UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA MASTER DI I LIVELLO EDUCATORE ESPERTO PER LA DISABILITÀ SENSORIALE TESI DI MASTER LA SORDOCECITÀ ACQUISITA. COMUNICARE OLTRE I CONFINI. Relatore Specializzanda Dott. Fiocco Angelo Dott.ssa Gscheidel Karin Anno Accademico 2010/2011 A Walter, mio amato Compagno di Viaggio. Senza di te, ancora una volta, mai nulla sarebbe possibile. A mio padre Jürgen, tu ci sei senza esserci, e io ti sfioro i pensieri. 2 INTRODUZIONE La mia partecipazione al Master universitario “Educatore esperto per la disabilità sensoriale”, promosso dall’Università degli Studi di Verona, mi ha consentito di vivere un’esperienza educativa eccezionale, nella seconda parte del mio Stage Formativo. Sono stata inserita presso la Residenza Socio-Sanitaria della Lega del Filo d’Oro di Lesmo, in provincia di Monza e Brianza, in un appartamento abitato da persone adulte affette da sordocecità acquisita. Il presente scritto nasce come presa in esame di tale delicata problematica, e sicuramente la condivisione e la compartecipazione che ha scandito questo incontro resta il punto di riferimento, sotteso ma sempre pulsante, nella stesura della mia tesi (ciò giustifica il passaggio alla prima persona in alcune parti, specialmente nelle note). Non ho la pretesa di approfondire tutti gli aspetti salienti riguardanti la sordocecità acquisita, di rendere esaustiva la mia analisi, tuttavia, credo che essa possa rappresentare una riflessione utile per successive indagini, una panoramica su una particolare forma di disabilità della quale poco, comunemente, si conosce. Più che un punto di arrivo, penso al presente lavoro come ad un porre delle questioni, dei quesiti, compresi i dubbi. Sulla scorta di studi condotti con un approccio scientifico, chiaro e obiettivo, ho tentato ugualmente di rendere queste pagine una lettura che fosse in grado di interessare non solo gli esperti del settore, ma chiunque venga sensibilizzato o incuriosito dalla condizione della sordocecità in età adulta. Per tale ragione ho evitato di “sotto-paragrafare”, in modo da non rendere troppo schematica la trattazione, in alcuni punti più cronachistica, per cause di forza maggiore, per l’oggettivismo richiesto dalla ricerca. Ribadisco di essermi occupata di sordocecità acquisita, pertanto, ho evitato di specificare tutte le volte il termine, dandolo per scontato, fatti salvi i casi in cui era necessaria una distinzione esplicita, soprattutto nelle pagine con valore informativo. Per la stessa ragione, alcuni argomenti significativi, ma più pregnanti nel contesto della sordocecità congenita, sono stati accantonati (ad esempio il concetto di Contratto Educativo). Il primo capitolo inquadra il problema da un punto di vista teorico, con un partecipe sguardo, nell’ultimo paragrafo, alle storie di chi in prima persona vive questa situazione di grave disabilità sensoriale; il secondo capitolo è dedicato alla conoscenza dell’Associazione Lega del Filo d’Oro, della sua mission e dei progetti a cui si dedica mettendo in pratica interventi specialistici, pragmatici e mirati, di assoluto valore 3 pedagogico; il terzo si sofferma sull’importanza che gli ausili tecnici e tecnologici rivestono per la gestione dell’esistenza personale e sociale del sordocieco, avendo quale scopo ultimo il raggiungimento del maggior grado auspicabile di autonomia; infine il quarto capitolo inquadra i sistemi di comunicazione possibili in presenza di questa duplice minorazione sensoriale, alcuni dei quali ho potuto io stessa mettere in pratica. Termino la trattazione con una breve, personale riflessione, basata sull’insegnamento complessivo recepito ed assorbito durante la mia esperienza formativa. Sono entrata in contatto con persone sordocieche carica di due pregiudizi che posso così sintetizzare: Dovrò essere presente ad ogni loro passo, poiché saranno completamente dipendenti da me! Non riuscirò a comunicare con loro, a far comprendere appieno i miei messaggi! A parte la ragionevole paura di commettere errori nelle modalità di interazione (essendo un campo sconosciuto al mio curriculum di educatrice professionale), nulla di ciò è accaduto. Ho ricevuto una inequivocabile lezione: c’è un mondo che vede nel buio e parla nel silenzio, desideroso di conoscere, aperto al dialogo, incredibilmente ricettivo e laborioso. Ringraziamenti: Un GRAZIE sentito e speciale a: I “ragazzi” della “Palazzina rossa” della RSD di Lesmo, per avermi concesso di accedere alla loro realtà, con disponibilità e dolcezza, nonostante il mio tempo di permanenza non sia stato lungo, e quindi un poco destabilizzante le loro abitudini; Le mie Tutor: per il Master la Dott.ssa Nalli, Coordinatrice dello stesso, e per lo Stage la Dott.ssa Carrella, pedagogista della RSD di Lesmo, le quali mi hanno seguita sempre con premura e fiducia. Il Dott. De Santis del Centro di Documentazione della Lega del Filo d’Oro di Osimo, il quale ha selezionato per me buona parte del materiale bibliografico, ed il Dott. Lagati del Centro di Consulenza Pedagogica di Trento, che mi ha parimenti inviato altra documentazione essenziale a completare la mia Tesi. Il Coordinatore Didattico del Master Professor Gecchele e tutti gli altri Professori che con le loro lezioni di alto e rigoroso spessore scientifico hanno stuzzicato la mia mente, allargandone gli orizzonti. Marika, educatrice incontrata nella RSD di Lesmo, che posso dire sia stata la mia referente quotidiana durante lo Stage, e che mi ha permesso di leggere sua Tesi di Laurea. Il Prof. Fiocco, mio Relatore, guida paziente e sensibile, lettore vigile e scrupoloso. La Dott.ssa Rossana Suglia, Coordinatrice Educativa nella mia realtà lavorativa, la quale mi ha incoraggiata ad iscrivermi al Master, e mi ha sorretta in ogni sua fase, rendendo anche possibile la frequenza alle lezioni. Tutti coloro che sono stati “dietro le quinte”, nella mia vita privata, sostenendomi nel percorso conoscitivo e umano che ho deciso di intraprendere. 4 Quando agiamo al massimo delle nostre possibilità, non sappiamo mai quale miracolo sia scritto nella nostra vita e nella vita di un altro. Helen Keller 5 LA SORDOCECITÀ. ALCUNE LINEE GUIDA. 1. Quando si parla di sordocecità? Già nei primi anni cinquanta il Dott. Peter Salmon sottolineava l’aspetto di unicità della sordocecità, scrivendo: «Ci sono state molte discussioni ed altrettanti approcci al problema che sorge dalla combinazione di questi due handicap; si può ben dire in questa sede, anche se potrebbe sembrare trito, che ho imparato che la sordocecità non consiste in queste due disabilità –la sordità unita alla cecità- ma è, al contrario, una terza e completamente distinta minorazione». Nel 1954 la Commissione Nazionale di Studio sull’Istruzione dei Bambini Sordociechi, negli Stati Uniti, presentava questa definizione che fornì la base per discussioni e dibattiti in molti Paesi: «Un bambino è sordocieco se la combinazione degli handicap gli impedisce di trarre sufficiente vantaggio dai programmi scolastici per i sordi e per i ciechi». Tale precisazione ha ispirato la definizione coniata dal Ministero Norvegese per gli Affari Sociali, nella loro relazione sulla popolazione sordocieca del 1976: «Una persona è sordocieca quando ha una minorazione causata dalla perdita combinata della vista e dell’udito e perciò non può usufruire dei servizi forniti ai disabili della vista e dell’udito. Una persona può essere considerata sordocieca anche se la perdita della vista o dell’udito non è totale». Alla Conferenza Mondiale Helen Keller, nel 1977, professionisti e sordociechi diedero la seguente caratterizzazione: «Una persona viene chiamata sordocieca quando ha una minorazione visiva ed uditiva tale che questa doppia perdita sensoriale gli/le causa problemi di apprendimento, comportamentali e limita le possibilità di lavoro». La Finlandia aggiunse: «Inoltre tale minorazione causa problemi di comunicazione con la famiglia e con il mondo esterno». L’Associazione Svedese dei Sordociechi si esprimeva invece così: «La sordocecità consiste nell’avere una vista ed un udito talmente ridotto da causare considerevoli difficoltà che inibiscono la vita quotidiana. L’accesso alle informazioni ed alle notizie non è possibile con i normali mezzi». Nel 1980 la Commissione Nordica sulla Disabilità ha creato un gruppo di lavoro per condurre un’indagine sui sordociechi nei paesi nordici, ed ha prodotto una definizione che è rimasta un punto di riferimento per molti Paesi Europei e per numerosi studiosi, sebbene connotandosi più come una descrizione funzionale che come una definizione vera e propria. Essa dice: «Una persona è sordocieca quando ha un grave 6 livello di minorazione visiva e uditiva combinata. Alcuni sordociechi sono completamente sordi e ciechi, mentre altri hanno residui visivi e/o uditivi. La gravità delle disabilità uditiva e visiva significa che i sordociechi non possono utilizzare i servizi per le persone con una disabilità visiva o una disabilità uditiva. Perciò la sordocecità implica estrema difficoltà nell’istruzione, la formazione, la vita lavorativa, le attività culturali e l’informazione. Per coloro che sono nati sordociechi o che hanno acquisito la sordocecità in tenera età, la situazione è complicata dal fatto che essi hanno problemi di personalità o di comportamento. Tali complicazioni possono ridurre le loro possibilità di sfruttare i loro residui visivi o uditivi. La sordocecità deve essere pertanto considerata come una minorazione separata, che richiede metodi speciali di comunicazione allo scopo di gestire le funzioni della vita quotidiana». Per quanto riguarda la procedura diagnostica, un gruppo specializzato si è riunito in Danimarca su invito del Centro di Formazione del Personale Nordico ed ha concordato la seguente affermazione: «La procedura diagnostica dovrebbe includere una valutazione medica tradizionale, compresi lo status visivo ed uditivo, la valutazione neurologica e psicologica, ma anche una osservazione sistematica del livello funzionale dell’individuo per giungere ad un profilo di funzionalità. Tale profilo è il risultato di una valutazione multi-disciplinare svolta da esperti che possiedono una conoscenza ed una esperienza di lavoro con i sordociechi». Benché il punto di partenza di ogni riabilitazione debba restare l’individualità, tradizionalmente, ai fini della ricerca scientifica, si suddivide la popolazione sordocieca in quattro gruppi: o Sordociechi congeniti: in passato era la sindrome da rosolia (epidemia dei primi anni ’60) la causa più comune della sordocecità. La maggioranza di questo gruppo si trovava in scuole speciali ed istituti per handicappati mentali non specializzati in minorazioni sensoriali. Ora in numero sempre crescente i bambini sono affetti da altre disabilità addizionali complesse e multiple, oltre che dalla disabilità sensoriale, e grazie agli sviluppi della tecnologia medica e della ricerca, hanno più probabilità di sopravvivere, e di essere poi inseriti in Centri specializzati, le cui possibilità si sono parimenti accresciute. Tra le cause più significative in questo caso vi sono: nascita prematura, trauma alla nascita/asfissia, associazione di Charge (la più importante per incidenza)1, 1 Data l’importanza di questa rara patologia spieghiamo brevemente il significato della parola. “Charge” è composta dalla prima lettera dei termini inglesi che indicano alcune delle più comuni manifestazioni della 7 infezione da citomegalovirus infezioni intrauterine e sindromi (rosolia, Cri du Chat, Cat Eye, Goldenhar, Noonan e Pallister Killian), infezione da meningite, anomalie cromosomiche e danno cerebrale congenito. Tali patologie portano spesso con sé anomalie come ipertonia grave, epilessia, gravi problemi nell’alimentazione, difetti cardiaci, idrocefalia, ernia, atresia anale, palatoschisi. Convenzionalmente, il limite che discrimina la sordocecità congenita da quella acquisita, è il compimento del secondo anno d’età. o Sordi congeniti che perdono la vista nell’età adulta: la causa principale per questo gruppo è la Sindrome di Usher di natura genetica, con un età media del gruppo di 50-55 anni. o Ciechi congeniti che perdono l’udito nell’età adulta: in questo caso sembra non esserci una causa principale della sordocecità, ma considerando che l’età media è di 68 anni, forse è proprio il fattore età la discriminante. o Sordità e cecità acquisite in età adulta: dalle stime sembra essere il gruppo più ampio, i cui membri in passato si trovavano in ospizi ed avevano estreme difficoltà di contatto col mondo esterno; anche in questo caso non si trova una causa principale, ma vi è un’età media superiore ai 70 anni. o Persone che diventano sordocieche nella vecchiaia: evento dovuto alle conseguenze di una popolazione che invecchia, se si pensa all’incremento del numero degli anziani paragonato al numero delle persone in età lavorativa.2 La Lega del Filo d’Oro (vedi capitolo successivo) è una Associazione ONLUS che si occupa di persone sordocieche e pluriminorate sensoriali, e tal proposito è bene sin d’ora mantenere tale distinzione in questi termini generali: La sordocecità indica la combinazione di una minorazione sia visiva che uditiva (parziale o totale), tale per cui la persona è ostacolata o impedita nello svolgimento delle normali funzioni della vita quotidiana; la pluriminorazione psicosensoriale si ha invece quando alla minorazione della vista (ipovisione/cecità) o dell’udito (ipoacusia/sordità) si sommano altre sindrome. C: Coloboma (anomalie agli occhi); H: Hearts deficit (malfunzionamento cardiaco); A: Choanal Atresia (blocco nasale); R: Retardation of growth and developemental delay (Ritardo nella crescita e nello sviluppo); G: genitalia (genitali piccoli e testicoli non discesi); E: Ear abnormalities (Anomalie alle orecchie). E a questa condizione si associano altri deficit, non sempre con la stessa intensità: labbro leporino, palatoschisi, malformazioni della laringe, dell’esofago e della trachea, problemi di equilibrio e ai reni. Si può arrivare addirittura alla cecità totale. Vedi La sindrome di Charge, “L’Informatore Notizie”, dicembre 2002, pp. 14-16. 2 Questa prima parte introduttiva è un sunto di alcune pagine di La realtà della persona sordocieca. La definizione di sordocecità ed i problemi connessi al suo uso, Progetto Horizon, Corso di Formazione per beneficiari intermedi, 1998-1999, Lega del Filo d’Oro, Osimo, 1999, pp. 1-6; Green W., Chi sono le persone sordocieche?, Dispensa Corso di Formazione per i Volontari della Lega del Filo d’Oro, a cura del Referente per il Volontariato, Sede di Osimo, ristampa febbraio 2005, pp. 1-19. 8 minorazioni: ritardo mentale/evolutivo, disabilità motoria, problematiche comportamentali. «Ai soggetti pluriminorati mancano più strumenti per recepire la realtà esterna, esplorarla, elaborarne i dati, con ripercussioni negative e deformanti sulla costituzione interna della realtà stessa, in special modo se non sono aiutati a trovare strategie che compensino, sia pure parzialmente, le funzioni compromesse».3 Nel nostro Paese non esistono ancora ricerche precise circa l’incidenza della sordocecità sulla popolazione di tutto il territorio nazionale. Secondo ricerche effettuate in altri stati europei si stima che in Italia le persone affette da sordocecità oscillino dalle 3.000 alle 11.000, tenendo conto quanto la popolazione sordocieca sia molto eterogenea al suo interno, per la variabilità delle cause della malattia e del momento della vita in cui si manifesta. Come abbiamo riferito nella nostra casistica, in passato è stata la rosolia, contratta dalla madre nei primi mesi di gravidanza, una delle principali cause di sordocecità congenita. Oggi prevalgono prematurità, malattie infettive e sindromi genetiche rare che comportano gravi problemi neurologici e ritardo nello sviluppo. Le cause principali di chi diventa sordocieco durante il corso della vita sono legate ai processi degenerativi della vecchiaia, e si tratta di un gruppo in incremento, dato l’aumento dell’età media risultante degli ormai noti, ed allarmanti dati dell’andamento demografico italiano. La sindrome che contraddistingue la persona che nasce sorda e successivamente diventa cieca è la Sindrome di Usher (combinazione di sordità e Retinite pigmentosa), e pertanto essa merita un approfondimento.4 Prende il nome da Charles Usher, oculista inglese che nel 1914 ne descrisse la natura ereditaria.5 Si stima che sia la causa della metà dei casi di sordocecità, benché in Italia non esistano statistiche ufficiali. Attualmente ne sono stati catalogati tre tipi principali. Il primo ed il secondo tipo sono i più frequenti, ricordando però che tra le persone con lo stesso tipo di sindrome vi è una gran variabilità rispetto al grado di perdita uditiva/visiva e dell’età cronologica di comparsa. 3 Chiarelli R., Assistenza educativa e riabilitativa ai ciechi pluriminorati, “Tiflologia per L’Integrazione”, n. 4, 2000, p. 2. Nel proseguo, questa importante neuropsichiatra dell’infanzia analizza le varie distinzioni che si possono effettuare nella pluriminorazione in età evolutiva, a seconda che prevalga il danno motorio, cognitivo, affettivo-relazionale o sensoriale. 4 Ceccarani P., Introduzione alla Sindrome di Usher, “L’Informatore Notizie”, 1 febbraio 2008, pp. 8-12; Anderson C., Searching for a key to Usher, “Talking Sense”, autunno-inverno 2004, pp. 15-30. 5 In verità la malattia è stata descritta per la prima volta nel 1858 da Friedrich Wilhelm Ernst Albrecht von Graefe, oftalmologo tedesco che pubblicò il caso di un uomo sordo dalla nascita con ulteriore degenerazione del pigmento retinico, e il quale aveva due fratelli nella medesima situazione. 9 Sindrome di Usher Tipo 1: il soggetto nasce sordo profondo e presenta problemi nell’equilibrio, ritardo nella deambulazione e cattiva coordinazione motoria (il tutto per il mal funzionamento degli organi dell’equilibrio dell’orecchio interno). Di solito utilizza come prima lingua la lingua dei segni e si identifica con la comunità sorda. Verso la fine della prima decade di età si manifestano i primi sintomi della retinite pigmentosa, fotosensibilità e cecità crepuscolare. Dall’adolescenza in poi vi è diminuzione del campo visivo periferico con visione a tunnel. Sindrome di Usher di Tipo 2: il soggetto ha perdita uditiva bilaterale che varia da un livello moderato ad uno severo, ma l’equilibrio è nella norma. Vengono percepiti meglio i toni bassi. L’utilizzo dell’apparecchio acustico permette di sentire e sviluppare il linguaggio. In età adulta si può subire perdite uditive fino a 10 Db, con variazioni individuali, ma la perdita di udito è stazionaria nella maggior parte dei casi. (Molto raramente vi è perdita completa della capacità uditiva). Il progredire della degenerazione retinica inizia dopo l’adolescenza e la cecità notturna fa la sua comparsa tra la tarda adolescenza e i vent’anni, caratterizzandosi per macchie cieche. Lo stesso dicasi per la visione a tunnel. La lingua dei segni ovvia la difficoltà crescente di leggere il labiale, soprattutto se in presenza di poca luce ed in ambiente rumoroso. Sindrome di Usher Tipo 3: si presenta solo nel 5% dei casi, e circa il 40% delle persone affette da tale sindrome vive nei Paesi Scandinavi. Il soggetto nasce normoudente e con un equilibrio stabile o lievemente compromesso, ma entrambe le facoltà peggiorano col passare del tempo, con significative variazioni in membri della stessa famiglia. La persona diventa sordastra in tarda adolescenza e progressivamente sorda in media o avanzata età adulta. Intorno ai 30-50 anni la sordità può diventare profonda. Sviluppa cecità notturna in pubertà e macchie cieche dopo l’adolescenza. Intorno ai vent’anni compare la visione a tunnel con deterioramento continuo della vista fino all’età adulta. Associata alla Sindrome di Usher vi è la Retinite pigmentosa, una malattia ereditaria degenerativa della retina che danneggia in fasi progressive la facoltà della vista, a causa del deterioramento dei bastoncelli e dei coni. Molte persone mantengono la capacità di percepire la luce, ma comunque anche in questo caso vi è una forte variabilità rispetto al periodo della comparsa e al grado di perdita della vista. I sintomi legati alla cecità notturna (dovuta alla degenerazione dei bastoncelli), comprendono la difficoltà a vedere al buio o in condizioni di minore luminosità, tanto di luce solare che 10 artificiale. Difficoltoso è anche l’adattamento visivo in caso di rapide variazioni delle condizioni di luminosità. Inoltre si può verificare la perdita della vista a livello periferico, con conseguente diminuzione del campo visivo (con riduzione che va sempre dall’esterno all’interno). L’esito è spesso la visione a tunnel in cui si riesce a vedere soltanto all’interno di un’area di forma circolare. Quando sono i coni a cominciare a degenerare vi è molta difficoltà a distinguere i particolari. Sono poi frequenti macchie cieche nel campo visivo. In generale il visus diminuisce molto lentamente col passare degli anni, tanto che è difficile arrivare ad una assenza completa di capacità visiva. A volte alla Retinite pigmentosa si somma la cataratta, molto più semplice da operare e che genera quasi sempre un miglioramento dell’acuità visiva. Per quanto concerne gli aspetti genetici la sordità con retinite pigmentosa può apparire in individui della stessa famiglia. La trasmissione è in prevalenza con eredità autosomica6 a carattere recessivo, mentre il tipo dominante è eccezionale. Entrambi i genitori sono portatori del gene, possono essere sani ed inconsapevoli di esserne portatori fino a che la malattia non si manifesta nel loro figlio. Spesso vi è un ritardo nella diagnosi, formulata di solito quando i disturbi visivi diventano evidenti.7 Si discute molto sulla possibilità di migliorare la condizione dei malati di Sindrome di Usher grazie all’impianto cocleare, il quale, secondo quanto ci dice ad esempio il Dott. Graziano Brozzi, è sconsigliato nella persona nata sorda, per via dell’incapacità di interpretare le parole, suoni che non conosce. Egli afferma inoltre che gli esperimenti con bambini sordociechi impiantati non hanno portato giovamento allo sviluppo della comunicazione orale, sebbene vi siano stati benefici rispetto ad un migliore orientamento nello spazio. Infine conclude affermando che per le persone con Sindrome di Usher gli studi effettuati dicono che l’I.C. è risultato più efficace per le persone con Usher di tipo 2.8 Il Servizio di Consulenza Pedagogica del Dott. Salvatore Lagati ha promosso a Trento, già una decina di anni fa, il Primo Convegno Nazionale sul tema “L’impianto cocleare per le persone sordocieche”, nel quale vi sono state testimonianze incoraggianti per via dei buoni risultati ottenuti nei soggetti che si sono sottoposti all’intervento. Si è riconfermato come l’intervento abbia un impatto positivo nella vita quotidiana delle 6 Un autosoma è un cromosoma non-sessuale, solitamente presente in duplice copia negli individui di entrambi i sessi. 7 Sindrome di Usher, “Voce Nostra”, 16-30 giugno 2006, pp.10-13. 8 Brozzi G., L’impianto cocleare, Comitato delle Persone Sordocieche del 10 aprile 2003, “L’Informatore Notizie”, maggio 2003, pp. 7-10. Questa è una delle posizioni all’interno di un deciso dibattito. 11 persone, in quanto un impianto cocleare bilaterale dà la possibilità di localizzare i suoni, sollevando di conseguenza la persona sordocieca dall’isolamento fisico in cui può venire a trovarsi.9 Ugualmente, la ricerca si sta da molti anni muovendo per trovare soluzioni contro la Retinite pigmentosa, ad esempio lenti che impediscano l’abbagliamento, la cura con luteina per aumentare l’acutezza ed il campo visivo, l’impianto di retina artificiale, l’intervento anticatarattoso, il trapianto delle cellule staminali, la somministrazione di vitamina A, il trapianto dei fotorecettori e dell’epitelio pigmentato retinico, la terapia fenica.10 2. Le conseguenze della malattia. Il tatto, il gusto, l’olfatto sono i sensi vicari che intervengono in caso di compromissione del canale sensoriale visivo unito a quello uditivo, i quali, da soli, veicolano all’uomo il 95% delle informazioni sul mondo. È per tale basilare ragione che un sordocieco non potrà mai arrivare a cogliere le informazioni ambientali in maniera completa, ma dovrà sempre dipendere da una buona traduzione, la quale non implica lunghe, dettagliate e complesse descrizioni, ma semmai brevi racconti che mettano a fuoco gli elementi più significativi. Questa sorta di parafrasi della realtà è possibile di fronte ad un soggetto che subisca la malattia attraverso una graduale perdita nell’età adulta, non invece se la privazione della vista e dell’udito compare alla nascita o comunque nella primissima infanzia, generando una situazione complessiva di terribile impatto. Se da una parte ciò significa ottenere per il bambino un quadro complessivo di estrema gravità, associato di solito a turbe comportamentali, è pur vero che acquisire 9 L’impianto cocleare per le persone sordocieche, “Fractio Panis”, maggio 2000, Servizio di consulenza pedagogica, Trento, p. 8. C’è anche chi ha constatato il fallimento del tentativo, fino a perdere il residuo uditivo, come la testimonianza anonima contenuta nel seguente articolo (nel quale tra l’altro si conferma l’assenza di benefici per persone con Sindrome di Usher di tipo 3 e di bambini con Sindrome di Usher del tipo 1: Coclear implant and Usher Syndrome, “Talking Sense”, n.3, 2001, 1 p.) 10 Per approfondimenti: Nuovi traguardi della ricerca sulla retinite pigmentosa, “Arco Baleno”, settembre 2000, pp. 4-21; Tomazzoli L., La retinite pigmentosa, “Luce e Amore”, n. 5, 2009, pp. 27-28, dove viene ben spiegata scientificamente la malattia; Guarnieri G., La sindrome di Usher. Seconda parte, “L’Informatore Notizie”, luglio 2003, pp. 4-10; Bassoli R., Dalla terapia genica una speranza per la retinite pigmentosa, “Il Mattino”, 13 ottobre 2003, 1 p. 12 cecità e sordità in età adulta provochi uno stravolgimento a livello psicologico, dato il grado di consapevolezza posseduto dalla persona, la quale molto probabilmente svolgeva una autonoma vita attiva, indipendentemente dal fatto di aver perso prima la vista e poi l’udito, o viceversa. Comunque sia, in entrambi i casi, deficit sensoriali plurimi in assenza di un tempestivo e massivo intervento rieducativo, porta inevitabilmente a conseguenze nefaste, ad esempio, con sordocecità congenita, la comparsa di gravi disturbi del comportamento (specialmente auto ed etero aggressività), chiusura emotiva, aumento delle stereotipie e delle autostimolazioni corporee. Nei casi di sordocecità acquisita, in presenza dunque di buone possibilità di sviluppo psico-sociale, la carenza di stimolazioni educative comporta una perdita di interesse verso il mondo esterno, depressione, con ripercussioni sullo stato di salute generale.11 Tra i bisogni che un sordocieco acquisito manifesta i più importanti sono: • La comunicazione: espressione dei propri bisogni primari legati alle esigenze della propria persona a partire dal corpo, e necessità di rapporti interpersonali; dunque esigenze più complesse di socializzazione che toccano l’affettività e l’autostima nel senso della percezione di sentirsi attivi e utili nel contesto di vita o lavorativo; • L’autonomia: apprendimento di nuove abilità nell’ambito delle attività della vita quotidiana, favorendo in particolare l’indipendenza di movimento; • Il benessere psicologico: bisogno di contatto fisico, di rapporti empatici, di gestione dell’ansia attraverso interventi graduati e progressivi; • Le prestazioni sanitarie: controllo periodico della patologia cronica e della comorbidità attraverso il parere e la supervisione degli specialisti; mantenimento e sviluppo della funzionalità sensoriale residua, affidandosi anche alle nuove frontiere aperte dalla tecnologia, in continuo aggiornamento e mutamento.12 11 Carrella L., La sordocecità e la riabilitazione possibile: l’esperienza della Lega del Filo d’Oro, Opuscolo informativo della RSD di Lesmo, p 4. 12 Ivi, p. 5. Da più parti si sottolinea come il problema più ostico per un sordocieco sia quello della comunicazione. Pimpinella A. evidenzia in un suo articolo quanto ciò sia dovuto alla diversità dei sistemi di comunicazione che impone una maggiore difficoltà ad esternare emozioni, provocando stress, stati d’ansia e altri effetti psicosomatici. In collaborazione con l’I.Ri.Fo.R., nel luglio 2007 a Camerano (AN), ha collaborato ad un progetto di Psicologia del Benessere, ovvero ad una disciplina che insegna ai sordociechi delle tecniche di rilassamento, attraverso la ricerca di metodologie che superino la percezione visiva e uditiva. Un esempio ne è il palloncino gonfiato a contatto col corpo che consente di percepire le vibrazioni prodotte dalla musica in fase di rilassamento. Pimpinella A., Le persone sordocieche e la psicologia del benessere, “Oltre il Confine”, I.Ri.Fo.R., novembre-dicembre 2007, pp.7-8. 13 Con Sindrome di Usher il percorso di adattamento alla perdita di entrambe le facoltà è estremamente doloroso e complicato da gestire, seppur nella estrema variabilità dei casi. La presenza di un residuo uditivo permette lo sviluppo del linguaggio parlato e scritto; il peggioramento visivo richiede una continua ricerca dell’ausilio più idoneo a mantenere una buona qualità di vita. Ma in generale la persona soffre per la difficoltà di integrarsi nella quotidianità e nel contesto lavorativo, anche nelle più normali azioni, soprattutto in ambienti bui o rumorosi. Le conseguenze psicologiche e d’ordine pratico sono numerose: sensazioni d’angoscia, stato continuo d’ansia, frustrazione, isolamento, depressione, caduta della fiducia e dell’autostima, difficoltà a comunicare, ad orientarsi, a muoversi autonomamente, a intessere relazioni interpersonali, a concentrarsi, tanto nello studio quanto nel lavoro. Inoltre la persona è a conoscenza del carattere degenerativo della malattia, e dunque deve disporsi a piegarsi a continui cambiamenti, che per quanto lenti possano essere, sono sempre invasivi della propria intimità e del proprio modus vivendi. Si tratta insomma di un adattamento traumatico, che dura tutta la vita, al quale si può reagire in un unico modo, con coraggio: «Ripercorrendo la mia storia ho anche realizzato che si arriva ad un bivio: o si è passivi e completamente dipendenti dagli altri, o si ricerca nelle relazioni affettive la propria serenità. Io ho optato per la seconda strada, coltivando interessi culturali e praticando il tiro con l’arco per non vedenti, sport “di testa” dove l’equilibrio e la lucidità mentale sono gli elementi più importanti. Da tre anni sono cieca assoluta: questa condizione ha fatto sì che ho raggiunto una tranquillità e una serenità, grazie anche all’amore e al sostegno dei miei familiari ed amici. Un grande aiuto è anche Rudy, il mio cane guida, che mi ha permesso di raggiungere l’80% di autonomia e per il rimanente 20% chiedo aiuto a chi mi sta vicino. Il tiro con l’arco mi ha consentito di ristabilire l’equilibrio tra testa e corpo e vorrei chiudere con una metafora: ogni volta incocco una freccia nell’arco e punto sul paglione, ottenendo un risultato. Poi, prima di passare alla freccia successiva, devo azzerare tutto, ricominciare da capo e mirare ad un nuovo obiettivo. Questo è quello che ho dovuto fare ogni volta in questi ultimi quindici anni durante i quali ho perso la vista, per raggiungere l’equilibrio e la serenità che ho adesso».13 Oggi la ricerca si occupa di trovare trattamenti che possano bloccare la progressione della malattia, ma essenziale resta una diagnosi precoce, non soltanto per 13 Sorba R. (affetta da Sindrome di Usher), Sindrome di Usher, “L’Informatore Notizie”, dicembre 2008, p. 16. 14 consapevolizzare il paziente circa gli effetti della malattia, bensì per disporre tempestivamente dei necessari supporti, al momento giusto, compreso il sostegno dei propri cari. Per tutti i sordociechi la sola pratica diagnostica medica, l’esatta misura oftalmologica e audiologica, sono di rilievo secondario se paragonati al rispetto che la persona necessita nella sua completezza e singolarità.14 Si tratta anche di qualità della vita, concetto scontato, forse banale, per i cosiddetti normodotati, che si basa fondamentalmente sulle seguenti possibilità: - AVERE: si riferisce allo standard generale, materiale di vita, ovvero al soddisfacimento dei propri bisogni fisici, all’accesso all’istruzione e all’informazione, alla vita sicura con tutti i suoi comfort tecnici e tecnologici; - AMARE: si fa riferimento alle relazioni interpersonali, ossia a identità, rispetto, relazioni sociali, solidarietà, stima; - ESSERE: riguarda il coinvolgimento e la partecipazione, e quindi la possibilità di sviluppare il proprio potenziale e la propria personalità, di partecipare attivamente al proprio ambiente, sviluppando un senso di appartenenza.15 Scaturisce da questa analisi la domanda: siamo in grado, con i nostri Servizi, con le nostre ricerche tecnologiche e con le nostre Leggi, di portare un sordocieco alla propria auto-realizzazione, senza che sperimenti, tragicamente, una condizione di alienazione? Un altro punto dolente è dovuto alle conseguenze della sordocecità quando viene acquisita in età avanzata, poiché oltre ad aumentare il numero delle persone sordocieche anziane, aumenta la vita media dei disabili in generale, sordociechi inclusi.16 Sordociechi acquisiti, molti dei quali con Sindrome di Usher (gruppo caratterizzato da forte dispersione territoriale), desiderano fermamente continuare a vivere da sole nella propria abitazione. Si pone pertanto il problema di garantire un’assistenza domiciliare all’altezza della situazione (interpreti, aiuto domestico, ausili tecnici, personale infermieristico). Ma quando subentrano problemi sanitari seri, ingestibili all’interno dell’ambito domestico, devono essere inseriti in strutture residenziali, evento che può essere vissuto come traumatico, in quanto la persona si sente sradicata dalla propria radice che per lei è tutto, è tutto il suo universo, come per 14 La realtà della persona sordocieca. La definizione di sordocecità ed i problemi connessi al suo uso, Progetto Horizon, Corso di Formazione per beneficiari intermedi, 1998-1999, Lega del Filo d’Oro, Osimo, 1999, p. 2. Questo punto di vista, pubblicato nel 1975, è di Erik Allardt, estremamente chiaro e rilevante. 15 Ivi, pp. 8-10. 16 Broccolo A., Anziani sordociechi e pluriminorati psicosensoriali, “L'Informatore Notizie”, aprile 2007, p 7. 15 chiunque di noi, del resto. Ed è qui che subentra il tempestivo intervento delle organizzazioni che si occupano di sordocecità.17 Bisogna quindi porre l’accento sulla prevenzione, anche perché molti anziani che soffrono di problemi gravi uditivi/visivi non si riconoscono nella “categoria sordociechi” sottovalutando o negando il problema, sfuggendo così alle casistiche e a servizi idonei alla loro cura. È vero che la perdita sensoriale viene considerata una parte naturale del processo di invecchiamento, ma mentre alcune minorazioni possono essere legate a questo processo normale che coinvolge tutti gli individui, altre sono legate alla malattia negata della sordocecità. Più che perdersi in definizioni di cosa sia o non sia naturale, sarebbe bene anticipare il problema, formarsi culturalmente riguardo alla vecchiaia.18 William Green pone l’accento sull’impossibilità di identificare la popolazione sordocieca anziana, senza che vi siano entrambe queste condizioni: - il riconoscimento della sordocecità in ogni Paese; - una definizione comune della sordocecità in tutti gli Stati. Siccome la popolazione sordocieca è per sua definizione fortemente eterogenea, è decisivo formare un’identità a cui possano far riferimento anche i sordociechi anziani.19 Entrando più nel merito delle differenti caratteristiche delle persone affette da sordocecità acquisita e congenita, riportiamo i risultati di una recente ricerca condotta sulla popolazione sordocieca del Canada, condotta tramite uno strumento di valutazione standardizzata, la quale ci fornisce interessanti spunti di riflessione, soprattutto rispetto alla speciale condizione (delineata in apertura) nella quale si trovano i sordociechi acquisiti.20 Sono stati confrontati 182 adulti con diagnosi di sordocecità congenita e acquisita, analizzando in tabelle standardizzate le caratteristiche personali dei partecipanti. È emerso che una percentuale maggiore di persone con sordocecità acquisita, rispetto all’altro gruppo, aveva una vita quotidiana indipendente (dal punto di vista strumentale e di attività) e possedeva una persona significativa nella loro vita, migliori capacità di 17 Ivi, pp. 9-10. Ivi, p. 11. 19 Ivi, p. 13. 20 Dawn M. Dalby e altri, Caratteristiche delle persone affette da sordocecità acquisita e congenita, “Handicap Grave”, Edizioni Erickson, Vol. 10, n. 3, settembre 2009, pp. 297-309. Per un approfondimento della sordocecità infantile si veda il seguente studio, in cui l’autore si interroga sulla difficoltà di separare o gerarchizzare il problema della sordocecità dall’autismo e dal ritardo mentale: Dammeyer J., Interazione tra menomazione plurisensoriale, funzioni cognitive e comunicazione nelle persone affette da sordocecità congenita, “Handicap Grave”, Edizioni Erickson, Vol. 12, n. 2, maggio 2011, pp. 237-245. 18 16 mobilità, orientamento e discriminazione tattile, minori o assenti compromissioni cognitive, migliori possibilità con la comunicazione espressiva (linguaggio parlato, scrittura manuale o stampata, di contro al maggior uso di segni, gesti o comportamenti idiosincratici dei sordociechi congeniti). La maggior parte dei partecipanti mostrava una mentalità positiva, trovando un significato nella vita quotidiana, e più della metà evidenziava livelli da medi ad alti di coinvolgimento sociale, nonostante molti di loro ammettessero le difficoltà spesso estreme nell’interagire con gli altri, dato prevalente trai sordociechi congeniti. Non vi erano differenze significative dal punto di vista del dolore, dell’instabilità della salute e della presenza di sintomi di depressione. Ma i CAPs (Protocolli di valutazione clinica) che forniscono dati su cui costruire i servizi assistenziali centrati sul singolo, mostrano che il gruppo con sordocecità acquisita manifestava una probabilità molto più alta di sentire la mancanza di attività fisica, di incorrere in abuso d’alcol e di provare sentimenti di profonda solitudine. Ciò, probabilmente, concludono gli studiosi, è dovuto alla difficoltà di adattarsi progressivamente alla duplice disabilità, avvertita come la perdita di un ruolo. Nonostante le loro abilità funzionali e sociali siano più evolute rispetto all’altro gruppo, essi riferiscono di sentirsi più frequentemente soli ed isolati. Una concausa potrebbe esser rappresentata da un livello minore di servizi di assistenza per questo gruppo (molti lamentano l’assenza di misure di prevenzione sanitaria basilari, come il monitoraggio della pressione sanguigna, le vaccinazioni anti-influenzali ed esami di vista/udito). Tuttavia sono dati che potrebbero anche riflettere la difficoltà di valutare costrutti poco oggettivabili, come appunto la solitudine e la depressione. Leggiamo come vengono riassunti i rischi a cui un adulto affetto da Sindrome di Usher è sottoposto: «Mancanza di accesso alle informazioni; difficoltà di comunicazione ed interazione con le altre persone; rischio di isolamento culturale e sociale; difficoltà od impossibilità alla mobilità autonoma ed indipendente; difficoltà di integrazione sociale, problemi legati al tempo libero, al lavoro; problemi di relazione con i familiari».21 Infine, un ultimo problema che ci preme sottolineare è quello dei metodi educativi in caso di sordocecità. Le persone che, già sorde, perdono la vista intorno ai trentaquarant’anni, oltre a doversi riconoscere nella nuova etichetta di “sordociechi”, tendono spesso a chiudersi in se stesse, senza agire per tempo, ovvero senza voler imparare il Braille ed altre tecniche legate al tatto, il che sarebbe l’unica strada per tornare ad 21 Guarnieri G., La sindrome di Usher: sordità e retinite pigmentosa. Prima parte, “L’Informatore Notizie”, maggio 2003, p. 23. 17 essere uomini operosi, utili, culturizzati e socievoli. Essi rischiano di diventare analfabeti. “Analfabeti strumentali” sì, ma pur sempre incapaci di leggere e scrivere, e dunque destinati all’isolamento.22 In un interessante articolo23 si racconta della delicatezza, della spontaneità e della naturalezza con la quale un buon educatore può insegnare ad un sordocieco le bellezze del mondo che lo circonda, passo dopo passo, con meticolosità, attraverso l’uso fine del tatto, e non certo per mezzo di lezioni ex cathedra. L’intelligenza, unita alla volontà ed alla motivazione, possono operare una sorta di armonia tra i vari sensi, ma è appunto il sostegno educativo a fare la differenza. Sabina Santilli, sordocieca fondatrice della Lega del Filo d’Oro (vedi paragrafo successivo) ha goduto del costante aiuto della numerosa famiglia, della sorella e dell’intervento, studiato fin nei minimi particolari, di Augusto Romagnoli e della moglie, a loro volta supportati dai consigli di Giuseppe Lombardo-Radice, per la risoluzione d’ogni problema emergente; Helen Keller (vedi paragrafo seguente) ebbe lungo tutto il corso della vita la sua encomiabile maestra Anna Sullivan; Eugenio Malossi (Cap. III) venne magistralmente riabilitato da Domenico Martuscelli e da Francesco Artusio. Dobbiamo dunque chiederci se la rieducazione di un sordocieco, congenito o acquisito poco importa, debba affidarsi alla buona sorte di trovare l’educatore giusto, o se quell’indispensabile passaggio dal segno al simbolo potrà venire elargito a tutti i sordociechi attraverso i nostri Servizi polivalenti, ed una specifica, approfondita, mai conclusa, formazione dell’educatore. L’obiettivo (il sogno?), è che la politica scolastica, la pedagogia, le Istituzioni si incontrino e lavorino assieme. L’educatore, nel suo lavoro con il sordocieco, è sottoposto ad un grande stress emotivo, poiché è costretto ad entrare nei ritmi di una persona particolare, è sempre in bilico tra il “fare troppo” ed il “fare troppo poco”, tra “efficientismo” e “apparente noncuranza”. Deve davvero imparare a sintonizzare la propria mente ed il proprio corpo con un mondo misterioso rappresentato dalla persona sordocieca che si muove con tempi, ritmi e modalità di non sempre facile interpretazione. Le seguenti parole, valide in verità nell’approccio con la disabilità in generale, sono particolarmente azzeccate e dense di significato se rapportate al nostro problema: «Il lavoro dell’operatore è ad alto grado di responsabilità e frustrazione: responsabilità in quanto si considera necessario raggiungere un risultato, frustrazione per la disarmonia del processo evolutivo di 22 La distinzione tra analfabeta e analfabeta strumentale si trova in Guarnieri G., I sordociechi e l’importanza del Braille, “L’Informatore Notizie”, n. 3, 2001, p. 5. 23 Banchetti S., Annotazioni storiche sul recupero dei sordociechi, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 2, 2003, pp. 1-10. 18 apprendimento. Date le problematiche croniche e i miglioramenti molto lenti, si possono causare sentimenti di colpa o aggressività. Alcune volte si mascherano tali sentimenti con efficientismo e rapidità, meccanismi che in realtà servono a mascherare l’ansia, ma a volte vissuti come positivi dall’ambiente e quindi anche esasperati. Questo conduce ad una possibile reificazione della persona, non sentita come naturale interlocutore e non compresa nella sua libera autonomia esistenziale. La persona disabile ha una difficoltà di base che implica distorsioni nell’apprendimento, nell’autonomia e nella socializzazione. La persona disabile ha ridotte e a volte insoddisfacenti contatti con gli altri a causa della distorsione del processo comunicativo. Si può dire dunque che entrambe le categorie possono presentare difese alla frustrazione e condizionare il rapporto con reciproca aggressività. Come affrontare il vissuto negativo della relazione: • chiarirsi con se stessi: definire i propri valori personali e le proprie aspettative e distinguerli da quelle dell’altra persona. • Non identificare il proprio lavoro con il risultato finale: la disarmonia del processo evolutivo, le regressioni nei diversi settori dell’apprendimento, la lentezza dei miglioramenti sono legati alle difficoltà oggettive del disabile. • È necessario avere riferimenti culturali per saper ricondurre certi comportamenti ad una spiegazione».24 L’operatore è obbligato ad apprendere il valore del linguaggio non verbale: lo spazio prossemico, l’ecologia comunicativa (l’ambiente della comunicazione), gli indicatori paralinguistici (momenti di pausa, rossore, sudorazione, etc.), le espressioni del viso, i movimenti del corpo, i gesti, le sensazioni tattili ed olfattive, il contatto visivo (ove possibile). Deve sviluppare gradatamente una sensibilità a tutti questi indicatori e farne un uso congeniale allo stato d’animo in cui la persona sordocieca versa in quel momento. Non sono infatti rari i casi di giornate in cui lo stato d’ansia, di frustrazione e di sofferenza prevalga su tutto il resto, compreso il clima di fiducia che l’operatore poteva considerare un traguardo ormai raggiunto. Di fronte ad una richiesta d’aiuto, che può essere espressa in maniera soltanto agita, ad esempio attraverso uno stato di agitazione motoria, l’educatore deve essere pronto ad intervenire attraverso il contatto corporeo e la verbalizzazione di frasi che indaghino la causa del malessere, senza servirsi di un linguaggio complesso e senza sovra interpretare quanto afferrato, in una 24 Mondani L., Popolazione sordocieca e pluriminorata psicosensoriale, Corso di Formazione di base per Volontari, gennaio 2005, Osimo, pp. 17-18. 19 relazione d’ascolto che soltanto così diventa una vera e propria relazione d’aiuto. L’invio del feedback, che altro non è se non una riformulazione del messaggio, di solito abbassa il livello d’ansia della persona sordocieca, la quale sente la protezione di un mediatore che attraverso un atteggiamento empatico è in grado di comprendere un bisogno specifico. L’atto fisico, del toccare l’altro, è per l’operatore una necessità imprescindibile, dato che la persona sordocieca non può avvertire la presenza dell’operatore se questi “non si lascia sentire”. Una adeguata e specialistica formazione consente all’operatore di acquisire gli strumenti necessari per gestire la complessità comunicativa che il sordocieco porta con sé, eppure, parallelamente, l’operatore deve imparare a sviluppare un’ottima capacità di autocontrollo, di gestione consapevole delle proprie emozioni e dei propri vissuti, onde non cadere nello stato sopra descritto. Il coinvolgimento non può essere troppo profondo, è necessario che siano sempre dichiarati il ruolo ed il riconoscimento/distinzione dell’identità personale. Se l’operatore comincia a prendersi in carico la vita dell’altro, manifestando sentimenti inopportuni come onnipotenza o vittimismo, produrrà una distorsione del lavoro educativo, perché le richieste, i bisogni, la comunicazione nel suo insieme, verranno filtrati attraverso le sue sensazioni ed emozioni, e non più per quel che vogliono in realtà significare o rappresentare. Vi sono delle procedure standardizzate di interazione/cooperazione che tutto il personale dovrebbe condividere nella relazione con quella persona specifica, rimandandole così un quadro non ambiguo di quanto si può fare, ottenere ed ambire in un determinato contesto. Dall’altra parte però, un lavoro quotidiano con persone sordocieche, dal ritmo serrato e sovente in condizioni non ottimali, in cui in particolare l’educatore si trova a gestire contemporaneamente più richieste, obbliga il datore di lavoro a riflettere sulla necessità imprescindibile che l’operatore abbia momenti di decompressione e di distacco. L’educatore è virtualmente sempre a rischio, un rischio spesso sottovalutato, vivendo egli con l’utenza un rapporto stretto, a volte viscerale, che passa attraverso la comunione di ogni momento della vita quotidiana, con tutti i suoi ‘quid’ e i suoi ‘se’.25 25 Ripresa e approfondimento di Gatto L., La comunicazione come momento riabilitativo: il ruolo dell’operatore, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 3, 2006, pp. 1-6. 20 3. Dentro la sordocecità. Per comprendere più a fondo il dramma che la sordocecità comporta è necessario osservarla dal di dentro, attraverso il racconto di chi la vive in prima persona. E si giunge inevitabilmente a scoprire che esiste un piccolo-grande mondo di persone con questa disabilità, che del proprio dramma hanno fatto una redenzione, e senza vittimismo affrontano le innumerevoli difficoltà insite in tale stato, che per sua natura allontana dal contesto sociale, potremmo dire una condizione estraniante, isolante, se lasciata a se stessa. Ricordiamo innanzitutto la figura di Sabina Santilli, fondatrice della Lega del Filo d’Oro. Nasce a San Benedetto dei Marsi, in provincia dell’Aquila, nel 1917. Bambina di particolare vivacità intellettiva (tanto che a sei anni viene ammessa in seconda elementare), fu colpita all’età di sette anni da una forma acuta di meningite, che le causò l’immediata e simultanea perdita della vista e dell’udito. Così lei stessa descrive il periodo immediatamente successivo al quel terrificante, devastante, e improvviso evento: «Tornata dall’ospedale, due mesi più tardi, non badavo, non volevo pensare al mio difetto nel vedere, del resto quel poco di luce che percepivo ancora, bastava a fornirmi l’illusione di vedere, come pure il ronzio delle orecchie contribuiva a farmi credere di sentire rumori e voci; eppure sapevo di non cogliere le forme e i colori né le parole, ma non volevo dirmelo».26 Nonostante fosse tanto piccola, tentò di reagire presto continuando ad occuparsi delle faccende domestiche, delle sorelle minori, e cercando di comunicare attraverso i gesti o utilizzando la scrittura in stampatello sul palmo della mano. Ma a dare una svolta a tutta la sua esistenza fu l’incontro con Augusto Romagnoli, nel 1926, che divenne suo insegnante e mentore, inserendola nel proprio Istituto. Lui stesso volle preparala alla Prima Comunione, spigandole il significato di ogni passaggio del rito, la dottrina cristiana e gli episodi della Bibbia. Di frequente li si vedeva passeggiare per il giardino della Scuola, mentre il Direttoreeducatore la istruiva, ed era divertito dalle sue risposte vivaci ed argute. Quando le spiegò che Dio, la Madonna e i Santi stavano in cielo, lei di rimando chiese: “ma quando piove non scendono giù?”.27 Le insegnò anche la lingua italiana, poiché lei parlava ancora il dialetto abruzzese, e inoltre apprese velocemente l’alfabeto Malossi (vedi Cap. IV) con il quale conversava 26 27 Guarnieri G. La vita di Sabina Santilli. Prima parte, “L’Informatore Notizie”, maggio 2002, p. 15. Ivi, p. 16. 21 con tutti, visto che il Professore aveva dato disposizione affinché tutti imparassero a parlare con lei. Imparò anche il Braille per poter seguire regolarmente le lezioni scolastiche come i suoi compagni.28 Il buon reinserimento nella famiglia e nell’Istituto non le bastò. Volle ampliare la sua partecipazione alla vita della società e dal 1950 cominciò una fitta corrispondenza con i sordociechi, in modo particolare con coloro che erano malati, abbandonati o ricoverati nei manicomi. E per rendersi conto della gravità in cui versavano questi suoi amici viaggiò molto, a Milano, Torino, Pozzuoli, Roma, cominciando a ipotizzare dei programmi di soccorso e a rivolgersi ad Associazioni che secondo il suo parere avrebbero potuto realizzare i suoi piani. Tuttavia, non ricevendo accoglienza alle sue richieste, si buttò decisa sul lavoro nella sua stanza a S. Benedetto dei Marsi, e fu lì, in quel piccolo spazio di grandi idee, che nacque La Lega del Filo d’Oro, già nella sua mente dal 1948 allorché lesse un articolo sui sordociechi tedeschi. A quarantasette anni, nel 1964, prese corpo l’Associazione, inizialmente familiare, con l’essenziale appoggio della sorella Nina, insegnante presso la Scuola del Romagnoli, che divenne la Segretaria dell’iniziativa. E sempre assieme a lei venne aperta la prima scuola per sordociechi rieducabili a S. Biagio in Osimo.29 Intervistata da un giornalista del quotidiano Tempo, Sabina illustrò la sua opera e le sue finalità: «La pluriminorazione comporta una problematica che ci differenzia profondamente da quella dei semplici ciechi e dei semplici sordomuti, che esige soluzioni differenti, molto più complesse, che variano da individuo ad individuo. Vi sono sordociechi psichicamente normali, per questi non bisogna mai attendere, perché se bambini, non perdano nulla della parte che loro spetta della vita –cosa possibile solo mediante una metodologia pedagogica tutta speciale-, e perché se adulti, si provveda tempestivamente al loro riadattamento adeguato –prima che la disperazione, la pesantezza oppressiva di intendersi con gli altri, non li sopraffacciano con gravi conseguenze psicologiche e sociali. Conoscendo già i progressi fatti all’estero nell’assistenza ai non vedenti privi di udito e considerando il fiorire della loro esistenza in seno ad organizzazioni proprie, non appena qualcuno si associò alla mia idea prestandomi una mano, decidemmo insieme a questi, di costituire anche in Italia, un’Associazione Nazionale per la tutela e l’assistenza dei non vedenti privi di udito: la “Lega del Filo d’Oro –sul modello della “Lega Nazionale di Aiuto per Sordociechi”, in 28 29 Ibidem. Guarnieri G., La vita di Sabina Santilli. Seconda parte, “L’Informatore Notizie”, agosto 2002, pp. 6-7. 22 Inghilterra e con scopi più affini a quelli dell’“Anna Sullivan Macy Service” negli U.S.A. L’azione della Lega del Filo d’Oro va oltre quella assistenziale di molte categorie: ricerca i sordociechi, fornisce assistenza medica preventiva e riabilitativa, dà consigli e assistenza sociale alle famiglie con figli sordociechi. Voluti dalla Lega del Filo d’Oro, sono nati i soggiorni estivi, i quali sono una parentesi di sollievo per i partecipanti sordociechi che nel clima salubre trovano svago, compagnia, assistenza, amicizia e grazie ai volontari, possono conoscere il mondo esterno, la natura, i monumenti e i musei importanti. I soggiorni estivi molto frequentati, tolgono per qualche settimana i sordociechi dal triste ed opprimente isolamento. “Trilli nell’Azzurro” è l’organo della Lega del filo d’Oro che porta ai sordociechi e agli associati informazioni di quanto si realizza in sodalizio».30 Per la sua opera straordinaria ed instancabile, nel 1988 ricevette una delle più alte onorificenze conferite dalla Chiesa, la Croce pro Ecclesia et Pontifice, evento da lei vissuto come una festa da dedicare a tutti i sordociechi, ossia alla loro voglia di riscatto umano e sociale. Ciò che più colpisce nel leggere Sabina è la sua assoluta mancanza di ripiegamento su se stessa, il fatto che le privazioni subite abbiano rafforzato la sua voglia di comunicare e compiere qualcosa di grande per gli altri.31 A tal proposito toccante la descrizione che ci ha lasciato la sorella: «[…] una piccola donna dai modi dolci e schivi, ma che ha saputo scolpire la sua vita nel granito di una volontà tenace. […] Intelligenza, tenacia, dolcezza e umiltà: è questo il quadrinomio che ha fatto di Sabina Santilli l’Helen Keller italiana».32 La citazione ci porta direttamente da lei, l’americana Helen Keller (conosciuta per la trasposizione cinematografica e teatrale Anna dei miracoli). Ella rappresenta per i sordociechi una sorta di punto di riferimento spirituale. Pur non trattandosi nel suo caso di sordocecità acquisita (essendo rimasta sorda, cieca e muta all’età di diciotto mesi a seguito di una forma di meningite o scarlattina, ignota ai medici del tempo), ed esulando quindi dall’interesse primario del presente lavoro, credo meriti di esser citata e raccontata, essendosi trasformata, da adulta, in una strenua difensora dei diritti delle persone con disabilità, rimanendo uno dei più sfolgoranti esempi di forza ed intraprendenza per tutti i sordociechi. 30 Ivi, pp. 7-8. La “Luce” di Sabina Santilli, “Trilli nell’Azzurro”, Attualità, novembre-dicembre 2003, 1 p. 32 Grassini A., “La luce dentro”: un ritratto interiore di Sabina Santilli, “Tiflologia per l’Integrazione”, Recensioni, n.4, 2004, pp. 280-281. Vedi anche l’intervento di Angela Pimpinella nella 3ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, e di Loda Santilli nella 4ª, al sito Internet www.fradinoi.it. 31 23 Nasce il 27 giugno del 1880 a Tuscumbia, in Alabama. I genitori le furono sempre accanto, in ogni modo possibile, e nella ricerca di ogni novità che potesse aiutare la figlia, furono colpiti da un resoconto di Charles Dickens, il quale su American Notes scriveva di una bambina sordocieca che era riuscita infine a frequentare la scuola di Boston. Così contattarono l’Istituto, e all’età di sei anni Helen cominciò ad esser seguita da Anne Mansfield Sullivan, ventenne insegnante della Scuola per non vedenti Perkins, parzialmente cieca, la quale fece entrare in contatto la bambina con il linguaggio dei segni ed il Braille (all’età di sette anni utilizzava già 60 segni per comunicare con i suoi genitori). Inizialmente la Sullivan chiese di isolare la bambina dal resto della famiglia, che sino ad allora l’aveva molto viziata per compensare la sua perdita. Si stabilirono in una dependance nel giardino di casa Keller e qui l’insegnante le fece scorrere sulla mano dell’acqua fredda, per far comprendere alla piccola il concetto di “acqua”, primo passo per favorire la capacità di comunicare. Da quel momento Helen cominciò a chiedere il nome di ogni oggetto e la Sullivan disegnava le lettere sulle sue mani, e continuò anche quando fu il tempo di studiare libri di testo e ascoltare le lezioni universitarie. Per la conversazione Anne utilizzava il Tadoma (Vedi Cap. IV). Quattro anni dopo Helen imparò a parlare grazie all’aiuto di Sarah Fuller; frequentò la scuola specialistica della Sullivan, poi un’altra a New York, e nel 1898, a diciott’anni, entrò nella Scuola per giovani dame di Cambridge. Due anni dopo si iscrisse al Radcliffe College, e nel 1904 conseguì la laurea in arte con lode, divenendo la prima persona sordocieca a laurearsi in un college (aveva soltanto venticinque anni). Instancabile fu la sua attività in difesa dei disabili, possiamo dire una vera e propria crociata. Nel 1915 entrò a far parte del Consiglio d’Amministrazione del Fondo di Guerra per il soccorso dei ciechi permanenti; nel ’24 istituì il Fondo di dotazione Helen Keller e si unì allo staff della Fondazione Americana per Non Vedenti, in qualità di consigliere delle relazioni nazionali ed internazionali. Nel 1925 parlò alla convention dei Lions Clubs International a Cedar Point, in Ohio, e persuase i Lions a diventare i “Cavalieri dei ciechi nella crociata contro le tenebre”. Nel 1946 divenne consigliere nelle relazioni internazionali per conto della Fondazione Americana per i Non Vedenti Oltreoceano, e visitò trentacinque paesi. Il film sulla sua vita, “Helen Keller in Her Story” ricevette un Oscar dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences come miglior film documentario. Apparve 24 pubblicamente l’ultima volta nel 1961 a Washington D.C. e ricevette il Lions Humanitarian Award alla carriera. Morì il primo giugno del 1968, all’età di 87 anni. Il suo antico appello ai Lions ispirò l’Organizzazione Internazionale ad adottare il “Programma di Conservazione della vista e del lavoro con le persone non vedenti”, considerato di primaria importanza. Nel ’71 i Lions dell’Alabama le dedicarono vari doni commemorativi tra cui l’Helen Keller Memorial Park, nelle sue terre natie, note come Ivy Green.33 Leggiamo parte del suo discorso ai Lions, per costruirci un’idea della grinta e della spinta sognatrice di Helen: «Cari Lions e Gentili Signore, immagino che conoscerete la leggenda che descrive l’opportunità come una signora capricciosa che bussa una sola volta ad ogni porta e, se la porta non viene aperta immediatamente, va oltre e non torna mai indietro. Ed è così che dovrebbe essere. Le signore piacenti e desiderabili non aspettano. Dovete uscire ed afferrarle. Io sono la vostra opportunità. Sto bussando alla vostra porta. Voglio essere adottata. La leggenda non dice che cosa dovete fare quando molte ottime opportunità si presentano alla stessa porta. Immagino che dovreste scegliere quella che preferite e spero che adotterete me. Io sono la più giovane qui e ciò che vi offro è splendido di ottime opportunità di servizio. […] Avete sentito come tramite una piccola parola trasmessa dalle dita di un’altra persona, un raggio di luce da un’altra anima ha toccato le tenebre della mia mente ed ho scoperto me stessa, ho scoperto il mondo, ho scoperto il Signore. Grazie alla mia insegnante, ho scoperto me stessa e sono riuscita a dissipare le tenebre, la prigionia che mi attanagliava e sono in grado di lavorare per me stessa e per gli altri. L’interesse è ciò che desideriamo più del denaro. Il dono senza la simpatia e l’interesse da parte del 33 Non possiamo non menzionare l’importante Centro Regionale “Helen Keller” di Messina, che ispirandosi alla sua opera, nasce con lo scopo di dotare ipovedenti e non vedenti dei più efficaci strumenti di integrazione sociale, soprattutto attraverso corsi di orientamento, mobilità e autonomia personale. Vedi Terranova G., Centro regionale Helen Keller; Milano P., Relazione sulle attività svolte all’interno del corso di autonomia personale; Fallo C., Corso di orientamento e mobilità e autonomia personale; Arcidiacono M., Interventi di riabilitazione plurisensoriale; Strano R., Interventi sulla attività teatrale e attività manuale, “Oltre il confine”, I.Ri.Fo.R., ottobre 2004, pp. 1-15. (Da qui è tratto il precedente riassunto della vita della Keller, oltre che da Ambrosioni C., I miracoli di Helen, “Lisdha News”, n. 61, aprile-giugno 2009, pp. 2021. Vedi anche Helen Keller: una vita per gli altri, intervento alla 5ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche di Sifola M. e Demurtas M. A., sito Internet www.fradinoi.it). Sempre Terranova precisa alcune iniziative del Centro: Scuola di cani guida per ciechi; corsi di autonomia domestica, personale ed informatica; corsi di educazione alla motricità fine ed al coordinamento bimanuale attraverso la scultura ed altre attività manipolatorie ed espressive; corsi di orientamento e mobilità sui campi da neve ed in barca a vela. Vedi Terranova G., Solo con i miei occhi, “Il Corriere dei Ciechi”, novembre-dicembre 2009, pp. 9-10. 25 donatore non ha valore. Se siete interessati, se possiamo far sì che le persone di questo meraviglioso paese s’interessino, i ciechi trionferanno senz’altro sulla cecità».34 Commovente il richiamo continuo alla sua Maestra, il sentimento di debito, o meglio di unità che le spronava sulla stessa strada. Possiamo dire che Anne fu per Helen ciò che Augusto fu per Sabina: un insegnante, una amica, una guida, qualcuno direbbe un angelo custode. Grazie a lei imparò a sentire le vibrazioni prodotte dal parlato, dal canto (pose le dita sulle labbra di Enrico Caruso), dalla musica con il violino. Imparò da lei tante attività, persino a nuotare, suonare, cavalcare e andare in tandem. «Nel 1936 Anne, da sempre debole di vista, dopo un’operazione agli occhi, diede l’ultimo addio a Helen, la sua pupilla, la sua eroina, il suo capolavoro. Erano state, l’una per l’altra, tutto. Insieme avevano scoperto la vita, insieme si erano realizzate, insieme avevano fornito al mondo uno di quegli esempi di abnegazione che danno la misura di quanto possano essere grandi le forze dei più deboli, se solo sanno farne tesoro e metterle in campo».35 «La signorina Sullivan aveva l’arte di spiegare le cose più astruse presentandole sotto forma di una bella storia o poesia… aveva una straordinaria attitudine alla descrizione... sorvolava sui particolari e non mi annoiava mai con domande per vedere se ricordavo le lezioni passate. Mi introduceva nell’arido tecnicismo della scienza a poco a poco vivificando talmente tanto ogni argomento che non ho potuto più dimenticare quello che mi insegnava... La sua genialità, la sua simpatia e il suo amore allietarono i primi anni della mia vita... Capiva che la mente di un bimbo è come un ruscello che scorre e spumeggia sopra il letto petroso dell’educazione, riflettendo qua un fiore, là un cespuglio, laggiù lo sfioccare di una nuvola e cercava di incanalare la mia mente sulla retta via ben sapendo che il ruscello deve essere alimentato dalle sorgenti nascoste fra i monti, fin quando si dilaterà in un ampio fiume, capace di rispecchiare nel suo placido corso le ondulazioni delle colline, le sagome luminose degli alberi che si profilano nell’azzurro del cielo, insieme con la corolla delicata di un fiorellino… Il bambino non lavora con gioia se non ha la sensazione di essere libero di occuparsi o di riposarsi quando crede: deve provare l’ebbrezza della vittoria e lo scoraggiamento della disillusione prima di 34 Un discorso di Helen Keller, Convention Internazionale Cedar Point, Ohio, USA, 30 giugno 1925, “L’informatore Notizie”, luglio 2004, 2 pp. 35 Gervaso R., Helen Keller, “L’Informatore Notizie”, luglio 2004, pp. 19-20. 26 11 intraprendere spontaneamente un compito sgradevole, decidersi a destreggiarsi bravamente attraverso la banalità dei libri di testo...».36 Concludiamo il capitolo con altre parole di persone sordocieche, poiché al di là della fama, o di una vita normale sconosciuta, c’è lo stesso dolore, c’è lo stesso ardore, dentro queste persone e dentro il loro operare quotidiano. Yolanda de Rodriguez rimase paraplegica e sordocieca a causa di un errore dell’anestesista che la seguiva durante il parto della sua unica figlia; divenne una autorevole figura a livello mondiale per il progresso sociale dei sordociechi americani, strappandone dall’isolamento, anche familiare, più di 2000. Scrive, con estrema semplicità e lucidità: «Essere sordocieco è come trovarsi sottoterra a grandi profondità, dove non giungono né luce né suoni. All’inizio incontrai difficoltà a respirare, ma poi riuscii a convincermi che disponevo di aria a sufficienza».37 Così si esprime Nicole, a cui è stata diagnosticata la Sindrome di Usher a quindici anni: «Ho imparato a convivere con la sindrome di Usher anche se è qualcosa che non mi lascerà mai. Se qualcuno dice qualcosa per sconvolgermi ci rido sopra e continuo per la mia strada. Non sono cieca come loro».38 Ed ecco anche le disarmanti, teneramente ingenue parole di Pinuccia, oggi donna anziana in pensione, colpita da sordocecità in adolescenza a seguito di una violenta febbre: «Dunque, la Provvidenza divina che non manca mai, l’amore vero e disinteressato, la fede, la preghiera e le buone attività quotidiane mi aiutano a camminare con serenità e forza di volontà per il resto della mia vita terrena. Dio è veramente buono, misericordioso e pieno di Amore. Attualmente sto vivendo una vera e bella storia d’amore con…»,39 e qui la lasciamo alla sua privacy, felici di scoprire che anche la sordocecità porta con sé la possibilità di rapporti amorosi, argomento che meriterebbe un approfondimento a se stante. C’è infine chi ama sottolineare le possibilità culturali che il Braille e tutti i nuovi mezzi tecnici e informatici hanno donato alle persone sordocieche per raggiungere i propri traguardi: «Ho dovuto costruire piano piano questo percorso; l’11 maggio però, con mia grande soddisfazione, ho constatato che le pari opportunità non sono un sogno, ma una realtà: io ero lì con altri studenti (normodotati) i quali avevano svolto il mio 36 Keller H., La storia della mia vita, dal Cap. VII, audiolibro scaricabile dal sito Internet www.bancadellavoce.it (dedicato a ipovedenti e non vedenti previa iscrizione). 37 Yolanda de Rodriguez. Una donna eccezionale, “L’Informatore Notizie”, ottobre 2003, pp. 4-6. 38 Henderson N., Io, Nicole, convivo con la sindrome di Usher, “Effeta”, Parole che girano, dicembre 2002, p. 28. 39 Manenti P., Sordo cieca, “Giulio Tarra”, n. 1, 2006, p. 9. 27 stesso corso di laurea con la sola differenza della metodologia».40 O ancora: «[…] ma per uscire seriamente da una forma cronica di emarginazione sociale ed umana, Internet mi ha dato una mano importante con le sue immense possibilità, con la sua capacità di attivare nella nostra mente la voglia di stare con tutti. Insomma, se ci lasciamo prendere, la gioia rischiara il cielo che si fa più sereno, e la musica che altri ascoltano diventa musica anche per noi».41 40 Angela, sordocieca dall’età di diciassette anni, laureata in pedagogia nel 2000 con lode: Pimpinella A., Io e voi, “Voce Nostra”, 16-30 giugno 2002, 3 pp.; Angela, sorda e cieca, “Noi nel Mondo”, n. 2, 2001, pp. 26-27. 41 Russo A., Lasciatemi dire, “Voce Nostra”, 1-15 gennaio 2007, p 8. Vedi anche le testimonianze in: AA.VV., Anche noi possiamo, Atti 2ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, Agnello di Sorrento (NA), 28 marzo-1 aprile 1998, www.fradinoi.it, tutte incentrate sul tema “Anche noi possiamo” (comunicare, vivere da soli, studiare, viaggiare, usare la tecnologia, essere protagonisti, essere uomini e donne). Lo stesso vale per “Trilli nell’Azzurro”, i cui numeri sono facilmente scaricabili dal sito Ufficiale della Lega del Filo d’Oro, e nei quali si possono leggere storie e racconti di vita, corredati da belle immagini. 28 Il Giovedì Santo sera gettai intorno l’ultimo sguardo nella camera; la mattina dopo udii l’ultimo grido, seguito da una sbattuta di porta: da allora niente più. Troppo lungo sarebbe descrivere il salto dalla luce all’ombra. Mi ritrovai rinchiusa in me stessa come un eremita nel mezzo della società, sola con le mie idee e i miei capricci. Sabina Santilli 29 CAPITOLO SECONDO LA LEGA DEL FILO D’ORO 42 1. Accenni di storia e organizzazione. La Lega del Filo d’Oro è un’Associazione Nazionale privata senza scopo di lucro che si pone come obiettivo fondamentale quello di «Assistere, educare, riabilitare e reinserire nella famiglia e nella società le persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali», attraverso: «La creazione di strutture specializzate; la formazione di operatori qualificati43; lo svolgimento di attività di ricerca e sperimentazione nel campo della sordocecità e della pluriminorazione psicosensoriale; la promozione di rapporti con enti, istituti, università italiane e straniere; la sensibilizzazione degli organismi competenti e dell'opinione pubblica nei confronti di questo tipo di disabilità»44. Come abbiamo ricordato, l’Associazione si costituisce nel 1964, attraverso l’opera meritoria di Sabina Santilli. Nel 1967 è stata riconosciuta Ente Morale con D.P.R. n. 516 del 19 maggio 1967, e ad Osimo è stato aperto il primo nucleo dell’Istituto per bambini sordociechi. Nel 1974 l’Associazione viene riconosciuta dal Ministero della Sanità come “Istituto di Riabilitazione”, e l’anno successivo viene aperta la Comunità Kalorama che ospita adulti sordociechi, in appartamenti situati nel centro di Osimo, e dove si svolge attività di riabilitazione occupazionale. Già l’anno seguente vi è il riconoscimento 42 Molte delle indicazioni di questo capitolo provengono dal confronto con la mia educatrice di riferimento dello Stage Formativo, a partire dalla lettura della sua Tesi di Laurea. La cito anche più avanti negli allegati. Rabensteiner M. A., La mia esperienza di terapia occupazionale con persone sordocieche anziane, Tesi di Laurea in Terapia Occupazionale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”, Roma, a. a. 2007-2008. 43 La sede legale della Lega del Filo d’Oro considera fondamentale la formazione continua e l’aggiornamento. Vi è presente un Ufficio Corsi che si occupa di sicurezza, igiene, manageriale e tecnica. Vengono organizzati corsi ECM per il personale dipendente, con riferimento alla circolare ministeriale n. 448/2002 sul “Programma nazionale per la formazione continua in medicina”. Degni di nota anche i contributi del Servizio Civile –due progetti finanziati nel 2010/’11-, e dei tirocinanti, studenti e professionisti –oltre 50 per lo stesso anno. (Bilancio Sociale 2010. La filiera della solidarietà, Sito ufficiale dell’Associazione: www.legadelfilodoro.it, pp. 18,20. Nel documento si possono reperire informazioni anche sul complesso sistema di sussistenza dell’Associazione, per la maggior parte di origine privata). Le altre sedi territoriali dell’Associazione si trovano a: Milano (1987), Roma (1993), Napoli (1996), Ruvo di Puglia in provincia di Bari (2000), Modena (2005), Termini Imerese in provincia di Palermo (2010). I Centri Socio-Sanitari Residenziali sono a Lesmo (2005), Molfetta (2007), Modena (in fase di realizzazione). Le date riportate si riferiscono all’anno di effettiva attivazione. Per Osimo (sede territoriale e residenziale) vale l’anno 1999. 44 www.legadelfilodoro.it, alla voce “Mission”. 30 dell’Istituto, da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, quale “Istituto sperimentale nel campo dei pluriminorati psicosensoriali sordociechi”. Nel 1998 La Lega del Filo d’Oro viene riconosciuta dallo Stato come ONLUS. Del 2001 è la Certificazione di qualità della sede legale di Osimo in base alla norma UNI ENI ISO 9001, poi estesa a tutte le altre sedi territoriali. Viene anche rilasciata la certificazione del Sistema di Gestione per la Salute e la Sicurezza (secondo la norma BS OH SAS 18001).45 Oggi il Centro di Riabilitazione di Osimo, accreditato dalla regione Marche, opera in regime di convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale, e si occupa di servizi socio-educativi con finalità assistenziali e riabilitative, si apre al territorio, oltre che nei modi menzionati in apertura, anche attraverso le campagne di prevenzione, l’organizzazione di eventi, i rapporti con altre Associazioni, con Istituzioni e Amministrazioni pubbliche, la collaborazione a livello internazionale con altri Enti ed Organizzazioni, Università,46 e non ultima la promozione dell’Associazione grazie alla fitta rete di affezionati volontari di cui gode. Nella sede di Osimo è presente dal 1993 un avanzato Centro Diagnostico, nel quale una équipe di specialisti effettua le valutazioni funzionali, a partire dalle quali verrà poi elaborato il primo programma educativo individualizzato, che è l’esito dell’incontro tra componente medica, psicopedagogica, educativa e sociale. Qui si diagnosticano in via preliminare persone di ogni fascia di età che presentano sordocecità o pluriminorazioni psicosensoriali, provenienti da tutto il territorio nazionale. È previsto un intervento precoce per i bambini da zero a quattro anni (e un servizio di foresteria che agevoli i genitori durante il ricovero), per rendere più funzionali i residui sensoriali e sviluppare strategie alternative che incrementino le tappe evolutive.47 La famiglia è di particolare aiuto durante i trattamenti, specialmente con i bambini molto piccoli, ed in generale essa è coinvolta in tutto il percorso del congiunto, anche al fine di un suo possibile reinserimento nel proprio ambiente. L’attenzione rivolta ai familiari dei pazienti si esplica attraverso la costante informazione, i colloqui individuali con gli psicopedagogisti ed i medici, con il Parent-training (incontri ed esperienze di gruppo), il 45 Questi brevi accenni di storia sono reperibili nel Bilancio sociale 2010. La filiera della solidarietà, Cit., pp. 11-12. 46 Un esempio su tutti: La collaborazione con il Dottor Steven Collins, professore del Dipartimento di Linguistica ed Interpretariato della Gallaudet University. Vedi Sindrome di Usher: tre seminari con Steven Collins, “Trilli nell’Azzurro”, n. 3, 2000, p. 4. 47 Bilancio sociale. La filiera della solidarietà, Cit., p. 23. 31 quale è importante per far emergere i vissuti emotivi legati alla faticosa e difficile gestione di una persona con disabilità all’interno del nucleo familiare.48 Essenziale è la presenza, sempre dal 1993, del Centro di Documentazione, in cui è raccolto un vasto materiale sul tema, ma anche scritti appartenenti alle aree educativa, sociale, riabilitativa e sanitaria.49 Parimenti determinante è il lavoro svolto dal Comitato Tecnico Scientifico che ricerca in campo biomedico, psicopedagogico e tecnologico-riabilitativo, affidando a staff di esperti e specializzati l’attuazione dei vari progetti. Dunque possiamo affermare che in generale una approfondita indagine diagnosticoriabilitativa, una organizzazione sanitaria specialistica, l’elaborazione di un piano educativo e riabilitativo, un servizio di consulenza tecnica rivolto tanto agli operatori quanto alle famiglie, ed infine la Ricerca, fanno dell’Unità Speciale di Osimo una struttura capace di competere con analoghe realtà a livello europeo, e non solo. Un elemento centrale per la buona riuscita dell’intervento rieducativo è però sicuramente rappresentato dalla coordinazione e dalla congruenza del lavoro di ogni specialista sul medesimo soggetto. A nulla servono sofisticate teorie ed avanzati strumenti se vi è frammentazione del percorso riabilitativo. Perciò, in tutte le sedi dell’Associazione, spiccata validità viene conferita alla mansione del Coordinamento di ogni specifica area di competenza. 2. La RSD di Lesmo (MB). La RSD di Lesmo, in provincia di Monza e Brianza, fa parte dei distaccamenti della sede centrale di Osimo. Con delibera n. VI/1525 2000 è stata riconosciuta dalla Regione Lombardia “Centro Socio-Sanitario Sperimentale Residenziale per Sordociechi e Pluriminorati Psicosensoriali Adulti”. Essendo appunto una struttura residenziale gli ospiti vi abitano a tutti gli effetti, con la possibilità, naturalmente, di visitare i parenti o di ricevere visite in appositi confortevoli spazi.50 48 Ivi, p. 24. Il materiale è consultabile dal personale interno ed esterno, dai familiari, e da chiunque sia interessato ad aggiornarsi sulla tematica della riabilitazione di persone con deficit sensoriali gravi. 50 Il Centro è dunque aperto tutto l’anno, ma prevede la possibilità di inserimenti temporanei per dare sollievo alle famiglie in situazioni di emergenza, o bisognose di un momento di distacco dalla totale presa incarico della persona con disabilità. 49 32 L’obiettivo primario del Centro è quello di consentire un miglioramento della qualità di vita, attraverso adeguate cure sanitarie, educative e sociali, presentando le persone accolte un quadro clinico di estrema delicatezza dove, come abbiamo visto, alla menomazione sensoriale si accompagnano diverse problematiche, comprese patologie organiche e danni neurologici, e che quindi esige una presa in carico complessa e composita. La mission dell’Associazione è stata ben esplicitata durante la 4ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, che si è tenuta appunto a Lesmo nell’ottobre del 2004, laddove si è affermato che il sordocieco è protagonista della sua esistenza attraverso, particolarmente, gli indispensabili elementi qui riportati: il suo comportamento ed i suoi atteggiamenti, l’intervento dei Servizi, il sostegno della famiglia, le garanzie offerte da una legislazione adeguata.51 Anche in questa Sede la famiglia viene coinvolta il più possibile nel progetto individualizzato di riabilitazione, favorendo la discussione ed il dialogo rispetto a tutti i problemi riscontrati e sollevati. Il Centro è rivolto a persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali adulte di età compresa tra i 18 e i 65 anni, benché poi, di fatto, permangano nella struttura utenti più anziani, in quanto compatibili con i servizi offerti e con il lavoro prestato dal personale presente. Più nello specifico, vengono presi in considerazione per un eventuale inserimento: «Persone che presentano minorazioni di entrambi i canali sensoriali congenite o acquisite dopo la nascita; persone che presentano minorazioni di entrambi i canali sensoriali e ritardo evolutivo; persone che presentano minorazioni gravi di almeno uno dei canali sensoriali, accompagnate da grave ritardo evolutivo/intellettivo e/o handicap motori e/o gravi disordini comportamentali».52 Se ne deduce un quadro clinico generale caratterizzato da una “gravità” di fondo, e si nota l’esclusione per la permanenza in struttura di persone che accanto al danno sensoriale presentano una diagnosi prevalentemente psichiatrica. Ad oggi le principali cause della pluridisabilità per questo Centro sono encefaliti, virus e patologie affini (46%), sindromi (40%), nascite premature (14%). 51 Lesmo “debutta con la 4ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, “Trilli nell’Azzurro”, Attualità, n. 6, 2004, p. 1. 52 Carrella L., La sordocecità e la riabilitazione possibile: l’esperienza della Lega del Filo d’Oro, Opuscolo informativo della RSD di Lesmo, p 1. 33 L’unione, di minorazione sensoriale e altri deficit evolutivi determina la ricerca di una differenziazione dell’intervento sulla base della singola specificità, della peculiarità di ogni individuo.53 Specificando ulteriormente la casistica, possiamo affermare che la maggioranza dei casi accolti in Struttura è portatrice di una pluridisabilità derivante da esiti di encefalopatie infantili. Oltre al danno sensoriale si sommano quasi sempre grave ritardo mentale, assenza di sviluppo del linguaggio, epilessia, gravi alterazioni della personalità e del comportamento, completa mancanza di autonomia nei più banali atti della vita quotidiana, deficit motori. Mancano, o sono decisamente scarse, la consapevolezza di sé e la comunicazione con le altre persone e con l’ambiente. Sono possibili degli apprendimenti, molto semplici, essenziali, solo a fronte di un intervento specialistico multidisciplinare, massiccio, prolungato nel tempo (si può dire a vita). Costante deve essere l’esposizione allo stimolo che richiede una risposta. Questa prospettiva d’azione genera uno stato di benessere psicofisico del quale un assistente esperto si accorge grazie alla presenza di sottili segnali, i quali vanno mantenuti sempre vivi, “accesi”.54 Vi sono poi utenti con sordocecità acquisita, che presentano di solito comorbidità (ad esempio disturbi neurologici o psicologici), con i quali è possibile instaurare una forma anche ricca e fluente di comunicazione attraverso vari metodi (vedi capitolo IV), soprattutto, ovviamente, se vi è stata alfabetizzazione precedente l’evento traumatico. Con tali soggetti si ottengono di solito crescenti miglioramenti quantitativi e qualitativi sotto più profili: autonomia, comunicazione, relazioni sociali, partecipazione alla cura della propria persona, non soltanto dal punto di vista della prestazione sanitaria. Anche le persone in esiti da trauma cranico possono essere inserite, e spesso accompagnano le gravi lesioni all’apparato sensoriale con caratteristiche che gli avvicinano agli utenti tipici della RSD, in modo speciale: grave compromissione nell’orientamento spazio-temporale, problemi cognitivi (soprattutto nella sfera dell’attenzione e della connessa memoria), difficoltà nell’ambito delle funzioni esecutive e nella capacità di scelta, alterazioni della personalità con manifestazioni comportamentali. Chiaramente è raro che una patologia o un danno cerebrale interessi 53 Ivi, p. 4. Questo costante impegno è merito di lode, se pensiamo ad uno dei concetti cardine dell’ICF (OMS, maggio 2001), che affronta la disabilità con un approccio multiprospettico, salvaguardando la singolarità, l’essere unico e irripetibile della persona, alla quale non si possono “applicare soluzioni”, in via pregiudiziale basandosi su di uno standard. 54 Ivi, pp. 3-4. L’autrice, pedagogista della RSD di Lesmo, rimarca come il concetto di “riabilitazione di mantenimento” fa riferimento non ad interventi assistenzialistici ed educativi vaghi e superficiali, ma ad attività e tecniche riabilitative personalizzate, specialistiche, e a vita, visto che, aggiungiamo noi, non si tratta solo di un recupero funzionale, bensì della presa in carico di tutta la persona. 34 solo un’area funzionale del cervello, senza colpire le zone confinanti; per questo le conseguenze sono di solito multiple.55 Per tutti gli utenti accolti è fondamentale godere di un tipo di riabilitazione che non punti tanto sull’aspetto funzionale, inteso come ripristino del funzionamento di un organo danneggiato, ma piuttosto di una stimolazione continua che tenga conto, lo ripetiamo, della persona nella sua globalità. In tale maniera vengono mantenute le capacità residue e se ne stimolano di nuove, poiché, ribadiamo anche questo concetto, il rischio di rapide regressioni in mancanza di sollecitazioni è sempre in agguato, pure in termini psicologici. Sulla base del Piano di Assistenza Individualizzato ogni utente ha diritto a varie prestazioni: Sostegno educativo nelle attività quotidiane domestiche, ad esempio il riordino o la raccolta differenziata che stimolano il movimento, la distinzione di oggetti e materiali ed una maggiore sicurezza nei movimenti; Assistenza nell’igiene e nella cura della persona; Assistenza sanitaria infermieristica e specialistica; Apprendimenti d’aula e attività di laboratorio espressivo-creative; Momenti destrutturati a sfondo ludico ricreativo di gruppo (ad esempio utilizzando giochi come la Tombola, il Tris, il Forza4 in Braille); Terapie occupazionali manuali tipo selezione e assemblaggio di oggetti, cartapesta, lavoro al midollino, bigiotteria, etc., che sviluppano la manualità fine, la sensibilità tattile, la capacità di distinguere forme, materiali e colori (per chi possiede un residuo visivo); Terapia riabilitativa di fisiokinesiterapia che favorisce il recupero funzionale, come il cammino, i passaggi posturali, la corretta postura, etc.; Terapia riabilitativa di idroterapia che possiede una doppia finalità: da un punto di vista ortopedico favorisce il rilassamento in caso di emiparesi, paralisi, e retrazioni gravi, grazie al calore dell’acqua, favorendo la libertà dei movimenti in un ambiente esente da ostacoli; da un punto di vista psicologico aiuta chi mostra un atteggiamento di difesa o chiusura nei confronti del mondo esterno, favorendo maggior sicurezza in se stessi e fiducia negli altri;56 55 Nel 2006 è stato attivato un progetto, riconosciuto ed in parte sostenuto dalla Regione Lombardia, sulle problematiche dei soggetti a “responsività minimale” (cioè sul confine tra stato vegetativo e grave disabilità); una sperimentazione per valutare l’adeguatezza di risorse e strumenti per tali casi. (Bilancio sociale 2010. La filiera della solidarietà, Cit., p. 40). 56 Idroterapia: dall'acqua un ausilio fondamentale per il percorso riabilitativo, “Trilli nell'Azzurro”, Attualità, n. 2, 2007, p. 2. 35 La musicoterapia, che attraverso le vibrazioni ed il canto è in grado di trasmettere reazioni positive, rilassamento corporeo e interiore, nonché è fonte di stimolo per la socializzazione; Passeggiate e coltivazione dell’orto per uno sviluppo massimizzato del tatto, dell’olfatto e del gusto, oltre che della sperimentazione in senso lato; Uscite sul territorio (ippoterapia, negozi, sagre, ristoranti, etc.),57 per conoscere e farsi conoscere; Soggiorni estivi con finalità puramente ricreative. Poi vi sono tutta una serie di agevolazioni utili a far vivere il Centro con il massimo del confort e della naturalezza che si respirano in una casa; vi sono servizi di trasporto con mezzi idonei e sicuri, di lavanderia e guardaroba, diete personalizzate, prestazioni di parrucchieri e barbieri, presenza di personale volontario che favorisce uscite in luoghi d’interesse, etc.; Per quanto concerne la struttura organizzativa sono previste la figura di un Direttore con funzioni amministrative e organizzative, il quale gestisce il servizio ed i rapporti con il personale; un pedagogista ed uno psicologo che operano assieme agli educatori nella definizione e nell’attuazione dei progetti educativo-riabilitativi e nell’impostare sulla base di questi ultimi l’attività assistenziale; un medico che garantisce l’integrazione tra le prestazioni infermieristiche, socio-assistenziali ed educative; un Assistente Sociale che collabora soprattutto nella fase di inserimento dell’ospite, la quale avviene tenendo conto, oltre che della compatibilità con l’utenza già inserita, della valutazione della situazione globale in cui versa la famiglia (ad esempio presenza di problemi comportamentali non facilmente gestibili nel contesto familiare, assenza di uno o entrambi i genitori oppure età avanzata degli stessi, presenza di un altro familiare disabile, e così via, attraverso colloqui che mirino ad approfondire la situazione psico-sociale sia della famiglia che dell’utente, non senza una visita guidata all’interno della Struttura, per illustrarne ogni aspetto gestionale ed il funzionamento del servizio offerto). 57 Da tener presente la presenza sul nostro territorio nazionale di alcuni importanti musei tattili per ciechi e sordociechi. A proposito del Museo Accorsi di Torino scrive Giovanna Guarnieri: «Un ricamo prodotto su un pannello permette al disabile visivo di comprenderne la meraviglia: alcuni oggetti pregiati che possono essere presi in mano, consentono di cogliere somiglianze e differenze fra la porcellana, la maiolica e la terracotta: nel salotto cinese, è possibile toccare la seta italiana, quella indiana e quella cinese, per comprenderne la diversità. […] Visitare un Museo e avere la possibilità di esplorare oggetti piacevoli e con forme armoniche, è un piacere istruttivo e un arricchimento per lo spirito». Guarnieri G., Museo tattile per ciechi e sordociechi, “L’Informatore Notizie”, agosto 2002, pp. 23-24. 36 Periodicamente il personale si riunisce in équipe alle quali possono partecipare anche gli utenti in grado di comunicare i propri pensieri, le esigenze emerse durante la vita quotidiana, suggerimenti, etc., sentendosi così partecipi di un ambiente da vivere appieno, così come in una famiglia si aprono dialoghi, ci si confronta e si sollevano discussioni.58 Tra le varie professionalità presenti in Struttura un ruolo di assoluto rilievo è ricoperto dall’Educatore Professionale, che è il punto di riferimento per la persona disabile e una figura di mediazione con gli altri operatori. Egli ha il compito di redigere il Progetto Individualizzato mediante la supervisione dell’équipe psicopedagogica. Inizialmente viene letta e approfondita la documentazione diagnostica fornita dal Centro Diagnostico di Osimo; poi vi è un periodo di osservazione dell’utente nel Centro di Lesmo; in terzo luogo la stesura, sulla base del primo programma riabilitativo, in cui vengono indicati degli obiettivi che vanno periodicamente verificati.59 Il P.I. contiene una dettagliata descrizione della scheda sociale e del quadro clinico del soggetto in esame, e si concentra sulle seguenti aree: • Senso-percettiva: mantenimento e possibile potenziamento dei sensi residui; • Motoria: sviluppo di abilità grosso e fino motorie, di coordinazione bimanuale e oculo-manuale, di orientamento e mobilità nello spazio; • Cognitiva: comunicazione, sviluppo delle l’autonomia, capacità cognitive l’orientamento per favorire la spazio-temporale e l’interazione sociale; • Della comunicazione: ampliamento e sfruttamento di tutti i codici comunicativi possibili, avvalendosi altresì degli ausili tecnologici che limitino i vissuti d’esclusione, e quindi la comparsa di comportamenti disadattivi; • Socio-affettiva: sviluppo di un proprio senso identitario, gestione dell’emotività, dell’autocontrollo, sviluppo dell’autostima e dell’autodeterminazione, capacità di collaborazione sulla base di un senso 58 Esistono inoltre il Comitato delle Persone Sordocieche ed il Comitato dei Familiari delle Persone Sordocieche, organi consultivi della Lega del Filo d’Oro, i quali si occupano di dare una pronta risposta a tutte le problematiche che emergono nei servizi dell’Associazione. 59 La seguente stringata descrizione deriva dalla diretta lettura di alcuni P.I. durante l’esperienza di Stage Formativo e dall’affiancamento di una educatrice esperta. 37 di responsabilità e di condivisione di regole che determinino un buon adattamento all’ambiente e alle persone; • Dell’autonomia: mantenimento e potenziamento della propria indipendenza nelle attività domestiche, nelle abilità sociali, nella cura della persona e nelle attività occupazionali. In particolare le aree motoria e dell’autonomia competono molto il personale OSS, e la formulazione dei piani individuali d’assistenza sono concordati con il Responsabile dell’Area Sanitaria che coordina l’intervento di infermieri, tecnici sanitari e terapisti. Va sottolineato che il personale Socio-Assistenziale lavora a stretto contatto con quello educativo, essendo le figure che trascorrono l’intera giornata con gli utenti, momento per momento; vi è una tale complicità (e fiducia da parte dell’utenza) da arrivare a interscambiarsi i ruoli pur mantenendo ben delineate le diverse professionalità. Per quanto concerne la modulistica, La Lega del Filo d’Oro attribuisce molta importanza alla registrazione delle attività al fine di valutare gli effettivi progressi ottenuti, dando logica priorità all’area dell’autonomia. Gli educatori e gli OSS compilano un diario giornaliero e clinico in cui informano il turnista successivo di tutti gli accadimenti salienti della giornata, e dello stato di salute di ogni ospite; inoltre utilizzano sistematicamente schede di osservazione/verifica e task analisys in cui un comportamento viene scomposto in vari items al fine di confermare o disconfermare (parzialmente o totalmente) un apprendimento in atto, sul quale si sta concentrando l’attenzione. Il lavoro viene scomposto in singole azioni, in modo che l’educatore riesca ad individuare più facilmente il punto in cui intervenire fornendo non una soluzione “confezionata”, ma una strategia da sviluppare assieme all’utente.60 La programmazione dell’intervento educativo-riabilitativo è ben sintetizzata dal Direttore Educativo della RSD nelle seguenti, progressive tappe: «Individuare l’area in cui si colloca l’attività (autonomia personale, comunicazione, terapia occupazionale, ecc.); valutare le abilità esistenti con osservazione sistematica diretta o check list; progettare l’intervento con analisi del compito; costruire il curricolo individuando obiettivi a lungo termine, a medio termine e a breve termine; definire le tecniche di insegnamento (concatenamento anterogrado o retrogrado, guida fisica, prompting, fading, criterio di padronanza, rinforzamento, ecc.); stendere una task analysis il più dettagliata possibile; individuare eventuali sussidi e protesi per favorire 60 In tale modalità di interazione ho potuto riconoscere il modello vygotskijano di “pensare la conoscenza”. L’educatore dota l’utente di un suggerimento utile a lasciare che sia poi lui a trovare la soluzione, meglio ancora in un contesto in cui vi è collaborazione, se non di gruppo, almeno di un altro compagno. 38 l’autonomia; generalizzare l’apprendimento; valutare in itinere e alla fine degli apprendimenti con osservazione e compilazione di check list; programmare il mantenimento dell’abilità acquisita».61 Con i sordociechi acquisiti la filosofia di fondo è il metodo comportamentale che mira a correggere il comportamento utilizzando modificazioni ambientali, basandosi sui concetti di rinforzo, eliminazione (del rinforzo), shaping, discriminazione, rinforzo intermittente e generalizzazione del rinforzo.62 In generale possiamo dire che tutti i servizi che ruotano attorno al portatore di disabilità, sia all’interno che all’esterno della Struttura, non devono essere autoreferenziali; insistiamo nel dire che l’intervento non può venir frammentato, ma ci si deve collocare in un’ottica sistemica. «Nel pensare ai servizi è necessario muoversi […] facendo sì che di fronte a processi decisionali si cominci a ragionare in termini di complessità. La famiglia mostra sempre più l’esigenza di essere aiutata nella lotta che deve affrontare di fronte alla frammentazione dei servizi. La ricerca in tale ambito ha evidenziato che o si supporta la famiglia in questo, oppure nonostante l’alta qualità tecnologica dei servizi, la possibilità che questi abbiano effettivamente una ricaduta sul benessere dell’utente, praticamente si azzera».63 E ancora: «L’irripetibilità e la complessità della persona umana nello sviluppo della sua personalità esigono risposte e progetti individualizzati, singolari. Proporre un possibile percorso educativo non può prescindere dalla conoscenza delle domande che pone colui e coloro che per esso si devono incamminare ed essi stessi sono chiamati a costruirlo e a modificarlo».64 61 Carrella L., La sordocecità e la riabilitazione possibile: l’esperienza della Lega del Filo d’Oro, Cit., pp. 7-8. 62 Tale metodologia è ben spiegata in Nicolosi M., La persona sordocieca: aspetti salienti per un progetto di intervento, Università di Pavia, Corso di Psicologia clinica, pp. 1-42, pubblicato sul suo sito Internet www.michaelnicolosi.com. Qui inoltre si analizzano gli strumenti della Check-list, dell’Analisi funzionale e della VALIAB (Valutazione del livello di abilità). Molto intuitivo anche Rinforzi: manuale per l’uso, di Nisi A. e Ceccarani P., Quaderni della Lega del Filo d’Oro, n. 26, dicembre 1988, Osimo. 63 Mecca A., Il sistema di monitoraggio e le persone pluriminorate. Risultati di una ricerca, Fondazione Percorso Verde, L’Arte del Tipografo di V. Vicinanza, Salerno, gennaio 2001, p. 5. 64 Ivi, p. 4, all’interno della Premessa di Scelzo F. 39 3. Legislazione. Nel 2004 le Associazioni che fanno capo a EDbN (Rete Europea sulla sordocecità), tra le quali la Lega del Filo d’Oro, si sono fatte promotrici di un’iniziativa avente come scopo ultimo di richiamare l’attenzione delle Autorità Europee sulla necessità imprescindibile di riconoscere la sordocecità come disabilità specifica. Il riconoscimento è arrivato il 12 aprile dello stesso anno: il Parlamento Europeo ha approvato il testo “Dichiarazione scritta sui diritti delle persone sordocieche”, sancendo dunque la specificità della doppia minorazione, e garantendo ai sordociechi gli stessi diritti di cui godono tutti i cittadini dell’Unione Europea, ed ha invitato gli Stati membri a dotarsi di leggi adeguate, atte a garantire ai sordociechi i loro diritti, in particolare: - Il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione Europea; - Il diritto al lavoro e all’accesso alla formazione, con tutti gli ausili necessari; - Il diritto all’assistenza sanitaria e sociale incentrata sulla persona; - Il diritto alla formazione permanente; - Il diritto ad avere un sostegno personalizzato sotto forma di guidecomunicatori, interpreti per sordociechi e/o assistenti. Già in occasione della 3ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche vi era stato un grande lavoro di sensibilizzazione per sollecitare le nostre Istituzioni a riconoscere la disabilità specifica, e subito il Comitato delle Persone Sordocieche della Lega del Filo d’Oro, nella seconda riunione del 10/11 giugno a Lesmo, ha cominciato a studiare ed approfondire il testo Comunitario, per generare una proposta di Legge attuabile nel nostro Paese.65 Grazie alla Lega del Filo d’Oro in Italia si sono compiuti numerosi passi in avanti per ottenere il riconoscimento della sordocecità quale disabilità unica. In modo speciale richiamiamo alla memoria la costituzione del Comitato delle Persone Sordocieche del 1993, le sei Conferenze Nazionali delle Persone Sordocieche, l’inserimento del bastone bianco e rosso nel nuovo Codice della Strada del 2002. Inoltre importante ai fini della visibilità dell’Associazione, la mostra itinerante “IO dentro il mondo” (2004-2006), presentata in numerose città italiane, nella quale sono stati mostrati al pubblico soluzioni, ausili, strumentazioni e progettazioni validi per accrescere l’indipendenza e 65 Per questa prima parte: Per il Parlamento Europeo la sordocecità è una disabilità specifica, “Trilli nell’Azzurro”, Iniziative, n. 3, 2004, p. 6. 40 l’autonomia delle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali, nella vita quotidiana (casa, lavoro, ambiente educativo, tempo libero). Il 14 novembre 2006, nella sala stampa di Montecitorio, viene presentata una proposta di Legge per il riconoscimento della sordocecità quale disabilità unica, depositata alla Camera dei Deputati il 21 novembre. Il 13 luglio 2010 la proposta “Misure per il riconoscimento dei diritti delle persone sordocieche” è diventata una Legge dello Stato, la Legge n. 107, colmando così un altro gap della legislazione italiana rispetto a quella degli altri Stati Europei. Essa è stata promulgata dopo un lungo percorso di maturazione legislativa, cominciato con la Legge 104/1992, “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, e dopo altrettanto lunghi lavori preparatori, e a tre mesi dall’emanazione di un’altra Legge rilevante in materia sanitaria, La Legge 15 marzo 2010 n. 38, “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. In generale, per i sordociechi, questo passo in avanti significa maggior salvaguardia, pari opportunità e migliore qualità di vita. Nello specifico si sancisce: Il riconoscimento della disabilità specifica unica; L’unificazione delle indennità percepite dai sordociechi: il sordocieco ottiene l’indennità e le pensioni per la cecità e la sordità in forma unificata, quindi percepisce due indennità, di comunicazione e di accompagnamento, più due pensioni di cieco (totale o parziale) e per sordità prelinguale. L’indennità di comunicazione non spetta nel caso di sordità intervenuta in età matura. Un’unica visita medica per l’accertamento della sordocecità: la valutazione della sordocecità viene effettuata dalla Commissione ASL prevista dalla legge 104/1992, integrata da altri specialisti preposti all’accertamento della cecità e sordità, senza bisogno di revisione. Rispetto però alla Legge Europea, che faceva leva sui termini “dignità umana”, “persona” e “sostegno personalizzato”, quindi sulla relazionalità, la socialità come diritto-base, nella nostra Legge si torna a parlare in modo asettico di “soggetti” (art. 2 comma 3), compare l’ambigua espressione “nei limiti delle risorse disponibili”, si menzionano i “progetti individuali” (art. 4), si legge termine “integrazione sociale”, limitativo anche rispetto al “Diritto alla partecipazione” della Nostra Costituzione all’art. 3 comma 2. Inoltre nell’art. 5 si dice “possono individuare” anziché “individuano”, in merito alle competenze delle Regioni, senza tener conto oltre tutto dei tagli ai fondi delle 41 Regioni stesse e dei divari esistenti tra di esse in materia socio-sanitaria. Si continua a parlare di “assistenza individuale” (art. 5), mentre si dovrebbe parlare sempre di “sostegno”, il quale implica il “prendere in carico la persona”. Infine, sempre nell’articolo 5, la formazione è intesa solo in senso professionale e non permanente. Insomma dovremmo concludere che anche le parole hanno il loro peso, nel momento stesso in cui vengono espresse, e dovrebbero poi essere accompagnate da campagne di sensibilizzazione che limitino il clima di indifferenza e insofferenza che ancora permangono nei confronti delle persone con disabilità.66 Comunque sia, nonostante tutte le imperfezioni e le possibili migliorie, attraverso questa nuova Legge, la Lega del Filo d’Oro ha potuto realizzare un impegno preso più di quarant’anni prima, dal tempo della sua fondazione. Esso è la premessa fondamentale per qualsiasi tipo di aiuto. «Senza riconoscimento specifico, infatti, manca il quadro d’insieme all’interno del quale predisporre l’azione del pubblico a favore dei sordociechi: “Non avete idea –ha detto Rosa Francioli, presidente del Comitato dei Familiari delle Persone Sordocieche- di quanto sia duro cercare servizi o ausili specifici per soggetti con sordocecità in un paese che non la riconosce nemmeno”».67 Durante la 5ª Conferenza Nazionale si è infatti puntato sull’importanza delle Leggi, per garantire i diritti, anche attraverso campagne di sensibilizzazione. Ma essenziale è che la persona non sia costretta a districarsi tra normative complesse senza riuscire ad ottenere, a livello locale, il supporto necessario. Infatti in quella sede venne proposta l’idea del difensore civico (avvocato o magistrato) che possa fornire informazioni circa le Leggi e la loro applicazione, e che debba, all’occorrenza, intervenire a difesa di chi viene discriminato a livello legislativo. Purtroppo però si sottolineava la carenza di questa utilissima figura in molte città principali.68 Concludiamo il capitolo dando un breve sguardo all’Europa sul tema della legislazione. Nell’Unione Europea si stimano circa 150.000 cittadini colpiti da sordocecità (compreso l’uso parziale di uno od entrambi i sensi), e da una ricerca di qualche anno fa, condotta dalla Rete Europea sulla sordocecità, sono emersi i dati 66 Per questa seconda parte: Quinta Conferenza nazionale delle persone sordocieche. Modena 24-28 maggio 2008. Breve resoconto e Sintesi dei lavori di gruppo, “L’Informatore Notizie”, febbraio 2008, p.7, e marzo 2009, p. 6; Bilancio sociale 2010. La filiera della solidarietà, Cit., pp. 12, 37; Marzaro M., Ancora la persona nella sua interezza: la legge sulle sordocecità, “Press-IN”, anno II, n. 2783, Venezia, 2 pp., vedi www.pressin.comune.venezia.it. 67 Caredda S., La sordocecità sarà riconosciuta da una legge dello Stato come disabilità specifica, “PressVisione”, n. V/1153, 15 novembre 2006, Venezia, pp. 2. Il riferimento è alla discussione apertasi a Montecitorio, in occasione della presentazione della proposta di Legge. 68 Quinta Conferenza Nazionale delle persone sordocieche. Modena 24-28 maggio 2008. Breve resoconto e Sintesi dei lavori di gruppo, Cit., p. 9. 42 riportati qui di seguito: nel 76% dei paesi membri dell’Unione Europea la sordocecità non è riconosciuta come disabilità unica; nel 62% dei paesi non esiste uno specifico programma per identificare i nuovi casi di sordocecità; nel 38% dei paesi non esiste una formazione specifica per interpreti e operatori per la comunicazione; nel 48% i sordociechi non hanno diritto al supporto a loro necessario per essere abili al lavoro. Tra i paesi più avanzati, relativamente a questa problematica, ne menzioniamo alcuni che si distinguono per essersi dati in proposito e rispettare standard particolari: la Francia, che possiede un registro delle persone sordocieche, servizi di intervento precoce, un supporto per tutti i disabili in merito al lavoro, un’Associazione di Volontariato, la CRESAM, che forma operatori ed interpreti; la Danimarca, in cui esiste uno specifico programma per individuare i nuovi casi di sordocecità e per la formazione di professionisti ed interpreti; la Svezia, in cui le Autorità regionali devono fornire ai sordo ciechi interpreti formalmente qualificati, e vi sono scuole bambini portatori di tale disabilità; la Norvegia in cui i servizi di intervento precoce sono forniti dai Centri regionali di supporto.69 Possiamo per contrasto immaginare la drammatica situazione in cui versano le persone sordocieche in altri Paesi extra-europei, con particolare riferimento a quelli poveri o in via di sviluppo. Un accenno finale a questo problema, per non dimenticarlo, attraverso le sofferte parole di Alex Garcia, persona sordocieca brasiliana che ha partecipato alla Conferenza Mondiale Helen Keller: «I sordociechi in Brasile non conoscono i loro diritti. Sono pesantemente coinvolti in scambi di favori. I sordociechi sono stati educati ad essere incapaci di dare giudizi. Non dare giudizi significa che non capiscono realmente se stessi e comunque non possono gestire i propri bisogni per mezzo dei loro diritti e responsabilità. I sordociechi non hanno libertà di pensiero. I sordociechi sono resi incapaci di avere certezze –un diritto umano fondamentale. I sordociechi sono confusi circa la differenza tra diritti individuali e collettivi».70 69 Una ricerca sulla sordocecità nell’Unione Europea, “L’informatore Notizie”, giugno 2006, pp. 3, e ottobre 2006, pp. 2. Rilevante l’intervento di Susannah Barnett alla Conferenza Nazionale di Roma, in cui, esplorando la situazione dell’Inghilterra, giunge all’idea di una «Unique Deafblind culture», basata su quattro elementi fondamentali: Associazione, Lingua, Comportamento e Identità. Interessante anche, per l’Irlanda del Nord: Schubotz D., Survey of need of people with dual sensory loss in Nothern Ireland, ARK, Institute of Governance, Public Policy and Social Research, 2004, pp. 1-28, www.ark.ac.uk, in cui l’autore prende in considerazione, statisticamente, l’aspetto affettivo, ovvero chi sono le principali figure di riferimento e di cura per la persona sordocieca. 70 Pimpinella A., I sordociechi in Brasile, “Voce Nostra”, n. 7, 1-15 aprile 2006, 4 pp. 43 Stay Hungry. Stay Foolish. Steve Jobs 44 CAPITOLO TERZO VERSO L’AUTONOMIA 1. La vita quotidiana. L’RSD di Lesmo non è pensata come un ospedale, o comunque come un luogo di cura che dia l’idea dell’istituzionalizzazione della persona. Si tratta di una sorta di piccolo villaggio composto da un grande parco nel verde della Brianza, di circa 45.000 mq, nel quale vi sono diverse strutture: quella principale all’ingresso, nella quale troviamo gli uffici ed i laboratori, poi una grande mensa, la palestra, la piscina, ed infine gli appartamenti degli ospiti, disposti su due piani. (Si tratta di dieci appartamenti con quattro ospiti ed uno con sei, per un totale massimo di quarantadue). Gli alloggi in cui vivono gli ospiti sono contraddistinti da un colore; si cerca infatti di accorparli sulla base della similarità del quadro clinico di base, anche per agevolare il lavoro del personale educativo, il quale, potremmo dire, si specializza ancor più approfonditamente all’interno del medesimo settore. Nella mia esperienza di stage sono stata inserita nella “palazzina rossa” dove si trovano soltanto sordociechi acquisiti, benché vi fosse molta variabilità rispetto alla gravità del danno sensoriale. Si tratta di uno spazio familiare, paragonabile ad una casa comune, semplice, ospitale. In ogni appartamento il sordocieco acquisito, in un rigoroso ordine ambientale, impara a gestirsi in autonomia negli spostamenti, nelle azioni della vita quotidiana, nell’orientamento spazio-temporale, favorito da una routine rinforzata dal calendario generale appeso nel soggiorno centrale e dalla compilazione di un personale diario settimanale, scritto al computer o con la dattilo Braille a seconda delle capacità o delle preferenze del soggetto. Oltre alla camera da letto singola, vi sono il salotto, la cucina, il guardaroba, la dispensa, un ampio balcone al primo piano e un giardinetto al piano terra. All’esterno, nel parco, indizi strutturali (percorsi tattili, olfattivi, sonori e visivi, nonché numerosi corrimano), aiutano la persona a raggiungere da sola il luogo desiderato, o semplicemente a fare una libera passeggiata. Sia all’interno che all’esterno l’ospite è spinto ad essere più attivo e autonomo possibile, sia negli aspetti vitali (lavarsi, vestirsi, nutrirsi, etc.) sia in ciò che riguarda la sua sfera personale (hobby, relax, gestione delle proprie cose e dei propri spazi, etc.). È 45 essenziale, oltre all’ordine del mobilio e di tutti gli oggetti ivi riposti, che la scansione temporale degli eventi sia sempre chiara ed esplicitata in caso di cambiamenti, poiché il sordocieco soffre dell’impossibilità di poter dominare lo spazio attorno a sé e gli accadimenti che in esso avvengono, reagendo facilmente con ansia, angoscia o rabbia quando qualcosa sfugge a quei familiari, precisi criteri che invece sono fonte di sicurezza, in quanto, prima di tutto, garanzia di sopravvivenza. Per mantenere alto l’interesse della persona sordocieca al mondo che lo circonda di frequente si finalizza la giornata alla partecipazione a momenti di vita comunitaria, invitando l’utente a utilizzare tutti i sistemi di comunicazione di cui è in possesso, forzando l’isolamento in favore di una interazione sociale gratificante e benefica soprattutto dal punto di vista psicologico. Il soggetto si sente una parte vitale, significante, dello stare e fare insieme, sia che si tratti di una attività di laboratorio piuttosto che di un momento ludico-ricreativo, e se egli è posto nelle condizioni migliori per soddisfare i personali bisogni di partecipazione alle esperienze, sviluppa una serie di nuove abilità, di adattamento e di creatività, che lo rendono affascinante per chi lo incontra. In questo senso, di altissimo valore etico è la collaborazione del personale volontario, che con visite programmate e con iniziative di vario genere, anche esternamente alla Struttura, risulta fonte di stimolazione, in quanto ravviva la curiosità del sordocieco a conoscere, informarsi, provare nuove sensazioni ed emozioni.71 Vi sono alcune norme da rispettare per rendere gli spazi accessibili e fruibili alla persona sordocieca. Ne elenchiamo alcune di fondamentale peso: • Gli oggetti degli appartamenti e i materiali dei laboratori devono essere sistemati in modo ordinato, in un posto ben definito senza mai cambiarne la posizione, e devono essere facilmente accessibili, tenendo conto delle reali necessità del singolo; è d’obbligo avvisare circa gli spostamenti degli oggetti e descrivere dove vengono collocati, ricorrendo a frasi che siano riconducibili al corpo della persona, e non a vaghi “lì sopra”-“lì sotto”; il bastone (vedi più avanti) non deve mai essere allontanato. • In tutti gli ambienti chiusi o di transito bisogna lasciare lo spazio libero da qualsiasi tipo di ingombro o ostacolo; 71 La persona sordocieca ama ritrovare le persone che conosce, in quanto anch’esse fonte di “sicurezza”. Ciò non significa che non sia portato a incontrare gente nuova, ma nella routine della vita quotidiana vive male situazioni in cui il personale cambia troppo in fretta o bruscamente, poiché per il sordocieco è essenziale la creazione di un rapporto di fiducia privilegiato, prima di tutto con il proprio educatore di riferimento, che egli sa esser sempre presente per aiutarlo nel soddisfacimento dei bisogni o nella “traduzione” del suo messaggio incompreso agli altri. 46 • Non sovraccaricare di stimoli l’appartamento privato, l’aula e gli ambienti di lavoro; • Preferire l’illuminazione naturale e mantenere un’illuminazione artificiale indiretta e diffusa, per favorire il residuo visivo degli ipovedenti; • Evitare la ridondanza acustica e l’eccessiva rumorosità nelle stanze sia private che di uso comune, per facilitare la comprensione del parlato in chi possiede residui uditivi; • Segnalare all’utente la sua posizione con vari accorgimenti, ad esempio contrasti cromatici, corrimano dotati di indizi tattili, percorsi con segnali acustici od olfattivi, pavimentazioni con materiali diversi sia per scabrosità che per colore. Il tutto sia all’interno che all’esterno della Struttura, per assecondare l’autonomia motoria e l’orientamento nello spazio. L’ambiente abitativo deve risultare un luogo in cui la persona sordocieca possa sentirsi il più possibile indipendente e al tempo stesso sicura, per cui gli appartamenti della RSD di Lesmo sono pensati con una serie di accorgimenti utili ad incoraggiare la sperimentazione autonoma. Ad esempio i mobili hanno ante scorrevoli, le maniglie sono di materiale morbido, le porte sono dotate di paraspigoli; primeggiano le forme ergonomiche per facilitare la presa ed i colori contrastanti per l’identificazione; tramite la pinza dymo per nastro Braille si creano etichette in Braille adesive da applicare sugli oggetti, in modo da riconoscerli per poterli utilizzare; in cucina vi sono luci sottopensili ad accensione automatica, dosatori per il caffè che si adattano alla misura della caffettiera, piano cottura elettrico ad induzione in vetroceramica, onde evitare bruciature degli ospiti e favorire una facile pulizia (essendo completamente piana, priva di manopole); l’illuminazione è schermata, quindi indiretta e diffusa omogeneamente nello spazio; l’orologio è tattile e/o fornito di sintesi vocale per aiutare il sordocieco nell’orientamento temporale; vi sono molti segnali oggettuali, ad esempio quelli posti nel salotto con i simboli in rilievo che identificano gli operatori in turno (il cosiddetto segnonome della L.I.S.) o altri posti sulla maniglia della propria stanza per permetterne l’immediato riconoscimento; per il tempo libero vi sono giochi di società come la tombola in Braille, o le carte ingrandite, e poi altri oggetti personali, studiati per gli svaghi individuali, come il metro da sarto, sempre in Braille, per chi ama ricamare, oppure il tavolo ergonomico in cui poter sempre riporre ordinatamente i propri strumenti. Durante le riunioni una speciale attenzione viene riservata ai portatori di Sindrome di Usher, prevedendo luce al neon che provenga dall’alto, riduzione del rumore 47 ambientale, presenza di un interprete che non si ponga in piedi sotto la luce, che non vesta degli stessi colori dello sfondo e che non si sieda di fronte ad uno sfondo confuso. Presentazioni in Power Point e materiale cartaceo devono essere scritti a caratteri grandi ben comprensibili. Perché sia la casa che il mondo “là fuori” siano vissuti con serenità un ruolo decisivo è svolto dal personale volontario.72 Si parla di volontariato “diretto” quando si è a contatto con la persona disabile, in attività individuali o di gruppo, specialmente ludico-ricreative, culturali, legate al tempo libero. In questo caso la finalità è l’esplorazione dell’ambiente esterno, l’accesso alle informazioni, la socializzazione e l’autonomia personale. Si tratta all’opposto di volontariato “indiretto” quando si è coinvolti in iniziative di supporto all’Associazione, del tipo eventi promozionali, raccolta fondi, mostre, spettacoli, fiere, attività d’ufficio o di laboratorio, guida degli automezzi dell’Ente, attività promosse dal Comitato delle Persone Sordocieche e dal Comitato dei Familiari delle Persone Sordocieche. Ogni sede della Lega del Filo d’Oro organizza almeno una volta all’anno un corso gratuito di formazione per volontari, suddiviso in lezioni teoriche e pratiche. I requisiti per accedervi sono: per il volontariato indiretto aver definito con il Referente per il volontariato le modalità di inserimento; per quello diretto è necessario prestar servizio almeno due volte al mese o una settimana durante i soggiorni estivi, gestiti appunto dai volontari e indirizzati ad adulti con un buon grado di autonomia. Per entrambi i tipi di volontariato è obbligatoria la maggiore età. 2. Gli ausili tecnologici e tecnici. La persona sordocieca necessita di numerosi ausili tecnici e tecnologici per mantenere le proprie abilità residue e svilupparne di nuove. In questo paragrafo si vuole dare un’idea di come tali strumenti possano, con la loro crescente funzionalità, agevolare tale obiettivo, e pertanto ne elenchiamo alcuni di primaria importanza, molti dei quali ho potuto osservare, o dei quali mi è stato mostrato l’utilizzo, durante il mio stage formativo.73 Per la vista ricordo: 72 La distinzione cui accenniamo ora è ripresa da Il volontariato, in Hai mai conosciuto una persona sordocieca?, Cartelle informative a cura della Lega del Filo d’Oro, Osimo. 73 Ivi, nella cartella Gli ausili. 48 • Il video ingranditore: una telecamera riprende il foglio da leggere ed il monitor riporta il contenuto della pagina in modalità ingrandita; permette di controllare manualmente la messa a fuoco ed il livello di ingrandimento. I più sofisticati presentano l’immagine filtrata, ovvero migliorata a seconda della patologia (per esempio con caratteri bianchi su sfondo nero). Non tutti i modelli offrono l’immagine a colori, e ve ne sono alcuni portatili che si avvalgono di una lente elettronica che si sposta sul testo; altri sono in grado di acquisire immagini dall’ambiente per poi riportarle sullo schermo. • Software ingrandente: applicazioni che consentono l’ingrandimento di testi e immagini per chi utilizza il computer o il cellulare; ha le stesse funzionalità descritte per il video ingranditore e si può altresì integrarlo con la sintesi vocale. • Lettori automatici: sistemi di lettura che riconoscono il testo e convertono un documento cartaceo in informatico (display Braille o sintesi vocale). Necessitano, oltre che del computer, di uno scanner, di un sistema di sintesi vocale e di un software che consenta la gestione delle operazioni in modalità semplice. Alcuni lettori sono in grado di fornire il testo ingrandito e con l’opportuno contrasto cromatico. • Display o riga Braille: sistema composto da un numero di celle che va da venti a ottanta, il quale traduce elettronicamente in rilievo le informazioni presentate a video (nella modalità sia del Braille informatico a otto punti, sia a sei punti). Tali ausili permettono di utilizzare tutte le funzionalità del computer e del cellulare (Internet, posta elettronica, messaggistica, etc.), e altresì di leggere documenti acquisiti con uno scanner. • Stampanti Braille: periferiche che consentono di ottenere in tempi brevi testi in Braille di ottima qualità, grazie ad un software che riorganizza il testo sul display in modo semiautomatico. Per l’udito: • Sintesi vocale: applicazioni software che vocalizzano attraverso una voce sintetica (oggi meno “artificiali” che in passato), il testo presente sul video del computer (o cellulare, palmare). 49 • Sistemi integranti portatili: sono simili alle agende elettroniche portatili con sintesi vocale o interfaccia Braille (dunque apprezzati anche da chi ha problemi visivi); molto efficaci per lo studio ed il lavoro. • Amplificatori a induzione magnetica (Tele Loop): sistemi che trasmettono all’apparecchio acustico (provvisto di ‘posizione T’) voci e suoni in modo più chiaro eliminando i rumori di fondo. Possono essere portatili, per consentire una comunicazione a due, o anche installabili in ambienti ampi come un cinema o una sala riunioni. • Avvisatori luminosi o vibranti: segnalatori di rumori come lo squillo del telefono o di eventi pericolosi come una fuga di gas. Specifico per la sordocecità grave o totale è lo Screen Braille Communicator, una sorta di piccola, leggera e agevole macchina da scrivere che permette al sordocieco di comunicare con chi vede in tempo reale. Da un lato il vedente scrive brevi frasi su di una tastiera QWERTY, dall’altro il sordocieco legge e risponde con il suo display Braille. Il vedente a sua volta leggerà la risposta su di un display LCD posto sopra la tastiera. È pertanto possibile per il sordo cieco comunicare con persone sconosciute faccia a faccia, anche solo per brevi momenti, ad esempio all’interno di un negozio, senza necessariamente approfondire la conoscenza reciproca, come a noi tutti capita quasi all’ordine del giorno, nei nostri contatti psichici superficiali con le persone che incontriamo più o meno casualmente.74 Eccone una immagine esplicativa: Lo stesso dicasi per il CAPtel USB, un telefono che fa apparire sullo schermo del computer la conversazione dell’altro comunicante, potendo modificarne grandezza, colore e stile del carattere.75 74 L’indicazione di questo apparecchio rivoluzionario viene da C. Lagarde, Communication device for deafblind people, E-mail inviata al (e gentilmente concessa dal) Centro di Documentazione di Osimo. La provenienza è Prinsenbeek in Olanda, dove appunto Chris Lagarde si occupa della costruzione di ausili per la disabilità nella comunicazione. Maggiori informazioni, e visione di altri prodotti, sul suo personale sito Internet: www.lagardecommunication.com. 75 Queste immagini sono tratte dal sito Internet dell’American Association of the Deaf-blind, www.aadb.org, nel quale si possono esaminare altri apparecchi similari. 50 Rivoluzionario anche Conny, il cellulare per sordociechi76, sviluppato da Tiflosystem S.p.A. di Piombino Dese (PD), con la quale la Lega del Filo d’Oro collabora al fine di ricercare concrete soluzioni informatiche ed elettroniche, che possano migliorare le possibilità comunicative dei sordociechi.77 Si tratta di un tastierino-display che una volta collegato ad un qualsiasi telefonino o palmare fornito di Bluetooth, consente al sordocieco di comporre i numeri e la gestione di sms, della rubrica telefonica, dell’agenda, della posta elettronica, il tutto in Braille. Alla stessa stregua ricordiamo Braicom, il nuovo terminale Braille sviluppato dal Centro Nazionale Tiflotecnico dell’Unione Italiana Ciechi. È in grado di connettersi in rete via radio con il computer e può consentire ad un numero di utenti che va da 2 a 99, di colloquiare all’interno di una stessa stanza, o comunque nel raggio di circa cinquanta metri. Dunque uno o più sordociechi possono inviarsi in tempo reale dei messaggi scritti fra apparecchi uguali, oppure è possibile scambiare tali messaggi con uno o più computer dotati di modem radio e del software necessario. La possibilità di navigare ha attratto particolarmente i giovani studenti in cerca di informazioni e conoscenze nuove.78 Esperimenti interessanti si stanno compiendo da anni per realizzare un mouse per ciechi e sordociechi che permetta soprattutto, oltre a leggere testi, formule matematiche e testi musicali, di riconoscere figure e disegni. Si tratta però di un’invenzione che la 76 Notizia reperita da: Anche i sordociechi possono utilizzare il cellulare, “Press Visione”, 7 dicembre 2006, 1 p.; È nato "Conny", il cellulare per sordociechi, “Trilli nell'Azzurro”, n. 1, 2007, trafiletto. 77 Vedi www.tiflosystem.it. 78 Vezzosi F., Progetto Mercurio per i sordociechi. Il primo corso di alfabetizzazione informatica, “Il Corriere dei ciechi”, giugno 2001, pp. 49-50. (Dello stesso autore molto interessante l’articolo sul Braille applicato alla musica: Vezzosi F., Braille in musica, “Il Corriere dei ciechi”, aprile 2005, pp. 20-21). Vedi anche Romano S., Informatica ante litteram, “Il Corriere dei ciechi”, aprile 2005, pp. 18-19. L’autore pone la sua attenzione anche sulla rivoluzionarietà dell’I.C.R. (Intelligent Character Recognition), lo scanner corredato di software di riconoscimento dei caratteri, che consente di leggere i testi già stampati, gestibile attraverso i mezzi protesici precedentemente citati (display Braille, sintesi vocale, e sistemi di ingrandimento caratteri). 51 scienza sta ancora elaborando e perfezionando, per i problemi che l’esplorazione analitica della figura comporta.79 Passiamo ora brevemente ai sistemi switch, dei quali, nella RSD di Lesmo, ho avuto modo di vederne il funzionamento. Si tratta di sensori, ovvero di sistemi che trasformano l’energia meccanica in un segnale elettrico. In sostanza sono interruttori modificati che rappresentano l’imput più semplice per azionare qualcosa. Vi sono sensori che permettono di azionare dispositivi a batteria (ad es. gioco o allarme), dispositivi elettrici (ad es. radio o elettrodomestici), mouse, tastiere speciali, computer (software a scansione), VOCAs. Nell’ambito domestico possono ad esempio trovarsi su porte, finestre, tapparelle, persiane, corridoi, letti, etc.; e vi sono sensori per stabilire variabili ambientali come la temperatura o il livello di umidità. I sensori si presentano in varie forme, dimensioni e con diversificati supporti per renderli accessibili nella maniera più immediata e intuitiva. In generale ho notato che vengono utilizzati maggiormente nel soggetto con sordocecità congenita estremamente grave dal punto di vista non soltanto sensoriale, ma motorio e comunicativo. Ne ho constatato l’utilizzo da parte di sordociechi acquisiti solo in un caso in cui il deficit motorio era prevalente, trattandosi infatti di un soggetto in esiti da trauma cranico. Nella stessa categoria possiamo includere i “Sistemi di stimolo e di comunicazione semplificata o facilitata”, utili però per sordociechi congeniti con pluriminorazioni cognitive e spesso motorie, in particolar modo per soggetti spastici gravi (ultimamente, tra diverse polemiche, sono stati applicati anche su soggetti autistici). Questi sistemi associano ad una casella/bottone un messaggio registrato con voce naturale da un operatore o dal genitore, in modo da favorire la comunicazione e programmi d’apprendimento molto semplificati.80 Infine vanno assolutamente elencati gli ausili per la mobilità, il che equivale, per un sordocieco, a parlare di orientamento spazio-temporale. Egli deve innanzitutto imparare ad usare i sensi residui per discriminare lo spazio che lo circonda, e in ciò alcuni ausili divengono parte integrante della propria persona, facilitando i movimenti ed il riconoscimento degli ambienti. Ma debbono sempre essere introdotti rispettando l’età, lo stato psicologico e le attuali capacità organizzative del soggetto, ovverossia la fase di crescita in cui si trova in quel determinato stadio della propria esistenza. L’ausilio non 79 Su questa invenzione israeliana e sulla diatriba che ne è conseguita si veda Il mouse per ciechi e sordociechi, “L’Informatore Notizie”, ottobre 2001, pp. 5-7. 80 Esempi ne sono Communicator, Brain, Baby Brontosauro, Twin-Talk. Come si denota già dai nomi, si tratta di sistemi per lo più dedicati ai bambini. Per le immagini relative vedi Gli ausili, in Hai mai conosciuto una persona sordocieca?, Cit., p. 6. 52 deve mai essere imposto, altrimenti verrà percepito come una protesi che rincara l’immagine negativa che la persona ha di se stessa. Entrando nello specifico, ricordiamo l’importanza dei seguenti ausili per la mobilità:81 Il bastone a strisce rosse: il doppio colore segnala appunto la doppia minorazione sensoriale di vista e udito. Durante il cammino va tenuto con la punta a contatto col terreno per essere informati in anticipo sugli ostacoli e sui dislivelli, e favorire così sicurezza/velocità nella capacità di gestire le difficoltà dell’ambiente. Il bastone trasmette informazioni di natura acustica (volumi, distanze, informazioni strutturali), tattile (qualità dei materiali), e cinestesica (salite e discese, in particolare). Il bastone corto viene utilizzato come segnale di riconoscimento o in alternativa in luoghi chiusi, mentre quello lungo (ca. 120-150 cm, regolabile a seconda dell’altezza della persona), si usa in esterno. Questo ausilio gode dei vantaggi di offrire maggiore sicurezza, di costare poco e di esser facile da trasportare/utilizzare, e infine necessita di poca manutenzione. Ha lo svantaggio di non coprire le parti alte del corpo (spalle, capo), e di non segnalare ostacoli senza una base a terra, come per esempio una casella postale.82 Mappe tattili: costituiscono un supporto per conoscere l’ambiente in cui ci si dovrà muovere. Esistono In Europa simbologie standardizzate che permettono l’interpretazione ad un livello generale. 81 Si riportano gli ausili del materiale Tecniche di guida e ausili per la mobilità, in Hai mai conosciuto una persona sordocieca?, Cit. 82 Gli stessi limiti sono ben conosciuti dai non-vedenti con il bastone bianco, benché essi ottengano maggiori informazioni dall’ambiente in condizione di integrità dell’apparato uditivo. Per una più dettagliata descrizione dei tipi di bastone e delle loro caratteristiche si veda Storani E., I bastoni bianchi e bianchi e rossi: amici o nemici?, “L'Informatore Notizie”, febbraio 2007, pp.11-15. L’aspetto più interessante dell’articolo è però la messa in luce della problematicità che tale strumento porta con sé, poiché secondo l’autrice tra tutti gli ausili tiflotecnici il bastone è quello che accelera bruscamente la consapevolezza della propria quantità/qualità visiva, e soprattutto è l’oggetto che espone socialmente colui che lo usa. Pertanto resta un ausilio non così facilmente accettato, e talvolta temuto. Non della stessa opinione sono ad esempio Venturini L. ed Ardizzino F., sordociechi entrambi, che vedono in questo ausilio una protezione contro i pericoli e un segno di identificazione che evita loro risposte inutili ed imbarazzanti alla gente «sempre di corsa». Venturini L., Il bastone bianco e rosso, “L’Informatore Notizie”, agosto 2002, pp. 25-27; Ardizzino F., Il bastone bianco e rosso, “L’Informatore Notizie”, marzo 2002, pp. 9-11. È stata la 3ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche di Roma, nel 2001, a promuovere una iniziativa nei confronti del Parlamento italiano per il riconoscimento del bastone bianco e rosso, affiancata dalla campagna di sensibilizzazione della Lega del Filo d’Oro. Vedi I sordociechi si fanno strada. Una campagna di sensibilizzazione per il bastone bianco e rosso, “L’Informatore Notizie”, aprile 2004, pp. 33-36. (Qui si trovano anche indicazioni di buon senso per il conducente d’auto che dovesse incrociare un sordocieco sulla sua strada; in particolare è da indicare il riferimento allo stampatello sulla mano come forma di comunicazione “d’emergenza”). Il bastone bianco e rosso è stato introdotto nell’agosto 2002, modificando l’articolo 191, comma terzo, del Codice della Strada, ed è stato individuato come segno di riconoscimento dei sordociechi, così come quello bianco lo è per i non vedenti. 53 Bussola tattile: funziona come una normale bussola; sul quadrante il Nord è rappresentato con una freccia in rilievo. È uno strumento apprezzabile per controllare come si modificano gli spostamenti nello spazio a seconda del movimento corporeo. Ausili ottici: sono tutti quegli ausili che potenziando il residuo visivo aiutano la mobilità, tipo i sistemi monoculari e le lenti (che agevolano ad esempio nella lettura). A conclusione di questa parte ci occupiamo delle tecniche di guida per un sordocieco. 83 Quando si accompagna una persona sordocieca è determinante lasciarla sentire soggetto della situazione, non mai oggetto. Si deve instaurare un rapporto di fiducia e complicità che le permetta di sentirsi a suo agio, come se fosse lei stessa la guida. Opportune le seguenti tecniche: Mettere in relazione il proprio schema corporeo con quello della persona sordocieca, fisicamente, non solo da un punto di vista empatico. Lasciare il sordocieco mezzo passo indietro per protezione. Di solito si appoggia sopra il gomito o sulla spalla, ma anche al di sopra del gomito se la guida è molto alta. Prendere la persona “a braccetto” per “malossare” (vedi ultimo capitolo), a sinistra o a destra a seconda delle sue necessità.84 Non fornire indicazioni lunghe, confuse, o con un linguaggio difficile. Avvertire della presenza di pianerottoli, gradini e simili e dei cambi di direzione. Questi ultimi non vanno compiuti con curve troppo arrotondate poiché le forme tonde disorientano il sordocieco. Proteggere la persona standogli davanti quando si sale o si scende da una scala o da un mezzo pubblico, e parimenti quando si passa attraverso una porta. Non spingere mai la persona avanti o indietro; ciò genera insicurezza, disagio e in ultimo sfiducia. Offrire il braccio alla persona con residuo uditivo negli ambienti affollati o caotici. Offrire il braccio alla persona con residuo visivo nel passaggio da luoghi ombrosi a ben illuminati e viceversa, e avvisarla dell’esistenza di ostacoli troppo piccoli oppure che non presentano contrasto di colore rispetto allo sfondo. 83 Cartella sopra citata alla nota 81, più cartella Il buon accompagnatore. Normalmente il sordocieco porge la mano sinistra per “malossare”, e dunque l’accompagnatore per comodità si pone alla sua destra. Così mi è successo durante tutto lo Stage Formativo. 84 54 Prevedere qualche momento di riposo per via del continuo e alto livello di concentrazione richiesto alla persona sordocieca. Durante la conversazione con soggetto avente residuo visivo è necessario porsi ad una distanza adeguata con luce proveniente di lato o da dietro la persona stessa. Se vi è invece residuo uditivo non gridare ma parlare normalmente, a distanza adeguata anche in questo caso, verificando il lato in cui sente meglio, e dunque la presenza o meno di protesi acustiche (le medesime indicazioni sono valide durante la conversazione da fermi in ambienti chiusi). Nei passaggi stretti in cui non si riesce a camminare affiancati, spostare il proprio braccio-guida al centro delle spalle, invitando la persona a porsi dietro. Indicare se ci si trova di fronte ad una porta destra o sinistra (a seconda della posizione dei cardini) in modo che la persona si possa posizionare dietro, tenendo libera la mano destra o sinistra, in base al tipo di porta, per poi richiuderla. Indicare se una eventuale scala è in salita o in discesa, e se fornita di corrimano farci scivolare la mano del sordo cieco accompagnandola. All’ultimo gradino effettuare una pausa per far comprendere che la scala è terminata e si può proseguire il cammino. Affrontare ogni ostacolo ad angolo retto e compiere una breve sosta prima e dopo l’ostacolo. In auto chiarire chi chiuderà la portiera, indicare dove si trovano le cinture di sicurezza, le maniglie della portiera, i comandi del finestrino, e riporre il bastone tra portiera e sedile onde evitare danni in caso di brusche frenate. Sui mezzi di trasporto segnalare la presenza di sedili liberi, o di maniglie e appoggi possibili in caso non vi fossero. Altri consigli per un buon accompagnatore in contesti diversi: Durante un viaggio è buona norma che la persona sordocieca possegga il recapito telefonico di un referente (familiare o operatore); Al bar, al ristorante, nei negozi, in tutti gli ambienti ricreativi, bisogna essere descrittivi: chiedere dove vuole sedersi, leggere assieme il menù, comunicare i prezzi, non sostituirsi nelle domande/risposte al personale, descrivere la posizione del cibo nel piatto, chiedere se si necessita di aiuto per tagliare il cibo o per versare le bevande (non farlo in automatico), dare informazioni riguardo ogni elemento importante o pericoloso, avvisare se si dovessero macchiare i vestiti, 55 leggere le notizie in presenza di giornali, fare da tramite tra il sordocieco e il venditore spiegando il rapporto qualità/prezzo dei prodotti esposti, descrivere e lasciar toccare gli oggetti (previo consenso) per testarne dimensioni, materiale, qualità; confermare il valore delle banconote mentre sta pagando e contare il resto sulla sua mano. Lo stesso atteggiamento descrittivo vale per situazioni come la toilette, la permanenza in ospedale o la visita dal medico di base o da uno specialista: descrivere ogni dettaglio e la collocazione degli oggetti (compresi, a maggior ragione, i beni personali), e favorire l’espressione delle proprie opinioni o dubbi. In ospedale sarebbe utile che il personale utilizzi qualche segno di riconoscimento per evitare reazioni di paura o imbarazzo. Queste semplici indicazioni ci danno un’idea della sensibilità che richiede l’approccio con una persona sordocieca, per sua natura particolarmente suscettibile e attenta a tutti i più piccoli cambiamenti che le accadono intorno, tanto nello spazio fisico, quanto nella relazione con l’altro.85 È pur vero che le tecnologie mutano molto velocemente e non è sempre facile rimanere aggiornati, o trovare una via agevole per procurarsi l’invenzione di nuova generazione più attuale. Gioverebbe alla qualità media di vita un’informazione più omogenea e delle indicazioni chiare sui reali benefici che si possono ottenere dalla tecnologia: «[…] anche la scrittura normale potrebbe considerarsi simbolica poiché fissa la parola, il linguaggio, su una memoria precaria: la carta, appunto; oggi questa può essere sostituita per tutte le forme di comunicazione da sistemi più aggiornati e soprattutto più veloci che consentono un migliore uso di tutte le informazioni che ci interessano. Se poi consideriamo il fatto che un computer utilizza programmi e applicazioni che collegate ad altri dispositivi, barre Braille o altro ancora, possono considerarsi strumenti che agevolano una forma fondamentale di comunicazione simbolica, dovremmo dire al legislatore di definire quali sistemi effettivamente ci servono per vivere meglio, sapendo che il mondo non solo si vede e non si sente, ma si può toccare se si abbattono pregiudizi ed ignoranza».86 Per tale ragione sta assumendo sempre più credito il Centro di Ricerca di Osimo che ha lo scopo primario di recepire le esigenze provenienti dai Servizi riabilitativi e tradurle in 85 Durante il mio Stage ho imparato quanto potesse essere disorientante cambiare profumo… gli utenti mi desideravano “riconoscibile”, erano vigili rispetto a tutti quei segni ch’essi vivono quale forma di riguardo. 86 Russo A., Per vivere meglio, “Voce Nostra”, 1-15 maggio 2007, p. 7. 56 strumenti e metodologie validi per le persone sordocieche, con l’intento non solo di fornire protesi che ottimizzino i residui sensoriali, ma di “protesizzare l’ambiente” in cui la persona vive, al fine di ottenere un reale, pratico beneficio per la vita quotidiana, e con una cura speciale per la comunicazione.87 3. La terapia occupazionale. Ogni terapia si pone come obiettivo nodale quello di mantenere attive le abilità acquisite e al tempo stesso di sviluppare le abilità potenziali. Come abbiamo già visto, in presenza della doppia minorazione sensoriale, l’esposizione al rischio di una definitiva chiusura in se stessi è sempre molto alto. Le attività di laboratorio si rivelano determinanti per un sordocieco, in quanto lo stimolano alla relazione, evitano la comparsa di stereotipie o di atteggiamenti ossessivi, ed in generale migliorano la sua salute psicofisica generale.88 Nei laboratori di terapia occupazionale della RSD di Lesmo, durante la mia esperienza formativa, ho avuto modo di guardare e toccare alcune produzioni di assemblaggio (oggetti vari ottenuti unendo mollette di legno) e di decoupage (opere in stile mosaico con variegati materiali colorati). Tutti prodotti apprezzabili per meticolosa precisione ed effetto armonioso. Ma sono stata particolarmente colpita da un uomo affetto da Sindrome di Usher (ormai completamente sordo e cieco), che ho avuto la possibilità di osservare a lungo mentre si prodigava nel suo hobby della cestineria. Con quale naturalezza raggiungeva la sua postazione e con quale sicurezza e padronanza si muoveva nel laboratorio, in operazioni complicate e delicate che prevedevano l’uso abbondante di colla. Ogni singolo strumento era al suo preciso posto e con la stessa precisione lui sapeva dove trovarlo. Le educatrici mi hanno confermato che persone come lui soffrono maggiormente nei momenti destrutturati, e preferiscono occupare le giornate, anche nel week-end, rendendosi utili, sentendosi attivi. Ed è questa in definitiva la filosofia che muove la Lega del Filo d’Oro in merito alla questione del valore del lavoro in se stesso, al di là che esso dia frutti economici, tramite ad esempio la vendita dei prodotti in appositi stand, o venga svolto per il puro piacere del fare. Le 87 Il Centro di Ricerca di Osimo, “Trilli nell'Azzurro”, n. 6, 2006, 1 p. A dirigere il Centro è Giulio Lancioni, Professore ordinario dell’Università di Bari. Di ampio respiro è la sua impostazione teorica favorevole ad interagire con diverse Università per creare una cultura scientifica omogenea e coerente. 88 Questo concetto è espresso in Marchetti F., Romaldini I., Migliore A., La terapia occupazionale come momento di realizzazione personale. Esperienza del Centro di Riabilitazione della Lega del Filo d’Oro, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 3, 2003, p. 1. 57 attività occupazionali sono molteplici, dalla tessitura di tappeti (o su telaio) alla rilegatura, dal cartonaggio alla impagliatura di sedie, etc. Un bell’esempio in questo senso ce lo fornisce l’esperimento del 1999, anno in cui la Lega del Filo d’Oro è stata l’Ente promotore in Italia del progetto “New Opportunities in Working Life for Deafblind People”, destinato a sordociechi e a persone affette dalla Sindrome di Usher, allo scopo di individuare delle mansioni da poter far loro svolgere in contesti aziendali, grazie a modalità sensoriali, soprattutto tattili. L’idea portante era quella di poter creare una professionalità, potenziando l’autostima, favorendo l’emancipazione dal disagio, dall’isolamento e dall’insoddisfazione personale e sociale. L’attività pratica nei laboratori delle sedi dell’Associazione e presso le strutture del partner inglese (Sense West), sono state precedute da una formazione teorica in Pedagogia, Metodologia didattica e Psicologia dell’Educazione per gli operatori selezionati. Senza entrare nei particolari della sperimentazione, è interessante notare l’esito, diciamo così psicologico, di tale sperimentazione: le persone sordocieche coinvolte nel progetto (sempre su selezione in base a determinati requisiti), hanno provato, sentito per la prima volta, l’azione che di solito subiscono: affiancare anziché essere affiancati. E gli operatori, dall’altra parte, hanno sottolineato il loro vissuto del “sentirsi utili”.89 Allo stesso risultato è giunto un progetto della Comunità Kalorama di Osimo, un progetto di tutoring rivolto a due persone sordocieche adulte, nell’attività di impagliatura, che oltre a richiedere dei prerequisiti generali dell’apprendimento (attenzione sostenuta e divisa, motivazione al compito), richiede delle abilità specifiche: motricità fine, forza muscolare, coordinazione bimanuale, concetti topologici e spaziali, abilità numeriche. I soggetti coinvolti nell’esperienza hanno provato il piacere di utilizzare le mani a fini costruttivi, quindi significativi per la loro realtà, e al tempo stesso, in un rapporto paritario con il proprio tutor (comunicando col condiviso metodo Malossi), hanno appunto sperimentato il passaggio da disabile ad abile, al punto tale da possedere conoscenze da trasmettere agli altri.90 La terapia occupazionale ha anche un’altra finalità di fondamentale valore etico, e di utilità pratica al tempo stesso, ovvero è una via privilegiata per aiutare il sordocieco 89 Questi concetti si trovano in Ceccarani P., Sperandini F., Bertini A. M., Green W., Programma operativo occupazionale Volet Horizon 1997-1999. Rapporto finale, Lega del Filo d’Oro, Osimo, dicembre 1999, alle pagine 9-10, 15, 20, 26. 90 Marconi N., Progetto di tutoring con due persone sordocieche adulte, “Oltre il Confine”, n. 2002, pp. 13-15. 58 a venire in contatto col mondo e a conoscerlo, nel senso più profondo del termine. Esemplifichiamo ancora citando un altro progetto della Lega del Filo d’Oro.91 Da qualche anno nella sede Kalorama di Osimo ha preso vita questo programma chiamato “Conoscenza dei mestieri”, la cui finalità è di rendere più consapevoli i sordociechi del mondo reale che li circonda. Varie figure professionali (muratore, elettricista, ciabattino, falegname, agricoltore, etc.), si sono resi disponibili a spiegare il proprio mestiere “lasciando fare” ai sordociechi, che hanno toccato, sentito, provato, compreso. E così un uomo di quarantanove anni ha scoperto che l’uovo non viene né dal frigorifero né dal negozio degli alimentari dove sempre l’ha trovato, ma dalla gallina di cui non conosceva l’esistenza. Quella che sembra una battuta non lo diventa più se leggiamo le seguenti parole: «I ragazzi hanno appreso con vera contentezza che intorno a loro gira un mondo di cui adesso si sentono maggiormente parte grazie agli stimoli ambientali ricevuti e alle esperienze “sul campo”. Sapere da dove arriva l’acqua, come si pianta l’insalata, accarezzare il muso di una mucca da latte, incollare la suola a una scarpa, toccare i pezzi di ricambio di un’automobile, o provare a riverniciarne una parte rovinata, vuol dire per loro –che non ne sapevano nulla- che cosa si mangia o si beve, che cosa ci si mette addosso, che cos’è la macchina con cui ci si muove. Inoltre, i contatti avuti con tante persone diverse hanno significato un notevole miglioramento nel processo di socializzazione, nel percorso comunicativo e nella conoscenza della realtà: un iter importante per sentirsi a pieno titolo parte integrante del mondo in cui vivono, cosa a cui hanno assolutamente diritto».92 Per noi tutti è basilare, fonte di gratificazione e realizzazione, avere un lavoro. Lo stesso avviene per la persona sordocieca, perché diventa uno strumento terapeutico riabilitativo che potenzia la visione del proprio Sé in positivo, con la coincidenza tra saper fare e saper essere, ossia “io Sono” attraverso “ciò che Faccio”. La terapia occupazionale è stata inserita in questo capitolo sugli ausili, perché, di fatto, ne è uno, o forse il principale, per garantire alla persona sordocieca oggettivi progressi funzionali e psicosociali. Essenziale è infatti che non si punti al lavoro come fucina da cui estrarre apprendimenti, abilità fini a se stesse: ogni capacità nuova o il consolidamento di una già esistente, è da inserire in un progetto di più ampio respiro che coinvolga tutti gli aspetti della personalità, compresi gli atteggiamenti ed i comportamenti. Si tratta di tener presenti le 91 Qui il riferimento è a Sentirsi attivi, partecipi, vitali, visitando una fabbrica o aiutando in un frutteto, “Trilli nell’Azzurro”, Attualità, n. 1, 2008, p. 1-2. 92 Ivi, p. 2, Gatto L., Direttore del Settore Adulti della sede Kalorama. 59 aree delle autonomie personali, motorie, di comunicazione, nonché le competenze socio-adattive. Per ogni area è necessario condurre una prima fase di analisi dei prerequisiti e delle potenzialità di sviluppo; in un secondo momento si passerà alla fase di attuazione pratica delle attività da compiere, controllando il lavoro con schede di verifica sia intermedia che finale. Bisogna effettuare task analysis dei singoli compiti, monitorati un passo alla volta, al fine di porre obiettivi successivi sensati, inseriti in apprendimenti più complessi. L’individuazione delle competenze vale anche per l’operatore, che ha la funzione di tutor, e dunque deve sviluppare una particolare abilità a muoversi in sintonia con la persona sordocieca, imparando a sapersi gradualmente ritirare nel momento in cui il soggetto sa gestire la situazione in autonomia.93 Fu in particolare la 1ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche a sottolineare l’importanza di una guida-interprete, quanto meno per il primo periodo di inserimento lavorativo, per imparare che cosa fare, conoscere l’ambiente ed i propri compagni di lavoro. Questo operatore, ed un sorvegliante in sua vece nei suoi momenti d’assenza, devono come si diceva essere presenti ma non in eccesso, altrimenti subito si verifica la perdita di una sufficiente autonomia, e non si tratta solo di una sensazione soggettiva. Un altro problema che si sottolineava nella Conferenza era la mancanza di Corsi di Formazione Professionale per persone sordocieche, ed il pericolo costituito dallo spostamento dall’abitazione al luogo di lavoro, in particolar modo quando non si dispone di un cane-guida, e si pensava pertanto a quale figura potesse svolgere questo servizio, ad esempio un volontario.94 93 Gatto L., Il lavoro come momento terapeutico, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 4., 2006, pp. 240-243. Immediato il riferimento al concetto di “Fading” nella visione costruttivista della conoscenza. 94 Vedi Castellano R., Il mondo del lavoro, Atti 1ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, Marcelli di Numana (AN), 17-24 giugno 1995, www.fradinoi.it. 60 Molte persone credono di pensare, ma in realtà stanno solo riorganizzando i loro pregiudizi. William James 61 CAPITOLO QUARTO 95 I SISTEMI DI COMUNICAZIONE CON SORDOCIECHI AQUISITI Patrizia Ceccarani elenca nei suoi saggi i sette livelli che costituirebbero, essenzialmente, la comunicazione umana. Livello I: Comportamento pre-intenzionale. Il comportamento non è sotto il controllo dell’individuo, ma riflette il suo stato in generale (come ad esempio comodità, disagio, fame o sonno). Sta al caregiver interpretare lo stato di un individuo dai comportamenti, come ad esempio il movimento del corpo, le espressioni facciali e i suoni emessi. In genere nello sviluppo infantile questa fase si verifica tra 0 e 3 mesi di età. Livello II: Comportamento intenzionale. Il comportamento è sotto il controllo dell'individuo, ma non è ancora utilizzato per comunicare intenzionalmente. Il caregiver ancora una volta dovrà interpretare i bisogni individuali e i desideri in base ai comportamenti, come i movimenti del corpo, le espressioni del viso, le vocalizzazioni e la direzione dello sguardo. Di solito nello sviluppo infantile questa fase si verifica tra 3 e 8 mesi di età. Livello III: Comunicazione non adeguata. I comportamenti pre-simbolici non adeguati sono usati intenzionalmente per comunicare; è infatti in questo stadio che comincia la comunicazione intenzionale, voluta. I comportamenti comunicativi sono "pre-simbolici" perché non comportano alcun tipo di simbolo, e si definiscono "non adeguati" poiché non sono per noi socialmente accettabili, per esempio tendiamo ad utilizzarli quando invecchiamo. Questi comportamenti comunicativi comprendono i movimenti del corpo, le vocalizzazioni, le espressioni facciali e gesti semplici (ad esempio trattenere le persone). Normalmente nello sviluppo infantile questa fase si verifica tra i 6 ei 12 mesi di età. Livello IV: Comunicazione convenzionale. I comportamenti convenzionali pre-simbolici sono utilizzati intenzionalmente per comunicare. Vengono chiamati "pre-simbolici", perché non comportano alcun tipo di simbolo, ma sono "adeguati", in quanto sono socialmente accettabili e continuiamo a 95 Il capitolo è un compendio delle tesi di Patrizia Ceccarani. Si rimanda alla bibliografia ragionata finale. Altre note si inseriscono a parte su temi specifici. 62 utilizzarli per accompagnare la nostra comunicazione anche in età adulta. I significati di alcuni gesti possono essere specifici per una singola cultura. I comportamenti comunicativi sono quelli di indicare, annuire o scuotere la testa, agitare, abbracciare e guardare una persona o un oggetto desiderato. Da notare che molti di questi gesti (e soprattutto quelli di indicazione) richiedono una buona capacità visiva e possono non essere adeguati per le persone con disabilità visiva grave. In questa fase si prestano anche alcune intonazioni vocali. Di norma nello sviluppo infantile ci troviamo tra i 12 e i 18 mesi di età. Livello V: Simboli concreti. Da questo stadio comincia la comunicazione simbolica, dove i simboli hanno la funzione di rappresentazione, ovvero “stanno al posto di”. I simboli "concreti" (che fisicamente assomigliano a ciò che rappresentano) sono utilizzati per comunicare. Essi sembrano, si sentono come suono o si muovono come ciò che rappresentano. Includono immagini, oggetti (come un laccio a rappresentare la "scarpa"), gesti "iconici" (come accarezzare una sedia per dire "sedere") e suoni (come l’emissione di un ronzio per indicare il significato di "ape"). La maggior parte delle persone saltano questa fase e passano direttamente al livello VI. Per alcune persone i simboli concreti possono essere l'unico tipo di simbolo che abbia per loro senso, mentre ad altri può servire come un ponte verso l'uso di simboli astratti. Tipicamente i bambini in età evolutiva usano i simboli concreti in combinazione con gesti e parole. Nello sviluppo infantile, ci troviamo tra i 12 e i 24 mesi di età, ma non in quanto fase separata. Livello VI: Simboli astratti. I simboli astratti come il linguaggio, i segni con le mani, il Braille o le parole stampate sono usati per comunicare. Questi simboli sono "astratti", perché non sono fisicamente simili a ciò che rappresentano. Essi sono usati uno alla volta. Solitamente nello sviluppo infantile questa fase si verifica tra i 12 e i 24 mesi di età. Livello VII: Lingua. I simboli (concreti o astratti) vengono uniti in due o tre combinazioni ("vuoi succo", "andare fuori"), secondo regole specifiche grammaticali. L'individuo è consapevole che il significato delle combinazioni dei simboli può variare a seconda di come vengono ordinati. In genere nello sviluppo infantile questa fase inizia intorno ai 24 mesi di età. Con persone sordocieche acquisite (che non presentino problemi di grave ritardo mentale) ci muoviamo nel campo della comunicazione simbolica, benché più correttamente si debba parlare di Comunicazione Alternativa. Il termine non significa 63 banalmente “in alternativa di”, ma è un metodo a se stante, di indiscusso valore educativo e riabilitativo, che risulta essere imprescindibile ad un sordocieco al quale sfuggono la quasi totalità delle caratteristiche della lingua parlata (ad esempio tono, accento o ritmo) e del suo aspetto visivo (per esempio lettura labiale o mimica facciale). I prerequisiti, come in definitiva abbiamo già indicato nel nostro lavoro, sono la modificazione ambientale sulla base dei bisogni e delle preferenze individuali, e la creazione di un legame di fiducia adatto al temperamento ed alle aspettative del soggetto. Presentiamo ora le tecniche di comunicazione utilizzate dai sordociechi acquisiti per soddisfare il proprio naturale bisogno di interazione e comunicazione interpersonale. 1) IL METODO MALOSSI. Questo sistema è stato ideato da una persona sordocieca dalla quale prende il nome.96 Si toccano e si pizzicano le varie parti delle falangi e del palmo come se la mano fosse la tastiera di un computer (vedi figura: si toccano le lettere in nero, si pizzicano quelle in azzurro). In passato si usava stringere tra le due dita il punto della lettera da toccare e strisciare lungo il dito della lettera da pizzicare. L’attuale modalità genera un tocco agile, 96 Eugenio Malossi (8 maggio 1885-19 maggio 1930). All’età di sette anni, a causa di una encefalite, perde vista, udito, olfatto, parola, e recupera la deambulazione dopo un ricovero di otto mesi in una casa di cura della sua zona, Avellino. Nel 1985 viene accolto da Domenico Martuscelli nella sua Scuola per ciechi, l’Istituto Principe di Napoli, attualmente Istituto D. Martuscelli. Viene affidato alle cure del maestro Francesco Artusio che lo avvia all’uso funzionale del tatto prima, e della lettura/scrittura poi, e del maestro Aurelio Colucci, sordocieco, che gli insegna le arti manuali. Qui Eugenio apprende il francese e l’inglese (anche per poter corrispondere con l’amica Helen Keller), e diventa esperto nell’arte del vimini e della meccanica. Aveva talmente affinato i suoi sensi da riuscire a riconoscere chi si avvicinava a lui sentendo le vibrazioni del pavimento. Diventerà lui stesso educatore e maestro, dando prova del suo infaticabile ingegno con originali invenzioni. Pimpinella A., Io e voi, “Voce Nostra”, 1-15 novembre 2006, pp. 6-8. 64 estetico, igienico, che consente un contatto discreto tra le mani. I numeri vengono trasmessi stringendo inizialmente il polso della persona sordocieca, seguendo il seguente codice: A=1, B=2, C=3, D=4, E=5, F=6, G=7, H=8, I=9, J=0.97 L’operatore durante la conversazione tende a comprendere nel gesto la cadenza della voce (ad esempio marcando il contatto con l’ultima “e” di “Perché?”) o rafforzando la comunicazione con i gesti.98 Con il Malossi l’operatore può raggiungere quasi la stessa velocità della parola orale. I più esperti non guardano neanche le mani traducendo seduta stante, ad esempio, i contenuti di un convegno o di una riunione, e possono leggere al sordocieco i testi con le loro mani poggiate sulle ginocchia, così come i dattilografi non guardano più la tastiera. I sordociechi lo utilizzano altrettanto speditamente con gli operatori o tra di loro, e non hanno bisogno che si faccia una breve interruzione tra una parola e l’altra. Tra i sordociechi è il metodo di comunicazione più accetto, d’uso nazionale, per la sua praticità, chiarezza e semplicità. È in sostanza un metodo di scrittura basato sulla battuta dattilografica.99 Presuppone la conoscenza della lingua italiana scritta, sensibilità tattile muscolare, capacità ricettiva, di concentrazione e di memorizzazione, oltre che l’esercizio costante nella relazione quotidiana.100 97 Nella mia esperienza di Stage non ho mai utilizzato questa modalità per i numeri, in quanto non gradita. Più semplicemente scrivevo i numeri sul palmo della mano, o sollevavo/abbassavo le dita necessarie a far comprendere il numero voluto (naturalmente se non si trattava di una cifra estesa) 98 C’è anche la tendenza a ripetere a voce alta o sussurrata le lettere man mano che vengono digitate, per ‘sorreggere’ la concentrazione, e quindi compiere un minor numero di errori, soprattutto in chi, come me, ha dovuto imparare a “malossare” in poco tempo. Tra l’altro va riconosciuto che alcuni ospiti della RSD erano piuttosto insofferenti rispetto alla lentezza di chi sta apprendendo il metodo. Una strategia per impararlo velocemente può essere il guanto alfabetico da indossare, o da far indossare, chiedendo però il permesso… (altra possibilità non molto amata!). 99 Curioso l’articolo sulla modalità di comunicazione con le dita utilizzata in Giappone, dove le tre dita centrali di ogni mano vengono digitate come se si trattasse di una dattilo Braille, col limite però di non scrivere a velocità eccessiva o con un linguaggio troppo aulico. Vedi: Lamichane Kamal, Fingerbraille: An Investigation of Japanese methods, for communicating with individuals who are deafblind, “Journal of Visual Impairment & Blindness”, AFB, February, 2001, pp. 181-185. 100 Durante lo Stage ho dovuto imparare a usare il Malossi con una scrittura semplificata, con frasi brevi costruite con i verbi all’infinito, per persone sorde perlinguali o con carenze cognitive (ad esempio anziane), altrimenti il mio messaggio risultava di difficile comprensione. 65 2) L.I.S. e L.I.S.T. La Lingua Italiana dei Segni è la lingua con cui comunica la Comunità sorda. In Italia il suo riaffiorare si ha sull’onda degli studi di W. Stokoe, negli anni ’60, che per primo dimostrò che la ASL (Lingua dei segni americana) possedeva tutte le caratteristiche grammaticali, sintattiche e morfologiche di ogni lingua naturale. Tema controverso, ed infatti oggi in Italia non è ancora stata riconosciuta. Alla base di questa teoria vi sta la differenziazione tra i termini “Lingua”, intesa come sistema di simboli e regole grammaticali condivisi da una Comunità e mutevoli nel tempo, “Gesto”, in riferimento ai movimenti manuali e/o espressioni facciali non codificati, e “Segno”, ovvero l’insieme dei movimenti manuali e delle espressioni facciali, al contrario di prima, rigidamente codificati (La L.I.S. è composta da 42 configurazioni, 16 luoghi, 6 orientamenti, 38 movimenti, oltre al parametro rappresentato dall’espressione del viso). I sordociechi la utilizzano di solito quando vi è un residuo visivo, mentre quando esso manca, si passa alla L.I.S. tattile. In questo caso entrambe le mani della persona sordocieca che riceve la comunicazione, debbono esser poste sopra quelle dell’interlocutore. Ci si può avvalere anche di una sola mano, a seconda del grado di conoscenza e comprensione di questa forma di comunicazione.101 101 Durante lo Stage ho potuto notare che la L.I.S.T. era più che altro una forma di Italiano Segnato, quindi i segni seguivano l’andamento e le regole della conversazione normale, e non quelle della L.I.S. vera e propria, che prevede ad esempio il verbo in fondo alla frase. Ciò era dovuto al livello cognitivo dei soggetti e alla modalità non formale con cui l’hanno appresa. Infatti anche i segni utilizzati venivano inventati a seconda dell’ospite con cui il quale si stava conversando, cosa che rendeva più divertente, creativa e personalizzata la comunicazione. 66 3) DATTILOLOGIA O ALFABETO MANUALE. Rappresenta le varie lettere dell’alfabeto mediante differenti configurazioni della mano, attraverso i movimenti e le posizioni delle dita. Di norma è un sistema utilizzato da persone sordocieche “segnanti”. Il messaggio di solito è trasmesso con la mano destra (o comunque quella dominante), all’altezza del viso della persona sordocieca quando possiede un residuo visivo, oppure tattilmente dentro il suo palmo se non lo possiede.102 Quest’alfabeto è essenziale quando bisogna comunicare parole per le quali non vi è un segno nella L.I.S., ad esempio un nome proprio o la marca di un prodotto. 102 Anche in questo caso ho notato durante lo Stage degli adattamenti “creativi”. Per far meglio comprendere il messaggio, di solito condensato in un’unica parola, alcune lettere venivano modificate nel senso della semplificazione della configurazione. Ad esempio la “D”, senza sollevare il mignolo, rendendola così più simile al carattere stampato. La dattilologia mi è stata utile per rendere chiaro il mio nome straniero che non veniva subito afferrato, sostituendo, il più delle volte, la “K” di Karin con la “C”. 67 4) SEGNO NOME. Si tratta del segno che permette di identificare la persona o di presentarsi, evitando di usare la dattilologia. Deve rispettare i quattro parametri della L.I.S., e di norma prende spunto da caratteristiche fisiche o da interessi della persona.103 5) STAMPATELLO SULLA MANO. Il metodo più semplice ed immediato per comunicare con una persona sordocieca è la scrittura in stampatello sulla mano: si utilizza il proprio indice come fosse una penna e si scrive sul palmo del ricevente. L’unica accortezza è che si seguano le linee tratteggiate nello schema che indicano la direzione e la sequenza dei tratti da eseguire, altrimenti la comprensione diventa difficoltosa, anche quando si spezza il tratto continuo. Questo metodo può essere utilizzato, anche se non perfettamente, da chi per la prima volta si trova ad incontrare una persona sordocieca, ad esempio in una situazione 103 Uno degli ospiti della RSD di Lesmo mi aveva attribuito un segno nome basandosi sulle mie origini tedesche. Un’altra si riferiva ai miei lunghi capelli. Non sono rimasta un tempo sufficiente affinché venisse in realtà “codificato” e condiviso da tutti. 68 d’emergenza per strada o in riferimento alla richiesta di un’informazione. Quanto meno può garantire una forma di comunicazione e d’intesa, piuttosto che imbarazzo o panico. Un altro possibile utilizzo di questo metodo interessa persone che, diventate sordocieche ad esempio a causa di un incidente o dell'età, possono immediatamente provare a comunicare, prima di apprendere sistemi più complessi e funzionali, in tempi successivi e con la richiesta calma e attenzione 6) IL BRAILLE.104 Metodo di lettura e scrittura costituito da un codice di punti in rilievo corrispondenti alle lettere dell’alfabeto, ai segni musicali e matematici. I segni grafici dell'alfabeto Braille sono costituiti ciascuno da sei punti disposti tre sulla destra e tre sulla sinistra di una casella rettangolare di 6 per 3 mm. La differenza tra i caratteri è data dalla diversa disposizione e combinazione dei punti stessi che costituiscono le singole lettere. La lettura Braille viene effettuata di solito dall'indice della mano destra, seguito da quello della mano sinistra che ha principalmente compiti orientativi nella individuazione delle righe. Le dita che leggono devono essere tenute in posizione morbida e procedere sfiorando le lettere in rilievo, senza premere su di esse, per coglierne più chiaramente la composizione. È necessario un solo atto motorio per la percezione e la comprensione della struttura geometrica, inoltre lo spazio tra le lettere rispetta i movimenti del dito rendendo possibile una lettura rapida. L'alfabeto Braille è forse il più famoso sistema di comunicazione per non vedenti, permettendo esso l’accesso alle più varie forme di linguaggio culturale e scientifico.105 104 Louis Braille (4 gennaio 1809-6 gennaio 1852). Un bel riassunto e approfondimento della sua vita e della sua invenzione si trova in Gargiulo M. L., Braille: l'alfabeto sotto le dita. Parte prima: come si insegna e come si impara, “L'Hessere”, marzo-aprile 2007, pp. 15-17 e in Braille: l’alfabeto sotto le dita. Parte seconda: i modi del Braille, “L’Hessere”, maggio-giugno 2007, pp. 15-19. Interessante anche l’articolo di Salvatore Lagati in cui afferma che mentre il Braille mette per iscritto la lingua italiana, la Lingua dei segni ha un sistema tutto suo, e mentre il Braille (cartaceo o labile) serve per leggere opere trascritte, la Lingua dei segni non dispone di un sistema di scrittura. Infine il Braille è più facilmente adattabile ad computer. Per tali ragioni secondo l’autore la sola Lingua dei segni segrega dal contesto sociale e dalla cultura. Vedi Lagati S., Strategie per la comunicazione. Braille e lingua dei segni, “Effeta”, n. 2, maggio 2008, pp. 26-27. 105 Ho potuto notare durante il mio Stage l’attaccamento degli ospiti a questa forma di comunicazione. Tutto viene tradotto in Braille e molti ausili o oggetti della vita quotidiana hanno trascrizioni in Braille. Un ospite in particolare, sordocieco totale, utilizzava ogni settimana la Dattilo Braille per scriversi il suo diario di attività o appuntamenti. Un’altra, cieca totale e ipoacusica, si faceva trascrivere in Braille i giornali dedicati alla maglia e all’uncinetto, e con abilità invidiabile –e ottima memoria- realizzava prodotti da far invidia ad una sarta vedente… 69 7) IL TADOMA.106 Metodo di riconoscimento dei suoni vocali appoggiando il pollice sulle labbra ed il palmo e le dita della mano sulla guancia e sulla mascella di chi parla. Richiede una buona capacità di discriminazione aptica (poiché davvero sottili sono le differenze tattili rilevate dalla mano di chi ascolta).107 Risulta ottimo per avviare persone che non hanno problemi fonatori o intellettivi (oppure lievi problemi cognitivi), ma che altresì presentano assenza o gravi problemi di linguaggio di diversa eziologia. Va insegnato precocemente ai bambini, come base per l’apprendimento del linguaggio verbale, insegnando al bambino a ripetere i suoni percepiti. I suoni vengono riconosciuti per la posizione di labbra e bocca, per la quantità di emissione d’aria, per quanto tempo viene emessa, per la sua temperatura, ricordando che nel caso dei suoni consonantici il problema è più complesso poiché l’emissione dell’aria viene interrotta o modulata attraverso i vari organi coinvolti nella fonazione, soprattutto lingua, denti e labbra. 8) COMUNICAZIONE OGGETTUALE, PITTOGRAFICA, GESTUALE E COMPORTAMENTALE. Si tratta di sistemi di comunicazione che si utilizzano quando la persona pluriminorata psicosensoriale presenta una tale gravità del livello cognitivo da non poter apprendere un codice linguistico. La comunicazione ha una funzione ricettiva appresa per associazione ed una produttiva che nasce da un bisogno; nel processo evolutivo l’apprendimento della componente ricettiva della comunicazione precede il linguaggio espressivo; essi in una normale conversazione si integrano. Dove esistono i suddetti 106 Il metodo è stato inventato da un’educatrice americana, Sophie Alcorn (3 agosto 1883-28 novembre 1967), ed il nome è il risultato dall’unione dei primi due soggetti a cui fu insegnato: Tad Chapman e Oma Simpson. Oltre ad essere una straordinaria educatrice si batté molto per la causa dei diritti dei sordociechi, collaborando con l’Associazione Americana per i Sordociechi. 107 Per questa sua complessità non ho mai avuto modo di osservarlo durante il mio Stage. Una sorta di Tadoma lo applicavo quando volevo far percepire alla persona le espressioni del mio viso o le vibrazioni prodotte dalla mia risata. 70 problemi evolutivi è necessario un linguaggio con un alto livello di trasparenza che rende comprensibili i concetti rappresentati e semplice l’apprendimento, e ciò accade in massima misura nella comunicazione oggettuale e pittografica, mentre quella gestuale richiede maggiori livelli d’astrazione. Tuttavia più la comunicazione è trasparente (tramite oggetti e immagini) meno sarà pratica, dovendo disporre appunto di modellini, oggetti reali, fotografie, disegni, etc., da portar con sé. Importante la seguente distinzione: la comunicazione verbale si serve di un sistema di simboli, cioè il linguaggio è scomponibile in costituenti autonomi, le parole, le quali combinate tra loro consentono di generare e comprendere un numero di frasi infinito. Invece la comunicazione non verbale si avvale di un insieme di simboli, che a differenza delle parole non sono scomponibili e ricomponibili per formare nuovi significati. La modalità non verbale è la più antica sia filogeneticamente, cioè nella linea evolutiva degli esseri viventi, ma anche ontogeneticamente, in quanto si attiva nell’uomo dalla nascita.108 Comunicazione oggettuale: Ci si serve dell’oggetto per riferirsi ad una persona, ad un luogo, ad un oggetto concreto, ad un’attività. Esso deve essere riconoscibile e significativo, trasparente, cioè mantenere una buona somiglianza tattile con l'oggetto/situazione originale. Richiede la capacità cognitiva imitativa, ossia la capacità di utilizzare oggetti-risposta identici all’oggetto stimolo (ad esempio bicchiere = chiedere da bere), e la capacità non imitativa, ovvero stabilire associazioni per appartenenza (tappo-bottiglia), per complementarietà (bacchetta-tamburo) e per uso comune (tovagliolo-pasto). 108 Gatto L., La comunicazione con persone pluriminorate, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 2, 2006, p. 2. 71 Comunicazione pittografica: Attraverso immagini vengono rappresentate azioni, situazioni e bisogni diversi. La modalità di apprendimento è per associazione oggetto-disegno; devono essere collegati in maniera stabile il disegno dell’oggetto e l’oggetto con le sue funzioni. Comunicazione comportamentale-gestuale: La comunicazione comportamentale è la più semplice e spontanea. Si affida al movimento del corpo e alle reazioni individuali per intuire i bisogni e la volontà del soggetto. Nella comunicazione gestuale i gesti spontanei (come l’indicare) e le espressioni del viso mandano dei messaggi, che però non sono sempre trasparenti come accade nella Lingua dei segni (pertanto spesso si creano dei “gesti personali”, ad esempio sul proprio corpo). Richiede conoscenza dello schema corporeo, buona capacità motoria fine e coordinazione delle mani per rendere comprensibili i gesti, ed inoltre memoria associativa e sequenziale. La comunicazione comportamentale/ gestuale è una forma comunicativa molto personale: viene per lo più compresa solo da poche persone che conoscono bene il soggetto e quello che egli vuole significare con il proprio comportamento (richiama molto il tipo di messaggi che fin dall’infanzia il 72 bambino manda alla madre). Oltre a ciò, può essere utilizzata per comunicare un numero ristretto di bisogni e pertanto, solitamente, diventa un punto di partenza per l'apprendimento successivo di altri sistemi di comunicazione. In riferimento al nostro tema della sordocecità, questi sistemi comunicativi vengono utilizzati molto di più con soggetti affetti da sordocecità acquisita o da pluriminorazione psicosensoriale. Tuttavia, ciò non toglie che il sordocieco acquisito se ne possa servire, ad esempio in caso di ritardo mentale o di mancata alfabetizzazione. Oppure la presenza di cartellini con oggetti in rilievo può servire non come apprendimento cognitivo, ma a fini orientativi, ad esempio tramite un calendario in cui sono segnati gli operatori distinti da un segno nome e le varie attività giornaliere. Durante il mio Stage mi sono avvalsa della comunicazione comportamentale con una donna sorda profonda, con ritardo mentale e analfabeta. Era necessario guidarla fisicamente, avvalendosi molto dei rinforzi e di situazioni stimolanti per provocare la sua motivazione e il ridursi dei gesti stereotipati. Attraverso poi l’uso di fotografie si orientava rispetto al personale e alle attività che l’aspettavano, ad esempio l’attività di mangiare o il riordino (vi erano anche cartellini esposti in una bacheca personale nella sua stanza). Tramite disegni si riusciva a farle sistemare i suoi oggetti personali nella dispensa per associazione di immagine-oggetto. E a questo proposito vale la pena di operare la distinzione tra sistemi di Comunicazione Alternativa non assistiti, che non richiedono cioè alcun dispositivo esterno, ed i sistemi, all’opposto, assistiti, che impongono l’utilizzo di dispositivi esterni, come possono essere le tavole comunicative o i dispositivi con emissione di voce.109 È chiaro infatti che per questioni logistiche e di razionalità del lavoro in corso i capitoli sugli ausili e sulla comunicazione sono stati separati, ma essi viaggiano in parallelo, sono interdipendenti, verrebbe da dire intersecati, tanto maggiore è il grado di compromissione motorio-cognitiva del soggetto. Tutti questi metodi mettono in luce quanto sia importante per l’educatore, quantitativamente e qualitativamente, calibrare l’intervento servendosi del proprio corpo e rispettando quello altrui. Rammentiamo il contatto fisico che si instaura tra madre e bambino. Da esso scaturiscono, come tutta la letteratura psicologica ha ampiamente 109 Davis T. N., Barnard-Brak L., Dacus S., Pond A., Sistemi di CAA assistita per persone con menomazione dell’udito e altre disabilità, “Handicap Grave”, Edizioni Erickson, Vol. 12, n. 2, maggio 2011, p. 148. 73 ribadito, uno sviluppo positivo dell’interazione e della comunicazione, nonché dell’identità e dell’autostima. L’educatore che lavora con un sordocieco si trova nella situazione in cui il dialogo fisico deve possedere le caratteristiche del coinvolgimento consapevole e sincero, che sia in grado da una parte di stimolare e dall’altra di proteggere lo spazio personale. Per fare un esempio concreto: in un’attività assistenziale di cura della persona mai e poi mai più mani devono toccarla senza che ella venga avvisata del chi e del perché si trova in quel momento ad aiutarla. La persona sa dell’addetto alla sua cura assistenziale, il quale si presenterà in quel preciso momento e col il quale procederà alle operazioni necessarie. E ciò vale in generale: se l’educatore o chi per esso non avverte il sordocieco del suo arrivo con un tocco, egli non saprà mai della sua presenza, resterà nel suo bozzolo, magari emettendo suoni o compiendo gesti stereotipati per colmare quel vuoto, quell’attesa. L’educatore porta una grande responsabilità rispetto all’integrità personale del soggetto con cui sta operando, almeno nello spazio del suo intervento. L’obiettivo è che si sviluppi una comunicazione reciproca fondata non soltanto sul linguaggio, ma su una crescita sociale, emozionale, intellettuale e fisica, ricordando che la pelle è il nostro canale sensoriale più esteso ed il tatto il primo senso che sviluppiamo. Quest’ultimo è per il sordocieco la fonte primaria di informazioni per il formarsi di una consapevolezza corporea e di una immagine di Sé e dell’ambiente che lo accoglie. L’educatore con l’esperienza impara a cogliere segnali comunicativi molto sottili, ai quali dà significato, e di conseguenza gratificazione alla persona sordocieca.110 110 Knill C., Contatto corporeo e la comunicazione. La stimolazione fisica per lo sviluppo relazionale della persona con handicap, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 1998, primi due capitoli, ed il resto per un approfondimento sull’importanza del contatto fisico per una sana crescita psicofisica del bambino. 74 UNA PERSONALE RIFLESSIONE CONCLUSIVA Tra i vari approcci teorici al tema della comunicazione interpersonale ho sempre apprezzato molto la cosiddetta “Pragmatica della comunicazione umana”. Nel tentativo di fissare alcuni “assiomi della comunicazione”, rispetto al primo, definito “L’impossibilità di non comunicare”, venne scritto: «Anzitutto, c’è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più fondamentale e proprio perché è troppo ovvia viene spesso trascurata: il comportamento non ha un suo opposto. In altre parole, non esiste un non-comportamento o, per dirla anche più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro».111 Gli autori proseguono affermando che non costituisce eccezione il fatto di non parlarsi, né di non prestarsi attenzione reciproca, né che la comunicazione sia intenzionale, conscia, oppure efficace nel senso di dar origine a vicendevole intesa.112 Mai come nella mia esperienza di Stage con persone sordocieche ho potuto apprezzare e davvero comprendere il senso di queste parole, che guarda caso fanno parte di una teoria comportamentistica della comunicazione. In apertura al capitolo quarto ho apposto un aforisma che canzonava il concetto del ‘pensare’, quando viene confuso con una banale revisione di pregiudizi che hanno già preso terreno. E di quegli stessi miei pregiudizi ero consapevole prima di imbarcarmi in questa avventura, come ho accennato nell’introduzione. Il primo, l’idea cioè di trovarmi di fronte a persone quasi inerti da dover continuamente stimolare, si è dissipato presto, anche solo nell’osservare l’agilità con cui la persona sordocieca si muoveva nella sua tipica routine quotidiana, dal vestirsi e far colazione, fino allo spedire e-mail e lavorare in laboratorio. Il secondo pregiudizio, la paura di non riuscire ad interagire con loro, è svanito nel momento in cui si è assopita la mia ansia, non la loro. Ho appunto scoperto che dietro il muro del silenzio e del buio esistevano mille segnali e segni che mi venivano inviati, più o meno esplicitamente, per invitarmi ad agire, a rendermi partecipe. Quando la curiosità è divenuta vicendevole, quando la diffidenza ha ceduto il passo alla stima, è sorto un 111 Watzlawick P, Beavin J., Jackson D., Pragmatica della comunicazione umana, Casa Editrice Astrolabio, febbraio 1997, Roma, pp. 40-41. 112 Ibidem. 75 bellissimo dialogo, incluse le persone che necessitavano di un linguaggio semplice e intuitivo. Ho scoperto che è possibile esperire un momento di socialità con persone che non sentono e non vedono, in modo variabile, tutte sedute allo stesso tavolo, benché non si possa provare la normale esperienza di uno scoppio di risa comune dopo una battuta scherzosa. Ho superato l’imbarazzo di quei momenti di muto silenzio, che visti inizialmente dall’esterno somigliavano per me a qualcosa di deprimente o di frustrante. Per tale ragione il sottotitolo della mia tesi suona “comunicare oltre i confini”, proprio perché i confini sono rappresentati dalla vista e dall’udito, dai doni che ogni uomo dovrebbe possedere. Il senso del tatto, la sensibilità e l’intelligenza sono altri canali, che possono diventare preferenziali, e trasmettere senso alla vita. In tutta sincerità, non ho smesso di guardare con un istintivo terrore alla condizione di sordocecità, ma ora so che esiste un mondo sotterraneo che grazie al lavoro di una infinità di persone emerge alla luce. Tutte le riflessioni psicopedagogiche, tutte le innovazioni tecniche e tecnologiche, tutta la specialistica dedizione degli operatori, tutto lo slancio umano dei volontari, e tanto tanto altro ancora, sta scoprendo e valorizzando una condizione di disabilità che si aggiunge ad una persona, ma non la determina, non può frenarne lo sviluppo, non deve annullare LA PERSONA che egli/ella è, ancor prima di un evento sfortunato, congenito o acquisito nulla conta. Siamo nel campo dell’etica? E sia. Ho insolitamente citato le ultime parole del genio dell’informatica Steve Jobs, dirette ai laureandi dell’Università di Stanford nel giugno del 2005. Rimanere “affamati”, restare “matti”: questo è un insegnamento che sembra pensato per noi educatori, che ci riporta da discorsi di morale alla pratica del nostro insegnamento. Siamo noi a dover mantenere vivi gli strumenti e le tecniche che ci vengono forniti, rendendoli funzionali, flessibili, utilizzabili nella nostra concreta attività educativa e anche nel privato di chi assistiamo, con un occhio sempre rivolto al futuro, anche quando esso prende ancora la forma del “sogno”. Soltanto così, in riferimento alla nostra tematica della sordocecità, comunicare manterrà il suo originario senso latino di “communicare”, ovvero di condividere, mettere assieme, far partecipe, far conoscere.113 Hellen Keller ha scritto che la cecità separa gli uomini dalle cose, mentre la sordità separa gli uomini dagli uomini. Non ho certo bisogno, per gli addetti ai lavori, di spiegare 113 Si legga la bella teoria di Satoshi Fukuschima sulla “comunicazione creativa” fondata sul coinvolgimento che fa nascere nuove informazioni, opinioni e valori, in Fukushima S., The deafblind and Disability Studies, Research Center for Advanced Science and Technology, University of Tokio, aprile 2008, pp. 1-8, www.read-tu.jp (READ: Research on Economy and Disability). 76 cosa ciò indichi, ma posso, senza risposte, soltanto chiedere, porre un punto interrogativo, attraverso una sola domanda: cosa accade allora ai sordociechi? Spesso essi descrivono questa situazione, almeno all’inizio, come uno sprofondare, un affondare, una sorta di inabissamento. Sta a loro quanto a noi, al nostro comune senso di responsabilità e di volontà, far sì che non identifichino la personalità con la menomazione, ma possano vivere, amando, riamati. 77 BIBLIOGRAFIA CAPITOLO I: AA.VV., Fuori dall’isolamento, Atti 1ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, Marcelli di Numana (AN), 17-24 giugno 1995, www.fradinoi.it. AA.VV., Anche noi possiamo, Atti 2ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, Agnello di Sorrento (NA), 28 marzo-1 aprile 1998, www.fradinoi.it. AA.VV., La sordocecità come disabilità unica: pari opportunità nella nostra vita, Atti 3ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, Roma, 3-7 novembre 2001, www.fradinoi.it. AA.VV., Io in prima persona: autodeterminazione e indipendenza delle persone sordocieche, Atti 4ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, Lesmo (MB), 26 ottobre 2004, www.fradinoi.it. 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Quando si parla di sordocecità? p. 6 2. Le conseguenze della malattia. p. 12 3. Dentro la sordocecità. p. 21 CAPITOLO II: LA LEGA DEL FILO D’ORO. 1. Elementi di storia ed organizzazione. p. 30 2. La RSD di Lesmo (MB). p. 32 3. Legislazione. p. 40 CAPITOLO III: VERSO L’AUTONOMIA 1. La vita quotidiana. p. 45 2. Gli ausili tecnici e tecnologici. p. 48 3. La terapia occupazionale. p. 57 CAPITOLO IV: I SISTEMI DI COMUNICAZIONE CON I SORDOCIECHI ACQUISITI p. 62 UNA PERSONALE RIFLESSIONE CONCLUSIVA BIBILIOGRAFIA p. 75 p. 78 86 87