Direzione centrale lavoro, formazione, istruzione, pari opportunità, politiche giovanili, ricerca e università
area istruzione, alta formazione e ricerca
QUARANTAsette
QUADERNI DI ORIENTAMENTO
Periodico semestrale - II_2015
QUARANTAsette
QUADERNI DI ORIENTAMENTO
Periodico semestrale - II_2015
in copertina
Vecchia e bambina a Sauris di
Sopra, 192, olio su tela.(particolare)
Redazione
34170 Gorizia
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Archivio fotografico Istituto regionale per il
patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia
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Servizio logistica, digitalizzazione e servizi
generali
N. 47
Il periodico viene realizzato a cura della
Direzione centrale lavoro, formazione,
istruzione, pari opportunità, politiche
giovanili, ricerca e università
Area istruzione, alta formazione e ricerca
nell’ambito del lavoro d’Istituto
2
Iscr. Tribunale n. 774
Registro Periodici del 6.2.1990
CODICEISSN 1971-6680
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
IN QUESTO NUMERO
Giuseppe Barazzutti “Pittore di paesaggio”
Franca Merluzzi ........................................................................ 5
Editoriale
Redazione................................................................................................ 9
ORIENTAMENTO
La stoffa di chi fa prevenzione a scuola
Perché non re-inventare la Peer-education?
Marco Vinicio Masoni.............................................. 12
ORIENTAMENTO E LAVORO
Il nuovo confine della carriera
La sostenibilità
Rita Chiesa, Dina Guglielmi,
Guido Sarchielli .................................................................... 22
L’area adulti dei servizi sociali e le fragilità crescenti
Valutazione ed interventi per un’occupabilità possibile
delle fasce deboli
Mario Pradella,
Giuseppe Marino .............................................................. 34
La centralità del lavoro
L’importanza dei valori professionali della persona
Fortunato Mior ..................................................................... 56
SPAZIO APERTO
Ben-essere a scuola
Laboratorio esperenziale-motivazionale con
approccio integrato
Patrizia Missana ................................................................. 70
INFORMA
Lavori in corso
Imparare lavorando durante l’estate
Elisa Marzinotto,
Raffaella Pianca .................................................................. 82
FVG Economy
I dati socio economici regionali in un’APP
Giulia Mardero ....................................................................... 92
LIBRI
La classe capovolta (M. Maglioni, F. Biscaro)
Innovare la didattica con la flipped classaroom
a cura di Chiara Busato ...................................... 96
ALLEGATO
L’esperienza in Friuli Venezia Giulia nella prevenzione e
nel contrasto del bullismo omofobico: confronti e
prospettive di sviluppo
a cura di Lucia D’Odorico
3
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Veduta di Gemona in pieno sole
vista da sud, 1929-1930, olio su
cartone.
4
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
GIUSEPPE BARAZZUTTI
PITTORE DI PAESAGGIO
LA LUCE, LE FORME, I COLORI.
Nel ricordo dell’architetto
Silvano Crapiz
Questo numero dei Quaderni di
Orientamento è dedicato all’artista
gemonese Giuseppe Barazzutti (18901940) e all’architetto Silvano Crapiz,
scomparso nell’aprile di quest’anno,
che ne ha custodito con devozione la
memoria.
Come nei numeri precedenti, l’autore
delle immagini riprodotte è Gianni Benedetti che le ha realizzate per l’archivio
del Centro regionale di catalogazione
e restauro dei beni culturali al quale è
subentrato nel 2015 l’Istituto regionale per il patrimonio culturale del Friuli
Venezia Giulia.
Barazzutti artista d’ingegno e dai molti
interessi, fu pittore e disegnatore, frescante e progettista, insegnante e direttore per circa otto anni del mobilificio
Giovanni Fantoni.
Per vari motivi non ebbe la notorietà
di altri suoi contemporanei con cui condivise ricerche ed esperienze pittoriche.
Le testimonianze dei suoi collaboratori
e di chi lo conobbe ne hanno messo in
luce le doti umane e professionali ma
anche le difficoltà di inserimento nei
circuiti artistici del tempo che avrebbero
potuto valorizzarne l’opera e riconoscerne i meriti.
La sua città natale lo ricorda con tre
opere esposte nel Museo civico: due
riproducono soggetti gemonesi: una tavoletta con la processione notturna del
venerdì santo davanti al duomo (1922
circa) e una veduta invernale, probabilmente di qualche anno posteriore,
con il colle del castello e “Neve”, datata
1921, con uno scorcio di Sauris di Sopra.
Nel 2002 l’allora Centro regionale
ha realizzato la schedatura di oltre un
centinaio di opere e disegni eseguiti
da Barazzutti nel periodo 1919-1930,
selezionati all’interno della collezione
personale del pittore. Precedentemente,
nel 1994, lo stesso Centro regionale e il
Comune di Sauris avevano promosso la
mostra e il catalogo “Un pittore a Sauris. Giuseppe Barazzutti 1890-1940” con
l’intento di far conoscere gli aspetti più
originali della sua produzione.
NELLA GEMONA DEI
PITTORI MIGRANTI
All’interno dei flussi migratori dal Friuli
– che si protrassero dalla metà del XIX
secolo fino alla prima guerra mondiale Gemona si distinse per l’alto numero di
maestranze esperte nella decorazione
pittorica, sacra e profana. Assai richiesti,
i gemonesi operarono in Stiria, Carinzia,
Croazia e Slovenia; per i lavori più lunghi
i capibottega organizzarono cantieri
stagionali con i collaboratori e ottennero spesso committenze da parte di
altri friulani che all’estero dirigevano o
erano titolari di imprese. Giacomo Ceconi di Pielungo di Vito d’Asio - il conte
di Montececon - costruttore di ferrovie
dalle eccezionali capacità tecniche ed
organizzative e Angelo Comini impresario di Artegna - per citarne alcuni - si
avvalsero a lungo di gemonesi per decorare palazzi da loro costruiti.
Francesco Barazzutti (1847-1918), padre di Giuseppe, dimorò stabilmente
dal 1876 al 1887 a Graz e fu chiamato
5
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Il monte San Simeone visto dalla
borgata di Stalis a Gemona, 1919,
olio su cartone.
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QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
da Comini a dipingere nella rinomata
stazione termale di Badgastein e nel
Salisburghese. Giuseppe crebbe in questo ambiente di artigiani e di pittori “migranti”, ma la sua formazione gli consentì
di raggiungere esiti superiori a quelli
dei suoi concittadini. Dal 1907 al 1911
frequentò l’Accademia di Belle Arti di
Venezia e perfezionò la sua preparazione a Roma dove mantenne contatti il
cugino monsignor Pio Paschini, storico
e in quel periodo docente in Vaticano.
Dopo la morte del padre (1918) continuò l’attività di frescante e dipinse numerosi cicli in chiese friulane, anche di
notevole impegno per vastità e soggetti
rappresentati. Visse a Gemona alternando soggiorni in varie località della regione e con la prospettiva - attraverso
il gemonese Gino Peressutti progettista
di Cinecittà - di un lavoro di scenografo
nella capitale. Morì nel novembre 1940
a causa della malaria contratta durante
la guerra in Albania.
LA RACCOLTA DEL
PITTORE: DIPINTI E
DISEGNI
Fino alla mostra allestita nel Centro
etnografico di Sauris di Sopra, Giuseppe
Barazzutti era noto per lo più in ambito
ecclesiastico come pittore di affreschi.
L’esposizione documentò i vari settori
in cui egli mise a frutto le sue capacità
ma fu anche l’occasione per presentare
un inedito e interessante compendio di
opere pittoriche.
Fino ad allora si era quasi persa memoria di Barazzutti pittore di paesaggio: forse
per il suo carattere schivo, poco incline
alla promozione della sua attività, le opere di cavalletto non entrarono a far parte,
salvo pochi casi, di collezioni pubbliche o
private. Sono rimaste invendute nel suo
studio gemonese e la raccolta, assieme
a disegni su carta, sopravvissuta al secondo conflitto mondiale e al terremoto
del 1976 grazie alla cura dei famigliari, è
pervenuta quasi del tutto integra.
Parte dei dipinti pubblicati in questa
rivista non sono stati finora riprodotti
in cataloghi ma solo on line, grazie al
progetto di catalogazione, attraverso il
Sistema informativo regionale del patrimonio culturale (www.sirpac-fvg.org ).
Alcune vedute prendono a soggetto il
paesaggio di Gemona e dei paesi vicini:
le dolci colline di Artegna, la piana del
Tagliamento e soprattutto gli scorci con
le montagne e il colle del Castello gemonese, rappresentate in varie condizioni di
luce; a volte il disegno non esiste più e
prevale la semplificazione della forma a
favore del colore. Nella tavoletta di pagina 80, solo chi conosce davvero i punti di
vista delle località gemonesi intuisce una
veduta di neve in direzione della piana
di Osoppo: la stesura della pennellata è
sciolta e rapida, gioca con spessori e tinte
bellissime sconfinando nell’informale.
Numerose sono anche le opere che
prendono a soggetto Sauris e la valle
del Lumiei, ma anche Forni di Sotto e
la Val Resia, con cime di monti, distese
innevate, prati alpini fioriti, case tipiche,
figure in abbigliamento tradizionale.
La mostra di Sauris ha offerto ai visitatori la possibilità di scoprire un artista poco noto e di apprezzarne le opere proprio
dove egli le aveva dipinte, di riconoscere
spesso nell’ambiente circostante le inquadrature adottate dal pittore.
I PAESAGGI INNEVATI,
I MOTIVI INTAGLIATI
Barazzutti fu amico dei pittori Giovanni Napoleone Pellis (1888-1962) e
di Marco Davanzo (1872-1955). Dai carteggi risulta che Pellis invitava spesso
Barazzutti a raggiungerlo per dipingere
assieme, all’aperto e a diretto contatto con la natura, nelle varie località di
montagna in cui si ritirava alla ricerca
dell’ispirazione creativa, di nuovi soggetti
7
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Paesaggio primaverile, dat. 1919,
olio su compensato.
8
e di luoghi incontaminati. Anche nel catalogo della mostra “Montagne di luce.
L’opera di Marco Davanzo”, tenutasi a Tolmezzo nell’estate 2015, si fa riferimento
alla corrispondenza che intercorse tra il
pittore gemonese e Davanzo che viveva
stabilmente ad Ampezzo.
Nel corso dei mesi invernali (19201921, 1921-22) Barazzutti raggiunse Pellis
che soggiornava a Sauris ed eseguì bozzetti e quadri con scorci di paesaggio
innevato adottando tecniche divisioniste
affini alle opere di Giovanni Segantini.
Esemplare a questo proposito la tela intitolata “Vecchia e bambina” (1921 ca.)
e altre tavolette rese attraverso un accentuato puntinismo oppure filamenti
di colore puro.
“Motivo di Sauris” è una tela importante
realizzata nel 1922 per la partecipazione
alla Biennale di Venezia di quell’anno (accolta e numerata, inspiegabilmente non
comparve nel catalogo) in cui inquadra, con taglio fotografico, una via del
paese su cui affacciano case rustiche in
ombra, mentre altre in piena luce sullo
sfondo appaiono colorate di gialli, azzurri
e arancione.
Ispirato dai luoghi, Barazzutti dipinse
bozzetti, deliziose tavolette ad olio, su
cartone o compensato, per lo più di piccole dimensioni, di cui oggi si apprezza il
fantasioso colorismo e la rielaborazione
di spunti tratti da diverse tendenze artistiche. Immediate, dettate dal desiderio di
trasferire in pittura le atmosfere e i giochi
chiaroscurali, i bozzetti rimandano in pochi casi a un’opera finita, ma sembrano
piuttosto rispondere solo al ritmo veloce
e sicuro della pennellata. Il bianco della
neve diventa pretesto per mescolanze di
colori, per dare spessore e movimento
alla superficie dipinta. L’artista è attratto
anche dalle tonalità dell’alba e del tramonto rese con inusuali accostamenti
dal blu al viola al verde chiaro.
Nel 1927 salì a Forni di Sotto dove soggiornava Pellis e più volte, probabilmente
non nella stagione invernale, in Val Resia
alla riscoperta dei luoghi più appartati e
dei paesaggi più suggestivi.
A Forni e Sauris fu attratto dalle facciate delle case con i ballatoi in legno i
cui motivi ad intaglio furono rilevati attraverso schizzi e disegni dal vero che
ancora si conservano. Un interesse che
può essere motivato dall’incarico, svolto dai primi anni Venti al febbraio 1928,
di direttore artistico del Mobilificio Fantoni di Gemona dove attuò il recupero
del mobile rustico friulano ispirandosi ai
principi dell’Art Déco.
Sui fogli di carta sono tracciati a matita
forme e motivi con annotazioni relative
alla località e alla datazione dei manufatti sulla base dei motivi stilistici (alcuni
attribuiti al XVIII, altri al XIX secolo). L’incendio di Vico di Forni di Sotto durante la
seconda guerra mondiale e le distruzioni
delle case rustiche in tempi più recenti,
in nome della modernità, fanno si che i
disegni costituiscano una testimonianza
importante di particolari decorativi e di
tipologie costruttive.
Franca Merluzzi
Coordinatore dell’Istituto regionale per
il patrimonio culturale del Friuli Venezia
Giulia
Si ringraziano i collezionisti per aver concesso la riproduzione delle opere
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
EDITORIALE
L’insegnante, l’educatore, lo psicologo, il tutor dovrebbero combinare
la dimensione etica a quella emica,
riflette Marco Vinicio Masoni. Solo in
questo modo gli educatori possono
trasmettere ai giovani il messaggio
che la scuola rappresenta un’ineludibile opportunità di formazione e di
crescita, ma richiede determinazione,
impegno e fatica.
Le trasformazioni organizzative e la
flessibilità occupazionale con cui si
sta rispondendo alla crisi economica
e alla volatilità del mercati, accentuano
la tendenza ad avere rapporti lavorativi precari. L’obiettivo principale degli
operatori dell’orientamento, scrivono
Rita Chiesa, Dina Guglielmi e Guido
Sarchielli, è lo sviluppo/incremento dei
vari tipi di competenze personali per
la gestione autonoma della carriera,
anche di natura progettuale.
Conoscere e condividere con le persone interessate la reale natura dei
bisogni, per farne emergere le risorse,
i potenziali e i limiti, è fondamentale
per dare risposte progettuali credibili,
alle persone deboli. Mario Pradella e
Giuseppe Marino scrivono che la prospettiva trasformativa non mira tanto
a mutare lo stato contingente di disoccupazione, quanto a intervenire
sulle dotazioni personali e professionali
funzionali ad affrontare la complessità delle sfide esistenziali maturando
diverse e più funzionali “prospettive
di significato”.
Fortunato Mior, analizzando le tematiche relative al lavoro, scrive che la
rappresentazione del lavoro e l’acquisizione del suo valore è diventato negli
adolescenti un processo più complesso e difficile, poiché tale processo è
oggi meno esperito e più mediato da
altre esperienze come la scuola, le attività del tempo libero e l’informazione
mediatica.
Patrizia Missana, che ha sviluppato
un’attività originale di insegnamento nelle aule della SS di I grado, nello
Spazio Aperto propone un laboratorio
esperienziale e motivazionale, sviluppando le tematiche dell’ascolto, del
counseling e del disagio in ambito scolastico. L’obiettivo è quello di aiutare gli
allievi a imparare a prendersi cura di sé,
fin dall’adolescenza. I ragazzi coinvolti
possono sperimentare, allenare e far
emergere al meglio le loro potenzialità
riconosciute e sommerse.
9
GIUSEPPE BARAZZUTTI
I colli di Artegna visti da Surnins,
dat.1920, olio su cartone.
10
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
11
ORIENTAMENTO
LA STOFFA DI CHI
FA PREVENZIONE A
SCUOLA
PERCHÉ NON RE-INVENTARE LA PEER
EDUCATION?
Marco Vinicio Masoni
L
Il tentativo di
spiegare tutto tramite
costellazioni di cause
ha alla base l’illusione
metodologica che esista
realmente un insieme
stabile e costante di
fattori capaci di spiegare
i comportamenti
trasgressivi e/o devianti
12
RAGAZZI A RISCHIO?
Iniziamo, liberandoci dell’espressione di senso comune “ragazzi a rischio”, che ci ha disturbato per più di
vent’anni producendo effetti nefasti
che nessuno ancora ha misurato.
Se il ragazzo/a è a rischio significa
che si è già visto che è nei guai, che
è già nelle sabbie mobili, e se un ragazzo è già nei guai non c’è prevenzione che tenga, c’è azione che segue;
così come se avessi l’influenza, non
prenderei il vaccino per curarla, avrei
dovuto prenderlo prima. Inoltre, se lo/
la etichettiamo “a rischio”, lo/la stiamo
autorizzando a comportarsi come tale,
a ritenere normale e adatto a lui/lei
commettere sciocchezze, e poiché i
ragazzi, come noi, aspirano alla normalità, staremmo suggerendo che ci
aspettiamo da loro solo sciocchezze. Chiamatela profezia che si autoadempie, chiamatelo suggerimento
identitario oppure invito ad indossare
un abito narrativistico corrivo, di fatto
si tratta di qualcosa non degno di essere accostato all’idea di prevenzione.
Che cosa dovrebbe essere e cosa
dovrebbe “fare” allora la prevenzione?
E con chi?
Altra perla di senso comune è
che, messa da parte la persona, si
dovrebbero prevenire i comportamenti a rischio. Ma, ancora, non può
sfuggire ad alcun ricercatore degno
di questo nome che l’assunzione di
rischi è il sale della vita, e soprattutto
della vita di ogni adolescente, tanto che apparirebbe oggi indicatore
di problemi il fatto che un ragazzo si
astenga sistematicamente dall’affrontarli (Colecchia, 1995, Masoni, 1999).
Non dovrebbe nemmeno sfuggire che,
in tempi come questi, con albe che
non preludono a giorni felici, con la
certezza che il futuro dei giovani sarà
molto peggiore di quello che hanno
avuto i loro padri, con l’attesa di eventi
oscuri, l’analogia che subito viene a
mente é quella dei giovani del Decameron che in tempo di peste si isolano
e condividono i piaceri adatti alla loro
epoca. Il racconto di storie d’amore e
licenziose allora, lo sballo oggi.
I rischi vanno quindi definiti e seguono i mutamenti delle convinzioni culturali di senso comune e della
realtà casuale del presente storico. Le
sottoculture omofobe per esempio si
sforzano (ancora) di prevenire l’omosessualità.
Le idee su droghe pesanti e leggere
dettano, secondo le loro differenze,
le regole “etiche” di prevenzione; le
ideologie sui livelli di tolleranza suggeriscono che cosa sia e che cosa non
sia il bullismo o la distinzione fra azioni devianti o soltanto trasgressive. E
così via.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Una posizione teorica moderna ed
elegante dovrebbe affermare subito
che molti tentativi di prevenzione mostrano di avere in comune un nocciolo duro: ciò che è ritenuto corrivo è
“spiegato” dai nessi di causa/effetto,
il ragazzo non usa precauzioni nelle
attività sessuali a causa della sua ignoranza, o a causa della sua timidezza, o a
causa del suo amore per il rischio; se si
droga lo fa a causa dei cattivi rapporti
in famiglia, o nella scuola, o a causa di
un io non correttamente maturato, o
a causa dell’influenza del gruppo dei
pari, (Masoni, 1999).
Per teorie apparentemente più sofisticate i comportamenti devianti hanno
luogo a causa di un gran numero di
questi fattori che interagiscono e complessificano i propri effetti. Se i giovani
insomma tendono a comportarsi in
determinati modi, ciò è provocato da
un insieme di fattori causali. Ma il tentativo di spiegare tutto tramite costellazioni di cause ha alla base l’illusione
metodologica che esista realmente
un insieme stabile e costante di fattori
capaci di spiegare i comportamenti
trasgressivi e/o devianti.
UNA VECCHIA TEORIA
DELLA MOTIVAZIONE
Mi è parsa allora calzante e funzionale, a questo punto, una vecchia teoria
della motivazione che viene suggerita
dalla posizione etno-metodologica:
gli atti delle persone, senza distinzione fra atti devianti e atti “normali”, sono compiuti affinché, dopo, possano
acquistare un senso e un significato
socialmente condivisibile. Non sfuggono a questa lettura nemmeno le ricerche degli scienziati sociali poiché le
loro scoperte e i loro metodi ricalcano
sempre, in modo più o meno mimetizzato, le conoscenze, le convinzioni
e i metodi che la gente utilizza con
il comune buon senso per fornire le
sue spiegazioni del comportamento
sociale. In tal modo gli scienziati sociali lavorano affinché dopo la gente
accetti le loro posizioni in quanto già
note e, tutto sommato, implicitamente
accettate. Esattamente come facciamo
tutti, adolescenti compresi.
Questa scelta teorica ci ha permesso
di aggirare il limite meccanicistico del
nesso semplice di causa/effetto.
Essa consente infatti di leggere gli
atti come non più provocati da cause
“meccaniche” (situazioni sociali, economiche), ma prodotti (non importa se
in modo consapevole o no) affinché
ne venga condiviso il significato, cioè
come atti comunicativi.
Abbiamo quindi scelto il punto di
vista per il quale i problemi, i disagi, i
“sintomi” delle persone sono messi a
punto per affrontare il futuro e acquistare significati affinché il mondo degli
altri comprenda anche loro.
Una prima posizione assiomatica delle
attività di prevenzione: tutti i ragazzi
vanno incontro a rischi e quindi occorre
che si stia attenti a tutti i ragazzi.
Secondo assioma: andare incontro a
rischi è un “fare comunicativo intenzionale”, non importa quanto consapevole.
Corollario: si fa prevenzione mostrando in modo convincente che gli obiettivi
perseguibili con azioni trasgressive e devianti possono essere raggiunti tramite
modi meno rischiosi e/o dispendiosi.
Ora entriamo in quella nube chiamata
in generale “prevenzione”, termine così
vasto da apparire quasi una metafora.
Se ne parla a qualcuno e chi ascolta
traduce il termine a modo suo, secondo la sua cultura, la sua esperienza e il
suo lavoro: se è un operaio, pensa all’elmetto, ai guanti del ferraiolo, alle scarpe
corrazzate di chi lavora in fonderia; se è
un medico, pensa alle vaccinazioni, se
è un fanatico dell’alimentazione pensa
alle diete salutari.
Noi pensiamo ad altro: la scuola pensa
soprattutto a conoscenza e informazione.
13
ORIENTAMENTO
LA CO-COSTRUZIONE
DI STRUMENTI PER
CAMBIARE
“Prevenzione” indica tutto un “attrezzare” in vista di un eventuale cambiamento. Una co-costruzione di strumenti per
poter cambiare strada, per combattere,
affrontare eventuali futuri pericoli. E il
cambiamento, malgrado le voci correnti su magiche ed eteree strategie di
cambiamento, su mosse da mago e su
magie da guru, è sempre dovuto al fatto
che si danno nuovi significati agli eventi.
Il grande agente di cambiamento è chi
consente e trasforma in competenze la
scoperta di nuove letture di eventi letti
prima diversamente.
Quindi conoscenze e informazioni
capaci di ribaltare i significati correnti
(di senso comune) sono fondamentali.
Ma, ahimè, tali comunicazioni, conoscenze, notizie, non basta che siano
espresse con le frasi asettiche di un manuale o di un volonteroso insegnante.
Occorre la presenza di altro.
Tenterò di mostrare l’“altro” necessario
tramite esempi, implicitamente, secondo il metodo che Wittgenstein riteneva
il più efficace per dare luce e rendere
più chiari i discorsi.
PRIMO ESEMPIO: I MANIFESTI
LONDINESI
14
Una trentina di anni fa (negli anni Ottanta), a Londra, al tempo dell’eroina regnante e della sua massima gloria, per
combattere la diffusione della droga, il
Municipio mise in atto questa manovra
preventiva: riempì la città con migliaia
di manifesti che rappresentavano volti
di tossicodipendenti all’ultimo stadio,
devastati dalla droga, brutti, sdentati,
sgradevoli da vedere. Cosa accadde?
Che molti ragazzi strappavano dal muro il manifesto, lo portavano a casa e
lo appendevano in camera loro. Il manifesto piaceva.
Prima indicazione importante: non
basta informare. Quel manifesto in-
formava: “guarda che diventi così”.
Non basta. Abbiamo a che fare con
l’adolescenza, già, ma cosa diavolo è
l’adolescenza? Non è un fenomeno
metastorico, non c’è sempre stata in
questo modo e cambia con le culture.
L’adolescenza occidentale, europea,
americana, neozelandese, australiana, l’Occidente in pratica, la vive in un
certo modo, con qualche differenza al
suo interno; altre culture in altri modi,
con tempi diversi, con durate diverse. Il
ragazzo amazzonico si lega la liana alla
caviglia, si butta da venti metri da un
albero: se non schiatta dopo la caduta
è adulto. Pochi secondi di adolescenza.
Per noi dura circa diciotto anni, coincide con la scuola, con il rituale scuola.
E nel nostro mondo in quei diciotto
anni accadono cose molto interessanti.
Si è pensato per molto tempo, annoiando con questa convinzione, che
adolescenza e pubertà fossero strettamente connesse e cronologicamente
apparentate: non è semplicemente
così, la pubertà è un accidente di questa età. L’adolescenza è soprattutto un
fatto culturale, si sta abbassando la sua
età. Abbiamo adolescenti di sette, otto
anni. Abbiamo esempi di bambini di
sette anni che hanno stuprato una coetanea. Probabilmente perché hanno
visto uno spezzone pornografico dove
l’adulto faceva così. “Quindi” avrà forse
pensato il bambino ”se voglio essere
adulto, grande, farò così anch’io”. L’adolescenza è questo. In quei diciotto
anni in cui non si è né carne né pesce,
non più bambini autorizzati al gioco
continuo e neanche adulti, cioè senza
diritti in pratica, il ragazzo incomincia
a mettere a punto, condivide, assorbe,
beve, apprende che c’è un compito che
scatta, sempre prima.
Il compito è: sii adulto, sii autonomo,
sii grande.
E autonomo per il ragazzo significa, in generale, non obbediente alle
gerarchie.
La figura dell’adulto viene spesso
semplificata.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
L’adulto viene visto come chi non
obbedisce. Sappiamo che non è vero,
ma la loro lettura è questa. “Lui sì che è
libero” E se voglio essere grande adulto, occorre che io non obbedisca, non
rispetti, non legga le gerarchie.
Da qui, una frustrazione profonda. Il
ragazzo dice ormai a otto anni, a nove,
a dodici, non più a sedici “dovrei essere
già grande, già autonomo, ma di fatto
non lo sono, non ho soldi, di fatto non
lavoro, ho la paghetta che svanisce in
due giorni, non ho le competenze per
le battaglie della vita, ho un lessico limitato, sono una nullità”. Frustrazione
profonda alla quale si risponde di solito con una geniale scoperta. Un mio
collega americano, Kenneth Lee Pike,
formulò questa bella sintesi: “l’adolescente sereno ed equilibrato (non ce n’è,
è solamente un’ipotesi, una simpatica
utopia) fa le cose che ritiene utili e sane
per sé, cioè si cura, si lava, mangia bene,
non fuma le canne, non si fa le pere, fa
palestra, eccetera, anche se i genitori sono d’accordo”.
Il che vuol dire che se il genitore, o,
in altri casi, l’insegnante, il vigile urbano, l’istituzione in generale mi richiede
qualcosa e io dico di no a quelle richieste, sto disobbedendo, sono quindi
adulto. Questo è un surrogato accettabile: per essere grandi, adulti, basta
essere disobbedienti.
Questa è l’adolescenza oggi in Occidente. Certo che l’ho tremendamente semplificata, ma l’arricchimento di
questo nocciolo, di questo catalizzatore
del cristallo, l’abbiamo intorno a noi,
visibile, prorompente: demotivazione,
apatia, bullismi di vario genere, aggressività, passività eccessiva . Tutto questo
è attributo, arricchimento della visione,
allargamento retorico della descrizione
sintetica del disobbediente.
Allora occorre, ed è il primo ingrediente necessario oltre alla conoscenza
e all’informazione, che si sappia passare conoscenza e informazione senza
che queste vengano in qualche modo oscurate e inquinate da un’aura
autoritaria, da un’aura che comunica
la gerarchia: “fai così perché lo dico io,
perché sono l’insegnante”.
Occorre riuscire a far fare “le cose”
cioè senza comandarle. I modi esistono.
SECONDO ESEMPIO: “FARSI” DI
EROINA
Negli anni Ottanta, ricevo un incarico
dalla regione Lombardia, allora lavoravo in un carcere, al Beccaria, il carcere
minorile di Milano. L’incarico riguardava
una ricerca su come si arriva a diventare
tossicodipendenti, poiché molti ragazzi
detenuti erano tali.
E quindi intervisto una ventina di ragazzi di allora, siamo sempre al tempo
della droga intesa per lo più come eroina. Oggi, mutatis mutandis, il problema
è sempre lo stesso. Vi riporto un’intervista a rappresentarne anche altre molto
simili. Immaginatela così.
− Hai cominciato a “farti” a che età? −
− Ho cominciato a 13 anni a farmi di
eroina. −
− E come è successo? −
− È successo che il gruppo ha detto
adesso è ora che ti fai anche tu
per essere poi uguale a noi. Siamo
andati ai giardinetti, mi hanno
messo il laccio emostatico, hanno
sciolto nel cucchiaio la roba, e poi
mi hanno fatto la pera. −
− E come è andata? − chiedo io.
− È andata malissimo, Masoni, una
cosa bruttissima, si sta male, ho
detto basta! −
− E quindi l’hai assaggiata, faceva
schifo e hai smesso… −
− No, no. L’indomani abbiamo
provato ancora. −
− Ah... E come è andata? −
− Peggio che il giorno prima! Mi
sembrava di morire, vomito,
tremori…−
− E quindi hai smesso!” − Dico per la
seconda volta, un po’ seccato. Sei
così stupido? pensavo.
− No, non ho smesso! Ho continuato,
finché dopo alcuni giorni, sette,
15
ORIENTAMENTO
otto, dieci, non mi ricordo, ha
cominciato a fare effetto, mi sono
sentito bene, e il gruppo mi ha
accolto con sé. −
Fine della storia.
Morale: la droga non cattura subito. È
come la sigaretta, chi di voi è fumatore
ricorderà la prima sigaretta, la fumi perché sei in mezzo al gruppo, perché vuoi
diventare grande, un duro. Ma provoca
nausea, giramenti di testa, non è piacevole. Se insisti un po’, inizi ad esserne
dipendente.
Domando al ragazzo:
− Faceva schifo, stavi male, perché
allora insistere? −
− Per entrare nel gruppo, altrimenti
non mi prendevano. −
Ma certo. Domanda ulteriore:
− E perché è così importante per
te pagare un prezzo così alto,
perché sai già cosa vuol dire essere
dipendente, no? li hai visti in giro i
tossici! Perché è così importante per
te entrare in quel gruppo? −
Risposta, ed è la seconda informazione importante per noi:
− Perché in quel gruppo, possono
anche picchiarmi, trattarmi male,
sono duri, usano le maniere forti,
ma in quel gruppo mi capiscono.
Noi ci capiamo, ci conosciamo,
sappiamo come siamo fatti. Loro
sanno come sto. Invece a casa e a
scuola no. −
16
Informazione vitale. Ci sta comunicando, è un esempio soltanto, ma potrei portarvene a centinaia, ci sta comunicando che per loro è importante
sentirsi capiti.
Mi fermo un attimo. Non sto dicendo: dobbiamo comprenderli, frase che
risuona come una sciocchezza vaga.
Non sto dicendo: ho capito perché fai
così, ora sì…che puoi farlo.
Non è questo che dico. Prendo atto
che mi stanno dicendo: voglio che sappiate come stiamo. Che è cosa molto
diversa dall’essere accondiscendenti
o banalmente “comprensivi”. Ci stanno
dicendo: “Voglio che proviate ad assumere per qualche secondo il mio punto
di vista e che indossiate la mia pelle.
Voglio che sentiate come sto”.
Hanno provato in America ad utilizzare questa modalità. Durante un tempo
in cui ci fu un calo di iscrizioni al livello
della nostra scuola media, il governo
preoccupato, promosse una manovra
americana, cioè piuttosto costosa: milioni di dollari per fare una campagna
annuale che comunicasse ai ragazzi:
scuola è bello. Il messaggio insomma
avrebbe dovuto essere questo: la scuola
è un investimento, è cultura, è costruire
il tuo domani.
Milioni buttati via.
Opuscoli, dépliants, spot televisivi,
documentari al cinema, conferenze
di esperti. Milioni bruciati, le iscrizioni
alle scuola “medie” non salivano. Finché
dopo un anno, studiando la faccenda
a fondo e sperimentando, capirono
che, invece, dire ai ragazzi “Guardate,
la scuola è pesante, è carica di ingiustizie, con insegnanti spesso parziali, a
volte non preparati, con compagni che
possono non piacerti e a cui puoi non
piacere. Questa scuola, questo pantano
sappiamo che è pesante, che a volte è
brutta, che ci si sta male ma… va fatta!”
diventava un messaggio efficace e le
iscrizioni aumentavano.
Quindi non basta dire “È pesante, so
come si sta” ma occorre aggiungere
“ma va fatta!”.
Diamo il nome a queste modalità. C’è
una dimensione etica. Il “va fatta” è una
dimensione etica che va riconosciuta
e condivisa.
L’altra dimensione, “leggo le tue ragioni e so come stai”, ha un nome, coniato
sessanta anni fa: possiamo chiamarla
dimensione “emica”, espressione creata da un vecchio antropologo che
usò il termine per la prima volta. Due
dimensioni che vanno messe insieme.
L’insegnante, l’educatore, lo psicologo, il tutor occorre che accostino queste due competenze: etica ed emica.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Se uso soltanto la prima è come se mi
mettessi a fare il giudice, se uso soltanto la seconda rischio di dare un grosso
contributo alla costruzione dei deficienti. Il magistrato fa un altro mestiere, giudica e basta. Ma il giudizio non
fa crescere. Condanna, punisce e per
quanto la nostra bella Costituzione ci
insista in una delle sue rare bolle di
ingenuità, non educa. Emicità e eticità, quindi, due modalità da utilizzare
insieme da parte di chi vuole educare.
TERZO ESEMPIO: SMETTERE DI
“FARSI”
Siamo sempre al Beccaria, ancora
interviste ai ragazzi, questa volta su un
altro campione: mi chiedono di intervistare ragazzi che hanno smesso di
farsi e di capire come han fatto. E mi
imbatto in una grande scoperta. Mi
sento raccontare questa storia, ve ne
prendo una, ma si assomigliano tutte,
sono le storie dei ragazzi in carcere per
spaccio.
“Io volevo smettere, ero un tossico,
ormai strafatto, stavo sempre male, però
vedevo il boss del mio quartiere, quello che è a capo degli spacciatori, che è
un ragazzo fantastico, è un capo, un
figo incredibile, intelligente, in gamba,
comanda tutti: io volevo stare con lui.
Eh.., ma come faccio, loro non prendono
i tossici… una volta però mi sono preso
coraggio e gliel’ho chiesto.
− Io vorrei stare con voi, spacciare con
voi − e lui m’ha detto:
− Basta che smetti di farti, perché chi
spaccia non può farsi; basta che
smetti di farti e vieni a spacciare
con noi
− E come faccio? vado in crisi
d’astinenza se smetto di farmi!
A quel punto il boss si fa una grossa
risata:
− Ma quale crisi! Sono stronzate! Non
c’è nessuna crisi. Guarda, stai male
sette giorni esatti, smetti di farti,
sentirai un po’ di mal di reni, sudi un
po’ di più, un po’ di mal di schiena,
un po’ di nausea, setti giorni e poi
finito! Altro che crisi!
“Be’, Masoni, io l’ho fatto: sette giorni
esatti, esattamente tutto quello che
aveva detto lui, e ne sono uscito.”
Morale: se chi ti dice queste cose, chi
ti sta parlando è, per te, affidabile, autorevole, credibile, ciò che dice diventa
efficace.
Analizzando il procedimento nei dettagli ciò che accade potrebbe essere
descritto così:
1) Il disagio viene categorizzato dalla
fonte autorevole (e così “semplificato”) su schemi corrispondenti a
sintomi già noti.
2) La teoria che gli viene comunicata per permettergli il cambiamento si basa sulle attribuzioni
della cultura o della sottocultura che il ragazzo condivide.
Ora il ragazzo la pensa come la
fonte autorevole e si avrà la remissione del sintomo secondo
quanto suggerito dal teorema di
Thomas: “Se gli uomini definiscono
reali certe situazioni, esse sono reali
nelle loro conseguenze” .
3) È il terzo ingrediente. Occorre
che quando si insegna, si spiega, si informa, si comunica sui
rischi, si offre conoscenza, dati,
ecc., occorre che chi parla sembri
a chi ascolta affidabile, credibile.
Non è cosa che riguarda i ragazzi
e basta. È cosa, questa sì quasi
metastorica, riguarda l’umanità,
questo è il nostro grande motore,
è grazie alla fiducia, alle sue credenze, alle fedi, che l’umanità ha
difeso strenuamente il presente
o ha prodotto grandi mutamenti.
Non si cambia perché ci “dimostrano” le cose, ma perché chi le
dice diventa credibile, importante, un ipse dixit.
17
ORIENTAMENTO
BASTA CHE LO DICA
GÖDEL
Il trattato di Copernico pubblicato nel
1543, il “De revolutionibus orbium terrarum” e la nuova conoscenza ivi mostrata,
ci mette due secoli perché diventi senso
comune. Lo diventa quando Copernico
è diventato Copernico.
Qualche anno fa, era di moda Gödel,
l’autore del teorema della indecidibilità
della matematica: ogni saggio un po’
sofisticato citava Gödel: la frase “Come
Gödel ha dimostrato”, era diventata il
prezzemolo dell’intellighenzia europea, ma, sono disposto a scommetterlo, pochissimi avevano letto il teorema
di Gödel e di quei pochissimi solo una
piccola percentuale l’aveva capito. Non
occorre essere convinti: basta che lo
dica Gödel, se è già diventato Gödel.
Si fa così con Einstein oggi; hanno
fatto così per mille anni con Aristotele.
Allora, occorre che chi parla e comunica informazione e conoscenza diventi
in qualche modo ancora oggi degno
di essere pensato come un ipse dixit.
Abbiamo ora i tre ingredienti importanti: possiamo fare prevenzione:
1) tenendo conto che possiamo comunicare ciò che comunichiamo
senza mostrare poteri perché davanti all’aura di potere, al suo odore, al suo olezzo, il ragazzo chiude
le porte;
2) comunicando al ragazzo che sappiamo come sta, che leggiamo il
suo mondo; non è facile;
3) avendo acquisito il ruolo di chi
parla in maniera autorevole, di chi
ormai per definizione è credibile,
cosa anch’essa non facile.
18
Un‘agenzia il cui compito è prevenire
occorre che sappia che occorrono queste tre competenze e che le abbia o che
si metta in cammino per averle. Quando
le ha è necessario che le metta in atto e
che contemporaneamente le comunichi, le passi (con incontri di condivisione,
di sensibilizzazione, di formazione) alla
scuola e all’insegnante.
PEER PREVENTION
Ora c’è il terzo passaggio, le presenze
competenti di una agenzia di prevenzione (o di qualunque altro genere, nella
scuola) occorre che siano provvisorie. Se
la scuola, questa scuola, la scuola dei nostri tempi, la scuola che ha scoperto che
i suoi insegnanti devono affiancare le
competenze disciplinari a competenze
relazionali, se una scuola così, che non
ha ancora quelle competenze, chiama
un esperto ad aiutarla risolvere i suoi
problemi e l’esperto funziona bene, ma
poi resta lì, mette radici, la figura credibile e capace di relazione diventa l’esperto, non la scuola; e poiché la scuola è la
parte che insegna, avremmo una scuola
che insegna senza essere credibile: un
pesante colpo di zappa sui propri piedi.
Allora occorre che l’esperto o l’agenzia
“esperta”, qualunque sia il tipo di esperienza che porta, stia nella scuola per
insegnare, per formare, per condividere
con gli insegnanti le sue competenze
affinché e fino a che l’istituzione diventi
capace di comunicarle e permetterle
ai ragazzi.
E poi, se ne vada.
Come fare quindi in pratica? Occorre
avere esperti con quelle tre competenze
e per l’adulto, averle, è difficile.
Allora perché non allargare il campo
delle nostre sperimentazioni?
Abbiamo già alcune esperienze. Abbiamo messo già a punto alcuni strumenti: l’apprendimento cooperativo
tratta proprio di questo. L’insegnante
appare come un facilitatore, non è più
quello che dice “si fa così”, lo fanno i ragazzi; non c’è più il gruppo classe omologato, ci sono differenze utilizzate in
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
quanto differenze nel tavolo dell’apprendimento cooperativo. Abbiamo la
peer education, non potendo insegnare
noi, faccio insegnare a chi è credibile,
ai coetanei.
Perché non ci re-inventiamo una peer
prevention studiandola e attrezzandola
con gli studenti?
Perché non sostenerli in questo? E
perché non insegnare e passare loro
strumenti anche sofisticati, del sapere
adulto nel campo della prevenzione?
Compiti nuovi, terreno poco esplorato.
Ne parlano in pochi, ma ne parlano già
alcune consulte provinciali degli studenti, solo però in riferimento a piccole
sperimentazioni in singoli istituti. Allora
aiutiamo questi ragazzi a farci aiutare da
loro, su dimensioni più vaste, con sperimentazioni comunali, regionali, statali.
BIBLIOGRAFIA
Colecchia N. (a cura di) Adolescenti
e prevenzione, disagio, marginalità,
devianza, Il pensiero scientifico
editore, Roma, 1995.
Masoni M.V., La consultazione
psicologica nella scuola, Giuffrè
Editore, Milano, 1999.
Marco Vinicio Masoni
19
GIUSEPPE BARAZZUTTI
L’Interckerl dalla Casera Festons a
Sauris, dat.1920, olio su cartone.
20
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
21
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
IL NUOVO CONFINE
DELLA CARRIERA
LA SOSTENIBILITÀ
Rita Chiesa, Dina Guglielmi, Guido Sarchielli
I
In questo contesto di
insicurezza economica si
parla sempre più spesso
di «carriere senza confini»
ovvero di tortuosi e
rapidi passaggi da un
lavoro all’altro, da una
organizzazione all’altra
senza avere più, da
parte delle persone, una
traiettoria lineare e ben
chiara da seguire
22
LA NUOVA RELAZIONE
PERSONA-LAVORO
I cambiamenti in atto nelle realtà lavorative incidono profondamente non
solo sulle modalità di organizzare il lavoro ma anche sul ruolo delle aspettative
e scopi personali nel progettare percorsi
professionali soddisfacenti e sul tipo di
risorse personali e sociali necessarie per
avere una migliore probabilità di riuscita
nell’integrarsi nella vita sociale e professionale. In una parola, sta cambiando la
relazione persona-lavoro e appare necessario riconsiderare con attenzione i
diversi fattori personali e situazionali che
possono renderla soddisfacente per le
persone. Su questo tema, che coinvolge
la progettazione delle carriere personali
dalla fase di preparazione delle scelte
scolastico-professionali alla gestione di
situazioni di mobilità volontaria e involontaria fino alla perdita del lavoro nella
vita adulta, si è riflettuto nell’ambito di
un recente workshop1 finalizzato a:
a) individuare competenze chiave
da potenziare in contesti diversi
affinché le persone padroneggino l’evoluzione del loro percorso
professionale;
b) definire linee di azione sostenibili per favorire l’integrazione tra
servizi (nell’ambito della scuola,
formazione professionale, servizi
per il lavoro, orientamento).
I paragrafi che seguono sintetizzano la
traccia iniziale di discussione poi approfondita dai contributi dei partecipanti.
CONTINUUM
CARRIERE
TRADIZIONALI CARRIERE MUTEVOLI
Uno degli effetti più vistosi dei cambiamenti del lavoro, delle organizzazioni
e del mercato occupazionale dovuti alla
globalizzazione dell’economia sembra
essere la progressiva diminuzione delle
tradizionali carriere che i lavoratori costruivano dentro un’unica organizzazione, dal momento della loro assunzione
sino al pensionamento. Una seconda
caratteristica del sistema occupazionale
odierno è la sua forte dipendenza dal
ciclo economico. In particolare, le trasformazioni organizzative e la flessibilità
occupazionale con cui si sta rispondendo alla crisi economica e alla volatilità
del mercati accentuano la tendenza
ad avere rapporti lavorativi precari, con
diffusa sottoccupazione o vera e propria
disoccupazione, soprattutto tra i giovani.
Questi due fenomeni hanno stimolato
la riflessione sulle modalità di costruzione delle carriere individuali odierne
impostata sul contrasto tra «vecchie» e
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
«nuove carriere» e sulla identificazione
delle loro caratteristiche e dei fattori da
considerare per comprendere le difficoltà delle persone nel progettare un
loro inserimento sociale soddisfacente.
Il tema risulta di particolare rilievo sociale poiché tali andamenti - se fossero confermati nel tempo e divenissero
prevalenti – potrebbero modificare in
profondità anche il modo con cui le persone considerano il loro lavoro, investono più o meno energie per trovare un
soddisfacente adattamento e cercano
di trovare i modi possibili per regolare
il proprio percorso di carriera divenuto
più accidentato. Non solo, ma anche
i servizi dedicati (di orientamento, di
formazione o di sostegno alle carriere)
dovrebbero modificare radicalmente il
loro modus operandi focalizzando meglio i loro interventi onde potenziare
nelle persone il tipo di risorse adatte ad
affrontare i compiti più complessi che
si stanno delineando.
In questo contesto di insicurezza economica e di diffusa percezione di job
insecurity si parla sempre più spesso
di «carriere senza confini» ovvero di
tortuosi e rapidi passaggi da un lavoro
all’altro, da una organizzazione all’altra
senza avere più, da parte delle persone una traiettoria lineare e ben chiara
da seguire, come veniva offerta dalle
organizzazioni sino a poco tempo fa.
L’esistenza di tali carriere mobili e instabili comporterebbe anche un passaggio
di responsabilità dall’organizzazione alla persona nel gestire i propri percorsi
professionali. A tale riguardo si utilizza
comunemente il concetto di «carriera
proteiforme» e versatile per sottolineare le nuove capacità che dovrebbe
possedere una persona per riuscire ad
adattarsi ai cambiamenti del lavoro e
alla variabilità di una carriera senza più
confini e sostegni organizzativi.
Spesso, però, nel dibattito sulle «nuove carriere» si dà per scontato un modello di «carriera tradizionale» ritenuto
sempre facilitante il match tra persona
e lavoro e la sua integrazione sociale nel
tempo, applicabile a tutti, e favorente sia
la coerenza tra self e realtà lavorativa sia
lo sviluppo professionale e la mobilità di
carriera. Tale raffigurazione polarizzata
positivamente si scontra con una serie
di evidenze discordanti (Biemann, Zacher e Feldman, 2012), relative alla diffusa e forte differenziazione dei percorsi
di carriera passati e presenti in funzione
di vari fattori personali e contestuali.
Non vanno dimenticate cioè le ampie
differenze di percorso legate all’età, al
genere, al livello di istruzione, alla qualità
dei sostegni familiari, alla localizzazione
geografica, al settore pubblico o privato
di inserimento lavorativo e alla presenza
di mercati del lavoro locali più o meno
aperti. Una verifica empirica più attenta
mostrerebbe che anche nel recente passato, non erano rare le partecipazioni al
lavoro assai distanti dal modello dell’occupazione a tempo pieno, continuativa
in un dato posto di lavoro e attivamente
sostenuta da una singola organizzazione
come si vorrebbe dire contrapponendo
le «vecchie» e «nuove carriere».
Una serie di critiche alla stessa nozione di «carriera senza confini» sta
emergendo proprio negli ultimi anni
rilevando il forte schematismo della sua
contrapposizione con le carriere tradizionali. Infatti, essa porta a enfatizzare
eccessivamente il ruolo attivo della persona nello strutturare la sua carriera sin
dall’inizio della sua esperienza lavorativa,
attribuendole delle responsabilità che
possono essere assunte solo in presenza di specifiche risorse e competenze
personali. Inoltre, «pur riconoscendo la
forza di stimolo riflessivo implicita nella
metafora di «carriera senza confini», le
evidenze empiriche circa la sua validità
risultano ancora assai modeste» (Toderi
e Sarchielli, 2013, p.78).
In sostanza, i dubbi sull’eccesso di
polarizzazione tra vecchie e nuove carriere sono stati avanzati per rendere più
accurata l’analisi delle multiformi ed
eterogenee carriere che ancora oggi si
stanno costituendo, per evitare il rischio
di progettare interventi professionali
23
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
di orientamento e counselling non rispondenti ai bisogni delle persone e
per riconoscere la natura differenziale
di un compito di sviluppo comunque
affrontato dalla persona onde dare un
senso alla sua storia lavorativa. Per questa ragione vale la pena assumere l’idea
di un continuum di carriera ai cui poli
estremi stanno le «carriere senza confini» e le «carriere tradizionali» (come
entità quasi idealtipiche) ma che richiede molta attenzione per riconoscere i
punti intermedi (cioè le carriere reali)
e le condizioni personali e contestuali che hanno un peso nel delinearli in
concreto. Ciò evidentemente ri-orienta
il significato di carriera riducendone il
carattere quasi prescrittivo («un percorso simile per tutti»), sottolineandone
invece gli aspetti differenziali di «storia
personale» e permettendo di focalizzare l’attenzione sugli effettivi bisogni
e capacità della persona per riuscire a
padroneggiarla.
DAL SUCCESSO DI
CARRIERA ALLA
RIUSCITA PERSONALE
24
Lo scenario attuale, in cui coesistono
carriere di tipo tradizionale e percorsi
lavorativi frammentati e compositi fa sì
che sempre più spesso ci si interroghi
se sia ancora possibile (e lecito) parlare di «successo di carriera», oppure
esso sia un costrutto applicabile solo
ad un numero limitato di privilegiati
che possono ancora aspirarvi essendo
dotati delle risorse personali e sociali
con cui delineare e perseguire i propri progetti ed essendo collocati nelle
posizioni medio-alte della scala sociale
delle occupazioni. In realtà, il dibattito
scientifico sulle carriere ha già portato
da tempo al superamento del concetto
di successo come inteso nel senso comune. Infatti, rispetto al dispiegarsi della sequenza delle esperienze lavorative
di una persona nel corso del tempo,
che definisce una carriera, sono state
considerate due dimensioni ad essa
associate: la prima, di tipo soggettivo,
riguarda la percezione di quello che la
propria carriera è o sta diventando; la
seconda, di tipo oggettivo, comprende indicatori tangibili, i quali servono
come punto di riferimento per valutare il posizionamento di una persona
nell’ambiente sociale (Arthur, Khapova
e Wilderom, 2005).
Il progressivo riconoscimento della
dimensione soggettiva della carriera
ha portato alla revisione del concetto di successo, non più riconosciuto
solo in termini oggettivi (o espliciti),
definibili da una prospettiva esterna
all’individuo che valuta la situazione
occupazionale attraverso una serie di
indicatori come il reddito o il livello
organizzativo raggiunto, ma anche in
termini soggettivi o «impliciti», ovvero
rispetto all’opinione che il lavoratore
ha della propria carriera. Tale opinione
è ancorata ad una serie di dimensioni
che la persona considera importanti,
in quanto riflettono l’ampio sistema
dei valori e delle aspirazioni personali.
Riconoscere l’importanza del significato psicologico della storia lavorativa non equivale a disconoscere la
dimensione oggettiva della carriera,
ma anzi aiuta a riconoscere che i fattori
oggettivi non intervengono solo a valle
del processo di sviluppo professionale, sancendone o disconoscendone il
successo, bensì hanno un ruolo anche a monte in quanto influenzano gli
obiettivi che la persona identifica come
desiderabili, ma soprattutto come possibili per sé. In altre parole, il sistema
di opportunità e barriere all’interno
del quale ciascuno definisce il proprio
progetto professionale concorre a modellare i parametri con cui la persona
e il suo contesto sociale di riferimento
valuteranno gli esiti effettivi dell’esperienza lavorativa.
La progettazione di interventi a sostegno delle carriere non dovrebbe
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
quindi prescindere dalla ricostruzione - fatta insieme alla persona- delle
condizioni, favorevoli e sfavorevoli, entro le quali essa si trova ad orientare il
proprio progetto professionale. Questa
attenzione è necessaria per bilanciare
gli assunti che sottolineano sempre
con maggiore forza la responsabilità
dell’individuo nel gestire la sua carriera (DeFillippi e Arthur, 1996; Kuijpers,
Schyns e Scheerens, 2006). Infatti, se da
un lato è importante riconoscere il ruolo attivo della persona nella ricerca e
costruzione delle opportunità, dall’altro
lato se non si aiuta la persona ad individuare obiettivi realistici e sostenibili
si corre il rischio di una sua eccessiva
colpevolizzazione in caso di mancato
ottenimento di risultati positivi.
In questo senso, possiamo immaginare il superamento dell’eccessiva
separatezza tra dimensioni oggettiva
e soggettiva di carriera a favore di una
visione integrata di carriera sostenibile,
finalizzata alla promozione del successo psicologico, ovvero il sentimento di
orgoglio e riuscita personale dovuto
alla consapevolezza di avere fatto del
proprio meglio (Hall e Mirvis, 1996).
Per di più parlare di carriera sostenibile
implica - da parte delle organizzazioni
e dei servizi di sostegno al lavoro - il
riconoscimento del valore delle persone in ogni tappa anche provvisoria
del loro percorso mettendo in luce il
loro capitale cognitivo e psicosociale
comunque acquisito (nella stessa o in
altra organizzazione o nella comunità) presente nel portfolio individuale e
assumendolo come base per ulteriori
passi di crescita socio-professionale.
Ciò significa assumere una prospettiva
life-course cioè proiettata nel tempo
medio-lungo, senza le tradizionali scadenze di carriera lineare e verticale del
passato, e dare importanza al percorso individuale da cui la persona possa
derivare la sua soddisfazione anche
integrando i suoi diversi scopi, lavorativi e non lavorativi (ad esempio, un
equilibrio tra vita lavorativa e vita per-
sonale). In linea con quanto appena
detto, il successo/riuscita di carriera è
ridefinibile come l’insieme degli «esiti
positivi psicologici e lavorativi che una
persona accumula come risultato delle
sue esperienze professionali» (Judge,
Cable, Boudreau e Bretz, 1995) e come
tale rientra in una visione di benessere
globale e soddisfazione per la propria
vita, che conduce la riflessione verso il
rapporto tra lavoro e altri domini di vita.
DAL LAVORO AI
DOMINI DI VITA
I modelli tradizionali di relazione tra
persona e lavoro hanno cercato valorizzare lo sforzo della persona di trovare un adeguato match tra esigenze
personali, lavoro svolto e avanzamenti
in un percorso di carriera delineato
nelle e dalle organizzazioni. Del resto, lo sviluppo della carriera andava
di pari passo con l’elaborazione del
self professionale, attivato e sostenuto dalle interazioni sociali sul lavoro,
che, assumendo un buon livello di
congruenza con la realtà lavorativa,
diveniva il principio informativo su
cui basare le decisioni da prendere.
Esso poteva assicurare soddisfazione
e chiarezza delle prospettive di sviluppo professionale a lungo termine come pure sostenere gli individui
nella negoziazione dei cambiamenti
e nella gestione delle varie transizioni psicosociali senza perdere il senso
di continuità garantita dalla propria
identità personale e sociale.
Attualmente per molte delle carriere
che si posizionano all’interno del continuum «carriere senza confini-carriere
tradizionali» diviene un compito assai
difficile quello di confrontare la propria concezione di sé, i propri valori
e scopi solo con una realtà lavorativa
concreta assai instabile. La ricerca di
un filo conduttore unitario (di signi-
25
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Case di Sauris e veduta verso il
Bivera, 1921, olio su cartone.
26
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
La piazzetta del villaggio, 1921, olio
su tavola.
27
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
28
ficato analogo a quello offerto dalla
tradizionale carriera) implica la considerazione dei vari domini di vita che
hanno un valore per le persone e da
cui esse traggono gli elementi informativi e di scambio/sostegno sociale
per delineare gli scopi da raggiungere,
per la soddisfazione dei propri progetti e, in ultima istanza, per costruire
o aggiustare il proprio self nel corso
della vita (Guichard e Di Fabio, 2010).
In sostanza, il nuovo assetto dei lavori
e le loro ridotte opportunità di crescita
spingono anche a un cambiamento
nelle cognizioni e attribuzioni di significato da parte delle persone alle
esperienze lavorative ora messe in più
stretta connessione (e confronto) con
la vita personale e familiare.
Questa relativizzazione del significato della carriera lavorativa ha un’immediata conseguenza: un efficace career
self-management potrebbe fondarsi
utilmente sulla messa in atto di numerose strategie da parte della persona per accrescere le possibilità di
controllo e regolazione della propria
carriera mettendo al centro non solo il
lavoro, ma tutte le opportunità (e vincoli) presenti nel suo contesto di vita.
Infatti, se il lavoro dovesse diventare
per molti una semplice transazione
strumentale tempo-denaro, esso diverrebbe di fatto assai meno centrale
per la costruzione di progetti personali a lungo termine. In altri termini, i
criteri di costruzione di una «carriera
psicosociale» sembrano divenire oggi
più importanti della semplice «carriera lavorativa» e appaiono sempre
più legati alla considerazione dei vari
ambiti di vita ove la persona elabora
e realizza le proprie aspettative per il
presente e il futuro.
La nozione di carriera sostenibile
(Newman, 2011) va in questa direzione poiché mette in luce il valore
delle interdipendenze tra i vari ambiti
di vita e l’utilità di considerarli come
fonte complementare di scambio di
energie vitali nel momento in cui la
persona deve individuare la priorità
degli scopi da raggiungere.
Tenere in comunicazione i vari
ambiti (lavorativo, sociale, familiare,
amicale, di comunità) in cui la persona sperimenta se stessa, apprende e sviluppa capacità e strategie di
azione rappresenta un modo assai
promettente per rispondere all’esigenza prioritaria di mantenersi fedeli
ad un’immagine di sé più articolata (i
vari sé possibili) e al riconoscimento
da parte degli altri, aspetti messi in
discussione da un contesto lavorativo
assai meno capace di offrire persistenti
sostegni e gratificazioni alla persona.
Ciò che emerge è che la carriera lavorativa oggi può essere reinterpretata sullo sfondo degli altri domini
importanti per la persona e può essere affrontata tenendo conto delle
esperienze riuscite in tali domini, delle
competenze così acquisite, delle qualità personali implementate (come
ad esempio la fiducia, l’ottimismo, la
resilienza, ecc.) nonché delle energie
e spinte motivazionali che si ricavano
da tali esperienze positive.
Da ciò si deriva anche l’idea di una
«occupabilità allargata» (life long employability) connessa non solamente
a competenze tecnico-scientifiche
aggiornate e riferite a una specifica
famiglia di occupazioni, bensì centrata
anche su competenze di apprendimento continuo e su risorse e qualità
personali plastiche e adattabili a differenti contesti.
Naturalmente resta importante capire come tali risorse e qualità possono essere sviluppate, quali azioni
professionali di orientamento e sostegno possano contribuire al loro potenziamento e quali modalità e strumenti (comprese le nuove tecnologie
comunicative) usare per rilanciare la
motivazione anche di coloro - e sono
molti - che risultano meno coinvolti e
attrezzati rispetto al compito di progettare le proprie carriere.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
COMPETENZE PER
LA GESTIONE DI
CARRIERA E SFIDE
EMERGENTI PER
L’ORIENTAMENTO
Il ruolo chiave delle competenze di
career self-management nello sviluppo dei percorsi personali di carriera ha
portato al fiorire di molti tentativi di modellizzazione delle stesse. Al di là delle
etichette utilizzate dai diversi autori (si
vedano gli esempi in tabella 1), emerge come trasversale il riconoscimento
di una componente «direzionale» che
si riferisce alla capacità di identificare
il perché delle proprie scelte e azioni,
una componente di «attivazione» che
rispecchia la capacità proattiva di costruzione delle proprie opportunità ed
infine una componente di «mantenimento» che coincide con la capacità di
fronteggiamento degli ostacoli e delle
circostanze avverse grazie a comportamenti alternativi o alla riesamina dei
propri obiettivi. Per poter implementare tali competenze, il riferimento alla
dotazione e sviluppo di differenti tipi
di risorse risulta ampiamente condiviso nella letteratura scientifica. Hirschi
(2012), ad esempio, categorizza quattro
categorie di risorse (di capitale umano,
psicologiche, sociali e di identità) che
raggruppano i differenti costrutti che
si stanno attualmente usando (come
self-efficacy, employability o adattabilità) e che hanno un ruolo critico nello
sviluppo e gestione della carriera.
Competenze della persona
Fattori di contesto
Kuijpers, Schyns e Scheerens (2006):
esempi di competenze per la
gestione delle carriere
London (1997):
esempi di risorse e barriere per la
gestione della propria carriera
Abilità di attualizzazione della carriera:
grado con cui le persone sono capaci
di realizzare obiettivi e valori personali
nella loro carriera lavorativa;
Barriere
Interne:
Riflessione di carriera:
capacità di esaminare le proprie
competenze rispetto alla propria
carriera;
prestazioni scolastiche/formative
negative
ridotta autoefficacia e capitale
psicologico
percezioni di scarse opportunità
nell’ambiente
Riflessione alla motivazione:
capacità di definire i propri desideri
rispetto alla propria carriera;
Esterne:
Esplorazione del lavoro:
grado di conoscenza dei valori e
competenze richiesti in una specifica
situazione lavorativa;
ambiente sociale/relazionale
sfavorevole
Controllo della carriera:
capacità di pianificazione e influenza
sul processo di lavoro;
oggettive, socio-economiche e
culturali
discriminazioni e diseguaglianze di
opportunità locali
negative social support
Networking:
capacità di costruire contatti che sono
rilevanti per la propria carriera.
29
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
DeFillippi e Arthur (1996):
esempi di competenze per la
gestione delle carriere senza confini
Sapere come (Knowing-how):
capacità di sviluppare un port-folio
di conoscenze e abilità lavorative
trasferibili
Risorse o fattori di supporto
Interne:
Sapere perché (Knowing-why):
consapevolezza dei propri interessi,
bisogni, abilità, valori, aspirazioni
e preferenze relative all’esperienza
lavorativa
Possibilità di accumulare capitale
sociale
Sapere con chi (Knowing-whom ):
capacità di sviluppare e utilizzare una
rete estesa di relazioni che possano
offrire informazioni, sostegno e guida
all’individuo
Esterne:
Possibilità di sviluppare competenze
tecniche e sociali
Possibilità di potenziare gli stili di
coping
Possibilità di riferirsi a modelli di ruolo
adatti
Sostegno sociale di vario tipo e di varie
figure significative
Tab. 1: Risorse e barriere nella gestione della carriera
Dal punto di vista della pratica professionale, si profila per l’orientamento e gli
altri servizi di sostegno la sfida di saper
differenziare la propria offerta rispetto
a due macroaree di intervento:
l
l
30
la prima riguarda soprattutto i percorsi di carriera più lineari e risponde ai
bisogni legati allo sviluppo della progettualità ancorata alla definizione
di obiettivi desiderabili, sostenuta da
buone risorse personali e di contesto;
la seconda riguarda principalmente
i percorsi più tortuosi che suscitano
bisogni legati alla ridefinizione di una
progettualità sostenibile alla luce dei
vincoli personali e contestuali.
Nella prima tipologia di interventi, che
possiamo definire “più classica”, l’obiettivo principale è lo sviluppo/incremento
dei vari tipi di competenze personali
per la gestione autonoma della carriera,
anche di natura progettuale.
Nella seconda macroarea di intervento va invece segnalata l’importanza di
approfondire il piano dei fattori conte-
stuali (sia come «barriere» da superare
sia come «risorse» da arricchire, vedi
Tab. 1) per evitare di stare sul piano
dell’analisi solamente di livello intraindividuale e soggettivo, considerando
che la «storia di una persona» - ovvero
la sua carriera soggettiva e oggettivaè frutto dell’interazione con il contesto
reale oltre che con quello percepito.
In questo caso l’obiettivo principale è
duplice: oltre al potenziamento delle
risorse diventa centrale la riduzione
delle barriere (soggettive e oggettive)
cioè dei fattori contestuali negativi. E
ciò comporta la necessità di progettare
azioni anche focalizzate sull’interazione
persona-contesto. Una prospettiva individualistica potrebbe infatti non essere
sufficiente soprattutto pensando alle
categorie di utenti svantaggiati e alle
diverse fasi meno lineari e più “accidentate” della loro storia/carriera personale.
Rita Chiesa
Dina Guglielmi
Guido Sarchielli
Università degli Studi
di Bologna
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
NOTE
1 Al workshop “Quali competenze per
la gestione delle nuove carriere multiformi e «senza confini»?”, svoltosi all’interno della UNESCO Chair on Lifelong
Guidance and Counseling Conference
(Università di Firenze, 5-6 giugno 2015),
hanno partecipato, oltre agli estensori
del presente contributo, i seguenti ricercatori e professionisti Graziella Pellegrini
(Regione Friuli Venezia Giulia); Francesco
Varagona (IAL Marche); Fidelma De Luca
(IAL Marche); Paola Paolinelli (Regione
Marche); Massimo Peron (Ciofs Bologna);
Annalisa Rinaldi (psicologa del Lavoro –
libera professionista); Francesco Pisanu
(Iprase, Trento); Rita Chiesa (Università di
Bologna); Marco Mariani (Università di
Bologna); Michela Cortini (Univeristà di
Chieti), Giancarlo Tanucci (Università di
Bari), Mario Fulcheri (Università di Chieti);
Massimo Bellotto (Università di Verona).
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Toderi S., Sarchielli G., Sviluppare la
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31
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Il boscaiolo, dat.1921, olio su tela.
32
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
33
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
L’AREA ADULTI DEI
SERVIZI SOCIALI E LE
FRAGILITÀ CRESCENTI
A
Attraverso percorsi
di potenziamento
delle risorse personali
e professionali che
concorrono a sostanziare
i livelli dell’occupabilità
delle persone, condotti
con strumenti del
sistema sociale e della
formazione,
il servizio si prefigge
l’accompagnamento al
sistema d’offerta delle
politiche attive del lavoro
34
VALUTAZIONE ED INTERVENTI PER
UN’OCCUPABILITÀ POSSIBILE DELLE
FASCE DEBOLI
Mario Pradella, Giuseppe Marino
SVANTAGGIO
SOCIALE: CONCETTO
DA INTEGRARE
Dal 2001, all’interno dei Servizi Sociali del Comune di Pordenone ed in
seguito nell’Ambito 6.5 che riunisce
cinque comuni, ci si è dedicati ad un
progetto sperimentale, oggi servizio
stabile dell’Ambito stesso, rivolto alle
persone assistite che portano multiformi necessità attorno al tema occupazionale. Ci riferiamo ad una casistica
ampia che quotidianamente giunge
ai Servizi Sociali e che non beneficia
di una normativa effettivamente tutelante: lo svantaggio sociale collegato
allo stato di difficoltà occupazionale.
A tutt’oggi il concetto di svantaggio
sociale, piuttosto generico ed indistinto, non permettendo una chiara
definizione delle effettive difficoltà
all’esercizio dei diritti di cittadinanza,
in primis il lavoro, costringe le persone
richiedenti aiuto e sostegno sociale a
competere ad armi impari nell’agone
del mondo produttivo e selettivo.
Lo svantaggio sociale negli ultimi
decenni ha assunto valenze diverse
da quelle storicamente connotate.
Accanto alle tipiche esigenze economiche, che segnano costantemente
lo svantaggio e la fragilità di persone
e nuclei familiari, si presentano nuove
necessità di ri-adattamento delle persone alle mutate richieste e condizioni
poste dal mercato del lavoro (MdL)
in continua trasformazione. Chi non
dispone di queste capacità evidenzia
condizioni di vulnerabilità e svantaggio diversamente connotabili – già
presenti in nuce – e non riferibili necessariamente alle sole problematiche
della povertà e dell’esclusione quali
fattori-oggetti tradizionali e categorie
interpretative dell’intervento sociale.
La necessità di una ricerca chiarificatoria sia nell’ambito culturale, per una
necessaria rivisitazione del concetto
delle ‘nuove povertà’, sia nell’ambito
strettamente operativo per giungere,
nei servizi sociali comunali, a nuovi
approcci e metodiche più attinenti
ai reali bisogni riportati dalle persone seguite, ha richiesto una ridefinizione dell’interpretazione semantica
del concetto di svantaggio che non
fosse più immediatamente afferibile
alle sole limitazioni da condizioni di
povertà o invalidità normativamente
riconosciute.
Il rapporto tra le capacità lavorative
e le componenti di svantaggio personali non si esaurisce in due polarità
antitetiche “normalità”/occupabilità
verso svantaggio acuto/inoccupabilità ma si inserisce, piuttosto, in un
quadro variegato di capacità esprimibili e di limitazioni a tali capacità, che
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
comportano diversi percorsi e destini
personali. Basandoci sulla cultura del
servizio sociale e dell’accompagnamento degli adulti fragili, ci siamo
addentrati in un’analisi multidimensionale dei requisiti richiesti dal MdL locale, rivolta alle specificità delle competenze trasversali che precedono e
sostengono le abilità, conoscenze e
dotazioni professionali demandabili
al sistema della formazione lavorativa
professionale.
L’analisi dei requisiti ci ha condotti
all’individuazione di fattori determinanti lo svantaggio sociale adulto ed
abbiamo riscontrato che la volontà è
parte importante ma non sufficiente
nel novero delle componenti da ri-attivare e potenziare per la costruzione
dei requisiti al lavoro. I fattori di occupabilità sono molteplici e complessi
perché correlati a parimenti complesse origini della fragilità.
È la dimensione della possibilità
reale di uno sviluppo che, prioritariamente, va indagata, approfondita e
innescata nelle premesse del lavoro
con i soggetti deboli; questo correlando la buona prassi alla sostenibilità
individuale del processo.
Il MdL attuale ricerca autonomie
complesse anche nei lavori semplici
(dinamicità, flessibilità, sufficiente eloquio in condizioni di lavoro di gruppo,
autonomia di giudizio e d’azione, riflessività, riconoscimento dei feedback, abilità negoziali, decisionali, organizzative
e di programmazione) che il soggetto
lavoratore deve sostenere per reggere
la sfida.
Per ‘possibilità’ intendiamo sia la disposizione o acquisibilità delle competenze trasversali e tecnico-professionali che attengono all’esercizio di
un lavoro e all’adattamento all’ambiente che lo regola, sia la condizione
proattiva iniziale in cui la persona può
prefigurarsi delle opzioni (delle possibilità) che aprano a scenari auspicati e motivanti il suo processo volto
all’obiettivo.
LE CONDIZIONI DI
SVANTAGGIO SOCIALE
ADULTO
In questi anni di impegno rivolto al
potenziamento delle risorse personali
delle fasce deboli, abbiamo riscontrato
essere generale condizione, riconducibile alla debolezza delle persone da
noi incontrate, la fragilità del processo
di autonomizzazione individuale. Soprattutto nella fascia d’età dai 25 ai 45
anni, in cui viene a collocarsi la maggior
parte delle persone da noi seguite nel
tempo, abbiamo raccolto testimonianze costanti di disagio connesso, sia ad
una limitazione del proprio personale
potere d’azione (agency debole), sia ad
una dolorosa e perdurante sensazione
di incompiutezza che le persone ci trasmettono quando provano a descrivere
il mancato raggiungimento delle proprie aspirazioni.
Più specificamente riscontriamo essere condizioni originanti le problematicità, sia pur con diversi livelli di gravità:
condizioni di basso livello culturale e
difficoltà di integrazione sociale; carenze dell’autostima e dell’assertività che
inibiscono le relazioni e le scelte adulte;
stati di precarietà personali legati ad una
mancata risoluzione di conflitti interiori;
debole maturazione di responsabilità
adulte connessa a modalità di scelta
incoerenti che possono condizionare
l’esistenza; carenze cognitivo-intellettive
(non certificate o non certificabili per la
moderata gravità) che limitano l’acquisizione di competenze complesse in
ordine all’occupabilità.
Tali elementi costitutivi di una condizione di svantaggio si correlano non
di rado a più stati di difficoltà personali ed esistenziali, quali le condizioni di
madri sole con figli piccoli, quella degli
stranieri gravati da scarsa integrazione e carenti padronanze linguistiche,
quella delle persone dotate di percorsi
d’istruzione carenti, assenti o precocemente interrotti che non hanno recepito
35
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
l’importanza della formazione professionale extrascolastica. Le condizioni
di difficoltà personale e sociale, come
sopra descritte, con le autonomie complessive, le capacità acquisite o latenti –
specie nell’area dell’apprendimento – le
competenze operative ed organizzative,
concorrono alla definizione di variegati
quadri dell’occupabilità delle persone,
dei potenziali di sviluppo e dei limiti al
cambiamento, inteso come evoluzione
personale integrativa.
Il progetto intende coniugare attivamente interventi propri di politiche di
assistenza (Welfare) e di politiche attive
del lavoro (Workfare), posizionandosi
nell’area di contatto tra cultura sociale
e politiche occupazionali (Tab.1).
Tale finalità ha richiesto una progettazione orientata alla sperimentazione
e alla costruzione di significati condivisi
fra vari attori del sistema territoriale su
una molteplicità di livelli: la configurazione organizzativa del servizio, il suo
assetto e le interlocuzioni territoriali
con gli stakeholder, la metodologia di
lettura della domanda e la definizione
del sistema dell’offerta.
Il sistema d’offerta del servizio denominato “Orienta Lavoro”, di matrice
educativa per adulti, punta allo sviluppo delle risorse personali e lavorative,
partendo da una valutazione di fattori
individuali e sociali incidenti sull’occupabilità delle persone a cui seguono
progettazioni individualizzate. Nel corso
del tempo il servizio, in raccordo con
gli altri attori del sistema locale sociale,
lavoro e della formazione, si è disposto
ad una innovazione e differenziazione
delle pratiche professionali, applicando
metodologie che spaziano dalle pratiche di accompagnamento sociale ed
educativo per adulti, al self empowerment 1, all’orientamento professionale,
alla costruzione di percorsi formativi e di
inserimento lavorativo. La rilevazione dei
bisogni individuali si pone alla base di
una progettazione che, supportata dalle
competenze degli assistenti sociali, può
avvalersi di una gamma di interventi
comprendenti l’integrazione del reddito,
la borsa sociale con finalità formative
o inclusive, l’orientamento, il tirocinio,
la formazione professionalizzante. Fin
dai primi anni di attività è emersa la
necessità di impostare il supporto e
l’affiancamento agli individui fragili o
svantaggiati con specifici percorsi di
accompagnamento utili ad elevare le
soglie di occupabilità, organizzando le
risorse valutative e gli interventi orientativi del servizio.
Nel sistema agiscono 12 assistenti
sociali dell’Area adulti e 2 educatori per
adulti; il servizio Orienta Lavoro opera
sia come “assessment centre” sia come
ufficio di progettazione degli interventi.
Nell’arco temporale della nostra esperienza professionale ci siamo occupati
di circa 650 utenti con interventi con-
UN SERVIZIO PER
L’OCCUPABILITÀ
Tab.1: Il progetto coniuga
attivamente interventi propri di
politiche di assistenza (Welfare)
e di politiche attive del lavoro
(Workfare), posizionandosi nell’area
di contatto tra cultura sociale e
politiche occupazionali
36
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
sulenziali, orientativi e, tramite i centri
accreditati, formativi; tra questo gruppo 450 persone sono state coinvolte in
processi di accompagnamento mirati di
potenziamento delle risorse e contrasto
della fragilità.
LA DEFINIZIONE DI
QUADRI TIPICI DI
FUNZIONAMENTO
Un team valutativo procede periodicamente alla ricognizione delle caratteristiche dello svantaggio correlate ai
livelli di occupabilità. La valutazione si
prefigge l’emersione delle tipicità caratterizzanti le categorie dello svantaggio, correlate al grado di rilevanza dello
stesso. La mission del servizio, partendo
dalla categorizzazione di tipologie d’utenza omogenee per livelli di fragilità e
potenziale di occupabilità, mira ad una
risposta che rispetti le aspirazioni del
singolo entro un processo di sviluppo.
Le categorizzazioni per tipologie non si
prefiggono un etichettamento statico
delle condizioni di svantaggio rilevate
ma sono da intendersi come ‘fotografie di stato’ mutabili, perché soggette
ai processi evolutivi e trasformativi interpretati dai beneficiari. Non esistono
infatti situazioni immutabili in quanto,
pur nei casi più complessi, si riscontrano
margini di sviluppo, ancorché slegati da
un’occupabilità perseguibile.
Si sono individuate 5 dimensioni tipologiche dello svantaggio, correlati ai
trattamenti più consoni alle specificità:
VULNERABILITÀ TRANSITORIA
VULNERABILITÀ
SVANTAGGIO LIEVE
SVANTAGGIO COMPLESSO
SVANTAGGIO CONCLAMATO (Tab. 2) .
Tale categorizzazione, specie per le
condizioni di vulnerabilità, che presentano caratteristiche di maggiore prossi-
mità all’occupabilità, non è immune dal
condizionamento dei fattori ambientali
e correlati al quadro socio-economico
che determina le mutate condizioni del
mercato del lavoro. Una lettura attenta,
precedente la progettazione dell’offerta,
delle potenzialità di sviluppo delle persone agevola e rafforza qualitativamente
il lavoro sociale. Tale modello valutativo
è strettamente coniugato alla professionalità degli operatori, che si sentono
coadiuvati dagli indicatori di valutazione
predisposti e li possono funzionalmente
rapportare ai propri schemi valutativi. Gli
operatori attivi entro il sistema dedicato
agli adulti con difficoltà occupazionali,
utilizzano gli stessi ‘indicatori bersaglio’
di una specifica griglia di valutazione,
articolata in due passaggi valutativi e
predisposta all’individuazione dei profili
sopra illustrati, ricercandone l’omogeneità applicativa e concorrono così al
rafforzamento di un linguaggio e di una
cultura valutativa condivisa.
PRIMO PASSAGGIO
VALUTATIVO: FATTORI
COMUNI DI FRAGILITÀ
Il primo passaggio valutativo della
griglia opera una ricognizione di ‘fattori comuni di fragilità’, fondati su dati “di
stato” oggettivi della persona e sulla
sua storia formativo-lavorativa: l’età;
l’istruzione; la formazione extrascolastica; lo stato di povertà; il contesto
familiare; le reti socio relazionali; la
presenza di carichi di cura familiari;
lo stato di salute; il periodo di disoccupazione; l’omogeneità e longevità
delle esperienze lavorative (facilitanti
la professionalizzazione); la disponibilità oraria al lavoro; l’autonomia nella
mobilità; le competenze linguistiche;
le competenze informatiche e infine
la cura di sé.
La lettura di questi fattori permette
una riflessione sulle dotazioni funzio-
37
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Vecchia e bambina a Sauris di
Sopra, 192, olio su tela.
38
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
39
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
nali all’occupabilità, sia pur parziale e
necessitante l’integrazione valutativa: i
luoghi originari di provenienza, i vissuti personali e familiari con il bagaglio
di diverse culture, le caratteristiche di
personalità, la molteplicità delle situazioni esistenziali che hanno prodotto
una condizione di svantaggio confluiscono nel definire specifici stili di
vita, atteggiamenti e comportamenti
contribuendo, tutti assieme, a individualizzare e differenziare ampiamente
la casistica.
Risulta pertanto indispensabile valutare degli indicatori di funzionamento
personale, sociale e organizzativo che
rinforzino il primo quadro di indagine.
la natura dei problemi che richiedono
una soluzione; i livelli di dipendenza/autonomia da condizionamenti
esterni; le capacità auto valutative
che consentono alla persona di individuare aspetti di sé che potrebbe
integrare o modificare; la capacità
- proattiva - di anticipare i problemi,
le esigenze ed i cambiamenti.
l
SECONDO PASSAGGIO
VALUTATIVO:
INDIVIDUAZIONE
DEL ‘CAPITALE DELLE
RISORSE INDIVIDUALI’
A completamento del quadro d’indagine, il secondo passaggio valutativo della griglia compone una rappresentazione articolata in cinque
dimensioni – socio cognitiva, valoriale/motivazionale, socio relazionale,
emotiva, operativa o dell’agency – i cui
indicatori, desunti dalla pluriennale
esperienza degli accompagnamenti personalizzati di Orienta Lavoro,
compongono il ‘capitale delle risorse
individuali’.
l
40
La dimensione socio cognitiva concerne le abilità che consentono alla
persona adulta di esercitare un’influenza significativa sul piano vita
aspirato e ricercato, appoggiandosi
a doti innate e acquisite: riflessività;
perspicacia; adeguati schemi di ragionamento; capacità di stare su un
piano di realtà; il problem solving
come abilità di individuare le fonti e
l
l
La dimensione valoriale/motivazionale riguarda quegli attributi di
valore (desunti dal rapporto con gli
operatori) che consentono alla persona di collaborare sintonicamente
con gli altri per il raggiungimento
degli obiettivi personali, esercitando
la responsabilità adulta: la prontezza
alla collaborazione; una condotta collaborativa e tollerante; la franchezza;
la dotazione di spirito di iniziativa ed
intraprendenza; la percezione dell’inopportunità dell’autoindulgenza e
dell’autogiustificazione protratte; la
volontà di migliorare alcuni aspetti
personali in un’ottica evolutiva per
favorire gli obiettivi concordati con il
servizio.
La dimensione socio relazionale si
riferisce alle componenti fondamentali delle relazioni umane: abilità comunicative e dialogico-empatiche;
flessibilità ed assertività relazionale
con attenzione all’alterità; capacità di
esercitare una relazione non gravata
da inibizioni, insicurezze e remissività
penalizzanti; correttezza nei rapporti,
con condotte esenti da aggressività
e manipolazioni; abilità negoziali;
individuazione dei presupposti che
convalidano la capacità di inserirsi
in nuovi contesti sociali e/o lavorativi
tra cui il rispetto delle norme esplicite
ed implicite.
La dimensione emotiva è fondamentale per la maturazione dei requisiti al
lavoro nella dimensione lavorativa dei
soggetti deboli. La dotazione di razionalità ed emotività sufficientemente
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
correlate e bilanciate, accompagnano
le persone al confronto con i momenti
cruciali della loro esistenza. E’ questa
la dimensione che forse, più di altre,
richiede interventi di sostegno perché
l’abilità derivata dalla consapevole
gestione, nelle persone fragili, della
loro interiorità, con il raccordo tra le
componenti riflessive ed emotive, favorisce le scelte strategiche, gli atteggiamenti e comportamenti adeguati
nei contesti organizzativi complessi, le
relazioni stabili e costruttive. Quando
la persona con accorta riflessività si
investe nella valutazione e gestione
delle emozioni positive, a fronte di
un riconoscimento dell’importanza
dell’autocontrollo dei propri impulsi
e delle emozioni spiacevoli, ne ricava
un dominio delle esperienze e delle
relazioni favorente la costruzione
dei propri obiettivi vitali. Ne derivano quindi: sicurezza e fiducia interiore; tenuta agli stress e alle avversità;
una relativa libertà dalle situazioni
generatrici d’ansia con capacità di
prefigurazione di una diversa e più
positiva rappresentazione di sé.
l
La dimensione dell’agency chiude
l’indagine del capitale delle risorse
individuali. Gli avvii dei percorsi di
empowerment individualizzati si reggono sulle possibilità di cambiamento
delle persone e sul loro investimento di
apertura al futuro tramite la ‘possibilitazione’2 . Essenziale risulta l’impegno
ad attivare e sostenere la competenza
ad agire (“agency”). Non è possibile
pervenire ad un’attività lavorativa e
poterla perseguire a prescindere dalla
disposizione di adeguate capacità di
azione per le quali ci misuriamo con
il termine polisemico agency, inteso
prioritariamente come disposizione
mentale e strategica delle persone
all’azione finalizzata al raggiungimento degli scopi 3. Oltre alla dotazione di capacità decisionali ed organizzative si valutano le seguenti
abilità: saper integrare e potenziare le
proprie risorse e competenze; disponibilità a seguire percorsi orientativi,
di formazione di base o formazione
professionale (ri)qualificante; giungere
ad una domanda di lavoro sostenuti
dalla consapevolezza che le esperienze frammentate e diversificate possono richiedere una ricomposizione
nella formazione; dimostrare capacità
di assumere iniziative autonome ed
operativamente efficaci, ciò a premessa dell’esercizio di abilità gestionali e
operative.
VULNERABILITÀ,
SVANTAGGI LIEVI
E OCCUPABILITÀ:
L’OFFERTA INTEGRATA
DEI SERVIZI
La presa d’atto di una crescita di
vulnerabilità in segmenti significativi
di popolazione e la mutazione del fenomeno svantaggio che si ri-connota
assumendo forme eterogenee e di
varia gravità (che spaziano dalla lievità
alla complessità fino alla più tipica,
ben connotata, marginalità sociale)
e la conseguente necessità di rispondere con interventi interistituzionali
specifici ha indotto i Servizi sociali
ad utilizzare l’occasione offerta dalla
programmazione del Piano di Zona
provinciale (PdZ 2013-2015) per una
diversa, innovativa, impostazione delle
pratiche di supporto e per la costruzione di una struttura di connessione
tra le istanze sociali e quelle formativo-lavorative-occupazionali.
Già da alcuni anni nel territorio
dell’Ambito 6.5 era stato avviato il Progetto VAI (valorizzazione accoglienza integrata) che riuniva i servizi in
un protocollo operativo di rete per
sostenere scelte di vita appropriate
e responsabili tramite un modello
condiviso di accoglienza degli utenti
41
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
42
e di congruità dell’offerta dedicata4.
Queste spinte ed esperienze hanno
pertanto favorito entro la progettazione del PdZ e la realizzazione delle
relative “Misure di contrasto alla povertà – integrazione con le politiche
del lavoro” (Obiettivo 9) un processo
di avvicinamento e ricomposizione
delle conoscenze e delle competenze
– in particolare tra gli Ambiti sociali,
la Provincia di Pordenone con i Centri
per l’Impiego e il Centro Regionale
di Orientamento – volto ad un sistema dedicato alla transizione tra l’area sociale e lavoristica. Ne è sorto un
progetto denominato ‘Sistema Provinciale per l’integrazione e l’inserimento
lavorativo delle persone in condizione
di svantaggio sociale e lavorativo’ che
ha condotto alla costituzione delle
‘Equipe integrate territoriali per l’occupabilità’ (ETO) in ognuno dei cinque
Ambiti distrettuali provinciali.
Il confronto costante tra operatori
dei diversi servizi sociali, del lavoro e
dell’orientamento, con l’ausilio dell’esperienza maturata in Orienta Lavoro,
si è focalizzato soprattutto in sessioni di lavoro di gruppo condotte con
modalità autoformative per individuare, rivalutare e ampliare gli indicatori
essenziali a sostanziare i profili della
vulnerabilità e dello svantaggio. In tali
sedi si è convenuto che, in presenza
di interventi adeguati, l’occupabilità è
alla portata dei profili di vulnerabilità
(transitoria o meno) e di svantaggio
lieve mentre, per gli altri profili (svantaggio complesso, svantaggio conclamato) è necessario approntare percorsi diversamente finalizzati che, in
taluni casi, potrebbero condurre ad
occupabilità.
Entro il sistema provinciale, le ETO
hanno adottato la griglia di valutazione creata nell’Ambito 6.5 – e aggiornata in seguito al confronto provinciale di cui sopra – come strumento
elettivo di codifica dei profili sociali
che, in relazione alle diverse fragilità,
possono accedere ad occupabilità di-
retta tramite l’intervento dei Centri per
l’Impiego o a percorsi propedeutici
l’occupabilità volti al potenziamento
delle risorse; per i percorsi socio occupazionali e quelli inclusivi a contrasto
di marginalità è esclusa la segnalazione all’ETO. Per ogni utente segnalato al
sistema viene predisposto un piano di
azione individualizzato che prevede la
costruzione di un progetto alla cui cura concorrono gli operatori dei diversi
servizi coinvolti (sociali, educativo e
orientativo professionali e del lavoro).
La complessità degli interventi rivolti ai vari profili, che non comprende
i soli interventi volti all’occupabilità,
richiederebbe un allontanamento
dalle finalità di questo scritto, segue
pertanto una illustrazione delle caratteristiche dei profili di vulnerabilità e di
svantaggio lieve che meglio rispondono alle azioni di sviluppo delle competenze generali e specifiche messe
in campo dal servizio Orienta Lavoro.
PROFILI DELLA
VULNERABILITÀ
CARATTERISTICHE
I soggetti inquadrabili nei profili della vulnerabilità, separati per diversi
gradi di gravità delle condizioni in
vulnerabilità e v. transitoria (vedi Tab.
2), sono persone dotate di consapevolezza dei loro limiti e delle loro risorse
e coadiuvate da capacità riflessive ed
autocritiche in cui i problemi di autostima, che gravano sugli altri profili,
risultano essere marginali. Dispongono di discrete e veloci capacità di
focalizzare le questioni di fondo che
consentono loro scelte responsabili.
Generalmente vivono sentimenti di
spiazzamento in quanto hanno costruito esperienze positive nell’organizzazione personale e lavorativa, a fronte
di un presente di disoccupazione e
spesso di solitudine. Quest’ultima de-
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
riva solitamente da situazioni familiari
che si sono complicate per i carichi di
cura di figli o genitori e una contemporanea assenza di un partner o altri
di supporti; ciò determina la limitazione a scegliere alternative costruttive.
VULNERABILITÀ TRANSITORIA
In molti casi è evidente l’azione di
aspetti sfavorevoli ed imprevedibili
nella determinazione della vulnerabilità: la persona non poteva evitare
gli eventi problematizzanti (repentini
e dolorosi abbandoni, malattie e lutti
improvvisi in famiglia,…) ciò costituisce un aspetto importante della condizione di vulnerabilità transitoria, che
si accompagna ad abilità generali sulla
molteplicità degli indicatori osservati.
VULNERABILITÀ
In altri casi ciò che può generare vulnerabilità deriva da difficoltà di moderata gravità accumulatesi nel tempo,
dalla non sempre efficace capacità di
fronteggiarle e dalle incertezze decisionali e a questo si correlano, sia pur in
forma minore degli altri profili, percorsi
d’istruzione e formazione post scolastici non del tutto adeguati alle attuali
esigenze del MdL. Queste condizioni
rendono la vulnerabilità leggermente
più strutturata (non transitoria) e i conseguenti interventi dei servizi coinvolti
più elaborati. Gli esiti dei percorsi sono
generalmente connotati da riscontrabili incrementi di competenze sociali
e operative.
AZIONI POSITIVE GENERALI NEL
PROFILO
Nel profilo generale della vulnerabilità si è potuto accertare nel tempo
che le persone necessitano di orientamento professionale breve, di un
eventuale bilancio di competenze professionale, di integrazione formativa e
di strumenti incentivanti l’occupabilità
quali i tirocini. La necessità (frequente)
di perseguire una formazione ri-qualificante o una integrazione formativa è
velocemente accolta e condivisa e gli
operatori sociali devono solo facilitare
le condizioni per realizzarla tramite i
centri accreditati dalla Regione.
PROFILO VULNERABILITÀ E OCCUPABILITÀ
Le esperienze professionali di queste
persone declinate nei curricula comportano solitamente l’interesse dei contesti
lavorativi che ricercano personale per
cui, rispetto ad altre casistiche, risulta un
maggior numero di colloqui di selezione nel MdL. Le selezioni dagli esiti sfavorevoli sembrano marcare soprattutto
il ‘fattore età’ (persone più giovani con
minori competenze vengono favorite)
o l’esigenza di assumere personale con
particolari competenze specialistiche.
Tab. 2: Le potenzialità per
l’occupabilità, individuate ex ante
gli accompagnamenti per il rinforzo,
sono inversamente proporzionali
alla gravità di svantaggio che,
opportunamente contrastata, può
ridursi
43
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Bimba e veduta di Sauris di Sopra,
1921, olio su tela.
44
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Il traino del concime, 1921, olio su
legno.
45
GIUSEPPE BARAZZUTTI
46
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Pomeriggio festivo, 1922, olio su
tela, part.
47
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
PROFILI DELLO
SVANTAGGIO LIEVE
Lo svantaggio lieve è il profilo a cui è
afferibile la maggior parte dell’utenza
seguita da Orienta Lavoro negli ultimi
anni; ciò non è in corrispondenza all’entità dell’utenza seguita dalle politiche
sociali dell’Ambito 6.5 ma piuttosto
ad una scelta organizzativa compiuta
alcuni anni fa guidata dall’esigenza di
sostenere processi di autonomizzazione, a contrasto di possibili derive assistenzialistiche e di acutizzazione delle
fragilità, nelle persone aventi i requisiti
a tali processi. Illustriamo di seguito le
quattro condizioni più diffuse seguite
dal Servizio attinenti al profilo, sottolineando che ad ogni condizione corrispondono situazioni di minore o maggiore gravità che determinano la durata
complessiva degli accompagnamenti
offerti. Le condizioni più diffuse su cui
si è intervenuto riguardano: adulti con
maturità deboli, stranieri con difficoltà
di integrazione, soggetti over 50 con
bassi livelli di istruzione, giovani adulti
con difficoltà relazionali. Per affrontare
queste ben connotabili condizioni di
disagio si è intervenuti con azioni di
self empowerment, formazione professionale, orientamento e borse sociali
formative (tirocini sull’asse sociale); è
interessante notare come tali diverse
condizioni talvolta si intrecciano nelle
componenti ‘bassa istruzione – formazione’ e ‘debole autostima – assertività’.
48
ADULTITÀ FRAGILI
Questa condizione inseribile nello
svantaggio lieve (con forme più o meno gravi) è generalmente determinata
da una generale difficoltà personale ad
esprimere compiutamente le responsabilità adulte che si ripercuotono negativamente nelle dimensioni formative e
lavorative. Le persone conosciute, generalmente connotabili come insufficientemente consapevoli delle proprie
risorse, con un’autostima bassa o com-
promessa e con una scarsa conoscenza
di sé e degli obiettivi a cui rivolgersi, tendono ad operare scelte con criteri inopportuni e disfunzionali ai risultati (incostanza, incoerenza dei comportamenti,
tendenza a ripetere azioni fallimentari,
inadeguata valutazione delle decisioni
strategiche, inclinazione all’impulsività
e carente esercizio della riflessività, tendenza presente o passata ad agire senza
consultazioni,…) venendosi a trovare in
una situazione esistenziale difficile che
comporta la ricerca d’aiuto ai Servizi
Sociali. La fascia d’età maggiormente
coinvolta in questi problemi spazia dai
30 ai 40 anni. Essendo debole, in questo
profilo, la capacità di modificare autonomamente la propria situazione, queste
persone vivono nell’incertezza, percepiscono di avere delle risorse ma non
riescono ad individuarle con chiarezza
ed organizzarle a loro vantaggio. Dopo i
40 anni queste problematiche tendono
a radicarsi e l’azione d’aiuto diviene più
complessa.
STRANIERI CON DIFFICOLTÀ DI
INTEGRAZIONE
Possono pure individuarsi nel più
generale profilo di svantaggio lieve
condizioni di uomini e donne stranieri
(generalmente tra i 30 e i 45 anni), che
denotano alcune, leggere, difficoltà di
socializzazione, competenze linguistiche
ritenute insufficienti alle esigenze aziendali e soprattutto livelli di istruzione e
di formazione inadeguati al MdL attuale
perché non accompagnati da competenze specifiche. Nel periodo immediatamente successivo all’inizio della crisi
che ha investito pesantemente le aziende del territorio provinciale (metalmeccaniche, stamperie di materie plastiche,
aziende del mobile,…) sono fuoriusciti
dai circuiti occupazionali molti stranieri
con queste caratteristiche, senza più
rientrarvi. Le carenze sono situate su
alcuni assi principali: debole autonomia
(personale ed economica) ad investire
in apprendimenti generali e specifici
rivolti alle nuove, superiori, competenze
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
richieste dal MdL; difficoltà ad esercitare
una adeguata (auto)promozione delle
proprie abilità e competenze, sia per le
carenze linguistiche che comunicative
(linguaggio ridotto e bassa assertività);
tendenza a rivestire ruoli esecutivi, standardizzati e gregari non più ricercati dalle aziende locali, maggiormente rivolte
alla ricerca di profili generalmente più
istruiti, operativamente molto autonomi, duttili nell’esercizio delle mansioni.
ADULTI OVER 50 CON BASSI
LIVELLI DI ISTRUZIONE
Soggetti over 50, in maggioranza italiani, generalmente autonomi e responsabili e con un pregresso lavorativo di
lavoratori non qualificati, con più frequenza afferiscono alla tipologia di svantaggio lieve. Soffrono il disagio di una
perdurante disoccupazione che erode,
rendendole più fragili, quelle capacità e
competenze socio-cognitive, riflessive
ed emotive che presiedono all’adattamento a nuovi contesti di lavoro e
alle funzioni organizzativo-decisionali
che facilitano la produttività. Il fattore
età è molto penalizzante per un reingresso nel MdL: sebbene le statistiche
provinciali indicherebbero un favorevole riscontro dovuto all’effetto degli
incentivi, le persone richiedenti aiuto ai
Servizi Sociali per la citata componente
‘bassa istruzione – formazione’ e per la
sovrapposizione (in toto) delle caratteristiche già descritte per gli stranieri
(scarsa duttilità e flessibilità) risultano
pressoché bloccate nel riposizionamento lavorativo.
GIOVANI CON DIFFICOLTÀ
RELAZIONALI
Riguarda ragazzi inoccupati tendenzialmente responsabili e collaborativi
alla relazione d’aiuto loro rivolta, desiderosi di accedere al futuro lavorativo
e contemporaneamente timorosi di
esprimersi fattivamente. Ad inizio percorso sono generalmente collocabili
nella forma più accentuata del profilo
dello svantaggio lieve ma, in quanto
giovani, il loro potenziale di sviluppo
(e di uscita dalle condizioni problematiche) è generalmente molto elevato.
Denotano difficoltà nella dimensione
socio relazionale ed emozionale, talvolta inibizione sociale; soffrono di una
carente autostima che influenza le loro
capacità negoziali e l’assertività. La loro
sensibilità li rende fragili di fronte ai piccoli insuccessi, temono eccessivamente
il giudizio altrui. Le esperienze scolastiche possono essere interrotte ma non
è infrequente il possesso del diploma
superiore. Le citate difficoltà rallentano
le loro esperienze preparatorie al MdL,
ma questi giovani dispongono di motivazioni ad investirsi al cambiamento e
generalmente sono costanti ed affidabili. Quando gli operatori concordano con
loro un percorso di sviluppo personale e
un supporto formativo, le esperienze on
the job (con borse sociali formative o tirocini) ottengono discreti, se non ottimi,
esiti sia per l’acquisizione di fiducia di sé
che per l’incremento delle competenze
trasversali e operative.
AZIONI POSITIVE GENERALI NEL
PROFILO
Le persone afferibili al profilo di svantaggio lieve (di maggiore o minore gravità) necessitano di percorsi strutturati
personalizzati, seguiti da operatori sociali ed educativi esperti nel fronteggiare
lo svantaggio adulto. La durata di questi
percorsi spazia solitamente dagli 8 ai 18
mesi, in relazione alla gravità, e si struttura in pratiche di self empowerment5
e di educativa per adulti. I trattamenti
sono improntati a condurre le persone
da una diffusa condizione di learned
helplessness (impotenza appresa) alla
condizione di learned hopefulness (fiducia)6 , valutando e sviluppando diverse
modalità di interpretazione delle cause
che ostacolano i risultati, perfezionando
capacità riflessive e decisionali, e affrontando l’impostazione e gestione delle
principali scelte di vita in ambiti relazionali e operativi. L’utilizzo di borse sociali
formative in contesti protetti perfeziona
49
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
gli accompagnamenti favorendo lo sviluppo di competenze lavorative e socio
relazionali.
SVANTAGGIO LIEVE E
OCCUPABILITÀ
L’accompagnamento di persone in
situazione di svantaggio lieve, tenuto
conto delle esperienze, abilità e competenze acquisite nel pregresso lavorativo o nel percorso di accompagnamento formativo offerto dai Servizi,
indica statisticamente una maggiore
facilità all’accesso ad occupazione protetta (cooperative o contesti fidelizzati
dai servizi territoriali). La compatibilità
ad occupazione non protetta – con
l’età favorevole – può essere maggiore qualora la persona abbia maturato
competenze di lavoro specializzato
certificabili dai Centri per l’Impiego.
Difficile il reingresso nel MdL (compresa la cooperazione sociale) per gli over
50 con bassa istruzione/formazione.
50
PROSPETTIVE TRASFORMATIVE
PER PERSONE E SERVIZI
Riteniamo che il Servizio Sociale
debba occuparsi delle possibilità di
restituire alle persone accompagnate
le competenze per affermarsi e raggiungere obiettivi vitali. Sono compiti
centrali di un servizio sociale l’analisi
dei bisogni e la formulazione di una
offerta progettuale condivisa con gli
interessati, coerente con tale analisi.
È altrettanto importante che le progettualità si fondino su presupposti di
sostenibilità e conseguenti potenziali
di efficacia degli interventi correlati.
Questo vale anche per un servizio,
interno alle politiche sociali comunali,
che si occupa di sostegno e accompagnamento di persone portatrici
di bisogni e problematiche nell’area
formativo lavorativa7. Perché tale processo virtuoso sia solido e quanto più
possibile al riparo da dolorosi fallimenti per l’utenza, risulta indispensabile
consolidare e aggiornare con continuità le prassi valutative.
Conoscere e condividere con le persone interessate la reale natura dei
bisogni; approfondire l’analisi dei nodi
problematici ambientali e individuali;
farne emergere le risorse, i potenziali
e i limiti, sono passaggi fondamentali
per dare risposte progettuali credibili,
convintamene condivisibili e foriere di
un cambiamento anche trasformativo.
La prospettiva trasformativa non mira
tanto a mutare lo stato contingente di
disoccupazione quanto a intervenire
sulle dotazioni personali e professionali funzionali ad affrontare, in un’ottica di affrancamento dalle necessità
di assistenza, la complessità delle sfide
esistenziali maturando diverse e più
funzionali “prospettive di significato” 8.
A chiusura di questa trattazione ci
pare necessario soffermarci brevemente sul ‘fattore professionale’ che
forse, in una congiuntura generale
di risorse limitate, potrebbe essere
considerato aspetto demandabile al
futuro ed invece, per quanto riguarda
le pratiche professionali che cercano
l’innovazione ed il superamento di
barriere, anche culturali, che ostacolano il raccordo tra mondi diversi (sociali
produttivi) è aspetto ineludibile. Non
è possibile raggiungere cambiamenti
significativi senza disporre di metodiche e pratiche che contemplino interventi interprofessionali in continuità
operativa non solo tra servizi diversi
ma entro la quotidianità operativa di
una singola organizzazione. Componente fondamentale di successo delle
progettazioni giunte ad occupabilità
è risultata, in base alla esperienza del
nostro Ambito, la convergenza di due
culture intrecciate nell’operatività ma
distinte, più di quanto appaia ad un
primo sguardo, nelle matrici di riferimento: l’educativa professionale e
l’assistenza sociale. L’epistemologia
che conduce l’intervento degli assistenti sociali si differenzia da quella
che guida e sostiene gli educatori
professionali ma i ‘territori del confronto’, nell’esperienza di quasi 15 anni
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
di lavoro, indicano che le due professioni, quando operano entro un
quadro d’azione strutturato, possono
soddisfare obiettivi complessi non facilmente raggiungibili negli interventi
condotti autonomamente nei propri
tradizionali ambiti.
Mario Pradella
Educatore professionale
Marino Giuseppe
Educatore e Tecnico del sostegno
educativo
Ambito distrettuale urbano 6.5
NOTE
1 La metodica del self empowerment,
rivolta a soggetti esenti da quadri psicopatologici della personalità, ci pare
si integri efficacemente con le azioni
orientative, la formazione professionale
e le esperienze di tirocinio. Abbiamo
riscontrato nel corso del tempo una
sua congruità con le pratiche sociali
ed educativo professionali adottate nei
percorsi di sviluppo individualizzati per
adulti. Inoltre, il richiamo teorico del
self empowerment, così come descritto
da Gheno S. (2005), ai costrutti di autoefficacia (A.Bandura), responsabilità (J.
Rotter), speranza (Zimmerman, Seligman), pensabilità positiva (M. Bruscaglioni), ci pare coincidere con i bisogni
profondi di parte significativa dell’utenza
incontrata. Per un approfondimento
rimandiamo a Gheno S., L’uso della
forza – il self empowerment nel lavoro
sociale e comunitario, McGraw-Hill, 2005
4 Per approfondimenti: Giannetti R. ,
Zoff G., Chiesa R., Il Progetto V.A.I. – Un
modello di rete locale realizzata con la
progettazione partecipata - “Quaderni
di Orientamento” - Direzione centrale
istruzione formazione e cultura Regione
FVG, Periodico semestrale n. 35, 12/2009,
pp. 54 et sgg.
http://www.regione.fvg.it/quaderni/
Quaderno%2035_II%20semestre_Dicembre2009/files/assets/basic-html/
index.html#1
5 M. Bruscaglioni 1991, 1995, 2000; S.
Gheno 2005.
6 C. Peterson, S. F. Maier & Seligman,
1993; B.J. Zimmermann 2000.
7 Sulla necessità della trasformazione e
2 Per i processi di possibilitazione rimandiamo a Bruscaglioni M., Persona
empowerment, AIF - Franco Angeli,
2007 pp. 25 e seg.
dell’aggiornamento dei servizi dedicati
al contrasto delle problematiche lavorative dei soggetti deboli si confronti:
Villa M., Dalla protezione all’attivazione – Le politiche contro l’esclusione tra
frammentazione istituzionale e nuovi
bisogni, Franco Angeli, 2007.
3 Per un approfondimento della poli-
8 Per la prospettiva trasformativa inne-
semicità del concetto di agency, su cui
ritorneremo, rimandiamo al confronto
con Agency e linguaggio: etnoteorie
della soggettività e della responsabilità
nell’azione sociale, Donzelli A. e Fasulo
A., (a cura di), Meltemi editore, 2007.
scabile in taluni percorsi di cambiamento personale rimandiamo a Mezirow
J., Apprendimento e trasformazione.
Il significato dell’esperienza e il valore
della riflessione nell’apprendimento degli
adulti, Raffaello Cortina Editore, 2003.
51
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
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Palmieri C., La cura educativa.
Riflessioni ed esperienze tra le pieghe
dell’educare, Franco Angeli, 2003.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Rilievi di case a borgo Tredolo a
Forni di Sotto, 1927-1929, matita
su carta.
Case di Sauris e figura femminile,
1922, matita su carta.
53
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Studio di interno con due figure,
1921 ca., matita su carta.
54
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
55
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
LA CENTRALITÀ DEL
LAVORO
L’IMPORTANZA DEI VALORI
PROFESSIONALI DELLA PERSONA
A
A parità di condizioni le
persone che mettono al
centro della loro vita il
lavoro hanno maggiori
probabilità di continuare
a lavorare anche dopo
una grossa vincita (e
viceversa). Quale ruolo
gioca la centralità del
lavoro nella costruzione
dell’identità professionale
o nella ricerca di una
professione?
56
Fortunato Mior
CENTRALITÀ
DEL LAVORO: LA
DEFINIZIONE DEL
COSTRUTTO
Il costrutto della Centralità del lavoro,
inteso come espressione di valori professionali di una persona, in passato
è stato poco considerato dalla ricerca
sociale, anche se – almeno in ambito
sociologico – una sua definizione risale agli inizi del ’900 con lo studio di
Weber sull’etica del protestantesimo.
Nella nota tesi esposta da Weber
(1930) si sostiene che la “mentalità”
del protestante abbia influenzato la
nascita di una “mentalità” capitalista:
dove cioè la persona è portata a considerare il lavoro come un valore in
se stesso, perché attraverso il lavoro,
o meglio attraverso il reinvestimento
dei frutti del lavoro, si possono generare iniziative economiche e avere così altro benessere, considerato,
quest’ultimo, come il segno tangibile
della grazia divina.
Nel dopoguerra nell’ambito della
psicologia vanno segnalati sia alcuni questionari tendenti a valutare il
livello di “etica protestante”, come il
Protestant ethic scale di Mirels e Garett
(1971), sia alcuni apporti in qualche
modo pertinenti con il tema della centralità del lavoro:
l
l
Meclelland e Atkinson (1953) introdussero il costrutto di bisogno di
realizzazione (need for achievment)
riguardante la necessità, per determinate persone, come il protestante,
di portare a termine un compito con
successo.
Dubin (1956), invece, spostò l’attenzione dall’etica del lavoro alla percezione degli interessi centrali della vita
elaborando un questionario che permetteva di confrontare l’importanza
per il proprio lavoro – non il lavoro in
generale - con altre aree della propria
vita come la famiglia e il tempo libero.
Solo dagli anni ’80, il costrutto è stato
analizzato con maggiore sistematicità
ed è stato confrontato con altri fattori
simili o sovrapponibili.
Kostek (2012) riporta le principali definizioni di Centralità del lavoro:
l
l
Per Manheim (1975) riguarda i contenuti relativi al lavoro nei processi
mentali dell’individuo, che si riflettono
nel modo di rispondere a questioni
che lo coinvolgono nel ruolo di lavoratore come preoccupazioni, il grado
di conoscenze e degli interessi.
Per Warr e Cook (1979) riguarda il
grado con cui una persona vuole
impegnarsi nel lavoro.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
l
l
l
Per Kanungo (1982) è la convinzione
personale circa il grado d’importanza
che il lavoro svolge nella propria vita.
Per Mow (1987) è il grado d’importanza generale che il lavoro ha in ogni
momento nella vita di un individuo.
Per Paullay (1994) sono le credenze
che gli individui hanno per quanto
riguarda il grado d’importanza che
il lavoro gioca nella loro vita.
Alcuni autori, come Kanungo (1982)
hanno usato il termine coinvolgimento
lavorativo (work involvement) per definire il medesimo concetto. Tuttavia,
va detto, che la Centralità del lavoro è
riferita a una concezione della vita, a
un orientamento che implica l’identificazione con il lavoro e l’impegno nel
lavoro tout court e, quindi, va distinta
dal coinvolgimento, dall’impegno e
dalla preoccupazione che una persona
può manifestare in una determinata
situazione lavorativa o in un particolare
periodo lavorativo.
A tal proposito Paullay et altri (1994)
hanno chiarito la distinzione tra i due
concetti attraverso l’analisi fattoriale
e individuando due fattori distinti tra
loro.
Un’ulteriore comprensione del costrutto in questione è data dal confronto con il Work Alchoolic e con il
Comportamento di Cittadinanza Organizzativa.
Il termine work Alcholic, introdotto
da Oates (1971), è definito attualmente
come un “Disturbo ossessivo-compulsivo
che si manifesta attraverso richieste autoimposte, un’incapacità di regolare le proprie abitudini di lavoro ed eccessiva indulgenza nel lavoro fino all’esclusione delle
altre principali attività della vita. Inoltre
si riferisce a una persona il cui bisogno di
lavorare è talmente eccessivo da creare
notevoli disagi e interferenze nello stato
di salute, nella felicità personale, nelle
relazioni personali e familiari e nel suo
funzionamento sociale (Robinson, 1998).
Come si può notare i due costrutti
per molti aspetti sono l’un con l’altro opposti: ad esempio per quanto
riguarda la soddisfazione lavorativa.
La centralità del lavoro sembra invece essere in relazione con il comportamento di cittadinanza organizzativa
(Organizational citizenship behavior,
OCB) descritto da Organ (1988) e che
consiste nella scelta personale e discreta a impegnarsi nel far funzionare
un’organizzazione lavorativa senza
che ciò rientri tra i compiti lavorativi
assegnati oppure senza un riconoscimento formale e senza incorrere
in sanzioni qualora interrompa tale
comportamento. La persona OCB, tradizionalmente nominata Buon Soldato
è caratterizzata da altruismo, virtù civica e lealtà (helping behavior, civic virtue, sportmanship) (Podsakoff, 1997).
La ricerca di Ucanok (2008)
evidenzia che il comportamento OCB
in parte dipende dalla centralità del
lavoro. In particolare la centralità del
lavoro sembra privilegiare una relazione con la dimensione “virtù civica”
dell’OCB, cioè con il senso di coinvolgimento responsabile e costruttivo in
un’organizzazione.
I DETERMINANTI
DELLA CENTRALITÀ
DEL LAVORO
Tra gli antecedenti, cioè tra le cause, della centralità del lavoro possiamo indicare le seguenti variabili:
l
Il genere: Una relazione tra il sesso
e la centralità del lavoro è ipotizzabile laddove sussiste una diversità nei ruoli lavorativi tra uomini
e donne: quanto più i ruoli sono
diversi tanto più sono centrati
sulla carriera lavorativa per l’uomo e sulla famiglia per la donna.
In una società con una forte divi-
57
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
sione dei ruoli all’uomo è delegato
il compito del sostegno economico
della famiglia è, quindi, maggiore
dovrebbe essere l’investimento delle risorse personali nello sviluppo
della carriera professionale e dell’identità di lavoratore con una conseguente forte centralità del lavoro.
Gli studi passati in rassegna da Kostek (2012) sono contrastanti: in alcuni non vi è alcuna differenza di sesso
nella Centralità del lavoro mentre in
altri, gli uomini, in generale, riportano livelli di centralità del lavoro più
elevati. Ciò può essere il segno che
le forti trasformazioni sociali degli
ultimi decenni che hanno portato
a una maggiore parità di genere
nel mondo occidentale non hanno
ancora colmato tutte le differenze
rispetto al lavoro (guadagni e livelli
di carriera inferiori nelle donne) con
ripercussioni sulla centralità del lavoro, senza contare che alle donne
è chiesto di investire e distribuire le
proprie risorse personali parimenti
in una molteplicità di ruoli, famiglia,
genitore, lavoro.
l
58
L’età: Con l’aumentare dell’età la centralità del lavoro tende a crescere
come dimostrano alcune ricerche
citate da Bal e Kooij (2011). Aumentando con l’età le responsabilità verso se stessi e/o i famigliari maggiore
diventa la necessità di garantirsi una
stabilità finanziaria, che passa anche
attraverso una maggiore importanza
data al lavoro (Gould & Werbel, 1983).
È stato ipotizzato (Manneheim, 1975)
ma non ancora verificato, che la relazione tra l’età e la centralità del
lavoro sia di tipo curvilineo in virtù
del fatto che possa essere meno
marcata tra i giovani e i lavoratori
più anziani: i giovani possono non
aver avuto abbastanza tempo da investire pienamente se stessi nel loro
lavoro, mentre le persone anziane
avvicinandosi alla pensione possono
iniziare a svincolarsi dal lavoro per
prepararsi alla vita di pensionato.
Bal e Kooij (2011), hanno anche riscontrato che l’età svolge un ruolo
mediatore nel modo di “relazionarsi”
con l’organizzazione lavorativa da
parte di persone con alta o bassa
centralità del lavoro. Le persone con
un’alta centralità del lavoro tendono
ad avere un Contratto Psicologico1,
termine che si riferisce alle credenze
personali che si hanno nel merito
degli accordi e degli scambi con
l’organizzazione lavorativa cui si
appartiene, di tipo relazionale, inteso come un investimento per la
crescita della carriera professionale. Al contrario tra le persone con
una bassa centralità del lavoro, si
riscontra maggiormente un modo
di relazionarsi di tipo transazionale,
inteso come un rapporto di minore
durata e volto a ottenere benefici
materiali. L’età, giovani lavoratori o
lavoratori adulti, rafforza queste due
tendenze, in particolar modo i lavoratori adulti e con alta Centralità del
lavoro tendono maggiormente a un
tipo di contratto psicologico di tipo
relazionale.
l
l
Il livello d’istruzione: Goldman (1973)
ha fornito prove che suggeriscono
che le persone che si pongono
obiettivi professionali elevati, investendo il loro tempo nella preparazione per il lavoro attraverso un
percorso lungo d’istruzione, in linea
con i propri interessi e valori, hanno
maggiori probabilità di identificarsi
con il lavoro scelto e di metterlo al
centro della propria condotta di vita.
Le variabili personali: Le persone che
possiedono un’autoefficacia lavorativa
alta tendono ad avere anche una maggiore centralità del lavoro (Oguegbe
et altri, 2014). Ciò concorda con la
teoria di Bandura, dove le credenze
di efficacia personale contribuiscono
a incrementare sentimenti di serenità
nell’affrontare compiti e attività difficili.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
LE CONSEGUENZE
DELLA CENTRALITÀ
DEL LAVORO
Tra le conseguenze della Centralità
del lavoro vanno segnalate:
La soddisfazione al lavoro
È stato ipotizzato che tra le conseguenze derivanti dalla centralità del lavoro vi sia la soddisfazione al lavoro (job
satisfaction), in base al presupposto che
il lavoratore tanto è più coinvolto nel
suo lavoro tanto più, potrà trarne soddisfazione, rispetto al lavoratore meno
coinvolto. In effetti, le ricerche sembrano
confermare questa ipotesi (Mannheim
et altri, 1997) anche se la correlazione
tra i due fattori in genere non è molto
elevata essendo data l’influenza di molti
fattori sul job satisfaction.
Inoltre, più un ruolo lavorativo è gratificante o soddisfacente, più rafforzerà
il legame tra la soddisfazione sul lavoro
e la centralità del lavoro come hanno
dimostrato Mortimer e Lorence, (1989).
Il tempo lavorativo
Coloro, che vedono il lavoro come
una parte importante della loro vita,
sono più propensi a dedicargli più tempo. Ciò può implicare disponibilità per
lo straordinario o per tempi prolungati.
Essendo il lavoro parte della loro vita
sono più interessati a vedere il proprio
impegno portato a termine, senza badare al tempo che vi è dedicato.
Al contrario, s’è visto che le persone
cercano di fare lavori part-time in modo da avere più tempo da dedicare ad
attività non legate al lavoro (Diefendorff
et altri, 2002).
L’impegno nell’organizzazione
lavorativa
L’impegno nell’organizzazione lavorativa (Organizational commitment)
fa riferimento alla relazione tra il dipendente e l’organizzazione ed è inteso come il desiderio di mantenere la propria
permanenza all’interno dell’organizzazione, di partecipazione attiva, d’impegno. L’attaccamento affettivo verso
l’organizzazione, il senso di responsabilità morale nei suoi confronti è “una
forma d’identificazione degli individui
con l’organizzazione, identificazione con
i suoi obiettivi unitamente al desiderio
di rimanere a farne parte“ (Meyer, 1993).
L’impegno nell’organizzazione lavorativa pare essere una conseguenza anche
della centralità del lavoro perché chi ha
una centralità del lavoro alta è più incline a sviluppare una relazione positiva
e affettiva (e quindi d’impegno) con
l’organizzazione e, ad esempio, è più
restio a smettere o ad andare in pensione (Schmidt et altri, 2008).
Il coinvolgimento lavorativo
L’entusiasmo e la partecipazione allo
svolgimento della propria attività lavorativa (job involvement), dovrebbero rimanere relativamente costanti al
variare delle situazioni lavorative nelle
persone con alta centralità del lavoro.
Oltre a ciò, quasi tutte le ricerche hanno
dimostrato una relazione positiva, anche
se moderata, tra la centralità del lavoro
e lo Job Involvement (Paulley et altri,
1994; Diefendorff et altri, 200).
MISURARE LA
CENTRALITÀ DEL
LAVORO
La psicologia ha proposto un’ampia
gamma di strumenti finalizzati alla valutazione dei valori professionali, cioè
strumenti volti a individuare quali dimensioni valoriali le persone desiderano
esplicitare attraverso il lavoro (creatività,
autonomia, leadership, prestigio, crescita personale, ecc.). Tuttavia, questi
strumenti solitamente non ci indicano
quanto il lavoro sia importante e fondamentale nella vita di una persona o
per meglio dire la sua “etica del lavoro”.
59
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Case di Gemona in piena luce viste
dalla finestra dello studio del
pittore, 1922, olio su compensato.
60
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Motivo di Sauris, 1922, olio su tela.
61
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
Per niente
disaccordo
Disaccordo
Né d’accordo
né in disaccordo
Work Involvement Questionnaire
(Kanungo, 1982)
Tra gli strumenti ricordiamo il Work
Involvement Questionnaire di Kanungo (1982) composto di sei items (vedi
tabella 1).
D’accordo
Ecco perché nel counseling orientativo
accanto ai valori professionali
Gli strumenti che misurano la centralità del lavoro sono perlopiù brevi,
essendo la centralità del lavoro mono
fattoriale.
Molto
d’accordo
Tabella1: Work Involvement
Questionnaire (Kanungo, 1982)
(*) Nota: La traduzione è indicativa
1. A mio modo di vedere gli obiettivi che una persona persegue nella vita
dovrebbero essere orientati sul lavoro.
2. Il lavoro dovrebbe essere considerato centrale nella vita.
3. Ciò che di importante accade nella vita ha a che fare con il lavoro.
4. La vita è degna di essere vissuta solo quando le persone sono assorbite
dal lavoro.
5. Il lavoro è qualcosa dove la gente dovrebbe essere coinvolta per la
maggior parte del tempo.
6. Il lavoro dovrebbe essere solo una piccola parte della vita di una persona.
1. Solo una piccola parte della vita di una persona dovrebbe essere
incentrata sul lavoro. *
2. A mio avviso, gli obiettivi personali nella vita di un individuo devono
essere orientati verso il lavoro.
3. La vita è degna di essere vissuta solo quando le persone sono assorbite
nel lavoro.
4. La maggiore soddisfazione della mia vita viene dal mio lavoro.
5. Le cose più importanti che mi accadono riguardano il mio lavoro.
6. Ho altre attività nella vita che sono più importanti del lavoro.*
7. Il lavoro dovrebbe essere considerato fondamentale per la vita.
8. Vorrei probabilmente continuare a lavorare, anche se non avessi bisogno
di soldi.
9. Per me, il lavoro è solo una piccola parte di ciò che sono.*
10. La maggior parte delle cose della vita sono più importanti del lavoro.*
11. Anche se il sussidio di disoccupazione fosse rilevante io preferirei lavorare.
12. Nel complesso, ritengo che il lavoro sia molto centrale nella mia
esistenza.
62
Molto
d’accordo
D’accordo
Un po’
d’accordo
Un po’ in
disaccordo
Centrality Work Scale
(Paullay et altri, 1994)
Non sono
d’accordo
La scala di Paullay Centrality Work Scale (Paullay et altri, 1994) è invece composta
da dodici items, come riporta la tabella 2.
Fortemente
in disaccordo
Tabella2: Centrality Work Scale
(Paullay et altri, 1994))
(*) Nota: La traduzione è indicativa
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Per niente
d’accordo
Disaccordo
Né d’accordo né
in disaccordo
Molto
d’accordo
Work Ethics Scale
(Miller et altri, 2001)
Tabella 3: Work Ethics Scale
(Miller et altri, 2001)
(*) Nota: La traduzione è indicativa
D’accordo
Infine, anche il Work Ethics Scale di Miller et altri (2001) contiene una sotto scala
sulla centralità del lavoro composta da dieci items (vedi tabella 3) in uno strumento
che valuta sette dimensioni etiche del lavoro.
2. Mi sento a disagio quando ho poco lavoro da fare.
4. Mi sento contento quando ho passato la giornata lavorando.
10. Anche se finanziariamente potessi, io non smetterei di lavorare.
13. Una dura giornata di lavoro è molto appagante.
30. E’ molto importante per me essere sempre in grado di lavorare.
33. Anche se ereditassi una fortuna, continuerei a lavorare.
40. Anche se per me fosse possibile andare in pensione, vorrei ancora continuare a
lavorare.
41. La vita senza lavoro sarebbe molto noiosa.
52. lavorare mi fa provare un senso di appagamento.
64. Una giornata di lavoro impegnativo dà un senso di realizzazione.
LA CENTRALITÀ DEL
LAVORO NEI GIOVANI
La rappresentazione del lavoro e
l’acquisizione del suo valore è diventato negli adolescenti un processo più
complesso e difficile, anche perché tale
processo è oggi meno esperito e più
mediato da altre esperienze come la
scuola, le attività del tempo libero e
dall’informazione mediatica.
La società moderna ha allontanato
i giovani dall’esperienza concreta del
lavoro non essendo quest’ultimo più
al centro della loro vita; se non in forma di un progetto la cui realizzazione
è procrastinata nel tempo. Un giovane, quindi, a causa della mancanza di
esperienza diretta nel lavoro può avere
difficoltà a definire quanto importante e
significativo sia per lui il lavoro - inteso
nel senso più ampio - che un giorno
andrà a realizzare.
Le ragioni del differimento dell’incontro con il mondo del lavoro da parte
dei giovani sono note e riguardano i
cambiamenti sociali avvenuti in questi
decenni.
In Italia, ad esempio, alla fine del secondo conflitto mondiale la maggioranza delle persone erano contadini,
casalinghe e piccoli artigiani con una
scolarità bassa e l’entrata nel mondo
del lavoro coincideva spesso con l’inizio dell’adolescenza. Questo rapporto
diretto con il mondo del lavoro e il lavoro erano il modo più concreto e reale
per definire e ridefinire una personale
“etica del lavoro”.
Negli ultimi decenni, invece, la scuola
e le attività di leisure (sport, volontariato,
relazioni sociali, hobbies) sono diventate sempre più il vero mondo delle
esperienze di vita dell’adolescente e
per quanto, direttamente o indirettamente, siano formative per il lavoro che
i giovani andranno a fare forse non lo
63
ORIENTAMENTO FORMAZIONE E LAVORO
64
sono altrettanto per trasmettere i “valori
del lavoro”.
Inoltre in questi ultimi decenni la
famiglia – importante fonte di trasmissione dei valori sul lavoro - è andata
incontro a profondi cambiamenti lasciandosi alle spalle un modello rurale
dove la concezione del lavoro si fondava sullo spirito di sacrificio, dedizione, abnegazione, fatica, concretezza,
aspetti che senz’altro sono propri della
centralità del lavoro.
Infine, l’enorme importanza assunta
dai mass media nell’informazione/formazione dell’identità dei giovani non
sempre aiuta a dare l’esatta visione delle professioni e del mondo del lavoro
proprio sotto il profilo della Centralità
del lavoro. Il successo e il guadagno
che la televisione, ad esempio, offre
non sempre permettono di percepire
le reali dimensioni del “tempo dedicato” per raggiungere quel successo: la
casalinga simpatica che prepara dei
piatti regionali e il premio Nobel che
spiega la sua scoperta non “trasmette”
il diverso tempo dedicato che li ha
portati lì.
Sul piano empirico va segnalato la
rassegna di studi di Sharaby e Harpaz
(2007) che evidenziano come nel mondo occidentale, negli ultimi decenni,
assistiamo a una diminuzione della
centralità del lavoro mentre aumenta
l’importanza data al tempo libero.
Twenge e Kasser (2013) fanno anche
rilevare che se da una parte, nell’occidente negli ultimi tre decenni è diminuita nei giovani la centralità del
lavoro, dall’altra parte sono anche aumentati i valori materialistici (maggiore
bisogno di denaro e oggetti costosi) e
ciò rappresenta una crescente discrepanza tra il desiderio di soddisfazioni
materiali e la volontà di attivare il lavoro necessario per ottenerli.
Speaks (2013) ha indagato la Centralità del lavoro in un campione di
studenti universitari mettendola in relazioni agli interessi per il tempo libero,
riscontrando che gli studenti orientati
al lavoro, rispetto agli studenti orientati
al leisure, hanno maggiori preferenze per attività come il giardinaggio
e “arti e mestieri”. Ciò perché queste
attività del tempo libero richiedono
conoscenze, attività fisiche e mentali,
di pianificazione, tipiche delle attività
lavorative.
Kulenovic & Super (1995) hanno indagato la relazione tra la Centralità del
lavoro, la maturità professionale (career
maturity) e il livello di educazione, riscontrando che la Centralità del lavoro, che è maggiore negli studenti che
intendono proseguire negli studi, è in
relazione con la maturità professionale.
Il soggetto della centralità del lavoro
è stato affrontato dall’università dello
Stato del Michigan con un programma rivolto agli studenti dal titolo How
Central is Work to Young Adults? (Chao,
Gardner, 2007). Il programma si pone
come obiettivo di informare e far riflettere lo studente sulla dimensione
della centralità del lavoro, allargando
così l’orizzonte dei valori riguardanti
il lavoro e ampliando le loro opzioni
sulle scelte di vita.
La pubblicazione inizia con la definizione del costrutto della centralità
del lavoro e di com’è cambiata la sua
importanza nei giovani nel tempo.
L’argomento successivo affronta le
differenze possibili tra maschi e femmine nella centralità del lavoro e le
eventuali barriere culturali e sociali
che alimentano tali differenze. Infine
sono analizzate le caratteristiche dei
giovani che presentano alti, medi e
bassi valori nella centralità del lavoro
in relazione ad aspetti salienti della vita
lavorativa e dove si riscontra che chi
ha un’alta centralità del lavoro hanno
una visione più chiara e un piano più
definito della sua carriera e un modo
meno stressante di affrontare le situazioni lavorative.
Fortunato Mior
Psicologo COR
Pordenone
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
NOTE
1 Un questionario di 18 items per la
misura del contratto psicologico è stato
preparato da Raja, U., Johns, G., & Ntalianis.
The impact of personality on psychological
contracts. Academy of Management
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published 1905), 1930.
*Diversi articoli riportati in bibliografia sono rinvenibili
in internet.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Processione notturna del venerdì
santo davanti al Duomo di Gemona,
1921, olio su tavola, Museo Civico di
Gemona del Friuli.
67
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Veduta di Sauris di Sopra, 1922, olio
su tavola.
68
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Maina e capitello a Sauris di Sopra,
olio su cartone.
69
SPAZIO APERTO
BEN-ESSERE A SCUOLA
LABORATORIO ESPERIENZIALE–
MOTIVAZIONALE CON APPROCCIO
INTEGRATO
Patrizia Missana
70
INTRODUZIONE
LABORATORI
ESPERENZIALIMOTIVAZIONALI
Sulla scia degli interventi attuati negli anni precedenti, nel mio Istituto1
è stato possibile condurre un laboratorio esperienziale e motivazionale,
sviluppando le tematiche dell’ascolto,
del counseling e del disagio in ambito
scolastico, ai quali mi sono ripetutamente interessata sin dall’inizio della
mia attività d’insegnamento.
Questo laboratorio è rivolto ad alcuni alunni delle classi terze della secondaria di I grado, che segnalavano
difficoltà di relazione e di accettazione
di sé.
Si tratta di un percorso di breve
durata, finalizzato ad aumentare nei
giovani l’autostima, il senso di appartenenza al contesto scolastico ed il
benessere a scuola, a renderli consapevoli delle loro risorse e a farli interagire proficuamente, rafforzando la
metodologia del fare, tramite attività
pratiche.
L’itinerario proposto nasce da un
bagaglio di esperienze personali che
integra esercizi pratici di varie discipline quali ad esempio la Bioenergetica,
il Tao Yoga, la Mindfulness, il Chi Kung,
la filosofia Zen, la medicina tradizionale cinese.
Perché proporre laboratori esperienziali-motivazionali ai ragazzi che
frequentano la scuola?
L’obiettivo è quello di aiutare gli allievi a imparare a prendersi cura di sé,
fin dall’adolescenza. I ragazzi coinvolti
possono sperimentare, allenare e far
emergere al meglio le loro potenzialità
riconosciute e sommerse. Quali sono i
passi importanti da fare?
La novità del laboratorio proposto
consiste nell’inserimento di esercizi di
consapevolezza corporea, definita anche “ginnastica sensoriale”, che accompagnano la pratica della Nutripuntura2,
o meglio della “scuola dei cinque sensi”
per imparare di nuovo a:
l
pensare e proiettare il proprio
sguardo;
l
rispettare il proprio perimetro;
l
riflettere e far fiorire la creatività;
l
parlare, ascoltare, comunicare;
l
esprimere la propria identità;
l
coltivare fiducia e ispirazione;
l
camminare, muoversi e orientarsi;
l
agire, trasformarsi e realizzare.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Di seguito, vengono presentati gli
elementi che costituiscono il percorso
laboratoriale:
Presenza nel Qui ed Ora
Si può partire con la “presenza nel
Qui e Ora”, data per scontata da parte
di molti adulti, ma per niente semplice
da mettere in pratica costantemente.
Questo stato di consapevolezza, rispetto al proprio sé, una osservazione
costante senza giudizio, l’integrazione
delle nostre emozioni e dei nostri pensieri nel nostro corpo, uniti ad un respiro
regolare e consapevole, costituiscono
tutto ciò a cui un essere umano può
aspirare per trovare il suo centro ed
esprimere se stesso.
Chi sono Io?
Potrebbe apparire un po’ azzardato
partire con ragazzi così giovani e porli
davanti a questa domanda, ma credo
che ciò non solo sia utile ma obbligatorio. È fondamentale dar loro la possibilità di crearsi un centro stabile all’interno
di se stessi, per far fronte all’instabilità
che li circonda: incertezza affettiva, relazionale, lavorativa, ideale. In poche
parole il vuoto.
Diventa assolutamente necessario
sganciarsi dall’idea del proprio “ruolo” e
soffermarsi maggiormente sulla propria
dimensione interiore, in vista della costruzione del sé, per fondare il proprio
radicamento su un terreno stabile e
conosciuto su cui potersi esprimere
con autenticità. Solo così potranno maturare una scelta consapevole rispetto
al proprio vivere.
Un secondo passo, che concorre alla
costruzione dell’identità del sé, consiste
nel dare ampio spazio alle emozioni e
al corpo, oltre che ai pensieri, sempre
al centro dell’attività didattica. Il corpo,
meccanismo di per sé perfetto, ci comunica costantemente lo stato delle
cose e i propri bisogni e, se sappiamo
ascoltarlo nella sua totalità, è una guida esemplare a tutte le nostre scelte.
Per imparare ad ascoltarlo, dobbiamo
passare attraverso la respirazione consapevole, che ci permette di entrare
in contatto profondo con esso, contemporaneamente sia dall’interno che
dall’esterno. Ulteriori passi verso la coscienza di sé implicano l’affermazione
del proprio nome, l’osservazione delle
proprie reazioni e il riconoscimento dei
propri limiti, sempre con una presenza costante e contemporanea nel corpo (respiro), emozioni (sensi) e mente
(pensieri).
Prestare attenzione consapevole
Prestare attenzione a qualcosa in modo
consapevole (e intanto essere nel proprio respiro, nella percezione dei propri
sensi, nella presenza costante) produce
energia nuova, sia quantitativamente
che qualitativamente superiore e si costruiscono nuove reti neuronali. Tutto
ciò, che appare un esercizio da niente,
produce oltre che all’energia rinnovata,
un distacco dai problemi, una sorta di
felicità, rilassamento e lo scioglimento
di stress e tensioni.
“Lo stato mentale consapevole favorisce l’apertura a nuove informazioni. La
ricezione di nuove informazioni amplifica le capacità mentali” 3.
Essere e apprendere: approccio
ludico-creativo
Per arrivare a rispondere alla domanda
“Chi sono io?” bisogna inizialmente capire
e conoscere le varie componenti del nostro essere (corpo, mente ed emozioni).
L’apprendimento, per concorrere al suo
scopo, deve passare attraverso queste
stesse componenti, che dovrebbero
essere (percepite) presenti contemporaneamente.
Anche se esistono, in ognuno di noi,
canali preferenziali (cinestesico, visivo,
uditivo), l’apprendimento che avviene
attraverso il centro motorio, si insedia sicuramente nella memoria più profonda.
Sarebbe auspicabile organizzare delle
lezioni multisensoriali per soddisfare i
bisogni di ogni ragazzo, in modo che
tutti possano sentire, vedere e/o rice-
71
SPAZIO APERTO
vere un’impressione di ciò che devono
apprendere.
Se affrontiamo argomenti nuovi, in
modo ludico e creativo, e li colleghiamo ad un movimento, stimoliamo
maggiormente l’apprendimento. Non
sottovalutiamo che la motivazione e
l’entusiasmo appartengono al centro emotivo (disegni, musica, favole,
fantasia) e non a quello cognitivo (ragionamento, analisi, grafici, materiale
scritto, lezione frontale).
In questa prospettiva, il ricorso ad
una didattica ludico-creativa che unisca corpo, emozioni e mente (mimo,
danza, interazione, role play, personificazione storica) risulta partico-
larmente efficace. Oggi, soprattutto
alla luce delle ultime conquiste delle
neuroscienze, non si può più separare
l’ambito cognitivo da quello emotivo.
Come sostiene D. Goleman nel suo
celebre testo “Intelligenza emotiva”,
la nostra cultura ci insegna erroneamente che pensieri e sentimenti
stiano in mondi quasi separati. In
realtà, essi sono sempre intrecciati.
Emozione e comprensione rappresentano una realtà biunivoca, non è
possibile scinderle così come non si
possono impedire i rapporti continui tra la neocorteccia e l’amigdala
a livello cerebrale, e i conseguenti
mutamenti a livello fisico.
TEMPO 8 ORE – NUMERO:12
ESERCIZI
CONCETTI
La comunicazione
identità
rispetto-prossemica
I limiti
sagoma/respirazione consapevole
limiti corporei
La presenza
percezione corporea esplorazione
della mano
“Qui e Ora”
Il radicamento
albero
grounding
La postura
orientamento (spazio-tempo)
propriocezione-camminata
La luce
colori
rifrazione della luce
La vista
cartoline-disegno
“Osservazione”
L’olfatto
gioco delle essenze
scelta
Tab. n. 1: Schema del progetto
laboratoriale
72
IL PROGETTO
LABORATORIALE
Per meglio sostenere il processo di
maturazione cognitivo-sensoriale e
preparare un terreno fertile per il raggiungimento, nel tempo, di uno stato di benessere profondo e maggior
consapevolezza di sé, ci si è soffermati
principalmente sulla “presenza corporea”, sperimentandola, ove possibile,
attraverso i cinque sensi. Il progetto
laboratoriale ha previsto 8 ore di attività come descritte nella Tab. 1.
Si inizia con la autopresentazione da
parte degli alunni4. Rilevante risulta
l’affermazione del proprio nome legato ad un gesto, ad un suono e ad una
immagine e l’importanza che viene
data alla gestualità, alla prossemica e
al linguaggio verbale e non verbale, e
ai concetti di rispetto, di ascolto attivo e in particolare al non giudizio sia
verso gli altri, che (soprattutto) verso
se stessi.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Per far comprendere al ragazzo ancor
meglio l’idea della prossemica si introduce il concetto di “limite” con una presa di
coscienza della propria figura attraverso l’osservazione e la percezione fisica
del proprio corpo. Con l’ausilio di una
respirazione si è riusciti ad allentare la
tensione che alcuni ragazzi accusavano
durante la parte pratica. Nella successiva riflessione di gruppo, tutti gli allievi
dichiaravano d’aver compreso l’idea “fisica” del concetto del limite e di sentirsi
“sicuramente diversi“, più presenti e più
“esistenti”.
Coltivare la presenza corporea nel “Qui
e Ora” ci permette di essere attenti al
mondo circostante, tanto da consentirci
di apprendere nuove nozioni con più
facilità e sostenere così il processo di
maturazione cognitivo, ottenendo un
miglioramento nelle prestazioni scolastiche. Nell’esercizio guidato di respirazione consapevole e percezione corporea, “esplorazione della mano”, i ragazzi
comprendono in prima persona cosa
significa osservare consapevolmente
qualcosa: molti sentono una differenza tra la mano osservata e l’altra, altri
sensazioni di formicolio, calore; alcuni la
percepiscono estranea e lontana. Viene
spiegato loro che la sensibilità aumenta
in modo proporzionale alla capacità di
occuparsi di ciò che ci circonda. Quando
si fissa l’attenzione su una parte del corpo, è possibile che questa venga colta
da un eccesso di vitalità.
In riferimento alla presenza, decisamente importanti risultano essere gli
esercizi pratici di orientamento spaziale,
e propriocezione, con riferimenti corporei (destra-sinistra, alto-basso, dietrodavanti, dentro-fuori) e quelli di inserimento nello spazio e nel tempo tramite
affermazioni della data e del luogo di nascita, del luogo di residenza, della scuola.
Questi esercizi sono “testabili” dagli
esperti di Nutripuntura (o da coloro che
prestano attenzione e hanno un ottimo
sentire), tramite l’ascolto della voce e l’osservazione della postura, della gestualità
e dello sguardo.
I ragazzi percepiscono un cambiamento in loro stessi e nei compagni
rispetto all’inizio dell’incontro: sono
più presenti, più reattivi. Lo sguardo,
in alcuni, è cambiato e la voce appare
più “profonda”.
Si introduce il concetto di radicamento con riferimento alla “terra”, elemento importante e fondamentale
per ognuno di noi, per mantenere la
presenza e non essere in balia degli
eventi/situazioni. Si approfondisce la
respirazione consapevole eseguendo,
all’aperto, esercizi di Chi Kung.5 Viene
dato spazio a quello dell’“albero” con
particolare attenzione all’ambiente
circostante, per rivitalizzare anche le
percezioni sensoriali: suoni, profumi,
colori. Alla fine, l’esercizio sortisce effetti di rilassamento e di pesantezza,
d’aderenza e appartenenza alla “terra”.
Si sottolinea l’importanza della postura prima da fermi e poi in movimento (“camminata”) e della connessione tra gli organi di senso e la loro
risonanza nel nostro corpo. Una errata
postura può essere indice talvolta di
disagi interiori profondi. Dall’osservazione di alcuni ragazzi sono emerse delle rigidità e/o poca centratura;
alcuni, che da fermi evidenziavano
un’ottima “presenza”, camminando
perdevano certi riferimenti corporei.
Rientrando in aula, queste corrispondenze sono state fissate utilizzando il
disegno dell’uomo vitruviano di Leonardo: natura perfetta della creazione dell’uomo in sintonia con Terra e
Universo.
Si introduce il concetto di “luce”: in
che modo la visualizzazione dei colori,
prodotti dalla rifrazione della luce e
la loro risonanza con le parti del corpo, possano riportarci velocemente
in equilibrio.6
Prima di introdurre l’esercizio viene
sottolineata l’importanza, per il nostro
benessere e per il nostro potenziale,
dell’impatto della Luce del Sole sul
nostro corpo, che si traduce come
nutrimento a livello cellulare.
73
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Veduta invernale di Sauris dalla
chiesa di San Lorenzo, 1921, olio
su tavola.
Nevicata. La casa del Cristo a Forni
di Sotto, 1927 ca., olio su tela.
74
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
75
SPAZIO APERTO
76
Si propone l’esercizio dei colori: visualizzazione guidata veicolata dal respiro.
Questa tecnica è consigliata in caso
di tensione all’interno dell’ambiente
scolastico, ad esempio prima di una verifica, con l’obiettivo di perseguire una
migliore prestazione.
Viene proposto un esercizio per rivitalizzare, potenziare il senso della vista:
si sottolinea l’importanza dell’osservazione del particolare, tramite l’utilizzo
di immagini/cartoline/quadri d’autore
da descrivere. Viene spiegato che il nostro cervello percepisce tutto ciò che ci
circonda e che tutto viene registrato.
La cosa principale è, quindi, attivare la
nostra consapevolezza in questo senso, abituandoci ad essere più presenti
anche durante le nostre attività scolastiche e a registrare maggiormente
quanto accade intorno a noi migliorando, di conseguenza, le nostre prestazioni. Se durante l’apprendimento
intervengono più organi di senso, in
situazioni piacevoli/di gioco, verrà attivata maggiormente la nostra memoria
a lungo termine.
Quando i ragazzi portano la loro attenzione a “qualcosa” in particolare e
sono presenti nel Qui e Ora, interrompono momentaneamente il flusso dei
loro pensieri e si allontanano da quelli
ricorrenti.
In seguito, si discute sulle differenze di
percezione/sensazione tra l’osservazione di un’immagine rispetto ad un’altra.
Attraverso queste riflessioni si attivano
meccanismi di scelta più rispettosi delle
proprie percezioni ed attitudini, anche
in campo scolastico.
La rivitalizzazione7 e l’uso consapevole dei sensi risultano decisamente importanti anche nella scelta della scuola
secondaria di secondo grado. Secondo
la Nutripuntura avere l’idea è in connessione con l’olfatto, e vedere con i propri
occhi dove e cosa fare in un futuro più
lontano con la vista. Oltre a rivitalizzare
l’olfatto con “il gioco delle essenze”, i ragazzi hanno interrotto il flusso continuo
dei loro pensieri (interruzione del flusso
= rigenerazione), hanno dato tregua alla
loro mente, che per un attimo è stata tacitata, hanno dato spazio al loro sentire,
al loro “essere” e non per ultimo hanno
operato una scelta.
L’esperienza si conclude con una tavola rotonda dove vengono osservati
e ridiscussi i temi trattati e viene consegnata una scheda con un riepilogo
degli esercizi proposti (esercizio/finalità/
difficoltà incontrate/benefici ottenuti).
La comunicazione tra coetanei ha
avuto giovamento; si è sviluppata la
loro capacità di osservazione, ascolto
e soprattutto rispetto reciproco.
Sicuramente i partecipanti si sono
soffermati su loro stessi, hanno imparato ad ascoltarsi o comunque a dare
ascolto alla loro parte interiore (pancia
= nostro cervello emozionale), a riconoscere le espressioni del corpo, delle
emozioni e della mente e talvolta come
esse interagiscono.
I ragazzi hanno compreso l’importanza dell’utilizzo dei sensi per effettuare
una scelta, non in automatismo o per
imitazione. Alcuni, sottolineano il loro
miglioramento in ambito scolastico, altri
in ambito relazionale.
BEN-ESSERE TRA I
BANCHI
Queste metodologie, pensate primariamente per attività di tipo laboratoriale,
hanno la loro valenza anche all’interno
delle singole discipline e possono essere
inserite dai docenti, durante le lezioni
curricolari, qualora la situazione contingente lo richieda.
Ad esempio con alunni apparentemente “assenti”, svogliati e poco disponibili a lavorare, possono essere proposte
l’osservazione della postura (l’importanza
della postura, della presenza e del qui e
ora), l’utilizzo di affermazioni sull’identità,
sullo spazio e sul tempo, in modo che i
ragazzi possano riattivarsi da un punto di
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
vista corporeo, emozionale e cognitivo. Ci
si può soffermare sul significato profondo
di affermazioni così apparentemente
banali: “Mi chiamo....”, “Oggi è...”, “Questa é
la mia destra”
Tutto ciò viene proposto all’intera classe in una dimensione ludica.
L’attenzione dei ragazzi è alta e ciò sortisce immediatamente l’effetto di presa
di coscienza, di presenza, non solo del
ragazzo in questione, ma anche del resto
del gruppo.
Queste metodologie interattive, propongono nella pratica quotidiana in classe, l’utilizzo delle life-skills.8 I programmi
che si limitano a fornire informazioni per
una acquisizione dei contenuti, hanno
una capacità limitata di intervenire sui
comportamenti degli adolescenti.
L’interattività è una componente
fondamentale e va intesa in senso
più ampio del semplice scambio di
domande e risposte: si tratta di stimolare gli alunni a discutere e a lavorare insieme in modo positivo. Le
stesse abilità verranno poi richieste
nel futuro mondo del lavoro: capacità
decisionali, pensiero creativo, pensiero
critico, auto-consapevolezza, capacità
di relazione, capacità di comunicare,
capacità di saper gestire le emozioni,
capacità decisionali, capacità di risolvere i problemi, empatia.
Patrizia Missana
Docente di Lingua tedesca
Istituto Comprensivo
Fontanafredda (Pn)
77
SPAZIO APERTO
NOTE
1 Istituto Comprensivo di Fontanafredda, Pn. Vedi anche Viaggio alla ricerca
della consapevolezza di sé, in Quaderni
di Orientamento, N. 43, Dicembre 2013.
2 La nutripuntura è una nuova professione
non Ordinistica, riconosciuta dalla Regione
Friuli Venezia Giulia nell’ambito delle
discipline del benessere e Bio-Naturali, il
cui obiettivo è sostenere la vitalità umana
e favorire l’espressione individuale della
voce, del movimento e della musica. È
un metodo di osservazione e studio
dei punti di trasmissione del corpo che
costituiscono e collegano la complessità
psicosomatica dell’essere umano. Questa
complessità si costruisce durante le tappe
evolutive della vita, stimolata dall’ambiente
con cui interagisce. È una disciplina del
benessere e della prevenzione che nasce
in Francia negli Anni ‘80 ad opera del dott.
Patrick Veret, che pur avendo obiettivi
comuni con l’agopuntura, si distingue
per la sua originalità e utilizza, al posto
degli aghi, dei nutrimenti endocellulari
la cui sinergia, proprio come gli aghi
in agopuntura, attiva la circolazione di
informazioni elettromagnetiche indispensabili alla vita cellulare.
3 F. Fabbro, “La Mindfulness: un’educazione
alla consapevolezza. Apprendimento ed
effetti psicologici”, in Quaderni di Orientamento, N. 40, 2012.
4 L’attività è stata accompagnata dall’e-
78
sperto nutripuntore Dott. Fabio De Sibio.
5 Si tratta di un’antica arte cinese che
comprende forme di movimento che
seguono i meridiani cinesi, posture
statiche, meditazioni. Esplora la quiete
nel movimento e il movimento che vi è
nella quiete.
Questo tipo di lavoro aiuta
a scoprire la postura ideale, il centro
di equilibrio, fulcri per il movimento,
con minime contrazioni muscolari per
muoversi, fare sport o rimanere calmi,
efficacemente. Aiuta ad ottenere un
livello di salute ottimale.
6 Si fa riferimento agli studi condotti dal
fisico F. A. Popp (Teoria dei Biofotoni)
nel 1970 e da L. Montagnier, Premio
Nobel per la Medicina nel 2008 (uso
delle onde elettromagnetiche per la
diagnosi della malattia).
7 “Ogni cosa osservata si rivitalizza e
prende forma”. (Eckart Tolle).
8 “Le LS definiscono l’insieme di abilità
utili ad affrontare la vita, tra cui l’abilità
di apprezzare e rispettare gli altri, di
creare relazioni positive con la famiglia
e gli amici, di ascoltare e comunicare
in modo efficace, di fidarsi degli altri e
di assumersi le proprie responsabilità”
(EU-DAP progetto europeo: Unplugged, Prevenzione a scuola, Manuale
per insegnante - basato sul modello
di influenza sociale - Comprehensive
Social Influence - CSI)
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
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79
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Paesaggio invernale verso Gemona,
1927 ca., olio su tavola.
80
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Veduta con distesa nevosa e il
colle del castello di Gemona in
lontananza, 1927 ca., olio su
compensato.
81
INFORMA
LAVORI IN CORSO
IMPARARE LAVORANDO DURANTE
L’ESTATE
Elisa Marzinotto, Raffaella Pianca
INTRODUZIONE
82
Nelle politiche Europee e internazionali per la realizzazione degli obiettivi e della strategia di “Lisbona 2010” e
di “Europa 2020”, viene riconosciuto
che l’orientamento, oltre a porsi quale
strumento per gestire la transizione tra
scuola, formazione e lavoro, assume un
valore permanente nella vita di ogni
persona, garantendone lo sviluppo e
il sostegno nei processi di scelta e di
decisione con l’obiettivo di promuovere l’occupazione attiva, la crescita
economica e l’inclusione sociale.
Le “Linee guida del sistema nazionale
sull’orientamento permanente”1, riconoscono la centralità del sistema scolastico luogo dove ogni giovane deve
acquisire e potenziare le competenze
di base e trasversali per l’orientamento,
necessarie a sviluppare la propria identità, autonomia, decisione e progettualità. Ribadiscono inoltre la necessità
di articolare i percorsi scolastici con
esperienze reali di lavoro a concreta
valenza orientativa, che avvicinino i
giovani al mondo delle professioni e
del lavoro sia in termini di maturazione
sociale e responsabilizzazione, sia in
termini di sviluppo di competenze e
autoimprenditorialità.
L’esperienza promossa dall’Ammini-
strazione Provinciale di Pordenone e
denominata “Lavori in Corso” si colloca
nell’ambito di una più ampia strategia
in materia di politiche giovanili. L’obiettivo intende offrire un’esperienza di
lavoro occasionale accessorio inserita
in un contesto a forte valenza orientativa, dove gli apprendimenti si configurano come processi di crescente
partecipazione alla vita sociale, crescita
personale e responsabilizzazione, nella
misura in cui la partecipazione è essa
stessa un processo di apprendimento
alla vita sociale.
L’impianto progettuale si propone
di promuovere un contesto di lavoro
organizzato capacitante, che permette
ai giovani studenti di essere protagonisti attivi nella cura e manutenzione del patrimonio pubblico oltre che
acquisire le competenze di base per
realizzare semplici lavori manuali e di
manutenzione del verde. Non si tratta
di una proposta esclusivamente lavorativa né meramente formativa, ma di
un percorso che stabilisce un nesso tra
questi due campi di esperienza, dove i
giovani hanno la possibilità di imparare
facendo e di fare imparando insieme
ad altri.
Si potrebbe dire che in questa esperienza estiva i giovani non studiano e
non lavorano, ma probabilmente si
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
formano e si sperimentano in un’attività lavorativa, con la possibilità di
rielaborare l’esperienza sia a sostegno
della motivazione allo studio, che alla
maturazione di un atteggiamento e
di un comportamento proattivo per
lo sviluppo delle capacità di gestione
autonoma e consapevole del proprio
processo di orientamento e trovare una
strada per il proprio futuro.
IL FABBISOGNO
RILEVATO
L’esperienza progettuale nasce nel
2010 dalla volontà di sostenere i giovani
studenti delle scuole superiori del territorio provinciale nel loro processo di
crescita e di autodeterminazione, verso
una sensibilizzazione ad una cittadinanza responsabile.
Fin dall’inizio, si propone quale laboratorio esperienziale a forte valenza orientativa, inteso anche come riscoperta
ed occasione di autorealizzazione per i
giovani studenti, in un particolare momento di difficoltà legata alla generale
crisi congiunturale che ha interessato
anche il territorio pordenonese.
Negli ultimi decenni, infatti, sono diminuite le possibilità degli studenti di
accedere ad esperienze lavorative di
tipo stagionale durante le pause scolastiche estive. In linea con i principali
documenti in materia di istruzione e
orientamento. Viene ribadita la necessità
di un avvicinamento graduale dei giovani al mondo del lavoro ed in particolare
alla creazione di occasioni lavorative per
l’acquisizione delle principali regole del
lavoro, di semplici mansioni manuali e di
inserimento in un contesto di lavoro di
squadra. Un ulteriore elemento di stimolo del progetto nasce dai frequenti casi
rilevati di poca cura nell’uso degli spazi e
delle attrezzature messe a disposizione
dalle scuole, che a volte sfociano in veri
e propri atti vandalici.
IL PROGETTO
PROPOSTO
A fronte del fabbisogno suesposto
l’Amministrazione Provinciale ha promosso negli ultimi sei anni il progetto
“Lavori in Corso”, rivolto a studenti delle
classi terze e quarte superiori che hanno
compiuto 16 anni di età. Gli studenti,
organizzati in squadre di lavoro e supervisionati da maestri di mestiere e tutor
socio-pedagogici, hanno l’opportunità
di effettuare un’esperienza di lavoro occasionale accessorio, nei mesi di luglio e
agosto, presso le sedi delle scuole superiori e altre aree di pertinenza dell’Ente,
occupandosi di piccoli lavori di manutenzione, imbiancatura, pulizie esterne
e manutenzione del verde.
Il contesto di apprendimento proposto crea un vero e proprio laboratorio
del fare, delle relazioni, della responsabilizzazione e della rielaborazione esperienziale. Se per i ragazzi rappresenta, da
un lato, una spinta alla concretezza e a
mettersi in gioco, dall’altro, una situazione, per quanto guidata, di sperimentazione diretta delle proprie competenze
lavorative. Il contesto così strutturato è
utile per accompagnare i ragazzi verso
una riflessione sugli aspetti di crescita
e sviluppo delle competenze, facilitati
dalle verifiche costanti, dal dialogo tra
lavoratore esperto e giovane lavoratore,
con il supporto dei tutor socio-pedagogici. La conferma delle capacità seppur
apparentemente elementari, è fonte di
aumento di autostima e sicurezza nelle
relazioni personali, nonché dimostrazione di capacità di tenuta sulle regole e
di esecuzione del compito.
Gli studenti lavoratori vengono retribuiti con i buoni lavoro (voucher), che
rappresentano un sistema di pagamento del lavoro occasionale accessorio,
cioè di quelle prestazioni di lavoro svolte
al di fuori di un normale contratto in
modo discontinuo e saltuario.
Così come previsto dal Testo Unico
sulla Salute e sulla Sicurezza sul Lavo-
83
INFORMA
ro (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e s.m.i.),
l’Amministrazione Provinciale individua
le mansioni, le sedi di lavoro, effettua
la valutazione dei rischi, fornisce le attrezzature e i dispositivi di protezione
individuale, organizza la formazione,
l’addestramento e gli accertamenti sanitari previsti.
Il contesto organizzativo si propone
come un luogo connotato da un alto
tasso di pragmatismo, da una logica
orientata al fare, ma che lascia spazio
alla rielaborazione dell’esperienza grazie al confronto con il gruppo, il maestro e il tutor al tempo stesso consente
e alimenta una logica di scambio e di
condivisione.
LE OPPORTUNITÀ
La proposta progettuale si inserisce in
un contesto di forte trasversalità andando a produrre opportunità di crescita e
rispondenza ai fabbisogni di almeno tre
categorie di beneficiari. Primi tra tutti i
giovani studenti coinvolti, beneficiari
diretti, che hanno la concreta occasione di:
l
l
l
l
l
84
responsabilizzazione rispetto al tema
della cura e della manutenzione del
patrimonio scolastico;
possibilità di mettersi alla prova
nell’acquisizione di semplici competenze manuali;
possibilità di percepire una retribuzione (indicativamente 487,50 € netti per 64 ore lavorative) e acquisire
consapevolezza in merito all’importo
netto, lordo e agli oneri previdenziali
e assicurativi;
opportunità di acquisire le principali
regole in merito alla sicurezza e salute
nei luoghi di lavoro;
acquisizione di un attestato per la
partecipazione al progetto e uno per
la formazione sulla sicurezza utile ai
fini dei crediti formativi;
l
possibilità di ritrovarsi in un momento
di aggregazione che vede come tema
di fondo “l’imparare lavorando”.
Ad ogni squadra di lavoro viene affiancato un maestro di mestiere e un
tutor socio-pedagogico, figure esterne
all’Amministrazione Provinciale. Gli studenti, oltre ad avere un’opportunità di
lavoro estivo sperimentano una modalità di lavoro e di messa in discussione
con gruppi di giovani adolescenti, uniche nel genere.
Inoltre, il progetto ha delle evidenti
ricadute positive per l’Amministrazione
Provinciale e per le scuole nei termini di manutenzione del patrimonio e
di sensibilizzazione e consapevolezza
degli studenti rispetto alla cura delle
scuole che frequentano durante l’anno
scolastico.
ORGANIZZAZIONE
PREVISTA (STRUMENTI
E METODI)
L’avvio del progetto vede l’attivazione dei referenti interni della Provincia
già dal mese di febbraio/marzo per
coordinarsi con i referenti scolastici al
fine di conoscere quali cantieri e dove
è possibile attivarli nelle varie scuole.
Si può fare una previsione di quante
squadre organizzare e in che area territoriale della provincia.
Tra aprile e maggio vengono avviate le procedure ad evidenza pubblica
di individuazione e incarico dei tutor
socio-pedagogici e dei maestri di mestiere. Nello stesso periodo viene effettuata la promozione del progetto
nelle scuole con incontri dedicati agli
studenti, diffusione attraverso brochure, mail e comunicati stampa.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Il target di riferimento per la partecipazione al progetto sono gli studenti
iscritti al 3° o 4° anno degli Istituti superiori, che abbiano compiuto i 16 anni,
senza impegni/obblighi scolastici nel
periodo di svolgimento dell’attività e
residenti in provincia di Pordenone.
A fine maggio vengono raccolte le
adesioni degli studenti disponibili ad
effettuare l’esperienza estiva. In considerazione dell’elevato numero di richieste (in media 900 adesioni per 200
posti ogni anno), è stato necessario
strutturare una modalità di adesione
on line attraverso apposite form e web
application. Viene quindi formulata una
graduatoria che assegna i ragazzi al
cantiere dell’area di residenza, sulla
base della rispondenza ai requisiti di
accesso, dell’ordine di arrivo della domanda, del periodo prescelto di lavoro
e della disponibilità di posti per ogni
cantiere.
Gli studenti, formati sulle nozioni di
base in materia di rischi, sicurezza e
comportamento nei luoghi di lavoro,
sulle mansioni da svolgere e dotati di
tutti i materiali, i dispositivi di protezione individuale e le attrezzature previste,
vengono avviati al lavoro occasionale
accessorio per un monte ore complessivo di 64, articolate in tre settimane nei
mesi tra fine giugno e agosto presso
gli Istituti Superiori ed altre aree di proprietà dell’Amministrazione Provinciale.
Il progetto è condotto con la tecnica
della sperimentazione in situazione assistita, la cui tenuta dipende molto dal
valore dell’esperienza proposta, dalla
possibilità di interrompere il vissuto
di sfiducia e a volte di rifiuto nei confronti di qualsiasi proposta provenga
dal mondo adulto, ma dipende anche
dall’approccio comunicativo e relazionale messo in campo dagli adulti di
riferimento.
L’impianto progettuale prevede infatti la suddivisione dei ragazzi in gruppi
di lavoro (indicativamente 10-14 studenti), affiancati durante tutta l’esperienza da due figure di supporto:
l
l
il “maestro di mestiere”, persona in
pensione, in mobilità o disoccupata,
con il compito di fornire ai ragazzi un
valido supporto tecnico-pratico e di
facilitare il passaggio intergenerazionale delle competenze;
il “tutor socio-pedagogico”, esperto
in processi educativi con esperienza di
tutoraggio in situazione, con l’obiettivo specifico di promuovere l’apprendimento di competenze trasversali, quali
la capacità di lavorare in gruppo, di
relazionarsi con il contesto e le figure
di riferimento lavorative e di facilitare
il dialogo intergenerazionale.
L’elevato carattere sperimentale del
progetto e l’elevato numero di ragazzi coinvolti, impone una attenzione
continua al monitoraggio delle attività nella fase di avvio del progetto,
in itinere e a conclusione, che viene
sviluppato attraverso questionari di
autovalutazione, verifiche nei cantieri,
incontri con referenti interni e personale scolastico, focus group.
I referenti interni del Settore Politiche Sociali e giovanili, del Servizio gestione Immobili e del Servizio
Prevenzione e Protezione effettuano
costanti verifiche in loco per monitorare il clima nelle squadre di lavoro,
l’andamento dei lavori di manutenzione, l’eventuale necessità di materiali
aggiuntivi, il rispetto della sicurezza
sul lavoro.
A conclusione dell’attività vengono
acquisite, sia in modo individuale, che
in sedute di gruppo, le osservazioni e
le criticità di una organizzazione così ampia e complessa, e le relazioni
conclusive di ogni tutor sull’attività e
clima delle squadre di lavoro.
Inoltre, è stato messo a punto un
questionario di ingresso come autovalutazione delle competenze e uno
finale semi-strutturato come occasione di accompagnamento e riflessione
da parte dei gruppi di giovani lavoratori sull’esperienza vissuta.
85
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Veduta di borgata di Forni di Sotto,
1928 ca., olio su compensato.
Case di San Giorgio in Val Resia,
1924, olio su tavola.
86
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Veduta invernale di Forni di Sotto,
1927ca., olio su compensato.
87
INFORMA
RISULTATI OUTPUT
(ESITO VERIFICATO)
Dal primo progetto pilota realizzato
nell’anno 2010, sono state effettuate
sei edizioni del progetto per un totale
di 1416 studenti avviati all’esperienza di
lavoro occasionale accessorio, in particolare vedi la Tab. 1. (sostituire con tab.
in immagini)
Tipologia
2010
2011
2012
2013
2014
2015
totale
Numero di
domande
242
772
725
905
982
917
4.660
1.416
1.416
Numero di studenti
lavoratori
100
273
250
247
215
214+
117 dei
comuni
Numero di studenti
formati
100
273
250
247
215
331
Numero di maestri di
mestiere
8 ogni anno
Numero
di tutor
9 ogni anno
Numero
cantieri
18 cantieri
anno
Stima dei metri quadri di
edifici imbiancati
oltre 25.000
m. q. all’anno
(esclusa la manutenzione del
verde)
Tab. 1: Dati delle sei edizioni del
progetto pilota
88
L’esito dei questionari di autovalutazione somministrati in ingresso e in
uscita agli studenti evidenzia, oltre alle
caratteristiche del campione coinvolto
nelle dimensioni di età, sesso, l’istituto
scolastico di provenienza, la presenza
di altre esperienze di lavoro, la motivazione alla partecipazione al progetto e
l’autovalutazione delle capacità e degli
apprendimenti.
L’analisi dei questionari dell’edizione 2015, in linea con quella delle altre
edizioni, vede un’età media degli studenti lavoratori pari a 17.4, quasi equamente suddivisi tra maschi e femmine
e tra ragazzi che frequentano un liceo
o un istituto tecnico. Il 64% dei ragazzi
segnala una precedente esperienza di
stage o volontariato e il 72% non ha
mai effettuato un’esperienza di lavoro.
Tra le motivazioni alla partecipazione al
progetto si evidenziano l’opportunità
formativa e la possibilità di ricevere un
compenso, ma per il 28% è importante anche l’esperienza di aggregazione.
Il grafico sull’autovalutazione delle capacità e degli apprendimenti in
ingresso e in uscita evidenzia un aumento dei punteggi medi su tutte le
dimensioni dallo spirito di cooperazione
e disponibilità al lavoro di gruppo, alla
comprensione e velocità di apprendimento, al rispetto dei tempi di esecuzione e organizzazione, all’acquisizione di
competenze e abilità pratico-manuali,
al senso di responsabilità.
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Distribuzione percentuale maschi e femmine
49,5%
Maschi
50,5%
Femmine
Anno frequentato
Tipologia di Istituto scolastico
52%
Licei
48%
Tecnico
Industriale
Professionale
57%
3°anno
43%
4°anno
Distribuzione percentuale per età
40,2%
36,9%
13,6%
7,9%
16 anni
17 anni
1,4%
18 anni
19 anni
20 anni
89
INFORMA
Altre esperienze di lavoro o di volontariato
No, 72%
Si, 64%
Si, 28%
Si, 36%
Esperienze lavorative
pregresse
Attività integrative,
tirocini scolastici,
attività di volontariato
90
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
TRASFERIBILITÀ
DELL’IMPIANTO
PROGETTUALE
L’impianto organizzativo può essere
trasferito a qualsiasi Ente pubblico che
intende utilizzare lo strumento del lavoro occasionale accessorio per effettuare
attività di manutenzione, cura del verde,
supporto alle attività interne per offrire
agli studenti un contesto ad alta valenza
educativa e orientativa.
Per lo specifico target di studenti e,
qualora si volessero gestire numeri importanti, è opportuno prevedere delle
figure di affiancamento per lo sviluppo
delle competenze tecniche e delle competenze relazionali (maestri di mestiere
e tutor) in un rapporto ottimale 1 a 10
ragazzi.
Nell’anno 2015 l’Amministrazione Provinciale ha promosso il progetto “Lavori
in Corso Comuni”, sostenendo i Comuni
ad organizzare la stessa esperienza nel
loro territorio. Sono stati coinvolti oltre
100 giovani studenti che nel periodo
estivo hanno collaborato nelle attività individuate dai Comuni di appartenenza, dalla tinteggiatura di edifici, alla
pulizia e cura del verde, al supporto alle
attività informative e turistiche.
Coinvolgere i giovani all’interno di
contesti che sono orientati alla realizzazione di prodotti finali concreti, in una
logica di lavoro di gruppo, permette
di valorizzare punti di forza e competenze specifiche del singolo studente
coinvolto, con un effetto ad alto valore
aggiunto, che è la sensazione di aver
contribuito alla realizzazione di qualcosa di utile, spendibile e tangibile e di
essere stato in qualche modo efficace.
La valorizzazione dei punti di forza dei
ragazzi, il coinvolgimento e la responsabilizzazione in azioni concrete che
hanno una ricaduta positiva per il resto
del gruppo, generando forme di riconoscimento sociale, sono gli elementi
essenziali per attivare un processo di
capacitazione e proporre un’esperienza
ad alta valenza orientativa.
Elisa Marzinotto
Politiche Sociali
Provincia di Pordenone
Raffaella Pianca
Politiche Sociali
Provincia di Pordenone
NOTE
1 Definizione delle Linee Guida del sistema
nazionale sull’orientamento permanente
– Accordo del 05 dicembre 2013, ai sensi
dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del D.
Lgs 282/97.
Lavoro occasionale accessorio:
http://www.inps.it/portale/default.
aspx?itemdir=5590
91
INFORMA
FVGECONOMY
I DATI SOCIO ECONOMICI REGIONALI
IN UN’APP
Giulia Mardero
L’OSSERVATORIO FVG
IN UN CLICK
92
FVGECONOMY è l’APPlicazione dell’IRES FVG per l’aggiornamento in tempo
reale sui dati socio economici regionali.
Realizzata nell’ambito del progetto
FVGEconomy. L’osservatorio FVG in un
click! finanziato nel 2014 dalla Regione
FVG - Direzione centrale cultura, sport
e solidarietà, l’APP è stata sviluppata da
IRES FVG per favorire la massima diffusione dei dati statistici regionali anche
da parte di coloro che non posseggono
specifiche competenze statistiche ma
che possono utilizzare tali informazioni
nelle attività di orientamento professionale e lavorativo, nelle attività didattiche
o nella definizione di politiche e strategie socio-economiche.
In particolare, FVGECONOMY è uno
degli strumenti informativi e divulgativi promossi e realizzati nell’ambito
dell’Osservatorio sulle trasformazioni socio economiche regionali curato
dall’Istituto fin dal 2006. Dai prodotti
di divulgazione cartacea realizzati annualmente, si è passati negli ultimi due
anni ad un Osservatorio consultabile on
line, composto da un mix di materiali
più versatili, interattivi e personalizzabili
(report periodici di approfondimento
sui principali dati – Infoclick, iReport
e Infografica), tra i quali la stessa APP.
Navigare e consultare i dati statistici regionali diventa quindi intuitivo,
semplice e immediato. Con FVGECONOMY è possibile accedere, attraverso un semplice Click, ai principali
dati relativi al lavoro, all’economia,
all’istruzione e alla popolazione regionale, personalizzare le ricerche
ed essere tempestivamente avvisati, tramite un sistema di alert sul
proprio smartphone o tablet, sugli
ultimi aggiornamenti dati realizzati
dall’IRES FVG nella sua costante attività di monitoraggio delle principali
fonti statistiche nazionali e regionali.
MODALITÀ DI
NAVIGAZIONE
L’APP ha l’obiettivo di rendere maggiormente accessibile e fruibile il dato statistico offrendo all’utente una
serie di strumenti volti a favorire una
rapida consultazione e personalizzazione della ricerca.
Il dispositivo si compone di due
chiavi di accesso e navigazione:
l
per tematica di approfondimento,
attraverso la quale l’utente può visionare i dati a seconda del tema di
interesse. Al momento sono presenti
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
quattro aree tematiche (Lavoro, Economia, Popolazione, Istruzione) per
accedere ai principali dati regionali
su occupazione e/o disoccupazione,
ore di cassa integrazione autorizzate,
esportazioni e imprese attive, popolazione residente e redditi, pensioni,
scolarizzazione di ogni ordine e grado.
l
per ultimi dati disponibili, per accedere direttamente alle sole tabelle
con dati aggiornati. In questo modo
sarà ancora più semplice, anche per
i meno esperti, accedere all’informazione più aggiornata e disponibile.
Per facilitare la lettura e migliorare la fruibilità e la personalizzazione
dell’informazione, il dato viene presentato graficamente con:
l
l
l
l
l
grafici a barre;
l’indicazione della stringa di ricerca
effettuata;
i valori assoluti e/o percentuali disponibili nelle ultime tre annualità;
variazione % rilevata negli ultimi due
anni;
uno o più indicatori attraverso i quali
personalizzare la ricerca effettuata. Generalmente, infatti, ogni dato
viene presentato nei suoi valori regionali e poi può essere analizzato
per provincia, genere, settore o altri
indicatori.
Ad arricchire le informazioni presenti nell’APP la sezione iRESpedia,
per spiegare e illustrare alcune categorie statistiche utilizzate nelle tabelle e nei dati esposti (ad es. tasso
di disoccupazione, persone in cerca
di occupazione, impresa attiva…),
e una pagina Contatti attraverso la
quale segnalare eventuali elementi
di miglioramento.
ACCESSIBILITÀ E
FRUIBILITÀ DEL DATO
STATISTICO
I dati contenuti e presentati, sia
nell’APP che nei diversi prodotti realizzati
all’interno dell’attività dell’Osservatorio,
sono il frutto della costante attività di
monitoraggio e analisi che i ricercatori IRES svolgono durante tutto l’anno.
In particolare, la scelta è stata quella
di concentrare l’analisi sulle principali
fonti statistiche nazionali disponibili per
quanto riguarda demografia, economia,
mercato del lavoro e tematiche sociali. I principali dati oggetto di specifica
elaborazione regionale e territoriale sono quelli di Banca d’Italia, del 15° Censimento generale della popolazione,
dell’INPS, ISTAT, MIUR e Movimprese
Infocamere.
Accanto all’analisi delle fonti statistiche, si provvede anche a realizzare e
integrare i dati raccolti con specifiche
analisi desk della letteratura disponibile
sui principali temi socio economici affrontati: dai cambiamenti demografici
e della popolazione FVG, all’analisi dei
settori ad elevata tecnologia e intensità
di conoscenza, all’occupazione femminile e al lavoro domestico, alla nuove
forme di lavoro atipico.
DESTINATARI E
MODALITÀ D’USO
I dati resi accessibili attraverso FVGECONOMY possono essere di interesse
per destinatari molto diversi tra di loro
anche se con la medesima necessità
ed esigenza di conoscere e definire
le caratteristiche del tessuto economico, produttivo e sociale regionale.
In particolare, l’APP intende essere
uno strumento di analisi e di supporto
informativo per i seguenti gruppi di
destinatari:
93
INFORMA
l
l
l
94
Area istruzione e orientamento: per
gli insegnanti e gli orientatori con un
utilizzo delle informazioni su economia, mercato del lavoro e società
regionale nelle attività didattiche e
di orientamento scolastico e professionale; per gli studenti, per una più
facile lettura del mercato del lavoro
regionale e dei principali cambiamenti socio economici in atto;
Area decisori istituzionali: per i referenti e rappresentanti della politica
regionale e locale e degli enti pubblici
territoriali, per monitorare i cambiamenti socio economici regionali e utilizzare le informazioni nell’elaborazione di specifiche politiche e strategie;
Area parti sociali: per le associazioni
sindacali e datoriali regionali, con un
costante aggiornamento sui dati rela-
tivi al mercato del lavoro e al sistema
produttivo regionale, per sostenere il
dialogo sociale e i servizi erogati ai
propri associati.
PER SCARICARE L’APP
FVG Economy è scaricabile gratuitamente sul proprio smartphone o tablet dal sito dell’IRES www.iresfvg.org
o direttamente da AppStore e Google
Play per iOS e Android. Ulteriori prodotti e materiali realizzati nell’ambito
dell’Osservatorio sono consultabili e
scaricabili sempre dal sito dell’IRES nelle
sezioni dedicate agli InfoClick, iREPORT
e Infografiche.
Giulia Mardero
IRES FVG
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
Alba a Sauris di Sopra, 1922, olio
su cartone.
Studio di casa sotto la neve in pieno
sole, 1922 ca., olio su cartone.
95
LIBRI
LA CLASSE CAPOVOLTA
INNOVARE LA DIDATTICA
CON LA FLIPPED CLASSROOM
M. Maglioni, F. Biscaro
Casa Editrice Erickson
Trento, 2014
pp. 87 - € 16,00
96
Questo agile volume si propone di dare
un “contributo essenziale per rinnovare l’attività ordinaria di apprendimento” e di essere
uno “strumento concreto per i docenti per
ridare forza e significato alla loro missione”.
Il libro, introdotto da una interessante
prefazione di Tullio De Mauro, che spiega
come studiosi quali Socrate ed Eraclito,
Giambattista Vico e Maria Montessori abbiano parlato dell’apprendimento come di
un processo di costruzione di significato, è
scritto da due docenti che ormai da anni
la praticano con entusiasmo, e spiega in
cosa consiste la Flipped classroom, fornendo molti esempi e indicazioni pratiche
per utilizzarla.
La Flipped classroom (o Classe capovolta) non è una teoria, ma una metodologia,
un approccio didattico alternativo che
rende più efficace il lavoro dell’insegnante. Chiunque abbia a che fare con l’insegnamento si pone probabilmente alcune
questioni: “l’insegnante può riappropriarsi
del suo ruolo e allo stesso tempo parlare un
linguaggio più vicino a quello degli studenti?
si possono sfruttare le informazioni già accessibili agli studenti attraverso i vari canali
digitali, a loro più familiari? può il docente
tornare ad essere una figura di riferimento
ed essere una guida capace di insegnare
ad apprendere da soli? si può fare in modo
che i ragazzi si sentano più responsabili del
proprio apprendimento? come creare un
nuovo modello di apprendimento che cavalchi la tigre della tecnologia senza tentare
inutilmente di combatterla?”
La Classe capovolta sembra essere una
risposta a questi interrogativi, di fatto invertendo il luogo dove si segue la lezione
(a casa anziché a scuola) con quello in
cui si studia e si fanno i compiti (a scuola
invece che a casa). I ragazzi seguono a
casa le lezioni tramite video realizzati dai
docenti o che i docenti stessi hanno scelto
da Internet; poi studiano e si esercitano in
classe da soli o in piccoli gruppi, assistiti
dagli insegnanti che possono così personalizzare i loro interventi tenendo conto
dei ritmi e delle potenzialità di ciascuno:
esercitazioni, laboratori, compiti, risoluzione di problemi, studio di casi, attività
di approfondimento. Non si tratta di insegnamento on line o a distanza, ma di una
metodologia che consente ai ragazzi di
studiare i video prima della lezione liberando, in questo modo, tempo in classe
che può essere usato per rispondere alle
domande, organizzare lavori di gruppo
e per altre attività in cui l’allievo assume
ruolo di protagonista della propria formazione. In tutto questo la presenza del
docente non viene sminuita, anzi, è imprescindibile: egli mette a disposizione la sua
competenza di educatore che trasmette
non solo la propria conoscenza, ma anche la propria esperienza, che è capace
di astrarre i concetti, sa come organizzare
le informazioni disponibili per arrivare ad
un obiettivo e conosce la difficoltà insita
nell’apprendere, il che vale naturalmente
molto di più di un semplice copia e incolla
di informazioni. In questo senso il docente
cambia il proprio ruolo, da intermediario
del sapere a facilitatore di un apprendi-
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
mento di cui è protagonista l’allievo; la
classe non è più un uditorio, ma un laboratorio. È chiaro che tutto ciò comporta per
il docente un progressivo cambiamento
del proprio modo di lavorare.
Ma cosa serve per lavorare con questa
metodologia? Nel complesso relativamente poco, ossia un tablet o pc collegati
ad Internet e dotati di pacchetto Office
automation, un browser, una casella email, un sito appositamente creato a cui
il ragazzo si collegherà liberamente da
casa ogni volta che sarà necessario per
accedere al materiale (materiale didattico,
gli esercizi risolti e gli esempi, le consegne
dei compiti a casa). In un apposito capitolo gli autori spiegano dettagliatamente
come fare per creare tale sito.
Il lavoro più impegnativo per il docente,
almeno in una prima fase, consiste proprio
nel predisporre il materiale, in particolare i
video, ma anche a questo viene dedicato
un intero capitolo con istruzioni, suggerimenti ed esempi.
Quali sono i vantaggi? In primo luogo
il tempo in classe aumenta, consentendo
al docente di cambiare radicalmente
l’impostazione dell’attività didattica: si
può lavorare sulla didattica per competenze che prevede che i ragazzi imparino
non solo fatti, idee e concetti, ma che
soprattutto imparino come applicarli
in concreto e come utilizzarli in ambiti non convenzionali, trasformando le
conoscenze, appunto, in competenze.
Quando arriva a scuola il ragazzo sa
già di cosa si parlerà, può aver pronte
delle domande da fare o potrà essere
di aiuto agli altri; al docente non servirà
molto tempo per riprendere l’argomento,
potrà avviare l’attività e rispondere poi
individualmente alle singole esigenze
degli allievi, potrà far lavorare i ragazzi in
gruppo, sviluppando così l’apprendimento collaborativo. Attraverso quelle che
vengono chiamate “prove esperte” si può
lavorare sulle competenze assegnando
agli studenti un compito significativo
di cui viene spiegato il significato e dati
esempi concreti con indicazioni pratiche.
Le attività proposte saranno poi efficaci
nella misura in cui lasceranno al discente
la costruzione dei significati avvicinandosi alle strategie della ricerca scientifica;
se chiamati a risolvere un problema i
ragazzi saranno più motivati, dovranno
usare creatività, intuizione e riflessione.
In un simile contesto viene “capovolta” anche la valutazione, poiché tutte le
attività svolte in classe sono applicazioni personali delle conoscenze o delle
competenze acquisite e forniscono un
continuo e costante monitoraggio dei
progressi fatti; l’insegnante è costantemente impegnato a valutare il lavoro
degli studenti che, per contro, ricevono
continui feedback: di fatto svolgendo in
classe i compiti per casa il numero delle
prove di ciascuno si moltiplica.
Gli autori sono consapevoli di quanto tutto questo possa non essere facile
per il docente e richiedere un lavoro di
preparazione e di gestione imponente,
ma forniscono indicazioni pratiche ed
esempi su come fare.
Infine gli autori rispondono, cercando
di fornire possibili soluzioni, a 10 domande che esprimono perplessità e criticità
sollevate sia dai docenti che dai genitori:
ad esempio quali sono le basi teoriche e
le prove dell’efficacia del metodo, come
superare la difficoltà legata al possibile
non accesso ad Internet, la possibilità che
i ragazzi non guardino a casa i video o
i materiali, o che, viceversa, passino ore
davanti ad un computer; il rischio che
questo si trasformi in un maggior carico
di lavoro a casa quando si tende sempre
più a pensare come il tempo a casa ad
un tempo per fare altro; quanto riesce il
sistema scolastico così come strutturato
a “reggere” una impostazione così diversa.
Chiude il libro un’appendice che raccoglie messaggi e testimonianze che
danno conto dell’interesse che si sta dimostrando nei confronti di questo approccio didattico e sono di stimolo alla
riflessione.
Chiara Busato
Psicologa COR
Gorizia
97
GIUSEPPE BARAZZUTTI
Pomeriggio festivo, 1922, olio su tela.
98
QUADERNI DI ORIENTAMENTO 47
99
QUADERNI DI
ORIENTAMENTO
la rivista semestrale è indirizzata a:
l insegnanti
formatori
l ricercatori
l operatori
l
che si occupano di problematiche di orientamento,
da punti diversi di osservazione quali:
l istituzioni scolastiche
l enti pubblici
l servizi di formazione ai giovani
è disponibile anche in formato elettronico PDF
al seguente indirizzo:
www. regione.fvg.it
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l
La Regione per gli orientatori
l Rivista
l Quaderni di Orientamento
Richiesta pubblicazioni
per nuovi abbonamenti, richieste di numeri arretrati
o cambiamento di indirizzo, inviare mail alla
redazione
Sono graditi contributi, anche se non se ne garantisce la pubblicazione.
Il materiale potrà riguardare:
l
contributi teorici su tematiche specifiche dell’orientamento
scolastico, professionale o attinenti;
l progetti, ricerche, esperienze;
l informazioni su convegni, seminari e pubblicazioni inerenti
l’orientamento.
Il lavoro dovrà essere così formulato:
l
Titolo, sottotitolo e breve sommario;
l Testo con estensione massima di 8 cartelle (salvo accordi
diversi), battuto con interlinea doppia, in formato Word;
l Nome e cognome dell’autore, professione, ente di
appartenenza, ruolo ricoperto, sede di attività;
l Tabelle, grafici o figure in formato jpg o tiff, progressivamente
numerati, dovranno essere allegati a parte e contenere le
indicazioni per un idoneo posizionamento nel testo;
l Le note bibliografiche dovranno indicare il cognome
dell’autore, l’anno di pubblicazione ed eventualmente le
pagine citate.
Coloro che volessero collaborare con la rivista potranno inviare il
loro articolo su cd o via e-mail a:
REDAZIONE di “QUADERNI DI ORIENTAMENTO”
Direzione centrale lavoro, formazione, istruzione,
pari opportunità, politiche giovanili, ricerca e università
Area istruzione, alta formazione e ricerca
Via Roma, 7 - 34170 Gorizia
Tel. 0481 386278 - Fax 0481 386413
e-mail: [email protected]
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orientamento 47 - Istituto Regionale per il Patrimonio Culturale del