30 Milano, riapre l’Acquario civico Il 1° aprile scorso, dopo tre anni di chiusura, si è riaperto l’Acquario di viale Gadio a Milano, un piccolo edificio Liberty eretto esattamente un secolo fa, nel ti del primo piano aperti al pubblico, è stato realizzato un percorso longitudinale che, dal piano terra, conduce al terrazzo esterno e, attraverso un giardino d’inverno, all’auditorium. Il sistema espositivo delle vasche che racconta il ciclo dell’acqua, dai monti al mare, e che si avvale di un apparato di acquariologia all’avanguardia è stato realizzato con soluzioni tecnologiche e formali innovative e di rilevante impatto percettivo. L’Acquario civico si trova in viale Gadio 2, nel Parco Sempione e può essere visitato gratuitamente tutti i giorni, da martedì a domenica dalle 9,30 alle 13 e dalle 14 alle 17,30. Un censimento per l’architettura contemporanea 1906, in occasione dell’Esposizione internazionale di Milano per festeggiare l’apertura del traforo del Sempione. Si tratta del primo acquario in Europa realizzato in un luogo lontano dal mare. Danneggiato dai bombardamenti durante la guerra, viene riaperto al pubblico nel 1963 e rimane attivo fino al 2003, anno in cui si decide di restaurarlo. Il progetto viene affidato agli architetti Piero De Amicis e Luigi Maria Guffanti, con il coordinamento scientifico del dott. Mauro Mariani. La complessità dell’intervento progettuale è consistita nel rendere compatibili, in un’ipotesi di soluzione unitaria, tre ambiti problematici diversi: l’insieme dei requisiti tecnico-scientifici per una nuova concezione dell’Acquario come sede sia espositiva che di ricerca idro-biologica, l’entità fisica dell’edificio, vincolato per la sua rilevanza architettonica e storica, e il quadro finanziario deliberato dall’Amministrazione comunale che fissava limiti economici inderogabili. Si è scelto, in quest’ottica, di utilizzare al massimo lo spazio interno dell’edificio, riorganizzandolo secondo aree funzionali omogenee, acquisendo, al piano interrato, le aree non cantinate e soppalcando al primo piano, dove possibile, tutti i locali. Per utilizzare al meglio gli ambien- Nel quadro delle attività promosse dalla Legge Regionale 16 del 2002 per la valorizzazione dell’architettura contemporanea, la Galleria d’Arte Moderna di Bologna, in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, assessorato programmazione e sviluppo territoriale e l’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali, ha organizzato, nell’ottobre del 2005, una mostra dedicata al tema dell’architettura contemporanea in Emilia-Romagna. Una commissione scientifica formata da docenti delle università di Bologna e Ferrara, ha catalogato gli edifici di rilevante qualità architettonica realizzati fra il 1945 e il 2000 nella Regione. I risultati di questa ricerca, condotta anche attraverso specifiche campagne fotografiche realizzate dall’Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali, sono stati resi pubblici tramite la mostra curata da Mario Lupano e Piero Orlandi, il cui obiettivo è stato quello di promuovere, presso il grande pubblico, la conoscenza dell’architettura contemporanea. I curatori, in questa occasione, hanno scelto di mostrare fotografie, video, disegni – provenienti da archivi –, progetti e plastici relativi a circa 200 edifici fra quelli censiti. In particolare sono state esposte le opere di alcuni dei maggiori archi- tetti moderni e contemporanei del panorama italiano che hanno lavorato nella Regione – Franco Albini, Piero Bottoni, Melchiorre Bega, Giovanni Michelucci, Mario Pucci, Aldo Rossi, Carlo Scarpa, Gio Ponti, Giuseppe Vaccaro, Vittoriano Viganò – e le letture fotografiche di Luigi Ghirri, Paolo Monti Gabriele Basilico, Nunzio Battaglia, Michele Buda, Alessandra Chemollo, Paola De Pietri, Riccardo Vlahov, Giovanni Zaffagnini. Parallelamente alla mostra è stato pubblicato, a cura di Maristella Casciato e Piero Orlandi, il volume Quale e Quanta. Architettura in EmiliaRomagna nel secondo Novecento, edizioni Clueb, Bologna, che raccoglie il censimento completo. L’elenco delle architetture, costituito di edifici pubblici e privati, e di tutto ciò che contribuisce alla costruzione dell’immagine della città, è stato redatto sia su base bibliografica che mediante indagini dirette presso gli Uffici tecnici degli Enti locali, e coordinato dalla stessa Commissione scientifica utilizzata per l’organizzazione della mostra. Martina Landsberger —————- Senz’acqua Il 40% della popolazione mondiale soffre di carenze idriche. 5000 bambini muoiono ogni giorno per malattie derivate dall’acqua contaminata. Più di un 1,4 miliardi di persone al mondo non hanno accesso all’acqua potabile. L’acqua e l’aria sono la principale fonte di vita, pertanto dovrebbero essere di tutti, non proprietà o privilegio di qualcuno. Non è così: il diritto alla vita è negato a centinaia di milioni di esseri umani. L’acqua oggi è solo un bisogno, ma deve diventare un diritto, inscritto nelle carte costituzionali di tutti i paesi. Questo monito espresso dalla vedova Mitterand, impegnata in un importante campagna di sensibilizzazione sull’acqua, emerge nelle ragioni della mostra H20 nuovi scenari della sopravvivenza, organizzata a Milano dallo Studio Marcatti & Associati negli spazi di Emporio 31 (v Tortona 31), in concomitanza con l’ultima edizione del Salone del mobile. L’iniziativa no profit, realizzata senza sovvenzioni nè sponsor, ha chiamato a testimoniare la “cultura del progetto”; architetti, designer e grafici, con una tavola da disegno di 70 cm per 100 cm, hanno offerto il loro contributo al problema, chi con proposte di soluzione specifiche, chi con immagini poetiche o simboliche. In entrambi i casi si è trattato di “reagire in modo creativo”. Facendo. In esposizione 40 tavole realizzate con l’intervento di 75 professionisti, che hanno lavorato all’insegna della gratuità e solidarietà. Il fine della mostra (che sarà itinerante e raccoglierà nuovi contributi dalle diverse città e Paesi in cui sarà presente) è quello di sensibilizzare e coinvolgere. Allargare l’attenzione e la partecipazione su un problema che è cruciale per il destino dell’umanità. Irina Casali Un percorso parallelo e complementare a quello della mostra allestita al Castello Sforzesco (Il Codice di Leonardo dal 24 marzo al 21 maggio) si snoda lungo via Dante e via Mercanti, coinvolgendo i passanti in un viaggio alla scoperta del genio di Vinci. Due i temi principali affrontati da un centinaio di pannelli che guidano alla conoscenza del Maestro e della sua attività milanese: “Il Codice Svelato” e “I Navigli di Leonardo”. Il primo illustra i segreti nascosti nei suoi codici, ponendo l’accento sui suoi rapporti con la città: i progetti per Milano, la realizzazione del Cenacolo, il disegno di una città ideale per Ludovico il Moro. Il secondo tema raccontanta, attraverso disegni, dipinti e fotografie, il rapporto del Maestro con le vie d’acqua. Giunto a Milano nel 1482, restò affascinato dal sistema medioevale dei Navigli, tanto da annotare i vari corsi d’acqua (tra cui il Naviglio della Martesana da poco ultimato), le opere realizzate e le sue proposte di miglioramento per le conche. Studiò il comportamento delle acque, immaginò ponti mobili e una giardino di delizie con fontane e giochi d’acqua, per primo studiò i laghi della Brianza e un nuovo canale per rendere l’Adda navigabile. L’affascinante percorso, illuminato anche di sera, è frutto della collaborazione fra il Museo della Scienza e della Tecnologia e l’Associazione Amici dei Navigli. Ricco di citazioni, testi e immagini riporta il passante attento e curioso nel clima della Milano rinascimentale. Anna Ramoni Il festival del paesaggio a Pavia Tra 25 marzo e 2 aprile 2006 il settore Cultura del Comune di Pavia, nell’ambito del programma Pavia, Città internazionale dei saperi, con la cura scientifica di Luisa Bonesio, ha organizzato il festival del paesaggio: L’anima dei luoghi. Tra visite guidate, navigazioni in battello, laboratori per bambini, workshop di cinema, eventi gastronomici e presentazioni di libri, sono state organizzate alcune importanti occasioni di riflessione sul paesaggio pavese. • Mostre al Castello visconteo: Lungo il fiume, mostra cartografica; Calvino e le sue radici, mostra documentaria; Riflessi sull’acqua, mostra documentario-iconografica. • Videoinstallazione critica in piazza della Vittoria: Immagini di arredo urbano pavese, a cura di Luca Micotti e Lorenza Aprici. • Convegni: 25/3 Un territorio in Partenza: viaggio da Pavia al Mare per il recupero del paesaggio (sono intervenuti: Giovanni Iannelli, Aurora Scotti, Francesco Puma, Carlo Cacciamani, Luigi Mille, Marco Dezzi Bardeschi, Graziella Sibra); 28/3 Progettare il paesaggio: come la politica disegna il territorio (sono intervenuti: Fabio Granata, Emilia Benfante, Milena Bertani, Silvana Borutti, Giuseppina Balzamo, Franco Sacchi); 29/3 Paesaggi in prospettiva (a cura di Luisa Bonesio, sono intervenuti: Maurizio Vitta, Claudia Pasqualini Salsa, Luigi Zanzi, Alberto Magnaghi, Massimo Quaini, Annalisa Maniglio Calcagno, ha coordinato Luigi Russo); 31/3 Paesaggio urbano pavese: identità fluviale, identità fluida (a cura di Luca Micotti, sono intervenuti: Vittorio Prina, Remo Dorigati, Alessandro Rocca); 1/4 L’“Abitare” e la grazia. Nuovi percorsi tra Bellezza, Tecnica, Agricoltu- ra (a cura di Luciano Valle, sono intervenuti: Paolo Lassini, Gabriele Corti, Maurizio Boriani, Agnese Visconti). • Laboratori: 28/3 Giardinamente. Il Giardino dei Sensi, a cura di Franca Bottaro; 30/3 Filosofia del camminare. Laboratorio itinerante con momenti di raccoglimento per scrittura diaristica, a cura di Duccio Demetrio. • Conversazione conclusiva, 2/4 aula magna dell’Università: L’anima dei luoghi con James Hillman. Progettazione del paesaggio L’AIAPP – Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio è l’ente cui fanno riferimento molti professionisti attivi nel campo della paesaggistica. L’Associazione, affiliata all’IFLA (International Federation of Landscape Architects e all’EFLA, European Foundation for Landscape Architecture), è impegnata a promuovere la cultura del paesaggio, la tutela, la conservazione e il miglioramento della qualità ambientale del nostro paese. Una delle iniziative dell’AIAPP, gestite da anni con successo, è quella dei “Giovedì verdi”, cicli di conferenze sul paesaggio organizzate al Museo di Storia Naturale di Milano. Dopo le scorse dieci edizioni che hanno visto la presenza di noti paesaggisti internazionali, tra cui Peter Latz, Kathryn Gustafson, Martha Schwartz, Bet Figueras, Henri Bava, Michel Corajoud, Christophe Girot, quest’anno la nuova serie di incontri è dedicata al tema del “Paesaggio progettato”. Quattro famosi paesaggisti presentano le loro esperienze e la loro teoria sulla progettazione del paesaggio. Il primo relatore è stato Paolo Burgi, svizzero, che ha presentato i suoi progetti caratterizzati da minimalismo e poesia, dall’arte unita alla tecnologia. Una delle sue realizzazioni più recenti ha interessato il comprensorio di Cardada, vicino a Locarno (vedi foto), dove il progettista ha effettuato una serie di interventi, dando un notevole contributo alla comprensione del paesaggio e del territorio montano e del Lago Maggiore, con la costruzione della Piazza d’arrivo della funivia, dell’Osservatorio Geologico, del Sentiero Ludico e del Promontorio Paesaggistico. La seconda conferenza è stata tenuta da Alain Provost, uno dei più importanti architetti francesi del paesaggio, il cui lavoro include rilevanti progetti come quelli per Courneuve Park, per l’Eurotunnel a Calais, il Technocentre Renault a Guyancourt, la ricostruzione dei giardini del castello di Villarceaux, e il Thames Barrier Park a Londra. Charles Jencks, architetto di fama mondiale, autore di numerose pubblicazioni sulla teoria dell’architettura e sul paesaggio, ha presentato il suo “Giardino della speculazione cosmica”. Quest’opera ha interessato una tenuta a Portrack, nelle Lowlands scozzesi, dove ponti, stagni e siepi sono stati pensati e pianificati come espressione e corrispondenza di forme cosmiche, onde e frattali, che descrivono la struttura dell’universo, secondo un’idea della realizzazione del paesaggio che coinvolge la concezione stessa dell’universo e della scienza. Chiude gli incontri del giovedì l’esposizione di Fernando Caruncho, filosofo e giardiniere. Per l’artista spagnolo, che non ama la definizione di paesaggista, tre sono gli elementi fondamentali: l’acqua, la luce e la geometria. I suoi paesaggi sono intrisi di poesia e concepiti per apportare pace e serenità. Le sue opere più recenti sono state realizzate a Madrid, sulla Costa Brava e a Gerona, in Catalogna. Manuela Oglialoro 31 OSSERVATORIO ARGOMENTI Leonardo svelato a cura di Roberto Gamba 32 2 Area ex Ansaldo a Milano settembre – ottobre 2005 Questo concorso ad inviti è stato bandito dalla Pirelli RE e dalla Morgan Stanley RE Funds, raggruppamento proprietario dei terreni nell’area ex Ansaldo a Milano, in viale Sarca. Lo spazio è occupato da capannoni di 60 mila mq posto a ridosso della Bicocca Village – l’Entertainment Centre. Si è trattato di ridefinire l’immagine e la funzione dell’area, per le destinazioni d’uso industriale e commerciale. Il bando prevede la realizzazione su un primo lotto di oltre 52.000 mq di un edificio uso uffici, mentre sui restanti circa 8.000 mq di slp saranno distribuite funzioni compatibili, prevalentemente ad uso commerciale. È prevista inoltre la realizzazione di 17.007 mq di parcheggi prevalentemente interrati. L’avvio dei lavori è previsto nella seconda parte del 2006; il valore del complesso immobiliare, una volta ultimato, sarà di circa 200 milioni di euro. Erano stati invitati a partecipare 10 gruppi: von Gerkan, Marg und Partner; Maurizio Varratta; Exposure Arch.; MCA Integrated Design; Metrogramma, 5+1, Lissoni Ass., Giampiero Peia Ass., Sebastiano Brandolini, Milanoprogetti, MS Ing., Ezio Micelli; CMR; Beniamino Servino con G. Ambrosio, G. Del Giudice, A. Di Virgilio, L. Molinari, AI Eng., AI Studio Ass. (S. Cremo, O. Berta); Cino Zucchi Arch. Sono stati proclamati vincitori ex aequo lo studio Archea e Michael Maltzan, che successivamente sono stati invitati a collaborare per dare forma ad una terza definitiva soluzione. L’ente banditore ha indicato l’attenzione al criterio della sostenibilità ambientale, metro imprescindibile nella valutazione dei progetti. 1° classificato ex aequo (foto 1- 3) Archea Associati (Firenze): Laura Andreini, Marco Casamonti, Silvia Fabi, Gianna Parisse, Giovanni Polazzi Nel secondo che ha una superficie di circa 7.000 mq si prevede la realizzazione di una struttura composta da un insieme di edifici a forma cilindrica ed un edificio parallelepipedo di testa che chiude lo spazio, con all’interno gli spazi commerciali. I materiali previsti eco-compatibili sono blocchi in laterizio porizzato con farina di legno, malta di calce e calcestruzzo con argilla espansa. Le facciate esterne dell’edificio sono realizzate da una doppia pelle costituita internamente da serramenti vetrati ed esternamente da una schermatura in vetri trasparenti. Il progetto è concepito come un dialogo tra i due lotti, alternando pieni e vuoti, concavi e convessi. Nel primo si prevede la realizzazione di un edificio uso uffici costituito da un piano interrato ad uso parcheggi e sette piani fuori terra. L’immobile è un parallelepipedo con dei vuoti di forma cilindrica all’interno dei quali sono localizzate delle piccole piazze. 1 3 1° classificato ex aequo (foto 4-6) Micheal Maltzan Architecture (Los Angeles) Il progetto prevede la realizzazione di un complesso costituito da due torri a pianta quadrata, di dimensione differente (primo lotto: lato circa 61 m; secondo lotto: lato circa 45,8 m), situate ai margini est e ovest dei due lotti e collegati tra loro da un ponte aereo alto 20 metri. Le attività commerciali si trova4 5 no a piano terra di entrambi i complessi. Le aree a verde sono concentrate a piano terra con un grande parco che si dirada in entrambi i lotti. In entrambi i lotti si prevedono due livelli interrati di parcheggi di pertinenza degli edifici. I materiali da costruzione di cui si prevede l’utilizzo sono ecocompatibili in quanto sostituti del cemento e a base di acciaio riciclato. 6 3 Riqualificazione del centro sportivo di Cortenuova (Bergamo) luglio – ottobre 2005 Tema del concorso di progettazione è l’ampliamento e la riqualificazione del centro sportivo comunale, che dovrà prevedere la realizzazione di campi da calcio, campo da tennis, piscina, una pista ed un’area verde per l’atletica; un parco pubblico, strutture ricreative, parcheggi, per una complessiva spesa di euro 8.000.000. Erano richieste tre tavole in formato A0. Il montepremi è stato di 26.000 euro. La Giuria era composta da Fabio Sansottera, Roberto Zampoleri, Giorgio Rizzi, Giuseppe Molari, Giuseppe Ranghetti, Gianni Roncaglia, Anto- nio Cortinovis, Filippo Simonetti, Sergio Crotti. Si sono classificati al terzo e quarto posto, ma poi esclusi dalla premiazione: Emiliano Bellini con S. Volpe e Alberto Roscini con A. Piantanida, C. Nozza, A. Gobbi, M. Benedetti. Segnalati sono stati i progetti di Maria Claudia Peretti con S. Longaretti, I. Vizzardi, M.C. Bertuzzi; G. Fenyves; Lorenzo Consalez con M. Rossi, E. Bertinotti, P. Citterio (Morandi e Citterio arch.), A. Starr Stabile, E. Gelmetti, F. Peruzzotti. Classificato al nono posto Frans Giobbi con F. Gilberti, E. B. Giobbi, D. Guidetti, M. Masneri, F. Vida, M. Sissa Magrini. 1° classificato (foto 1-3) Paolo Belloni (Bergamo) con PBEB Architetti, Elena Brazís collaboratori: Michele Todaro, Davide Pagliarini posta la pianura coltivata. I solchi della campagna entrano nella città. Superfici monomateriche – recinzioni – modesti edifici di servizio – tribune e spazi per il pubblico: come organizzare questi pochi elementi per costruire “luoghi”? Il progetto si costruisce per segmenti giustapposti, una sequenza alternata di fasce che organizzano spazi per l’attività sportiva e spazi di interconnessione destinati a parco. Ogni fascia è organizzata da una sequenza di “campi” architettonicamente e funzionalmente compiuti. Architettura e territorio; campagna antropizzata e limiti della città diffusa: la pianura bergamasca è luogo di transito tra la collina e la pianura, ma è anche luogo di transito di infrastrutture e canali irrigui che segnano il territorio. Il luogo è geograficamente chiaro, il suo orientamento è nord-sud: da un lato la montagna e nella direzione op- 2° classificato (foto 4-6) Martina Cafaro (Treviso), Monica Bosio, Marco Ferrari, Carlo Zavan, Alberto Fichera Le attrezzature sportive vengono concentrate all’interno di grandi “forme di terra”, nella maggiore delle quali viene mantenuto il campo da calcio a undici. Ogni recinto ha una propria autonomia funzionale, sia come dotazione di servizi che come accessibilità e sosta. Il parco, che si estende su una superficie di 19.500 mq, nasce dall’articolazione tra terrapieni e 4 5 1 6 2 sistema della vegetazione, in voluto rapporto con lo spazio polifunzionale per manifestazioni socio-ricreative. Il progetto adotta la nuova viabilità di accesso prevista dal P.R.G., ma ne propone una versione del tipo “strada-parco” per mediare il rapporto con la campagna. Il primo lotto di opere previste comprende i lavori che rendono funzionale l’utilizzo del campo da calcio esistente e del nuovo campo da calcio a sette, e allo stesso tempo suggeriscono l’assetto futuro del parco e delle aree centrali del paese. OSSERVATORIO CONCORSI 33 34 3° classificato (foto 7-9) Antonio Lazzaretto (Milano), Francesco Marmo, Giulio Rabboni, Elena Magi, Marco Barin, Lisa Santin, Alessandro Prati, Carlo Barrese, Renato Renzo Angella collaboratori: Lisa Santin, Giulio Raboni L’impianto planimetrico del progetto viene strutturato rispettando l’orientamento della centuriazione, che informa il paesaggio agricolo circostante. Una serie di recinti, di diverse carat7 8 teristiche fisiche, delimitano le funzioni specifiche, il parco, i campi da gioco, l’area delle piscine, le corti giardino, la piazza alberata per le feste, i giochi dei bambini, i parcheggi, gli edifici, formando una gerarchia di percorsi, di spazi aperti, di interni. Procedendo dall’esterno verso l’interno dell’area, il densificarsi delle funzioni genera una progressiva complessificazione degli spazi e dei percorsi che si conclude nella articolazione degli interni degli edifici caratterizzati da una forte introversione. Riqualificazione del Lungolago di Malgrate (Lecco) maggio – novembre 2005 Il Comune aveva bandito questo concorso di idee per la riqualificazione urbanistica, culturale e sociale del lungolago, dal confine con il Comune di Valmadrera, (via Parini) sino al Ponte Azzone Visconti in località Porto. Era richiesto un intervento che esaminasse la passeggiata a lago (nuovi percorsi e spazi pedonali e ciclabili; il ridisegno del luogo urbano, da compiersi anche attraverso un attento studio dei materiali e delle tipologie degli arredi, del sistema di illuminazione; uno studio del verde. La Piazza Garibaldi, fulcro del centro storico, manca di una propria identità; la riqualificazio- ne del porticciolo doveva prevedere un nuovo pontile d’attracco; inoltre, doveva essere rivista e valorizzata l’area di tutta la riva interessata al rimessaggio delle barche integrandola con la passeggiata a lago. La Giuria era composta da Leopoldo Emilio Freyrie, Simone Cola, Massimo Mazzoleni, Gerolamo Ferrario, Massimiliano Valsecchi. Sono stati segnalati i progetti di Sergio Fumagalli (LFL architetti), Piero Luconi, Laura Luconi, Alessandra Manzoni, Giovanni Sacchi, Dario Zappa; di Ilaria Gurian, Antonella La Spada, Davide De Giobbi, Prisco Ferrara. Menzionato il progetto di Silvio Delsante, Augusto Colombo, Alberto Capitanio, Remo Capitanio. 1° classificato (foto 1-3) Andrea Gerosa (Lambrugo, Como), Vincenzo Gaglio circa 240 posti auto a raso. Per ovviare all’assenza di un significativo spazio di relazione si prevede, tra i vari interventi a carattere puntuale disclocati sul lungolago, la costruzione di una vera piazza, la Piazza Garibaldi, localizzata su rilevato appositamente costruito. Questa si contraddistinguerà per un nuovo e forte carattere identitario attribuitogli dalla presenza dell’imbarcadero, dal ridisegno delle pavimentazioni, dalla presenza di nuovi luoghi di ritrovo coperti e attrezzati con attività quali, centro informazioni, biglietteria per la navigazione su lago e caffetteria. L’unitarietà del nuovo Lungolago di Malgrate è affidata alla ridefinizione dell’attuale sezione stradale tramite la costruzione di un percorso ciclo-pedonale coperto da pergolato, l’inserimento di idoneo arredo urbano, la messa a dimora di essenze arboree che integreranno quelle esistenti, interventi sul nastro stradale per il rallentamento del traffico veicolare, l’ottimizzazione degli spazi adibiti a parcheggio che permettano di ricavare 1 9 1 3 Studio di fattibilità dei parchi Castel Cerreto e Roccolo a Treviglio (Bg) luglio – ottobre 2005 Il tema del concorso è lo studio di fattibilità di un parco “storiconaturalistico” per la località Castel Cerreto e “ricreativo-ludico” per la località Roccolo: vale dire un insieme di sistemazioni paesistiche, di tutela e di recupero che tengano conto dei valori ambientali, storici, archeologici ed artistici dei luoghi delle aree interessate in rapporto anche a possibili Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS) la cui formazione è auspicata dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP). I partecipanti hanno dovuto formare gruppi di lavoro con almeno un laureato in architettura, in scienze agrarie, in scienze naturali, in materia ambientale e con un giovane professionista. Erano richieste due tavole per ogni parco in formato A1. Per il vincitore era previsto un premio di euro 10.000; al secondo e al terzo classificato rispettivamente euro 5.000 e euro 2.500. Quattro sono stati i partecipanti. La giuria era composta da Antonio Maraniello, presidente; Flavio Bregant, Achille Bonardi, Carlo Stanis Cecchini Manara, Domenico Egizi, Giorgio Zordan. Oltre ai due progetti qui presentati, si sono classificati al terzo posto Maria Zerillo e al quarto Michelangelo Lassini. 1° classificato (foto 1-2) Barbara Oggionni (Treviglio) con Giovanna Angelucci, Enrico Antignati, Ferdinando Baruffi, Claudia Bencetti, Isabella Bussi, Livio Leoni ecologici e da percorsi estendibili anche al territorio, così da supportare la fattibilità di un PLIS. A corredo della normativa proposta, basata su studi di settore, vi sono progetti con inserimento di orti urbani di quartiere finalizzati a collegare le aree di margine urbano con il Parco Roccolo; di orti didattici che ripro- Sono stati formulati due progetti distinti, come richiesto dal bando, ma collegati fra loro da corridoi e lungo le nuove reti infrastrutturali che dovrebbero essere realizzate all’interno delle aree tutelate. Lungo i percorsi sono previste aree di sosta con indicazione dei siti di pregio che i percorsi stessi attraversano, così da favorire la realizzazione di un grande parco a scala territoriale. 35 OSSERVATORIO CONCORSI pongono le antiche colture tipiche della zona; di ripopolamento dei boschi e dei fontanili, così da garantire la sopravvivenza delle zone naturalistiche. I corridoi ecologici sono realizzati con fasce boscate che divengono barriere vegetali poste lungo i margini delle linee ferroviarie che attraversano i parchi 2 OSSERVATORIO CONCORSI 36 le presenza di vaste aree recintate legate a specifiche funzioni (lago artificiale, parco associazioni, area sperimentazione mezzi agricoli). La diretta prossimità con il margine urbano amplifica la vocazione ludica delle aree verdi; la presenza delle strade a 2 scorrimento veloce o delle vie ferrate può divenire un elemento che caratterizza il gioco formale di un parco urbano di scala sovracomunale, da attrezzare per specifiche attività ricreative, con una grande piazza pavimentata. 3 4 5 2° classificato (foto 3-5) Franco Balbo (Carvico, Bergamo), Elena Perico, Maurizio Panseri, Emanuela Panseri, Matteo Panseri La pianura coltivata è caratterizzata da campi e filari alberati che riquadrano il territorio in “stanze verdi”. Il progetto prevede di utilizzare questi elementi, formali e funzionali, per cercare di restituire unitarietà ad un ambiente oggi frantumato. Lo spazio aperto dei due Parchi si viene così a legare nuovamente sotto una stessa regola: i confini vengono stabiliti. Gli spazi possono essere destinati e attrezzati a diverse funzioni ricreative, con una grande piazza pavimentata e sottomessi a differenti leggi formali, senza che l’unitarietà del territorio venga tradita. Il Parco Roccolo è prossimo al centro cittadino e vi è la tangibi- F. Albini, I. Gardella, G. Minoletti, G. Pagano, G. Palanti, G. Predaval, G. Romano, “Milano Verde: progetto di sistemazione della zona SempioneFiera”, fotografia del modello, in “Casabella Costruzioni”, dicembre 1938. Nell’ambito dei “Martedì del Corriere della Sera” si sono tenuti, presso la sede del giornale, una serie di incontri incentrati sul tema della costruzione della città, sui progetti per la grande Milano. Il confronto fra politici, amministratori, architetti è proseguito, poi, sulle pagine dello stesso quotidiano. Il 21 febbraio, apre la discussione, introducendo i temi dei successivi interventi, Stefano Boeri, direttore di “Domus”. Sotto elezioni, le idee scendono in piazza (…) Un frastuono di proposte (…) che a ben guardare nasce da due principali tribù di idee. La prima tribù raccoglie le idee con le gambe lunghe e la testa in cielo. Lungimiranti e caparbie, queste idee guardano dall’alto grandi porzioni di territorio (…) Suggeriscono soluzioni complessive per i grandi problemi urbani (…) Ma fanno qualche fatica a guardare in basso, a dirci come e soprattutto dove applicare queste soluzioni (…) La seconda tribù di idee non corre questo rischio. I suoi membri hanno i piedi ancorati al suolo e gli occhi ben vicini a terra (…) dispongono di un’appassionata precisione geografica. In questi giorni accade che le due tribù, s’incontrino (…) che attorno a un’idea generalista si radunino tante piccole idee localiste (…) Di questi tempi avremmo bisogno di idee capaci di parlarci di luoghi concreti, ma anche di aprirci il cuore verso alcune ambiziose prospettive di sviluppo. Idee con i piedi per terra e la testa nel cielo; legate sia a un luogo che a un sogno possibile (…) la forestazione di parti del Parco sud e la loro connessione con i Parchi periurbani esistenti farebbe di Milano una metropoli interamente perimetrata da una cintura verde (…); le politiche sulla cultura (…), un programma di inziative (…), un Parco delle Culture; la questione della casa (…) Progetti di questo tipo appartengono alla tribù delle idee che tengono insieme un pezzo fisico di territorio, una rete di energie economiche e un immaginario simbolico potentissimo. Mario Botta (22 febbraio) affronta, senza mezzi termini, la que- stione dei grandi progetti che stanno trasformando la città e attacca il Comune, gli architetti e i committenti. Si è voluto riempirli di mix funzionali perché aspirano a essere delle città autosufficienti. In realtà sono delle caricature delle città (…) non rispettano le tracce storiche (…) Abbiamo copiato un modello americano (…) un modello sbagliato (…) La nostra colpa è stata quella di non fermare l’importazione di modelli uguali in tutto il mondo. Con Botta concorda Gae Aulenti (23 febbraio) che sottolinea come il responsabile del disegno urbano sia chi governa e non tanto l’architetto. A Milano è mancato questo tipo di governo (…) la città si è frammentata (…) Ce l’ho con questa giunta. Perché non è propositiva Ha giocato sempre a nascondersi preferendo una comunicazione bizzarra alle cose concrete (…) Basta sfogliare quell’opuscolo sui parchi distribuito dall’Urban Center. Dove tutto viene definito parco (…) I grandi parchi di chiusura dell’abitato servono a creare dei limiti, delle regole e a evitare il fenomeno della periferia (…) Quando si parla di continuità dei tessuti intendo proprio il tessuto che continua e finisce nei parchi. Quella dovrebbe essere la periferia, una periferia di qualità. L’assessore Verga (22 febbraio) ricorda come le aree di intervento siano aree dismesse in cui pare difficile trovare le tracce storiche “invocate” da Botta; Stefano Boeri aggiunge di non approvare completamente gli interventi in atto e Ugo Bernardi, presidente di Citylife, aggiudicatrice del concorso per l’area della Fiera, puntualizza che le linee guida c’erano e che nel progetto è stata sottolineata la vocazione di innovazione e internazionalizzazione dell’area. Al dibattito si aggiungono due rappresentanti politici – Carlo Cerami per i DS e Maurizio Lupi per Forza Italia – Alberto Ferruzzi, presidente di Italia Nostra, Fabio Terragni, amministratore delegato di Milano Metropoli Agenzia di Sviluppo e Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia. Quest’ultimo (25 febbraio), sul tema dei grandi progetti, invoca l’aspirazione a ideali che possano sostenere visioni strategiche di lungo 37 periodo (…) La domanda che dovremmo tenere ferma nel dibattito è come vogliamo che sia l’Italia tra qualche decennio (…) La riqualificazione delle nostre città e del nostro territorio rappresenta uno degli ingredienti irrinunciabili per la riaffermazione della nostra competitività, ma dobbiamo trovare il modo per giocare bene (…) grandi architetti al lavoro in Italia, combinazione fra architetti italiani e stranieri e concorsi (…) per creare competenze e conoscenze (…) Oggi le aree cui si riferiscono i grandi progetti di Milano sono in gran parte “isole” (...) sconnesse dalla città. Per Alberto Ferruzzi (5 marzo), che concorda sulla necessità di una cintura verde, Milano attraverso il frazionamento dei “grandi progetti” ha perso un’occasione strategica che non si ripeterà più (…) E affronta il tema dei piccoli progetti soffermandosi sulla Legge regionale dei sottotetti a Milano applicata senza alcuna considerazione del decoro urbano. Fabio Terragni (24 febbraio) invita a confrontarsi sul futuro della città senza trascurare la dimensione attuativa. Tre sono le proposte: la prima riguarda la dimensione metropolitana secondo la quale la città potrà affrontare adeguatamente i suoi problemi solo se si farà capoluogo di una più ampia regione urbana (…) Se Milano non diventa metropoli è destinata a soffrire e non crescere. Poi, la possibilità di un “grande evento” (…) un’iniziativa globale che metta al centro sapere e conoscenza, coinvolgendo università e imprese (…) Infine: forestazione urbana e nuovi insediamenti ecologici (…) Milano Metropoli sta discutendo con Regione Lombardia e Provincia di Milano per avviare una procedura d’incentivazione della forestazione delle fasce attorno alla città che permetta anche di realizzare “Ecovillaggi urbani”, che rappresentino una risposta alle esigenze di abitare, di verde, di socialità. Infine, i due rappresentanti politici. Lupi (26 febbraio) affronta l’argomento a partire da quanto fatto dalla giunta Albertini. Nel ’97 Milano era una città senza depuratori e con soli 7 mq di verde per abitante. Oggi la nostra città ha i depuratori (realizzati dopo che la Corte di giustizia europea aveva condannato lo Stato Italiano per l’inadempienza milanese, precisa Ferruzzi) e i mq di verde per abitante sono raddoppiati. Condivide l’idea di Boeri sulla ”cintura verde”: sì al modello Parco Nord e Bosco in Città, no al modello Parco Sud; e sottolinea come Milano nei fatti sia già una cittàRegione che necessita di uno status legislativo speciale. Altre questioni riguradano le strutture d’eccellenza, la questione della casa e della città sotterranea. Cerami (2 marzo), apprezzando la disponibilità al dibattito offerta da Lupi, sostiene la necessità di una valutazione realistica dei problemi che gravano sulla città. L’assenza di politica e di visione strategica di Palazzo Marino induce gli esponenti del centrodestra a tentare di segnare una discontinutà con il recente passato (…) i grandi progetti sono stati concepiti in una logica di pura negoziazione tra Comune e operatori lasciando fuori la città. Gli interventi proposti sono condivisibili (…) È auspicabile un’architettura di forte simbolicità, che tenga conto dei valori ambientali e della qualità urbana. Ma il ruolo del Comune come operatore immobiliare (…) dovrà ispirarsi al principio del contenimento dell’uso del suolo (…), a una sapiente localizzazione della residenza a prezzi agevolati, a una forte presenza di nuovi spazi di offerta culturale. Tutto ciò in accordo con l’amministrazione cittadina, la Provincia, la Regione, i sindaci dell’hinterland costruendo quel governo metropolitano che, più che di poteri speciali, necessita di una guida lungimirante e politicamente forte. E di un programma strategico e condiviso. Martina Landsberger OSSERVATORIO RILETTURE La tribù delle idee 38 La modernità di Marcello Canino Sergio Stenti (a cura di) Marcello Canino1895/1970 Clean, Napoli, 2005 pp. 240, € 30,00 Ciò che emerge dal volume monografico su Marcello Canino – edito in occasione della mostraconvegno tenutasi a Napoli nel giugno 2005 – è che, ripercorrendo l’attività di un protagonista dell’architettura napoletana ed italiana del Novecento, si possa iniziare a far luce su un intero mann, Behrens; un professionista attento alla tradizione, ma rivolto verso un’idea di modernità fortemente segnata dal rapporto con la storia e la classicità; un intellettuale che pur nella difficoltà del momento storico manifestava un carattere moderno nell’attenzione posta alle questioni urbane. Il volume si completa con una parte analitica affidata a giovani architetti e ricercatori che ordinano la vasta produzione architettonica di Canino secondo precise questioni tematiche. Risultano particolarmente interessanti i saggi sulle cosiddette architetture minori – ville, edifici industriali, stazioni, quartieri residenziali, ecc. – che vengono analizzate attraverso una lettura orientata a evidenziarne gli aspetti progettuali e compositivi. La casa popolare in Lombardia 1903-2003 è il catalogo di quella mostra ed è, mentre lo recensiamo, già esaurito. Questa opera, nelle parole del suo curatore: “mediante un ricco ed articolato quadro di saggi e di schede analitiche documenta e riflette sugli studi e sui materiali ordinati per la mostra che non si limitano ai quartieri di edilizia pubblica frutto del progetto dei maestri dell’architettura del Novecento lombardo, ma anche di molte realizzazioni poco conosciute che il lavoro analitico svolto presso le diverse Aler di Lombardia ha permesso di identificare. Il volu- Paola Catapano periodo storico da tempo trascurato, se non addirittura negato: quello che va dagli anni del regime fascista fino alla ricostruzione postbellica. La lettura condotta da Stenti e da un gruppo di studiosi sull’attività poliedrica e sulle diverse accezioni del fare architettura di Canino, non si esaurisce in una semplice catalogazione-sistematizzazione dei suoi lavori. Le tappe, le occasioni, la crescita dell’architettoingegnere, sono descritte, “unendo diversi punti di vista” che restituiscono uno spaccato della cultura architettonica di quegli anni. I grandi concorsi promossi dal regime con la realizzazione del palazzo delle Finanze e della Provincia, le ville private, il rione Carità, la Mostra d’Oltremare e il quartiere di Fuorigrotta, le terme di Castellammare, il rione Traiano, sono analizzati con sistematicità e rigore interpretativo e sono riletti alla luce di riflessioni sulla politica urbana e sul dibattito architettonico degli anni del dopoguerra, attraverso il continuo rimando ad altri protagonisti di quella generazione. Dai diversi contributi si delinea la figura di un uomo e un architetto erroneamente trascurato dalla critica contemporanea; un professore amato e stimato che coniugava l’estetica di Croce con il richiamo all’ordine delle opere di Perret, Asplud, Hoff- La casa popolare in Lombardia Raffaele Pugliese, (a cura di) La casa sociale. Dalla legge Luzzatti alle nuove politiche per la casa in Lombardia Unicopli – DPA, Politecnico di Milano, 2005 pp. 174, € 20,00 Raffaele Pugliese, (a cura di) La casa popolare in Lombardia 1903-2003 Unicopli – DPA, Politecnico di Milano, 2005 pp. 366, € 50,00 Alla fine del 2005, a due anni dalla celebrazione del centenario della legge Luzzatti, l’editore Unicopli ha dato alle stampe due pubblicazioni a cura di Raffaele Pugliese che fanno il punto della situazione sulle politiche regionali della casa e offrono la più aggiornata chiave di lettura dello straordinario patrimonio ex-IACP della Lombardia. Il primo volume La casa sociale. Dalla legge Luzzatti alle nuove politiche per la casa in Lombardia raccoglie i contributi del convegno che aveva inaugurato la mostra al palazzo della Triennale e che tra la fine del 2003 e nel 2004 ha girato anche nelle città di Brescia, Varese, Mantova, Lecco, Lodi e Pavia. La seconda me si propone come preliminare e fondativo nucleo di conoscenza di quel sapere civile indispensabile per affrontare in modo consapevole il rapporto con il patrimonio e con il passato”. Vista la rilevanza del patrimonio che ci è stato tramandato da cento anni di edilizia residenziale pubblica è inutile sottolineare l’importanza di queste pubblicazioni, soprattutto al fine di sollecitare una maggiore continuità del dialogo tra gli amministratori, il mondo della ricerca e quello delle professioni che è stato allora così ben avviato per scivolare poi in secondo piano di fronte al concretizzarsi dei primi interventi e all’incalzare delle scadenze elettorali. Antonio Borghi I Samonà, architetti operanti AA.VV. Giuseppe e Alberto Samonà 1923-1993. Inventario analitico dei fondi documentari conservati presso l’Archivio Progetti Il Poligrafo, Padova, 2003 pp. 502, € 32,00 Se è vero che l’architettura è una disciplina che si costruisce su se stessa, è cioè una scienza fondata sulla conoscenza delle esperienze precedenti, allora ben si comprende l’utilità, o meglio la necessità, di istituire archivi pubblici, in cui sia conservata, secondo precise metodologie scientifiche, la memoria storica di chi ha, con la propria opera, più o meno profondamente inciso sulla costruzione di un territorio, o su quella di un pensiero teorico, o addirittura sia riuscito a coinvolgere entrambi gli ambiti. In quest’ottica, l’iniziativa dell’Istituto di Architettura di Venezia (IUAV), in particolare del suo Archivio Progetti diretto da Roberto Sordina, di catalogare e rendere pubblico l’archivio di Giuseppe e Alberto Samonà, depositato presso l’Ateneo nel 1993, appare di grande rilievo per un duplice motivo: da un lato per aver cercato di sistematizzare – operazione di grande complessità dovuta al modo stesso di operare dei Samonà – il lavoro di questi due importanti architetti, entrambi impegnati anche nell’attività didattica proprio presso l’Ateneo veneziano, e in secondo luogo per aver reso accessibile l’archivio al pubblico tutto, ma soprattutto agli studenti della Scuola. Una Scuola che tanto deve al pensiero e soprattutto all’iniziativa di Giuseppe Samonà che dal 1945 in poi, per ventisei anni consecutivi, come scrive Roberto Sordina, “la governò, popolandola di molte anime, che confliggevano e formavano nell’eccellenza architetti”. Testimonianza della vastità e consistenza dell’archivio è il presente volume che, oltre a pubblicare il regesto dei fondi conservati presso l’Archivio Progetti Martina Landsberger Luoghi e legami Zygmunt Bauman Fiducia e paura nella città Bruno Mondadori, Milano, 2005 pp. 80, € 10,00 Nei tre brevi saggi che compongono il volume, il sociologo Zygmunt Bauman delinea le caratteristiche delle città globali scaturite dal crollo della società post-fordista. Nate per “dare sicurezza a tutti i loro abitanti”, le città moderne sono diventate luoghi ad alta concentrazione di paura, epicentri in cui si semina e si raccoglie diffidenza, terrore, angoscia. I luoghi descritti da Bauman assomigliano alle città panico di Paul Virilio. Crollato il modello solidale e corporativo e anche quello assistenziale, l’individuo è diventato l‘unico soggetto sociale, autosufficiente e autoreferenziale, almeno in apparenza. Ma, ad un secondo sguardo, la sopravvalutazione dell’individuo mostra i propri limiti. Privato dei vincoli sociali, l’individuo è un essere fragile, vulnerabile. Infranta la “parentela tra uomo e uomo”, dissolta la solidarietà, con la deregulation dilagano sospetto, sfiducia, insicurezza. La competizione va a braccetto con la paura dell’Altro. Le città si nutrono di xenofobia. Di fianco agli esclusi dal progresso economico, gli underclass, scacciati in spazi off-limits, proliferano isole di protezione per ricchi sempre più ricchi. Spazi “extraterritoriali”, blindati e sorvegliati, destinati ad un “élite globale”: le gated communities (comunità chiuse – dove l’accento, sottolinea l’autore, va sul secondo termine). La secessione della nuova élite globale è il segno di quello che l’autore chiama “passaggio dalla fase solida alla fase liquida della modernità”. Se la povertà inchioda al luogo, la ricchezza permette di muoversi in uno spazio più vasto e al tempo stesso virtuale che consente di sfuggire ai disagi locali. Ma “è nei luoghi che l’esperienza umana si forma, si accumula e viene condivisa, e il suo senso viene elaborato, assimilato…”. L’appello del sociologo è rivolto agli urbanisti: invece di mettersi al servizio della guerra urbana progettando enclaves per isolare e difendere le persone da “nemici” reali potenziali o presunti - alimentando una profezia che si auto-avvera – dovrebbero tornare a “creare ponti”, transiti e luoghi d’incontro per “riunire gli abitanti della città”. La soluzione è nel ritorno ai luoghi pubblici, spazi aperti, ospitali, ove tutti si ritrovino al di là delle differenze. “La comprensione reciproca si ottiene con una ‘fusione di orizzonti’; orizzonti cognitivi che vengono tracciati e allargati accumulando esperienze di vita. La fusione che una comprensione reciproca richiede non può che essere la conseguenza di un’esperienza condivisa”. Irina Casali Como-Milano Giancarlo Consonni e Graziella Tonon Terragni inedito quaderno n. 8 dell’Archivio Bottoni Ronca Editore, Cremona, 2006 pp. 260, € 24,50 Il secondo quaderno dedicato a Terragni dalle pubblicazioni dell’Archivio Bottoni ordina i materiali del maestro comasco raccolti nelle carte dell’urbanista milanese. In realtà i quaderni sarebbero tre, includendo il n. 6 dedicato all’edificio dell’INA casa di corso Sempione e a casa Rustici, curato da Laura Montedoro, inaugurale della riflessione su Terragni-Bottoni. In quest’ultimo, il n. 8, disegni foto o lettere, inviati o dedicati a Bottoni dallo stesso Terragni, assieme ai materiali dei lavori in comune, sono censiti e commentati da saggi di Consonni e Tonon che si fanno carico del loro esame e di una loro collocazione – da un punto di vista per così dire “bottoniano” – oltre alla presentazione degli inediti di Terragni. Questa seconda parte critica, centrale del quaderno, è introdotta da una prima che riepiloga sia la consistenza del fondo che le diverse provenienze e racconta la storia del rapporto fra Bottoni e Terragni in vita e postumo. Il regesto dei documenti conservati nell’archivio è presentato nelle settanta pagine alla fine del volume. Oltre alla conoscenza dei documenti, bisogna provare a riscrivere una interpretazione di questo rapporto forse più vicina alle cose. Anche pensando all’uso che di Terragni si è fatto nell’architettura italiana del dopoguerra. In questo caso è di indubbio interesse tracciare i contributi specifici nei lavori comuni connotati dalla sigla CM. Il concorso per il piano regolatore di Como CM8 (1934) e quello per la nuova fiera di Milano (1938), che ben esemplificano i legami e le divergenze fra i razionalisti milanesi e comaschi, i diversi profili ideologici e artistici che si delineano alla fine degli anni Trenta, alla conclusione della prima stagione razionalista. Un interrogativo per così dire “costante”, un dubbio permanente che permane nel muto rispecchiarsi dell’edificio dell’INA casa e di Casa Rustici sull’asse di corso Sempione. Che ben mostrano, seppure nella digressione milanese di Terragni, due modi d’intendere l’architettura nuova e la sua pratica nella società moderna. Giulio Barazzetta 39 OSSERVATORIO LIBRI (fondi donati da Livia Toccafondi e Andrea Samonà, Bastiana e Francesco Dal Co, Corrado ed Emiliano Balistreri-Tricanato) e parecchie riproduzioni fotografiche del materiale grafico conservato, riporta gli interventi di alcuni dei relatori che nel 2002 parteciparono a una giornata di studi dedicata all’opera e all’insegnamento dei Samonà svoltasi in parallelo alla mostra Giuseppe e Alberto Samonà lezioni di architettura, curata da Francesco Tentori e Marco Pogačnik. a cura di Sonia Milone 40 La costruzione dell’isolato olandese Dutch Urban Block Milano, Facoltà di Architettura Civile via Durando 8 22 marzo – 5 aprile 2006 Alla fine di marzo si è aperta alla Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano una mostra prodotta dalla Facoltà di Architettura di Delft sui risultati di un eccellente lavoro sulla città olandese guidato da Susanne Komossa con la collaborazione dei Dipartimenti di Architettura e di Urbanistica. Lo studio, raccolto in un Atlante pubblicato ora anche in inglese, illustra lo sviluppo nel tempo dell’isolato residenziale, elemento protagonista di un’esperienza unica nella vicenda urbana occidentale, in grado di contenere in sé la ricchezza dei compo- città e della sua stessa ragion d’essere. L’Atlante analizza diversi isolati di Amsterdam e Rotterdam in sequenza storica muovendo dal XVII secolo, il periodo nel quale si fissano in modo definitivo i caratteri dell’esperienza urbana olandese; tra questi riveste un ruolo decisivo l’idea di casa quale generale matrice di tutti gli edifici, nella forma come nell’aspetto e in molti casi anche nella lingua, che usa connotare gli edifici pubblici con il suffisso domestico di huis. Si tratta di una sorta di domesticità diffusa, di principio architettonico semplice per il quale l’edificio pubblico è una grande casa in mezzo alle altre, caratterizzato da dimensioni e ruolo urbano preminenti mentre, all’inverso, la casa viene a sua volta contaminata dai caratteri aulici acquisendo, in certo qual modo, una sua specifica sacralità. Dalla ricerca emerge che la solida città olandese, caratterizzata anche da movimenti e ten- Bill, homo faber Max Bill Milano, Palazzo Reale piazza Duomo 12 29 marzo – 25 giugno 2006 Dedicare una mostra a una figura quale è stata quella di Max Bill significa affrontare il rapporto che esiste o che dovrebbe esistere fra le diverse forme d’arte. Bill è una figura poliedrica, una sorta di homo faber, che nel corso di tutti gli 86 anni della sua vita sperimenta ogni forma d’arte. Svizzero di origine, frequenta fra il 1927 e il 1928, il Bauhaus di Gropius, e in particolar modo Kandinskij e Klee, professori della scuola. È forse proprio l’atmosfera, il dibattito culturale e intellettuale che si svolge all’interno del Bauhaus, a determinare in Bill un particolare interesse per ogni disciplina insegnata. Il risultato sarà un’attività Avendo in mente queste poche parole, risulta facile percorrere la bella mostra che si snoda lungo un percorso suddiviso in sezioni in cui le diverse forme artistiche a volte si mescolano, allo scopo di mettere in evidenza il medesimo procedimento razionale adottato. Si parte con i lavori giovanili e con quelli sviluppati all’interno del Bauhaus, si passa successivamente agli esperimenti sul concetto di infinito e in particolare sulla costruzione del Nastro di Möbius, poi alla rappresentazione pittorica fondata sulla matematica, sulle leggi dell’armonia, sulla possibilità di continue variazioni a partire da un tema dato. Seguono, infine, le sezioni dedicate all’architettura, alla grafica, alla tipografia e al design. Martina Landsberger Il Cabanon al parco Sempione Le Corbusier. L’interno del Cabanon Milano, Palazzo dell’Arte viale Alemagna 6 5 aprile – 4 giugno 2006 nenti che riguardano la vita urbana, comprendendo insieme alla casa gli spazi destinati allo svago nonché gli edifici pubblici e quanto di pratico necessita al risiedere in città. In questo quadro l’abitazione non costituisce il connettivo urbano (ciò che collega quantitativamente, secondo una visione rozza dell’abitare purtroppo assai diffusa nel nostro paese) quanto piuttosto la parte preminente del contenuto civile della sioni contrastanti, sembra seguire se non proprio una linea di lavoro continua, una linea di ricerca riconoscibile. Purtroppo non possiamo dire altrettanto del nostro paese dove la crisi politica e sociale che l’Italia ha attraversato nello scorso secolo e continua ad attraversare oggi, si rispecchia in modo fin troppo crudamente realistico nella sua costruzione. Adalberto Del Bo nel corso degli anni, ugualmente spesa fra la pittura, la scultura, il design, la tipografia, la grafica e l’architettura e anche la politica. È proprio l’architettura, l’arte che Bill predilige. Essa consiste nella continua ricerca della “buona forma”, nell’apirazione alla coincidenza di forma, appunto, costruzione e materia. A questo scopo, l’artista-architetto ha il compito e la responsabilità civile e sociale di realizzare “forme” contraddistinte da un valore assoluto, e, con questo obiettivo, deve necessariamente rinunciare alla rappresentazione di se stesso, della propria personalità. Progettare significa compiere operazioni di verifica di “carattere logico – scrive Bill – Un atteggiamento simile investe fra l’altro tutte le mie attività. Attività sempre fondate sull’analisi del problema, con l’obiettivo di raggiungere una soluzione logica e verificabile”, comprensibile, possiamo dire, oggi. Significativo segnale di una rinnovata sensibilità architettonica all’indomani del secondo conflitto mondiale, il Cabanon coniuga le ricerche di Le Corbusier sulla casa come machine à habiter alla riscoperta dell’ambiente naturale come risorsa per l’abitare. Si tratta della casa di vacanza dell’architetto a Cap Martin, in Costa Azzurra: una cellula interamente in legno di 3,66 x 3,66 m, in cui si concentrano le funzioni vitali di una qualunque abitazione, ridotte all’essenziale. Un ambiente minimale, concepito sui precetti dimensionali sintetizzati dal Modulor, dove il lavabo è un elemento in acciaio tratto da un wagon-lit, ormai un ricordo isolato della civiltà macchinista, inserito tra pareti e mobili rigorosamente geometrizzati ma addolciti dal caldo colore naturale del legno. Negli anni Cinquanta, infatti, l’architetto studia le potenzialità espressive dei materiali e della pratica costruttiva tradizionale legate alle peculiarità ambientali del sito, la cui applicazione culminerà nell’elaborazione del linguaggio monu- Maria Teresa Feraboli Vivere su un’isola Less. Strategie alternative dell’abitare Milano, PAC via Palestro 14 5 aprile – 18 giugno 2006 strumento del mutamento, come avviene negli specchi di Cantor, nelle utopie surrealiste di Armajani o nel fragile e poetico Arch de Triumph for Personal Use di Jimmie Durham. O che nella differenza e nella contaminazione vedono risorsa ed ispirazione, come le favelas di Marjetica Potrc o le voci di Silvio Wolf. O infine, come Somebody’s Architecture di Carlos Garaicoa, che riconoscono nella potenza dell’immaginazione e del sogno di cambiamento la molla perché questo avvenga davvero. “Viviamo su un’isola. Siamo circondati da persone che vagano come se si fossero smarrite, che desiderano di veder cambiare il loro mondo”. Caterina Lazzari Leonardo e Milano Il Codice di Leonardo Da Vinci nel Castello Sforzesco Milano, Castello Sforzesco 24 marzo – 21 maggio 2006 Al PAC si trovano esposte, in forma di installazione, alcune di queste ricerche, situate a metà tra l’interpretazione poetica e polemica dei luoghi della contemporaneità e la tensione alla manipolazione del reale, alla progettualità, con soluzioni che trovano radici nelle esperienze organiche radical. Sorprende il constatare che per molti artisti convenuti, da Zittel a Orta a Wapenaar ad Atelier van Lieshout, questa soluzione si concretizzi in una sorta di solipsistico cocooning, attraverso nicchie, piccoli bozzoli semoventi, addirittura abiti – abitazione, quasi la risposta ultima alla complessità della città plurale fosse nell’isolamento e nello straniamento dal contesto, nella fuga. Ma ci sono poi invece opere più consolanti e positive, che tuffano profondamente l’uomo nella città e sembrano suggerire proprio nel rapporto percettivo lo A Milano, da piazza Mercanti, attraverso il Cordusio e lungo via Dante, è stato temporaneamente allestito un percorso tematico, illustrato da grandi pannelli con immagini e didascalie. Il racconto che si svolge nell’arco di qualche centinaio di metri ha come protagonista Leonardo da Vinci e la storia narrata è quella del suo rapporto con la città, dove visse fra il 1482 e il 1499 e, dopo la caduta degli Sforza, fra il 1506 e il 1513. Si tratta di un periodo di ben 24 anni durante i quali Leo0mere il proprio talento, ma soprattutto indagare e conoscere la multiforme realtà del territorio lombardo: il suo paesaggio, le diverse forme d’insediamento, l’artigianato, i mestieri, e non ultima l’arte. Le suggestioni, le influenze, le esperienze dovettero essere per lui talmente profonde da farci oggi modificare radicalmente l’immagine storiografica che lo vedeva come “straniero”, portatore di contributi aggiornatissimi elaborati altrove. Come si può notare proprio lungo l’esposizione en plein air, della sua appartenenza al luogo restano infatti tracce evidenti negli spet- tacolari disegni, nei progetti e negli appunti. Documento principe in tal senso è proprio il Codice Trivulziano, custodito dall’omonima biblioteca milanese e in questi giorni degnamente esposto nella leonardesca “Sala delle Asse” del Castello Sforzesco: un documento molto prezioso, ma più in generale, uno spunto per riflettere su Leonardo e la cultura rinascimentale della Milano sforzesca. Il manoscritto vinciano, infatti, che raccoglie appunti e disegni stesi fra il 1487 e il 1490, è posto al centro della sala attorniato da vetrine che ospitano codici miniati, incunaboli e cinquecentine; l’obiettivo dei curatori è ricostruire, almeno in parte, la biblioteca di Leonardo, nota grazie ad elenchi di suo pugno. Si tratta di testi che ovviamente esprimevano preferenze, inclinazioni e atteggiamenti intellettuali del grande artista ma, va detto, anche dei suoi personali strumenti d’indagine sul lessico, sul linguaggio e quindi sulla cultura letteraria e scientifica del tempo. È di grande interesse in tal senso lo studio, da parte dei curatori della mostra, sui vocaboli contenuti nello stesso Codice Trivulziano: semplici liste di termini, nudi elenchi di parole che però oggi danno un contributo importantissimo alla conoscenza della forma mentis del personaggio, dei suoi processi d’elaborazione intellettuale, dei rapporti stabiliti via via fra osservazione, uso e invenzione di strumenti, codici e linguaggi. Isabella Balestreri 41 OSSERVATORIO MOSTRE mentale impiegato a Chandigarh. La ricostruzione dell’interno del Cabanon – fondata sugli studi di Filippo Alison e curata da Cassina – è ora visitabile nella porzione del parco adiacente a Palazzo dell’Arte, preceduta da uno spazio in cui si proiettano testimonianze su Le Corbusier a Cap Martin. L’angusto ingresso della cellula è ravvivato da un dipinto e introduce nell’unica stanza che costituisce la casa, dove l’arredo è formato da un bagno in miniatura nascosto da una tenda rossa, da un letto che ricorda un tavolato, sovrapposto a due mobili contenitori salvaspazio, da un tavolo a penisola, diverse mensole e un armadioparete. Le finestre e i tagli che garantivano la ventilazione dell’abitacolo si aprono su fotografie della vegetazione e del mare francesi e su squarci del parco Sempione. In occasione del Salone del Mobile Cassina, già depositaria dei diritti di produzione degli arredi di Le Corbusier, ha realizzato uno schema trasparente del Cabanon anche all’interno dei suoi spazi in via Durini, dove ha esposto filmati, pubblicazioni e tre opere plastiche originali prestate dalla Fondation Le Corbusier. Questo allestimento aiuta l’interpretazione della personalità dell’architetto, di cui l’azienda milanese ha presentato le varianti 2006 dei mobili (la versione a tre posti del divano, la Méridienne, il pouf mai prodotto in precedenza e la Fateuil Wagon Fumoir) reintroducendo la possibilità di averne l’imbottitura in piuma. Come sottolineato nella presentazione della mostra, parlare di abitare, oggi, significa parlare di città. Non solo perché la maggior parte della popolazione mondiale vive in aree urbane, ma anche perché la città è organismo per eccellenza per la coabitazione e l’integrazione tra culture e saperi, dunque incubatore della nostra società e insieme luogo delle sue più grandi contraddizioni. Fiducia e paura nella città, per usare parole di Zigmunt Bauman, generate dalla crisi delle strutture tradizionali del vivere sociale, dall’estremizzarsi dei suoi conflitti, dalla conseguente complessità crescente delle formule abitative. Si levano così, nel diffuso senso di impotenza dell’abitante la città globale e spesso di chi lo governa, guizzi di tensione al riscatto attraverso la ricerca, appunto, di strategie alternative, che prendono la forma dell’opera letteraria, dell’iniziativa sociale, della sperimentazione architettonica o artistica. 42 Mino Fiocchi, un architetto fra Milano e il Lago di Lecco Luciano Bolzoni Giacomo Fiocchi, detto Mino (Lecco 1893 – Milano 1985), fra tutti gli architetti che operarono in Lombardia nel Novecento fu probabilmente il più attento al linguaggio della tradizione; Fiocchi operò sostanzialmente in solitudine, riducendo al minimo le collaborazioni e le occasioni di sfogo mondano. Non ebbe mai un collaboratore di studio. Prese parte al gruppo di studio Sant’Orsola, costituito insieme ai colleghi Ponti, Muzio e Lancia; Carlo Fiocchi nella biografia del padre (Mezzo secolo di progetti. Mino Fiocchi architetto, 1981) descrive la vena anticonformista del padre, che lungo tutta la sua carriera applicò un particolare rigore professionale nelle proprie attitudini progettuali, sempre basate su semplici quanto inderogabili vincoli di intervento. Questi vincoli furono la base del lavoro di Fiocchi che ripartì il suo operato sostanzialmente nel territorio lombardo, separato in due netti limiti geografici di intervento: il territorio di Lecco e delle sue montagne e Milano città. All’esterno dei confini urbani Fiocchi si è spesso misurato con il tema della residenza per le vacanze, tematica tipica che ha avuto in qualità di sperimentatori tutta una classe di architetti, argomento di studio e oggetto di lavoro professionale legato alla questione della seconda casa che ha impegnato nel ventesimo secolo un’intera generazione di progettisti cittadini, da Ponti a Muzio, da Pier Giulio Magistretti a Portaluppi, da Albini a Cereghini, da Mollino a Vietti, da Asnago e Vender allo stesso Fiocchi. L’approccio di Fiocchi alla problematica della residenza per vacanze può essere sintetizzato nei progetti alpini, che lo videro preciso riconoscitore dei metodi e del linguaggio della casa montana, compresa entro i rassicuranti limiti dimensionali del blocco edilizio in muratura, sovrastato dalla copertura a falde spioventi. Tali progetti alpini possono essere sintetizzati dai due migliori lavori di Fiocchi, quella Baita Giulia Devoto Falck di Cortina d’Ampezzo del 1936, nata dalla ricostruzione di una vecchia costruzione secentesca e la Baita La Roccella del Pian dei Resinelli disegnata nel 1938 per la propria famiglia. In entrambe le costruzioni Fiocchi prevede una distribuzione interna che duplica le stesse dotazioni di servizio della residenza urbana, fornendo lo stesso livello di abitabilità e prestazioni che il committente aveva nell’abitazione di Milano, ma all’interno di contenitori edilizi che non derogavano dai princìpi della tradizione costruttiva in termini di risultanze formali dell’architettura. Il rigore progettuale di Fiocchi è sintetizzato in tutti gli altri progetti ambientati nel contesto alpino come i rifugi e le abitazioni nel territorio prealpino. Nei progetti cittadini Fiocchi pare rifuggire l’idea del fabbricato urbano senza dignità, in attinenza ad una esigente concezione del disegno basata sulla conoscenza e la lettura del sito, quale principale punto di avvio del progetto, impostato graficamente sugli assi principali del lotto del fabbricato; contestualmente un’attenzione all’essenzialità costruttiva, legata ad una forte carica rappresantiva dell’essenza del committente, rammentava una chiarezza ed una semplicità convenzionali in ordine alla comunicazione dell’intervento edilizio su strada, caratteristico proprio del lavoro di Fiocchi. Gli elementi distintivi del progetto sono sempre riscontrabili a prescindere dalla tipologia oggetto del lavoro; inoltre la categoria di edifici che viene chiamato a disegnare lo vede in buona sostanza legato ad una committenza di tipo borghese, alla quale sa di appartenere e a cui risponde con un solido lavoro di architetto-artigiano solitario, nel suo piccolo studio di via Cernaia. Il percorso professionale di Fiocchi ha prodotto circa duecento lavori in cinquant’anni di attività, senza derogare mai da un iter progettuale basato sulla severità e sulla capacità di non perdere la propria motivazione in ordine ad ogni singolo problema di architettura; il percorso ha inizio con il progetto per il concorso per il Piano Regolatore dell’Isola Comacina fino agli ultimi lavori condotti con motivazione e passione in un iter metodologico costante nel tempo. Bibliografia B. Bianchi, G. Gambirasio, E. Mantero, Mino Fiocchi architetto, Lecco, Comune di Lecco, 1986; L. Bolzoni, Architettura moderna nelle Alpi italiane dal 1900 alla fine degli anni Cinquanta, in “Quaderni di cultura alpina”, Priuli & Verlucca, Ivrea, 2000; L. Bolzoni, Architettura moderna nelle Alpi italiane dagli anni Sessanta alla fine del XX secolo, in “Quaderni di cultura alpina”, Priuli & Verlucca, Ivrea, 2001; C. Fiocchi, Mezzo secolo di progetti. Mino Fiocchi architetto, ERIS Ed., Milano, 1981; M. Cereghini, Costruire in montagna, Ed. del Milione, Milano, 1950; A. Disertori, Casa Fiocchi a Milano, in “Dedalo” n. 6, 2000. Fonti iconografiche Luciano Bolzoni: 3, 17, 18, 22, 23, 25, 26, 27, 28, 30, 31 Internet: 12 Archivio Mino Fiocchi di Milano: 1, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 16, 19, 20, 21, 24, 29 Si ringraziano gli Architetti Carlo Fiocchi e Massimiliano Della Foglia per aver concesso la consultazione dell’Archivio Mino Fiocchi di Milano. 1. Progetto per l’Isola Comacina, 1921 La Reale Accademia di Brera nel 1921 bandì il concorso “Camillo Boito” per il Piano Regolatore dell’Isola Comacina; il bando prevedeva la realizzazione di un villaggio per artisti composto da abitazioni, servizi e da un piccolo albergo. Fiocchi ottenne il primo premio ex aequo “per essere stato forse l’unico a concepire in armonia con la tradizione rustica locale, 1 2 una certa praticità d’uso dell’isola, che non turba la pace e profitta bene della sua costituzione”. Tale praticità si riconduceva alla perfetta conoscenza del sito dalla quale derivava un disegno d’insieme di stampo romantico, visibile in particolar modo nel piccolo borgo sulle rive del lago che anticipa il soprastante Palazzo degli Artisti dalla connotazione rinascimentale. Il concorso che vide tra gli altri anche la partecipazione di Gaetano Moretti, Caneva, De Finetti, Frigerio, Greppi e Zacchi, non conobbe alcun vincitore ufficiale. 2. Casa Fiocchi, 1924-25 Milano, via Cernaia 6 Il palazzo progettato per la propria famiglia sorse praticamente in mezzo ad uno spazio erboso, ai margini dell’allora centro urbano delimitato dallo scorrere del Naviglio. Tipico caso di architettura milanese che trasmette una precisa serie di informazioni all’osservatore, dedotte dall’attenta trama della facciata perfettamente simmetrica, tanto da indurre lo stesso progettista a ricorrere al disegno d’insieme, inventando un secondo ingresso fittizio per bilanciare l’accesso al civico numero 6, che portava direttamente nel vano ottagonale di smistamento del palazzo. Il fronte principale è praticamente tagliato dalla zoccolatura delimitante il piano terra in marmo che, tramite una sottile fascia, si collega con i piani superiori caratterizzati dal rilievo 3 Nel rifugio Castelli, Fiocchi interpreta il tema senza abbandonarsi a sfide derivate da una ricerca formale coraggiosa, ma tende a restituire il classico for4 della parte centrale costruita con sei lesene, a comporre due livelli del fabbricato, sormontate da una balconata continua. 3. Villa Fiocchi, 1926 Lecco, via Cantarelli 6 tava un evidente riferimento alla casa engadinese. Disegnata da Fiocchi anche la piccola cappella annessa al rifugio. 12 Il progetto fu commissionato dal padre Giulio, titolare dell’omonima azienda di munizioni, che vedeva nella costruzione dell’asilo un’occasione di riscatto sociale per i propri dipendenti; la struttura edilizia sociale nacque per ospitare i figli dei dipendenti dell’azienda di famiglia, durante i turni di lavoro dei genitori. 7 5 6 8 9 so palladiano, sia per le soluzioni volumetriche che per il posizionamento calibrato dell’abitazione rispetto al contesto, posta perfettamente al centro dell’appezzamento di terreno, un giardino studiato in tutti i suoi settori (orto, frutteto, viali piantumati, rotonda di cipressi, statue, pergolato, esedra, prato con portabandiera, spazio alberato per ricevimenti). La villa, fulcro dell’intero complesso, era caratterizzata dal rigore delle opzioni simmetriche che delineavano uno sviluppo distributivo, segnato da un cannocchiale che, attraversando l’abitazione, collegava le zone del giardino, dividendo le ali del fabbricato. mato architettonico rassicurante della casa unifamiliare alpina. Il primo nucleo costruito del rifugio immaginava un semplice corpo di fabbrica che riprendeva i canoni della tradizione locale, cui si aggiunge nel 1928 un ulteriore edificio annesso progettato dallo stesso Fiocchi, ruotato planimetricamente rispetto all’originale e di dimensioni maggiori; esiste, infine, un ulteriore progetto di ampliamento datato 1960, firmato dello stesso architetto. L’architettura originaria non rivelava difformità dalle ordinarie modalità costruttive dei rifugi alpini se non nel rimando decorativo del terrazzino coperto dell’edificio grande, che deno- 43 5. Asilo Infantile, 1928 Lecco, via Santa Barbara 3 10 Come scrive Carlo Fiocchi, la villa realizzata a Lecco per il fratello Lodovico rappresenta l’esempio più lampante dell’influs- 11 L’impianto architettonico si può leggere nell’elemento dominante della costruzione: le due torri, emergenza in analogia con la casa popolare di Pescarenico, costruita l’anno successivo, da cui si rileva una potenziale assonanza con il linguaggio palladiano. Anche qui il tema di architettura sociale veniva svolto, ancora una volta, seguendo uno spirito professionale che come prima istanza si poneva a servizio dell’architettura e di ciò che questa doveva significare per la committenza. 6. Rifugio Giuseppe Cazzaniga, 1928 Moggio (Lc), Piani di Artavaggio Nelle intenzioni di Fiocchi la nuova architettura alpina, non poteva non essere quella richiamata dal collega Mario Cereghini, interpretata quale prosecuzione dell’armonia costruttiva tradizionale; l’immagine della montagna, impervia, difficile, pericolosa, ma comunque conciliante, darà luogo a rappre- sentazioni progettuali che caratterizzeranno una breve quanto intensa stagione di opere moderne. E come per il collega e amico Cereghini (e consuocero), la redazione di progetti destinati all’ambiente alpino, in questo periodo della carriera di Fiocchi non subisce soste. Il progetto del rifugio Cazzaniga deriva dall’architettura militare e la singolare conformazione del sito, uno sperone di roccia, lo conferma; gli stessi disegni di progetto evidenziano un adattamento al sito del fabbricato che nel suo formato architettonico non si discosta dalla tipica capanna montana riscontrabile in molte località alpine, che diverrà col tempo via via riparo, convitto, bivacco, avamposto. 7. Casa Popolare di Pescarenico, 1929 Lecco, via Pescatori 36 Come scrive, il figlio Carlo, la spartana semplicità dell’edilizia popolare è per Fiocchi derivata dall’essenzialità progettuale e di realizzazione dei rifugi alpini, edifici essenziali per natura e per sostanza. La stessa essenzialità della tipica casa popolare urbana, spesso collocata ai margini cittadini quindi periferica di per sé ma comunque parte di città, per Fiocchi doveva divenire espressione dignitosa e rappresentativa di 13 OSSERVATORIO ITINERARI 4. Rifugio Nino Castelli, 1926-28 (1960) Moggio (Lc), Piani di Artavaggio 14 44 l’abitazione. Disegno che mostrava un calibro concettuale che esprimeva l’immagine borghese dell’abitazione, rappresentata dal fabbricato civile di grande volumetria complessiva (alcuni locali interni si sviluppavano su due livelli) e che, al pari dell’espressione di tutta l’edilizia civile progettata dallo stesso Fiocchi, riconduceva il tema di architettura all’esigenza di stabilire una misura di distinzione nel tessuto abitato. 15 un umanesimo in scala minore. Come nel progetto per l’asilo infantile, nella casa popolare di Pescarenico, Fiocchi punta all’appartenenza del lavoratore, quindi dell’abitante, ad una situazione imprenditoriale e sociale, capace di determinare quale funzione collettiva un senso di affezione e di distinzione che si rifletteva nei vincoli del progetto. Tale distinguibilità è evidente nelle vecchie immagini del complesso edilizio che lo vedevano forte emergenza calata a forza nel fondale prealpino della città, sulle rive del lago, incombente sul contesto e significativa raffigurazione di un mondo sociale ora scomparso. 9. Villa Falck, 1938 Milano, via Tamburini 1 Dalla felice esperienza della costruzione della Baita Giulia Devoto Falck realizzata a Cortina d’Ampezzo un paio d’anni prima e dalle collaborazioni commerciali con Giorgio Enrico Falck, a Fiocchi viene commissionato il disegno dell’abitazione milanese del vecchio sena17 sima espansione del giardino interno. L’edificio consta di quattro piani fuori terra e rivela un’architettura di facciata ancorata alle forme e ai materiali del tipico edificio commerciale milanese più che a quelli dell’abitazione, dove ai correnti rivestimenti pregiati tipici della casa aristocratica vengono avvicendati i blocchi di breccia lombarda levigata. 10. Baita La Roccella, 1938-41 Abbadia Lariana (Lc), Roccoli Resinelli Anche questo progetto viene redatto per una casa della propria famiglia. La baita è sistemata su un appezzamento di terreno irregolare e la giacitura sembra rivelare un’opzione progettuale non casuale: la stessa configurazione non complanare rispetto al lotto addita al progettista la sembianza formale della casa che accetta e scavalca i salti di quota mediante il volume edilizio che raccorda i livelli del sito. I prospetti si adattano alle caratteristiche del luogo e cambiano secondo l’angolo visuale di osservazione, concetto non estraneo ad alcune opere mon19 sciuti in termini di architettura alpina, riconoscibile quale caso didattico sulla possibilità di progettare e realizzare edifici di qualità all’interno di un macrocosmo caratterizzato da sempre da segni tanto precisi quanto architettonicamente corretti. 11. Cappella funeraria Falck, 1939 Cimitero Monumentale, Milano Probabilmente l’architettura religiosa più nota di Fiocchi; la cappella Falck si relaziona con la grandiosità dell’architettura classica in un’opera che riflette una meditazione sugli obelischi 21 22 8. Progetto per una villa sul lago per la IV Triennale di Monza, 1930 Fiocchi ottenne la medaglia d’oro alla IV Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne di Monza, con un progetto di una ipotetica villa affacciata sul lago; ed era proprio lo specchio d’acqua a caratterizzarne la concezione, mediante l’adozione di una darsena per il riparo delle imbarca- 20 16 18 zioni, interna al volume stesso della costruzione, da cui accedere direttamente ai vari livelli del- tore. Il progettista delinea l’edificio in un lotto compreso tra il parco Sempione, via XX Settembre e via Vincenzo Monti e la via Tamburini, strada secondaria cui si affaccerà il lato della costruzione dove insiste l’ingresso. Tale opzione, che prevedeva l’allontanamento dal viale alberato, consentirà la mas- tane del periodo, modificandosi di fronte in fronte; il rivestimento in legno della porzione alta delimita orizzontalmente le parti dei sottotetti, unificando i differenti corpi dell’edificio. La costruzione anche oggi figura come uno degli edifici moderni più cono- 23 contraddistinto da un doppio loggiato che consente la relazione tra la corte interna, attorno alla quale si sviluppa l’abitazione, e il giardino pubblico esterno. Lo stesso materiale di rivestimento degli esterni, lastre di serpentino levigato, il loggiato su due livelli, le due corti, la gal- disegnare l’architettura di Fiocchi, sin qui caratterizzata da interventi mirati per una committenza costituita da grandi famiglie lombarde che avevano come spinta precipua la volontà di farsi rappresentare anche dalle proprie dimore urbane. 25 27 12. Sede della Banca Popolare di Lecco, 1941 Lecco, piazza Garibaldi 12 16. Villa Monzino, 1955 Milano, via Telesio 8 La sede della Banca Popolare di Lecco è uno dei pochi progetti affidati a Fiocchi da un’istituzione (fra questi ricordiamo gli edifici 24 commissionati dalla Società Elettrica Bresciana e l‘allora USSL di Lecco); la sede dell’Istituto nasce con una facciata principale sulla piazza d’impostazione neoclassica, rigorosamente semplice con un apparato decorativo molto ridotto, caratterizzato da otto lesene che sorreggono un terrazzino, come nel progetto di via Cernaia a Milano. Successivamente l’Istituto bancario chiese a Fiocchi di arricchire l’edificio mediante un nuovo rivestimento superficiale delle facciate su strada con materiali pregiati; l’architetto lecchese rifiutò l’incarico che fu successivamente affidato al collega Portaluppi. 13. Casa Campanini, 1941 Milano, via Guastalla 2 Nella Casa Campanini, Fiocchi esprime una composizione molto elaborata, di chiara vocazione neoclassica; l’intervento viene previsto in un lotto di un brano importante del centro storico milanese, contraddistinto da emergenze architettoniche significative e verde pubblico di pregio e indica una deroga agli usuali metodi di lavoro di Fiocchi, solito ad imprimere al disegno dell’abitazione civile (soprattutto quando borghese) una cautela progettuale qui non seguita. Il fabbricato si sviluppa sfruttando tutto il lotto a disposizione, ne di un nuovo corpo basso sviluppato in due livelli. Il progetto viene impostato sulla riconducibilità di ogni singola abitazione ai valori spaziali della casa unifamiliare; di fatto l’architetto disegna praticamente una villa per ogni piano stante il grande spazio a disposizione che permetteva il vasto taglio dimensionale, rendendo possibile una riconduzione dell’intervento allo spirito intimista della casa milanese, tipica di Fiocchi. 26 leria panoramica che univa gli ambienti del piano terra (motivo ricorrente nella costruzione delle piante), la balaustra perimetrale sulla copertura, riflettono una eccezione all’iter professionale dell’architetto. 14. Edificio residenziale, 1948 Milano, via Monte di Pietà 19 Il disegno del palazzo si rivela ancora una volta espressione rappresentativa dell’architettura borghese della città, con un forte segnale dovuto alla grandezza della scala d’intervento e che verosimilmente si discosta da quanto fin qui realizzato da Fiocchi in termini di edilizia residenziale, stante le grandi dimensioni del fabbricato che delinea una grande residenza urbana. Ai due bracci su strada che costituiscono le ali del fabbricato, corrisponde la facciata vera del condominio, arretrata rispetto alla via civica, sottolineata dai due grandi obelischi collocati al primo livello, vero motivo di riconoscibilità su strada dell’intero complesso. In qualche modo il condominio anticipa un differente modo di 28 15. Edificio residenziale, 1948 Milano, via Borgonuovo 20 Fiocchi non ha mai nascosto la sua avversione nei confronti del palazzo a torre, ma la particolare condizione di partenza che richiedeva la ricostruzione di un edificio parzialmente distrutto dai bombardamenti consentì la nascita di questo condominio costituito da otto piani fuori terra, non visibile dalla via citta- Al contrario della non lontana casa Falck, Fiocchi situa il fabbricato al centro del piccolo lotto di terreno, in cui sviluppa anche l’idea del giardino interno e della facciata principale derivandola dalla Casa Mosters di Somma Lombardo, progettata due anni prima. Tale rimando ad un’altra abitazione di campagna coincide con l’idea di Fiocchi della villa quale seconda residenza della famiglia borghese, dove si riscontrano tutti gli elementi tipici dell’architettura della casa padronale extraurbana e che nel caso specifico si riconduce ad una precisa volontà di rappresentazione della committenza. 30 29 31 dina, da collegare alla parte di edificio mediante la realizzazio- 45 OSSERVATORIO ITINERARI romani. Di base quadrata sormontata da una volta semisferica, la cappella appare come uno dei fabbricati funerari più evidenti del Cimitero Monumentale, grazie al suo motivo piramidale alto una quindicina di metri, costituito dallo svettare in verticale del motivo dell’obelisco, rivestito da lastre di serpentino.