OSTEOPOROSI
&
FITNESS
a cura di:
Luca G. Bottoni
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Indice:
1) Introduzione…………………………….…………….…………………………………p3
2) Che cos’è l’osteoporosi? …………………………….……………………………….p4-6
3) Forme di osteoporosi……………………………………………………………………p7
4) Epidemiologia e fratture del femore……………………………………………...…p8-12
5) Situazione osteoporosi in Italia…………………………………………………….p13-16
6) Metodi di misurazione (La densitometria)…………………………………………p17-19
7) Densitometria quando e a chi? ………………………………………………………..p20
8) Fattori di rischio……………………………………………………………………….p21
9) Nutrizione e osteoporosi……...……………………………………………………p22-24
10) Costi sociosanitari……………………………………………………………...…p25-26
11) Prevenzione………………………………………………………………………..…p27
12) Test IOF ………………………………………………………………………….…p28
13) La prima frattura è evitabile? ………………………………………………………..p29
14) Obbiettivo primario…………………………………………………………………..p30
15) La caduta……………………………………………………………………………...p30
16) Attività motoria per l’anziano……………………………………….……………p31-33
17) Attività motoria e osteoporosi…………………………………………………….p33-34
18) Studi a riguardo…………………………………………………………………...p34-36
19) Programmazione degli esercizi………………………………………………...…p36-40
20) Come individualizzare un programma d’allenamento……………………………p40-44
21) Prospettiva aumento età media……………………………………………………p45-47
22) Conclusioni…………………………………………………………………………...p48
23) Bibliografia……………………………………………………………………….p48-49
24) Studio: osteoporosi ed attività fisica………………………p1-23
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(1) Introduzione
Le più recenti definizioni scientifiche portano ad identificare la patologia osteoporotica come “una
sindrome multifattoriale e sistemica dello scheletro, caratterizzata da una riduzione della massa
ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento
della fragilità ossea e del rischio di fratture”. La frattura osteoporotica rappresenta pertanto una
grave e frequente conseguenza, portando ad un ampio processo involutivo e degenerativo nel
soggetto colpito, fino ad arrivare, in molti casi, anche alla morte. L’osteoporosi, negli ultimi anni, è
giunta ad essere considerata una malattia sociale in quanto rappresenta una patologia che colpisce
una larga porzione di popolazione e che comporta un gravoso peso sul bilancio sanitario, sia
pubblico che privato. A tal proposito l’identificazione di specifici interventi, in grado di limitare e
prevenire i danni connessi ad una sua manifestazione, sono da considerarsi come di primaria
importanza: si dovrà per tanto provvedere ad instaurare al riguardo specifici e mirati protocolli di
lavoro. Ad ulteriore conferma dell’importanza di una finalizzata politica preventiva vi è che la
suddetta patologia viene definita anche come una “epidemia silenziosa”, proprio a causa del suo
progredire senza manifestazioni esterne, fino al momento in cui il soggetto subisce una frattura e le
relative
conseguenze. E’ opinione sempre più diffusa, che l’involuzione scheletrica data
dall’osteoporosi e le conseguenze ad essa correlata, possano essere efficacemente limitate attraverso
uno specifico programma di attività motoria, e con un adeguato training fisico. Questa tesi si
propone, pertanto, di dimostrare che la riduzione di massa ossea ed il conseguente processo
degenerativo connesso alla presenza dell’osteoporosi, può essere limitata dai benefici connessi
all’esecuzione di opportuni esercizi di potenziamento globale, inseriti all’interno di specifiche
sedute di allenamento. L’attività motoria risulta quindi avere un ruolo attivo nel trattamento
dell’osteoporosi, inserendosi in appropriati programmi di prevenzione e terapia per persone colpite
dalla patologia .
Un ringraziamento particolare a coloro che hanno contribuito all’elaborazione di questa tesi,
fornendomi dati e la loro più completa disponibilità, tra cui:
Dott.sa Fasolo Sonia
Dott.re Farné Andrea
Dott.re Neri Marco
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(2) Che cos’è l’Osteoporosi
L’osteoporosi è una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da una riduzione della massa ossea
e da un’alterazione della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della
fragilità ossea e del rischio di frattura.
Osso Sano
Osso osteoporotico
L’osso è costituito da un tessuto connettivo specializzato, una particolare struttura composita, nella
quale una matrice, fatta di fibre collagene e di una vasta gamma di altre proteine, è impregnata di
minerali, in particolar modo di calcio. Nonostante la sua durezza, e quindi l'apparente staticità,
l'osso è estremamente dinamico ed in continua evoluzione. Avvengono, infatti, costantemente due
processi: uno di lenta neodeposizione e l'altro, più rapido, di riassorbimento. E' così consentito: un
perenne rimodellamento della struttura macro e microscopica; uno scambio con tutti i tessuti
dell'organismo attraverso il mezzo di trasporto garantito dal sangue. Le ossa, che hanno una
quantità di calcio quasi mille volte superiore ai circa 1,5 grammi presenti complessivamente nei
liquidi extracellulari, rappresentano un enorme serbatoio di questo ione ed hanno quindi
un’importante funzione nel tener costante la concentrazione di calcio nei liquidi corporei. Nel caso
vi sia carenza di calcio nel sangue, questo viene mobilizzato dalle ossa, mentre, in caso di eccesso,
questo ione viene depositato nelle ossa del nostro scheletro. Il ciclo vitale dell‘osso è caratterizzato
dalla continua produzione di nuova matrice e dalla cancellazione della vecchia, in un costante
processo dinamico che prende il nome di metabolismo osseo. Nell‘osso sono presenti:
• matrice, dove precipitano i sali di calcio e determinano, quindi, la deposizione di nuovo osso.
cellule chiamate osteoblasti, che secernono una sostanza proteica che forma appunto la
• cellule chiamate osteoclasti, che digeriscono la matrice proteica, liberano i sali che qui erano
precipitati e determinano, quindi, il riassorbimento osseo.
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Grazie a queste proprietà, l’osso è in grado di reagire elasticamente alle forze meccaniche e, se
si rompe, ripara se stesso riacquistando la sua forma originaria.
L'osso può assumere due diverse organizzazioni spaziali.
1) L’osso compatto o corticale
• rappresenta l'80% dello scheletro;
• è componente quasi esclusiva delle ossa
lunghe e piatte;
• assume nelle ossa lunghe forma tubolare,
delimitando il canale midollare;
• ha un comportamento anisotropo, presenta
cioè maggiore resistenza alle forze applicate
secondo il suo asse verticale;
• ha una densità di 1,8 g/cm3.
2) L’osso Trabecolare o Spugnoso
• è organizzato in trabecole, prevalentemente
orientate in senso perpendicolare tra loro;
• le trabecole verticali sono più grosse e
sopportano il carico;
• le trabecole orizzontali stabilizzano le verticali;
• la parte di spazio non occupata da tessuto osseo
è costituita da midollo ematopoietico e tessuto
adiposo;
• la sua densità può variare tra 0,1 ed 1 g/cm3.
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Tra i due, il tessuto osseo trabecolare ha un grosso rilievo clinico, perché è l'osso meno denso. La
resistenza alla compressione aumenta, infatti, in modo proporzionale al quadrato della densità. Le
fratture avvengono, quindi, più frequentemente nelle sedi in cui l'osso spugnoso è percentualmente
più rappresentato. Va ricordato che, in condizioni normali, l’azione demolitrice degli osteoclasti è
perfettamente bilanciata dalla continua produzione di materiale osseo da parte degli osteoblasti. In
particolari situazioni questo equilibrio si può spezzare e ad esempio, con l’osteoporosi si ha, come
dice il nome stesso, una rarefazione dell’osso in cui la matrice, che è paragonabile ad una rete a
maglia fine, si dirada. La perdita della massa ossea è entro certi limiti un’inevitabile conseguenza
dell’invecchiamento (osteoporosi senile), ma può anche essere una malattia metabolica, in cui la
perdita di matrice ossea non viene compensata dalla produzione di nuovo osso.
Evoluzione della massa ossea nel corso della vita nei due sessi:
La fase di incremento della massa ossea (che segue a grandi linee l'andamento della crescita
staturale, anche se presenta una durata maggiore. Questa fase caratterizza le prime due decadi
divita, è analoga nei due sessi ed ha una fase di massima ascesa durante l'adolescenza. Periodo di
consolidamento, caratterizzato da una continua, lenta ascesa fino ai 30-35 anni di età. Si raggiunge a
questa età il così detto "picco di massa ossea", cioè la massima quantità d'osso che ciascun
individuo possiede nel corso della sua vita. La differenza tra i due sessi è evidente: infatti il
contenuto medio di minerale osseo a livello appendicolare risulta pari a 0,75 g/cm2 per le donne e
0,85 g/cm2 per gli uomini.
La fase di decremento che prosegue per tutta la vita, in cui si ha una progressiva e continua
riduzione di massa ossea. Qui le differenze in base al sesso sono molto marcate. La perdita d'osso
legata all'invecchiamento, che si svolge in circa 40 anni, è quindi sufficiente a portare una quota di
donne, ed in parte uomini, in una situazione di particolare fragilità ossea che li predispone a fratture
anche per eventi traumatici minimi. Una certa quantità di massa ossea si riduce fisiologicamente ed
inevitabilmente con l'età: tale riduzione viene definita osteopenia; quando il processo
demineralizzante diventa particolarmente intenso e prolungato al punto da determinare fratture per
traumi di modesta entità, si parla di osteoporosi.
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(3) Forme di Osteoporosi
L’osteoporosi può colpire ad ogni età, anche se il picco di incidenza è nell’età matura
e anziana, e può essere primaria o secondaria:
L’osteoporosi primaria è a sua volta classificata in 2 tipi:
Tipo 1 - osteoporosi postmenopausale
• associata alla ridotta secrezione di estrogeni
• riscontrabile nel 5-29% delle donne dopo la menopausa
• compare entro i primi 20 anni dall’inizio della menopausa
• la perdita ossea, molto accelerata nel periodo perimenopausale, può raggiungere una perdita del
5% della massa ossea totale all’anno
• interessa prevalentemente l'osso trabecolare con effetti particolarmente evidenti a livello della
colonna vertebrale, dove il turn-over osseo é elevato
• le fratture vertebrali rappresentano la situazione clinica più comune in questi casi.
Tipo 2 - osteoporosi senile
• può colpire entrambi i sessi dopo i 70 anni di età
• può interessare fino al 6% della popolazione anziana
• la perdita di massa ossea interessa sia l'osso trabecolare che quello corticale
• le fratture possono interessare non solo la colonna vertebrale, ma anche le ossa lunghe, il bacino e
altre sedi
• le tipiche complicanze sono rappresentate dalle fratture del collo femorale, dell'estremità distale
del radio, dell'omero.
L'osteoporosi secondaria rispecchia l’incidenza delle malattie e/o condizioni cliniche e/o uso
cronico di farmaci a cui è associata.
Le condizioni cliniche a cui si associa l’osteoporosi secondaria sono:
• ipogonadismo e malattie endocrino-metaboliche (sindrome di Cushing, tireotossicosi,
iperparatiroidismo)
• malattie neoplastiche e terapie correlate
• alcune malattie croniche (insufficienza renale cronica, broncopneumopatia cronica ostruttiva,
l’insufficienza cardiaca cronica congestizia)
• le connettivopatie e le malattie infiammatorie croniche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante,
ecc)
• alcune malattie gastrointestinali (morbo di Crohn, celiachia)
• deficit nutrizionali, abuso alcolico cronico
• uso cronico di farmaci (corticosteroidi, immunosoppressori, ormoni tiroidei, anticonvulsivanti)
• immobilità prolungata
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(4) Epidemiologia e fratture del femore
La perdita d'osso legata all'invecchiamento, che si svolge in un arco di tempo di circa 40 anni, è
quindi sufficiente a portare una quota di donne, ed in parte uomini, in una situazione di particolare
fragilità ossea che li predispone a fratture anche per eventi traumatici minimi.Una certa quantità di
massa ossea si riduce fisiologicamente ed inevitabilmente con l'età: tale riduzione viene definita
osteopenia; quando il processo demineralizzante diventa particolarmente intenso e prolungato al
punto da determinare fratture per traumi di modesta entità, si parla di osteoporosi. L'osteoporosi è
quindi una malattia demineralizzante sistemica, caratterizzata da un ridotto volume di tessuto osseo.
L’osteoporosi (anche per l'aumento significativo della vita media della popolazione) è oggi una
patologia di rilevanza mondiale. E' noto che sono colpiti nella maggior parte dei casi soggetti di
sesso femminile in fase postmenopausale la diminuita produzione di estrogeni accelera il processo
fisiologico di riassorbimento dell’osso, che nella donna comincia dopo i 35-40 anni con una perdita
media di matrice ossea di 0,2-0,3% all’anno. A 75 anni una donna ha perso il 25-50% di osso. il
depauperamento della massa ossea progredisce talvolta in modo irreversibile portando a quadri di
grave menomazione, che rendono necessarie assistenza e cure per molti anni.La prevenzione è
perciò la principale via percorribile per affrontare e contenerne le conseguenze. E' stato affermato
che l'osteoporosi è una malattia che si evidenzia generalmente nella terza età, ma che affonda le sue
radici nell'età dello sviluppo: una mancata "saturazione" del tessuto osseo nei primi venti anni di
vita condizionerà l'evoluzione della patologia negli anni della vecchiaia. L’osteoporosi può essere
definita come una condizione nella quale si instaura un deficit di densità ossea e si ha una notevole
diminuzione della resistenza meccanica dell’osso. Nonostante oggi vi siano macchine affidabili in
grado di evidenziare e valutare, con specifici
esami, questa condizione patologica, sul versante
terapeutico la situazione è ancora preoccupante, in quanto non è ancora possibile far recuperare
completamente ai soggetti che ne sono affetti, la massa ossea perduta. La terapia farmacologica, in
continua evoluzione, è insostituibile nel trattamento delle forme conclamate, mentre l'attività fisica
è preponderante nella prevenzione. Infatti la sollecitazione meccanica dell’osso protegge
dall’osteoporosi (gli sportivi hanno un contenuto di calcio nell’osso a limiti alti o comunque
maggiore della norma). Prevenzione che deve iniziare nell'età dello sviluppo e giovanile, per
intensificarsi nell'approssimarsi dell'età a rischio. L’osso rarefatto degli anziani è meno resistente
agli stimoli meccanici e tende, più facilmente di quello giovanile, a cedere sotto carico. All’inizio,
in questa patologia, il dolore insorge solo sotto sforzo, ma poi, con l’evolversi della malattia, si
instaura un forte senso di fastidio che persiste anche a riposo. Le cause del dolore sono: la
deformazione dei corpi vertebrali, la perdita dei rapporti articolari fisiologici (dolori osteoarticolari)
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e l’irritazione cronica delle radici nervose che ne consegue, che portano a loro volta a contratture
articolari antalgiche. Se il dolore improvvisamente peggiora, è probabile che sia intervenuta una
frattura (spontanea o patologica). L’osso osteoporotico è, infatti, più fragile di quello normale, per
cui vi è una spiccata tendenza alle fratture: a 75 anni una donna su quattro va incontro a frattura
patologica dei corpi vertebrali o del collo del femore! Nella lotta all’osteoporosi particolare
importanza riveste anche la dieta che deve essere varia ed equilibrata e soprattutto garantire un
adeguato e soddisfacente apporto di sali minerali e vitamine (soprattutto calcio e vitamina D). Per
questo, per particolari categorie a rischio o in delicate fasi della propria vita, può risultare utile e
raccomandabile l’utilizzo di specifici integratori, per sopperire all’insufficiente apporto alimentare o
agli aumentati bisogni fisiologici. Nel corso degli ultimi vent’anni, numerosi studi epidemiologi
hanno dimostrato che l’osteoporosi costituisce uno dei maggiori problemi di salute nel mondo
occidentale a causa delle fratture che essa produce, soprattutto a livello del polso, della colonna
vertebrale e del femore. Di queste fratture la più temibile è certamente quella femorale che incide
più delle altre in termini di mobilità, mortalità e costi sociali, con tassi particolarmente elevati nei
soggetti anziani. Attualmente, il maggior numero di fratture femorali viene riscontrato nei paesi
occidentali industrializzati, ed in particolare in Europa. Nel 1990 è stata stimata la presenza di 1.7
milioni di fratture femorali in tutto il mondo, di cui 560.000 in Europa e 360.000 in Nord
America.Tuttavia sono disponibili limitate informazioni relative all’influenza delle differenze
razziali sull’incidenza delle fratture, anche se i meccanismi genetici e quelli ambientali possono
giocare un ruolo rilevante. I dati sull’epidemiologia delle fratture femorali sono disponibili in molti
paesi, in quanto tutte le fratture del femore sono sintomatiche e vengono generalmente trattate in
regime di ricovero ospedaliero: ne consegue la concreta possibilità di redigere registri
epidemiologici sull’incidenza di tale patologia, mentre ciò non è possibile per le fratture vertebrali,
che possono essere in alcuni casi asintomatiche o comunque non richiedere l’intervento del medico
e che spesso vengono riscontrate casualmente alla radiografia del rachide effettuata per altri motivi.
Dagli studi di popolazione è stato riscontrato che le fratture del femore aumentano
esponenzialmente con l’aumentare dell’età, ed in genere l’incidenza specifica per età delle fratture
femorali è maggiore nella donna rispetto al maschio, con un rapporto di 2-3 a 1 fra i due sessi. Nel
1998 la Commissione Europea, estrapolando i dati dai più recenti studi epidemiologici, ed in
particolare dallo studio MEDOS (Mediterranean Osteoporosis Study) che è stato condotto
nell’Europa meridionale, ha riportato l’incidenza delle fratture femorali nei 15 paesi dell’Unione
Europea, sottolineando la presenza di sostanziali differenze tra i paesi settentrionali e quelli
meridionali: la più elevata incidenza è stata riscontrata in Scandinavia, mentre il minor numero di
fratture femorali è stato riscontrato nei paesi meridionali; inoltre, confrontando le incidenze
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Europee con quelle Americane (considerata pari a 1), è stato confermato che in Svezia l’incidenza
relativa era 1.3 nelle donne e 1.7 negli uomini, mentre in Inghilterra, nei Paesi Bassi e in Germania
questa era invece molto simile a quella degli Stati Uniti. Nei paesi del Sud Europa, invece, era
significativamente inferiore: in Francia, Grecia e Spagna era circa dello 0.7, mentre in Italia e
Portogallo era dello 0.5. Inoltre, nelle aree urbanizzate è stata riscontrata una maggiore incidenza di
fratture femorali rispetto a quelle rurali e la riduzione dell’abitudine all’esercizio fisico ed i
cambiamenti delle abitudini alimentari sono stati considerati la possibile causa di questa differenza.
Lo studio MEDOS contiene anche dati relativi alla Turchia, un paese non appartenente all’Unione
Europea ricco di differenti gruppi etnici con caratteristiche genetiche e culturali miste. I dati
riscontrati in Turchia sono risultati differenti rispetto a quelli dei restanti paesi mediterranei: in
particolare nelle aree rurali (Asia Minore), ma anche nelle città di Istanbul e Ankara, l’incidenza
delle fratture femorali è risultata molta bassa. Rispetto a quella Americana risulta appena del 1020% nelle donne e 20-30% negli uomini, ed inoltre è stato verificato un minor incremento
esponenziale in relazione all’età. L’incidenza delle fratture in genere è destinata ad aumentare negli
anni, e si stima che il numero delle fratture femorali nel mondo per l’anno 2050 sarà di circa 6.3
milioni, con 1 milione di fratture in Europa. Questi dati vengono ottenuti osservando le
modificazioni demografiche che si verificano: la distribuzione per fasce d’età della popolazione nei
paesi in via di sviluppo ed in quelli industrializzati si sta infatti modificando profondamente. In
particolare, nei paesi industrializzati il numero dei bambini si va riducendo mentre il numero dei
soggetti anziani va aumentando sia in termini assoluti che relativi per un aumento dell’aspettativa di
vita, e quindi della longevità. Si stima che nei paesi della Comunità Europea, nell’arco di tempo che
va dal 1995 al 2050, il numero dei soggetti con età superiore ai 65 anni raddoppierà e quello dei
soggetti con età superiore agli 80 anni aumenterà di più di tre volte. Una delle conseguenze di
queste drammatiche modificazioni demografiche sarà certamente un significativo incremento delle
malattie età-correlate quali l’osteoporosi, e delle sue conseguenze, in particolare delle fratture
vertebrali e femorali, sia nelle femmine che nei maschi. Molteplici sono i fattori di rischio per le
fratture femorali e questi possono essere ricompresi negli indicatori della fragilità dell’osso e negli
indicatori del rischio di caduta. Nel 1998 l’American Osteoporosis Foundation (NOF) propose di
usare un numero limitato di fattori di rischio per valutare le donne ultra settantenni a rischio di
frattura del femore. Propose di considerare la densità minerale ossea (BMD), l’anamnesi positiva
per fratture dopo i 40 anni di età, la storia familiare di fratture, il basso peso corporeo e l’abitudine
tabagica attiva. In particolare, la presenza di una pregressa frattura vertebrale o femorale costituisce
di per sé un fattore di rischio per ulteriori fratture, ed è stato dimostrato che un adeguato trattamento
farmacologico è in grado di ridurre significativamente tale rischio. Inoltre la carenza di vitamina D,
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che é stata dimostrata in numerosi paesi ed in particolare in Italia, costituisce un importante fattore
di rischio per le fratture, sia perché determina una maggiore fragilità ossea, sia perché i suoi effetti
extraossei, ed in particolare quelli a livello muscolare, inducono un maggior rischio di caduta.
D’altra parte un’adeguata integrazione con vitamina D si è dimostrata in grado di ridurre
significativamente il rischio di fratture da osteoporosi nell’anziano, soprattutto se istituzionalizzato.
Nello studio ERGO (Rotterdam) del 1999 la storia familiare ed il fumo non sono risultati
significativi fattori di rischio, mentre altri indicatori, come l’uso di un supporto per la
deambulazione sono risultati statisticamente correlati al rischio di frattura del femore. Lo studio
EPIDOS (1999) ha confermato questo dato, sottolineando come fattore di rischio per le cadute oltre
all’utilizzo di un supporto anche la velocità dell’andatura. Ogni score di rischio dovrebbe comunque
sempre tenere in considerazione l’età ed il sesso del paziente. Coma già accennato, la maggior parte
delle fratture femorali sono sintomatiche, conseguenti o meno a caduta e richiedono l’intervento del
medico. E’ importante sottolineare che non sempre si riesce a ritornare alle condizione prefratturativa ed una parte dei pazienti va incontro ad importanti sequele cliniche, compreso il
decesso. La mortalità da frattura femorale è di circa due volte più elevata nell’uomo rispetto alla
donna. Nella donna la mortalità varia dal 12 al 35% nei primi dodici mesi dopo la frattura.
Nell’uomo, invece, la variabilità è più ampia, ma con valori sempre superiori di almeno due volte
rispetto alle donna ad ogni livello di età e di comorbidità. Inoltre nel 50% dei pazienti con fratture
del bacino, il dolore persiste anche dopo 6 mesi dalla frattura e solo il 32% recupera la piena
capacità deambulatoria. In conclusione, sulla base delle proiezioni demografiche dei prossimi
decenti, è facile prevedere un drammatico incremento delle fratture femorali e dei costi sociali ad
esse correlati: è per tanto indifferibile porre fin d’ora in essere adeguati provvedimenti di ordine
preventivo e se del caso anche di natura farmacologia per contenere tale fenomeno e per ottenere di
conseguenza un significativo miglioramento della qualità di vita della popolazione anziana.
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(5) Situazione osteoporosi in Italia
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(6) Metodi di misurazione
I.
In pazienti con fratture non dovute a traumatismi efficienti una diagnosi clinica di osteoporosi può
essere formulata anche in assenza di specifiche indagini strumentali (densitometrie) atte a valutare
la massa ossea. In altri casi l’indagine è consigliata perché:
• la malattia può essere silente
• i fattori di rischio per ridotta massa ossea non sono sufficientemente sensibili per la
diagnosi di osteoporosi o per la sua esclusione
• è utile per quantificare meglio il rischio di frattura
• è utile per valutare il decorso della malattia e la risposta ad un eventuale
trattamento.
La densitometria
Oggi la diagnosi di osteoporosi può essere stabilità in modo semplice e preciso, già molto prima
dell’insorgenza delle fratture, con una densitometria ossea, esame che permette di determinare
l’esatto contenuto di calcio delle ossea. L’indagine densitometrica consente oggi di misurare in
modo abbastanza accurato e preciso la massa ossea ed in particolare la sua densità minerale, che
giustifica il 60-80% della resistenza meccanica dell’osso. Quest’ultima risulta anche correlata ad
altre caratteristiche dell’osso quali la microarchitettura, il metabolismo e la conformazione
geometrica. Il rischio di frattura aumenta di 1,6-2,6 volte (a seconda del sito di misurazione e del
tipo di frattura) per ogni deviazione standard di riduzione del valore della densità minerale ossea:
Sito di misurazione
Radio prossimale
Collo femorale
Colonna lombare
Polso
1.8
1.6
1.6
Rischio relativo di Frattura
Femore
Vertebre
1.6
1.6
2.6
1.9
1.3
2.0
Attualmente l’esame è praticato con la metodica DEXA (Dual energy X-ray Absorptiometry), una
metodica che utilizza raggi X. La densitometria ossea con la tecnica DEXA è oggi il metodo
diagnostico più corrente e universalmente riconosciuto per determinare la densità ossea. Questa
tecnica consiste nel misurare l’assorbimento osseo di un raggio X, ciò che permette all’ordinatore di
stabilire in modo molto preciso (con un errore del 1-2% solamente) la densità ossea e dunque del
contenuto di calcio delle ossa misurate. L’esame è assolutamente indolore e privo di rischi
(l’irradiazione è molto bassa e paragonabile ad un volo transatlantico in aereo).
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Per l’OMS la diagnosi densitometrica di osteoporosi si basa sulla valutazione con tecnica dualenergy x-ray absorptiometry (DXA) della densità minerale, raffrontata a quella media di soggetti
adulti sani dello stesso sesso (Picco di massa ossea). L’unità di misura è rappresentata dalla
deviazione standard dal picco medio di massa ossea (T-score). È stato osservato che il rischio di
frattura inizia ad aumentare in maniera esponenziale con valori densitometrici di T-score < -2.5 SD,
che secondo l’OMS, rappresenta la soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi.
Definizioni diagnostiche secondo i valori densitometrici in T-score
T-score
> -1
-1 a –2.5
< -2.5
< -2.5 con frattura osteporotica
Diagnosi
NORMALE
OSTEOPENIA
OSTEOPOROSI
OSTEOPOROSI CONCLAMATA
Le definizioni di osteopenia e di osteoporosi dell'Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) si
riferiscono solo alla densità ossea misurata con un'apparecchiatura DEXA al collo del femore e alla
colonna lombare. Dato che la densità ossea è al giorno d’oggi il fattore che meglio predice il rischio
di frattura, ne consegue che la densitometria con metodologia DEXA è attualmente a livello
mondiale il “gold-standard” nella diagnosi dell’osteoporosi. La densità ossea misurata con le
apparecchiature DEXA è oggi l'unico parametro osseo misurabile che è proporzionale alla
resistenza meccanica dell'osso. Si consideri che studi meccanici sull'osso hanno dimostrato che una
riduzione di 35-50% della densità ossea comporta una diminuzione di 10 volte della resistenza
dell'osso. Solitamente si misura la colonna lombare, il collo del femore e talvolta l'avambraccio.
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Rischio di frattura dell'anca nel prosieguo della vita per una donna di 50 anni (lifetime risk) in
funzione della sua densità ossea.
Densità ossea
L’immagine mostra il rischio di frattura dell’anca in funzione della densità ossea, in una donna di
50 anni per il resto della vita. Per ogni diminuzione della densità ossea del 10% circa il rischio di
frattura aumenta di 2 volte (-10% = x2; -20% = x4; ...).La densità ossea è espressa sia in funzione
del picco di massa ossea teorico di un giovane adulto di 30 anni circa (T-score) ed in funzione dei
valori medi per un collettivo della stessa età (Z-score). L’Organizzazione Mondiale della Sanità
definisce normale una densità ossea fino a 10% circa inferiore alla norma, osteopenia una riduzione
della densità ossea tra 10 e 25% ed osteoporosi una densità ossea abbassata di oltre il 25% (rispetto
ai valori medi della persona giovane, cioè rispetto al picco di massa osseo teorico) Più alta è l’età
della persona misurata e più occorre naturalmente tener conto della riduzione fisiologica della
densità ossea nella sua fascia d’età per la giusta decisione terapeutica. Trattasi tuttavia solo di una
diagnosi densitometrica che solo dopo una valutazione complessiva di diagnostica differenziale può
o meno tradursi in diagnosi clinica. Qualora la metodica DXA non sia fattibile può essere
giustificato il ricorso ad altre metodiche densitometriche, ma si devono tenere presenti le loro
limitazioni di impiego. Nell’impossibilità o nell’attesa di eseguire una densitometria della colonna o
del femore, in presenza di altri fattori di rischio per frattura si può impostare un regime terapeutico
anche sulla base del risultato di una densitometria periferica a raggi X o ad ultrasuoni.
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(7) Densitometria, quando e a chi?
C’è ampio consenso nel consigliare l’indagine densitometrica solo su base individuale ed in
considerazione dell’età e della presenza di fattori di rischio. L’indagine densitometrica è pertanto
indicata in presenza di una delle seguenti condizioni cliniche:
• Menopausa precoce (≤45 anni)
• In previsione di prolungati (>3 mesi) trattamenti corticosteroidei (>5 mg/die diprednisone
equivalenti)
• Donne in post-menopausa con anamnesi familiare positiva per fratture non dovute a traumi
efficienti e verificatesi prima dei 75 anni di età.
• Donne in post-menopausa con ridotto peso corporeo (<57 Kg) o indice di massa corporea <19
Kg/m²
• Pregresso riscontro di osteoporosi (con indagine radiologica e/o densitometrica)
• *Fattori di rischio associati ad osteoporosi
• Precedenti fratture non dovute a traumi efficienti
• Donne di età ≥ 65 anni e in menopausa da almeno 10 anni.
21
(8) *Fattori di rischio
Spesso anche in presenza di una perdita ossea importante i disturbi sono molto modesti o assenti.
Per questo motivo è importante conoscere i fattori di rischio. Il fattore di rischio principale per le
donne è costituito dal deficit di estrogeni soprattutto se precoce, cioè prima dei 45 anni. Anche una
menopausa chirurgica è tanto più negativa per lo scheletro quanto più è stata eseguita presto nella
vita. Esistono comunque molti fattori collegati ad un rischio più elevato di osteoporosi. Se diversi
fattori di rischio sono associati, anche il rischio di osteoporosi è aumentato in proporzione.
L’assenza di fattori a rischio non esclude comunque in nessun caso la possibilità di un’osteoporosi.
Infatti 30% di donne affette da osteoporosi non hanno nessun fattore di rischio.
Fattori di rischio principali
•
Età
•
Sesso femminile
•
Razza bianca
•
Osteoporosi in un membro della propria famiglia
•
Pregressa frattura (dopo i 45 anni)
•
Menopausa precoce (prima di 45 anni)
•
Costituzione magra (BMI <18 kg/m2)
Fattori di rischio d'importanza secondaria
•
Abuso di bevande alcoliche
•
Abuso di nicotina: il solo smettere di fumare non migliorerà molto la situazione; è una
misura complementare alla terapia che sarà proposta dal punto di vista farmacologico.
•
Scarsa attività fisica
•
Alimentazione povera di calcio
•
Scarsa esposizione al sole
Malattie predisponenti
•
Ipertireosi
•
Malassorbimento (celiachia, resezioni intestinali, insufficienza pancreatica)
•
Malattie intestinali infiammatorie (M. di Crohn, colite ulcerosa)
•
Malattie reumatiche infiammatorie (artrite reumatoide, collagenosi, Bechterew)
•
Insufficienza renale cronica
22
•
Insufficienza epatica
•
Iperparatiroidismo
•
Anoressia nervosa
Farmaci a rischio
•
Cortisone
•
Antiepilettici
(9) Nutrizione e Osteoporosi
Il tessuto osseo ha due particolarità, che lo rendono molto dipendente dai fattori nutrizionali.
• E’ un tessuto mineralizzato che deve acquistare la sua carica minerale durante la fase di
Accrescimento;
• resta per tutta la vita adulta in stato di rimodella mento permanente, implicando un catabolismo
ed anabolismo quotidiano.
Dalla nascita e per tutto il periodo dell’accrescimento, si ha un progressivo incremento della massa
ossea, fino ad un livello massimo, definitivo “picco di massa ossea” che si raggiunge intorno ai 25°30°anni e che si mantiene relativamente stabile per alcuni anni. Successivamente le ossa dello
scheletro, in tutte le razze, in entrambi i sessi ed indipendentemente dalle condizioni alimentari,
vanno incontro a riduzione della massa. Tuttavia, la velocità della perdita di osso differisce tra
uomini e donne, con un accelerazione in queste ultime dopo la menopausa. Il legame tra apporto
alimentare di calcio e osteopatie metaboliche è ben noto; il fabbisogno ottimale è proporzionale ai
livelli necessari in ciascun individuo per sviluppare e mantenere una sufficiente massa ossea,
essendo il calcio il principale componente dei tessuti mineralizzati. La prevenzione
dell’osteoporosi, in termini di corretti apporti dietetici di calcio, inizia quindi durante l’infanzia
(Livelli di assunzione raccomandato LARN 800-1000mg/d tra l’anno e i 10 anni) e l’adolescenza
(LARN: 1200mg/d tra 11 e i 18 anni), prosegue nell’età adulta, durante la quale un corretto apporto
di calcio è essenziale per mantenere in limiti fisiologici il calo della massa ossea (LARN:1000mg/d
tra i 18 e i 30 anni e 800mg/d tra i 30 e i 59 anni) In età climaterica l’apporto consigliato di calcio e
di 1200-1500mg/d. Oltre i 65anni sono necessari 1500mg/d di calcio, per pareggiare la perdita di
massa ossea età-correlata (circa 55mg/die). La biodisponibiltà di calcio introdotto con
l’alimentazione è relativa a:
• percentuale di assorbimento intestinale, che è elevata durante l’infanzia e l’adolescenza e che si
23
riduce progressivamente con l’avanzare dell’età (nell’età adulta l’uomo assorbe circa il 25-30%
di calcio)
• composizione globale della dieta: la biodisponibilità dipende per il 50% dall’entità delle ingesta
e dall’assorbimento e per il 50% dalla calciuria. Alcuni componenti della dieta (quantità
proteica globale, soprattutto relativa alle proteine di origine animale; contenuto di sodio;
verosimilmente la quantità di caffeina e di etanolo) incrementano la calciuria e quindi agiscono
come fattori negativi sul bilancio calcico.
• composizione intrinseca dell’alimento: la presenza di lattosio e di un corretto rapporto Ca/P,
ottimale nel latte favorisce l’assorbimento; la presenza di fibre, di assolati e di acido fitico
riduce l’assorbimento.
• disponibilità di calcitriolo.
Le indagini sul consumo di calcio nella popolazione Italiana, eseguite con metodologie diverse dal
1980 al 1995, hanno portato dati contrastanti. L’indagine condotta dall’Istituto Nazionale della
Nutrizione nel periodo 1994-1996 su 1200 famiglie Italiane ha evidenziato una generale
adeguatezza della dieta fatta eccezione per i carboidrati complessi, il calcio e la vitamina D.I dati
esteri mettono in evidenza un apporto minore rispetto ai livelli raccomandati ed in uno dei più
recenti rilevamenti epidemiologici, quello di Pasco, che ha valutato l’introduzione alimentare di
calcio in un gruppo di 1045 donne nel range 20-92 anni, l’introito giornaliero di calcio è risultato
pericolosamente al di sotto dei valori medi; il 76% delle donne prima della menopausa e l’87% di
quelle dopo la menopausa assumevano con la dieta razioni di calcio molto minori di quelle
raccomandate. L’apporto alimentare di calcio deriva in elevata percentuale dai prodotti caseari,
dalle verdure ma anche dall’acqua. Le acque minerali ad elevato contenuto di calcio e povere di
sodio sono in grado di coprire circa il 40% del fabbisogno giornaliero e questo può essere
sicuramente utile nel caso si debba limitare l’apporto di grassi saturi presenti nei latticini. E’
verosimile che il calcio contenuto nell’acqua minerale, sia assorbito a livello del tratto
gastrointestinale nello stesso modo del calcio introdotto sotto forma di sali minerali. L’acqua
minerale rappresenta quindi un’ottima fonte alternativa e/o complementare e recenti studi
dimostrerebbero che le acque minerali ricche di calcio, pur inducendo un incremento non
significativo della calciuria, riducono significativamente l’escrezione urinaria di ossalato e non
modificano la sovrasaturazione urinaria per i sali di calcio. L’introito di calcio di per se non
garantisce il suo assorbimento se non associato ad adeguate quantità di vitamina D. La vitamina D
risulta il secondo dei nutrienti essenziali per la salute dell’osso. La carenza di vitamina D favorisce
lo sviluppo dell’osteoporosi attraverso la riduzione dell’assorbimento intestinale del calcio con
conseguente iperparatiroidismo secondario. La prevalenza di ipovitaminosi D in Italia è molto
24
elevata soprattutto nella popolazione anziana e raggiunge percentuali dell’80% in pazienti
istituzionalizzati. La vitamina D può essere sintetizzata a livello cutaneo mediante esposizione al
sole o essere introdotta con l’alimentazione. Le fonti alimentari di vitamina D sono rappresentate da
uova, latte e pesce (salmone, halibut, aringa, tonno, gamberetti). L’esposizione alla luce solare
converte il 7-deidrocolesterolo in vitamina D3 (colecalciferolo). La vitamina D3 fotoindotta nella
cute e le scarse quantità di vitamina D2 (ergocalciferolo) e vitamina D3 provenienti dalla dieta
entrano nel torrente ematico e quindi nel fegato, dove vengono idrossilate. Una successiva
idrossilazione avviene nel rene dando vita al 1.25 (OH) vitamina D3 meglio nota come calcitriolo
che stimola l’assorbimento del calcio. Numerosi studi hanno rivelato che il trattamento combinato
calcio/vitamina D è in grado di ridurre la perdita di osso ed il rischio di fratture vertebrali sia nelle
donne all’inizio della menopausa, sia nelle donne molto anziane; recentemente questi effetti sono
stati confermati nel maschio. Da ultimo va ricordato che un ridotto peso rappresenta un importante
determinante del rischio di frattura sia in età fertile come ad esempio nell’anoressia nervosa o
comunque in presenza di amenorrea, sia nelle donne in postmenopausa, dove un basso BMI si
accompagna ad una maggiore incidenza di fratture al femore. L’acquisizione di abitudini
nutrizionale corrette rappresenta quindi il prerequisito essenziale per la salute del nostro osso.
25
26
(10) Costi sociosanitari
L’osteoporosi è una malattia debilitante simile ad altre importanti patologie croniche, in termine di
invalidità, mortalità e costi sociali. Si calcola che, nel mondo, circa 200 milioni di persone siano
affette da osteoporosi. Nell’Unione Europea, ogni 30 secondi qualcuno ha una frattura causata
dall’osteoporosi.
• 1 su 2: le fratture da osteoporosi che vengono diagnosticate
• 1 su 5: i pazienti con fratture vertebrali o femorali da osteoporosi che muoiono ogni anno in
Europa (circa 150.000 in totale)
Ogni anno si verificano più di 2.3 milioni di fratture da osteoporosi in Europa e USA. Rischio di
frattura in donne di 50 anni di età: è del 50% il rischio di frattura generica, e del 17% il rischio di
frattura del femore. Impatto economico attorno ai 900 milioni di Euro l’anno in Italia. Numero
stimato di letti ospedalieri necessari per pazienti con fratture di femore e della colonna vertebrale:
dagli attuali 2500 letti ad oltre 5500 nel 2050. In Italia nel 1998 vi sono state 38.000 fratture di
femore in donne di età superiore ai 50 anni, delle quali oltre 25000 in donne di età superiore ai 74
anni. In Inghilterra negli anni 1992-1993 ci sono state oltre 4000 giornate di degenza per fratture di
femore contro le 3000 per l’infarto miocardio acuto e le 2500 per BPCO. Dati pressoché
sovrapponibili sono stati rilevati negli Stati Uniti nel 1996. Nei prossimi decenni vi sarà, comunque,
un considerevole aumento delle fratture del collo femorale si stima che da 1.6 milioni di casi si
arriverà ai 6.3 milioni di casi l’anno nel 2050. Da tutto questo consegue che l’osteoporosi è una
patologia di rilevanza sociale e sanitaria elevata nella quale occorre avere:
• necessità di valutare l’impatto socio-economico
• necessità di un monitoraggio continuo dell’incidenza e del profilo di cura delle complicanze
fratturative
I dati di uno studio Italiano “Esopo” ha dato questi risultati:
Incidenza Complicanze Fratturative
Donna (%)
Femore prossimale
Colonna vertebrale
Avambraccio distale
17.5
15.6
16.0
Uomo(%)
6.0
5.0
2.5
• tassi di incidenza delle fratture di femore > 65 anni aumentano in modo esponenziale nelle
donne
• ogni 5 anni raddoppiano
27
• oltre gli 85 anni l’incidenza è di 400/10000
Problema invecchiamento:
è atteso un drammatico aumento delle fratture osteoporotiche
• 80000 fratture di femore
• 100-110000 fratture di polso
La commissione Igieni e Sanità del Senato ha istituito un gruppo di lavoro a cui ha affidato una
indagine conoscitiva sui problemi socio-sanitari legati all’osteoporosi, da questa ricerca sono
risultati i seguenti parametri di spesa ogni anno:
Farmaci
Ricoveri e prestazioni
Costi indiretti (disabilità, giornate lavoro perse)
Costo umano, sociale e psicologico
46 Mil. di Euro
860 Mil. di Euro
1800 Mil. di Euro
senza prezzo
In altri paesi ad evoluzione sanitaria pari all’Italia le cifre sono le seguenti:
• USA: 10 miliardi di dollari l’anno
• Europa: 3.5 miliardi di Euro l’anno, costo delle sole cure ospedaliere
Nei costi globali della frattura di femore e del trattamento rieducativi in particolare occorre
dettagliare: la durata della degenza che mediamente è di 10 giorni nel reparto per acuti è di 24
giorni (dati reg. Emilia Romagna) nel reparto di riabilitazione. Successivamente i costi vanno
parametrati a seconda del percorso che farà: domicilio, struttura protetta, trattamento
ambulatoriale…Per un paziente con decorso post-chirurgico senza complicanze che può
sintetizzarsi in 21 giorni di ricovero per riabilitazione e 3 settimane di trattamento riabilitativo
ambulatoriale il costo del solo trattamento riabilitativo può quantificarsi in una cifra attorno ai 3500
Euro. In pazienti con complicanze di entità medio bassa, complicanze internistiche, ad esempio
post-intervento, quindi con 30 giorni di ricovero tra riabilitazione e reparto post acuzie e 30 sedute
di riabilitazione il costo è di 5000-5500 Euro se le complicanze sono più gravi e/o si rende
necessaria una istituzionalizzazione il costo può lievitare, per i primi 90 giorni a 10000 Euro.
Occorre inoltre valutare alcune complicanze, non previste nei precedenti parametri, ma che spesso
intervengono nel decorso post operatorio e che incidono significativamente sul costo globale
ovvero: • ulcere da decubito
• incontinenza
• attivazione ADI
• accessi MMG
• accesso specialista
• catetere – pannoloni
28
Nell’home care occorre poi valutare il costo dell’assistenza, in funzione della durata della stessa, le
tecnologie impiegate, il mix di competenze professionali e il consumo di farmaci. In ogni caso può
quantificarsi in un minimo di 1700 Euro per l’assistenza di base per 30 giorni ad una cifra attorno ai
3300 Euro per pazienti più critici per un periodo di 90-120 giorni.
Nell’ottica della autonomia la valutazione domiciliare per la verifica delle barriere architettoniche e
per la valutazione ausili, si rende pressoché obbligatoria, ed è essa pure legata a spese per la
prescrizione e fornitura di vari ausili: • letto, circa 200 Euro
• materasso antidecupido, 70 Euro
• carrozzina da 100 a 430 Euro
e/o deambulatore da 90 a 150 Euro
• ausili per il bagno da 70 a 100 Euro
29
(11) Prevenzione
L’osteoporosi è una malattia “silenziosa”: solitamente non ci sono sintomi fino a quando non si
verifica una frattura. Le fratture di femore oltre a richiedere, in un’alta percentuale di casi, cure
mediche ed infermieristiche permanenti, sono spesso, nelle persone anziane causa di morte.
In occasione della giornata mondiale dell’osteoporosi, nell’ottobre del 1994, fu pubblicato un
opuscolo dal titolo “investi nelle tue ossa: qualità della vita; perché è utile prevenire la prima
frattura?”. La maggior parte delle informazioni contenute in questo opuscolo derivano dal gruppo di
lavoro della IOF “International Osteoporosis Foundation”.
Le motivazioni, per fare una prevenzione delle fratture, sono molto convincenti:
• Il rischio di fratture aumenta con l’età;
• in tutto il mondo si prevede che il numero di fratture di femore potrebbe aumentare da 1.7
milioni del 1990 a 6.3 milioni nel 2050;
• sebbene la mortalità diretta da frattura di femore sia del 1-5%, entro un anno dalla frattura, essa
sale al 25% e circa il 30% dei pazienti rinuncia ad una vita indipendente e deve ricorrere ad
un’assistenza in istituto;
• per la pubblica sanità e per le compagnie assicurative le cure ambulatoriali, ospedaliere e
riabilitative delle fratture di femore raggiungo cifre considerate astronomiche.
In occasione del congresso mondiale della IOF tenutosi in Portogallo nel 1992, si pose una forte
attenzione alla prevenzione della prima frattura. In risposta la WOOO (Word Orthopaedic
Osteoporosis Organization) creò le linee guida per i chirurghi ortopedici e i radiologici. La World
International Tv della IOF invitò uomini e donne ad apprendere i fattori a rischio dell’osteoporosi
compilando un test sul rischio della prima frattura, illustrato qui di seguito, la cui distribuzione è
consigliata a tutte le persone che hanno compiuto 40 anni.
30
(12) International Osteoporosis Foundation
Siete a rischio di osteoporosi?
Controllate lo stato di salute delle vostre ossa.
Fate il test Un Minuto sul rischio di osteoporosi.
1) Uno dei vostri genitori ha riportato una frattura del collo del femore in seguito a un banale urto
all’anca o una lieve caduta?
Sì – No
2) Avete mai riportato una frattura inseguito a un banale urto o una lieve caduta?
Sì –No
3) Avete assunto farmaci corticosteroidi (cortisone, prednisone, ecc.) per più di tre mesi? Sì –No
4) La vostra altezza si è ridotta di più di 3 cm? Sì – No
5) Bevete frequentemente considerevoli quantità di alcolici (in misura eccessiva) rispetto al
consumo massimo consigliato)? Sì - No
6) Fumate più di 20 sigarette al giorno? Sì – No
7) Soffrite spesso di diarrea (in seguito a malattie come la celiachia [intolleranza al glutine] o il
morbo di Crohn)? Sì - No
Per le donne:
8) La menopausa è iniziata prima dei 45 anni?
Sì – No
9) Non avete più mestruazioni da almeno 12 mesi (per cause diverse dalla gravidanza)? Sì - No
Per gli uomini:
10. Avete mai sofferto di impotenza, diminuzione della libido o altri sintomi correlati a un basso
livello di testosterone? Sì - No
Se avete risposto «Sì» a una o più di queste domande potreste essere a rischio di osteoporosi.
Vi consigliamo perciò di consultare il vostro medico che valuterà l’eventualità di ulteriori esami;
mostrategli questo questionario. Fortunatamente l’osteoporosi è abbastanza facile da diagnosticare e
può essere curata. Rivolgetevi al centro della Fondazione per l’osteoporosi a voi più vicino per
sapere come ridurre il rischio di osteoporosi attraverso un cambiamento dello stile di vita . Potete
contattare la Fondazione nazionale per l’osteoporosi all’indirizzo: www.osteofound.org oppure
rivolgendovi alla segreteria della Fondazione nazionale per l’osteoporosi. Tel. +33 4 72 91 41 77,
Fax +33 4 72 36 90 52, e-mail: [email protected]
31
(13) La prima frattura è evitabile?
Un grande problema è che il 50% di tutte le fratture da osteoporosi avvengono in pazienti che hanno
una osteopenia e non ancora un’osteoporosi. La rottura di un osso è il risultato di un trauma, e una
persona con le ossa robuste può avere una frattura in seguito ad una caduta o un incidente. Quando
uno scheletro è osteoporotico, tuttavia, la massa ossea è molto ridotta, le ossa sono molto fragili e la
probabilità di frattura per un trauma modesto è molto elevata. Il primo approccio è attraverso la
prevenzione primaria, in cui un robusto scheletro è sviluppato durante la giovinezza. Quando
diveniamo vecchi è fondamentale avere fatto la prevenzione secondaria mantenendo lo scheletro
robusto. Una buona massa ossea si ottiene con una dieta corretta, includendo un sufficiente apporto
di calcio, proteine e vitamina D, e un appropriato stile di vita, includendo l’esercizio fisico. L’abuso
di alcol e il fumo sono da evitare. I fattori di rischio più importanti sono l’osteoporosi in famiglia
(ad es. la madre che ha avuto una frattura di femore), immobilità prolungata o carenza di esercizio,
magrezza, l’uso di farmaci coricosteroidei, una menopausa precoce, etc…Dopo la prima frattura di
femore accade che, i pazienti vengono ricoverati in ospedale e quasi sempre operati; più del 70% di
essi necessità di fisioterapia. La riabilitazione spesso fallisce e molti pazienti muoiono dopo alcuni
mesi dall’operazione a causa di complicazioni.
Chi ha la responsabilità di prevenire la prima frattura?
1) il ruolo dell’individuo. Ogni persona che ha compiuto 40 anni deve rendersi conto
che una frattura è un segno pericoloso di osteoporosi e di ulteriori fratture in
futuro.Deve conoscere quali sono i fattori a rischio di osteoporosi e dovrebbe
compilare il cosidetto One minute Osteoporosis Risk test.
2) Il ruolo del medico di medicina generale. Il medico deve valutare eventuali fratture
precedenti e rendersi conto se sono presenti alcuni fattori di rischio speciali quali
osteoporosi in famiglia e utilizzo prolungato di cortisonici. In questi casi è utile
ordinare un esame per valutare la densità dell’osso e iniziare un’eventuale terapia.
3) Il ruolo del radiologo e del chirurgo ortopedico. Ogni medico deve considerare
che una frattura in una persona di oltre 50 anni di età potrebbe essere una frattura
osteoporotica. La IOF ha pubblicato un curriculum medico per ortopedici e radiologi
riguardo la procedura diagnostica dell’osteoporosi.
4) Il ruolo del personale sanitario. L’educazione, la diagnosi e il trattamento precoce
sono la soluzione per prevenire le fratture da osteoporosi.
5) Il ruolo del gruppo di pazienti. Le società nazionali di pazienti nella IOF
giocanoun ruolo importante nello scambio di informazioni sull’osteoporosi e in un
supporto psicologico.
6) In che modo i pazienti possono migliorare la loro qualità di vita? E’
importanteadottare un corretto stile di vita, con un’attenzione particolare ai fattori di
rischio e all’esercizio fisico. Sono molto importanti le posizioni seduta e eretta
corrette e uno specifico programma di esercizi con l’aiuto di un tecnico esperto. E’
anche importante la fisioterapia rivolta a ridurre il dolore, che spesso è la causa
principale dell’inattività da parte del soggetto anziano
32
(14) Obbiettivo primario
Prevenire la prima frattura ed ridurre il rischio di cadute.
La diagnosi precoce di osteopenia o di osteoporosi è fondamentale, in quanto le fratture sono spesso
una conseguenza di un trauma da caduta. Le cause da caduta sono riconosciute essere
multifattoriali. Esse includono problemi di vista, calzature non idonee, scarso equilibrio e
coordinazione, debolezza, ambienti domestici e salute generale precari, dieta e medicine in eccesso.
Per le persone fragili è importante consigliare l’utilizzo di ausili per camminare, protettori imbottiti
del femore ed esercizi adeguati per migliorare la densità ossea, l’equilibrio e la forza. Un’accurata
valutazione sul rischio di cadute dovrebbe sistematicamente essere fatta e, di conseguenza, essere
eliminati, per quanto possibile, i fattori di rischio. La postura flessa con accentuazione della cifosi
dorsale, che spesso si sviluppa nelle persone anziane, può spostare il baricentro più vicino al loro
limite di stabilità e favorire le cadute. Sono fortemente consigliati a tal proposito, esercizi di
stretching dei tratti cervicali e dorsali, esercizi di rinforzo dei muscoli estensori del tronco e dei
romboidi, educazione posturale in stazione seduta e eretta. Lo sviluppo dell’equilibrio e
l’addestramento alle cadute, in ambiente ambulatoriale e domiciliare, può essere fatto in molti modi,
utilizzando tecniche fisioterapiche diverse. In questo contesto consideriamo un utente
prevalentemente sedentario, che ha perso sicurezza nel corso degli anni, spesso per la presenza di
dolori muscolo-scheletrici: è importante, quindi, seguire una progressione graduale durante la fase
di allenamento. Per ottenere risultati soddisfacenti si deve proporre un lavoro molto vario con
l’utilizzo di elementi di base che, combinati tra loro, offrono una varietà di esercizi sufficienti per
ogni esigenza ( ad es. palle di varie dimensione, piani oscillanti, linee a terra utilizzate per eseguire
esercizi in posizioni diverse, quali quadrupedia, prono, supino, su un piede solo, etc… La corretta
posizione da seduti è utile fin da piccoli. Il principale presupposto di un approccio comportamentale
è che la disabilità presente in soggetti con diagnosi di osteoporosi sia influenzata non solo dalla
malattia somatica, ma anche da fattori psicologici e sociali. L’aumento del rischio di cadute e di
conseguenti fratture può dipendere anche dalle attitudini, dalle convinzioni, dal disagio psicologico
e dal comportamento “da malato” del paziente.
33
(15) La caduta
La paura di cadere negli anni ottanta venne considerata una conseguenza della stessa, risultante del
trauma psicologico della caduta, che portava ad una riduzione dell’attività e alla perdita nelle
capacità fisiche. Ricerche più recenti hanno scoperto una relazione con i cambiamenti fisici,
funzionali e psicologici negli anziani, anche in coloro che non avevano mai subito cadute. Nella
letteratura vengono raccomandati insegnamenti, considerazioni, riguardo la sicurezza ambientale,
discussione dei comportamenti rischiosi, allenamento e forma fisica.L’allenamento e la forma fisica
sono la costruzione per non cadere e la chiave per ridurre la paura di cadere. In aggiunta ad esercizi
specifici e ad attività di equilibrio e coordinazione, è stato suggerito che la capacità nel riprendersi
da una caduta e il trattamento della caduta fossero incorporati nei programmi di forza fisica.
(16) Attività motoria nell’anziano
Attività motoria, esercizio fisico, forma fisica sono tutti termini abitualmente utilizzati per riferirsi
ad una vita attiva; in termini scientifici, tuttavia, queste definizioni hanno un significato
leggermente diverso (N. Zingarelli, 1970):
• Attività motoria: “tutti quei movimenti che portano ad un dispendio energetico a seguito di
una modificazione del nostro organismo (sono comprese le attività quotidiane, domestiche,
ecc…)”;
• Esercizio fisico: “movimenti ripetuti, programmati e strutturati in modo specifico, al fine di
migliorare la forma fisica”;
• Sport: “insieme degli esercizi fisici compiuti individualmente o in gruppo come
manifestazione agonistica o per svago o per sviluppare specifiche capacità del corpo (forza,
agilità, ecc…)”;
• Forma fisica: “stato opportuno delle condizioni di un atleta, sia psichiche che fisiche”.
In generale si può dire che l’attività motoria porta dei benefici all’organismo, sia in soggetti giovani
che anziani, garantendo una riduzione del rischio di alcune malattie e stati patologici. A tal
proposito, l’esperienza acquisita dalla medicina sportiva ha potuto constatare che, nei soggetti
anziani, l’uso costante e sorvegliato di un’attività motoria adeguata è in grado di incrementare le
resistenze globali dell’organismo, e riesca a contenere l’involuzione muscolo-scheletrica e cardio34
vascolare, ottenendo anche una stimolazione dell’attività psico-intellettuale del soggetto.È
opportuno
ritenere
che
l’esercizio
fisico
in
generale
abbia
delle
capacità
positive
sull’invecchiamento e che, probabilmente, intervenga in modo diretto anche nel processo di
senescenza biologica. In effetti l’ipocinesia ha un grosso ruolo nella genesi dell’invecchiamento
precoce, e, d’altra parte, una razionale attività muscolare è in grado di regolare la vitalità di un
organismo che invecchia sia in condizioni normali che patologiche. L’attività muscolare nel
soggetto che invecchia si è dimostrata non solo un mezzo di attivazione generale ma anche di
stimolazione su vari organi e funzioni, acquistando così una valenza preventiva, perché in grado di
ridurre il fisiologico decremento delle capacità dell’organismo, ed anche un carattere terapeutico,
non sostituibile da alcun farmaco. A fini preventivi, appare quindi indispensabile sottolineare che
una certa attività motoria deve essere prevista nello stile di vita di ogni persona, regolata
ovviamente da aspetti individuali e dal tipo di occupazione abituale. A questo proposito va tenuto
presente che il processo d’invecchiamento esercita, a sua volta, una progressiva influenza sulla
tolleranza al lavoro muscolare per cui, col passare degli anni, esistono risposte tipicamente
individuali che è necessario conoscere per un adeguato lavoro fisico. Gli effetti dell’esercizio fisico
in età adulta, si possono generalizzate in benefici a livello del sistema muscolo-scheletrico, neuromotorio, endocrino-metabolico, cardio-circolatrorio, respiratorio, circolatorio e del comportamentopersonalità. (S. Beraldo, 2004)
35
ƒ
ƒ
rallenta l’effetto degenerativo osseo;
ƒ
maggiore elasticità e potenza dei legamenti articolari;
ƒ
decremento del grasso interstiziale;
ƒ
aumentata capacità ossidativi dei mitocondri;
ƒ
aumentato contenuto di glicogeno;
ƒ
aumentato rapporto fibre/capillari;
ƒ
incremento della fosforilazione ossidativa;
ƒ
incremento del trofismo e del tono muscolare con aumento della
forza e della tolleranza allo sforzo.
metabolico.
endocrino-
Sistema muscolo-scheletrico e neuro-motorio.
cui si attenuano dolori causati da posture sbagliare;
personalità
Apparato cardio-circolatorio e respiratorio.
Sistema
Comportamento-
migliore postura e capacità di assumere atteggiamenti corretti, per
ƒ
migliore coordinazione neuro-motoria;
ƒ
regolazione neuro-muscolare potenziata.
ƒ
migliore termoregolazione corporea e metabolismo generale;
ƒ
tendenza alla normalizzazione degli indici ematochimici;
ƒ
aumento della massa magra attiva;
ƒ
corretta regolazione del controllo di encefalico dell’appetito;
ƒ
corretto assetto gluco-lipidico.
ƒ
rafforza il muscolo cardiaco;
ƒ
aumenta la gittata cardiaca;
ƒ
maggiore elasticità dei vasi sanguigni;
ƒ
maggiore capillarizzazione (irrorazione di sangue periferica);
ƒ
facilitazione del ritorno venoso;
ƒ
valori pressori regolati;
ƒ
recuperi post sforzo diminuiti (riduzione veloce di frequenza
cardiaca e respiratoria);
ƒ
aumento della ventilazione polmonare;
ƒ
aumenta l’elasticità polmonare e la dinamica del diaframma;
ƒ
migliori scambi gassosi a livello alveolare;
ƒ
aumento della potenza aerobica.
ƒ
buon controllo emotivo;
ƒ
aumento dell’autostima
ƒ
migliore disponibilità alla socializzazione;
ƒ
meno ansia e depressione;
ƒ
più sicurezza per una migliore capacità di difesa dai pericoli
ambientali;
ƒ
meno paura di cadute e traumi.
Benefici generalizzanti dell’esercizio fisico. (S. Beraldo, 2004)
36
(17) Attività motoria e osteoporosi
Oltre ai suddetti effetti, l’attività motoria interviene anche nella prevenzione dell’osteoporosi:
numerosi studi hanno evidenziato, tra i fattori preventivi, l’importanza dell’attività motoria, in
quanto le sollecitazioni causate dall’esercizio stimolano il metabolismo osseo e quindi favoriscono
un maggior sviluppo della massa scheletrica. Per questo gli atleti presentano valori molto elevati di
densitometria ossea e quindi, negli anni successivi, potranno far fronte alla fisiologica sottrazione
ossea partendo da depositi più consistenti. Quindi, una persona sedentaria, potrà procurasi un
sufficiente “magazzino” di tessuto osseo svolgendo una regolare e monitorata attività motoria, non
necessariamente agonistica. (S. Respizzi, 2004) Anche per le donne in post-menopausa, che
abbiano già problemi di densità minerale ossea, vale questo concetto: l’iscrizione a specifici corsi,
idonei alle proprie capacità fisiche, servirà a limitare la velocità di evoluzione della malattia.
L’apparato scheletrico appare come una unità funzionale capace di autoregolare la propria
mineralizzazione in funzione del calcio e delle forze muscolari a cui è sottoposto; gli stimoli
meccanici da carico, attraverso la fase di pressione esercitata durante l’attività motoria, si
trasformano in correnti piezoelettriche, che stimolano direttamente l’attività osteoblastica. Quindi la
riduzione di carico, della forza e della massa muscolare, portano ad una progressiva perdita di
massa ossea: esiste una forte reciprocità tra immobilizza-zione e riassorbimento osseo. Lo stimolo
ottimale è quello che si riflette lungo l’asse di carico dell’osso (baricentro) in modo da operare
positivamente sulla colonna vertebrale (la zona più soggetta all’osteoporosi). Pertanto stimoli come
la deambulazione, mediante la fase di pressione esercitata dall’osso ed associata alla forza
muscolare, determinano incremento della massa ossea in quelle zone sottoposte alla loro influenza.
Nell’osteoporosi mettere sotto carico lo scheletro appare appropriato, utilizzando esercizi fisici di
impegno crescente e di durata protratta; l’esercizio deve essere, inoltre, personalizzato per ogni
paziente, in relazione alle capacità e possibilità funzionali: utili a tal proposito appare un’analisi del
bilancio articolare e muscolare. (GA. Letizia, et al., 2004) L’esercizio fisico, l’attività motoria, e
l’apprendimento di norme posturali corrette, costituiscono così la base delle strategie di recupero
funzionale e di medicina riabilitativa; occorre però evidenziare che, l’attività motoria da sola non
può intervenire nel contenimento della perdita minerale ossea, e quindi dovrà essere
opportunamente integrata da un’appropriata cura farmacologica. L’attività motoria, in definitiva,
può avere effetto preventivo nei confronti dello stato di decalcificazione che si riscontra a livello
dello scheletro di una buona percentuale di donne in periodo post-menopausale. Tuttavia, quando si
parla di attività fisica molto intensa praticata in età giovanile i problemi sono molto diversi: è stato
riportato che in soggetti di sesso femminile che praticano attività fisica intensa, si possono avere
delle modificazioni ormonali tali da indurre uno stato di ipoestrogenismo che, se protratto, potrebbe
37
portare ad una riduzione della massa ossea. Le ripetute sollecitazioni date dall’esercizio fisico
potrebbero inoltre portare, a loro volta, ad un aumento delle fratture da stress; attualmente questo
problema è stato inserito nel quadro più grande dell’omeostasi calcica e dell’equilibrio tra gli
ormoni responsabili della neoformazione e decostruzione ossea. In effetti, in alcune discipline
sportive, dove per questioni di rapporto peso/potenza gli apporti energetici sono contenuti, gli
apporti di calcio possono risultare molto al di sotto di quelli raccomandati per la popolazione
generale. Se in atleti di sesso femminile, oltre a questa situazione, si viene a sommare uno stato di
ipoestrogenismo prolungato che può presentarsi con amenorrea secondaria o primaria, il rischio di
incorrere in una riduzione di densità ossea è ipotizzabile. Al momento la densità ossea di atlete di
alto livello è ancora in fase di studio, e quindi l’ipotesi di una loro scarsa mineralizzazione e di un
aumentato rischio di fratture da stress, deve essere ancora documentato; in effetti il ruolo protettivo
dell’attività motoria sembra bilanciare l’effetto dovuto agli squilibri ormonali o ai ridotti apporti
alimentari di calcio. (A. Cravatta, et al.,2004) La ricerca scientifica, negli ultimi decenni, si è
sviluppata mirando ad introdurre specifici interventi preventivi, in modo da limitare i danni
connessi alla patologia osteoporotica:
ƒ
una menopausa precoce deve mettere in guardia il ginecologo, il quale dovrà intervenire con
appropriati trattamenti ormonali e sollecitando la pratica di una attività motoria regolare;
ƒ
irregolarità estrogeniche e del ciclo mestruale vanno prese in attenta valutazione dal
ginecologo in quanto possibili cause di diminuzione della massa ossea e di una futura
osteoporosi.
ƒ
un’osteoporosi conclamata dovrà essere così trattata con opportuni farmaci inibitori del
riassorbimento osseo, e con una attività motoria opportuna-mente calibrata al fine di
stimolare una neoformazione ossea.
In definitiva è molto importante cercare di fare movimento: l’attività fisica regolare, oltre a
mantenere la massa dell’osso costante, rinforza la muscolatura e le articolazioni; anche se, per
essere veramente efficace, l’attività fisica dovrà calibrarsi alle proprie forze e caratteristiche.
La diffusa abitudine alla vita sedentaria consiste in un importante fattore di sviluppo
dell’osteoporosi, dimostrato dal fatto che un prolungato periodo di permanenza forzata a letto
comporta una eliminazione urinaria di calcio; la stessa diminuirà non appena viene esaurito lo stato
di inattività. Si può così affermare che la mancata attività fisica, anche quotidiana, porta ad una
diminuzione della massa ossea. Resta, a questo punto, una parentesi aperta su che esercizi sia
meglio far fare a questi soggetti, e che esercizi invece sia più opportuno tralasciare. Dovrebbero
essere preferite attività ginniche tipo la corsa, la ginnastica, la bicicletta, ma anche la semplice
marcia, il golf, le bocce, il tennis e lo sci possono essere assai utili; di minore utilità è considerato il
38
nuoto, in quanto di regola non produce un importante trazione muscolare sulle ossa. Da bandire
sono sicuramente gli esercizi ginnici che consistano in una flessione forzata del busto in avanti sul
bacino, quelle che prevedono il sollevamento pesi, o che siano potenzialmente traumatici come il
calcio, la pallavolo o il rugby. Poiché i pazienti con osteoporosi non sono più giovanissimi, appare
opportuno sconsigliare alcuni esercizi ginnici che implichino un carico sulla superficie anteriore dei
corpi vertebrali, per il pericolo di cedimenti, oppure il sollevamento di pesi superiori ai 10kg. (G.
Isaia, 2001)
(18) Studi a riguardo
L’intervento dell’attività motoria nella prevenzione e terapia dell’osteoporosi è, tutto sommato, un
argomento relativamente nuovo, e proprio per questo motivo al momento non sono disponibili molti
studi a testimonianza della sua efficacia sull’argomento. A riguardo si può ricordare un recente
studio tedesco, denominato EFOPS (Erlanger Fitness Osteoporosis Prevention Study) e condotto
nel maggio 2004 su 80 donne in post-menopausa, che non assumevano farmaci o non avevano
patologie degenerative del metabolismo osseo. Di queste 80 donne, 50 avevano eseguito un
programma di attività motoria proposto, le restanti 30 erano state seguite come gruppo di controllo;
tutte le donne furono comunque sottoposte a visite mediche periodiche ed risposero ad un
questionario sulla loro situazione patologica. L’attività consisteva in esercizi alle macchine
isotoniche, a corpo libero e di stretching, suddivisi in 4 sedute d’allenamento la settimana. Dopo 24
mesi di analisi, furono tratte le prime conclusioni, grazie ad un’analisi di altezza, peso, rapporto
vita/fianchi, forza muscolare e densità minerale ossea, evidenziando seri miglioramenti solo in quei
soggetti che avevano praticato l’attività motoria. La densità ossea rimase stabile nei soggetti che
avevano praticato la terapia, mentre diminuiva del 2,3% in quelle del gruppo di controllo; anche la
forza muscolare traeva giovamento dall’attività fisica, come del resto i dolori ed i sintomi
caratteristici della menopausa. (W. Kemmler, et. al., 2004). Altri studi sono stati condotti
sull’argomento, in Italia è stato condotto uno studio su un campione di 19 donne in menopausa,
sottoposte a trattamento con attività fisica della durata un triennio (1993-1995), notando sia un
miglioramento della performance fisica che dello stato di benessere generale, ma soprattutto una
riduzione delle conseguenze negative dovute alla riduzione post-menopausale della massa ossea.
(N. Bardini, et al., 1998)
I risultati sono stati determinati attraverso opportune valutazioni fisiche, ed analizzati attraverso le
seguenti variabili:
39
ƒ
Abitudini di vita (sedentarietà): passaggio dal 16% di soggetti attivi al primo anno al 100%
nell’ultimo anno.
ƒ
Abitudine al passeggio quotidiano: nel 1993 solo il 16% dei soggetti passeggiava
abitualmente, nel 1995 ben il 90% dei soggetti pratica passeggiate quotidiane.
ƒ
Trofismo muscolare: si è passati dal 5% di soggetti con trofismo muscolare buono ad un
37%, e da un 42% di soggetti con trofismo muscolare scarso a solamente il 16%.
ƒ
Flessibilità: nel 1993 nessuno aveva una flessibilità considerata buona, nel 1995 ben il 42%
la presentava.
ƒ
Capacità di sedere a terra: si aveva nel 1993 quasi la totalità dei soggetti incapaci di sedere a
terra (90%), nel 1995 la percentuale scende addirittura allo 0%.
ƒ
Torsione laterale del busto: si arriva ad avere quasi un’inversione di tendenza, con il 90% di
soggetti scarsi nella torsione laterale al primo anno e l’80% considerati normali all’ultima
indagine.
ƒ
Dolore lombare: tutti presentavano dolore durante la prima indagine, ma durante l’ultima
questi soggetti sono scesi al 32%.
ƒ
Dolore dorsale: buono anche questo dato che vede una percentuale di soggetti con dolore al
primo anno pari al 74%, contro un 16% dell’ultimo anno.
I buoni risultati così ottenuti, integrati anche con le periodiche rilevazioni densitometriche (DEXA),
hanno potuto dimostrare che l’attività fisica consente di attenuare le complicanze derivanti
dall’osteoporosi. A sostegno di quanto detto vi è il fatto che, contrazioni e tensioni muscolari
producono delle stimolazioni a livello osseo, favorendo quindi la neoformazione ossea. Un altro
studio a riguardo è stato possibile grazie alla partecipazione di 53 ambulatori: questo studio, rivolto
a diagnosticare gli affetti della ginnastica nei soggetti con osteoporosi, si è rivolto verso donne con
età compresa tra i 55 e i 75 anni, con osteoporosi conclamata e dolori alla schiena causati da
pregresse fratture.
Dopo 10 settimane di sedute d’allenamento, eseguite 2 volte la settimana, si sono visti risultati
positivi:
ƒ miglioramento della qualità di vita;
ƒ
funzioni vitali invariate;
ƒ
riduzione del dolore e minor ricorso all’uso di analgesici;
ƒ
nessun effetto collaterale in seguito al trattamento.
Occorre infine tenere presente che il dolore, come causa di frattura osteoporotica, ha per
conseguenza gravi effetti disabilitanti, come la perdita di equilibrio e mobilità, ed è presente nel
75% delle donne con questa patologia; a tal proposito si può considerare l’utilizzo dell’attività
motoria come una possibile soluzione a questo problema (B. Malmros, et al., 1998). Da tenere
40
presente che un programma di ginnastica di potenziamento, cioè volto ad aumentare la forza, deve
essere sufficentemente impegnativo, personalizzato e progressivo, e deve comportare una
costruzione muscolare ed un aumento della forza, in uomini e donne di ogni età; per di più
l’esercizio fisico apporta anche altri benefici.
ƒ
Blocca la perdita di massa ossea e la ricostruisce: dallo studio si è potuto vedere come le
donne che facevano ginnastica non solo non persero massa ossea, ma l’aumentarono di un
1%; al contrario quelle che non praticarono alcuna attività, persero un 2% di massa ossea.
ƒ
Migliora l’equilibrio: lo studio evidenzia come le donne che non si esercitavano perdevano
un 8,5% dell’equilibrio (misurato alla fine del periodo di studio); invece, quelle del gruppo
di ginnastica migliorarono la loro capacità di equilibrio del 14%.
ƒ
Aiuta a prevenire le fratture ossee da osteoporosi: incrementando forza ed equilibrio diviene
improbabile la possibilità di una caduta, e di conseguenza diminuisce anche il rischio di
frattura.
ƒ
Da energia: le donne inserite nel programma di esercizi di potenziamento erano diventate
più attive di prima del 27%; al contrario le donne non inserite nel programma erano
diventate meno attive del 25%. È questa una scoperta importante, perché uno stile di vita
attivo offre notevoli benefici per la salute (Surgeon General’s Report del 1996), ed iniziare
un lavoro di potenziamento prima di un lavoro aerobico porta a sentire quest’ultimo meno
pesante.
ƒ
Restituisce la forma e slancia: anche se esce dallo scopo terapeutico dello studio appare un
buon risultato anche la perdita di peso e massa grassa.
ƒ
Migliora la flessibilità: più libertà di movimento ed escursioni articolari nelle donne
campione.
(L. Vecchiet, et al., 1985)
41
(19) Programmazione degli esercizi
Una attenta programmazione del lavoro consente di perseguire gli obiettivi con sicurezza e
precisione; occorrerà, a tal riguardo, ricordare:
ƒ
una valutazione delle caratteristiche del gruppo;
ƒ
la presenza di idonee attrezzature;
ƒ
la scelta di obiettivi pertinenti;
ƒ
verifica costante del lavoro in corso;
ƒ
eventuale rielaborazione del percorso qualora si manifestino incongruenze col fineprefissato.
La finalità del lavoro deve quindi cercare di rinforzare la struttura ossea, ma deve anche essere tesa
a ridurre la percentuale di handicap che la patologia può creare. All’anziano deve essere garantita
una vita dignitosa e completa, ma purtroppo in questi soggetti si vanno ad instaurare delle
condizioni involutive che, se sommate anche alla paura di cadere, non fanno altro che ridurre
l’attività fisica, instaurando un circolo vizioso. Quindi, oltre alla massa ossea, va salvaguardata
anche la qualità della vita del soggetto che deve poter vivere la vecchiaia in autonomia e serenità.
(D. Sarto, 2002)
Anche se la ginnastica di potenziamento comporta pochi rischi derivanti da una sua esecuzione, al
contrario di molti altri sport (quali jogging, aerobica, etc…), appare opportuno salvaguardare la
salute dei soggetti assicurando che possiedano un opportuno certificato di abilitazione alla pratica
sportiva non agonistica, oltre alle opportune regole dettate dal buon senso. Un buon metodo può
essere quello di sottoporre ai soggetti in questione un semplice test chiamato PAR-Q (Physical
Activity Readiness Questionnaire) creato dalla Canadian Society for Exercise Physiology per
verificare rapidamente se una persona poteva iniziare un programma di esercizi fisici liberamente o
con una preventiva consultazione col medico curante (Tabella 2).
42
Physical Activity Readiness Questionarie - PAR-Q (1994)
PAR-Q
(un questionario per le persona dai 15 ai 69 anni)
Se avete intenzione di fare attività fisica, iniziate col rispondere alle 7 domande qui di seguito. Se avete un’età compresa
tra i 15 e i 69 anni, il PAR-Q vi dirà se dovete consultare un medico prima di iniziare. Se avete più di 69 anni e non fate
già una regolare attività fisica, interpellate il vostro medico.
1. il vostro dottore via ha mai detto che avete una malattia di cuore e che potete
fare solo attività fisica consigliata da un medico?
SI
NO
SI
2. quando fate attività fisica sentite dolore al petto?
NO
SI
3. nel mese scorso avete mai sentito dolore al petto?
NO
4. perdete l’equilibrio per vertigini o perdete mai conoscenza?
5. avete problemi alle ossa o articolazioni che una normale attività fisica
potrebbe peggiorare?
SI
NO
SI
NO
6. al momento il vostro medico vi sta prescrivendo farmaci per la pressione
sanguigna o il cuore?
SI
NO
7. conoscete altri motivi per cui non potete fare attività fisica?
SI
NO
Se avete risposto SI a una o più domande.
Portate il PAR-Q al vostro medico e chiedete lui come comportavi nella pratica di attività fisica.
Se avete risposto NO a tutte le domande.
Siete sicure di poter iniziare un ciclo di attività fisica, cominciando adagio e con gradualità. Può essere una buona
regola sottoporsi a dei test per la valutazione della forza.
ATTENZIONE: se la vostra condizione di salute dovesse cambiare, per cui dovete rispondere SI ad una qualsiasi
delle precedenti domande, ditelo a chi segue la vostra forma fisica e modificate il piano di lavoro di conseguenza.
Per gentile concessione della
Canadian Society for Exercise Physiology © 1994, SCEP
Physical Activity Readiness Questionnaire, PAR-Q (1994).
43
Si possono così raggruppare le precauzioni da seguire durante la pratica di attività motoria in
semplici regole:
ƒ
assicurarsi un adeguato spazio per la pratica dell’attività: senza ostacoli od oggetti pericolosi
(spigoli, vetrate, ecc…) e sufficientemente ampio per compiere i movimenti corretti;
ƒ
mettere i pesi in un contenitore: evitare quindi di lasciare i pesi liberi nella stanza, in quanto
gli stessi potrebbero essere una grossa fonte di pericolo;
ƒ
non camminare con le cavigliere allacciate: l’insolito peso potrebbe far perdere l’equilibrio,
diventando difficoltoso ribilanciare il corpo per evitare la caduta;
ƒ
bere a sufficienza: idratarsi correttamente è di buona regola, soprattutto se si manifesta una
grossa sudorazione o con molto caldo;
ƒ
allenarsi tra i pasti: evitare quindi di allenarsi a digiuno da troppo tempo o subito dopo i
pasti;
ƒ
iniziare con un riscaldamento: per attivare la muscolatura e prepararla all’attività;
ƒ
mantenere una buona postura: controllare che la postura sia sempre quella corretta, in modo
da evitare che uno specifico lavoro muscolare risulti inefficace e potenzialmente nocivo;
ƒ
rilassamento: rilassare la muscolatura non coinvolta nel movimento;
ƒ
eseguire i movimenti lentamente: per aumentare la sicurezza e l’efficacia dell’esercizio
stesso (movimenti lenti richiedono più unità motorie e coinvolgono più fibre muscolari nel
sollevamento), assicurando una durata di esecuzione di 9 secondi (4sec. per sollevare, 1sec.
di pausa e 4sec. per scendere), buona regola risulta contare ad alta voce;
ƒ
continuare a respirare: una respirazione continua e ritmata durante l’esercizio consente una
corretta ossigenazione al muscolo impiegato nell’esercizio; occorrerà espirare nella fase
concentrica ed inspirare in quella eccentrica;
ƒ
progredire con cautela: aumentare il carico solo quando si riesce a sollevare un peso per 8
volte di seguito, senza fatica e senza bisogno di riposo (qualora si dovesse sospendere il
programma per troppo tempo riprendere ad allenarsi con carichi dimezzati).
Le indicazioni didattiche della seduta di allenamento, o delle indicazioni generale per lo
svolgimento di un esercizio, dovranno essere:
ƒ
Precise: si deve chiarire l’obiettivo ed il tipo di percorso, deve essere analizzata l’esecuzione
dell’esercizio.
ƒ
Graduali e progressivamente incrementate: si procede con carichi di lavoro ridotti, per poi
proseguire lentamente, a seconda delle capacità individuali.
44
ƒ
Variate: lo stimolo dell’osso su diverse linee di forza consente un miglioramento maggiore;
appare utile anche per sconfiggere la noia.
ƒ
Individualizzate: anche se il lavoro viene svolto in gruppi di più persone
l’individualizzazione è d’obbligo.
ƒ
Costanza e regolarità: solo in questo modo si avranno seri e duraturi risultati.
Tra le motivazioni didattiche occorre tener in considerazione la necessità, nella prima fase del
lavoro (prime sedute di allenamento e fase di attivazione-riscaldamento), di utilizzare il maggior
numero di canali sensoriali possibili per permettere una più precisa interiorizzazione e
comprensione del movimento; invece durante l’affinamento percettivo (esercizio specifico di
potenziamento) occorre escludere alcuni canali per concentrare l’attenzione sul solo canale
d’interesse. (D. Sarto, 2002)
Sulla base dei presupposti sopraelencati, si può così iniziare l’allenamento con pesi relativamente
leggeri, da 0,5 Kg a 1 Kg per ogni braccio e da 1,5 Kg a 2,5 Kg per ciascuna gamba, a seconda del
grado di forza posseduto dal soggetto; partendo dal peso più basso per ogni esercizio, lo si
aumenterà progressivamente, arrivando, nel giro di poche settimane, a sollevare il peso massimo per
8 volte senza fatica eccessiva: arrivando così allo sforzo massimo ed alla giusta intensità. Il segnale
avvistatore che risulta opportuno aumentare il carico per un dato esercizio, scatta qualora le otto
ripetizioni vengano eseguite senza fatica, portando l’esercizio ad essere poco impegnativo. In
generale l’allenamento richiede 2-3 sedute di 40 minuti la settimana, ed ogni seduta comprende le
seguenti fasi: riscaldamento (5 minuti), ginnastica di potenziamento (30 minuti), defaticamento (5
minuti). (ME. Nelson, et al., 1999)
ƒ
Riscaldamento.
Serve per accentuare gli effetti della seduta di allenamento successiva, in generale vanno bene tutti
quegli esercizi a bassa intensità che fungano da attivazione muscolare.
a) Eseguire lentamente l’esercizio successivo senza pesi e con escursione articolare
completa.
b) Alzarsi e sedersi lentamente dalla sedia (aiutandosi anche con le mani se
necessario) per 10 volte.
c) Camminare sul posto per 5 minuti o fare le scale.
d) Fare attività aerobica prima dei pesi.
ƒ
Ginnastica di potenziamento.
È la parte centrale del programma di allenamento, quello in cui si hanno i massimi effetti allenanti,
ma per mantenere tali benefici risulta importante, giunti in questa fase, mantenere un ordine degli
45
esercizi. Se all’incirca gli esercizi all’interno di una seduta di allenamento sono 8, li si potrà
suddividere come di seguito: i primi 3 esercizi riguardano i grandi muscoli della parte inferiore del
corpo con l’ausilio delle cavigliere; i successivi 3 esercizi richiedono l’uso dei manubri per mettere
in moto i muscoli della parte superiore del corpo; infine gli ultimi due esercizi sono indirizzati a
migliorare la postura e l’equilibrio (sollevamento sulle punte dei piedi, su una gamba sola,
ecc…).Nella ginnastica di potenziamento ogni movimento completo viene chiamato sollevamento o
ripetizione, un gruppo di sollevamenti viene chiamato serie: nella ginnastica per soggetti
osteoporotici si prevedono sedute di allenamento di 2 serie per 8 ripetizioni. Ogni sollevamento
prevede 9 secondi per l’esecuzione (4 per sollevare, 1 di riposo, 4 per abbassare) e 2-3 minuti di
recupero tra una serie ed un’altra.
Altra avvertenza durante questa fase dell’allenamento è il rilassarsi:
a) volto non corrugato e rilassato;
b) evitare di digrignare i denti o irrigidire la mascella;
c) non sollevare le spalle contraendo il trapezio, mantenerle invece extraruotate e
rilassate;
d) rilassare tutti i muscoli non coinvolti nel movimento.
ƒ Defaticamento.
Comprende gli esercizi di stretching ed esercizi aerobici a bassissima intensità, al fine di rilassare la
muscolatura contratta dalla seduta di allenamento con i pesi e ritornare ad uno stato di relativa
normalità del tono muscolare. Va bene, in assenza di attività aerobica, ripetere gli esercizi fatti in
precedenza senza peso per due o tre volte, bloccandosi per un 5 secondi nella fase di massima
estensione.
Si può ritenere che gli obiettivi da perseguire, per ogni seduta di allenamento, siano sostanzialmente
4: stimolazione gravitazionale, stimolazione muscolare, miglioramento posturale, miglioramento
fisico generale. (D. Sarto, 2002)
Nello specifico si può considerare quanto segue:
ƒ
Stimolazione gravitazionale.
Si tratta di una stimolazione meccanica data dalla forza di gravità, sul tessuto osseo, al fine di
produrre depositazione di calcio e tessuto da parte degli osteoblasti.
ƒ
Stimolazione muscolare.
Si differenzia dalla precedente per l’effetto di tipo meccanico che il tessuto muscolare provoca sulle
inserzioni tendinee, che indirettamente sollecitano la struttura ossea trabecolare, rinforzandola.
Si distingue, a tal proposito lo stretching dal potenziamento muscolare: il primo, allungando il
muscolo, stimola i punti di inserzione muscolari e stimola indirettamente la costruzione ossea
(ottimo lo stretching balistico); il secondo produce un processo di ipertrofia migliorando la forza
46
assoluta del muscolo e quindi la capillarizzazione ed il conseguente trasporto di nutrienti, compreso
il calcio (si compone di contrazioni isometriche, isotoniche ed isocinetiche).
ƒ
Miglioramento posturale.
Si basa su un tipo di approccio rieducativo che si appoggia su di un’elevata attenzione da parte del
soggetto per tutta la durata dell’allenamento: la presa di coscienza delle proprie anomalie e delle
posture scorrette necessita di una notevole concentrazione. Si parte da un’indagine obiettiva col fine
di evidenziare l’eventuale presenza di dimorfismi e paramorfismi nella persona, intervenendo poi di
conseguenza. Migliorare la postura e le sequenze del movimento, ottimizzare la distribuzione dei
carichi, evitare ritrazioni muscolo-tendinee, porta ad un incremento della mobilità articolare e
diminuzione del dolore articolare. Nel miglioramento posturale si inserisce anche l’educazione
respiratoria, in grado di migliorare l’elasticità della gabbia toracica, del parenchima polmonare, dei
muscoli respiratori e dei visceri addominali; essendo questi aspetti strettamente collegati alla
colonna vertebrale, si pongono positivamente nella ginnastica per l’osteoporosi: durante la fase
inspiratoria si ha una estensione della colonna e orizzontalizzazione delle coste; vice versa nella
espirazione si ha una flessione dorso-vertebrale e verticalizzazione costale; nel complesso si esercita
un’indiretta azione sulla colonna vertebrale che si mobilizzerà.
ƒ
Miglioramento fisico generale
Acquisire autosufficienza motoria implica una riduzione del rischio di fratture, nonché delle
patologie cordio-circolatorie più comunemente associate alla vita sedentaria (ipertensione,
cardiopatie, ecc…). Si riesce ad ottenere questo effetto grazie a 3 aspetti fondamentali: il lavoro
cardio-vascolare, il lavoro di mobilità, il lavoro di coordinazione.
(21) Come individualizzare un programma d’allenamento
Solo un programma veramente individualizzato aumenterà la forza ed il tono muscolare in
sicurezza, perché la chiave del successo sta proprio nel saper usare pesi adatti nel momento adatto:
con carichi eccessivamente alti l’allenamento risulterà troppo duro e potenzialmente pericoloso, al
contrario con carichi troppo bassi non si porterà alcuna modificazione di carattere neuro-muscolare.
Il massimo peso che si può sollevare per una sola volta è denominato maximal repetition (MR): nel
nostro caso si lavora al 70-80% di MR (lavoro prettamente di forza massima-ipertrofia) quando il
soggetto è già allenato; qualora si sia appena iniziato il programma di lavoro i carichi si aggirano
introno al 50-60% di MR, dando tempo all’organismo di adattarsi ed al soggetto di apprendere al
meglio l’esecuzione degli allenamenti.Per valutare la forza attuale di un dato soggetto che si basa
47
sulla risposta a delle facili domande sulle attività di tutti i giorni; qualora il soggetto sia incerto sul
come rispondere si preferisce sottostimare le sue capacità piuttosto che sovrastimarle.
A
B
C
Camminare e correre.
Può correre per 1,5 km senza fermarsi (A)
Può percorrere 1,5 Km solo camminando, senza soste (B)
Non riesce nemmeno a camminare per 1,5 Km senza riposo (C)
Salire le scale.
Può fare 5 rampe di scale (100gradini ca.) senza sosta (A)
Può salire senza sosta da 2 a 4 rampe di scale (40-80 gradini ca.) (B)
Non riesce nemmeno a fare senza fermarsi 2 rampe di scale (20
gradino ca.) (C)
Trasportare pesi di 7 Kg*
Può portare un peso per ogni braccio (A)
Può portare solo un sacchetto con entrambe le braccia (B)
Non riesce a trasportarne neppure uno (C)
*sacchetti della spesa non presi per le maniglie, ma tenuti in braccio, portati dal parcheggio a casa.
Numero di crocette per colonna.
Test per la valutazione del livello di partenza (ME. Nelson, et al., 2001).
Qualora sia stata messa anche una sola crocetta sulla colonna C si parte dal livello base; con una
combinazione di crocette tra la colonna A e B si parte dal livello intermedio; con sole crocette sulla
colonna A partire dal livello superiore (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.).
Livello di partenza
Kg per braccio
Kg per gamba
0,5
1,5
Intermedio
1
2
Superiore
1,5
2,5
Iniziale
Carichi in base al livello di partenza (ME. Nelson, et al., 2001).
48
Una volta determinato il carico da applicare in ogni esercizio si procede con la valutazione dello
sforzo sostenuto in un dato esercizio. Al fine di determinare l’entità dello sforzo fisico, prodotto da
un dato esercizio, è possibile procedere sia attraverso il consumo di ossigeno e la frequenza
cardiaca, ma anche attraverso la sensazione soggettiva dell’individuo. Si utilizza a tal proposito una
scala numerica, a cui corrisponde un certo livello di sensazione soggettiva di fatica e di sforzo: si va
da un valore minimo, assimilabile come lavoro estremamente leggero, ad uno massimo,
corrispondente ad un lavoro estremamente pesante. Questa scala, definita scala RPE (Rating of
Perceived Exertion) o Scala di Borg, ideata e introdotta dallo stesso Borg nei primi anni 60 ed usata
per valutare la sensazione soggettiva dell’entità di sforzo, in relazione all’intensità dello sforzo
stesso, costituendo così un importante monitoraggio della frequenza cardiaca negli individui
sottoposti a training.
Livello
Tipo di sforzo
d’intensità
6
Nessuna sensazione di esaurimento
7
8
9
Molto lieve
10
11
Lieve
12
13
Alquanto lieve
14
15
Forte (pesante)
16
17
Molto pesante
18
19
Estremamente pesante
20
Massimo esaurimento
Scala RPE o Scala di Borg. (Borg, 1982)
49
La RPE e la frequenza cardiaca sono in relazione lineare tra loro ed entrambe sono in rapporto
diretto con l’intensità del lavoro; inoltre, la RPE è in stretta correlazione con numerosi parametri
fisiologici quali la ventilazione polmonare e la produzione di lattato.
Inoltre, se si aggiunge uno zero a ciascun numero della scala RPE si ottiene, in modo
approssimativo, la frequenza cardiaca per un determinato livello di lavoro fisico: con un punteggio
di 6 o 7 si riflette una frequenza a riposo di 60 o 70 battiti per minuto, con un punteggio di 19 o 20,
una frequenza di 190-200; poiché la frequenza massima diminuisce con l’età, i valori di FC e RPE,
si accordano tra loro prevalentemente nei soggetti giovani e non in quelli più anziani. La Scala di
Borg mostra inoltre un sistema di classificazione dell’intensità dell’esercizio fisico che mette in
relazione due metodi di calcolo della FCA (frequenza cardiaca allenante): quello basato sulla
FCmax e quello che si riferisce alla riserva di FC con la RPE.
Fcmax
FCmax riserva
RPE
Classificaz. Intensità
< 35%
< 30%
< 10
Lieve
35% - 59%
30% - 49%
10 – 11
Leggero
60% - 79%
50% - 74%
12 – 13
Moderato
80% - 89%
75% - 84%
14 – 16
Pesante
> 90%
> 85%
> 16
Molto pesante
Sistema di classificazione dell’intensità dell’esercizio fisico. (Borg, 1982)
Dato che la RPE aumenta parallelamente al carico di lavoro e di affaticamento e diminuisce
proporzionalmente alla frequenza cardiaca, ogni qual volta l’individuo subisce un miglioramento, la
conoscenza della RPE del singolo soggetto, permette di comprendere quanto questo sia migliorato e
quando è il momento di incrementare ulteriormente l’intensità dell’allenamento. (Borg, 1982) I
soggetti possono imparare abbastanza rapidamente a regolare l’impegno fisico in base alla
sensazione soggettiva di fatica, determinando la giusta intensità dell’ esercizio solo con l’uso della
Scala di Borg e questo può essere molto utile in assenza di altri controlli o quando, per altri motivi
(es. farmaci), può essere alterato il responso della frequenza cardiaca.
Molti ricercatori usano la suddetta scala a venti punti, d’altro canto utilizzare 20 classi di intensità
risulta alquanto difficoltoso, soprattutto con persone anziane, per cui si può ricorrere anche ad una
semplificazione, ma non ad una diminuzione della sua valenza, della Scala di Borg a 5 punti, dove
50
la giusta intensità per un allenamento muscolare corrisponde al livello 4 (Errore. L'origine
riferimento non è stata trovata.).
Livello
Tipo di
d’intensità
sforzo
Descrizione
1
Molto facile
Troppo facile per essere avvertito.
2
Facile
Si avverte ma non stanca.
3
Moderato
Stancante solo se prolungato nel tempo.
4
Duro
Più che moderato all’inizio, arduo dopo avere portato
a termine 6-7 ripetizioni; sforzo eseguibile per 8
ripetizioni ma con bisogno di riposarsi.
5
Richiede tutta la vostra forza.
Molto duro
Scala di Borg a 5 livelli.
Con molta probabilità lo sforzo iniziale si aggirerà intorno al 2-3 livello, ma questo non deve essere
considerato come un problema, anzi consente al soggetto di prendere dimestichezza con gli esercizi
e le nuove posture del corpo: i soggetti con osteoporosi, normalmente, hanno un’età avanzata con
una conseguente diminuzione della coordinazione e dell’equilibrio, un 2-3 lezioni introduttive con
carichi minori consentono una maggior dimestichezza futura e sono la base per ottimi allenamenti.
La successione nel tempo prevede:
ƒ
1° settimana. Rimanere a livello basso per apprendere gli esercizi, anche se risulta essere
troppo poco intenso. Se dopo la prima seduta appaiono dolori muscolari abbassare il carico
di ½ Kg.
ƒ
2° settimana. Si aggiunge ½ Kg ai pesi iniziali di braccia e gambe, al fine di portare lo
sforzo verso il livello 4 della scala di Borg; non è detto che ci sia un aumento proporzionale
in tutti i muscoli, si potrà quindi assistere ad un aumento solo di alcuni distretti.
ƒ
3° settimana. Al termine di questa settimana si dovrebbe aver raggiunto il livello 4 della
scala di Borg in tutti gli esercizi.
Utile, al fine di migliorare continuamente, può essere porsi dei traguardi: in effetti durante i primi 3
mesi di allenamento si vedranno i più evidenti e veloci risultati, poi la forza ed il livello raggiunto
tenderà a stabilizzarsi.
51
Una considerazione deve essere fatta sul “dolore” che si può avvertire durante o dopo l’esecuzione
di un esercizio: innanzi tutto occorre distinguere un “dolore buono” da un “dolore cattivo”
DOLORE BUONO
DOLORE CATTIVO
Sensazione
Dolore sordo
Dolore acuto
Posizione
Nel muscolo
Nell’articolazione
Scompare nel giro di
Dopo l’esercizio
Seduta successiva
Che significa
pochi minuti
Continua a fare male
Lo stesso sforzo è meno
Nessun miglioramento
doloroso
e/o peggioramento
Normale affaticamento
Problema articolare e/o
muscolare
muscolare
Differenze tra dolore “buono” e “cattivo” (ME. Nelson, et al., 2001).
Il “dolore buono” non è un reale dolore, ma affaticamento muscolare derivante dall’accumulo dei
metabolici di scarto in seguito al lavoro muscolare (Lattato e ioni di Idrogeno); gli stesi metabolici,
assieme al dolore dovrebbero scomparire in pochi minuti dopo la cessazione dello sforzo. Il “dolore
cattivo” evidenzia una sensazione dolorosa acuta a carico articolare, che indica un sovraccarico ed
una potenziale lesione. In caso si manifesti questo genere di dolore occorrerà:
ƒ
interrompere subito l’esercizio;
ƒ
ripetere, nella seduta successiva, l’esercizio con cautela e pesi inferiori;
ƒ
non assumere analgesici in quanto nascondono il dolore e quindi possibili problemi;
ƒ
qualora il dolore persistesse per troppo tempo ricorrere a cure mediche.
(ME. Nelson, et al., 1999
52
(22) Prospettiva aumento età media
53
54
55
(23) Conclusioni
Il costo della riabilitazione delle fratture da osteoporosi è ingente e variabile a seconda del
percorso e delle complicanze da cui il paziente può essere affatto. Una buona prassi sarebbe
quella di effettuare prevenzione sulle fratture sia migliorando le performance motorie degli
anziani, sia valutando attentamente le loro abitazioni per rimuovere barriere architettoniche
o variare abitudini a rischio, sia di migliorare attraverso l’apporto farmacologico la qualità
dell’osso e ridurre così il rischio di fratture. Considerando quanto costa una frattura di collo
femorale o una qualsiasi altra frattura da osteoporosi, ed in prospettiva dell’aumento dell’età
media e dei rischi di avere sempre più anziani fratturati, l’obbiettivo della prevenzione delle
cadute e delle fratture si rende, a mio avviso, doveroso nell’immediato futuro della
programmazione della politica sanitaria e sociale degli stati sanitariamente più evoluti.
(24) Bibliografia
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