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Milano, riapre
l’Acquario civico
Il 1° aprile scorso, dopo tre anni
di chiusura, si è riaperto l’Acquario di viale Gadio a Milano,
un piccolo edificio Liberty eretto
esattamente un secolo fa, nel
ti del primo piano aperti al pubblico, è stato realizzato un percorso longitudinale che, dal
piano terra, conduce al terrazzo
esterno e, attraverso un giardino
d’inverno, all’auditorium. Il sistema espositivo delle vasche che
racconta il ciclo dell’acqua, dai
monti al mare, e che si avvale di
un apparato di acquariologia
all’avanguardia è stato realizzato
con soluzioni tecnologiche e formali innovative e di rilevante
impatto percettivo.
L’Acquario civico si trova in viale
Gadio 2, nel Parco Sempione e
può essere visitato gratuitamente tutti i giorni, da martedì a
domenica dalle 9,30 alle 13 e dalle 14 alle 17,30.
Un censimento
per l’architettura
contemporanea
1906, in occasione dell’Esposizione internazionale di Milano
per festeggiare l’apertura del
traforo del Sempione. Si tratta
del primo acquario in Europa
realizzato in un luogo lontano dal
mare. Danneggiato dai bombardamenti durante la guerra,
viene riaperto al pubblico nel
1963 e rimane attivo fino al
2003, anno in cui si decide di
restaurarlo. Il progetto viene affidato agli architetti Piero De
Amicis e Luigi Maria Guffanti,
con il coordinamento scientifico
del dott. Mauro Mariani.
La complessità dell’intervento
progettuale è consistita nel rendere compatibili, in un’ipotesi di
soluzione unitaria, tre ambiti
problematici diversi: l’insieme
dei requisiti tecnico-scientifici
per una nuova concezione dell’Acquario come sede sia espositiva che di ricerca idro-biologica, l’entità fisica dell’edificio,
vincolato per la sua rilevanza
architettonica e storica, e il quadro finanziario deliberato dall’Amministrazione comunale che
fissava limiti economici inderogabili. Si è scelto, in quest’ottica,
di utilizzare al massimo lo spazio interno dell’edificio, riorganizzandolo secondo aree funzionali
omogenee, acquisendo, al piano
interrato, le aree non cantinate
e soppalcando al primo piano,
dove possibile, tutti i locali.
Per utilizzare al meglio gli ambien-
Nel quadro delle attività promosse dalla Legge Regionale 16 del
2002 per la valorizzazione dell’architettura contemporanea, la
Galleria d’Arte Moderna di Bologna, in collaborazione con la
Regione Emilia-Romagna, assessorato programmazione e sviluppo territoriale e l’Istituto per i Beni
Artistici, Culturali e Naturali, ha
organizzato, nell’ottobre del 2005,
una mostra dedicata al tema dell’architettura contemporanea in
Emilia-Romagna.
Una commissione scientifica
formata da docenti delle università di Bologna e Ferrara, ha
catalogato gli edifici di rilevante
qualità architettonica realizzati
fra il 1945 e il 2000 nella Regione. I risultati di questa ricerca,
condotta anche attraverso specifiche campagne fotografiche
realizzate dall’Istituto per i Beni
artistici, culturali e naturali, sono
stati resi pubblici tramite la
mostra curata da Mario Lupano
e Piero Orlandi, il cui obiettivo è
stato quello di promuovere, presso il grande pubblico, la conoscenza dell’architettura contemporanea. I curatori, in questa occasione, hanno scelto di
mostrare fotografie, video, disegni – provenienti da archivi –,
progetti e plastici relativi a circa
200 edifici fra quelli censiti. In
particolare sono state esposte le
opere di alcuni dei maggiori archi-
tetti moderni e contemporanei
del panorama italiano che hanno
lavorato nella Regione – Franco
Albini, Piero Bottoni, Melchiorre
Bega, Giovanni Michelucci, Mario
Pucci, Aldo Rossi, Carlo Scarpa,
Gio Ponti, Giuseppe Vaccaro,
Vittoriano Viganò – e le letture
fotografiche di Luigi Ghirri, Paolo
Monti Gabriele Basilico, Nunzio
Battaglia, Michele Buda, Alessandra Chemollo, Paola De Pietri, Riccardo Vlahov, Giovanni
Zaffagnini. Parallelamente alla
mostra è stato pubblicato, a
cura di Maristella Casciato e
Piero Orlandi, il volume Quale e
Quanta. Architettura in EmiliaRomagna nel secondo Novecento, edizioni Clueb, Bologna,
che raccoglie il censimento completo. L’elenco delle architetture,
costituito di edifici pubblici e privati, e di tutto ciò che contribuisce alla costruzione dell’immagine della città, è stato redatto
sia su base bibliografica che
mediante indagini dirette presso
gli Uffici tecnici degli Enti locali,
e coordinato dalla stessa Commissione scientifica utilizzata per
l’organizzazione della mostra.
Martina Landsberger
—————-
Senz’acqua
Il 40% della popolazione mondiale soffre di carenze idriche.
5000 bambini muoiono ogni
giorno per malattie derivate dall’acqua contaminata. Più di un
1,4 miliardi di persone al mondo
non hanno accesso all’acqua
potabile. L’acqua e l’aria sono la
principale fonte di vita, pertanto
dovrebbero essere di tutti, non
proprietà o privilegio di qualcuno.
Non è così: il diritto alla vita è
negato a centinaia di milioni di
esseri umani. L’acqua oggi è solo
un bisogno, ma deve diventare
un diritto, inscritto nelle carte
costituzionali di tutti i paesi. Questo monito espresso dalla vedova Mitterand, impegnata in un
importante campagna di sensibilizzazione sull’acqua, emerge
nelle ragioni della mostra H20
nuovi scenari della sopravvivenza, organizzata a Milano dallo
Studio Marcatti & Associati negli
spazi di Emporio 31 (v Tortona
31), in concomitanza con l’ultima
edizione del Salone del mobile.
L’iniziativa no profit, realizzata
senza sovvenzioni nè sponsor,
ha chiamato a testimoniare la
“cultura del progetto”; architetti,
designer e grafici, con una tavola da disegno di 70 cm per 100
cm, hanno offerto il loro contributo al problema, chi con proposte di soluzione specifiche,
chi con immagini poetiche o
simboliche. In entrambi i casi si
è trattato di “reagire in modo creativo”. Facendo.
In esposizione 40 tavole realizzate con l’intervento di 75 professionisti, che hanno lavorato all’insegna della gratuità e solidarietà.
Il fine della mostra (che sarà itinerante e raccoglierà nuovi contributi dalle diverse città e Paesi
in cui sarà presente) è quello di
sensibilizzare e coinvolgere. Allargare l’attenzione e la partecipazione su un problema che è cruciale per il destino dell’umanità.
Irina Casali
Un percorso parallelo e complementare a quello della mostra allestita al Castello Sforzesco (Il Codice di Leonardo dal 24 marzo al
21 maggio) si snoda lungo via
Dante e via Mercanti, coinvolgendo i passanti in un viaggio
alla scoperta del genio di Vinci.
Due i temi principali affrontati da
un centinaio di pannelli che guidano alla conoscenza del Maestro e della sua attività milanese: “Il Codice Svelato” e “I Navigli di Leonardo”. Il primo illustra
i segreti nascosti nei suoi codici, ponendo l’accento sui suoi
rapporti con la città: i progetti
per Milano, la realizzazione del
Cenacolo, il disegno di una città
ideale per Ludovico il Moro. Il
secondo tema raccontanta, attraverso disegni, dipinti e fotografie, il rapporto del Maestro
con le vie d’acqua. Giunto a
Milano nel 1482, restò affascinato dal sistema medioevale dei
Navigli, tanto da annotare i vari
corsi d’acqua (tra cui il Naviglio
della Martesana da poco ultimato), le opere realizzate e le sue
proposte di miglioramento per le
conche. Studiò il comportamento delle acque, immaginò ponti
mobili e una giardino di delizie
con fontane e giochi d’acqua,
per primo studiò i laghi della
Brianza e un nuovo canale per
rendere l’Adda navigabile. L’affascinante percorso, illuminato
anche di sera, è frutto della collaborazione fra il Museo della Scienza e della Tecnologia e l’Associazione Amici dei Navigli. Ricco di
citazioni, testi e immagini riporta
il passante attento e curioso nel
clima della Milano rinascimentale.
Anna Ramoni
Il festival del
paesaggio a Pavia
Tra 25 marzo e 2 aprile 2006 il
settore Cultura del Comune di
Pavia, nell’ambito del programma Pavia, Città internazionale
dei saperi, con la cura scientifica di Luisa Bonesio, ha organizzato il festival del paesaggio:
L’anima dei luoghi. Tra visite
guidate, navigazioni in battello,
laboratori per bambini, workshop di cinema, eventi gastronomici e presentazioni di libri,
sono state organizzate alcune
importanti occasioni di riflessione sul paesaggio pavese.
• Mostre al Castello visconteo:
Lungo il fiume, mostra cartografica; Calvino e le sue radici,
mostra documentaria; Riflessi
sull’acqua, mostra documentario-iconografica.
• Videoinstallazione critica in
piazza della Vittoria: Immagini di
arredo urbano pavese, a cura di
Luca Micotti e Lorenza Aprici.
• Convegni: 25/3 Un territorio in
Partenza: viaggio da Pavia al
Mare per il recupero del paesaggio (sono intervenuti: Giovanni Iannelli, Aurora Scotti,
Francesco Puma, Carlo Cacciamani, Luigi Mille, Marco Dezzi
Bardeschi, Graziella Sibra); 28/3
Progettare il paesaggio: come
la politica disegna il territorio
(sono intervenuti: Fabio Granata, Emilia Benfante, Milena Bertani, Silvana Borutti, Giuseppina
Balzamo, Franco Sacchi); 29/3
Paesaggi in prospettiva (a cura
di Luisa Bonesio, sono intervenuti: Maurizio Vitta, Claudia Pasqualini Salsa, Luigi Zanzi, Alberto Magnaghi, Massimo Quaini,
Annalisa Maniglio Calcagno, ha
coordinato Luigi Russo); 31/3
Paesaggio urbano pavese: identità fluviale, identità fluida (a cura
di Luca Micotti, sono intervenuti:
Vittorio Prina, Remo Dorigati,
Alessandro Rocca); 1/4 L’“Abitare” e la grazia. Nuovi percorsi
tra Bellezza, Tecnica, Agricoltu-
ra (a cura di Luciano Valle, sono
intervenuti: Paolo Lassini, Gabriele Corti, Maurizio Boriani, Agnese Visconti).
• Laboratori: 28/3 Giardinamente. Il Giardino dei Sensi, a cura di
Franca Bottaro; 30/3 Filosofia
del camminare. Laboratorio itinerante con momenti di raccoglimento per scrittura diaristica,
a cura di Duccio Demetrio.
• Conversazione conclusiva, 2/4
aula magna dell’Università: L’anima dei luoghi con James Hillman.
Progettazione
del paesaggio
L’AIAPP – Associazione Italiana
di Architettura del Paesaggio è l’ente cui fanno riferimento
molti professionisti attivi nel
campo della paesaggistica.
L’Associazione, affiliata all’IFLA
(International Federation of
Landscape Architects e all’EFLA, European Foundation for
Landscape Architecture), è
impegnata a promuovere la cultura del paesaggio, la tutela, la
conservazione e il miglioramento della qualità ambientale del
nostro paese. Una delle iniziative dell’AIAPP, gestite da anni
con successo, è quella dei
“Giovedì verdi”, cicli di conferenze sul paesaggio organizzate al Museo di Storia Naturale di
Milano. Dopo le scorse dieci
edizioni che hanno visto la presenza di noti paesaggisti internazionali, tra cui Peter Latz,
Kathryn Gustafson, Martha
Schwartz, Bet Figueras, Henri
Bava, Michel Corajoud, Christophe Girot, quest’anno la
nuova serie di incontri è dedicata al tema del “Paesaggio progettato”. Quattro famosi paesaggisti presentano le loro
esperienze e la loro teoria sulla
progettazione del paesaggio. Il
primo relatore è stato Paolo
Burgi, svizzero, che ha presentato i suoi progetti caratterizzati
da minimalismo e poesia, dall’arte unita alla tecnologia. Una
delle sue realizzazioni più recenti ha interessato il comprensorio di Cardada, vicino a Locarno (vedi foto), dove il progettista ha effettuato una serie di
interventi, dando un notevole
contributo alla comprensione
del paesaggio e del territorio
montano e del Lago Maggiore,
con la costruzione della Piazza
d’arrivo della funivia, dell’Osservatorio Geologico, del Sentiero
Ludico e del Promontorio Paesaggistico.
La seconda conferenza è stata
tenuta da Alain Provost, uno dei
più importanti architetti francesi
del paesaggio, il cui lavoro
include rilevanti progetti come
quelli per Courneuve Park, per
l’Eurotunnel a Calais, il Technocentre Renault a Guyancourt, la
ricostruzione dei giardini del
castello di Villarceaux, e il Thames Barrier Park a Londra.
Charles Jencks, architetto di
fama mondiale, autore di numerose pubblicazioni sulla teoria
dell’architettura e sul paesaggio, ha presentato il suo “Giardino della speculazione cosmica”. Quest’opera ha interessato
una tenuta a Portrack, nelle
Lowlands scozzesi, dove ponti,
stagni e siepi sono stati pensati
e pianificati come espressione e
corrispondenza di forme cosmiche, onde e frattali, che descrivono la struttura dell’universo,
secondo un’idea della realizzazione del paesaggio che coinvolge la concezione stessa dell’universo e della scienza. Chiude gli incontri del giovedì l’esposizione di Fernando Caruncho, filosofo e giardiniere. Per
l’artista spagnolo, che non ama
la definizione di paesaggista, tre
sono gli elementi fondamentali:
l’acqua, la luce e la geometria. I
suoi paesaggi sono intrisi di
poesia e concepiti per apportare pace e serenità. Le sue opere
più recenti sono state realizzate
a Madrid, sulla Costa Brava e a
Gerona, in Catalogna.
Manuela Oglialoro
31
OSSERVATORIO ARGOMENTI
Leonardo svelato
a cura di Roberto Gamba
32
2
Area ex Ansaldo a Milano
settembre – ottobre 2005
Questo concorso ad inviti è
stato bandito dalla Pirelli RE e
dalla Morgan Stanley RE Funds,
raggruppamento proprietario dei
terreni nell’area ex Ansaldo a
Milano, in viale Sarca. Lo spazio
è occupato da capannoni di 60
mila mq posto a ridosso della
Bicocca Village – l’Entertainment
Centre. Si è trattato di ridefinire
l’immagine e la funzione dell’area, per le destinazioni d’uso
industriale e commerciale.
Il bando prevede la realizzazione
su un primo lotto di oltre 52.000
mq di un edificio uso uffici, mentre
sui restanti circa 8.000 mq di slp
saranno distribuite funzioni compatibili, prevalentemente ad uso
commerciale. È prevista inoltre la
realizzazione di 17.007 mq di parcheggi prevalentemente interrati.
L’avvio dei lavori è previsto nella
seconda parte del 2006; il valore del complesso immobiliare,
una volta ultimato, sarà di circa
200 milioni di euro.
Erano stati invitati a partecipare
10 gruppi: von Gerkan, Marg
und Partner; Maurizio Varratta;
Exposure Arch.; MCA Integrated
Design; Metrogramma, 5+1, Lissoni Ass., Giampiero Peia Ass.,
Sebastiano Brandolini, Milanoprogetti, MS Ing., Ezio Micelli;
CMR; Beniamino Servino con G.
Ambrosio, G. Del Giudice, A. Di
Virgilio, L. Molinari, AI Eng., AI
Studio Ass. (S. Cremo, O. Berta);
Cino Zucchi Arch.
Sono stati proclamati vincitori
ex aequo lo studio Archea e
Michael Maltzan, che successivamente sono stati invitati a
collaborare per dare forma ad
una terza definitiva soluzione.
L’ente banditore ha indicato
l’attenzione al criterio della
sostenibilità ambientale, metro
imprescindibile nella valutazione dei progetti.
1° classificato ex aequo (foto 1- 3)
Archea Associati (Firenze):
Laura Andreini, Marco
Casamonti, Silvia Fabi, Gianna
Parisse, Giovanni Polazzi
Nel secondo che ha una superficie di circa 7.000 mq si prevede la realizzazione di una struttura composta da un insieme di
edifici a forma cilindrica ed un
edificio parallelepipedo di testa
che chiude lo spazio, con all’interno gli spazi commerciali.
I materiali previsti eco-compatibili sono blocchi in laterizio porizzato con farina di legno, malta di
calce e calcestruzzo con argilla
espansa. Le facciate esterne dell’edificio sono realizzate da una
doppia pelle costituita internamente da serramenti vetrati ed
esternamente da una schermatura in vetri trasparenti.
Il progetto è concepito come un
dialogo tra i due lotti, alternando pieni e vuoti, concavi e convessi. Nel primo si prevede la
realizzazione di un edificio uso
uffici costituito da un piano
interrato ad uso parcheggi e
sette piani fuori terra. L’immobile è un parallelepipedo con dei
vuoti di forma cilindrica all’interno dei quali sono localizzate
delle piccole piazze.
1
3
1° classificato ex aequo (foto 4-6)
Micheal Maltzan Architecture
(Los Angeles)
Il progetto prevede la realizzazione di un complesso costituito da due torri a pianta quadrata, di dimensione differente
(primo lotto: lato circa 61 m;
secondo lotto: lato circa 45,8
m), situate ai margini est e ovest
dei due lotti e collegati tra loro
da un ponte aereo alto 20 metri.
Le attività commerciali si trova4
5
no a piano terra di entrambi i
complessi.
Le aree a verde sono concentrate a piano terra con un grande parco che si dirada in entrambi i lotti.
In entrambi i lotti si prevedono
due livelli interrati di parcheggi
di pertinenza degli edifici. I
materiali da costruzione di cui si
prevede l’utilizzo sono ecocompatibili in quanto sostituti
del cemento e a base di acciaio
riciclato.
6
3
Riqualificazione del centro sportivo
di Cortenuova (Bergamo)
luglio – ottobre 2005
Tema del concorso di progettazione è l’ampliamento e la
riqualificazione del centro sportivo comunale, che dovrà prevedere la realizzazione di campi
da calcio, campo da tennis,
piscina, una pista ed un’area
verde per l’atletica; un parco
pubblico, strutture ricreative,
parcheggi, per una complessiva spesa di euro 8.000.000.
Erano richieste tre tavole in formato A0. Il montepremi è stato
di 26.000 euro.
La Giuria era composta da
Fabio Sansottera, Roberto
Zampoleri, Giorgio Rizzi, Giuseppe Molari, Giuseppe Ranghetti, Gianni Roncaglia, Anto-
nio Cortinovis, Filippo Simonetti, Sergio Crotti.
Si sono classificati al terzo e
quarto posto, ma poi esclusi
dalla premiazione: Emiliano Bellini con S. Volpe e Alberto Roscini con A. Piantanida, C. Nozza,
A. Gobbi, M. Benedetti.
Segnalati sono stati i progetti di
Maria Claudia Peretti con S.
Longaretti, I. Vizzardi, M.C. Bertuzzi; G. Fenyves; Lorenzo
Consalez con M. Rossi, E. Bertinotti, P. Citterio (Morandi e Citterio arch.), A. Starr Stabile, E.
Gelmetti, F. Peruzzotti.
Classificato al nono posto Frans
Giobbi con F. Gilberti, E. B. Giobbi, D. Guidetti, M. Masneri, F.
Vida, M. Sissa Magrini.
1° classificato (foto 1-3)
Paolo Belloni (Bergamo) con
PBEB Architetti, Elena Brazís
collaboratori: Michele Todaro,
Davide Pagliarini
posta la pianura coltivata. I solchi della campagna entrano
nella città. Superfici monomateriche – recinzioni – modesti edifici di servizio – tribune e spazi
per il pubblico: come organizzare questi pochi elementi per
costruire “luoghi”? Il progetto si
costruisce per segmenti giustapposti, una sequenza alternata di fasce che organizzano
spazi per l’attività sportiva e
spazi di interconnessione destinati a parco. Ogni fascia è
organizzata da una sequenza di
“campi” architettonicamente e
funzionalmente compiuti.
Architettura e territorio; campagna antropizzata e limiti della
città diffusa: la pianura bergamasca è luogo di transito tra la
collina e la pianura, ma è anche
luogo di transito di infrastrutture
e canali irrigui che segnano il
territorio. Il luogo è geograficamente chiaro, il suo orientamento è nord-sud: da un lato la
montagna e nella direzione op-
2° classificato (foto 4-6)
Martina Cafaro (Treviso),
Monica Bosio, Marco Ferrari,
Carlo Zavan, Alberto Fichera
Le attrezzature sportive vengono concentrate all’interno di
grandi “forme di terra”, nella
maggiore delle quali viene mantenuto il campo da calcio a
undici. Ogni recinto ha una propria autonomia funzionale, sia
come dotazione di servizi che
come accessibilità e sosta. Il
parco, che si estende su una
superficie di 19.500 mq, nasce
dall’articolazione tra terrapieni e
4
5
1
6
2
sistema della vegetazione, in
voluto rapporto con lo spazio
polifunzionale per manifestazioni socio-ricreative.
Il progetto adotta la nuova viabilità di accesso prevista dal P.R.G.,
ma ne propone una versione del
tipo “strada-parco” per mediare
il rapporto con la campagna.
Il primo lotto di opere previste
comprende i lavori che rendono
funzionale l’utilizzo del campo
da calcio esistente e del nuovo
campo da calcio a sette, e allo
stesso tempo suggeriscono
l’assetto futuro del parco e delle
aree centrali del paese.
OSSERVATORIO CONCORSI
33
34
3° classificato (foto 7-9)
Antonio Lazzaretto (Milano),
Francesco Marmo, Giulio
Rabboni, Elena Magi, Marco
Barin, Lisa Santin, Alessandro
Prati, Carlo Barrese, Renato
Renzo Angella
collaboratori: Lisa Santin,
Giulio Raboni
L’impianto planimetrico del progetto viene strutturato rispettando l’orientamento della centuriazione, che informa il paesaggio agricolo circostante. Una
serie di recinti, di diverse carat7
8
teristiche fisiche, delimitano le
funzioni specifiche, il parco, i
campi da gioco, l’area delle piscine, le corti giardino, la piazza
alberata per le feste, i giochi dei
bambini, i parcheggi, gli edifici,
formando una gerarchia di percorsi, di spazi aperti, di interni.
Procedendo dall’esterno verso
l’interno dell’area, il densificarsi
delle funzioni genera una progressiva complessificazione degli
spazi e dei percorsi che si conclude nella articolazione degli
interni degli edifici caratterizzati
da una forte introversione.
Riqualificazione del Lungolago
di Malgrate (Lecco)
maggio – novembre 2005
Il Comune aveva bandito questo concorso di idee per la
riqualificazione urbanistica, culturale e sociale del lungolago,
dal confine con il Comune di
Valmadrera, (via Parini) sino al
Ponte Azzone Visconti in località Porto. Era richiesto un intervento che esaminasse la passeggiata a lago (nuovi percorsi
e spazi pedonali e ciclabili; il
ridisegno del luogo urbano, da
compiersi anche attraverso un
attento studio dei materiali e
delle tipologie degli arredi, del
sistema di illuminazione; uno
studio del verde.
La Piazza Garibaldi, fulcro del
centro storico, manca di una
propria identità; la riqualificazio-
ne del porticciolo doveva prevedere un nuovo pontile d’attracco; inoltre, doveva essere rivista
e valorizzata l’area di tutta la
riva interessata al rimessaggio
delle barche integrandola con la
passeggiata a lago. La Giuria
era composta da Leopoldo Emilio Freyrie, Simone Cola, Massimo Mazzoleni, Gerolamo Ferrario, Massimiliano Valsecchi.
Sono stati segnalati i progetti di
Sergio Fumagalli (LFL architetti),
Piero Luconi, Laura Luconi, Alessandra Manzoni, Giovanni Sacchi, Dario Zappa; di Ilaria Gurian,
Antonella La Spada, Davide De
Giobbi, Prisco Ferrara. Menzionato il progetto di Silvio Delsante, Augusto Colombo, Alberto
Capitanio, Remo Capitanio.
1° classificato (foto 1-3)
Andrea Gerosa (Lambrugo,
Como), Vincenzo Gaglio
circa 240 posti auto a raso. Per
ovviare all’assenza di un significativo spazio di relazione si prevede, tra i vari interventi a carattere puntuale disclocati sul lungolago, la costruzione di una
vera piazza, la Piazza Garibaldi,
localizzata su rilevato appositamente costruito. Questa si contraddistinguerà per un nuovo e
forte carattere identitario attribuitogli dalla presenza dell’imbarcadero, dal ridisegno delle pavimentazioni, dalla presenza di
nuovi luoghi di ritrovo coperti e
attrezzati con attività quali, centro informazioni, biglietteria per la
navigazione su lago e caffetteria.
L’unitarietà del nuovo Lungolago di Malgrate è affidata alla
ridefinizione dell’attuale sezione
stradale tramite la costruzione
di un percorso ciclo-pedonale
coperto da pergolato, l’inserimento di idoneo arredo urbano,
la messa a dimora di essenze
arboree che integreranno quelle
esistenti, interventi sul nastro
stradale per il rallentamento del
traffico veicolare, l’ottimizzazione degli spazi adibiti a parcheggio che permettano di ricavare
1
9
1
3
Studio di fattibilità dei parchi Castel Cerreto
e Roccolo a Treviglio (Bg)
luglio – ottobre 2005
Il tema del concorso è lo studio
di fattibilità di un parco “storiconaturalistico” per la località Castel
Cerreto e “ricreativo-ludico” per
la località Roccolo: vale dire un
insieme di sistemazioni paesistiche, di tutela e di recupero
che tengano conto dei valori
ambientali, storici, archeologici
ed artistici dei luoghi delle aree
interessate in rapporto anche a
possibili Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS) la cui
formazione è auspicata dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP).
I partecipanti hanno dovuto formare gruppi di lavoro con almeno un laureato in architettura, in
scienze agrarie, in scienze naturali, in materia ambientale e con
un giovane professionista.
Erano richieste due tavole per
ogni parco in formato A1.
Per il vincitore era previsto un
premio di euro 10.000; al secondo e al terzo classificato rispettivamente euro 5.000 e euro
2.500. Quattro sono stati i partecipanti.
La giuria era composta da Antonio Maraniello, presidente; Flavio
Bregant, Achille Bonardi, Carlo
Stanis Cecchini Manara, Domenico Egizi, Giorgio Zordan.
Oltre ai due progetti qui presentati, si sono classificati al terzo
posto Maria Zerillo e al quarto
Michelangelo Lassini.
1° classificato (foto 1-2)
Barbara Oggionni (Treviglio)
con Giovanna Angelucci,
Enrico Antignati, Ferdinando
Baruffi, Claudia Bencetti,
Isabella Bussi, Livio Leoni
ecologici e da percorsi estendibili anche al territorio, così da
supportare la fattibilità di un
PLIS. A corredo della normativa
proposta, basata su studi di settore, vi sono progetti con inserimento di orti urbani di quartiere
finalizzati a collegare le aree di
margine urbano con il Parco Roccolo; di orti didattici che ripro-
Sono stati formulati due progetti
distinti, come richiesto dal bando,
ma collegati fra loro da corridoi
e lungo le nuove reti infrastrutturali che dovrebbero essere
realizzate all’interno delle aree
tutelate. Lungo i percorsi sono
previste aree di sosta con indicazione dei siti di pregio che i
percorsi stessi attraversano,
così da favorire la realizzazione
di un grande parco a scala territoriale.
35
OSSERVATORIO CONCORSI
pongono le antiche colture tipiche della zona; di ripopolamento dei boschi e dei fontanili, così
da garantire la sopravvivenza
delle zone naturalistiche.
I corridoi ecologici sono realizzati con fasce boscate che divengono barriere vegetali poste
lungo i margini delle linee ferroviarie che attraversano i parchi
2
OSSERVATORIO CONCORSI
36
le presenza di vaste aree recintate legate a specifiche funzioni
(lago artificiale, parco associazioni, area sperimentazione mezzi agricoli). La diretta prossimità
con il margine urbano amplifica
la vocazione ludica delle aree
verdi; la presenza delle strade a
2
scorrimento veloce o delle vie
ferrate può divenire un elemento che caratterizza il gioco formale di un parco urbano di scala sovracomunale, da attrezzare
per specifiche attività ricreative,
con una grande piazza pavimentata.
3
4
5
2° classificato (foto 3-5)
Franco Balbo (Carvico,
Bergamo), Elena Perico,
Maurizio Panseri, Emanuela
Panseri, Matteo Panseri
La pianura coltivata è caratterizzata da campi e filari alberati che
riquadrano il territorio in “stanze
verdi”. Il progetto prevede di utilizzare questi elementi, formali e
funzionali, per cercare di restituire unitarietà ad un ambiente
oggi frantumato. Lo spazio aperto dei due Parchi si viene così a
legare nuovamente sotto una
stessa regola: i confini vengono
stabiliti. Gli spazi possono essere destinati e attrezzati a diverse funzioni ricreative, con una
grande piazza pavimentata e
sottomessi a differenti leggi formali, senza che l’unitarietà del
territorio venga tradita.
Il Parco Roccolo è prossimo al
centro cittadino e vi è la tangibi-
F. Albini, I. Gardella, G. Minoletti, G. Pagano, G. Palanti, G. Predaval,
G. Romano, “Milano Verde: progetto di sistemazione della zona SempioneFiera”, fotografia del modello, in “Casabella Costruzioni”, dicembre 1938.
Nell’ambito dei “Martedì del
Corriere della Sera” si sono
tenuti, presso la sede del giornale, una serie di incontri incentrati sul tema della costruzione
della città, sui progetti per la
grande Milano. Il confronto fra
politici, amministratori, architetti
è proseguito, poi, sulle pagine
dello stesso quotidiano.
Il 21 febbraio, apre la discussione, introducendo i temi dei successivi interventi, Stefano Boeri,
direttore di “Domus”. Sotto elezioni, le idee scendono in piazza
(…) Un frastuono di proposte
(…) che a ben guardare nasce
da due principali tribù di idee.
La prima tribù raccoglie le idee
con le gambe lunghe e la testa
in cielo. Lungimiranti e caparbie, queste idee guardano dall’alto grandi porzioni di territorio
(…) Suggeriscono soluzioni complessive per i grandi problemi
urbani (…) Ma fanno qualche
fatica a guardare in basso, a
dirci come e soprattutto dove
applicare queste soluzioni (…)
La seconda tribù di idee non
corre questo rischio. I suoi
membri hanno i piedi ancorati al
suolo e gli occhi ben vicini a
terra (…) dispongono di un’appassionata precisione geografica. In questi giorni accade che
le due tribù, s’incontrino (…)
che attorno a un’idea generalista si radunino tante piccole
idee localiste (…) Di questi tempi avremmo bisogno di idee
capaci di parlarci di luoghi concreti, ma anche di aprirci il
cuore verso alcune ambiziose
prospettive di sviluppo. Idee
con i piedi per terra e la testa
nel cielo; legate sia a un luogo
che a un sogno possibile (…) la
forestazione di parti del Parco
sud e la loro connessione con i
Parchi periurbani esistenti farebbe di Milano una metropoli interamente perimetrata da una cintura verde (…); le politiche sulla
cultura (…), un programma di
inziative (…), un Parco delle Culture; la questione della casa (…)
Progetti di questo tipo appartengono alla tribù delle idee che
tengono insieme un pezzo fisico
di territorio, una rete di energie
economiche e un immaginario
simbolico potentissimo.
Mario Botta (22 febbraio) affronta, senza mezzi termini, la que-
stione dei grandi progetti che
stanno trasformando la città e
attacca il Comune, gli architetti
e i committenti. Si è voluto riempirli di mix funzionali perché
aspirano a essere delle città
autosufficienti. In realtà sono
delle caricature delle città (…)
non rispettano le tracce storiche
(…) Abbiamo copiato un modello americano (…) un modello
sbagliato (…) La nostra colpa è
stata quella di non fermare l’importazione di modelli uguali in
tutto il mondo. Con Botta concorda Gae Aulenti (23 febbraio)
che sottolinea come il responsabile del disegno urbano sia
chi governa e non tanto l’architetto. A Milano è mancato questo tipo di governo (…) la città si
è frammentata (…) Ce l’ho con
questa giunta. Perché non è
propositiva Ha giocato sempre
a nascondersi preferendo una
comunicazione bizzarra alle
cose concrete (…) Basta sfogliare quell’opuscolo sui parchi
distribuito dall’Urban Center.
Dove tutto viene definito parco
(…) I grandi parchi di chiusura
dell’abitato servono a creare dei
limiti, delle regole e a evitare il
fenomeno della periferia (…)
Quando si parla di continuità dei
tessuti intendo proprio il tessuto
che continua e finisce nei parchi. Quella dovrebbe essere la
periferia, una periferia di qualità.
L’assessore Verga (22 febbraio)
ricorda come le aree di intervento siano aree dismesse in cui
pare difficile trovare le tracce
storiche “invocate” da Botta;
Stefano Boeri aggiunge di non
approvare completamente gli
interventi in atto e Ugo Bernardi, presidente di Citylife, aggiudicatrice del concorso per l’area
della Fiera, puntualizza che le
linee guida c’erano e che nel
progetto è stata sottolineata la
vocazione di innovazione e
internazionalizzazione dell’area.
Al dibattito si aggiungono due
rappresentanti politici – Carlo
Cerami per i DS e Maurizio Lupi
per Forza Italia – Alberto Ferruzzi, presidente di Italia Nostra,
Fabio Terragni, amministratore
delegato di Milano Metropoli
Agenzia di Sviluppo e Manfredi
Catella, amministratore delegato di Hines Italia. Quest’ultimo
(25 febbraio), sul tema dei grandi progetti, invoca l’aspirazione
a ideali che possano sostenere
visioni strategiche di lungo
37
periodo (…) La domanda che
dovremmo tenere ferma nel
dibattito è come vogliamo che
sia l’Italia tra qualche decennio
(…) La riqualificazione delle
nostre città e del nostro territorio rappresenta uno degli ingredienti irrinunciabili per la riaffermazione della nostra competitività, ma dobbiamo trovare il
modo per giocare bene (…)
grandi architetti al lavoro in Italia, combinazione fra architetti
italiani e stranieri e concorsi (…)
per creare competenze e conoscenze (…) Oggi le aree cui si
riferiscono i grandi progetti di
Milano sono in gran parte “isole”
(...) sconnesse dalla città. Per
Alberto Ferruzzi (5 marzo), che
concorda sulla necessità di una
cintura verde, Milano attraverso il
frazionamento dei “grandi progetti” ha perso un’occasione strategica che non si ripeterà più (…)
E affronta il tema dei piccoli progetti soffermandosi sulla Legge
regionale dei sottotetti a Milano
applicata senza alcuna considerazione del decoro urbano.
Fabio Terragni (24 febbraio) invita a confrontarsi sul futuro della
città senza trascurare la dimensione attuativa. Tre sono le proposte: la prima riguarda la dimensione metropolitana secondo la
quale la città potrà affrontare
adeguatamente i suoi problemi
solo se si farà capoluogo di una
più ampia regione urbana (…)
Se Milano non diventa metropoli è destinata a soffrire e non
crescere. Poi, la possibilità di un
“grande evento” (…) un’iniziativa globale che metta al centro
sapere e conoscenza, coinvolgendo università e imprese (…)
Infine: forestazione urbana e
nuovi insediamenti ecologici
(…) Milano Metropoli sta discutendo con Regione Lombardia
e Provincia di Milano per avviare una procedura d’incentivazione della forestazione delle
fasce attorno alla città che permetta anche di realizzare “Ecovillaggi urbani”, che rappresentino una risposta alle esigenze
di abitare, di verde, di socialità.
Infine, i due rappresentanti politici. Lupi (26 febbraio) affronta
l’argomento a partire da quanto
fatto dalla giunta Albertini. Nel
’97 Milano era una città senza
depuratori e con soli 7 mq di
verde per abitante. Oggi la
nostra città ha i depuratori (realizzati dopo che la Corte di giustizia europea aveva condannato lo Stato Italiano per l’inadempienza milanese, precisa Ferruzzi) e i mq di verde per abitante
sono raddoppiati. Condivide l’idea di Boeri sulla ”cintura
verde”: sì al modello Parco Nord
e Bosco in Città, no al modello
Parco Sud; e sottolinea come
Milano nei fatti sia già una cittàRegione che necessita di uno
status legislativo speciale. Altre
questioni riguradano le strutture
d’eccellenza, la questione della
casa e della città sotterranea.
Cerami (2 marzo), apprezzando
la disponibilità al dibattito offerta da Lupi, sostiene la necessità di una valutazione realistica
dei problemi che gravano sulla
città. L’assenza di politica e di
visione strategica di Palazzo
Marino induce gli esponenti del
centrodestra a tentare di segnare una discontinutà con il recente passato (…) i grandi progetti
sono stati concepiti in una logica di pura negoziazione tra
Comune e operatori lasciando
fuori la città. Gli interventi proposti sono condivisibili (…) È
auspicabile un’architettura di
forte simbolicità, che tenga
conto dei valori ambientali e
della qualità urbana. Ma il ruolo
del Comune come operatore
immobiliare (…) dovrà ispirarsi
al principio del contenimento
dell’uso del suolo (…), a una
sapiente localizzazione della
residenza a prezzi agevolati, a
una forte presenza di nuovi
spazi di offerta culturale. Tutto
ciò in accordo con l’amministrazione cittadina, la Provincia,
la Regione, i sindaci dell’hinterland costruendo quel governo
metropolitano che, più che di
poteri speciali, necessita di una
guida lungimirante e politicamente forte. E di un programma
strategico e condiviso.
Martina Landsberger
OSSERVATORIO RILETTURE
La tribù delle idee
38
La modernità
di Marcello Canino
Sergio Stenti (a cura di)
Marcello Canino1895/1970
Clean, Napoli, 2005
pp. 240, € 30,00
Ciò che emerge dal volume
monografico su Marcello Canino
– edito in occasione della mostraconvegno tenutasi a Napoli nel
giugno 2005 – è che, ripercorrendo l’attività di un protagonista
dell’architettura napoletana ed
italiana del Novecento, si possa
iniziare a far luce su un intero
mann, Behrens; un professionista attento alla tradizione, ma
rivolto verso un’idea di modernità fortemente segnata dal rapporto con la storia e la classicità;
un intellettuale che pur nella difficoltà del momento storico manifestava un carattere moderno nell’attenzione posta alle questioni
urbane. Il volume si completa
con una parte analitica affidata a
giovani architetti e ricercatori che
ordinano la vasta produzione
architettonica di Canino secondo
precise questioni tematiche.
Risultano particolarmente interessanti i saggi sulle cosiddette
architetture minori – ville, edifici
industriali, stazioni, quartieri residenziali, ecc. – che vengono analizzate attraverso una lettura
orientata a evidenziarne gli aspetti progettuali e compositivi.
La casa popolare in Lombardia
1903-2003 è il catalogo di quella mostra ed è, mentre lo recensiamo, già esaurito.
Questa opera, nelle parole del suo
curatore: “mediante un ricco ed
articolato quadro di saggi e di
schede analitiche documenta e
riflette sugli studi e sui materiali
ordinati per la mostra che non si
limitano ai quartieri di edilizia pubblica frutto del progetto dei maestri dell’architettura del Novecento
lombardo, ma anche di molte realizzazioni poco conosciute che
il lavoro analitico svolto presso
le diverse Aler di Lombardia ha
permesso di identificare. Il volu-
Paola Catapano
periodo storico da tempo trascurato, se non addirittura negato: quello che va dagli anni del
regime fascista fino alla ricostruzione postbellica.
La lettura condotta da Stenti e da
un gruppo di studiosi sull’attività
poliedrica e sulle diverse accezioni del fare architettura di Canino,
non si esaurisce in una semplice
catalogazione-sistematizzazione
dei suoi lavori. Le tappe, le occasioni, la crescita dell’architettoingegnere, sono descritte, “unendo diversi punti di vista” che restituiscono uno spaccato della
cultura architettonica di quegli
anni. I grandi concorsi promossi
dal regime con la realizzazione
del palazzo delle Finanze e della
Provincia, le ville private, il rione
Carità, la Mostra d’Oltremare e
il quartiere di Fuorigrotta, le
terme di Castellammare, il rione
Traiano, sono analizzati con
sistematicità e rigore interpretativo e sono riletti alla luce di
riflessioni sulla politica urbana e
sul dibattito architettonico degli
anni del dopoguerra, attraverso
il continuo rimando ad altri protagonisti di quella generazione.
Dai diversi contributi si delinea
la figura di un uomo e un architetto erroneamente trascurato
dalla critica contemporanea; un
professore amato e stimato che
coniugava l’estetica di Croce
con il richiamo all’ordine delle
opere di Perret, Asplud, Hoff-
La casa popolare
in Lombardia
Raffaele Pugliese, (a cura di)
La casa sociale. Dalla legge
Luzzatti alle nuove politiche
per la casa in Lombardia
Unicopli – DPA, Politecnico di
Milano, 2005
pp. 174, € 20,00
Raffaele Pugliese, (a cura di)
La casa popolare in Lombardia
1903-2003
Unicopli – DPA, Politecnico di
Milano, 2005
pp. 366, € 50,00
Alla fine del 2005, a due anni
dalla celebrazione del centenario della legge Luzzatti, l’editore
Unicopli ha dato alle stampe
due pubblicazioni a cura di Raffaele Pugliese che fanno il punto
della situazione sulle politiche
regionali della casa e offrono la
più aggiornata chiave di lettura
dello straordinario patrimonio
ex-IACP della Lombardia.
Il primo volume La casa sociale.
Dalla legge Luzzatti alle nuove
politiche per la casa in Lombardia raccoglie i contributi del convegno che aveva inaugurato la
mostra al palazzo della Triennale
e che tra la fine del 2003 e nel
2004 ha girato anche nelle città
di Brescia, Varese, Mantova,
Lecco, Lodi e Pavia. La seconda
me si propone come preliminare
e fondativo nucleo di conoscenza di quel sapere civile indispensabile per affrontare in modo consapevole il rapporto con il patrimonio e con il passato”.
Vista la rilevanza del patrimonio
che ci è stato tramandato da
cento anni di edilizia residenziale pubblica è inutile sottolineare
l’importanza di queste pubblicazioni, soprattutto al fine di
sollecitare una maggiore continuità del dialogo tra gli amministratori, il mondo della ricerca e
quello delle professioni che è
stato allora così ben avviato per
scivolare poi in secondo piano
di fronte al concretizzarsi dei
primi interventi e all’incalzare
delle scadenze elettorali.
Antonio Borghi
I Samonà,
architetti operanti
AA.VV.
Giuseppe e Alberto Samonà
1923-1993. Inventario analitico
dei fondi documentari
conservati presso l’Archivio
Progetti
Il Poligrafo, Padova, 2003
pp. 502, € 32,00
Se è vero che l’architettura è una
disciplina che si costruisce su se
stessa, è cioè una scienza fondata sulla conoscenza delle
esperienze precedenti, allora
ben si comprende l’utilità, o
meglio la necessità, di istituire
archivi pubblici, in cui sia conservata, secondo precise metodologie scientifiche, la memoria
storica di chi ha, con la propria
opera, più o meno profondamente inciso sulla costruzione di
un territorio, o su quella di un
pensiero teorico, o addirittura sia
riuscito a coinvolgere entrambi
gli ambiti. In quest’ottica, l’iniziativa dell’Istituto di Architettura di
Venezia (IUAV), in particolare del
suo Archivio Progetti diretto da
Roberto Sordina, di catalogare e
rendere pubblico l’archivio di
Giuseppe e Alberto Samonà,
depositato presso l’Ateneo nel
1993, appare di grande rilievo
per un duplice motivo: da un lato
per aver cercato di sistematizzare – operazione di grande complessità dovuta al modo stesso
di operare dei Samonà – il lavoro
di questi due importanti architetti, entrambi impegnati anche nell’attività didattica proprio presso
l’Ateneo veneziano, e in secondo luogo per aver reso accessibile l’archivio al pubblico tutto,
ma soprattutto agli studenti della
Scuola. Una Scuola che tanto
deve al pensiero e soprattutto
all’iniziativa di Giuseppe Samonà
che dal 1945 in poi, per ventisei
anni consecutivi, come scrive
Roberto Sordina, “la governò,
popolandola di molte anime,
che confliggevano e formavano
nell’eccellenza architetti”.
Testimonianza della vastità e
consistenza dell’archivio è il presente volume che, oltre a pubblicare il regesto dei fondi conservati presso l’Archivio Progetti
Martina Landsberger
Luoghi e legami
Zygmunt Bauman
Fiducia e paura nella città
Bruno Mondadori, Milano, 2005
pp. 80, € 10,00
Nei tre brevi saggi che compongono il volume, il sociologo
Zygmunt Bauman delinea le
caratteristiche delle città globali
scaturite dal crollo della società
post-fordista. Nate per “dare
sicurezza a tutti i loro abitanti”, le
città moderne sono diventate
luoghi ad alta concentrazione di
paura, epicentri in cui si semina
e si raccoglie diffidenza, terrore,
angoscia. I luoghi descritti da
Bauman assomigliano alle città
panico di Paul Virilio. Crollato il
modello solidale e corporativo e
anche quello assistenziale, l’individuo è diventato l‘unico soggetto sociale, autosufficiente e autoreferenziale, almeno in apparenza. Ma, ad un secondo sguardo,
la sopravvalutazione dell’individuo mostra i propri limiti. Privato
dei vincoli sociali, l’individuo è un
essere fragile, vulnerabile. Infranta la “parentela tra uomo e
uomo”, dissolta la solidarietà,
con la deregulation dilagano
sospetto, sfiducia, insicurezza.
La competizione va a braccetto
con la paura dell’Altro. Le città si
nutrono di xenofobia. Di fianco
agli esclusi dal progresso economico, gli underclass, scacciati in
spazi off-limits, proliferano isole
di protezione per ricchi sempre
più ricchi. Spazi “extraterritoriali”,
blindati e sorvegliati, destinati ad
un “élite globale”: le gated communities (comunità chiuse –
dove l’accento, sottolinea l’autore, va sul secondo termine). La
secessione della nuova élite
globale è il segno di quello che
l’autore chiama “passaggio dalla fase solida alla fase liquida
della modernità”. Se la povertà
inchioda al luogo, la ricchezza
permette di muoversi in uno
spazio più vasto e al tempo
stesso virtuale che consente di
sfuggire ai disagi locali.
Ma “è nei luoghi che l’esperienza umana si forma, si accumula
e viene condivisa, e il suo senso
viene elaborato, assimilato…”.
L’appello del sociologo è rivolto
agli urbanisti: invece di mettersi
al servizio della guerra urbana
progettando enclaves per isolare
e difendere le persone da “nemici” reali potenziali o presunti - alimentando una profezia che si
auto-avvera – dovrebbero tornare a “creare ponti”, transiti e luoghi d’incontro per “riunire gli abitanti della città”. La soluzione è
nel ritorno ai luoghi pubblici,
spazi aperti, ospitali, ove tutti si
ritrovino al di là delle differenze.
“La comprensione reciproca si
ottiene con una ‘fusione di orizzonti’; orizzonti cognitivi che
vengono tracciati e allargati accumulando esperienze di vita.
La fusione che una comprensione reciproca richiede non può
che essere la conseguenza di
un’esperienza condivisa”.
Irina Casali
Como-Milano
Giancarlo Consonni
e Graziella Tonon
Terragni inedito
quaderno n. 8 dell’Archivio Bottoni
Ronca Editore, Cremona, 2006
pp. 260, € 24,50
Il secondo quaderno dedicato a
Terragni dalle pubblicazioni dell’Archivio Bottoni ordina i materiali del maestro comasco raccolti nelle carte dell’urbanista
milanese. In realtà i quaderni
sarebbero tre, includendo il n. 6
dedicato all’edificio dell’INA
casa di corso Sempione e a
casa Rustici, curato da Laura
Montedoro, inaugurale della
riflessione su Terragni-Bottoni.
In quest’ultimo, il n. 8, disegni
foto o lettere, inviati o dedicati a
Bottoni dallo stesso Terragni,
assieme ai materiali dei lavori in
comune, sono censiti e commentati da saggi di Consonni e
Tonon che si fanno carico del
loro esame e di una loro collocazione – da un punto di vista per
così dire “bottoniano” – oltre alla
presentazione degli inediti di
Terragni. Questa seconda parte
critica, centrale del quaderno, è
introdotta da una prima che
riepiloga sia la consistenza del
fondo che le diverse provenienze e racconta la storia del rapporto fra Bottoni e Terragni in
vita e postumo. Il regesto dei
documenti conservati nell’archivio è presentato nelle settanta
pagine alla fine del volume.
Oltre alla conoscenza dei documenti, bisogna provare a riscrivere una interpretazione di questo rapporto forse più vicina alle
cose. Anche pensando all’uso
che di Terragni si è fatto nell’architettura italiana del dopoguerra. In questo caso è di indubbio
interesse tracciare i contributi
specifici nei lavori comuni connotati dalla sigla CM. Il concorso per il piano regolatore di
Como CM8 (1934) e quello per
la nuova fiera di Milano (1938),
che ben esemplificano i legami
e le divergenze fra i razionalisti
milanesi e comaschi, i diversi
profili ideologici e artistici che si
delineano alla fine degli anni
Trenta, alla conclusione della
prima stagione razionalista.
Un interrogativo per così dire
“costante”, un dubbio permanente che permane nel muto
rispecchiarsi dell’edificio dell’INA casa e di Casa Rustici sull’asse di corso Sempione. Che
ben mostrano, seppure nella
digressione milanese di Terragni, due modi d’intendere l’architettura nuova e la sua pratica
nella società moderna.
Giulio Barazzetta
39
OSSERVATORIO LIBRI
(fondi donati da Livia Toccafondi
e Andrea Samonà, Bastiana e
Francesco Dal Co, Corrado ed
Emiliano Balistreri-Tricanato) e
parecchie riproduzioni fotografiche del materiale grafico conservato, riporta gli interventi di alcuni
dei relatori che nel 2002 parteciparono a una giornata di studi
dedicata all’opera e all’insegnamento dei Samonà svoltasi in
parallelo alla mostra Giuseppe e
Alberto Samonà lezioni di architettura, curata da Francesco
Tentori e Marco Pogačnik.
a cura di Sonia Milone
40
La costruzione
dell’isolato olandese
Dutch Urban Block
Milano, Facoltà di Architettura
Civile
via Durando 8
22 marzo – 5 aprile 2006
Alla fine di marzo si è aperta alla
Facoltà di Architettura Civile del
Politecnico di Milano una mostra
prodotta dalla Facoltà di Architettura di Delft sui risultati di un
eccellente lavoro sulla città
olandese guidato da Susanne
Komossa con la collaborazione
dei Dipartimenti di Architettura
e di Urbanistica.
Lo studio, raccolto in un Atlante
pubblicato ora anche in inglese,
illustra lo sviluppo nel tempo dell’isolato residenziale, elemento
protagonista di un’esperienza
unica nella vicenda urbana occidentale, in grado di contenere
in sé la ricchezza dei compo-
città e della sua stessa ragion
d’essere. L’Atlante analizza diversi isolati di Amsterdam e Rotterdam in sequenza storica muovendo dal XVII secolo, il periodo
nel quale si fissano in modo definitivo i caratteri dell’esperienza
urbana olandese; tra questi riveste un ruolo decisivo l’idea di casa
quale generale matrice di tutti gli
edifici, nella forma come nell’aspetto e in molti casi anche nella
lingua, che usa connotare gli edifici pubblici con il suffisso domestico di huis. Si tratta di una sorta di domesticità diffusa, di principio architettonico semplice per
il quale l’edificio pubblico è una
grande casa in mezzo alle altre,
caratterizzato da dimensioni e
ruolo urbano preminenti mentre,
all’inverso, la casa viene a sua
volta contaminata dai caratteri
aulici acquisendo, in certo qual
modo, una sua specifica sacralità. Dalla ricerca emerge che la
solida città olandese, caratterizzata anche da movimenti e ten-
Bill, homo faber
Max Bill
Milano, Palazzo Reale
piazza Duomo 12
29 marzo – 25 giugno 2006
Dedicare una mostra a una figura quale è stata quella di Max Bill
significa affrontare il rapporto che
esiste o che dovrebbe esistere
fra le diverse forme d’arte. Bill è
una figura poliedrica, una sorta di
homo faber, che nel corso di tutti gli 86 anni della sua vita sperimenta ogni forma d’arte.
Svizzero di origine, frequenta fra
il 1927 e il 1928, il Bauhaus di
Gropius, e in particolar modo
Kandinskij e Klee, professori della scuola. È forse proprio l’atmosfera, il dibattito culturale e
intellettuale che si svolge all’interno del Bauhaus, a determinare in Bill un particolare interesse per ogni disciplina insegnata. Il risultato sarà un’attività
Avendo in mente queste poche
parole, risulta facile percorrere la
bella mostra che si snoda lungo
un percorso suddiviso in sezioni
in cui le diverse forme artistiche a
volte si mescolano, allo scopo di
mettere in evidenza il medesimo
procedimento razionale adottato. Si parte con i lavori giovanili
e con quelli sviluppati all’interno
del Bauhaus, si passa successivamente agli esperimenti sul
concetto di infinito e in particolare sulla costruzione del Nastro di
Möbius, poi alla rappresentazione pittorica fondata sulla matematica, sulle leggi dell’armonia,
sulla possibilità di continue variazioni a partire da un tema dato.
Seguono, infine, le sezioni dedicate all’architettura, alla grafica,
alla tipografia e al design.
Martina Landsberger
Il Cabanon
al parco Sempione
Le Corbusier. L’interno del
Cabanon
Milano, Palazzo dell’Arte
viale Alemagna 6
5 aprile – 4 giugno 2006
nenti che riguardano la vita
urbana, comprendendo insieme alla casa gli spazi destinati
allo svago nonché gli edifici pubblici e quanto di pratico necessita al risiedere in città.
In questo quadro l’abitazione
non costituisce il connettivo urbano (ciò che collega quantitativamente, secondo una visione
rozza dell’abitare purtroppo assai diffusa nel nostro paese)
quanto piuttosto la parte preminente del contenuto civile della
sioni contrastanti, sembra seguire se non proprio una linea di
lavoro continua, una linea di
ricerca riconoscibile.
Purtroppo non possiamo dire
altrettanto del nostro paese
dove la crisi politica e sociale
che l’Italia ha attraversato nello
scorso secolo e continua ad
attraversare oggi, si rispecchia
in modo fin troppo crudamente
realistico nella sua costruzione.
Adalberto Del Bo
nel corso degli anni, ugualmente spesa fra la pittura, la scultura, il design, la tipografia, la grafica e l’architettura e anche la
politica. È proprio l’architettura,
l’arte che Bill predilige. Essa consiste nella continua ricerca della
“buona forma”, nell’apirazione
alla coincidenza di forma, appunto, costruzione e materia. A
questo scopo, l’artista-architetto ha il compito e la responsabilità civile e sociale di realizzare
“forme” contraddistinte da un
valore assoluto, e, con questo
obiettivo, deve necessariamente rinunciare alla rappresentazione di se stesso, della propria
personalità. Progettare significa
compiere operazioni di verifica
di “carattere logico – scrive Bill –
Un atteggiamento simile investe
fra l’altro tutte le mie attività. Attività sempre fondate sull’analisi
del problema, con l’obiettivo di
raggiungere una soluzione logica e verificabile”, comprensibile, possiamo dire, oggi.
Significativo segnale di una rinnovata sensibilità architettonica
all’indomani del secondo conflitto mondiale, il Cabanon coniuga
le ricerche di Le Corbusier sulla
casa come machine à habiter alla riscoperta dell’ambiente naturale come risorsa per l’abitare.
Si tratta della casa di vacanza
dell’architetto a Cap Martin, in
Costa Azzurra: una cellula interamente in legno di 3,66 x 3,66
m, in cui si concentrano le funzioni vitali di una qualunque abitazione, ridotte all’essenziale.
Un ambiente minimale, concepito sui precetti dimensionali
sintetizzati dal Modulor, dove il
lavabo è un elemento in acciaio
tratto da un wagon-lit, ormai un
ricordo isolato della civiltà macchinista, inserito tra pareti e mobili
rigorosamente geometrizzati ma
addolciti dal caldo colore naturale del legno. Negli anni Cinquanta, infatti, l’architetto studia
le potenzialità espressive dei
materiali e della pratica costruttiva tradizionale legate alle peculiarità ambientali del sito, la cui
applicazione culminerà nell’elaborazione del linguaggio monu-
Maria Teresa Feraboli
Vivere su un’isola
Less. Strategie alternative
dell’abitare
Milano, PAC
via Palestro 14
5 aprile – 18 giugno 2006
strumento del mutamento, come
avviene negli specchi di Cantor,
nelle utopie surrealiste di Armajani o nel fragile e poetico Arch
de Triumph for Personal Use di
Jimmie Durham. O che nella differenza e nella contaminazione
vedono risorsa ed ispirazione,
come le favelas di Marjetica
Potrc o le voci di Silvio Wolf. O
infine, come Somebody’s Architecture di Carlos Garaicoa, che
riconoscono nella potenza dell’immaginazione e del sogno di
cambiamento la molla perché
questo avvenga davvero. “Viviamo su un’isola. Siamo circondati da persone che vagano come
se si fossero smarrite, che desiderano di veder cambiare il loro
mondo”.
Caterina Lazzari
Leonardo e Milano
Il Codice di Leonardo Da Vinci
nel Castello Sforzesco
Milano, Castello Sforzesco
24 marzo – 21 maggio 2006
Al PAC si trovano esposte, in
forma di installazione, alcune di
queste ricerche, situate a metà
tra l’interpretazione poetica e
polemica dei luoghi della contemporaneità e la tensione alla
manipolazione del reale, alla
progettualità, con soluzioni che
trovano radici nelle esperienze
organiche radical.
Sorprende il constatare che per
molti artisti convenuti, da Zittel a
Orta a Wapenaar ad Atelier van
Lieshout, questa soluzione si
concretizzi in una sorta di solipsistico cocooning, attraverso nicchie, piccoli bozzoli semoventi,
addirittura abiti – abitazione,
quasi la risposta ultima alla complessità della città plurale fosse
nell’isolamento e nello straniamento dal contesto, nella fuga.
Ma ci sono poi invece opere più
consolanti e positive, che tuffano profondamente l’uomo nella
città e sembrano suggerire proprio nel rapporto percettivo lo
A Milano, da piazza Mercanti,
attraverso il Cordusio e lungo
via Dante, è stato temporaneamente allestito un percorso
tematico, illustrato da grandi
pannelli con immagini e didascalie. Il racconto che si svolge
nell’arco di qualche centinaio di
metri ha come protagonista
Leonardo da Vinci e la storia
narrata è quella del suo rapporto con la città, dove visse fra il
1482 e il 1499 e, dopo la caduta degli Sforza, fra il 1506 e il
1513. Si tratta di un periodo di
ben 24 anni durante i quali
Leo0mere il proprio talento, ma
soprattutto indagare e conoscere la multiforme realtà del
territorio lombardo: il suo paesaggio, le diverse forme d’insediamento, l’artigianato, i mestieri, e non ultima l’arte.
Le suggestioni, le influenze, le
esperienze dovettero essere
per lui talmente profonde da
farci oggi modificare radicalmente l’immagine storiografica
che lo vedeva come “straniero”,
portatore di contributi aggiornatissimi elaborati altrove. Come
si può notare proprio lungo l’esposizione en plein air, della sua
appartenenza al luogo restano
infatti tracce evidenti negli spet-
tacolari disegni, nei progetti e
negli appunti. Documento principe in tal senso è proprio il
Codice Trivulziano, custodito
dall’omonima biblioteca milanese e in questi giorni degnamente esposto nella leonardesca
“Sala delle Asse” del Castello
Sforzesco: un documento molto
prezioso, ma più in generale,
uno spunto per riflettere su Leonardo e la cultura rinascimentale della Milano sforzesca. Il
manoscritto vinciano, infatti, che
raccoglie appunti e disegni stesi
fra il 1487 e il 1490, è posto al
centro della sala attorniato da
vetrine che ospitano codici
miniati, incunaboli e cinquecentine; l’obiettivo dei curatori è
ricostruire, almeno in parte, la
biblioteca di Leonardo, nota
grazie ad elenchi di suo pugno.
Si tratta di testi che ovviamente
esprimevano preferenze, inclinazioni e atteggiamenti intellettuali del grande artista ma, va
detto, anche dei suoi personali
strumenti d’indagine sul lessico,
sul linguaggio e quindi sulla cultura letteraria e scientifica del
tempo. È di grande interesse in
tal senso lo studio, da parte dei
curatori della mostra, sui vocaboli contenuti nello stesso Codice Trivulziano: semplici liste di
termini, nudi elenchi di parole
che però oggi danno un contributo importantissimo alla conoscenza della forma mentis del
personaggio, dei suoi processi
d’elaborazione intellettuale, dei
rapporti stabiliti via via fra osservazione, uso e invenzione di
strumenti, codici e linguaggi.
Isabella Balestreri
41
OSSERVATORIO MOSTRE
mentale impiegato a Chandigarh. La ricostruzione dell’interno del Cabanon – fondata sugli
studi di Filippo Alison e curata da
Cassina – è ora visitabile nella
porzione del parco adiacente a
Palazzo dell’Arte, preceduta da
uno spazio in cui si proiettano
testimonianze su Le Corbusier a
Cap Martin. L’angusto ingresso
della cellula è ravvivato da un
dipinto e introduce nell’unica
stanza che costituisce la casa,
dove l’arredo è formato da un
bagno in miniatura nascosto da
una tenda rossa, da un letto che
ricorda un tavolato, sovrapposto
a due mobili contenitori salvaspazio, da un tavolo a penisola,
diverse mensole e un armadioparete. Le finestre e i tagli che
garantivano la ventilazione dell’abitacolo si aprono su fotografie
della vegetazione e del mare francesi e su squarci del parco Sempione. In occasione del Salone
del Mobile Cassina, già depositaria dei diritti di produzione degli
arredi di Le Corbusier, ha realizzato uno schema trasparente del
Cabanon anche all’interno dei
suoi spazi in via Durini, dove ha
esposto filmati, pubblicazioni e
tre opere plastiche originali prestate dalla Fondation Le Corbusier. Questo allestimento aiuta l’interpretazione della personalità dell’architetto, di cui l’azienda milanese ha presentato le varianti
2006 dei mobili (la versione a tre
posti del divano, la Méridienne, il
pouf mai prodotto in precedenza
e la Fateuil Wagon Fumoir) reintroducendo la possibilità di averne l’imbottitura in piuma.
Come sottolineato nella presentazione della mostra, parlare di abitare, oggi, significa parlare di città.
Non solo perché la maggior parte
della popolazione mondiale vive in
aree urbane, ma anche perché la
città è organismo per eccellenza
per la coabitazione e l’integrazione tra culture e saperi, dunque
incubatore della nostra società e
insieme luogo delle sue più grandi
contraddizioni. Fiducia e paura
nella città, per usare parole di Zigmunt Bauman, generate dalla
crisi delle strutture tradizionali del
vivere sociale, dall’estremizzarsi
dei suoi conflitti, dalla conseguente complessità crescente delle
formule abitative. Si levano così,
nel diffuso senso di impotenza
dell’abitante la città globale e
spesso di chi lo governa, guizzi
di tensione al riscatto attraverso
la ricerca, appunto, di strategie
alternative, che prendono la forma
dell’opera letteraria, dell’iniziativa
sociale, della sperimentazione
architettonica o artistica.
42
Mino Fiocchi,
un architetto
fra Milano
e il Lago di Lecco
Luciano Bolzoni
Giacomo Fiocchi, detto Mino
(Lecco 1893 – Milano 1985), fra
tutti gli architetti che operarono
in Lombardia nel Novecento fu
probabilmente il più attento al
linguaggio della tradizione; Fiocchi operò sostanzialmente in
solitudine, riducendo al minimo
le collaborazioni e le occasioni
di sfogo mondano. Non ebbe
mai un collaboratore di studio.
Prese parte al gruppo di studio
Sant’Orsola, costituito insieme
ai colleghi Ponti, Muzio e Lancia; Carlo Fiocchi nella biografia
del padre (Mezzo secolo di progetti. Mino Fiocchi architetto,
1981) descrive la vena anticonformista del padre, che lungo
tutta la sua carriera applicò un
particolare rigore professionale
nelle proprie attitudini progettuali, sempre basate su semplici quanto inderogabili vincoli di
intervento. Questi vincoli furono
la base del lavoro di Fiocchi che
ripartì il suo operato sostanzialmente nel territorio lombardo,
separato in due netti limiti geografici di intervento: il territorio
di Lecco e delle sue montagne
e Milano città. All’esterno dei
confini urbani Fiocchi si è spesso misurato con il tema della
residenza per le vacanze, tematica tipica che ha avuto in qualità di sperimentatori tutta una
classe di architetti, argomento
di studio e oggetto di lavoro
professionale legato alla questione della seconda casa che
ha impegnato nel ventesimo
secolo un’intera generazione di
progettisti cittadini, da Ponti a
Muzio, da Pier Giulio Magistretti
a Portaluppi, da Albini a Cereghini, da Mollino a Vietti, da
Asnago e Vender allo stesso
Fiocchi. L’approccio di Fiocchi
alla problematica della residenza per vacanze può essere sintetizzato nei progetti alpini, che
lo videro preciso riconoscitore
dei metodi e del linguaggio della
casa montana, compresa entro
i rassicuranti limiti dimensionali
del blocco edilizio in muratura,
sovrastato dalla copertura a
falde spioventi. Tali progetti alpini possono essere sintetizzati
dai due migliori lavori di Fiocchi,
quella Baita Giulia Devoto Falck
di Cortina d’Ampezzo del 1936,
nata dalla ricostruzione di una
vecchia costruzione secentesca e la Baita La Roccella del
Pian dei Resinelli disegnata nel
1938 per la propria famiglia. In
entrambe le costruzioni Fiocchi
prevede una distribuzione interna che duplica le stesse dotazioni di servizio della residenza
urbana, fornendo lo stesso livello di abitabilità e prestazioni che
il committente aveva nell’abitazione di Milano, ma all’interno di
contenitori edilizi che non derogavano dai princìpi della tradizione costruttiva in termini di
risultanze formali dell’architettura.
Il rigore progettuale di Fiocchi è
sintetizzato in tutti gli altri progetti ambientati nel contesto
alpino come i rifugi e le abitazioni nel territorio prealpino.
Nei progetti cittadini Fiocchi
pare rifuggire l’idea del fabbricato urbano senza dignità, in
attinenza ad una esigente concezione del disegno basata
sulla conoscenza e la lettura del
sito, quale principale punto di
avvio del progetto, impostato
graficamente sugli assi principali del lotto del fabbricato;
contestualmente un’attenzione
all’essenzialità costruttiva, legata ad una forte carica rappresantiva dell’essenza del committente, rammentava una chiarezza ed una semplicità convenzionali in ordine alla comunicazione dell’intervento edilizio
su strada, caratteristico proprio
del lavoro di Fiocchi.
Gli elementi distintivi del progetto sono sempre riscontrabili a
prescindere dalla tipologia oggetto del lavoro; inoltre la categoria di edifici che viene chiamato a disegnare lo vede in
buona sostanza legato ad una
committenza di tipo borghese,
alla quale sa di appartenere e a
cui risponde con un solido lavoro di architetto-artigiano solitario, nel suo piccolo studio di via
Cernaia. Il percorso professionale di Fiocchi ha prodotto circa
duecento lavori in cinquant’anni
di attività, senza derogare mai
da un iter progettuale basato
sulla severità e sulla capacità di
non perdere la propria motivazione in ordine ad ogni singolo
problema di architettura; il percorso ha inizio con il progetto
per il concorso per il Piano
Regolatore dell’Isola Comacina
fino agli ultimi lavori condotti
con motivazione e passione in
un iter metodologico costante
nel tempo.
Bibliografia
B. Bianchi, G. Gambirasio, E. Mantero, Mino Fiocchi architetto, Lecco,
Comune di Lecco, 1986;
L. Bolzoni, Architettura moderna
nelle Alpi italiane dal 1900 alla fine
degli anni Cinquanta, in “Quaderni
di cultura alpina”, Priuli & Verlucca,
Ivrea, 2000;
L. Bolzoni, Architettura moderna
nelle Alpi italiane dagli anni Sessanta
alla fine del XX secolo, in “Quaderni
di cultura alpina”, Priuli & Verlucca,
Ivrea, 2001;
C. Fiocchi, Mezzo secolo di progetti. Mino Fiocchi architetto, ERIS Ed.,
Milano, 1981;
M. Cereghini, Costruire in montagna, Ed. del Milione, Milano, 1950;
A. Disertori, Casa Fiocchi a Milano,
in “Dedalo” n. 6, 2000.
Fonti iconografiche
Luciano Bolzoni: 3, 17, 18, 22, 23,
25, 26, 27, 28, 30, 31
Internet: 12
Archivio Mino Fiocchi di Milano:
1, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14,
15, 16, 19, 20, 21, 24, 29
Si ringraziano gli Architetti Carlo
Fiocchi e Massimiliano Della
Foglia per aver concesso la
consultazione dell’Archivio Mino
Fiocchi di Milano.
1. Progetto per l’Isola
Comacina, 1921
La Reale Accademia di Brera
nel 1921 bandì il concorso
“Camillo Boito” per il Piano
Regolatore dell’Isola Comacina;
il bando prevedeva la realizzazione di un villaggio per artisti
composto da abitazioni, servizi
e da un piccolo albergo.
Fiocchi ottenne il primo premio
ex aequo “per essere stato forse
l’unico a concepire in armonia
con la tradizione rustica locale,
1
2
una certa praticità d’uso dell’isola, che non turba la pace e
profitta bene della sua costituzione”. Tale praticità si riconduceva alla perfetta conoscenza
del sito dalla quale derivava un
disegno d’insieme di stampo
romantico, visibile in particolar
modo nel piccolo borgo sulle
rive del lago che anticipa il
soprastante Palazzo degli Artisti
dalla connotazione rinascimentale. Il concorso che vide tra gli
altri anche la partecipazione di
Gaetano Moretti, Caneva, De
Finetti, Frigerio, Greppi e Zacchi, non conobbe alcun vincitore ufficiale.
2. Casa Fiocchi, 1924-25
Milano, via Cernaia 6
Il palazzo progettato per la propria famiglia sorse praticamente
in mezzo ad uno spazio erboso,
ai margini dell’allora centro
urbano delimitato dallo scorrere
del Naviglio.
Tipico caso di architettura milanese che trasmette una precisa
serie di informazioni all’osservatore, dedotte dall’attenta trama
della facciata perfettamente
simmetrica, tanto da indurre lo
stesso progettista a ricorrere al
disegno d’insieme, inventando
un secondo ingresso fittizio per
bilanciare l’accesso al civico
numero 6, che portava direttamente nel vano ottagonale di
smistamento del palazzo.
Il fronte principale è praticamente tagliato dalla zoccolatura
delimitante il piano terra in
marmo che, tramite una sottile
fascia, si collega con i piani
superiori caratterizzati dal rilievo
3
Nel rifugio Castelli, Fiocchi interpreta il tema senza abbandonarsi a sfide derivate da una
ricerca formale coraggiosa, ma
tende a restituire il classico for4
della parte centrale costruita
con sei lesene, a comporre due
livelli del fabbricato, sormontate
da una balconata continua.
3. Villa Fiocchi, 1926
Lecco, via Cantarelli 6
tava un evidente riferimento alla
casa engadinese. Disegnata da
Fiocchi anche la piccola cappella annessa al rifugio.
12
Il progetto fu commissionato dal
padre Giulio, titolare dell’omonima azienda di munizioni, che
vedeva nella costruzione dell’asilo un’occasione di riscatto
sociale per i propri dipendenti; la
struttura edilizia sociale nacque
per ospitare i figli dei dipendenti
dell’azienda di famiglia, durante
i turni di lavoro dei genitori.
7
5
6
8
9
so palladiano, sia per le soluzioni volumetriche che per il posizionamento calibrato dell’abitazione rispetto al contesto, posta
perfettamente al centro dell’appezzamento di terreno, un giardino studiato in tutti i suoi settori (orto, frutteto, viali piantumati,
rotonda di cipressi, statue, pergolato, esedra, prato con portabandiera, spazio alberato per
ricevimenti).
La villa, fulcro dell’intero complesso, era caratterizzata dal
rigore delle opzioni simmetriche
che delineavano uno sviluppo
distributivo, segnato da un cannocchiale che, attraversando
l’abitazione, collegava le zone
del giardino, dividendo le ali del
fabbricato.
mato architettonico rassicurante della casa unifamiliare alpina.
Il primo nucleo costruito del
rifugio immaginava un semplice
corpo di fabbrica che riprendeva i canoni della tradizione locale, cui si aggiunge nel 1928 un
ulteriore edificio annesso progettato dallo stesso Fiocchi,
ruotato planimetricamente rispetto all’originale e di dimensioni
maggiori; esiste, infine, un ulteriore progetto di ampliamento
datato 1960, firmato dello stesso architetto.
L’architettura originaria non
rivelava difformità dalle ordinarie
modalità costruttive dei rifugi
alpini se non nel rimando decorativo del terrazzino coperto
dell’edificio grande, che deno-
43
5. Asilo Infantile, 1928
Lecco, via Santa Barbara 3
10
Come scrive Carlo Fiocchi, la
villa realizzata a Lecco per il fratello Lodovico rappresenta l’esempio più lampante dell’influs-
11
L’impianto architettonico si può
leggere nell’elemento dominante della costruzione: le due torri,
emergenza in analogia con la
casa popolare di Pescarenico,
costruita l’anno successivo, da
cui si rileva una potenziale assonanza con il linguaggio palladiano. Anche qui il tema di
architettura sociale veniva svolto, ancora una volta, seguendo
uno spirito professionale che
come prima istanza si poneva a
servizio dell’architettura e di ciò
che questa doveva significare
per la committenza.
6. Rifugio Giuseppe
Cazzaniga, 1928
Moggio (Lc), Piani di Artavaggio
Nelle intenzioni di Fiocchi la
nuova architettura alpina, non
poteva non essere quella richiamata dal collega Mario Cereghini, interpretata quale prosecuzione dell’armonia costruttiva
tradizionale; l’immagine della
montagna, impervia, difficile,
pericolosa, ma comunque conciliante, darà luogo a rappre-
sentazioni progettuali che caratterizzeranno una breve quanto
intensa stagione di opere moderne. E come per il collega e
amico Cereghini (e consuocero),
la redazione di progetti destinati
all’ambiente alpino, in questo
periodo della carriera di Fiocchi
non subisce soste.
Il progetto del rifugio Cazzaniga
deriva dall’architettura militare e
la singolare conformazione del
sito, uno sperone di roccia, lo
conferma; gli stessi disegni di
progetto evidenziano un adattamento al sito del fabbricato che
nel suo formato architettonico
non si discosta dalla tipica
capanna montana riscontrabile
in molte località alpine, che
diverrà col tempo via via riparo,
convitto, bivacco, avamposto.
7. Casa Popolare
di Pescarenico, 1929
Lecco, via Pescatori 36
Come scrive, il figlio Carlo, la
spartana semplicità dell’edilizia
popolare è per Fiocchi derivata
dall’essenzialità progettuale e di
realizzazione dei rifugi alpini,
edifici essenziali per natura e
per sostanza.
La stessa essenzialità della tipica
casa popolare urbana, spesso
collocata ai margini cittadini quindi periferica di per sé ma comunque parte di città, per Fiocchi
doveva divenire espressione
dignitosa e rappresentativa di
13
OSSERVATORIO ITINERARI
4. Rifugio Nino Castelli,
1926-28 (1960)
Moggio (Lc), Piani di Artavaggio
14
44
l’abitazione. Disegno che mostrava un calibro concettuale che
esprimeva l’immagine borghese dell’abitazione, rappresentata dal fabbricato civile di grande
volumetria complessiva (alcuni
locali interni si sviluppavano su
due livelli) e che, al pari dell’espressione di tutta l’edilizia civile progettata dallo stesso Fiocchi, riconduceva il tema di
architettura all’esigenza di stabilire una misura di distinzione
nel tessuto abitato.
15
un umanesimo in scala minore.
Come nel progetto per l’asilo
infantile, nella casa popolare di
Pescarenico, Fiocchi punta all’appartenenza del lavoratore,
quindi dell’abitante, ad una
situazione imprenditoriale e
sociale, capace di determinare
quale funzione collettiva un
senso di affezione e di distinzione che si rifletteva nei vincoli del
progetto. Tale distinguibilità è
evidente nelle vecchie immagini
del complesso edilizio che lo
vedevano forte emergenza calata a forza nel fondale prealpino
della città, sulle rive del lago,
incombente sul contesto e
significativa raffigurazione di un
mondo sociale ora scomparso.
9. Villa Falck, 1938
Milano, via Tamburini 1
Dalla felice esperienza della
costruzione della Baita Giulia
Devoto Falck realizzata a Cortina d’Ampezzo un paio d’anni
prima e dalle collaborazioni
commerciali con Giorgio Enrico
Falck, a Fiocchi viene commissionato il disegno dell’abitazione milanese del vecchio sena17
sima espansione del giardino
interno. L’edificio consta di
quattro piani fuori terra e rivela
un’architettura di facciata ancorata alle forme e ai materiali del
tipico edificio commerciale milanese più che a quelli dell’abitazione, dove ai correnti rivestimenti pregiati tipici della casa
aristocratica vengono avvicendati i blocchi di breccia lombarda levigata.
10. Baita La Roccella, 1938-41
Abbadia Lariana (Lc), Roccoli
Resinelli
Anche questo progetto viene
redatto per una casa della propria famiglia.
La baita è sistemata su un
appezzamento di terreno irregolare e la giacitura sembra
rivelare un’opzione progettuale
non casuale: la stessa configurazione non complanare rispetto al lotto addita al progettista la
sembianza formale della casa
che accetta e scavalca i salti di
quota mediante il volume edilizio che raccorda i livelli del sito.
I prospetti si adattano alle
caratteristiche del luogo e cambiano secondo l’angolo visuale
di osservazione, concetto non
estraneo ad alcune opere mon19
sciuti in termini di architettura
alpina, riconoscibile quale caso
didattico sulla possibilità di progettare e realizzare edifici di
qualità all’interno di un macrocosmo caratterizzato da sempre da segni tanto precisi quanto architettonicamente corretti.
11. Cappella funeraria Falck,
1939
Cimitero Monumentale, Milano
Probabilmente l’architettura religiosa più nota di Fiocchi; la
cappella Falck si relaziona con
la grandiosità dell’architettura
classica in un’opera che riflette
una meditazione sugli obelischi
21
22
8. Progetto per una villa
sul lago per la IV Triennale
di Monza, 1930
Fiocchi ottenne la medaglia
d’oro alla IV Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e
Industriali Moderne di Monza,
con un progetto di una ipotetica
villa affacciata sul lago; ed era
proprio lo specchio d’acqua a
caratterizzarne la concezione,
mediante l’adozione di una darsena per il riparo delle imbarca-
20
16
18
zioni, interna al volume stesso
della costruzione, da cui accedere direttamente ai vari livelli del-
tore. Il progettista delinea l’edificio in un lotto compreso tra il
parco Sempione, via XX Settembre e via Vincenzo Monti e
la via Tamburini, strada secondaria cui si affaccerà il lato
della costruzione dove insiste
l’ingresso. Tale opzione, che
prevedeva l’allontanamento dal
viale alberato, consentirà la mas-
tane del periodo, modificandosi
di fronte in fronte; il rivestimento
in legno della porzione alta delimita orizzontalmente le parti dei
sottotetti, unificando i differenti
corpi dell’edificio. La costruzione anche oggi figura come uno
degli edifici moderni più cono-
23
contraddistinto da un doppio
loggiato che consente la relazione tra la corte interna, attorno
alla quale si sviluppa l’abitazione,
e il giardino pubblico esterno.
Lo stesso materiale di rivestimento degli esterni, lastre di
serpentino levigato, il loggiato
su due livelli, le due corti, la gal-
disegnare l’architettura di Fiocchi, sin qui caratterizzata da
interventi mirati per una committenza costituita da grandi
famiglie lombarde che avevano
come spinta precipua la volontà
di farsi rappresentare anche
dalle proprie dimore urbane.
25
27
12. Sede della Banca
Popolare di Lecco, 1941
Lecco, piazza Garibaldi 12
16. Villa Monzino, 1955
Milano, via Telesio 8
La sede della Banca Popolare di
Lecco è uno dei pochi progetti
affidati a Fiocchi da un’istituzione
(fra questi ricordiamo gli edifici
24
commissionati dalla Società Elettrica Bresciana e l‘allora USSL di
Lecco); la sede dell’Istituto nasce
con una facciata principale sulla
piazza d’impostazione neoclassica, rigorosamente semplice con
un apparato decorativo molto
ridotto, caratterizzato da otto
lesene che sorreggono un terrazzino, come nel progetto di via
Cernaia a Milano. Successivamente l’Istituto bancario chiese
a Fiocchi di arricchire l’edificio
mediante un nuovo rivestimento superficiale delle facciate su
strada con materiali pregiati;
l’architetto lecchese rifiutò l’incarico che fu successivamente
affidato al collega Portaluppi.
13. Casa Campanini, 1941
Milano, via Guastalla 2
Nella Casa Campanini, Fiocchi
esprime una composizione molto
elaborata, di chiara vocazione
neoclassica; l’intervento viene
previsto in un lotto di un brano
importante del centro storico
milanese, contraddistinto da
emergenze architettoniche significative e verde pubblico di pregio e indica una deroga agli
usuali metodi di lavoro di Fiocchi,
solito ad imprimere al disegno
dell’abitazione civile (soprattutto
quando borghese) una cautela
progettuale qui non seguita.
Il fabbricato si sviluppa sfruttando tutto il lotto a disposizione,
ne di un nuovo corpo basso sviluppato in due livelli.
Il progetto viene impostato sulla
riconducibilità di ogni singola
abitazione ai valori spaziali della
casa unifamiliare; di fatto l’architetto disegna praticamente
una villa per ogni piano stante il
grande spazio a disposizione
che permetteva il vasto taglio
dimensionale, rendendo possibile una riconduzione dell’intervento allo spirito intimista della
casa milanese, tipica di Fiocchi.
26
leria panoramica che univa gli
ambienti del piano terra (motivo
ricorrente nella costruzione delle piante), la balaustra perimetrale sulla copertura, riflettono
una eccezione all’iter professionale dell’architetto.
14. Edificio residenziale, 1948
Milano, via Monte di Pietà 19
Il disegno del palazzo si rivela
ancora una volta espressione
rappresentativa dell’architettura
borghese della città, con un forte
segnale dovuto alla grandezza
della scala d’intervento e che
verosimilmente si discosta da
quanto fin qui realizzato da Fiocchi in termini di edilizia residenziale, stante le grandi dimensioni
del fabbricato che delinea una
grande residenza urbana.
Ai due bracci su strada che
costituiscono le ali del fabbricato, corrisponde la facciata vera
del condominio, arretrata rispetto alla via civica, sottolineata dai
due grandi obelischi collocati al
primo livello, vero motivo di riconoscibilità su strada dell’intero
complesso.
In qualche modo il condominio
anticipa un differente modo di
28
15. Edificio residenziale, 1948
Milano, via Borgonuovo 20
Fiocchi non ha mai nascosto la
sua avversione nei confronti del
palazzo a torre, ma la particolare condizione di partenza che
richiedeva la ricostruzione di un
edificio parzialmente distrutto
dai bombardamenti consentì la
nascita di questo condominio
costituito da otto piani fuori
terra, non visibile dalla via citta-
Al contrario della non lontana
casa Falck, Fiocchi situa il fabbricato al centro del piccolo lotto di
terreno, in cui sviluppa anche l’idea del giardino interno e della
facciata principale derivandola
dalla Casa Mosters di Somma
Lombardo, progettata due anni
prima. Tale rimando ad un’altra
abitazione di campagna coincide con l’idea di Fiocchi della villa
quale seconda residenza della
famiglia borghese, dove si riscontrano tutti gli elementi tipici dell’architettura della casa padronale extraurbana e che nel caso
specifico si riconduce ad una
precisa volontà di rappresentazione della committenza.
30
29
31
dina, da collegare alla parte di
edificio mediante la realizzazio-
45
OSSERVATORIO ITINERARI
romani. Di base quadrata sormontata da una volta semisferica, la cappella appare come
uno dei fabbricati funerari più
evidenti del Cimitero Monumentale, grazie al suo motivo piramidale alto una quindicina di metri,
costituito dallo svettare in verticale del motivo dell’obelisco,
rivestito da lastre di serpentino.
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Pagine da 30 a 45 - Consulta Regionale Lombarda degli Ordini