestiere e tutor) in un rapporto ottimale 1 a 10 ragazzi. Nell’anno 2015 l’Amministrazione Provinciale ha promosso il progetto “Lavori in Corso Comuni”, sostenendo i Comuni ad organizzare la stessa esperienza nel loro territorio. Sono stati coinvolti oltre 100 giovani studenti che nel periodo estivo hanno collaborato nelle attività individuate dai Comuni di appartenenza, dalla tinteggiatura di edifici, alla pulizia e cura del verde, al supporto alle attività informative e turistiche. Coinvolgere i giovani all’interno di contesti che sono orientati alla realizzazione di prodotti finali concreti, in una logica di lavoro di gruppo, permette di valorizzare punti di forza e competenze specifiche del singolo studente coinvolto, con un effetto ad alto valore aggiunto, che è la sensazione di aver contribuito alla realizzazione di qualcosa di utile, spendibile e tangibile e di essere stato in qualche modo efficace. La valorizzazione dei punti di forza dei ragazzi, il coinvolgimento e la responsabilizzazione in azioni concrete che hanno una ricaduta positiva per il resto del gruppo, generando forme di riconoscimento sociale, sono gli elementi essenziali per attivare un processo di capacitazione e proporre un’esperienza ad alta valenza orientativa. Elisa Marzinotto Politiche Sociali Provincia di Pordenone Raffaella Pianca Politiche Sociali Provincia di Pordenone NOTE 1 Definizione delle Linee Guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente – Accordo del 05 dicembre 2013, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del D. Lgs 282/97. Lavoro occasionale accessorio: http://www.inps.it/portale/default. aspx?itemdir=5590 91 INFORMA FVGECONOMY I DATI SOCIO ECONOMICI REGIONALI IN UN’APP Giulia Mardero L’OSSERVATORIO FVG IN UN CLICK 92 FVGECONOMY è l’APPlicazione dell’IRES FVG per l’aggiornamento in tempo reale sui dati socio economici regionali. Realizzata nell’ambito del progetto FVGEconomy. L’osservatorio FVG in un click! finanziato nel 2014 dalla Regione FVG - Direzione centrale cultura, sport e solidarietà, l’APP è stata sviluppata da IRES FVG per favorire la massima diffusione dei dati statistici regionali anche da parte di coloro che non posseggono specifiche competenze statistiche ma che possono utilizzare tali informazioni nelle attività di orientamento professionale e lavorativo, nelle attività didattiche o nella definizione di politiche e strategie socio-economiche. In particolare, FVGECONOMY è uno degli strumenti informativi e divulgativi promossi e realizzati nell’ambito dell’Osservatorio sulle trasformazioni socio economiche regionali curato dall’Istituto fin dal 2006. Dai prodotti di divulgazione cartacea realizzati annualmente, si è passati negli ultimi due anni ad un Osservatorio consultabile on line, composto da un mix di materiali più versatili, interattivi e personalizzabili (report periodici di approfondimento sui principali dati – Infoclick, iReport e Infografica), tra i quali la stessa APP. Navigare e consultare i dati statistici regionali diventa quindi intuitivo, semplice e immediato. Con FVGECONOMY è possibile accedere, attraverso un semplice Click, ai principali dati relativi al lavoro, all’economia, all’istruzione e alla popolazione regionale, personalizzare le ricerche ed essere tempestivamente avvisati, tramite un sistema di alert sul proprio smartphone o tablet, sugli ultimi aggiornamenti dati realizzati dall’IRES FVG nella sua costante attività di monitoraggio delle principali fonti statistiche nazionali e regionali. MODALITÀ DI NAVIGAZIONE L’APP ha l’obiettivo di rendere maggiormente accessibile e fruibile il dato statistico offrendo all’utente una serie di strumenti volti a favorire una rapida consultazione e personalizzazione della ricerca. Il dispositivo si compone di due chiavi di accesso e navigazione: l per tematica di approfondimento, attraverso la quale l’utente può visionare i dati a seconda del tema di interesse. Al momento sono presenti QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 quattro aree tematiche (Lavoro, Economia, Popolazione, Istruzione) per accedere ai principali dati regionali su occupazione e/o disoccupazione, ore di cassa integrazione autorizzate, esportazioni e imprese attive, popolazione residente e redditi, pensioni, scolarizzazione di ogni ordine e grado. l per ultimi dati disponibili, per accedere direttamente alle sole tabelle con dati aggiornati. In questo modo sarà ancora più semplice, anche per i meno esperti, accedere all’informazione più aggiornata e disponibile. Per facilitare la lettura e migliorare la fruibilità e la personalizzazione dell’informazione, il dato viene presentato graficamente con: l l l l l grafici a barre; l’indicazione della stringa di ricerca effettuata; i valori assoluti e/o percentuali disponibili nelle ultime tre annualità; variazione % rilevata negli ultimi due anni; uno o più indicatori attraverso i quali personalizzare la ricerca effettuata. Generalmente, infatti, ogni dato viene presentato nei suoi valori regionali e poi può essere analizzato per provincia, genere, settore o altri indicatori. Ad arricchire le informazioni presenti nell’APP la sezione iRESpedia, per spiegare e illustrare alcune categorie statistiche utilizzate nelle tabelle e nei dati esposti (ad es. tasso di disoccupazione, persone in cerca di occupazione, impresa attiva…), e una pagina Contatti attraverso la quale segnalare eventuali elementi di miglioramento. ACCESSIBILITÀ E FRUIBILITÀ DEL DATO STATISTICO I dati contenuti e presentati, sia nell’APP che nei diversi prodotti realizzati all’interno dell’attività dell’Osservatorio, sono il frutto della costante attività di monitoraggio e analisi che i ricercatori IRES svolgono durante tutto l’anno. In particolare, la scelta è stata quella di concentrare l’analisi sulle principali fonti statistiche nazionali disponibili per quanto riguarda demografia, economia, mercato del lavoro e tematiche sociali. I principali dati oggetto di specifica elaborazione regionale e territoriale sono quelli di Banca d’Italia, del 15° Censimento generale della popolazione, dell’INPS, ISTAT, MIUR e Movimprese Infocamere. Accanto all’analisi delle fonti statistiche, si provvede anche a realizzare e integrare i dati raccolti con specifiche analisi desk della letteratura disponibile sui principali temi socio economici affrontati: dai cambiamenti demografici e della popolazione FVG, all’analisi dei settori ad elevata tecnologia e intensità di conoscenza, all’occupazione femminile e al lavoro domestico, alla nuove forme di lavoro atipico. DESTINATARI E MODALITÀ D’USO I dati resi accessibili attraverso FVGECONOMY possono essere di interesse per destinatari molto diversi tra di loro anche se con la medesima necessità ed esigenza di conoscere e definire le caratteristiche del tessuto economico, produttivo e sociale regionale. In particolare, l’APP intende essere uno strumento di analisi e di supporto informativo per i seguenti gruppi di destinatari: 93 INFORMA l l l 94 Area istruzione e orientamento: per gli insegnanti e gli orientatori con un utilizzo delle informazioni su economia, mercato del lavoro e società regionale nelle attività didattiche e di orientamento scolastico e professionale; per gli studenti, per una più facile lettura del mercato del lavoro regionale e dei principali cambiamenti socio economici in atto; Area decisori istituzionali: per i referenti e rappresentanti della politica regionale e locale e degli enti pubblici territoriali, per monitorare i cambiamenti socio economici regionali e utilizzare le informazioni nell’elaborazione di specifiche politiche e strategie; Area parti sociali: per le associazioni sindacali e datoriali regionali, con un costante aggiornamento sui dati rela- tivi al mercato del lavoro e al sistema produttivo regionale, per sostenere il dialogo sociale e i servizi erogati ai propri associati. PER SCARICARE L’APP FVG Economy è scaricabile gratuitamente sul proprio smartphone o tablet dal sito dell’IRES www.iresfvg.org o direttamente da AppStore e Google Play per iOS e Android. Ulteriori prodotti e materiali realizzati nell’ambito dell’Osservatorio sono consultabili e scaricabili sempre dal sito dell’IRES nelle sezioni dedicate agli InfoClick, iREPORT e Infografiche. Giulia Mardero IRES FVG QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 Alba a Sauris di Sopra, 1922, olio su cartone. Studio di casa sotto la neve in pieno sole, 1922 ca., olio su cartone. 95 LIBRI LA CLASSE CAPOVOLTA INNOVARE LA DIDATTICA CON LA FLIPPED CLASSROOM M. Maglioni, F. Biscaro Casa Editrice Erickson Trento, 2014 pp. 87 - € 16,00 96 Questo agile volume si propone di dare un “contributo essenziale per rinnovare l’attività ordinaria di apprendimento” e di essere uno “strumento concreto per i docenti per ridare forza e significato alla loro missione”. Il libro, introdotto da una interessante prefazione di Tullio De Mauro, che spiega come studiosi quali Socrate ed Eraclito, Giambattista Vico e Maria Montessori abbiano parlato dell’apprendimento come di un processo di costruzione di significato, è scritto da due docenti che ormai da anni la praticano con entusiasmo, e spiega in cosa consiste la Flipped classroom, fornendo molti esempi e indicazioni pratiche per utilizzarla. La Flipped classroom (o Classe capovolta) non è una teoria, ma una metodologia, un approccio didattico alternativo che rende più efficace il lavoro dell’insegnante. Chiunque abbia a che fare con l’insegnamento si pone probabilmente alcune questioni: “l’insegnante può riappropriarsi del suo ruolo e allo stesso tempo parlare un linguaggio più vicino a quello degli studenti? si possono sfruttare le informazioni già accessibili agli studenti attraverso i vari canali digitali, a loro più familiari? può il docente tornare ad essere una figura di riferimento ed essere una guida capace di insegnare ad apprendere da soli? si può fare in modo che i ragazzi si sentano più responsabili del proprio apprendimento? come creare un nuovo modello di apprendimento che cavalchi la tigre della tecnologia senza tentare inutilmente di combatterla?” La Classe capovolta sembra essere una risposta a questi interrogativi, di fatto invertendo il luogo dove si segue la lezione (a casa anziché a scuola) con quello in cui si studia e si fanno i compiti (a scuola invece che a casa). I ragazzi seguono a casa le lezioni tramite video realizzati dai docenti o che i docenti stessi hanno scelto da Internet; poi studiano e si esercitano in classe da soli o in piccoli gruppi, assistiti dagli insegnanti che possono così personalizzare i loro interventi tenendo conto dei ritmi e delle potenzialità di ciascuno: esercitazioni, laboratori, compiti, risoluzione di problemi, studio di casi, attività di approfondimento. Non si tratta di insegnamento on line o a distanza, ma di una metodologia che consente ai ragazzi di studiare i video prima della lezione liberando, in questo modo, tempo in classe che può essere usato per rispondere alle domande, organizzare lavori di gruppo e per altre attività in cui l’allievo assume ruolo di protagonista della propria formazione. In tutto questo la presenza del docente non viene sminuita, anzi, è imprescindibile: egli mette a disposizione la sua competenza di educatore che trasmette non solo la propria conoscenza, ma anche la propria esperienza, che è capace di astrarre i concetti, sa come organizzare le informazioni disponibili per arrivare ad un obiettivo e conosce la difficoltà insita nell’apprendere, il che vale naturalmente molto di più di un semplice copia e incolla di informazioni. In questo senso il docente cambia il proprio ruolo, da intermediario del sapere a facilitatore di un apprendi- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 mento di cui è protagonista l’allievo; la classe non è più un uditorio, ma un laboratorio. È chiaro che tutto ciò comporta per il docente un progressivo cambiamento del proprio modo di lavorare. Ma cosa serve per lavorare con questa metodologia? Nel complesso relativamente poco, ossia un tablet o pc collegati ad Internet e dotati di pacchetto Office automation, un browser, una casella email, un sito appositamente creato a cui il ragazzo si collegherà liberamente da casa ogni volta che sarà necessario per accedere al materiale (materiale didattico, gli esercizi risolti e gli esempi, le consegne dei compiti a casa). In un apposito capitolo gli autori spiegano dettagliatamente come fare per creare tale sito. Il lavoro più impegnativo per il docente, almeno in una prima fase, consiste proprio nel predisporre il materiale, in particolare i video, ma anche a questo viene dedicato un intero capitolo con istruzioni, suggerimenti ed esempi. Quali sono i vantaggi? In primo luogo il tempo in classe aumenta, consentendo al docente di cambiare radicalmente l’impostazione dell’attività didattica: si può lavorare sulla didattica per competenze che prevede che i ragazzi imparino non solo fatti, idee e concetti, ma che soprattutto imparino come applicarli in concreto e come utilizzarli in ambiti non convenzionali, trasformando le conoscenze, appunto, in competenze. Quando arriva a scuola il ragazzo sa già di cosa si parlerà, può aver pronte delle domande da fare o potrà essere di aiuto agli altri; al docente non servirà molto tempo per riprendere l’argomento, potrà avviare l’attività e rispondere poi individualmente alle singole esigenze degli allievi, potrà far lavorare i ragazzi in gruppo, sviluppando così l’apprendimento collaborativo. Attraverso quelle che vengono chiamate “prove esperte” si può lavorare sulle competenze assegnando agli studenti un compito significativo di cui viene spiegato il significato e dati esempi concreti con indicazioni pratiche. Le attività proposte saranno poi efficaci nella misura in cui lasceranno al discente la costruzione dei significati avvicinandosi alle strategie della ricerca scientifica; se chiamati a risolvere un problema i ragazzi saranno più motivati, dovranno usare creatività, intuizione e riflessione. In un simile contesto viene “capovolta” anche la valutazione, poiché tutte le attività svolte in classe sono applicazioni personali delle conoscenze o delle competenze acquisite e forniscono un continuo e costante monitoraggio dei progressi fatti; l’insegnante è costantemente impegnato a valutare il lavoro degli studenti che, per contro, ricevono continui feedback: di fatto svolgendo in classe i compiti per casa il numero delle prove di ciascuno si moltiplica. Gli autori sono consapevoli di quanto tutto questo possa non essere facile per il docente e richiedere un lavoro di preparazione e di gestione imponente, ma forniscono indicazioni pratiche ed esempi su come fare. Infine gli autori rispondono, cercando di fornire possibili soluzioni, a 10 domande che esprimono perplessità e criticità sollevate sia dai docenti che dai genitori: ad esempio quali sono le basi teoriche e le prove dell’efficacia del metodo, come superare la difficoltà legata al possibile non accesso ad Internet, la possibilità che i ragazzi non guardino a casa i video o i materiali, o che, viceversa, passino ore davanti ad un computer; il rischio che questo si trasformi in un maggior carico di lavoro a casa quando si tende sempre più a pensare come il tempo a casa ad un tempo per fare altro; quanto riesce il sistema scolastico così come strutturato a “reggere” una impostazione così diversa. Chiude il libro un’appendice che raccoglie messaggi e testimonianze che danno conto dell’interesse che si sta dimostrando nei confronti di questo approccio didattico e sono di stimolo alla riflessione. Chiara Busato Psicologa COR Gorizia 97 GIUSEPPE BARAZZUTTI Pomeriggio festivo, 1922, olio su tela. 98 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47 99 QUADERNI DI ORIENTAMENTO la rivista semestrale è indirizzata a: l insegnanti formatori l ricercatori l operatori l che si occupano di problematiche di orientamento, da punti diversi di osservazione quali: l istituzioni scolastiche l enti pubblici l servizi di formazione ai giovani è disponibile anche in formato elettronico PDF al seguente indirizzo: www. regione.fvg.it Selezionare la voce dal menu ISTRUZIONE RICERCA > studiare cliccare sul link l La Regione per gli orientatori l Rivista l Quaderni di Orientamento Richiesta pubblicazioni per nuovi abbonamenti, richieste di numeri arretrati o cambiamento di indirizzo, inviare mail alla redazione Sono graditi contributi, anche se non se ne garantisce la pubblicazione. Il materiale potrà riguardare: l contributi teorici su tematiche specifiche dell’orientamento scolastico, professionale o attinenti; l progetti, ricerche, esperienze; l informazioni su convegni, seminari e pubblicazioni inerenti l’orientamento. Il lavoro dovrà essere così formulato: l Titolo, sottotitolo e breve sommario; l Testo con estensione massima di 8 cartelle (salvo accordi diversi), battuto con interlinea doppia, in formato Word; l Nome e cognome dell’autore, professione, ente di appartenenza, ruolo ricoperto, sede di attività; l Tabelle, grafici o figure in formato jpg o tiff, progressivamente numerati, dovranno essere allegati a parte e contenere le indicazioni per un idoneo posizionamento nel testo; l Le note bibliografiche dovranno indicare il cognome dell’autore, l’anno di pubblicazione ed eventualmente le pagine citate. 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