Tracce d’eternità La rivista elettronica del mistero Anno III Nr.12 (Gennaio 2011) LE FIRME DI QUESTO NUMERO LLOYD PYE IN DIFESA DI ZECHARIA SITCHIN Traduzione di Sabrina Pasqualetto Yuri Leveratto Lloyd Pye Maria Benedetta Errigo Gaetano Barbella Nicola Antonante Michele Proclamato Luciano Scognamiglio Walter Conidi Roberto La Paglia Vocisconnesse – Diramazioni David Riva Fabrizio Vercelli Daniele Bonfanti Simone Lega Matteo Agosti Noemi Stefani Antonella Beccaria Simonetta Santandrea Andrea della Ventura Simone Barcelli Gianluca Rampini LUCIANO SCOGNAMIGLIO ABDUCTIONS: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE IN ITALIA MARIA BENEDETTA ERRIGO LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI ROGER LEIR Traduzione di Germana Maciocci MATTEO AGOSTI VIAGGIO NELLA WEST VALLEY DI MARTE 3° PARTE ROBERTO LA PAGLIA INQUISIZIONE E METODI DI TORTURA SULLE STREGHE DRUIDI TRA STORIA E MISTERO MICHELE PROCLAMATO AMORE O VENERE GAETANO BARBELLA RAFFAELLO SANZIO IPAZIA D’ALESSANDRIA LA SAPIENZA DELLA SCUOLA DI ATENE Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori. ANDREA DELLA VENTURA CONTRO LE SCIE CHIMICHE A ROMA NOTE A MARGINE 2 Simonetta Santandrea [email protected] ha 40 anni ed è la fondatrice del gruppo “Tracce d’eternità” sulla piattaforma Facebook, gruppo di cui tuttora è responsabile. Si occupa di Storia Antica e in rete collabora con Luoghi Misteriosi, Paleoseti ed altri siti tematici. “[LA] QUARTA DIMENSIONE È UN’IDEA” READING 364364-10, EDGARD CAYCE L’idea di una quarta dimensione (spaziale o temporale) iniziò a svilupparsi durante la seconda metà dell’ottocento e la sua diffusione si rivelò necessaria e propedeutica per la successiva formulazione della teoria della relatività di Albert Einstein, a partire dal 1905. Uno dei racconti che ha aperto l’immaginario collettivo su dimensioni superiori alla terza, quella comunemente conosciuta e riconosciuta da tutti noi grazie alla geometria euclidea, è Flatlandia, in cui l’autore, Edwin Abbot, monaco inglese, conduce il lettore attraverso ciò che egli stesso definisce come un racconto fantastico a più dimensioni. Flatlandia è, dunque, un mondo abitato da sole figure piane, le quali hanno una capacità visiva che si orienta solo all’interno del piano stesso senza possibilità di “guardare” nella terza dimensione. Ogni essere vivente vedrà di conseguenza il proprio mondo come una linea retta, in quanto il proprio sguardo non può sollevarsi verso l’alto. Abbott mostra come gli esseri bidimensionali riescano ad organizzarsi in maniera perfetta per il riconoscimento reciproco e per una pacifica convivenza. Tali esseri sono suddivisi a livello sociale secondo il numero di lati che essi posseggono: minore sarà tale numero e minore sarà il proprio rango sociale. Traslando il racconto fantastico alla percezione del nostro vivere in un mondo tridimensionale, possiamo comprendere come questo possa essere una limitazione alla conoscenza della realtà. Le capacità (limitate) di ogni essere vivente (di qualsiasi dimensione) si adoperano affinché si sviluppi una concezione solo dello spazio in cui vive e si basi la sua intera esistenza secondo le possibilità che la sua dimensione gli offre. Cercando di spiegare, innalzandolo, ad un essere tridimensionale (come siamo noi) una realtà superiore, una quarta dimensione, si incorre senza meno in una serie insormontabile di difficoltà: lo scetticismo, il timore e l’incredulità naturale di fronte ad un mondo sconosciuto e “altro”. L’uomo è abituato a vedere 3 il mondo così come gli si presenta e spesso egli crede come unica realtà e verità ciò che le sue capacità intellettive gli permettono di concepire. Disconosce invece ciò che fatica a comprendere, si sente in un certo qual modo al sicuro dentro la caverna platonica, prigioniero delle sue stesse catene. Fino a quando, però, accettando una sorta di rivelazione, ponendosi da una dimensione n ad una dimensione n+1 che è anch’essa una dimensione spaziale (e non unicamente temporale), potrà finalmente “vedere dall’alto” il mondo come un’ infinità di istanti dello spazio tridimensionale. E, abbandonata la mera coscienza sensibile del suo status bi e tri dimensionale, elevarsi ad uno status di coscienza intellegibile, nel quale lo spirito è l’unica chiave per comprendere che la quarta dimensione non è il prodotto di un’idea o di un sogno, ma una realtà in pieno sviluppo. La nostra esistenza materiale è un’espansione di una particolare nota di coscienza in quell’altro regno che tutto comprende. Noi, allora, nello spazio e attraverso il tempo, siamo in e di un’idea vivente che tutto comprende. Basterà cercare l’illuminazione, affrontare il viaggio di ricerca di ciò che è stato, è e NOTE A MARGINE sarà, concetti tutti presenti, distinti ma uniti perché facenti parte della superiore realtà quadrimensionale, che altro non è che gli infiniti universi tridimensionali corrispondenti ad ogni istante. Edgar Cayce disse: “L’oggi, l’eterno ora, è sempre davanti ad ogni entità, sia in ciò che comunemente viene chiamato materialità che nello spirito.” [1293-1] Avviciniamoci, dunque all’iperspazio, aprendo mente e spirito a nuovi orizzonti, riconoscendo che il mero scambio di informazioni è solo l’ombra della vera conoscenza. 4 Simone Barcelli INTERVISTA A ROBERTO LA PAGLIA IN OCCASIONE DELL’USCITA DEL SUO ULTIMO LIBRO, ABBIAMO INCONTRATO L’AMICO ROBERTO LA PAGLIA, COLLABORATORE DI QUESTA RIVISTA FIN DALLA PRIMA ORA. ANCHE PER FARE IL PUNTO SULLO STATO DELL’EDITORIA DI SETTORE E SULLE PROSPETTIVE DELLA RICERCA INDIPENDENTE. Ciao Roberto, è un piacere scambiare due chiacchiere con te. Innanzi tutto ti ringrazio del tempo e dell’impegno che stai dedicando ai lettori di Tracce d’eternità. Vorrei cominciare prendendo a prestito le parole di Vittorio Di Cesare che ho tratto dall’editoriale di 'Intelligence & Storia Top Secret' (nr.19 settembreottobre 2010): "Il sistema per smantellare le convinzioni ed il morale possono passare attraverso l’invenzione di una new age, il cui ruolo sta diventando fondamentale nella cultura del XXI secolo. La confusione diventa parossistica. Camuffate in ricerche di tutto rispetto, si formulano nuove ipotesi, si cambiano le carte in tavola, trasformando e distorcendo persino le convinzioni della gente, rimodellandole, randomizzandole. Ci si dimentica delle prove materiali, delle caratteristiche culturali tipiche delle varie civiltà, delle datazioni, delle ricerche sul campo. Le ipotesi trionfano sulle prove. È più comoda la finzione che la ricerca della verità". Si tratta di un discorso ad ampio raggio, attraverso il quale è possibile fare anche una analisi del nostro tempo e delle sue "irrequietezze". Esistono vari gradi di finzione, ognuno dei quali strettamente correlato a... chi ne fa uso. Di certo il bisogno sempre più pressante di qualcosa che colmi il vuoto lasciato dall'imperante materialismo fa la sua parte, si sente il bisogno di credere a oltranza, tutto purché sia diverso dalla monotonia del sistema. Questo rende molto più facile il gioco di chi lavora con la finzione. In un sistema che adora e propaganda il mordi e fuggi è molto più semplice e sbrigativo accostarsi a quello che personalmente definisco il "gossip del mistero" e non certo fermarsi un attimo a riflettere, andare oltre le righe. Questa corsa alle nuove ipotesi, nate più per stupire, far parlare di sé, che non da una ricerca documentata, è la diretta responsabile del progressivo allontanamento di quelle che vengono definite Scienze di Confine dalla scienza ufficiale. Un connubio che dovrebbe invece rafforzarsi sempre più, al fine di riscrivere finalmente la storia dell'umanità, una vicenda così aspramente martoriata da nuovi guru, santoni, ricercatori improvvisati e divulgatori molto più attenti al profitto. A ben riflettere la finzione rimane comunque un motivo costante di questo sistema sociale, facilmente rintracciabile non soltanto 5 negli argomenti citati nell'editoriale...sarebbe un discorso da approfondire. La finzione di cui parli, immagino, ha a che fare con la "New Age”. Prima di chiedere un tuo parere riporto la definizione che ne da Wikipedia: “… (letteralmente: Nuova Età) è un'espressione generale per indicare un vasto movimento culturale che comprende numerose correnti psicologiche, sociali e spirituali alternative sorte nel tardo XX secolo nel mondo occidentale. Le numerose e diverse concezioni riconducibili a questa denominazione sono accomunate dall'ideale dell'avvento di un "mondo nuovo" o di una "nuova era", spesso indicata astrologicamente come età dell'Acquario (l'età attuale è detta dei Pesci). Sotto la definizione di New Age vengono fatte ricadere molte realtà di diversa natura semplici stili di vita, filosofie, religioni, terapie, organizzazioni, aziende e via dicendo, caratterizzate da un approccio eclettico e individuale all'esplorazione della spiritualità. Il termine New Age è anche ampiamente e ufficialmente utilizzato per riferirsi al vasto segmento di mercato in cui si vendono libri, beni e servizi "alternativi" connessi a tali visioni del mondo”. La New Age, per quanto a molti appaia come un fenomeno abbastanza recente, era già, con molta probabilità, in embrione fin nel 1944, citata in alcuni titoli di opuscoli compilati da Alice Bailey. Sul finire degli anni ’60 il fenomeno esplose..., anche in concomitanza e con la “complicità” dei movimenti di contestazione giovanili; David Spangler iniziò la propria campagna di divulgazione e raccolse gran parte delle sue idee in un libro pubblicato in Scozia, The New Age vision. Dire cosa sia esattamente la New Age non è così semplice, bisognerebbe innanzitutto individuare quale delle tante anime del movimento si vuole definire. Tenendo conto che lo stesso Spangler asserì di aver tratto gran parte delle sue idee dalle riflessioni di Paul Le Cour, un esoterista francese autore del libro L’Età dell’Acquario, si dovrebbe ritenere che la New Age sia in possesso di requisiti assimilabili all’esoterismo occidentale. In realtà si tratta di un movimento che funziona da catalizzatore e aggregatore per innumerevoli altre realtà; nello schema New Age rientrano vari stili di vita, pensieri religiosi e filosofici, scienze alternative e terapie di frontiera, il tutto cementato dall’idea di un Nuovo Mondo, nel quale la spiritualità dovrebbe finalmente soggiogare il materialismo e favorire la rinascita della conoscenza e della consapevolezza universale. in realtà a tutto questo si affianca anche un ricco mercato commerciale, nel quale girano fiumi di denaro e al quale strizzano l’occhio non pochi colossi della finanza. New Age quindi può definirsi come un vero e proprio movimento culturale..., aperto a tutti poiché racchiude al suo interno ogni sfaccettatura di quelle che canonicamente vengono definite Scienze o Studi di Frontiera; vi trovano ampio spazio varie correnti della psicologia, della psicanalisi, correnti spirituali e progetti innovativi che operano nel campo del sociale, il tutto condito da una non sempre accettabile assimilazione tra esoterismo, ufologia, angelologia, cabala e quanto altro possa accendere la fantasia del neofita e, ovviamente, la sua curiosità. Interessante notare come uno degli storici più importanti e accreditati nel campo delle “strane” connessioni tra potere e movimenti di ispirazione mistica” (Antony Sutton), abbia messo in relazione gran parte del movimento New Age alla Skull and Bones, società goliardica universitaria profondamente introdotta nei circoli del potere occulto mondiale. Quindi dobbiamo credere che esista, anche su vari livelli di potere, un sistema in grado di manipolare la 6 nostra vita. Che a questo punto, per quanto oggi a nostra conoscenza, tanto occulto non appare. Quali sono, secondo te, le ragioni che animano le intenzioni di questo gruppo di potere, chi ne fa parte e quale dovrebbe essere lo scopo ultimo che si prefigge di raggiungere? Molti avvenimenti, alcuni anche tragici e abbastanza recenti, ci portano a pensare che esista una sorta di “regia occulta”, identificata da alcuni nella sinistra associazione degli Illuminati, un nome che ha spesso fornito ampi spunti di analisi della nostra storia a diversi divulgatori del mistero. La mia sensazione, tra l’altro condivisa da molti, è che esista in effetti un gruppo di potere composto da diverse alleanze. Una volta evidenziata la natura di questi gruppi si può facilmente dedurre quali siano le loro intenzioni. Il nostro sistema è basato principalmente sul movimento di capitali e sulla gestione dei mezzi di informazione; maggior potere si detiene sulla gestione finanziaria maggiore sarà la possibilità di controllare e pilotare l’economia mondiale; allo stesso modo più grande sarà la possibilità di gestire l’informazione, maggiore sarà l’opportunità di muovere e indirizzare i bisogni della popolazione. A questo punto ci basterà semplicemente identificare chi siano i maggiori gruppi di potere e sarà sorprendente scoprire come, in un modo o nell’altro, questi risultino quasi tutti collegati tra loro. Esiste quindi un gruppo di potere, ma più che come una entità fisica esso può essere rappresentato da una smodata e sinistra volontà di gestire le sorti mondiali, una volontà che unisce quasi fisiologicamente chi detiene il potere e che, in fondo, è antica quanto l’uomo stesso. Roberto, tenendo chiaramente in considerazione anche la crisi economica che stiamo attraversando, cosa ne pensi dell’attuale panorama editoriale riferito al settore del mistero? Mi pare che negli ultimi anni abbiamo assistito a un vero e proprio “tira e molla”, cioè riviste che nascono e muoiono anche nel giro di pochi mesi. È come se dall’entusiasmo iniziale si passasse, in men che non si dica, allo sconforto più assoluto, probabilmente derivante da progressivi cali di vendita. Questo significa che i lettori sono più maturi (e fanno delle scelte ragionate) o che gli editori, col tempo, propongono contenuti non sempre all’altezza? La questione è piuttosto articolata; la crisi economica e, come se non bastasse, il recente colpo di scure dato ai fondi destinati all’editoria, non agevolano certo una situazione che già da anni si presenta in maniera abbastanza tragica. Le statistiche sulle vendite, di certo, non offrono molti stimoli a chi volesse intraprendere questo genere di attività, e in questo caso il fenomeno ha due aspetti ben distinti: da una parte il progressivo abbassarsi della percentuale di persone interessate alla lettura (e non mi riferisco soltanto agli argomenti cosiddetti “misteriosi”), dall’altra la crisi che in realtà non è affatto passata e che costringe spesso gli editori a innalzare il prezzo di vendita e i lettori a pensarci due volte prima di spendere. A questo quadro, non certo accattivante, bisogna aggiungere la progressiva diffusione dei canali multimediali e delle tecnologie legate a Internet; spesso è molto più semplice ed economico leggere e cercare in rete che non recarsi in edicola. Su questo aspetto alcuni editori stanno già lavorando. Rimane il problema dei contenuti: le materie che trattiamo, molto spesso, nascondono l’oscuro problema del già detto e già visto; non c’è alcun dubbio sul fatto che i lettori, e non solo quelli della carta stampata, siano diventati più esigenti, e questo porta a una maggiore attenzione nella scelta dei contenuti. Il problema, quindi, sorge quando l’editore, per rafforzare le vendite, decide di impostare i contenuti su argomenti già noti ma di comprovato richiamo; credo invece che i lettori siano alla ricerca di ben altro, chiedano argomentazioni solide e di una certa validità, deduzioni che poggino su documenti di accertata veridicità. In pratica si registra uno strano fenomeno: da un lato cresce la consapevolezza che qualcosa di vero ci sia nei vari argomenti che riguardano l’archeologia misteriosa, gli Ufo, i Cover Up e molto altro, ma la risposta a questo 7 accrescimento di consapevolezza (che ovviamente contribuisce a far crescere il bisogno di prove solide e riscontrabili) rimane il già detto e già visto. Il futuro dell’editoria sembra indirizzarsi sempre più in rete con la nascita di libri e riviste elettroniche. La digitalizzazione effettivamente abbatte i costi fino al 70%, soprattutto a scapito del processo di stampa e di distribuzione. Mi pare che i problemi da affrontare, a parte i contenuti, siano comunque evidenti: il timore degli editori di seguire questa via, che richiede investimenti a lungo termine e minori introiti, e la difficoltà di un nutrito gruppo di lettori che fa ancora fatica ad abbracciare questa rivoluzione per mancanza di alfabetizzazione informatica. La strada sembra comunque segnata… Infatti è così: che lo si voglia o meno l’editoria elettronica prenderà il sopravvento, sarà di certo un processo molto lungo ma questo, al momento, sembra essere il nostro prossimo futuro. Nonostante esista ancora una certa ritrosia legata al fascino della carta stampata (io personalmente preferisco un libro da sfogliare che non da leggere sul monitor), non si può negare che la digitalizzazione offra grandi spunti di investimento. Al timore degli editori, in parte giustificato dalla crisi ancora in atto, corrispondono due grossi ostacoli che sarà arduo abbattere; siamo il paese meno informatizzato, e non soltanto a livello editoriale. Siamo anche il paese nel quale gli editori, o comunque molti di loro, tendono a svolgere questo mestiere limitando al massimo i rischi. Prendiamo il mercato editoriale in genere; in un paese nel quale sono presenti ottimi e preparati scrittori, saggisti, ricercatori e autori di romanzi, gli scaffali sono pieni di autori stranieri e nomi noti di sicura vendita. La diffusione dell’editoria multimediale potrebbe a questo punto ribaltare la situazione, e proprio in un campo dove i costi sono notevolmente ridotti potrebbe sorgere una nuova speranza per molti di questi autori “dimenticati”, oltre che nuovi spunti di ricerca e di analisi per le tematiche da noi trattate. Tu sai che mi sta particolarmente a cuore la ricerca indipendente e che, in passato, dalle pagine di Tracce d’eternità, ho espresso il mio disappunto nei confronti di quei “colleghi” che continuano a proporsi con il “taglia e incolla”, senza indicare mai la fonte e facendo propri studi altrui. Un modo di fare che danneggia, a lungo andare, tutto il settore. Possibile che non si riesca a debellare questa deprecabile attività che continua, non solo in rete, a imperversare? Come accennavo prima, viviamo in un sistema “controllato”, nel quale vige la semplici regola del “mordi e fuggi”. Ci ritroviamo costantemente inseguiti dal quotidiano, tanto da non trovare il tempo per approfondire o, semplicemente, riflettere su cosa effettivamente stiamo leggendo e quale sia la qualità dell’informazione che ci viene fornita. Questa regola, che è poi uno dei punti di forza di quei gruppi di potere ai quali mi riferivo in precedenza, ha contagiato anche molti di coloro che dovrebbero fare divulgazione. Si fa di tutto per dare alla gente ciò che vuole, e quando mancano gli spunti, i riferimenti, basta andare in rete, effettuare una rapida ricerca e riproporre il tutto. Ovviamente il risultato finale sarà soltanto alimentare il discredito già imperante nei confronti delle materie di confine. Esiste però un altro aspetto della questione, un aspetto che risiede proprio nel modo di gestire questo particolare tipo di ricerche: ritengo che avvicinarsi a certe tematiche presupponga un profondo rispetto per gli argomenti trattati, per il mistero in genere. Spesso si è portati a considerare le ricerche di frontiera come un enorme serbatoio dal quale si può trarre di tutto poiché tutto è comunque un sicuro 8 richiamo per il lettore. Studiare, ricercare e tentare di penetrare il mondo dei misteri è ben altra cosa; si tratta di un tentativo di rileggere la storia, di un bisogno di verità che dovrebbe quasi bruciare la penna di chi scrive, di un sentire che si pone ben oltre il bisogno di stupire il lettore. Quando inizieremo a osservare con diversi occhi il nostro passato, a considerarlo una parte integrante del nostro presente, quando capiremo che molte delle risposte tanto ricercate dall’uomo moderno dipendono dallo studio delle antiche civiltà e del loro modo di interpretare la vita, allora inizieremo a distinguere la buona informazione da quella cattiva e il taglia e incolla al quale ti riferisci inizierà gradatamente a sparire. Bene, parliamo ora della tua ultima fatica, “Il Grande Libro dei Misteri” (Xenia Editore), di cui abbiamo anticipato sul nostro portale la prefazione di Paola Giovetti e un estratto. È innegabile la tua bravura nel saper miscelare così tanti argomenti, portando sempre il lettore ad interrogarsi sulle possibili soluzioni. Da anni sei ormai impegnato in questo genere di divulgazione. Dove trovi ancora gli stimoli, considerando che tanti altri hanno deciso di abbandonare la ricerca, probabilmente perché assuefatti? Ne parlavo proprio rispondendo alla tua precedente domanda: sono una persona che si interroga costantemente, un inguaribile curioso e, come se non bastasse, appartengo a quel genere di persone, per fortuna in costante crescita, che “avverte” il fatto che ci sia qualcosa di sbagliato in ciò che ci raccontano, qualcosa che non si vuole ammettere. Non è soltanto una questione di fascino nei confronti dei temi che propongo, si tratta di una vera e propria ragione di vita, la convinzione che non avrò mai risposte se prima non scoprirò chi sono realmente, che non saprò chi sono se prima non avrò una immagine chiara e logicamente accettabile di quale sia stata la vera storia dell’umanità alla quale appartengo. Partendo da questi presupposti non esiste una vera e propria distinzione tra i Misteri, tutto è in estrema sinergia. Paranormale, archeologia misteriosa, ufologia, mistica, tutto è emanazione di una unica verità della quale i nostri antenati erano a conoscenza, una verità frammentata nel tempo ma che, essendo parte integrante della nostra evoluzione, ha continuato a perpetuarsi adattandosi al pensiero e al sentire di ogni epoca. Non credo che proverò mai un senso di assuefazione rispetto a questi argomenti, non si tratta di un impegno volto a scoprire una verità personale, si tratta di una ricerca che riguarda tutti noi e che, proprio per questo motivo, deve essere condivisa. Proprio per questo considero il mio lavoro come un continuo scambio di sensazioni, intuizioni, vittorie e sconfitte da condividere con tutti coloro che mi seguono. Fino a quando la divulgazione sarà intesa come un reciproco scambio, ma soprattutto come un lungo cammino da condividere, non ci sarà spazio per l’assuefazione. Il mondo, per quanto ci dicano che si sia ormai completamente svelato, nasconde ancora meravigliosi segreti, antiche verità e oscure trappole; la vita può essere una meravigliosa avventura oppure una terribile disillusione, per scoprirlo non possiamo fare altro che continuare nel cammino. Cosa bolle in pentola… stai lavorando a qualche nuovo progetto? Tra qualche mese riprenderò il mio percorso editoriale con Cerchio della Luna occupandomi del lato occulto dell’Ufologia e di “storie proibite”, ovvero quegli avvenimenti che pensiamo di conoscere ma che, in realtà, nascondono infiniti misteri. Nel frattempo ho concluso l’editing del mio primo romanzo “misterioso”, mentre continua la mia collaborazione con Area di Confine e Sphera, la nuova nata in casa Acacia Edizioni . Ovviamente, e ci tengo a sottolinearlo, prosegue anche la mia collaborazione con Tracce d’Eternità, una realtà alla quale mi sento molto legato. Continuo a esplorare altre alternative e vagliare proposte; prima o poi mi prenderò una pausa, ma sento così naturale quello che faccio che penso avverrà sicuramente poi…molto poi! Grazie Roberto, a rileggerti! Grazie a te; un caro saluto ai lettori. 9 CONTENUTI ARTICOLI pag. 45 Roberto La Paglia Druidi tra storia e mistero pag. 49 Maria B. Errigo Inquisizione e metodi di tortura sulle streghe pag. 55 Simone Barcelli Uno scienziato alle origini della teoria del paleocontatto pag. 73 Gaetano Barbella Raffaello Sanzio: Ipazia d’Alessandria, la sapienza della scuola di Atene pag. 85 Luciano Scognamiglio Abductions: il punto della situazione in Italia pag. 88 Andrea della Ventura Contro le scie chimiche a Roma pag. 96 Matteo Agosti Viaggio nella West Valley di Marte (III° parte) pag.107 Lloyd Pye In difesa di Zecharia Sitchin Traduzione di Sabrina Pasqualetto INTERVISTE pag. 4 Simone Barcelli pag. 28 Fabrizio Vercelli Roberto La Paglia J. Romano pag. 36 Gianluca Rampini Roger Leir Traduzione di Germana Maciocci pag. 64 Yuri Leveratto Gregory Deyermenjian pag. 92 Gianluca Rampini Tom Bosco RUBRICHE pag. 2 NOTE A MARGINE Simonetta Santandrea pag. 10 LIBRARSI Simonetta Santandrea pag. 12 LO SPAZIO DELL’OTTAVA Michele Proclamato pag. 16 LIFE AFTER LIFE Noemi Stefani REDAZIONE pag. 19 XAARAN Antonella Beccaria pag. 22 CONFESSO, HO VIAGGIATO Noemi Stefani Simonetta Santandrea [email protected] pag. 27 INTORNO XII Daniele Bonfanti e Simone Lega Gianluca Rampini [email protected] pag. 32 UFO E DINTORNI Walter Conidi Andrea della Ventura [email protected] Simone Barcelli [email protected] Pag. 42 PAGINE DEL C.U.T. Nicola Antonante Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori. This electronic magazine, in pdf format, is not a newspaper, it has no periodicity. It can not be considered an editorial, under Law No. 62/2001. Is provided in a free download only for registered users of the portal and a copy is sent to the authors and collaborators. For the possible use of texts and images please contact the respective authors. Traduzioni Sabrina Pasqualetto [email protected] Anna Florio [email protected] Antonio Nicolosi [email protected] Germana Maciocci [email protected] Carla Masolo [email protected] Progetto grafico e impaginazione a cura di Simone Barcelli. Revisione testi a cura di Simonetta Santandrea. 10 LIBRARSI Simonetta Santandrea [email protected] ha 40 anni ed è la fondatrice del gruppo “Tracce d’eternità” sulla piattaforma Facebook, gruppo di cui tuttora è responsabile. Si occupa di Storia Antica e in rete collabora con Luoghi Misteriosi, Paleoseti ed altri siti tematici. Lo specchio inverso. Da RennesRennes-leleChâteau all'Italia di GIORGIO BAIETTI Edizioni Età dell'Acquario, Torino, 2007, pagine 256, illustraz. b/n Euro 18,00 La cittadina francese di Rennes le Château è, ancora una volta, il punto di partenza delle indagini che vorrebbero una volta per tutte dipanare il mistero che l’avvolge. Ai tempi dei visigoti era una città, una capitale: Rhedae. Qui, proprio al tempo dei visigoti, si dice che fosse stato nascosto il tesoro del Tempio di Re Salomone, trafugato da Tito e poi, in seguito al Sacco di Roma del 410, portato nell'attuale Francia del sud. Nel tempo, altri soggetti misteriosi hanno camminato a Rennes-leChâteau: i catari e i Templari, i quali si dice vi abbiano posseduto rifugi e tesori (soprattutto i Templari). Ecco che un giorno, non lontanissimo nel tempo, appare un’altra enigmatica figura, un prete cattolico: l'abate Bérenger Saunière, il quale condusse un’esistenza talmente singolare da far pensare di aver trovato parte di quei tesori. Sicuramente questi sono accattivanti e misteriose situazioni che generano belle domande, ma altri grandi misteri vi sono altrove: visigoti, 11 catari, Templari erano, nei confronti di Roma, degli eretici. Probabilmente conoscevano dei segreti relativi alle origini del cristianesimo. Ecco che Rennes le Château non è più e solo un arroccato paesino francese… Rennes-le-Château è circondato da una corona di villaggi, castelli, sotterranei e grotte, fitti di indizi mai analizzati. Che dire, ad esempio, del Cristo senza mani presso Antugnac? O delle mele blu della chiesa di Brenac? E poi: negli stessi anni in cui Saunière costruiva il suo "regno", in un paese dell'entroterra ligure un semplice parroco dava vita a un "impero", fatto di ville favolose e vasti palazzi. Anche la sua disponibilità di denaro sembrava inesauribile - e una delle sue fonti era sicuramente in Francia. E se Bérenger Saunière fosse stato soltanto una pedina? L’autore, Giorgio Baietti, in questo lavoro riprende l’indagine su Rennes le Château, dopo averne già ampiamente scritto e descritto in altri lavori, conferenze ed incontri; questa volta, il modus operandi è leggermente diverso. E’ lo stesso Baietti che, nella prefazione, racconta di come questo sia pensato come “una sorta di viaggio in cui, tutto sommato, Rennes-leChâteau non è che una tappa. Durante le mie ultime ricerche ho avuto modo di soffermarmi su alcune località che fanno da corollario al celebre villaggio e che, per alcuni aspetti, sono ancora più intriganti e inquietanti. Posti del tutto anonimi e in cui non ci si fermerebbe mai se non fossero "sulla strada per...". E invece meritano ampiamente spazio e tempo e un occhio di riguardo, perché sono davvero tanti i segreti che custodiscono. Un'altra meta, del tutto particolare, è in Italia. Anche qui c'è un parroco che, negli stessi anni in cui Saunière crea il suo regno, realizza un impero, con ville favolose (dieci volte più grandi e lussuose di Villa Betania), montagne di denaro e riconoscimenti così prestigiosi da apparire assurdi se si tiene conto che era solo un semplice parroco di un piccolo paese. Non voglio anticipare altro perché, ne sono certo, sarà una vera sorpresa e del tutto inedita. Ma troverete anche altri parroci e altre chiese dal grande fascino; un corollario di stranezze ed enigmi che lasciano aperti tanti spiragli da cui filtra un po' di luce che fa accrescere la voglia di aprire, finalmente, la porta su tutta questa serie di punti interrogativi. È lo specchio di una realtà che ci rimanda l'immagine di quello che vorremmo vedere. Ognuno di noi può trovarci tante risposte alle domande che non si è mai posto.” Giorgio Baietti, laureato in Lettere e in Sociologia, è insegnante e giornalista, oltre che studioso di storia alternativa ed esoterismo. Dal 1986 si occupa del mistero di Rennes-le-Château, dove è praticamente di casa e trascorre diversi periodi dell'anno, in un'abitazione che è situata proprio di fronte alla chiesa della Maddalena e al castello medievale. È autore del libro su Rennes-leChâteau che ha riscosso maggiore successo in Italia (L'enigma di Rennes-le-Château, Edizioni Mediterranee, 2003) e di altri saggi e racconti sullo stesso tema. Da molti anni tiene conferenze e seminari in tutta Italia e ha partecipato a diverse trasmissioni televisive e radiofoniche. 12 LO SPAZIO DELL’OTTAVA Michele Proclamato [email protected], ha iniziato i suoi studi attraverso la riscoperta misterica di alcuni monumenti della sua città, L’Aquila. Dopo aver individuato nel SAPERE dell’OTTAVA il cuore della scienza esoterica, oggi presente in tutto il mondo, ha scritto per le edizioni “Melchisedek” le seguenti opere: “Il SEGRETO delle TRE OTTAVE”, “L’OTTAVA, la scienza degli DÈI”, “Il GENIO SONICO”, “La STORIA MILLENARIA DEI CERCHI NEL GRANO”, “QUANDO LE STELLE FANNO L’AMORE” e “L’UOMO DI DIO”: questo su Giordano Bruno è il suo libro più bello ed importante, perché ci rivela segreti a cui nessuno era mai arrivato. AMORE O VENERE F1 “Perché io?” “Tu puoi riuscirci.” “A far cosa?” “Ad aprirli.” “Franco, io non so nemmeno cosa sia un Sigillo.” “Davvero? Scommettiamo che tu sai perché quello che tu chiami Settenario per LUI era…AMORE?” “Osservai con attenzione il Sigillo, era come se potesse parlarmi, ma non volesse farlo, lo sentivo quasi mio, stavo azzardandone persino una spiegazione ma…” Non sono affidabile, me ne rendo conto, ma ciò che ho iniziato a scrivere attraverso un articolo dal titolo “Mente o Apollo” penso sia giusto proseguirlo, adesso che di nuovo ho voglia di farlo, attraverso “Amore o Venere” (già pubblicato sul portale di Tracce d’eternità l’8 gennaio scorso). Sarebbe quindi perlomeno necessario poter leggere il mio precedente articolo per trovare motivazioni, cause e perché di questo mio rinnovato impeto descrittivo, riguardante il mio ultimo libro: “L’Uomo di DIO”. Ciò permetterebbe me di proseguire nel mio esporre con molta, molta più velocità, voglia e piacere. Ammettendo, di conseguenza, il vostro leggere già avvenuto, potrei così iniziare dicendo che la summa ermetica della simbologia dell’Ars Memorandi di Bruno era costituita da tre sigilli ben precisi. Ebbene, di uno vi ho già parlato (Mente o Apollo), ora vorrei dedicarmi a un secondo di essi, tra tutti il più completo, complesso, pregno e utile, affinché ognuno di noi possa minimamente avvicinarsi al vero potere conoscitivo di Giordano Bruno. Di conseguenza vi domanderei, come a me fu fatto: “Perché tale simbologia, definita diversamente, 13 SETTENARIO, veniva utilizzata da Bruno come un sigillo, dal nome Amore o Venere? ”E perché io nel vederlo la prima volta, quando ancora non sapevo cosa fosse un sigillo, immediatamente percepii in esso un significato, chiaramente e analogicamente già presente, non nella mia mente, più propriamente nella mia Anima?” Brutta bestia Giordano Bruno sapete, LUI scava dentro di noi in luoghi spesso sconosciuti, ma comunque vivi e immortali, poiché popolati, nel buio più assoluto, da archetipi divini, figli della luce più pura ed incondizionata. E LUI, ho lasciato che scavasse dentro di me, l’ho fatto all’inizio inconsciamente, infine sempre più consciamente, fino ad aspettare una specie di guarigione avvenuta attraverso momenti, ricordi, immagini e simboli che ora faccio fatica a separare. Volendo però chiarire il perché dell’interloquire sopra esposto, volentieri esporrò a voi lettori il modo con cui io… capisco o credo di farlo. Un modo che ho come “Fiore della Vita”. Ultimamente il sottoscritto ha avanzato l’ipotesi, piuttosto realistica, secondo la quale tutto il sistema geometrico del Fiore in realtà altro non sia che l’applicazione o la trasformazione, geometrica appunto, del sapere dell’Ottava. Ma forse sto come al solito… correndo troppo. Tornerò quindi alla casa di Celestino V, rendendomi conto di come la partenza, per arrivare a una spiegazione valida del sigillo in questione, sarà un po’ appreso da Giordano Bruno laboriosa. La basilica di essere non di tutti gli uomini, Collemaggio, dicevo, è un modo che ha reso me, contraddistinta tuttora da un mistero a me stesso per luogo posto fra navata e pochi anni, chiaritomi dal transetto deputato ad ospitare Nolano grazie alla sua ciò che ormai da tutti è descrizione riguardante il definito “Labirinto”. Io, fui il vero significato dei numeri. primo a “vedere” in quel Ma non voglio dilungarmi labirinto non solo 6 cerchi troppo o divagare, quindi, di intimamente uniti, ma nuovo: “Perché, Amore essenzialmente una potrebbe definirsi l’ultimo simbologia che capii essere passaggio mentale di un DIO descrizione plasmante, geometricamente e costituita e conservata nel cimaticamente agente? tempo attraverso Quanti perché direte, eppure, semplicemente: TRE OTTO che dire, io senza di essi… (F2). Cinque anni fa infatti non so vivere, c’è di bello scoprii all’interno di che a volte posso persino Collemaggio le TRE chiarirli, di conseguenza, OTTAVE dopo più di sette venite come me, andiamo a secoli dal loro casa mia, andiamo a assemblamento Collemaggio, all’Aquila, ermeticamente voluto dal perché cari signori quando si grande Celestino V. Vorrei vuol capire certe cose… lì ora sapeste che utilizzando inconsciamente i numeri, bisogna andare. collegai, a ragione, quella UN LUOGO, anche, BRUNIANO somma simbolica pari a 24 unità a qualcosa di altrettanto simbolicamente molto più antico. Ciò che dentro Ho già accennato al fatto che Collemaggio era numero, il Sigillo in questione, infatti, appariva attraverso le banalmente viene identificato composite braccia degli come Settenario, in verità esseri posti al di fuori dello risulta essere da millenni Zodiaco di Dendera, come figlio della geometria sacra qualcosa di estremamente e come tale più conosciuto 14 animico e… creativo (F3). 16 braccia divine, maschili, e 8 braccia umane ma femminili, mi diedero la possibilità di capire cosa e quanto in quel labirinto fosse nascosto. Volendo sinteticamente descrivere il tutto potrei dire che Celestino V continuava, attraverso la simbologia del Labirinto, la trasmissione millenaria di un messaggio le cui caratteristiche animiche certamente si riproponevano all’interno dello zodiaco più famoso del mondo. Zodiaco che moltissimo m’insegnò e continua a insegnarmi, in quanto i 12 esseri, chiaramente dotati di 24 braccia, dimostravano essere direttamente collegati con ciò che la sfera centrale zodiacale conteneva. Qui, infatti, 72 corpi celesti a loro volta suddivisi in due gruppi stellari compositi, pari a 24 e 48 unità, dimostravano chiaramente la loro diretta emanazione dodecafonica, nascente da un sistema numerico da me conosciuto, e splendidamente descritto dalla Lista Sumera dei RE. “Il numero è un limpido principio, fisico, metafisico e razionale”, appresi da Giordano Bruno, e infatti mai come in questo contesto, ciò che poteva sembrare fisicamente numerabile, come una serie di astri, razionalmente inquadrabili dalla mente umana, in verità dimostrava avere una ragione estremamente… metafisica, alla sua nascita. Ora scusandomi per la mia divagazione numerica, purtroppo necessaria, vorrei che immaginaste quelle 24 braccia trasformarsi in sei cerchi, come appaiono a Collemaggio, quindi desidererei che vedeste quella sestina fondersi a formare TRE OTTO, i quali una volta l’anno a Collemaggio non fanno altro che aspettare un prodigio voluto da DIO attraverso tutte e sei le dimensioni figlie del suo primo ottuplice vagito. UN SOLSTIZIO di LUCE Infatti, il 21 giugno, al solstizio d’estate il sole trasformerà in LUCE (sempre Palmieri docet) l’informazione numerica posta all’interno del rosone di Collemaggio, che io per primo codificai, informazione destinata a diventare esattamente un SETTIMO cerchio all’interno del labirinto in questione. Se adesso per un attimo ripenserete alle braccia di Dendera, capirete come queste altro non siano che l’ultimo baluardo energetico posto a monte di una realizzazione estremamente materiale oltre che terribilmente luminosa. Sostanzialmente vi potrete rendere conto di come qualcuno, non si sa chi, non si sa quando, ha avuto l’ardire, secondo me riuscendoci, di codificare un atto creativo che tanto sta impegnando tutti i laboratori di fisica nucleare di tutto il mondo. Di conseguenza la sfera contenente la visione celeste egizia, altro non potrà essere che la SETTIMA sfera. Sarà quindi il Settenario, per un sapere senza tempo come quello dell’OTTAVA, la summa simbolica di un atto creativo la cui origine è posta esattamente dove oggi non abbiamo il coraggio di spingerci, ma dove Giordano Bruno era di casa… nell’invisibile. Adesso torniamo al suo Sigillo (F4) utile a ricordare la memoria 15 Archetipica, facciamolo perché LUI nella sua unica descrizione dei TRE sigilli ERMETICI dirà, come già scritto in “Mente O Apollo”, che “le azioni degli DEI, utili cimaticamente e geometricamente a creare i presupposti della nascente Luce”, in Amore o Venere “verranno sostituite dalle corrispondenti caratteristiche emozionali. In Amore saranno quindi una summa di emozioni, simili a quelle umane, come odio, coraggio, vigliaccheria, gioia, tristezza, ira, eccetera, a portare a compimento le geometrie divine. In altre parole Giordano Bruno, quattro secoli orsono, sapeva, spiegava e sperava che ognuno di noi capisse come e quanto amore un DIO, immanente e musicalmente OTTAVA, avesse posto, attraverso una miriade di emozioni, alla base della sua sessuata e frattale volontà di creare… la MATERIA. Di conseguenza potremo sperimentare qualsiasi tipo di emozione nella nostra vita e per quanto potrà sembrarci impossibile ammetterlo, persino l’odio, per esempio, comunque e sempre farà parte di un unico sentimento creativo chiamato… AMORE. Se accetteremo tutto ciò, avremo nuovamente una materia viva, emozionabile ed emozionante, potremo quindi comunicare con essa e mettere a punto una nuova scienza tecnicamente animica, come l’OTTAVA. Questo dovrà essere l’immediato compito della razza umana: se sapremo perseguirlo Bruno non sarà morto invano, altrimenti saremo noi a… bruciare. Michele Proclamato ha scritto di Giordano Bruno. E lo ha fatto come solo lui ci ha abituato a fare, fondendo cuore e intuito. Il risultato? Per la prima volta, dopo secoli, i SIGILLI ERMETICI del Nolano hanno trovato una spiegazione, valida, potente, unica. L’Autore attraverso un percorso conoscitivo originalissimo, carico di emozione , è riuscito a regalare a noi tutti un Bruno finalmente capace di rivelare cosa veramente nascondesse dietro la sua Ars Memorandi. Ecco, di conseguenza, apparire un Universo animicamente vivo in tutte le sue parti, capace di dialogare, attraverso il simbolismo dei Sigilli, con un uomo finalmente conscio dei suoi poteri, per ospitare un percorso conoscitivo rivolto verso la LUCE DIVINA. Percorso nel quale verranno coinvolti Platone, Leucippo, Alessandro Magno, Leonardo da Vinci, Galileo, Newton, Lissajous, Nativi Americani, Cerchi nel Grano, Renato Palmieri. Sicuramente il libro più bello scritto da Proclamato, sicuramente un modo unico per intuire il come e il perché della Creazione. Assolutamente da leggere. Prima però preparatevi alla commozione del sapere, dove l’uomo è degnamente un figlio divino. LIFE AFTER LIFE 16 Noemi Stefani [email protected] sensitiva e ricercatrice della storia delle religioni, indaga da più di 20 anni nel paranormale ricevendo numerose conferme alle sue tesi. Le sue esperienze l’hanno portata a visitare i posti più misteriosi e ricchi di spiritualità della terra. Ha preso parte a convegni con tematiche riguardanti “ la vita oltre la vita “ facendo da tramite per le persone che erano in attesa di risposte e conferme dall’aldilà. Ha tenuto conferenze, intervenendo anche a trasmissioni radio (RTL 102,5) e televisive (Maurizio Costanzo show). “IO HO FATTO QUESTI SEGNI…” Anche quest’anno il Natale è già passato e si rimette via il presepe. Come sempre avvolgo accuratamente dentro morbidi fogli di panno carta il Gesù Bambino e la Sacra Famiglia, e poi li ripongo nella capanna insieme alla stella cometa. Tutto il resto a parte, dentro lo scatolone vuoto del pandoro. Mi prendo cura delle sfere di vetro soffiato così brillanti delicate e fragili, così com'è fragile la vita umana, sospesa a un filo proprio come queste sfere stanno appese ai rami dell'alberello… Basterebbe un nulla per frantumarle in mille schegge, basterebbe un niente alla nostra fine terrena. Ma cento schegge di vetro riflettono la luce ugualmente, e così anche il nostro spirito continua a riflettere la componente luminosa che ci appartiene, cambierà la forma ma la sostanza rimane. Raccolgo i pastori, gli angeli, pecore e cammelli con i Re Magi, e tutto il resto, via, dentro allo scatolone. Mentre lavoro come tutti gli anni penso sempre tra me: “Signore conservaci tutti, almeno fino alla prossima volta”, e questo pensiero mi fa salire un groppo in gola. Quanti affetti ho visto andare via... Mi sorprende sempre il profumo d'incenso che impregna il panno carta (sempre lo stesso) che uso per avvolgere il Bambino Gesù. È intenso, delicato, e riempie la sala per un po’ insieme all'odore delle bucce di mandarino che faccio seccare sul calorifero. Ma da dove viene? È lo stesso odore d’incenso che improvvisamente si solleva mentre attraverso un punto della casa per poi sparire immediatamente. Io lo sento, gli altri raramente. Io so che è Gesù che mi manifesta la Sua presenza costante, rassicurante e serena. Fin dalla Pasqua del 2000, quando tramite la scrittura mi aveva detto 17 “Resto sempre con chi mi ama. Pensami felice, sono risorto, credimi!”. Qualche mese prima di quell’anno accadevano altri fatti per me molto rilevanti. Avevo visto un programma in tv a cui aveva partecipato l'Avv. Sardos Albertini, il papà di Andrea, e parlava del figlio che era sparito e poi che purtroppo era morto. Andrea era un bravo ragazzo studioso e abitava a Trieste. Un giorno si mette in viaggio per Torino, non si sa bene perché, e di lui non si è saputo più nulla. Molto tempo dopo si è scoperto che era stato ucciso forse per rapina e il suo corpo era stato gettato nel fiume Po. Andrea è un’anima benedetta che dopo la sua morte ha voluto lasciare tanti segni come testimonianza che l'Aldilà esiste. Avevo letto il libro dell'Avv. Sardos, e visto le fotografie dei “segni” che Andrea lascia là dove serve. Di solito a persone che stanno male e nemmeno LIFE AFTER LIFE sanno di lui, ma è proprio attraverso questi segni che cominciano a sperare e a credere in un’altra Vita. Questi segni sono macchie rosso sangue, bagnate al tatto, e si conservano in questo stato. Compaiono all'improvviso alle persone su stoffa, libri, indumenti... Così tanti che il padre chiede che gli vengano inviati a casa sua a Trieste come testimonianza, e ne aveva raccolti una stanza piena. Ero in sintonia con Andrea, emotivamente coinvolta nella sua storia triste e guardando la foto di un viso giovane e pulito, avevo pensato che come età poteva essere il mio fratellino. Deve avermi sentito. Ho incominciato a trovare questi segni in giro per casa. Decido di prendere una busta e di mandarli 18 all'Av. Sardos a Trieste. Andrea mi parlava anche attraverso la scrittura, e io mandavo tutto al suo papà, che riconosceva la calligrafia ed era felice di leggere. Ho un ricordo particolare che serve a capire bene come avveniva. Una sera la mia bimba che frequentava le elementari lascia il quadernone di matematica aperto sul tavolo pronto per la firma di suo padre. Andiamo a dormire e la mattina dopo, la sorpresa. Al centro del quadernone una grande macchia rossa di diversi cm. e anche a piede pagina, che si propagava su altre pagine in tante piccole macchioline. Al tatto sembrava ancora bagnata (come quella delle fotografie che allego, a distanza di 10 anni sono intatte). La figlia piangeva, difficile giustificare con la maestra. Ovviamente sul tavolo c’era solo il quaderno. Avevo chiesto ad Andrea il perché a me che già credo fermamente. La risposta “Io ho fatto questi segni, li ho fatti per te, perché continui sempre a fare altre particolari formidabili connessioni con la Vera Vita. Io lo sento il tuo amore, la vita è bella se porti nel cuore lo Spirito Altissimo. L'amore per gli altri sarà il Grande, Forte, il Felice Raggio di Luce che sopra le anime sante loderà le parole della Luce Infinita. Mai dovrai temere perché sta reggendoti la mano”. LIFE AFTER LIFE Nelle sue parole c'è tanto affetto, e mi ha accompagnato per tanto tempo, incoraggiandomi quando gli ostacoli mi facevano perdere la fiducia. Ribadisco ancora una volta che il bene non muore mai, va ben oltre la morte che è solo un passaggio in altri luoghi con altre forme. Il bene resta. Sempre. Riprendo in mano questo libro dopo tanti anni, verifico l'umido della macchia più grande, faccio le fotografie per voi e mi sembra che le macchioline all'interno della copertina formino due piccoli cuori. E sì, lo faceva spesso adesso che mi ricordo, disegnava cuori, grazie fratellino, grazie Andrea. 19 XAARAAN Antonella Beccaria [email protected] editor e traduttrice, scrive e pubblica con la casa editrice Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri e con Socialmente Edizioni. I suoi libri sono disponibili sia in libreria che online: tra questi "Il programma di Licio Gelli" (2009), "Pentiti di niente - Il sequestro Saronio, la banda Fioroni e le menzogne di un presunto collaboratore di giustizia" (2008), "Uno bianca e trame nere – Cronaca di un periodo di terrore" (2007), "Bambini di Satana – Processo al diavolo: i reati mai commessi di Marco Dimitri" (2006) e "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell'informazione" (2004). http://antonella.beccaria.org/ SISTO NERO: LA STORIA DI UN BORBONE E DEI SUOI RAPPORTI CON L’EVERSIONE IN SPAGNA La sua morte, avvenuta a Barcellona il 18 agosto scorso, è passata in pratica sotto silenzio, rispetto a quelle più ricordate a mezzo stampa di Giovanni Ventura e Francesco Cossiga. E altrettanto è accaduto con la sua tumulazione, avvenuta qualche giorno più tardi a Parma, nella basilica di Santa Maria della Steccata, dove già alcuni dei suoi avi sono stati sepolti. Era un personaggio dimenticato della recente storia italiana, Carlo Ugo di BorboneParma, una vita trascorsa tra la Francia e soprattutto la Spagna, dove negli anni Sessanta riuscì a inimicarsi il fronte filo-realista dei carlisti, fallì nella gestione dei suoi rapporti con il dittatore iberico Francisco Franco e ruppe con la famiglia per essersi avvicinato a istanze che si ispiravano al socialismo jugoslavo di Tito. Ma nemmeno ci si ricordò che, negli anni Settanta, tornò al carlismo per traghettarlo verso istanze democratiche post-franchiste e che suoi uomini, collaboratori a lui vicino in questo progetto, vennero assassinati il 9 maggio 1976 nel massacro di Montejurra, la cui responsabilità fu addossata all’estrema destra spagnola e ad alcuni neofascisti italiani, tra cui Stefano Delle Chiaie. I fatti di Montejurra, per con Carlo, rientravano in un conflitto non solo politico, ma anche familiare. Un conflitto che poneva su due fronti opposti lui e suo fratello Sixto, di dieci anni più giovane (nacque nel 1940) e con frequentazioni ben più radicali. Sostenitore del leader francese del Fronte Nazionale, Jean-Marie Le Pen, tra le sue frequentazioni 20 annoverava l’arcivescovo scomunicato da Giovanni Paolo II Marcel Lefebvre e dal 1977, anno della morte del padre, scalzò il fratello assumendo il titolo di “portabandiera della tradizione” e della reazione carlista. Del resto, nel corso della sua vita (che prosegue oggi in Argentina, pur avendo rinunciato a gran parte delle sue uscite pubbliche a causa delle conseguenze di un incidente stradale), non furono poche le occasioni in cui compì scelte in linea con le sue posizioni di destra. Iscrittosi nel 1965 alla legione straniera spagnola con il nome di Enrique Aranjuez, per quanto riguarda gli eventi di Montejurra, gli uomini – armati dalle frange filofranchiste della Guardia Civil – che spararono sulla folla erano a lui vicini. Compreso lo stesso Delle Chiaie, che con don Sisto aveva anche una conoscenza in comune: quella di Yves Guerin Serac, a capo dell’Aginter Press, agenzia di stampa attiva in Portogallo dal 1962 al 1974 la cui reale attività era il coordinamento europeo delle forze anticomuniste e ultraatlantiche, l’infiltrazione delle organizzazioni di sinistra ed estrema sinistra e la copertura per attività golpiste e terroristiche. Le testimonianze fotografiche del massacro del 1976 – descritte in dettaglio dalla sentenza per l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, assassinato quello stesso anno a Roma da Pierluigi Concutelli – hanno lasciato pochi dubbi circa le presenze quel giorno. Oltre a don Sisto e a delle Chiaie (”nominato” in quell’occasione dal stesso Borbone generale sul campo, in base a quanto disse Gaetano Orlando del Movimento armato rivoluzionario), c’era anche Augusto Cauchi, esponente di Ordine Nero, vicino ad ambienti del Sid (i servizi segreti militari pre-riforma del 1977) e della Cia e ritenuto snodo di collegamento tra l’eversione di estrema destra e la P2 di Licio Gelli. Ma i rapporti XAARAAN accertati del principe Sisto di Borbone con ambienti estremisti italiani non si limiteranno a questi fatti. Presidente dell’Irep (Istituto europeo di ricerche e di studi politici e sociali), il nobile farà produrre una rivista, “Confidential”, tradotta in varie lingue e diffusa in Italia da Mario Tilgher, esponente del Grande oriente d’Italia e della loggia P2 con tessera numero 84. Quando la rivista prese vita, era l’inizio degli anni Ottanta, il periodo in cui don Sisto era sospettato di aver avuto a che fare con l’attentato alla sinagoga parigina di rue Copernic, avvenuto il 3 ottobre 1980 e che registrò un bilancio di quattro vittime e una trentina di feriti (in seguito le indagini si sono concentrate su militanti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e ancora nel 2008 sono stati effettuati degli arresti). Una perquisizione dell’estate 1981 della sede francese dell’Irep portò al ritrovamento di uno schedario chiamato “Militanti di Ordine nuovo”. I dossier che ne facevano parte erano custoditi dentro una scatola di legno ed erano indicizzati per nome e per nazionalità (i Paesi citati comprendevano tra gli altri Italia, Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Belgio, Spagna, Germania, Svizzera, Lussemburgo, Principato di Monaco) e l’ipotesi che gli investigatori fecero è che si trattasse dell’archivio dell’ordinovista Clemente Graziani. Ma c’è un’altra sede, questa volta in Italia, che attirò l’attenzione degli XAARAAN inquirenti. Si trattava della redazione romana della rivista Confidential, che si trovava in via Alessandria 129. Sempre a questo indirizzo si sarebbe nascosto l’arsenale dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, oltre alle scorte di denaro del 21 gruppo terroristico capitolino. E sempre qui venne arrestato Roberto Nistri, uno dei leader di Terza Posizione, indicato come una delle persone dalle cui mani sarebbe transitato un silenziatore che fece il suo ingresso nelle indagini sull’omicidio di Valerio Verbano. Ma Nistri in quel periodo era in carcere per una questione di armi. (Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre 2010 del mensile La voce delle voci) Anno 2010. È trascorso ferragosto da un paio di giorni quando Francesco Cossiga muore in un ospedale romano. Con lui, si è detto nei giorni successivi, se n'è andato un pezzo di storia d'Italia che si sarebbe guardato bene dal raccontare, un armadio da aprire alla ricerca di quelli che lui stesso chiama gli “arcana della Repubblica”. Ma a rileggere ciò che il grande vecchio della politica tricolore scrisse e dichiarò, è possibile aggiungere qualche tassello a un mosaico fatto di servizi segreti e carabinieri, terroristi perdonati e magistrati invisi, stragi e Gladio. Dal rapimento Moro all'infiltrazione nelle organizzazioni estremistiche, dalla passione per l'intrigo alle guerre intestine nella Democrazia Cristiana, da Ustica all'amore per gli ex comunisti, dall'amicizia con i palestinesi ai conflitti silenziosi sullo scacchiere del Mediterraneo. Questi sono alcuni degli argomenti di cui Francesco Cossiga parlò a più riprese. Per ribadire, come gli insegnò il suo mentore, Aldo Moro, “sacrificato sull'altare della Ragione di Stato”, che “noi non ci faremo processare”. 22 CONFESSO, HO VIAGGIATO Noemi Stefani [email protected] sensitiva e ricercatrice della storia delle religioni, indaga da più di 20 anni nel paranormale ricevendo numerose conferme alle sue tesi. Le sue esperienze l’hanno portata a visitare i posti più misteriosi e ricchi di spiritualità della terra. Ha preso parte a convegni con tematiche riguardanti “ la vita oltre la vita “ facendo da tramite per le persone che erano in attesa di risposte e conferme dall’aldilà. Ha tenuto conferenze, intervenendo anche a trasmissioni radio (RTL 102,5) e televisive (Maurizio Costanzo show). CASTELLO SFORZESCO L' ultima volta siamo andati per castelli, abbiamo varcato le mura del Castello di Trezzo sull'Adda, ricco di storia antica (tanto per citare Celti, Longobardi, Barbarossa, ecc.) e di fantasmi, non potevo esimermi da proporre il castello Sforzesco di Milano, che si collega allo stesso proprietario Bernabò Visconti e allo stesso periodo storico. Il Duomo è una delle sette meraviglie del mondo ed è conosciuto da tutti ma il Castello è sicuramente il luogo che amo di più della mia città. Ricordo che quando da ragazzina entravo a perdermi nella piazza d'Armi del Castello Sforzesco, era come entrare in un'altra epoca, era come se le lancette dell'orologio per magia fossero così arretrate nel tempo da tornare al medio evo. All'ingresso passo sotto la Torre del Filarete e mi addentro nella Piazza d'Armi che si estende compresa in un ampio spazio rettangolare. Cammino faticosamente sul ciottolato, sto attenta a come metto i piedi perché è facile torcersi le caviglie, e io ne ho già una debole. Questa piazza è enorme, immensa. Qui persino le voci delle persone che vanno e vengono proseguendo verso l'interno della costruzione sembrano affievolirsi, i rumori del traffico all'esterno rimangono fuori. Com'è diversa la realtà di oggi. Sento parlare tante lingue ma non la mia, sembra un luogo fuori dal tempo e anche questa è la mia Milano da bere (pubblicità del noto aperitivo). Su questi sassi antichi hanno cavalcato soldati di mezza Europa, questa terra ne avrebbe da raccontare di soprusi, tirannie e morti ammazzati. Energie, echi di voci lontane che sono rimaste sospese nello spazio tempo si sovrappongono al tempo reale, bisogna soltanto saperle distinguere, e aver voglia di seguire il filo delle storie che ci raccontano. Il mio punto di riferimento da ragazzina goffa e curiosa che aveva appena finito le medie era la Corte Ducale, e ci venivo spesso la domenica, anche da sola. Un luogo ancora più raccolto, con uno specchio d'acqua azzurro rettangolare, il prato tutto intorno. Faceva caldo come fa caldo a Milano d'estate e lì era fresco, anche i pensieri rimanevano sospesi a riposare. Mi interessavano le sculture, i drappeggi medioevali, le CONFESSO, HO VIAGGIATO 23 dominatori stranieri. Solamente nel Novecento ha assunto l'aspetto rassicurante di un luogo di cultura, destinato a custodire le testimonianze dell'arte lombarda. Il suo nome riporta al XV secolo, all’epoca di Francesco Sforza, che lo volle ricostruire a partire dal 1450, ma l'origine del Castello è più antica: sorse infatti per volere di Galeazzo II Visconti nella seconda metà del Trecento. grandi sale affrescate, i quadri d'epoca, le armature. Mi piaceva annusare l'aria. Il fatto stesso di respirare il pulviscolo che brillava al sole in quelle sale cupe era come nutrirsi della storia stessa. Mi affascinava specialmente un sito dedicato all’antico Egitto con le mummie e i sarcofagi, e questa passione non mi ha mai abbandonato nel tempo. Era un modo per fuggire da una realtà che già allora mi stava stretta. Ma per capire meglio di cosa parlo, prima qualche cenno storico perché qui di storia ce n'è molta. Le vicende del Castello È stato per secoli protagonista di dolorose vicende, divenendo agli occhi dei cittadini un odioso simbolo del potere esercitato dai Signori di Milano o dai Alcune nozioni storiche (dal Sito Ufficiale) Il più antico fortilizio è chiamato “di Porta Giovia” perché costruito lungo le mura medievali di Milano, rimane visibile il fossato, ed è rimasta l'omonima porta. Viene edificato come rocca difensiva negli anni fra il 1360 e il 1370 da Galeazzo II Visconti; i lavori vengono proseguiti dai successori Gian Galeazzo e Filippo Maria, che trasforma la struttura nella propria residenza e sistema il grande parco a nord dell'edificio. Il Castello dei Visconti ha pianta quadrata, con lato di 180 metri e quattro torri angolari. Poi nel 1447 alla morte di Filippo Maria, non avendo eredi il castello venne demolito e le pietre furono utilizzate dai milanesi per ricostruire le mura della città. Nel 1450 arriva Francesco Sforza che sposa l'erede illegittima Bianca Maria Visconti (unica discendente dei Visconti) e provvede a ricostruire e fa costruire la grande torre del Filarete e completa la struttura con dei torrioni rotondi. Nel 1466, all'avvento dell'erede dello Sforza, Galeazzo Maria, una parte interna del Castello, rivolta verso il parco, assume l'aspetto di una residenza signorile: è la Corte Ducale, affiancata dal complesso fortificato quadrato della Rocchetta. Quest'ultima, vera e propria rocca nella rocca, è dotata di un'alta torre, detta “di Bona” perché costruita da Bona di Savoia, vedova di Galeazzo Maria Sforza. LA RESIDENZA SIGNORILE A Francesco Sforza, morto nel 1466, succede il primogenito Galeazzo Maria, quinto Duca di Milano. Raffinato, colto, amante del lusso, Galeazzo Maria frequenta le corti francese, mantovana e ferrarese, dopo aver trascorso la giovinezza nell'elegante castello pavese, sviluppando una sorta di passione per gli avi materni e in particolare per Gian Galeazzo Visconti. Promesso sposo di Bona di Savoia, cognata del Re di Francia Luigi XI, Galeazzo Maria, volendo trasferirsi con la corte in Castello, intraprende una complessa campagna di lavori, destinati a trasformare il fortilizio in dimora signorile. Le opere iniziate da Francesco Sforza subiscono una brusca accelerazione: si lavora alla Rocchetta e alla Corte Ducale, mentre contemporaneamente si 24 attrezza un “Cassino”, destinato a ospitare il Duca e la sua consorte. Stupisce oggi la semplicità della vita domestica condotta dagli Sforza, che conosciamo dalle notizie tramandate da interessanti documenti, quali le lettere dell'epoca. Raffinatissimi nella scelta di abiti, cavalli e gioielli, i Duchi sono abituati a vivere in stanze confinanti con il pollaio, in sale che di notte ospitano materassi e di giorno assemblee, in ambienti dai soffitti altissimi le cui ampie finestre sono chiuse non da vetri ma da semplici "impannate" (stoffe). In Castello gli architetti sono continuamente al lavoro: costruiscono, riedificano, modificano gli spazi e la loro destinazione; sappiamo, per esempio, che, in occasione dell'arrivo della sposa francese, Bartolomeo Gadio deve allestire una stalla in grado di ospitare novanta cavalli. Con Ludovico il Moro, che chiama a Milano Donato Bramante e Leonardo da Vinci, il Castello, nell'ultimo ventennio del Quattrocento, si arricchisce della Ponticella, un'elegante ala che si affaccia sul fossato esterno, e dei celebri affreschi della Sala delle Asse. IL DOMINIO FRANCESE CONFESSO, HO VIAGGIATO Alla caduta del Moro e all'arrivo dei nuovi dominatori francesi, nel 1499, seguono anni di battaglie, assedi e occupazioni del Castello, che subisce saccheggi e distruzioni. In questo periodo convulso, nel giugno 1521, la Torre del Filarete, utilizzata come deposito di munizioni, esplode a causa di un fulmine, provocando morti e danneggiando l'intera struttura. LA FORTIFICAZIONE SPAGNOLA Quando Milano è definitivamente sottomessa al dominio spagnolo, nel 1526, il Castello viene cinto da una fortificazione a forma di stella che lo rende inespugnabile, anche perché dotato al suo interno di depositi di viveri, foraggio e pozzi d'acqua. Interessante la forma della stella a esagono. C'è da chiedersi e non mi stupirebbe se oltre a una funzione strettamente necessaria dal punto di vista militare non avesse anche il senso di simbolismo esoterico. LA DOMINAZIONE AUSTRIACA Dopo la conquista austriaca del 1706, l'edificio mantiene, per circa un secolo, funzione rigorosamente militare, a più riprese restaurato fino all'arrivo delle truppe napoleoniche nel 1796. LA CONQUISTA NAPOLEONICA Alla fine del Settecento l’antica fortezza subisce gravi danni quando, in seguito all'assedio napoleonico, i cittadini ne mutilano i torrioni e ne scalpellano gli stemmi sforzeschi. In ultimo, Napoleone decreta la demolizione delle strutture esterne, destinando l'antico Castello ad alloggio per le truppe: le sale affrescate al piano terreno della Corte Ducale sono addirittura adibite a stalle. LA RESTAURAZIONE AUSTRIACA Non migliorano le condizioni dell'edificio all'epoca della Restaurazione (1815-1859): sede della guarnigione austriaca durante le Cinque Giornate di Milano (18-22 marzo 1848), il Castello è saccheggiato dal popolo, in rivolta contro gli odiati tiranni. Lo stemma dei Visconti (Il biscione che mangia un bambino?). Probabilmente lo stemma ha un'origine antica. Sembra che fosse simbolo di Milano molto prima dell'arrivo dei Visconti e potrebbe rappresentare il serpente di bronzo conservato in Sant'Ambrogio e forgiato da Mosè in persona. Come spesso accade nell'incertezza, la realtà si mescola alla leggenda in modo che sia impossibile disgiungere la prima dalla seconda e, anche per l'origine di uno dei più importanti simboli di Milano. La più nota riguarda Azzone Visconti, nipote dell'arcivescovo Giovanni. Era il 1323 e Milano era impegnata in una logorante guerra contro i fiorentini. Le truppe milanesi, capeggiate dai Visconti, si erano accampate nei dintorni di Pisa in attesa di assediare la città degli odiati nemici. Al riparo degli alberi di un fitto boschetto appena fuori dalla città, i soldati si riposavano e rifocillavano. Azzone, stremato dalla lunga cavalcata della mattina, si stese al riparo di una pianta e si CONFESSO, HO VIAGGIATO addormentò. Mentre il condottiero riposava, una vipera si infilò nel suo cimiero abbandonato sull'erba lì accanto. Al risveglio Azzone raccolse l'elmo e se lo mise. La vipera, invece di morderlo, sgusciò da un'apertura sulla parte superiore del copricapo da cui uscì sibilando. Azzone, senza farsi prendere dal panico, tolse l'elmo e lo appoggiò a terra permettendo all'animale di allontanarsi indisturbato. Per ricordare l'episodio, Azzone decise di rappresentare la vipera nello stemma di famiglia; per sottolineare il suo comportamento innocuo, la fece dipingere con un bambino in bocca. I LONGOBARDI Le altre leggende hanno radici ancora più antiche. Una risale ai tempi di Desiderio, ultimo re dei Longobardi, che si dice fosse antenato dei Visconti. La leggenda racconta che Desiderio si addormentò, stremato da un combattimento, all'ombra di un albero. Mentre riposava una vipera gli si arrotolò intorno al capo come una corona. Quando il re si risvegliò, la vipera sciolse le sue spire e si allontanò senza morderlo. Desiderio, 25 messo al corrente dell'accaduto dai suoi uomini che avevano assistito a tutta la scena, ritenendo il fatto prodigioso, decise di rappresentare quel serpente nelle sue insegne, che poi sarebbero passate ai suoi discendenti, i Visconti. UN DRAGO A MILANO Poco dopo la morte di Sant’Ambrogio sembra che a Milano fosse giunto un drago. La bestia viveva in una profonda caverna che si trovava nella zona oggi occupata dalla chiesa di San Dionigi. Nonostante il luogo, ai tempi, fosse al di fuori della cinta della città, capitava di frequente che qualche viandante finisse tra le fauci del drago. Molti temerari guerrieri cercarono di liberare la città dall'indesiderato ospite, finendo tutti come involontari pasti del mostro. La situazione in breve diventò insostenibile; la città languiva poiché nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi a Milano. Un giorno un cavaliere si propose per la nobile impresa di liberare la città dall'assedio della bestia. Il suo nome era Uberto Visconti. Il coraggioso cavaliere partì da Milano sotto un'alba livida. Era l'ultima speranza della città. Giunse alla caverna del drago mentre l'immondo animale si preparava a divorare un bambino catturato poco prima. Uberto liberò il bambino e cominciò a lottare con il drago. Si racconta che il combattimento finì solo al tramonto del secondo giorno, quando Uberto rientrò trionfante a Milano stringendo in pugno la testa del mostro. Milano era libera e Uberto Visconti raffigurò il mostro, che divorava il bambino, su quello che sarebbe diventato il vessillo della più importante famiglia milanese. (Vivi Milano) Si dice che le leggende abbiano sempre un fondo di verità, però è difficile capire quale di queste che ho riportato ci si possa 26 avvicinare. Come tutti i castelli, anche questo ha il suo fantasma. Siamo nel XIV secolo e si tratta di Bernarda Visconti, la figlia di Bernabò signore di quel tempo. Considerata come adultera, fu fatta imprigionare e rinchiudere nella Rocchetta che è situata tra la Corte Ducale e il cortile interno. Non visse a lungo Bernarda, però il suo fantasma continua a mostrarsi sui torrioni del Castello Sforzesco, all'interno e persino nel parco Sempione che una volta era una grande piazza d'armi. Il luogo dove il fantasma preferisce manifestarsi più spesso è il chiostro di Santa Redegonda e sopra la parte più alta e merlata di uno dei torrioni. Nel 1450 c’è un nuovo signore Francesco Sforza che darà il nome al castello e incomincia la ricostruzione, proseguono gli eredi di Francesco come Galeazzo Maria e proseguono tra attacchi assedi e distruzioni, come quella dei francesi nel 500, spagnoli e austriaci nel 700 e poi ancora napoleone e le 5 giornate di Milano. In tutto questo tempo il fantasma CONFESSO, HO VIAGGIATO continuò a manifestarsi come una dama vestita in nero con una maschera di cuoio o una veletta nera sul viso. Si preannuncia con un intenso profumo di violetta, si accosta agli uomini e li invita ad accompagnarla verso una villa dove i locali sono tutti drappeggiati a lutto, e li chiede a loro di passare la notte con lei. Poi riaccompagna il suo amante dove si erano incontrati. Si dice che chi ha avuto il coraggio di spostare la maschera da quel viso restò amaramente sorpreso trovandosi fronte un teschio ghignante. Inutile cercare la villa dove avvenivano gli incontri amorosi perché non esiste in alcun luogo. C’era un altra ragione per cui facevo spesso visita al Castello Sforzesco. Verso la fine del percorso guidato, proprio prima della Pietà Rondanini l'ultimo capolaforo incompleto di Michelangelo perché morì prima di terminare, mi fermavo affascinata a guardare la statua di Gastone de Foix di Navarra morto in battaglia. Un guerriero che riposava nella sua seducente armatura di marmo, il bel volto che sembrava addormentato. Almeno non avrebbe subito l'ingiuria del tempo, mi consolavo. Aspettavo che non ci fosse nessuno nella stanza, poi mi abbassavo furtiva, le trecce sfioravano la statua e io felice baciavo quella sua guancia gelida. Anche stavolta mi soffermo a lungo a guardare quella meraviglia del Bambaia. Non c'è nessuno, quasi quasi... Un bacetto... Mi piego e sto per avvicinarmi al bel viso di Gastone quando dalla sala sottostante spunta la divisa dell'addetta alla sicurezza che mi guarda con sospetto. Mi chiede se ho bisogno di qualche informazione ed è un modo molto gentile per invitarmi ad andare. Per un attimo ho dimenticato la mia età, non avevo più un’età, l'adolescente goffa curiosa e innamorata ha avuto il sopravvento. Solo per un attimo. Fuori di qui la vita riprende con il suo ritmo concitato, esco e ritorno al futuro. 27 IMPRESSIONI DA BASSAVILLA di Vocisconnesse – Diramazioni Daniele Bonfanti [email protected] pianista, compositore ed ex campione di kayak, ha frequentato la facoltà di Filosofia presso l’Università Statale di Milano. Editor, autore, curatore di raccolte e giornalista divulgativo in ambito di antichi misteri. Per Edizioni XII lavora attualmente come editorin-chief e dirige la collana Camera Oscura, dedicata alla narrativa esoterica. Il titolo del suo ultimo romanzo, recentemente tornato in libreria in una nuova edizione, è Melodia. Simone Lega [email protected] nasce il 13 novembre 1978 a Siracusa. Ha pubblicato racconti per Perrone editore e su varie riviste e si è beccato pure qualche premio. Collabora con la casa editrice 'Edizioni XII (caporedattore del blog) e per “Il Teatro Instabile Siracusa” svolge di volta in volta il ruolo di autore, lettore impacciato in spettacoli – reading, maldestro tecnico luci… Nella seconda metà del 2011, per Edizioni XII nella collana Mezzanotte, è in uscita il suo primo romanzo Perché impressioni? Perché Edizioni XII ci ha chiesto di illustrare la copertina di Ritorno a Bassavilla, di Danilo Arona. Si tratta del nostro modo di immergerci nel racconto, di passare dalle parole alle immagini. Abbiamo passato il cartello “Alessandria” per ritrovarci nella dimensione di “Bassavilla”. Spaccati che oscillano in equilibrio quantomai precario sul filo sottilissimo che separa la realtà (o quella che riteniamo tale) dall’Immaginario più disturbante. E dietro sogghigna e prende forma - solo per poi prenderne un’altra – lei: Bassavilla. Il ponte: è il ponte che permette il transito di cittadini e passanti di Alessandria da una parte all’altra del fiume, o il ponte sospeso di quella dimensione che è per l’autore “Bassavilla”? Possiamo smettere di chiedercelo, dal momento che è stato abbattuto? L'illustrazione di Diramazioni per la cover di Ritorno a Bassavilla, di Danilo Arona Daniele Bonfanti scrive: Ritorno a Bassavilla ci riporta tra le nebbie della più spettrale tra le città della nostra letteratura, e che era tempo si vedesse dedicare un intero libro: Bassavilla. Uno sguardo oltre l’apparenza confortante delle cose, tra storie – vere? – di fantasmi, resoconti dell’insolita attività investigativa dell’autore, e inquietanti fatti di cronaca nera. O nerissima. Il ponte Cittadella di Bassavilla Con nostro grande stupore, e soprattutto disappunto e delusione di Danilo Arona e degli abitanti della città la cui resistenza è stata vana, il ponte che abbiamo fotografato ora non c’è più. Evidentemente sono i fantasmi che restano, e si ricordano, anche se forse cercano sempre di sfuggire alle parole, così come dalle immagini… Come il fantasma di Melissa. 28 peculiari tratti architettonici (appunto: strutture solide) perché l’autore ne parla come di una città che ha un volto, e anche un’anima costituita da ricordi, esperienze e fantasmi. Quindi abbiamo cercato di dare l’”impressione” che dall’immagine affiorino “presenze”. La casa di Melissa: la via, il palazzo della “vecchia” Alessandria e il numero civico in cui visse Melissa Purtroppo la storia di un luogo spesso viene anche dimenticata, da pochi ricordata, ma dai più ignorata, per questo ha bisogno di una rievocazione. E Danilo Arona è riuscito ad alimentare il ricordo, a partire dalla propria esperienza e conoscenza, ricostruendone fatti di cronaca ma anche suggestioni, tra la realtà e l’immaginazione… Che il ponte fosse rimasto in copertina è risultato quindi particolarmente significativo. Un ponte solido che dimostra quanto coloro che ora sono fantasmi furono esistenze corporee realmente vissute. Probabilmente uno dei nuovi palazzoni di cui si parla nel libro Campanile di Bassavilla Sempre per questo non aveva senso secondo noi inserire immagini nitide e corporee di persone ben definite, preferendo trasmettere l’idea di una Bassavilla fissata e congelata in un istante e al contempo in “movimento”. Uno spazio piccolo e soffocante dove tutto si addensa, ampio e infinito, dove tutto si perde, percepito come descritto dall’autore e persino da Umberto Eco nella citazione riportata a pagina 10 del libro (non sveliamo troppo!). Il ponte cittadella, oggi abbattuto, visto attraverso Il cartello intitolato a Maddalena Sisto, della quale si parla nel capitolo “MAD (Alessandria 1950/Milano 2000)” Per l’illustrazione di copertina abbiamo ricreato la città tramite alcuni suoi Ci sono figure mosse, o sfocate in una città ben riconoscibile, seppur in mutamento… “Impressioni” perché da Bassavilla/ Alessandria siamo tornati con una serie di fotografie che abbiamo scattato seguendo il percorso dei luoghi narrati nel libro (“impressioni” digitali e non su pellicola in questo caso). Immergerci nelle nebbie di una Bassavilla grigia non è stato proprio immediato, poiché (forse in via del tutto eccezionale) siamo capitati in una giornata di pieno sole, che però è risultata molto utile dal punto di vista fotografico. In ogni caso Bassavilla non si è smentita e soprattutto le campagne, al calar del sole… Bassavilla al calar del sole Chiesa di Bassavilla Daniele Bonfanti scrive nella prefazione “[…] Una raccolta di spaccati, epifanie, storie, che vedono al proprio centro 29 gravitazionale le nebbie di una città particolare, che un po’ è Alessandria e un po’ non lo è – sarebbe non troppo azzardato affermare che si tratta di una metaAlessandria, forse. E che è anche – soprattutto, dice Danilo – soprattutto i suoi dintorni.” Soprattutto i suoi dintorni... Ovviamente non è una cosa che facciamo per tutti i libri! Ma se in questo caso ci siamo spinti fisicamente “nel luogo della narrazione”… in altri casi cerchiamo di fare lo stesso stando comodamente seduti davanti a una tazza di tè, o caffè, prima di prendere la matita e di metterci al computer! A noi piace conservare ricordi di ogni viaggio vissuto. Il nome "Diramazioni" nasce proprio da questo concetto: tramite le possibili idee, stratificazioni di pensieri e sfumature di colori si può giungere a un ricordo. testo di Vocisconnesse / Diramazioni fotografie di Tryfar / Diramazioni Per i brani di Ritorno a Bassavilla: Danilo Arona, Daniele Bonfanti e Edizioni XII DIETRO LE QUINTE DI OPERA SEI di David Riva Raccontando la genesi del suo romanzo, David Riva spiega come gli eventi narrati in Opera sei siano molto più vicini alla realtà di quel che si potrebbe pensare. L’idea iniziale, lo spunto da cui “Opera sei” ha avuto genesi, era in realtà piuttosto lontana da quanto poi si è sviluppato, sebbene com’è ovvio contenesse tracce profonde di assonanza: ho immaginato che una giovane donna, navigando in rete, incappasse in un sito che prometteva di trasformare gli interessati attraverso interventi di chirurgia estetica, ma in realtà il portale web non sarebbe stato altro che una trappola per attirare vittime presso un efferato serial killer. Quando poi ho iniziato a raccogliere materiale sulle forme di body art del secolo scorso, mi è stato chiaro che sarebbe stato molto più interessante virare verso quella direzione, poiché ciò che giace su un estremo indecidibile – cos’è arte e cosa non lo è? cos’è bello o brutto? cos’è normale o para-normale, vero o falso? – possiede un fascino irresistibile, a cui la natura ci spinge proprio per risolvere l’irrisolto, e per ricercare l’irrisolvibile. L’aspetto che non traspare in maniera vistosa, ma è sotteso a tutto il romanzo, è che nella realtà sono avvenute espressioni artistiche estreme e morbose in maniera non distante da quelle che io ho ideato. Ci sono stati – e ci sono – autori (che definiscono se stessi artisti e, ancora più incredibile, vengono nella maggior parte dei casi riconosciuti come tali dalla critica d’arte) i quali durante le proprie performance si procurano ferite con lame o punteruoli, oppure si appendono a ganci infilati nella pelle, si fanno cospargere di interiora di animali in rituali paramistici, si rotolano nella David Riva, autore del romanzo noir Opera sei 30 La copertina di Opera sei, David Riva, Edizioni XII; realizzata da Diramazioni carne cruda, trasformano cadaveri umani in statue, rimangono per giorni rinchiusi in gabbie cibandosi di scarti, utilizzano il proprio corpo e i suoi fluidi come mezzi per creare istanze artistiche, praticano eccessi davanti a un pubblico attento e via dicendo. Non sono a conoscenza di episodi in cui siano state tentate operazioni chirurgiche di qualche genere su altre persone che non siano l’artista stesso – l’arte carnale di Orlan, per esempio, per la quale lei provvede a modifiche chirurgiche su se stessa – per quanto esista una artista che tatua i propri componimenti poetici su soggetti volontari. Come è evidente, in mezzo a questo panorama la vicenda che descrivo in “Opera sei” è del tutto verosimile: sarebbe potuta accadere davvero, e chissà che tracce memetiche degli avvenimenti che descrivo non siano frutto di qualcosa che, a tutti gli effetti, potrebbe essere storia reale. Mi è stato chiesto, tra l’altro, dai primi lettori di “Opera sei”, se le citazioni che riporto sono vere, tanto aderiscono al testo e agli eventi del romanzo. Ebbene, a parte il diario di Ester, tutti gli scritti dei capitoli di approfondimento sono tratti dalla bibliografia riportata in calce, dimostrando ancora una volta che sono già presenti al mondo tutte le condizioni necessarie, affinché una vicissitudine simile a quella che i nostri protagonisti attraversano avvenga sul serio. Aggiungo che la definizione della propria identità è un aspetto bene o male a tutti presente, per lo meno è caro a chi possiede un minimo d’interiorità: a mio parere un libro non solo deve rispondere alle domande, ma anche farne sorgere. Mi è sembrato così interessante associare alla ricerca artistica contemporanea, spinta sempre più agli estremi – siano essi di genere estetico o emozionale – la ricerca del sé, come realizzazione non solo estetica ma anche esistenziale. Se questo può far sorgere nel Lettore curiosità o interesse, in uno qualsiasi di questi significanti, avrò il piacere di aver compiuto un buon lavoro. MASCHERE E DISTORSIONI Fabrizio Vercelli intervista J. Romano Fabrizio Vercelli incontra J. Romano, autore del racconto Distorsione contenuto nella raccolta Carnevale, nuova uscita per la collana Camera Oscura di Edizioni XII. [[F. Vercelli]: Il tema della Maschera, da te già trattato ne Il buio sotto la pelle (da Archetipi, la raccolta della collana Camera Oscura di Edizioni XII del 2009), e il Pierrot presente in Distorsione, hanno in comune la necessità di nascondere qualcosa di oscuro e malvagio. Tuttavia, nella società di oggi, non sono rari i casi in cui questi aspetti vengono ostentati, talvolta con perverso orgoglio. Quale di questi due approcci ti fa più paura, e perché? [J. Romano]: Entrambi gli atteggiamenti mi fanno paura in modo direttamente proporzionale al peso del soggetto/oggetto dell'informazione. Celare non è un’azione negativa di per sé. Dipende da cosa si nasconde e dai motivi che spingono a farlo. Che mi tengano all'oscuro del colore preferito di una certa attrice o della sua dichiarazione dei redditi, non mi cambia la giornata. Non rivelare che per anni tot cittadini hanno respirato amianto oppure bevuto acqua di una falda acquifera contaminata da una Un dettaglio della tavola, opera di Diramazioni e tratta dal volume Carnevale (Edizioni XII, collana Camera Oscura), relativa al racconto Distorsione di J. Romano discarica... eh, questo sì che me la cambia. Inizio a essere nervoso, sospettoso, come minimo. Idem per l'informazione spogliata di ogni possibile dubbio. Benissimo farla giungere al popolo tutto, ma deve essere fatto con intelligenza e rispetto. Ogni giorno le vite di persone innocenti, vittime di tragedie, vengono date in pasto senza metodo, in modo discutibile, al 31 pubblico. Hai presente come, vero? A turni! Prima da quotidiani e telegiornali, poi dalle trasmissioni con le vallette che fanno lo stacchetto tra una pozza di sangue e l'altra, infine "l'approfondimento" delle trasmissioni pseudo-importantipolitiche-sociali-con-modellinimortadella-e-silicone in onda in seconda e terza serata. Capisci... non c'è filtro. Ed è chiaro che se un metodo intelligente – o forse sarebbe meglio dire decente – non è applicato a livelli importanti, seri, è ancor più naturale non trovarlo nelle trasmissioni di intrattenimento in cui si gioca proprio al dico-non dico perché altro per stare in onda non c'è. Questo modo di mostrare fa schifo. Non esistono altre parole per definirlo meglio. E tutto questo lo vogliamo noi; lo meritiamo perché continuiamo a non capire che il potere è nelle nostre mani, il potere di celare, o meglio, di risparmiarci la visione di queste trasmissioni passive e inutili. Per scrivere una storia credibile e solida, per fortuna, non si possono eseguire gli esempi di cui sopra. Non puoi nascondere quello che vuoi e/o mostrare tanto o tutto. Non solo ci deve essere un equilibrio tra il detto e il non detto, si deve gestire anche il peso che hanno nelle dinamiche della storia. Il classico esempio è quello del mystery, del thriller, del giallo, del noir, ecc... Il gap viene creato con quello che non si dice, con l'informazione mancante. La ricostruzione – necessaria! – deve essere oculata e credibile rispetto all'andamento della trama e, quindi, delle azioni dei personaggi. Anche nei due racconti che hai citato nella domanda è presente questo meccanismo, sia nei confronti del lettore che nello svolgimento degli eventi. In entrambi i casi sono presenti esseri potenti e determinati che per vari motivi rimangono nascosti: ne Il buio sotto la pelle, grazie alla forza di volontà del personaggio che cerca di tenere a bada quanto più possibile la cosa che lo chiama e lo possiede, affinché il suo mondo non crolli e lo rigetti come uno scarto. In Distorsione, La copertina di Carnevale, opera di Diramazioni invece, il gioco è doppio: l'antagonista rimane nel buio cercando di vivere un giorno in più fino al momento propizio, in cui potrà saziare la sua voracità. Il protagonista, invece, è a sua volta vittima di un forzato occultamento d'informazioni, necessario e vitale... quindi un buon motivo per tenerlo all'oscuro – almeno fino a un certo punto – di quello che gli accade intorno. “Vedi, è tutto diverso quando sei morto... È una sensazione che fa paura, fa molto freddo, la tua anima percepisce il mondo in modo completamente diverso, non disponi più dei sensi. Allora cerchi aiuto. E arrivano loro, e la loro luce calda... ‘vai verso la luce, vai verso la luce’, ti dicono... e le anime ci vanno! Come tanti pesci verso l'esca... ("Melodia", Daniele Bonfanti) “Melodia” di Daniele Bonfanti, recentemente riproposto da Edizioni XII, è un romanzo che mi ha letteralmente stordito. Terminata la lettura, ho avuto l’esigenza di abbandonare quella storia per un paio di mesi. In questi giorni, quasi in sordina, sono tornato a sfogliare quelle pagine. Non capita spesso di rileggere un libro a così breve distanza, forse non succede mai. Eppure… quelle parole son tornate a scorrere con la stessa velocità, inaudita, rubando ancora le ore della notte, catturando di nuovo i pensieri. Per stordire, appunto. Ti cali senza sforzo nei panni di Mattia, il protagonista, per ammirarne l’iniziale tormento, poi la caparbietà, infine la crescita e la trasformazione. Ti meravigli del coraggio di fronte a situazioni oltre ogni umana immaginazione. Percepisci l’angoscia che attanaglia quando sei inseguito e l’adrenalina che sale, sempre più, perché comprendi che dovrai affrontare quel fantasma che emerge dal tuo passato, che torna per chiedere conto della tua vita. Come se tutto fosse già stato scritto e mancasse solo la parola fine. Quelle note, quella melodia che vuole chiudersi, è ossessionante e comincia a ronzarti in testa. Ti cattura, ma la verità è che ti fai catturare senza alcuno sforzo. Perché non sei il primo a caderci e non sarai nemmeno l’ultimo. È così che vai incontro al tuo destino: non dannarti l’anima, non serve. Simone Barcelli UFO E DINTORNI Walter Conidi ha 38 anni ed è di Roma: ha avuto un ruolo importante nel campo ufologico ai tempi delle BBS Romane (Bulletin Board System, l'antenato dei forum) nel periodo che va tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. Ha partecipato a numerosi simposi romani presieduti dalle maggiori cariche ufologiche dell'epoca e assistito alla storia del caso Caponi in anteprima a un convegno. Ha in mente un grande progetto, quello di creare una realtà seria dell'ufologica capitolina, ma abbandona tutto perché capisce che non ci sono i presupposti. Abbandona l'Ufologia rimanendone un grande appassionato, dedicandosi come hobby all'astronomia, e al suo lavoro, quello della sicurezza informatica. “Conosce” Antonio De Comite frequentando il Blog in cui scriveva e ne apprezza la serietà e la bravura di Ufologo. Dopo che Antonio ha rassegnato le dimissioni da quell’associazione, Walter si è offerto di dare pieno supporto per un nuovo progetto: il sito del CUI (Centro Ufologico Ionico), a cui ha fornito un server dedicato, il blog e la struttura di supporto, per inseguire quel progetto abbandonato anni fa: fare vera informazione nel campo ufologico. Nel C.U.I. scrive quasi esclusivamente articoli di esobiologia, scienza e astronomia, ma non disdegna la redazione di articoli sull’esopolitica. 32 Mentre la comunità ufologica discute degli ultimi avvistamenti di UFO, dei “cables” inutili di Wikileaks e dell'enigmatica moria di animali in tutto il mondo ipoteticamente connessa con “poli magnetici” in presunta e rapida inversione o “ignote turbolenze”, è notizia di queste ultime ore che la prestigiosa Royal Society britannica ha proposto la cosiddetta “London Scale” (Scala di Londra) per i contatti extraterrestri. Ma andiamo per ordine cronologico. Il giorno 25 Gennaio 2010 (circa un anno fa) alla prestigiosa The Royal Society si è discusso de “L'individuazione di vita extraterrestre e le conseguenze per la scienza e la società”, organizzata dal Dr Martin Dominik e il Professor Giovanni Zarneki. Vediamo il bando della riunione cosa diceva: Gli astronomi sono ora in grado di individuare pianeti in orbita attorno ad altre stelle proprio come il nostro Sole, in questi luoghi la vita potrebbe esistere e vivere per intere generazioni, questo a conferma che la vita extra-terrestre può essere rilevata. Se così fosse e ciò accadesse, avremmo la prova che non siamo soli nell'Universo, a quel punto sarà fondamentalmente capire come l'umanità dovrà comportarsi ed essere pronti alle conseguenze. Le cattedre: Martin Reesnore, presidente della Royal Society, il Dr ForMemRS Catherine Cesarsky, commissariato per l'energia Atomica (CEA) / SACLAY, Prof Jocelyn Bell Burnell FRS DBE dell' Università di Oxford, il Prof Steven Rose, della Open University. I Relatori: il professor Simon Conway Morris FRS, il dottor Malcolm Fridlund, il professor Paul Davies, il professor Albert Un Harrison, il professor Ivan Almar, il professor Michel Mayor, il dottor Chris McKay, il professor Charles Cockell, il dottor Kathryn Denning, il professor Colin Pillinger CBE FRS, il professor Ted Peters, il professor Christian de Duve ForMemRS, il dottor Frank Drake, il professor Ehrenfreund Pascale, il professor Baruch Blumberg, e infine la dottoressa Othman Mazlan. Da questo storico e importantissimo evento è nata la "London Scale Index" o LSI per i contatti extraterrestri. Prendendo come spunto la famosa “Rio Scale” (scala ordinaria da 0 a 10, usata per quantificare l'impatto di ogni annuncio pubblico riguardo 33 Il ricercatore Ivan Almar all'evidenza di intelligenza extraterrestre), la Scala di Londra si pone come diretta evoluzione di quella di Rio e, anche, della famosa equazione di Drake. Suddetta scala, che porta l'acronimo preciso di LSI (London Scale Index), è definita in termini matematici dalla formula LSI = Q x δ, varia da 0 a 10 e dove Q è la somma dei valori di quattro parametri di seguito elencati: - la forma di vita annunciata, la natura delle prove, il tipo di metodo utilizzato nella scoperta e la distanza dalla Terra in cui è stata trovata questa nuova forma di vita. Questa somma è moltiplicata per δ , ossia un fattore di fiducia di chi ha proferito l'annuncio. Questo va da fraudolento (0), prevalentemente non veritiero (0,1), controverso ma non scartabile (0,2), testato ma necessita di ulteriori prove (0,3), prevalentemente veritiero (0,4) e, infine, certo o molto affidabile (0,5). Per quanto riguarda i rischi sociali associati all'annuncio della scoperta di vita extraterrestre, questi vengono inseriti separatamente. E i rischi non vengono circoscritti solo all'ambito sociale ad un simile annuncio. Infatti la “London Scale” pone l'accento, anche, sul rischio contaminazione. E questa problematica è considerata di due tipi: la prima riguarda la contaminazione di “mondi alieni” con trasporto di microbi terrestri, mentre la seconda riguarda invece la contaminazione della Terra da parte di vita extraterrestre, sia che essa avvenga in modo naturale (esempio come polvere cosmica e meteoriti) o attraverso azioni umane (raccolta di campioni e analisi di vita extraterrestre in laboratori). Un improvviso ed azzardato errore di ciò (fattore umano) potrebbe liberare patogeni ET sulla Terra e rappresentare un concreto rischio biologico. Ecco perché esiste, ad esempio per gli astronauti, la procedura della “quarantena” dopo aver effettuato le relative missioni spaziali. La “Scala di Londra”, importante svolta statistica e matematica per i contatti extraterrestri, è stata proposta dal ricercatore Ivan Almar, dell'Osservatorio Konkoly dell'Accademia di Scienze dell'Ungheria, e da Margaret Race dell'Istituto SETI (EUA). Il SETI, come tutti sanno, è l'associazione scientifica dedita alla ricerca di segnali provenienti da civiltà extraterrestri intelligenti nell'Universo. La “Scala di Londra” non annulla la cosiddetta “Scala di Rio”, anzi la implementa in modo significativo. La “Scala di Rio” (precedente alla Scala di Londra) inserisce anche la possibilità di trovare artefatti ET. Infatti a pagina 683 del documento scientifico originale inerente la Scala di Londra si legge che “un credibile manufatto costituirebbe la prova di intelligenze ET, anche senza esseri extraterrestri”. La pubblicazione del documento completo, come scritto sul sito della The Royal Society dovrebbe uscire il 13 Febbraio 2011 ed ha come titolo ‘The detection of extraterrestre life and the consequences for science and society’. In questo articolo approfondiremo solo una parte del documento, in special modo i parametri della Scala di Londra con alcuni esempi spiegati in dettaglio più avanti. Questa scala somiglia alla Scala UFO E DINTORNI di Torino impiegata come metodo di classificazione del pericolo di impatto associato agli oggetti di tipo NEO come asteroidi e comete. Ritornando invece alla Scala di Londra, ci sono 2 tabelle molto interessanti, la prima è la Tabella 3 (rispettivamente pagina 686 e 688 del documento originale) e la seconda è la Tabella 4 Rappresentazione grafica della Scala di Torino La Tabella 3 con i relativi punteggi La Tabella 4 con i relativi punteggi I punteggi negli esempi che seguiranno sono stati calcolati grazie alle tabelle sopra menzionate, tra gli esempi abbiamo le macchie scure che si presentano in primavera sulle dune Marziane nella regione polare sud, la pioggia rossa 34 caduta a Kerala (India), alcuni estremofili trovati nella stratosfera terrestre, e i famosi fossili sul meteorite marziano. Vediamo i quattro esempi citati nel documento e il relativo punteggio LSI: sia indicativa di vita, ma di contaminazioni di biofilm terrestri. Ma il gruppo originario che annunciò la scoperta ha continuato ad indagare in tutte le direzioni. Non si è ancora scoperto come possano essersi formati, ma in diversi laboratori di ricerca sono già stati riprodotti organismi simili partendo da basi non biologiche. Stima preliminare dell'indice di Londra Scala: (2 +2 +4 +4) 0.3 di LSI = 3.6. ghiaccio/neve. Con il tempo questo ghiaccio scompare dalle dune, i microbi, chiamati anche Mars Surface Organisms (MSO), ritornano in uno stato dormiente fino al prossimo ciclo. L'ipotesi è stata elaborata in modo molto dettagliata, e non c'è stata nessuna smentita o qualcosa che provasse il contrario il tutto ovviamente è verificabile con metodi scientifici. Recentemente tracce di rigoli d'acqua o brina sono stati scoperti nei pressi delle DDS sulla superficie di Marte (vedi foto sotto). Un ingrandimento al microscopio del meteorite ALH84001 (1) meteorite ALH84001 Questa è probabilmente la migliore scoperta relativa a tracce di vita Extraterrestre. Il 7 agosto 1996, c'è stata una conferenza stampa tenutasi presso la sede della NASA, per annunciare la scoperta di probabile vita batterica fossilizzata nel meteorite Marziano ALH84001 rinvenuto grazie ad una spedizione in Antartide. In esso è presente grande abbondanza di minerali carbonati. I punti principali delle prove presentate durante la conferenza sono state: la presenza di composti stratificati di carbonati simili alla stratificazione dei carbonati terrestri prodotti da attività biologiche, la presenza di minerali che, sulla Terra, sono associati ad alcuni tipi di batteri, la presenza di molecole organiche che possono essere state prodotte dal decadimento della materia vivente, e la presenza di oggetti a forma di chicco di riso possibili batteri marziani fossilizzati. E' stata dimostrata anche la presenza di magnetite. Questi sono minerali che indicano chiaramente attività biologica prodotta da batteri nel passato. Tuttavia molti esperti sono concordi nel ritenere che la presenza di microfossili nel meteorite, non Macchie scure sulle dune di Marte nella regione polare sud (MRO immagine HiRISE) (2) L'ipotesi ungherese DDSMSO (Dark Dune Spots Mars Surface Organisms Nd CUI) Molte ricerche sono state pubblicate in diversi articoli dal 2001. La seguente citazione: "La tesi principale è che ci potrebbe essere la vita nelle macchie scure sulle dune (DDS) della regione polare meridionale di Marte, alle latitudini comprese tra -60 ° e -80 ° " è presa dalla pubblicazione "Life in the dark dune spots of Mars: a testable hypothesis" (per approfondimenti vedi sotto). Le macchie hanno una caratteristica morfologica ciclica e annuale, si sospetta infatti che da esse si formi acqua allo stato liquido. Presumiamo che un' aggregazione di organismi semplici (simili ai batteri) venga alla luce ogni anno grazie all'aiuto di un processo simile alla fotosintesi. Una caratteristica fondamentale del presunto habitat è che i processi vitali avvengono solo sotto la copertura di ghiaccio d'acqua/ Stima preliminare dell'indice di Londra Scala: (2 +5 +1 +3) 0.3 di LSI = 3,3. Un'immagine della stratosfera (3) Ipotesi di Panspermia di Hoyle-Wickramasinghe F. Hoyle e C. Wickramasinghe hanno lavorato per tre decenni atti ad aprire la strada alla moderna versione della panspermia, sostenendo che i germi e i semi della vita possano provenire dallo spazio trasportati dalle comete. Hanno proposto un esperimento decisivo per la Indian Space Research Organisation atti a raccogliere grandi quantità di aria dall'alta stratosfera usando materiale sterile trasportato a bordo di palloni sonda per cercare di prelevare diversi campioni di vita microbica aliena. Per raccogliere questi 35 campioni è stato lanciato un pallone sonda di oltre 700.000 metri cubi di volume dalla National Balloon Facility di Hyderabad, gestita dal Tata Institute of Fundamental Research (TIFR). Il pallone sonda era dotato di contenitori perfettamente sterili che, dopo l'apertura alle diverse quote, venivano automaticamente immessi in un ambiente refrigerato con neon liquido per garantire la conservazione dei campioni prelevati. Dal 2000 sono partiti dall'India molti altri voli in mongolfiera diretti nell'alta stratosfera. Nel 2002, i germi recuperati in alta atmosfera sono stati "coltivati". Nel 2009, è stato annunciato da scienziati indiani che 'Tre nuove specie di batteri, che non si trovano sulla Terra e che sono altamente resistenti ai raggi ultravioletti, sono stati scoperti nell'alta stratosfera'. Purtroppo i risultati di questo studio approfondito di laboratorio effettuato al microscopio non sono ancora disponibili. Stima preliminare dell'indice di Londra Scala: (2 +4 +4 +4) 0.1 o 0.2 di LSI = 1,4-2,8. Fotografie delle particelle di pioggia rossa al microscopio con rapporto x1000, la grandezza delle particelle varia dai 4 ai 10 micrometri (4) Pioggia rossa in Kerala, India Dal 25 luglio al 23 settembre 2001, sporadicamente nello stato indiano meridionale di Kerala cadde della pioggia rossa. All'inizio del 2006, questi eventi guadagnano l'attenzione dei media dopo aver fatto un servizio sulla straordinaria teoria secondo la quale le particelle colorate di pioggia sono in realta cellule extraterrestri, teoria proposta dai due fisici Godfrey Louis e Santhosh Kumar della Mahatma Gandhi University in Kottayam. Louis e Kumar successivamente affermarono che le particelle fossero cellule e che quindi rappresentassero una evidente prova della presenza di vita extraterrestre. Se tali particelle, che hanno natura biologica, si sono originate in una cometa, sarebbe la prima prova a favore della teoria della panspermia, secondo la quale la vita è stata portata sulla Terra da qualche altra porzione dell' universo. Si dice che le cellule siano capaci di riprodursi anche a temperature superiori ai 300 ° C. Tra le Ipertermofile della superficie terrestre, la più alta temperatura di sopravvivenza riscontrata è pari a 130 °C. Se altri scienziati lo confermassero, ciò renderebbe unica la loro esistenza, anche se l'ipotesi di questo evento è stata criticata da diversi studiosi a causa della mancanza di prove a supporto dell'origine extraterrestre del campione, in quanto gli esperimenti di laboratorio non sono stati effettuati presso altri centri specializzati. Stima preliminare dell'indice di Londra Scala: (2 +3 +4 +4) 0.1 di LSI = 1,3. Che dire, da questi quattro esempi saltano all'occhio i risultati che vanno in ordine di classifica come punteggio al meteorite marziano ALH84001 con 3,6, seguito dalle macchie sulle dune marziane con 3,3, subito dopo troviamo l'ipotesi della Panspermia di HoyleWickramasinghe con 1,4-2,8 ed infine la pioggia rossa caduta in Kerala (India) con 1,3. Il "vincitore" della Scala di Londra al momento è Marte con il suo meteorite e le sue misteriose dune... un po’ pochino penseranno alcuni di voi: forse si, forse no; alcuni penseranno che questa sia semplicemente una scala di misurazione, altri invece penseranno che i governi stiano correndo velocemente ai ripari, altri si consoleranno all'idea che comunque vada si parte da 3,6… Io credo invece che il punteggio reale sia probabilmente più alto... LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI 36 Gianluca Rampini [email protected] ha 35 anni ed è un ricercatore indipendente che si occupa, in special modo, di ufologia e abductions. In rete collabora con Ufomachine, Ufoonline, Paleoseti e altri siti tematici. ROGER LEIR Traduzione a cura di Germana Maciocci Può darci qualche informazione riguardo il suo background per farci capire come si è ritrovato coinvolto nel “fenomeno dei rapimenti alieni”? Ero membro del MUFON e stavo scrivendo un articolo per una rivista mensile chiamata “Vortex”. In qualità di reporter investigativo ho frequentato diverse conferenze a tema ufologico, scrivendo una relazione su ogni relatore. I miei articoli rappresentano la mia opinione complessiva riguardo la materia di studio e le presentazioni dei relatori. Alcuni non erano molto complimentosi nei loro confronti ma questo era il mio stile. In quel periodo la questione del fenomeno dei rapimenti alieni si stava appena diffondendo e anche il MUFON non era pienamente convinto della veridicità di tale fenomeno. Ma dall’uscita dei libri di Bud Hopkins e John Mack l’argomento ha iniziato ad essere accettato come plausibile. È stato in quel momento che anche io ho iniziato ad interessarmene personalmente, ma solo molto tempo dopo sono stato coinvolto nella rimozione chirurgica di oggetti noti come “Impianti Alieni”. Può spiegarci, in termini generali, qual è il suo approccio nei confronti dei casi e come si relaziona nei confronti dei soggetti rapiti? Ho istituito un’organizzazione no profit chiamata A&S Research. Ci occupiamo unicamente degli aspetti scientifico/accademici del fenomeno e in modo specifico di ciò che possiamo definire PROVE FISICHE. Certamente nel farlo dobbiamo considerare tutti gli aspetti del caso incluse le esperienze individuali relative ai rapimenti. Quando qualcuno convinto di avere un impianto ci contatta, rispondiamo e chiediamo prove scientifiche quali raggi X, scansioni CAT o MRI. A volte le foto possono risultare utili. Una volta ricevuto questo materiale lo facciamo visionare dai nostri 37 consulenti radiologici i quali a loro volta forniscono la loro opinione riguardo la natura dell’oggetto e la sua posizione in corrispondenza del corpo. Nel caso in cui dovessimo considerare l’oggetto come un possibile impianto al soggetto verrà spedito un questionario dettagliato a cui dovrà rispondere con i tempi che riterrà opportuni. Dopo averlo ricevuto indietro compilato, viene analizzato, valutato e considerato il coinvolgimento del sospetto rapito. A questo punto, il soggetto può scegliere di farsi rimuovere chirurgicamente l’oggetto. In tal caso, dovrà recarsi presso la nostra struttura e sottoporsi a rigorose analisi di tipo psicologico e fisico preventive alla rimozione dell’oggetto. Dopo aver effettuato la rimozione offriamo inoltre supporto tramite Yvonne Smith, ipnoterapista certificata che si occupa anche di regressione e che è titolare di un gruppo di supporto chiamato CERO—Close Encounter Research Organization. Parliamo quindi di impianti. Prima di tutto, è possibile trovarne solo tramite le testimonianze dei rapiti? No, diverse volte tali soggetti hanno problemi medici diversi o incidenti, che attirano l’attenzione su un’area dove potrebbe trovarsi un oggetto. Gli viene quindi riferita la possibilità che abbia uno strano oggetto inserito all’interno del corpo. In altri casi alcuni rapiti riportano problemi fisici o psicologici collegati all’area esatta dell’impianto o mentalmente collegati ad essa. Altre volte è possibile LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI riscontrare segni sul corpo che non erano presenti la sera prima e che appaiono al mattino in seguito ad un rapimento. È possibile che i soggetti rapiti abbiano uno o più oggetti impiantati? Abbiamo eseguito fino ad oggi sedici operazioni e un solo caso con due impianti. Alcuni soggetti rapiti dichiarano di averne più di uno ma fino ad ora non abbiamo potuto verificare la veridicità di tali dichiarazioni. Vengono riscontrati più frequentemente in alcune zone piuttosto che in altre? Sì. Più frequentemente nelle mani, diversi negli alluci e due impianti simili ritrovati nella stessa area del braccio. LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI Come è possibile provare che si tratti proprio di oggetti alieni? È possibile. Siamo dotati al momento di tecnologie capaci di determinare scientificamente l’origine di elementi individuali che includono la struttura complessa di tali oggetti. Le ultime scoperte effettuate da uno dei membri del nostro organo di consulenza scientifica in qualità di laureato in fisica nucleare hanno provato, tramite il calcolo basato sulla frequenza di decadimento degli isotopi, che sono estranei al nostro sistema solare e forse provengono da un’altra galassia. Dopo tutti questi anni di ricerche, vi siete fatti un idea riguardo le finalità di tali impianti? Certamente. Crediamo che si tratti di strumenti che raccolgono dati pertinenti a qualcosa di specifico che interessa tali intelligenze esistente all’interno del corpo umano. Ad esempio, una delle cose che sappiamo per quanto riguarda più del novanta percento dei casi di rapimento alieno è il prelievo di ovuli e sperma dai rapiti, e questo sicuramente per manipolare geneticamente il genoma umano. Se diamo per scontato ciò nel caso di alcuni soggetti rapiti, è logico dedurre che chiunque faccia questo voglia registrare gli effetti della manipolazione del DNA in remoto tramite tali impianti. È possibile verificare un cambiamento nella vita dei 38 Un oggetto estraneo appena estratto soggetti ai quali vengono rimossi tali oggetti? impianto venisse inserito al posto di quello tolto? Sì, nella maggior parte dei casi si può riscontrare un cambiamento nello stile di Fino ad oggi non è mai successo, sia nello stesso posto che in un’altra area. Questo non implica naturalmente che i rapimenti si interrompano, anzi. vita in seguito alla rimozione degli oggetti, e sono felice di confermare che si tratta di cambiamenti positivi. Uno dei soggetti era un ufficiale dei servizi segreti navali che aveva perso drammaticamente peso e si trovava in tremende condizioni di salute al momento della rimozione. Nell’arco di alcune settimane ha riguadagnato peso e al momento è in piena salute. È sempre sicuro rimuovere gli oggetti? Quando reputiamo che non lo sia, non li rimuoviamo. Non lo faremmo mai ad esempio nel caso di cavità remote del corpo o in prossimità del cervello. Tutte le nostre procedure vengono eseguite solo con anestesia locale, al fine di minimizzare i rischi o gli effetti collaterali. A seguito di una rimozione, è mai capitato che un altro Come è possibile spiegare in questo caso che una civiltà così avanzata ci permetta di “rovinare” il suo lavoro? Si tratta di una domanda piuttosto complessa. È difficile immaginare esattamente cosa possa pensare un’intelligenza evoluta o anche un’eventuale somiglianza con i nostri processi cognitivi. Basandoci sulle reazioni e sui ragionamenti umani, dobbiamo considerare l’argomento in modo generico. Penso che sarebbe assurdo non riconoscere che da diversi anni sia in corso un rapporto nascosto tra gli esseri umani e gli extraterrestri. Sono certo inoltre che ci abbiano fornito delle tecnologie d’avanguardia che non sono state ancora rese pubbliche. 39 il mondo e un altro gruppo che si oppone. Forse sono stato scelto da qualcuno del primo gruppo al fine di rimuovere questi oggetti e rendere pubblica la cosa. È questa la mia missione nella vita? Non lo so. descrizioni di alieni fatte da presunti rapiti La scienza all’interno dei Black Budget ( Ndr, Programmi di ricerca segreti finanziati con fondi neri ) è probabilmente avanti di mezzo secolo rispetto a quanto sia riconosciuto dalla scienza accademica comune. Ci sono state inoltre diverse collisioni di velivoli non terrestri che sono state occultate. Considerando ciò, penso che potremmo tranquillamente affermare che esiste un gruppo di extraterrestri ed esseri umani che vorrebbero che tutte queste informazioni fossero diffuse pubblicamente in tutto Quale progetto lei pensa ci sia dietro al fenomeno dei rapimenti alieni? Non credo che nessuno dei presunti esperti nel campo sia in grado di fornire risposte concrete riguardo questo argomento, in quanto realmente complesso e sconosciuto. È comunque un bene fornire opinioni o teorie. L’eminente professore e dottore David Jacobs crede che il fine ultimo sia la creazione di esseri ibridi. Potrebbe avere ragione, io personalmente penso che l’intera razza umana si stia modificando geneticamente al fine di generare una nuova specie umana che cambierà il modo di comunicare e di trattare il pianeta nel quale viviamo. Se riteniamo che Gene Roddenberry avesse ragione riguardo la “Prima Direttiva” del suo Star Trek, forse sarebbe etico per coloro che ci crearono in principio tornare ad aiutarci a risolvere i problemi del nostro pianeta modificando direttamente le creature che li causano. Ha notato una sorta di evoluzione o degli schemi che si ripetono? Sembra esista una sorta di ripetizione. Abbiamo a che fare con una razza unica o con diverse e in tal caso collaborano tra di loro? Partendo dalle informazioni LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI che abbiamo a disposizione grazie ai Rapiti, sembra esista più di una razza di visitatori di questo pianeta e nello scenario dei rapimenti. Non è raro che chi venga rapito descriva diversi esseri presenti durante il loro rapimento come i Grigi, i Nordici, simili agli umani, o I Rettiliani. Non dimenticherò mai la descrizione fatta da Betty e Barney Hill, riguardo Esseri diversi da quelli che vengono al giorno d’oggi descritti da altri, ma più simili a quelli ricordati dai testimoni di Roswell. Qual è stato il caso più difficile sul quale ha lavorato? Posso dire che uno dei casi più intriganti sia stato quello relativo all’operazione numero quindici, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione del rapito, uno scienziato della materia molto noto. Nonostante il suo fosse un evento tipo nello scenario dei rapimenti, la sua acuta memoria gli ha permesso di guardare alla sua esperienza da un punto di vista scientifico ed analitico, e anche l’oggetto estratto riportava le caratteristiche elaborate riscontrate negli altri. Nel caso in cui un soggetto rapito, sotto ipnosi, possa ricordare la procedura di inserimento dell’oggetto nel suo corpo e venga riscontrata una cicatrice nel posto indicato che corrisponda ad un impianto reale, come è possibile che qualcuno possa negare tale fatto reale? Come affronta LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI 40 potrebbero essere una realtà? rapimento? Ulteriori tracce fisiche? La verità è che non si tratta di cicatrici visibili o di portali di entrata verificabili in nessuno di questi casi per cui non ci è dato ritrovare un oggetto sotto una cicatrice. Posso gestire i rapporti con chi è scettico perché lo sono, di base, anche io. Non prendo nulla per scontato e faccio affidamento unicamente sui dati fornitemi da scienziati con titoli accademici. Ho spesso accusato scettici di mestiere di essere dei medium, i quali prendono questa definizione come un insulto fino a quando non ricordo loro che i medium traggono le loro conclusioni senza considerare i dati reali. Ancora una volta, posso fornire unicamente un’opinione riguardo ciò che conosco. Non sono a conoscenza di programmi militari o Milabs. Per mia esperienza, tutti quelli che hanno accusato i militari di tali azioni hanno due cose in comune. La prima, vivono nei pressi di una base militare e la seconda è che fanno parte di una famiglia che comprende diversi militari. Dovremmo tutti ricordare che l’operazione occulta dei rapimenti alieni implica appunto che sia nascosta pertanto ogni soggetto rapito si presuma abbia una sorta di memoria schermata, e non c’è schermo migliore di qualcosa che sia realmente familiare al soggetto stesso. Certamente, la A&S Research ha iniziato a registrare testimonianze nelle case dei soggetti rapiti, fino ad oggi i nostri ritrovamenti sono stati di carattere piuttosto stimolante, come residui di campi elettromagnetici, tracce di fluorescenza, pezzi di metallo rotti e curvati, chiodi che escono dai muri, e altri diversi fenomeni fisici. In un’occasione siamo stati in grado di intercettare un residuo magnetico solo su lenzuola e cuscino al lato del letto dove dormiva il rapito, nulla sull’altro lato dove dormiva la moglie. I militari possono fare parte di questa agenda? I Milabs Ci sono altri modi per indagare sui casi di lo scetticismo? Che tipologia di persona viene rapita? Esiste uno studio genetico a riguardo? Ci sono stati diversi tentativi per fornire una risposta a tale domanda ma niente che 41 possa avere un riscontro scientifico. Una delle conclusioni è che si tratta sempre, da quanto riscontrato, di soggetti con la parte destra del cervello dominante, si tratta di individui creativi per quanto riguarda lavoro, passatempi o altre attività. Altri hanno tentato di isolare gruppi sanguigni, background etnici o geografici senza provare nulla. Per quanto ne so, non sono state mai riscontrate prove genetiche tranne che in un caso in Australia riguardanti un capello lasciato in seguito ad una “visita”. L’analisi del DNA avrebbe provato legami con un’antica civiltà celtica. Parlando di percentuali, quante persone risulterebbero rapite? Il sondaggio Roper svoltosi negli USA durante gli anni novanta indicava che circa il 2% della popolazione americana era stata oggetto di rapimenti. Si tratta di un numero elevato, se consideriamo i dati come relativi in quanto la maggior parte dei soggetti realmente rapiti non risponde alle domande dei sondaggi. Se confrontiamo questa statistica con la popolazione mondiale possiamo facilmente capire quanti esseri umani sono stati coinvolti in questo programma che sta andando ancora avanti a piena velocità. Possiamo fermarlo in qualche modo o possiamo solo stare a guardare e aspettare che finisca? Ho avuto a che fare con diversi tipi di ricercatori e di soggetti coinvolti nei rapimenti, la maggior parte dei suggerimenti per interrompere il processo sono ridicoli e non funzionerebbero. Ogni tanto qualcuno ha agito in modo alternativo e ci è riuscito. Un esempio riguarderebbe un caso in Brasile nel quale un povero contadino intrappolato in una sorta di raggio di luce levitante che cercava di trascinarlo su una nave spaziale, ha deciso di opporsi e si è aggrappato al ramo di un albero. Nonostante abbiano cercato insistentemente di farlo staccare dal ramo, tutto quello che sono riusciti ad avere furono i suoi pantaloni. Pensa che gli esseri umani siano speciali per loro o siamo solo una delle razze sfortunate tra le quali sono inciampati per caso? Credo che chiunque ci abbia creato in origine sia tornato per aiutarci a correggere un problema genetico che provoca il nostro istinto di uccidere, di rovinare e distruggere il pianeta che chiamiamo casa. Forse tale caratteristica poteva aiutarci all’inizio per sopravvivere in un mondo ostile e remoto ma ora non ne abbiamo più bisogno. Ha mai capito come ci hanno trovati in origine? Zacharia Sitchin ha dichiarato nella sua interpretazione delle tavole sumere che gli Annunaki arrivarono qui quattrocentotrentacinquemila anni fa, stabilirono una base sul nostro pianeta e interferirono con le creature primitive già esistenti. Probabilmente i Neanderthal furono la specie che LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI manipolarono geneticamente per produrre gli umani. A missione compiuta, la maggior parte degli Annunaki ripartirono e gli umani furono lasciati qui a loro stessi. È possibile anche che tornarono ogni tanto e verificarono quanto eravamo diventati indisciplinati, inviandoci una serie di regole da seguire e dando origine al concetto di religione. Grazie per la sua disponibilità. Come nostro solito, vorremmo chiudere l’intervista parlando del futuro, 2012 o non 2012. Dal suo punto di vista, cosa prevede il futuro per l’umanità? Questa domanda non mi fa piacere. Dal mio punto di . vista, il futuro sembra piuttosto triste. L’umanità è corrotta e agisce con grettezza. L’unica speranza per questo mondo potrebbe essere un intervento esterno da parte dei nostri creatori che agiscono dalla parte del bene. Scientificamente, possiamo verificare che tutto ciò che conosciamo dell’Universo è dotato di un polo negativo e di uno positivo. Dalla particella subatomica più piccola al gruppo più lontano di galassie in formazione, incluso tutto ciò che conosciamo del magnetismo e dell’elettronica, esistono aspetti positivi e negativi o forze. Tale binomio si applica anche al concetto teologico del BENE e del MALE. Speriamo quindi che siano le forze del bene a predominare. 42 PAGINE DEL CUT Il CUT è una associazione, apartitica, non settaria e senza scopi di lucro, che ha il compito di divulgare, analizzare e studiare tutto ciò che riguarda il problema UFO (Unidentified Flying Objects) e materie connesse. Questo centro di studio, composto da validi ricercatori, razionali ma con la mente aperta, non ha una risposta univoca sull’origine, la natura e la provenienza degli UFOs. Al momento la più probabile ipotesi di lavoro è quella che alcuni UFO siano davvero di origine “estranea” al nostro Pianeta. Per qualunque informazione contattare il nostro indirizzo email [email protected] PROGETTO ROSWELL Articolo Di Nicola Antonante – Componente CUT L’ufologia per come la conosciamo oggi, si lega all’anno 1947 ed ad un’avvenimento noto a tutti come “incidente di Roswell”. In quell’anno infatti oltre a Roswell ci fu anche l’esperienza di Kenneth Arnold con l’avvistamento di oggetti volanti non identificati.Non va comunque dimenticato il Roswell nostrano avvenuto in Italia nel 1933 presso Vergiate o ancora quello più retrodatato conosciuto come “caso Aurora” del 1897 più di un decennio prima del volo dei fratelli Wright. Roswell ha indubbiamente il primato di avere se non modificato almeno influito sulla percezione della realtà di tantissima gente. La portata di tale evento puo essere paragonata al santo graal dell’iconografia cristiana, molto probabilmente per quell’alone di mistero di cui si é sempre circondato ed alimentato. Quello che mi ha sempre colpito é stato sempre l’origine o se si preferisce le fonti di una parte di tale mistero, ovvero governo ed apparati militari americani. Le dichiarazioni ufficiali che si sono via via succedute hanno portato dapprima la popolazione locale successivamente quella mondiale alle piu svariate spiegazioni di ciò che é accaduto a Roswell in quel lontano luglio del 1947. In questo articolo cercherò di affrontare tale caso così come si imposta un’indagine sperando di non incappare in grossolani errori. Per cui iniziando dai fatti, che sono la partenza di ogni indagine,vediamo come questi si siano cronologicamente evoluti. La notte del 2/VII/1947 presso Corona a circa 120km da Roswell in un ranch e nei suoi dintorni cadde un oggetto. La mattina seguente il proprietario del ranch un PAGINE DEL CUT certo W. Mac Brazel trovò diversi resti metallici. Successivamente confidò la cosa allo sceriffo di Roswell, Wilcox, il quale allertò la vicina base militare ed in particolare il magg. Jesse Marcel del 509° Bomb Group Intelligence Office. L’8/ VII/1947 l’ufficio informazioni della Roswell Army Air Field (RAFF) del New Mexico emise un comunicato stampa in cui veniva dichiarato “esplicitamente” il recupero di un disco volante. Tale notizia fu riportata dal quotidiano locale Roswell Daily Record poi dal San Francisco Chronicle il 9/ VII/1947. Questo ovviamente attirò l’attenzione dei media di tutto il mondo. Nei giorni seguenti venne rilasciata un’altra spiegazione ufficiale dell’aeronautica statunitense per bocca del gen. Roger M. Ramey il quale dichiarò trattarsi di un pallone sonda denominato “rawinsonde” usato per ricerche meteorologiche. A prova di questo il gen. Ramey insieme al magg. J. Marcel in una conferenza stampa mostrarono i resti di quello che era un pallone sonda. Cosi il caso venne chiuso e se per molti tale spiegazione fu accettata per altri invece risultò essere un’operazione di copertura, o cover up, da parte del governo americano o di una sua parte nonché dei suoi apparati militari. Nacque cosi la teoria del complotto sopravvissuta fino ai giorni nostri. Questi i fatti. Ora veniamo alle testimonianze e qui, forse (anzi, certamente), servirebbe un’opera enciclopedica per raccoglierle tutte. Proverò in questo caso a considerare quelle piu credibili o se si preferisce le piu accettabili.Il primo testimone sicuramente da prendere in considerazione é W. Mac Brazel (in foto poco 43 più in basso). Questi dichiarò di avere udito fra la notte del 2 e 3/VII/1947 una forte esplosione. Recatosi nel campo il giorno seguente lo trovò cosparso di frammenti la cui natura gli era sconosciuta. Successivamente ritratterà questa dichiarazione, ammettendo di avere riconosciuto in quei frammenti i resti di un pallone sonda. Dichiarazione che venne rilasciata dopo il suo “alloggio” per qualche ora nella base militare di Roswell. Altro testimone é lo sceriffo di Roswell Wilcox, anch’egli incapace di spiegarsi la natura di quei frammenti come lo stesso magg. J. Marcel. Da prenere in considerazione anche il famoso comunicato Dell’8/ VII/1947 che porta la firma dell’allora ten. W. Haut, personaggio venuto alla cronaca del caso Roswell per il suo affidavit, giuramento in atto notarile da aprire solo dopo la morte avvenuta questa il 15/XII/2005. Anche se cio che é stato pubblicato è bene precisare trattasi di copia di quell’atto. Un’altra testimonianza che ho ritenuto interessante durante la mia ricerca in internet é stata quella dei coniugi Wilmot che affermarono di aver visto un mese prima dell’incidente di Roswell un oggetto di forma ovale e contraddistinto da una luce intensa e lampeggiante sorvolare la zona senza emettere nessun rumore. Vi é anche l’intervista rilasciata al documentario Scify Investigates del canale SyFy di un certo Elias Benjamin, poliziotto militare del 390° Air Service Squadron: questi in quella intervista dichiarò che la notte tra il 7 e 8/ VII/1947 scortò 3 corpi sotto un lenzuolo dall’hangar 84 all’ospedale della base militare di Roswell. Infine nella mia ricerca mi imbatto nella testimonianza del serg. Frederick Benthal, esperto fotografo, il quale dichiarò che lui insieme al caporale Kirkpatrick giunti nell’area dello schianto videro e fotografarono non solo il relitto, ma anche quelli che lo stesso Benthal definì “alieni” per la loro conformazione fisica (piccoli di statura, uguali fra loro, enormi teste).Qui ho omesso di parlare deliberatamente delle testimonianze di J. Marcel junior (figlio del magg. J. Marcel) Bob Lazar e del col. P. Corso perchè i loro racconti sono gia noti e soprattutto la loro posizione al riguardo. Ad onore di cronaca va comunque detto 44 che ci furono testimonianze di militari e anche di qualche cittadino del luogo che avvalorarono la tesi del pallone sonda parlando di carta stagnola, asticelle di legno e nastro adesivo. In ultima analisi sono da prendere in esame le prove. In questo caso però come per la maggior parte dei casi di ufologia, come direbbe il mio amico Franco Pavone del CUT, esse si basano sulla testimonianza dei vari protagonisti e quindi sulla loro buona fede. Anche se va detto che per lo stesso motivo dovranno essere accettate come prove i resti del pallone sonda mostrati in quella famosa conferenza stampa. Caso chiuso? Per niente. Questo perchè forse per le innumerevoli testimonianze sul rinvenimento di corpi, il governo americano spiegò la cosa come prove di paracaduti di alta quota. Quindi quello che la gente giurava di avere visto non erano altro che manichini. Incredibilmente la stessa aeronautica riapre il tutto. E se da un lato sostituisce una spiegazione razionale con un’altra, dall’altro mi porta a pensare personalmente che la storia del pallone sonda fosse una copertura. Si arriva così ai giorni nostri e al “Progetto Mogul”. Brevemente questo progetto diretto da A. Spilhaus consisteva nel portare un pallone sonda ad una altezza di 14 km. Questo perchè a quella altitudine vi é una sorta di canale acustico tale da permettere la ricezione di eventuali test atomici sovietici. Ciò spiega la obiettiva segretezza del progetto ma non la presenza di quei corpi che piu testimoni giurarono di avere visto. Non riesco personalmente a comprendere il perchè di tante versioni ufficiali da parte del governo americano. Sarebbe bastata la PAGINE DEL CUT prima versione del pallone sonda per considerare tutto il resto sospetti, illazioni o semplici stravaganze new age. Inoltre va accennata la ricerca compiuta da David Rudiak che mediante un programma di grafica é riuscito ad evidenziare tra l’altro i termini “disco” e “vittime” nel telegramma che il gen. Ramey aveva fra le mani durante la conferenza stampa. Quindi come si vede la teoria del complotto prende sempre piu corpo. Ma come scrive C. Gatti ne “il quinto scenario” dedicato alla strage di Ustica “il complotto ha un gran vantaggio: anzichè aborrire vaghezze, contraddizioni, mezze verità o verità presunte viene di solito alimentato da esse”. Per cui credo personalmente che quando si riuscirà a togliere parte di quel “folclore” che circonda Roswell, forse qualche verità verrà a galla. 45 Roberto La Paglia [email protected] , oltre ad essere giornalista freelance, è scrittore e ricercatore. Mente fervida, alimentata da un intenso ed inesauribile desiderio di ricerca, attraverso le sue opere, accompagna i lettori in un viaggio verso l'ignoto, guidandoli nei meandri più nascosti delle dottrine occulte ed esoteriche. Uno dei suoi ultimi libri è “Archeologia Aliena” (Ed. Cerchio della Luna, 2008). Non rimane molto delle antiche conoscenze dei Druidi; i pochi elementi oggi in nostro possesso risultano nella maggior parte dei casi frutto di fantasie accumulate nei secoli, dicerie e superstizioni. Non sempre gli storici e i commentatori raccontano la storia per ciò che è stato, spesso i loro resoconti rispecchiano ciò che avrebbero voluto accadesse; se poi a questa affermazione aggiungiamo il fatto che quasi tutto il materiale inerente i Druidi e il Druidismo in particolare sono giunti fino a noi attraverso il filtro dei monaci amanuensi, sarà facile immaginare quali profonde DRUIDI TRA STORIA E MISTERO lacune e inesattezze contengano. I risultati degli scavi archeologici portati avanti nelle varie tombe e su innumerevoli luoghi di culto, ci permettono di ottenere delle ricostruzioni in merito ai vari rituali e alle varie cerimonie, oltre che a far luce sull’immenso corpus delle storie epiche di origine irlandese giunte fino a noi. Chi erano veramente i Druidi? Per rispondere a questa domanda non si può ignorare l’ordinamento sociale celtico, la sua struttura, le componenti religiose e mitologiche. Se da un lato corrisponde al vero che i Druidi furono sacerdoti, guaritori e aruspici, è anche vero che essi ricoprivano importanti ruoli quali giudici, medici, poeti, oltre che veri e propri custodi della memoria storica in un sistema sociale nel quale era del tutto sconosciuta la scrittura. Questo doppio filo che li legava alla società celtica primitiva ne decretò anche la scomparsa, avvenuta in concomitanza con l’affievolirsi dell’influenza dei numerosi stati celtici indipendenti. Druidi e sistema sociale celtico sono quindi un’unica espressione suddivisa in tre distinte funzioni, quella sacrale, quella guerriera e quella produttiva. In verità non si tratta di una vera e propria 46 unicità; già i romani, i greci e molti popoli germanici basavano il loro sistema sociale su queste tre funzioni, riflettendo in esse anche la loro mitologia e la religione. Per ritrovare una corrispondenza a quanto appena detto, basterà osservare con più attenzione i vari pantheon divini, quasi sempre suddivisi in tre o cinque principali divinità che assolvono le tre funzioni appena descritte: nell’India antica troviamo Mithra e Varuna che incarnano la sovranità, Indra che rappresenta la forza guerriera, e i due gemelli Ashvin che rappresentano la proprietà e la ricchezza. Presso gli antichi Latini il discorso non cambia: la triade Giove, Marte e Quirino rappresenta infatti le stesse tre funzioni. In Grecia troviamo Giove, Athena e Apollo che rivestono lo stesso ruolo, così come, in tempi più antichi, si sacrificava tre volte nel nome di Athena in onore ai suoi triplici aspetti, Sovrana, Vittoriosa e Dispensatrice di salute e prosperità. La stessa cosa accade con i Celti: sotto vari nomi di divinità tribali si ritrovano infatti le stesse funzioni. Taranis-Omigos-Dagda simbolo della regalità simbolizzato dalla ruota e dall'arpa. Belenos-Teutates: due aspetti guerrieri cui si affianca Brigit dai molti aspetti (Morrigan la guerriera, Epona portatrice di fertilità e protettrice degli animali, Brigit-Belisana protettrice di poeti e artisti). Lug-Lev: dio delle arti e dei Mestieri, Signore dei Tuatha De Danann nella mitologia irlandese, divenuto sul finire della civiltà celtica un dio globale: artista medico e guerriero. identificati come gli ultimi detentori di un antico sapere destinato a diventare leggenda. Dentro queste complesse strutture divine si inseriscono i Druidi, espressione profonda di uno spirito libero e indipendente, legato profondamente alla natura, destinato a dare al mondo l’immagine di un popolo fiero, in profonda sinergia con la propria struttura sociale. L’immagine che ci rimane, quella che maggiormente ha colpito la fantasia popolare, ci parla di uomini che hanno stretto quasi un patto di alleanza con la natura, che vivono in perfetta simbiosi con le foreste e i loro abitanti; non si andrebbe molto lontano dal vero nell’affermare che un sacerdote Druida era anche e principalmente un vero e proprio sciamano, profondamente iniziato al sapere esoterico, in grado di stabilire un costante contatto con l'invisibile. Così come gli sciamani, anche i Druidi assolvevano al ruolo di intermediari fra gli uomini e gli spiriti silvestri, erano in grado di curare i malati attraverso un saggio uso delle piante, di evocare tempeste, Anche se l’intero patrimonio andò quasi completamente perduto, in parte con l’avanzare del Cristianesimo, in parte per effetto della decadenza dei vari stati celtici, tale perdita non fu certo repentina; i sacerdoti Druidi passarono varie fasi prima che il loro ricordo divenisse leggenda. Da giudici e maghi divennero nel tempo semplici poeti, umili cantori e misteriosi pellegrini, fino ad essere 47 di predire il futuro mediante l'arte sacra del tamburo, il bhodran, il cui suono agisce direttamente sul battito del cuore e riattiva l'energia sottile. Proprio su questo particolare strumento avveniva il rito divinatorio, costituito dall’osservare il decorso favorevole o infausto degli eventi esaminando lo spostamento, prodotto dalla percussione di 25 conchiglie, disposte su 9 linee simboliche. Altro strumento rimasto nell’immaginario collettivo è la famosa bacchetta attraverso la quale si esprimeva il potere creativo del sacerdote; era costruita con legno di sorbo, l'albero sacro alla dea Brigit, e recisa rigorosamente a mezzanotte dopo aver chiesto il consenso alla pianta ed averla poi ringraziata con un'offerta di birra, latte o monete; questo stesso rituale è riscontrabile ancora oggi nella moderna Wicca. L’aspetto escatologico risulta meno complesso, senza alcuna particolare etica, e che si esprime nella semplice immagine della vita eterna vista semplicemente come il prolungamento, senza pene e senza premi, della vita terrena. Nonostante questo modo di approcciarsi al grande mistero della vita, nel pensiero dei Druidi esiste traccia di uno dei temi più controversi e dibattuti dall’antichità fino ai nostri giorni: la reincarnazione. Molti storici continuano a considerare il popolo dei Celti come dei barbari, e proprio per questo motivo difficilmente si riesce a pensare che la dottrina della Reincarnazione possa far parte del loro bagaglio culturale, ma è veramente così? Uno dei tanti insegnamenti portati avanti dai sacerdoti Druidi era conosciuto con il nome di “Awen”; si trattava della parte spirituale dell’uomo, capace di discendere fino ai piani inferiori della vita, di animare qualsiasi tipo di forma, sia vegetale, animale o minerale. Alla fine del suo ciclo, l’Awen si reincarnava sotto forma umana, completando il suo ciclo di liberazione. Riassumendo il ciclo Druidico della reincarnazione avremo il seguente schema: ANUFU: uno stato abissale di rotazione nel quale si muovono tutte le energie AWEN: la parte spirituale dell’uomo che si libera da Anufu per inserirsi nel ciclo della liberazione ABRED: i vari cicli di rinascita ai quali è sottoposto l’uomo. Ogni ciclo comprendeva numerose esistenze, sia sulla Terra che su altri pianeti. GWYNFID: il Cerchio della Beatitudine, la liberazione finale raggiunta la quale Awen trascorrerà un tempo indefinito di beatitudine. Se già questo schema può tradire un insospettabile 48 livello di conoscenza, rimarremo di certo ancora più stupiti proseguendo nell’analisi del concetto di reincarnazione presso i Druidi. Alla fine dei vari cicli si trova il Cerchio dell’Infinito (CAUGANT), una sorta di Nirvana nel quale, per usare un termine proprio dei mistici cristiani, si realizzerà finalmente l’incontro con Dio. Ci troviamo quindi di fronte a una casta sacerdotale che seguiva una linea di pensiero altamente evoluta per quel periodo, erede forse di insegnamenti provenienti da molto lontano e dispensati da misteriosi messaggeri; non si tratta soltanto di un raffinato pensiero filosofico ma di un avanzato stato di conoscenza profondamente radicato in ogni azione; basti pensare che ad ogni condannato a morte veniva concesso il diritto di poter fruire di cinque anni prima dell'esecuzione, al fine di poter acquisire coscienza del futuro stato in cui si sarebbe ritrovato, quasi una preparazione spirituale per dare la possibilità all’anima di accedere nell’aldilà. Oggi è possibile rintracciare piccoli frammenti del pensiero e dell’opera dei Druidi soprattutto in alcune regioni dell’Irlanda; non soltanto i tipici luoghi sacri ma anche frammenti di antiche tradizioni e credenze sparse nei vari costumi locali. Proprio tra queste credenze, e in riferimento a quanto appena scritto sulla reincarnazione, è interessante notare il fatto che esista una antica leggenda in merito ai bambini, alla loro nascita, e al fatto che posseggano ancora intatti tutti i ricordi della loro vita precedente. Tali ricordi andranno man mano ad affievolirsi con l'avanzare degli anni. L’ULTIMO LIBRO DI ROBERTO LA PAGLIA IL GRANDE LIBRO DEI MISTERI Roberto La Paglia Prefazione di Paola Giovetti Edizioni Xenia 316 pagine 15 Euro ISBN 9788872736890 Dalla mitica Atlantide al calendario Maya: i più sconvolgenti e dibattuti enigmi della storia umana in attesa di una soddisfacente soluzione. I megaliti di Stonehenge, la Piramide di Giza, le linee di Nazca: che cosa volevano dirci gli antichi? Rennes le Chateau e la Cappella Rosslyn: i Templari e il Santo Graal. Da Tunguska agli odierni avvistamenti Ufo: misteriosi segnali dal cielo. Fantasmi, telepatia, medianità ed esperienze di pre morte: la scienza si interroga sul paranormale. Un viaggio lungo un sentiero nel quale si muovono non soltanto le teorie di confine ma anche le ipotesi scientifiche, in un serrato confronto dal quale si auspica possano un giorno nascere risposte certe. Un libro affascinante che permette al lettore di immergersi in una realtà parallela ma non per questo del tutto irreale, alla scoperta di luoghi, fatti, personaggi e storie spesso difficilmente reperibili nella letteratura del mistero. 49 INQUISIZIONE E METODI DI TORTURA SULLE STREGHE Maria Benedetta Errigo [email protected], è nata a Rovigo il 5 marzo 1973 e vive a Lido d’Ostia. Laureata in Scienze delle comunicazioni internazionali presso l’Università di Lugano, parla correttamente Inglese, Francese belga, Alto tedesco medio e Olandese. Quando si parla di Inquisizione e di processi alle streghe si pensa sempre al Medioevo, a secoli bui e passati. Ma sapete quando ci fu l'ultimo processo per stregoneria? In Europa l’ultimo processo per stregoneria ci fu nel 1717 a Leicester, in Inghilterra, e fu istituito contro una donna anziana e suo figlio, accusati di provocare morte e malattie attraverso le fatture. Il processo però fu fortunatamente annullato per mancanza di prove certe. Nel 1736 poi l’Atto di Giacomo I, che prevedeva la pena di morte, fu annullato e sostituito da una pena di un anno di carcere per chi praticava la stregoneria. In Germania l’ultimo caso si ebbe nel 1775 e più in generale in Europa l'ultima strega condannata a morte fu Anna Goeldi uccisa nel 1782 in Svizzera e riabilitata dal parlamento Cantonale nel 2008. Da noi, in effetti, la pena di morte contro la stregoneria sparì ancor più gradualmente, visto che pare che l'ultima strega in Italia sia stata bruciata nei primi anni dell'Ottocento e qualche documento riporta ancora alcune accuse di stregoneria nei primi anni del Novecento in alcune zone di Italia, soprattutto rurali. Come si sa, comunque, la vera persecuzione delle streghe si è avuta durante il Medioevo. Proprio in questo periodo la Chiesa Cattolica ha avuto un ruolo di funzione ambivalente: mentre da una parte ha 50 sempre combattuto le credenze magiche, dall'altra è stata sempre la più forte sostenitrice della realtà oggettiva di streghe, maghi e stregoni, giustificando la credenza nel sabba diabolico. Insomma, le streghe esistono perché la gente ha iniziato a credere a loro, e infatti alcuni antropologi sostengono letteralmente che “le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. E se, da un lato, la Chiesa ha prodotto nei secoli diversi ottimi documenti come il Canon Episcopi, risalente addirittura all'undicesimo secolo e destinato ai vescovi contro la superstizione, dall'altro ci sono ben tredici bolle in cui viene accettata la realtà della stregoneria, tutt'oggi non abiurata, quindi ancora valida! "Fra tutte le eresie, la più grande è quella di non credere nelle streghe e con esse, nel patto diabolico e nel sabba": questa è una citazione dal libro “Malleus Maleficarum”, il Martello delle streghe, il libro su cui si basarono gli Inquisitori per le torture e i processi alle streghe. Questo manuale fu scritto da due domenicani tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer per stabilire i criteri utili a riconoscere e punire le streghe e fu pubblicato nel Quindicesimo secolo, ma bisogna sottolineare che non fu mai adottato ufficialmente dalla Chiesa Cattolica. Fu riprodotto in ben trentaquattro edizioni e oltre trentacinquemila copie impresse, con una tiratura stimata di 30.000 copie. Ma ci sono molti altri libri a corollario del Malleus sui metodi di tortura e di applicazione della pena e del modo sul quale riconoscere una strega. Nel 1580, ad esempio, Jean Bodin intellettuale protestante, ritenuto ispiratore del moderno concetto di stato e teorico della tolleranza religiosa, scrisse “La Démonomanie des Sorciers”, un manuale giudiziario sul metodo per la tortura e la repressione delle streghe. Comunque le caccie alle streghe si concentrarono soprattutto tra la fine del 1400 e la prima metà del 1600 e conobbero due ondate: una dal 1480 al 1520 e l'altra 51 dal 1560 al 1650. Le presunte streghe, e a volte anche i loro figli, soprattutto se femmine, appartenevano per lo più alle classi sociali inferiori ed erano di solito vedove, prostitute, levatrici ed herbarie. Soltanto una piccola minoranza di loro poteva essere realmente annoverata tra i veri e propri criminali colpevoli di omicidi o di altri gravi reati. Fu questo il caso della cosiddetta Voisin, per esempio, prestatrice di servizi satanici per le messe nere della Marchesa di Montespan,favorita del Re Sole, al fine di assicurarsi a lungo i favori del re. La stragrande maggioranza era invece composta da persone innocenti, di ogni età e condizione, spesso prostitute, levatrici e guaritrici, in un tempo in cui decotti ed infusi a base di piante risultavano non meno efficaci e sicure di medicine e medici: e d'altra parte la popolazione, essenzialmente rurale, non aveva altre possibilità per curarsi del ricorrere ai loro rimedi, meno costosi di quelli dei medici. Purtroppo erano annoverate nelle accuse anche persone con problemi mentali o anziane signore con problemi neurologici o di Alzheimer,che venivano scambiate per possedute. Veniva considerata strega anche chi aveva gatti neri, aveva i capelli rossi o un neo vicino all'iride dell'occhio, il cosiddetto "segno del diavolo". Molte donne furono torturate e bruciate vive, con le motivazioni ufficiali più varie, ma spesso in base a delazioni anonime mosse anche da futili ragioni e in molti casi, in cambio della riduzione dei tormenti, perché facesse il nome di persone possibilmente benestanti, ree di complicità, in modo da poter istruire il processo successivo, considerato fortemente remunerativo, dato che il condannato subiva anche la confisca dei beni. A volte le accusate venivano “solo” marchiate e rimesse in libertà. Ma attenzione: non pensate a un marchio come un tatuaggio. No: solitamente alle streghe erano tagliate orecchie e 52 naso, proprio per sfigurale e renderle repellenti alla società. Perciò queste donne, rimaste sole ed emarginate, non avevano altro mezzo per sopravvivere che chiedere l'elemosina o prostituirsi. E qui si chiudeva il cerchio, perché erano così arrestate di nuovo e condannate a morte. Ma quali erano i criteri per i quali si rischiava una denuncia per stregoneria, soprattutto in Italia? Abbiamo detto che i principali erano il fatto di essere donna, essere sola o comunque non dipendere da un marito, un fratello o un padre, un “maschio” insomma, vivere ai margini della società o di elemosine. Ma c'erano anche altri fatti come possedere un gatto nero, o tenerlo semplicemente in braccio, non andare in chiesa, non seguire la religione, essere sospettate di adulterio, essere omosessuali, tenere in casa un gallo nero, aver raccolto erbe durante le feste consacrate, praticare l'arte di curare con le erbe, aver pronunciato nel corso di un litigio parole oscure che possono aver dato adito a sospetti di malocchio, essere figli di donne già condannate per stregoneria, e via dicendo. Quindi era chiaro che bastava una piccola cosa, una disgrazia, una grandinata, una malattia, la morte improvvisa di una persona per far scattare l'accusa di stregoneria verso la malcapitata di turno. Una delle accuse più frequenti, poi, riguardava l'improvvisa impotenza del marito di una donna. Era infatti molto più semplice accusare un'altra donna di stregoneria piuttosto che rivelare a tutta la società di avere problemi coniugali! Una volta denunciata, la strega era prelevata a casa da quattro persone, che cercavano di prenderla di sorpresa, altrimenti sarebbe potuta scappare a cavallo di una scopa o avrebbe fatto in tempo a prepararsi un incantesimo chiamato “Maleficia Taciturnitatis”, che l'avrebbe fatta resistere a tutte le torture. Questo rituale si preparava, secondo le leggende, in vari modo tra i quali cospargendosi il capo di ceneri di un neonato ucciso e bruciato. Comunque, arrivata al processo la strega veniva denudata e 53 rasata di tutti i peli del corpo: questo per cercare il cosiddetto “marchio del diavolo”, il segno del patto tra la strega e Satana. Questo marchio poteva essere un neo, o una macchia del corpo, a volte anche il fatto che la strega non era sensibile in alcune zone del corpo, ecco quindi che i giudici cercavano queste zone di insensibilità pungendo tutto il corpo della malcapitata con spilloni appuntiti. Una volta individuato il marchio, si dava il via all'interrogatorio. Si iniziava leggendo le varie testimonianze rese dalle persone che avevano denunciato la donna, spesso con l'accusa di avere risentito in prima persona dei malefici della strega. L'interrogatorio prevedeva una confessione completa della malcapitata, pena il ricorso alla tortura. L'idea della tortura incuteva un tale terrore nelle vittime che, pur di evitarla, molte confessavano in questa fase del processo i più fantastici malefici, ritenendo che il rogo fosse ancora un male minore in confronto alla ferocia degli inquisitori. Anche perché il concetto era chiaro: fino a che la strega non avesse confessato ciò che volevano sentirsi dire la tortura continuava: “Hai partecipato al sabba? Rispondi sì o no, ma se rispondi no sappi che la tortura continuerà”. Chiaro come parecchie donne accettavano di confessare qualsiasi cosa pur di terminare la tortura, forse ritenendo la morte una liberazione da tutte queste sofferenze. Ovviamente si aveva molta cura che la vittima non morisse durante le torture, proprio per arrivare all'esecuzione pubblica, che doveva essere un momento di catarsi e di purificazione per tutti. Ecco perché si procedeva comunque a bruciare la strega, sia come esecuzione ufficiale o subito dopo averla uccisa, proprio perché il fuoco era considerato il mezzo più efficace per purificare non solo l'ambiente circostante, ma anche le persone che prendevano parte alla visione dell'esecuzione. Non mi soffermerò troppo nei particolari delle torture, alcune comunque fin troppo conosciute. Uno dei metodi più usati era il tratto di corda, con il quale alle vittime venivano legate le mani dietro alla schiena, e poi si sollevava da terra con movimenti violenti, a volte applicando anche pesi alla carrucola. C'erano il cavalletto e la ruota, sui quali la donna veniva fissata e a cui erano allungati gli arti. C'erano anche stringidita e stringiseni, mutilazioni provocati da lame e tenaglie, la tortura della privazione del sonno e del fare ingurgitare litri di acqua, tanto per citarne solo alcune, in alcuni casi effettuate ancora oggi. Un'altra tortura molto utilizzata era la Tabula. Nella mia città, Rovigo, dove furono bruciate ben sei streghe, fu lo strumento principe da tortura per far confessare. Si trattava di tavole incandescenti sulle quali veniva distesa la malcapitata, prima bocconi e poi sulla schiena. Tutto questo nella più completa nudità, tanto per aumentare l'umiliazione e per ottenere una confessione che prevedeva il sapere dove e come la strega aveva stretto il patto con il diavolo, quando e dove aveva partecipato ai sabba e soprattutto il nome dei complici. Terminato il processo, la strega era gettata in una cella in attesa dell'esecuzione, che doveva essere pubblica, quasi spettacolare. Solitamente, la vittima era bruciata viva, in particolare prima di essere arsa in Inghilterra veniva impiccata, in Germania e Scozia veniva strozzata con la garrota, in Svezia erano decapitate. In Italia erano bruciate vive con un prete che teneva davanti a loro una croce. Per inciso vorrei ricordare che, anche in Italia, una donna poteva essere accusata di stregoneria a partire dagli otto anni. Fa rabbrividire vero? Eh sì, purtroppo anche dei bambini sono stati bruciati vivi con l'accusa di stregoneria. Non solo, in alcuni paesi europei, Italia compresa, i bambini sotto i 54 dieci anni erano costretti ad assistere al rogo della madre, essendo poi frustati a sangue. I dati sulle vittime di questa Inquisizione sono parziali e non sempre ufficiali. Da più parti si indica questo come il primo Olocausto e forse può davvero essere considerato tale. In Europa la Germania la fa da padrona con 50mila processi e quasi 40mila esecuzioni, in Svizzera ci furono 14mila processi, quasi tutti conclusi con esecuzioni, via via in altri paesi europei le esecuzioni e i processi si aggirano attorno ai 5mila/8mila: questi i numeri, diciamo ufficiali. In Italia furono celebrati quasi 5 mila processi e le condanne a morte furono circa 1800. La maggior parte dei roghi da noi si ebbe nella prima parte del Cinquecento soprattutto nell'Italia Settentrionale e in Toscana, con un solo caso a Benevento. Le persecuzioni maggiori si sono svolte in Val Camonica, dove ci furono tra i 62 e gli 80 roghi, a Como con 60 roghi, in Val di Fiemme 11 roghi, a Mirandola 10 roghi e in provincia di Cuneo con 9 roghi. Ci furono poi in Italia alcune categorie di streghe particolari: una di queste riguardava i cosiddetti Benandanti, una specie di setta Friulana dell'inizio del Seicento. Erano individui che protetti da particolari talismani combattevano le malvagità del Diavolo e delle streghe, ma l'Inquisizione li mise sotto accusa per stregoneria comunque e quindi anche loro subirono la stessa sorte di ciò che invece combattevano. Inoltre in provincia di Rieti pare ci fosse una sorta di congregazione chiamata i Seguaci di Diana, ma ci sono poche informazioni al riguardo. Era comunque una setta che faceva capo a una donna che portava un titolo di sacerdotessa. Uno dei casi più famosi in Italia riguardò nel 1587 i paesi di Triora e Molini di Triora, nella Valle Argentina in Liguria. Qui si ebbe una vera e propria psicosi che si può paragonare alla caccia alle streghe di Salem, che si concluse con l'arresto di una trentina di donne, la cui sorte rimane piuttosto nebulosa. Qui le accuse di stregoneria furono un po' più sui generis, visto che riguardarono non solo popolane, ma anche donne nobili. Qui le streghe erano accusate, tra le altre cose, di uccidere bambini palleggiandoseli, a mo’ di pallavolo, da un paesino all'altro. Insomma, per concludere si può dire che la maggior parte delle donne accusate di stregoneria erano povere, ai margini della società, oppure erano persone che cercavano di fare del bene agli altri, con i loro intrugli di erbe o aiutando le partorienti. In qualche caso erano donne vittime della cattiveria e dell'invidia di qualche vicino di casa. Comunque si è trattato di una vera e propria persecuzione che si è lasciata alle spalle parecchi morti e una ferita ancora aperta di cui si parla ancora oggi e che non manca di suscitare sentimenti contrastanti di orrore e di pietà. 55 UNO SCIENZIATO ALLE ORIGINI DELLA TEORIA DEL PALEOCONTATTO: MATEST MENDELEVICH AGREST Simone Barcelli [email protected] ha 46 anni ed è un ricercatore indipendente di Storia Antica, Mitologia e Archeologia di confine. In rete collabora con Storia in Network, Tuttostoria, Edicolaweb, Acam, Esonet, Paleoseti e ArcheoMedia, sui cui portali sono pubblicati i suoi studi tematici. Il 20 settembre 2005 moriva, ormai novantenne, il matematico ed etnologo russo Matest MendelevichAgrest , conosciuto per il suo contributo alla teoria delle funzioni cilindriche incomplete e ancor di più per l'ipotesi di paleocontatto espressa in tempi davvero non sospetti. Infatti, al pari dell’archeologo francese Henri Lhote (che individuò i dipinti e le incisioni del Tassili in Algeria), Agrest deve essere ricordato per essere stato tra i primi scienziati a divulgare la tanto discussa teoria degli antichi astronauti. Insomma, almeno un decennio prima che identiche ipotesi fossero poi riprese, sviluppate e strumentalizzate anche da 56 scrittori senza scrupoli che ben conosciamo. Qualcuno di voi ricorderà che il nome di questo sconosciuto Agrest compariva nei lavori di Peter Kolosimo ma non tutti conoscono la vita di quest’accademico. Vale la pena porre rimedio, anche se in forte ritardo. Lo scienziato rabbino Nato da famiglia ebraica il 20 luglio 1915 a Mogilev, nel villaggio di Knyazhitsy, in Bielorussia, nel 1929 divenne rabbino e, mentre lavorava in fabbrica, riuscì a frequentare la scuola secondaria, diplomandosi cinque anni dopo. S’iscrisse poi alla facoltà di matematica e meccanica dell’Università di Leningrado. Laureatosi, entrò nella Graduate School of Astronomical Institute di Mosca, dipartimento di meccanica celeste. Qui incontrò e fece amicizia con l’astrofisico Joseph V. Sklovskij, membro dell'Accademia delle Scienze. In questo frangente Agrest studiò le caratteristiche meccaniche del movimento degli anelli di Saturno. Allo scoppio della Arzamas-16 Seconda Guerra Mondiale si ritrovò mobilitato e di stanza a Gorky al comando di un plotone di sbarramento. Durante un temporale un fulmine colpì la mongolfiera ove si trovava e, a causa dell’incendio, Agrest rimase ferito: questo incidente di percorso gli consentì di completare gli studi universitari. Lavorò quindi presso l'Istituto di Chimica e Fisica, aggregato al progetto atomico del gruppo Zel'dovich, ove fu incaricato di eseguire i calcoli dei processi esplosivi. Dal 1948 cominciò a lavorare al KB11, nel villaggio che in seguito divenne noto come Arzamas-16 ma nel 1951, convocato dai superiori, fu licenziato. Agrest non volle Andrei Sacharov mai parlare dei motivi dell’allontanamento, avvenuto probabilmente per l’educazione religiosa ricevuta. All’epoca, avendo una famiglia numerosa e versando in precarie condizioni economiche, gli vennero in soccorso alcuni colleghi che avevano lavorato con lui al progetto dell’atomica, tra cui Andrei Sacharov, che gli permise di occupare il suo appartamento a Mosca per circa sei mesi. Mentre la famiglia si trasferiva in Abkhazia, Agrest lavorò (fino al 1960) presso l'istituto fisico/ tecnologico di Sukhumi (SFTI), in un subborgo di Sinup, all’interno di un laboratorio ove un’equipe di scienziati russi e tedeschi, praticamente segregati, portavano avanti sperimentazioni connesse all’utilizzo militare dell’energia atomica. Il nome di Agrest balzò alle cronache nel 1959 quando sostenne che i terrazzamenti di pietra del sito archeologico di Baalbek potevano essere stati utilizzati per il lancio di navicelle spaziali, 57 Il villaggio noto come Arzamas-16 aggiungendo che la distruzione delle bibliche città di Sodoma e Gomorra era da attribuirsi a un’esplosione atomica provocata intenzionalmente da esseri provenienti da un altro pianeta. Le sue teorie non ortodosse, che chiaramente all’epoca scandalizzarono l’ambiente accademico occidentale, furono pubblicate per la prima volta nel 1960 sulle pagine della rivista Literaturnaja Gazeta (nr. 17, pag. 2, 9 febbraio 1960); quanto asserito da Agrest trovò ampio risalto all’estero, anche grazie agli articoli pubblicati il giorno dopo sul The New York Times e sul Los Angeles Times. Matest Agrest ci andò subito con il piede pesante, sostenendo che alcuni episodi descritti nella Bibbia, secondo lui, si riferivano a interventi di esseri extraterrestri; nelle sue asserzioni anche Gesù Cristo divenne un alieno e la stella di Betlemme non era altro che l’astronave del Salvatore. Non dobbiamo dimenticare che le dichiarazioni di Matest Agrest, come quelle similari del popolare scrittore di fantascienza Alexander Kazantsev, nascevano in un contesto anche strumentale in favore dell’ateismo. professore emerito di Scienze astrofisiche all'Università di Princeton, un originale pensatore, ricordato tra i più importanti sviluppatori nel settore della fisica del plasma. Fu Stix a chiedere un incontro con Agrest poiché sapeva delle sue convinzioni sul paleocontatto scaturite dallo studio sui testi originali della Bibbia. Stix, che L’incontro con Stix e un’enigmatica fotografia Nel luglio del 1960 riuscì finalmente a confrontarsi con alcuni scienziati statunitensi facenti parte di una delegazione estera giunta in Unione Sovietica per un seminario dedicato al plasma e alla fusione. Tra questi Thomas Howard Stix, Thomas Howard Stix 58 tangenti e lo scienziato non subì ulteriori conseguenze. Brillanti idee o voli di fantasia? Albert Einstein asseriva di conoscere anche l’ebraico, riferì che avrebbe dovuto relazionare, di lì a poco, ad una conferenza presso l'Università di BarIlan. I due si trattennero a discutere per una notte intera. La conversazione avvenne in inglese poiché, a quanto sembra, l’ebraico di Stix era assai stentato. Il giorno seguente ci fu un trasferimento in pullman per una visita al lago Riza nel Caucaso e i due stavano ancora discutendo tra loro, stavolta sotto lo sguardo sospettoso dei colleghi e superiori di Agrest, che cercarono di carpirne i discorsi. Prima di congedarsi, Stix regalò a Agrest una fotografia in cui era ritratto nell’appartamento di Einstein. Agrest non seppe mai il motivo di quel dono e nemmeno chi fossero le altre due persone immortalate nella foto. L’incontro con lo studioso statunitense, dopo ben dodici anni di completo isolamento, rimase indelebile nei ricordi dello scienziato che, due giorni dopo, dovette delle spiegazioni sul fatto di aver fornito il proprio indirizzo a Spix e per questo fu accusato di violazione del segreto. Per fortuna i suoi accusatori, Hoof e Ogurtsov, furono licenziati poiché implicati in un giro di Si era in piena Guerra Fredda e la maggior preoccupazione per l’URSS era quella di difendersi da attacchi con missili nucleari. Agrest lesse un articolo in cui si proponeva di utilizzare una barriera formata da miliardi di sottili aghi in orbita attorno alla terra che, similmente agli anelli di Saturno, avrebbero fatto esplodere i missili nello spazio. Agrest si ricordò quindi dei suoi studi su Saturno, compiuti anni prima per la tesi di dottorato, e ipotizzò che su Saturno potesse esserci vita intelligente e che gli anelli avessero una funzione difensiva: in questo caso, non si poteva escludere che in un lontano passato gli abitanti di questo pianeta avessero visitato la Terra. Inevitabilmente, se c’era vita su Saturno non si poteva escludere nemmeno, in linea di principio, che forme intelligenti abitassero nella galassia di miliardi di stelle che, come il Sole, potevano ospitare sistemi planetari. Per dimostrare questa teoria occorreva chiaramente trovare le tracce del soggiorno terrestre di questi alieni. Secondo Agrest la traduzione esatta dei giganti 59 discendenti di Adamo, l’attenzione dello scienziato andò a Enoch, figlio di Jared. Nel Vecchio Testamento si dice che ciascuno dei patriarchi (tranne Enoch) della Genesi che abitavano la Terra era caduti. Ora il problema di Agrest era sapere quando queste creature erano cadute e partendo dal presupposto che questo fatto, secondo il testo sacro, era inserito dopo l'enumerazione dei diretti visse una lunga vita e morì in tarda età. Enoch invece aveva camminato con Dio perché lo aveva preso con sé. Alcuni degli eventi descritti nel Vecchio Testamento potevano in qualche modo essere testimonianze scritte di visitatori extraterrestri. L’attenzione di Agrest andò alla descrizione della distruzione delle città di Sodoma e Gomorra e, come membro del progetto nucleare, conosceva bene le conseguenze di un'esplosione atomica. Effettivamente nel Vecchio Testamento è scritto che le persone furono accecate dalla luce e solo uno spesso strato di terra avrebbe potuto proteggere dalle radiazioni ionizzanti. Da lì Agrest iniziò a ricercare altre località della Terra che potessero aver ospitato gli alieni e non tardò ad arrivare a Baalbek, ove esistono enormi lastre di pietra che non si sa bene come fossero mosse dai nostri antenati. Agrest suggerì che la piattaforma di Baalbek fosse stata costruita da astronauti caduti sul nostro pianeta, così rimasta a futura memoria 60 della loro permanenza. Lo scienziato scoprì alcune prove indiziarie in cristalli fusi rinvenuti in quella zona, forse originati da esplosioni nucleari, teorizzando che le astronavi fossero mosse da energia atomica. Agrest scrisse quel che pensava in alcuni manoscritti e li trasmise, per la prevista autorizzazione alla stampa, al Comitato Regionale del Partito Comunista della Georgia, ben conscio che difficilmente sarebbero stati presi in considerazione. Invece, il responsabile Hvartskiya giudicò interessante il lavoro e fornì il permesso allo scienziato di relazionare a un seminario scientifico presso l'istituto SFTI di Sukhumi. Agrest parlò per oltre un'ora e in sala vi era un assoluto silenzio. Per paura di cadere nel ridicolo, parlò sorridendo spesso poiché, in caso di reazioni negative, avrebbe potuto sostenere che si trattava solamente di uno scherzo. Quando terminò la sua relazione dal pubblico giunse uno scroscio di applausi. Agrest ricordò di aver reagito perdendo il controllo e iniziando anche a tremare. Il famoso fisico sovietico Frank Kamenetskii (calcolò esattamente le probabilità di annodamento del DNA) era propenso a far pubblicare un articolo con le teorie di Agrest sulla rivista Nature ma il comitato di redazione rifiutò il contributo, giudicandolo troppo pericoloso. Le idee di Agrest avevano stuzzicato anche l’accademico Igor Kurchatov (il fondatore dell’Istituto per l’Energia Atomica di Mosca) che gli suggerì di scrivere una versione abbreviata dell’articolo per la pubblicazione negli Atti dell'Accademia delle Scienze. Purtroppo nel febbraio 1960 Kurchatov morì senza essere riuscito a far pubblicare il lavoro. Nonostante tutto, alcune fotocopie del manoscritto erano state distribuite e da Mosca giunsero a Sukhumi i giornalisti Michael Cernenko e Valentin Rich e il 9 febbraio l’articolo “Tracce portare dallo spazio?” appariva sulle pagine della 61 sobrietà, da accademico, proponendo la ricerca di prove per confutare la teoria. Inizialmente, tra i sostenitori del paleocontatto ci fu Joseph Samuilovich Sklovskij che nel suo libro “L'universo, la vita, la mente” citò in maniera positiva l’idea del paleocontatto; in seguito l’avrebbe contrastata asserendo che l’uomo era solo nell’universo: non perché avesse trovato presupposti erronei alla teoria del paleocontatto bensì sulla scorta delle sue osservazioni astronomiche. La possibilità di un contatto con altre civiltà fece sorgere progetti SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence, Ricerca di Intelligenza Extraterrestre) dappertutto per captare segnali artificiali provenienti dallo spazio. Paradossalmente, mentre in Unione Sovietica l’idea del paleocontatto veniva giudicata non scientifica, in Occidente andava riscuotendo grande popolarità soprattutto per l’interessamento dell’astrofisico statunitense Carl Sagan (che nel 1966 con Shklovskij pubblicò “Vita intelligente nell’universo”) Joseph Samuilovich Sklovskij Gazzetta Letteraria. La notizia fu trasmessa anche per radio e il giorno dopo, come già scritto, ripresa con grande risalto dalla stampa occidentale. Un anno dopo fu pubblicato un secondo articolo (“Gli astronauti dell’antichità”) ma a questo punto la comunità scientifica sovietica intervenne pesantemente affermando che le idee del giovane Agrest erano nocive e distraevano l’ambiente dai reali problemi scientifici. Fu anche condannato l’uso di storie bibliche, arrivando a definire pseudo-scienza le idee di paleocontatto. In verità, a parte queste critiche, non fu mossa alcuna obiezione riguardo l’ipotesi avanzata dallo scienziato. In fondo Agrest aveva sviluppato la sua idea con 62 che di fatto si appropriò dell’idea originariamente di Agrest. Il sovietico, vivendo in una nazione intellettualmente ancora isolata dal resto del mondo, non poteva certo raggiungere la fama di Sagan, che pur mise a repentaglio la propria credibilità scientifica pubblicando numerosi articoli su riviste scientifiche e arrivando a dare alle stampe il romanzo di fantascienza “Contact”. Purtroppo anche Sagan, con l’avvento degli scrittori da strapazzo, si allontanò dall’idea iniziale e questo è stato certamente deleterio per la ricerca negli anni a venire. Shamir, il laser di Mosè Agrest, dal canto suo, tornò nell’anonimato e dopo aver diretto, dal 1970 in poi, il laboratorio dell’università di Leningrado, nel 1992 emigrò con la famiglia negli Stati Uniti e visse a Charleston (South Carolina): qui poté finalmente confrontarsi con i colleghi statunitensi, dopo decenni d’isolamento patito in patria. Fu invitato a esporre le proprie convinzioni in una conferenza tenutasi a Las Vegas dal 2 al 4 agosto 1993 ed era la prima volta che capitava dal lontano 1959. Durante quel convegno Agrest sostenne che almeno una volta astronauti extraterrestri avevano visitato la Terra, aggiungendo che erano creature antropomorfe e che nell’universo vi erano molti pianeti abitati da esseri intelligenti. Nel 1995 pubblicò il volume “L’antico miracoloso meccanismo Shamir”, in cui identificava lo Shamir come uno strumento utilizzato per il taglio e l’incisione di pietre durissime. Lo Shamir era descritto nel Talmud (uno dei testi sacri dell'Ebraismo) Mikhail M. Agrest come un “verme tagliente” “…la Shamir (un verme che può perforare qualsiasi cosa difficile… usato per scolpire i nomi dei Shevatim sulle pietre del Choshen”. Pesachim 54°) - e nello Zohar (altro libro sacro degli Ebrei, importante per la tradizione cabalistica) un “tarlo metallico divisore”. Nella Bibbia, Geremia 17/1, è descritto come un diamante: “Il peccato di Giuda è scritto con uno stilo 63 Le gigantesche pietre di Baalbek di ferro, con una punta di diamante è inciso sulla tavola del loro cuore e sugli angoli dei loro altari…”; lo stilo era la penna usata all’epoca per incidere sulle tavolette di cera: poteva essere una specie di raggio laser ricavato appunto da un diamante. Questo “verme di diamante”, adoperato per tagliare e forare, era considerato di natura divina e per questo motivo raramente affidato agli esseri umani. Agrest precisò che poteva essere stato descritto come un insetto a causa dell’errata traduzione della parola latina “insectator” (tagliatore), quindi scambiato per un “tarlo” perché praticava dei fori. Oggi, a cinque anni dalla sua morte, a ricordarne l’opera pioneristica, quale fautore della teoria degli antichi astronauti, è forse rimasto solo il figlio Mikhail, insegnante di fisica e astronomia al College di Charleston. Mikhail, sulle orme del padre, ha cercato di spiegare il fenomeno di Tunguska come l’esplosione di una navicella aliena. La figura di Agrest, questo temerario scienziato sovietico che cercò di squarciare il velo del silenzio, meriterebbe ben altra considerazione, soprattutto da parte di chi si occupa tuttora di queste problematiche. Simone Barcelli - "Tracce d'eternità" Cerchio della Luna Edizioni - Novembre 2009 (Un incredibile viaggio ai confini della storia, tra le rovine di alcuni dei più misteriosi siti archeologici). Il testo è indicato dallo Scaffale d’arte come consiglio di lettura nell’ambito del laboratorio d’arte inerente la mostra “Teotihuacan, la città degli déi”, in programma dal 9 novembre 2010 al 27 febbraio 2011 al Palazzo delle Esposizioni di Roma. 64 INTERVISTA A GREGORY DEYERMENJIAN IL PIÙ FAMOSO RICERCATORE DEL PAITITI Yuri Leveratto [email protected] , nato a Genova quarantuno anni fa, dopo aver conseguito la laurea in Economia ha iniziato il suo peregrinare per il mondo a bordo di navi da crociera. Ha vissuto a New York, lavorando come guida turistica e dal 2005 si trova in Colombia. Autore di racconti e romanzi, appassionato di Storia e fantascienza, viaggia per venire in contatto con culture autoctone e studiarne cultura e modo di vita. Tra i suoi libri ricordiamo “La ricerca dell’El Dorado” (Infinito Edizioni, 2008) e “1542 I primi navigatori del Rio delle Amazzoni” (Lulu.com, 2009). Oggigiorno la maggioranza della gente pensa che tutto il mondo sia stato già esplorato, cartografato e documentato. Ci dicono che siamo nell’era della globalizzazione, e che in qualunque parte del mondo si viaggi, si sentirà come a casa sua. La verità è molto differente da ciò che i mezzi di comunicazione ci mostrano. Ancora adesso vi sono zone della Terra che si conoscono molto poco ed altre dove, incredibilmente, nessun uomo (eccetto indigeni no contactados), ha mai messo piede. Per esempio in Sud 65 all’ultimo. A parte tutto ciò, sin da quando ero giovane ho sempre avuto il desiderio di tentare di conoscere quello che è sconosciuto, il cosiddetto “Más Allá”. Da sempre, quando osservavo, in una mappa dettagliata, la dicitura DATOS INSUFICIENTES o NO DATA AVAILABLE, mi emozionavo e pensavo che sarei stato io il primo a camminare in quella zona. E per quanto riguarda la esplorazione pura, non c’è nessun luogo al mondo così interessante come il Perù. America alcune zone della frontiera tra il Brasile e il Perù, e in Perù la zona dell’Alto Purús, del Río Yaco, la zona intangible del Parco Nazionale del Manu, e la zona del Parco Nazionale Madidi, in Bolivia, sono praticamente sconosciute da un punto di vista archeologico. Alcune di queste zone sono come scrigni che non sono stati mai aperti, che potrebbero nascondere evidenze archeologiche e storiche molto importanti e potrebbero completare la nostra conoscenza del passato precolombiano. Per esempio nell’Amazzonia peruviana si racconta già da molto tempo la leggenda del Paititi, la città perduta degli Incas. Questa cittadella fantastica, che secondo il mito incaico fu fondata dall’eroe culturale Inkarri, sarebbe situata nella selva del Perù, e nasconderebbe gran parte del tesoro degli Incas, oltre ad antiche conoscenze che potrebbero svelare il mistero dell’origine dell’uomo americano. Uno dei più instancabili esploratori e ricercatori del Paititi è lo statunitense Gregory Deyermenjian (nato a Boston nel 1949), membro attivo del “The Explorers Club” di New York, che dal 1984 sta percorrendo le foreste e le montagne del Perù con lo scopo di svelare il mistero dell’ubicazione del Paititi. Ho conosciuto Gregory Deyermenjan nella città di Cusco e fin da subito sono stato colpito dal suo modo sereno di relazionarsi con gli altri e dalla sua buona e rispettosa relazione con i nativi del Perù e con la Madre Terra. Gregory Deyermenjian è un esploratore e ricercatore interessato a cercare, documentare e interpretare tutti i resti archeologici incaici o amazzonici che trova durante le sue esplorazioni. Ecco il testo integrale dell’intervista: Gregory, hai iniziato le tue esplorazioni in Perù nel 1984. Quale fu la ragione principale che ti ha portato a esplorare zone remote della sierra e della selva di questo paese meraviglioso? Yuri, tutto ciò è stato un processo, un’evoluzione, penso. Il primo passo fu l’Inca Trail, nel 1980, durante il quale mi sono reso conto che Hiram Bingham inizialmente credeva che Macchu Picchu fosse il famoso e misterioso Vilcabamba. Il prossimo passo fu proprio andare a Vilcabamba presso Espritu Pampa, nel 1981. Durante quel viaggio incominciai a sentir parlare di un altro sito misterioso, situato più all’est, il “Paititi”, e da quel momento seppi che dovevo ricercare e tentare di conoscere questo tema del Paititi fino Mi sono reso conto che per te è stato molto importante il rapporto con il dottor Carlos Neuenschwander Landa. Puoi dirci qualcosa al riguardo? Il dottor Carlos Neuenschwander Landa fu un uomo eccezionale. Puntuale, colto, intelligente, esperto nei campi della medicina e psichiatria e appassionato della leggenda del Paititi, dal punto di vista storico. Portò a termine tantissime spedizioni: a piedi, a dorso di muli, in fuoristrada, in elicottero. Fu un uomo disponibile all’apporto attivo e costruttivo di altri esploratori, come me, i miei soci Paulino Mamani e Marco Rosaz, sin dal primo momento che ci presentarono. Scrisse libri molto importanti dove sono raccolte interessanti informazioni sulle sue esplorazioni. Il suo primo libro “Pantiacollo” è un classico della letteratura d’esplorazione. Inoltre Carlos Neuenschwander Landa fu un vero “uomo del rinascimento”, in quanto pubblicò anche un romanzo. La maggioranza delle nostre spedizioni, specialmente quelle dove abbiamo tentato di esplorare la zona sconosciuta dove s’inoltra il “cammino di pietra”, o quelle lungo la cordigliera di Paucartambo, fino all’interno della vasta e inesplorata “Meseta di Pantiacolla”, sono state 66 inspirate dalla grande forza d’animo del dottor Carlos. Ho notato che nella maggioranza delle tue spedizioni ha partecipato sempre un gruppo di persone selezionate, mi riferisco agli esploratori peruviani Paulino Mamani e Goyo Toledo. Puoi dirci dove li hai conosciuti e perché queste persone sono tanto importanti per te? Nel campo dell’esplorazione è di estrema importanza poter partire con il “team” giusto e collaudato. Ho avuto molta fortuna per aver avuto come soci nelle mie ricerche sul campo sull’argomento “Paititi” (esplorazioni che hanno per fine ultimo trovare e documentare ciò che, probabilmente, è nascosto nei luoghi remoti delle cordigliere e foreste della regione Cusco, nelle province di Calca e La Convencion e nella regione Madre de Dios, nella provincia del Manu, nel sud est del Perú), delle persone coraggiose, puntuali e abilissime nell’arte dell’esplorazione, con un’attitudine molto positiva. Nel 1984 sono stato a Pukyopata, in un terreno di contadini nelle alture del Rio Mapacho, per parlare con don Tomas Toledo, con il fine di contrattarlo per una spedizione e poter utilizzare alcuni suoi muli. Quel giorno ebbi fortuna perché arrivò il figlio di don Tomas, Goyo, che giungeva dalla sua dimora quasi permanente nelle terre dei Matsiguenkas, gli indigeni della selva alta di Mameria. Era venuto per visitare suo padre, cosa che faceva solo una volta all’anno, o due. Goyo aveva portato con sé Raimundo, un Matsiguenka di Mameria. In ogni caso quell’anno non utilizzai i muli di don Tomas ma alcuni cavalli della familia Mamani. Così viaggiammo in fuoristrada attraverso la provincia di Calca fino ad Amparaes, per incontrarci con i Mamani, e iniziare la spedizione con i loro cavalli. Lì c’era un uomo giovane, molto amichevole, che voleva venire con noi. Mi disse che aveva 25 anni, anche se in realtà ne aveva 18. Si chiamava Paulino Mamani. Cosicché partimmo da Amparaes con Paulino e i suoi fratelli Guillermo e Torribio, e ci incontrammo con l’uomo più influente della zona, Goyo Toledo, che conobbi un mese prima nel terreno di suo padre, Tomas Toledo. Da quel momento nacque una viva amicizia tra di noi, che è durata fino ad oggi. Nelle spedizioni degli anni 1984-1989 Goyo fu il capitano della marcia. Con il tempo Paulino acquistò sempre più esperienza e siccome è sempre stato molto abile e fortissimo è stato lui il capitano della marcia, a partire dal 1991 67 fino ad oggi. Dal 1986 fino ad oggi ho avuto la fortuna di avere con me, nelle mie spedizioni una combinazione di membri d’elite: Goyo, Paulino, Gavino Toledo (fratello minore di Goyo), e un Machiguenka, che si chiama “Angel”. Negli anni novanta il gruppo fu più piccolo, però ancora eccellente per le mie esigenze, composto da Paulino e da suo fratello minore Ignacio Mamani. Durante le spedizioni del 2004, 2006 e 2008 Paulino ed io siamo stati aiutati da suoi nipoti Alberto, Saul Cesar, e Raul, tutti molto abili ed esperti. In queste esplorazioni nelle zone più remote del Perù non c’è nulla di più importante della coesione fra i membri della spedizione, oltre alla perfetta forma fisica e mentale, perché se c’è anche un solo partecipante che non ha sufficiente animo, determinazione, onestà e forza física, mentale ed emozionale, tutta la spedizione potrebbe fallire o peggio, potrebbe essere posta in rischio la sicurezza di tutti. Nelle tue prime spedizioni, nel 1984, 1985 e 1986 hai documentato il sito archeologico di Mameria. Puoi spiegarci brevemente quali sono state le tue conclusioni al rispetto? Siamo stati a Mameria nel 1984, 1985, due volte nel 1986 e nel 1989. La mia opinione è che fu un insediamento Inca, soprattutto per rifornire gli Incas del Cusco di foglie di coca. E’ stato un sito relativamente grande con gruppi di edifici, terrazzamenti a scopo agricolo, piattaforme cerimoniali, un forno utilizzato per fabbricare ceramica, molti frammenti di ceramica, vari oggetti di tumbaga (una lega di oro e rame). A Mameria trovammo alberi di coca (non più arbusti), proprio perché dopo 500 anni la vegetazione si era sviluppata senza controllo. Questo luogo potrebbe essere stato utilizzato come rifornimento per un altro sito archeologico, però ciò non è stato provato. La mia opinione è che Mameria fosse parte del vasto territorio chiamato Callanga, utilizzato come luogo di produzione della coca per gli Incas. Mameria è stata relazionata con il “Paititi peruviano”, in quanto nella zona a sud est vi è la leggendaria montagna chiamata Apu-Catinti, spesso associata con la leggenda del Paititi, che si situa non lontano dalla cordigliera di Paucartambo, dove c’è il “cammino di pietra” costruito da Inkarri nel suo viaggio da Q’ero fino al Paititi, nella meseta di Pantiacolla. Gregory, hai esplorato la meseta di Toporake già nel 1989. Perche ti sei diretto in quella zona? E quali sono state le evidenze archeologiche trovate in quella zona remota e super-fredda? La meseta di Toporake è situata al nord-est di Mameria. E’ un luogo inospitale, molto alto, (3900 metri s.l.d.m.), freddo, e 68 costantemente umido. Il cammino di pietra si dirige proprio dalla cordigliera di Paucartambo verso Toporake dove si uniscono altri sentieri provenienti da ovest. Da quel punto un solo sentiero segue verso il nord-ovest, verso la meseta di Pantiacolla, lo stesso altopiano che gioca un ruolo fondamentale nella legenda di Inkarri, che si ritirò nel Pantiacolla, nella sua città, o oasi, del “Paititi”. Inoltre, nella meseta di Toporake vi sono vari resti di edifici con muri bassi però abbastanza grandi come se fossero “quartieri generali” militari, ovvero come se la meseta fosse stata in passato un posto di vigilanza per fare da scudo ad un eventuale attacco verso l’altopiano di Pantiacolla. Nel 1991 hai visitato i petroglifi di Pusharo e li hai documentati molto attentamente. Sappiamo che questi petroglifi (scoperti dal Padre Vicente de Cenitagoya nel 1921), furono studiati a fondo dal dottor Carlos Neuenschwander Landa. Quali sono le tue conclusioni al rispetto? Pensi siano glifi di origine amazzonica o andina? E quando furono intagliati, a tuo parere? In realtà fu un cercatore di caucciù che riportò per la prima volta l’esistenza di questi petroglifi nel 1909, e dodici anni dopo il Padre Cenitagoya viaggiò a Pusharo con altri due religiosi. Per loro i glifi non erano altro che lettere gotiche dove si narrava la storia della Bibbia. Nell’opinione del dottor Neuenschwander i petroglifi erano “ideogrammi”, però nell’attualità nessuno sa decifrarli totalmente. Nella mia opinione i petroglifi sono stati inspirati da visioni che ebbero gli sciamani nel passato, mentre erano sotto l’influenza di piante allucinogene, come la brugmansia, che ho visto crescere spontanea presso il fiume vicino a Pusharo e la ayahuasca. Cosicché, la mia opinione è che il sito archeologico nel complesso e i petroglifi non sono una mappa della Terra né del cielo, ne alcuna scrittura, bensì una rappresentazione sciamanica, di gran importanza spirituale per gli abitanti della zona nelle epoche passate. Alcune delle figure rappresentate nei petroglifi di Pusharo si possono vedere nelle pareti delle malokas o capanne dei Barasana, e altri gruppi etnici dell’est della Colombia e del nord-est del Brasile, e sono sempre associate ad una specie di protezione sciamanica per coloro i quali devono transitare attraverso i cosidetti “pongos” ovvero luoghi dove i fiumi si fanno stretti e la cui corrente è fortissima (ad esempio: pongo del Mainique, Pusharo, etc.). Per me quindi i petroglifi di Pusharo hanno un’origine amazzonica, del tipo brasiliano della selva. Nel 1993 hai esplorato gli altopiani di Toporake e Pantiacolla. Ci puoi descrivere il “cammino di pietra” che avete percorso? Quali altre evidenze archeologiche avete trovato? Nel 1993 ci siamo inerpicati su di un angusto e tortuosissimo sentiero fangoso, al lato di profondi precipizi, con il fine di arrivare alla meseta di Toporake. Il nostro scopo ultimo era quello di passare per Toporake, ed iniziare da quel punto la nostra esplorazione lungo l’unico cammino che da Toporake conduce alla meseta di Pantiacolla. Vi erano vari muri di contenzione lungo il cammino di pietra. Eravamo in 4: Paulino, German Condori, un nativo della valle di Lacco, Gumercindo, un campesino che si occupava dei muli, ed io. Ad un certo punto i muli non potevano più avanzare in quanto il cammino era troppo difficile ed angusto. Così salutammo Gumercindo che tornò indietro, mentre noi continuammo verso nord. L’altopiano era molto freddo ed umido. La pioggia mista a neve ed il vento gelido erano costanti (era il mese di ottobre, relativamente tardi dal punto di vista dell’optimum per le esplorazioni). Il cammino scompariva e appariva varie volte. Giungemmo a un punto dove vi è un muro di contenzione, pressappoco dove il sentiero s’inoltrava precipitosamente verso il cosidetto bosco andino, immerso nella neblina. Scendemmo attraverso la fitta foresta in modo da esplorare e documentare la zona. Dopo circa mezz’ora ci rendemmo conto che il cammino avanzava indefinitamente e decidemmo di tornare verso l’altopiano. Ci rendemmo conto che avevamo perso così tanto tempo e energie, e avevamo utilizzato tanti viveri nel viaggio di andata, che nel futuro avremmo dovuto utilizzare un elicottero per giungere fino a quel punto, in modo da poter esplorare quella zona partendo freschi e pieni di forza. Nel 1994 e 1995 hai percorso il Rio Callanga, già nella conca del Madre de Dios. Perché sei tornato a esplorare la selva dopo essere stato interessato alla zona alta del cammino di pietra per vari anni? Dobbiamo ricordarci che le foreste tropicali di Mameria e di Callanga sono in relazione con il “cammino di pietra” nella cordigliera di Paucartambo e che entrambe le zone sono accessibili (anche se con enormi difficoltà), proprio dal “cammino”, attraverso sentieri che scendono verso est, prima di scomparire nel bosco andino e quindi nella selva tropicale. In effetti è vero che da vari anni abbiamo considerato come nostra meta principale il cammino di pietra, 69 con l’intenzione di percorrerlo sempre più verso nord. Però, siccome appunto nel 1993 ci eravamo resi conto che per continuare l’esplorazione della vastissima meseta di Pantiacolla era necessario un elicottero, almeno per il percorso di andata, in modo da risparmiare energie e tempo per documentare e studiare in modo approfondito i siti archeologici della zona, ci siamo riproposti di tornare nell’altopiano solo quando avremmo conseguito le risorse sufficienti per affittare un elicottero. Proprio per questo, per non aver potuto trovare le risorse per l’elicottero, nel 1994 e 1995 decidemmo di esplorare altre zone relativamente meno distanti relazionate con il cammino di pietra, e con la leggenda del Paititi: la zona di Callanga (nel 1994), e di Llactapata (1995). Inoltre il nostro socio durante gli anni 90’, il dr. Carlos Neuenschwander Landa, ci chiese esplicitamente che esplorassimo la zona di selva dove il Rio Yungaria sbocca nel Callanga (formando il PiñiPiñi), dove lui pensava di aver visto dall’elicottero, anni addietro, vasti terrazzamenti utilizzati per l’agricoltura. Nel 1996 sei stato il primo occidentale ad essere giunto alle cosiddette “piramidi di Pantiacolla” o Paratoari, dove io giunsi nel 2009. Cosa ci puoi raccontare su quell’esplorazione? Il 1996 fu un altro anno senza elicottero e per ciò ci domandammo: -Quale altro sito relazionato con la leggenda del Paititi, è degno di essere esplorato scientificamente? Mi resi conto che quel luogo poteva corrispondere alle piramidi di Pantiacolla, o Paratoari. E’ stato un viaggio non molto lungo, ma pieno di sofferenze e scomodità: abbiamo camminato attraverso vari fiumi le cui sponde sono fangose e insidiose, nella selva bassa, in una zona dove il caldo umido è soffocante, con moltissimi insetti, zanzare, tafani, vespe di ogni tipo, molti di più di quelli che trovammo anni prima nella selva alta. E, nella zona delle “piramidi”, c’era una cappa di vegetazione così spessa e difficile da penetrare che quasi non si riusciva ad avanzare. A un certo punto ci trovavamo proprio su una di quelle strane formazioni e ci chiedevamo: dove sono le piramidi?- Siamo rimasti solo pochi giorni nella zona perché a noi, da vicino, ci sembrava ovvio che sì, quelle strane formazioni sono in effetti delle meraviglie, però meraviglie della natura, e non artefatti di esseri umani. Nel 1999 sei tornato nel 70 cammino di pietra, questa volta con un elicottero. In quella spedizione siate arrivati, alle sorgenti del Rio Timpia. Ci puoi descrivere la difficilissima discesa per l’angusto canyon di quel fiume? Quell’anno siamo giunti nella meseta di Pantiacolla con un elicottero, grazie alle risorse del cineasta tedesco Heinz von Metthey. Siamo arrivati presso una zona di Puna (ecosistema tipico degli altopiani andini), dove il terreno era molto dissestato, con vari precipizi. Dopo alcuni giorni, durante i quali esplorammo quella zona dell’altopiano, situata più a sudest rispetto all’area che documentammo nel 1993, Paulino Mamani, suo fratello minore, Ignazio, ed io, ci salutammo con il pilota dell’elicottero, che decollò per tornare al Cusco, e iniziammo la nostra camminata verso nord -est, in direzione delle sorgenti del Rio Timpia. In serata giungemmo al muro di contenzione che avevamo documentato nel 1993. Da quel punto incominciammo a camminare, scendendo lungo un pauroso canyon che aveva una pendenza molto accentuata. In pochi minuti ci siamo ritrovati nel bosco andino, presso le sorgenti del Timpia. Era un canyon veramente angusto e insidioso, e noi ci sentivamo come “in prigione” in quanto era difficile uscirne: continuare la discesa era proibitivo e tornare indietro era ancora più complicato. A un certo punto ci rendemmo conto che sul costone di sinistra si snodava il cammino di pietra, anche se 500 anni di abbandono lo avevano reso quasi impraticabile, poiché si erano accumulate pietre, tronchi d’alberi caduti, in seguito ad innumerevoli terremoti, smottamenti e tempeste. Malgrado tutte queste difficoltà, riuscimmo, saltando di pietra in pietra, a scendere presso il torrente impetuoso e, anche se sembra strano, era più facile avanzare lungo il torrente che lungo il cammino di pietra. Avanzavamo a fatica, molto lentamente, poiché il percorso era scivoloso e insidioso. L’ambiente era umidissimo e la nebbia costante ci impediva di vedere il sole. Alcune volte dovemmo lasciare il torrente perché il passaggio era impossibile e dovemmo tornare verso il camino di pietra. Il percorso scendendo lungo il “canyon del Timpia” durò vari giorni ed era molto pericoloso in quanto al nostro passaggio si producevano continue frane. Nella zona trovammo vari muri di contenzione e altre strutture murarie. Rimanemmo vari giorni in uno stato di costante umidità e penombra riuscendo ad avanzare così poco rispetto ai nostri ritmi abituali, che ci rendemmo conto che per riuscire a scendere verso una zona molto più bassa potevamo metterci settimane intere, se non mesi. Realizzammo che dovevamo tornare indietro, o in caso contrario potevamo rischiare la vita. La salita fu durissima, in quanto dovemmo utilizzare corde per essere sicuri di non cadere nel precipizio. In due giorni giungemmo al bosco andino e finalmente ci ritrovammo nuovamente nell’altopiano. In quello stesso viaggio hai scoperto il lago de Angel, situato in una zona estremamente alta (3950 metri s.l.d.m.), fredda e umida. Ci puoi descrivere i resti archeologici trovati nel corso di questo viaggio? Inoltre mi hai descritto uno strano monolito triangolare che hai trovato in una grotta vicino al lago Angel. Ci puoi raccontare qualcosa di più al rispetto? Credi che sia stato scolpito da esseri umani? Dopo essere giunti nuovamente alle sorgenti del Timpia, abbiamo camminato verso sud e abbiamo incontrato per pura casualità un gruppo di vaqueros (mandriani), che erano saliti dalla valle del Rio Yavero occuparsi della loro mandria di bovini, che permane nelle alture a pascolare. Fin da subito Paulino ha iniziato ad aiutarli, conquistandone subito la fiducia. Abbiamo passato il giorno e la notte seguente con loro, mangiando carne di bovino. A un certo punto uno di quei mandriani ci raccontò qualcosa d’interessante: nella zona a nord-est rispetto a dove eravamo si trovava un lago incantato, dalla forma di un 8, con vari resti archeologici presso le sue sponde. Secondo i mandriani il lago era “sacro” per la Pachamama e chiunque avesse tentato di avvicinarsi avrebbe trovato tempeste, tormente di vento ed altri strani fenomeni metereologici, che ne avrebbero impedito o reso difficilissimo l’accesso. Tutto ciò ci ha ricordato la storia che il Machiguenka “Angel” ci aveva raccontato: alcuni anni fa era scappato, insieme ad altri suoi compagni, da uno stato di quasi schiavitù presso il Rio Yavero, e si era inoltrato nella selva per poi giungere nelle alture. Aveva trovato uno strano lago a forma di 8, dove quasi morì di freddo e fame. Anche se io ero molto debilitato dal difficilissimo percorso appena effettuato, sentii che avremmo dovuto proseguire verso il lago. E così incominciammo il viaggio, avanzando verso nordovest. Ogni giorno vi erano tormente di pioggia mista a neve e durante la notte c’era molto freddo. Alla fine aiutandoci con le mappe, con il GPS e con l’istinto di Paulino, giungemmo a un lago incantato esattamente come lo aveva descritto Angel. Accampammo proprio presso le sponde del lago. Tutta la zona del lago era freddissima, e con grossi insetti simili a pulci. Eravamo 71 costantemente bagnati fradici. Però ne valse la pena in quanto trovammo e documentammo varie piattaforme cerimoniali utilizzate per la adorazione del Sole in epoche remote. In una caverna situata presso il lago trovammo uno strano monolito di piedra, di colore quasi azzurro, triangolare. Non riuscii a spiegarmi la sua origine però quel monolito era reale. Sembrava che il sentiero che percorremmo fino al lago, che battezzammo “Lago de Angel”, seguisse verso nord-nordovest. Dopo aver documentato altre piattaforme cerimoniali e aver preso le coordinate della zona, incominciammo il nostro viaggio di ritorno verso sud, inizialmente verso l’accampamento dei mandriani e infine scendendo verso la valle del Yavero nella zona subtropicale, passando per il sito archeologico denominato “Miraflores”, nella zona del Rio Chunchosmayo. Dopo questo viaggio abbiamo sempre considerato il lago de Angel come un importante punto di partenza per le successive spedizioni. Nel 2006 sei tornato nella selva bassa, però questa volta nel Rio Taperachi. Mi sembra che in quella spedizione non abbiate trovato resti archeologici importanti, ma ho capito che fu un viaggio estremamente difficile. Mi sembra di ricordare che hai detto che il Rio Taperachi è il fiume più difficile del mondo, è vero? Nel Rio Taperachi trovammo degli indizi di alcuni terrazzamenti utilizzati per l’agricoltura, prova che gli Incas volevano stabilirsi nella zona stabilmente. Potemmo giungere in zona d’operazione risalendo il Rio Yoyato, un affluente del Rio Urubamba. Per cui eravamo certi di giungere nella zona situata a ovest rispetto al Lago de Angel. In effetti in quell’area trovammo muri molto rustici e terrazzamenti costruiti a scopo agricolo. Il Taperachi, che è un affluente del Ticumpinea, è un fiume impetuoso. La corrente è fortissima: non c’è nemmeno un metro di acqua calma. Camminammo lungo le sponde, molto insidiose in quanto si scivolava sui massi e si doveva zigzagare tra tronchi caduti e zone fangose. Spesso dovemmo avanzare tra la selva procedendo con il machete, in quanto vi erano punti dove il corso del fiume era talmente stretto e incassato tra alte pareti di roccia che era impossibile camminare presso le sue sponde. Durante questa fase di risalita siamo stati attaccati più volte da sciami di vespe molto aggressive, che apparivano prima delle sei del mattino e ci volavano intorno fino a dopo il tramonto. Anche durante il viaggio di ritorno, dopo aver raggiunto un punto elevato tra il Taperachi e il Ticumpinea, abbiamo avuto molti problemi per la presenza di vipere chiamate in gergo “marionetos”. Inoltre, una notte, la nostra tenda quasi prese fuoco, con noi dentro! Meno male che in generale dormo con un sonno molto leggero, per cui mi resi conto nel dormiveglia che vi era qualcosa di strano fuori dalla tenda. In realtà erano le corde della tenda che avevano preso fuoco. Dopo pochi secondi uscimmo dalla tenda e provammo a spegnere l’incendio come potevamo: Paulino si è scottato le palme delle mani, nel tentativo di spegnere il fuoco! Quando alla fine riuscimmo ad arrivare presso Quebrada Honda, avevo perso circa dieci chili anche se durante la spedizione avevamo comunque potuto disporre di molte calorie. Nella maggioranza delle tue spedizioni sei venuto in contatto con gli indigeni Matsiguenkas. In generale si sa che sono pacifici anche se poco amichevoli e timidi. Cosa ci puoi raccontare sul loro modo di vita? La mia opinione, basata, sulle mie esperienze sul campo, oltre che sui miei studi, è che i Matsiguenkas, in generale, hanno un comportamento molto particolare. La loro psicologia è stata influenzata anche durante l’era dello sfruttamento del caucciù, durante la quale si attuarono abusi terribili contra tutti i popoli nativi della selva. Tutto ciò ha generato un forte sentimento di diffidenza verso il mondo esterno, che li ha portati a isolarsi sempre più, vivendo in luoghi remoti, difficili da raggiungere per i “non nativi”. Per questo mentre in generale i Matsiguenkas sono pacifici tra di loro, sono molto diffidenti con gli sconosciuti fino a quando non li conoscono molto bene. Proprio per questo quando viaggiamo nelle loro terre preferisco portarmi dietro uno di loro, per mostrare agli altri che le nostre intenzioni sono buone, cioè volte allo studio e valorizzazione dei siti archeologici. I Matsiguenkas sono interessati principalmente alle relazioni di amicizia tra di loro e a ciò che gli può essere utile per sopravvivere nelle zone remote e pericolose: utensili e cibo (la manioca è il 90% della loro dieta). Anche se ci sono varie leggende che indicano nei Matsiguenkas i “guardiani del Paititi”, la mia opinione è che, nella realtà, non possono essere interessati a delle antiche rovine, senza nessuna utilità per loro. Sono pacifici fino ad un certo punto, specialmente nelle zone remote dove non arrivano quasi mai coloni peruviani, hanno paura e disgusto per tutti gli estranei che fanno rumore o si dimostrano aggressivi e violenti: la loro reazione contro queste persone sarà quella di allontanarsi o tentare di eliminarla, in un modo o 72 nell’altro. A causa dell’ambiente estremamente difficile nel quale vivono (la selva alta), hanno sviluppato un psicologia del tutto particolare. Se vedono qualcuno in pericolo (per esempio una persona che sta affogando in un fiume), pensano che il problema sia stato originato e causato dalla persona stessa che si trova in pericolo, per qualche ragione a loro sconosciuta. E pensano inoltre che quella persona deve potersi salvare da sola, non potendo contare su alcun altro. Anche se a volte ho sperimentato in prima persona la grazia e la gentilezza delle persone Matsiguenka con le quali ho avuto il privilegio di passare del tempo, vi sono comunque vari aspetti della loro personalità che possono essere molto complicati da capire, non solo per persone come noi, che siamo nati e cresciuti in una realtà completamente diversa, ma anche per un contadino peruviano, che non vive troppo lontano da loro. Per esempio quando stavo quasi affogando nel Rio Palotoa presso i petroglifi di Pusharo nel 1991, il Matsiguenka che ci aveva accompagnato, “Alejandro”, stava ridendo dalla sponda del fiume, senza aiutarmi. Però, nel complesso, posso dire che nei miei viaggi di ritorno dalle spedizioni, ho avuto la possibiltà di passare vario tempo con questa gente e ne ho apprezzato la dignità. Durante i giorni che abbiamo passato insieme al Cusco, ho percepito che l’esplorazione archeologica è molto importante per te. Però, allo stesso tempo, ho avuto l’impressione che la ricerca del Paititi, al contrario di alcuni “avventurieri”, non è un’ossessione per te. Cosa mi puoi dire al rispetto? Per me, l’esplorazione, e nel caso specifico la ricerca di possibili risposte sull’eventuale esistenza, ubicazione e forma del “Paititi” nella selva del Perù, ha molta importanza. Però so anche che il mondo è grande, e che un giorno lo abbandoneremo, e che durante tutti questi anni il tesoro più grande di qualsiasi altro tesoro che si potrà scoprire nella selva, è la mia famiglia, mia moglie e i miei figli, oltre ai miei amici. Ho l’impressione che tu sia giunto a uno stato di serenità interiore. Forse hai già L’ultimo libro di Yuri Leveratto Cronache indigene del Nuovo Mondo Compra il libro su LULU.COM (Disponibile in versione originale o scaricabile) trovato il vero Paititi, mi riferisco alla serenità alla quale tutti noi aspiriamo? Nella realtà la mia vita è piena di preoccupazioni e difficoltà che non avevo mai potuto immaginare. Però, grazie a Dio, ho una buona salute e molta fede. Inoltre ho la fortuna di aver potuto sfidare me stesso in un mondo straordinario, quello delle spedizioni estreme, nelle terre che ancora oggi vengono indicate nelle mappe come DATOS INSUFICIENTES o NO DATA AVAILABLE… 73 Gaetano Barbella, nato a Bolzano nel 1938, residente a Brescia fin dal 1969, si è occupato fino al 2003 di progettazioni di macchine e impianti industriali. Nel 1997, il periodico fiorentino, «Giornale dei Misteri», ha presentato una sua teoria secondo la quale, attraverso singolari cartografie ricavate dalla topografia terrestre, fra centri urbani e località in genere, si perverrebbe alla comprensione di una supposta corrispondente vita e posizione astrale. Pochi mesi dopo è stata la volta del periodico romano, «I Misteri», a trattare lo stesso argomento, mostrando in che modo i supposti riferimenti astrali siano connessi, per esempio, alle scritture bibliche e particolarmente alle profezie di Michel Nostradamus. Dal 1999 si è occupato minuziosamente della piramide di Cheope, pervenendo a sconosciute concezioni geometriche, legate alla nota «sezione aurea» rinascimentale. E della Divina Commedia di Dante Alighieri, delle quartine di Nostradamus, ultimamente si è dedicato allo sviluppo di problemi matematici e particolarmente della geometria, pervenendo ad una visione nuova che sorpassa le vecchie concezioni sulla nota «sezione aurea» legata ai numeri della «successione di Fibonacci». RAFFAELLO SANZIO IPAZIA D’ALESSANDRIA LA SAPIENZA DELLA SCUOLA DI ATENE Introduzione Ipazia d’Alessandria viene ricordata, ancora oggi, come la prima matematica della storia, anzi, fu la sola matematica per più di un millennio: per trovarne altre, da Maria Agnesi a Sophie Germain, bisognerà attendere il Settecento. Ipazia fu anche l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio. Nel celebre affresco di Raffaello, la Scuola di Atene, l’unica figura femminile rappresentata è lei, che è anche l’unica filosofa, oltre all’autoritratto dell’autore, che guarda verso l’osservatore. Se si rammenta che Ipazia fu massacrata da un gruppo di monaci cristiani invasati e che il dipinto è sito 74 Illustrazione 1: Raffaello, Scuola di Atene, part. del volto di Ipazia (Città del Vaticano, Musei Vaticani) in un palazzo del Vaticano, interpretazioni diverse possono darsi di questa peculiarità. Nondimeno non mi è parso di veder circolare sul web o su riviste e libri ipotesi a riguardo. Ma attraverso la geometria composita c’è modo di entrare nel tabernacolo della scienza e filosofia della Scuola di Atene. Una sorta di radiografia a raggi X per scoprire i possibili intenti che animarono l’eccelso Raffaello Sanzio nell’allestire l’affresco. Nulla che meravigli che esso doveva illuminare in qualche modo recondito la Stanza della Segnatura nei Palazzi Vaticani di Città del Vaticano. Giusto la segreteria e biblioteca di Papa Giulio II che commissionò l’opera pittorica a Raffaello, non certo senza la sua approvazione a lavoro inoltrato. E se c’erano intimi segreti, magari alchemici, legati all’opera in questione e cari a Raffaello, Papa Giulio II era in grado di rilevarli e rigettarli. Ma per il fatto che dell’affresco fu approvato la presenza di Ipazia d’Alessandria in Vaticano come altre presenze pagane, tante, poteva andare. Chissà manca oggi il fatto esteriore a riguardo e il recente film Agorà della storia di Ipazia, piuttosto rivoluzionario in contrapposizione a fondamentalismi epocali, potrebbe mettere in pari la cosa. Però sta di fatto che anche la Chiesa di Roma sia vista come fondamentalista, poiché si ventila che ostacoli la visione del film in Italia. In realtà vi sono altre cause che concorrono a questo fine. Dicevo della geometria composita che, in verità, ho già utilizzato per sondare a modo mio diversi dipinti famosi ed anche altre opere, addirittura un monumento e una città, l’Arco di Costantino di Roma e la mappa di Torino. E di Raffaello Sanzio mi è piaciuto occuparmi, appunto con la geometria composita, della pittura Sposalizio della Vergine. Come a dire che si è stabilita un intesa fra me e lui, giusto per approcciarmi ora all’affresco la Scuola di Atene. Così mi sono accinto di buona lena a vederci con la geometria composita nella pittura murale Scuola di Atene e sin da principio si è profilato una luce sul conto di Ipazia che mi ha fatto trasalire. Basta, non aggiungo altro e lascio il piacere della sorpresa al lettore. 75 L’AFFRESCO DELLA SCUOLA DI ATENE Descrizione La Scuola di Atene è un affresco di cm 772 di base realizzato tra il 1509 ed il 1511 dal pittore Raffaello Sanzio. È conservato nella Stanza della Segnatura nei Palazzi Vaticani di Città del Vaticano. L’affresco rappresenta dei celebri filosofi antichi intenti nel dialogare tra loro, all’interno di un immaginario edificio classico. Venne commissionato da papa Giulio II. A sinistra della scena domina la statua di Apollo, mentre a destra quella di Minerva. Sotto sono dipinti due rilievi: una Lotta di ignudi ed un Tritone che rapisce una nereide. Al centro figurano i due principali filosofi dell’antichità, Platone ed Aristotele. Platone, dipinto con le sembianze di Leonardo da Vinci, regge in mano la sua opera Timeo ed indica il cielo con un dito (indicando l'’iperuranio, zona d’essere oltre il cielo dove risiedono le idee), mentre Aristotele regge l’Etica e rivolge il palmo della mano verso terra rivolgendosi al mondo terreno e alla volontà dell’uomo di studiare il mondo della natura e di essere in contatto con essa. Attorno a loro ed ad altri filosofi e matematici sono raccolti in gruppi i loro seguaci. All’estrema sinistra c’è Epicuro, alle cui spalle è presente Federico Gonzaga fanciullo. Al centro, in primo piano, c’è Eraclito con le sembianze di Michelangelo che appoggia il gomito su un grande blocco, mentre all’estrema destra troviamo Euclide, con i tratti del Bramante, che disegna a terra. Unica donna della scena, sulla sinistra, è la matematica d’Alessandria Ipazia, che sembra anche essere l’unico personaggio con cui l’osservatore possa entrare in comunicazione: nessun altro infatti volge lo sguardo verso di lui. Se si rammenta che Ipazia fu massacrata da un gruppo di monaci cristiani invasati e che il dipinto è sito in un palazzo del Vaticano, interpretazioni diverse possono darsi di questa peculiarità. Infine, i due giovani che si trovano all’estrema destra, in vesti contemporanee all’epoca della creazione dell’affresco, sono degli autoritratti di Raffaello stesso con l’amico e collega Sodoma. Gli studiosi pensano che il ritratto di Eraclito sia stato aggiunto in seguito, ad opera compiuta. Infatti nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano è conservato il cartone finale disegnato di proprio pugno da Raffaello, dove non compare la figura di Eraclito. Probabilmente l’autore, dopo aver visto il lavoro che Michelangelo aveva compiuto per la Cappella Sistina (una cui parte viene mostrata il 14 agosto 1511), si è sentito in dovere di aggiungere il ritratto del suo rivale nel suo affresco, dandogli le sembianze del filosofo greco. Tema e caratteristiche Il tema di questo dipinto è la facoltà dell’anima di conoscere il vero, e cioè di approcciarsi alla scienza ed alla filosofia; il dipinto è in contrapposizione a quello de La disputa del Sacramento, dove invece si parla di fede e teologia. In un primo momento, dall’affresco può trasparire confusione: un gran numero di filosofi sono raffigurati essenzialmente su due soli piani. Oltre ai già citati, tra gli altri s’incontrano Pitagora, intento a scrivere su di un libro; Socrate in una veste dal colore verde bottiglia, che sembra incitare al dialogo il piccolo gruppo di persone che gli sta davanti; Diogene, steso sulla scalinata quasi in simmetria con Eraclito. Il motivo personaggistico dell’opera è identico a quello della Disputa: la presenza di così tanti filosofi di varie epoche a significare il desiderio e lo sforzo per arrivare al vero, già comune a tutta la filosofia antica. Il punto di fuga sta tra le figure dei due grandi, Aristotele e Platone, quasi a volere indicare che il vero abbia caratteristiche già intuite da questi due filosofi, i cui pensieri furono di indubbia importanza per lo sviluppo del pensiero occidentale. Curiosità: • Di recente si è scoperto che il ritratto di Raffaello, era in realtà il ritratto giovanile di Giulio II. • Il ritratto di Pitagora rappresenta come Raffaello immaginava il successore di Giulio II. 76 Illustrazione 2: Raffaello, Scuola di Atene, (Città del Vaticano, Musei Vaticani) • Il particolare dell’affresco raffigurante Euclide (secondo alcuni studiosi Archimede) è stato scelto nel 1906 in occasione della commemorazione dell’ing. Giuseppe Colombo come emblema del Politecnico di Milano e da allora ne costituisce il logo. • Alla destra appare anche lo “scrivano” che comparirà sulle copertine degli album Use Your Illusion I e II dei Guns N’ Roses del 1991 (http://it.wikipedia.org/wiki/ Scuola_di_Atene) IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI FILOSOFI I° LIVELLO (dal centro dell’affresco verso l’estremità sinistra: gruppo dei “teorici”): ERACLITO (550 ca480 ca a.C.): in posizione centrale ed isolata. PARMENIDE (sec. V° a.C.): si erge dietro Eraclito. PITAGORA (570490 ca a.C.): seduto, con un libro, un calamaio e un pennino, raffigurato nell’atto di annotare, probabilmente, le proprie impressioni riguardo alla figura rappresentata sulla lavagna nera che gli è accanto. Si tratta di un diagramma che mostra sia i rapporti musicali (diatessaron, diapente, diapason), sia la cosiddetta deka, cioè l’insieme dei numeri su cui doveva basarsi l’armonia dell’universo. EPICURO (341271/270 a.C.): incoronato dai pampini, in atto di annotare un libro, appoggiato ad un capitello (la figura potrebbe rappresentare, però, anche Bacco abbracciato da Orfeo, la figura dormiente dietro di lui). ZENONE di Elea (sec. V° a.C.): rappresentato, all’estrema sinistra, da un vecchio e un bambino, che simboleggiano l’origine orale della filosofia, legata a racconti mitologici e ai misteri di Orfeo e Bacco (fratello di Apollo). I° LIVELLO (dal centro dell’affresco, verso l’estremità destra: gruppo degli “empirici”): EUCLIDE (sec. IV° a.C.) (o ARCHIMEDE 287212 a.C.): figura china a terra, nell’atto di proporre una dimostrazione con il 77 compasso, mentre i quattro giovani che lo circondano dimostrano interesse e coinvolgimento. TOLOMEO CLAUDIO (sec. II° d.C.): figura incoronata, vestita in giallo e verde, reggente il globo terrestre (la geografia). ZOROASTRO (tra il 1000 e il 600 a.C.): figura barbuta, di fronte a Tolomeo, reggente la sfera celeste (l’astronomia); Orfeo (sul lato sinistro) e Zoroastro (sul lato destro), rappresentavano, nel Rinascimento, l’“antica teologia”, le due basi della filosofia. II° LIVELLO (in posizione centrale): DIOGENE di Sinope (410 ca323 a.C.): (gruppo degli empirici) sdraiato con malagrazia sui gradini, guarda con sospetto dei fogli, presumibilmente i dialoghi platonici giovanili, in cui campeggia la figura di Socrate, di cui Diogene si faceva beffa. Al suo fianco, una ciotola, l’unica cosa che egli possedesse. II° LIVELLO (dal centro dell’affresco verso l’estremità sinistra): PLATONE (428/427348/347 a.C.): figura anziana barbuta, vestita di marrone e arancio, indica, con la mano destra, la strada che, secondo la sua filosofia, portava al Vero: il cielo, cioè il mondo intelligibile, non empirico. Con l’altra mano regge una delle sue opere, il Timeo, in cui aveva tentato una spiegazione dell’origine del mondo. Nell’affresco la sua testa e quella di Aristotele, sono fra le più piccole raffigurate, ma sono pure le uniche ad avere il cielo come sfondo. SOCRATE (470/469399 a.C.): collocato a sinistra di Platone, di cui fu il maestro, vestito da una mesta tunica e voltato di spalle rispetto alle figure centrali di Platone e Aristotele; lo si riconosce per le fattezze (per le quali Raffaello poté adoperare come modello una testa antica) e per i gesti: egli, infatti, è ritratto nell’atto del dialogare, processo caratteristico della sua filosofia. Fra i discepoli v’è Antistene, il poeta Agatone (per altri Senofonte) e un giovane soldato, probabilmente l’amico Alcibiade. Sembra che un altro discepolo faccia segno di allontanarsi a un bibliotecario che ha accolto uno schiavo muscoloso carico di testi, non funzionali al metodo socratico. Socrate appare ritratto, non casualmente, sotto la statua di Apollo, dio del Sole e dell’armonia, oltre che delle arti, di cui era seguace e da cui era stato proclamato, secondo la leggenda, il più saggio degli uomini. II° LIVELLO (dal centro dell’affresco verso l’estremità destra): ARISTOTELE (384322 a.C.): figura barbuta, vestita di azzurro, che campeggia nella scena insieme a quella di Platone. Aristotele distende una mano verso il basso, per indicare che la Verità si trova nell’indagine del mondo empirico, naturale; con l’altra mano regge la sua Etica, che espone le esigenze morali dell’uomo, tendenzialmente rivolte ad un valore superiore a quello della natura. Tutt’intorno, a gruppi, si raccolgono scienziati e filosofi assorti nella conversazione o, comunque, in attività speculative. III° LIVELLO: Statua di Apollo (sulla sinistra): dio delle arti, del Sole e dell’armonia. Statua di Minerva (sulla destra): dea dell’intelligenza. (http://archive.sfi.it/cf/cf10/ articoli/sgarbi.htm) >>> 78 Illustrazione 3: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 1 GEOMETRIA COMPOSITA DELL’AFFRESCO SCUOLA DI ATENE Tavola 1: illustr. 3 Si inizia identificando i punti chiave che servono per disporre gli assi verticali che a loro volta porteranno a tracciare gli assi orizzontali di appartenenza al primo e secondo livello del dipinto, come elencati nel brano precedente. Il terzo livello sarà individuato verso la conclusione. Si procede dunque per gli assi orizzontali: 1. si tracciano gli assi verticali: EE’ passante per l’asse del piedistallo a sinistra segnato dal punto Q e dove è poggiato Epicuro. CC’ passante per H riferito al Ipazia d’Alessandria. DD’ passante per P del blocco di pietra squadrata su cui è poggiato Eraclito col gomito. FF’ passante per R il centro della sfera in mano a Zoroastro. II’ passante per S riferito al volto di Raffaello Sanzio. 2. Si tracciano gli assi orizzontali: AA’ passante per Q’ il centro del piatto in mano a Epicuro ed R, il centro della sfera di Zoroastro. Questo asse va considerato quale secondo livello dei filosofi. Esso pone in evidenza particolarmente, a sinistra il volto di Ipazia d’Alessandria e a destra sull’estremità il volto di Raffaello Sanzio. Ma vedremo in seguito che questo asse sarà di fondamentale utilità per sviluppare la geometria composita e porre in luce le reali funzioni dei due suddetti personaggi. BB’ passante per la sommità del piedistallo il cui centro è in Q. P’ di questa linea è il centro dell’arco LL’ che si disegnerà in via provvisoria ricalcando la volta. Successivamente sarà individuato un suo punto che la convaliderà. Questo per dire che il soppalco architettonico del palazzo della Scuola di Atene è stato preordinato secondo le regole 79 di una geometria avvolgente che armonizza ogni cosa. Nulla è a caso o per capriccio. CC’ passante lo spigolo P della pietra squadrata. Quest’altro asse è invece corrispondente al primo livello dei filosofi. Si individua così il punto P’ sull’asse verticale DD’. Questo punto è il centro dell’arco LL’ tracciato in precedenza in via provvisoria. Tavola 2: illustr. 4 Entriamo ora nel vivo della geometria composita dell’urbinate perché vediamo all’opera lo strumento operativo consueto di molte opere rinascimentali, il ricorso alla sezione aurea. Questa si sviluppa attraverso il giusto segmento, da cui si ricaverò il rapporto aureo, a mo’ di trave ideale che poggia sui pilastri GG’ e II’ corrispondenti alle figure di Ipazia d’Alessandria e Raffaello Sanzio. Conosciamo la classica procedura e naturalmente ne ometto la descrizione che si evince guardando l’illustr. 4. Risulterà così l’individuazione del segmento HT che dà il valore del rapporto aureo che è uguale a 0,618.... Ma poi mi Illustrazione 4: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 2 sono chiesto cosa in realtà segnala di bello il punto T a ragione della sezione aurea? Forse tracciando la verticale passante per T vediamo che l’asse che ne deriva passa per quel personaggio con la tunica color viola, ma non mi convince. Salvo a stimare interessante il punto S’ sulla direttrice HH’ che corrisponde alla sommità del capo dell’altro personaggio con la tunica bianca e voltato di spalle e che sale quei 4 gradini. Per ora ci penso e poi magari si vedrà. Oppure, vediamo, disegnando la normale all’ipotenusa HI’’ verso il basso, nel punto S’, sembra indicare il giovane allievo di Euclide inginocchiato. Sarà lui il designato dall’auricità o forse ancora questi ma con la mente del tale con i capelli biondi e tunica bianca di 80 Illustrazione 5: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 3 prima? Comunque la cosa potrebbe rispondere a questa domanda: se il progetto della “Scuola di Atene” (quale significato recondito) è nella mani dei due, Ipazia e Raffaello rivolti al futuro ispirarli, come di un mandato, chi si occuperà appunto nel futuro di attuarlo? Intanto ci cominciano a confermare due volte del palazzo (diciamo) in progettazione nella mente di Raffaello Sanzio. Abbiamo visto che egli si ispira a Ipazia d’Alessandria come consulente architetto. Per prima cosa il triangolo rettangolo della sezione aurea, impostato su H ed S, attraverso il terzo punto I’’ coincide nel punto I’’ con l’arco a tutto sesto LL’. Dunque come dire OK per l’arco LL’. Per seconda cosa ci accorgiamo che l’asse NN’ della mezzeria del segmento GI individua nel punto N’’ l’impostare della volta successiva alla prima testè considerata. Ma questo non basta per confermarla non avendo al momento altri elementi per capire a che altezza si trova N’’. Vedremo fra poco. Tavola 3: illustr. 5 È noto tra l’altro il triangolo HSI’’ della sezione aurea, dunque tutti gli altri possibili triangoli a questo simili, sono altrettanto aurei. Perciò per la presente fase in elaborazione tracciamo una parallela alla ipotenusa HI’’ del suddetto triangolo aureo, e partendo dal punto Q’, corrispondente all’asse del piatto di Epicuro a sinistra, ci si congiunge nel punto 0 all’asse DD’ che divide in due parti simmetriche il palazzo della Scuola di Atene. Ecco la conferma che si aspettava per individuare esattamente la volta appena sfiorata nel punto N’’ in precedenza. Ed ora di corsa per il penultimo atto progettuale dell’eccelsa opera di Raffaello Sanzio, ma è assodato già che la regista dell’opera è Ipazia d’Alessandria. E Raffaello Sanzio? Se Ipazia è la regista, ovviamente dietro le quinte, contrariamente al fatto che appare sulla scena in modo evidente, mentre Raffaello appena, appena, Raffaello a ragione del fatto scenico può essere l’attore principale che aspetta di entrare in scena e così nel frattempo sbircia da dietro il sipario. 81 Tavola 4: illustr. 6 Abbiamo stabilito (Raffaello e Ipazia naturalmente, non io in veste di cronista) come eseguire le due volte, rispettivamente di centro P’ e O, e così procediamo per le volte a tutto sesto successive che sono due. Il triangolo rettangolo aureo è la geometria matrice per arrivare a tanto. In precedenza abbiamo eseguito la tracciatura del triangolo Q’P’’O, perciò prolunghiamo l’ipotenusa Q’O fino a intersecare, nel punto R’’, l’asse verticale FF’ passante per l’asse della sfera in mano a Zoroastro. Di qui procediamo a rintracciare sul segmento Q’R la parte aurea. Conosciamo tutti come fare quindi saltiamo al risultato che è l’aver individuato il segmento aureo Q’U. Ora non facciamo altro che ribaltare U da lato opposto del punto P’’ con un arco di cerchio ed abbiamo il punto U’. Proiettiamolo in alto verticalmente fino a intersecare, nel punto O’, l’ipotenusa Q’O o Q’R’. Si vede subito il risultato che è quello di aver dimensionato la terza volta che dapprima era come poggiata sull’asse AA’ e poi è stata sollevata. Interessante approccio a dei ragionamenti, non sembra? Quasi ad immaginare la costruzione a terra della centina della volta e poi sollevata al piano di esecuzione. Ma intanto vediamo cosa ci riserba la conclusione della geometria composita della Scuola di Atene. Illustrazione 6: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 4 82 Illustrazione 7: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 5 Tavola 5: illustr. 7 E finalmente ci apprestiamo all’atto scenico finale che è tutto di Ipazia d’Alessandria in modo assoluto. È lei, come farò vedere, che insieme a Raffaello Sanzio un po’ “discosto”, compaiono sulla scena della Scuola di Atene per far calare il sipario in modo da conciliare i due filosofi del secondo livello, Platone e Aristotele, ma anche quelli del terzo livello, Apollo e Minerva statuarie, come dire del Sole e la Luna. Poche e scarne parole a commento ma è la geometria a farlo compiutamente, poiché l’autore del dipinto in osservazione, Raffaello, non ha lasciato ai posteri dei libri, bensì opere pittoriche favolose, nonché edifici architettonici. L’illustr. 7 non avrebbe bisogno di una guida per essere chiarita, ma lo farò di buon grado. Puntando il compasso nel punto P, che è lo spigolo del blocco squadrato su cui è poggiato col gomito Eraclito (Michelangelo Buonarroti), si traccia un arco di cerchio con raggio PH fino a intersecare in H’’ l’asse verticale DD’. È il centro dell’ultima volta che si vede in lontananza. Si poteva sapere sin da principio ma è bello vederlo fatto ora perché la conclusione scenica lo suggerisce. Ma se questo centro è esclusiva opera di Ipazia d’Alessandria, per conoscere il raggio della volta occorre avvalersi di Raffaello Sanzio fedele all’armonia del creato attraverso il rituale ricorso alla Divina Proporzione, la Sezione Aurea. Di qui, facendo capo al triangolo rettangolo aureo HSI’’, che conosciamo, tracciamo la parallela all’ipotenusa HI’’ fino a intersecare nel punto Z l’asse orizzontale passante per il centro H’’. Abbiamo così definito la geometria dell’ultima volta, quella del cielo dei due filosofi, Platone e Aristotele. Occorreva fare le due procedure appena dette contemporaneamente. Si tratta del tema di questo dipinto, la facoltà dell’anima di conoscere il vero, e cioè di approcciarsi alla scienza ed alla filosofia. La verità non può essere palese attraverso un punto senza sapere della sua esplicazione, ossia il campo sferico che vi riguarda. Nota di rilievo su questa fase, che come ho 83 fatto notare si poteva fare dal principio, almeno in parte, è che essa è in armonia con la collocazione del ritratto di Eraclito aggiunto nel finale dell’opera. Questa cosa è stata menzionata all’inizio in relazione alla descrizione dell’affresco in osservazione. Notare che è proprio nel blocco squadrato, su cui poggia il gomito EraclitoMichelangelo, la possibile spiegazione della compiutezza dell’opera di Raffaello. Dal lato exoterico, consone all’ortodossia cristiana, rappresenta la “pietra scartata dai costruttori” («La pietra scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo» Gv 10,1118) e dal lato esoterico (alchemico), la «Pietra Filosofale». Dunque una pietra speciale che non poteva essere concepita che alla fine dell’opera. A questo punto sorge la domanda principe (beh! diciamo principessa...) su Ipazia d’Alessandria della quale sembra aver capito che è la regista dell’opera scenica allestita da Raffaello Sanzio che si fa interprete quale primo attore. E poi tutto è stato collimato del palazzo della Scuola di Atene, eccetto le due statue di Apollo e Minerva che in qualche modo dovrebbero entrare in relazione con i due, Ipazia e Raffaello. Esporrò la risposta nel prossimo brano che è l’ultimo. Tavola 6: illustr. 8 L’illustr. 8, come si vede è la stessa della precedente n° 7, ma con delle differenze aggiuntive che fanno già capire la risposta da dare alle due domande del brano precedente. Ipazia che rappresenta di preciso per Raffaello e qual’è la relazione geometrica con le due statue di Apollo e Minerva. È presto spiegato se si guarda l’illustr. 8, il disegno è così eloquente che si può stare zitti. Ma parliamone lo stesso. Prima cosa tracciamo gli assi verticali che passano per la mezzeria delle statue di apollo e Minerva, nell’ordine K’K’’ e XX’. Riscontriamo subito che l’ipotenusa del triangolo rettangolo HSI’’, che sappiamo aureo, interseca in X’’ l’asse verticale XX’. In particolare questo punto riguarda la base della nicchia di Minerva e la Illustrazione 8: Scuola di Atene. Geometria composita. Tavola 6 84 parte alta del dipinto di Tritone che rapisce una Nereide. E questo ci può dire ciò che volevamo sapere sul conto di Ipazia, cosa che non stupisce poiché Minerva è la dea della sapienza intesa come intelligenza e conoscenza. Più particolarmente mi viene da pensare ad un rapimento in stretta relazione con Minerva. Una immaginaria violenza che la lega al suo martirio. Ma proseguiamo per identificare la geometria delle nicchie di Apollo e Minerva. Si traccia l’asse orizzontale YY’ passante per I’’, vertice del triangolo aureo HSI’’. Quest’asse interseca l’arco LL’ nel punto Y’’ che poi uniamo con il punto P’’ dell’asse centrale DD’. Il segmento Y’’P’’ che così si configura è in posizione simmetrica rispetto all’ipotenusa P’’I’’ del triangolo aureo anzidetto. Successivamente tracciamo la parallela a questo segmento partendo dal punto S’ dell’asse verticale II’ fino a intersecare, nel punto J, l’asse verticale K’K’’ disegnato in precedenza. Questo punto J rimarca la sommità della nicchia di Apollo ed è ciò che ci mancava di sapere. Il resto geometrico vede con l’asse orizzontale JJ’ che la sommità dell’altra nicchia, quella di Minerva, che è nel punto J’’’, è allineata a quella di Apollo. La nicchia di Apollo però è meno alta dell’altra. Per significare che Raffaello si intravede in Apollo, ma Minerva di Ipazia, pur risultando allineata ad Apollo è tale da stimarsi più prossimo all’uomo. Dunque due realtà metafisiche una celeste, quella di Apollo quale ideale da raggiungere in fatto di concezioni della scienza e della filosofia, e l’altra terrena, quella di Minerva che informa il pensiero razionale. 85 ABDUCTIONS: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE IN ITALIA Gli inizi Luciano Scognamiglio lucianoscognamiglio85@gma il.com è un tecnico informatico e un ricercatore nei campi della Coscienza, della metafisica e dell'universo olografico. Si occupa anche di analisi e risoluzione dei fenomeni di interferenza aliena mediante l'uso dell'ipnosi e delle simulazioni mentali. http://conoscitestesso.selfip.n et/ La storia italiana delle abduction ebbe inizio a Genova nel 1993 quando Corrado Malanga, allora Responsabile del Comitato Tecnico Scientifico del Centro Ufologico Nazionale (CUN), si imbatté nel caso di Valerio Lonzi. Prima di allora ci fu un solo precedente: quello di Pierluigi Zanfretta del 1978, affrontato con l'ipnosi regressiva dal dottor Mauro Moretti, psicoterapeuta, che però non ottenne risultati realmente utili. Oggi questi sono ormai due casi famosi, ma fino ad allora non si era mai parlato di rapimenti alieni in Italia: questo causò grosse difficoltà nelle indagini, perché non si sapeva assolutamente come procedere con le analisi. Malanga, in collaborazione con Moretti, fece allora tesoro dei risultati ottenuti precedentemente dagli statunitensi Budd Hopkins, David Michael Jacobs e John Edward Mack, per poi investigare, con l'aiuto della Programmazione NeuroLinguistica (PNL) come miglioramento dell'ipnosi classica, quello che poteva spiegare la vicenda di Zanfretta, e che sembrava essere a tutti gli effetti un caso analogo a quelli già noti negli Stati Uniti d'America e studiati dai suddetti ricercatori. In quel periodo non esisteva alcun libro serio sull'argomento che fosse tradotto in italiano, eppure l'esperienza di Lonzi conteneva quegli stessi elementi comuni a quelli scoperti negli USA. Malanga pubblicò quindi un libro che documentava tutte le informazioni del suo primo caso, dal titolo “Gli UFO nella mente”, il quale negli anni successivi attirò molti altri addotti italiani che presentavano sempre le stesse caratteristiche, svelando una natura oggettiva del fenomeno che sostituì in 86 breve tempo le ipotesi di disturbi mentali soggettivi. Man mano che i casi aumentavano, venivano raccolte sempre più informazioni che si rivelavano sconcertanti: questo portò Malanga ad abbandonare il CUN per poter continuare la ricerca senza i limiti che gli impose tale organizzazione. Bastò poco per capire che i rapimenti alieni in Italia non stavano iniziando tutti proprio in quel periodo, ma semplicemente venivano scoperti da quel momento in poi perché qualcosa scattava nella mente di queste persone: Lonzi non era quindi il primo addotto italiano, ma solo il primo che si rese conto di aver vissuto qualcosa di molto strano. L'acquisizione di coscienza Non potendo percepire ciò che non concepiamo e che non sappiamo tradurre con l'esperienza del nostro vissuto, è normale non renderci conto di alcuni particolari del mondo che ci circonda, anche di quelli apparentemente più evidenti. Il primo passo per poter capire cosa stava succedendo a queste persone che dichiaravano di aver vissuto esperienze simili a quelle di Lonzi, era far capire innanzitutto a loro che i rapimenti alieni sono una realtà, per poterli poi riconoscere nella loro vita: sarebbero stati quindi gli addotti stessi a farsi vivi per poter scoprire le parti oscure del proprio passato, stabilire di non essere pazzi, fornire informazioni utili a trattare meglio tutti gli altri casi, e anche risolvere questo loro problema. Infatti, l'acquisizione di coscienza permette di avviare un procedimento in tre fasi: conoscere, accettare, migliorare. Questo procedimento si può applicare a qualsiasi cosa, come in questo caso al problema delle interferenze aliene: prima si conosce il fenomeno, poi lo si accetta come reale ed eventualmente presente dentro di sé, e infine lo si può trattare per raggiungere una migliore condizione. Il primo libro, di cui furono vendute 35000 copie (oggi fuori stampa ma consultabile gratuitamente dal sito Ufomachine.org per volere dell'autore), fu dunque usato da Malanga come esca, per mettere la pulce nell'orecchio degli italiani, e aspettare che fossero loro a contattarlo. Funzionò: gli addotti che si presentavano divennero presto centinaia, e lo scenario che si andava via via delineando assumeva connotazioni spaventose ma sempre più precise. Questo permise la creazione di uno strumento in grado di stabilire velocemente se una persona era all'interno di questo problema, oppure no. Il Test di Auto-Valutazione Data la crescente affluenza di presunti addotti che contattavano Malanga, venne messo a punto il Test di AutoValutazione (TAV), che era in grado di far capire, con diverse decine di domande, se chi lo compilava poteva essere addotto o meno. Man mano che i casi aumentavano, e che nuovi dettagli trovavano riscontro con le altre esperienze al punto da poter essere considerati coerenti con lo studio delle interferenze aliene, venivano modificate alcune domande e ne venivano aggiunte altre, ottenendo così uno strumento in costante miglioramento che oggi è giunto alla versione 4.01 scaricabile o compilabile liberamente dal sito Ufomachine.org. L'attuale TAV è composto da 60 domande che hanno precisi motivi di essere poste: alcune delle risposte a queste domande sono determinanti, altre sono solo di controllo. Grazie alle molte migliaia di TAV compilati, Valerio Lonzi attualmente i due siti sopra citati ospitano la più grande banca dati al mondo sulle interferenze aliene, cosa che permetterà molto presto di fare un'accurata e nuova statistica per ridurre drasticamente il numero di domande, conservando solo quelle poche essenziali. Il TAV è l'evoluzione di un primo rudimentale test creato da Hopkins e Jacobs, che era utile ma non molto efficace, perché le informazioni erano ancora poche e si limitavano alle caratteristiche più palesi dei rapimenti alieni. Gli addotti, invece, portano con sé determinati segni fisici e psichici di tali esperienze, e ad oggi il TAV è l'unico test che abbia dato dei falsi positivi ma nemmeno un falso negativo, come i controlli successivi hanno potuto confermare. La valutazione del TAV avviene in due fasi: quella autonoma, come suggerisce il suo nome, e quella esterna. Nella prima fase, chi fornisce le risposte cercandole internamente fa riaffiorare automaticamente dal suo inconscio le eventuali esperienze dimenticate, proprio per via del modo strategico in cui sono formulate e disposte le domande, e quindi si autovaluta, riconoscendosi addotto; nella seconda fase, le risposte vengono valutate dall'esperto 87 che riceve il TAV (Malanga stesso o un suo collaboratore) e che fornisce una risposta diretta, con altre eventuali domande di approfondimento. E quando il TAV risulta positivo? Il recupero dei ricordi Milton Hyland Erickson, codificando l'ipnosi moderna, si rese conto che c'era ancora un 20% di persone che non riusciva ad ipnotizzare. La PNL oggi offre gli strumenti che possono rendere chiunque in grado di stabilire una comunicazione efficace con un soggetto al fine da aiutarlo a recuperare i ricordi apparentemente rimossi: infatti, come dimostrano gli studi del neurofisiologo Karl Pribram e quelli del fisico David Bohm, nessuna esperienza vissuta può essere cancellata in quanto non risiede nel cervello, ma nell'universo olografico stesso, e l'atto del ricordare è in realtà una percezione. Malanga ha così messo a punto un efficacissimo metodo di recupero dei ricordi, non accomunabile alla classica ipnosi regressiva, che si avvale anche delle attuali conoscenze sulle interferenze aliene per oltrepassare qualsiasi ostacolo e recuperare completamente le scene dei rapimenti senza alcuna possibilità di errore o distorsione di ciò che il soggetto rivive. Con questa tecnica il soggetto non è incosciente, ma anzi è cosciente e può muoversi, cosa che gli permette di esprimersi al meglio anche grazie al linguaggio non verbale, quello del corpo, che rappresenta un grosso vantaggio dato che l'operatore deve controllare costantemente la situazione. La coscienza del soggetto, infatti, grazie a questo metodo non è assolutamente diminuita o alterata, ma è anzi espansa: la sua attenzione, la sua consapevolezza, si dirige verso il momento spazio- temporale desiderato, e lo rivive come se stesse accadendo in quel momento. Questo metodo rivoluzionario permette non solo di essere applicato anche al di fuori della problematica in questione, ma di essere inoltre eseguito, in parte, su se stessi e senza bisogno di un operatore esterno, inducendo così uno stato di autoipnosi facilmente controllabile e del tutto sicuro. Il recupero dei ricordi eseguito con questa metodologia è stato ribattezzato da Malanga “tecnica delle àncore” per via dell'uso massiccio dei concetti della PNL e degli input sensoriali ricorrenti nei rapimenti alieni. A questo punto, restava solo da stabilire se una cosa del genere si poteva fare. dubbio, basta fare una considerazione sulla preparazione degli esperti neuro -linguisti confrontata a quella dei professionisti tradizionalmente riconosciuti nel campo dell'ipnosi, ovvero psichiatri, psicologi e psicoanalisti: queste tre categorie di esperti non sanno nulla di cos'è e di come realmente funziona l'ipnosi, e considerando che la tecnica proposta da Malanga non è assolutamente un'ipnosi medica, chiunque abbia conoscenze avanzate di PNL è in grado di esercitare il recupero dei ricordi, effettivamente e legalmente, di certo con maggiore efficacia. Posso farlo anch'io? Attualmente, è stimato che l'1% della popolazione mondiale subisce rapimenti alieni dalla nascita, fenomeno che si trasmette geneticamente ai familiari per discendenza di sangue. Il modo migliore per capire se si è in questo problema è eseguire il TAV, e in caso di valutazione positiva contattare Corrado Malanga o un suo collaboratore ufficiale, per procedere con una sessione di recupero dei ricordi, assolutamente libera, gratuita e privata, a seguito della quale si può decidere se e come liberarsi dalle interferenze aliene, con l'aiuto di un operatore del campo o anche autonomamente. Oggi, infatti, abbiamo i mezzi che ci consentono di sottrarre definitivamente gli addotti a queste esperienze traumatiche, e arrivati a questo punto ci conviene andare avanti, senza fermarci né ignorare tutto. Perché? Rispondo con le parole del premio Nobel russo Ilya Romanovic Prigozin: perché l'acquisizione di coscienza è un fenomeno irreversibile. Malanga, grazie agli studi approfonditi che fece sulla fisica quantistica con l'aiuto degli ingegneri Alfredo Magenta e Luciano Perderzoli, alla sua esperienza diretta della casistica dei rapimenti alieni, al suo lavoro su Lonzi con Moretti per due anni e mezzo, e alla sua successiva formazione nella PNL, si rese conto non solo di essere in grado di poter eseguire l'ipnosi di recupero ricordi con molta facilità, ma anche di aver avuto successo laddove lo stesso professionista Moretti aveva fallito. Se un dottore in chimica, grazie anche alla sua predisposizione e al suo precoce interesse per la materia, che risale a quand'era quindicenne, è riuscito in qualcosa di lontano dalla sua formazione universitaria, viene spontaneo chiedersi se effettivamente l'ipnosi sia così pericolosa e difficile come molti credono e altrettanti vogliono far credere, diffidando apertamente di lui e di chiunque faccia la stessa cosa. Per togliere ogni ombra di Cosa si può fare 88 Prima manifestazione ‘nazionale di piazza’ CONTRO LE SCIE CHIMICHE A ROMA Andrea della Ventura [email protected] è un ricercatore indipendente che si occupa di controcultura, entità misteriose, esopolitica e ufologia. Pubblica regolarmente su riviste specializzate e in rete gestisce il gruppo Facebook Nuove Frontiere della Conoscenza. Sabato 20 novembre ore 14:00, in Piazza Santi Apostoli a Roma, il "Comitato nazionale orientamento sulle scie chimiche" ha organizzato una manifestazione contro le chemtrails e H.A.A.R.P. favorito l'afflusso alla manifestazione che tuttavia ha avuto l'affluenza visibile nelle foto allegate; molti sono arrivati più tardi, fino quasi alla chiusura dell'evento alle ore 18. Un sentito ringraziamento ad Ivana Mannino, Presidente del Comitato e fondatrice di SCIE CHIMICHE...HAARP in facebook, per essersi adoperata nell'organizzazione dell'iniziativa; è stata lei infatti ad averla proposta e ad aver ottenuto l’autorizzazione dalla Questura di Roma. Organizzatrice dell’iniziativa La pioggia, insistente fino alle ore 15.30, non ha certo Ho avuto modo d’incontrare personalmente Ivana dopo esserci sentiti per diverso tempo via e-mail; ero curioso in particolare di conoscere qualche sua impressione e di sapere come fosse nata l’idea di organizzare una 89 manifestazione per dire ‘No alle SCIE CHIMICHE’. Queste le sue parole: “Mi sono avvicinata a questo fenomeno non come molti credono trasportata da opinioni altrui, ma per un fatto prettamente individuale; sono stata sempre una fan di tutto ciò che è natura e naturale... Una sera tarda d'estate, tornando a casa mentre chiudevo la macchina, ho sentito un rombare sulla mia testa; d'istinto ho alzato lo sguardo stupita... bhe! Sotto il pallido chiarore della luna piena mi si è presentato uno spettacolo che da allora in poi è diventato il motivo della mia lotta; il cielo era completamente ricoperto da delle scie compatte, ad una distanza l'una dall'altra quasi le avessero misurate con una squadra. Mi sono seduta su un muretto e da lì a due ore ho contato 3 aerei (sembravano aerei civili); grazie alle luci di posizione sono riuscita a vedere che, arrivati ad un certo punto in fondo alla vallata, viravano e tornavano indietro sempre volando troppo bassi. Alla fine ho contato 43 scie... Incredibile! Il giorno dopo mi sono assicurata se ci fosse stata qualche esercitazione... Niente! Ho cominciato ad indagare... andata su internet.. e ho scoperto un mondo a me sconosciuto... Mi sono documentata, ho fatto delle ricerche approfondite; il fenomeno è da tempo che esiste... Ho aperto un profilo su Facebook; poi ho fondato il gruppo SCIE CHIMICHE...HAARP. Ho cercato di sensibilizzare la gente con volantini informativi... internet è grandioso ma dopo tante 90 parole bisognava alzarsi e concretizzare la lotta oltre i convegni, con il volantinaggio; ecco il motivo che mi ha portato a promuovere la manifestazione del 20 novembre a Roma. Questo per me è solo l'inizio....” Attivismo contro le “chemtrails” Gli attivisti che si adoperano contro le operazioni comunemente conosciute come ‘scie chimiche’ sono di varia estrazione. Provengono da zone diverse del paese, soprattutto dagli estremi di esso: coste e zone montuose. Evidentemente da queste parti dello stivale le attività di irrorazione risultano esser più visibili; molti di loro, ma non tutti, associano il fenomeno ‘scie’ con le emissioni di radio onde del progetto HAARP (di cui ho parlato anche in un precedente articolo dal titolo “Nella Bocca del Vulcano”). Bisogna ringraziare anche le Forze dell'Ordine rappresentate dai Vigili Urbani, dalla Polizia di Stato e dall'Arma dei Carabinieri: tutti sono stati estremamente gentili e comprensivi della difficile situazione creata dalla pioggia. Il tempo infatti non è stato clemente, ma sono andato lo stesso. Quello che posso dire è: c’ero anche io, la prossima sarà più numerosa. Non so quanti eravamo, ma c’eravamo. Molti sono sicuri sugli scopi di queste operazioni clandestine ed affermano che siano sistemi d’arma climatica. Altri di loro invece sono sicuri che questa nuvola metallica serva soprattutto a propagare radio-onde allo scopo di effettuare un controllo mentale di massa. Altri invece non sono sicuri di nulla. Una parte di loro, per così dire, sono criptoufologi, ossia sono sicuri dell’interferenza aliena in queste operazioni ma preferiscono non palesare la loro convinzione. Intervento telefonico di Rosario Marcianò Curioso però che alla Manifestazione, solo uno striscione urlasse: ‘Piero 91 Angela, noi sappiamo…’ ed alla fine del testo compariva, inquietante, una faccia di un ‘grigio’; probabilmente a significare che anche la gente che va in piazza inizia a divulgare o comunque a far capire ‘guarda che io so, e come me, molti altri’. Una parte degli attivisti teme comunque queste interpretazioni per paura di cadere nel ridicolo e stigmatizza questi interventi. Durante l’iniziativa è stato piacevole ascoltare il sottofondo di musica classica barocca, ma, soprattutto, il discorso del Prof. Vittorio Iori e l'intervento via telefono di Rosario Marcianò, che, con la sua voce amplificata, si è epifanicamente ed empaticamente materializzato nella piazza. A parte i distinguo cui ho fatto cenno prima, però possiamo dire che un movimento esiste! Esiste cioè una piccola fetta della popolazione italiana che è pronta a scendere in piazza, in modo totalmente pacifico, per protestare affinché cessino tali irrorazioni o, perlomeno, perché se ne possano conoscere scopi e composizione. Nascita di un movimento globale Grazie anche ai molti eroici intervenuti da Palermo, Torino, Bolzano, Taranto, La Spezia, Padova, Livorno ecc., tutti riuniti per la causa che in qualche modo ci accomuna tutti; spero che anche in futuro ognuno di noi ci metta impegno, serietà ma soprattutto costanza; i piccoli uomini spesso fanno grandi cose! Il 20 novembre abbiamo contribuito a dare vita alla prima protesta pacifica in piazza; tra l’altro non eravamo soli, infatti in varie città europee e nel mondo, altri hanno manifestato quasi a formare una cosa sola!!! Questo movimento globale dialoga con le sue varie componenti che giungono da ‘luoghi’ diversi e tradizionalmente distanti dell’attivismo politico, anzi, alcuni non sono proprio attivisti politici e questo fa ben sperare; molti non sono venuti alla manifestazione ma erano lì con il pensiero, ognuno di noi però può fare qualcosa nel suo piccolo, già parlarne è molto. Personalmente confermo l'esistenza del problema; anche i continui messaggi subliminali in cartoni, film e pubblicità costituiscono una prova assoluta che il progetto e' reale e di dimensioni enormi. Non ritengo che i tempi siano immaturi per sensibilizzare le masse; da un certo punto di vista è sconcertante che a un problema così globale s’interessino soltanto poche persone... e poche altre se ne interessino senza ottenere risposte convincenti e chiarificatrici... Qualcuno ironicamente ha anche invitato a riflettere su come mai proprio in questo giorno il tempo fosse così sfavorevole; purtroppo su Roma c'èra il diluvio... poi è uscito un po’ di sole.. che sia l'inizio di qualcosa più grande... Campagna di disinformazione…? Mai manifestazione è stata più serena e rispettosa delle esigenze della città, in effetti si è trattato di un piccolo sitin e di un’occasione d’ incontro tra blogger e persone unite dall’incredulità e dal risentimento e per protestare contro il clima di colposo silenzio delle autorità sul tema; eppure Ivana Mannino ci ha comunicato che poco prima dell’inizio di quest’iniziativa sono girate su Facebook voci molto contraddittorie e non autorizzate dal gruppo SCIE CHIMICHE…HAARP che propinavano un rinvio per pioggia. La manifestazione si è svolta regolarmente sabato 20 novembre, dispiace per coloro che non hanno potuto partecipare a causa di queste voci infondate; è ovvio che un sit-in non si può annullare e rinviare poco prima dell’inizio, se non per cause di forza maggiore ed estremamente gravi. La Questura inoltre aveva mobilitato mezzi e uomini; ritengo che chi si sia permesso senza consultare Ivana di diffondere un eventuale rinvio, abbia commesso una grave leggerezza e mancanza di rispetto, anche nei confronti delle persone già giunte a Roma. Fonti: www.tankerenemy.com www.sciechimiche.org cieliliberi.blogspot.com lalternativaisaia.blogspot.co m 92 APPENDICE di Gianluca Rampini È la prima volta che affrontiamo questo argomento sulla nostra rivista. Questo dipende da quanto sia difficile affrontarlo in maniera seria ed efficace. Non voglio intervenire nel dibattito con la mia personale opinione, ho preferito rispolverare un’intervista che non avevo mai pubblicato su queste pagine al direttore di Nexus Italia, Tom Bosco. Tom è da molti anni che si occupa di questo argomento e si batte per che diventi di dominio pubblico. Qualsiasi sia la verità dietro a tutto questo ritengo valga sempre la pena saperne di più che di meno. Di certo il comportamento di governi e multinazionali, in molte altre circostanze, non lasciano ben sperare nemmeno in questa ma per quanto valida questa discriminante non può bastare per prendere una posizione. Quel che è certo è che i cieli azzurri e le belle nuvole bianche sono sempre più rare, mentre patine vischiose e strisce biancastre sono obiettivamente all’ordine del giorno. Da qualsiasi angolazione la si guardi, da quella più pessimistica a quella più comprensiva delle necessità del progresso, ciò è sbagliato e di certo ha un prezzo. Vi lascio all’intervista. E' vero che le scie di condensazione si formano solamente a determinate condizioni, quali -40°, sopra gli 8000 metri e a certe condizioni di umidità? Se lo chiedessimo ad un pilota di linea onesto sarebbe d'accordo secondo te? Anni fa, quando si cominciò a parlare dell’argomento, domandai espressamente e di persona a un amico pilota, comandante anziano in Alitalia, a partire da quale quota possono formarsi le scie di condensazione. Egli mi rispose “a partire dal livello di volo 240”, che tradotto significa a partire da 24.000 piedi, vale a dire all’incirca 8.000 metri di quota. Consultando la letteratura scientifica esistente, si evince che le condizioni indispensabili alla formazione di una scia di condensazione sono una temperatura di -40°C o inferiore, un’umidità relativa intorno al 70% e valori idonei di pressione, normalmente riscontrabili appunto a partire da circa 93 8.000 metri. I “debunkers”, per confutare questi dati incontrovertibili, tirano in ballo un oscuro documento risalente agli anni ‘50 secondo il quale in determinate condizioni una scia di condensazione può prodursi anche a una temperatura intorno ai 0°C; anche ammesso che sia così, condizioni eccezionali non possono rendere conto quantitativamente del fenomeno delle cosiddette “scie chimiche”, così come viene denunciato da parecchi anni in numerose località del pianeta. Una delle principali caratteristiche delle scie chimiche è il fatto che non si dileguano ma che perdurano nel cielo espandendosi e coprendolo con un velo lattiginoso. Puoi descriverci brevemente quali sono le teorie più accreditate sulla loro funzione? Prima di occuparci delle teorie, atteniamoci ai fatti documentati e dimostrabili. In concomitanza delle vaste operazioni di aerosol cui è stato dato l’appellativo di “scie chimiche”, si verifica immancabilmente una modificazione del clima, il più delle volte con la dissoluzione delle nuvole formate dai fronti freddi e umidi in arrivo e conseguentemente l’inibizione delle relative precipitazioni. Quindi si tratta sicuramente di tentativi di controllo e manipolazione del clima, perfettamente in linea con numerosi documenti emersi negli ultimi anni, in primis “Controllare il Clima entro il 2025” redatto dall’aeronautica militare statunitense. D’altra parte, l’anomalo materiale che sembra essere presente in questi aerosol (solfato di alluminio, sali di bario, polvere di quarzo, microfibre di natura tecnologica, nonché a volte materiale biologico, etc.), soprattutto il finissimo particolato metallico, è particolarmente adatto a mutare ed aumentare la conducibilità elettrica dell’atmosfera, ottimizzando in tal modo l’efficienza di sistemi d’arma elettromagnetici come HAARP (truffaldinamente spacciato per esperimento scientifico destinato allo studio dei fenomeni della ionosfera, e che è stato più volte denunciato dal parlamento europeo nonché dalla Duma russa). Le possibilità offerte da questa tecnologia sono tante e tali che rimando i lettori interessati alla vasta letteratura reperibile in rete, ma il suo valore strategico non può essere negato né ignorato. Entrando nel campo delle ipotesi, è chiaro che indurre la siccità in vaste aeree prescelte significa devastare l’agricoltura tradizionale di interi paesi, spalancando le porte al mercato degli OGM e a quei colossi industriali che da anni fanno veramente di tutto per imporre alle popolazioni questa tecnologia, con la scusa che è l’unica che può risolvere il problema alimentare del pianeta e sconfiggere la “fame nel mondo”, nonostante sinora le evidenze dimostrino l’esatto contrario. Qualcuno arriva a postulare connessioni ancor più sinistre, tirando in ballo esperimenti di tipo biologico sulle popolazioni: per quanto possano sembrare paranoie esagerate o sgangherate “teorie del complotto”, devo dire che alcuni eventi assai ben documentati, verificatisi negli USA e in Canada, suggeriscono di non scartare a priori questa possibilità. La storia insegna che cose del genere sono già avvenute, salvo scoprirlo con decenni di ritardo, come gli esperimenti nucleari statunitensi effettuati sulla popolazione ignara negli anni ’50 e ’60, per i quali negli anni ’90 l’allora presidente Clinton chiese scusa al paese in diretta televisiva nazionale. Accantonata per un attimo la questione dell'inopportuno segreto mantenuto su questo discorso dai governi, in cosa consiste la loro pericolosità? Anche in questo caso, suggerisco una ricerca in rete sugli effetti negativi per la salute umana di alcuni composti presumibilmente presenti in queste scie, in particolare il bario e l’alluminio. Recenti studi hanno collegato quest’ultimo a patologie degenerative come l’Alzheimer, che negli ultimi anni ha raggiunto proporzioni quasi epidemiche presso le popolazioni dei paesi 94 occidentali. Naturalmente può essere una coincidenza, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Comunque il pericolo maggiore è dovuto al fatto che non sappiamo effettivamente che cosa viene di volta in volta nebulizzato nell’atmosfera, né a quale scopo. Autorità e governi negano pervicacemente l’esistenza di queste operazioni, ma si guardano bene dal fornire una prova ai cittadini che invece le denunciano, ovvero un campionamento dell’atmosfera in quota volto a stabilire e dimostrare che quelle scie e quelle nuvole anomale altro non sono che semplice vapore acqueo. questione. In realtà qualche presunto insider si è fatto avanti, ma il fatto che abbia voluto mantenere l’anonimato ne ha inficiato la credibilità. D’altra parte, considerato l’elevato livello raggiunto dalla tecnologia dei cosiddetti “droni” teleguidati, non è peregrino ipotizzare che una considerevole parte dei velivoli osservati in realtà siano privi di equipaggio. Resta il problema dell’enorme logistica implicata, ma alcuni aspetti su cui al momento preferisco non soffermarmi a causa della loro elevata stranezza potrebbero fornire in futuro una spiegazione adeguata. Parliamo di mezzi e personale. Secondo te gli aerei coinvolti sono mezzi adibiti esclusivamente a questo scopo oppure sono coinvolti anche i mezzi civili? Spesso sono stati immortalati oggetti non identificabili accanto alle scie. Supponiamo si tratti di Ufo. Senza voler specificarne l'origine, terrestre o meno, che rapporto credi ci possa essere tra i due fenomeni? Non escludo che in qualche modo siano coinvolti anche vettori civili, benché sia difficile stabilire in che misura e con quali modalità. Con una simile flotta anche il personale di volo e non deve essere numericamente cospicuo. Com'è possibile che abbiamo mantenuto un così stretto riserbo su un argomento così scottante? In altri campi, altrettanto delicati, spesso degli "insider" si sono fatti avanti per raccontare le informazioni di cui sono venuti in possesso. Questo è uno degli aspetti più controversi dell’intera Per definizione, essendo non identificabili, sono esattamente UFO. Che vi sia una stretta connessione fra i due fenomeni è indiscutibile, ma i motivi di questa presenza anomala restano ignoti, pur se naturalmente si possono formulare delle ipotesi, come ad esempio quella di un possible monitoraggio da parte di qualcuno, chiunque sia. Nella maggior parte dei casi, ritengo si tratti di “sonde telemetriche”, quindi senza equipaggio di qualsivoglia natura. Come aspetto e modalità ricordano molto i "foo fighters", strani oggetti volanti osservati e fotografati durante la Seconda Guerra Mondiale mentre seguivano da vicino velivoli militari, tanto dell'Asse quanto Alleati. Molto spesso quando si parla di scie chimiche si nomina anche il progetto HAARP. Che relazione ci potrebbe essere? Penso di aver già risposto a questa domanda, ma aggiungo che a mio modo di vedere si tratta di due sistemi d’arma indipendenti fra loro ma straordinariamente adatti a lavorare in sinergia, proprio a causa delle rispettive caratteristiche. Se qualcuno obiettasse all’utilizzo del termine “sistema d’arma”, ricordo che nella prima bozza di un disegno di legge del 2001 contro la militarizzazione dello spazio esterno, presentato al Congresso USA dal deputato democratico Kucinich, compariva il termine “chemtrails” nella sezione “armi esotiche”. Come spesso accade negli ambiti del potere "ombra" i potenti non si preoccupano nemmeno di nascondere il fenomeno, lo mettono sotto gli occhi di tutti quasi sfottendoci e dimostrandoci così di essere intoccabili. Un po' come fa la massoneria, quella vera non quella da quartiere, che espone in bella vista i propri simboli di potere in tutte le città del mondo. Non credi che prima o poi questo atteggiamento gli si rivolterà contro? 95 Non so che dire. Oggi vedo tranquillamente accadere, nel nostro paese e nel mondo, cose che solo qualche anno fa avrebbero mobilitato milioni di persone nelle piazze. Ricordo quando il pianeta si fermò per (mi si passi la volgarità) un pompino nella Sala Ovale della Casa Bianca, mentre nel 2001 e soprattutto nel 2003 nessuno ha mosso un dito di fronte all’invasione del tutto immotivata prima dell’Afghanistan e poi dell’Iraq da parte degli USA, col risultato a tutt'oggi di centinaia di migliaia di vittime civili. Per carità di patria non mi dilungo su quel che è accaduto e continua ad accadere in Italia (ad esempio, io non ho dimenticato i gravissimi fatti di Genova del 2001). Non sarà mica che anche questa narcolessia imperante possa essere messa almeno parzialmente in relazione con l’argomento di cui ci stiamo occupando? Ad ogni modo, le autorità sanno benissimo che il miglior modo per nascondere qualcosa è metterlo sotto gli occhi di tutti… e in effetti, chi potrebbe razionalmente credere che i nostri governi stiano davvero facendo quello che fanno? Si tratta di un meccanismo psicologico ben conosciuto dai “burattinai”: se qualcosa è troppo difficile o doloroso da accettare come verità, entra in gioco un sistema “protettivo” di negazione, rimozione e riduzione in termini che lo rendono accettabile per l’individuo. Quale sarebbe lo strumento, l'azione o l'idea che potrebbe dimostrare una volta per tutte che le scie chimiche sono quello che si teme che siano? Secondo me, la questione verrà definitivamente risolta una volta che sarà possibile realizzare un campionamento dell’atmosfera in quota, in concomitanza col verificarsi del fenomeno in oggetto. Naturalmente sarà necessario stabilire un protocollo tecnico adeguato, ma non vedo problemi insormontabili ad organizzare la cosa. Solo un accenno a quelle "nuove nuvole", chiamate asperatus, che alcuni siti meteorologici hanno cominciato a catalogare. Potresti spiegarci cosa ne sai in proposito? Ho rivolto questa stessa domanda alla "Royal Meterological Society" ma la risposta è rimasta abbastanza vaga. Non ne so molto più di quanto è già stato scritto sull'argomento, se non che il fenomeno è meno recente di quanto si sia indotti a pensare e guarda caso coincide con la messa in funzione e i primi esperimenti del sistema HAARP. Se fosse un fenomeno naturale, sarebbe assai meno frequente di quanto invece non abbia dimostrato di essere nell'ultimo decennio. Quindi ritengo abbia una componente artificiale, da addebitarsi agli strani esperimenti elettromagnetici che vengono condotti nell'alta atmosfera. Sempre che non abbiano nel frattempo cessato di essere esperimenti per diventare operazioni vere e proprie, come lascerebbero intendere le recenti dichiarazioni del Generale Mini... Per concludere. Ritieni che dietro all'evidente aumento di questo fenomeno non naturale vi sia un programma con dei tempi da rispettare? Come evolverà secondo te questo problema nei prossimi anni (ad esempio verso l'incombente e temuto 2012)? Questo è un terreno estremamente insidioso: di fatto, nessuno può davvero sapere cosa accadrà in quella fatidica data. Ricordiamoci le aspettative e i timori che circondavano il capodanno del 2000 (Y2K, etc.), e quello che poi è realmente accaduto, e cioé nulla. Ciò detto, non mi sento assolutamente di escludere che questo ciclo di operazioni nei nostri cieli possa essere un lavoro di preparazione in vista di eventi previsti o ipotizzati in relazione all’anno 2012, di qualunque natura essi siano. Nota: Voglio concludere quest’intervista con una nota positiva. L'effetto e l'assunzione delle sostanze contenute nelle scie, qualsiasi sia la loro funzione, può essere contrastato efficacemente con l'assunzione di alghe brune. Grazie alla loro proprietà i metalli pesanti presenti nel nostro organismo possono essere lentamente smaltiti. 96 VIAGGIO NELLA WEST VALLEY DI MARTE III° e ultima parte Matteo Agosti [email protected], classe 1967, è un reporter freelance dal 1987. Ha collaborato con i quotidiani genovesi, e in ambito paranormale, ufologico e archeo misteri con Area di Confine, il Giornale dei Misteri, Mystero, XTimes, Hera e Ufo Magazine. E' tutt'ora collaboratore della Acacia Edizioni. Per paradosso, se dovessimo passeggiare in West Valley, potremmo constatare la particolarità di alcune aperture rocciose (fig1). Da queste (congettura), si accederebbe in un mondo sotterraneo costituito da una rete di gallerie, cunicoli ed antri abitativi, magari estesi quanto una metropoli. A giudizio di pochi ricercatori off limits, là sotto il popolo dei cosiddetti “Kroft” vivrebbe indisturbato, o per ironia, turbato dal transito Mars Rover. L'emergente realtà marziana ogni anno arreca novità, ogni mese un tassello 97 masse interessate al loro materiale: l'inganno. Tuttavia, con potenti software è possibile ripristinare sino al 30% (impossibile oltre) la qualità di un file manipolato; altresì per ottenere il top, esistono hardware monitorizzati assai costosi (migliaia di euro, non commerciali come i Texas Instrument) prodotti per uso di laboratorio industriale, capaci di ricostruire un file al 90%. Non solo i file necessitano di pulizia per scovare cosa si annida negli anfratti marziani (fig2), ma pure le nefandezze mediatiche prodotte da tv e stampa; nel giugno 2010 alcuni quotidiani pubblicarono una dichiarazione del presidente viene aggiunto al mosaico della verità, e ogni qualvolta mi cimento nella analisi grafica dei files del Jpl, mi accorgo dell'inqualificabile manipolazione che la Nasa apporta su di essi. Non è una novità; possiedono sofisticati hardware grafici in grado di impastare più oggetti/soggetti sul terreno, in modo da farli apparire sassi e rocce, o in altri casi, da rendere la profondità di campo così sfocata da non distinguere nulla; così facendo, la Nasa inganna internauti catatonicamente idonei ad intendere tutto per "oro colato". Chi professionalmente si intende di fotografia, può accorgersi dello scempio applicato sui fotogrammi. In una città, quanti potrebbero emulare l'arte e la conoscenza fotografica di (uno a "caso") Andreas Feininger? Pochi. Perciò, scontato è il risultato che la Nasa ottiene sulle 98 Obama: “nel 2035 invieremo l'uomo su Marte”. Già mi espressi nell'articolo precedente circa i numerosi “rinvii” Nasa per missioni su Marte; l'ultimo “aggiornamento” rilasciato dalle fonti statunitensi, indicava il 2020, oggi ulteriormente posticipato di 15 anni.. non pochi se consideriamo la fugacità della nostra vita. Ennesima bufala? Per mia considerazione sì, in via del fatto che l'uomo, su Marte deve averci già messo piede in tutta segretezza (su 99 YouTube si veda il video titolato: Viaggio sul Pianeta Rosso), e forse, come affermano Michael Wolf, Bob Dean, John Lear, Dave Beamer ed altri, esisterebbero basi di sospetta matrice terrestre ed aliena, esattamente come si sospetta sulla Luna. Il timore di un inganno mondiale perpetrato dalle agenzie spaziali, non è una delirante idea, ma un tangibile e legittimo sospetto. Secondo alcuni “colleghi” d'oltreoceano (membri Exopolitic Institute), tra quali Andrew Basiago, Laura Magdalene Eisenhower, Steven Greer e Emily Elizabeth Windsor Cragg, i file scaricabili gratuitamente on line, per stima approssimativa rappresenterebbero una miserevole percentuale rispetto a ciò di cui la Nasa sarebbe in possesso, e che mai probabilmente divulgherà per ovvie ragioni di segretezza governativa. "Se" le cose stanno così, perchè la gente non dovrebbe sapere la verità? Immaginiamo cosa accadrebbe se un giorno venisse alla luce l'inganno globale.. masse e comunità scientifiche di ogni paese insorgerebbero; sarebbe il caos. Quest'ultimo però, potrebbe anche non verificarsi se, i governi e le loro istituzioni raccontassero democraticamente tutta la verità e nient'altro che la verità (non accadrà mai, è pura utopia). Sino a prova contraria, la storia dimostra che le consolidate "soluzioni" e i "metodi" che i potenti hanno adoperato per manipolare e pilotare le masse, continueranno a esercitarli sempre con maggiore efficacia al fine di renderci ciechi (ed "inconsapevolmente" schiavi) attraverso la disinformazione divulgata dai mass media. Il rimedio? Molti suggeriscono di non arrendersi, ma io sono convinto che non esiste. L'umanità fu creata per essere schiava per servire, adorare ed obbedire alla volontà del proprio Dio o Dei (in carne ed ossa si intende) di propria appartenenza. Certo, possiamo continuare a cercare in tutte le direzioni e analizzare quelle briciole su cui ci è concesso di indagare, ma questo (a mio avviso) non 100 cambierà le probabili sorti a cui l'umanità sarebbe destinata (saremo tutti microchippati?); se la Bibbia non è eresia, senza il "marchio" non potremo fare acquisti. E' un pensiero che mi colma di una tristezza incommesurabilmente più grande di tutte le falsità che la Nasa ha espletato (molto spesso su Marte). Nella casistica marziana, in fig4 sono constatabili strani piccoli elementi sferoidali fuoriuscenti dal terreno della West Valley; nel 1999, su altri file della Nasa si creò scalpore circa strane sfere sul terreno, che al successivo passaggio fotografico, alcune risultarono essere cambiate di posizione (fig5 in basso, curiosa anche "l'impronta" circolare impressa sul terreno). E' un argomento che meriterebbe di essere approfondito, poiché la singolarità di succitati elementi, differisce da quello che può essere definito un “aspetto roccioso”. Se non altro, la linea di ricerca che potrebbe inneggiare il (mio) motto “attenti alle rocce marziane perchè non tutte sono rocce”, è condivisa dai membri dell'Exopolitic Institute, dai quali però, il 101 sottoscritto si tiene a ragionevole distanza di sicurezza. Vorrei sottolineare che la ricerca denominata “The discovery of life on Mars”, così fu definita dall'autore Andrew Basiago con una blanda analisi grafica cominciata in West Valley, ambito in cui egli, praticamente si è autoproclamato scopritore della vita marziana, quando invece, ben altri ricercatori (Ben Harris, Dave Beamer e John Graham) lo precedettero di un anno insieme al sottoscritto. Le immagini pubblicate on line da tale ricercatore, non offrono apprezzabili risultati (tranne l'umanoide che ho illustrato in parte I°); la contestualità dei dettagli è povera, priva di elaborazioni grafiche atte ad ridurre la manipolazione Nasa. La filosofia che prediligo, è mostrare dettagli ( fig5) nella massima risoluzione ottenibile col software, e divulgarla con onestà. Purtroppo, nel contesto esopolitico di Marte (e non) non mancano speculazioni: non ne abbiano i “colleghi” dell'Expolitic Institute fondato da Michael Salla (www.exopoliticsinstitute.org ), del Seti (www.seti.org), del Project Pegasus di A.Basiago (www.projectpegasus.net) e Orion Project di S.Greer (www.theorionproject.org), tutti organi di ricerca e di “divulgazione” non del tutto.. gratuita. Può accadere che per accedere ai relativi archivi di questi canali (quale "occulto materiale" custodiscono?) occorre divenire membri (a pagamento ovviamente) con tanto di tariffe mensili, semestrali e annuali (pagate un triennio e andrete a cena con ET). Non mancano poi, i 102 famosi “corsi” di istruzione sui fenomeni extraterrestri per la modica cifra di $2500; alla stregua dei fatti, per apprendere elementi “top secret” (che già tutti conosciamo), è necessario sborsare quattrini, per i quali lo speculato iniziò a germogliare proprio in West Valley con relativi elementi (fig6). Su quella valle, è accaduto di tutto e di più: dalla speculazione agli infantilistici scontri tra ricercatori contendenti un primato (“questo l'ho scoperto io e questo lo hai scoperto tu”), dall'indifferenza dei network all'arroganza delle cattedre 103 scientifiche, dal cover up ai misteriosi anfratti marziani, dalla crudeltà della stampa locale alla censura delle ricerche di frontiera. I ricercatori che varcano quella linea di confine che la "scienza ufficiale" vorrebbe rendere invalicabile, sovente (è una realtà!) vengono accusati di eretismo e screditati nella maniera più subdola, infamante e discriminatoria che un essere umano possa concepire (ci sono passato anche io..). Dice un passo buddista: colui che è nel giusto verrà infamato in lungo e in largo, ma una buona reputazione andrà ancora più lontano. Questo sta a significare che, chiunque si prodighi in quel tipo di ricerca considerata "scomoda", dovrebbe continuare a seguire il suo orizzonte, piuttosto che bruciare l'esistenza giocando a carte in un bar, deneuronizzarsi nei forum "ufologici" on line, infervorandosi dietro a palle rotolanti nello stadio e idolatrare programmi “educativi” all'insegna della grande suocera o isole dei noiosi, probabilmente insopportabili anche per gli abitanti del pianeta rosso. A sostenere l'esistenza di abitanti sotterranei su Marte e altri pianeti o lune del sistema solare, direi di essere sempre stato in buona compagnia, poichè ricercatori di ogni nazionalità, sono paralleli al tipo ricerca che coltivo da qualche anno. E' un ambito di divulgazione difficile da portare avanti, in quanto è ignorato dai mass media, nella fattispecie se trattasi di ricercatori indipendenti. Tutta la conoscenza che conosciamo e non conosciamo, dovrebbe essere a portata dell'umanità, tutt'oggi quasi del tutto ignara della realtà marziana di oggi e del suo passato. Pertanto, da quel passato remoto ad oggi, il terreno marziano restituirebbe qualcosa affiorante in superficie (fig7). Potrebbe essere solo una roccia (assai inconsueta), come potrebbe essere ben altro. Dal mio punto di vista, potrebbe trattarsi della sommità di una statua monumentale, sopravissuta alla antica tragedia marziana che sconvolse la superficie del pianeta (pioggia di meteore). La sua condizione attuale, la indicherebbe come semi sepolta in un terreno costituito da supposti detriti rocciosi, ed i suoi lineamenti, sono sufficientemente simmetrici da poter determinare una fattezza monumentale. Il suo profilo riporta alla mente immagini scultoree dell'arte grecoromana (per approssimativa comparazione, nell'immagine ho inserito una mezza 104 faccia di Ares, alias Marte divinità). Secondo la studiosa Helen M.Canterbury, durante il declino ambientale di Marte, un gruppo di superstiti marziani sarebbe sceso sulla Terra nel vano tentativo di conquistare Atlantide; ciò malgrado, successivamente sarebbero tornati ad unirsi pacificamente agli Atlantidei per integrare la loro cultura, a sua volta poi, diffusa da Atlantide nel territorio dell'antico Egitto, dove le faraoniche vestigia della piana di Giza (sfinge e piramidi), a detta dell'esperto Graham Hancock testimoniano le ultime vestigia atlantidee. Il Dio Ares, nell'idolatria egiziana era identificato con la divinità di Horus, Dio con la testa di uccello (o di falco) cosmologicamente associato a Marte. Tra i ricercatori di mia conoscenza, non è mancato chi (dico solo il peccato) con coraggio, asserì di aver identificato Horus pietrificato sulla superficie marziana (visto il dettaglio, constatai che il collega soffriva di allucinazioni). Lungi da illustrare rocce allo stato puro, non esito a mostrare anomalie che sul terreno, potrebbero essere scambiate per comuni sassi (alto fig8)... teschi? O solo curiose sporgenze (basso fig8)? In veste di Ponzio Pilato, ancora una volta lascio l'ultima parola al lettore (saggia decisione). Ben altro però (mi rendo conto) occorre per inchiodare lo scetticismo degli inquisitori. Nelle prime battute, accennai a quella che potrebbe essere la realtà sotterranea di Marte, per supposizione, ramificata su una imponente rete di cunicoli e gallerie. Di queste ultime per l'appunto, ritengo di averne individuata una straordinariamente visibile in superficie. Non si tratta di un semplice buco nel terreno o di una banale apertura rocciosa, quella è proprio una galleria, o per essere più specifici, l'accesso che conduce in essa. Definitela 105 come più vi aggrada, ma la regolare geometria circonferenziale dell'arco che ne costituisce l'ingresso, è indiscutibile ed abbondantemente visibile, e se mi è consentito dirlo, di ammissibile natura artificiale. Ma, se fossimo nella West Valley, dove potrebbe condurci la galleria in questione (fig9)? Solo in una indubbia direzione.. negli sconosciuti sotterranei di Marte. E chi potrebbe percorrere detta galleria? Già detto e ripetuto, i “Kroft”, nome (o soprannome) che sarebbe stato attribuito da alcuni addetti della Nasa agli abitanti della prima sfera sotterranea (quella prossima alla superficie). Pertanto dovrebbe esistere (fonte canadese), anche la seconda sfera abitativa sita a maggiori profondità, là dove marziani più evoluti, occulterebbero la loro esistenza. Non potendo indagare a tali profondità, ciò che rimane è la pochezza offerta in superficie, sulla quale disperatamente, speriamo di scoprire il più piccolo dettaglio scampato alla furia devastante dei grafici Nasa. Quasi per miracolo, di tanto in tanto questo accade, grazie anche alla pazienza e all'ostinata caparbietà che manifesto durante un'analisi tellurica (fig10): la singolarità in questione è senz'altro particolare.. potrei azzardare nel dire “quello è un..”, o potrei semplicemente nascondermi dietro all'omertà. Pardon, ma lì non c'è solo roccia, c'è dell'altro che vorrei poter definire con un attributo; sta bene, adoperando la prudenza mi limiterò a definire ciò una “graziosa anomalia”. Chiunque in tutti i casi, scaricando il file Pia10214.tiff da http:// photojournal.jpl.nasa.gov, con calma e attenzione, potrà identificare quel che ho illustrato durante i tre articoli dedicati alla West Valley, una delle aree marziane più interessanti da perlustrare al metro quadrato. Studiandola in profondità, non mancherete di rilevare anomalie di differente entità, tutte rigorosamente affioranti su un terreno ricco di oscure fenditure (fig11). Certo che, se tutte le anomalie presenti sul terreno marziano dovessimo considerarle solo sassi e rocce, qualcosa non quadrerebbe, sarebbe troppo semplicistico e per gli oppositori sarebbe molto conveniente. Non posso dare torto a chi ragionevolmente (ne ha tutto il diritto) solleva questioni sulla scarsa visibilità dei dettagli che ho selezionato. Vero, ma non è colpa del sottoscritto né del poveri grafici Nasa (semplice impiegati) a cui viene impartito l'ordine di eseguire determinate manipolazioni. Il canadese Dave Beamer, più volte mi ribadì che all'interno della Nasa, l'esistenza di un piccolo gruppo di dissidenti è una realtà, persone che vorrebbero urlare la verità al mondo intero, ma che purtroppo hanno le “mani legate”. Il segreto governativo non è fantascienza; i vertici decidono il tipo di 106 informazione (falsa e distorta) che deve pervenire alle masse; e allora quindi, accontentiamoci dell'ennesima briciola (fig12, teste emergenti dal livello terreno?). Forse un giorno un'evoluta umanità, avrà la possibilità di concedersi un weekend marziano o un safari nel bel mezzo della West Valley; un'idea similare, fu partorita dal film “Atto di Forza” con Arnold Schwarzenegger. Nel caso, raccomanderei ad eventuali speologi terrestri, di non mettere piede sul terreno marziano per curiosare tra le rocce, ma suggerirei di seguire un'esperta guida turistica armata fino ai denti. Prudenza; ficcare la testa dentro una cavità rocciosa, potrebbe rivelarsi assai rischioso. Figura tredici... 107 LLOYD PYE INTERVIENE IN DIFESA DI ZECHARIA SITCHIN Traduzione a cura di Sabrina Pasqualetto Zecharia Sitchin e Goerge Noory Zecharia Sitchin è stato un autore conosciuto per "Le cronache della Terra", una serie di libri riguardanti gli scritti lasciati dagli antichi Sumeri (circa 5.000 anni fa), così come egli li ha interpretati. Era uno dei 200 studiosi al mondo, se non di meno, in grado di tradurre dal cuneiforme, il linguaggio simbolico dei Sumeri. Per come la vedo io il suo lavoro è stato molto influente. Dalla sua morte, il 9 ottobre 2010, le critiche su questo autore sono uscite a frotte su internet con il fine di denigrare il suo lavoro e l’eredità da lui consegnataci. È a causa del mio noto interesse per il suo lavoro, che ho voluto inserirlo nella parte IV del mio libro Tutto quello che sapete è falso. A causa di ciò diverse persone mi hanno chiesto di venire in difesa di Sitchin ora che lui non può più difendere se stesso nel modo vigoroso con cui era solito fare. Detto questo, ecco la mia difesa del suo lavoro contro tutte le critiche. È semplice, ed è vera. Non esitate a condividere con gli altri su internet e/o usarla per rispondere a qualsiasi critica. Chi dice che Zecharia Sitchin ha commesso errori o frodi nelle sue traduzioni dei testi sumerici, o qualcosa di simile, sta prendendo un abbaglio. Essi basano tutte le loro critiche sul fatto che in alcuni settori chiave degli scritti Sumeri, egli devia marcatamente rispetto alle traduzioni "classiche", la maggior parte delle quali sono state completate prima del 1947, prima che i termini "UFO" o "extraterrestre" diventassero di uso comune. Quando i primi traduttori arrivarono su passaggi che avrebbero potuto essere interpretati come Sitchin ha fatto, non avevano un background di riferimento per tale terminologia. Pertanto, essi li hanno adattati alla loro 108 ristretta concezione del mondo e, siccome queste assurdità sono state create da "esperti" di quel tempo, gli esperti moderni hanno inevitabilmente subito un lavaggio del cervello dovuto a questo falsato processo di formazione credendo non esistesse una traduzione alternativa, molto meno ovvia. Questo sproloquio intellettuale è diventato la traduzione "preferita" e "accettata" che, secondo i critici, Stichin avrebbe dovuto rispettare allo stesso modo in cui essi sono obbligati a fare. Sitchin, giustamente, ha rifiutato le assurdità venute fuori dalle traduzioni classiche e ha tradotto i testi nella maniera che pensava essere la più fedele agli scritti, chiamando un alieno, “alieno” e non in altro modo, tanto per dirne una, e questo ha offeso gravemente la sensibilità accademica facendo gridare i critici “al sacrilegio”. Non ho alcun dubbio che, con il tempo, gli studiosi arriveranno a considerare la traduzione di Zecharia Sitchin molto più corretta di tutte le traduzioni di un qualsiasi esperto in vita. Per quale motivo? Perché gli studiosi moderni hanno subito anni d’intenso allenamento che li costringe a prendere in considerazione per prima cosa il lavoro sacrosanto degli studiosi classici, il quale ha prodotto un esercito virtuale di sicofanti chiusi mentalmente i quali, in ultima analisi, verranno liquidati come ridicolmente errati. Sitchin insieme a Monsignor Balducci