Tracce d’eternità
La rivista elettronica del mistero
Anno III Nr.12 (Gennaio 2011)
LE FIRME DI QUESTO NUMERO
LLOYD PYE
IN DIFESA DI
ZECHARIA SITCHIN
Traduzione di Sabrina Pasqualetto
Yuri Leveratto
Lloyd Pye
Maria Benedetta Errigo
Gaetano Barbella
Nicola Antonante
Michele Proclamato
Luciano Scognamiglio
Walter Conidi
Roberto La Paglia
Vocisconnesse – Diramazioni
David Riva
Fabrizio Vercelli
Daniele Bonfanti
Simone Lega
Matteo Agosti
Noemi Stefani
Antonella Beccaria
Simonetta Santandrea
Andrea della Ventura
Simone Barcelli
Gianluca Rampini
LUCIANO SCOGNAMIGLIO
ABDUCTIONS: IL PUNTO DELLA
SITUAZIONE IN ITALIA
MARIA BENEDETTA ERRIGO
LE INTERVISTE DI
GIANLUCA RAMPINI
ROGER LEIR
Traduzione di
Germana Maciocci
MATTEO AGOSTI
VIAGGIO NELLA
WEST VALLEY
DI MARTE
3° PARTE
ROBERTO LA PAGLIA
INQUISIZIONE
E METODI
DI TORTURA
SULLE STREGHE
DRUIDI
TRA STORIA
E MISTERO
MICHELE PROCLAMATO
AMORE O VENERE
GAETANO BARBELLA
RAFFAELLO SANZIO
IPAZIA D’ALESSANDRIA
LA SAPIENZA DELLA
SCUOLA DI ATENE
Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha
alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della
legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del
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immagini è necessario contattare i rispettivi autori.
ANDREA DELLA VENTURA
CONTRO LE SCIE
CHIMICHE A ROMA
NOTE A MARGINE
2
Simonetta Santandrea [email protected] ha 40
anni ed è la fondatrice del gruppo “Tracce d’eternità” sulla
piattaforma Facebook, gruppo di cui tuttora è responsabile.
Si occupa di Storia Antica e in rete collabora con Luoghi
Misteriosi, Paleoseti ed altri siti tematici.
“[LA] QUARTA
DIMENSIONE È
UN’IDEA”
READING 364364-10, EDGARD CAYCE
L’idea di una quarta
dimensione (spaziale o
temporale) iniziò a
svilupparsi durante la
seconda metà dell’ottocento
e la sua diffusione si rivelò
necessaria e propedeutica
per la successiva
formulazione della teoria
della relatività di Albert
Einstein, a partire dal 1905.
Uno dei racconti che ha
aperto l’immaginario
collettivo su dimensioni
superiori alla terza, quella
comunemente conosciuta e
riconosciuta da tutti noi
grazie alla geometria
euclidea, è Flatlandia, in cui
l’autore, Edwin Abbot,
monaco inglese, conduce il
lettore attraverso ciò che
egli stesso definisce come
un racconto fantastico a più
dimensioni. Flatlandia è,
dunque, un mondo abitato
da sole figure piane, le quali
hanno una capacità visiva
che si orienta solo
all’interno del piano stesso
senza possibilità di
“guardare” nella terza
dimensione. Ogni essere
vivente vedrà di
conseguenza il proprio
mondo come una linea retta,
in quanto il proprio sguardo
non può sollevarsi verso
l’alto. Abbott mostra come
gli esseri bidimensionali
riescano ad organizzarsi in
maniera perfetta per il
riconoscimento reciproco e
per una pacifica
convivenza. Tali esseri sono
suddivisi a livello sociale
secondo il numero di lati
che essi posseggono:
minore sarà tale numero e
minore sarà il proprio rango
sociale. Traslando il
racconto fantastico alla
percezione del nostro vivere
in un mondo
tridimensionale, possiamo
comprendere come questo
possa essere una limitazione
alla conoscenza della realtà.
Le capacità (limitate) di
ogni essere vivente (di
qualsiasi dimensione) si
adoperano affinché si
sviluppi una concezione
solo dello spazio in cui vive
e si basi la sua intera
esistenza secondo le
possibilità che la sua
dimensione gli offre.
Cercando di spiegare,
innalzandolo, ad un essere
tridimensionale (come
siamo noi) una realtà
superiore, una quarta
dimensione, si incorre senza
meno in una serie
insormontabile di difficoltà:
lo scetticismo, il timore e
l’incredulità naturale di
fronte ad un mondo
sconosciuto e “altro”.
L’uomo è abituato a vedere
3
il mondo così come gli si
presenta e spesso egli crede
come unica realtà e verità
ciò che le sue capacità
intellettive gli permettono
di concepire. Disconosce
invece ciò che fatica a
comprendere, si sente in un
certo qual modo al sicuro
dentro la caverna platonica,
prigioniero delle sue stesse
catene. Fino a quando, però,
accettando una sorta di
rivelazione, ponendosi da
una dimensione n ad una
dimensione n+1 che è
anch’essa una dimensione
spaziale (e non unicamente
temporale), potrà
finalmente “vedere
dall’alto” il mondo come
un’ infinità di istanti dello
spazio tridimensionale. E,
abbandonata la mera
coscienza sensibile del suo
status bi e tri dimensionale,
elevarsi ad uno status di
coscienza intellegibile, nel
quale lo spirito è l’unica
chiave per comprendere che
la quarta dimensione non è
il prodotto di un’idea o di
un sogno, ma una realtà in
pieno sviluppo. La nostra
esistenza materiale è
un’espansione di una
particolare nota di
coscienza in quell’altro
regno che tutto comprende.
Noi, allora, nello spazio e
attraverso il tempo, siamo
in e di un’idea vivente che
tutto comprende. Basterà
cercare l’illuminazione,
affrontare il viaggio di
ricerca di ciò che è stato, è e
NOTE A MARGINE
sarà, concetti tutti presenti,
distinti ma uniti perché
facenti parte della superiore
realtà quadrimensionale,
che altro non è che gli
infiniti universi
tridimensionali
corrispondenti ad ogni
istante. Edgar Cayce disse:
“L’oggi, l’eterno ora, è
sempre davanti ad ogni
entità, sia in ciò che
comunemente viene
chiamato materialità che
nello spirito.” [1293-1]
Avviciniamoci, dunque
all’iperspazio, aprendo
mente e spirito a nuovi
orizzonti, riconoscendo che
il mero scambio di
informazioni è solo l’ombra
della vera conoscenza.
4
Simone Barcelli
INTERVISTA A
ROBERTO LA
PAGLIA
IN OCCASIONE DELL’USCITA DEL SUO ULTIMO LIBRO,
ABBIAMO INCONTRATO L’AMICO ROBERTO LA PAGLIA,
COLLABORATORE DI QUESTA RIVISTA FIN DALLA PRIMA
ORA. ANCHE PER FARE IL PUNTO SULLO STATO
DELL’EDITORIA DI SETTORE E SULLE PROSPETTIVE
DELLA RICERCA INDIPENDENTE.
Ciao Roberto, è un piacere
scambiare due chiacchiere
con te. Innanzi tutto ti
ringrazio del tempo e
dell’impegno che stai
dedicando ai lettori di
Tracce d’eternità. Vorrei
cominciare prendendo a
prestito le parole di
Vittorio Di Cesare che ho
tratto dall’editoriale di
'Intelligence & Storia Top
Secret' (nr.19 settembreottobre 2010): "Il sistema
per smantellare le
convinzioni ed il morale
possono passare attraverso
l’invenzione di una new age,
il cui ruolo sta diventando
fondamentale nella cultura
del XXI secolo. La
confusione diventa
parossistica. Camuffate in
ricerche di tutto rispetto, si
formulano nuove ipotesi, si
cambiano le carte in tavola,
trasformando e distorcendo
persino le convinzioni della
gente, rimodellandole,
randomizzandole. Ci si
dimentica delle prove
materiali, delle
caratteristiche culturali
tipiche delle varie civiltà,
delle datazioni, delle
ricerche sul campo. Le
ipotesi trionfano sulle prove.
È più comoda la finzione
che la ricerca della verità".
Si tratta di un discorso ad
ampio raggio, attraverso il
quale è possibile fare anche
una analisi del nostro tempo
e delle sue "irrequietezze".
Esistono vari gradi di
finzione, ognuno dei quali
strettamente correlato a... chi
ne fa uso. Di certo il bisogno
sempre più pressante di
qualcosa che colmi il vuoto
lasciato dall'imperante
materialismo fa la sua parte,
si sente il bisogno di credere
a oltranza, tutto purché sia
diverso dalla monotonia del
sistema. Questo rende molto
più facile il gioco di chi
lavora con la finzione. In un
sistema che adora e
propaganda il mordi e fuggi
è molto più semplice e
sbrigativo accostarsi a quello
che personalmente definisco
il "gossip del mistero" e non
certo fermarsi un attimo a
riflettere, andare oltre le
righe. Questa corsa alle
nuove ipotesi, nate più per
stupire, far parlare di sé, che
non da una ricerca
documentata, è la diretta
responsabile del progressivo
allontanamento di quelle che
vengono definite Scienze di
Confine dalla scienza
ufficiale. Un connubio che
dovrebbe invece rafforzarsi
sempre più, al fine di
riscrivere finalmente la
storia dell'umanità, una
vicenda così aspramente
martoriata da nuovi guru,
santoni, ricercatori
improvvisati e divulgatori
molto più attenti al profitto.
A ben riflettere la finzione
rimane comunque un motivo
costante di questo sistema
sociale, facilmente
rintracciabile non soltanto
5
negli argomenti citati
nell'editoriale...sarebbe un
discorso da approfondire.
La finzione di cui parli,
immagino, ha a che fare
con la "New Age”. Prima di
chiedere un tuo parere
riporto la definizione che
ne da Wikipedia: “…
(letteralmente: Nuova Età) è
un'espressione generale per
indicare un vasto movimento
culturale che comprende
numerose correnti
psicologiche, sociali e
spirituali alternative sorte
nel tardo XX secolo nel
mondo occidentale. Le
numerose e diverse
concezioni riconducibili a
questa denominazione sono
accomunate dall'ideale
dell'avvento di un "mondo
nuovo" o di una "nuova
era", spesso indicata
astrologicamente come età
dell'Acquario (l'età attuale è
detta dei Pesci). Sotto la
definizione di New Age
vengono fatte ricadere molte
realtà di diversa natura semplici stili di vita,
filosofie, religioni, terapie,
organizzazioni, aziende e via
dicendo, caratterizzate da un
approccio eclettico e
individuale all'esplorazione
della spiritualità. Il termine
New Age è anche
ampiamente e ufficialmente
utilizzato per riferirsi al
vasto segmento di mercato
in cui si vendono libri, beni
e servizi "alternativi"
connessi a tali visioni del
mondo”.
La New Age, per quanto a
molti appaia come un
fenomeno abbastanza
recente, era già, con molta
probabilità, in embrione fin
nel 1944, citata in alcuni
titoli di opuscoli compilati da
Alice Bailey. Sul finire degli
anni ’60 il fenomeno
esplose..., anche in
concomitanza e con la
“complicità” dei movimenti
di contestazione giovanili;
David Spangler iniziò la
propria campagna di
divulgazione e raccolse gran
parte delle sue idee in un
libro pubblicato in Scozia,
The New Age vision. Dire
cosa sia esattamente la New
Age non è così semplice,
bisognerebbe innanzitutto
individuare quale delle tante
anime del movimento si vuole
definire. Tenendo conto che
lo stesso Spangler asserì di
aver tratto gran parte delle
sue idee dalle riflessioni di
Paul Le Cour, un esoterista
francese autore del libro
L’Età dell’Acquario, si
dovrebbe ritenere che la New
Age sia in possesso di
requisiti assimilabili
all’esoterismo occidentale. In
realtà si tratta di un
movimento che funziona da
catalizzatore e aggregatore
per innumerevoli altre
realtà; nello schema New
Age rientrano vari stili di
vita, pensieri religiosi e
filosofici, scienze alternative
e terapie di frontiera, il tutto
cementato dall’idea di un
Nuovo Mondo, nel quale la
spiritualità dovrebbe
finalmente soggiogare il
materialismo e favorire la
rinascita della conoscenza e
della consapevolezza
universale. in realtà a tutto
questo si affianca anche un
ricco mercato commerciale,
nel quale girano fiumi di
denaro e al quale strizzano
l’occhio non pochi colossi
della finanza. New Age
quindi può definirsi come un
vero e proprio movimento
culturale..., aperto a tutti
poiché racchiude al suo
interno ogni sfaccettatura di
quelle che canonicamente
vengono definite Scienze o
Studi di Frontiera; vi trovano
ampio spazio varie correnti
della psicologia, della
psicanalisi, correnti
spirituali e progetti
innovativi che operano nel
campo del sociale, il tutto
condito da una non sempre
accettabile assimilazione tra
esoterismo, ufologia,
angelologia, cabala e quanto
altro possa accendere la
fantasia del neofita e,
ovviamente, la sua curiosità.
Interessante notare come uno
degli storici più importanti e
accreditati nel campo delle
“strane” connessioni tra
potere e movimenti di
ispirazione mistica” (Antony
Sutton), abbia messo in
relazione gran parte del
movimento New Age alla
Skull and Bones, società
goliardica universitaria
profondamente introdotta nei
circoli del potere occulto
mondiale.
Quindi dobbiamo credere
che esista, anche su vari
livelli di potere, un sistema
in grado di manipolare la
6
nostra vita. Che a questo
punto, per quanto oggi a
nostra conoscenza, tanto
occulto non appare. Quali
sono, secondo te, le ragioni
che animano le intenzioni di
questo gruppo di potere, chi
ne fa parte e quale
dovrebbe essere lo scopo
ultimo che si prefigge di
raggiungere?
Molti avvenimenti, alcuni
anche tragici e abbastanza
recenti, ci portano a pensare
che esista una sorta di “regia
occulta”, identificata da
alcuni nella sinistra
associazione degli Illuminati,
un nome che ha spesso
fornito ampi spunti di analisi
della nostra storia a diversi
divulgatori del mistero. La
mia sensazione, tra l’altro
condivisa da molti, è che
esista in effetti un gruppo di
potere composto da diverse
alleanze. Una volta
evidenziata la natura di
questi gruppi si può
facilmente dedurre quali
siano le loro intenzioni. Il
nostro sistema è basato
principalmente sul
movimento di capitali e sulla
gestione dei mezzi di
informazione; maggior potere
si detiene sulla gestione
finanziaria maggiore sarà la
possibilità di controllare e
pilotare l’economia
mondiale; allo stesso modo
più grande sarà la possibilità
di gestire l’informazione,
maggiore sarà l’opportunità
di muovere e indirizzare i
bisogni della popolazione. A
questo punto ci basterà
semplicemente identificare
chi siano i maggiori gruppi di
potere e sarà sorprendente
scoprire come, in un modo o
nell’altro, questi risultino
quasi tutti collegati tra loro.
Esiste quindi un gruppo di
potere, ma più che come una
entità fisica esso può essere
rappresentato da una
smodata e sinistra volontà di
gestire le sorti mondiali, una
volontà che unisce quasi
fisiologicamente chi detiene il
potere e che, in fondo, è
antica quanto l’uomo stesso.
Roberto, tenendo
chiaramente in
considerazione anche la
crisi economica che stiamo
attraversando, cosa ne pensi
dell’attuale panorama
editoriale riferito al settore
del mistero? Mi pare che
negli ultimi anni abbiamo
assistito a un vero e proprio
“tira e molla”, cioè riviste
che nascono e muoiono
anche nel giro di pochi
mesi. È come se
dall’entusiasmo iniziale si
passasse, in men che non si
dica, allo sconforto più
assoluto, probabilmente
derivante da progressivi
cali di vendita. Questo
significa che i lettori sono
più maturi (e fanno delle
scelte ragionate) o che gli
editori, col tempo,
propongono contenuti non
sempre all’altezza?
La questione è piuttosto
articolata; la crisi economica
e, come se non bastasse, il
recente colpo di scure dato ai
fondi destinati all’editoria,
non agevolano certo una
situazione che già da anni si
presenta in maniera
abbastanza tragica. Le
statistiche sulle vendite, di
certo, non offrono molti
stimoli a chi volesse
intraprendere questo genere
di attività, e in questo caso il
fenomeno ha due aspetti ben
distinti: da una parte il
progressivo abbassarsi della
percentuale di persone
interessate alla lettura (e non
mi riferisco soltanto agli
argomenti cosiddetti
“misteriosi”), dall’altra la
crisi che in realtà non è
affatto passata e che
costringe spesso gli editori a
innalzare il prezzo di vendita
e i lettori a pensarci due volte
prima di spendere. A questo
quadro, non certo
accattivante, bisogna
aggiungere la progressiva
diffusione dei canali
multimediali e delle
tecnologie legate a Internet;
spesso è molto più semplice
ed economico leggere e
cercare in rete che non
recarsi in edicola. Su questo
aspetto alcuni editori stanno
già lavorando. Rimane il
problema dei contenuti: le
materie che trattiamo, molto
spesso, nascondono l’oscuro
problema del già detto e già
visto; non c’è alcun dubbio
sul fatto che i lettori, e non
solo quelli della carta
stampata, siano diventati più
esigenti, e questo porta a una
maggiore attenzione nella
scelta dei contenuti. Il
problema, quindi, sorge
quando l’editore, per
rafforzare le vendite, decide
di impostare i contenuti su
argomenti già noti ma di
comprovato richiamo; credo
invece che i lettori siano alla
ricerca di ben altro, chiedano
argomentazioni solide e di
una certa validità, deduzioni
che poggino su documenti di
accertata veridicità. In
pratica si registra uno strano
fenomeno: da un lato cresce
la consapevolezza che
qualcosa di vero ci sia nei
vari argomenti che
riguardano l’archeologia
misteriosa, gli Ufo, i Cover
Up e molto altro, ma la
risposta a questo
7
accrescimento di
consapevolezza (che
ovviamente contribuisce a far
crescere il bisogno di prove
solide e riscontrabili) rimane
il già detto e già visto.
Il futuro dell’editoria
sembra indirizzarsi sempre
più in rete con la nascita di
libri e riviste elettroniche.
La digitalizzazione
effettivamente abbatte i
costi fino al 70%,
soprattutto a scapito del
processo di stampa e di
distribuzione. Mi pare che i
problemi da affrontare, a
parte i contenuti, siano
comunque evidenti: il
timore degli editori di
seguire questa via, che
richiede investimenti a
lungo termine e minori
introiti, e la difficoltà di un
nutrito gruppo di lettori che
fa ancora fatica ad
abbracciare questa
rivoluzione per mancanza di
alfabetizzazione
informatica. La strada
sembra comunque
segnata…
Infatti è così: che lo si voglia
o meno l’editoria elettronica
prenderà il sopravvento, sarà
di certo un processo molto
lungo ma questo, al momento,
sembra essere il nostro
prossimo futuro. Nonostante
esista ancora una certa
ritrosia legata al fascino della
carta stampata (io
personalmente preferisco un
libro da sfogliare che non da
leggere sul monitor), non si
può negare che la
digitalizzazione offra grandi
spunti di investimento. Al
timore degli editori, in parte
giustificato dalla crisi ancora
in atto, corrispondono due
grossi ostacoli che sarà arduo
abbattere; siamo il paese
meno informatizzato, e non
soltanto a livello editoriale.
Siamo anche il paese nel
quale gli editori, o comunque
molti di loro, tendono a
svolgere questo mestiere
limitando al massimo i rischi.
Prendiamo il mercato
editoriale in genere; in un
paese nel quale sono presenti
ottimi e preparati scrittori,
saggisti, ricercatori e autori
di romanzi, gli scaffali sono
pieni di autori stranieri e
nomi noti di sicura vendita.
La diffusione dell’editoria
multimediale potrebbe a
questo punto ribaltare la
situazione, e proprio in un
campo dove i costi sono
notevolmente ridotti potrebbe
sorgere una nuova speranza
per molti di questi autori
“dimenticati”, oltre che nuovi
spunti di ricerca e di analisi
per le tematiche da noi
trattate.
Tu sai che mi sta
particolarmente a cuore la
ricerca indipendente e che,
in passato, dalle pagine di
Tracce d’eternità, ho
espresso il mio disappunto
nei confronti di quei
“colleghi” che continuano a
proporsi con il “taglia e
incolla”, senza indicare mai
la fonte e facendo propri
studi altrui. Un modo di
fare che danneggia, a lungo
andare, tutto il settore.
Possibile che non si riesca a
debellare questa deprecabile
attività che continua, non
solo in rete, a imperversare?
Come accennavo prima,
viviamo in un sistema
“controllato”, nel quale vige
la semplici regola del “mordi
e fuggi”. Ci ritroviamo
costantemente inseguiti dal
quotidiano, tanto da non
trovare il tempo per
approfondire o,
semplicemente, riflettere su
cosa effettivamente stiamo
leggendo e quale sia la
qualità dell’informazione che
ci viene fornita. Questa
regola, che è poi uno dei
punti di forza di quei gruppi
di potere ai quali mi riferivo
in precedenza, ha contagiato
anche molti di coloro che
dovrebbero fare divulgazione.
Si fa di tutto per dare alla
gente ciò che vuole, e quando
mancano gli spunti, i
riferimenti, basta andare in
rete, effettuare una rapida
ricerca e riproporre il tutto.
Ovviamente il risultato finale
sarà soltanto alimentare il
discredito già imperante nei
confronti delle materie di
confine. Esiste però un altro
aspetto della questione, un
aspetto che risiede proprio
nel modo di gestire questo
particolare tipo di ricerche:
ritengo che avvicinarsi a
certe tematiche presupponga
un profondo rispetto per gli
argomenti trattati, per il
mistero in genere. Spesso si è
portati a considerare le
ricerche di frontiera come un
enorme serbatoio dal quale si
può trarre di tutto poiché
tutto è comunque un sicuro
8
richiamo per il lettore.
Studiare, ricercare e tentare
di penetrare il mondo dei
misteri è ben altra cosa; si
tratta di un tentativo di
rileggere la storia, di un
bisogno di verità che
dovrebbe quasi bruciare la
penna di chi scrive, di un
sentire che si pone ben oltre il
bisogno di stupire il lettore.
Quando inizieremo a
osservare con diversi occhi il
nostro passato, a
considerarlo una parte
integrante del nostro
presente, quando capiremo
che molte delle risposte tanto
ricercate dall’uomo moderno
dipendono dallo studio delle
antiche civiltà e del loro
modo di interpretare la vita,
allora inizieremo a
distinguere la buona
informazione da quella
cattiva e il taglia e incolla al
quale ti riferisci inizierà
gradatamente a sparire.
Bene, parliamo ora della tua
ultima fatica, “Il Grande
Libro dei Misteri” (Xenia
Editore), di cui abbiamo
anticipato sul nostro portale
la prefazione di Paola
Giovetti e un estratto. È
innegabile la tua bravura
nel saper miscelare così
tanti argomenti, portando
sempre il lettore ad
interrogarsi sulle possibili
soluzioni. Da anni sei ormai
impegnato in questo genere
di divulgazione. Dove trovi
ancora gli stimoli,
considerando che tanti altri
hanno deciso di
abbandonare la ricerca,
probabilmente perché
assuefatti?
Ne parlavo proprio
rispondendo alla tua
precedente domanda: sono
una persona che si interroga
costantemente, un inguaribile
curioso e, come se non
bastasse, appartengo a quel
genere di persone, per fortuna
in costante crescita, che
“avverte” il fatto che ci sia
qualcosa di sbagliato in ciò
che ci raccontano, qualcosa
che non si vuole ammettere.
Non è soltanto una questione
di fascino nei confronti dei
temi che propongo, si tratta di
una vera e propria ragione di
vita, la convinzione che non
avrò mai risposte se prima
non scoprirò chi sono
realmente, che non saprò chi
sono se prima non avrò una
immagine chiara e
logicamente accettabile di
quale sia stata la vera storia
dell’umanità alla quale
appartengo. Partendo da
questi presupposti non esiste
una vera e propria distinzione
tra i Misteri, tutto è in
estrema sinergia.
Paranormale, archeologia
misteriosa, ufologia, mistica,
tutto è emanazione di una
unica verità della quale i
nostri antenati erano a
conoscenza, una verità
frammentata nel tempo ma
che, essendo parte integrante
della nostra evoluzione, ha
continuato a perpetuarsi
adattandosi al pensiero e al
sentire di ogni epoca. Non
credo che proverò mai un
senso di assuefazione rispetto
a questi argomenti, non si
tratta di un impegno volto a
scoprire una verità personale,
si tratta di una ricerca che
riguarda tutti noi e che,
proprio per questo motivo,
deve essere condivisa.
Proprio per questo considero
il mio lavoro come un
continuo scambio di
sensazioni, intuizioni, vittorie
e sconfitte da condividere con
tutti coloro che mi seguono.
Fino a quando la
divulgazione sarà intesa come
un reciproco scambio, ma
soprattutto come un lungo
cammino da condividere, non
ci sarà spazio per
l’assuefazione. Il mondo, per
quanto ci dicano che si sia
ormai completamente svelato,
nasconde ancora meravigliosi
segreti, antiche verità e
oscure trappole; la vita può
essere una meravigliosa
avventura oppure una
terribile disillusione, per
scoprirlo non possiamo fare
altro che continuare nel
cammino.
Cosa bolle in pentola… stai
lavorando a qualche nuovo
progetto?
Tra qualche mese riprenderò
il mio percorso editoriale con
Cerchio della Luna
occupandomi del lato occulto
dell’Ufologia e di “storie
proibite”, ovvero quegli
avvenimenti che pensiamo di
conoscere ma che, in realtà,
nascondono infiniti misteri.
Nel frattempo ho concluso
l’editing del mio primo
romanzo “misterioso”,
mentre continua la mia
collaborazione con Area di
Confine e Sphera, la nuova
nata in casa Acacia Edizioni .
Ovviamente, e ci tengo a
sottolinearlo, prosegue anche
la mia collaborazione con
Tracce d’Eternità, una realtà
alla quale mi sento molto
legato. Continuo a esplorare
altre alternative e vagliare
proposte; prima o poi mi
prenderò una pausa, ma sento
così naturale quello che
faccio che penso avverrà
sicuramente poi…molto poi!
Grazie Roberto, a rileggerti!
Grazie a te; un caro saluto ai
lettori.
9
CONTENUTI
ARTICOLI
pag. 45 Roberto La Paglia Druidi tra storia e mistero
pag. 49 Maria B. Errigo
Inquisizione e metodi di tortura sulle streghe
pag. 55 Simone Barcelli
Uno scienziato alle origini della teoria del paleocontatto
pag. 73 Gaetano Barbella Raffaello Sanzio: Ipazia d’Alessandria, la sapienza della scuola di Atene
pag. 85 Luciano Scognamiglio Abductions: il punto della situazione in Italia
pag. 88 Andrea della Ventura Contro le scie chimiche a Roma
pag. 96 Matteo Agosti
Viaggio nella West Valley di Marte (III° parte)
pag.107 Lloyd Pye
In difesa di Zecharia Sitchin Traduzione di Sabrina Pasqualetto
INTERVISTE
pag.
4 Simone Barcelli
pag. 28 Fabrizio Vercelli
Roberto La Paglia
J. Romano
pag. 36 Gianluca Rampini Roger Leir
Traduzione di Germana Maciocci
pag. 64 Yuri Leveratto
Gregory Deyermenjian
pag. 92 Gianluca Rampini Tom Bosco
RUBRICHE
pag. 2 NOTE A MARGINE Simonetta Santandrea
pag. 10 LIBRARSI Simonetta Santandrea
pag. 12 LO SPAZIO DELL’OTTAVA Michele Proclamato
pag. 16 LIFE AFTER LIFE Noemi Stefani
REDAZIONE
pag. 19 XAARAN Antonella Beccaria
pag. 22 CONFESSO, HO VIAGGIATO Noemi Stefani
Simonetta Santandrea [email protected]
pag. 27 INTORNO XII Daniele Bonfanti e Simone Lega
Gianluca Rampini [email protected]
pag. 32 UFO E DINTORNI Walter Conidi
Andrea della Ventura [email protected]
Simone Barcelli [email protected]
Pag. 42 PAGINE DEL C.U.T. Nicola Antonante
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Traduzioni
Sabrina Pasqualetto [email protected]
Anna Florio [email protected]
Antonio Nicolosi [email protected]
Germana Maciocci [email protected]
Carla Masolo [email protected]
Progetto grafico e impaginazione
a cura di Simone Barcelli.
Revisione testi a cura di Simonetta Santandrea.
10
LIBRARSI
Simonetta Santandrea [email protected] ha
40 anni ed è la fondatrice del gruppo “Tracce d’eternità”
sulla piattaforma Facebook, gruppo di cui tuttora è
responsabile. Si occupa di Storia Antica e in rete collabora
con Luoghi Misteriosi, Paleoseti ed altri siti tematici.
Lo specchio inverso. Da RennesRennes-leleChâteau all'Italia
di GIORGIO BAIETTI
Edizioni Età dell'Acquario, Torino, 2007,
pagine 256, illustraz. b/n
Euro 18,00
La cittadina francese di
Rennes le Château è,
ancora una volta, il punto
di partenza delle indagini
che vorrebbero una volta
per tutte dipanare il
mistero che l’avvolge. Ai
tempi dei visigoti era una
città, una capitale:
Rhedae. Qui, proprio al
tempo dei visigoti, si dice
che fosse stato nascosto il
tesoro del Tempio di Re
Salomone, trafugato da
Tito e poi, in seguito al
Sacco di Roma del 410,
portato nell'attuale Francia
del sud. Nel tempo, altri
soggetti misteriosi hanno
camminato a Rennes-leChâteau: i catari e i
Templari, i quali si dice vi
abbiano posseduto rifugi e
tesori (soprattutto i
Templari). Ecco che un
giorno, non lontanissimo
nel tempo, appare un’altra
enigmatica figura, un
prete cattolico: l'abate
Bérenger Saunière, il
quale condusse
un’esistenza talmente
singolare da far pensare di
aver trovato parte di quei
tesori. Sicuramente questi
sono accattivanti e
misteriose situazioni che
generano belle domande,
ma altri grandi misteri vi
sono altrove: visigoti,
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catari, Templari erano,
nei confronti di Roma,
degli eretici.
Probabilmente
conoscevano dei segreti
relativi alle origini del
cristianesimo. Ecco che
Rennes le Château non è
più e solo un arroccato
paesino francese…
Rennes-le-Château è
circondato da una corona
di villaggi, castelli,
sotterranei e grotte, fitti
di indizi mai analizzati.
Che dire, ad esempio, del
Cristo senza mani presso
Antugnac? O delle mele
blu della chiesa di
Brenac? E poi: negli
stessi anni in cui
Saunière costruiva il suo
"regno", in un paese
dell'entroterra ligure un
semplice parroco dava
vita a un "impero", fatto
di ville favolose e vasti
palazzi. Anche la sua
disponibilità di denaro
sembrava inesauribile - e
una delle sue fonti era
sicuramente in Francia. E
se Bérenger Saunière
fosse stato soltanto una
pedina? L’autore,
Giorgio Baietti, in questo
lavoro riprende
l’indagine su Rennes le
Château, dopo averne già
ampiamente scritto e
descritto in altri lavori,
conferenze ed incontri;
questa volta, il modus
operandi è leggermente
diverso. E’ lo stesso
Baietti che, nella
prefazione, racconta di
come questo sia pensato
come “una sorta di
viaggio in cui, tutto
sommato, Rennes-leChâteau non è che una
tappa. Durante le mie
ultime ricerche ho avuto
modo di soffermarmi su
alcune località che fanno
da corollario al celebre
villaggio e che, per alcuni
aspetti, sono ancora più
intriganti e inquietanti.
Posti del tutto anonimi e
in cui non ci si
fermerebbe mai se non
fossero "sulla strada
per...". E invece meritano
ampiamente spazio e
tempo e un occhio di
riguardo, perché sono
davvero tanti i segreti che
custodiscono. Un'altra
meta, del tutto
particolare, è in Italia.
Anche qui c'è un parroco
che, negli stessi anni in
cui Saunière crea il suo
regno, realizza un
impero, con ville
favolose (dieci volte più
grandi e lussuose di Villa
Betania), montagne di
denaro e riconoscimenti
così prestigiosi da
apparire assurdi se si
tiene conto che era solo
un semplice parroco di
un piccolo paese. Non
voglio anticipare altro
perché, ne sono certo,
sarà una vera sorpresa e
del tutto inedita. Ma
troverete anche altri
parroci e altre chiese dal
grande fascino; un
corollario di stranezze ed
enigmi che lasciano
aperti tanti spiragli da cui
filtra un po' di luce che fa
accrescere la voglia di
aprire, finalmente, la
porta su tutta questa serie
di punti interrogativi. È
lo specchio di una realtà
che ci rimanda
l'immagine di quello che
vorremmo vedere.
Ognuno di noi può
trovarci tante risposte alle
domande che non si è
mai posto.” Giorgio
Baietti, laureato in
Lettere e in Sociologia, è
insegnante e giornalista,
oltre che studioso di
storia alternativa ed
esoterismo. Dal 1986 si
occupa del mistero di
Rennes-le-Château, dove
è praticamente di casa e
trascorre diversi periodi
dell'anno, in
un'abitazione che è
situata proprio di fronte
alla chiesa della
Maddalena e al castello
medievale. È autore del
libro su Rennes-leChâteau che ha riscosso
maggiore successo in
Italia (L'enigma di
Rennes-le-Château,
Edizioni Mediterranee,
2003) e di altri saggi e
racconti sullo stesso
tema. Da molti anni tiene
conferenze e seminari in
tutta Italia e ha
partecipato a diverse
trasmissioni televisive e
radiofoniche.
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LO SPAZIO DELL’OTTAVA
Michele Proclamato [email protected], ha iniziato i suoi studi attraverso la
riscoperta misterica di alcuni monumenti della sua città, L’Aquila. Dopo aver individuato nel
SAPERE dell’OTTAVA il cuore della scienza esoterica, oggi presente in tutto il mondo, ha
scritto per le edizioni “Melchisedek” le seguenti opere: “Il SEGRETO delle TRE OTTAVE”,
“L’OTTAVA, la scienza degli DÈI”, “Il GENIO SONICO”, “La STORIA MILLENARIA DEI
CERCHI NEL GRANO”, “QUANDO LE STELLE FANNO L’AMORE” e “L’UOMO DI DIO”:
questo su Giordano Bruno è il suo libro più bello ed importante, perché ci rivela segreti a cui
nessuno era mai arrivato.
AMORE O VENERE
F1
“Perché
io?”
“Tu puoi riuscirci.”
“A far cosa?”
“Ad aprirli.”
“Franco, io non so
nemmeno cosa sia un
Sigillo.”
“Davvero? Scommettiamo
che tu sai perché quello che
tu chiami Settenario per
LUI era…AMORE?”
“Osservai con attenzione il
Sigillo, era come se potesse
parlarmi, ma non volesse
farlo, lo sentivo quasi mio,
stavo azzardandone
persino una spiegazione
ma…”
Non sono affidabile, me ne
rendo conto, ma ciò che ho
iniziato a scrivere attraverso
un articolo dal titolo “Mente
o Apollo” penso sia giusto
proseguirlo, adesso che di
nuovo ho voglia di farlo,
attraverso “Amore o
Venere” (già pubblicato sul
portale di Tracce d’eternità
l’8 gennaio scorso). Sarebbe
quindi perlomeno necessario
poter leggere il mio
precedente articolo per
trovare motivazioni, cause e
perché di questo mio
rinnovato impeto descrittivo,
riguardante il mio ultimo
libro: “L’Uomo di DIO”. Ciò
permetterebbe me di
proseguire nel mio esporre
con molta, molta più
velocità, voglia e piacere.
Ammettendo, di
conseguenza, il vostro
leggere già avvenuto, potrei
così iniziare dicendo che la
summa ermetica della
simbologia dell’Ars
Memorandi di Bruno era
costituita da tre sigilli ben
precisi. Ebbene, di uno vi ho
già parlato (Mente o Apollo),
ora vorrei dedicarmi a un
secondo di essi, tra tutti il
più completo, complesso,
pregno e utile, affinché
ognuno di noi possa
minimamente avvicinarsi al
vero potere conoscitivo di
Giordano Bruno. Di
conseguenza vi domanderei,
come a me fu fatto: “Perché
tale simbologia, definita
diversamente,
13
SETTENARIO, veniva
utilizzata da Bruno come un
sigillo, dal nome Amore o
Venere? ”E perché io nel
vederlo la prima volta,
quando ancora non sapevo
cosa fosse un sigillo,
immediatamente percepii in
esso un significato,
chiaramente e
analogicamente già presente,
non nella mia mente, più
propriamente nella mia
Anima?” Brutta bestia
Giordano Bruno sapete, LUI
scava dentro di noi in luoghi
spesso sconosciuti, ma
comunque vivi e immortali,
poiché popolati, nel buio più
assoluto, da archetipi divini,
figli della luce più pura ed
incondizionata. E LUI, ho
lasciato che scavasse dentro
di me, l’ho fatto all’inizio
inconsciamente, infine
sempre più consciamente,
fino ad aspettare una specie
di guarigione avvenuta
attraverso momenti, ricordi,
immagini e simboli che ora
faccio fatica a separare.
Volendo però chiarire il
perché dell’interloquire
sopra esposto, volentieri
esporrò a voi lettori il modo
con cui io… capisco o credo
di farlo. Un modo che ho
come “Fiore della Vita”.
Ultimamente il sottoscritto ha
avanzato l’ipotesi, piuttosto
realistica, secondo la quale
tutto il sistema geometrico
del Fiore in realtà altro non
sia che l’applicazione o la
trasformazione, geometrica
appunto, del sapere
dell’Ottava. Ma forse sto
come al solito… correndo
troppo. Tornerò quindi alla
casa di Celestino V,
rendendomi conto di come la
partenza, per arrivare a una
spiegazione valida del sigillo
in questione, sarà un po’
appreso da Giordano Bruno
laboriosa. La basilica di
essere non di tutti gli uomini,
Collemaggio, dicevo, è
un modo che ha reso me,
contraddistinta tuttora da un
mistero a me stesso per
luogo posto fra navata e
pochi anni, chiaritomi dal
transetto deputato ad ospitare
Nolano grazie alla sua
ciò che ormai da tutti è
descrizione riguardante il
definito “Labirinto”. Io, fui il
vero significato dei numeri.
primo a “vedere” in quel
Ma non voglio dilungarmi
labirinto non solo 6 cerchi
troppo o divagare, quindi, di
intimamente uniti, ma
nuovo: “Perché, Amore
essenzialmente una
potrebbe definirsi l’ultimo
simbologia che capii essere
passaggio mentale di un DIO
descrizione plasmante,
geometricamente e
costituita e conservata nel
cimaticamente agente?
tempo attraverso
Quanti perché direte, eppure,
semplicemente: TRE OTTO
che dire, io senza di essi…
(F2). Cinque anni fa infatti
non so vivere, c’è di bello
scoprii all’interno di
che a volte posso persino
Collemaggio le TRE
chiarirli, di conseguenza,
OTTAVE dopo più di sette
venite come me, andiamo a
secoli dal loro
casa mia, andiamo a
assemblamento
Collemaggio, all’Aquila,
ermeticamente voluto dal
perché cari signori quando si
grande Celestino V. Vorrei
vuol capire certe cose… lì
ora sapeste che utilizzando
inconsciamente i numeri,
bisogna andare.
collegai, a ragione, quella
UN LUOGO, anche, BRUNIANO somma simbolica pari a 24
unità a qualcosa di altrettanto
simbolicamente molto più
antico. Ciò che dentro
Ho già accennato al fatto che
Collemaggio era numero,
il Sigillo in questione,
infatti, appariva attraverso le
banalmente viene identificato
composite braccia degli
come Settenario, in verità
esseri posti al di fuori dello
risulta essere da millenni
Zodiaco di Dendera, come
figlio della geometria sacra
qualcosa di estremamente
e come tale più conosciuto
14
animico e… creativo (F3). 16
braccia divine, maschili, e 8
braccia umane ma femminili,
mi diedero la possibilità di
capire cosa e quanto in quel
labirinto fosse nascosto.
Volendo sinteticamente
descrivere il tutto potrei dire
che Celestino V continuava,
attraverso la simbologia del
Labirinto, la trasmissione
millenaria di un messaggio le
cui caratteristiche animiche
certamente si riproponevano
all’interno dello zodiaco più
famoso del mondo. Zodiaco
che moltissimo m’insegnò e
continua a insegnarmi, in
quanto i 12 esseri,
chiaramente dotati di 24
braccia, dimostravano essere
direttamente collegati con ciò
che la sfera centrale zodiacale
conteneva. Qui, infatti, 72
corpi celesti a loro volta
suddivisi in due gruppi
stellari compositi, pari a 24 e
48 unità, dimostravano
chiaramente la loro diretta
emanazione dodecafonica,
nascente da un sistema
numerico da me conosciuto, e
splendidamente descritto
dalla Lista Sumera dei RE.
“Il numero è un limpido
principio, fisico, metafisico
e razionale”, appresi da
Giordano Bruno, e infatti mai
come in questo contesto, ciò
che poteva sembrare
fisicamente numerabile,
come una serie di astri,
razionalmente inquadrabili
dalla mente umana, in verità
dimostrava avere una ragione
estremamente… metafisica,
alla sua nascita. Ora
scusandomi per la mia
divagazione numerica,
purtroppo necessaria, vorrei
che immaginaste quelle 24
braccia trasformarsi in sei
cerchi, come appaiono a
Collemaggio, quindi
desidererei che vedeste quella
sestina fondersi a formare
TRE OTTO, i quali una volta
l’anno a Collemaggio non
fanno altro che aspettare un
prodigio voluto da DIO
attraverso tutte e sei le
dimensioni figlie del suo
primo ottuplice vagito.
UN SOLSTIZIO di LUCE
Infatti, il 21 giugno, al
solstizio d’estate il sole
trasformerà in LUCE (sempre
Palmieri docet)
l’informazione numerica
posta all’interno del rosone di
Collemaggio, che io per
primo codificai, informazione
destinata a diventare
esattamente un SETTIMO
cerchio all’interno del
labirinto in questione. Se
adesso per un attimo
ripenserete alle braccia di
Dendera, capirete come
queste altro non siano che
l’ultimo baluardo energetico
posto a monte di una
realizzazione estremamente
materiale oltre che
terribilmente luminosa.
Sostanzialmente vi potrete
rendere conto di come
qualcuno, non si sa chi, non
si sa quando, ha avuto
l’ardire, secondo me
riuscendoci, di codificare un
atto creativo che tanto sta
impegnando tutti i laboratori
di fisica nucleare di tutto il
mondo. Di conseguenza la
sfera contenente la visione
celeste egizia, altro non potrà
essere che la SETTIMA
sfera. Sarà quindi il
Settenario, per un sapere
senza tempo come quello
dell’OTTAVA, la summa
simbolica di un atto creativo
la cui origine è posta
esattamente dove oggi non
abbiamo il coraggio di
spingerci, ma dove Giordano
Bruno era di casa…
nell’invisibile. Adesso
torniamo al suo Sigillo (F4)
utile a ricordare la memoria
15
Archetipica, facciamolo
perché LUI nella sua unica
descrizione dei TRE sigilli
ERMETICI dirà, come già
scritto in “Mente O Apollo”,
che “le azioni degli DEI, utili
cimaticamente e
geometricamente a creare i
presupposti della nascente
Luce”, in Amore o Venere
“verranno sostituite dalle
corrispondenti
caratteristiche emozionali.
In Amore saranno quindi una
summa di emozioni, simili a
quelle umane, come odio,
coraggio, vigliaccheria, gioia,
tristezza, ira, eccetera, a
portare a compimento le
geometrie divine. In altre
parole Giordano Bruno,
quattro secoli orsono, sapeva,
spiegava e sperava che
ognuno di noi capisse come e
quanto amore un DIO,
immanente e musicalmente
OTTAVA, avesse posto,
attraverso una miriade di
emozioni, alla base della sua
sessuata e frattale volontà di
creare… la MATERIA. Di
conseguenza potremo
sperimentare qualsiasi tipo di
emozione nella nostra vita e
per quanto potrà sembrarci
impossibile ammetterlo,
persino l’odio, per esempio,
comunque e sempre farà
parte di un unico sentimento
creativo chiamato…
AMORE. Se accetteremo
tutto ciò, avremo nuovamente
una materia viva,
emozionabile ed
emozionante, potremo quindi
comunicare con essa e
mettere a punto una nuova
scienza tecnicamente
animica, come l’OTTAVA.
Questo dovrà essere
l’immediato compito della
razza umana: se sapremo
perseguirlo Bruno non sarà
morto invano, altrimenti
saremo noi a… bruciare.
Michele Proclamato ha scritto di Giordano Bruno. E lo ha fatto
come solo lui ci ha abituato a fare, fondendo cuore e intuito. Il
risultato? Per la prima volta, dopo secoli, i SIGILLI ERMETICI del
Nolano hanno trovato una spiegazione, valida, potente, unica.
L’Autore attraverso un percorso conoscitivo originalissimo, carico
di emozione , è riuscito a regalare a noi tutti un Bruno finalmente
capace di rivelare cosa veramente nascondesse dietro la sua Ars
Memorandi. Ecco, di conseguenza, apparire un Universo
animicamente vivo in tutte le sue parti, capace di dialogare,
attraverso il simbolismo dei Sigilli, con un uomo finalmente conscio
dei suoi poteri, per ospitare un percorso conoscitivo rivolto verso la
LUCE DIVINA. Percorso nel quale verranno coinvolti Platone,
Leucippo, Alessandro Magno, Leonardo da Vinci, Galileo, Newton,
Lissajous, Nativi Americani, Cerchi nel Grano, Renato Palmieri.
Sicuramente il libro più bello scritto da Proclamato, sicuramente un
modo unico per intuire il come e il perché della Creazione.
Assolutamente da leggere. Prima però
preparatevi alla commozione del sapere,
dove l’uomo è degnamente un figlio divino.
LIFE AFTER LIFE
16
Noemi Stefani [email protected] sensitiva e ricercatrice della storia delle
religioni, indaga da più di 20 anni nel paranormale ricevendo numerose
conferme alle sue tesi. Le sue esperienze l’hanno portata a visitare i posti
più misteriosi e ricchi di spiritualità della terra. Ha preso parte a convegni
con tematiche riguardanti “ la vita oltre la vita “ facendo da tramite per le
persone che erano in attesa di risposte e conferme dall’aldilà. Ha tenuto
conferenze, intervenendo anche a trasmissioni radio (RTL 102,5) e televisive
(Maurizio Costanzo show).
“IO HO
FATTO
QUESTI
SEGNI…”
Anche quest’anno il Natale è
già passato e si rimette
via il presepe. Come sempre
avvolgo accuratamente
dentro morbidi fogli di panno
carta il Gesù Bambino e la
Sacra Famiglia, e poi li
ripongo nella capanna
insieme alla stella cometa.
Tutto il resto a parte, dentro
lo scatolone vuoto del
pandoro. Mi prendo cura
delle sfere di vetro soffiato
così brillanti delicate e
fragili, così com'è fragile la
vita umana, sospesa a un filo
proprio come queste sfere
stanno appese ai rami
dell'alberello… Basterebbe
un nulla per frantumarle in
mille schegge, basterebbe un
niente alla nostra fine terrena.
Ma cento schegge di vetro
riflettono la luce ugualmente,
e così anche il nostro spirito
continua a riflettere la
componente luminosa che ci
appartiene, cambierà la forma
ma la sostanza rimane.
Raccolgo i pastori, gli angeli,
pecore e cammelli con i Re
Magi, e tutto il resto, via,
dentro allo scatolone. Mentre
lavoro come tutti gli anni
penso sempre tra me:
“Signore conservaci tutti,
almeno fino alla prossima
volta”, e questo pensiero mi
fa salire un groppo in gola.
Quanti affetti ho visto andare
via... Mi sorprende sempre il
profumo d'incenso che
impregna il panno carta
(sempre lo stesso) che
uso per avvolgere il
Bambino Gesù. È intenso,
delicato, e riempie la sala per
un po’ insieme all'odore delle
bucce di mandarino che
faccio seccare sul calorifero.
Ma da dove viene? È lo
stesso odore d’incenso
che improvvisamente si
solleva mentre attraverso un
punto della casa per poi
sparire immediatamente. Io lo
sento, gli altri raramente. Io
so che è Gesù che mi
manifesta la Sua presenza
costante, rassicurante e
serena. Fin dalla Pasqua del
2000, quando tramite la
scrittura mi aveva detto
17
“Resto sempre con chi mi
ama. Pensami felice, sono
risorto, credimi!”.
Qualche mese prima di
quell’anno accadevano altri
fatti per me molto rilevanti.
Avevo visto un programma in
tv a cui aveva partecipato
l'Avv. Sardos Albertini, il
papà di Andrea, e parlava del
figlio che era sparito e poi
che purtroppo era morto.
Andrea era un bravo ragazzo
studioso e abitava a Trieste.
Un giorno si mette in viaggio
per Torino, non si sa bene
perché, e di lui non si è
saputo più nulla. Molto
tempo dopo si è scoperto che
era stato ucciso forse per
rapina e il suo corpo era stato
gettato nel fiume Po. Andrea
è un’anima benedetta che
dopo la sua morte ha voluto
lasciare tanti segni come
testimonianza che l'Aldilà
esiste. Avevo letto il libro
dell'Avv. Sardos, e visto le
fotografie dei “segni” che
Andrea lascia là dove serve.
Di solito a persone che
stanno male e nemmeno
LIFE AFTER LIFE
sanno di lui, ma è proprio
attraverso questi segni che
cominciano a sperare e a
credere in un’altra Vita.
Questi segni sono macchie
rosso sangue, bagnate al tatto,
e si conservano in questo
stato. Compaiono
all'improvviso alle persone su
stoffa, libri, indumenti... Così
tanti che il padre chiede che
gli vengano inviati a casa sua
a Trieste come testimonianza,
e ne aveva raccolti una stanza
piena. Ero in sintonia con
Andrea, emotivamente
coinvolta nella sua storia
triste e guardando la foto di
un viso giovane e pulito,
avevo pensato che come età
poteva essere il mio
fratellino. Deve avermi
sentito. Ho incominciato a
trovare questi segni in giro
per casa. Decido di prendere
una busta e di mandarli
18
all'Av. Sardos a Trieste.
Andrea mi parlava anche
attraverso la scrittura, e io
mandavo tutto al suo papà,
che riconosceva la calligrafia
ed era felice di leggere. Ho
un ricordo particolare che
serve a capire bene come
avveniva. Una sera la mia
bimba che frequentava le
elementari lascia il
quadernone di matematica
aperto sul tavolo pronto per
la firma di suo
padre. Andiamo a dormire
e la mattina dopo, la sorpresa.
Al centro del quadernone una
grande macchia rossa di
diversi cm. e anche a piede
pagina, che si propagava
su altre pagine in tante
piccole macchioline. Al tatto
sembrava ancora
bagnata (come quella delle
fotografie che allego, a
distanza di 10 anni sono
intatte). La figlia piangeva,
difficile giustificare con la
maestra. Ovviamente sul
tavolo c’era solo il quaderno.
Avevo chiesto ad Andrea il
perché a me che già credo
fermamente. La risposta
“Io ho fatto questi segni, li ho
fatti per te, perché continui
sempre a fare altre
particolari formidabili
connessioni con la Vera Vita.
Io lo sento il tuo amore, la
vita è bella se porti nel cuore
lo Spirito Altissimo. L'amore
per gli altri sarà il
Grande, Forte, il Felice
Raggio di Luce che sopra le
anime sante loderà le parole
della Luce Infinita. Mai
dovrai temere perché sta
reggendoti la mano”.
LIFE AFTER LIFE
Nelle sue parole c'è tanto
affetto, e mi ha
accompagnato per tanto
tempo, incoraggiandomi
quando gli ostacoli mi
facevano perdere la fiducia.
Ribadisco ancora una volta
che il bene non muore mai,
va ben oltre la morte che è
solo un passaggio in altri
luoghi con altre forme. Il
bene resta. Sempre. Riprendo
in mano questo libro dopo
tanti anni, verifico l'umido
della macchia più grande,
faccio le fotografie per voi e
mi sembra che le macchioline
all'interno della copertina
formino due piccoli cuori. E
sì, lo faceva spesso adesso
che mi ricordo, disegnava
cuori, grazie fratellino, grazie
Andrea.
19
XAARAAN
Antonella Beccaria [email protected] editor e traduttrice, scrive e pubblica
con la casa editrice Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri e con Socialmente Edizioni.
I suoi libri sono disponibili sia in libreria che online: tra questi "Il programma di
Licio Gelli" (2009), "Pentiti di niente - Il sequestro Saronio, la banda Fioroni e le
menzogne di un presunto collaboratore di giustizia" (2008), "Uno bianca e trame
nere – Cronaca di un periodo di terrore" (2007), "Bambini di Satana – Processo al
diavolo: i reati mai commessi di Marco Dimitri" (2006) e "NoSCOpyright – Storie di
malaffare nella società dell'informazione" (2004). http://antonella.beccaria.org/
SISTO NERO:
LA STORIA DI UN BORBONE
E DEI SUOI RAPPORTI CON
L’EVERSIONE IN SPAGNA
La sua morte, avvenuta a
Barcellona il 18 agosto
scorso, è passata in pratica
sotto silenzio, rispetto a
quelle più ricordate a mezzo
stampa di Giovanni Ventura
e Francesco Cossiga. E
altrettanto è accaduto con la
sua tumulazione, avvenuta
qualche giorno più tardi a
Parma, nella basilica di Santa
Maria della Steccata, dove
già alcuni dei suoi avi sono
stati sepolti. Era un
personaggio dimenticato
della recente storia italiana,
Carlo Ugo di BorboneParma, una vita trascorsa tra
la Francia e soprattutto la
Spagna, dove negli anni
Sessanta riuscì a inimicarsi il
fronte filo-realista dei
carlisti, fallì nella gestione
dei suoi rapporti con il
dittatore iberico Francisco
Franco e ruppe con la
famiglia per essersi
avvicinato a istanze che si
ispiravano al socialismo
jugoslavo di Tito. Ma
nemmeno ci si ricordò che,
negli anni Settanta, tornò al
carlismo per traghettarlo
verso istanze democratiche
post-franchiste e che suoi
uomini, collaboratori a lui
vicino in questo progetto,
vennero assassinati il 9
maggio 1976 nel massacro di
Montejurra, la cui
responsabilità fu addossata
all’estrema destra spagnola e
ad alcuni neofascisti italiani,
tra cui Stefano Delle Chiaie.
I fatti di Montejurra, per con
Carlo, rientravano in un
conflitto non solo politico,
ma anche familiare. Un
conflitto che poneva su due
fronti opposti lui e suo
fratello Sixto, di dieci anni
più giovane (nacque nel
1940) e con frequentazioni
ben più radicali. Sostenitore
del leader francese del Fronte
Nazionale, Jean-Marie Le
Pen, tra le sue frequentazioni
20
annoverava l’arcivescovo
scomunicato da Giovanni
Paolo II Marcel Lefebvre e
dal 1977, anno della morte
del padre, scalzò il fratello
assumendo il titolo di
“portabandiera della
tradizione” e della reazione
carlista. Del resto, nel corso
della sua vita (che prosegue
oggi in Argentina, pur
avendo rinunciato a gran
parte delle sue uscite
pubbliche a causa delle
conseguenze di un incidente
stradale), non furono poche
le occasioni in cui compì
scelte in linea con le sue
posizioni di destra. Iscrittosi
nel 1965 alla legione
straniera spagnola con il
nome di Enrique Aranjuez,
per quanto riguarda gli eventi
di Montejurra, gli uomini –
armati dalle frange
filofranchiste della Guardia
Civil – che spararono sulla
folla erano a lui vicini.
Compreso lo stesso Delle
Chiaie, che con don Sisto
aveva anche una conoscenza
in comune: quella di Yves
Guerin Serac, a capo
dell’Aginter Press, agenzia di
stampa attiva in Portogallo
dal 1962 al 1974 la cui reale
attività era il coordinamento
europeo delle forze
anticomuniste e ultraatlantiche, l’infiltrazione
delle organizzazioni di
sinistra ed estrema sinistra e
la copertura per attività
golpiste e terroristiche. Le
testimonianze fotografiche
del massacro del 1976 –
descritte in dettaglio dalla
sentenza per l’omicidio del
giudice Vittorio Occorsio,
assassinato quello stesso
anno a Roma da Pierluigi
Concutelli – hanno lasciato
pochi dubbi circa le presenze
quel giorno. Oltre a don Sisto
e a delle Chiaie (”nominato”
in quell’occasione dal stesso
Borbone generale sul campo,
in base a quanto disse
Gaetano Orlando del
Movimento armato
rivoluzionario), c’era anche
Augusto Cauchi, esponente
di Ordine Nero, vicino ad
ambienti del Sid (i servizi
segreti militari pre-riforma
del 1977) e della Cia e
ritenuto snodo di
collegamento tra l’eversione
di estrema destra e la P2 di
Licio Gelli. Ma i rapporti
XAARAAN
accertati del
principe Sisto di Borbone
con ambienti estremisti
italiani non si limiteranno a
questi fatti. Presidente
dell’Irep (Istituto europeo di
ricerche e di studi politici e
sociali), il nobile farà
produrre una rivista,
“Confidential”, tradotta in
varie lingue e diffusa in Italia
da Mario Tilgher, esponente
del Grande oriente d’Italia e
della loggia P2 con tessera
numero 84. Quando la rivista
prese vita, era l’inizio degli
anni Ottanta, il periodo in cui
don Sisto era sospettato di
aver avuto a che fare con
l’attentato alla sinagoga
parigina di rue Copernic,
avvenuto il 3 ottobre 1980 e
che registrò un bilancio di
quattro vittime e una trentina
di feriti (in seguito le
indagini si sono concentrate
su militanti del Fronte
popolare per la liberazione
della Palestina e ancora nel
2008 sono stati effettuati
degli arresti). Una
perquisizione dell’estate
1981 della sede francese
dell’Irep portò al
ritrovamento di uno
schedario chiamato
“Militanti di Ordine nuovo”.
I dossier che ne facevano
parte erano custoditi dentro
una scatola di legno ed erano
indicizzati per nome e per
nazionalità (i Paesi citati
comprendevano tra gli altri
Italia, Stati Uniti, Canada,
Gran Bretagna, Belgio,
Spagna, Germania, Svizzera,
Lussemburgo, Principato di
Monaco) e l’ipotesi che gli
investigatori fecero è che si
trattasse dell’archivio
dell’ordinovista Clemente
Graziani. Ma c’è un’altra
sede, questa volta in Italia,
che attirò l’attenzione degli
XAARAAN
inquirenti. Si trattava della
redazione romana della
rivista Confidential, che si
trovava in via Alessandria
129. Sempre a questo
indirizzo si sarebbe nascosto
l’arsenale dei Nar, i Nuclei
armati rivoluzionari, oltre
alle scorte di denaro del
21
gruppo terroristico
capitolino. E sempre qui
venne arrestato Roberto
Nistri, uno dei leader di
Terza Posizione, indicato
come una delle persone dalle
cui mani sarebbe transitato
un silenziatore che fece il suo
ingresso nelle indagini
sull’omicidio di Valerio
Verbano. Ma Nistri in quel
periodo era in carcere per una
questione di armi.
(Questo articolo è stato
pubblicato sul numero di
dicembre 2010 del mensile
La voce delle voci)
Anno 2010. È trascorso ferragosto da un paio di giorni
quando Francesco Cossiga muore in un ospedale romano.
Con lui, si è detto nei giorni successivi, se n'è andato un
pezzo di storia d'Italia che si sarebbe guardato bene dal
raccontare, un armadio da aprire alla ricerca di quelli che
lui stesso chiama gli “arcana della Repubblica”. Ma a
rileggere ciò che il grande vecchio della politica tricolore
scrisse e dichiarò, è possibile aggiungere qualche tassello a
un mosaico fatto di servizi segreti e carabinieri, terroristi
perdonati e magistrati invisi, stragi e Gladio. Dal rapimento
Moro all'infiltrazione nelle organizzazioni estremistiche,
dalla passione per l'intrigo alle guerre intestine nella
Democrazia Cristiana, da Ustica all'amore per gli ex
comunisti, dall'amicizia con i palestinesi ai conflitti
silenziosi sullo scacchiere del Mediterraneo. Questi sono
alcuni degli argomenti di cui Francesco Cossiga parlò a più
riprese. Per ribadire, come gli insegnò il suo mentore, Aldo
Moro, “sacrificato sull'altare della Ragione di Stato”, che
“noi non ci faremo processare”.
22
CONFESSO, HO VIAGGIATO
Noemi Stefani [email protected] sensitiva e ricercatrice della storia delle
religioni, indaga da più di 20 anni nel paranormale ricevendo numerose
conferme alle sue tesi. Le sue esperienze l’hanno portata a visitare i posti
più misteriosi e ricchi di spiritualità della terra. Ha preso parte a convegni
con tematiche riguardanti “ la vita oltre la vita “ facendo da tramite per
le persone che erano in attesa di risposte e conferme dall’aldilà. Ha
tenuto conferenze, intervenendo anche a trasmissioni radio (RTL 102,5)
e televisive (Maurizio Costanzo show).
CASTELLO
SFORZESCO
L' ultima volta siamo andati per
castelli, abbiamo varcato le
mura del Castello di Trezzo
sull'Adda, ricco di storia antica
(tanto per citare Celti,
Longobardi, Barbarossa, ecc.) e
di fantasmi, non potevo
esimermi da proporre il castello
Sforzesco di Milano, che si
collega allo stesso proprietario
Bernabò Visconti e allo stesso
periodo storico. Il Duomo è una
delle sette meraviglie del mondo
ed è conosciuto da tutti ma il
Castello è sicuramente il luogo
che amo di più della mia città.
Ricordo che quando da
ragazzina entravo a perdermi
nella piazza d'Armi del Castello
Sforzesco, era come entrare in
un'altra epoca, era come se le
lancette dell'orologio per magia
fossero così arretrate nel tempo
da tornare al medio evo.
All'ingresso passo sotto la Torre
del Filarete e mi addentro nella
Piazza d'Armi che si estende
compresa in un ampio spazio
rettangolare. Cammino
faticosamente sul ciottolato, sto
attenta a come metto i piedi
perché è facile torcersi le
caviglie, e io ne ho già una
debole. Questa piazza è enorme,
immensa. Qui persino le voci
delle persone che vanno e
vengono proseguendo verso
l'interno della costruzione
sembrano affievolirsi, i rumori
del traffico all'esterno
rimangono fuori. Com'è diversa
la realtà di oggi. Sento parlare
tante lingue ma non la mia,
sembra un luogo fuori dal tempo
e anche questa è la mia Milano
da bere (pubblicità del noto
aperitivo). Su questi sassi
antichi hanno cavalcato soldati
di mezza Europa, questa terra ne
avrebbe da raccontare di
soprusi, tirannie e morti
ammazzati. Energie, echi di voci
lontane che sono rimaste
sospese nello spazio tempo si
sovrappongono al tempo reale,
bisogna soltanto saperle
distinguere, e aver voglia di
seguire il filo delle storie che ci
raccontano. Il mio punto di
riferimento da ragazzina goffa e
curiosa che aveva appena finito
le medie era la Corte Ducale, e
ci venivo spesso la domenica,
anche da sola. Un luogo ancora
più raccolto, con uno specchio
d'acqua azzurro rettangolare, il
prato tutto intorno. Faceva caldo
come fa caldo a Milano d'estate
e lì era fresco, anche i pensieri
rimanevano sospesi a riposare.
Mi interessavano le sculture, i
drappeggi medioevali, le
CONFESSO, HO VIAGGIATO
23
dominatori stranieri.
Solamente nel Novecento ha
assunto l'aspetto rassicurante di
un luogo di cultura, destinato a
custodire le testimonianze
dell'arte lombarda. Il suo nome
riporta al XV secolo, all’epoca
di Francesco Sforza, che lo volle
ricostruire a partire dal 1450, ma
l'origine del Castello è più
antica: sorse infatti per volere di
Galeazzo II Visconti nella
seconda metà del Trecento.
grandi sale affrescate, i quadri
d'epoca, le armature. Mi piaceva
annusare l'aria. Il fatto stesso di
respirare il pulviscolo che
brillava al sole in quelle sale
cupe era come nutrirsi della
storia stessa. Mi affascinava
specialmente un sito dedicato
all’antico Egitto con le mummie
e i sarcofagi, e questa passione
non mi ha mai abbandonato nel
tempo. Era un modo per fuggire
da una realtà che già allora mi
stava stretta. Ma per capire
meglio di cosa parlo, prima
qualche cenno storico perché
qui di storia ce n'è molta.
Le vicende del Castello
È stato per secoli protagonista di
dolorose vicende, divenendo
agli occhi dei cittadini un odioso
simbolo del potere esercitato dai
Signori di Milano o dai
Alcune nozioni storiche (dal
Sito Ufficiale) Il più antico
fortilizio è chiamato “di Porta
Giovia” perché costruito lungo
le mura medievali di Milano,
rimane visibile il fossato, ed è
rimasta l'omonima porta. Viene
edificato come rocca difensiva
negli anni fra il 1360 e il 1370
da Galeazzo II Visconti; i lavori
vengono proseguiti dai
successori Gian Galeazzo e
Filippo Maria, che trasforma la
struttura nella propria residenza
e sistema il grande parco a nord
dell'edificio. Il Castello dei
Visconti ha pianta quadrata, con
lato di 180 metri e quattro torri
angolari. Poi nel 1447 alla morte
di Filippo Maria, non avendo
eredi il castello venne demolito
e le pietre furono utilizzate dai
milanesi per ricostruire le mura
della città.
Nel 1450 arriva Francesco
Sforza che sposa l'erede
illegittima Bianca Maria
Visconti (unica discendente dei
Visconti) e provvede a
ricostruire e fa costruire la
grande torre del Filarete e
completa la struttura con dei
torrioni rotondi. Nel 1466,
all'avvento dell'erede dello
Sforza, Galeazzo Maria, una
parte interna del Castello,
rivolta verso il parco, assume
l'aspetto di una residenza
signorile: è la Corte Ducale,
affiancata dal complesso
fortificato quadrato della
Rocchetta. Quest'ultima, vera e
propria rocca nella rocca, è
dotata di un'alta torre, detta “di
Bona” perché costruita da Bona
di Savoia, vedova di Galeazzo
Maria Sforza.
LA RESIDENZA SIGNORILE
A Francesco Sforza, morto nel
1466, succede il primogenito
Galeazzo Maria, quinto Duca di
Milano. Raffinato, colto, amante
del lusso, Galeazzo Maria
frequenta le corti francese,
mantovana e ferrarese, dopo
aver trascorso la giovinezza
nell'elegante castello pavese,
sviluppando una sorta di
passione per gli avi materni e in
particolare per Gian Galeazzo
Visconti. Promesso sposo di
Bona di Savoia, cognata del Re
di Francia Luigi XI, Galeazzo
Maria, volendo trasferirsi con la
corte in Castello, intraprende
una complessa campagna di
lavori, destinati a trasformare il
fortilizio in dimora signorile. Le
opere iniziate da Francesco
Sforza subiscono una brusca
accelerazione: si lavora alla
Rocchetta e alla Corte Ducale,
mentre contemporaneamente si
24
attrezza un “Cassino”, destinato
a ospitare il Duca e la sua
consorte. Stupisce oggi la
semplicità della vita domestica
condotta dagli Sforza, che
conosciamo dalle notizie
tramandate da interessanti
documenti, quali le lettere
dell'epoca. Raffinatissimi nella
scelta di abiti, cavalli e gioielli, i
Duchi sono abituati a vivere in
stanze confinanti con il pollaio,
in sale che di notte ospitano
materassi e di giorno assemblee,
in ambienti dai soffitti altissimi
le cui ampie finestre sono chiuse
non da vetri ma da semplici
"impannate" (stoffe). In Castello
gli architetti sono
continuamente al lavoro:
costruiscono, riedificano,
modificano gli spazi e la loro
destinazione; sappiamo, per
esempio, che, in occasione
dell'arrivo della sposa francese,
Bartolomeo Gadio deve allestire
una stalla in grado di ospitare
novanta cavalli. Con Ludovico
il Moro, che chiama a Milano
Donato Bramante e Leonardo da
Vinci, il Castello, nell'ultimo
ventennio del Quattrocento, si
arricchisce della Ponticella,
un'elegante ala che si affaccia
sul fossato esterno, e dei celebri
affreschi della Sala delle Asse.
IL DOMINIO FRANCESE
CONFESSO, HO VIAGGIATO
Alla caduta del Moro e
all'arrivo dei nuovi dominatori
francesi, nel 1499, seguono anni
di battaglie, assedi e
occupazioni del Castello, che
subisce saccheggi e distruzioni.
In questo periodo convulso, nel
giugno 1521, la Torre del
Filarete, utilizzata come
deposito di munizioni, esplode a
causa di un
fulmine, provocando morti e
danneggiando l'intera struttura.
LA FORTIFICAZIONE
SPAGNOLA
Quando Milano è
definitivamente sottomessa al
dominio spagnolo, nel 1526, il
Castello viene cinto da una
fortificazione a forma di stella
che lo rende inespugnabile,
anche perché dotato al suo
interno di depositi di viveri,
foraggio e pozzi d'acqua.
Interessante la forma della stella
a esagono. C'è da chiedersi e
non mi stupirebbe se oltre a una
funzione strettamente necessaria
dal punto di vista militare non
avesse anche il senso di
simbolismo esoterico.
LA DOMINAZIONE
AUSTRIACA
Dopo la conquista austriaca del
1706, l'edificio mantiene, per
circa un secolo, funzione
rigorosamente militare, a più
riprese restaurato fino all'arrivo
delle truppe napoleoniche nel
1796.
LA CONQUISTA
NAPOLEONICA
Alla fine del Settecento l’antica
fortezza subisce gravi danni
quando, in seguito all'assedio
napoleonico, i cittadini ne
mutilano i torrioni e ne
scalpellano gli stemmi
sforzeschi. In ultimo, Napoleone
decreta la demolizione delle
strutture esterne, destinando
l'antico Castello ad alloggio per
le truppe: le sale affrescate al
piano terreno della Corte Ducale
sono addirittura adibite a stalle.
LA RESTAURAZIONE
AUSTRIACA
Non migliorano le condizioni
dell'edificio all'epoca della
Restaurazione (1815-1859):
sede della guarnigione austriaca
durante le Cinque Giornate di
Milano (18-22 marzo 1848), il
Castello è saccheggiato dal
popolo, in rivolta contro gli
odiati tiranni.
Lo stemma dei Visconti (Il
biscione che mangia un
bambino?).
Probabilmente lo stemma ha
un'origine antica. Sembra che
fosse simbolo di Milano molto
prima dell'arrivo dei Visconti e
potrebbe rappresentare il
serpente di bronzo conservato in
Sant'Ambrogio e forgiato da
Mosè in persona. Come spesso
accade nell'incertezza, la realtà
si mescola alla leggenda in
modo che sia impossibile
disgiungere la prima dalla
seconda e, anche per l'origine di
uno dei più importanti simboli
di Milano. La più nota riguarda
Azzone Visconti, nipote
dell'arcivescovo Giovanni. Era
il 1323 e Milano era impegnata
in una logorante guerra contro i
fiorentini. Le truppe milanesi,
capeggiate dai Visconti, si erano
accampate nei dintorni di Pisa in
attesa di assediare la città degli
odiati nemici. Al riparo degli
alberi di un fitto boschetto
appena fuori dalla città, i soldati
si riposavano e rifocillavano.
Azzone, stremato dalla lunga
cavalcata della mattina, si stese
al riparo di una pianta e si
CONFESSO, HO VIAGGIATO
addormentò. Mentre il
condottiero riposava, una vipera
si infilò nel suo cimiero
abbandonato sull'erba lì accanto.
Al risveglio Azzone raccolse
l'elmo e se lo mise. La vipera,
invece di morderlo, sgusciò da
un'apertura sulla parte superiore
del copricapo da cui uscì
sibilando. Azzone, senza farsi
prendere dal panico, tolse l'elmo
e lo appoggiò a terra
permettendo all'animale di
allontanarsi indisturbato. Per
ricordare l'episodio, Azzone
decise di rappresentare la vipera
nello stemma di famiglia; per
sottolineare il suo
comportamento innocuo, la fece
dipingere con un bambino in
bocca.
I LONGOBARDI Le altre
leggende hanno radici ancora
più antiche. Una risale ai tempi
di Desiderio, ultimo re dei
Longobardi, che si dice fosse
antenato dei Visconti. La
leggenda racconta che Desiderio
si addormentò, stremato da un
combattimento, all'ombra di un
albero. Mentre riposava una
vipera gli si arrotolò intorno al
capo come una corona. Quando
il re si risvegliò, la vipera
sciolse le sue spire e si allontanò
senza morderlo. Desiderio,
25
messo al corrente dell'accaduto
dai suoi uomini che avevano
assistito a tutta la scena,
ritenendo il fatto prodigioso,
decise di rappresentare quel
serpente nelle sue insegne, che
poi sarebbero passate ai suoi
discendenti, i Visconti.
UN DRAGO A MILANO Poco
dopo la morte di Sant’Ambrogio
sembra che a Milano fosse
giunto un drago. La bestia
viveva in una profonda caverna
che si trovava nella zona oggi
occupata dalla chiesa di San
Dionigi. Nonostante il luogo, ai
tempi, fosse al di fuori della
cinta della città, capitava di
frequente che qualche viandante
finisse tra le fauci del drago.
Molti temerari guerrieri
cercarono di liberare la città
dall'indesiderato ospite, finendo
tutti come involontari pasti del
mostro. La situazione in breve
diventò insostenibile; la città
languiva poiché nessuno aveva
il coraggio di avvicinarsi a
Milano. Un giorno un cavaliere
si propose per la nobile impresa
di liberare la città dall'assedio
della bestia. Il suo nome era
Uberto Visconti. Il coraggioso
cavaliere partì da Milano sotto
un'alba livida. Era l'ultima
speranza della città. Giunse alla
caverna del drago mentre
l'immondo animale si preparava
a divorare un bambino catturato
poco prima. Uberto liberò il
bambino e cominciò a lottare
con il drago. Si racconta che il
combattimento finì solo al
tramonto del secondo giorno,
quando Uberto rientrò trionfante
a Milano stringendo in pugno la
testa del mostro. Milano era
libera e Uberto Visconti
raffigurò il mostro, che divorava
il bambino, su quello che
sarebbe diventato il vessillo
della più importante famiglia
milanese. (Vivi Milano)
Si dice che le leggende abbiano
sempre un fondo di verità, però
è difficile capire quale di queste
che ho riportato ci si possa
26
avvicinare. Come tutti i castelli,
anche questo ha il suo fantasma.
Siamo nel XIV secolo e si tratta
di Bernarda Visconti, la figlia di
Bernabò signore di quel tempo.
Considerata come adultera, fu
fatta imprigionare e rinchiudere
nella Rocchetta che è situata tra
la Corte Ducale e il cortile
interno. Non visse a lungo
Bernarda, però il suo fantasma
continua a mostrarsi sui torrioni
del Castello Sforzesco,
all'interno e persino nel parco
Sempione che una volta era una
grande piazza d'armi. Il luogo
dove il fantasma preferisce
manifestarsi più spesso è il
chiostro di Santa Redegonda e
sopra la parte più alta e merlata
di uno dei torrioni. Nel 1450 c’è
un nuovo signore Francesco
Sforza che darà il nome al
castello e incomincia la
ricostruzione, proseguono gli
eredi di Francesco come
Galeazzo Maria e proseguono
tra attacchi assedi e distruzioni,
come quella dei francesi nel
500, spagnoli e austriaci nel 700
e poi ancora napoleone e le 5
giornate di Milano. In tutto
questo tempo il fantasma
CONFESSO, HO VIAGGIATO
continuò a manifestarsi come
una dama vestita in nero con
una maschera di cuoio o una
veletta nera sul viso. Si
preannuncia con un intenso
profumo di violetta, si accosta
agli uomini e li invita ad
accompagnarla verso una villa
dove i locali sono tutti
drappeggiati a lutto, e li chiede a
loro di passare la notte con lei.
Poi riaccompagna il suo amante
dove si erano incontrati. Si dice
che chi ha avuto il coraggio di
spostare la maschera da quel
viso restò amaramente sorpreso
trovandosi fronte un teschio
ghignante. Inutile cercare la
villa dove avvenivano gli
incontri amorosi perché non
esiste in alcun luogo. C’era un
altra ragione per cui facevo
spesso visita al Castello
Sforzesco. Verso la fine del
percorso guidato, proprio prima
della Pietà Rondanini l'ultimo
capolaforo incompleto di
Michelangelo perché morì
prima di terminare, mi fermavo
affascinata a guardare la statua
di Gastone de Foix di Navarra
morto in battaglia. Un guerriero
che riposava nella sua seducente
armatura di marmo, il bel volto
che sembrava addormentato.
Almeno non avrebbe subito
l'ingiuria del tempo, mi
consolavo. Aspettavo che non ci
fosse nessuno nella stanza, poi
mi abbassavo furtiva, le trecce
sfioravano la statua e io felice
baciavo quella sua guancia
gelida. Anche stavolta mi
soffermo a lungo a guardare
quella meraviglia del Bambaia.
Non c'è nessuno, quasi quasi...
Un bacetto... Mi piego e sto per
avvicinarmi al bel viso di
Gastone quando dalla sala
sottostante spunta la divisa
dell'addetta alla sicurezza che
mi guarda con sospetto. Mi
chiede se ho bisogno di qualche
informazione ed è un modo
molto gentile per invitarmi ad
andare. Per un attimo ho
dimenticato la mia età, non
avevo più un’età,
l'adolescente goffa curiosa e
innamorata ha avuto il
sopravvento. Solo per un attimo.
Fuori di qui la vita riprende con
il suo ritmo concitato, esco e
ritorno al futuro.
27
IMPRESSIONI DA BASSAVILLA
di Vocisconnesse – Diramazioni
Daniele Bonfanti
[email protected] pianista,
compositore ed ex
campione di kayak, ha
frequentato la facoltà di
Filosofia presso
l’Università Statale di
Milano. Editor, autore,
curatore di raccolte e
giornalista divulgativo in
ambito di antichi misteri.
Per Edizioni XII lavora
attualmente come editorin-chief e dirige la
collana Camera Oscura,
dedicata alla narrativa
esoterica. Il titolo del suo
ultimo romanzo,
recentemente tornato in
libreria in una nuova
edizione, è Melodia.
Simone Lega
[email protected]
nasce il 13 novembre
1978 a Siracusa.
Ha pubblicato racconti
per Perrone editore e su
varie riviste e si è beccato
pure qualche premio.
Collabora con la casa
editrice 'Edizioni XII
(caporedattore del blog) e
per “Il Teatro Instabile
Siracusa” svolge di volta
in volta il ruolo di autore,
lettore impacciato in
spettacoli – reading,
maldestro tecnico luci…
Nella seconda metà del
2011, per Edizioni XII
nella collana Mezzanotte,
è in uscita il suo primo
romanzo
Perché impressioni?
Perché Edizioni XII ci ha chiesto
di illustrare la copertina di Ritorno
a Bassavilla, di Danilo Arona. Si
tratta del nostro modo di
immergerci nel racconto, di
passare dalle parole alle immagini.
Abbiamo passato il cartello
“Alessandria” per ritrovarci nella
dimensione di “Bassavilla”.
Spaccati che oscillano in
equilibrio quantomai precario sul
filo sottilissimo che separa la
realtà (o quella che riteniamo
tale) dall’Immaginario più
disturbante. E dietro sogghigna e
prende forma - solo per poi
prenderne un’altra – lei:
Bassavilla.
Il ponte: è il ponte che permette il
transito di cittadini e passanti di
Alessandria da una parte all’altra
del fiume, o il ponte sospeso di
quella dimensione che è per
l’autore “Bassavilla”? Possiamo
smettere di chiedercelo, dal
momento che è stato abbattuto?
L'illustrazione di Diramazioni per la
cover di Ritorno a Bassavilla, di Danilo
Arona
Daniele Bonfanti scrive:
Ritorno a Bassavilla ci riporta tra
le nebbie della più spettrale tra le
città della nostra letteratura, e
che era tempo si vedesse dedicare
un intero libro: Bassavilla. Uno
sguardo oltre l’apparenza
confortante delle cose, tra storie –
vere? – di fantasmi, resoconti
dell’insolita attività investigativa
dell’autore, e inquietanti fatti di
cronaca nera. O nerissima.
Il ponte Cittadella di Bassavilla
Con nostro grande stupore, e
soprattutto disappunto e delusione
di Danilo Arona e degli abitanti
della città la cui resistenza è stata
vana, il ponte che abbiamo
fotografato ora non c’è più.
Evidentemente sono i fantasmi
che restano, e si ricordano, anche
se forse cercano sempre di
sfuggire alle parole, così come
dalle immagini… Come il
fantasma di Melissa.
28
peculiari tratti architettonici
(appunto: strutture solide)
perché l’autore ne parla come
di una città che ha un volto, e
anche un’anima costituita da
ricordi, esperienze e fantasmi.
Quindi abbiamo cercato di
dare l’”impressione” che
dall’immagine affiorino
“presenze”.
La casa di Melissa: la via, il
palazzo della “vecchia”
Alessandria e il numero civico in
cui visse Melissa
Purtroppo la storia di un
luogo spesso viene anche
dimenticata, da pochi
ricordata, ma dai più ignorata,
per questo ha bisogno di una
rievocazione. E Danilo Arona
è riuscito ad alimentare il
ricordo, a partire dalla propria
esperienza e conoscenza,
ricostruendone fatti di
cronaca ma anche
suggestioni, tra la realtà e
l’immaginazione… Che il
ponte fosse rimasto in
copertina è risultato quindi
particolarmente significativo.
Un ponte solido che dimostra
quanto coloro che ora sono
fantasmi furono esistenze
corporee realmente vissute.
Probabilmente uno dei nuovi
palazzoni di cui si parla nel libro
Campanile di Bassavilla
Sempre per questo non aveva
senso secondo noi inserire
immagini nitide e corporee di
persone ben definite,
preferendo trasmettere l’idea
di una Bassavilla fissata e
congelata in un istante e al
contempo in “movimento”.
Uno spazio piccolo e
soffocante dove tutto si
addensa, ampio e infinito,
dove tutto si perde, percepito
come descritto dall’autore e
persino da Umberto Eco nella
citazione riportata a pagina
10 del libro (non sveliamo
troppo!).
Il ponte cittadella, oggi abbattuto,
visto attraverso Il cartello intitolato
a Maddalena Sisto, della quale si
parla nel capitolo “MAD
(Alessandria 1950/Milano 2000)”
Per l’illustrazione di
copertina abbiamo ricreato la
città tramite alcuni suoi
Ci sono figure mosse, o
sfocate in una città ben
riconoscibile, seppur in
mutamento… “Impressioni”
perché da Bassavilla/
Alessandria siamo tornati con
una serie di fotografie che
abbiamo scattato seguendo il
percorso dei luoghi narrati nel
libro (“impressioni” digitali e
non su pellicola in questo
caso).
Immergerci nelle nebbie di
una Bassavilla grigia non è
stato proprio immediato,
poiché (forse in via del tutto
eccezionale) siamo capitati in
una giornata di pieno sole,
che però è risultata molto
utile dal punto di vista
fotografico. In ogni caso
Bassavilla non si è smentita e
soprattutto le campagne, al
calar del sole…
Bassavilla al calar del sole
Chiesa di Bassavilla
Daniele Bonfanti scrive nella
prefazione “[…] Una raccolta
di spaccati, epifanie, storie,
che vedono al proprio centro
29
gravitazionale le nebbie di
una città particolare, che un
po’ è Alessandria e un po’
non lo è – sarebbe non troppo
azzardato affermare che si
tratta di una metaAlessandria, forse. E che è
anche – soprattutto, dice
Danilo – soprattutto i suoi
dintorni.”
Soprattutto i suoi dintorni...
Ovviamente non è una cosa
che facciamo per tutti i libri!
Ma se in questo caso ci siamo
spinti fisicamente “nel luogo
della narrazione”… in altri
casi cerchiamo di fare lo
stesso stando comodamente
seduti davanti a una tazza di
tè, o caffè, prima di prendere
la matita e di metterci al
computer! A noi piace
conservare ricordi di ogni
viaggio vissuto. Il nome
"Diramazioni" nasce proprio
da questo concetto: tramite le
possibili idee, stratificazioni
di pensieri e sfumature di
colori si può giungere a un
ricordo.
testo di Vocisconnesse /
Diramazioni
fotografie di Tryfar / Diramazioni
Per i brani di Ritorno a
Bassavilla:
Danilo Arona, Daniele Bonfanti e
Edizioni XII
DIETRO LE QUINTE DI OPERA SEI
di David Riva
Raccontando la genesi del suo romanzo, David Riva spiega come gli eventi narrati in Opera sei siano molto
più vicini alla realtà di quel che si potrebbe pensare.
L’idea iniziale, lo spunto da
cui “Opera sei” ha avuto
genesi, era in realtà piuttosto
lontana da quanto poi si è
sviluppato, sebbene com’è
ovvio contenesse tracce
profonde di assonanza: ho
immaginato che una giovane
donna, navigando in rete,
incappasse in un sito che
prometteva di trasformare gli
interessati attraverso
interventi di chirurgia
estetica, ma in realtà il
portale web non sarebbe
stato altro che una trappola
per attirare vittime presso un
efferato serial killer. Quando
poi ho iniziato a raccogliere
materiale sulle forme di body
art del secolo scorso, mi è
stato chiaro che sarebbe stato
molto più interessante virare
verso quella direzione,
poiché ciò che giace su un
estremo indecidibile – cos’è
arte e cosa non lo è? cos’è
bello o brutto? cos’è normale
o para-normale, vero o falso?
– possiede un fascino
irresistibile, a cui la natura ci
spinge proprio per risolvere
l’irrisolto, e per ricercare
l’irrisolvibile. L’aspetto che
non traspare in maniera
vistosa, ma è sotteso a tutto il
romanzo, è che nella realtà
sono avvenute espressioni
artistiche estreme e morbose
in maniera non distante da
quelle che io ho ideato.
Ci sono stati – e ci sono –
autori (che definiscono se
stessi artisti e, ancora più
incredibile, vengono nella
maggior parte dei casi
riconosciuti come tali dalla
critica d’arte) i quali durante
le proprie performance si
procurano ferite con lame o
punteruoli, oppure si
appendono a ganci infilati
nella pelle, si fanno
cospargere di interiora di
animali in rituali paramistici, si rotolano nella
David Riva, autore del romanzo noir
Opera sei
30
La copertina di Opera sei, David Riva,
Edizioni XII; realizzata da Diramazioni
carne cruda, trasformano
cadaveri umani in statue,
rimangono per giorni
rinchiusi in gabbie cibandosi
di scarti, utilizzano il proprio
corpo e i suoi fluidi come
mezzi per creare istanze
artistiche, praticano eccessi
davanti a un pubblico attento
e via dicendo. Non sono a
conoscenza di episodi in cui
siano state tentate operazioni
chirurgiche di qualche
genere su altre persone che
non siano l’artista stesso –
l’arte carnale di Orlan, per
esempio, per la quale lei
provvede a modifiche
chirurgiche su se stessa – per
quanto esista una artista che
tatua i propri componimenti
poetici su soggetti volontari.
Come è evidente, in mezzo a
questo panorama la vicenda
che descrivo in “Opera sei” è
del tutto verosimile: sarebbe
potuta accadere davvero, e
chissà che tracce memetiche
degli avvenimenti che
descrivo non siano frutto di
qualcosa che, a tutti gli
effetti, potrebbe essere storia
reale. Mi è stato chiesto, tra
l’altro, dai primi lettori di
“Opera sei”, se le citazioni
che riporto sono vere, tanto
aderiscono al testo e agli
eventi del romanzo. Ebbene,
a parte il diario di Ester, tutti
gli scritti dei capitoli di
approfondimento sono tratti
dalla bibliografia riportata in
calce, dimostrando ancora
una volta che sono già
presenti al mondo tutte le
condizioni necessarie,
affinché una vicissitudine
simile a quella che i nostri
protagonisti attraversano
avvenga sul serio. Aggiungo
che la definizione della
propria identità è un aspetto
bene o male a tutti presente,
per lo meno è caro a chi
possiede un minimo
d’interiorità: a mio parere un
libro non solo deve
rispondere alle domande, ma
anche farne sorgere. Mi è
sembrato così interessante
associare alla ricerca artistica
contemporanea, spinta
sempre più agli estremi –
siano essi di genere estetico
o emozionale – la ricerca del
sé, come realizzazione non
solo estetica ma anche
esistenziale. Se questo può
far sorgere nel Lettore
curiosità o interesse, in uno
qualsiasi di questi
significanti, avrò il piacere di
aver compiuto un buon
lavoro.
MASCHERE E DISTORSIONI
Fabrizio Vercelli intervista J. Romano
Fabrizio Vercelli incontra J. Romano, autore del racconto
Distorsione contenuto nella raccolta Carnevale, nuova uscita
per la collana Camera Oscura di Edizioni XII.
[[F. Vercelli]: Il tema della
Maschera, da te già trattato
ne Il buio sotto la
pelle (da Archetipi, la raccolta
della collana Camera Oscura
di Edizioni XII del 2009), e il
Pierrot presente
in Distorsione, hanno in
comune la necessità di
nascondere qualcosa di oscuro
e malvagio. Tuttavia, nella
società di oggi, non sono rari i
casi in cui questi aspetti
vengono ostentati, talvolta con
perverso orgoglio. Quale di
questi due approcci ti fa più
paura, e perché?
[J. Romano]: Entrambi gli
atteggiamenti mi fanno paura in
modo direttamente
proporzionale al peso del
soggetto/oggetto
dell'informazione. Celare non è
un’azione negativa di per
sé. Dipende da cosa si nasconde
e dai motivi che spingono a
farlo. Che mi tengano all'oscuro
del colore preferito di una certa
attrice o della sua dichiarazione
dei redditi, non mi cambia la
giornata. Non rivelare che per
anni tot cittadini hanno
respirato amianto oppure
bevuto acqua di una falda
acquifera contaminata da una
Un dettaglio della tavola, opera di
Diramazioni e tratta dal volume Carnevale
(Edizioni XII, collana Camera Oscura),
relativa al racconto Distorsione di J. Romano
discarica... eh, questo sì che me
la cambia. Inizio a essere
nervoso, sospettoso, come
minimo. Idem per l'informazione
spogliata di ogni possibile
dubbio. Benissimo farla
giungere al popolo tutto, ma
deve essere fatto con
intelligenza e rispetto. Ogni
giorno le vite di persone
innocenti, vittime di tragedie,
vengono date in pasto senza
metodo, in modo discutibile, al
31
pubblico. Hai presente come,
vero? A turni! Prima da
quotidiani e telegiornali, poi
dalle trasmissioni con le vallette
che fanno lo stacchetto tra una
pozza di sangue e l'altra, infine
"l'approfondimento" delle
trasmissioni pseudo-importantipolitiche-sociali-con-modellinimortadella-e-silicone in onda in
seconda e terza serata.
Capisci... non c'è filtro. Ed è
chiaro che se un metodo
intelligente – o forse sarebbe
meglio dire decente – non è
applicato a livelli importanti,
seri, è ancor più naturale non
trovarlo nelle trasmissioni
di intrattenimento in cui si gioca
proprio al dico-non dico perché
altro per stare in onda non c'è.
Questo modo di mostrare fa
schifo. Non esistono altre parole
per definirlo meglio. E tutto
questo lo vogliamo noi; lo
meritiamo perché continuiamo a
non capire che il potere è nelle
nostre mani, il potere di celare,
o meglio, di risparmiarci la
visione di queste trasmissioni
passive e inutili. Per scrivere
una storia credibile e solida, per
fortuna, non si possono eseguire
gli esempi di cui sopra. Non
puoi nascondere quello che vuoi
e/o mostrare tanto o tutto. Non
solo ci deve essere un equilibrio
tra il detto e il non detto, si deve
gestire anche il peso che hanno
nelle dinamiche della storia. Il
classico esempio è quello del
mystery, del thriller, del giallo,
del noir, ecc... Il gap viene
creato con quello che non si
dice, con l'informazione
mancante. La ricostruzione –
necessaria! – deve essere
oculata e credibile rispetto
all'andamento della trama e,
quindi, delle azioni dei
personaggi. Anche nei due
racconti che hai citato nella
domanda è presente questo
meccanismo, sia nei confronti
del lettore che nello svolgimento
degli eventi. In entrambi i casi
sono presenti esseri potenti e
determinati che per vari motivi
rimangono nascosti: ne Il buio
sotto la pelle, grazie alla forza
di volontà del personaggio che
cerca di tenere a bada quanto
più possibile la cosa che lo
chiama e lo possiede, affinché il
suo mondo non crolli e lo rigetti
come uno scarto. In Distorsione,
La copertina di Carnevale, opera di
Diramazioni
invece, il gioco è doppio:
l'antagonista rimane nel buio
cercando di vivere un giorno in
più fino al momento propizio, in
cui potrà saziare la sua
voracità. Il protagonista, invece,
è a sua volta vittima di un
forzato occultamento
d'informazioni, necessario e
vitale... quindi un buon motivo
per tenerlo all'oscuro – almeno
fino a un certo punto – di quello
che gli accade intorno.
“Vedi, è tutto diverso quando sei morto... È una sensazione che fa paura, fa molto freddo,
la tua anima percepisce il mondo in modo completamente diverso, non disponi più dei
sensi. Allora cerchi aiuto. E arrivano loro, e la loro luce calda... ‘vai verso la luce, vai
verso la luce’, ti dicono... e le anime ci vanno! Come tanti pesci verso l'esca... ("Melodia",
Daniele Bonfanti)
“Melodia” di Daniele Bonfanti, recentemente riproposto da Edizioni XII, è un
romanzo che mi ha letteralmente stordito. Terminata la lettura, ho avuto l’esigenza di
abbandonare quella storia per un paio di mesi. In questi giorni, quasi in sordina, sono
tornato a sfogliare quelle pagine. Non capita spesso di rileggere un libro a così breve
distanza, forse non succede mai. Eppure… quelle parole son tornate a scorrere con la
stessa velocità, inaudita, rubando ancora le ore della notte, catturando di nuovo i
pensieri. Per stordire, appunto. Ti cali senza sforzo nei panni di Mattia, il
protagonista, per ammirarne l’iniziale tormento, poi la caparbietà, infine la crescita e
la trasformazione. Ti meravigli del coraggio di fronte a situazioni oltre ogni umana
immaginazione. Percepisci l’angoscia che attanaglia quando sei inseguito e
l’adrenalina che sale, sempre più, perché comprendi che dovrai affrontare quel
fantasma che emerge dal tuo passato, che torna per chiedere conto della tua vita.
Come se tutto fosse già stato scritto e mancasse solo la parola fine. Quelle note,
quella melodia che vuole chiudersi, è ossessionante e comincia a ronzarti in testa. Ti
cattura, ma la verità è che ti fai catturare senza alcuno sforzo. Perché non sei il primo
a caderci e non sarai nemmeno l’ultimo. È così che vai incontro al tuo destino: non
dannarti l’anima, non serve.
Simone Barcelli
UFO E DINTORNI
Walter Conidi ha 38 anni ed è
di Roma: ha avuto un ruolo
importante nel campo ufologico
ai tempi delle BBS Romane
(Bulletin Board System,
l'antenato dei forum) nel
periodo che va tra la fine degli
anni '80 e l'inizio degli anni
'90. Ha partecipato a numerosi
simposi romani presieduti dalle
maggiori cariche ufologiche
dell'epoca e assistito alla storia
del caso Caponi in anteprima a
un convegno. Ha in mente un
grande progetto, quello di
creare una realtà seria
dell'ufologica capitolina, ma
abbandona tutto perché capisce
che non ci sono i presupposti.
Abbandona l'Ufologia
rimanendone un grande
appassionato, dedicandosi
come hobby all'astronomia, e
al suo lavoro, quello della
sicurezza informatica.
“Conosce” Antonio De Comite
frequentando il Blog in cui
scriveva e ne apprezza la
serietà e la bravura di Ufologo.
Dopo che Antonio ha
rassegnato le dimissioni da
quell’associazione, Walter si è
offerto di dare pieno supporto
per un nuovo progetto: il sito
del CUI (Centro Ufologico
Ionico), a cui ha fornito un
server dedicato, il blog e la
struttura di supporto, per
inseguire quel progetto
abbandonato anni fa: fare vera
informazione nel campo
ufologico. Nel C.U.I. scrive
quasi esclusivamente articoli di
esobiologia, scienza e
astronomia, ma non disdegna
la redazione di articoli
sull’esopolitica.
32
Mentre la comunità ufologica
discute degli ultimi avvistamenti
di UFO, dei “cables” inutili di
Wikileaks e dell'enigmatica
moria di animali in tutto il
mondo ipoteticamente connessa
con “poli magnetici” in presunta
e rapida inversione o “ignote
turbolenze”, è notizia di queste
ultime ore che la prestigiosa
Royal Society britannica ha
proposto la cosiddetta “London
Scale” (Scala di Londra) per i
contatti extraterrestri. Ma
andiamo per ordine cronologico.
Il giorno 25 Gennaio 2010 (circa
un anno fa) alla prestigiosa The
Royal Society si è discusso de
“L'individuazione di vita
extraterrestre e le conseguenze
per la scienza e la società”,
organizzata dal Dr Martin
Dominik e il Professor Giovanni
Zarneki. Vediamo il bando della
riunione cosa diceva:
Gli astronomi sono ora in grado
di individuare pianeti in orbita
attorno ad altre stelle proprio
come il nostro Sole, in questi
luoghi la vita potrebbe esistere
e vivere per intere generazioni,
questo a conferma che la vita
extra-terrestre può essere
rilevata. Se così fosse e ciò
accadesse, avremmo la prova
che non siamo soli
nell'Universo, a quel punto sarà
fondamentalmente capire come
l'umanità dovrà comportarsi ed
essere pronti alle conseguenze.
Le cattedre: Martin Reesnore,
presidente della Royal Society,
il Dr ForMemRS Catherine
Cesarsky, commissariato per
l'energia Atomica (CEA) /
SACLAY, Prof Jocelyn Bell
Burnell FRS DBE dell'
Università di Oxford, il Prof
Steven Rose, della Open
University.
I Relatori: il professor Simon
Conway Morris FRS, il dottor
Malcolm Fridlund, il professor
Paul Davies, il professor Albert
Un Harrison, il professor Ivan
Almar, il professor Michel
Mayor, il dottor Chris McKay, il
professor Charles Cockell, il
dottor Kathryn Denning, il
professor Colin Pillinger CBE
FRS, il professor Ted Peters, il
professor Christian de Duve
ForMemRS, il dottor Frank
Drake, il professor Ehrenfreund
Pascale, il professor Baruch
Blumberg, e infine la dottoressa
Othman Mazlan.
Da questo storico e
importantissimo evento è nata la
"London Scale Index" o LSI
per i contatti extraterrestri.
Prendendo come spunto la
famosa “Rio Scale” (scala
ordinaria da 0 a 10, usata per
quantificare l'impatto di ogni
annuncio pubblico riguardo
33
Il ricercatore Ivan Almar
all'evidenza di intelligenza
extraterrestre), la Scala di
Londra si pone come diretta
evoluzione di quella di Rio e,
anche, della famosa equazione
di Drake. Suddetta scala, che
porta l'acronimo preciso di LSI
(London Scale Index), è definita
in termini matematici dalla
formula LSI = Q x δ, varia da 0
a 10 e dove Q è la somma dei
valori di quattro parametri di
seguito elencati:
- la forma di vita annunciata, la
natura delle prove, il tipo di
metodo utilizzato nella scoperta
e la distanza dalla Terra in cui è
stata trovata questa nuova forma
di vita.
Questa somma è moltiplicata
per δ , ossia un fattore di fiducia
di chi ha proferito l'annuncio.
Questo va da fraudolento (0),
prevalentemente non veritiero
(0,1), controverso ma non
scartabile (0,2), testato ma
necessita di ulteriori prove (0,3),
prevalentemente veritiero (0,4)
e, infine, certo o molto
affidabile (0,5). Per quanto
riguarda i rischi sociali associati
all'annuncio della scoperta di
vita extraterrestre, questi
vengono inseriti separatamente.
E i rischi non vengono
circoscritti solo all'ambito
sociale ad un simile annuncio.
Infatti la “London Scale” pone
l'accento, anche, sul rischio
contaminazione. E questa
problematica è considerata di
due tipi: la prima riguarda la
contaminazione di “mondi
alieni” con trasporto di microbi
terrestri, mentre la seconda
riguarda invece la
contaminazione della Terra da
parte di vita extraterrestre, sia
che essa avvenga in modo
naturale (esempio come polvere
cosmica e meteoriti) o attraverso
azioni umane (raccolta di
campioni e analisi di vita
extraterrestre in laboratori). Un
improvviso ed azzardato errore
di ciò (fattore umano) potrebbe
liberare patogeni ET sulla Terra
e rappresentare un concreto
rischio biologico. Ecco perché
esiste, ad esempio per gli
astronauti, la procedura della
“quarantena” dopo aver
effettuato le relative missioni
spaziali. La “Scala di Londra”,
importante svolta statistica e
matematica per i contatti
extraterrestri, è stata proposta
dal ricercatore Ivan Almar,
dell'Osservatorio Konkoly
dell'Accademia di Scienze
dell'Ungheria, e da Margaret
Race dell'Istituto SETI (EUA).
Il SETI, come tutti sanno, è
l'associazione scientifica dedita
alla ricerca di segnali
provenienti da civiltà
extraterrestri intelligenti
nell'Universo. La “Scala di
Londra” non annulla la
cosiddetta “Scala di Rio”, anzi
la implementa in modo
significativo. La “Scala di
Rio” (precedente alla Scala di
Londra) inserisce anche la
possibilità di trovare artefatti
ET. Infatti a pagina 683 del
documento scientifico originale
inerente la Scala di Londra si
legge che “un credibile
manufatto costituirebbe la
prova di intelligenze ET, anche
senza esseri extraterrestri”.
La pubblicazione del documento
completo, come scritto sul sito
della The Royal Society
dovrebbe uscire il 13 Febbraio
2011 ed ha come titolo
‘The detection of extraterrestre life and the
consequences for science and
society’. In questo articolo
approfondiremo solo una parte
del documento, in special modo
i parametri della Scala di
Londra con alcuni esempi
spiegati in dettaglio più avanti.
Questa scala somiglia alla Scala
UFO E DINTORNI
di Torino impiegata come
metodo di classificazione del
pericolo di impatto associato
agli oggetti di tipo NEO come
asteroidi e comete. Ritornando
invece alla Scala di Londra, ci
sono 2 tabelle molto
interessanti, la prima è la
Tabella 3 (rispettivamente
pagina 686 e 688 del documento
originale) e la seconda è la
Tabella 4
Rappresentazione grafica della Scala di
Torino
La Tabella 3 con i relativi punteggi
La Tabella 4 con i relativi punteggi
I punteggi negli esempi che
seguiranno sono stati calcolati
grazie alle tabelle sopra
menzionate, tra gli esempi
abbiamo le macchie scure che si
presentano in primavera sulle
dune Marziane nella regione
polare sud, la pioggia rossa
34
caduta a Kerala (India), alcuni
estremofili trovati nella
stratosfera terrestre, e i famosi
fossili sul meteorite marziano.
Vediamo i quattro esempi citati
nel documento e il relativo
punteggio LSI:
sia indicativa di vita, ma di
contaminazioni di biofilm
terrestri. Ma il gruppo originario
che annunciò la scoperta ha
continuato ad indagare in tutte
le direzioni. Non si è ancora
scoperto come possano essersi
formati, ma in diversi laboratori
di ricerca sono già stati
riprodotti organismi simili
partendo da basi non biologiche.
Stima preliminare dell'indice
di Londra Scala: (2 +2 +4 +4)
0.3 di LSI = 3.6.
ghiaccio/neve. Con il tempo
questo ghiaccio scompare dalle
dune, i microbi, chiamati anche
Mars Surface Organisms
(MSO), ritornano in uno stato
dormiente fino al prossimo
ciclo. L'ipotesi è stata elaborata
in modo molto dettagliata, e non
c'è stata nessuna smentita o
qualcosa che provasse il
contrario il tutto ovviamente è
verificabile con metodi
scientifici. Recentemente tracce
di rigoli d'acqua o brina sono
stati scoperti nei pressi delle
DDS sulla superficie di Marte
(vedi foto sotto).
Un ingrandimento al microscopio del
meteorite ALH84001
(1) meteorite ALH84001
Questa è probabilmente la
migliore scoperta relativa a
tracce di vita Extraterrestre. Il 7
agosto 1996, c'è stata una
conferenza stampa tenutasi
presso la sede della NASA, per
annunciare la scoperta di
probabile vita batterica
fossilizzata nel meteorite
Marziano ALH84001 rinvenuto
grazie ad una spedizione in
Antartide. In esso è presente
grande abbondanza di minerali
carbonati. I punti principali
delle prove presentate durante la
conferenza sono state: la
presenza di composti stratificati
di carbonati simili alla
stratificazione dei carbonati
terrestri prodotti da attività
biologiche, la presenza di
minerali che, sulla Terra, sono
associati ad alcuni tipi di batteri,
la presenza di molecole
organiche che possono essere
state prodotte dal decadimento
della materia vivente, e la
presenza di oggetti a forma di
chicco di riso possibili batteri
marziani fossilizzati. E' stata
dimostrata anche la presenza di
magnetite. Questi sono minerali
che indicano chiaramente
attività biologica prodotta da
batteri nel passato. Tuttavia
molti esperti sono concordi nel
ritenere che la presenza di
microfossili nel meteorite, non
Macchie scure sulle dune di Marte nella
regione polare sud (MRO immagine
HiRISE)
(2) L'ipotesi ungherese DDSMSO (Dark Dune Spots Mars Surface Organisms Nd
CUI)
Molte ricerche sono state
pubblicate in diversi articoli dal
2001. La seguente citazione:
"La tesi principale è che ci
potrebbe essere la vita nelle
macchie scure sulle dune
(DDS) della regione polare
meridionale di Marte, alle
latitudini comprese tra -60 ° e
-80 ° " è presa dalla
pubblicazione "Life in the dark
dune spots of Mars: a testable
hypothesis" (per
approfondimenti vedi sotto).
Le macchie hanno una
caratteristica morfologica ciclica
e annuale, si sospetta infatti che
da esse si formi acqua allo stato
liquido. Presumiamo che un'
aggregazione di organismi
semplici (simili ai batteri) venga
alla luce ogni anno grazie
all'aiuto di un processo simile
alla fotosintesi. Una
caratteristica fondamentale del
presunto habitat è che i processi
vitali avvengono solo sotto la
copertura di ghiaccio d'acqua/
Stima preliminare dell'indice di Londra
Scala: (2 +5 +1 +3) 0.3 di LSI = 3,3.
Un'immagine della stratosfera
(3) Ipotesi di Panspermia di
Hoyle-Wickramasinghe
F. Hoyle e C. Wickramasinghe
hanno lavorato per tre decenni
atti ad aprire la strada alla
moderna versione della
panspermia, sostenendo che i
germi e i semi della vita
possano provenire dallo spazio
trasportati dalle comete.
Hanno proposto un esperimento
decisivo per la Indian Space
Research Organisation atti a
raccogliere grandi quantità di
aria dall'alta stratosfera usando
materiale sterile trasportato a
bordo di palloni sonda per
cercare di prelevare diversi
campioni di vita microbica
aliena. Per raccogliere questi
35
campioni è stato lanciato un
pallone sonda di oltre 700.000
metri cubi di volume dalla
National Balloon Facility di
Hyderabad, gestita dal Tata
Institute of Fundamental
Research (TIFR). Il pallone
sonda era dotato di contenitori
perfettamente sterili che, dopo
l'apertura alle diverse quote,
venivano automaticamente
immessi in un ambiente
refrigerato con neon liquido per
garantire la conservazione dei
campioni prelevati.
Dal 2000 sono partiti dall'India
molti altri voli in mongolfiera
diretti nell'alta stratosfera. Nel
2002, i germi recuperati in alta
atmosfera sono stati "coltivati".
Nel 2009, è stato annunciato da
scienziati indiani che 'Tre
nuove specie di batteri, che
non si trovano sulla Terra e
che sono altamente resistenti
ai raggi ultravioletti, sono stati
scoperti nell'alta stratosfera'.
Purtroppo i risultati di questo
studio approfondito di
laboratorio effettuato al
microscopio non sono ancora
disponibili.
Stima preliminare dell'indice
di Londra Scala: (2 +4 +4 +4)
0.1 o 0.2 di LSI = 1,4-2,8.
Fotografie delle particelle di
pioggia rossa al microscopio con
rapporto x1000, la grandezza delle
particelle varia dai 4 ai 10
micrometri
(4) Pioggia rossa in Kerala,
India
Dal 25 luglio al 23 settembre
2001, sporadicamente nello
stato indiano meridionale di
Kerala cadde della pioggia
rossa. All'inizio del 2006, questi
eventi guadagnano l'attenzione
dei media dopo aver fatto un
servizio sulla straordinaria
teoria secondo la quale le
particelle colorate di pioggia
sono in realta cellule
extraterrestri, teoria proposta
dai due fisici Godfrey Louis e
Santhosh Kumar della Mahatma
Gandhi University in Kottayam.
Louis e Kumar successivamente
affermarono che le particelle
fossero cellule e che quindi
rappresentassero una evidente
prova della presenza di vita
extraterrestre. Se tali particelle,
che hanno natura biologica, si
sono originate in una cometa,
sarebbe la prima prova a favore
della teoria della panspermia,
secondo la quale la vita è stata
portata sulla Terra da qualche
altra porzione dell' universo.
Si dice che le cellule siano
capaci di riprodursi anche a
temperature superiori ai 300 °
C. Tra le Ipertermofile della
superficie terrestre, la più alta
temperatura di sopravvivenza
riscontrata è pari a 130 °C.
Se altri scienziati lo
confermassero, ciò renderebbe
unica la loro esistenza, anche se
l'ipotesi di questo evento è stata
criticata da diversi studiosi a
causa della mancanza di prove a
supporto dell'origine
extraterrestre del campione, in
quanto gli esperimenti di
laboratorio non sono stati
effettuati presso altri centri
specializzati.
Stima preliminare dell'indice
di Londra Scala: (2 +3 +4 +4)
0.1 di LSI = 1,3.
Che dire, da questi quattro
esempi saltano all'occhio i
risultati che vanno in ordine di
classifica come punteggio al
meteorite marziano ALH84001
con 3,6, seguito dalle macchie
sulle dune marziane con 3,3,
subito dopo troviamo l'ipotesi
della Panspermia di HoyleWickramasinghe con 1,4-2,8 ed
infine la pioggia rossa caduta in
Kerala (India) con 1,3.
Il "vincitore" della Scala di
Londra al momento è Marte con
il suo meteorite e le sue
misteriose dune... un po’
pochino penseranno alcuni di
voi: forse si, forse no; alcuni
penseranno che questa sia
semplicemente una scala di
misurazione, altri invece
penseranno che i governi stiano
correndo velocemente ai
ripari, altri si consoleranno
all'idea che comunque vada si
parte da 3,6… Io credo invece
che il punteggio reale sia
probabilmente più alto...
LE INTERVISTE DI
GIANLUCA RAMPINI
36
Gianluca Rampini [email protected] ha
35 anni ed è un ricercatore indipendente che si
occupa, in special modo, di ufologia e abductions. In
rete collabora con Ufomachine, Ufoonline, Paleoseti
e altri siti tematici.
ROGER
LEIR
Traduzione a cura di Germana Maciocci
Può darci qualche
informazione riguardo il
suo background per farci
capire come si è ritrovato
coinvolto nel “fenomeno dei
rapimenti alieni”?
Ero membro del MUFON e
stavo scrivendo un articolo
per una rivista mensile
chiamata “Vortex”. In
qualità di reporter
investigativo ho frequentato
diverse conferenze a tema
ufologico, scrivendo una
relazione su ogni relatore. I
miei articoli rappresentano
la mia opinione complessiva
riguardo la materia di studio
e le presentazioni dei
relatori. Alcuni non erano
molto complimentosi nei loro
confronti ma questo era il
mio stile. In quel periodo la
questione del fenomeno dei
rapimenti alieni si stava
appena diffondendo e anche
il MUFON non era
pienamente convinto della
veridicità di tale fenomeno.
Ma dall’uscita dei libri di
Bud Hopkins e John Mack
l’argomento ha iniziato ad
essere accettato come
plausibile. È stato in quel
momento che anche io ho
iniziato ad interessarmene
personalmente, ma solo
molto tempo dopo sono stato
coinvolto nella rimozione
chirurgica di oggetti noti
come “Impianti Alieni”.
Può spiegarci, in termini
generali, qual è il suo
approccio nei confronti dei
casi e come si relaziona nei
confronti dei soggetti
rapiti?
Ho istituito
un’organizzazione no profit
chiamata A&S Research. Ci
occupiamo unicamente degli
aspetti scientifico/accademici
del fenomeno e in modo
specifico di ciò che possiamo
definire PROVE FISICHE.
Certamente nel farlo
dobbiamo considerare tutti
gli aspetti del caso incluse le
esperienze individuali
relative ai rapimenti. Quando
qualcuno convinto di avere
un impianto ci contatta,
rispondiamo e chiediamo
prove scientifiche quali raggi
X, scansioni CAT o MRI. A
volte le foto possono risultare
utili. Una volta ricevuto
questo materiale lo facciamo
visionare dai nostri
37
consulenti radiologici i quali
a loro volta forniscono la
loro opinione riguardo la
natura dell’oggetto e la sua
posizione in corrispondenza
del corpo. Nel caso in cui
dovessimo considerare
l’oggetto come un possibile
impianto al soggetto verrà
spedito un questionario
dettagliato a cui dovrà
rispondere con i tempi che
riterrà opportuni. Dopo
averlo ricevuto indietro
compilato, viene analizzato,
valutato e considerato il
coinvolgimento del sospetto
rapito. A questo punto, il
soggetto può scegliere di
farsi rimuovere
chirurgicamente l’oggetto. In
tal caso, dovrà recarsi presso
la nostra struttura e
sottoporsi a rigorose analisi
di tipo psicologico e fisico
preventive alla rimozione
dell’oggetto. Dopo aver
effettuato la rimozione
offriamo inoltre supporto
tramite Yvonne Smith,
ipnoterapista certificata che
si occupa anche di
regressione e che è titolare di
un gruppo di supporto
chiamato CERO—Close
Encounter Research
Organization.
Parliamo quindi di
impianti. Prima di tutto, è
possibile trovarne solo
tramite le testimonianze dei
rapiti?
No, diverse volte tali soggetti
hanno problemi medici
diversi o incidenti, che
attirano l’attenzione su
un’area dove potrebbe
trovarsi un oggetto. Gli viene
quindi riferita la possibilità
che abbia uno strano oggetto
inserito all’interno del corpo.
In altri casi alcuni rapiti
riportano problemi fisici o
psicologici collegati all’area
esatta dell’impianto o
mentalmente collegati ad
essa. Altre volte è possibile
LE INTERVISTE DI
GIANLUCA RAMPINI
riscontrare segni sul corpo
che non erano presenti la
sera prima e che appaiono al
mattino in seguito ad un
rapimento.
È possibile che i soggetti
rapiti abbiano uno o più
oggetti impiantati?
Abbiamo eseguito fino ad
oggi sedici operazioni e un
solo caso con due impianti.
Alcuni soggetti rapiti
dichiarano di averne più di
uno ma fino ad ora non
abbiamo potuto verificare la
veridicità di tali
dichiarazioni.
Vengono riscontrati più
frequentemente in alcune
zone piuttosto che in altre?
Sì. Più frequentemente nelle
mani, diversi negli alluci e
due impianti simili ritrovati
nella stessa area del braccio.
LE INTERVISTE DI
GIANLUCA RAMPINI
Come è possibile provare
che si tratti proprio di
oggetti alieni?
È possibile. Siamo dotati al
momento di tecnologie
capaci di determinare
scientificamente l’origine di
elementi individuali che
includono la struttura
complessa di tali oggetti. Le
ultime scoperte effettuate da
uno dei membri del nostro
organo di consulenza
scientifica in qualità di
laureato in fisica nucleare
hanno provato, tramite il
calcolo basato sulla
frequenza di decadimento
degli isotopi, che sono
estranei al nostro sistema
solare e forse provengono da
un’altra galassia.
Dopo tutti questi anni di
ricerche, vi siete fatti un
idea riguardo le finalità di
tali impianti?
Certamente. Crediamo che si
tratti di strumenti che
raccolgono dati pertinenti a
qualcosa di specifico che
interessa tali intelligenze
esistente all’interno del
corpo umano. Ad esempio,
una delle cose che sappiamo
per quanto riguarda più del
novanta percento dei casi di
rapimento alieno è il prelievo
di ovuli e sperma dai rapiti, e
questo sicuramente per
manipolare geneticamente il
genoma umano. Se diamo per
scontato ciò nel caso di
alcuni soggetti rapiti, è
logico dedurre che chiunque
faccia questo voglia
registrare gli effetti della
manipolazione del DNA in
remoto tramite tali impianti.
È possibile verificare un
cambiamento nella vita dei
38
Un oggetto estraneo appena estratto
soggetti ai quali vengono
rimossi tali oggetti?
impianto venisse inserito al
posto di quello tolto?
Sì, nella maggior parte dei
casi si può riscontrare un
cambiamento nello stile di
Fino ad oggi non è mai
successo, sia nello stesso
posto che in un’altra area.
Questo non implica
naturalmente che i rapimenti
si interrompano, anzi.
vita in seguito alla rimozione
degli oggetti, e sono felice di
confermare che si tratta di
cambiamenti positivi. Uno
dei soggetti era un ufficiale
dei servizi segreti navali che
aveva perso
drammaticamente peso e si
trovava in tremende
condizioni di salute al
momento della rimozione.
Nell’arco di alcune settimane
ha riguadagnato peso e al
momento è in piena salute.
È sempre sicuro rimuovere
gli oggetti?
Quando reputiamo che non lo
sia, non li rimuoviamo. Non
lo faremmo mai ad esempio
nel caso di cavità remote del
corpo o in prossimità del
cervello. Tutte le nostre
procedure vengono eseguite
solo con anestesia locale, al
fine di minimizzare i rischi o
gli effetti collaterali.
A seguito di una rimozione,
è mai capitato che un altro
Come è possibile spiegare in
questo caso che una civiltà
così avanzata ci permetta di
“rovinare” il suo lavoro?
Si tratta di una domanda
piuttosto complessa. È
difficile immaginare
esattamente cosa possa
pensare un’intelligenza
evoluta o anche un’eventuale
somiglianza con i nostri
processi cognitivi. Basandoci
sulle reazioni e sui
ragionamenti umani,
dobbiamo considerare
l’argomento in modo
generico. Penso che sarebbe
assurdo non riconoscere che
da diversi anni sia in corso
un rapporto nascosto tra gli
esseri umani e gli
extraterrestri. Sono certo
inoltre che ci abbiano fornito
delle tecnologie
d’avanguardia che non sono
state ancora rese pubbliche.
39
il mondo e un altro gruppo
che si oppone. Forse sono
stato scelto da qualcuno del
primo gruppo al fine di
rimuovere questi oggetti e
rendere pubblica la cosa. È
questa la mia missione nella
vita? Non lo so.
descrizioni di alieni fatte da
presunti rapiti
La scienza all’interno dei
Black Budget ( Ndr,
Programmi di ricerca segreti
finanziati con fondi neri ) è
probabilmente avanti di
mezzo secolo rispetto a
quanto sia riconosciuto dalla
scienza accademica comune.
Ci sono state inoltre diverse
collisioni di velivoli non
terrestri che sono state
occultate. Considerando ciò,
penso che potremmo
tranquillamente affermare
che esiste un gruppo di
extraterrestri ed esseri umani
che vorrebbero che tutte
queste informazioni fossero
diffuse pubblicamente in tutto
Quale progetto lei pensa ci
sia dietro al fenomeno dei
rapimenti alieni?
Non credo che nessuno dei
presunti esperti nel campo
sia in grado di fornire
risposte concrete riguardo
questo argomento, in quanto
realmente complesso e
sconosciuto. È comunque un
bene fornire opinioni o
teorie. L’eminente professore
e dottore David Jacobs crede
che il fine ultimo sia la
creazione di esseri ibridi.
Potrebbe avere ragione, io
personalmente penso che
l’intera razza umana si stia
modificando geneticamente
al fine di generare una nuova
specie umana che cambierà il
modo di comunicare e di
trattare il pianeta nel quale
viviamo. Se riteniamo che
Gene Roddenberry avesse
ragione riguardo la “Prima
Direttiva” del suo Star Trek,
forse sarebbe etico per
coloro che ci crearono in
principio tornare ad aiutarci
a risolvere i problemi del
nostro pianeta modificando
direttamente le creature che
li causano.
Ha notato una sorta di
evoluzione o degli schemi
che si ripetono?
Sembra esista una sorta di
ripetizione.
Abbiamo a che fare con una
razza unica o con diverse e
in tal caso collaborano tra
di loro?
Partendo dalle informazioni
LE INTERVISTE DI
GIANLUCA RAMPINI
che abbiamo a disposizione
grazie ai Rapiti, sembra
esista più di una razza di
visitatori di questo pianeta e
nello scenario dei rapimenti.
Non è raro che chi venga
rapito descriva diversi esseri
presenti durante il loro
rapimento come i Grigi, i
Nordici, simili agli umani, o I
Rettiliani. Non dimenticherò
mai la descrizione fatta da
Betty e Barney Hill, riguardo
Esseri diversi da quelli che
vengono al giorno d’oggi
descritti da altri, ma più
simili a quelli ricordati dai
testimoni di Roswell.
Qual è stato il caso più
difficile sul quale ha
lavorato?
Posso dire che uno dei casi
più intriganti sia stato quello
relativo all’operazione
numero quindici, soprattutto
per quanto riguarda
l’occupazione del rapito, uno
scienziato della materia
molto noto. Nonostante il suo
fosse un evento tipo nello
scenario dei rapimenti, la sua
acuta memoria gli ha
permesso di guardare alla
sua esperienza da un punto di
vista scientifico ed analitico,
e anche l’oggetto estratto
riportava le caratteristiche
elaborate riscontrate negli
altri.
Nel caso in cui un soggetto
rapito, sotto ipnosi, possa
ricordare la procedura di
inserimento dell’oggetto nel
suo corpo e venga
riscontrata una cicatrice nel
posto indicato che
corrisponda ad un impianto
reale, come è possibile che
qualcuno possa negare tale
fatto reale? Come affronta
LE INTERVISTE DI
GIANLUCA RAMPINI
40
potrebbero essere una
realtà?
rapimento? Ulteriori tracce
fisiche?
La verità è che non si tratta
di cicatrici visibili o di
portali di entrata verificabili
in nessuno di questi casi per
cui non ci è dato ritrovare un
oggetto sotto una cicatrice.
Posso gestire i rapporti con
chi è scettico perché lo sono,
di base, anche io. Non
prendo nulla per scontato e
faccio affidamento
unicamente sui dati fornitemi
da scienziati con titoli
accademici. Ho spesso
accusato scettici di mestiere
di essere dei medium, i quali
prendono questa definizione
come un insulto fino a
quando non ricordo loro che
i medium traggono le loro
conclusioni senza
considerare i dati reali.
Ancora una volta, posso
fornire unicamente
un’opinione riguardo ciò che
conosco. Non sono a
conoscenza di programmi
militari o Milabs. Per mia
esperienza, tutti quelli che
hanno accusato i militari di
tali azioni hanno due cose in
comune. La prima, vivono nei
pressi di una base militare e
la seconda è che fanno parte
di una famiglia che
comprende diversi militari.
Dovremmo tutti ricordare
che l’operazione occulta dei
rapimenti alieni implica
appunto che sia nascosta
pertanto ogni soggetto rapito
si presuma abbia una sorta di
memoria schermata, e non
c’è schermo migliore di
qualcosa che sia realmente
familiare al soggetto stesso.
Certamente, la A&S
Research ha iniziato a
registrare testimonianze nelle
case dei soggetti rapiti, fino
ad oggi i nostri ritrovamenti
sono stati di carattere
piuttosto stimolante, come
residui di campi
elettromagnetici, tracce di
fluorescenza, pezzi di metallo
rotti e curvati, chiodi che
escono dai muri, e altri
diversi fenomeni fisici. In
un’occasione siamo stati in
grado di intercettare un
residuo magnetico solo su
lenzuola e cuscino al lato del
letto dove dormiva il rapito,
nulla sull’altro lato dove
dormiva la moglie.
I militari possono fare parte
di questa agenda? I Milabs
Ci sono altri modi per
indagare sui casi di
lo scetticismo?
Che tipologia di persona
viene rapita? Esiste uno
studio genetico a riguardo?
Ci sono stati diversi tentativi
per fornire una risposta a
tale domanda ma niente che
41
possa avere un riscontro
scientifico. Una delle
conclusioni è che si tratta
sempre, da quanto
riscontrato, di soggetti con la
parte destra del cervello
dominante, si tratta di
individui creativi per quanto
riguarda lavoro, passatempi
o altre attività. Altri hanno
tentato di isolare gruppi
sanguigni, background etnici
o geografici senza provare
nulla. Per quanto ne so, non
sono state mai riscontrate
prove genetiche tranne che in
un caso in Australia
riguardanti un capello
lasciato in seguito ad una
“visita”. L’analisi del DNA
avrebbe provato legami con
un’antica civiltà celtica.
Parlando di percentuali,
quante persone
risulterebbero rapite?
Il sondaggio Roper svoltosi
negli USA durante gli anni
novanta indicava che circa il
2% della popolazione
americana era stata oggetto
di rapimenti. Si tratta di un
numero elevato, se
consideriamo i dati come
relativi in quanto la maggior
parte dei soggetti realmente
rapiti non risponde alle
domande dei sondaggi. Se
confrontiamo questa
statistica con la popolazione
mondiale possiamo
facilmente capire quanti
esseri umani sono stati
coinvolti in questo
programma che sta andando
ancora avanti a piena
velocità.
Possiamo fermarlo in
qualche modo o possiamo
solo stare a guardare e
aspettare che finisca?
Ho avuto a che fare con
diversi tipi di ricercatori e di
soggetti coinvolti nei
rapimenti, la maggior parte
dei suggerimenti per
interrompere il processo
sono ridicoli e non
funzionerebbero. Ogni tanto
qualcuno ha agito in modo
alternativo e ci è riuscito. Un
esempio riguarderebbe un
caso in Brasile nel quale un
povero contadino
intrappolato in una sorta di
raggio di luce levitante che
cercava di trascinarlo su una
nave spaziale, ha deciso di
opporsi e si è aggrappato al
ramo di un albero.
Nonostante abbiano cercato
insistentemente di farlo
staccare dal ramo, tutto
quello che sono riusciti ad
avere furono i suoi pantaloni.
Pensa che gli esseri umani
siano speciali per loro o
siamo solo una delle razze
sfortunate tra le quali sono
inciampati per caso?
Credo che chiunque ci abbia
creato in origine sia tornato
per aiutarci a correggere un
problema genetico che
provoca il nostro istinto di
uccidere, di rovinare e
distruggere il pianeta che
chiamiamo casa. Forse tale
caratteristica poteva aiutarci
all’inizio per sopravvivere in
un mondo ostile e remoto ma
ora non ne abbiamo più
bisogno.
Ha mai capito come ci
hanno trovati in origine?
Zacharia Sitchin ha
dichiarato nella sua
interpretazione delle tavole
sumere che gli Annunaki
arrivarono qui
quattrocentotrentacinquemila
anni fa, stabilirono una base
sul nostro pianeta e
interferirono con le creature
primitive già esistenti.
Probabilmente i Neanderthal
furono la specie che
LE INTERVISTE DI
GIANLUCA RAMPINI
manipolarono geneticamente
per produrre gli umani. A
missione compiuta, la
maggior parte degli
Annunaki ripartirono e gli
umani furono lasciati qui a
loro stessi. È possibile anche
che tornarono ogni tanto e
verificarono quanto eravamo
diventati indisciplinati,
inviandoci una serie di regole
da seguire e dando origine al
concetto di religione.
Grazie per la sua
disponibilità. Come nostro
solito, vorremmo chiudere
l’intervista parlando del
futuro, 2012 o non 2012.
Dal suo punto di vista, cosa
prevede il futuro per
l’umanità?
Questa domanda non mi fa
piacere. Dal mio punto di .
vista, il futuro sembra
piuttosto triste. L’umanità è
corrotta e agisce con
grettezza. L’unica speranza
per questo mondo potrebbe
essere un intervento esterno
da parte dei nostri creatori
che agiscono dalla parte del
bene. Scientificamente,
possiamo verificare che tutto
ciò che conosciamo
dell’Universo è dotato di un
polo negativo e di uno
positivo. Dalla particella
subatomica più piccola al
gruppo più lontano di
galassie in formazione,
incluso tutto ciò che
conosciamo del magnetismo
e dell’elettronica, esistono
aspetti positivi e negativi o
forze. Tale binomio si applica
anche al concetto teologico
del BENE e del MALE.
Speriamo quindi che siano le
forze del bene a
predominare.
42
PAGINE DEL CUT
Il CUT è una associazione, apartitica, non settaria e senza scopi di lucro, che ha il compito di
divulgare, analizzare e studiare tutto ciò che riguarda il problema UFO (Unidentified Flying
Objects) e materie connesse. Questo centro di studio, composto da validi ricercatori,
razionali ma con la mente aperta, non ha una risposta univoca sull’origine, la natura e la
provenienza degli UFOs. Al momento la più probabile ipotesi di lavoro è quella che alcuni
UFO siano davvero di origine “estranea” al nostro Pianeta. Per qualunque informazione
contattare il nostro indirizzo email [email protected]
PROGETTO ROSWELL
Articolo Di Nicola
Antonante – Componente
CUT
L’ufologia per come la
conosciamo oggi, si lega
all’anno 1947 ed ad
un’avvenimento noto a tutti
come “incidente di Roswell”.
In quell’anno infatti oltre a
Roswell ci fu anche
l’esperienza di Kenneth
Arnold con l’avvistamento di
oggetti volanti non
identificati.Non va comunque
dimenticato il Roswell
nostrano avvenuto in Italia
nel 1933 presso Vergiate o
ancora quello più retrodatato
conosciuto come “caso
Aurora” del 1897 più di un
decennio prima del volo dei
fratelli Wright. Roswell ha
indubbiamente il primato di
avere se non modificato
almeno influito sulla
percezione della realtà di
tantissima gente. La portata
di tale evento puo essere
paragonata al santo graal
dell’iconografia cristiana,
molto probabilmente per
quell’alone di mistero di cui
si é sempre circondato ed
alimentato. Quello che mi ha
sempre colpito é stato sempre
l’origine o se si preferisce le
fonti di una parte di tale
mistero, ovvero governo ed
apparati militari americani.
Le dichiarazioni ufficiali che
si sono via via succedute
hanno portato dapprima la
popolazione locale
successivamente quella
mondiale alle piu svariate
spiegazioni di ciò che é
accaduto a Roswell in quel
lontano luglio del 1947. In
questo articolo cercherò di
affrontare tale caso così come
si imposta un’indagine
sperando di non incappare in
grossolani errori. Per cui
iniziando dai fatti, che sono la
partenza di ogni
indagine,vediamo come
questi si siano
cronologicamente evoluti. La
notte del 2/VII/1947 presso
Corona a circa 120km da
Roswell in un ranch e nei
suoi dintorni cadde un
oggetto. La mattina seguente
il proprietario del ranch un
PAGINE DEL CUT
certo W. Mac Brazel trovò
diversi resti metallici.
Successivamente confidò la
cosa allo sceriffo di Roswell,
Wilcox, il quale allertò la
vicina base militare ed in
particolare il magg. Jesse
Marcel del 509° Bomb Group
Intelligence Office. L’8/
VII/1947 l’ufficio
informazioni della Roswell
Army Air Field (RAFF) del
New Mexico emise un
comunicato stampa in cui
veniva dichiarato
“esplicitamente” il recupero
di un disco volante. Tale
notizia fu riportata dal
quotidiano locale Roswell
Daily Record poi dal San
Francisco Chronicle il 9/
VII/1947. Questo ovviamente
attirò l’attenzione dei media
di tutto il mondo. Nei giorni
seguenti venne rilasciata
un’altra spiegazione ufficiale
dell’aeronautica statunitense
per bocca del gen. Roger M.
Ramey il quale dichiarò
trattarsi di un pallone sonda
denominato “rawinsonde”
usato per ricerche
meteorologiche. A prova di
questo il gen. Ramey insieme
al magg. J. Marcel in una
conferenza stampa
mostrarono i resti di quello
che era un pallone sonda.
Cosi il caso venne chiuso e se
per molti tale spiegazione fu
accettata per altri invece
risultò essere un’operazione
di copertura, o cover up, da
parte del governo americano
o di una sua parte nonché dei
suoi apparati militari. Nacque
cosi la teoria del complotto
sopravvissuta fino ai giorni
nostri. Questi i fatti. Ora
veniamo alle testimonianze e
qui, forse (anzi, certamente),
servirebbe un’opera
enciclopedica per raccoglierle
tutte. Proverò in questo caso a
considerare quelle piu
credibili o se si preferisce le
piu accettabili.Il primo
testimone sicuramente da
prendere in considerazione é
W. Mac Brazel (in foto poco
43
più in basso). Questi dichiarò
di avere udito fra la notte del
2 e 3/VII/1947 una forte
esplosione. Recatosi nel
campo il giorno seguente lo
trovò cosparso di frammenti
la cui natura gli era
sconosciuta. Successivamente
ritratterà questa
dichiarazione, ammettendo di
avere riconosciuto in quei
frammenti i resti di un
pallone sonda. Dichiarazione
che venne rilasciata dopo il
suo “alloggio” per qualche
ora nella base militare di
Roswell. Altro testimone é lo
sceriffo di Roswell Wilcox,
anch’egli incapace di
spiegarsi la natura di quei
frammenti come lo stesso
magg. J. Marcel. Da prenere
in considerazione anche il
famoso comunicato Dell’8/
VII/1947 che porta la firma
dell’allora ten. W. Haut,
personaggio venuto alla
cronaca del caso Roswell per
il suo affidavit, giuramento in
atto notarile da aprire solo
dopo la morte avvenuta
questa il 15/XII/2005. Anche
se cio che é stato pubblicato è
bene precisare trattasi di
copia di quell’atto. Un’altra
testimonianza che ho ritenuto
interessante durante la mia
ricerca in internet é stata
quella dei coniugi Wilmot
che affermarono di aver visto
un mese prima dell’incidente
di Roswell un oggetto di
forma ovale e contraddistinto
da una luce intensa e
lampeggiante sorvolare la
zona senza emettere nessun
rumore. Vi é anche
l’intervista rilasciata al
documentario Scify
Investigates del canale SyFy
di un certo Elias Benjamin,
poliziotto militare del 390°
Air Service Squadron: questi
in quella intervista dichiarò
che la notte tra il 7 e 8/
VII/1947 scortò 3 corpi sotto
un lenzuolo dall’hangar 84
all’ospedale della base
militare di Roswell. Infine
nella mia ricerca mi imbatto
nella testimonianza del serg.
Frederick Benthal, esperto
fotografo, il quale dichiarò
che lui insieme al caporale
Kirkpatrick giunti nell’area
dello schianto videro e
fotografarono non solo il
relitto, ma anche quelli che lo
stesso Benthal definì “alieni”
per la loro conformazione
fisica (piccoli di statura,
uguali fra loro, enormi
teste).Qui ho omesso di
parlare deliberatamente delle
testimonianze di J. Marcel
junior (figlio del magg. J.
Marcel) Bob Lazar e del col.
P. Corso perchè i loro
racconti sono gia noti e
soprattutto la loro posizione
al riguardo. Ad onore di
cronaca va comunque detto
44
che ci furono testimonianze
di militari e anche di qualche
cittadino del luogo che
avvalorarono la tesi del
pallone sonda parlando di
carta stagnola, asticelle di
legno e nastro adesivo. In
ultima analisi sono da
prendere in esame le prove.
In questo caso però come per
la maggior parte dei casi di
ufologia, come direbbe il mio
amico Franco Pavone del
CUT, esse si basano sulla
testimonianza dei vari
protagonisti e quindi sulla
loro buona fede. Anche se va
detto che per lo stesso motivo
dovranno essere accettate
come prove i resti del pallone
sonda mostrati in quella
famosa conferenza stampa.
Caso chiuso? Per niente.
Questo perchè forse per le
innumerevoli testimonianze
sul rinvenimento di corpi, il
governo americano spiegò la
cosa come prove di
paracaduti di alta quota.
Quindi quello che la gente
giurava di avere visto non
erano altro che manichini.
Incredibilmente la stessa
aeronautica riapre il tutto. E
se da un lato sostituisce una
spiegazione razionale con
un’altra, dall’altro mi porta a
pensare personalmente che la
storia del pallone sonda fosse
una copertura. Si arriva così
ai giorni nostri e al “Progetto
Mogul”. Brevemente questo
progetto diretto da A.
Spilhaus consisteva nel
portare un pallone sonda ad
una altezza di 14 km. Questo
perchè a quella altitudine vi é
una sorta di canale acustico
tale da permettere la ricezione
di eventuali test atomici
sovietici. Ciò spiega la
obiettiva segretezza del
progetto ma non la presenza
di quei corpi che piu
testimoni giurarono di avere
visto. Non riesco
personalmente a comprendere
il perchè di tante versioni
ufficiali da parte del governo
americano. Sarebbe bastata la
PAGINE DEL CUT
prima versione del pallone
sonda per considerare tutto il
resto sospetti, illazioni o
semplici stravaganze new
age. Inoltre va accennata la
ricerca compiuta da David
Rudiak che mediante un
programma di grafica é
riuscito ad evidenziare tra
l’altro i termini “disco” e
“vittime” nel telegramma che
il gen. Ramey aveva fra le
mani durante la conferenza
stampa. Quindi come si vede
la teoria del complotto prende
sempre piu corpo. Ma come
scrive C. Gatti ne “il quinto
scenario” dedicato alla strage
di Ustica “il complotto ha un
gran vantaggio: anzichè
aborrire vaghezze,
contraddizioni, mezze verità
o verità presunte viene di
solito alimentato da esse”.
Per cui credo personalmente
che quando si riuscirà a
togliere parte di quel
“folclore” che circonda
Roswell, forse qualche verità
verrà a galla.
45
Roberto La Paglia
[email protected] , oltre
ad essere giornalista
freelance, è scrittore e
ricercatore. Mente
fervida, alimentata da un
intenso ed inesauribile
desiderio di ricerca,
attraverso le sue opere,
accompagna i lettori in un
viaggio verso l'ignoto,
guidandoli nei meandri
più nascosti delle dottrine
occulte ed esoteriche. Uno
dei suoi ultimi libri è
“Archeologia Aliena”
(Ed. Cerchio della Luna,
2008).
Non rimane molto delle
antiche conoscenze dei
Druidi; i pochi elementi oggi
in nostro possesso risultano
nella maggior parte dei casi
frutto di fantasie accumulate
nei secoli, dicerie e
superstizioni. Non sempre gli
storici e i commentatori
raccontano la storia per ciò
che è stato, spesso i loro
resoconti rispecchiano ciò
che avrebbero voluto
accadesse; se poi a questa
affermazione aggiungiamo il
fatto che quasi tutto il
materiale inerente i Druidi e
il Druidismo in particolare
sono giunti fino a noi
attraverso il filtro dei monaci
amanuensi, sarà facile
immaginare quali profonde
DRUIDI
TRA STORIA
E MISTERO
lacune e inesattezze
contengano. I risultati degli
scavi archeologici portati
avanti nelle varie tombe e su
innumerevoli luoghi di culto,
ci permettono di ottenere
delle ricostruzioni in merito
ai vari rituali e alle varie
cerimonie, oltre che a far
luce sull’immenso corpus
delle storie epiche di origine
irlandese giunte fino a noi.
Chi erano veramente i
Druidi? Per rispondere a
questa domanda non si può
ignorare l’ordinamento
sociale celtico, la sua
struttura, le componenti
religiose e mitologiche. Se da
un lato corrisponde al vero
che i Druidi furono sacerdoti,
guaritori e aruspici, è anche
vero che essi ricoprivano
importanti ruoli quali giudici,
medici, poeti, oltre che veri e
propri custodi della memoria
storica in un sistema sociale
nel quale era del tutto
sconosciuta la scrittura.
Questo doppio filo che li
legava alla società celtica
primitiva ne decretò anche la
scomparsa, avvenuta in
concomitanza con
l’affievolirsi dell’influenza
dei numerosi stati celtici
indipendenti. Druidi e
sistema sociale celtico sono
quindi un’unica espressione
suddivisa in tre distinte
funzioni, quella sacrale,
quella guerriera e quella
produttiva. In verità non si
tratta di una vera e propria
46
unicità; già i romani, i greci e
molti popoli germanici
basavano il loro sistema
sociale su queste tre funzioni,
riflettendo in esse anche la
loro mitologia e la religione.
Per ritrovare una
corrispondenza a quanto
appena detto, basterà
osservare con più attenzione i
vari pantheon divini, quasi
sempre suddivisi in tre o
cinque principali divinità che
assolvono le tre funzioni
appena descritte: nell’India
antica troviamo Mithra e
Varuna che incarnano la
sovranità, Indra che
rappresenta la forza guerriera,
e i due gemelli Ashvin che
rappresentano la proprietà e la
ricchezza. Presso gli antichi
Latini il discorso non cambia:
la triade Giove, Marte e
Quirino rappresenta infatti le
stesse tre funzioni. In Grecia
troviamo Giove, Athena e
Apollo che rivestono lo stesso
ruolo, così come, in tempi più
antichi, si sacrificava tre volte
nel nome di Athena in onore
ai suoi triplici aspetti,
Sovrana, Vittoriosa e
Dispensatrice di salute e
prosperità. La stessa cosa
accade con i Celti: sotto vari
nomi di divinità tribali si
ritrovano infatti le stesse
funzioni.
Taranis-Omigos-Dagda
simbolo della regalità
simbolizzato dalla ruota e
dall'arpa.
Belenos-Teutates: due aspetti
guerrieri cui si affianca Brigit
dai molti aspetti (Morrigan la
guerriera, Epona portatrice di
fertilità e protettrice degli
animali, Brigit-Belisana
protettrice di poeti e artisti).
Lug-Lev: dio delle arti e dei
Mestieri, Signore dei Tuatha
De Danann nella mitologia
irlandese, divenuto sul finire
della civiltà celtica un dio
globale: artista medico e
guerriero.
identificati come gli ultimi
detentori di un antico sapere
destinato a diventare
leggenda.
Dentro queste complesse
strutture divine si inseriscono
i Druidi, espressione profonda
di uno spirito libero e
indipendente, legato
profondamente alla natura,
destinato a dare al mondo
l’immagine di un popolo
fiero, in profonda sinergia con
la propria struttura sociale.
L’immagine che ci rimane,
quella che maggiormente ha
colpito la fantasia popolare,
ci parla di uomini che hanno
stretto quasi un patto di
alleanza con la natura, che
vivono in perfetta simbiosi
con le foreste e i loro
abitanti; non si andrebbe
molto lontano dal vero
nell’affermare che un
sacerdote Druida era anche e
principalmente un vero e
proprio sciamano,
profondamente iniziato al
sapere esoterico, in grado di
stabilire un costante contatto
con l'invisibile. Così come
gli sciamani, anche i Druidi
assolvevano al ruolo di
intermediari fra gli uomini e
gli spiriti silvestri, erano in
grado di curare i malati
attraverso un saggio uso delle
piante, di evocare tempeste,
Anche se l’intero patrimonio
andò quasi completamente
perduto, in parte con
l’avanzare del Cristianesimo,
in parte per effetto della
decadenza dei vari stati
celtici, tale perdita non fu
certo repentina; i sacerdoti
Druidi passarono varie fasi
prima che il loro ricordo
divenisse leggenda. Da
giudici e maghi divennero
nel tempo semplici poeti,
umili cantori e misteriosi
pellegrini, fino ad essere
47
di predire il futuro mediante
l'arte sacra del tamburo, il
bhodran, il cui suono agisce
direttamente sul battito del
cuore e riattiva l'energia
sottile. Proprio su questo
particolare strumento
avveniva il rito divinatorio,
costituito dall’osservare il
decorso favorevole o infausto
degli eventi esaminando lo
spostamento, prodotto dalla
percussione di 25 conchiglie,
disposte su 9 linee
simboliche. Altro strumento
rimasto nell’immaginario
collettivo è la famosa
bacchetta attraverso la quale
si esprimeva il potere
creativo del sacerdote; era
costruita con legno di sorbo,
l'albero sacro alla dea Brigit,
e recisa rigorosamente a
mezzanotte dopo aver chiesto
il consenso alla pianta ed
averla poi ringraziata con
un'offerta di birra, latte o
monete; questo stesso rituale
è riscontrabile ancora oggi
nella moderna Wicca.
L’aspetto escatologico risulta
meno complesso, senza
alcuna particolare etica, e che
si esprime nella semplice
immagine della vita eterna
vista semplicemente come il
prolungamento, senza pene e
senza premi, della vita
terrena. Nonostante questo
modo di approcciarsi al
grande mistero della vita, nel
pensiero dei Druidi esiste
traccia di uno dei temi più
controversi e dibattuti
dall’antichità fino ai nostri
giorni: la reincarnazione.
Molti storici continuano a
considerare il popolo dei
Celti come dei barbari, e
proprio per questo motivo
difficilmente si riesce a
pensare che la dottrina della
Reincarnazione possa far
parte del loro bagaglio
culturale, ma è veramente
così? Uno dei tanti
insegnamenti portati avanti
dai sacerdoti Druidi era
conosciuto con il nome di
“Awen”; si trattava della
parte spirituale dell’uomo,
capace di discendere fino ai
piani inferiori della vita, di
animare qualsiasi tipo di
forma, sia vegetale, animale
o minerale. Alla fine del suo
ciclo, l’Awen si reincarnava
sotto forma umana,
completando il suo ciclo di
liberazione. Riassumendo il
ciclo Druidico della
reincarnazione avremo il
seguente schema:
ANUFU: uno stato
abissale di rotazione nel
quale si muovono tutte le
energie
AWEN: la parte spirituale
dell’uomo che si libera da
Anufu per inserirsi nel
ciclo della liberazione
ABRED: i vari cicli di
rinascita ai quali è
sottoposto l’uomo. Ogni
ciclo comprendeva
numerose esistenze, sia
sulla Terra che su altri
pianeti.
GWYNFID: il Cerchio
della Beatitudine, la
liberazione finale
raggiunta la quale Awen
trascorrerà un tempo
indefinito di beatitudine.
Se già questo schema può
tradire un insospettabile
48
livello di conoscenza,
rimarremo di certo ancora
più stupiti proseguendo
nell’analisi del concetto di
reincarnazione presso i
Druidi. Alla fine dei vari
cicli si trova il Cerchio
dell’Infinito (CAUGANT),
una sorta di Nirvana nel
quale, per usare un termine
proprio dei mistici cristiani,
si realizzerà finalmente
l’incontro con Dio. Ci
troviamo quindi di fronte a
una casta sacerdotale che
seguiva una linea di pensiero
altamente evoluta per quel
periodo, erede forse di
insegnamenti provenienti da
molto lontano e dispensati da
misteriosi messaggeri; non si
tratta soltanto di un raffinato
pensiero filosofico ma di un
avanzato stato di conoscenza
profondamente radicato in
ogni azione; basti pensare
che ad ogni condannato a
morte veniva concesso il
diritto di poter fruire di
cinque anni prima
dell'esecuzione, al fine di
poter acquisire coscienza del
futuro stato in cui si sarebbe
ritrovato, quasi una
preparazione spirituale per
dare la possibilità all’anima
di accedere nell’aldilà. Oggi
è possibile rintracciare
piccoli frammenti del
pensiero e dell’opera dei
Druidi soprattutto in alcune
regioni dell’Irlanda; non
soltanto i tipici luoghi sacri
ma anche frammenti di
antiche tradizioni e credenze
sparse nei vari costumi
locali. Proprio tra queste
credenze, e in riferimento a
quanto appena scritto sulla
reincarnazione, è
interessante notare il fatto
che esista una antica
leggenda in merito ai
bambini, alla loro nascita, e
al fatto che posseggano
ancora intatti tutti i ricordi
della loro vita precedente.
Tali ricordi andranno man
mano ad affievolirsi con
l'avanzare degli anni.
L’ULTIMO LIBRO
DI ROBERTO LA PAGLIA
IL GRANDE LIBRO
DEI MISTERI
Roberto La Paglia
Prefazione di Paola Giovetti
Edizioni Xenia
316 pagine 15 Euro
ISBN 9788872736890
Dalla mitica Atlantide al calendario Maya: i più
sconvolgenti e dibattuti enigmi della storia umana
in attesa di una soddisfacente soluzione.
I megaliti di Stonehenge, la Piramide di Giza, le
linee di Nazca: che cosa volevano dirci gli antichi?
Rennes le Chateau e la Cappella Rosslyn: i
Templari e il Santo Graal. Da Tunguska agli odierni
avvistamenti Ufo: misteriosi segnali dal cielo.
Fantasmi, telepatia, medianità ed esperienze di pre
morte: la scienza si interroga sul paranormale.
Un viaggio lungo un sentiero nel quale si muovono
non soltanto le teorie di confine ma anche le ipotesi
scientifiche, in un serrato confronto dal quale si
auspica possano un giorno nascere risposte certe.
Un libro affascinante che permette al lettore di
immergersi in una realtà parallela ma non per
questo del tutto irreale, alla scoperta di luoghi, fatti,
personaggi e storie spesso difficilmente reperibili
nella letteratura del mistero.
49
INQUISIZIONE
E METODI
DI TORTURA
SULLE STREGHE
Maria Benedetta Errigo
[email protected], è
nata a Rovigo il 5 marzo 1973 e
vive a Lido d’Ostia. Laureata in
Scienze delle comunicazioni
internazionali presso
l’Università di Lugano, parla
correttamente Inglese, Francese
belga, Alto tedesco medio e
Olandese.
Quando si parla di
Inquisizione e di processi
alle streghe si pensa sempre
al Medioevo, a secoli bui e
passati. Ma sapete quando
ci fu l'ultimo processo per
stregoneria? In Europa
l’ultimo processo per
stregoneria ci fu nel 1717 a
Leicester, in Inghilterra, e
fu istituito contro una donna
anziana e suo figlio,
accusati di provocare morte
e malattie attraverso le
fatture. Il processo però fu
fortunatamente annullato
per mancanza di prove
certe. Nel 1736 poi l’Atto di
Giacomo I, che prevedeva
la pena di morte, fu
annullato e sostituito da una
pena di un anno di carcere
per chi praticava la
stregoneria.
In Germania
l’ultimo caso si ebbe nel
1775 e più in generale in
Europa l'ultima strega
condannata a morte fu Anna
Goeldi uccisa nel 1782 in
Svizzera e riabilitata dal
parlamento Cantonale nel
2008.
Da noi, in effetti, la
pena di morte contro la
stregoneria sparì ancor più
gradualmente, visto che
pare che l'ultima strega in
Italia sia stata bruciata nei
primi anni dell'Ottocento e
qualche documento riporta
ancora alcune accuse di
stregoneria nei primi anni
del Novecento in alcune
zone di Italia, soprattutto
rurali. Come si sa,
comunque, la vera
persecuzione delle streghe
si è avuta durante il
Medioevo. Proprio in
questo periodo la Chiesa
Cattolica ha avuto un ruolo
di funzione ambivalente:
mentre da una parte ha
50
sempre combattuto le
credenze magiche,
dall'altra è stata sempre la
più forte sostenitrice della
realtà oggettiva di streghe,
maghi e stregoni,
giustificando la credenza
nel sabba diabolico.
Insomma, le streghe
esistono perché la gente ha
iniziato a credere a loro, e
infatti alcuni antropologi
sostengono letteralmente
che “le streghe hanno
smesso di esistere quando
noi abbiamo smesso di
bruciarle”. E se, da un lato,
la Chiesa ha prodotto nei
secoli diversi ottimi
documenti come il Canon
Episcopi, risalente
addirittura all'undicesimo
secolo e destinato ai
vescovi contro la
superstizione, dall'altro ci
sono ben tredici bolle in
cui viene accettata la realtà
della stregoneria, tutt'oggi
non abiurata, quindi ancora
valida! "Fra tutte le eresie,
la più grande è quella di
non credere nelle streghe e
con esse, nel patto
diabolico e nel sabba":
questa è una citazione dal
libro “Malleus
Maleficarum”, il Martello
delle streghe, il libro su cui
si basarono gli Inquisitori
per le torture e i processi
alle streghe. Questo
manuale fu scritto da due
domenicani tedeschi, Jacob
Sprenger e Heinrich
Institor Kramer per
stabilire i criteri utili a
riconoscere e punire le
streghe e fu pubblicato nel
Quindicesimo secolo, ma
bisogna sottolineare che
non fu mai adottato
ufficialmente dalla Chiesa
Cattolica. Fu riprodotto in
ben trentaquattro edizioni e
oltre trentacinquemila
copie impresse, con una
tiratura stimata di 30.000
copie. Ma ci sono molti
altri libri a corollario del
Malleus sui metodi di
tortura e di applicazione
della pena e del modo sul
quale riconoscere una
strega. Nel 1580, ad
esempio, Jean Bodin
intellettuale protestante,
ritenuto ispiratore del
moderno concetto di stato e
teorico della tolleranza
religiosa, scrisse “La
Démonomanie des
Sorciers”, un manuale
giudiziario sul metodo per
la tortura e la repressione
delle streghe. Comunque le
caccie alle streghe si
concentrarono soprattutto
tra la fine del 1400 e la
prima metà del 1600 e
conobbero due ondate: una
dal 1480 al 1520 e l'altra
51
dal 1560 al 1650. Le
presunte streghe, e a volte
anche i loro figli,
soprattutto se femmine,
appartenevano per lo più
alle classi sociali inferiori
ed erano di solito vedove,
prostitute, levatrici ed
herbarie. Soltanto una
piccola minoranza di loro
poteva essere realmente
annoverata tra i veri e
propri criminali colpevoli
di omicidi o di altri gravi
reati. Fu questo il caso
della cosiddetta Voisin, per
esempio, prestatrice di
servizi satanici per le
messe nere della Marchesa
di Montespan,favorita del
Re Sole, al fine di
assicurarsi a lungo i favori
del re. La stragrande
maggioranza era invece
composta da persone
innocenti, di ogni età e
condizione, spesso
prostitute, levatrici e
guaritrici, in un tempo in
cui decotti ed infusi a base
di piante risultavano non
meno efficaci e sicure di
medicine e medici: e d'altra
parte la popolazione,
essenzialmente rurale, non
aveva altre possibilità per
curarsi del ricorrere ai loro
rimedi, meno costosi di
quelli dei medici.
Purtroppo erano
annoverate nelle accuse
anche persone con
problemi mentali o anziane
signore con problemi
neurologici o di
Alzheimer,che venivano
scambiate per possedute.
Veniva considerata strega
anche chi aveva gatti neri,
aveva i capelli rossi o un
neo vicino all'iride
dell'occhio, il cosiddetto
"segno del diavolo". Molte
donne furono torturate e
bruciate vive, con le
motivazioni ufficiali più
varie, ma spesso in base a
delazioni anonime mosse
anche da futili ragioni e in
molti casi, in cambio della
riduzione dei tormenti,
perché facesse il nome di
persone possibilmente
benestanti, ree di
complicità, in modo da
poter istruire il processo
successivo, considerato
fortemente remunerativo,
dato che il condannato
subiva anche la confisca
dei beni. A volte le
accusate venivano “solo”
marchiate e rimesse in
libertà. Ma attenzione: non
pensate a un marchio come
un tatuaggio. No:
solitamente alle streghe
erano tagliate orecchie e
52
naso, proprio per sfigurale
e renderle repellenti alla
società. Perciò queste
donne, rimaste sole ed
emarginate, non avevano
altro mezzo per
sopravvivere che chiedere
l'elemosina o prostituirsi. E
qui si chiudeva il cerchio,
perché erano così arrestate
di nuovo e condannate a
morte. Ma quali erano i
criteri per i quali si
rischiava una denuncia per
stregoneria, soprattutto in
Italia? Abbiamo detto che i
principali erano il fatto di
essere donna, essere sola o
comunque non dipendere
da un marito, un fratello o
un padre, un “maschio”
insomma, vivere ai margini
della società o di
elemosine. Ma c'erano
anche altri fatti come
possedere un gatto nero, o
tenerlo semplicemente in
braccio, non andare in
chiesa, non seguire la
religione, essere sospettate
di adulterio, essere
omosessuali, tenere in casa
un gallo nero, aver raccolto
erbe durante le feste
consacrate, praticare l'arte
di curare con le erbe, aver
pronunciato nel corso di un
litigio parole oscure che
possono aver dato adito a
sospetti di malocchio,
essere figli di donne già
condannate per stregoneria,
e via dicendo. Quindi era
chiaro che bastava una
piccola cosa, una disgrazia,
una grandinata, una
malattia, la morte
improvvisa di una persona
per far scattare l'accusa di
stregoneria verso la
malcapitata di turno. Una
delle accuse più frequenti,
poi, riguardava
l'improvvisa impotenza del
marito di una donna. Era
infatti molto più semplice
accusare un'altra donna di
stregoneria piuttosto che
rivelare a tutta la società di
avere problemi coniugali!
Una volta denunciata, la
strega era prelevata a casa
da quattro persone, che
cercavano di prenderla di
sorpresa, altrimenti sarebbe
potuta scappare a cavallo
di una scopa o avrebbe
fatto in tempo a prepararsi
un incantesimo chiamato
“Maleficia Taciturnitatis”,
che l'avrebbe fatta resistere
a tutte le torture. Questo
rituale si preparava,
secondo le leggende, in
vari modo tra i quali
cospargendosi il capo di
ceneri di un neonato ucciso
e bruciato. Comunque,
arrivata al processo la
strega veniva denudata e
53
rasata di tutti i peli del
corpo: questo per cercare il
cosiddetto “marchio del
diavolo”, il segno del patto
tra la strega e Satana.
Questo marchio poteva
essere un neo, o una
macchia del corpo, a volte
anche il fatto che la strega
non era sensibile in alcune
zone del corpo, ecco quindi
che i giudici cercavano
queste zone di insensibilità
pungendo tutto il corpo
della malcapitata con
spilloni appuntiti. Una
volta individuato il
marchio, si dava il via
all'interrogatorio. Si
iniziava leggendo le varie
testimonianze rese dalle
persone che avevano
denunciato la donna,
spesso con l'accusa di
avere risentito in prima
persona dei malefici della
strega. L'interrogatorio
prevedeva una confessione
completa della malcapitata,
pena il ricorso alla tortura.
L'idea della tortura
incuteva un tale terrore
nelle vittime che, pur di
evitarla, molte
confessavano in questa fase
del processo i più fantastici
malefici, ritenendo che il
rogo fosse ancora un male
minore in confronto alla
ferocia degli inquisitori.
Anche perché il concetto
era chiaro: fino a che la
strega non avesse
confessato ciò che
volevano sentirsi dire la
tortura continuava: “Hai
partecipato al sabba?
Rispondi sì o no, ma se
rispondi no sappi che la
tortura continuerà”. Chiaro
come parecchie donne
accettavano di confessare
qualsiasi cosa pur di
terminare la tortura, forse
ritenendo la morte una
liberazione da tutte queste
sofferenze. Ovviamente si
aveva molta cura che la
vittima non morisse
durante le torture, proprio
per arrivare all'esecuzione
pubblica, che doveva
essere un momento di
catarsi e di purificazione
per tutti. Ecco perché si
procedeva comunque a
bruciare la strega, sia come
esecuzione ufficiale o
subito dopo averla uccisa,
proprio perché il fuoco era
considerato il mezzo più
efficace per purificare non
solo l'ambiente circostante,
ma anche le persone che
prendevano parte alla
visione dell'esecuzione.
Non mi soffermerò troppo
nei particolari delle torture,
alcune comunque fin
troppo conosciute. Uno dei
metodi più usati era il tratto
di corda, con il quale alle
vittime venivano legate le
mani dietro alla schiena, e
poi si sollevava da terra
con movimenti violenti, a
volte applicando anche pesi
alla carrucola. C'erano il
cavalletto e la ruota, sui
quali la donna veniva
fissata e a cui erano
allungati gli arti. C'erano
anche stringidita e
stringiseni, mutilazioni
provocati da lame e
tenaglie, la tortura della
privazione del sonno e del
fare ingurgitare litri di
acqua, tanto per citarne
solo alcune, in alcuni casi
effettuate ancora oggi.
Un'altra tortura molto
utilizzata era la Tabula.
Nella mia città, Rovigo,
dove furono bruciate ben
sei streghe, fu lo strumento
principe da tortura per far
confessare. Si trattava di
tavole incandescenti sulle
quali veniva distesa la
malcapitata, prima bocconi
e poi sulla schiena. Tutto
questo nella più completa
nudità, tanto per aumentare
l'umiliazione e per ottenere
una confessione che
prevedeva il sapere dove e
come la strega aveva
stretto il patto con il
diavolo, quando e dove
aveva partecipato ai sabba
e soprattutto il nome dei
complici. Terminato il
processo, la strega era
gettata in una cella in attesa
dell'esecuzione, che doveva
essere pubblica, quasi
spettacolare. Solitamente,
la vittima era bruciata viva,
in particolare prima di
essere arsa in Inghilterra
veniva impiccata, in
Germania e Scozia veniva
strozzata con la garrota, in
Svezia erano decapitate. In
Italia erano bruciate vive
con un prete che teneva
davanti a loro una croce.
Per inciso vorrei ricordare
che, anche in Italia, una
donna poteva essere
accusata di stregoneria a
partire dagli otto anni. Fa
rabbrividire vero? Eh sì,
purtroppo anche dei
bambini sono stati bruciati
vivi con l'accusa di
stregoneria. Non solo, in
alcuni paesi europei, Italia
compresa, i bambini sotto i
54
dieci anni erano costretti ad
assistere al rogo della
madre, essendo poi frustati
a sangue. I dati sulle
vittime di questa
Inquisizione sono parziali e
non sempre ufficiali. Da
più parti si indica questo
come il primo Olocausto e
forse può davvero essere
considerato tale. In Europa
la Germania la fa da
padrona con 50mila
processi e quasi 40mila
esecuzioni, in Svizzera ci
furono 14mila processi,
quasi tutti conclusi con
esecuzioni, via via in altri
paesi europei le esecuzioni
e i processi si aggirano
attorno ai 5mila/8mila:
questi i numeri, diciamo
ufficiali. In Italia furono
celebrati quasi 5 mila
processi e le condanne a
morte furono circa 1800.
La maggior parte dei roghi
da noi si ebbe nella prima
parte del Cinquecento
soprattutto nell'Italia
Settentrionale e in
Toscana, con un solo caso
a Benevento. Le
persecuzioni maggiori si
sono svolte in Val
Camonica, dove ci furono
tra i 62 e gli 80 roghi, a
Como con 60 roghi, in Val
di Fiemme 11 roghi, a
Mirandola 10 roghi e in
provincia di Cuneo con 9
roghi. Ci furono poi in
Italia alcune categorie di
streghe particolari: una di
queste riguardava i
cosiddetti Benandanti, una
specie di setta Friulana
dell'inizio del Seicento.
Erano individui che protetti
da particolari talismani
combattevano le malvagità
del Diavolo e delle streghe,
ma l'Inquisizione li mise
sotto accusa per stregoneria
comunque e quindi anche
loro subirono la stessa
sorte di ciò che invece
combattevano. Inoltre in
provincia di Rieti pare ci
fosse una sorta di
congregazione chiamata i
Seguaci di Diana, ma ci
sono poche informazioni al
riguardo. Era comunque
una setta che faceva capo a
una donna che portava un
titolo di sacerdotessa. Uno
dei casi più famosi in Italia
riguardò nel 1587 i paesi di
Triora e Molini di Triora,
nella Valle Argentina in
Liguria. Qui si ebbe una
vera e propria psicosi che
si può paragonare alla
caccia alle streghe di
Salem, che si concluse con
l'arresto di una trentina di
donne, la cui sorte rimane
piuttosto nebulosa. Qui le
accuse di stregoneria
furono un po' più sui
generis, visto che
riguardarono non solo
popolane, ma anche donne
nobili. Qui le streghe erano
accusate, tra le altre cose,
di uccidere bambini
palleggiandoseli, a mo’ di
pallavolo, da un paesino
all'altro. Insomma, per
concludere si può dire che
la maggior parte delle
donne accusate di
stregoneria erano povere,
ai margini della società,
oppure erano persone che
cercavano di fare del bene
agli altri, con i loro intrugli
di erbe o aiutando le
partorienti. In qualche caso
erano donne vittime della
cattiveria e dell'invidia di
qualche vicino di casa.
Comunque si è trattato di
una vera e propria
persecuzione che si è
lasciata alle spalle parecchi
morti e una ferita ancora
aperta di cui si parla ancora
oggi e che non manca di
suscitare sentimenti
contrastanti di orrore e di
pietà.
55
UNO SCIENZIATO ALLE ORIGINI
DELLA TEORIA DEL
PALEOCONTATTO:
MATEST
MENDELEVICH
AGREST
Simone Barcelli
[email protected] ha
46 anni ed è un ricercatore
indipendente di Storia
Antica, Mitologia e
Archeologia di confine. In
rete collabora con Storia in
Network, Tuttostoria,
Edicolaweb, Acam, Esonet,
Paleoseti e ArcheoMedia,
sui cui portali sono
pubblicati i suoi studi
tematici.
Il 20 settembre 2005
moriva, ormai novantenne,
il matematico ed etnologo
russo Matest
MendelevichAgrest ,
conosciuto per il suo
contributo alla teoria delle
funzioni cilindriche
incomplete e ancor di più
per l'ipotesi di
paleocontatto espressa in
tempi davvero non sospetti.
Infatti, al pari
dell’archeologo francese
Henri Lhote (che individuò
i dipinti e le incisioni del
Tassili in Algeria), Agrest
deve essere ricordato per
essere stato tra i primi
scienziati a divulgare la
tanto discussa teoria degli
antichi astronauti.
Insomma, almeno un
decennio prima che
identiche ipotesi fossero poi
riprese, sviluppate e
strumentalizzate anche da
56
scrittori senza scrupoli che
ben conosciamo. Qualcuno di
voi ricorderà che il nome di
questo sconosciuto Agrest
compariva nei lavori di Peter
Kolosimo ma non tutti
conoscono la vita di
quest’accademico. Vale la
pena porre rimedio, anche se
in forte ritardo.
Lo scienziato rabbino
Nato da famiglia ebraica il 20
luglio 1915 a Mogilev, nel
villaggio di Knyazhitsy, in
Bielorussia, nel 1929 divenne
rabbino e, mentre lavorava in
fabbrica, riuscì a frequentare
la scuola secondaria,
diplomandosi cinque anni
dopo. S’iscrisse poi alla
facoltà di matematica e
meccanica dell’Università di
Leningrado. Laureatosi, entrò
nella Graduate School of
Astronomical Institute di
Mosca, dipartimento di
meccanica celeste. Qui
incontrò e fece amicizia con
l’astrofisico Joseph V.
Sklovskij, membro
dell'Accademia delle
Scienze. In questo frangente
Agrest studiò le
caratteristiche meccaniche
del movimento degli anelli di
Saturno. Allo scoppio della
Arzamas-16
Seconda Guerra Mondiale si
ritrovò mobilitato e di stanza
a Gorky al comando di un
plotone di sbarramento.
Durante un temporale un
fulmine colpì la mongolfiera
ove si trovava e, a causa
dell’incendio, Agrest rimase
ferito: questo incidente di
percorso gli consentì di
completare gli studi
universitari. Lavorò quindi
presso l'Istituto di Chimica e
Fisica, aggregato al progetto
atomico del gruppo
Zel'dovich, ove fu incaricato
di eseguire i calcoli dei
processi esplosivi. Dal 1948
cominciò a lavorare al KB11, nel villaggio che in
seguito divenne noto come
Arzamas-16 ma nel 1951,
convocato dai superiori, fu
licenziato. Agrest non volle
Andrei Sacharov
mai parlare dei motivi
dell’allontanamento,
avvenuto probabilmente per
l’educazione religiosa
ricevuta. All’epoca, avendo
una famiglia numerosa e
versando in precarie
condizioni economiche, gli
vennero in soccorso alcuni
colleghi che avevano
lavorato con lui al progetto
dell’atomica, tra cui Andrei
Sacharov, che gli permise di
occupare il suo appartamento
a Mosca per circa sei mesi.
Mentre la famiglia si
trasferiva in Abkhazia,
Agrest lavorò (fino al 1960)
presso l'istituto fisico/
tecnologico di Sukhumi
(SFTI), in un subborgo di
Sinup, all’interno di un
laboratorio ove un’equipe di
scienziati russi e tedeschi,
praticamente segregati,
portavano avanti
sperimentazioni connesse
all’utilizzo militare
dell’energia atomica. Il nome
di Agrest balzò alle cronache
nel 1959 quando sostenne
che i terrazzamenti di pietra
del sito archeologico di
Baalbek potevano essere stati
utilizzati per il lancio di
navicelle spaziali,
57
Il villaggio noto come
Arzamas-16
aggiungendo che la
distruzione delle bibliche
città di Sodoma e Gomorra
era da attribuirsi a
un’esplosione atomica
provocata intenzionalmente
da esseri provenienti da un
altro pianeta. Le sue teorie
non ortodosse, che
chiaramente all’epoca
scandalizzarono l’ambiente
accademico occidentale,
furono pubblicate per la
prima volta nel 1960 sulle
pagine della rivista
Literaturnaja Gazeta (nr. 17,
pag. 2, 9 febbraio 1960);
quanto asserito da Agrest
trovò ampio risalto all’estero,
anche grazie agli articoli
pubblicati il giorno dopo sul
The New York Times e sul
Los Angeles Times. Matest
Agrest ci andò subito con il
piede pesante, sostenendo
che alcuni episodi descritti
nella Bibbia, secondo lui, si
riferivano a interventi di
esseri extraterrestri; nelle sue
asserzioni anche Gesù Cristo
divenne un alieno e la stella
di Betlemme non era altro
che l’astronave del Salvatore.
Non dobbiamo dimenticare
che le dichiarazioni di Matest
Agrest, come quelle similari
del popolare scrittore di
fantascienza Alexander
Kazantsev, nascevano in un
contesto anche strumentale in
favore dell’ateismo.
professore emerito di Scienze
astrofisiche all'Università di
Princeton, un originale
pensatore, ricordato tra i più
importanti sviluppatori nel
settore della fisica del
plasma. Fu Stix a chiedere un
incontro con Agrest poiché
sapeva delle sue convinzioni
sul paleocontatto scaturite
dallo studio sui testi originali
della Bibbia. Stix, che
L’incontro con Stix e
un’enigmatica fotografia
Nel luglio del 1960 riuscì
finalmente a confrontarsi con
alcuni scienziati statunitensi
facenti parte di una
delegazione estera giunta in
Unione Sovietica per un
seminario dedicato al plasma
e alla fusione. Tra questi
Thomas Howard Stix,
Thomas Howard Stix
58
tangenti e lo scienziato non
subì ulteriori conseguenze.
Brillanti idee o voli di
fantasia?
Albert Einstein
asseriva di conoscere anche
l’ebraico, riferì che avrebbe
dovuto relazionare, di lì a
poco, ad una conferenza
presso l'Università di BarIlan. I due si trattennero a
discutere per una notte intera.
La conversazione avvenne in
inglese poiché, a quanto
sembra, l’ebraico di Stix era
assai stentato. Il giorno
seguente ci fu un
trasferimento in pullman per
una visita al lago Riza nel
Caucaso e i due stavano
ancora discutendo tra loro,
stavolta sotto lo sguardo
sospettoso dei colleghi e
superiori di Agrest, che
cercarono di carpirne i
discorsi. Prima di congedarsi,
Stix regalò a Agrest una
fotografia in cui era ritratto
nell’appartamento di
Einstein. Agrest non seppe
mai il motivo di quel dono e
nemmeno chi fossero le altre
due persone immortalate
nella foto. L’incontro con lo
studioso statunitense, dopo
ben dodici anni di completo
isolamento, rimase indelebile
nei ricordi dello scienziato
che, due giorni dopo, dovette
delle spiegazioni sul fatto di
aver fornito il proprio
indirizzo a Spix e per questo
fu accusato di violazione del
segreto. Per fortuna i suoi
accusatori, Hoof e Ogurtsov,
furono licenziati poiché
implicati in un giro di
Si era in piena Guerra Fredda
e la maggior preoccupazione
per l’URSS era quella di
difendersi da attacchi con
missili nucleari. Agrest lesse
un articolo in cui si
proponeva di utilizzare una
barriera formata da miliardi
di sottili aghi in orbita
attorno alla terra che,
similmente agli anelli di
Saturno, avrebbero fatto
esplodere i missili nello
spazio. Agrest si ricordò
quindi dei suoi studi su
Saturno, compiuti anni prima
per la tesi di dottorato, e
ipotizzò che su Saturno
potesse esserci vita
intelligente e che gli anelli
avessero una funzione
difensiva: in questo caso, non
si poteva escludere che in un
lontano passato gli abitanti di
questo pianeta avessero
visitato la Terra.
Inevitabilmente, se c’era vita
su Saturno non si poteva
escludere nemmeno, in linea
di principio, che forme
intelligenti abitassero nella
galassia di miliardi di stelle
che, come il Sole, potevano
ospitare sistemi planetari. Per
dimostrare questa teoria
occorreva chiaramente
trovare le tracce del
soggiorno terrestre di questi
alieni. Secondo Agrest la
traduzione esatta dei giganti
59
discendenti di Adamo,
l’attenzione dello scienziato
andò a Enoch, figlio di Jared.
Nel Vecchio Testamento si
dice che ciascuno dei
patriarchi (tranne Enoch)
della Genesi che abitavano la
Terra era caduti. Ora il
problema di Agrest era
sapere quando queste
creature erano cadute e
partendo dal presupposto che
questo fatto, secondo il testo
sacro, era inserito dopo
l'enumerazione dei diretti
visse una lunga vita e morì in
tarda età. Enoch invece aveva
camminato con Dio perché lo
aveva preso con sé. Alcuni
degli eventi descritti nel
Vecchio Testamento
potevano in qualche modo
essere testimonianze scritte
di visitatori extraterrestri.
L’attenzione di Agrest andò
alla descrizione della
distruzione delle città di
Sodoma e Gomorra e, come
membro del progetto
nucleare, conosceva bene le
conseguenze di un'esplosione
atomica. Effettivamente nel
Vecchio Testamento è scritto
che le persone furono
accecate dalla luce e solo uno
spesso strato di terra avrebbe
potuto proteggere dalle
radiazioni ionizzanti. Da lì
Agrest iniziò a ricercare altre
località della Terra che
potessero aver ospitato gli
alieni e non tardò ad arrivare
a Baalbek, ove esistono
enormi lastre di pietra che
non si sa bene come fossero
mosse dai nostri antenati.
Agrest suggerì che la
piattaforma di Baalbek fosse
stata costruita da astronauti
caduti sul nostro pianeta, così
rimasta a futura memoria
60
della loro permanenza. Lo
scienziato scoprì alcune
prove indiziarie in cristalli
fusi rinvenuti in quella zona,
forse originati da esplosioni
nucleari, teorizzando che le
astronavi fossero mosse da
energia atomica. Agrest
scrisse quel che pensava in
alcuni manoscritti e li
trasmise, per la prevista
autorizzazione alla stampa, al
Comitato Regionale del
Partito Comunista della
Georgia, ben conscio che
difficilmente sarebbero stati
presi in considerazione.
Invece, il responsabile
Hvartskiya giudicò
interessante il lavoro e fornì
il permesso allo scienziato di
relazionare a un seminario
scientifico presso l'istituto
SFTI di Sukhumi. Agrest
parlò per oltre un'ora e in sala
vi era un assoluto silenzio.
Per paura di cadere nel
ridicolo, parlò sorridendo
spesso poiché, in caso di
reazioni negative, avrebbe
potuto sostenere che si
trattava solamente di uno
scherzo. Quando terminò la
sua relazione dal pubblico
giunse uno scroscio di
applausi. Agrest ricordò di
aver reagito perdendo il
controllo e iniziando anche a
tremare. Il famoso fisico
sovietico Frank Kamenetskii
(calcolò esattamente le
probabilità di annodamento
del DNA) era propenso a far
pubblicare un articolo con le
teorie di Agrest sulla rivista
Nature ma il comitato di
redazione rifiutò il
contributo, giudicandolo
troppo pericoloso. Le idee di
Agrest avevano stuzzicato
anche l’accademico Igor
Kurchatov (il fondatore
dell’Istituto per l’Energia
Atomica di Mosca) che gli
suggerì di scrivere una
versione abbreviata
dell’articolo per la
pubblicazione negli Atti
dell'Accademia delle
Scienze. Purtroppo nel
febbraio 1960 Kurchatov
morì senza essere riuscito a
far pubblicare il lavoro.
Nonostante tutto, alcune
fotocopie del manoscritto
erano state distribuite e da
Mosca giunsero a Sukhumi i
giornalisti Michael Cernenko
e Valentin Rich e il 9
febbraio l’articolo “Tracce
portare dallo spazio?”
appariva sulle pagine della
61
sobrietà, da accademico,
proponendo la ricerca di
prove per confutare la teoria.
Inizialmente, tra i sostenitori
del paleocontatto ci fu Joseph
Samuilovich Sklovskij che
nel suo libro “L'universo, la
vita, la mente” citò in
maniera positiva l’idea del
paleocontatto; in seguito
l’avrebbe contrastata
asserendo che l’uomo era
solo nell’universo: non
perché avesse trovato
presupposti erronei alla teoria
del paleocontatto bensì sulla
scorta delle sue osservazioni
astronomiche. La possibilità
di un contatto con altre
civiltà fece sorgere progetti
SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence,
Ricerca di Intelligenza
Extraterrestre) dappertutto
per captare segnali artificiali
provenienti dallo spazio.
Paradossalmente, mentre in
Unione Sovietica l’idea del
paleocontatto veniva
giudicata non scientifica, in
Occidente andava
riscuotendo grande
popolarità soprattutto per
l’interessamento
dell’astrofisico statunitense
Carl Sagan (che nel 1966 con
Shklovskij pubblicò “Vita
intelligente nell’universo”)
Joseph Samuilovich Sklovskij
Gazzetta Letteraria. La
notizia fu trasmessa anche
per radio e il giorno dopo,
come già scritto, ripresa con
grande risalto dalla stampa
occidentale. Un anno dopo fu
pubblicato un secondo
articolo (“Gli astronauti
dell’antichità”) ma a questo
punto la comunità scientifica
sovietica intervenne
pesantemente affermando
che le idee del giovane
Agrest erano nocive e
distraevano l’ambiente dai
reali problemi scientifici. Fu
anche condannato l’uso di
storie bibliche, arrivando a
definire pseudo-scienza le
idee di paleocontatto. In
verità, a parte queste critiche,
non fu mossa alcuna
obiezione riguardo l’ipotesi
avanzata dallo scienziato. In
fondo Agrest aveva
sviluppato la sua idea con
62
che di fatto si appropriò
dell’idea originariamente di
Agrest. Il sovietico, vivendo
in una nazione
intellettualmente ancora
isolata dal resto del mondo,
non poteva certo raggiungere
la fama di Sagan, che pur
mise a repentaglio la propria
credibilità scientifica
pubblicando numerosi
articoli su riviste scientifiche
e arrivando a dare alle
stampe il romanzo di
fantascienza “Contact”.
Purtroppo anche Sagan, con
l’avvento degli scrittori da
strapazzo, si allontanò
dall’idea iniziale e questo è
stato certamente deleterio per
la ricerca negli anni a venire.
Shamir, il laser di Mosè
Agrest, dal canto suo, tornò
nell’anonimato e dopo aver
diretto, dal 1970 in poi, il
laboratorio dell’università di
Leningrado, nel 1992 emigrò
con la famiglia negli Stati
Uniti e visse a Charleston
(South Carolina): qui poté
finalmente confrontarsi con i
colleghi statunitensi, dopo
decenni d’isolamento patito
in patria. Fu invitato a
esporre le proprie
convinzioni in una
conferenza tenutasi a Las
Vegas dal 2 al 4 agosto 1993
ed era la prima volta che
capitava dal lontano 1959.
Durante quel convegno
Agrest sostenne che almeno
una volta astronauti
extraterrestri avevano visitato
la Terra, aggiungendo che
erano creature antropomorfe
e che nell’universo vi erano
molti pianeti abitati da esseri
intelligenti. Nel 1995
pubblicò il volume “L’antico
miracoloso meccanismo
Shamir”, in cui identificava
lo Shamir come uno
strumento utilizzato per il
taglio e l’incisione di pietre
durissime. Lo Shamir era
descritto nel Talmud (uno dei
testi sacri dell'Ebraismo)
Mikhail M. Agrest
come un “verme tagliente” “…la Shamir (un verme che
può perforare qualsiasi cosa
difficile… usato per scolpire
i nomi dei Shevatim sulle
pietre del Choshen”.
Pesachim 54°) - e nello
Zohar (altro libro sacro degli
Ebrei, importante per la
tradizione cabalistica) un
“tarlo metallico divisore”.
Nella Bibbia, Geremia 17/1,
è descritto come un
diamante: “Il peccato di
Giuda è scritto con uno stilo
63
Le gigantesche pietre di Baalbek
di ferro, con una punta di
diamante è inciso sulla
tavola del loro cuore e sugli
angoli dei loro altari…”; lo
stilo era la penna usata
all’epoca per incidere sulle
tavolette di cera: poteva
essere una specie di raggio
laser ricavato appunto da un
diamante. Questo “verme di
diamante”, adoperato per
tagliare e forare, era
considerato di natura divina e
per questo motivo raramente
affidato agli esseri umani.
Agrest precisò che poteva
essere stato descritto come
un insetto a causa dell’errata
traduzione della parola latina
“insectator” (tagliatore),
quindi scambiato per un
“tarlo” perché praticava dei
fori. Oggi, a cinque anni
dalla sua morte, a ricordarne
l’opera pioneristica, quale
fautore della teoria degli
antichi astronauti, è forse
rimasto solo il figlio Mikhail,
insegnante di fisica e
astronomia al College di
Charleston. Mikhail, sulle
orme del padre, ha cercato di
spiegare il fenomeno di
Tunguska come l’esplosione
di una navicella aliena. La
figura di Agrest, questo
temerario scienziato
sovietico che cercò di
squarciare il velo del
silenzio, meriterebbe ben
altra considerazione,
soprattutto da parte di chi si
occupa tuttora di queste
problematiche.
Simone Barcelli - "Tracce d'eternità"
Cerchio della Luna Edizioni - Novembre 2009
(Un incredibile viaggio ai confini della storia,
tra le rovine di alcuni dei più misteriosi siti archeologici).
Il testo è indicato dallo Scaffale d’arte come
consiglio di lettura nell’ambito del laboratorio
d’arte inerente la mostra “Teotihuacan, la città
degli déi”, in programma dal 9 novembre 2010 al
27 febbraio 2011 al Palazzo delle Esposizioni di
Roma.
64
INTERVISTA A
GREGORY
DEYERMENJIAN
IL PIÙ FAMOSO RICERCATORE DEL PAITITI
Yuri Leveratto
[email protected] , nato a
Genova quarantuno anni fa,
dopo aver conseguito la laurea
in Economia ha iniziato il suo
peregrinare per il mondo a
bordo di navi da crociera. Ha
vissuto a New York, lavorando
come guida turistica e dal 2005
si trova in Colombia. Autore di
racconti e romanzi,
appassionato di Storia e
fantascienza, viaggia per venire
in contatto con culture
autoctone e studiarne cultura e
modo di vita. Tra i suoi libri
ricordiamo “La ricerca dell’El
Dorado” (Infinito Edizioni,
2008) e “1542 I primi
navigatori del Rio delle
Amazzoni” (Lulu.com, 2009).
Oggigiorno la maggioranza della
gente pensa che tutto il mondo
sia stato già esplorato,
cartografato e documentato. Ci
dicono che siamo nell’era della
globalizzazione, e che in
qualunque parte del mondo si
viaggi, si sentirà come a casa
sua. La verità è molto differente
da ciò che i mezzi di
comunicazione ci mostrano.
Ancora adesso vi sono zone
della Terra che si conoscono
molto poco ed altre dove,
incredibilmente, nessun uomo
(eccetto indigeni no
contactados), ha mai messo
piede. Per esempio in Sud
65
all’ultimo. A parte tutto ciò, sin
da quando ero giovane ho
sempre avuto il desiderio di
tentare di conoscere quello che
è sconosciuto, il cosiddetto
“Más Allá”. Da sempre,
quando osservavo, in una
mappa dettagliata, la dicitura
DATOS INSUFICIENTES o NO
DATA AVAILABLE, mi
emozionavo e pensavo che sarei
stato io il primo a camminare in
quella zona. E per quanto
riguarda la esplorazione pura,
non c’è nessun luogo al mondo
così interessante come il Perù.
America alcune zone della
frontiera tra il Brasile e il Perù,
e in Perù la zona dell’Alto
Purús, del Río Yaco, la zona
intangible del Parco Nazionale
del Manu, e la zona del Parco
Nazionale Madidi, in Bolivia,
sono praticamente sconosciute
da un punto di vista
archeologico. Alcune di queste
zone sono come scrigni che non
sono stati mai aperti, che
potrebbero nascondere evidenze
archeologiche e storiche molto
importanti e potrebbero
completare la nostra conoscenza
del passato precolombiano. Per
esempio nell’Amazzonia
peruviana si racconta già da
molto tempo la leggenda del
Paititi, la città perduta degli
Incas. Questa cittadella
fantastica, che secondo il mito
incaico fu fondata dall’eroe
culturale Inkarri, sarebbe situata
nella selva del Perù, e
nasconderebbe gran parte del
tesoro degli Incas, oltre ad
antiche conoscenze che
potrebbero svelare il mistero
dell’origine dell’uomo
americano. Uno dei più
instancabili esploratori e
ricercatori del Paititi è lo
statunitense Gregory
Deyermenjian (nato a Boston
nel 1949), membro attivo del
“The Explorers Club” di New
York, che dal 1984 sta
percorrendo le foreste e le
montagne del Perù con lo scopo
di svelare il mistero
dell’ubicazione del Paititi. Ho
conosciuto Gregory
Deyermenjan nella città di
Cusco e fin da subito sono stato
colpito dal suo modo sereno di
relazionarsi con gli altri e dalla
sua buona e rispettosa relazione
con i nativi del Perù e con la
Madre Terra. Gregory
Deyermenjian è un esploratore e
ricercatore interessato a cercare,
documentare e interpretare tutti
i resti archeologici incaici o
amazzonici che trova durante le
sue esplorazioni. Ecco il testo
integrale dell’intervista:
Gregory, hai iniziato le tue
esplorazioni in Perù nel 1984.
Quale fu la ragione principale
che ti ha portato a esplorare
zone remote della sierra e
della selva di questo paese
meraviglioso?
Yuri, tutto ciò è stato un
processo, un’evoluzione, penso.
Il primo passo fu l’Inca Trail,
nel 1980, durante il quale mi
sono reso conto che Hiram
Bingham inizialmente credeva
che Macchu Picchu fosse il
famoso e misterioso
Vilcabamba. Il prossimo passo
fu proprio andare a Vilcabamba
presso Espritu Pampa, nel
1981. Durante quel viaggio
incominciai a sentir parlare di
un altro sito misterioso, situato
più all’est, il “Paititi”, e da
quel momento seppi che dovevo
ricercare e tentare di conoscere
questo tema del Paititi fino
Mi sono reso conto che per te
è stato molto importante il
rapporto con il dottor Carlos
Neuenschwander Landa. Puoi
dirci qualcosa al riguardo?
Il dottor Carlos
Neuenschwander Landa fu un
uomo eccezionale. Puntuale,
colto, intelligente, esperto nei
campi della medicina e
psichiatria e appassionato della
leggenda del Paititi, dal punto
di vista storico. Portò a termine
tantissime spedizioni: a piedi, a
dorso di muli, in fuoristrada, in
elicottero. Fu un uomo
disponibile all’apporto attivo e
costruttivo di altri esploratori,
come me, i miei soci Paulino
Mamani e Marco Rosaz, sin dal
primo momento che ci
presentarono. Scrisse libri
molto importanti dove sono
raccolte interessanti
informazioni sulle sue
esplorazioni. Il suo primo libro
“Pantiacollo” è un classico
della letteratura d’esplorazione.
Inoltre Carlos Neuenschwander
Landa fu un vero “uomo del
rinascimento”, in quanto
pubblicò anche un romanzo. La
maggioranza delle nostre
spedizioni, specialmente quelle
dove abbiamo tentato di
esplorare la zona sconosciuta
dove s’inoltra il “cammino di
pietra”, o quelle lungo la
cordigliera di Paucartambo,
fino all’interno della vasta e
inesplorata “Meseta di
Pantiacolla”, sono state
66
inspirate dalla grande forza
d’animo del dottor Carlos.
Ho notato che nella
maggioranza delle tue
spedizioni ha partecipato
sempre un gruppo di persone
selezionate, mi riferisco agli
esploratori peruviani Paulino
Mamani e Goyo Toledo. Puoi
dirci dove li hai conosciuti e
perché queste persone sono
tanto importanti per te?
Nel campo dell’esplorazione è
di estrema importanza poter
partire con il “team” giusto e
collaudato. Ho avuto molta
fortuna per aver avuto come
soci nelle mie ricerche sul
campo sull’argomento
“Paititi” (esplorazioni che
hanno per fine ultimo trovare e
documentare ciò che,
probabilmente, è nascosto nei
luoghi remoti delle cordigliere e
foreste della regione Cusco,
nelle province di Calca e La
Convencion e nella regione
Madre de Dios, nella provincia
del Manu, nel sud est del Perú),
delle persone coraggiose,
puntuali e abilissime nell’arte
dell’esplorazione, con
un’attitudine molto positiva. Nel
1984 sono stato a Pukyopata, in
un terreno di contadini nelle
alture del Rio Mapacho, per
parlare con don Tomas Toledo,
con il fine di contrattarlo per
una spedizione e poter utilizzare
alcuni suoi muli. Quel giorno
ebbi fortuna perché arrivò il
figlio di don Tomas, Goyo, che
giungeva dalla sua dimora
quasi permanente nelle terre dei
Matsiguenkas, gli indigeni della
selva alta di Mameria. Era
venuto per visitare suo padre,
cosa che faceva solo una volta
all’anno, o due. Goyo aveva
portato con sé Raimundo, un
Matsiguenka di Mameria. In
ogni caso quell’anno non
utilizzai i muli di don Tomas ma
alcuni cavalli della familia
Mamani. Così viaggiammo in
fuoristrada attraverso la
provincia di Calca fino ad
Amparaes, per incontrarci con i
Mamani, e iniziare la spedizione
con i loro cavalli. Lì c’era un
uomo giovane, molto
amichevole, che voleva venire
con noi. Mi disse che aveva 25
anni, anche se in realtà ne
aveva 18. Si chiamava Paulino
Mamani. Cosicché partimmo da
Amparaes con Paulino e i suoi
fratelli Guillermo e Torribio, e
ci incontrammo con l’uomo più
influente della zona, Goyo
Toledo, che conobbi un mese
prima nel terreno di suo padre,
Tomas Toledo. Da quel
momento nacque una viva
amicizia tra di noi, che è durata
fino ad oggi. Nelle spedizioni
degli anni 1984-1989 Goyo fu il
capitano della marcia. Con il
tempo Paulino acquistò sempre
più esperienza e siccome è
sempre stato molto abile e
fortissimo è stato lui il capitano
della marcia, a partire dal 1991
67
fino ad oggi. Dal 1986 fino ad
oggi ho avuto la fortuna di
avere con me, nelle mie
spedizioni una combinazione di
membri d’elite: Goyo, Paulino,
Gavino Toledo (fratello minore
di Goyo), e un Machiguenka,
che si chiama “Angel”. Negli
anni novanta il gruppo fu più
piccolo, però ancora eccellente
per le mie esigenze, composto
da Paulino e da suo fratello
minore Ignacio Mamani.
Durante le spedizioni del 2004,
2006 e 2008 Paulino ed io
siamo stati aiutati da suoi nipoti
Alberto, Saul Cesar, e Raul, tutti
molto abili ed esperti. In queste
esplorazioni nelle zone più
remote del Perù non c’è nulla di
più importante della coesione
fra i membri della spedizione,
oltre alla perfetta forma fisica e
mentale, perché se c’è anche un
solo partecipante che non ha
sufficiente animo,
determinazione, onestà e forza
física, mentale ed emozionale,
tutta la spedizione potrebbe
fallire o peggio, potrebbe essere
posta in rischio la sicurezza di
tutti.
Nelle tue prime spedizioni, nel
1984, 1985 e 1986 hai
documentato il sito
archeologico di Mameria. Puoi
spiegarci brevemente quali
sono state le tue conclusioni al
rispetto?
Siamo stati a Mameria nel 1984,
1985, due volte nel 1986 e nel
1989. La mia opinione è che fu
un insediamento Inca,
soprattutto per rifornire gli
Incas del Cusco di foglie di
coca. E’ stato un sito
relativamente grande con
gruppi di edifici, terrazzamenti
a scopo agricolo, piattaforme
cerimoniali, un forno utilizzato
per fabbricare ceramica, molti
frammenti di ceramica, vari
oggetti di tumbaga (una lega di
oro e rame). A Mameria
trovammo alberi di coca (non
più arbusti), proprio perché
dopo 500 anni la vegetazione si
era sviluppata senza controllo.
Questo luogo potrebbe essere
stato utilizzato come
rifornimento per un altro sito
archeologico, però ciò non è
stato provato. La mia opinione è
che Mameria fosse parte del
vasto territorio chiamato
Callanga, utilizzato come luogo
di produzione della coca per gli
Incas. Mameria è stata
relazionata con il “Paititi
peruviano”, in quanto nella
zona a sud est vi è la
leggendaria montagna chiamata
Apu-Catinti, spesso associata
con la leggenda del Paititi, che
si situa non lontano dalla
cordigliera di Paucartambo,
dove c’è il “cammino di pietra”
costruito da Inkarri nel suo
viaggio da Q’ero fino al Paititi,
nella meseta di Pantiacolla.
Gregory, hai esplorato la
meseta di Toporake già nel
1989. Perche ti sei diretto in
quella zona? E quali sono state
le evidenze archeologiche
trovate in quella zona remota
e super-fredda?
La meseta di Toporake è situata
al nord-est di Mameria. E’ un
luogo inospitale, molto alto,
(3900 metri s.l.d.m.), freddo, e
68
costantemente umido. Il
cammino di pietra si dirige
proprio dalla cordigliera di
Paucartambo verso Toporake
dove si uniscono altri sentieri
provenienti da ovest. Da quel
punto un solo sentiero segue
verso il nord-ovest, verso la
meseta di Pantiacolla, lo stesso
altopiano che gioca un ruolo
fondamentale nella legenda di
Inkarri, che si ritirò nel
Pantiacolla, nella sua città, o
oasi, del “Paititi”. Inoltre, nella
meseta di Toporake vi sono vari
resti di edifici con muri bassi
però abbastanza grandi come se
fossero “quartieri generali”
militari, ovvero come se la
meseta fosse stata in passato un
posto di vigilanza per fare da
scudo ad un eventuale attacco
verso l’altopiano di Pantiacolla.
Nel 1991 hai visitato i
petroglifi di Pusharo e li hai
documentati molto
attentamente. Sappiamo che
questi petroglifi (scoperti dal
Padre Vicente de Cenitagoya
nel 1921), furono studiati a
fondo dal dottor Carlos
Neuenschwander Landa. Quali
sono le tue conclusioni al
rispetto? Pensi siano glifi di
origine amazzonica o andina?
E quando furono intagliati, a
tuo parere?
In realtà fu un cercatore di
caucciù che riportò per la prima
volta l’esistenza di questi
petroglifi nel 1909, e dodici anni
dopo il Padre Cenitagoya
viaggiò a Pusharo con altri due
religiosi. Per loro i glifi non
erano altro che lettere gotiche
dove si narrava la storia della
Bibbia. Nell’opinione del dottor
Neuenschwander i petroglifi
erano “ideogrammi”, però
nell’attualità nessuno sa
decifrarli totalmente. Nella mia
opinione i petroglifi sono stati
inspirati da visioni che ebbero
gli sciamani nel passato, mentre
erano sotto l’influenza di piante
allucinogene, come la
brugmansia, che ho visto
crescere spontanea presso il
fiume vicino a Pusharo e la
ayahuasca. Cosicché, la mia
opinione è che il sito
archeologico nel complesso e i
petroglifi non sono una mappa
della Terra né del cielo, ne
alcuna scrittura, bensì una
rappresentazione sciamanica, di
gran importanza spirituale per
gli abitanti della zona nelle
epoche passate. Alcune delle
figure rappresentate nei
petroglifi di Pusharo si possono
vedere nelle pareti delle malokas
o capanne dei Barasana, e altri
gruppi etnici dell’est della
Colombia e del nord-est del
Brasile, e sono sempre associate
ad una specie di protezione
sciamanica per coloro i quali
devono transitare attraverso i
cosidetti “pongos” ovvero
luoghi dove i fiumi si fanno
stretti e la cui corrente è
fortissima (ad esempio: pongo
del Mainique, Pusharo, etc.).
Per me quindi i petroglifi di
Pusharo hanno un’origine
amazzonica, del tipo brasiliano
della selva.
Nel 1993 hai esplorato gli
altopiani di Toporake e
Pantiacolla. Ci puoi descrivere
il “cammino di pietra” che
avete percorso? Quali altre
evidenze archeologiche avete
trovato?
Nel 1993 ci siamo inerpicati su
di un angusto e tortuosissimo
sentiero fangoso, al lato di
profondi precipizi, con il fine di
arrivare alla meseta di
Toporake. Il nostro scopo ultimo
era quello di passare per
Toporake, ed iniziare da quel
punto la nostra esplorazione
lungo l’unico cammino che da
Toporake conduce alla meseta di
Pantiacolla. Vi erano vari muri
di contenzione lungo il cammino
di pietra. Eravamo in 4:
Paulino, German Condori, un
nativo della valle di Lacco,
Gumercindo, un campesino che
si occupava dei muli, ed io. Ad
un certo punto i muli non
potevano più avanzare in quanto
il cammino era troppo difficile
ed angusto. Così salutammo
Gumercindo che tornò indietro,
mentre noi continuammo verso
nord. L’altopiano era molto
freddo ed umido. La pioggia
mista a neve ed il vento gelido
erano costanti (era il mese di
ottobre, relativamente tardi dal
punto di vista dell’optimum per
le esplorazioni). Il cammino
scompariva e appariva varie
volte. Giungemmo a un punto
dove vi è un muro di
contenzione, pressappoco dove il
sentiero s’inoltrava
precipitosamente verso il
cosidetto bosco andino, immerso
nella neblina. Scendemmo
attraverso la fitta foresta in
modo da esplorare e
documentare la zona. Dopo
circa mezz’ora ci rendemmo
conto che il cammino avanzava
indefinitamente e decidemmo di
tornare verso l’altopiano. Ci
rendemmo conto che avevamo
perso così tanto tempo e energie,
e avevamo utilizzato tanti viveri
nel viaggio di andata, che nel
futuro avremmo dovuto
utilizzare un elicottero per
giungere fino a quel punto, in
modo da poter esplorare quella
zona partendo freschi e pieni di
forza.
Nel 1994 e 1995 hai percorso il
Rio Callanga, già nella conca
del Madre de Dios. Perché sei
tornato a esplorare la selva
dopo essere stato interessato
alla zona alta del cammino di
pietra per vari anni?
Dobbiamo ricordarci che le
foreste tropicali di Mameria e
di Callanga sono in relazione
con il “cammino di pietra”
nella cordigliera di
Paucartambo e che entrambe le
zone sono accessibili (anche se
con enormi difficoltà), proprio
dal “cammino”, attraverso
sentieri che scendono verso est,
prima di scomparire nel bosco
andino e quindi nella selva
tropicale. In effetti è vero che
da vari anni abbiamo
considerato come nostra meta
principale il cammino di pietra,
69
con l’intenzione di percorrerlo
sempre più verso nord. Però,
siccome appunto nel 1993 ci
eravamo resi conto che per
continuare l’esplorazione della
vastissima meseta di
Pantiacolla era necessario un
elicottero, almeno per il
percorso di andata, in modo da
risparmiare energie e tempo per
documentare e studiare in modo
approfondito i siti archeologici
della zona, ci siamo riproposti
di tornare nell’altopiano solo
quando avremmo conseguito le
risorse sufficienti per affittare
un elicottero. Proprio per
questo, per non aver potuto
trovare le risorse per
l’elicottero, nel 1994 e 1995
decidemmo di esplorare altre
zone relativamente meno
distanti relazionate con il
cammino di pietra, e con la
leggenda del Paititi: la zona di
Callanga (nel 1994), e di
Llactapata (1995). Inoltre il
nostro socio durante gli anni
90’, il dr. Carlos
Neuenschwander Landa, ci
chiese esplicitamente che
esplorassimo la zona di selva
dove il Rio Yungaria sbocca nel
Callanga (formando il
PiñiPiñi), dove lui pensava di
aver visto dall’elicottero, anni
addietro, vasti terrazzamenti
utilizzati per l’agricoltura.
Nel 1996 sei stato il primo
occidentale ad essere giunto
alle cosiddette “piramidi di
Pantiacolla” o Paratoari, dove
io giunsi nel 2009. Cosa ci
puoi raccontare su
quell’esplorazione?
Il 1996 fu un altro anno senza
elicottero e per ciò ci
domandammo: -Quale altro sito
relazionato con la leggenda del
Paititi, è degno di essere
esplorato scientificamente? Mi
resi conto che quel luogo
poteva corrispondere alle
piramidi di Pantiacolla, o
Paratoari. E’ stato un viaggio
non molto lungo, ma pieno di
sofferenze e scomodità:
abbiamo camminato attraverso
vari fiumi le cui sponde sono
fangose e insidiose, nella selva
bassa, in una zona dove il caldo
umido è soffocante, con
moltissimi insetti, zanzare,
tafani, vespe di ogni tipo, molti
di più di quelli che trovammo
anni prima nella selva alta. E,
nella zona delle “piramidi”,
c’era una cappa di vegetazione
così spessa e difficile da
penetrare che quasi non si
riusciva ad avanzare. A un
certo punto ci trovavamo
proprio su una di quelle strane
formazioni e ci chiedevamo: dove sono le piramidi?- Siamo
rimasti solo pochi giorni nella
zona perché a noi, da vicino, ci
sembrava ovvio che sì, quelle
strane formazioni sono in effetti
delle meraviglie, però
meraviglie della natura, e non
artefatti di esseri umani.
Nel 1999 sei tornato nel
70
cammino di pietra, questa
volta con un elicottero. In
quella spedizione siate
arrivati, alle sorgenti del Rio
Timpia. Ci puoi descrivere la
difficilissima discesa per
l’angusto canyon di quel
fiume?
Quell’anno siamo giunti nella
meseta di Pantiacolla con un
elicottero, grazie alle risorse del
cineasta tedesco Heinz von
Metthey. Siamo arrivati presso
una zona di Puna (ecosistema
tipico degli altopiani andini),
dove il terreno era molto
dissestato, con vari precipizi.
Dopo alcuni giorni, durante i
quali esplorammo quella zona
dell’altopiano, situata più a sudest rispetto all’area che
documentammo nel 1993,
Paulino Mamani, suo fratello
minore, Ignazio, ed io, ci
salutammo con il pilota
dell’elicottero, che decollò per
tornare al Cusco, e iniziammo
la nostra camminata verso nord
-est, in direzione delle sorgenti
del Rio Timpia. In serata
giungemmo al muro di
contenzione che avevamo
documentato nel 1993. Da quel
punto incominciammo a
camminare, scendendo lungo un
pauroso canyon che aveva una
pendenza molto accentuata. In
pochi minuti ci siamo ritrovati
nel bosco andino, presso le
sorgenti del Timpia. Era un
canyon veramente angusto e
insidioso, e noi ci sentivamo
come “in prigione” in quanto
era difficile uscirne: continuare
la discesa era proibitivo e
tornare indietro era ancora più
complicato. A un certo punto ci
rendemmo conto che sul costone
di sinistra si snodava il
cammino di pietra, anche se 500
anni di abbandono lo avevano
reso quasi impraticabile, poiché
si erano accumulate pietre,
tronchi d’alberi caduti, in
seguito ad innumerevoli
terremoti, smottamenti e
tempeste. Malgrado tutte queste
difficoltà, riuscimmo, saltando
di pietra in pietra, a scendere
presso il torrente impetuoso e,
anche se sembra strano, era più
facile avanzare lungo il torrente
che lungo il cammino di pietra.
Avanzavamo a fatica, molto
lentamente, poiché il percorso
era scivoloso e insidioso.
L’ambiente era umidissimo e la
nebbia costante ci impediva di
vedere il sole. Alcune volte
dovemmo lasciare il torrente
perché il passaggio era
impossibile e dovemmo tornare
verso il camino di pietra. Il
percorso scendendo lungo il
“canyon del Timpia” durò vari
giorni ed era molto pericoloso
in quanto al nostro passaggio si
producevano continue frane.
Nella zona trovammo vari muri
di contenzione e altre strutture
murarie. Rimanemmo vari
giorni in uno stato di costante
umidità e penombra riuscendo
ad avanzare così poco rispetto
ai nostri ritmi abituali, che ci
rendemmo conto che per
riuscire a scendere verso una
zona molto più bassa potevamo
metterci settimane intere, se non
mesi. Realizzammo che
dovevamo tornare indietro, o in
caso contrario potevamo
rischiare la vita. La salita fu
durissima, in quanto dovemmo
utilizzare corde per essere sicuri
di non cadere nel precipizio. In
due giorni giungemmo al bosco
andino e finalmente ci
ritrovammo nuovamente
nell’altopiano.
In quello stesso viaggio hai
scoperto il lago de Angel,
situato in una zona
estremamente alta (3950 metri
s.l.d.m.), fredda e umida. Ci
puoi descrivere i resti
archeologici trovati nel corso
di questo viaggio? Inoltre mi
hai descritto uno strano
monolito triangolare che hai
trovato in una grotta vicino al
lago Angel. Ci puoi raccontare
qualcosa di più al rispetto?
Credi che sia stato scolpito da
esseri umani?
Dopo essere giunti nuovamente
alle sorgenti del Timpia,
abbiamo camminato verso sud e
abbiamo incontrato per pura
casualità un gruppo di vaqueros
(mandriani), che erano saliti
dalla valle del Rio Yavero
occuparsi della loro mandria di
bovini, che permane nelle alture
a pascolare. Fin da subito
Paulino ha iniziato ad aiutarli,
conquistandone subito la
fiducia. Abbiamo passato il
giorno e la notte seguente con
loro, mangiando carne di
bovino. A un certo punto uno di
quei mandriani ci raccontò
qualcosa d’interessante: nella
zona a nord-est rispetto a dove
eravamo si trovava un lago
incantato, dalla forma di un 8,
con vari resti archeologici
presso le sue sponde. Secondo i
mandriani il lago era “sacro”
per la Pachamama e chiunque
avesse tentato di avvicinarsi
avrebbe trovato tempeste,
tormente di vento ed altri strani
fenomeni metereologici, che ne
avrebbero impedito o reso
difficilissimo l’accesso. Tutto
ciò ci ha ricordato la storia che
il Machiguenka “Angel” ci
aveva raccontato: alcuni anni fa
era scappato, insieme ad altri
suoi compagni, da uno stato di
quasi schiavitù presso il Rio
Yavero, e si era inoltrato nella
selva per poi giungere nelle
alture. Aveva trovato uno strano
lago a forma di 8, dove quasi
morì di freddo e fame. Anche se
io ero molto debilitato dal
difficilissimo percorso appena
effettuato, sentii che avremmo
dovuto proseguire verso il lago.
E così incominciammo il
viaggio, avanzando verso nordovest. Ogni giorno vi erano
tormente di pioggia mista a
neve e durante la notte c’era
molto freddo. Alla fine
aiutandoci con le mappe, con il
GPS e con l’istinto di Paulino,
giungemmo a un lago incantato
esattamente come lo aveva
descritto Angel. Accampammo
proprio presso le sponde del
lago. Tutta la zona del lago era
freddissima, e con grossi insetti
simili a pulci. Eravamo
71
costantemente bagnati fradici.
Però ne valse la pena in quanto
trovammo e documentammo
varie piattaforme cerimoniali
utilizzate per la adorazione del
Sole in epoche remote. In una
caverna situata presso il lago
trovammo uno strano monolito
di piedra, di colore quasi
azzurro, triangolare. Non riuscii
a spiegarmi la sua origine però
quel monolito era reale.
Sembrava che il sentiero che
percorremmo fino al lago, che
battezzammo “Lago de Angel”,
seguisse verso nord-nordovest.
Dopo aver documentato altre
piattaforme cerimoniali e aver
preso le coordinate della zona,
incominciammo il nostro
viaggio di ritorno verso sud,
inizialmente verso
l’accampamento dei mandriani
e infine scendendo verso la valle
del Yavero nella zona subtropicale, passando per il sito
archeologico denominato
“Miraflores”, nella zona del
Rio Chunchosmayo. Dopo
questo viaggio abbiamo sempre
considerato il lago de Angel
come un importante punto di
partenza per le successive
spedizioni.
Nel 2006 sei tornato nella
selva bassa, però questa volta
nel Rio Taperachi. Mi sembra
che in quella spedizione non
abbiate trovato resti
archeologici importanti, ma
ho capito che fu un viaggio
estremamente difficile. Mi
sembra di ricordare che hai
detto che il Rio Taperachi è il
fiume più difficile del mondo,
è vero?
Nel Rio Taperachi trovammo
degli indizi di alcuni
terrazzamenti utilizzati per
l’agricoltura, prova che gli
Incas volevano stabilirsi nella
zona stabilmente. Potemmo
giungere in zona d’operazione
risalendo il Rio Yoyato, un
affluente del Rio Urubamba.
Per cui eravamo certi di
giungere nella zona situata a
ovest rispetto al Lago de Angel.
In effetti in quell’area trovammo
muri molto rustici e
terrazzamenti costruiti a scopo
agricolo. Il Taperachi, che è un
affluente del Ticumpinea, è un
fiume impetuoso. La corrente è
fortissima: non c’è nemmeno un
metro di acqua calma.
Camminammo lungo le sponde,
molto insidiose in quanto si
scivolava sui massi e si doveva
zigzagare tra tronchi caduti e
zone fangose. Spesso dovemmo
avanzare tra la selva
procedendo con il machete, in
quanto vi erano punti dove il
corso del fiume era talmente
stretto e incassato tra alte pareti
di roccia che era impossibile
camminare presso le sue
sponde. Durante questa fase di
risalita siamo stati attaccati più
volte da sciami di vespe molto
aggressive, che apparivano
prima delle sei del mattino e ci
volavano intorno fino a dopo il
tramonto. Anche durante il
viaggio di ritorno, dopo aver
raggiunto un punto elevato tra il
Taperachi e il Ticumpinea,
abbiamo avuto molti problemi
per la presenza di vipere
chiamate in gergo
“marionetos”. Inoltre, una
notte, la nostra tenda quasi
prese fuoco, con noi dentro!
Meno male che in generale
dormo con un sonno molto
leggero, per cui mi resi conto
nel dormiveglia che vi era
qualcosa di strano fuori dalla
tenda. In realtà erano le corde
della tenda che avevano preso
fuoco. Dopo pochi secondi
uscimmo dalla tenda e
provammo a spegnere
l’incendio come potevamo:
Paulino si è scottato le palme
delle mani, nel tentativo di
spegnere il fuoco! Quando alla
fine riuscimmo ad arrivare
presso Quebrada Honda, avevo
perso circa dieci chili anche se
durante la spedizione avevamo
comunque potuto disporre di
molte calorie.
Nella maggioranza delle tue
spedizioni sei venuto in
contatto con gli indigeni
Matsiguenkas. In generale si
sa che sono pacifici anche se
poco amichevoli e timidi. Cosa
ci puoi raccontare sul loro
modo di vita?
La mia opinione, basata, sulle
mie esperienze sul campo, oltre
che sui miei studi, è che i
Matsiguenkas, in generale,
hanno un comportamento molto
particolare. La loro psicologia è
stata influenzata anche durante
l’era dello sfruttamento del
caucciù, durante la quale si
attuarono abusi terribili contra
tutti i popoli nativi della selva.
Tutto ciò ha generato un forte
sentimento di diffidenza verso il
mondo esterno, che li ha portati
a isolarsi sempre più, vivendo in
luoghi remoti, difficili da
raggiungere per i “non nativi”.
Per questo mentre in generale i
Matsiguenkas sono pacifici tra
di loro, sono molto diffidenti
con gli sconosciuti fino a
quando non li conoscono molto
bene. Proprio per questo
quando viaggiamo nelle loro
terre preferisco portarmi dietro
uno di loro, per mostrare agli
altri che le nostre intenzioni
sono buone, cioè volte allo
studio e valorizzazione dei siti
archeologici. I Matsiguenkas
sono interessati principalmente
alle relazioni di amicizia tra di
loro e a ciò che gli può essere
utile per sopravvivere nelle zone
remote e pericolose: utensili e
cibo (la manioca è il 90% della
loro dieta). Anche se ci sono
varie leggende che indicano nei
Matsiguenkas i “guardiani del
Paititi”, la mia opinione è che,
nella realtà, non possono essere
interessati a delle antiche
rovine, senza nessuna utilità per
loro. Sono pacifici fino ad un
certo punto, specialmente nelle
zone remote dove non arrivano
quasi mai coloni peruviani,
hanno paura e disgusto per tutti
gli estranei che fanno rumore o
si dimostrano aggressivi e
violenti: la loro reazione contro
queste persone sarà quella di
allontanarsi o tentare di
eliminarla, in un modo o
72
nell’altro. A causa
dell’ambiente estremamente
difficile nel quale vivono (la
selva alta), hanno sviluppato un
psicologia del tutto particolare.
Se vedono qualcuno in pericolo
(per esempio una persona che
sta affogando in un fiume),
pensano che il problema sia
stato originato e causato dalla
persona stessa che si trova in
pericolo, per qualche ragione a
loro sconosciuta. E pensano
inoltre che quella persona deve
potersi salvare da sola, non
potendo contare su alcun altro.
Anche se a volte ho
sperimentato in prima persona
la grazia e la gentilezza delle
persone Matsiguenka con le
quali ho avuto il privilegio di
passare del tempo, vi sono
comunque vari aspetti della loro
personalità che possono essere
molto complicati da capire, non
solo per persone come noi, che
siamo nati e cresciuti in una
realtà completamente diversa,
ma anche per un contadino
peruviano, che non vive troppo
lontano da loro. Per esempio
quando stavo quasi affogando
nel Rio Palotoa presso i
petroglifi di Pusharo nel 1991,
il Matsiguenka che ci aveva
accompagnato, “Alejandro”,
stava ridendo dalla sponda del
fiume, senza aiutarmi. Però, nel
complesso, posso dire che nei
miei viaggi di ritorno dalle
spedizioni, ho avuto la
possibiltà di passare vario
tempo con questa gente e ne ho
apprezzato la dignità.
Durante i giorni che abbiamo
passato insieme al Cusco, ho
percepito che l’esplorazione
archeologica è molto
importante per te. Però, allo
stesso tempo, ho avuto
l’impressione che la ricerca
del Paititi, al contrario di
alcuni “avventurieri”, non è
un’ossessione per te. Cosa mi
puoi dire al rispetto?
Per me, l’esplorazione, e nel
caso specifico la ricerca di
possibili risposte sull’eventuale
esistenza, ubicazione e forma
del “Paititi” nella selva del
Perù, ha molta importanza.
Però so anche che il mondo è
grande, e che un giorno lo
abbandoneremo, e che durante
tutti questi anni il tesoro più
grande di qualsiasi altro tesoro
che si potrà scoprire nella
selva, è la mia famiglia, mia
moglie e i miei figli, oltre ai
miei amici.
Ho l’impressione che tu sia
giunto a uno stato di serenità
interiore. Forse hai già
L’ultimo libro di Yuri Leveratto
Cronache indigene del
Nuovo Mondo
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originale o scaricabile)
trovato il vero Paititi, mi
riferisco alla serenità alla
quale tutti noi aspiriamo?
Nella realtà la mia vita è piena
di preoccupazioni e difficoltà
che non avevo mai potuto
immaginare. Però, grazie a
Dio, ho una buona salute e
molta fede. Inoltre ho la fortuna
di aver potuto sfidare me stesso
in un mondo straordinario,
quello delle spedizioni estreme,
nelle terre che ancora oggi
vengono indicate nelle mappe
come DATOS INSUFICIENTES
o NO DATA AVAILABLE…
73
Gaetano Barbella, nato a
Bolzano nel 1938,
residente a Brescia fin dal
1969, si è occupato fino al
2003 di progettazioni di
macchine e impianti
industriali. Nel 1997, il
periodico fiorentino,
«Giornale dei Misteri»,
ha presentato una sua
teoria secondo la quale,
attraverso singolari
cartografie ricavate dalla
topografia terrestre, fra
centri urbani e località in
genere, si perverrebbe
alla comprensione di una
supposta corrispondente
vita e posizione astrale.
Pochi mesi dopo è stata la
volta del periodico
romano, «I Misteri», a
trattare lo stesso
argomento, mostrando in
che modo i supposti
riferimenti astrali siano
connessi, per esempio,
alle scritture bibliche e
particolarmente alle
profezie di Michel
Nostradamus. Dal 1999 si
è occupato
minuziosamente della
piramide di Cheope,
pervenendo a sconosciute
concezioni geometriche,
legate alla nota «sezione
aurea» rinascimentale. E
della Divina Commedia di
Dante Alighieri, delle
quartine di Nostradamus,
ultimamente si è dedicato
allo sviluppo di problemi
matematici e
particolarmente della
geometria, pervenendo ad
una visione nuova che
sorpassa le vecchie
concezioni sulla nota
«sezione aurea» legata ai
numeri della «successione
di Fibonacci».
RAFFAELLO
SANZIO
IPAZIA
D’ALESSANDRIA
LA SAPIENZA DELLA
SCUOLA DI ATENE
Introduzione
Ipazia d’Alessandria viene
ricordata, ancora oggi, come
la prima matematica della
storia, anzi, fu la sola
matematica per più di un
millennio: per trovarne altre,
da Maria Agnesi a Sophie
Germain, bisognerà attendere
il Settecento. Ipazia fu anche
l’inventrice dell’astrolabio,
del planisfero e
dell’idroscopio. Nel celebre
affresco di Raffaello, la
Scuola di Atene, l’unica
figura femminile
rappresentata è lei, che è
anche l’unica filosofa, oltre
all’autoritratto dell’autore,
che guarda verso
l’osservatore. Se si rammenta
che Ipazia fu massacrata da
un gruppo di monaci cristiani
invasati e che il dipinto è sito
74
Illustrazione 1: Raffaello, Scuola di Atene, part. del volto di Ipazia (Città del
Vaticano, Musei Vaticani)
in un palazzo del Vaticano,
interpretazioni diverse
possono darsi di questa
peculiarità. Nondimeno
non mi è parso di veder
circolare sul web o su
riviste e libri ipotesi a
riguardo. Ma attraverso la
geometria composita c’è
modo di entrare nel
tabernacolo della scienza e
filosofia della Scuola di
Atene. Una sorta di
radiografia a raggi X per
scoprire i possibili intenti
che animarono l’eccelso
Raffaello Sanzio
nell’allestire l’affresco.
Nulla che meravigli che
esso doveva illuminare in
qualche modo recondito la
Stanza della Segnatura nei
Palazzi Vaticani di Città
del Vaticano. Giusto la
segreteria e biblioteca di
Papa Giulio II che
commissionò l’opera
pittorica a Raffaello, non
certo senza la sua
approvazione a lavoro
inoltrato. E se c’erano
intimi segreti, magari
alchemici, legati all’opera
in questione e cari a
Raffaello, Papa Giulio II
era in grado di rilevarli e
rigettarli. Ma per il fatto
che dell’affresco fu
approvato la presenza di
Ipazia d’Alessandria in
Vaticano come altre
presenze pagane, tante,
poteva andare. Chissà
manca oggi il fatto
esteriore a riguardo e il
recente film Agorà della
storia di Ipazia, piuttosto
rivoluzionario in
contrapposizione a
fondamentalismi epocali,
potrebbe mettere in pari la
cosa. Però sta di fatto che
anche la Chiesa di Roma
sia vista come
fondamentalista, poiché si
ventila che ostacoli la
visione del film in Italia. In
realtà vi sono altre cause
che concorrono a questo
fine. Dicevo della
geometria composita che,
in verità, ho già utilizzato
per sondare a modo mio
diversi dipinti famosi ed
anche altre opere,
addirittura un monumento
e una città, l’Arco di
Costantino di Roma e la
mappa di Torino. E di
Raffaello Sanzio mi è
piaciuto occuparmi,
appunto con la geometria
composita, della pittura
Sposalizio della Vergine.
Come a dire che si è
stabilita un intesa fra me e
lui, giusto per
approcciarmi ora
all’affresco la Scuola di
Atene. Così mi sono
accinto di buona lena a
vederci con la geometria
composita nella pittura
murale Scuola di Atene e
sin da principio si è
profilato una luce sul conto
di Ipazia che mi ha fatto
trasalire. Basta, non
aggiungo altro e lascio il
piacere della sorpresa al
lettore.
75
L’AFFRESCO DELLA
SCUOLA DI ATENE
Descrizione
La Scuola di Atene è un
affresco di cm 772 di base
realizzato tra il 1509 ed il
1511 dal pittore Raffaello
Sanzio. È conservato nella
Stanza della Segnatura nei
Palazzi Vaticani di Città del
Vaticano. L’affresco
rappresenta dei celebri
filosofi antichi intenti nel
dialogare tra loro, all’interno
di un immaginario edificio
classico. Venne
commissionato da papa
Giulio II. A sinistra della
scena domina la statua di
Apollo, mentre a destra
quella di Minerva. Sotto sono
dipinti due rilievi: una Lotta
di ignudi ed un Tritone che
rapisce una nereide. Al
centro figurano i due
principali filosofi
dell’antichità, Platone ed
Aristotele. Platone, dipinto
con le sembianze di
Leonardo da Vinci, regge in
mano la sua opera Timeo ed
indica il cielo con un dito
(indicando l'’iperuranio, zona
d’essere oltre il cielo dove
risiedono le idee), mentre
Aristotele regge l’Etica e
rivolge il palmo della mano
verso terra rivolgendosi al
mondo terreno e alla volontà
dell’uomo di studiare il
mondo della natura e di
essere in contatto con essa.
Attorno a loro ed ad altri
filosofi e matematici sono
raccolti in gruppi i loro
seguaci. All’estrema sinistra
c’è Epicuro, alle cui spalle è
presente Federico Gonzaga
fanciullo. Al centro, in primo
piano, c’è Eraclito con le
sembianze di Michelangelo
che appoggia il gomito su un
grande blocco, mentre
all’estrema destra troviamo
Euclide, con i tratti del
Bramante, che disegna a
terra. Unica donna della
scena, sulla sinistra, è la
matematica d’Alessandria
Ipazia, che sembra anche
essere l’unico personaggio
con cui l’osservatore possa
entrare in comunicazione:
nessun altro infatti volge lo
sguardo verso di lui. Se si
rammenta che Ipazia fu
massacrata da un gruppo di
monaci cristiani invasati e
che il dipinto è sito in un
palazzo del Vaticano,
interpretazioni diverse
possono darsi di questa
peculiarità. Infine, i due
giovani che si trovano
all’estrema destra, in vesti
contemporanee all’epoca
della creazione dell’affresco,
sono degli autoritratti di
Raffaello stesso con l’amico
e collega Sodoma. Gli
studiosi pensano che il
ritratto di Eraclito sia stato
aggiunto in seguito, ad opera
compiuta. Infatti nella
Pinacoteca Ambrosiana di
Milano è conservato il
cartone finale disegnato di
proprio pugno da Raffaello,
dove non compare la figura
di Eraclito. Probabilmente
l’autore, dopo aver visto il
lavoro che Michelangelo
aveva compiuto per la
Cappella Sistina (una cui
parte viene mostrata il 14
agosto 1511), si è sentito in
dovere di aggiungere il
ritratto del suo rivale nel suo
affresco, dandogli le
sembianze del filosofo greco.
Tema e caratteristiche
Il tema di questo dipinto è la
facoltà dell’anima di
conoscere il vero, e cioè di
approcciarsi alla scienza ed
alla filosofia; il dipinto è in
contrapposizione a quello de
La disputa del Sacramento,
dove invece si parla di fede e
teologia. In un primo
momento, dall’affresco può
trasparire confusione: un
gran numero di filosofi sono
raffigurati essenzialmente su
due soli piani. Oltre ai già
citati, tra gli altri
s’incontrano Pitagora, intento
a scrivere su di un libro;
Socrate in una veste dal
colore verde bottiglia, che
sembra incitare al dialogo il
piccolo gruppo di persone
che gli sta davanti; Diogene,
steso sulla scalinata quasi in
simmetria con Eraclito. Il
motivo personaggistico
dell’opera è identico a quello
della Disputa: la presenza di
così tanti filosofi di varie
epoche a significare il
desiderio e lo sforzo per
arrivare al vero, già comune
a tutta la filosofia antica. Il
punto di fuga sta tra le figure
dei due grandi, Aristotele e
Platone, quasi a volere
indicare che il vero abbia
caratteristiche già intuite da
questi due filosofi, i cui
pensieri furono di indubbia
importanza per lo sviluppo
del pensiero occidentale.
Curiosità:
• Di recente si è scoperto che
il ritratto di Raffaello, era in
realtà il ritratto giovanile di
Giulio II.
• Il ritratto di Pitagora
rappresenta come Raffaello
immaginava il successore di
Giulio II.
76
Illustrazione 2: Raffaello, Scuola di Atene, (Città del Vaticano, Musei Vaticani)
• Il particolare dell’affresco
raffigurante Euclide (secondo
alcuni studiosi Archimede) è
stato scelto nel 1906 in
occasione della
commemorazione dell’ing.
Giuseppe Colombo come
emblema del Politecnico di
Milano e da allora ne
costituisce il logo.
• Alla destra appare anche lo
“scrivano” che comparirà
sulle copertine degli album
Use Your Illusion I e II dei
Guns N’ Roses del 1991
(http://it.wikipedia.org/wiki/
Scuola_di_Atene)
IDENTIFICAZIONE E
CARATTERIZZAZIONE
DEI FILOSOFI
I° LIVELLO (dal centro
dell’affresco verso
l’estremità sinistra: gruppo
dei “teorici”):
ERACLITO (550 ca480 ca
a.C.): in posizione centrale ed
isolata.
PARMENIDE (sec. V° a.C.):
si erge dietro Eraclito.
PITAGORA (570490 ca
a.C.): seduto, con un libro, un
calamaio e un pennino,
raffigurato nell’atto di
annotare, probabilmente, le
proprie impressioni riguardo
alla figura rappresentata sulla
lavagna nera che gli è
accanto. Si tratta di un
diagramma che mostra sia i
rapporti musicali
(diatessaron, diapente,
diapason), sia la cosiddetta
deka, cioè l’insieme dei
numeri su cui doveva basarsi
l’armonia dell’universo.
EPICURO (341271/270
a.C.): incoronato dai pampini,
in atto di annotare un libro,
appoggiato ad un capitello (la
figura potrebbe rappresentare,
però, anche Bacco
abbracciato da Orfeo, la
figura dormiente dietro di
lui).
ZENONE di Elea (sec. V°
a.C.): rappresentato,
all’estrema sinistra, da un
vecchio e un bambino, che
simboleggiano l’origine orale
della filosofia, legata a
racconti mitologici e ai
misteri di Orfeo e Bacco
(fratello di Apollo).
I° LIVELLO (dal centro
dell’affresco, verso
l’estremità destra: gruppo
degli “empirici”):
EUCLIDE (sec. IV° a.C.) (o
ARCHIMEDE 287212 a.C.):
figura china a terra, nell’atto
di proporre una
dimostrazione con il
77
compasso, mentre i quattro
giovani che lo circondano
dimostrano interesse e
coinvolgimento.
TOLOMEO CLAUDIO (sec.
II° d.C.): figura incoronata,
vestita in giallo e verde,
reggente il globo terrestre (la
geografia).
ZOROASTRO (tra il 1000 e
il 600 a.C.): figura barbuta, di
fronte a Tolomeo, reggente la
sfera celeste (l’astronomia);
Orfeo (sul lato sinistro) e
Zoroastro (sul lato destro),
rappresentavano, nel
Rinascimento, l’“antica
teologia”, le due basi della
filosofia.
II° LIVELLO (in posizione
centrale):
DIOGENE di Sinope (410
ca323 a.C.): (gruppo degli
empirici) sdraiato con
malagrazia sui gradini,
guarda con sospetto dei fogli,
presumibilmente i dialoghi
platonici giovanili, in cui
campeggia la figura di
Socrate, di cui Diogene si
faceva beffa. Al suo fianco,
una ciotola, l’unica cosa che
egli possedesse.
II° LIVELLO (dal centro
dell’affresco verso
l’estremità sinistra):
PLATONE (428/427348/347
a.C.): figura anziana barbuta,
vestita di marrone e arancio,
indica, con la mano destra, la
strada che, secondo la sua
filosofia, portava al Vero: il
cielo, cioè il mondo
intelligibile, non empirico.
Con l’altra mano regge una
delle sue opere, il Timeo, in
cui aveva tentato una
spiegazione dell’origine del
mondo. Nell’affresco la sua
testa e quella di Aristotele,
sono fra le più piccole
raffigurate, ma sono pure le
uniche ad avere il cielo come
sfondo.
SOCRATE (470/469399
a.C.): collocato a sinistra di
Platone, di cui fu il maestro,
vestito da una mesta tunica e
voltato di spalle rispetto alle
figure centrali di Platone e
Aristotele; lo si riconosce per
le fattezze (per le quali
Raffaello poté adoperare
come modello una testa
antica) e per i gesti: egli,
infatti, è ritratto nell’atto del
dialogare, processo
caratteristico della sua
filosofia. Fra i discepoli v’è
Antistene, il poeta Agatone
(per altri Senofonte) e un
giovane soldato,
probabilmente l’amico
Alcibiade. Sembra che un
altro discepolo faccia segno
di allontanarsi a un
bibliotecario che ha accolto
uno schiavo muscoloso carico
di testi, non funzionali al
metodo socratico. Socrate
appare ritratto, non
casualmente, sotto la statua di
Apollo, dio del Sole e
dell’armonia, oltre che delle
arti, di cui era seguace e da
cui era stato proclamato,
secondo la leggenda, il più
saggio degli uomini.
II° LIVELLO (dal centro
dell’affresco verso
l’estremità destra):
ARISTOTELE (384322
a.C.): figura barbuta, vestita
di azzurro, che campeggia
nella scena insieme a quella
di Platone. Aristotele distende
una mano verso il basso, per
indicare che la Verità si trova
nell’indagine del mondo
empirico, naturale; con l’altra
mano regge la sua Etica, che
espone le esigenze morali
dell’uomo, tendenzialmente
rivolte ad un valore superiore
a quello della natura.
Tutt’intorno, a gruppi, si
raccolgono scienziati e
filosofi assorti nella
conversazione o, comunque,
in attività speculative.
III° LIVELLO:
Statua di Apollo (sulla
sinistra): dio delle arti, del
Sole e dell’armonia.
Statua di Minerva (sulla
destra): dea dell’intelligenza.
(http://archive.sfi.it/cf/cf10/
articoli/sgarbi.htm)
>>>
78
Illustrazione 3: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 1
GEOMETRIA
COMPOSITA
DELL’AFFRESCO
SCUOLA DI ATENE
Tavola 1: illustr. 3
Si inizia identificando i punti
chiave che servono per
disporre gli assi verticali che
a loro volta porteranno a
tracciare gli assi orizzontali di
appartenenza al primo e
secondo livello del dipinto,
come elencati nel brano
precedente. Il terzo livello
sarà individuato verso la
conclusione. Si procede
dunque per gli assi
orizzontali:
1. si tracciano gli assi
verticali:
EE’ passante per l’asse del
piedistallo a sinistra segnato
dal punto Q e dove è poggiato
Epicuro.
CC’ passante per H riferito al
Ipazia d’Alessandria.
DD’ passante per P del
blocco di pietra squadrata su
cui è poggiato Eraclito col
gomito.
FF’ passante per R il centro
della sfera in mano a
Zoroastro.
II’ passante per S riferito al
volto di Raffaello Sanzio.
2. Si tracciano gli assi
orizzontali:
AA’ passante per Q’ il centro
del piatto in mano a Epicuro
ed R, il centro della sfera di
Zoroastro. Questo asse va
considerato quale secondo
livello dei filosofi. Esso pone
in evidenza particolarmente,
a sinistra il volto di Ipazia
d’Alessandria e a destra
sull’estremità il volto di
Raffaello Sanzio. Ma
vedremo in seguito che
questo asse sarà di
fondamentale utilità per
sviluppare la geometria
composita e porre in luce le
reali funzioni dei due
suddetti personaggi.
BB’ passante per la sommità
del piedistallo il cui centro è
in Q. P’ di questa linea è il
centro dell’arco LL’ che si
disegnerà in via provvisoria
ricalcando la volta.
Successivamente sarà
individuato un suo punto che
la convaliderà. Questo per
dire che il soppalco
architettonico del palazzo
della Scuola di Atene è stato
preordinato secondo le regole
79
di una geometria avvolgente
che armonizza ogni cosa.
Nulla è a caso o per
capriccio.
CC’ passante lo spigolo P
della pietra squadrata.
Quest’altro asse è invece
corrispondente al primo
livello dei filosofi. Si
individua così il punto P’
sull’asse verticale DD’.
Questo punto è il centro
dell’arco LL’ tracciato in
precedenza in via
provvisoria.
Tavola 2: illustr. 4
Entriamo ora nel vivo della
geometria composita
dell’urbinate perché vediamo
all’opera lo strumento
operativo consueto di molte
opere rinascimentali, il
ricorso alla sezione aurea.
Questa si sviluppa attraverso
il giusto segmento, da cui si
ricaverò il rapporto aureo, a
mo’ di trave ideale che
poggia sui pilastri GG’ e II’
corrispondenti alle figure di
Ipazia d’Alessandria e
Raffaello Sanzio.
Conosciamo la classica
procedura e naturalmente ne
ometto la descrizione che si
evince guardando l’illustr. 4.
Risulterà così
l’individuazione del
segmento HT che dà il valore
del rapporto aureo che è
uguale a 0,618.... Ma poi mi
Illustrazione 4: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 2
sono chiesto cosa in realtà
segnala di bello il punto T a
ragione della sezione aurea?
Forse tracciando la verticale
passante per T vediamo che
l’asse che ne deriva passa per
quel personaggio con la
tunica color viola, ma non mi
convince. Salvo a stimare
interessante il punto S’ sulla
direttrice HH’ che
corrisponde alla sommità del
capo dell’altro personaggio
con la tunica bianca e voltato
di spalle e che sale quei 4
gradini. Per ora ci penso e
poi magari si vedrà. Oppure,
vediamo, disegnando la
normale all’ipotenusa HI’’
verso il basso, nel punto S’,
sembra indicare il giovane
allievo di Euclide
inginocchiato. Sarà lui il
designato dall’auricità o forse
ancora questi ma con la
mente del tale con i capelli
biondi e tunica bianca di
80
Illustrazione 5: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 3
prima? Comunque la cosa
potrebbe rispondere a questa
domanda: se il progetto della
“Scuola di Atene” (quale
significato recondito) è nella
mani dei due, Ipazia e
Raffaello rivolti al futuro
ispirarli, come di un
mandato, chi si occuperà
appunto nel futuro di
attuarlo? Intanto ci
cominciano a confermare due
volte del palazzo (diciamo)
in progettazione nella mente
di Raffaello Sanzio.
Abbiamo visto che egli si
ispira a Ipazia d’Alessandria
come consulente architetto.
Per prima cosa il triangolo
rettangolo della sezione
aurea, impostato su H ed S,
attraverso il terzo punto I’’
coincide nel punto I’’ con
l’arco a tutto sesto LL’.
Dunque come dire OK per
l’arco LL’. Per seconda cosa
ci accorgiamo che l’asse NN’
della mezzeria del segmento
GI individua nel punto N’’
l’impostare della volta
successiva alla prima testè
considerata. Ma questo non
basta per confermarla non
avendo al momento altri
elementi per capire a che
altezza si trova N’’. Vedremo
fra poco.
Tavola 3: illustr. 5
È noto tra l’altro il triangolo
HSI’’ della sezione aurea,
dunque tutti gli altri possibili
triangoli a questo simili, sono
altrettanto aurei. Perciò per la
presente fase in elaborazione
tracciamo una parallela alla
ipotenusa HI’’ del suddetto
triangolo aureo, e partendo
dal punto Q’, corrispondente
all’asse del piatto di Epicuro
a sinistra, ci si congiunge nel
punto 0 all’asse DD’ che
divide in due parti
simmetriche il palazzo della
Scuola di Atene. Ecco la
conferma che si aspettava per
individuare esattamente la
volta appena sfiorata nel
punto N’’ in precedenza. Ed
ora di corsa per il penultimo
atto progettuale dell’eccelsa
opera di Raffaello Sanzio, ma
è assodato già che la regista
dell’opera è Ipazia
d’Alessandria. E Raffaello
Sanzio? Se Ipazia è la regista,
ovviamente dietro le quinte,
contrariamente al fatto che
appare sulla scena in modo
evidente, mentre Raffaello
appena, appena, Raffaello a
ragione del fatto scenico può
essere l’attore principale che
aspetta di entrare in scena e
così nel frattempo sbircia da
dietro il sipario.
81
Tavola 4: illustr. 6
Abbiamo stabilito (Raffaello
e Ipazia naturalmente, non io
in veste di cronista) come
eseguire le due volte,
rispettivamente di centro P’ e
O, e così procediamo per le
volte a tutto sesto successive
che sono due. Il triangolo
rettangolo aureo è la
geometria matrice per
arrivare a tanto. In
precedenza abbiamo eseguito
la tracciatura del triangolo
Q’P’’O, perciò prolunghiamo
l’ipotenusa Q’O fino a
intersecare, nel punto R’’,
l’asse verticale FF’ passante
per l’asse della sfera in mano
a Zoroastro. Di qui
procediamo a rintracciare sul
segmento Q’R la parte aurea.
Conosciamo tutti come fare
quindi saltiamo al risultato
che è l’aver individuato il
segmento aureo Q’U. Ora
non facciamo altro che
ribaltare U da lato opposto
del punto P’’ con un arco di
cerchio ed abbiamo il punto
U’. Proiettiamolo in alto
verticalmente fino a
intersecare, nel punto O’,
l’ipotenusa Q’O o Q’R’. Si
vede subito il risultato che è
quello di aver dimensionato
la terza volta che dapprima
era come poggiata sull’asse
AA’ e poi è stata sollevata.
Interessante approccio a dei
ragionamenti, non sembra?
Quasi ad immaginare la
costruzione a terra della
centina della volta e poi
sollevata al piano di
esecuzione. Ma intanto
vediamo cosa ci riserba la
conclusione della geometria
composita della Scuola di
Atene.
Illustrazione 6: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 4
82
Illustrazione 7: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 5
Tavola 5: illustr. 7
E finalmente ci apprestiamo
all’atto scenico finale che è
tutto di Ipazia d’Alessandria
in modo assoluto. È lei, come
farò vedere, che insieme a
Raffaello Sanzio un po’
“discosto”, compaiono sulla
scena della Scuola di Atene
per far calare il sipario in
modo da conciliare i due
filosofi del secondo livello,
Platone e Aristotele, ma
anche quelli del terzo livello,
Apollo e Minerva statuarie,
come dire del Sole e la Luna.
Poche e scarne parole a
commento ma è la geometria
a farlo compiutamente,
poiché l’autore del dipinto in
osservazione, Raffaello, non
ha lasciato ai posteri dei libri,
bensì opere pittoriche
favolose, nonché edifici
architettonici. L’illustr. 7 non
avrebbe bisogno di una guida
per essere chiarita, ma lo farò
di buon grado. Puntando il
compasso nel punto P, che è
lo spigolo del blocco
squadrato su cui è poggiato
col gomito Eraclito
(Michelangelo Buonarroti), si
traccia un arco di cerchio con
raggio PH fino a intersecare
in H’’ l’asse verticale DD’. È
il centro dell’ultima volta che
si vede in lontananza. Si
poteva sapere sin da
principio ma è bello vederlo
fatto ora perché la
conclusione scenica lo
suggerisce. Ma se questo
centro è esclusiva opera di
Ipazia d’Alessandria, per
conoscere il raggio della
volta occorre avvalersi di
Raffaello Sanzio fedele
all’armonia del creato
attraverso il rituale ricorso
alla Divina Proporzione, la
Sezione Aurea. Di qui,
facendo capo al triangolo
rettangolo aureo HSI’’, che
conosciamo, tracciamo la
parallela all’ipotenusa HI’’
fino a intersecare nel punto Z
l’asse orizzontale passante
per il centro H’’. Abbiamo
così definito la geometria
dell’ultima volta, quella del
cielo dei due filosofi, Platone
e Aristotele. Occorreva fare
le due procedure appena
dette contemporaneamente.
Si tratta del tema di questo
dipinto, la facoltà dell’anima
di conoscere il vero, e cioè di
approcciarsi alla scienza ed
alla filosofia. La verità non
può essere palese attraverso
un punto senza sapere della
sua esplicazione, ossia il
campo sferico che vi
riguarda. Nota di rilievo su
questa fase, che come ho
83
fatto notare si poteva fare dal
principio, almeno in parte, è
che essa è in armonia con la
collocazione del ritratto di
Eraclito aggiunto nel finale
dell’opera. Questa cosa è
stata menzionata all’inizio in
relazione alla descrizione
dell’affresco in osservazione.
Notare che è proprio nel
blocco squadrato, su cui
poggia il gomito
EraclitoMichelangelo, la
possibile spiegazione della
compiutezza dell’opera di
Raffaello. Dal lato exoterico,
consone all’ortodossia
cristiana, rappresenta la
“pietra scartata dai
costruttori” («La pietra
scartata dai costruttori è
diventata pietra d’angolo»
Gv 10,1118) e dal lato
esoterico (alchemico), la
«Pietra Filosofale». Dunque
una pietra speciale che non
poteva essere concepita che
alla fine dell’opera. A questo
punto sorge la domanda
principe (beh! diciamo
principessa...) su Ipazia
d’Alessandria della quale
sembra aver capito che è la
regista dell’opera scenica
allestita da Raffaello Sanzio
che si fa interprete quale
primo attore. E poi tutto è
stato collimato del palazzo
della Scuola di Atene, eccetto
le due statue di Apollo e
Minerva che in qualche
modo dovrebbero entrare in
relazione con i due, Ipazia e
Raffaello. Esporrò la risposta
nel prossimo brano che è
l’ultimo.
Tavola 6: illustr. 8
L’illustr. 8, come si vede è la
stessa della precedente n° 7,
ma con delle differenze
aggiuntive che fanno già
capire la risposta da dare alle
due domande del brano
precedente. Ipazia che
rappresenta di preciso per
Raffaello e qual’è la
relazione geometrica con le
due statue di Apollo e
Minerva. È presto spiegato se
si guarda l’illustr. 8, il
disegno è così eloquente che
si può stare zitti. Ma
parliamone lo stesso. Prima
cosa tracciamo gli assi
verticali che passano per la
mezzeria delle statue di
apollo e Minerva, nell’ordine
K’K’’ e XX’. Riscontriamo
subito che l’ipotenusa del
triangolo rettangolo HSI’’,
che sappiamo aureo,
interseca in X’’ l’asse
verticale XX’. In particolare
questo punto riguarda la base
della nicchia di Minerva e la
Illustrazione 8: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 6
84
parte alta del dipinto di
Tritone che rapisce una
Nereide. E questo ci può dire
ciò che volevamo sapere sul
conto di Ipazia, cosa che non
stupisce poiché Minerva è la
dea della sapienza intesa
come intelligenza e
conoscenza. Più
particolarmente mi viene da
pensare ad un rapimento in
stretta relazione con
Minerva. Una immaginaria
violenza che la lega al suo
martirio. Ma proseguiamo
per identificare la geometria
delle nicchie di Apollo e
Minerva. Si traccia l’asse
orizzontale YY’ passante per
I’’, vertice del triangolo
aureo HSI’’. Quest’asse
interseca l’arco LL’ nel
punto Y’’ che poi uniamo
con il punto P’’ dell’asse
centrale DD’. Il segmento
Y’’P’’ che così si configura è
in posizione simmetrica
rispetto all’ipotenusa P’’I’’
del triangolo aureo anzidetto.
Successivamente tracciamo
la parallela a questo
segmento partendo dal punto
S’ dell’asse verticale II’ fino
a intersecare, nel punto J,
l’asse verticale K’K’’
disegnato in precedenza.
Questo punto J rimarca la
sommità della nicchia di
Apollo ed è ciò che ci
mancava di sapere. Il resto
geometrico vede con l’asse
orizzontale JJ’ che la
sommità dell’altra nicchia,
quella di Minerva, che è nel
punto J’’’, è allineata a quella
di Apollo. La nicchia di
Apollo però è meno alta
dell’altra.
Per significare che Raffaello
si intravede in Apollo, ma
Minerva di Ipazia, pur
risultando allineata ad Apollo
è tale da stimarsi più
prossimo all’uomo. Dunque
due realtà metafisiche una
celeste, quella di Apollo
quale ideale da raggiungere
in fatto di concezioni della
scienza e della filosofia, e
l’altra terrena, quella di
Minerva che informa il
pensiero razionale.
85
ABDUCTIONS:
IL PUNTO DELLA
SITUAZIONE IN ITALIA
Gli inizi
Luciano Scognamiglio
lucianoscognamiglio85@gma
il.com è un tecnico
informatico e un ricercatore
nei campi della Coscienza,
della metafisica e
dell'universo olografico. Si
occupa anche di analisi e
risoluzione dei fenomeni di
interferenza aliena mediante
l'uso dell'ipnosi e delle
simulazioni mentali.
http://conoscitestesso.selfip.n
et/
La storia italiana delle
abduction ebbe inizio a
Genova nel 1993 quando
Corrado Malanga, allora
Responsabile del Comitato
Tecnico Scientifico del
Centro Ufologico Nazionale
(CUN), si imbatté nel caso di
Valerio Lonzi. Prima di allora
ci fu un solo precedente:
quello di Pierluigi Zanfretta
del 1978, affrontato con
l'ipnosi regressiva dal dottor
Mauro Moretti,
psicoterapeuta, che però non
ottenne risultati realmente
utili. Oggi questi sono ormai
due casi famosi, ma fino ad
allora non si era mai parlato
di rapimenti alieni in Italia:
questo causò grosse difficoltà
nelle indagini, perché non si
sapeva assolutamente come
procedere con le analisi.
Malanga, in collaborazione
con Moretti, fece allora tesoro
dei risultati ottenuti
precedentemente dagli
statunitensi Budd Hopkins,
David Michael Jacobs e John
Edward Mack, per poi
investigare, con l'aiuto della
Programmazione NeuroLinguistica (PNL) come
miglioramento dell'ipnosi
classica, quello che poteva
spiegare la vicenda di
Zanfretta, e che sembrava
essere a tutti gli effetti un
caso analogo a quelli già noti
negli Stati Uniti d'America e
studiati dai suddetti
ricercatori. In quel periodo
non esisteva alcun libro serio
sull'argomento che fosse
tradotto in italiano, eppure
l'esperienza di Lonzi
conteneva quegli stessi
elementi comuni a quelli
scoperti negli USA. Malanga
pubblicò quindi un libro che
documentava tutte le
informazioni del suo primo
caso, dal titolo “Gli UFO
nella mente”, il quale negli
anni successivi attirò molti
altri addotti italiani che
presentavano sempre le
stesse caratteristiche,
svelando una natura oggettiva
del fenomeno che sostituì in
86
breve tempo le ipotesi di
disturbi mentali soggettivi. Man
mano che i casi aumentavano,
venivano raccolte sempre più
informazioni che si rivelavano
sconcertanti: questo portò
Malanga ad abbandonare il
CUN per poter continuare la
ricerca senza i limiti che gli
impose tale organizzazione.
Bastò poco per capire che i
rapimenti alieni in Italia non
stavano iniziando tutti proprio in
quel periodo, ma semplicemente
venivano scoperti da quel
momento in poi perché qualcosa
scattava nella mente di queste
persone: Lonzi non era quindi il
primo addotto italiano, ma solo
il primo che si rese conto di aver
vissuto qualcosa di molto strano.
L'acquisizione di coscienza
Non potendo percepire ciò che
non concepiamo e che non
sappiamo tradurre con
l'esperienza del nostro vissuto, è
normale non renderci conto di
alcuni particolari del mondo che
ci circonda, anche di quelli
apparentemente più evidenti. Il
primo passo per poter capire
cosa stava succedendo a queste
persone che dichiaravano di aver
vissuto esperienze simili a
quelle di Lonzi, era far capire
innanzitutto a loro che i
rapimenti alieni sono una realtà,
per poterli poi riconoscere nella
loro vita: sarebbero stati quindi
gli addotti stessi a farsi vivi per
poter scoprire le parti oscure del
proprio passato, stabilire di non
essere pazzi, fornire
informazioni utili a trattare
meglio tutti gli altri casi, e anche
risolvere questo loro problema.
Infatti, l'acquisizione di
coscienza permette di avviare un
procedimento in tre fasi:
conoscere, accettare, migliorare.
Questo procedimento si può
applicare a qualsiasi cosa, come
in questo caso al problema delle
interferenze aliene: prima si
conosce il fenomeno, poi lo si
accetta come reale ed
eventualmente presente dentro
di sé, e infine lo si può trattare
per raggiungere una migliore
condizione. Il primo libro, di cui
furono vendute 35000 copie
(oggi fuori stampa ma
consultabile gratuitamente dal
sito Ufomachine.org per volere
dell'autore), fu dunque usato da
Malanga come esca, per mettere
la pulce nell'orecchio degli
italiani, e aspettare che fossero
loro a contattarlo. Funzionò: gli
addotti che si presentavano
divennero presto centinaia, e lo
scenario che si andava via via
delineando assumeva
connotazioni spaventose ma
sempre più precise. Questo
permise la creazione di uno
strumento in grado di stabilire
velocemente se una persona era
all'interno di questo problema,
oppure no.
Il Test di Auto-Valutazione
Data la crescente affluenza di
presunti addotti che
contattavano Malanga, venne
messo a punto il Test di AutoValutazione (TAV), che era in
grado di far capire, con diverse
decine di domande, se chi lo
compilava poteva essere addotto
o meno. Man mano che i casi
aumentavano, e che nuovi
dettagli trovavano riscontro con
le altre esperienze al punto da
poter essere considerati coerenti
con lo studio delle interferenze
aliene, venivano modificate
alcune domande e ne venivano
aggiunte altre, ottenendo così
uno strumento in costante
miglioramento che oggi è giunto
alla versione 4.01 scaricabile o
compilabile liberamente dal sito
Ufomachine.org. L'attuale TAV
è composto da 60 domande che
hanno precisi motivi di essere
poste: alcune delle risposte a
queste domande sono
determinanti, altre sono solo di
controllo. Grazie alle molte
migliaia di TAV compilati,
Valerio Lonzi
attualmente i due siti sopra citati
ospitano la più grande banca
dati al mondo sulle interferenze
aliene, cosa che permetterà
molto presto di fare un'accurata
e nuova statistica per ridurre
drasticamente il numero di
domande, conservando solo
quelle poche essenziali. Il TAV
è l'evoluzione di un primo
rudimentale test creato da
Hopkins e Jacobs, che era utile
ma non molto efficace, perché le
informazioni erano ancora
poche e si limitavano alle
caratteristiche più palesi dei
rapimenti alieni. Gli addotti,
invece, portano con sé
determinati segni fisici e
psichici di tali esperienze, e ad
oggi il TAV è l'unico test che
abbia dato dei falsi positivi ma
nemmeno un falso negativo,
come i controlli successivi
hanno potuto confermare. La
valutazione del TAV avviene in
due fasi: quella autonoma, come
suggerisce il suo nome, e quella
esterna. Nella prima fase, chi
fornisce le risposte cercandole
internamente fa riaffiorare
automaticamente dal suo
inconscio le eventuali
esperienze dimenticate, proprio
per via del modo strategico in
cui sono formulate e disposte le
domande, e quindi si autovaluta, riconoscendosi addotto;
nella seconda fase, le risposte
vengono valutate dall'esperto
87
che riceve il TAV (Malanga
stesso o un suo collaboratore) e
che fornisce una risposta diretta,
con altre eventuali domande di
approfondimento. E quando il
TAV risulta positivo?
Il recupero dei ricordi
Milton Hyland Erickson,
codificando l'ipnosi moderna, si
rese conto che c'era ancora un
20% di persone che non riusciva
ad ipnotizzare. La PNL oggi
offre gli strumenti che possono
rendere chiunque in grado di
stabilire una comunicazione
efficace con un soggetto al fine
da aiutarlo a recuperare i ricordi
apparentemente rimossi: infatti,
come dimostrano gli studi del
neurofisiologo Karl Pribram e
quelli del fisico David Bohm,
nessuna esperienza vissuta può
essere cancellata in quanto non
risiede nel cervello, ma
nell'universo olografico stesso, e
l'atto del ricordare è in realtà
una percezione. Malanga ha così
messo a punto un efficacissimo
metodo di recupero dei ricordi,
non accomunabile alla classica
ipnosi regressiva, che si avvale
anche delle attuali conoscenze
sulle interferenze aliene per
oltrepassare qualsiasi ostacolo e
recuperare completamente le
scene dei rapimenti senza alcuna
possibilità di errore o
distorsione di ciò che il soggetto
rivive. Con questa tecnica il
soggetto non è incosciente, ma
anzi è cosciente e può muoversi,
cosa che gli permette di
esprimersi al meglio anche
grazie al linguaggio non verbale,
quello del corpo, che
rappresenta un grosso vantaggio
dato che l'operatore deve
controllare costantemente la
situazione. La coscienza del
soggetto, infatti, grazie a questo
metodo non è assolutamente
diminuita o alterata, ma è anzi
espansa: la sua attenzione, la
sua consapevolezza, si dirige
verso il momento spazio-
temporale desiderato, e lo rivive
come se stesse accadendo in
quel momento. Questo metodo
rivoluzionario permette non solo
di essere applicato anche al di
fuori della problematica in
questione, ma di essere inoltre
eseguito, in parte, su se stessi e
senza bisogno di un operatore
esterno, inducendo così uno
stato di autoipnosi facilmente
controllabile e del tutto sicuro. Il
recupero dei ricordi eseguito con
questa metodologia è stato
ribattezzato da Malanga
“tecnica delle àncore” per via
dell'uso massiccio dei concetti
della PNL e degli input
sensoriali ricorrenti nei
rapimenti alieni. A questo
punto, restava solo da stabilire
se una cosa del genere si poteva
fare.
dubbio, basta fare una
considerazione sulla
preparazione degli esperti neuro
-linguisti confrontata a quella
dei professionisti
tradizionalmente riconosciuti nel
campo dell'ipnosi, ovvero
psichiatri, psicologi e
psicoanalisti: queste tre
categorie di esperti non sanno
nulla di cos'è e di come
realmente funziona l'ipnosi, e
considerando che la tecnica
proposta da Malanga non è
assolutamente un'ipnosi medica,
chiunque abbia conoscenze
avanzate di PNL è in grado di
esercitare il recupero dei ricordi,
effettivamente e legalmente, di
certo con maggiore efficacia.
Posso farlo anch'io?
Attualmente, è stimato che l'1%
della popolazione mondiale
subisce rapimenti alieni dalla
nascita, fenomeno che si
trasmette geneticamente ai
familiari per discendenza di
sangue. Il modo migliore per
capire se si è in questo problema
è eseguire il TAV, e in caso di
valutazione positiva contattare
Corrado Malanga o un suo
collaboratore ufficiale, per
procedere con una sessione di
recupero dei ricordi,
assolutamente libera, gratuita e
privata, a seguito della quale si
può decidere se e come liberarsi
dalle interferenze aliene, con
l'aiuto di un operatore del campo
o anche autonomamente. Oggi,
infatti, abbiamo i mezzi che ci
consentono di sottrarre
definitivamente gli addotti a
queste esperienze traumatiche, e
arrivati a questo punto ci
conviene andare avanti, senza
fermarci né ignorare tutto.
Perché? Rispondo con le parole
del premio Nobel russo Ilya
Romanovic Prigozin: perché
l'acquisizione di coscienza è un
fenomeno irreversibile.
Malanga, grazie agli studi
approfonditi che fece sulla fisica
quantistica con l'aiuto degli
ingegneri Alfredo Magenta e
Luciano Perderzoli, alla sua
esperienza diretta della casistica
dei rapimenti alieni, al suo
lavoro su Lonzi con Moretti per
due anni e mezzo, e alla sua
successiva formazione nella
PNL, si rese conto non solo di
essere in grado di poter eseguire
l'ipnosi di recupero ricordi con
molta facilità, ma anche di aver
avuto successo laddove lo stesso
professionista Moretti aveva
fallito. Se un dottore in chimica,
grazie anche alla sua
predisposizione e al suo precoce
interesse per la materia, che
risale a quand'era quindicenne, è
riuscito in qualcosa di lontano
dalla sua formazione
universitaria, viene spontaneo
chiedersi se effettivamente
l'ipnosi sia così pericolosa e
difficile come molti credono e
altrettanti vogliono far credere,
diffidando apertamente di lui e
di chiunque faccia la stessa cosa.
Per togliere ogni ombra di
Cosa si può fare
88
Prima manifestazione ‘nazionale di piazza’
CONTRO LE SCIE
CHIMICHE A ROMA
Andrea della Ventura
[email protected] è
un ricercatore
indipendente che si
occupa di controcultura,
entità misteriose,
esopolitica e ufologia.
Pubblica regolarmente
su riviste specializzate e
in rete gestisce il gruppo
Facebook Nuove
Frontiere della
Conoscenza.
Sabato 20 novembre ore
14:00, in Piazza Santi
Apostoli a Roma, il
"Comitato nazionale
orientamento sulle scie
chimiche" ha organizzato una
manifestazione contro le
chemtrails e H.A.A.R.P.
favorito l'afflusso alla
manifestazione che tuttavia
ha avuto l'affluenza visibile
nelle foto allegate; molti sono
arrivati più tardi, fino quasi
alla chiusura dell'evento alle
ore 18.
Un sentito ringraziamento ad
Ivana Mannino, Presidente
del Comitato e fondatrice di
SCIE CHIMICHE...HAARP
in facebook, per essersi
adoperata nell'organizzazione
dell'iniziativa; è stata lei
infatti ad averla proposta e ad
aver ottenuto l’autorizzazione
dalla Questura di Roma.
Organizzatrice
dell’iniziativa
La pioggia, insistente fino
alle ore 15.30, non ha certo
Ho avuto modo d’incontrare
personalmente Ivana dopo
esserci sentiti per diverso
tempo via e-mail; ero curioso
in particolare di conoscere
qualche sua impressione e di
sapere come fosse nata l’idea
di organizzare una
89
manifestazione per dire ‘No
alle SCIE CHIMICHE’.
Queste le sue parole: “Mi
sono avvicinata a questo
fenomeno non come molti
credono trasportata da
opinioni altrui, ma per un
fatto prettamente individuale;
sono stata sempre una fan di
tutto ciò che è natura e
naturale... Una sera tarda
d'estate, tornando a casa
mentre chiudevo la macchina,
ho sentito un rombare sulla
mia testa; d'istinto ho alzato lo
sguardo stupita... bhe! Sotto il
pallido chiarore della luna
piena mi si è presentato uno
spettacolo che da allora in poi
è diventato il motivo della mia
lotta; il cielo era
completamente ricoperto da
delle scie compatte, ad una
distanza l'una dall'altra quasi
le avessero misurate con una
squadra. Mi sono seduta su un
muretto e da lì a due ore ho
contato 3 aerei (sembravano
aerei civili); grazie alle luci di
posizione sono riuscita a
vedere che, arrivati ad un
certo punto in fondo alla
vallata, viravano e tornavano
indietro sempre volando
troppo bassi. Alla fine ho
contato 43 scie... Incredibile!
Il giorno dopo mi sono
assicurata se ci fosse stata
qualche esercitazione...
Niente! Ho cominciato ad
indagare... andata su internet..
e ho scoperto un mondo a me
sconosciuto... Mi sono
documentata, ho fatto delle
ricerche approfondite; il
fenomeno è da tempo che
esiste... Ho aperto un profilo
su Facebook; poi ho fondato il
gruppo SCIE
CHIMICHE...HAARP. Ho
cercato di sensibilizzare la
gente con volantini
informativi... internet è
grandioso ma dopo tante
90
parole bisognava alzarsi e
concretizzare la lotta oltre i
convegni, con il
volantinaggio; ecco il motivo
che mi ha portato a
promuovere la manifestazione
del 20 novembre a Roma.
Questo per me è solo
l'inizio....”
Attivismo contro le
“chemtrails”
Gli attivisti che si adoperano
contro le operazioni
comunemente conosciute
come ‘scie chimiche’ sono di
varia estrazione. Provengono
da zone diverse del paese,
soprattutto dagli estremi di
esso: coste e zone montuose.
Evidentemente da queste
parti dello stivale le attività
di irrorazione risultano esser
più visibili; molti di loro, ma
non tutti, associano il
fenomeno ‘scie’ con le
emissioni di radio onde del
progetto HAARP (di cui ho
parlato anche in un
precedente articolo dal titolo
“Nella Bocca del Vulcano”).
Bisogna ringraziare anche le
Forze dell'Ordine
rappresentate dai Vigili
Urbani, dalla Polizia di Stato
e dall'Arma dei Carabinieri:
tutti sono stati estremamente
gentili e comprensivi della
difficile situazione creata
dalla pioggia. Il tempo infatti
non è stato clemente, ma
sono andato lo stesso. Quello
che posso dire è: c’ero anche
io, la prossima sarà più
numerosa. Non so quanti
eravamo, ma c’eravamo.
Molti sono sicuri sugli scopi
di queste operazioni
clandestine ed affermano che
siano sistemi d’arma
climatica. Altri di loro invece
sono sicuri che questa nuvola
metallica serva soprattutto a
propagare radio-onde allo
scopo di effettuare un
controllo mentale di massa.
Altri invece non sono sicuri
di nulla. Una parte di loro,
per così dire, sono criptoufologi, ossia sono sicuri
dell’interferenza aliena in
queste operazioni ma
preferiscono non palesare la
loro convinzione.
Intervento telefonico di
Rosario Marcianò
Curioso però che alla
Manifestazione, solo uno
striscione urlasse: ‘Piero
91
Angela, noi sappiamo…’ ed
alla fine del testo compariva,
inquietante, una faccia di un
‘grigio’; probabilmente a
significare che anche la gente
che va in piazza inizia a
divulgare o comunque a far
capire ‘guarda che io so, e
come me, molti altri’. Una
parte degli attivisti teme
comunque queste
interpretazioni per paura di
cadere nel ridicolo e
stigmatizza questi interventi.
Durante l’iniziativa è stato
piacevole ascoltare il
sottofondo di musica classica
barocca, ma, soprattutto, il
discorso del Prof. Vittorio
Iori e l'intervento via telefono
di Rosario Marcianò, che,
con la sua voce amplificata,
si è epifanicamente ed
empaticamente
materializzato nella piazza.
A parte i distinguo cui ho
fatto cenno prima, però
possiamo dire che un
movimento esiste! Esiste cioè
una piccola fetta della
popolazione italiana che è
pronta a scendere in piazza,
in modo totalmente pacifico,
per protestare affinché
cessino tali irrorazioni o,
perlomeno, perché se ne
possano conoscere scopi e
composizione.
Nascita di un movimento
globale
Grazie anche ai molti eroici
intervenuti da Palermo,
Torino, Bolzano, Taranto, La
Spezia, Padova, Livorno ecc.,
tutti riuniti per la causa che
in qualche modo ci
accomuna tutti; spero che
anche in futuro ognuno di noi
ci metta impegno, serietà ma
soprattutto costanza; i piccoli
uomini spesso fanno grandi
cose! Il 20 novembre
abbiamo contribuito a dare
vita alla prima protesta
pacifica in piazza; tra l’altro
non eravamo soli, infatti in
varie città europee e nel
mondo, altri hanno
manifestato quasi a formare
una cosa sola!!!
Questo movimento globale
dialoga con le sue varie
componenti che giungono da
‘luoghi’ diversi e
tradizionalmente distanti
dell’attivismo politico, anzi,
alcuni non sono proprio
attivisti politici e questo fa
ben sperare; molti non sono
venuti alla manifestazione
ma erano lì con il pensiero,
ognuno di noi però può fare
qualcosa nel suo piccolo, già
parlarne è molto.
Personalmente confermo
l'esistenza del problema;
anche i continui messaggi
subliminali in cartoni, film e
pubblicità costituiscono una
prova assoluta che il progetto
e' reale e di dimensioni
enormi. Non ritengo che i
tempi siano immaturi per
sensibilizzare le masse; da un
certo punto di vista è
sconcertante che a un
problema così globale
s’interessino soltanto poche
persone... e poche altre se ne
interessino senza ottenere
risposte convincenti e
chiarificatrici... Qualcuno
ironicamente ha anche
invitato a riflettere su come
mai proprio in questo giorno
il tempo fosse così
sfavorevole; purtroppo su
Roma c'èra il diluvio... poi è
uscito un po’ di sole.. che sia
l'inizio di qualcosa più
grande...
Campagna di
disinformazione…?
Mai manifestazione è stata
più serena e rispettosa delle
esigenze della città, in effetti
si è trattato di un piccolo sitin e di un’occasione d’
incontro tra blogger e
persone unite dall’incredulità
e dal risentimento e per
protestare contro il clima di
colposo silenzio delle
autorità sul tema; eppure
Ivana Mannino ci ha
comunicato che poco prima
dell’inizio di quest’iniziativa
sono girate su Facebook voci
molto contraddittorie e non
autorizzate dal gruppo SCIE
CHIMICHE…HAARP che
propinavano un rinvio per
pioggia. La manifestazione si
è svolta regolarmente sabato
20 novembre, dispiace per
coloro che non hanno potuto
partecipare a causa di queste
voci infondate; è ovvio che
un sit-in non si può annullare
e rinviare poco prima
dell’inizio, se non per cause
di forza maggiore ed
estremamente gravi. La
Questura inoltre aveva
mobilitato mezzi e uomini;
ritengo che chi si sia
permesso senza consultare
Ivana di diffondere un
eventuale rinvio, abbia
commesso una grave
leggerezza e mancanza di
rispetto, anche nei confronti
delle persone già giunte a
Roma.
Fonti:
www.tankerenemy.com
www.sciechimiche.org
cieliliberi.blogspot.com
lalternativaisaia.blogspot.co
m
92
APPENDICE
di Gianluca Rampini
È la prima volta che
affrontiamo questo
argomento sulla nostra
rivista. Questo dipende da
quanto sia difficile
affrontarlo in maniera seria
ed efficace. Non voglio
intervenire nel dibattito con
la mia personale opinione, ho
preferito rispolverare
un’intervista che non avevo
mai pubblicato su queste
pagine al direttore di Nexus
Italia, Tom Bosco. Tom è da
molti anni che si occupa di
questo argomento e si batte
per che diventi di dominio
pubblico. Qualsiasi sia la
verità dietro a tutto questo
ritengo valga sempre la pena
saperne di più che di meno.
Di certo il comportamento di
governi e multinazionali, in
molte altre circostanze, non
lasciano ben sperare
nemmeno in questa ma per
quanto valida questa
discriminante non può
bastare per prendere una
posizione. Quel che è certo è
che i cieli azzurri e le belle
nuvole bianche sono sempre
più rare, mentre patine
vischiose e strisce biancastre
sono obiettivamente
all’ordine del giorno. Da
qualsiasi angolazione la si
guardi, da quella più
pessimistica a quella più
comprensiva delle necessità
del progresso, ciò è sbagliato
e di certo ha un prezzo. Vi
lascio all’intervista.
E' vero che le scie di
condensazione si formano
solamente a determinate
condizioni, quali -40°,
sopra gli 8000 metri e a
certe condizioni di
umidità? Se lo chiedessimo
ad un pilota di linea onesto
sarebbe d'accordo secondo
te?
Anni fa, quando si cominciò
a parlare dell’argomento,
domandai espressamente e
di persona a un amico
pilota, comandante anziano
in Alitalia, a partire da
quale quota possono
formarsi le scie di
condensazione. Egli mi
rispose “a partire dal livello
di volo 240”, che tradotto
significa a partire da 24.000
piedi, vale a dire all’incirca
8.000 metri di quota.
Consultando la letteratura
scientifica esistente, si
evince che le condizioni
indispensabili alla
formazione di una scia di
condensazione sono una
temperatura di -40°C o
inferiore, un’umidità
relativa intorno al 70% e
valori idonei di pressione,
normalmente riscontrabili
appunto a partire da circa
93
8.000 metri. I “debunkers”,
per confutare questi dati
incontrovertibili, tirano in
ballo un oscuro documento
risalente agli anni ‘50
secondo il quale in
determinate condizioni una
scia di condensazione può
prodursi anche a una
temperatura intorno ai 0°C;
anche ammesso che sia così,
condizioni eccezionali non
possono rendere conto
quantitativamente del
fenomeno delle cosiddette
“scie chimiche”, così come
viene denunciato da
parecchi anni in numerose
località del pianeta.
Una delle principali
caratteristiche delle scie
chimiche è il fatto che non
si dileguano ma che
perdurano nel cielo
espandendosi e coprendolo
con un velo lattiginoso.
Puoi descriverci
brevemente quali sono le
teorie più accreditate sulla
loro funzione?
Prima di occuparci delle
teorie, atteniamoci ai fatti
documentati e dimostrabili.
In concomitanza delle vaste
operazioni di aerosol cui è
stato dato l’appellativo di
“scie chimiche”, si verifica
immancabilmente una
modificazione del clima, il
più delle volte con la
dissoluzione delle nuvole
formate dai fronti freddi e
umidi in arrivo e
conseguentemente
l’inibizione delle relative
precipitazioni. Quindi si
tratta sicuramente di
tentativi di controllo e
manipolazione del clima,
perfettamente in linea con
numerosi documenti emersi
negli ultimi anni, in primis
“Controllare il Clima entro
il 2025” redatto
dall’aeronautica militare
statunitense.
D’altra parte, l’anomalo
materiale che sembra essere
presente in questi aerosol
(solfato di alluminio, sali di
bario, polvere di quarzo,
microfibre di natura
tecnologica, nonché a volte
materiale biologico, etc.),
soprattutto il finissimo
particolato metallico, è
particolarmente adatto a
mutare ed aumentare la
conducibilità elettrica
dell’atmosfera, ottimizzando
in tal modo l’efficienza di
sistemi d’arma
elettromagnetici come
HAARP (truffaldinamente
spacciato per esperimento
scientifico destinato allo
studio dei fenomeni della
ionosfera, e che è stato più
volte denunciato dal
parlamento europeo nonché
dalla Duma russa). Le
possibilità offerte da questa
tecnologia sono tante e tali
che rimando i lettori
interessati alla vasta
letteratura reperibile in rete,
ma il suo valore strategico
non può essere negato né
ignorato. Entrando nel
campo delle ipotesi, è chiaro
che indurre la siccità in
vaste aeree prescelte
significa devastare
l’agricoltura tradizionale di
interi paesi, spalancando le
porte al mercato degli OGM
e a quei colossi industriali
che da anni fanno veramente
di tutto per imporre alle
popolazioni questa
tecnologia, con la scusa che
è l’unica che può risolvere il
problema alimentare del
pianeta e sconfiggere la
“fame nel mondo”,
nonostante sinora le
evidenze dimostrino l’esatto
contrario.
Qualcuno arriva a postulare
connessioni ancor più
sinistre, tirando in ballo
esperimenti di tipo biologico
sulle popolazioni: per
quanto possano sembrare
paranoie esagerate o
sgangherate “teorie del
complotto”, devo dire che
alcuni eventi assai ben
documentati, verificatisi
negli USA e in Canada,
suggeriscono di non
scartare a priori questa
possibilità. La storia
insegna che cose del genere
sono già avvenute, salvo
scoprirlo con decenni di
ritardo, come gli
esperimenti nucleari
statunitensi effettuati sulla
popolazione ignara negli
anni ’50 e ’60, per i quali
negli anni ’90 l’allora
presidente Clinton chiese
scusa al paese in diretta
televisiva nazionale.
Accantonata per un attimo
la questione
dell'inopportuno segreto
mantenuto su questo
discorso dai governi, in
cosa consiste la loro
pericolosità?
Anche in questo caso,
suggerisco una ricerca in
rete sugli effetti negativi per
la salute umana di alcuni
composti presumibilmente
presenti in queste scie, in
particolare il bario e
l’alluminio. Recenti studi
hanno collegato
quest’ultimo a patologie
degenerative come
l’Alzheimer, che negli ultimi
anni ha raggiunto
proporzioni quasi
epidemiche presso le
popolazioni dei paesi
94
occidentali. Naturalmente
può essere una coincidenza,
ma non ci metterei la mano
sul fuoco. Comunque il
pericolo maggiore è dovuto
al fatto che non sappiamo
effettivamente che cosa
viene di volta in volta
nebulizzato nell’atmosfera,
né a quale scopo. Autorità e
governi negano
pervicacemente l’esistenza
di queste operazioni, ma si
guardano bene dal fornire
una prova ai cittadini che
invece le denunciano,
ovvero un campionamento
dell’atmosfera in quota volto
a stabilire e dimostrare che
quelle scie e quelle nuvole
anomale altro non sono che
semplice vapore acqueo.
questione. In realtà qualche
presunto insider si è fatto
avanti, ma il fatto che abbia
voluto mantenere
l’anonimato ne ha inficiato
la credibilità. D’altra parte,
considerato l’elevato livello
raggiunto dalla tecnologia
dei cosiddetti “droni”
teleguidati, non è peregrino
ipotizzare che una
considerevole parte dei
velivoli osservati in realtà
siano privi di equipaggio.
Resta il problema
dell’enorme logistica
implicata, ma alcuni aspetti
su cui al momento preferisco
non soffermarmi a causa
della loro elevata stranezza
potrebbero fornire in futuro
una spiegazione adeguata.
Parliamo di mezzi e
personale. Secondo te gli
aerei coinvolti sono mezzi
adibiti esclusivamente a
questo scopo oppure sono
coinvolti anche i mezzi
civili?
Spesso sono stati
immortalati oggetti non
identificabili accanto alle
scie. Supponiamo si tratti
di Ufo. Senza voler
specificarne l'origine,
terrestre o meno, che
rapporto credi ci possa
essere tra i due fenomeni?
Non escludo che in qualche
modo siano coinvolti anche
vettori civili, benché sia
difficile stabilire in che
misura e con quali modalità.
Con una simile flotta
anche il personale di volo e
non deve essere
numericamente cospicuo.
Com'è possibile che
abbiamo mantenuto un
così stretto riserbo su un
argomento così scottante?
In altri campi, altrettanto
delicati, spesso degli
"insider" si sono fatti
avanti per raccontare le
informazioni di cui sono
venuti in possesso.
Questo è uno degli aspetti
più controversi dell’intera
Per definizione, essendo non
identificabili, sono
esattamente UFO. Che vi sia
una stretta connessione fra i
due fenomeni è indiscutibile,
ma i motivi di questa
presenza anomala restano
ignoti, pur se naturalmente
si possono formulare delle
ipotesi, come ad esempio
quella di un possible
monitoraggio da parte di
qualcuno, chiunque sia.
Nella maggior parte dei
casi, ritengo si tratti di
“sonde telemetriche”,
quindi senza equipaggio di
qualsivoglia natura. Come
aspetto e modalità ricordano
molto i "foo fighters", strani
oggetti volanti osservati e
fotografati durante la
Seconda Guerra Mondiale
mentre seguivano da vicino
velivoli militari, tanto
dell'Asse quanto Alleati.
Molto spesso quando si
parla di scie chimiche si
nomina anche il progetto
HAARP. Che relazione ci
potrebbe essere?
Penso di aver già risposto a
questa domanda, ma
aggiungo che a mio modo di
vedere si tratta di due
sistemi d’arma indipendenti
fra loro ma
straordinariamente adatti a
lavorare in sinergia, proprio
a causa delle rispettive
caratteristiche. Se qualcuno
obiettasse all’utilizzo del
termine “sistema d’arma”,
ricordo che nella prima
bozza di un disegno di legge
del 2001 contro la
militarizzazione dello spazio
esterno, presentato al
Congresso USA dal deputato
democratico Kucinich,
compariva il termine
“chemtrails” nella sezione
“armi esotiche”.
Come spesso accade negli
ambiti del potere "ombra"
i potenti non si
preoccupano nemmeno di
nascondere il fenomeno, lo
mettono sotto gli occhi di
tutti quasi sfottendoci e
dimostrandoci così di
essere intoccabili. Un po'
come fa la massoneria,
quella vera non quella da
quartiere, che espone in
bella vista i propri simboli
di potere in tutte le città
del mondo. Non credi che
prima o poi questo
atteggiamento gli si
rivolterà contro?
95
Non so che dire. Oggi vedo
tranquillamente accadere,
nel nostro paese e nel
mondo, cose che solo
qualche anno fa avrebbero
mobilitato milioni di persone
nelle piazze. Ricordo
quando il pianeta si fermò
per (mi si passi la volgarità)
un pompino nella Sala
Ovale della Casa Bianca,
mentre nel 2001 e
soprattutto nel 2003 nessuno
ha mosso un dito di fronte
all’invasione del tutto
immotivata prima
dell’Afghanistan e poi
dell’Iraq da parte degli
USA, col risultato a tutt'oggi
di centinaia di migliaia di
vittime civili. Per carità di
patria non mi dilungo su
quel che è accaduto e
continua ad accadere in
Italia (ad esempio, io non ho
dimenticato i gravissimi fatti
di Genova del 2001). Non
sarà mica che anche questa
narcolessia imperante possa
essere messa almeno
parzialmente in relazione
con l’argomento di cui ci
stiamo occupando? Ad ogni
modo, le autorità sanno
benissimo che il miglior
modo per nascondere
qualcosa è metterlo sotto gli
occhi di tutti… e in effetti,
chi potrebbe razionalmente
credere che i nostri governi
stiano davvero facendo
quello che fanno? Si tratta
di un meccanismo
psicologico ben conosciuto
dai “burattinai”: se
qualcosa è troppo difficile o
doloroso da accettare come
verità, entra in gioco un
sistema “protettivo” di
negazione, rimozione e
riduzione in termini che lo
rendono accettabile per
l’individuo.
Quale sarebbe lo
strumento, l'azione o l'idea
che potrebbe dimostrare
una volta per tutte che le
scie chimiche sono quello
che si teme che siano?
Secondo me, la questione
verrà definitivamente risolta
una volta che sarà possibile
realizzare un
campionamento
dell’atmosfera in quota, in
concomitanza col verificarsi
del fenomeno in oggetto.
Naturalmente sarà
necessario stabilire un
protocollo tecnico adeguato,
ma non vedo problemi
insormontabili ad
organizzare la cosa.
Solo un accenno a quelle
"nuove nuvole", chiamate
asperatus, che alcuni siti
meteorologici hanno
cominciato a catalogare.
Potresti spiegarci cosa ne
sai in proposito? Ho
rivolto questa stessa
domanda alla "Royal
Meterological Society" ma
la risposta è rimasta
abbastanza vaga.
Non ne so molto più di
quanto è già stato scritto
sull'argomento, se non che il
fenomeno è meno recente di
quanto si sia indotti a
pensare e guarda caso
coincide con la messa in
funzione e i primi
esperimenti del sistema
HAARP. Se fosse un
fenomeno naturale, sarebbe
assai meno frequente di
quanto invece non abbia
dimostrato di essere
nell'ultimo decennio. Quindi
ritengo abbia una
componente artificiale, da
addebitarsi agli strani
esperimenti elettromagnetici
che vengono condotti
nell'alta atmosfera. Sempre
che non abbiano nel
frattempo cessato di essere
esperimenti per diventare
operazioni vere e proprie,
come lascerebbero intendere
le recenti dichiarazioni del
Generale Mini...
Per concludere. Ritieni che
dietro all'evidente
aumento di questo
fenomeno non naturale vi
sia un programma con dei
tempi da rispettare? Come
evolverà secondo te questo
problema nei prossimi
anni (ad esempio verso
l'incombente e temuto
2012)?
Questo è un terreno
estremamente insidioso: di
fatto, nessuno può davvero
sapere cosa accadrà in
quella fatidica data.
Ricordiamoci le aspettative
e i timori che circondavano
il capodanno del 2000 (Y2K,
etc.), e quello che poi è
realmente accaduto, e cioé
nulla. Ciò detto, non mi
sento assolutamente di
escludere che questo ciclo di
operazioni nei nostri cieli
possa essere un lavoro di
preparazione in vista di
eventi previsti o ipotizzati in
relazione all’anno 2012, di
qualunque natura essi siano.
Nota: Voglio concludere
quest’intervista con una nota
positiva. L'effetto e
l'assunzione delle sostanze
contenute nelle scie, qualsiasi
sia la loro funzione, può essere
contrastato efficacemente con
l'assunzione di alghe brune.
Grazie alla loro proprietà i
metalli pesanti presenti nel
nostro organismo possono
essere lentamente smaltiti.
96
VIAGGIO NELLA
WEST VALLEY
DI MARTE
III° e ultima parte
Matteo Agosti
[email protected],
classe 1967, è un reporter
freelance dal 1987. Ha
collaborato con i quotidiani
genovesi, e in ambito
paranormale,
ufologico e archeo misteri
con Area di Confine, il
Giornale dei Misteri,
Mystero, XTimes, Hera e
Ufo Magazine. E' tutt'ora
collaboratore della Acacia
Edizioni.
Per paradosso, se dovessimo
passeggiare in West Valley,
potremmo constatare la
particolarità di alcune aperture
rocciose (fig1). Da queste
(congettura), si
accederebbe in
un mondo
sotterraneo
costituito da
una rete di
gallerie,
cunicoli ed
antri abitativi,
magari estesi
quanto una
metropoli. A
giudizio di
pochi
ricercatori off
limits, là sotto
il popolo dei
cosiddetti
“Kroft”
vivrebbe
indisturbato, o per ironia,
turbato dal transito Mars
Rover. L'emergente realtà
marziana ogni anno arreca
novità, ogni mese un tassello
97
masse interessate al loro
materiale: l'inganno. Tuttavia,
con potenti software è
possibile ripristinare sino al
30% (impossibile oltre) la
qualità di un file manipolato;
altresì per ottenere il top,
esistono hardware
monitorizzati assai costosi
(migliaia di euro, non
commerciali come i Texas
Instrument) prodotti per uso
di laboratorio industriale,
capaci di ricostruire un file al
90%. Non solo i file
necessitano di pulizia per
scovare cosa si annida negli
anfratti marziani (fig2), ma
pure le nefandezze
mediatiche prodotte da tv e
stampa; nel giugno 2010
alcuni quotidiani
pubblicarono una
dichiarazione del presidente
viene aggiunto al mosaico
della verità, e ogni qualvolta
mi cimento nella analisi
grafica dei files del Jpl, mi
accorgo dell'inqualificabile
manipolazione che la Nasa
apporta su di essi. Non è una
novità; possiedono sofisticati
hardware grafici in grado di
impastare più oggetti/soggetti
sul terreno, in modo da farli
apparire sassi e rocce, o in
altri casi, da rendere la
profondità di campo così
sfocata da non distinguere
nulla; così facendo, la Nasa
inganna internauti
catatonicamente idonei ad
intendere tutto per "oro
colato". Chi
professionalmente si intende
di fotografia, può accorgersi
dello scempio applicato sui
fotogrammi. In una città,
quanti potrebbero emulare
l'arte e la conoscenza
fotografica di (uno a "caso")
Andreas Feininger? Pochi.
Perciò, scontato è il risultato
che la Nasa ottiene sulle
98
Obama: “nel 2035 invieremo
l'uomo su Marte”. Già mi
espressi nell'articolo
precedente circa i numerosi
“rinvii” Nasa per missioni su
Marte; l'ultimo
“aggiornamento” rilasciato
dalle fonti statunitensi,
indicava il 2020, oggi
ulteriormente posticipato di
15 anni.. non pochi se
consideriamo la fugacità
della nostra vita. Ennesima
bufala? Per mia
considerazione sì, in via del
fatto che l'uomo, su Marte
deve averci già messo piede
in tutta segretezza (su
99
YouTube si veda il video
titolato: Viaggio sul Pianeta
Rosso), e forse, come
affermano Michael Wolf,
Bob Dean, John Lear, Dave
Beamer ed altri, esisterebbero
basi di sospetta matrice
terrestre ed aliena,
esattamente come si sospetta
sulla Luna. Il timore di un
inganno mondiale perpetrato
dalle agenzie spaziali, non è
una delirante idea, ma un
tangibile e legittimo sospetto.
Secondo alcuni “colleghi”
d'oltreoceano (membri
Exopolitic Institute), tra quali
Andrew Basiago, Laura
Magdalene Eisenhower,
Steven Greer e Emily
Elizabeth Windsor Cragg, i
file scaricabili gratuitamente
on line, per stima
approssimativa
rappresenterebbero una
miserevole percentuale
rispetto a ciò di cui la Nasa
sarebbe in possesso, e che
mai probabilmente
divulgherà per ovvie ragioni
di segretezza governativa.
"Se" le cose stanno così,
perchè la gente non dovrebbe
sapere la verità?
Immaginiamo cosa
accadrebbe se un giorno
venisse alla luce l'inganno
globale.. masse e comunità
scientifiche di ogni paese
insorgerebbero; sarebbe il
caos. Quest'ultimo però,
potrebbe anche non
verificarsi se, i governi e le
loro istituzioni raccontassero
democraticamente tutta la
verità e nient'altro che la
verità (non accadrà mai, è
pura utopia). Sino a prova
contraria, la storia dimostra
che le consolidate "soluzioni"
e i "metodi" che i potenti
hanno adoperato per
manipolare e pilotare le
masse, continueranno a
esercitarli sempre con
maggiore efficacia al fine di
renderci ciechi (ed
"inconsapevolmente" schiavi)
attraverso la disinformazione
divulgata dai mass media. Il
rimedio? Molti suggeriscono
di non arrendersi, ma io sono
convinto che non esiste.
L'umanità fu creata per essere
schiava per servire, adorare
ed obbedire alla volontà del
proprio Dio o Dei (in carne
ed ossa si intende) di propria
appartenenza. Certo,
possiamo continuare a
cercare in tutte le direzioni e
analizzare quelle briciole su
cui ci è concesso di indagare,
ma questo (a mio avviso) non
100
cambierà le probabili sorti a
cui l'umanità sarebbe
destinata (saremo tutti
microchippati?); se la Bibbia
non è eresia, senza il
"marchio" non potremo fare
acquisti. E' un pensiero che
mi colma di una tristezza
incommesurabilmente più
grande di tutte le falsità che
la Nasa ha espletato (molto
spesso su Marte). Nella
casistica marziana, in fig4
sono constatabili strani
piccoli elementi sferoidali
fuoriuscenti dal terreno della
West Valley; nel 1999, su
altri file della Nasa si creò
scalpore circa strane sfere sul
terreno, che al successivo
passaggio fotografico, alcune
risultarono essere cambiate di
posizione (fig5 in basso,
curiosa anche "l'impronta"
circolare impressa sul
terreno). E' un argomento che
meriterebbe di essere
approfondito, poiché la
singolarità di succitati
elementi, differisce da quello
che può essere definito un
“aspetto roccioso”. Se non
altro, la linea di ricerca che
potrebbe inneggiare il (mio)
motto “attenti alle rocce
marziane perchè non tutte
sono rocce”, è condivisa dai
membri dell'Exopolitic
Institute, dai quali però, il
101
sottoscritto si tiene a
ragionevole distanza di
sicurezza. Vorrei sottolineare
che la ricerca denominata
“The discovery of life on
Mars”, così fu definita
dall'autore Andrew Basiago
con una blanda analisi grafica
cominciata in West Valley,
ambito in cui egli,
praticamente si è
autoproclamato scopritore
della vita marziana, quando
invece, ben altri ricercatori
(Ben Harris, Dave Beamer e
John Graham) lo precedettero
di un anno insieme al
sottoscritto. Le immagini
pubblicate on line da tale
ricercatore, non offrono
apprezzabili risultati (tranne
l'umanoide che ho illustrato
in parte I°); la contestualità
dei dettagli è povera, priva di
elaborazioni grafiche atte ad
ridurre la manipolazione
Nasa. La filosofia che
prediligo, è mostrare dettagli
( fig5) nella massima
risoluzione ottenibile col
software, e divulgarla con
onestà. Purtroppo, nel
contesto esopolitico di Marte
(e non) non mancano
speculazioni: non ne abbiano
i “colleghi” dell'Expolitic
Institute fondato da Michael
Salla
(www.exopoliticsinstitute.org
), del Seti (www.seti.org), del
Project Pegasus di A.Basiago
(www.projectpegasus.net) e
Orion Project di S.Greer
(www.theorionproject.org),
tutti organi di ricerca e di
“divulgazione” non del tutto..
gratuita. Può accadere che
per accedere ai relativi
archivi di questi canali (quale
"occulto materiale"
custodiscono?) occorre
divenire membri (a
pagamento ovviamente) con
tanto di tariffe mensili,
semestrali e annuali (pagate
un triennio e andrete a cena
con ET). Non mancano poi, i
102
famosi “corsi” di istruzione
sui fenomeni extraterrestri
per la modica cifra di $2500;
alla stregua dei fatti, per
apprendere elementi “top
secret” (che già tutti
conosciamo), è necessario
sborsare quattrini, per i quali
lo speculato iniziò a
germogliare proprio in West
Valley con relativi elementi
(fig6). Su quella valle, è
accaduto di tutto e di più:
dalla speculazione agli
infantilistici scontri tra
ricercatori contendenti un
primato (“questo l'ho
scoperto io e questo lo hai
scoperto tu”),
dall'indifferenza dei network
all'arroganza delle cattedre
103
scientifiche, dal cover up ai
misteriosi anfratti marziani,
dalla crudeltà della stampa
locale alla censura delle
ricerche di frontiera. I
ricercatori che varcano quella
linea di confine che la
"scienza ufficiale" vorrebbe
rendere invalicabile, sovente
(è una realtà!) vengono
accusati di eretismo e
screditati nella maniera più
subdola, infamante e
discriminatoria che un essere
umano possa concepire (ci
sono passato anche io..). Dice
un passo buddista: colui che è
nel giusto verrà infamato in
lungo e in largo, ma una
buona reputazione andrà
ancora più lontano. Questo
sta a significare che,
chiunque si prodighi in quel
tipo di ricerca considerata
"scomoda", dovrebbe
continuare a seguire il suo
orizzonte, piuttosto che
bruciare l'esistenza giocando
a carte in un bar,
deneuronizzarsi nei forum
"ufologici" on line,
infervorandosi dietro a palle
rotolanti nello stadio e
idolatrare programmi
“educativi” all'insegna della
grande suocera o isole dei
noiosi, probabilmente
insopportabili anche per gli
abitanti del pianeta rosso. A
sostenere l'esistenza di
abitanti sotterranei su Marte e
altri pianeti o lune del
sistema solare, direi di essere
sempre stato in buona
compagnia, poichè ricercatori
di ogni nazionalità, sono
paralleli al tipo ricerca che
coltivo da qualche anno. E'
un ambito di divulgazione
difficile da portare avanti, in
quanto è ignorato dai mass
media, nella fattispecie se
trattasi di ricercatori
indipendenti. Tutta la
conoscenza che conosciamo e
non conosciamo, dovrebbe
essere a portata dell'umanità,
tutt'oggi quasi del tutto ignara
della realtà marziana di oggi
e del suo passato. Pertanto,
da quel passato remoto ad
oggi, il terreno marziano
restituirebbe qualcosa
affiorante in superficie (fig7).
Potrebbe essere solo una
roccia (assai inconsueta),
come potrebbe essere ben
altro. Dal mio punto di vista,
potrebbe trattarsi della
sommità di una statua
monumentale, sopravissuta
alla antica tragedia marziana
che sconvolse la superficie
del pianeta (pioggia di
meteore). La sua condizione
attuale, la indicherebbe come
semi sepolta in un terreno
costituito da supposti detriti
rocciosi, ed i suoi lineamenti,
sono sufficientemente
simmetrici da poter
determinare una fattezza
monumentale. Il suo profilo
riporta alla mente immagini
scultoree dell'arte grecoromana (per approssimativa
comparazione, nell'immagine
ho inserito una mezza
104
faccia di Ares, alias Marte
divinità). Secondo la studiosa
Helen M.Canterbury, durante
il declino ambientale di
Marte, un gruppo di superstiti
marziani sarebbe sceso sulla
Terra nel vano tentativo di
conquistare Atlantide; ciò
malgrado, successivamente
sarebbero tornati ad unirsi
pacificamente agli Atlantidei
per integrare la loro cultura, a
sua volta poi, diffusa da
Atlantide nel territorio
dell'antico Egitto, dove le
faraoniche vestigia della
piana di Giza (sfinge e
piramidi), a detta dell'esperto
Graham Hancock
testimoniano le ultime
vestigia atlantidee. Il Dio
Ares, nell'idolatria egiziana
era identificato con la divinità
di Horus, Dio con la testa di
uccello (o di falco)
cosmologicamente associato
a Marte. Tra i ricercatori di
mia conoscenza, non è
mancato chi (dico solo il
peccato) con coraggio, asserì
di aver identificato Horus
pietrificato sulla superficie
marziana (visto il dettaglio,
constatai che il collega
soffriva di allucinazioni).
Lungi da illustrare rocce allo
stato puro, non esito a
mostrare anomalie che sul
terreno, potrebbero essere
scambiate per comuni sassi
(alto fig8)... teschi? O solo
curiose sporgenze (basso
fig8)? In veste di Ponzio
Pilato, ancora una volta
lascio l'ultima parola al
lettore (saggia decisione).
Ben altro però (mi rendo
conto) occorre per inchiodare
lo scetticismo degli
inquisitori. Nelle prime
battute, accennai a quella che
potrebbe essere la realtà
sotterranea di Marte, per
supposizione, ramificata su
una imponente rete di
cunicoli e gallerie. Di queste
ultime per l'appunto, ritengo
di averne individuata una
straordinariamente visibile in
superficie. Non si tratta di un
semplice buco nel terreno o
di una banale apertura
rocciosa, quella è proprio una
galleria, o per essere più
specifici, l'accesso che
conduce in essa. Definitela
105
come più vi aggrada, ma la
regolare geometria
circonferenziale dell'arco che
ne costituisce l'ingresso, è
indiscutibile ed
abbondantemente visibile, e
se mi è consentito dirlo, di
ammissibile natura artificiale.
Ma, se fossimo nella West
Valley, dove potrebbe
condurci la galleria in
questione (fig9)? Solo in una
indubbia direzione.. negli
sconosciuti sotterranei di
Marte. E chi potrebbe
percorrere detta galleria? Già
detto e ripetuto, i “Kroft”,
nome (o soprannome) che
sarebbe stato attribuito da
alcuni addetti della Nasa agli
abitanti della prima sfera
sotterranea (quella prossima
alla superficie). Pertanto
dovrebbe esistere (fonte
canadese), anche la seconda
sfera abitativa sita a maggiori
profondità, là dove marziani
più evoluti, occulterebbero la
loro esistenza. Non potendo
indagare a tali profondità, ciò
che rimane è la pochezza
offerta in superficie, sulla
quale disperatamente,
speriamo di scoprire il più
piccolo dettaglio scampato
alla furia devastante dei
grafici Nasa. Quasi per
miracolo, di tanto in tanto
questo accade, grazie anche
alla pazienza e all'ostinata
caparbietà che manifesto
durante un'analisi tellurica
(fig10): la singolarità in
questione è senz'altro
particolare.. potrei azzardare
nel dire “quello è un..”, o
potrei semplicemente
nascondermi dietro
all'omertà. Pardon, ma lì non
c'è solo roccia, c'è dell'altro
che vorrei poter definire con
un attributo; sta bene,
adoperando la prudenza mi
limiterò a definire ciò una
“graziosa anomalia”.
Chiunque in tutti i casi,
scaricando il file
Pia10214.tiff da http://
photojournal.jpl.nasa.gov,
con calma e attenzione, potrà
identificare quel che ho
illustrato durante i tre articoli
dedicati alla West Valley,
una delle aree marziane più
interessanti da perlustrare al
metro quadrato. Studiandola
in profondità, non
mancherete di rilevare
anomalie di differente entità,
tutte rigorosamente affioranti
su un terreno ricco di oscure
fenditure (fig11). Certo che,
se tutte le anomalie presenti
sul terreno marziano
dovessimo considerarle solo
sassi e rocce, qualcosa non
quadrerebbe, sarebbe troppo
semplicistico e per gli
oppositori sarebbe molto
conveniente. Non posso dare
torto a chi ragionevolmente
(ne ha tutto il diritto) solleva
questioni sulla scarsa
visibilità dei dettagli che ho
selezionato. Vero, ma non è
colpa del sottoscritto né del
poveri grafici Nasa (semplice
impiegati) a cui viene
impartito l'ordine di eseguire
determinate manipolazioni. Il
canadese Dave Beamer, più
volte mi ribadì che all'interno
della Nasa, l'esistenza di un
piccolo gruppo di dissidenti è
una realtà, persone che
vorrebbero urlare la verità al
mondo intero, ma che
purtroppo hanno le “mani
legate”. Il segreto
governativo non è
fantascienza; i vertici
decidono il tipo di
106
informazione (falsa e
distorta) che deve pervenire
alle masse; e allora quindi,
accontentiamoci
dell'ennesima briciola (fig12,
teste emergenti dal livello
terreno?). Forse un giorno
un'evoluta umanità, avrà la
possibilità di concedersi un
weekend marziano o un safari
nel bel mezzo della West
Valley; un'idea similare, fu
partorita dal film “Atto di
Forza” con Arnold
Schwarzenegger. Nel caso,
raccomanderei ad eventuali
speologi terrestri, di non
mettere piede sul terreno
marziano per curiosare tra le
rocce, ma suggerirei di
seguire un'esperta guida
turistica armata fino ai denti.
Prudenza; ficcare la testa
dentro una cavità rocciosa,
potrebbe rivelarsi assai
rischioso. Figura tredici...
107
LLOYD PYE
INTERVIENE IN
DIFESA DI
ZECHARIA
SITCHIN
Traduzione a cura di Sabrina Pasqualetto
Zecharia Sitchin e Goerge Noory
Zecharia Sitchin è stato un
autore conosciuto per "Le
cronache della Terra", una
serie di libri riguardanti gli
scritti lasciati dagli antichi
Sumeri (circa 5.000 anni
fa), così come egli li ha
interpretati. Era uno dei
200 studiosi al mondo, se
non di meno, in grado di
tradurre dal cuneiforme, il
linguaggio simbolico dei
Sumeri. Per come la vedo
io il suo lavoro è stato
molto influente.
Dalla sua morte, il 9
ottobre 2010, le critiche su
questo autore sono uscite a
frotte su internet con il fine
di denigrare il suo lavoro e
l’eredità da lui
consegnataci. È a causa del
mio noto interesse per il
suo lavoro, che ho voluto
inserirlo nella parte IV del
mio libro Tutto quello che
sapete è falso. A causa di
ciò diverse persone mi
hanno chiesto di venire in
difesa di Sitchin ora che lui
non può più difendere se
stesso nel modo vigoroso
con cui era solito fare.
Detto questo, ecco la mia
difesa del suo lavoro
contro tutte le critiche. È
semplice, ed è vera. Non
esitate a condividere con
gli altri su internet e/o
usarla per rispondere a
qualsiasi critica. Chi dice
che Zecharia Sitchin ha
commesso errori o frodi
nelle sue traduzioni dei
testi sumerici, o qualcosa
di simile, sta prendendo un
abbaglio. Essi basano tutte
le loro critiche sul fatto che
in alcuni settori chiave
degli scritti Sumeri, egli
devia marcatamente
rispetto alle traduzioni
"classiche", la maggior
parte delle quali sono state
completate prima del 1947,
prima che i termini "UFO"
o "extraterrestre"
diventassero di uso
comune. Quando i primi
traduttori arrivarono su
passaggi che avrebbero
potuto essere interpretati
come Sitchin ha fatto, non
avevano un background di
riferimento per tale
terminologia. Pertanto, essi
li hanno adattati alla loro
108
ristretta concezione del
mondo e, siccome queste
assurdità sono state create
da "esperti" di quel tempo,
gli esperti moderni hanno
inevitabilmente subito un
lavaggio del cervello
dovuto a questo falsato
processo di formazione
credendo non esistesse una
traduzione alternativa,
molto meno ovvia. Questo
sproloquio intellettuale è
diventato la traduzione
"preferita" e "accettata"
che, secondo i critici,
Stichin avrebbe dovuto
rispettare allo stesso modo
in cui essi sono obbligati a
fare. Sitchin, giustamente,
ha rifiutato le assurdità
venute fuori dalle
traduzioni classiche e ha
tradotto i testi nella
maniera che pensava essere
la più fedele agli scritti,
chiamando un alieno,
“alieno” e non in altro
modo, tanto per dirne una,
e questo ha offeso
gravemente la sensibilità
accademica facendo
gridare i critici “al
sacrilegio”. Non ho alcun
dubbio che, con il tempo,
gli studiosi arriveranno a
considerare la traduzione di
Zecharia Sitchin molto più
corretta di tutte le
traduzioni di un qualsiasi
esperto in vita. Per quale
motivo? Perché gli studiosi
moderni hanno subito anni
d’intenso allenamento che
li costringe a prendere in
considerazione per prima
cosa il lavoro sacrosanto
degli studiosi classici, il
quale ha prodotto un
esercito virtuale di
sicofanti chiusi
mentalmente i quali, in
ultima analisi, verranno
liquidati come ridicolmente
errati.
Sitchin insieme a Monsignor
Balducci
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gennaio 2011 - Tracce d`Eternità