FLAVIA CANTATORE Estratto dal volume: LEON BATTISTA ALBERTI ARCHITETTURE E COMMITTENTI IN MARGINE ALLA VITA DI GIANNOZZO MANETTI: SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V a cura di Arturo Calzona Joseph Connors Francesco Paolo Fiore Cesare Vasoli II FIRENZE L E O S. O L S C H K I E D I T O R E MMIX FLAVIA CANTATORE IN MARGINE ALLA VITA DI GIANNOZZO MANETTI: SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V «Usava dire che dua cose farebbe s’egli mai potessi ispendere, ch’era in libri et in murare; et l’una et l’altra fece nel suo pontificato».1 Cosı̀ Vespasiano da Bisticci indica due interessi prevalenti nella vita di Tommaso Parentucelli che caratterizzano poi anche la sua attività di pontefice. Due interessi che, apparentemente distanti tra loro, appaiono in stretta sequenza, riprendendo quella proposta più ampiamente alcuni anni prima da Giannozzo Manetti.2 Questi descrive l’investimento delle rendite papali nelle traduzioni dal greco di autori classici, nelle ricerche tese al reperimento di codici per la biblioteca, nella composizione di nuovi testi e nelle opere architettoniche, e mentre evidenzia da un lato il contributo fondamentale di Niccolò V alla storia della cultura umanistica, dall’altro il primato assegnato all’architettura rispetto alle altre arti, dichiara la sua committenza al servizio delle esigenze spirituali e temporali della Chiesa (Tavv. I, II). Attraverso una sapiente e complessa costruzione letteraria Manetti tratteggia la figura idealizzata di un pontefice che, predestinato all’alto ufficio di successore di Pietro e vicario di Cristo, rifonda culturalmente Roma come centro della cristianità e capitale di una nuova signoria assoluta: Niccolò V ci appare come un principe-papa che utilizza il suo mecenatismo per esercitare il controllo politico sulla città e sullo Stato e per accrescere l’autorità della Chiesa. 1 V ESPASIANO DA BISTICCI , Le vite, edizione critica con introduzione e commento di A. Greco, 2 voll., Firenze, Istituto Italiano di Studi sul Rinascimento, 1970, I, p. 45. 2 Si veda, ad esempio, IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis, edizione critica e traduzione a cura di A. Modigliani, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2005 («Fonti per la Storia dell’Italia Medievale - Rerum Italicarum Scriptores», 6), libro I, §§ 16 e 17; libro II, §§ 16 e 27. — 561 — FLAVIA CANTATORE La biografia manettiana è dunque una fonte autorevole non solo per gli avvenimenti in essa narrati ma anche per la comprensione del rapporto tra la parola scritta e l’immagine architettonica nella definizione sia dell’ideologia pontificia sia del ritratto di Tommaso Parentucelli da consegnare ai contemporanei e ai posteri. Una fonte ancora preziosa, da esplorare con spirito critico proprio perché costruita per rispondere a criteri di esemplarità e perché in essa è difficile distinguere la testimonianza originale del pontefice dall’elaborazione del biografo, il quale alterna opportunamente amplificazioni ed omissioni e, inoltre, scrive in momenti diversi comprimendo poi le varie sezioni in un testo finale caratterizzato da una artificiosa uniformità temporale.3 Il rapporto tra architettura e descrizione letteraria ha un precedente importante nella produzione di Giannozzo Manetti: nel 1436 aveva composto la Oratio de secularibus et pontificalibus pompis per la consacrazione di Santa Maria del Fiore, resa solenne dalla partecipazione di papa Eugenio IV 4 (Tav. III). Per la sua eccezionalità l’evento ebbe vasta eco ed è celebrato anche in altre testimonianze contemporanee tra le quali quella di Leon Battista Alberti, che ricorda la cupola «struttura sı̀ grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e’ popoli toscani, fatta sanza alcuno aiuto di travamenti o di copia di legname» 5 nella sua dedica entusiastica a Filippo Brunelleschi della versione volgare del De pictura. La vista del duomo fiorentino finalmente concluso e l’effetto che la sua straordinaria architettura produceva sui fedeli riuniti deve aver impressionato fortemente Manetti: la sua testimonianza si distingue da quelle coeve per l’impegno nella descrizione, vivida ed evocativa. Nell’orazione l’umanista fiorentino illustra il significato della pianta del duomo, proponendo il paragone tra struttura architettonica e corpo umano che poi riprenderà quasi alla lettera nella Vita Nicolai quinti. Manetti si concentra Sull’argomento si veda il contributo di Anna Modigliani in questo stesso volume. C. VAN ECK, Giannozzo Manetti on Architecture: the Oratio de secularibus et pontificalibus pompis in consecratione basilicae Florentinae of 1436, in «Renaissance Studies», XII (1998), pp. 449-475. Sull’argomento si veda anche C. SMITH – J. O’CONNOR, Building the Kingdom. Giannozzo Manetti on the Material and Spiritual Edifice, Tempe, Arizona, Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies in collaboration with Brepols, 2006, pp. 3149 (con traduzione inglese del testo dell’orazione alle pp. 305-327), edito durante la fase di correzione delle bozze di questi Atti. 5 L.B. ALBERTI , De pictura, in ID ., Opere volgari, III, Trattati d’arte, Ludi rerum mathematicarum, Grammatica della Lingua Toscana, Opuscoli amatori, Lettere, a cura di C. Grayson, Bari, Laterza, 1973, p. 8. 3 4 — 562 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V poi sullo spazio che ha potuto ammirare e si preoccupa soprattutto di renderne l’immensità e la magnificenza. A tale scopo riferisce alcune misure, esaltando soprattutto l’altezza («admirabilem eius altitudinem quae cetera orbis terrarum edificia exsuperat»), mentre limita all’essenziale la descrizione dell’architettura, ad esempio ricordando semplicemente le principali suddivisioni delle navate e offrendo alcune sintetiche notazioni sulla conformazione degli spazi (circulare, quadrato, rotundae). La suggestione suscitata dal grande numero di persone presenti (che sottolinea ulteriormente le dimensioni della chiesa), dalla luce e dagli arredi esposti per l’occasione produce l’elogio estremo dell’edificio («tam magnificum, tam admirabile, tam denique incredibile templum»), da inserirsi tra le sette meraviglie del mondo. L’orazione illustra un oggetto esistente e visibile. Attraverso la prosa si poteva raggiungere un pubblico ben più vasto, composto non solo dai contemporanei ma anche dai loro successori: si poteva dunque rendere eterno il ricordo del monumento, altrimenti destinato inesorabilmente a perire. Nello stesso tempo il testo scritto avrebbe aggiunto alla percezione dell’oggetto architettonico la spiegazione del suo contenuto ideologico. Tale peculiarità rende accessibile l’immagine letteraria unicamente ai dotti e lascia alla folla la fruizione suggestiva, emotiva e fortemente didattica dell’immagine concreta, materiale, del manufatto architettonico. L’esperienza diretta dell’interesse generale suscitato dalla grandiosità di Santa Maria del Fiore e la descrizione resa da Manetti devono aver costituito per Tommaso Parentucelli validi modelli cui riferirsi per testimoniare, legittimare e perpetuare l’auctoritas della Chiesa, attraverso gli edifici e le lettere. Nella Vita Nicolai quinti l’attività edilizia del papa, alla quale «era portato per natura»,6 è delineata da Manetti a partire dalle iniziative intraprese nello Stato pontificio. Fabriano, Gualdo, Assisi, Civitavecchia, Civita Castellana, Narni, Orvieto, Spoleto, Viterbo: opere di rinnovamento e di restauro in questi luoghi sono ricordate con l’uso di verbi al perfetto che ne lasciano intuire la realizzazione durante il pontificato niccolino. Il biografo sceglie tuttavia di non soffermarsi a lungo su tali esempi per passare decisamente a Roma: «ad urbana tandem edificia veniamus» 7 (Fig. 1). La narrazione non riferisce tutte le opere ma ci offre piuttosto una selezione di esempi scelti con cura allo scopo di trasmettere incisiva6 IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro II, § 28, p. 182. 7 Ivi, libro II, § 31, p. 71. — 563 — 1. Ricostruzione della struttura viaria principale della Roma medievale (in nero) con i progetti di Niccolò V e di Sisto IV (linee puntinate): 1, San Pietro; 2, Castel Sant’Angelo; 3, fontana di Trevi; 4, Campidoglio; 5, via Florida-Mercatoria; 6, via papale; 7, via dei Coronari; 8, via Lata; 9, vie Sistina e di Ripetta; 10, via della Lungara; 11, ponte Sisto; 12, Campo dei Fiori; 13, piazza di Ponte; 14, porto di Ripa grande; 15, porto di Ripa piccola (da Tafuri 1992). SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V mente l’ethos distintivo di Parentucelli.8 Il programma di Niccolò V è articolato dunque in cinque punti: il restauro delle mura urbane, il rinnovamento delle quaranta chiese stazionali, la fondazione di un nuovo quartiere tra la Mole Adriana e San Pietro, la fortificazione e l’ornamento del palazzo papale, la ricostruzione, dalle fondamenta, della basilica. I primi due obiettivi sono stati in gran parte realizzati, gli altri tre, tutti concentrati nell’area del Vaticano, sono invece rimasti più o meno incompiuti. Tale distinzione, esplicitata a parole, è anche sottolineata dall’uso nei primi due punti del perfetto indicativo, che esprime un’azione svoltasi nel passato conferendo al fatto narrato il senso della compiutezza (con il perfetto erano stati indicati pure gli interventi a Fabriano e nelle altre località dello Stato pontificio).9 Questo modo di esprimersi di Giannozzo Manetti è leggibile proprio nel paragrafo dedicato alle chiese stazionali. Qui infatti, a conclusione di un elenco di edifici religiosi per i quali sono stati eseguiti lavori di vario genere (munivit, reparavit, ornavit, renovavit), è menzionata San Pietro e l’umanista ne rinvia la descrizione alla fine dello scritto spiegando con un piuccheperfetto indicativo (riferito all’atto del decidere e non a quello del costruire: reedificare constituerat) che il pontefice aveva previsto un intervento di maggiore ampiezza rispetto agli altri: tale accorgimento, mentre ha l’effetto di concludere il testo con un tema di notevole importanza da molteplici punti di vista, colloca ordinatamente San Pietro tra le altre iniziative vaticane secondo un criterio che tiene conto sia della cronologia degli interventi – causa almeno in parte dell’incompiutezza del programma niccolino per questa parte della città – sia Nel descrivere il programma Niccolino Manetti assegna un ruolo centrale e preponderante alle architetture, realizzate o solo previste, per il Borgo Vaticano. Delle altre opere per Roma sono ricordate solo alcune (i restauri delle mura, delle chiese stazionali, la realizzazione di piazza San Celso e delle due cappelle all’ingresso di ponte Sant’Angelo) mentre sono omesse altre, pur importanti, come ad esempio i lavori in Campidoglio, quelli per la fonte di Trevi, il restauro dell’acquedotto Vergine, il riassetto della viabilità cittadina promosso attraverso lo statuto dei Maestri delle strade del 1452, si veda C.W. WESTFALL, L’invenzione della città. La strategia urbana di Nicolò V e Alberti nella Roma del ’400, con una introduzione di M. Tafuri, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1984 («Studi NIS Arte», 2) (ed. orig. In this Most Perfect Paradise: Alberti, Nicholas V, and the Invention of conscious Urban Planning in Rome, 1447-1455, University Park, The Pennsylvania State University Press, 1974), pp. 182-190, 198-199; M. TAFURI, Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti, Torino, Einaudi, 1992, pp. 33-88; per un quadro sintetico, A.M. CERIONI, Censimento delle operazioni architettoniche in occasione del giubileo del 1450, in Roma 1300-1875. La città degli anni santi. Atlante, Catalogo della mostra (Roma, Palazzo Venezia, marzo-maggio 1985), a cura di M. Fagiolo e M.L. Madonna, Milano, Mondadori, 1985, pp. 92-97. 9 Sul particolare uso delle forme verbali nella Vita si veda in questi Atti l’intervento di Anna Modigliani, § 2. 8 12 — 565 — FLAVIA CANTATORE della loro ubicazione topografica, amplificando il peso di questa area presentata cosı̀ in ordine crescente di importanza. Al primo punto è segnalato l’impegno papale nell’adeguamento delle strutture difensive di Roma. La documentazione archivistica conferma l’esecuzione delle opere che Manetti descrive come restauro delle mura urbane dalla porta del Popolo fino alla porta San Paolo, esteso anche alla Mole Adriana e al ponte Sant’Angelo, mentre nuove fortificazioni cingono il colle Vaticano, dalla sommità oltre la porta Pertusa e fino all’ospedale di Santo Spirito.10 Niccolò V è il primo papa che decide di stabilire definitivamente le residenza pontificia in Vaticano. Una scelta di notevole contenuto simbolico 11 che, in un momento di tensioni politiche e forti minacce sia interne sia esterne, appare inoltre facilitata dall’esistenza di una prima cinta difensiva, le mura leonine. Il programma pontificio, segnato anche dalla recente esperienza di Eugenio IV, costretto ad abbandonare l’Urbe per la rivolta dei romani, privilegia in primis la sicurezza: Niccolò V sembra chiudersi dentro una cittadella inespugnabile, difesa da Castel Sant’Angelo rimunito come fortezza e innalzante la nuova statua dell’arcangelo Michele con la spada sguainata a difesa ideale della Roma curiale, sacra, dalla Roma laica.12 Al secondo punto il restauro delle quaranta chiese stazionali istituite, ricorda Giannozzo Manetti, da papa Gregorio Magno: un esplicito richiamo alla Chiesa dei primi secoli attraverso il rinnovamento degli edifici di culto paleocristiani. Pur agendo in continuità con l’operato di Martino V ed Eugenio IV 13 e, in vista del giubileo, entro una consolidata tradizione secolare 10 E. M ÜNTZ , Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle, 3 voll., Paris, Thorin, 1878-1882 («Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome», 4, 9, 28), (ed. anastatica, 3 voll. in 1, Hildesheim-Zürich-New York, Olms, 1983), I, 1878, pp. 139, 150-154, 158-160; IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro II, § 33. 11 C.W. WESTFALL , L’invenzione della città. La strategia urbana di Nicolò V e Alberti nella Roma del ’400 cit., pp. 52-56, 72-74; M. TAFURI, «Cives esse non licere». La Roma di Nicolò V e Leon Battista Alberti: elementi per una revisione storiografica, ivi, p. 18. 12 E. MÜNTZ , Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle cit., I, pp. 139, 153. Sulla statua dell’arcangelo Michele si veda C.W. WESTFALL, L’invenzione della città. La strategia urbana di Nicolò V e Alberti nella Roma del ’400 cit., pp. 190-193; M. MERCALLI, L’Angelo di Castello: la sua iconografia, il suo significato, in L’angelo e la città, Catalogo della mostra (Roma, Castel Sant’Angelo, 29 settembre-29 novembre 1987), I, a cura di B. Contardi e M. Mercalli, Roma, Palombi, 1987, pp. 110-112; C. BURROUGHS, Alberti e Roma, in Leon Battista Alberti, Catalogo della mostra (Mantova, Palazzo Te, 10 settembre-11 dicembre 1994), a cura di J. Rykwert e A. Engel, Ivrea-Milano, Olivetti-Electa, 1994, pp. 148-149 e bibliografia citata. 13 E. MÜNTZ, Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle cit., I, pp. 8-9, 14- — 566 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V del papato, Niccolò V amplia a tal punto l’azione da lasciarla necessariamente in eredità ai suoi successori. Un intervento capillare esteso a tutti gli edifici, dedicando il nucleo più importante di lavori alle basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, Santo Stefano Rotondo, Santi Apostoli, San Paolo fuori le mura e San Lorenzo fuori le mura, destinato a trasformare Roma tutta in una Biblia pauperum, a testimoniare in ogni luogo l’autorità del pontefice e della Chiesa. Anche in questo secondo caso la realizzazione degli interventi trova conferma nelle fonti documentarie.14 Con il terzo punto l’attenzione si sposta sulla Roma curiale, il Vaticano, dove tra Castel Sant’Angelo e il San Pietro costantiniano è previsto un nuovo quartiere, pensato come una sede di corte, che resta irrealizzato alla morte di Niccolò V 15 (Figg. 2, 3). La descrizione ora assume un tono diverso. Il senso di incompiutezza suggerito dall’imperfetto indicativo è rafforzato dal significato del verbo utilizzato: cognovimus, ovvero sappiamo, siamo al corrente di come avrebbe dovuto essere attuata questa parte del programma, un verbo con il quale Manetti sembra indicare che il suo canale di informazione è mutato rispetto ai primi due punti perché non è più sufficiente per la sua descrizione solo ciò che ha potuto vedere. La nuova zona urbana avrebbe dovuto svilupparsi attorno ad una struttura viaria ternaria che da un’ampia piazza fiancheggiante Castel Sant’Angelo era rivolta verso l’area antistante a San Pietro, una vasta platea con al centro l’immenso obelisco, trasportato in quel luogo dalla sua posizione originaria a lato della basilica. Le tre strade, già in parte esistenti,16 avrebbero organizzato il nuovo tessuto edilizio secondo attività e ceti sociali dei residenti, i dipendenti della Curia, e dei commercianti. Manetti non descrive l’aspetto architettonico degli edifici: apprendiamo solo, genericamente, che al piano terreno su ciascun lato delle tre strade avrebbero 16, 37-38, 46-50; sulla figura del pontefice architetto nella tradizione letteraria e iconografica si veda M. MIGLIO, Principe, architettura, immagini, in Il Principe architetto, Atti del Convegno internazionale (Mantova, 21-23 ottobre 1999), a cura di A. Calzona, F.P. Fiore, A. Tenenti e C. Vasoli, Firenze, Olschki, 2002 («Ingenium», 4), pp. 41-53. 14 E. MÜNTZ , Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle cit., I, pp. 139-146. 15 Anna Modigliani suggerisce che Niccolò V in una prima fase del pontificato, anche in vista del giubileo, abbia rivolto la sua attenzione maggiormente verso la città, per spostarla successivamente sul Vaticano. Tale atteggiamento troverebbe conferma nella Vita di Manetti, sia per il peso assegnato nell’illustrazione del programma a questa zona sia per la resa del testo nel quale il particolare uso dei verbi, spia di stesure redazionali diverse, indicherebbe fasi differenti di intervento, si veda IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., Introduzione. 16 M. TAFURI , Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti cit., pp. 48-49. — 567 — FLAVIA CANTATORE 2. MICHAEL WOLGEMUT e WILHELM PLEYDENWURFF, Veduta di Roma, particolare di Borgo, della basilica di San Pietro e del palazzo papale (da Hartmann Schedel, Liber Chronicarum, Norimberga 1493). prospettato portici continui dietro i quali erano poste le botteghe, mentre al piano superiore erano situate le abitazioni. Poche parole, tra le quali emerge tuttavia il valore assegnato ai portici, progettati per conseguire «un effetto di grande bellezza e utilità insieme».17 La grande bellezza riferita dall’umanista certo sarebbe dipesa dall’unitarietà che avrebbe caratterizzato sia le fronti degli edifici sia il percorso viario. Si sarebbero prodotte vedute prospettiche contraddistinte da un assetto ordinato, organizzato, funzionale, del tutto inusitate per Roma, città caotica e ribelle anche nella sua immagine urbana. Insieme alla bellezza, l’utilità dei portici. Una vera e propria strada coperta che, con continuità, offre protezione da ogni intemperanza del clima, estivo o invernale, e, allo stesso tempo, conduce sia alle botteghe sia agli alloggi. Anche da questo punto di vista la soluzione è nuova per Roma, dove le pur numerose strutture a sporto esistenti nell’area dell’ansa del Tevere erano per lo più destinate ad attività legate al nucleo familiare (quindi spazi ad uso prevalentemente privato) e, poste in modo discontinuo lungo percorsi irregolari, solo occasionalmente forniva17 IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro II, § 36, p. 186. — 568 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V 3. Borgo e il Vaticano all’epoca di Niccolò V (da Magnuson 1958): a, Castel Sant’Angelo con torrette di Niccolò V; b, sito della vecchia chiesa di Santa Maria in Traspontina; c, Meta Romuli; d, porta Castello; e, porta Santo Spirito; f, porta San Pietro (o porta Sant’Egidio, o porta Viridaria); g, porta Cavalleggeri (o porta Torrione); h, posizione originale dell’obelisco; i, porta Pertusa; BW, mura di Bonifacio IX; LW, mura Leonine; LW(N), mura Leonine ricostruite da Niccolò V; NIIIW, mura di Niccolò III intorno al Pomerium; TL(N), torri delle mura Leonine ricostruite da Niccolò V; TN, grande torre di Niccolò V; WN, mura difensive costruite da Niccolò V. In grigio le strutture progettate da Niccolò V: BASN, basilica vaticana; EPN, limite est della piazza progettata davanti a San Pietro; PN, nuovo ingresso principale del palazzo; WN, mura difensive. no riparo e piuttosto il loro ingombro riduceva la visibilità delle strade rendendole malsicure.18 Della porticus di Borgo, via porticata tra il ponte 18 T. MAGNUSON , Studies in Roman Quattrocento Architecture, Stockholm, Almqvist & Wiksell, 1958 («Figura. Studies edited by the Institute of Art History, University of Uppsala», 9), pp. 77-80, e C.W. WESTFALL, L’invenzione della città. La strategia urbana di Nicolò V e Alberti nella Roma del ’400 cit., p. 208, considerano l’uso dei porticati riferibile alla tradizione edilizia della Roma medievale, senza tuttavia fare distinzioni di tipo funzionale o formale. Sull’uso dei portici nella Roma del Tre-Quattrocento si veda H. BROISE e J.-C. MAIRE VIGUEUR, Strutture famigliari, spazio domestico e architettura civile a Roma alla fine del Medioevo, in Storia dell’arte italiana, parte III, vol. V, Momenti di architettura, Torino, Einaudi, 1983, pp. 152-154; G. CURCIO, I processi di trasformazione edilizia, in Un pontificato ed una città. Sisto IV (14711484), Atti del Convegno (Roma, 3-7 dicembre 1984), a cura di M. Miglio, F. Niutta, — 569 — FLAVIA CANTATORE Sant’Angelo e San Pietro probabilmente di origine tardo imperiale, nel programma edilizio di Niccolò V è riutilizzato l’itinerario, mentre della sua struttura architettonica, forse a sé stante e rappresentativa, sparita tra XII e XIII secolo, restava il fascino puramente antiquario, come si evince dalle parole di Leon Battista Alberti: Apprendiamo che a Roma, tra le altre, vi erano due strade di questo genere [che conducono ai templi, alle basiliche, ai luoghi di spettacolo], degne della più grande meraviglia: l’una andava dalla porta fino alla basilica di S. Paolo, per una lunghezza approssimativa di cinque stadi; l’altra dal ponte alla basilica di S. Pietro, lunga 2500 piedi e ricoperta da un porticato di colonne di marmo con copertura di piombo.19 I lunghi percorsi coperti, come pure la razionalizzazione del tessuto urbano in zone funzionali, trovano applicazione nella prassi edilizia medievale di numerose città italiane: Parentucelli, è noto, viaggiò molto e soprattutto visse sia a Bologna, dove il panorama cittadino appariva caratterizzato dalla presenza di strade porticate sottoposte, come gli edifici, ad un continuo processo di rinnovamento e restauro,20 sia a Firenze, dove vie diritte e piazze con facciate uniformi avevano già in parte sostituito i vicoli stretti e tortuosi della città antica, determinando nuovi allineamenti visivi e scorci prospettici. Temi discussi anche da Alberti nel De re aedificatoria, fatto che non dimostra ma neppure porta ad escludere che l’umanista possa aver consigliato il papa a tal riguardo. Con il quarto punto raggiungiamo la sommità del quartiere curiale, dove sorge il palazzo pontificio. Nonostante la sua parziale realizzazione, l’edificio rappresenta l’esempio più organico e compiuto tra le architetture volute da Tommaso Parentucelli. Sviluppatasi in prosecuzione di un D. Quaglioni, C. Ranieri, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1986 («Studi storici», fasc. 154-162), pp. 709, 721-722. 19 L.B. ALBERTI , L’architettura (De re aedificatoria), testo latino e traduzione a cura di G. Orlandi, introduzione e note di P. Portoghesi, 2 voll., Milano, Il Polifilo, 1966, II, p. 708 (libro VIII, cap. 6). Sulla porticus si veda G. VILLETTI, Architetture di Borgo nel Medioevo, in L’architettura della basilica di San Pietro. Storia e costruzione, Atti del Convegno internazionale di studi (Roma, 7-10 novembre 1995), a cura di G. Spagnesi, Roma, Bonsignori, 1997 («Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura», n.s., 25-30, 1995-1997), pp. 73-90; M. TAFURI, Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti cit., pp. 48-49; L. GIGLI, Rione XIV Borgo, parte prima, Roma, Palombi, 1990, pp. 9, 20-21; L. BIANCHI, Ad limina Petri. Spazio e memoria della Roma cristiana, Roma, Donzelli, 1999, pp. 64-65. 20 R.J. TUTTLE , Bologna, in Storia dell’architettura italiana. Il Quattrocento, a cura di F.P. Fiore, Milano, Electa, 1998, pp. 259, 260-263 e nota 20. — 570 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V nucleo costruito nel corso del Duecento, l’ala di Niccolò V 21 ha chiuso verso nord il cortile del Pappagallo, realizzando il primo ampliamento di una certa importanza dell’edificio medievale (Fig. 4). Il palazzo, cui si accedeva da un ingresso contiguo a quello della basilica, comprendeva gli ambienti preesistenti per le cerimonie, quelli del braccio orientale (stanze private del papa, seguite da stanze per la vestizione cerimoniale, per concistori giornalieri e udienze private, semipubbliche) e quelli della nuova ala (stanze di soggiorno e di rappresentanza, semipubbliche), accogliendo molteplici funzioni. Le relazioni che si possono stabilire con altre residenze papali appaiono, allo stato attuale delle conoscenze, di carattere piuttosto generale. Ad esempio il confronto con il Laterano e con il palazzo di Avignone è legato soprattutto alla presenza o meno di alcuni ambienti e al loro uso strettamente connesso alle esigenze del cerimoniale pontificio.22 Altrettanto si può dire circa le possibili analogie con il successivo palazzo Venezia, nel quale tuttavia sembra probabile la ripresa 21 T. MAGNUSON , Studies in Roman Quattrocento Architecture cit., pp. 98-142; D. REDIG DE CAMPOS, I Palazzi Vaticani, Bologna, Cappelli, 1967, pp. 44-52; C.W. WESTFALL, L’invenzione della città. La strategia urbana di Nicolò V e Alberti nella Roma del ’400 cit., pp. 235237; C.L. FROMMEL, Il Palazzo Vaticano sotto Giulio II e Leone X. Strutture e funzioni, in Raffaello in Vaticano, Catalogo della mostra (Città del Vaticano, 16 ottobre 1984-16 gennaio 1985), a cura di F. Mancinelli, Milano, Electa, 1984, pp. 118-121, ora ripreso in ID., I programmi di Niccolò V e di Giulio II per il palazzo del Vaticano, in Domus et splendida palatia. Residenze papali e cardinalizie a Roma fra XII e XV secolo, Atti della giornata di studio (Pisa, Scuola Normale Superiore, 14 novembre 2002), a cura di A. Monciatti, Pisa, Edizioni della Normale, 2004, pp. 157-168; F. MANCINELLI, Il Palazzo Apostolico Vaticano dalle origini a Sisto IV, in Il Palazzo Apostolico Vaticano, a cura di C. Pietrangeli, Firenze, Nardini, 1992, pp. 3138; F. CANTATORE, Niccolò V e il Palazzo vaticano, in Niccolò V nel sesto centenario della nascita, Atti del Convegno internazionale di studi (Sarzana, 8-10 ottobre 1998), a cura di F. Bonatti e A. Manfredi, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2000 («Studi e testi», 397), pp. 399-410; secondo Frommel i lavori per la realizzazione dell’ala nord del palazzo papale si sarebbero concentrati nel 1453-1454, si veda C.L. FROMMEL, Il San Pietro di Niccolò V, in La Roma di Leon Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento, Catalogo della mostra (Roma, Musei Capitolini, 24 giugno-16 ottobre 2005), a cura di F.P. Fiore con la collaborazione di A. Nesselrath, Milano, Skira, 2005, p. 103 e nota 11. 22 Si veda anche C.W. WESTFALL , L’invenzione della città. La strategia urbana di Nicolò V e Alberti nella Roma del ’400 cit., p. 241, nota 12, e 266. A. MONCIATTI, Il Palazzo Apostolico Vaticano alla fine del medioevo: sul sistema delle cappelle prima e dopo il soggiorno della Curia ad Avignone, in Art, Cérémonial et Liturgie au Moyen Âge, Actes du colloque de 3 e Cycle Romand de Lettres (Lausanne-Fribourg, 24-25 mars, 14-15 avril, 12-13 mai 2000), sous la direction de N. Bock, P. Kurmann, S. Romano, J.-M. Spieser, Roma, Viella, 2000 («Études lausannoises d’histoire de l’art», 1), pp. 565-584: 576-580; ID., Per la decorazione murale del palazzo di Niccolò III Orsini in Vaticano: il Cubicolo e la Sala dei Chiaroscuri, in «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana», XXXIV (2001/2002) [2004], pp. 7-40: 37-38. — 571 — FLAVIA CANTATORE 4. Veduta aerea del Vaticano. dal palazzo vaticano (con un disegno più chiaro, trattandosi di un progetto unitario) della sequenza di vani progressivamente più piccoli, procedendo da quelli a carattere pubblico verso quelli più privati e intimi.23 Il testo di Manetti non accenna agli interventi condotti sulle preesistenze 24 e, pur nella genericità degli elementi descritti, suggerisce che il papa aveva progetti di portata assai ampia (comprendenti anche locali per i membri della Curia, con cortili e giardino, un’ampia biblioteca, le cucine, le stalle, residenze da utilizzare secondo le stagioni). Tommaso Parentucelli riuscı̀ ad attuarli solo in parte con il prolungamento ad ovest 23 Sull’argomento si veda A. BRUSCHI , Bramante e la funzionalità. Il palazzo dei Tribunali: «turres et loca fortissima pro commoditate et utilitate publica», in «Palladio», n.s., VII/XIV (1994), p. 153; C.L. FROMMEL, Roma, in Storia dell’architettura italiana. Il Quattrocento cit., p. 387. 24 Per un esempio dell’intervento di Niccolò V sul nucleo medievale del palazzo, circoscritto alla torre di Innocenzo III, si veda P.N. PAGLIARA, Modifiche apportate da Niccolò V e Paolo II alla ‘torre di Innocenzo III’ nei palazzi Vaticani, in La Roma di Leon Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento cit., pp. 128-133. — 572 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V dell’ala nord, il cui corpo delimitava e definiva già il cortile del Pappagallo e l’attuale cortile del Belvedere (Fig. 5). All’esterno l’edificio, oggi alterato ma ricostruibile da un’immagine sullo sfondo di un ritratto di scuola di Ghirlandaio (Fig. 6), richiamava l’architettura fortificata, con la merlatura guelfa di coronamento (che Niccolò V riprende, estendendola, dall’edificio medievale) e il possente basamento a scarpa. Una facciata piuttosto povera, dal linguaggio modesto, più consona ad una fortezza che ad una residenza signorile, riflesso del clima di arretratezza culturale che rende Roma, ancora intorno alla metà del XV secolo, refrattaria all’influenza della nuova architettura dell’Umanesimo: nonostante la presenza importante delle vestigia del passato e i vari apporti di scultori-architetti, specialmente ma non solo toscani, nell’Urbe i modi locali appaiono più congeniali rispetto alla ripresa critica, artificiale e razionale, del vocabolario degli antichi che già da tempo aveva trovato espressione a Firenze, soprattutto nelle opere di Brunelleschi, e poi in diverse città e corti centro-settentrionali. L’ala nord è composta, al di sopra delle cantine, dal piano terreno e da due piani superiori (Appartamento Borgia e Stanze di Raffaello), con tre sale ciascuno, coperte a volta, poste in successione mantenendo lo stesso piano di calpestio del palazzo antico (Figg. 7, 8, 9). Al piano terreno è collocata la biblioteca, con sale che durante il pontificato di Sisto IV saranno denominate Bibliotheca Graeca, Bibliotheca Latina o communis e Parva secreta. Di queste Niccolò V portò a pieno compimento solo la Bibliotheca Graeca, lasciando una struttura già realizzata e articolata in tre sezioni in eredità a Sisto IV che, nel 1480-81, farà costruire solo la Bibliotheca nova o addita, poi detta Magna secreta.25 Nonostante l’ampio rilievo assegnato 25 Si veda L.E. BOYLE , Per la fondazione della Biblioteca Vaticana, in A. MANFREDI , I codici latini di Niccolò V. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1994 («Studi e testi», 359), pp. XI-XXII: XV-XVI, con bibliografia. Una diversa opinione sulla fondazione della Biblioteca Vaticana, secondo la quale Sisto IV utilizzò magazzini originariamente destinati alla conservazione del grano e del vino, è stata espressa da D. REDIG DE CAMPOS, I Palazzi Vaticani cit., p. 47, e J. RUYSSCHAERT, Sixte IV fondateur de la Bibliotèque Vaticane et la fresque restaurée de Melozzo da Forlı` (1471-1481), in Sisto IV e Giulio II mecenati e promotori di cultura, Atti del Convegno internazionale di Studi (Savona, 3-6 novembre 1985), a cura di S. Bottaro, A. Dagnino, G. Rotondi Terminiello, Savona, Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Liguria, 1989, p. 28. Alla ricostruzione degli ambienti della Biblioteca Vaticana ha contribuito anche lo studio degli inventari dei volumi in essi conservati, relativi ai pontificati di Niccolò V e Sisto IV, si veda A. MANFREDI , I codici latini di Niccolò V. Edizione degli inventari e identificazione dei manoscritti cit., in particolare p. XC; ANTONIO DE THOMEIS, Rime, a cura di F. Carboni e A. Manfredi, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1999 («Studi e testi», 394). — 573 — FLAVIA CANTATORE 5. Il prospetto del palazzo di Niccolò V verso il cortile del Belvedere (con aggiunte posteriori). alle opere di traduzione, composizione e raccolta di codici promosse da Parentucelli (già evidenziate dall’umanista aretino Giovanni Tortelli nella dedica a Niccolò V del De orthographia), Manetti è estremamente sintetico nel descrivere il luogo ad esse destinato. Gli oltre cinquemila codici ritrovati, secondo il biografo,26 alla morte di Niccolò V e tutti quelli che avrebbero accresciuto la collezione se fosse vissuto più a lungo, sarebbero stati «raccolti insieme per la comune utilità di tutti i prelati della Chiesa romana e anche come ornamento perpetuo ed eterno del sacro Palaz26 IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro II, § 19. Tale cifra non corrisponde a quella di 1.177 codici effettivamente riuniti da Niccolò V, che comunque costituivano una raccolta superiore a tutte quelle contemporanee sia per vastità, sia per importanza, si veda M. ALBANESE, Gli storici classici nella biblioteca latina di Niccolò V, con edizione e commento degli interventi autografi di Tommaso Parentucelli, Roma, Roma nel Rinascimento, 2003 («RR inedita», 28), pp. 181-182 (con bibliografia) e nota 279. — 574 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V zo»; 27 dunque sarebbero stati posti entro uno spazio progettato, anche negli arredi, sia per contenere i volumi già disponibili e le future acquisizioni, sia per consentirne la consultazione e la lettura agli studiosi, delineato appena da Manetti come «una biblioteca molto grande e spaziosa, illuminata da due file di finestre disposte sui due lati».28 Ciò nonostante, la preminenza assegnata nella Vita alla realizzazione della biblioteca, unita al pregio e alla varietà tematica della collezione libraria formata ad uso pubblico (pur se in un’accezione ancora molto selettiva del termine), alla capacità orga- 6. DAVIDE GHIRLANDAIO, Ritratto di gentildonna, particolare del palazzo di Niccolò V verso il cortile nizzativa di collocare «con del Belvedere, New York, Payson Collection (da ordine e opportuni criteri Frommel 1984). di riconoscimento tutti i libri» 29 che Niccolò V aveva sviluppato frequentando biblioteche importanti 30 e preparando un elenco ideale di opere e autori ovvero il ‘canone bibliografico’ per Cosimo de’ Medici, lasciano supporre che il papa, raffinato bibliofilo, abbia nutrito 27 IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro II, § 21, p. 179. Ivi, libro II, § 41, p. 189 Ivi, libro II, § 21, p. 179. 30 Nel corso dei numerosi viaggi compiuti durante le legazioni in Italia e in Europa Parentucelli ha l’occasione di visitare le biblioteche di Nonantola, di Pomposa, della Grande Chartreuse di Grenoble (forse per la prima volta nel 1431-1433, poi nel 1435) e a Firenze la biblioteca di Boccaccio in Santo Spirito, le collezioni di Salutati e di Niccoli, si veda M. ALBANESE, Gli storici classici nella biblioteca latina di Niccolò V, con edizione e commento degli interventi autografi di Tommaso Parentucelli cit., pp. 17-19, 224-225. 28 29 — 575 — FLAVIA CANTATORE 7. Il palazzo vaticano, pianta del piano terreno (ricostruzione del piano, con i collegamenti, le aperture e i passaggi, al 1521, da Frommel 1984): A, torre medievale sud-est; B, torre medievale nord-est; C, torre Borgia; 1, torre di Innocenzo III; 2, cucine; 3, tinelli (Sisto IV, Bibliotheca Pontificia o Magna secreta); 4, Bibliotheca secreta; 5, Bibliotheca greca; 6, Bibliotheca latina; 7, loggia medievale; 8, Turris scalarum. ambiziose aspettative per il compimento di questa parte del suo programma, dedicandovisi con particolare attenzione. Forse si può ipotizzare, anche se finora non sono state rinvenute testimonianze documentarie, che proprio riguardo alla biblioteca potrebbe aver chiesto consiglio ad Alberti, umanista oltre che esperto riconosciuto di architettura,31 per la proget31 L’importanza della compresenza delle due componenti nella formazione di Leon Battista Alberti è colta da Pio II: «Baptista Florentinus ex Albertorum familia, vir doctus et antiquitatum solertissimus indagator» (ENEA SILVIO PICCOLOMINI / PAPA PIO II, I Commenta- — 576 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V tazione degli ambienti e/o la definizione dell’arredo più adeguati alla creazione di una struttura di avanguardia, di un modello in sintonia con il profondo rinnovamento dell’istituzione che si stava attuando in quegli anni. Assonanze con quanto esposto da Manetti nella Vita Nicolai quinti si trovano nelle indicazioni contenute nel De re aedificatoria circa le biblioteche, come il richiamo a quella, straordinaria nel mondo antico, fondata dal re Tolomeo d’Egitto e la considerazione che «il principale ornamento delle biblioteche è costituito dai libri, che devono essere in gran numero, assai rari, e scelti dando preferenza ai più famosi dotti dell’antichità».32 Infine forse non apparirà del tutto secondario ricordare i rapporti intercorsi tra Alberti e Giovanni Tortelli (il più autorevole consigliere del papa nell’elaborazione della politica culturale, al quale era affidato l’articolato compito della gestione della bibliorii, a cura di L. Totaro, 2 voll., Milano, Adelphi, 1984, II, libro XI, cap. 22, p. 2232), in «Albertus Florentinus conditis De Architectura egregiis voluminibus aliique pene innumerabiles nova cudentes opera eius pontificis gratiam meruere», ENEE SILVII PICCOLOMINEI POSTEA PII PP. II, De Europa, edidit commentarioque instruxit A. van Heck, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2001 («Studi e testi», 398), cap. 235, p. 243. Tale versatilità emerge ancor più dal confronto con le parole che lo stesso Piccolomini dedica a Bernardo Rossellino, le cui competenze erano invece specificamente di natura architettonica: il papa, considerandolo «inter omnis architectos nostri saeculi praecipuo dignum honore», volle ricompensare Bernardo «iussitque omnem homini reddi mercedem et ultra centum aureos et vestem coccineam dono dari; et filio quas optavit gratias elargitus est, et novis eum praefecit operibus» (ENEA SILVIO PICCOLOMINI / PAPA PIO II, I Commentarii cit., II, libro IX, cap. 25, p. 1766). Grafton afferma che quasi certamente Alberti frequentò la Biblioteca Vaticana per le sue ricerche in qualità di intellettuale di Curia e che le svolse in gran parte dopo il 1452, A. GRAFTON, Leon Battista Alberti. Un genio universale, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 367 (ed. orig. Leon Battista Alberti. Master builder of the Italian Renaissance, New York, Hill & Wang, 2000). Sul profilo intellettuale di Alberti in rapporto alla Roma del Quattrocento si veda, in generale, C. BURROUGHS, Alberti e Roma cit. pp. 143-147; F.P. FIORE, Leon Battista Alberti e Roma, in La Roma di Leon Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento cit., pp. 20-31; M. MIGLIO, Repubblica, monarchia e tirannide. Cultura e società a Roma nel Quattrocento, ivi, pp. 90-101. Infine si ricordi che a Leon Battista Alberti è stata riferita ipoteticamente l’ideazione della Biblioteca Malatestiana di Cesena, si veda G. CONTI, La biblioteca malatestiana di Cesena e l’orizzonte culturale albertiano, in «Romagna arte e storia», III (1983), 8, pp. 16-17; F. CANALI, Tracce albertiane nella Romagna umanistica tra Rimini e Faenza, in «Quasar. Quaderni di storia dell’architettura e restauro», VIII-IX (1992-1993), p. 67; A. CALZONA, Leon Battista Alberti e l’immagine di Roma fuori di Roma: il Tempio Malatestiano, in Le due Rome del Quattrocento: Melozzo, Antoniazzo e la cultura artistica del ’400 romano, Atti del Convegno internazionale di studi (Roma, 21-24 febbraio 1996), a cura di S. Rossi e S. Valeri, Roma, Lithos, 1997, p. 361, nota 48. 32 L.B. ALBERTI , L’architettura (De re aedificatoria) cit., II, p. 766 (libro VIII, cap. 9). — 577 — FLAVIA CANTATORE 8. Il palazzo vaticano, pianta del primo piano (ricostruzione del piano, con i collegamenti, le aperture e i passaggi, al 1521, da Frommel 1984): 1, torre di Innocenzo III; 2, Sala ducale (Aula tertia); 3, Sala ducale (Aula secunda); 4, Sala regia (Aula prima); 5, Cappella palatina (Cappella magna), sostituita e ingrandita al tempo di Sisto IV con la Cappella sistina qui rappresentata; 6, Cappella di San Nicola (Cappella parva); 7, Camera dei paramenti; 8, Camera del pappagallo; 9, Galleriola; 10, Cubicolo di Niccolò V; 11, Stanza della falda; 12, Sala dei pontefici; 13, Appartamento Borgia; 14, loggia medievale. teca), testimoniati in una lettera di Gaspare da Verona all’umanista aretino del 1451.33 33 «[...] si Baptistam Albertum florentinum una tecum optaveris, enitar ut adsit: qui tot, talia, tanta proloquatur de architectura, quot, qualia, quanta solitum esse non ignoras», G. ZIPPEL, Un umanista in villa, in Storia e cultura del Rinascimento italiano, a cura di G. Zippel, Padova, Antenore, 1979 («Medioevo e Umanesimo», 33), pp. 280-287: 286. Gaspare da Verona descrive Alberti ricercato da dotti amici per la sua perizia nel dissertare di questioni ar- — 578 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V Direttamente connessa alla residenza pontificia è la basilica di San Pietro (Figg. 3, 10). Secondo Manetti l’intervento niccolino avrebbe interessato l’intero tempio: il biografo fiorentino, tra tutte le fonti, propone l’affermazione più insidiosa (a fundamentis [...] reedificare), lasciando intendere che San Pietro dovesse essere ricostruita ex novo eliminando tutte le preesistenze.34 Tòpos peraltro molto frequente negli anni successivi con una valenza encomiastica spesso falsificante. Nel testo di Manetti reticenze e alterazioni si rivelano funzionali alla costruzione del mito del pontefice chitettoniche, evidentemente generoso nel dispensare il suo vasto sapere. Un ritratto che rinvia alla sua possibile attività di «consulente umanistico» – come lo ha rappresentato R. KRAUTHEIMER , Le tavole di Urbino, Berlino, Baltimora riesaminate, in Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’architettura, Catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Grassi, marzo-settembre 1994), a cura di H. Millon e V. Magnago Lampugnani, Milano, Bompiani, 1994, p. 255 – di architettura nell’Urbe, da tempo dibattuta dalla storiografia specialistica e recentemente definita da Bruschi come «un’attività espletata con personali rapporti diretti con committenti e maestranze, che difficilmente lascia esplicita traccia documentaria, ma che nulla vieta possa essere stata espletata dall’Alberti anche a Roma» (A. BRUSCHI, Alberti a Roma, per Pio II e Paolo II, in La Roma di Leon Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento cit., p. 113). Sulla figura di Tortelli si veda soprattutto G. MANCINI, Giovanni Tortelli cooperatore di Niccolò V nel fondare la Biblioteca Vaticana, in «Archivio Storico Italiano», LXXVIII/II (1920), pp. 161-282; M. REGOLIOSI, Nuove ricerche intorno a Giovanni Tortelli, I, in «Italia medievale e umanistica», IX (1966), pp. 123-189; EAD., Nuove ricerche intorno a Giovanni Tortelli, II, in «Italia medievale e umanistica», XII (1969), pp. 129-196. C. BIANCA, Il pontificato di Niccolò V e i Padri della Chiesa, in Umanesimo e Padri della Chiesa. Manoscritti e incunaboli di testi patristici da Francesco Petrarca al primo Cinquecento, Catalogo della mostra (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 5 febbraio-9 agosto 1997), a cura di S. Gentile, [Roma], Rose, 1997, pp. 9192. Recentemente, l’interesse dell’umanista aretino per vari aspetti della prassi architettonica è stato ulteriormente evidenziato ricordando la concessione dell’abbazia di San Sebastiano ad Alatri avuta in commenda da Niccolò V, il quale «had specifically charged Tortelli with restoring the abbey, which is probably related to the pope’s project to restore early Christian buildings in Rome, such as S. Teodoro al Palatino and S. Stefano Rotondo on the Caelian hill. The inscriptions at S. Stefano Rotondo date to exactly the same year as his gift of the abbey, 1453», A. MANFREDI, ‘Apud Alatrium, Campaniae Oppidum’: Giovanni Tortelli and the Abbey under Pope Nicholas V, in Walls and memory: the abbey of San Sebastiano at Alatri (Lazio) from late Roman monastery to Renaissance villa and beyond, ed. by E. Fentress, C.J. Goodson, M.L. Laird, S.C. Leone, Turnhout, Brepols, 2005 («Disciplina monastica», 2), pp. 154-184: 180. Inoltre «a study of this building phase suggests that Tortelli interpreted his patron’s charge rather broadly. While he certainly conserved and preserved much of the existing structure, the changes he made transformed the monastery into a country residence appropriate to an early Renaissance humanist», S.C. LEONE, From Medieval Monastery to Early Renaissance Villa: the Patronage of Giovanni Tortelli, in Walls and memory: the abbey of San Sebastiano at Alatri (Lazio) from late Roman monastery to Renaissance villa and beyond cit., pp. 190-223: 191. 34 IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro II, § 32. — 579 — FLAVIA CANTATORE 9. Il palazzo vaticano, pianta del secondo piano (ricostruzione del piano, con i collegamenti, le aperture e i passaggi, al 1521, da Frommel 1984): 1, Sala vecchia degli svizzeri; 2, Cappella di Niccolò V; 3, Studiolo di Niccolò V; 4, Sala dei chiaroscuri; 5, Sala di Costantino; 6, Stanze di Raffaello; 7, loggia medievale. architetto e alla massima amplificazione delle sue iniziative edilizie, condizionando profondamente la storiografia successiva. A conferma del fatto che il progetto niccolino doveva essere di portata assai più limitata, le fonti archivistiche non parlano di estese demolizioni durante il pontificato e le spese registrate a tal riguardo sono circoscritte all’area della nuova tribuna; 35 anche Poggio Bracciolini riferisce la costruzione dalle fondamenta 35 E. MÜNTZ, Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle cit., I, pp. 123- 124. — 580 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V non all’intera basilica ma alla sola tribuna: «Testudinem quoque quam tribunam appellant super altare sancti Petri operis magnificentissimi a fundamentis aedificare aggressus est, muro octo cubitis lato; sed morte intermissa est aedificatio».36 Inoltre il cronista pisano Mattia Palmieri, nell’Opus de temporibus suis, fornisce l’unica testimonianza letteraria di una interruzione dei lavori, riconducibile ad Alberti, avvenuta prima della morte del papa.37 Manetti, di fronte a tale interruzione dovuta a problemi che ignoriamo (non necessariamente di natura architettonica, forse economica),38 tace e rilancia invece con forza un progetto grandioso e radicalmente innovativo, che serve a contrastare lo stallo del cantiere, le difficoltà dell’ultimo anno del pontificato e a costruire l’immagine ancor più fulgida, eccellente, del papa creatore, superiore persino a Salomone che aveva edificato dalle fondamenta la reggia e il tempio. Anche nel caso di San Pietro, dunque, Niccolò V con ogni probabilità immaginò una ristrutturazione consistente solo in parte in una radicale ricostruzione, da individuarsi nel potenziamento del transetto e del coro 36 Le Liber Pontificalis, texte, introduction et commentaire par l’abbé L. Duchesne, II, Paris, E. De Boccard, 1955, pp. 557-558: 558. L’affermazione di Poggio Bracciolini è condivisa da Maffeo Vegio nel De antiqua S. Petri apostoli basilica in Vaticano (Acta Sanctorum Iunii..., collecta, digesta, commentariis et observationibus illustrata a Conrado Ianningo, tomus VII, Antverpiae, apud Ioannem Paulum Robyns, 1717, pp. 78-79). 37 «Pontifex ornatiorem Beato Petro basilicam condere volens, altissima iacit fundamenta murumque ulnarum tredecim erigit, sed magnum opus ac cuivis veterum equandum, primo Leonis Baptiste consilio intermittit; mors inde immatura disrupit» (MATTHIAE PALMERII PISANI Opus de temporibus suis ab anno 1449 ad annum 1482, a cura di G.M. Tartini, in Rerum Italicarum Scriptores, I, Florentiae, 1748, coll. 239-278: 241). Per detta interruzione Anna Modigliani ha ipotizzato una data intorno al 1454, si veda il suo contributo in questo volume anche per l’interpretazione dei motivi addotti da Palmieri. Tale questione, riguardante le modalità del coinvolgimento di Alberti nel disegno papale, è al centro di una complessa e ancora irrisolta querelle storiografica. 38 Nel racconto di Manetti i notevoli introiti del giubileo furono utilizzati per proseguire e accrescere le iniziative edilizie e la traduzione, la composizione e la raccolta di libri per la biblioteca (IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro II, §§ 16 e 17), iniziative che solo la morte di Niccolò V poté interrompere. Tuttavia, il fatto che dopo la scomparsa del pontefice il debito contratto dalla Camera Apostolica con il banco Medici fosse di ben 70.000 fiorini lascia supporre che l’intendimento papale sia rimasto in larga parte incompiuto anche per l’eccedenza dei costi delle opere previste (si veda ivi, p. 54, nota 32). Inoltre nel testamentum manettiano Niccolò V ammonisce i cardinali a proseguire le iniziative intraprese secondo le linee di un programma solo in parte realizzato, anche forse con la preoccupazione di fornire un’ultima giustificazione a quelle spese che non sempre avevano trovato consenso, si veda S. SIMONCINI, Roma come Gerusalemme nel giubileo del 1450. La renovatio di Nicolò V e il Momus di Leon Battista Alberti, in Le due Rome del Quattrocento. Melozzo, Antoniazzo e la cultura artistica del ’400 romano cit., p. 336, nota 23. 13 — 581 — 10. TIBERIO ALFARANO, Pianta ricostruttiva dell’antica basilica di San Pietro (1590), particolare. — 582 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V dell’edificio paleocristiano, in parte nel restauro delle strutture costantiniane, attraverso il consolidamento delle pareti della navata centrale e il riassetto ordinato delle cappelle laterali. E una conferma si può leggere nei conti dei registri della Tesoreria Segreta: tra il 1452 e il 1454 sono annotate contemporaneamente spese, ad esempio, per la realizzazione e la posa in opera di finestre di marmo nella basilica e nella rotonda paleocristiana di Santa Maria della Febbre e per lavori ex novo nella tribuna.39 Nel De re aedificatoria Alberti discute più volte lo stato della basilica di San Pietro. L’attenzione prestata nel rilevare il dissesto delle pareti, fuori piombo rispetto alle sottostanti colonne, e la cura nel proporre il recupero delle strutture paleocristiane attraverso un intervento cauto e scrupoloso lasciano supporre uno studio di restauro elaborato in seguito ad una richiesta avanzata da Niccolò V.40 Le osservazioni dell’architetto, derivate dalla conoscenza diretta dell’edificio e dall’esame approfondito delle soluzioni, rendono l’esempio vaticano uno tra i più argomentati all’interno del Trattato e attestano il ruolo concretamente propositivo di Leon Battista Alberti nella vicenda di riqualificazione della basilica petriana. Tale 39 E. MÜNTZ, Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle cit., I, pp. 122124. Sull’argomento si veda T. MAGNUSON, Studies in Roman Quattrocento Architecture cit., p. 196. Christoph Frommel ha sostenuto che tali interventi di restauro sarebbero stati attuati da Niccolò V e poi anche dai suoi successori perché essi «erano consapevoli dei lunghi tempi di costruzione e durante i lavori del nuovo edificio investirono somme considerevoli nel frammento della vecchia basilica, destinato ad essere demolito, ma utilizzato ancora per decenni», C.L. FROMMEL, Il San Pietro di Nicolò V, in L’architettura della basilica di San Pietro. Storia e costruzione cit., p. 110, nota 32. Successivamente lo studioso sembra aver accolto l’idea di un intervento meno radicale nel corpo della basilica: «Certamente Niccolò voleva rinnovare anche il cadente corpo longitudinale della basilica costantiniana o, quantomeno, rafforzare ed elevare le pareti della navata centrale e regolarizzare le cappelle», ID., Roma cit., p. 178; attualmente Frommel ha confermato tale opinione, esprimendola anche nel corso del dibattito sviluppatosi durante questo convegno intorno agli interventi dedicati a Roma (si veda il recente ID., Il San Pietro di Niccolò V, in La Roma di Leon Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento cit., pp. 102-111, 356, 362-363). Sul valore che rappresentava per il clero la memoria del San Pietro costantiniano, nonostante da Alberti in poi la basilica non sia stata considerata valida architettura sia dal punto di vista statico-costruttivo sia estetico, si è soffermato Christof Thoenes in una conferenza dal titolo ‘Templi Petri Instauracio’. Giulio II, Bramante e l’antica basilica, tenuta il 23 febbraio 2005 presso la biblioteca «De Angelis d’Ossat», Dipartimento di storia dell’architettura, restauro e conservazione dei beni architettonici, Università degli Studi di Roma «La Sapienza», ora pubblicata in Colloqui d’Architettura, 1/2006, a cura di A. Roca De Amicis, Roma, Nuova Argos, 2006 («Il Simposio», 4), pp. 60-85. 40 L.B. ALBERTI , L’architettura (De re aedificatoria) cit., I, p. 62 (libro I, cap. 8), p. 74 (libro I, cap. 10); II, p. 998 (libro X, cap. 17). Si veda il contributo di Anna Modigliani in questi Atti per l’analisi testuale delle opere citate. — 583 — FLAVIA CANTATORE ruolo potrebbe averlo occupato già in una fase del pontificato precedente il 1451, anno in cui Rossellino è menzionato come ingegnere di palazzo 41 e, nella testimonianza di Canensi,42 è ricordato il ripristino in corso dei muri della basilica. Dopo Niccolò V sono documentati ancora pagamenti per restauri, che sono gli interventi più praticati nel corso del XV secolo, mentre solo Paolo II nel 1470 investirà notevoli somme di denaro per proseguire i lavori della tribuna (ma non è noto se conformemente a quanto voluto da Parentucelli), che si interromperanno di nuovo alla morte del papa nel 1471.43 Bisognerà attendere il pontificato di Giulio II, nel secolo successivo, per assistere ad una ripresa della progettazione della basilica, ormai secondo un linguaggio completamente nuovo che tuttavia continuerà a confrontarsi con il progetto di Niccolò V prevedendo l’utilizzazione di quanto già realizzato del cosiddetto coro di Rossellino. Un coro di forma allungata, con profilo esterno poligonale, che contribuisce all’aspetto munito dell’edificio: la parte vecchia è circondata da un muro possente, quella nuova vede sorgere muri di spessore aumentato, all’antica. Manetti non accenna alla tomba di Pietro: è interessato all’abside come luogo che accoglie il seggio del vicario di Cristo e pertanto concepisce la costruzione letteraria come un crescendo da Borgo fino al trono pontificio, sottolineato anche dalla successione gerarchica degli abitanti, ordinati secondo l’importanza delle loro professioni.44 Come il coro, all’antica sarebbe stato anche il transetto. Qui, in particolare, il riferimento è alla sala centrale delle terme imperiali, la cosiddetta basilica: un ampio ambiente rettangolare coperto con volte a crociera impostate su alte colonne. Müntz riferisce che tra il 1451 e il 1452 Aristotele Fioravanti ricevette pagamenti per il trasporto di quattro colonne dalle Terme di Agrippa fino in Vaticano e collega tali testimonianze a quelle riportate da Nikolaus Muffel nella sua descrizione di Roma scritta nel 1452.45 Interessante, a tal propo41 Il 31 dicembre 1451 è registrato un pagamento a Bernardo Rossellino «ingiegniere in palazo», E. MÜNTZ, Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle cit., I, p. 80, nota 5. 42 MICHELE CANENSI , De laudibus et divina electione, in M. MIGLIO , Storiografia pontificia del Quattrocento, Bologna, Pàtron, 1975 («Il mondo medievale», 2), pp. 205-243: 237. 43 E. MÜNTZ , Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle cit., II, 1879, pp. 43-48; F. CANTATORE, Tre nuovi documenti sui lavori per San Pietro al tempo di Paolo II, in L’architettura della basilica di San Pietro. Storia e costruzione cit., pp. 119-122; T. MAGNUSON, Studies in Roman Quattrocento Architecture cit., pp. 168-169. 44 C.L. FROMMEL , Il San Pietro di Nicolò V cit., pp. 105, 108. 45 E. MÜNTZ, Les arts à la cour des papes pendant le XV e et le XVI e siècle cit., I, pp. 108109. Si veda anche T. MAGNUSON, Studies in Roman Quattrocento Architecture cit., p. 192. — 584 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V sito, quanto narrato da Poggio Bracciolini il quale, avendo trascorso durante il pontificato di Niccolò V alcuni anni (fino al 1453) presso la Curia romana, nella sua biografia del pontefice offre una testimonianza diretta: «Basilicam insuper ipsam testudine in formam thermarum Diocletianarum reducere, destructa priori structura, destinarat animo»,46 e dunque fornisce un modello antico, di straordinaria grandezza, per la nuova fabbrica (Fig. 11). Secondo quanto si può osservare nelle ricostruzioni, antiche e recenti, del transetto niccolino, le crociere avrebbero avuto pianta rettangolare piuttosto allungata e non quadrata come negli edifici romani. Il recupero dell’architettura termale sembra dunque essere legato soprattutto alle dimensioni, alla magnificenza: essendo le colonne poste più vicine, il ritmo delle campate sarebbe infatti risultato più serrato, con una predominanza di linee verticali tale da influire anche sulla percezione dell’altezza complessiva del vano, di suggestione gotica. Nella configurazione esterna del coro tale effetto di verticalità è stato notato da Frommel,47 che ha suggerito l’affinità con soluzioni adottate in Santa Maria sopra Minerva dove, nello stesso periodo, si procedeva all’inserimento di volte a crociera, ed ulteriori confronti si potrebbero fare con altri edifici forse conosciuti anche direttamente da Niccolò V durante i suoi numerosi viaggi in Italia e in Europa.48 Per rendere, in sintesi, l’idea della qualità del programma niccolino, in particolare per la basilica di San Pietro, si può proporre l’estensione alle architetture della definizione, data da Massimo Miglio, della scrittura personale di Parentucelli, «ancora in bilico tra la gotica e l’umanistica».49 Le Liber Pontificalis cit., p. 558. C.L. FROMMEL, Roma cit., p. 379; G. PALMERIO – G. VILLETTI, Storia edilizia di Santa Maria sopra Minerva in Roma, 1275-1870, Roma, Viella, 1989 («Studi e documenti», 1), pp. 63-65, 115-118. 48 Il quadro complessivo dei viaggi compiuti da Tommaso Parentucelli è ampio: al seguito del vescovo Niccolò Albergati partecipa a tre legazioni in Francia (1422-1423, 14311433, 1435), tre legazioni nell’Italia settentrionale (in Emilia Romagna, in Lombardia e nelle Venezie, 1426-1427, 1427-1428, 1433), due legazioni in Svizzera al concilio di Basilea (1433, 1436), in Germania alla dieta dei principi tedeschi a Norimberga (1436); dopo la morte di Albergati è impegnato in altre legazioni a Napoli presso Alfonso d’Aragona (1443-1444), in Francia e in Inghilterra (1444), in Germania per la pace tra i principi tedeschi e la dieta di Francoforte (1445-1446), si veda M. ALBANESE, Gli storici classici nella biblioteca latina di Niccolò V, con edizione e commento degli interventi autografi di Tommaso Parentucelli cit., pp. 40-41, 50-51, 223-226. Sono esperienze importanti per Parentucelli perché entra in contatto non solo con il complesso contesto politico europeo ma anche con diversi climi culturali, paesaggi urbani e architetture. 49 M. MIGLIO , Niccolò V, in Enciclopedia dei papi, II, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, p. 654. 46 47 — 585 — FLAVIA CANTATORE Nelle parole di Manetti Niccolò V, esperto nella dottrina degli architetti dell’antichità, è a pieno titolo artefice del suo stesso programma.50 In una totale assenza di indicazioni sul contributo di architetti, anche limitato alla consulenza professionale, Bernardo Rossellino è menzionato a proposito della basilica di San Pietro come «grandissimo maestro di pietra» 51 (peregregius latomorum magister) responsabile dei soprintendenti del cantiere e unico referente del pontefice per i lavori della fabbrica. Il bio11. Roma, Terme di Diocleziano. grafo dunque, ricorrendo in parallelo all’esempio biblico di Hiram di Tiro, anch’egli non ideatore ma scultore del tempio di Salomone, distingue tra creatore e diretto esecutore. Il papa è descritto come architetto che nella sua opera di edificazione agisce ad immagine e somiglianza di Dio: Manetti del resto suggerisce la figura dell’alter Christus già parlando della sua nascita, essendo «non nato secondo la comune e normale legge di natura, ma piuttosto creato, o prescelto, da Dio onnipotente».52 La tecnica dell’amplificatio utilizzata dall’umanista non impedisce di considerare che, in realtà, l’attuazione del programma niccolino non richiedeva necessariamente l’impiego di architetti ma poteva essere attuato da figure in grado di assicurare lo svolgimento di vari ruoli: mediatori capaci di utilizzare adeguatamente le risorse economiche, impren50 Manetti propone in diversi punti del suo scritto l’immagine di Niccolò V pontefice architetto, si veda M. MIGLIO, Principe, architettura, immagini cit., p. 51. 51 IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro II, § 59, p. 196. 52 Ivi, libro I, § 4, p. 151. Sul tema della predestinazione nella Vita manettiana si veda M. MIGLIO, Niccolò V umanista di Cristo, in Umanesimo e Padri della Chiesa cit.; ID., Premessa, in GIANNOZZO MANETTI, Vita di Nicolò V, traduzione italiana, introduzione e commento a cura di A. Modigliani, con una premessa di M. Miglio, Roma, Roma nel Rinascimento, 1999 («RR inedita», 22), pp. 19-21. — 586 — SCRITTURA E ARCHITETTURA NELLA ROMA DI NICCOLÒ V ditori e coordinatori di cantiere, come ad esempio Nello da Bologna.53 Inoltre il biografo fiorentino, nonostante il ruolo fortemente educativo assegnato agli edifici, non ci illustra soluzioni tipologiche e stilistiche: dalle sue parole non possiamo dedurre se, soprattutto nelle nuove edificazioni, l’imponenza delle dimensioni e la grandiosità dei contenuti avrebbero trovato espressione in un linguaggio formale aggiornato, nuovo per Roma, riferito a quello spirito dell’Umanesimo che Niccolò V aveva potuto osservare a Firenze nelle opere di Brunelleschi. L’assenza di considerazioni sull’argomento potrebbe indicare una reticenza di Manetti piuttosto che l’indifferenza del pontefice per certi temi: numerose testimonianze attestano infatti che Niccolò V dimostrò negli anni una personalità culturale più articolata e vivace di quella descritta dall’umanista fiorentino. Forse il biografo descrivendo l’impegno del papa nell’attività edilizia omette volutamente riferimenti ad uno stile architettonico all’antica, cosı̀ come aveva taciuto a proposito della sua formazione i rapporti con la cultura classica, in particolare la lettura e lo studio di autori pagani: solo gli interessi ritenuti pienamente legittimi per colui che governa la Chiesa possono comporre quel ritratto idealizzato di Niccolò V, pontefice santo, necessario per conferire la massima autorevolezza al disegno politico che intende trasmettere ai suoi successori. Secondo Manetti soltanto coloro che hanno appreso attraverso lo studio l’origine e lo sviluppo della Chiesa romana possono capire che la sua autorità è grandissima e suprema. Quanto alla folla di tutte le altre persone, invece, illetterate e profondamente ignoranti, anche se sembrano spesso ascoltare gli uomini dotti ed eruditi quando parlano di questi argomenti e danno l’impressione di essere convinti delle loro verità, se tuttavia non sono colpiti da alcune cose straordinarie viste con i propri occhi, quel loro generale convincimento, basato su fondamenti estremamente deboli, si cancella a poco a poco col passare del tempo, al punto da ridursi il più delle volte a nulla. Al contrario, quando quell’opinione comune, fondata sul racconto degli uomini dotti, viene rafforzata e confermata di giorno in giorno per mezzo di grandi edifici, monumenti pressoché perpetui e testimoni eterni, quasi 53 M. GARGANO , Niccolò V. La mostra dell’acqua di Trevi, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CXI (1988), pp. 225-266: 251 sgg.; C. BURROUGHS, From Signs to Design. Environmental Process and Reform in Early Renaissance Rome, Cambridge (MA)-London, The MIT Press, 1990, pp. 99-113; M. TAFURI, Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti cit., p. 40. Sulla complessità della ricostruzione storiografica del processo progettuale che percorre i grandi cantieri romani del secondo Quattrocento si è soffermato recentemente Arnaldo Bruschi, sottolineando la necessità di risalire ad «un quadro il più possibile concreto, popolato da tante persone con ruoli distinti, interessi e intenti diversi [...] abbandonando in questi casi, almeno provvisoriamente, l’ottica, la logica dell’unico ‘‘autore’’», si veda A. BRUSCHI, Alberti a Roma, per Pio II e Paolo II cit., p. 113. — 587 — FLAVIA CANTATORE fabbricati da Dio, fino a tal punto da essere trasmessa ininterrottamente a coloro che guardano ora – e nel futuro guarderanno – quelle meravigliose costruzioni, si conserva e si accresce per tale via e poi, cosı̀ conservata e accresciuta, viene in qualche modo consolidata e acquisita con una meravigliosa devozione.54 Se all’architettura, attraverso l’immagine, è assegnato il compito importante di elevare gli incolti e di stimolarne il consenso, alle lettere è attribuito un valore ancora più alto, sia perché destinate ai dotti sia, soprattutto, perché la parola scritta rappresenta l’unico modo per rendere noto e perpetuo un progetto rimasto in gran parte inattuato. La Vita, attraverso il testamento, è concepita come anello di congiunzione tra il papa morente e i cardinali, tra i quali è il suo successore: Niccolò V si preoccupa di stabilire una linea di continuità con i futuri pontefici 55 ai quali raccomanda l’attuazione della sua idea per divenire essi stessi «oggetto di una più grande venerazione da parte di tutti i popoli cristiani».56 A questo messaggio e alla sua assimilazione da parte dei papi successivi, dunque alla sapiente e consapevole elaborazione letteraria di un disegno da parte dell’umanista Giannozzo Manetti,57 in cui le voci del biografo e del pontefice si intrecciano e a volte si fondono, è legata la straordinaria fortuna del programma architettonico di Niccolò V, testimoniata dalla tradizione manoscritta dei secoli successivi.58 54 IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro III, § 11, pp. 212-213. 55 La preoccupazione di Niccolò V è forte perché il papato è segnato dal problema della mancata linea di successione dinastica, si veda sull’argomento M. MIGLIO, Premessa, in GIANNOZZO MANETTI, Vita di Nicolò V cit., p. 11. 56 IANNOTII MANETTI De vita ac gestis Nicolai quinti summi pontificis cit., libro III, § 12, p. 214. 57 «Poiché ai primi disegni del pontefice ne ho or ora aggiunti due soli, smetterò di parlare di questo, per lasciare al lettore intelligente il compito di valutare, tra le imprese edilizie la cui memoria resterà affidata alla mia opera, quanto grandi e quanto importanti sarebbero state tutte le altre», ivi, libro II, § 43, p. 189, il corsivo è mio. 58 Della Vita manettiana alcuni manoscritti tramandano infatti esclusivamente il progetto architettonico o solo la parte relativa alla basilica vaticana, si veda ivi, cap. II, La tradizione manoscritta. — 588 — I II Tav. I. FRANCESCO DI ANTONIO DEL CHIERICO (attr.), Ritratto di Giannozzo Manetti in atto di omaggio a Niccolò V, miniatura (Vita Nicolai quinti, 1455, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 66.22, c. 1r). Tav. II. FRANCESCO DI ANTONIO DEL CHIERICO (attr.), Niccolò V benedicente, miniatura (Vita Nicolai quinti, 1455, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 66.22, c. 1r). Tav. III. FRANCESCO DI ANTONIO DEL CHIERICO, Dedicazione del Duomo di Firenze, miniatura (Antifonario, 1463-1471, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Edili 151, c. 6v).