OSTEOPOROSI & FITNESS a cura di: Luca G. Bottoni 1 Indice: 1) Introduzione…………………………….…………….…………………………………p3 2) Che cos’è l’osteoporosi? …………………………….……………………………….p4-6 3) Forme di osteoporosi……………………………………………………………………p7 4) Epidemiologia e fratture del femore……………………………………………...…p8-12 5) Situazione osteoporosi in Italia…………………………………………………….p13-16 6) Metodi di misurazione (La densitometria)…………………………………………p17-19 7) Densitometria quando e a chi? ………………………………………………………..p20 8) Fattori di rischio……………………………………………………………………….p21 9) Nutrizione e osteoporosi……...……………………………………………………p22-24 10) Costi sociosanitari……………………………………………………………...…p25-26 11) Prevenzione………………………………………………………………………..…p27 12) Test IOF ………………………………………………………………………….…p28 13) La prima frattura è evitabile? ………………………………………………………..p29 14) Obbiettivo primario…………………………………………………………………..p30 15) La caduta……………………………………………………………………………...p30 16) Attività motoria per l’anziano……………………………………….……………p31-33 17) Attività motoria e osteoporosi…………………………………………………….p33-34 18) Studi a riguardo…………………………………………………………………...p34-36 19) Programmazione degli esercizi………………………………………………...…p36-40 20) Come individualizzare un programma d’allenamento……………………………p40-44 21) Prospettiva aumento età media……………………………………………………p45-47 22) Conclusioni…………………………………………………………………………...p48 23) Bibliografia……………………………………………………………………….p48-49 24) Studio: osteoporosi ed attività fisica………………………p1-23 2 (1) Introduzione Le più recenti definizioni scientifiche portano ad identificare la patologia osteoporotica come “una sindrome multifattoriale e sistemica dello scheletro, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità ossea e del rischio di fratture”. La frattura osteoporotica rappresenta pertanto una grave e frequente conseguenza, portando ad un ampio processo involutivo e degenerativo nel soggetto colpito, fino ad arrivare, in molti casi, anche alla morte. L’osteoporosi, negli ultimi anni, è giunta ad essere considerata una malattia sociale in quanto rappresenta una patologia che colpisce una larga porzione di popolazione e che comporta un gravoso peso sul bilancio sanitario, sia pubblico che privato. A tal proposito l’identificazione di specifici interventi, in grado di limitare e prevenire i danni connessi ad una sua manifestazione, sono da considerarsi come di primaria importanza: si dovrà per tanto provvedere ad instaurare al riguardo specifici e mirati protocolli di lavoro. Ad ulteriore conferma dell’importanza di una finalizzata politica preventiva vi è che la suddetta patologia viene definita anche come una “epidemia silenziosa”, proprio a causa del suo progredire senza manifestazioni esterne, fino al momento in cui il soggetto subisce una frattura e le relative conseguenze. E’ opinione sempre più diffusa, che l’involuzione scheletrica data dall’osteoporosi e le conseguenze ad essa correlata, possano essere efficacemente limitate attraverso uno specifico programma di attività motoria, e con un adeguato training fisico. Questa tesi si propone, pertanto, di dimostrare che la riduzione di massa ossea ed il conseguente processo degenerativo connesso alla presenza dell’osteoporosi, può essere limitata dai benefici connessi all’esecuzione di opportuni esercizi di potenziamento globale, inseriti all’interno di specifiche sedute di allenamento. L’attività motoria risulta quindi avere un ruolo attivo nel trattamento dell’osteoporosi, inserendosi in appropriati programmi di prevenzione e terapia per persone colpite dalla patologia . Un ringraziamento particolare a coloro che hanno contribuito all’elaborazione di questa tesi, fornendomi dati e la loro più completa disponibilità, tra cui: Dott.sa Fasolo Sonia Dott.re Farné Andrea Dott.re Neri Marco 3 (2) Che cos’è l’Osteoporosi L’osteoporosi è una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un’alterazione della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità ossea e del rischio di frattura. Osso Sano Osso osteoporotico L’osso è costituito da un tessuto connettivo specializzato, una particolare struttura composita, nella quale una matrice, fatta di fibre collagene e di una vasta gamma di altre proteine, è impregnata di minerali, in particolar modo di calcio. Nonostante la sua durezza, e quindi l'apparente staticità, l'osso è estremamente dinamico ed in continua evoluzione. Avvengono, infatti, costantemente due processi: uno di lenta neodeposizione e l'altro, più rapido, di riassorbimento. E' così consentito: un perenne rimodellamento della struttura macro e microscopica; uno scambio con tutti i tessuti dell'organismo attraverso il mezzo di trasporto garantito dal sangue. Le ossa, che hanno una quantità di calcio quasi mille volte superiore ai circa 1,5 grammi presenti complessivamente nei liquidi extracellulari, rappresentano un enorme serbatoio di questo ione ed hanno quindi un’importante funzione nel tener costante la concentrazione di calcio nei liquidi corporei. Nel caso vi sia carenza di calcio nel sangue, questo viene mobilizzato dalle ossa, mentre, in caso di eccesso, questo ione viene depositato nelle ossa del nostro scheletro. Il ciclo vitale dell‘osso è caratterizzato dalla continua produzione di nuova matrice e dalla cancellazione della vecchia, in un costante processo dinamico che prende il nome di metabolismo osseo. Nell‘osso sono presenti: • matrice, dove precipitano i sali di calcio e determinano, quindi, la deposizione di nuovo osso. cellule chiamate osteoblasti, che secernono una sostanza proteica che forma appunto la • cellule chiamate osteoclasti, che digeriscono la matrice proteica, liberano i sali che qui erano precipitati e determinano, quindi, il riassorbimento osseo. 4 Grazie a queste proprietà, l’osso è in grado di reagire elasticamente alle forze meccaniche e, se si rompe, ripara se stesso riacquistando la sua forma originaria. L'osso può assumere due diverse organizzazioni spaziali. 1) L’osso compatto o corticale • rappresenta l'80% dello scheletro; • è componente quasi esclusiva delle ossa lunghe e piatte; • assume nelle ossa lunghe forma tubolare, delimitando il canale midollare; • ha un comportamento anisotropo, presenta cioè maggiore resistenza alle forze applicate secondo il suo asse verticale; • ha una densità di 1,8 g/cm3. 2) L’osso Trabecolare o Spugnoso • è organizzato in trabecole, prevalentemente orientate in senso perpendicolare tra loro; • le trabecole verticali sono più grosse e sopportano il carico; • le trabecole orizzontali stabilizzano le verticali; • la parte di spazio non occupata da tessuto osseo è costituita da midollo ematopoietico e tessuto adiposo; • la sua densità può variare tra 0,1 ed 1 g/cm3. 5 Tra i due, il tessuto osseo trabecolare ha un grosso rilievo clinico, perché è l'osso meno denso. La resistenza alla compressione aumenta, infatti, in modo proporzionale al quadrato della densità. Le fratture avvengono, quindi, più frequentemente nelle sedi in cui l'osso spugnoso è percentualmente più rappresentato. Va ricordato che, in condizioni normali, l’azione demolitrice degli osteoclasti è perfettamente bilanciata dalla continua produzione di materiale osseo da parte degli osteoblasti. In particolari situazioni questo equilibrio si può spezzare e ad esempio, con l’osteoporosi si ha, come dice il nome stesso, una rarefazione dell’osso in cui la matrice, che è paragonabile ad una rete a maglia fine, si dirada. La perdita della massa ossea è entro certi limiti un’inevitabile conseguenza dell’invecchiamento (osteoporosi senile), ma può anche essere una malattia metabolica, in cui la perdita di matrice ossea non viene compensata dalla produzione di nuovo osso. Evoluzione della massa ossea nel corso della vita nei due sessi: La fase di incremento della massa ossea (che segue a grandi linee l'andamento della crescita staturale, anche se presenta una durata maggiore. Questa fase caratterizza le prime due decadi divita, è analoga nei due sessi ed ha una fase di massima ascesa durante l'adolescenza. Periodo di consolidamento, caratterizzato da una continua, lenta ascesa fino ai 30-35 anni di età. Si raggiunge a questa età il così detto "picco di massa ossea", cioè la massima quantità d'osso che ciascun individuo possiede nel corso della sua vita. La differenza tra i due sessi è evidente: infatti il contenuto medio di minerale osseo a livello appendicolare risulta pari a 0,75 g/cm2 per le donne e 0,85 g/cm2 per gli uomini. La fase di decremento che prosegue per tutta la vita, in cui si ha una progressiva e continua riduzione di massa ossea. Qui le differenze in base al sesso sono molto marcate. La perdita d'osso legata all'invecchiamento, che si svolge in circa 40 anni, è quindi sufficiente a portare una quota di donne, ed in parte uomini, in una situazione di particolare fragilità ossea che li predispone a fratture anche per eventi traumatici minimi. Una certa quantità di massa ossea si riduce fisiologicamente ed inevitabilmente con l'età: tale riduzione viene definita osteopenia; quando il processo demineralizzante diventa particolarmente intenso e prolungato al punto da determinare fratture per traumi di modesta entità, si parla di osteoporosi. 6 (3) Forme di Osteoporosi L’osteoporosi può colpire ad ogni età, anche se il picco di incidenza è nell’età matura e anziana, e può essere primaria o secondaria: L’osteoporosi primaria è a sua volta classificata in 2 tipi: Tipo 1 - osteoporosi postmenopausale • associata alla ridotta secrezione di estrogeni • riscontrabile nel 5-29% delle donne dopo la menopausa • compare entro i primi 20 anni dall’inizio della menopausa • la perdita ossea, molto accelerata nel periodo perimenopausale, può raggiungere una perdita del 5% della massa ossea totale all’anno • interessa prevalentemente l'osso trabecolare con effetti particolarmente evidenti a livello della colonna vertebrale, dove il turn-over osseo é elevato • le fratture vertebrali rappresentano la situazione clinica più comune in questi casi. Tipo 2 - osteoporosi senile • può colpire entrambi i sessi dopo i 70 anni di età • può interessare fino al 6% della popolazione anziana • la perdita di massa ossea interessa sia l'osso trabecolare che quello corticale • le fratture possono interessare non solo la colonna vertebrale, ma anche le ossa lunghe, il bacino e altre sedi • le tipiche complicanze sono rappresentate dalle fratture del collo femorale, dell'estremità distale del radio, dell'omero. L'osteoporosi secondaria rispecchia l’incidenza delle malattie e/o condizioni cliniche e/o uso cronico di farmaci a cui è associata. Le condizioni cliniche a cui si associa l’osteoporosi secondaria sono: • ipogonadismo e malattie endocrino-metaboliche (sindrome di Cushing, tireotossicosi, iperparatiroidismo) • malattie neoplastiche e terapie correlate • alcune malattie croniche (insufficienza renale cronica, broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’insufficienza cardiaca cronica congestizia) • le connettivopatie e le malattie infiammatorie croniche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, ecc) • alcune malattie gastrointestinali (morbo di Crohn, celiachia) • deficit nutrizionali, abuso alcolico cronico • uso cronico di farmaci (corticosteroidi, immunosoppressori, ormoni tiroidei, anticonvulsivanti) • immobilità prolungata 7 (4) Epidemiologia e fratture del femore La perdita d'osso legata all'invecchiamento, che si svolge in un arco di tempo di circa 40 anni, è quindi sufficiente a portare una quota di donne, ed in parte uomini, in una situazione di particolare fragilità ossea che li predispone a fratture anche per eventi traumatici minimi.Una certa quantità di massa ossea si riduce fisiologicamente ed inevitabilmente con l'età: tale riduzione viene definita osteopenia; quando il processo demineralizzante diventa particolarmente intenso e prolungato al punto da determinare fratture per traumi di modesta entità, si parla di osteoporosi. L'osteoporosi è quindi una malattia demineralizzante sistemica, caratterizzata da un ridotto volume di tessuto osseo. L’osteoporosi (anche per l'aumento significativo della vita media della popolazione) è oggi una patologia di rilevanza mondiale. E' noto che sono colpiti nella maggior parte dei casi soggetti di sesso femminile in fase postmenopausale la diminuita produzione di estrogeni accelera il processo fisiologico di riassorbimento dell’osso, che nella donna comincia dopo i 35-40 anni con una perdita media di matrice ossea di 0,2-0,3% all’anno. A 75 anni una donna ha perso il 25-50% di osso. il depauperamento della massa ossea progredisce talvolta in modo irreversibile portando a quadri di grave menomazione, che rendono necessarie assistenza e cure per molti anni.La prevenzione è perciò la principale via percorribile per affrontare e contenerne le conseguenze. E' stato affermato che l'osteoporosi è una malattia che si evidenzia generalmente nella terza età, ma che affonda le sue radici nell'età dello sviluppo: una mancata "saturazione" del tessuto osseo nei primi venti anni di vita condizionerà l'evoluzione della patologia negli anni della vecchiaia. L’osteoporosi può essere definita come una condizione nella quale si instaura un deficit di densità ossea e si ha una notevole diminuzione della resistenza meccanica dell’osso. Nonostante oggi vi siano macchine affidabili in grado di evidenziare e valutare, con specifici esami, questa condizione patologica, sul versante terapeutico la situazione è ancora preoccupante, in quanto non è ancora possibile far recuperare completamente ai soggetti che ne sono affetti, la massa ossea perduta. La terapia farmacologica, in continua evoluzione, è insostituibile nel trattamento delle forme conclamate, mentre l'attività fisica è preponderante nella prevenzione. Infatti la sollecitazione meccanica dell’osso protegge dall’osteoporosi (gli sportivi hanno un contenuto di calcio nell’osso a limiti alti o comunque maggiore della norma). Prevenzione che deve iniziare nell'età dello sviluppo e giovanile, per intensificarsi nell'approssimarsi dell'età a rischio. L’osso rarefatto degli anziani è meno resistente agli stimoli meccanici e tende, più facilmente di quello giovanile, a cedere sotto carico. All’inizio, in questa patologia, il dolore insorge solo sotto sforzo, ma poi, con l’evolversi della malattia, si instaura un forte senso di fastidio che persiste anche a riposo. Le cause del dolore sono: la deformazione dei corpi vertebrali, la perdita dei rapporti articolari fisiologici (dolori osteoarticolari) 8 e l’irritazione cronica delle radici nervose che ne consegue, che portano a loro volta a contratture articolari antalgiche. Se il dolore improvvisamente peggiora, è probabile che sia intervenuta una frattura (spontanea o patologica). L’osso osteoporotico è, infatti, più fragile di quello normale, per cui vi è una spiccata tendenza alle fratture: a 75 anni una donna su quattro va incontro a frattura patologica dei corpi vertebrali o del collo del femore! Nella lotta all’osteoporosi particolare importanza riveste anche la dieta che deve essere varia ed equilibrata e soprattutto garantire un adeguato e soddisfacente apporto di sali minerali e vitamine (soprattutto calcio e vitamina D). Per questo, per particolari categorie a rischio o in delicate fasi della propria vita, può risultare utile e raccomandabile l’utilizzo di specifici integratori, per sopperire all’insufficiente apporto alimentare o agli aumentati bisogni fisiologici. Nel corso degli ultimi vent’anni, numerosi studi epidemiologi hanno dimostrato che l’osteoporosi costituisce uno dei maggiori problemi di salute nel mondo occidentale a causa delle fratture che essa produce, soprattutto a livello del polso, della colonna vertebrale e del femore. Di queste fratture la più temibile è certamente quella femorale che incide più delle altre in termini di mobilità, mortalità e costi sociali, con tassi particolarmente elevati nei soggetti anziani. Attualmente, il maggior numero di fratture femorali viene riscontrato nei paesi occidentali industrializzati, ed in particolare in Europa. Nel 1990 è stata stimata la presenza di 1.7 milioni di fratture femorali in tutto il mondo, di cui 560.000 in Europa e 360.000 in Nord America.Tuttavia sono disponibili limitate informazioni relative all’influenza delle differenze razziali sull’incidenza delle fratture, anche se i meccanismi genetici e quelli ambientali possono giocare un ruolo rilevante. I dati sull’epidemiologia delle fratture femorali sono disponibili in molti paesi, in quanto tutte le fratture del femore sono sintomatiche e vengono generalmente trattate in regime di ricovero ospedaliero: ne consegue la concreta possibilità di redigere registri epidemiologici sull’incidenza di tale patologia, mentre ciò non è possibile per le fratture vertebrali, che possono essere in alcuni casi asintomatiche o comunque non richiedere l’intervento del medico e che spesso vengono riscontrate casualmente alla radiografia del rachide effettuata per altri motivi. Dagli studi di popolazione è stato riscontrato che le fratture del femore aumentano esponenzialmente con l’aumentare dell’età, ed in genere l’incidenza specifica per età delle fratture femorali è maggiore nella donna rispetto al maschio, con un rapporto di 2-3 a 1 fra i due sessi. Nel 1998 la Commissione Europea, estrapolando i dati dai più recenti studi epidemiologici, ed in particolare dallo studio MEDOS (Mediterranean Osteoporosis Study) che è stato condotto nell’Europa meridionale, ha riportato l’incidenza delle fratture femorali nei 15 paesi dell’Unione Europea, sottolineando la presenza di sostanziali differenze tra i paesi settentrionali e quelli meridionali: la più elevata incidenza è stata riscontrata in Scandinavia, mentre il minor numero di fratture femorali è stato riscontrato nei paesi meridionali; inoltre, confrontando le incidenze 9 Europee con quelle Americane (considerata pari a 1), è stato confermato che in Svezia l’incidenza relativa era 1.3 nelle donne e 1.7 negli uomini, mentre in Inghilterra, nei Paesi Bassi e in Germania questa era invece molto simile a quella degli Stati Uniti. Nei paesi del Sud Europa, invece, era significativamente inferiore: in Francia, Grecia e Spagna era circa dello 0.7, mentre in Italia e Portogallo era dello 0.5. Inoltre, nelle aree urbanizzate è stata riscontrata una maggiore incidenza di fratture femorali rispetto a quelle rurali e la riduzione dell’abitudine all’esercizio fisico ed i cambiamenti delle abitudini alimentari sono stati considerati la possibile causa di questa differenza. Lo studio MEDOS contiene anche dati relativi alla Turchia, un paese non appartenente all’Unione Europea ricco di differenti gruppi etnici con caratteristiche genetiche e culturali miste. I dati riscontrati in Turchia sono risultati differenti rispetto a quelli dei restanti paesi mediterranei: in particolare nelle aree rurali (Asia Minore), ma anche nelle città di Istanbul e Ankara, l’incidenza delle fratture femorali è risultata molta bassa. Rispetto a quella Americana risulta appena del 1020% nelle donne e 20-30% negli uomini, ed inoltre è stato verificato un minor incremento esponenziale in relazione all’età. L’incidenza delle fratture in genere è destinata ad aumentare negli anni, e si stima che il numero delle fratture femorali nel mondo per l’anno 2050 sarà di circa 6.3 milioni, con 1 milione di fratture in Europa. Questi dati vengono ottenuti osservando le modificazioni demografiche che si verificano: la distribuzione per fasce d’età della popolazione nei paesi in via di sviluppo ed in quelli industrializzati si sta infatti modificando profondamente. In particolare, nei paesi industrializzati il numero dei bambini si va riducendo mentre il numero dei soggetti anziani va aumentando sia in termini assoluti che relativi per un aumento dell’aspettativa di vita, e quindi della longevità. Si stima che nei paesi della Comunità Europea, nell’arco di tempo che va dal 1995 al 2050, il numero dei soggetti con età superiore ai 65 anni raddoppierà e quello dei soggetti con età superiore agli 80 anni aumenterà di più di tre volte. Una delle conseguenze di queste drammatiche modificazioni demografiche sarà certamente un significativo incremento delle malattie età-correlate quali l’osteoporosi, e delle sue conseguenze, in particolare delle fratture vertebrali e femorali, sia nelle femmine che nei maschi. Molteplici sono i fattori di rischio per le fratture femorali e questi possono essere ricompresi negli indicatori della fragilità dell’osso e negli indicatori del rischio di caduta. Nel 1998 l’American Osteoporosis Foundation (NOF) propose di usare un numero limitato di fattori di rischio per valutare le donne ultra settantenni a rischio di frattura del femore. Propose di considerare la densità minerale ossea (BMD), l’anamnesi positiva per fratture dopo i 40 anni di età, la storia familiare di fratture, il basso peso corporeo e l’abitudine tabagica attiva. In particolare, la presenza di una pregressa frattura vertebrale o femorale costituisce di per sé un fattore di rischio per ulteriori fratture, ed è stato dimostrato che un adeguato trattamento farmacologico è in grado di ridurre significativamente tale rischio. Inoltre la carenza di vitamina D, 10 che é stata dimostrata in numerosi paesi ed in particolare in Italia, costituisce un importante fattore di rischio per le fratture, sia perché determina una maggiore fragilità ossea, sia perché i suoi effetti extraossei, ed in particolare quelli a livello muscolare, inducono un maggior rischio di caduta. D’altra parte un’adeguata integrazione con vitamina D si è dimostrata in grado di ridurre significativamente il rischio di fratture da osteoporosi nell’anziano, soprattutto se istituzionalizzato. Nello studio ERGO (Rotterdam) del 1999 la storia familiare ed il fumo non sono risultati significativi fattori di rischio, mentre altri indicatori, come l’uso di un supporto per la deambulazione sono risultati statisticamente correlati al rischio di frattura del femore. Lo studio EPIDOS (1999) ha confermato questo dato, sottolineando come fattore di rischio per le cadute oltre all’utilizzo di un supporto anche la velocità dell’andatura. Ogni score di rischio dovrebbe comunque sempre tenere in considerazione l’età ed il sesso del paziente. Coma già accennato, la maggior parte delle fratture femorali sono sintomatiche, conseguenti o meno a caduta e richiedono l’intervento del medico. E’ importante sottolineare che non sempre si riesce a ritornare alle condizione prefratturativa ed una parte dei pazienti va incontro ad importanti sequele cliniche, compreso il decesso. La mortalità da frattura femorale è di circa due volte più elevata nell’uomo rispetto alla donna. Nella donna la mortalità varia dal 12 al 35% nei primi dodici mesi dopo la frattura. Nell’uomo, invece, la variabilità è più ampia, ma con valori sempre superiori di almeno due volte rispetto alle donna ad ogni livello di età e di comorbidità. Inoltre nel 50% dei pazienti con fratture del bacino, il dolore persiste anche dopo 6 mesi dalla frattura e solo il 32% recupera la piena capacità deambulatoria. In conclusione, sulla base delle proiezioni demografiche dei prossimi decenti, è facile prevedere un drammatico incremento delle fratture femorali e dei costi sociali ad esse correlati: è per tanto indifferibile porre fin d’ora in essere adeguati provvedimenti di ordine preventivo e se del caso anche di natura farmacologia per contenere tale fenomeno e per ottenere di conseguenza un significativo miglioramento della qualità di vita della popolazione anziana. 11 12 13 (5) Situazione osteoporosi in Italia 14 15 16 17 (6) Metodi di misurazione I. In pazienti con fratture non dovute a traumatismi efficienti una diagnosi clinica di osteoporosi può essere formulata anche in assenza di specifiche indagini strumentali (densitometrie) atte a valutare la massa ossea. In altri casi l’indagine è consigliata perché: • la malattia può essere silente • i fattori di rischio per ridotta massa ossea non sono sufficientemente sensibili per la diagnosi di osteoporosi o per la sua esclusione • è utile per quantificare meglio il rischio di frattura • è utile per valutare il decorso della malattia e la risposta ad un eventuale trattamento. La densitometria Oggi la diagnosi di osteoporosi può essere stabilità in modo semplice e preciso, già molto prima dell’insorgenza delle fratture, con una densitometria ossea, esame che permette di determinare l’esatto contenuto di calcio delle ossea. L’indagine densitometrica consente oggi di misurare in modo abbastanza accurato e preciso la massa ossea ed in particolare la sua densità minerale, che giustifica il 60-80% della resistenza meccanica dell’osso. Quest’ultima risulta anche correlata ad altre caratteristiche dell’osso quali la microarchitettura, il metabolismo e la conformazione geometrica. Il rischio di frattura aumenta di 1,6-2,6 volte (a seconda del sito di misurazione e del tipo di frattura) per ogni deviazione standard di riduzione del valore della densità minerale ossea: Sito di misurazione Radio prossimale Collo femorale Colonna lombare Polso 1.8 1.6 1.6 Rischio relativo di Frattura Femore Vertebre 1.6 1.6 2.6 1.9 1.3 2.0 Attualmente l’esame è praticato con la metodica DEXA (Dual energy X-ray Absorptiometry), una metodica che utilizza raggi X. La densitometria ossea con la tecnica DEXA è oggi il metodo diagnostico più corrente e universalmente riconosciuto per determinare la densità ossea. Questa tecnica consiste nel misurare l’assorbimento osseo di un raggio X, ciò che permette all’ordinatore di stabilire in modo molto preciso (con un errore del 1-2% solamente) la densità ossea e dunque del contenuto di calcio delle ossa misurate. L’esame è assolutamente indolore e privo di rischi (l’irradiazione è molto bassa e paragonabile ad un volo transatlantico in aereo). 18 Per l’OMS la diagnosi densitometrica di osteoporosi si basa sulla valutazione con tecnica dualenergy x-ray absorptiometry (DXA) della densità minerale, raffrontata a quella media di soggetti adulti sani dello stesso sesso (Picco di massa ossea). L’unità di misura è rappresentata dalla deviazione standard dal picco medio di massa ossea (T-score). È stato osservato che il rischio di frattura inizia ad aumentare in maniera esponenziale con valori densitometrici di T-score < -2.5 SD, che secondo l’OMS, rappresenta la soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi. Definizioni diagnostiche secondo i valori densitometrici in T-score T-score > -1 -1 a –2.5 < -2.5 < -2.5 con frattura osteporotica Diagnosi NORMALE OSTEOPENIA OSTEOPOROSI OSTEOPOROSI CONCLAMATA Le definizioni di osteopenia e di osteoporosi dell'Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) si riferiscono solo alla densità ossea misurata con un'apparecchiatura DEXA al collo del femore e alla colonna lombare. Dato che la densità ossea è al giorno d’oggi il fattore che meglio predice il rischio di frattura, ne consegue che la densitometria con metodologia DEXA è attualmente a livello mondiale il “gold-standard” nella diagnosi dell’osteoporosi. La densità ossea misurata con le apparecchiature DEXA è oggi l'unico parametro osseo misurabile che è proporzionale alla resistenza meccanica dell'osso. Si consideri che studi meccanici sull'osso hanno dimostrato che una riduzione di 35-50% della densità ossea comporta una diminuzione di 10 volte della resistenza dell'osso. Solitamente si misura la colonna lombare, il collo del femore e talvolta l'avambraccio. 19 Rischio di frattura dell'anca nel prosieguo della vita per una donna di 50 anni (lifetime risk) in funzione della sua densità ossea. Densità ossea L’immagine mostra il rischio di frattura dell’anca in funzione della densità ossea, in una donna di 50 anni per il resto della vita. Per ogni diminuzione della densità ossea del 10% circa il rischio di frattura aumenta di 2 volte (-10% = x2; -20% = x4; ...).La densità ossea è espressa sia in funzione del picco di massa ossea teorico di un giovane adulto di 30 anni circa (T-score) ed in funzione dei valori medi per un collettivo della stessa età (Z-score). L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce normale una densità ossea fino a 10% circa inferiore alla norma, osteopenia una riduzione della densità ossea tra 10 e 25% ed osteoporosi una densità ossea abbassata di oltre il 25% (rispetto ai valori medi della persona giovane, cioè rispetto al picco di massa osseo teorico) Più alta è l’età della persona misurata e più occorre naturalmente tener conto della riduzione fisiologica della densità ossea nella sua fascia d’età per la giusta decisione terapeutica. Trattasi tuttavia solo di una diagnosi densitometrica che solo dopo una valutazione complessiva di diagnostica differenziale può o meno tradursi in diagnosi clinica. Qualora la metodica DXA non sia fattibile può essere giustificato il ricorso ad altre metodiche densitometriche, ma si devono tenere presenti le loro limitazioni di impiego. Nell’impossibilità o nell’attesa di eseguire una densitometria della colonna o del femore, in presenza di altri fattori di rischio per frattura si può impostare un regime terapeutico anche sulla base del risultato di una densitometria periferica a raggi X o ad ultrasuoni. 20 (7) Densitometria, quando e a chi? C’è ampio consenso nel consigliare l’indagine densitometrica solo su base individuale ed in considerazione dell’età e della presenza di fattori di rischio. L’indagine densitometrica è pertanto indicata in presenza di una delle seguenti condizioni cliniche: • Menopausa precoce (≤45 anni) • In previsione di prolungati (>3 mesi) trattamenti corticosteroidei (>5 mg/die diprednisone equivalenti) • Donne in post-menopausa con anamnesi familiare positiva per fratture non dovute a traumi efficienti e verificatesi prima dei 75 anni di età. • Donne in post-menopausa con ridotto peso corporeo (<57 Kg) o indice di massa corporea <19 Kg/m² • Pregresso riscontro di osteoporosi (con indagine radiologica e/o densitometrica) • *Fattori di rischio associati ad osteoporosi • Precedenti fratture non dovute a traumi efficienti • Donne di età ≥ 65 anni e in menopausa da almeno 10 anni. 21 (8) *Fattori di rischio Spesso anche in presenza di una perdita ossea importante i disturbi sono molto modesti o assenti. Per questo motivo è importante conoscere i fattori di rischio. Il fattore di rischio principale per le donne è costituito dal deficit di estrogeni soprattutto se precoce, cioè prima dei 45 anni. Anche una menopausa chirurgica è tanto più negativa per lo scheletro quanto più è stata eseguita presto nella vita. Esistono comunque molti fattori collegati ad un rischio più elevato di osteoporosi. Se diversi fattori di rischio sono associati, anche il rischio di osteoporosi è aumentato in proporzione. L’assenza di fattori a rischio non esclude comunque in nessun caso la possibilità di un’osteoporosi. Infatti 30% di donne affette da osteoporosi non hanno nessun fattore di rischio. Fattori di rischio principali • Età • Sesso femminile • Razza bianca • Osteoporosi in un membro della propria famiglia • Pregressa frattura (dopo i 45 anni) • Menopausa precoce (prima di 45 anni) • Costituzione magra (BMI <18 kg/m2) Fattori di rischio d'importanza secondaria • Abuso di bevande alcoliche • Abuso di nicotina: il solo smettere di fumare non migliorerà molto la situazione; è una misura complementare alla terapia che sarà proposta dal punto di vista farmacologico. • Scarsa attività fisica • Alimentazione povera di calcio • Scarsa esposizione al sole Malattie predisponenti • Ipertireosi • Malassorbimento (celiachia, resezioni intestinali, insufficienza pancreatica) • Malattie intestinali infiammatorie (M. di Crohn, colite ulcerosa) • Malattie reumatiche infiammatorie (artrite reumatoide, collagenosi, Bechterew) • Insufficienza renale cronica 22 • Insufficienza epatica • Iperparatiroidismo • Anoressia nervosa Farmaci a rischio • Cortisone • Antiepilettici (9) Nutrizione e Osteoporosi Il tessuto osseo ha due particolarità, che lo rendono molto dipendente dai fattori nutrizionali. • E’ un tessuto mineralizzato che deve acquistare la sua carica minerale durante la fase di Accrescimento; • resta per tutta la vita adulta in stato di rimodella mento permanente, implicando un catabolismo ed anabolismo quotidiano. Dalla nascita e per tutto il periodo dell’accrescimento, si ha un progressivo incremento della massa ossea, fino ad un livello massimo, definitivo “picco di massa ossea” che si raggiunge intorno ai 25°30°anni e che si mantiene relativamente stabile per alcuni anni. Successivamente le ossa dello scheletro, in tutte le razze, in entrambi i sessi ed indipendentemente dalle condizioni alimentari, vanno incontro a riduzione della massa. Tuttavia, la velocità della perdita di osso differisce tra uomini e donne, con un accelerazione in queste ultime dopo la menopausa. Il legame tra apporto alimentare di calcio e osteopatie metaboliche è ben noto; il fabbisogno ottimale è proporzionale ai livelli necessari in ciascun individuo per sviluppare e mantenere una sufficiente massa ossea, essendo il calcio il principale componente dei tessuti mineralizzati. La prevenzione dell’osteoporosi, in termini di corretti apporti dietetici di calcio, inizia quindi durante l’infanzia (Livelli di assunzione raccomandato LARN 800-1000mg/d tra l’anno e i 10 anni) e l’adolescenza (LARN: 1200mg/d tra 11 e i 18 anni), prosegue nell’età adulta, durante la quale un corretto apporto di calcio è essenziale per mantenere in limiti fisiologici il calo della massa ossea (LARN:1000mg/d tra i 18 e i 30 anni e 800mg/d tra i 30 e i 59 anni) In età climaterica l’apporto consigliato di calcio e di 1200-1500mg/d. Oltre i 65anni sono necessari 1500mg/d di calcio, per pareggiare la perdita di massa ossea età-correlata (circa 55mg/die). La biodisponibiltà di calcio introdotto con l’alimentazione è relativa a: • percentuale di assorbimento intestinale, che è elevata durante l’infanzia e l’adolescenza e che si 23 riduce progressivamente con l’avanzare dell’età (nell’età adulta l’uomo assorbe circa il 25-30% di calcio) • composizione globale della dieta: la biodisponibilità dipende per il 50% dall’entità delle ingesta e dall’assorbimento e per il 50% dalla calciuria. Alcuni componenti della dieta (quantità proteica globale, soprattutto relativa alle proteine di origine animale; contenuto di sodio; verosimilmente la quantità di caffeina e di etanolo) incrementano la calciuria e quindi agiscono come fattori negativi sul bilancio calcico. • composizione intrinseca dell’alimento: la presenza di lattosio e di un corretto rapporto Ca/P, ottimale nel latte favorisce l’assorbimento; la presenza di fibre, di assolati e di acido fitico riduce l’assorbimento. • disponibilità di calcitriolo. Le indagini sul consumo di calcio nella popolazione Italiana, eseguite con metodologie diverse dal 1980 al 1995, hanno portato dati contrastanti. L’indagine condotta dall’Istituto Nazionale della Nutrizione nel periodo 1994-1996 su 1200 famiglie Italiane ha evidenziato una generale adeguatezza della dieta fatta eccezione per i carboidrati complessi, il calcio e la vitamina D.I dati esteri mettono in evidenza un apporto minore rispetto ai livelli raccomandati ed in uno dei più recenti rilevamenti epidemiologici, quello di Pasco, che ha valutato l’introduzione alimentare di calcio in un gruppo di 1045 donne nel range 20-92 anni, l’introito giornaliero di calcio è risultato pericolosamente al di sotto dei valori medi; il 76% delle donne prima della menopausa e l’87% di quelle dopo la menopausa assumevano con la dieta razioni di calcio molto minori di quelle raccomandate. L’apporto alimentare di calcio deriva in elevata percentuale dai prodotti caseari, dalle verdure ma anche dall’acqua. Le acque minerali ad elevato contenuto di calcio e povere di sodio sono in grado di coprire circa il 40% del fabbisogno giornaliero e questo può essere sicuramente utile nel caso si debba limitare l’apporto di grassi saturi presenti nei latticini. E’ verosimile che il calcio contenuto nell’acqua minerale, sia assorbito a livello del tratto gastrointestinale nello stesso modo del calcio introdotto sotto forma di sali minerali. L’acqua minerale rappresenta quindi un’ottima fonte alternativa e/o complementare e recenti studi dimostrerebbero che le acque minerali ricche di calcio, pur inducendo un incremento non significativo della calciuria, riducono significativamente l’escrezione urinaria di ossalato e non modificano la sovrasaturazione urinaria per i sali di calcio. L’introito di calcio di per se non garantisce il suo assorbimento se non associato ad adeguate quantità di vitamina D. La vitamina D risulta il secondo dei nutrienti essenziali per la salute dell’osso. La carenza di vitamina D favorisce lo sviluppo dell’osteoporosi attraverso la riduzione dell’assorbimento intestinale del calcio con conseguente iperparatiroidismo secondario. La prevalenza di ipovitaminosi D in Italia è molto 24 elevata soprattutto nella popolazione anziana e raggiunge percentuali dell’80% in pazienti istituzionalizzati. La vitamina D può essere sintetizzata a livello cutaneo mediante esposizione al sole o essere introdotta con l’alimentazione. Le fonti alimentari di vitamina D sono rappresentate da uova, latte e pesce (salmone, halibut, aringa, tonno, gamberetti). L’esposizione alla luce solare converte il 7-deidrocolesterolo in vitamina D3 (colecalciferolo). La vitamina D3 fotoindotta nella cute e le scarse quantità di vitamina D2 (ergocalciferolo) e vitamina D3 provenienti dalla dieta entrano nel torrente ematico e quindi nel fegato, dove vengono idrossilate. Una successiva idrossilazione avviene nel rene dando vita al 1.25 (OH) vitamina D3 meglio nota come calcitriolo che stimola l’assorbimento del calcio. Numerosi studi hanno rivelato che il trattamento combinato calcio/vitamina D è in grado di ridurre la perdita di osso ed il rischio di fratture vertebrali sia nelle donne all’inizio della menopausa, sia nelle donne molto anziane; recentemente questi effetti sono stati confermati nel maschio. Da ultimo va ricordato che un ridotto peso rappresenta un importante determinante del rischio di frattura sia in età fertile come ad esempio nell’anoressia nervosa o comunque in presenza di amenorrea, sia nelle donne in postmenopausa, dove un basso BMI si accompagna ad una maggiore incidenza di fratture al femore. L’acquisizione di abitudini nutrizionale corrette rappresenta quindi il prerequisito essenziale per la salute del nostro osso. 25 26 (10) Costi sociosanitari L’osteoporosi è una malattia debilitante simile ad altre importanti patologie croniche, in termine di invalidità, mortalità e costi sociali. Si calcola che, nel mondo, circa 200 milioni di persone siano affette da osteoporosi. Nell’Unione Europea, ogni 30 secondi qualcuno ha una frattura causata dall’osteoporosi. • 1 su 2: le fratture da osteoporosi che vengono diagnosticate • 1 su 5: i pazienti con fratture vertebrali o femorali da osteoporosi che muoiono ogni anno in Europa (circa 150.000 in totale) Ogni anno si verificano più di 2.3 milioni di fratture da osteoporosi in Europa e USA. Rischio di frattura in donne di 50 anni di età: è del 50% il rischio di frattura generica, e del 17% il rischio di frattura del femore. Impatto economico attorno ai 900 milioni di Euro l’anno in Italia. Numero stimato di letti ospedalieri necessari per pazienti con fratture di femore e della colonna vertebrale: dagli attuali 2500 letti ad oltre 5500 nel 2050. In Italia nel 1998 vi sono state 38.000 fratture di femore in donne di età superiore ai 50 anni, delle quali oltre 25000 in donne di età superiore ai 74 anni. In Inghilterra negli anni 1992-1993 ci sono state oltre 4000 giornate di degenza per fratture di femore contro le 3000 per l’infarto miocardio acuto e le 2500 per BPCO. Dati pressoché sovrapponibili sono stati rilevati negli Stati Uniti nel 1996. Nei prossimi decenni vi sarà, comunque, un considerevole aumento delle fratture del collo femorale si stima che da 1.6 milioni di casi si arriverà ai 6.3 milioni di casi l’anno nel 2050. Da tutto questo consegue che l’osteoporosi è una patologia di rilevanza sociale e sanitaria elevata nella quale occorre avere: • necessità di valutare l’impatto socio-economico • necessità di un monitoraggio continuo dell’incidenza e del profilo di cura delle complicanze fratturative I dati di uno studio Italiano “Esopo” ha dato questi risultati: Incidenza Complicanze Fratturative Donna (%) Femore prossimale Colonna vertebrale Avambraccio distale 17.5 15.6 16.0 Uomo(%) 6.0 5.0 2.5 • tassi di incidenza delle fratture di femore > 65 anni aumentano in modo esponenziale nelle donne • ogni 5 anni raddoppiano 27 • oltre gli 85 anni l’incidenza è di 400/10000 Problema invecchiamento: è atteso un drammatico aumento delle fratture osteoporotiche • 80000 fratture di femore • 100-110000 fratture di polso La commissione Igieni e Sanità del Senato ha istituito un gruppo di lavoro a cui ha affidato una indagine conoscitiva sui problemi socio-sanitari legati all’osteoporosi, da questa ricerca sono risultati i seguenti parametri di spesa ogni anno: Farmaci Ricoveri e prestazioni Costi indiretti (disabilità, giornate lavoro perse) Costo umano, sociale e psicologico 46 Mil. di Euro 860 Mil. di Euro 1800 Mil. di Euro senza prezzo In altri paesi ad evoluzione sanitaria pari all’Italia le cifre sono le seguenti: • USA: 10 miliardi di dollari l’anno • Europa: 3.5 miliardi di Euro l’anno, costo delle sole cure ospedaliere Nei costi globali della frattura di femore e del trattamento rieducativi in particolare occorre dettagliare: la durata della degenza che mediamente è di 10 giorni nel reparto per acuti è di 24 giorni (dati reg. Emilia Romagna) nel reparto di riabilitazione. Successivamente i costi vanno parametrati a seconda del percorso che farà: domicilio, struttura protetta, trattamento ambulatoriale…Per un paziente con decorso post-chirurgico senza complicanze che può sintetizzarsi in 21 giorni di ricovero per riabilitazione e 3 settimane di trattamento riabilitativo ambulatoriale il costo del solo trattamento riabilitativo può quantificarsi in una cifra attorno ai 3500 Euro. In pazienti con complicanze di entità medio bassa, complicanze internistiche, ad esempio post-intervento, quindi con 30 giorni di ricovero tra riabilitazione e reparto post acuzie e 30 sedute di riabilitazione il costo è di 5000-5500 Euro se le complicanze sono più gravi e/o si rende necessaria una istituzionalizzazione il costo può lievitare, per i primi 90 giorni a 10000 Euro. Occorre inoltre valutare alcune complicanze, non previste nei precedenti parametri, ma che spesso intervengono nel decorso post operatorio e che incidono significativamente sul costo globale ovvero: • ulcere da decubito • incontinenza • attivazione ADI • accessi MMG • accesso specialista • catetere – pannoloni 28 Nell’home care occorre poi valutare il costo dell’assistenza, in funzione della durata della stessa, le tecnologie impiegate, il mix di competenze professionali e il consumo di farmaci. In ogni caso può quantificarsi in un minimo di 1700 Euro per l’assistenza di base per 30 giorni ad una cifra attorno ai 3300 Euro per pazienti più critici per un periodo di 90-120 giorni. Nell’ottica della autonomia la valutazione domiciliare per la verifica delle barriere architettoniche e per la valutazione ausili, si rende pressoché obbligatoria, ed è essa pure legata a spese per la prescrizione e fornitura di vari ausili: • letto, circa 200 Euro • materasso antidecupido, 70 Euro • carrozzina da 100 a 430 Euro e/o deambulatore da 90 a 150 Euro • ausili per il bagno da 70 a 100 Euro 29 (11) Prevenzione L’osteoporosi è una malattia “silenziosa”: solitamente non ci sono sintomi fino a quando non si verifica una frattura. Le fratture di femore oltre a richiedere, in un’alta percentuale di casi, cure mediche ed infermieristiche permanenti, sono spesso, nelle persone anziane causa di morte. In occasione della giornata mondiale dell’osteoporosi, nell’ottobre del 1994, fu pubblicato un opuscolo dal titolo “investi nelle tue ossa: qualità della vita; perché è utile prevenire la prima frattura?”. La maggior parte delle informazioni contenute in questo opuscolo derivano dal gruppo di lavoro della IOF “International Osteoporosis Foundation”. Le motivazioni, per fare una prevenzione delle fratture, sono molto convincenti: • Il rischio di fratture aumenta con l’età; • in tutto il mondo si prevede che il numero di fratture di femore potrebbe aumentare da 1.7 milioni del 1990 a 6.3 milioni nel 2050; • sebbene la mortalità diretta da frattura di femore sia del 1-5%, entro un anno dalla frattura, essa sale al 25% e circa il 30% dei pazienti rinuncia ad una vita indipendente e deve ricorrere ad un’assistenza in istituto; • per la pubblica sanità e per le compagnie assicurative le cure ambulatoriali, ospedaliere e riabilitative delle fratture di femore raggiungo cifre considerate astronomiche. In occasione del congresso mondiale della IOF tenutosi in Portogallo nel 1992, si pose una forte attenzione alla prevenzione della prima frattura. In risposta la WOOO (Word Orthopaedic Osteoporosis Organization) creò le linee guida per i chirurghi ortopedici e i radiologici. La World International Tv della IOF invitò uomini e donne ad apprendere i fattori a rischio dell’osteoporosi compilando un test sul rischio della prima frattura, illustrato qui di seguito, la cui distribuzione è consigliata a tutte le persone che hanno compiuto 40 anni. 30 (12) International Osteoporosis Foundation Siete a rischio di osteoporosi? Controllate lo stato di salute delle vostre ossa. Fate il test Un Minuto sul rischio di osteoporosi. 1) Uno dei vostri genitori ha riportato una frattura del collo del femore in seguito a un banale urto all’anca o una lieve caduta? Sì – No 2) Avete mai riportato una frattura inseguito a un banale urto o una lieve caduta? Sì –No 3) Avete assunto farmaci corticosteroidi (cortisone, prednisone, ecc.) per più di tre mesi? Sì –No 4) La vostra altezza si è ridotta di più di 3 cm? Sì – No 5) Bevete frequentemente considerevoli quantità di alcolici (in misura eccessiva) rispetto al consumo massimo consigliato)? Sì - No 6) Fumate più di 20 sigarette al giorno? Sì – No 7) Soffrite spesso di diarrea (in seguito a malattie come la celiachia [intolleranza al glutine] o il morbo di Crohn)? Sì - No Per le donne: 8) La menopausa è iniziata prima dei 45 anni? Sì – No 9) Non avete più mestruazioni da almeno 12 mesi (per cause diverse dalla gravidanza)? Sì - No Per gli uomini: 10. Avete mai sofferto di impotenza, diminuzione della libido o altri sintomi correlati a un basso livello di testosterone? Sì - No Se avete risposto «Sì» a una o più di queste domande potreste essere a rischio di osteoporosi. Vi consigliamo perciò di consultare il vostro medico che valuterà l’eventualità di ulteriori esami; mostrategli questo questionario. Fortunatamente l’osteoporosi è abbastanza facile da diagnosticare e può essere curata. Rivolgetevi al centro della Fondazione per l’osteoporosi a voi più vicino per sapere come ridurre il rischio di osteoporosi attraverso un cambiamento dello stile di vita . Potete contattare la Fondazione nazionale per l’osteoporosi all’indirizzo: www.osteofound.org oppure rivolgendovi alla segreteria della Fondazione nazionale per l’osteoporosi. Tel. +33 4 72 91 41 77, Fax +33 4 72 36 90 52, e-mail: [email protected] 31 (13) La prima frattura è evitabile? Un grande problema è che il 50% di tutte le fratture da osteoporosi avvengono in pazienti che hanno una osteopenia e non ancora un’osteoporosi. La rottura di un osso è il risultato di un trauma, e una persona con le ossa robuste può avere una frattura in seguito ad una caduta o un incidente. Quando uno scheletro è osteoporotico, tuttavia, la massa ossea è molto ridotta, le ossa sono molto fragili e la probabilità di frattura per un trauma modesto è molto elevata. Il primo approccio è attraverso la prevenzione primaria, in cui un robusto scheletro è sviluppato durante la giovinezza. Quando diveniamo vecchi è fondamentale avere fatto la prevenzione secondaria mantenendo lo scheletro robusto. Una buona massa ossea si ottiene con una dieta corretta, includendo un sufficiente apporto di calcio, proteine e vitamina D, e un appropriato stile di vita, includendo l’esercizio fisico. L’abuso di alcol e il fumo sono da evitare. I fattori di rischio più importanti sono l’osteoporosi in famiglia (ad es. la madre che ha avuto una frattura di femore), immobilità prolungata o carenza di esercizio, magrezza, l’uso di farmaci coricosteroidei, una menopausa precoce, etc…Dopo la prima frattura di femore accade che, i pazienti vengono ricoverati in ospedale e quasi sempre operati; più del 70% di essi necessità di fisioterapia. La riabilitazione spesso fallisce e molti pazienti muoiono dopo alcuni mesi dall’operazione a causa di complicazioni. Chi ha la responsabilità di prevenire la prima frattura? 1) il ruolo dell’individuo. Ogni persona che ha compiuto 40 anni deve rendersi conto che una frattura è un segno pericoloso di osteoporosi e di ulteriori fratture in futuro.Deve conoscere quali sono i fattori a rischio di osteoporosi e dovrebbe compilare il cosidetto One minute Osteoporosis Risk test. 2) Il ruolo del medico di medicina generale. Il medico deve valutare eventuali fratture precedenti e rendersi conto se sono presenti alcuni fattori di rischio speciali quali osteoporosi in famiglia e utilizzo prolungato di cortisonici. In questi casi è utile ordinare un esame per valutare la densità dell’osso e iniziare un’eventuale terapia. 3) Il ruolo del radiologo e del chirurgo ortopedico. Ogni medico deve considerare che una frattura in una persona di oltre 50 anni di età potrebbe essere una frattura osteoporotica. La IOF ha pubblicato un curriculum medico per ortopedici e radiologi riguardo la procedura diagnostica dell’osteoporosi. 4) Il ruolo del personale sanitario. L’educazione, la diagnosi e il trattamento precoce sono la soluzione per prevenire le fratture da osteoporosi. 5) Il ruolo del gruppo di pazienti. Le società nazionali di pazienti nella IOF giocanoun ruolo importante nello scambio di informazioni sull’osteoporosi e in un supporto psicologico. 6) In che modo i pazienti possono migliorare la loro qualità di vita? E’ importanteadottare un corretto stile di vita, con un’attenzione particolare ai fattori di rischio e all’esercizio fisico. Sono molto importanti le posizioni seduta e eretta corrette e uno specifico programma di esercizi con l’aiuto di un tecnico esperto. E’ anche importante la fisioterapia rivolta a ridurre il dolore, che spesso è la causa principale dell’inattività da parte del soggetto anziano 32 (14) Obbiettivo primario Prevenire la prima frattura ed ridurre il rischio di cadute. La diagnosi precoce di osteopenia o di osteoporosi è fondamentale, in quanto le fratture sono spesso una conseguenza di un trauma da caduta. Le cause da caduta sono riconosciute essere multifattoriali. Esse includono problemi di vista, calzature non idonee, scarso equilibrio e coordinazione, debolezza, ambienti domestici e salute generale precari, dieta e medicine in eccesso. Per le persone fragili è importante consigliare l’utilizzo di ausili per camminare, protettori imbottiti del femore ed esercizi adeguati per migliorare la densità ossea, l’equilibrio e la forza. Un’accurata valutazione sul rischio di cadute dovrebbe sistematicamente essere fatta e, di conseguenza, essere eliminati, per quanto possibile, i fattori di rischio. La postura flessa con accentuazione della cifosi dorsale, che spesso si sviluppa nelle persone anziane, può spostare il baricentro più vicino al loro limite di stabilità e favorire le cadute. Sono fortemente consigliati a tal proposito, esercizi di stretching dei tratti cervicali e dorsali, esercizi di rinforzo dei muscoli estensori del tronco e dei romboidi, educazione posturale in stazione seduta e eretta. Lo sviluppo dell’equilibrio e l’addestramento alle cadute, in ambiente ambulatoriale e domiciliare, può essere fatto in molti modi, utilizzando tecniche fisioterapiche diverse. In questo contesto consideriamo un utente prevalentemente sedentario, che ha perso sicurezza nel corso degli anni, spesso per la presenza di dolori muscolo-scheletrici: è importante, quindi, seguire una progressione graduale durante la fase di allenamento. Per ottenere risultati soddisfacenti si deve proporre un lavoro molto vario con l’utilizzo di elementi di base che, combinati tra loro, offrono una varietà di esercizi sufficienti per ogni esigenza ( ad es. palle di varie dimensione, piani oscillanti, linee a terra utilizzate per eseguire esercizi in posizioni diverse, quali quadrupedia, prono, supino, su un piede solo, etc… La corretta posizione da seduti è utile fin da piccoli. Il principale presupposto di un approccio comportamentale è che la disabilità presente in soggetti con diagnosi di osteoporosi sia influenzata non solo dalla malattia somatica, ma anche da fattori psicologici e sociali. L’aumento del rischio di cadute e di conseguenti fratture può dipendere anche dalle attitudini, dalle convinzioni, dal disagio psicologico e dal comportamento “da malato” del paziente. 33 (15) La caduta La paura di cadere negli anni ottanta venne considerata una conseguenza della stessa, risultante del trauma psicologico della caduta, che portava ad una riduzione dell’attività e alla perdita nelle capacità fisiche. Ricerche più recenti hanno scoperto una relazione con i cambiamenti fisici, funzionali e psicologici negli anziani, anche in coloro che non avevano mai subito cadute. Nella letteratura vengono raccomandati insegnamenti, considerazioni, riguardo la sicurezza ambientale, discussione dei comportamenti rischiosi, allenamento e forma fisica.L’allenamento e la forma fisica sono la costruzione per non cadere e la chiave per ridurre la paura di cadere. In aggiunta ad esercizi specifici e ad attività di equilibrio e coordinazione, è stato suggerito che la capacità nel riprendersi da una caduta e il trattamento della caduta fossero incorporati nei programmi di forza fisica. (16) Attività motoria nell’anziano Attività motoria, esercizio fisico, forma fisica sono tutti termini abitualmente utilizzati per riferirsi ad una vita attiva; in termini scientifici, tuttavia, queste definizioni hanno un significato leggermente diverso (N. Zingarelli, 1970): • Attività motoria: “tutti quei movimenti che portano ad un dispendio energetico a seguito di una modificazione del nostro organismo (sono comprese le attività quotidiane, domestiche, ecc…)”; • Esercizio fisico: “movimenti ripetuti, programmati e strutturati in modo specifico, al fine di migliorare la forma fisica”; • Sport: “insieme degli esercizi fisici compiuti individualmente o in gruppo come manifestazione agonistica o per svago o per sviluppare specifiche capacità del corpo (forza, agilità, ecc…)”; • Forma fisica: “stato opportuno delle condizioni di un atleta, sia psichiche che fisiche”. In generale si può dire che l’attività motoria porta dei benefici all’organismo, sia in soggetti giovani che anziani, garantendo una riduzione del rischio di alcune malattie e stati patologici. A tal proposito, l’esperienza acquisita dalla medicina sportiva ha potuto constatare che, nei soggetti anziani, l’uso costante e sorvegliato di un’attività motoria adeguata è in grado di incrementare le resistenze globali dell’organismo, e riesca a contenere l’involuzione muscolo-scheletrica e cardio34 vascolare, ottenendo anche una stimolazione dell’attività psico-intellettuale del soggetto.È opportuno ritenere che l’esercizio fisico in generale abbia delle capacità positive sull’invecchiamento e che, probabilmente, intervenga in modo diretto anche nel processo di senescenza biologica. In effetti l’ipocinesia ha un grosso ruolo nella genesi dell’invecchiamento precoce, e, d’altra parte, una razionale attività muscolare è in grado di regolare la vitalità di un organismo che invecchia sia in condizioni normali che patologiche. L’attività muscolare nel soggetto che invecchia si è dimostrata non solo un mezzo di attivazione generale ma anche di stimolazione su vari organi e funzioni, acquistando così una valenza preventiva, perché in grado di ridurre il fisiologico decremento delle capacità dell’organismo, ed anche un carattere terapeutico, non sostituibile da alcun farmaco. A fini preventivi, appare quindi indispensabile sottolineare che una certa attività motoria deve essere prevista nello stile di vita di ogni persona, regolata ovviamente da aspetti individuali e dal tipo di occupazione abituale. A questo proposito va tenuto presente che il processo d’invecchiamento esercita, a sua volta, una progressiva influenza sulla tolleranza al lavoro muscolare per cui, col passare degli anni, esistono risposte tipicamente individuali che è necessario conoscere per un adeguato lavoro fisico. Gli effetti dell’esercizio fisico in età adulta, si possono generalizzate in benefici a livello del sistema muscolo-scheletrico, neuromotorio, endocrino-metabolico, cardio-circolatrorio, respiratorio, circolatorio e del comportamentopersonalità. (S. Beraldo, 2004) 35 rallenta l’effetto degenerativo osseo; maggiore elasticità e potenza dei legamenti articolari; decremento del grasso interstiziale; aumentata capacità ossidativi dei mitocondri; aumentato contenuto di glicogeno; aumentato rapporto fibre/capillari; incremento della fosforilazione ossidativa; incremento del trofismo e del tono muscolare con aumento della forza e della tolleranza allo sforzo. metabolico. endocrino- Sistema muscolo-scheletrico e neuro-motorio. cui si attenuano dolori causati da posture sbagliare; personalità Apparato cardio-circolatorio e respiratorio. Sistema Comportamento- migliore postura e capacità di assumere atteggiamenti corretti, per migliore coordinazione neuro-motoria; regolazione neuro-muscolare potenziata. migliore termoregolazione corporea e metabolismo generale; tendenza alla normalizzazione degli indici ematochimici; aumento della massa magra attiva; corretta regolazione del controllo di encefalico dell’appetito; corretto assetto gluco-lipidico. rafforza il muscolo cardiaco; aumenta la gittata cardiaca; maggiore elasticità dei vasi sanguigni; maggiore capillarizzazione (irrorazione di sangue periferica); facilitazione del ritorno venoso; valori pressori regolati; recuperi post sforzo diminuiti (riduzione veloce di frequenza cardiaca e respiratoria); aumento della ventilazione polmonare; aumenta l’elasticità polmonare e la dinamica del diaframma; migliori scambi gassosi a livello alveolare; aumento della potenza aerobica. buon controllo emotivo; aumento dell’autostima migliore disponibilità alla socializzazione; meno ansia e depressione; più sicurezza per una migliore capacità di difesa dai pericoli ambientali; meno paura di cadute e traumi. Benefici generalizzanti dell’esercizio fisico. (S. Beraldo, 2004) 36 (17) Attività motoria e osteoporosi Oltre ai suddetti effetti, l’attività motoria interviene anche nella prevenzione dell’osteoporosi: numerosi studi hanno evidenziato, tra i fattori preventivi, l’importanza dell’attività motoria, in quanto le sollecitazioni causate dall’esercizio stimolano il metabolismo osseo e quindi favoriscono un maggior sviluppo della massa scheletrica. Per questo gli atleti presentano valori molto elevati di densitometria ossea e quindi, negli anni successivi, potranno far fronte alla fisiologica sottrazione ossea partendo da depositi più consistenti. Quindi, una persona sedentaria, potrà procurasi un sufficiente “magazzino” di tessuto osseo svolgendo una regolare e monitorata attività motoria, non necessariamente agonistica. (S. Respizzi, 2004) Anche per le donne in post-menopausa, che abbiano già problemi di densità minerale ossea, vale questo concetto: l’iscrizione a specifici corsi, idonei alle proprie capacità fisiche, servirà a limitare la velocità di evoluzione della malattia. L’apparato scheletrico appare come una unità funzionale capace di autoregolare la propria mineralizzazione in funzione del calcio e delle forze muscolari a cui è sottoposto; gli stimoli meccanici da carico, attraverso la fase di pressione esercitata durante l’attività motoria, si trasformano in correnti piezoelettriche, che stimolano direttamente l’attività osteoblastica. Quindi la riduzione di carico, della forza e della massa muscolare, portano ad una progressiva perdita di massa ossea: esiste una forte reciprocità tra immobilizza-zione e riassorbimento osseo. Lo stimolo ottimale è quello che si riflette lungo l’asse di carico dell’osso (baricentro) in modo da operare positivamente sulla colonna vertebrale (la zona più soggetta all’osteoporosi). Pertanto stimoli come la deambulazione, mediante la fase di pressione esercitata dall’osso ed associata alla forza muscolare, determinano incremento della massa ossea in quelle zone sottoposte alla loro influenza. Nell’osteoporosi mettere sotto carico lo scheletro appare appropriato, utilizzando esercizi fisici di impegno crescente e di durata protratta; l’esercizio deve essere, inoltre, personalizzato per ogni paziente, in relazione alle capacità e possibilità funzionali: utili a tal proposito appare un’analisi del bilancio articolare e muscolare. (GA. Letizia, et al., 2004) L’esercizio fisico, l’attività motoria, e l’apprendimento di norme posturali corrette, costituiscono così la base delle strategie di recupero funzionale e di medicina riabilitativa; occorre però evidenziare che, l’attività motoria da sola non può intervenire nel contenimento della perdita minerale ossea, e quindi dovrà essere opportunamente integrata da un’appropriata cura farmacologica. L’attività motoria, in definitiva, può avere effetto preventivo nei confronti dello stato di decalcificazione che si riscontra a livello dello scheletro di una buona percentuale di donne in periodo post-menopausale. Tuttavia, quando si parla di attività fisica molto intensa praticata in età giovanile i problemi sono molto diversi: è stato riportato che in soggetti di sesso femminile che praticano attività fisica intensa, si possono avere delle modificazioni ormonali tali da indurre uno stato di ipoestrogenismo che, se protratto, potrebbe 37 portare ad una riduzione della massa ossea. Le ripetute sollecitazioni date dall’esercizio fisico potrebbero inoltre portare, a loro volta, ad un aumento delle fratture da stress; attualmente questo problema è stato inserito nel quadro più grande dell’omeostasi calcica e dell’equilibrio tra gli ormoni responsabili della neoformazione e decostruzione ossea. In effetti, in alcune discipline sportive, dove per questioni di rapporto peso/potenza gli apporti energetici sono contenuti, gli apporti di calcio possono risultare molto al di sotto di quelli raccomandati per la popolazione generale. Se in atleti di sesso femminile, oltre a questa situazione, si viene a sommare uno stato di ipoestrogenismo prolungato che può presentarsi con amenorrea secondaria o primaria, il rischio di incorrere in una riduzione di densità ossea è ipotizzabile. Al momento la densità ossea di atlete di alto livello è ancora in fase di studio, e quindi l’ipotesi di una loro scarsa mineralizzazione e di un aumentato rischio di fratture da stress, deve essere ancora documentato; in effetti il ruolo protettivo dell’attività motoria sembra bilanciare l’effetto dovuto agli squilibri ormonali o ai ridotti apporti alimentari di calcio. (A. Cravatta, et al.,2004) La ricerca scientifica, negli ultimi decenni, si è sviluppata mirando ad introdurre specifici interventi preventivi, in modo da limitare i danni connessi alla patologia osteoporotica: una menopausa precoce deve mettere in guardia il ginecologo, il quale dovrà intervenire con appropriati trattamenti ormonali e sollecitando la pratica di una attività motoria regolare; irregolarità estrogeniche e del ciclo mestruale vanno prese in attenta valutazione dal ginecologo in quanto possibili cause di diminuzione della massa ossea e di una futura osteoporosi. un’osteoporosi conclamata dovrà essere così trattata con opportuni farmaci inibitori del riassorbimento osseo, e con una attività motoria opportuna-mente calibrata al fine di stimolare una neoformazione ossea. In definitiva è molto importante cercare di fare movimento: l’attività fisica regolare, oltre a mantenere la massa dell’osso costante, rinforza la muscolatura e le articolazioni; anche se, per essere veramente efficace, l’attività fisica dovrà calibrarsi alle proprie forze e caratteristiche. La diffusa abitudine alla vita sedentaria consiste in un importante fattore di sviluppo dell’osteoporosi, dimostrato dal fatto che un prolungato periodo di permanenza forzata a letto comporta una eliminazione urinaria di calcio; la stessa diminuirà non appena viene esaurito lo stato di inattività. Si può così affermare che la mancata attività fisica, anche quotidiana, porta ad una diminuzione della massa ossea. Resta, a questo punto, una parentesi aperta su che esercizi sia meglio far fare a questi soggetti, e che esercizi invece sia più opportuno tralasciare. Dovrebbero essere preferite attività ginniche tipo la corsa, la ginnastica, la bicicletta, ma anche la semplice marcia, il golf, le bocce, il tennis e lo sci possono essere assai utili; di minore utilità è considerato il 38 nuoto, in quanto di regola non produce un importante trazione muscolare sulle ossa. Da bandire sono sicuramente gli esercizi ginnici che consistano in una flessione forzata del busto in avanti sul bacino, quelle che prevedono il sollevamento pesi, o che siano potenzialmente traumatici come il calcio, la pallavolo o il rugby. Poiché i pazienti con osteoporosi non sono più giovanissimi, appare opportuno sconsigliare alcuni esercizi ginnici che implichino un carico sulla superficie anteriore dei corpi vertebrali, per il pericolo di cedimenti, oppure il sollevamento di pesi superiori ai 10kg. (G. Isaia, 2001) (18) Studi a riguardo L’intervento dell’attività motoria nella prevenzione e terapia dell’osteoporosi è, tutto sommato, un argomento relativamente nuovo, e proprio per questo motivo al momento non sono disponibili molti studi a testimonianza della sua efficacia sull’argomento. A riguardo si può ricordare un recente studio tedesco, denominato EFOPS (Erlanger Fitness Osteoporosis Prevention Study) e condotto nel maggio 2004 su 80 donne in post-menopausa, che non assumevano farmaci o non avevano patologie degenerative del metabolismo osseo. Di queste 80 donne, 50 avevano eseguito un programma di attività motoria proposto, le restanti 30 erano state seguite come gruppo di controllo; tutte le donne furono comunque sottoposte a visite mediche periodiche ed risposero ad un questionario sulla loro situazione patologica. L’attività consisteva in esercizi alle macchine isotoniche, a corpo libero e di stretching, suddivisi in 4 sedute d’allenamento la settimana. Dopo 24 mesi di analisi, furono tratte le prime conclusioni, grazie ad un’analisi di altezza, peso, rapporto vita/fianchi, forza muscolare e densità minerale ossea, evidenziando seri miglioramenti solo in quei soggetti che avevano praticato l’attività motoria. La densità ossea rimase stabile nei soggetti che avevano praticato la terapia, mentre diminuiva del 2,3% in quelle del gruppo di controllo; anche la forza muscolare traeva giovamento dall’attività fisica, come del resto i dolori ed i sintomi caratteristici della menopausa. (W. Kemmler, et. al., 2004). Altri studi sono stati condotti sull’argomento, in Italia è stato condotto uno studio su un campione di 19 donne in menopausa, sottoposte a trattamento con attività fisica della durata un triennio (1993-1995), notando sia un miglioramento della performance fisica che dello stato di benessere generale, ma soprattutto una riduzione delle conseguenze negative dovute alla riduzione post-menopausale della massa ossea. (N. Bardini, et al., 1998) I risultati sono stati determinati attraverso opportune valutazioni fisiche, ed analizzati attraverso le seguenti variabili: 39 Abitudini di vita (sedentarietà): passaggio dal 16% di soggetti attivi al primo anno al 100% nell’ultimo anno. Abitudine al passeggio quotidiano: nel 1993 solo il 16% dei soggetti passeggiava abitualmente, nel 1995 ben il 90% dei soggetti pratica passeggiate quotidiane. Trofismo muscolare: si è passati dal 5% di soggetti con trofismo muscolare buono ad un 37%, e da un 42% di soggetti con trofismo muscolare scarso a solamente il 16%. Flessibilità: nel 1993 nessuno aveva una flessibilità considerata buona, nel 1995 ben il 42% la presentava. Capacità di sedere a terra: si aveva nel 1993 quasi la totalità dei soggetti incapaci di sedere a terra (90%), nel 1995 la percentuale scende addirittura allo 0%. Torsione laterale del busto: si arriva ad avere quasi un’inversione di tendenza, con il 90% di soggetti scarsi nella torsione laterale al primo anno e l’80% considerati normali all’ultima indagine. Dolore lombare: tutti presentavano dolore durante la prima indagine, ma durante l’ultima questi soggetti sono scesi al 32%. Dolore dorsale: buono anche questo dato che vede una percentuale di soggetti con dolore al primo anno pari al 74%, contro un 16% dell’ultimo anno. I buoni risultati così ottenuti, integrati anche con le periodiche rilevazioni densitometriche (DEXA), hanno potuto dimostrare che l’attività fisica consente di attenuare le complicanze derivanti dall’osteoporosi. A sostegno di quanto detto vi è il fatto che, contrazioni e tensioni muscolari producono delle stimolazioni a livello osseo, favorendo quindi la neoformazione ossea. Un altro studio a riguardo è stato possibile grazie alla partecipazione di 53 ambulatori: questo studio, rivolto a diagnosticare gli affetti della ginnastica nei soggetti con osteoporosi, si è rivolto verso donne con età compresa tra i 55 e i 75 anni, con osteoporosi conclamata e dolori alla schiena causati da pregresse fratture. Dopo 10 settimane di sedute d’allenamento, eseguite 2 volte la settimana, si sono visti risultati positivi: miglioramento della qualità di vita; funzioni vitali invariate; riduzione del dolore e minor ricorso all’uso di analgesici; nessun effetto collaterale in seguito al trattamento. Occorre infine tenere presente che il dolore, come causa di frattura osteoporotica, ha per conseguenza gravi effetti disabilitanti, come la perdita di equilibrio e mobilità, ed è presente nel 75% delle donne con questa patologia; a tal proposito si può considerare l’utilizzo dell’attività motoria come una possibile soluzione a questo problema (B. Malmros, et al., 1998). Da tenere 40 presente che un programma di ginnastica di potenziamento, cioè volto ad aumentare la forza, deve essere sufficentemente impegnativo, personalizzato e progressivo, e deve comportare una costruzione muscolare ed un aumento della forza, in uomini e donne di ogni età; per di più l’esercizio fisico apporta anche altri benefici. Blocca la perdita di massa ossea e la ricostruisce: dallo studio si è potuto vedere come le donne che facevano ginnastica non solo non persero massa ossea, ma l’aumentarono di un 1%; al contrario quelle che non praticarono alcuna attività, persero un 2% di massa ossea. Migliora l’equilibrio: lo studio evidenzia come le donne che non si esercitavano perdevano un 8,5% dell’equilibrio (misurato alla fine del periodo di studio); invece, quelle del gruppo di ginnastica migliorarono la loro capacità di equilibrio del 14%. Aiuta a prevenire le fratture ossee da osteoporosi: incrementando forza ed equilibrio diviene improbabile la possibilità di una caduta, e di conseguenza diminuisce anche il rischio di frattura. Da energia: le donne inserite nel programma di esercizi di potenziamento erano diventate più attive di prima del 27%; al contrario le donne non inserite nel programma erano diventate meno attive del 25%. È questa una scoperta importante, perché uno stile di vita attivo offre notevoli benefici per la salute (Surgeon General’s Report del 1996), ed iniziare un lavoro di potenziamento prima di un lavoro aerobico porta a sentire quest’ultimo meno pesante. Restituisce la forma e slancia: anche se esce dallo scopo terapeutico dello studio appare un buon risultato anche la perdita di peso e massa grassa. Migliora la flessibilità: più libertà di movimento ed escursioni articolari nelle donne campione. (L. Vecchiet, et al., 1985) 41 (19) Programmazione degli esercizi Una attenta programmazione del lavoro consente di perseguire gli obiettivi con sicurezza e precisione; occorrerà, a tal riguardo, ricordare: una valutazione delle caratteristiche del gruppo; la presenza di idonee attrezzature; la scelta di obiettivi pertinenti; verifica costante del lavoro in corso; eventuale rielaborazione del percorso qualora si manifestino incongruenze col fineprefissato. La finalità del lavoro deve quindi cercare di rinforzare la struttura ossea, ma deve anche essere tesa a ridurre la percentuale di handicap che la patologia può creare. All’anziano deve essere garantita una vita dignitosa e completa, ma purtroppo in questi soggetti si vanno ad instaurare delle condizioni involutive che, se sommate anche alla paura di cadere, non fanno altro che ridurre l’attività fisica, instaurando un circolo vizioso. Quindi, oltre alla massa ossea, va salvaguardata anche la qualità della vita del soggetto che deve poter vivere la vecchiaia in autonomia e serenità. (D. Sarto, 2002) Anche se la ginnastica di potenziamento comporta pochi rischi derivanti da una sua esecuzione, al contrario di molti altri sport (quali jogging, aerobica, etc…), appare opportuno salvaguardare la salute dei soggetti assicurando che possiedano un opportuno certificato di abilitazione alla pratica sportiva non agonistica, oltre alle opportune regole dettate dal buon senso. Un buon metodo può essere quello di sottoporre ai soggetti in questione un semplice test chiamato PAR-Q (Physical Activity Readiness Questionnaire) creato dalla Canadian Society for Exercise Physiology per verificare rapidamente se una persona poteva iniziare un programma di esercizi fisici liberamente o con una preventiva consultazione col medico curante (Tabella 2). 42 Physical Activity Readiness Questionarie - PAR-Q (1994) PAR-Q (un questionario per le persona dai 15 ai 69 anni) Se avete intenzione di fare attività fisica, iniziate col rispondere alle 7 domande qui di seguito. Se avete un’età compresa tra i 15 e i 69 anni, il PAR-Q vi dirà se dovete consultare un medico prima di iniziare. Se avete più di 69 anni e non fate già una regolare attività fisica, interpellate il vostro medico. 1. il vostro dottore via ha mai detto che avete una malattia di cuore e che potete fare solo attività fisica consigliata da un medico? SI NO SI 2. quando fate attività fisica sentite dolore al petto? NO SI 3. nel mese scorso avete mai sentito dolore al petto? NO 4. perdete l’equilibrio per vertigini o perdete mai conoscenza? 5. avete problemi alle ossa o articolazioni che una normale attività fisica potrebbe peggiorare? SI NO SI NO 6. al momento il vostro medico vi sta prescrivendo farmaci per la pressione sanguigna o il cuore? SI NO 7. conoscete altri motivi per cui non potete fare attività fisica? SI NO Se avete risposto SI a una o più domande. Portate il PAR-Q al vostro medico e chiedete lui come comportavi nella pratica di attività fisica. Se avete risposto NO a tutte le domande. Siete sicure di poter iniziare un ciclo di attività fisica, cominciando adagio e con gradualità. Può essere una buona regola sottoporsi a dei test per la valutazione della forza. ATTENZIONE: se la vostra condizione di salute dovesse cambiare, per cui dovete rispondere SI ad una qualsiasi delle precedenti domande, ditelo a chi segue la vostra forma fisica e modificate il piano di lavoro di conseguenza. Per gentile concessione della Canadian Society for Exercise Physiology © 1994, SCEP Physical Activity Readiness Questionnaire, PAR-Q (1994). 43 Si possono così raggruppare le precauzioni da seguire durante la pratica di attività motoria in semplici regole: assicurarsi un adeguato spazio per la pratica dell’attività: senza ostacoli od oggetti pericolosi (spigoli, vetrate, ecc…) e sufficientemente ampio per compiere i movimenti corretti; mettere i pesi in un contenitore: evitare quindi di lasciare i pesi liberi nella stanza, in quanto gli stessi potrebbero essere una grossa fonte di pericolo; non camminare con le cavigliere allacciate: l’insolito peso potrebbe far perdere l’equilibrio, diventando difficoltoso ribilanciare il corpo per evitare la caduta; bere a sufficienza: idratarsi correttamente è di buona regola, soprattutto se si manifesta una grossa sudorazione o con molto caldo; allenarsi tra i pasti: evitare quindi di allenarsi a digiuno da troppo tempo o subito dopo i pasti; iniziare con un riscaldamento: per attivare la muscolatura e prepararla all’attività; mantenere una buona postura: controllare che la postura sia sempre quella corretta, in modo da evitare che uno specifico lavoro muscolare risulti inefficace e potenzialmente nocivo; rilassamento: rilassare la muscolatura non coinvolta nel movimento; eseguire i movimenti lentamente: per aumentare la sicurezza e l’efficacia dell’esercizio stesso (movimenti lenti richiedono più unità motorie e coinvolgono più fibre muscolari nel sollevamento), assicurando una durata di esecuzione di 9 secondi (4sec. per sollevare, 1sec. di pausa e 4sec. per scendere), buona regola risulta contare ad alta voce; continuare a respirare: una respirazione continua e ritmata durante l’esercizio consente una corretta ossigenazione al muscolo impiegato nell’esercizio; occorrerà espirare nella fase concentrica ed inspirare in quella eccentrica; progredire con cautela: aumentare il carico solo quando si riesce a sollevare un peso per 8 volte di seguito, senza fatica e senza bisogno di riposo (qualora si dovesse sospendere il programma per troppo tempo riprendere ad allenarsi con carichi dimezzati). Le indicazioni didattiche della seduta di allenamento, o delle indicazioni generale per lo svolgimento di un esercizio, dovranno essere: Precise: si deve chiarire l’obiettivo ed il tipo di percorso, deve essere analizzata l’esecuzione dell’esercizio. Graduali e progressivamente incrementate: si procede con carichi di lavoro ridotti, per poi proseguire lentamente, a seconda delle capacità individuali. 44 Variate: lo stimolo dell’osso su diverse linee di forza consente un miglioramento maggiore; appare utile anche per sconfiggere la noia. Individualizzate: anche se il lavoro viene svolto in gruppi di più persone l’individualizzazione è d’obbligo. Costanza e regolarità: solo in questo modo si avranno seri e duraturi risultati. Tra le motivazioni didattiche occorre tener in considerazione la necessità, nella prima fase del lavoro (prime sedute di allenamento e fase di attivazione-riscaldamento), di utilizzare il maggior numero di canali sensoriali possibili per permettere una più precisa interiorizzazione e comprensione del movimento; invece durante l’affinamento percettivo (esercizio specifico di potenziamento) occorre escludere alcuni canali per concentrare l’attenzione sul solo canale d’interesse. (D. Sarto, 2002) Sulla base dei presupposti sopraelencati, si può così iniziare l’allenamento con pesi relativamente leggeri, da 0,5 Kg a 1 Kg per ogni braccio e da 1,5 Kg a 2,5 Kg per ciascuna gamba, a seconda del grado di forza posseduto dal soggetto; partendo dal peso più basso per ogni esercizio, lo si aumenterà progressivamente, arrivando, nel giro di poche settimane, a sollevare il peso massimo per 8 volte senza fatica eccessiva: arrivando così allo sforzo massimo ed alla giusta intensità. Il segnale avvistatore che risulta opportuno aumentare il carico per un dato esercizio, scatta qualora le otto ripetizioni vengano eseguite senza fatica, portando l’esercizio ad essere poco impegnativo. In generale l’allenamento richiede 2-3 sedute di 40 minuti la settimana, ed ogni seduta comprende le seguenti fasi: riscaldamento (5 minuti), ginnastica di potenziamento (30 minuti), defaticamento (5 minuti). (ME. Nelson, et al., 1999) Riscaldamento. Serve per accentuare gli effetti della seduta di allenamento successiva, in generale vanno bene tutti quegli esercizi a bassa intensità che fungano da attivazione muscolare. a) Eseguire lentamente l’esercizio successivo senza pesi e con escursione articolare completa. b) Alzarsi e sedersi lentamente dalla sedia (aiutandosi anche con le mani se necessario) per 10 volte. c) Camminare sul posto per 5 minuti o fare le scale. d) Fare attività aerobica prima dei pesi. Ginnastica di potenziamento. È la parte centrale del programma di allenamento, quello in cui si hanno i massimi effetti allenanti, ma per mantenere tali benefici risulta importante, giunti in questa fase, mantenere un ordine degli 45 esercizi. Se all’incirca gli esercizi all’interno di una seduta di allenamento sono 8, li si potrà suddividere come di seguito: i primi 3 esercizi riguardano i grandi muscoli della parte inferiore del corpo con l’ausilio delle cavigliere; i successivi 3 esercizi richiedono l’uso dei manubri per mettere in moto i muscoli della parte superiore del corpo; infine gli ultimi due esercizi sono indirizzati a migliorare la postura e l’equilibrio (sollevamento sulle punte dei piedi, su una gamba sola, ecc…).Nella ginnastica di potenziamento ogni movimento completo viene chiamato sollevamento o ripetizione, un gruppo di sollevamenti viene chiamato serie: nella ginnastica per soggetti osteoporotici si prevedono sedute di allenamento di 2 serie per 8 ripetizioni. Ogni sollevamento prevede 9 secondi per l’esecuzione (4 per sollevare, 1 di riposo, 4 per abbassare) e 2-3 minuti di recupero tra una serie ed un’altra. Altra avvertenza durante questa fase dell’allenamento è il rilassarsi: a) volto non corrugato e rilassato; b) evitare di digrignare i denti o irrigidire la mascella; c) non sollevare le spalle contraendo il trapezio, mantenerle invece extraruotate e rilassate; d) rilassare tutti i muscoli non coinvolti nel movimento. Defaticamento. Comprende gli esercizi di stretching ed esercizi aerobici a bassissima intensità, al fine di rilassare la muscolatura contratta dalla seduta di allenamento con i pesi e ritornare ad uno stato di relativa normalità del tono muscolare. Va bene, in assenza di attività aerobica, ripetere gli esercizi fatti in precedenza senza peso per due o tre volte, bloccandosi per un 5 secondi nella fase di massima estensione. Si può ritenere che gli obiettivi da perseguire, per ogni seduta di allenamento, siano sostanzialmente 4: stimolazione gravitazionale, stimolazione muscolare, miglioramento posturale, miglioramento fisico generale. (D. Sarto, 2002) Nello specifico si può considerare quanto segue: Stimolazione gravitazionale. Si tratta di una stimolazione meccanica data dalla forza di gravità, sul tessuto osseo, al fine di produrre depositazione di calcio e tessuto da parte degli osteoblasti. Stimolazione muscolare. Si differenzia dalla precedente per l’effetto di tipo meccanico che il tessuto muscolare provoca sulle inserzioni tendinee, che indirettamente sollecitano la struttura ossea trabecolare, rinforzandola. Si distingue, a tal proposito lo stretching dal potenziamento muscolare: il primo, allungando il muscolo, stimola i punti di inserzione muscolari e stimola indirettamente la costruzione ossea (ottimo lo stretching balistico); il secondo produce un processo di ipertrofia migliorando la forza 46 assoluta del muscolo e quindi la capillarizzazione ed il conseguente trasporto di nutrienti, compreso il calcio (si compone di contrazioni isometriche, isotoniche ed isocinetiche). Miglioramento posturale. Si basa su un tipo di approccio rieducativo che si appoggia su di un’elevata attenzione da parte del soggetto per tutta la durata dell’allenamento: la presa di coscienza delle proprie anomalie e delle posture scorrette necessita di una notevole concentrazione. Si parte da un’indagine obiettiva col fine di evidenziare l’eventuale presenza di dimorfismi e paramorfismi nella persona, intervenendo poi di conseguenza. Migliorare la postura e le sequenze del movimento, ottimizzare la distribuzione dei carichi, evitare ritrazioni muscolo-tendinee, porta ad un incremento della mobilità articolare e diminuzione del dolore articolare. Nel miglioramento posturale si inserisce anche l’educazione respiratoria, in grado di migliorare l’elasticità della gabbia toracica, del parenchima polmonare, dei muscoli respiratori e dei visceri addominali; essendo questi aspetti strettamente collegati alla colonna vertebrale, si pongono positivamente nella ginnastica per l’osteoporosi: durante la fase inspiratoria si ha una estensione della colonna e orizzontalizzazione delle coste; vice versa nella espirazione si ha una flessione dorso-vertebrale e verticalizzazione costale; nel complesso si esercita un’indiretta azione sulla colonna vertebrale che si mobilizzerà. Miglioramento fisico generale Acquisire autosufficienza motoria implica una riduzione del rischio di fratture, nonché delle patologie cordio-circolatorie più comunemente associate alla vita sedentaria (ipertensione, cardiopatie, ecc…). Si riesce ad ottenere questo effetto grazie a 3 aspetti fondamentali: il lavoro cardio-vascolare, il lavoro di mobilità, il lavoro di coordinazione. (21) Come individualizzare un programma d’allenamento Solo un programma veramente individualizzato aumenterà la forza ed il tono muscolare in sicurezza, perché la chiave del successo sta proprio nel saper usare pesi adatti nel momento adatto: con carichi eccessivamente alti l’allenamento risulterà troppo duro e potenzialmente pericoloso, al contrario con carichi troppo bassi non si porterà alcuna modificazione di carattere neuro-muscolare. Il massimo peso che si può sollevare per una sola volta è denominato maximal repetition (MR): nel nostro caso si lavora al 70-80% di MR (lavoro prettamente di forza massima-ipertrofia) quando il soggetto è già allenato; qualora si sia appena iniziato il programma di lavoro i carichi si aggirano introno al 50-60% di MR, dando tempo all’organismo di adattarsi ed al soggetto di apprendere al meglio l’esecuzione degli allenamenti.Per valutare la forza attuale di un dato soggetto che si basa 47 sulla risposta a delle facili domande sulle attività di tutti i giorni; qualora il soggetto sia incerto sul come rispondere si preferisce sottostimare le sue capacità piuttosto che sovrastimarle. A B C Camminare e correre. Può correre per 1,5 km senza fermarsi (A) Può percorrere 1,5 Km solo camminando, senza soste (B) Non riesce nemmeno a camminare per 1,5 Km senza riposo (C) Salire le scale. Può fare 5 rampe di scale (100gradini ca.) senza sosta (A) Può salire senza sosta da 2 a 4 rampe di scale (40-80 gradini ca.) (B) Non riesce nemmeno a fare senza fermarsi 2 rampe di scale (20 gradino ca.) (C) Trasportare pesi di 7 Kg* Può portare un peso per ogni braccio (A) Può portare solo un sacchetto con entrambe le braccia (B) Non riesce a trasportarne neppure uno (C) *sacchetti della spesa non presi per le maniglie, ma tenuti in braccio, portati dal parcheggio a casa. Numero di crocette per colonna. Test per la valutazione del livello di partenza (ME. Nelson, et al., 2001). Qualora sia stata messa anche una sola crocetta sulla colonna C si parte dal livello base; con una combinazione di crocette tra la colonna A e B si parte dal livello intermedio; con sole crocette sulla colonna A partire dal livello superiore (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.). Livello di partenza Kg per braccio Kg per gamba 0,5 1,5 Intermedio 1 2 Superiore 1,5 2,5 Iniziale Carichi in base al livello di partenza (ME. Nelson, et al., 2001). 48 Una volta determinato il carico da applicare in ogni esercizio si procede con la valutazione dello sforzo sostenuto in un dato esercizio. Al fine di determinare l’entità dello sforzo fisico, prodotto da un dato esercizio, è possibile procedere sia attraverso il consumo di ossigeno e la frequenza cardiaca, ma anche attraverso la sensazione soggettiva dell’individuo. Si utilizza a tal proposito una scala numerica, a cui corrisponde un certo livello di sensazione soggettiva di fatica e di sforzo: si va da un valore minimo, assimilabile come lavoro estremamente leggero, ad uno massimo, corrispondente ad un lavoro estremamente pesante. Questa scala, definita scala RPE (Rating of Perceived Exertion) o Scala di Borg, ideata e introdotta dallo stesso Borg nei primi anni 60 ed usata per valutare la sensazione soggettiva dell’entità di sforzo, in relazione all’intensità dello sforzo stesso, costituendo così un importante monitoraggio della frequenza cardiaca negli individui sottoposti a training. Livello Tipo di sforzo d’intensità 6 Nessuna sensazione di esaurimento 7 8 9 Molto lieve 10 11 Lieve 12 13 Alquanto lieve 14 15 Forte (pesante) 16 17 Molto pesante 18 19 Estremamente pesante 20 Massimo esaurimento Scala RPE o Scala di Borg. (Borg, 1982) 49 La RPE e la frequenza cardiaca sono in relazione lineare tra loro ed entrambe sono in rapporto diretto con l’intensità del lavoro; inoltre, la RPE è in stretta correlazione con numerosi parametri fisiologici quali la ventilazione polmonare e la produzione di lattato. Inoltre, se si aggiunge uno zero a ciascun numero della scala RPE si ottiene, in modo approssimativo, la frequenza cardiaca per un determinato livello di lavoro fisico: con un punteggio di 6 o 7 si riflette una frequenza a riposo di 60 o 70 battiti per minuto, con un punteggio di 19 o 20, una frequenza di 190-200; poiché la frequenza massima diminuisce con l’età, i valori di FC e RPE, si accordano tra loro prevalentemente nei soggetti giovani e non in quelli più anziani. La Scala di Borg mostra inoltre un sistema di classificazione dell’intensità dell’esercizio fisico che mette in relazione due metodi di calcolo della FCA (frequenza cardiaca allenante): quello basato sulla FCmax e quello che si riferisce alla riserva di FC con la RPE. Fcmax FCmax riserva RPE Classificaz. Intensità < 35% < 30% < 10 Lieve 35% - 59% 30% - 49% 10 – 11 Leggero 60% - 79% 50% - 74% 12 – 13 Moderato 80% - 89% 75% - 84% 14 – 16 Pesante > 90% > 85% > 16 Molto pesante Sistema di classificazione dell’intensità dell’esercizio fisico. (Borg, 1982) Dato che la RPE aumenta parallelamente al carico di lavoro e di affaticamento e diminuisce proporzionalmente alla frequenza cardiaca, ogni qual volta l’individuo subisce un miglioramento, la conoscenza della RPE del singolo soggetto, permette di comprendere quanto questo sia migliorato e quando è il momento di incrementare ulteriormente l’intensità dell’allenamento. (Borg, 1982) I soggetti possono imparare abbastanza rapidamente a regolare l’impegno fisico in base alla sensazione soggettiva di fatica, determinando la giusta intensità dell’ esercizio solo con l’uso della Scala di Borg e questo può essere molto utile in assenza di altri controlli o quando, per altri motivi (es. farmaci), può essere alterato il responso della frequenza cardiaca. Molti ricercatori usano la suddetta scala a venti punti, d’altro canto utilizzare 20 classi di intensità risulta alquanto difficoltoso, soprattutto con persone anziane, per cui si può ricorrere anche ad una semplificazione, ma non ad una diminuzione della sua valenza, della Scala di Borg a 5 punti, dove 50 la giusta intensità per un allenamento muscolare corrisponde al livello 4 (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.). Livello Tipo di d’intensità sforzo Descrizione 1 Molto facile Troppo facile per essere avvertito. 2 Facile Si avverte ma non stanca. 3 Moderato Stancante solo se prolungato nel tempo. 4 Duro Più che moderato all’inizio, arduo dopo avere portato a termine 6-7 ripetizioni; sforzo eseguibile per 8 ripetizioni ma con bisogno di riposarsi. 5 Richiede tutta la vostra forza. Molto duro Scala di Borg a 5 livelli. Con molta probabilità lo sforzo iniziale si aggirerà intorno al 2-3 livello, ma questo non deve essere considerato come un problema, anzi consente al soggetto di prendere dimestichezza con gli esercizi e le nuove posture del corpo: i soggetti con osteoporosi, normalmente, hanno un’età avanzata con una conseguente diminuzione della coordinazione e dell’equilibrio, un 2-3 lezioni introduttive con carichi minori consentono una maggior dimestichezza futura e sono la base per ottimi allenamenti. La successione nel tempo prevede: 1° settimana. Rimanere a livello basso per apprendere gli esercizi, anche se risulta essere troppo poco intenso. Se dopo la prima seduta appaiono dolori muscolari abbassare il carico di ½ Kg. 2° settimana. Si aggiunge ½ Kg ai pesi iniziali di braccia e gambe, al fine di portare lo sforzo verso il livello 4 della scala di Borg; non è detto che ci sia un aumento proporzionale in tutti i muscoli, si potrà quindi assistere ad un aumento solo di alcuni distretti. 3° settimana. Al termine di questa settimana si dovrebbe aver raggiunto il livello 4 della scala di Borg in tutti gli esercizi. Utile, al fine di migliorare continuamente, può essere porsi dei traguardi: in effetti durante i primi 3 mesi di allenamento si vedranno i più evidenti e veloci risultati, poi la forza ed il livello raggiunto tenderà a stabilizzarsi. 51 Una considerazione deve essere fatta sul “dolore” che si può avvertire durante o dopo l’esecuzione di un esercizio: innanzi tutto occorre distinguere un “dolore buono” da un “dolore cattivo” DOLORE BUONO DOLORE CATTIVO Sensazione Dolore sordo Dolore acuto Posizione Nel muscolo Nell’articolazione Scompare nel giro di Dopo l’esercizio Seduta successiva Che significa pochi minuti Continua a fare male Lo stesso sforzo è meno Nessun miglioramento doloroso e/o peggioramento Normale affaticamento Problema articolare e/o muscolare muscolare Differenze tra dolore “buono” e “cattivo” (ME. Nelson, et al., 2001). Il “dolore buono” non è un reale dolore, ma affaticamento muscolare derivante dall’accumulo dei metabolici di scarto in seguito al lavoro muscolare (Lattato e ioni di Idrogeno); gli stesi metabolici, assieme al dolore dovrebbero scomparire in pochi minuti dopo la cessazione dello sforzo. Il “dolore cattivo” evidenzia una sensazione dolorosa acuta a carico articolare, che indica un sovraccarico ed una potenziale lesione. In caso si manifesti questo genere di dolore occorrerà: interrompere subito l’esercizio; ripetere, nella seduta successiva, l’esercizio con cautela e pesi inferiori; non assumere analgesici in quanto nascondono il dolore e quindi possibili problemi; qualora il dolore persistesse per troppo tempo ricorrere a cure mediche. (ME. Nelson, et al., 1999 52 (22) Prospettiva aumento età media 53 54 55 (23) Conclusioni Il costo della riabilitazione delle fratture da osteoporosi è ingente e variabile a seconda del percorso e delle complicanze da cui il paziente può essere affatto. Una buona prassi sarebbe quella di effettuare prevenzione sulle fratture sia migliorando le performance motorie degli anziani, sia valutando attentamente le loro abitazioni per rimuovere barriere architettoniche o variare abitudini a rischio, sia di migliorare attraverso l’apporto farmacologico la qualità dell’osso e ridurre così il rischio di fratture. Considerando quanto costa una frattura di collo femorale o una qualsiasi altra frattura da osteoporosi, ed in prospettiva dell’aumento dell’età media e dei rischi di avere sempre più anziani fratturati, l’obbiettivo della prevenzione delle cadute e delle fratture si rende, a mio avviso, doveroso nell’immediato futuro della programmazione della politica sanitaria e sociale degli stati sanitariamente più evoluti. (24) Bibliografia (2, 3, 4, 5, 6, 7, 8) www.osteoporosi.ch – IOF – Tabelle e dati, presi dagli studi: E.R.G.O., E.P.I.D.O.S., M.E.D.O.S., E.S.O.P.O, N.U.T.R.A.G.E., Gibis la cadute dell’anziano, Epidemiologia dell’osteoporosi in Europa. Oltre che da fonti d’indagine Istat, Ministero della Salute e dati inerenti, presentazione Neri Marco per F.i.f (9) Studio Nutrage- Cumming RG. Calcium intake and bone mass: a quantitative review of the evidence. Calcifed Tissue International 1990; 47:19-201 Consensus Development Conference. Profilaxis and treatment of osteoporosis. 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