UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
MASTER DI I LIVELLO
EDUCATORE ESPERTO PER LA DISABILITÀ SENSORIALE
TESI DI MASTER
LA SORDOCECITÀ ACQUISITA.
COMUNICARE OLTRE I CONFINI.
Relatore
Specializzanda
Dott. Fiocco Angelo
Dott.ssa Gscheidel Karin
Anno Accademico
2010/2011
A Walter,
mio amato Compagno di Viaggio.
Senza di te, ancora una volta,
mai nulla sarebbe possibile.
A mio padre Jürgen,
tu ci sei senza esserci,
e io ti sfioro i pensieri.
2
INTRODUZIONE
La mia partecipazione al Master universitario “Educatore esperto per la disabilità
sensoriale”, promosso dall’Università degli Studi di Verona, mi ha consentito di vivere
un’esperienza educativa eccezionale, nella seconda parte del mio Stage Formativo.
Sono stata inserita presso la Residenza Socio-Sanitaria della Lega del Filo d’Oro di
Lesmo, in provincia di Monza e Brianza, in un appartamento abitato da persone adulte
affette da sordocecità acquisita. Il presente scritto nasce come presa in esame di tale
delicata problematica, e sicuramente la condivisione e la compartecipazione che ha
scandito questo incontro resta il punto di riferimento, sotteso ma sempre pulsante, nella
stesura della mia tesi (ciò giustifica il passaggio alla prima persona in alcune parti,
specialmente nelle note). Non ho la pretesa di approfondire tutti gli aspetti salienti
riguardanti la sordocecità acquisita, di rendere esaustiva la mia analisi, tuttavia, credo
che essa possa rappresentare una riflessione utile per successive indagini, una
panoramica su una particolare forma di disabilità della quale poco, comunemente, si
conosce. Più che un punto di arrivo, penso al presente lavoro come ad un porre delle
questioni, dei quesiti, compresi i dubbi.
Sulla scorta di studi condotti con un approccio scientifico, chiaro e obiettivo, ho
tentato ugualmente di rendere queste pagine una lettura che fosse in grado di
interessare non solo gli esperti del settore, ma chiunque venga sensibilizzato o
incuriosito dalla condizione della sordocecità in età adulta. Per tale ragione ho evitato di
“sotto-paragrafare”, in modo da non rendere troppo schematica la trattazione, in alcuni
punti più cronachistica, per cause di forza maggiore, per l’oggettivismo richiesto dalla
ricerca. Ribadisco di essermi occupata di sordocecità acquisita, pertanto, ho evitato di
specificare tutte le volte il termine, dandolo per scontato, fatti salvi i casi in cui era
necessaria una distinzione esplicita, soprattutto nelle pagine con valore informativo. Per
la stessa ragione, alcuni argomenti significativi, ma più pregnanti nel contesto della
sordocecità congenita, sono stati accantonati (ad esempio il concetto di Contratto
Educativo).
Il primo capitolo inquadra il problema da un punto di vista teorico, con un
partecipe sguardo, nell’ultimo paragrafo, alle storie di chi in prima persona vive questa
situazione di grave disabilità sensoriale; il secondo capitolo è dedicato alla conoscenza
dell’Associazione Lega del Filo d’Oro, della sua mission e dei progetti a cui si dedica
mettendo in pratica interventi specialistici, pragmatici e mirati, di assoluto valore
3
pedagogico; il terzo si sofferma sull’importanza che gli ausili tecnici e tecnologici
rivestono per la gestione dell’esistenza personale e sociale del sordocieco, avendo
quale scopo ultimo il raggiungimento del maggior grado auspicabile di autonomia; infine
il quarto capitolo inquadra i sistemi di comunicazione possibili in presenza di questa
duplice minorazione sensoriale, alcuni dei quali ho potuto io stessa mettere in pratica.
Termino la trattazione con una breve, personale riflessione, basata sull’insegnamento
complessivo recepito ed assorbito durante la mia esperienza formativa.
Sono entrata in contatto con persone sordocieche carica di due pregiudizi che
posso così sintetizzare: Dovrò essere presente ad ogni loro passo, poiché saranno
completamente dipendenti da me! Non riuscirò a comunicare con loro, a far
comprendere appieno i miei messaggi! A parte la ragionevole paura di commettere
errori nelle modalità di interazione (essendo un campo sconosciuto al mio curriculum di
educatrice professionale), nulla di ciò è accaduto. Ho ricevuto una inequivocabile
lezione: c’è un mondo che vede nel buio e parla nel silenzio, desideroso di conoscere,
aperto al dialogo, incredibilmente ricettivo e laborioso.
Ringraziamenti:
Un GRAZIE sentito e speciale a:
I “ragazzi” della “Palazzina rossa” della RSD di Lesmo, per avermi concesso di accedere alla loro
realtà, con disponibilità e dolcezza, nonostante il mio tempo di permanenza non sia stato lungo, e
quindi un poco destabilizzante le loro abitudini;
Le mie Tutor: per il Master la Dott.ssa Nalli, Coordinatrice dello stesso, e per lo Stage la Dott.ssa
Carrella, pedagogista della RSD di Lesmo, le quali mi hanno seguita sempre con premura e
fiducia.
Il Dott. De Santis del Centro di Documentazione della Lega del Filo d’Oro di Osimo, il quale ha
selezionato per me buona parte del materiale bibliografico, ed il Dott. Lagati del Centro di
Consulenza Pedagogica di Trento, che mi ha parimenti inviato altra documentazione essenziale
a completare la mia Tesi.
Il Coordinatore Didattico del Master Professor Gecchele e tutti gli altri Professori che con le loro
lezioni di alto e rigoroso spessore scientifico hanno stuzzicato la mia mente, allargandone gli
orizzonti.
Marika, educatrice incontrata nella RSD di Lesmo, che posso dire sia stata la mia referente
quotidiana durante lo Stage, e che mi ha permesso di leggere sua Tesi di Laurea.
Il Prof. Fiocco, mio Relatore, guida paziente e sensibile, lettore vigile e scrupoloso.
La Dott.ssa Rossana Suglia, Coordinatrice Educativa nella mia realtà lavorativa, la quale mi ha
incoraggiata ad iscrivermi al Master, e mi ha sorretta in ogni sua fase, rendendo anche possibile
la frequenza alle lezioni.
Tutti coloro che sono stati “dietro le quinte”, nella mia vita privata, sostenendomi nel percorso
conoscitivo e umano che ho deciso di intraprendere.
4
Quando agiamo al massimo delle nostre possibilità,
non sappiamo mai quale miracolo sia scritto nella nostra vita
e nella vita di un altro.
Helen Keller
5
LA SORDOCECITÀ. ALCUNE LINEE GUIDA.
1. Quando si parla di sordocecità?
Già nei primi anni cinquanta il Dott. Peter Salmon sottolineava l’aspetto di unicità
della sordocecità, scrivendo: «Ci sono state molte discussioni ed altrettanti approcci al
problema che sorge dalla combinazione di questi due handicap; si può ben dire in
questa sede, anche se potrebbe sembrare trito, che ho imparato che la sordocecità non
consiste in queste due disabilità –la sordità unita alla cecità- ma è, al contrario, una
terza e completamente distinta minorazione». Nel 1954 la Commissione Nazionale di
Studio sull’Istruzione dei Bambini Sordociechi, negli Stati Uniti, presentava questa
definizione che fornì la base per discussioni e dibattiti in molti Paesi: «Un bambino è
sordocieco se la combinazione degli handicap gli impedisce di trarre sufficiente
vantaggio dai programmi scolastici per i sordi e per i ciechi».
Tale precisazione ha ispirato la definizione coniata dal Ministero Norvegese per gli
Affari Sociali, nella loro relazione sulla popolazione sordocieca del 1976: «Una persona
è sordocieca quando ha una minorazione causata dalla perdita combinata della vista e
dell’udito e perciò non può usufruire dei servizi forniti ai disabili della vista e dell’udito.
Una persona può essere considerata sordocieca anche se la perdita della vista o
dell’udito non è totale».
Alla Conferenza Mondiale Helen Keller, nel 1977, professionisti e sordociechi diedero la
seguente caratterizzazione: «Una persona viene chiamata sordocieca quando ha una
minorazione visiva ed uditiva tale che questa doppia perdita sensoriale gli/le causa
problemi di apprendimento, comportamentali e limita le possibilità di lavoro». La
Finlandia aggiunse: «Inoltre tale minorazione causa problemi di comunicazione con la
famiglia e con il mondo esterno». L’Associazione Svedese dei Sordociechi si esprimeva
invece così: «La sordocecità consiste nell’avere una vista ed un udito talmente ridotto
da causare considerevoli difficoltà che inibiscono la vita quotidiana. L’accesso alle
informazioni ed alle notizie non è possibile con i normali mezzi».
Nel 1980 la Commissione Nordica sulla Disabilità ha creato un gruppo di lavoro
per condurre un’indagine sui sordociechi nei paesi nordici, ed ha prodotto una
definizione che è rimasta un punto di riferimento per molti Paesi Europei e per numerosi
studiosi, sebbene connotandosi più come una descrizione funzionale che come una
definizione vera e propria. Essa dice: «Una persona è sordocieca quando ha un grave
6
livello
di
minorazione
visiva
e
uditiva
combinata.
Alcuni
sordociechi
sono
completamente sordi e ciechi, mentre altri hanno residui visivi e/o uditivi. La gravità
delle disabilità uditiva e visiva significa che i sordociechi non possono utilizzare i servizi
per le persone con una disabilità visiva o una disabilità uditiva. Perciò la sordocecità
implica estrema difficoltà nell’istruzione, la formazione, la vita lavorativa, le attività
culturali e l’informazione. Per coloro che sono nati sordociechi o che hanno acquisito la
sordocecità in tenera età, la situazione è complicata dal fatto che essi hanno problemi di
personalità o di comportamento. Tali complicazioni possono ridurre le loro possibilità di
sfruttare i loro residui visivi o uditivi. La sordocecità deve essere pertanto considerata
come una minorazione separata, che richiede metodi speciali di comunicazione allo
scopo di gestire le funzioni della vita quotidiana».
Per quanto riguarda la procedura diagnostica, un gruppo specializzato si è riunito
in Danimarca su invito del Centro di Formazione del Personale Nordico ed ha
concordato la seguente affermazione: «La procedura diagnostica dovrebbe includere
una valutazione medica tradizionale, compresi lo status visivo ed uditivo, la valutazione
neurologica e psicologica, ma anche una osservazione sistematica del livello funzionale
dell’individuo per giungere ad un profilo di funzionalità. Tale profilo è il risultato di una
valutazione multi-disciplinare svolta da esperti che possiedono una conoscenza ed una
esperienza di lavoro con i sordociechi».
Benché il punto di partenza di ogni riabilitazione debba restare l’individualità,
tradizionalmente, ai fini della ricerca scientifica, si suddivide la popolazione sordocieca
in quattro gruppi:
o Sordociechi congeniti: in passato era la sindrome da rosolia (epidemia dei primi
anni ’60) la causa più comune della sordocecità. La maggioranza di questo
gruppo si trovava in scuole speciali ed istituti per handicappati mentali non
specializzati in minorazioni sensoriali. Ora in numero sempre crescente i bambini
sono affetti da altre disabilità addizionali complesse e multiple, oltre che dalla
disabilità sensoriale, e grazie agli sviluppi della tecnologia medica e della ricerca,
hanno più probabilità di sopravvivere, e di essere poi inseriti in Centri
specializzati, le cui possibilità si sono parimenti accresciute. Tra le cause più
significative
in
questo
caso
vi
sono:
nascita
prematura,
trauma
alla
nascita/asfissia, associazione di Charge (la più importante per incidenza)1,
1
Data l’importanza di questa rara patologia spieghiamo brevemente il significato della parola. “Charge” è
composta dalla prima lettera dei termini inglesi che indicano alcune delle più comuni manifestazioni della
7
infezione da citomegalovirus infezioni intrauterine e sindromi (rosolia, Cri du
Chat, Cat Eye, Goldenhar, Noonan e Pallister Killian), infezione da meningite,
anomalie cromosomiche e danno cerebrale congenito. Tali patologie portano
spesso con sé anomalie come ipertonia grave, epilessia, gravi problemi
nell’alimentazione, difetti cardiaci, idrocefalia, ernia, atresia anale, palatoschisi.
Convenzionalmente, il limite che discrimina la sordocecità congenita da quella
acquisita, è il compimento del secondo anno d’età.
o Sordi congeniti che perdono la vista nell’età adulta: la causa principale per
questo gruppo è la Sindrome di Usher di natura genetica, con un età media del
gruppo di 50-55 anni.
o Ciechi congeniti che perdono l’udito nell’età adulta: in questo caso sembra non
esserci una causa principale della sordocecità, ma considerando che l’età media
è di 68 anni, forse è proprio il fattore età la discriminante.
o Sordità e cecità acquisite in età adulta: dalle stime sembra essere il gruppo più
ampio, i cui membri in passato si trovavano in ospizi ed avevano estreme
difficoltà di contatto col mondo esterno; anche in questo caso non si trova una
causa principale, ma vi è un’età media superiore ai 70 anni.
o Persone che diventano sordocieche nella vecchiaia: evento dovuto alle
conseguenze di una popolazione che invecchia, se si pensa all’incremento del
numero degli anziani paragonato al numero delle persone in età lavorativa.2
La Lega del Filo d’Oro (vedi capitolo successivo) è una Associazione ONLUS che si
occupa di persone sordocieche e pluriminorate sensoriali, e tal proposito è bene sin
d’ora mantenere tale distinzione in questi termini generali: La sordocecità indica la
combinazione di una minorazione sia visiva che uditiva (parziale o totale), tale per cui la
persona è ostacolata o impedita nello svolgimento delle normali funzioni della vita
quotidiana; la pluriminorazione psicosensoriale si ha invece quando alla minorazione
della vista (ipovisione/cecità) o dell’udito (ipoacusia/sordità) si sommano altre
sindrome. C: Coloboma (anomalie agli occhi); H: Hearts deficit (malfunzionamento cardiaco); A: Choanal
Atresia (blocco nasale); R: Retardation of growth and developemental delay (Ritardo nella crescita e nello
sviluppo); G: genitalia (genitali piccoli e testicoli non discesi); E: Ear abnormalities (Anomalie alle
orecchie). E a questa condizione si associano altri deficit, non sempre con la stessa intensità: labbro
leporino, palatoschisi, malformazioni della laringe, dell’esofago e della trachea, problemi di equilibrio e ai
reni. Si può arrivare addirittura alla cecità totale. Vedi La sindrome di Charge, “L’Informatore Notizie”,
dicembre 2002, pp. 14-16.
2
Questa prima parte introduttiva è un sunto di alcune pagine di La realtà della persona sordocieca. La
definizione di sordocecità ed i problemi connessi al suo uso, Progetto Horizon, Corso di Formazione per
beneficiari intermedi, 1998-1999, Lega del Filo d’Oro, Osimo, 1999, pp. 1-6; Green W., Chi sono le
persone sordocieche?, Dispensa Corso di Formazione per i Volontari della Lega del Filo d’Oro, a cura del
Referente per il Volontariato, Sede di Osimo, ristampa febbraio 2005, pp. 1-19.
8
minorazioni:
ritardo
mentale/evolutivo,
disabilità
motoria,
problematiche
comportamentali. «Ai soggetti pluriminorati mancano più strumenti per recepire la realtà
esterna, esplorarla, elaborarne i dati, con ripercussioni negative e deformanti sulla
costituzione interna della realtà stessa, in special modo se non sono aiutati a trovare
strategie che compensino, sia pure parzialmente, le funzioni compromesse».3
Nel nostro Paese non esistono ancora ricerche precise circa l’incidenza della
sordocecità sulla popolazione di tutto il territorio nazionale. Secondo ricerche effettuate
in altri stati europei si stima che in Italia le persone affette da sordocecità oscillino dalle
3.000 alle 11.000, tenendo conto quanto la popolazione sordocieca sia molto
eterogenea al suo interno, per la variabilità delle cause della malattia e del momento
della vita in cui si manifesta. Come abbiamo riferito nella nostra casistica, in passato è
stata la rosolia, contratta dalla madre nei primi mesi di gravidanza, una delle principali
cause di sordocecità congenita. Oggi prevalgono prematurità, malattie infettive e
sindromi genetiche rare che comportano gravi problemi neurologici e ritardo nello
sviluppo. Le cause principali di chi diventa sordocieco durante il corso della vita sono
legate ai processi degenerativi della vecchiaia, e si tratta di un gruppo in incremento,
dato l’aumento dell’età media risultante degli ormai noti, ed allarmanti dati
dell’andamento demografico italiano.
La
sindrome
che
contraddistingue
la
persona
che
nasce
sorda
e
successivamente diventa cieca è la Sindrome di Usher (combinazione di sordità e
Retinite pigmentosa), e pertanto essa merita un approfondimento.4
Prende il nome da Charles Usher, oculista inglese che nel 1914 ne descrisse la natura
ereditaria.5 Si stima che sia la causa della metà dei casi di sordocecità, benché in Italia
non esistano statistiche ufficiali. Attualmente ne sono stati catalogati tre tipi principali. Il
primo ed il secondo tipo sono i più frequenti, ricordando però che tra le persone con lo
stesso tipo di sindrome vi è una gran variabilità rispetto al grado di perdita uditiva/visiva
e dell’età cronologica di comparsa.
3
Chiarelli R., Assistenza educativa e riabilitativa ai ciechi pluriminorati, “Tiflologia per L’Integrazione”, n.
4, 2000, p. 2. Nel proseguo, questa importante neuropsichiatra dell’infanzia analizza le varie distinzioni
che si possono effettuare nella pluriminorazione in età evolutiva, a seconda che prevalga il danno
motorio, cognitivo, affettivo-relazionale o sensoriale.
4
Ceccarani P., Introduzione alla Sindrome di Usher, “L’Informatore Notizie”, 1 febbraio 2008, pp. 8-12;
Anderson C., Searching for a key to Usher, “Talking Sense”, autunno-inverno 2004, pp. 15-30.
5
In verità la malattia è stata descritta per la prima volta nel 1858 da Friedrich Wilhelm Ernst Albrecht von
Graefe, oftalmologo tedesco che pubblicò il caso di un uomo sordo dalla nascita con ulteriore
degenerazione del pigmento retinico, e il quale aveva due fratelli nella medesima situazione.
9
Sindrome di Usher Tipo 1: il soggetto nasce sordo profondo e presenta problemi
nell’equilibrio, ritardo nella deambulazione e cattiva coordinazione motoria (il
tutto per il mal funzionamento degli organi dell’equilibrio dell’orecchio interno). Di
solito utilizza come prima lingua la lingua dei segni e si identifica con la comunità
sorda. Verso la fine della prima decade di età si manifestano i primi sintomi della
retinite pigmentosa, fotosensibilità e cecità crepuscolare. Dall’adolescenza in poi
vi è diminuzione del campo visivo periferico con visione a tunnel.
Sindrome di Usher di Tipo 2: il soggetto ha perdita uditiva bilaterale che varia da
un livello moderato ad uno severo, ma l’equilibrio è nella norma. Vengono
percepiti meglio i toni bassi. L’utilizzo dell’apparecchio acustico permette di
sentire e sviluppare il linguaggio. In età adulta si può subire perdite uditive fino a
10 Db, con variazioni individuali, ma la perdita di udito è stazionaria nella
maggior parte dei casi. (Molto raramente vi è perdita completa della capacità
uditiva). Il progredire della degenerazione retinica inizia dopo l’adolescenza e la
cecità notturna fa la sua comparsa tra la tarda adolescenza e i vent’anni,
caratterizzandosi per macchie cieche. Lo stesso dicasi per la visione a tunnel. La
lingua dei segni ovvia la difficoltà crescente di leggere il labiale, soprattutto se in
presenza di poca luce ed in ambiente rumoroso.
Sindrome di Usher Tipo 3: si presenta solo nel 5% dei casi, e circa il 40% delle
persone affette da tale sindrome vive nei Paesi Scandinavi. Il soggetto nasce
normoudente e con un equilibrio stabile o lievemente compromesso, ma
entrambe le facoltà peggiorano col passare del tempo, con significative variazioni
in membri della stessa famiglia. La persona diventa sordastra in tarda
adolescenza e progressivamente sorda in media o avanzata età adulta. Intorno
ai 30-50 anni la sordità può diventare profonda. Sviluppa cecità notturna in
pubertà e macchie cieche dopo l’adolescenza. Intorno ai vent’anni compare la
visione a tunnel con deterioramento continuo della vista fino all’età adulta.
Associata alla Sindrome di Usher vi è la Retinite pigmentosa, una malattia ereditaria
degenerativa della retina che danneggia in fasi progressive la facoltà della vista, a
causa del deterioramento dei bastoncelli e dei coni. Molte persone mantengono la
capacità di percepire la luce, ma comunque anche in questo caso vi è una forte
variabilità rispetto al periodo della comparsa e al grado di perdita della vista. I sintomi
legati alla cecità notturna (dovuta alla degenerazione dei bastoncelli), comprendono la
difficoltà a vedere al buio o in condizioni di minore luminosità, tanto di luce solare che
10
artificiale. Difficoltoso è anche l’adattamento visivo in caso di rapide variazioni delle
condizioni di luminosità. Inoltre si può verificare la perdita della vista a livello periferico,
con conseguente diminuzione del campo visivo (con riduzione che va sempre
dall’esterno all’interno). L’esito è spesso la visione a tunnel in cui si riesce a vedere
soltanto all’interno di un’area di forma circolare.
Quando sono i coni a cominciare a degenerare vi è molta difficoltà a distinguere i
particolari. Sono poi frequenti macchie cieche nel campo visivo. In generale il visus
diminuisce molto lentamente col passare degli anni, tanto che è difficile arrivare ad una
assenza completa di capacità visiva.
A volte alla Retinite pigmentosa si somma la cataratta, molto più semplice da operare e
che genera quasi sempre un miglioramento dell’acuità visiva.
Per quanto concerne gli aspetti genetici la sordità con retinite pigmentosa può apparire
in individui della stessa famiglia. La trasmissione è in prevalenza con eredità
autosomica6 a carattere recessivo, mentre il tipo dominante è eccezionale. Entrambi i
genitori sono portatori del gene, possono essere sani ed inconsapevoli di esserne
portatori fino a che la malattia non si manifesta nel loro figlio. Spesso vi è un ritardo
nella diagnosi, formulata di solito quando i disturbi visivi diventano evidenti.7
Si discute molto sulla possibilità di migliorare la condizione dei malati di
Sindrome di Usher grazie all’impianto cocleare, il quale, secondo quanto ci dice ad
esempio il Dott. Graziano Brozzi, è sconsigliato nella persona nata sorda, per via
dell’incapacità di interpretare le parole, suoni che non conosce. Egli afferma inoltre che
gli esperimenti con bambini sordociechi impiantati non hanno portato giovamento allo
sviluppo della comunicazione orale, sebbene vi siano stati benefici rispetto ad un
migliore orientamento nello spazio. Infine conclude affermando che per le persone con
Sindrome di Usher gli studi effettuati dicono che l’I.C. è risultato più efficace per le
persone con Usher di tipo 2.8
Il Servizio di Consulenza Pedagogica del Dott. Salvatore Lagati ha promosso a Trento,
già una decina di anni fa, il Primo Convegno Nazionale sul tema “L’impianto cocleare
per le persone sordocieche”, nel quale vi sono state testimonianze incoraggianti per via
dei buoni risultati ottenuti nei soggetti che si sono sottoposti all’intervento. Si è
riconfermato come l’intervento abbia un impatto positivo nella vita quotidiana delle
6
Un autosoma è un cromosoma non-sessuale, solitamente presente in duplice copia negli individui di
entrambi i sessi.
7
Sindrome di Usher, “Voce Nostra”, 16-30 giugno 2006, pp.10-13.
8
Brozzi G., L’impianto cocleare, Comitato delle Persone Sordocieche del 10 aprile 2003, “L’Informatore
Notizie”, maggio 2003, pp. 7-10. Questa è una delle posizioni all’interno di un deciso dibattito.
11
persone, in quanto un impianto cocleare bilaterale dà la possibilità di localizzare i suoni,
sollevando di conseguenza la persona sordocieca dall’isolamento fisico in cui può
venire a trovarsi.9
Ugualmente, la ricerca si sta da molti anni muovendo per trovare soluzioni contro
la Retinite pigmentosa, ad esempio lenti che impediscano l’abbagliamento, la cura con
luteina per aumentare l’acutezza ed il campo visivo, l’impianto di retina artificiale,
l’intervento anticatarattoso, il trapianto delle cellule staminali, la somministrazione di
vitamina A, il trapianto dei fotorecettori e dell’epitelio pigmentato retinico, la terapia
fenica.10
2. Le conseguenze della malattia.
Il tatto, il gusto, l’olfatto sono i sensi vicari che intervengono in caso di
compromissione del canale sensoriale visivo unito a quello uditivo, i quali, da soli,
veicolano all’uomo il 95% delle informazioni sul mondo. È per tale basilare ragione che
un sordocieco non potrà mai arrivare a cogliere le informazioni ambientali in maniera
completa, ma dovrà sempre dipendere da una buona traduzione, la quale non implica
lunghe, dettagliate e complesse descrizioni, ma semmai brevi racconti che mettano a
fuoco gli elementi più significativi. Questa sorta di parafrasi della realtà è possibile di
fronte ad un soggetto che subisca la malattia attraverso una graduale perdita nell’età
adulta, non invece se la privazione della vista e dell’udito compare alla nascita o
comunque nella primissima infanzia, generando una situazione complessiva di terribile
impatto. Se da una parte ciò significa ottenere per il bambino un quadro complessivo di
estrema gravità, associato di solito a turbe comportamentali, è pur vero che acquisire
9
L’impianto cocleare per le persone sordocieche, “Fractio Panis”, maggio 2000, Servizio di consulenza
pedagogica, Trento, p. 8. C’è anche chi ha constatato il fallimento del tentativo, fino a perdere il residuo
uditivo, come la testimonianza anonima contenuta nel seguente articolo (nel quale tra l’altro si conferma
l’assenza di benefici per persone con Sindrome di Usher di tipo 3 e di bambini con Sindrome di Usher del
tipo 1: Coclear implant and Usher Syndrome, “Talking Sense”, n.3, 2001, 1 p.)
10
Per approfondimenti: Nuovi traguardi della ricerca sulla retinite pigmentosa, “Arco Baleno”, settembre
2000, pp. 4-21; Tomazzoli L., La retinite pigmentosa, “Luce e Amore”, n. 5, 2009, pp. 27-28, dove viene
ben spiegata scientificamente la malattia; Guarnieri G., La sindrome di Usher. Seconda parte,
“L’Informatore Notizie”, luglio 2003, pp. 4-10; Bassoli R., Dalla terapia genica una speranza per la retinite
pigmentosa, “Il Mattino”, 13 ottobre 2003, 1 p.
12
cecità e sordità in età adulta provochi uno stravolgimento a livello psicologico, dato il
grado di consapevolezza posseduto dalla persona, la quale molto probabilmente
svolgeva una autonoma vita attiva, indipendentemente dal fatto di aver perso prima la
vista e poi l’udito, o viceversa.
Comunque sia, in entrambi i casi, deficit sensoriali plurimi in assenza di un tempestivo e
massivo intervento rieducativo, porta inevitabilmente a conseguenze nefaste, ad
esempio, con sordocecità congenita, la comparsa di gravi disturbi del comportamento
(specialmente auto ed etero aggressività), chiusura emotiva, aumento delle stereotipie
e delle autostimolazioni corporee. Nei casi di sordocecità acquisita, in presenza dunque
di buone possibilità di sviluppo psico-sociale, la carenza di stimolazioni educative
comporta una perdita di interesse verso il mondo esterno, depressione, con
ripercussioni sullo stato di salute generale.11
Tra i bisogni che un sordocieco acquisito manifesta i più importanti sono:
•
La comunicazione: espressione dei propri bisogni primari legati alle esigenze
della propria persona a partire dal corpo, e necessità di rapporti
interpersonali; dunque esigenze più complesse di socializzazione che
toccano l’affettività e l’autostima nel senso della percezione di sentirsi attivi e
utili nel contesto di vita o lavorativo;
•
L’autonomia: apprendimento di nuove abilità nell’ambito delle attività della vita
quotidiana, favorendo in particolare l’indipendenza di movimento;
•
Il benessere psicologico: bisogno di contatto fisico, di rapporti empatici, di
gestione dell’ansia attraverso interventi graduati e progressivi;
•
Le prestazioni sanitarie: controllo periodico della patologia cronica e della
comorbidità attraverso il
parere e la supervisione degli specialisti;
mantenimento e sviluppo della funzionalità sensoriale residua, affidandosi
anche alle nuove frontiere aperte dalla tecnologia, in continuo aggiornamento
e mutamento.12
11
Carrella L., La sordocecità e la riabilitazione possibile: l’esperienza della Lega del Filo d’Oro, Opuscolo
informativo della RSD di Lesmo, p 4.
12
Ivi, p. 5. Da più parti si sottolinea come il problema più ostico per un sordocieco sia quello della
comunicazione. Pimpinella A. evidenzia in un suo articolo quanto ciò sia dovuto alla diversità dei sistemi
di comunicazione che impone una maggiore difficoltà ad esternare emozioni, provocando stress, stati
d’ansia e altri effetti psicosomatici. In collaborazione con l’I.Ri.Fo.R., nel luglio 2007 a Camerano (AN),
ha collaborato ad un progetto di Psicologia del Benessere, ovvero ad una disciplina che insegna ai sordociechi delle tecniche di rilassamento, attraverso la ricerca di metodologie che superino la percezione
visiva e uditiva. Un esempio ne è il palloncino gonfiato a contatto col corpo che consente di percepire le
vibrazioni prodotte dalla musica in fase di rilassamento. Pimpinella A., Le persone sordocieche e la
psicologia del benessere, “Oltre il Confine”, I.Ri.Fo.R., novembre-dicembre 2007, pp.7-8.
13
Con Sindrome di Usher il percorso di adattamento alla perdita di entrambe le
facoltà è estremamente doloroso e complicato da gestire, seppur nella estrema
variabilità dei casi. La presenza di un residuo uditivo permette lo sviluppo del linguaggio
parlato e scritto; il peggioramento visivo richiede una continua ricerca dell’ausilio più
idoneo a mantenere una buona qualità di vita. Ma in generale la persona soffre per la
difficoltà di integrarsi nella quotidianità e nel contesto lavorativo, anche nelle più normali
azioni, soprattutto in ambienti bui o rumorosi. Le conseguenze psicologiche e d’ordine
pratico sono numerose: sensazioni d’angoscia, stato continuo d’ansia, frustrazione,
isolamento, depressione, caduta della fiducia e dell’autostima, difficoltà a comunicare,
ad orientarsi, a muoversi autonomamente, a intessere relazioni interpersonali, a
concentrarsi, tanto nello studio quanto nel lavoro. Inoltre la persona è a conoscenza del
carattere degenerativo della malattia, e dunque deve disporsi a piegarsi a continui
cambiamenti, che per quanto lenti possano essere, sono sempre invasivi della propria
intimità e del proprio modus vivendi. Si tratta insomma di un adattamento traumatico,
che dura tutta la vita, al quale si può reagire in un unico modo, con coraggio:
«Ripercorrendo la mia storia ho anche realizzato che si arriva ad un bivio: o si è passivi
e completamente dipendenti dagli altri, o si ricerca nelle relazioni affettive la propria
serenità. Io ho optato per la seconda strada, coltivando interessi culturali e praticando il
tiro con l’arco per non vedenti, sport “di testa” dove l’equilibrio e la lucidità mentale sono
gli elementi più importanti. Da tre anni sono cieca assoluta: questa condizione ha fatto
sì che ho raggiunto una tranquillità e una serenità, grazie anche all’amore e al sostegno
dei miei familiari ed amici. Un grande aiuto è anche Rudy, il mio cane guida, che mi ha
permesso di raggiungere l’80% di autonomia e per il rimanente 20% chiedo aiuto a chi
mi sta vicino.
Il tiro con l’arco mi ha consentito di ristabilire l’equilibrio tra testa e corpo e vorrei
chiudere con una metafora: ogni volta incocco una freccia nell’arco e punto sul
paglione, ottenendo un risultato. Poi, prima di passare alla freccia successiva, devo
azzerare tutto, ricominciare da capo e mirare ad un nuovo obiettivo. Questo è quello
che ho dovuto fare ogni volta in questi ultimi quindici anni durante i quali ho perso la
vista, per raggiungere l’equilibrio e la serenità che ho adesso».13
Oggi la ricerca si occupa di trovare trattamenti che possano bloccare la
progressione della malattia, ma essenziale resta una diagnosi precoce, non soltanto per
13
Sorba R. (affetta da Sindrome di Usher), Sindrome di Usher, “L’Informatore Notizie”, dicembre 2008, p.
16.
14
consapevolizzare il paziente circa gli effetti della malattia, bensì per disporre
tempestivamente dei necessari supporti, al momento giusto, compreso il sostegno dei
propri cari.
Per tutti i sordociechi la sola pratica diagnostica medica, l’esatta misura
oftalmologica e audiologica, sono di rilievo secondario se paragonati al rispetto che la
persona necessita nella sua completezza e singolarità.14 Si tratta anche di qualità della
vita, concetto scontato, forse banale, per i cosiddetti normodotati, che si basa
fondamentalmente sulle seguenti possibilità:
-
AVERE: si riferisce allo standard generale, materiale di vita, ovvero al
soddisfacimento
dei
propri
bisogni
fisici,
all’accesso
all’istruzione
e
all’informazione, alla vita sicura con tutti i suoi comfort tecnici e tecnologici;
-
AMARE: si fa riferimento alle relazioni interpersonali, ossia a identità, rispetto,
relazioni sociali, solidarietà, stima;
-
ESSERE: riguarda il coinvolgimento e la partecipazione, e quindi la possibilità di
sviluppare il proprio potenziale e la propria personalità, di partecipare
attivamente al proprio ambiente, sviluppando un senso di appartenenza.15
Scaturisce da questa analisi la domanda: siamo in grado, con i nostri Servizi, con le
nostre ricerche tecnologiche e con le nostre Leggi, di portare un sordocieco alla propria
auto-realizzazione, senza che sperimenti, tragicamente, una condizione di alienazione?
Un altro punto dolente è dovuto alle conseguenze della sordocecità quando
viene acquisita in età avanzata, poiché oltre ad aumentare il numero delle persone
sordocieche anziane, aumenta la vita media dei disabili in generale, sordociechi
inclusi.16 Sordociechi acquisiti, molti dei quali con Sindrome di Usher (gruppo
caratterizzato da forte dispersione territoriale), desiderano fermamente continuare a
vivere da sole nella propria abitazione. Si pone pertanto il problema di garantire
un’assistenza domiciliare all’altezza della situazione (interpreti, aiuto domestico, ausili
tecnici, personale infermieristico). Ma quando subentrano problemi sanitari seri,
ingestibili all’interno dell’ambito domestico, devono essere inseriti in strutture
residenziali, evento che può essere vissuto come traumatico, in quanto la persona si
sente sradicata dalla propria radice che per lei è tutto, è tutto il suo universo, come per
14
La realtà della persona sordocieca. La definizione di sordocecità ed i problemi connessi al suo uso,
Progetto Horizon, Corso di Formazione per beneficiari intermedi, 1998-1999, Lega del Filo d’Oro, Osimo,
1999, p. 2. Questo punto di vista, pubblicato nel 1975, è di Erik Allardt, estremamente chiaro e rilevante.
15
Ivi, pp. 8-10.
16
Broccolo A., Anziani sordociechi e pluriminorati psicosensoriali, “L'Informatore Notizie”, aprile 2007, p
7.
15
chiunque di noi, del resto. Ed è qui che subentra il tempestivo intervento delle
organizzazioni che si occupano di sordocecità.17 Bisogna quindi porre l’accento sulla
prevenzione, anche perché molti anziani che soffrono di problemi gravi uditivi/visivi non
si riconoscono nella “categoria sordociechi” sottovalutando o negando il problema,
sfuggendo così alle casistiche e a servizi idonei alla loro cura. È vero che la perdita
sensoriale viene considerata una parte naturale del processo di invecchiamento, ma
mentre alcune minorazioni possono essere legate a questo processo normale che
coinvolge tutti gli individui, altre sono legate alla malattia negata della sordocecità. Più
che perdersi in definizioni di cosa sia o non sia naturale, sarebbe bene anticipare il
problema, formarsi culturalmente riguardo alla vecchiaia.18
William Green pone l’accento sull’impossibilità di identificare la popolazione sordocieca
anziana, senza che vi siano entrambe queste condizioni:
-
il riconoscimento della sordocecità in ogni Paese;
-
una definizione comune della sordocecità in tutti gli Stati.
Siccome la popolazione sordocieca è per sua definizione fortemente eterogenea, è
decisivo formare un’identità a cui possano far riferimento anche i sordociechi anziani.19
Entrando più nel merito delle differenti caratteristiche delle persone affette da
sordocecità acquisita e congenita, riportiamo i risultati di una recente ricerca condotta
sulla popolazione sordocieca del Canada, condotta tramite uno strumento di
valutazione standardizzata, la quale ci fornisce interessanti spunti di riflessione,
soprattutto rispetto alla speciale condizione (delineata in apertura) nella quale si trovano
i sordociechi acquisiti.20
Sono stati confrontati 182 adulti con diagnosi di sordocecità congenita e acquisita,
analizzando in tabelle standardizzate le caratteristiche personali dei partecipanti. È
emerso che una percentuale maggiore di persone con sordocecità acquisita, rispetto
all’altro gruppo, aveva una vita quotidiana indipendente (dal punto di vista strumentale e
di attività) e possedeva una persona significativa nella loro vita, migliori capacità di
17
Ivi, pp. 9-10.
Ivi, p. 11.
19
Ivi, p. 13.
20
Dawn M. Dalby e altri, Caratteristiche delle persone affette da sordocecità acquisita e congenita,
“Handicap Grave”, Edizioni Erickson, Vol. 10, n. 3, settembre 2009, pp. 297-309.
Per un approfondimento della sordocecità infantile si veda il seguente studio, in cui l’autore si interroga
sulla difficoltà di separare o gerarchizzare il problema della sordocecità dall’autismo e dal ritardo mentale:
Dammeyer J., Interazione tra menomazione plurisensoriale, funzioni cognitive e comunicazione nelle
persone affette da sordocecità congenita, “Handicap Grave”, Edizioni Erickson, Vol. 12, n. 2, maggio
2011, pp. 237-245.
18
16
mobilità, orientamento e discriminazione tattile, minori o assenti compromissioni
cognitive, migliori possibilità con la comunicazione espressiva (linguaggio parlato,
scrittura manuale o stampata, di contro al maggior uso di segni, gesti o comportamenti
idiosincratici dei sordociechi congeniti).
La maggior parte dei partecipanti mostrava una mentalità positiva, trovando un
significato nella vita quotidiana, e più della metà evidenziava livelli da medi ad alti di
coinvolgimento sociale, nonostante molti di loro ammettessero le difficoltà spesso
estreme nell’interagire con gli altri, dato prevalente trai sordociechi congeniti. Non vi
erano differenze significative dal punto di vista del dolore, dell’instabilità della salute e
della presenza di sintomi di depressione. Ma i CAPs (Protocolli di valutazione clinica)
che forniscono dati su cui costruire i servizi assistenziali centrati sul singolo, mostrano
che il gruppo con sordocecità acquisita manifestava una probabilità molto più alta di
sentire la mancanza di attività fisica, di incorrere in abuso d’alcol e di provare sentimenti
di profonda solitudine. Ciò, probabilmente, concludono gli studiosi, è dovuto alla
difficoltà di adattarsi progressivamente alla duplice disabilità, avvertita come la perdita
di un ruolo. Nonostante le loro abilità funzionali e sociali siano più evolute rispetto
all’altro gruppo, essi riferiscono di sentirsi più frequentemente soli ed isolati. Una
concausa potrebbe esser rappresentata da un livello minore di servizi di assistenza per
questo gruppo (molti lamentano l’assenza di misure di prevenzione sanitaria basilari,
come il monitoraggio della pressione sanguigna, le vaccinazioni anti-influenzali ed
esami di vista/udito). Tuttavia sono dati che potrebbero anche riflettere la difficoltà di
valutare costrutti poco oggettivabili, come appunto la solitudine e la depressione.
Leggiamo come vengono riassunti i rischi a cui un adulto affetto da Sindrome di Usher è
sottoposto: «Mancanza di accesso alle informazioni; difficoltà di comunicazione ed
interazione con le altre persone; rischio di isolamento culturale e sociale; difficoltà od
impossibilità alla mobilità autonoma ed indipendente; difficoltà di integrazione sociale,
problemi legati al tempo libero, al lavoro; problemi di relazione con i familiari».21
Infine, un ultimo problema che ci preme sottolineare è quello dei metodi educativi
in caso di sordocecità. Le persone che, già sorde, perdono la vista intorno ai trentaquarant’anni, oltre a doversi riconoscere nella nuova etichetta di “sordociechi”, tendono
spesso a chiudersi in se stesse, senza agire per tempo, ovvero senza voler imparare il
Braille ed altre tecniche legate al tatto, il che sarebbe l’unica strada per tornare ad
21
Guarnieri G., La sindrome di Usher: sordità e retinite pigmentosa. Prima parte, “L’Informatore Notizie”,
maggio 2003, p. 23.
17
essere uomini operosi, utili, culturizzati e socievoli. Essi rischiano di diventare
analfabeti. “Analfabeti strumentali” sì, ma pur sempre incapaci di leggere e scrivere, e
dunque destinati all’isolamento.22
In un interessante articolo23 si racconta della delicatezza, della spontaneità e della
naturalezza con la quale un buon educatore può insegnare ad un sordocieco le bellezze
del mondo che lo circonda, passo dopo passo, con meticolosità, attraverso l’uso fine del
tatto, e non certo per mezzo di lezioni ex cathedra. L’intelligenza, unita alla volontà ed
alla motivazione, possono operare una sorta di armonia tra i vari sensi, ma è appunto il
sostegno educativo a fare la differenza. Sabina Santilli, sordocieca fondatrice della
Lega del Filo d’Oro (vedi paragrafo successivo) ha goduto del costante aiuto della
numerosa famiglia, della sorella e dell’intervento, studiato fin nei minimi particolari, di
Augusto Romagnoli e della moglie, a loro volta supportati dai consigli di Giuseppe
Lombardo-Radice, per la risoluzione d’ogni problema emergente; Helen Keller (vedi
paragrafo seguente) ebbe lungo tutto il corso della vita la sua encomiabile maestra
Anna Sullivan; Eugenio Malossi (Cap. III) venne magistralmente riabilitato da Domenico
Martuscelli e da Francesco Artusio. Dobbiamo dunque chiederci se la rieducazione di
un sordocieco, congenito o acquisito poco importa, debba affidarsi alla buona sorte di
trovare l’educatore giusto, o se quell’indispensabile passaggio dal segno al simbolo
potrà venire elargito a tutti i sordociechi attraverso i nostri Servizi polivalenti, ed una
specifica, approfondita, mai conclusa, formazione dell’educatore. L’obiettivo (il sogno?),
è che la politica scolastica, la pedagogia, le Istituzioni si incontrino e lavorino assieme.
L’educatore, nel suo lavoro con il sordocieco, è sottoposto ad un grande stress emotivo,
poiché è costretto ad entrare nei ritmi di una persona particolare, è sempre in bilico tra il
“fare troppo” ed il “fare troppo poco”, tra “efficientismo” e “apparente noncuranza”. Deve
davvero imparare a sintonizzare la propria mente ed il proprio corpo con un mondo
misterioso rappresentato dalla persona sordocieca che si muove con tempi, ritmi e
modalità di non sempre facile interpretazione. Le seguenti parole, valide in verità
nell’approccio con la disabilità in generale, sono particolarmente azzeccate e dense di
significato se rapportate al nostro problema: «Il lavoro dell’operatore è ad alto grado di
responsabilità e frustrazione: responsabilità in quanto si considera necessario
raggiungere un risultato, frustrazione per la disarmonia del processo evolutivo di
22
La distinzione tra analfabeta e analfabeta strumentale si trova in Guarnieri G., I sordociechi e
l’importanza del Braille, “L’Informatore Notizie”, n. 3, 2001, p. 5.
23
Banchetti S., Annotazioni storiche sul recupero dei sordociechi, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 2,
2003, pp. 1-10.
18
apprendimento. Date le problematiche croniche e i miglioramenti molto lenti, si possono
causare sentimenti di colpa o aggressività. Alcune volte si mascherano tali sentimenti
con efficientismo e rapidità, meccanismi che in realtà servono a mascherare l’ansia, ma
a volte vissuti come positivi dall’ambiente e quindi anche esasperati. Questo conduce
ad una possibile reificazione della persona, non sentita come naturale interlocutore e
non compresa nella sua libera autonomia esistenziale.
La persona disabile ha una difficoltà di base che implica distorsioni nell’apprendimento,
nell’autonomia e nella socializzazione. La persona disabile ha ridotte e a volte
insoddisfacenti contatti con gli altri a causa della distorsione del processo comunicativo.
Si può dire dunque che entrambe le categorie possono presentare difese alla
frustrazione e condizionare il rapporto con reciproca aggressività.
Come affrontare il vissuto negativo della relazione:
•
chiarirsi con se stessi: definire i propri valori personali e le proprie aspettative e
distinguerli da quelle dell’altra persona.
•
Non identificare il proprio lavoro con il risultato finale: la disarmonia del processo
evolutivo, le regressioni nei diversi settori dell’apprendimento, la lentezza dei
miglioramenti sono legati alle difficoltà oggettive del disabile.
•
È necessario avere riferimenti culturali per saper ricondurre certi comportamenti
ad una spiegazione».24
L’operatore è obbligato ad apprendere il valore del linguaggio non verbale: lo spazio
prossemico, l’ecologia comunicativa (l’ambiente della comunicazione), gli indicatori
paralinguistici (momenti di pausa, rossore, sudorazione, etc.), le espressioni del viso, i
movimenti del corpo, i gesti, le sensazioni tattili ed olfattive, il contatto visivo (ove
possibile). Deve sviluppare gradatamente una sensibilità a tutti questi indicatori e farne
un uso congeniale allo stato d’animo in cui la persona sordocieca versa in quel
momento. Non sono infatti rari i casi di giornate in cui lo stato d’ansia, di frustrazione e
di sofferenza prevalga su tutto il resto, compreso il clima di fiducia che l’operatore
poteva considerare un traguardo ormai raggiunto. Di fronte ad una richiesta d’aiuto, che
può essere espressa in maniera soltanto agita, ad esempio attraverso uno stato di
agitazione motoria, l’educatore deve essere pronto ad intervenire attraverso il contatto
corporeo e la verbalizzazione di frasi che indaghino la causa del malessere, senza
servirsi di un linguaggio complesso e senza sovra interpretare quanto afferrato, in una
24
Mondani L., Popolazione sordocieca e pluriminorata psicosensoriale, Corso di Formazione di base per
Volontari, gennaio 2005, Osimo, pp. 17-18.
19
relazione d’ascolto che soltanto così diventa una vera e propria relazione d’aiuto. L’invio
del feedback, che altro non è se non una riformulazione del messaggio, di solito
abbassa il livello d’ansia della persona sordocieca, la quale sente la protezione di un
mediatore che attraverso un atteggiamento empatico è in grado di comprendere un
bisogno specifico. L’atto fisico, del toccare l’altro, è per l’operatore una necessità
imprescindibile, dato che la persona sordocieca non può avvertire la presenza
dell’operatore se questi “non si lascia sentire”.
Una adeguata e specialistica formazione consente all’operatore di acquisire gli
strumenti necessari per gestire la complessità comunicativa che il sordocieco porta con
sé, eppure, parallelamente, l’operatore deve imparare a sviluppare un’ottima capacità di
autocontrollo, di gestione consapevole delle proprie emozioni e dei propri vissuti, onde
non cadere nello stato sopra descritto. Il coinvolgimento non può essere troppo
profondo,
è
necessario
che
siano
sempre
dichiarati
il
ruolo
ed
il
riconoscimento/distinzione dell’identità personale.
Se l’operatore comincia a prendersi in carico la vita dell’altro, manifestando sentimenti
inopportuni come onnipotenza o vittimismo, produrrà una distorsione del lavoro
educativo, perché le richieste, i bisogni, la comunicazione nel suo insieme, verranno
filtrati attraverso le sue sensazioni ed emozioni, e non più per quel che vogliono in
realtà significare o rappresentare.
Vi sono delle procedure standardizzate di interazione/cooperazione che tutto il
personale dovrebbe condividere nella relazione con quella persona specifica,
rimandandole così un quadro non ambiguo di quanto si può fare, ottenere ed ambire in
un determinato contesto. Dall’altra parte però, un lavoro quotidiano con persone
sordocieche, dal ritmo serrato e sovente in condizioni non ottimali, in cui in particolare
l’educatore si trova a gestire contemporaneamente più richieste, obbliga il datore di
lavoro a riflettere sulla necessità imprescindibile che l’operatore abbia momenti di
decompressione e di distacco. L’educatore è virtualmente sempre a rischio, un rischio
spesso sottovalutato, vivendo egli con l’utenza un rapporto stretto, a volte viscerale, che
passa attraverso la comunione di ogni momento della vita quotidiana, con tutti i suoi
‘quid’ e i suoi ‘se’.25
25
Ripresa e approfondimento di Gatto L., La comunicazione come momento riabilitativo: il ruolo
dell’operatore, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 3, 2006, pp. 1-6.
20
3. Dentro la sordocecità.
Per comprendere più a fondo il dramma che la sordocecità comporta è
necessario osservarla dal di dentro, attraverso il racconto di chi la vive in prima
persona. E si giunge inevitabilmente a scoprire che esiste un piccolo-grande mondo di
persone con questa disabilità, che del proprio dramma hanno fatto una redenzione, e
senza vittimismo affrontano le innumerevoli difficoltà insite in tale stato, che per sua
natura allontana dal contesto sociale, potremmo dire una condizione estraniante,
isolante, se lasciata a se stessa.
Ricordiamo innanzitutto la figura di Sabina Santilli, fondatrice della Lega del Filo
d’Oro. Nasce a San Benedetto dei Marsi, in provincia dell’Aquila, nel 1917. Bambina di
particolare vivacità intellettiva (tanto che a sei anni viene ammessa in seconda
elementare), fu colpita all’età di sette anni da una forma acuta di meningite, che le
causò l’immediata e simultanea perdita della vista e dell’udito. Così lei stessa descrive il
periodo immediatamente successivo al quel terrificante, devastante, e improvviso
evento: «Tornata dall’ospedale, due mesi più tardi, non badavo, non volevo pensare al
mio difetto nel vedere, del resto quel poco di luce che percepivo ancora, bastava a
fornirmi l’illusione di vedere, come pure il ronzio delle orecchie contribuiva a farmi
credere di sentire rumori e voci; eppure sapevo di non cogliere le forme e i colori né le
parole, ma non volevo dirmelo».26 Nonostante fosse tanto piccola, tentò di reagire
presto continuando ad occuparsi delle faccende domestiche, delle sorelle minori, e
cercando di comunicare attraverso i gesti o utilizzando la scrittura in stampatello sul
palmo della mano. Ma a dare una svolta a tutta la sua esistenza fu l’incontro con
Augusto Romagnoli, nel 1926, che divenne suo insegnante e mentore, inserendola nel
proprio Istituto. Lui stesso volle preparala alla Prima Comunione, spigandole il
significato di ogni passaggio del rito, la dottrina cristiana e gli episodi della Bibbia. Di
frequente li si vedeva passeggiare per il giardino della Scuola, mentre il Direttoreeducatore la istruiva, ed era divertito dalle sue risposte vivaci ed argute. Quando le
spiegò che Dio, la Madonna e i Santi stavano in cielo, lei di rimando chiese: “ma
quando piove non scendono giù?”.27
Le insegnò anche la lingua italiana, poiché lei parlava ancora il dialetto abruzzese, e
inoltre apprese velocemente l’alfabeto Malossi (vedi Cap. IV) con il quale conversava
26
27
Guarnieri G. La vita di Sabina Santilli. Prima parte, “L’Informatore Notizie”, maggio 2002, p. 15.
Ivi, p. 16.
21
con tutti, visto che il Professore aveva dato disposizione affinché tutti imparassero a
parlare con lei. Imparò anche il Braille per poter seguire regolarmente le lezioni
scolastiche come i suoi compagni.28
Il buon reinserimento nella famiglia e nell’Istituto non le bastò. Volle ampliare la sua
partecipazione alla vita della società e dal 1950 cominciò una fitta corrispondenza con i
sordociechi, in modo particolare con coloro che erano malati, abbandonati o ricoverati
nei manicomi. E per rendersi conto della gravità in cui versavano questi suoi amici
viaggiò molto, a Milano, Torino, Pozzuoli, Roma, cominciando a ipotizzare dei
programmi di soccorso e a rivolgersi ad Associazioni che secondo il suo parere
avrebbero potuto realizzare i suoi piani. Tuttavia, non ricevendo accoglienza alle sue
richieste, si buttò decisa sul lavoro nella sua stanza a S. Benedetto dei Marsi, e fu lì, in
quel piccolo spazio di grandi idee, che nacque La Lega del Filo d’Oro, già nella sua
mente dal 1948 allorché lesse un articolo sui sordociechi tedeschi. A quarantasette
anni, nel 1964, prese corpo l’Associazione, inizialmente familiare, con l’essenziale
appoggio della sorella Nina, insegnante presso la Scuola del Romagnoli, che divenne la
Segretaria dell’iniziativa. E sempre assieme a lei venne aperta la prima scuola per
sordociechi rieducabili a S. Biagio in Osimo.29
Intervistata da un giornalista del quotidiano Tempo, Sabina illustrò la sua opera e le sue
finalità:
«La
pluriminorazione
comporta
una
problematica
che
ci
differenzia
profondamente da quella dei semplici ciechi e dei semplici sordomuti, che esige
soluzioni differenti, molto più complesse, che variano da individuo ad individuo. Vi sono
sordociechi psichicamente normali, per questi non bisogna mai attendere, perché se
bambini, non perdano nulla della parte che loro spetta della vita –cosa possibile solo
mediante una metodologia pedagogica tutta speciale-, e perché se adulti, si provveda
tempestivamente al loro riadattamento adeguato –prima che la disperazione, la
pesantezza oppressiva di intendersi con gli altri, non li sopraffacciano con gravi
conseguenze psicologiche e sociali. Conoscendo già i progressi fatti all’estero
nell’assistenza ai non vedenti privi di udito e considerando il fiorire della loro esistenza
in seno ad organizzazioni proprie, non appena qualcuno si associò alla mia idea
prestandomi una mano, decidemmo insieme a questi, di costituire anche in Italia,
un’Associazione Nazionale per la tutela e l’assistenza dei non vedenti privi di udito: la
“Lega del Filo d’Oro –sul modello della “Lega Nazionale di Aiuto per Sordociechi”, in
28
29
Ibidem.
Guarnieri G., La vita di Sabina Santilli. Seconda parte, “L’Informatore Notizie”, agosto 2002, pp. 6-7.
22
Inghilterra e con scopi più affini a quelli dell’“Anna Sullivan Macy Service” negli U.S.A.
L’azione della Lega del Filo d’Oro va oltre quella assistenziale di molte categorie:
ricerca i sordociechi, fornisce assistenza medica preventiva e riabilitativa, dà consigli e
assistenza sociale alle famiglie con figli sordociechi. Voluti dalla Lega del Filo d’Oro,
sono nati i soggiorni estivi, i quali sono una parentesi di sollievo per i partecipanti sordociechi che nel clima salubre trovano svago, compagnia, assistenza, amicizia e grazie ai
volontari, possono conoscere il mondo esterno, la natura, i monumenti e i musei
importanti. I soggiorni estivi molto frequentati, tolgono per qualche settimana i sordociechi dal triste ed opprimente isolamento.
“Trilli nell’Azzurro” è l’organo della Lega del filo d’Oro che porta ai sordociechi e agli
associati informazioni di quanto si realizza in sodalizio».30
Per la sua opera straordinaria ed instancabile, nel 1988 ricevette una delle più alte
onorificenze conferite dalla Chiesa, la Croce pro Ecclesia et Pontifice, evento da lei
vissuto come una festa da dedicare a tutti i sordociechi, ossia alla loro voglia di riscatto
umano e sociale.
Ciò che più colpisce nel leggere Sabina è la sua assoluta mancanza di ripiegamento su
se stessa, il fatto che le privazioni subite abbiano rafforzato la sua voglia di comunicare
e compiere qualcosa di grande per gli altri.31 A tal proposito toccante la descrizione che
ci ha lasciato la sorella: «[…] una piccola donna dai modi dolci e schivi, ma che ha
saputo scolpire la sua vita nel granito di una volontà tenace. […] Intelligenza, tenacia,
dolcezza e umiltà: è questo il quadrinomio che ha fatto di Sabina Santilli l’Helen Keller
italiana».32
La citazione ci porta direttamente da lei, l’americana Helen Keller (conosciuta per
la trasposizione cinematografica e teatrale Anna dei miracoli). Ella rappresenta per i
sordociechi una sorta di punto di riferimento spirituale. Pur non trattandosi nel suo caso
di sordocecità acquisita (essendo rimasta sorda, cieca e muta all’età di diciotto mesi a
seguito di una forma di meningite o scarlattina, ignota ai medici del tempo), ed esulando
quindi dall’interesse primario del presente lavoro, credo meriti di esser citata e
raccontata, essendosi trasformata, da adulta, in una strenua difensora dei diritti delle
persone con disabilità, rimanendo uno dei più sfolgoranti esempi di forza ed
intraprendenza per tutti i sordociechi.
30
Ivi, pp. 7-8.
La “Luce” di Sabina Santilli, “Trilli nell’Azzurro”, Attualità, novembre-dicembre 2003, 1 p.
32
Grassini A., “La luce dentro”: un ritratto interiore di Sabina Santilli, “Tiflologia per l’Integrazione”,
Recensioni, n.4, 2004, pp. 280-281. Vedi anche l’intervento di Angela Pimpinella nella 3ª Conferenza
Nazionale delle Persone Sordocieche, e di Loda Santilli nella 4ª, al sito Internet www.fradinoi.it.
31
23
Nasce il 27 giugno del 1880 a Tuscumbia, in Alabama. I genitori le furono sempre
accanto, in ogni modo possibile, e nella ricerca di ogni novità che potesse aiutare la
figlia, furono colpiti da un resoconto di Charles Dickens, il quale su American Notes
scriveva di una bambina sordocieca che era riuscita infine a frequentare la scuola di
Boston. Così contattarono l’Istituto, e all’età di sei anni Helen cominciò ad esser seguita
da Anne Mansfield Sullivan, ventenne insegnante della Scuola per non vedenti Perkins,
parzialmente cieca, la quale fece entrare in contatto la bambina con il linguaggio dei
segni ed il Braille (all’età di sette anni utilizzava già 60 segni per comunicare con i suoi
genitori).
Inizialmente la Sullivan chiese di isolare la bambina dal resto della famiglia, che sino ad
allora l’aveva molto viziata per compensare la sua perdita. Si stabilirono in una
dependance nel giardino di casa Keller e qui l’insegnante le fece scorrere sulla mano
dell’acqua fredda, per far comprendere alla piccola il concetto di “acqua”, primo passo
per favorire la capacità di comunicare. Da quel momento Helen cominciò a chiedere il
nome di ogni oggetto e la Sullivan disegnava le lettere sulle sue mani, e continuò anche
quando fu il tempo di studiare libri di testo e ascoltare le lezioni universitarie. Per la
conversazione Anne utilizzava il Tadoma (Vedi Cap. IV). Quattro anni dopo Helen
imparò a parlare grazie all’aiuto di Sarah Fuller; frequentò la scuola specialistica della
Sullivan, poi un’altra a New York, e nel 1898, a diciott’anni, entrò nella Scuola per
giovani dame di Cambridge. Due anni dopo si iscrisse al Radcliffe College, e nel 1904
conseguì la laurea in arte con lode, divenendo la prima persona sordocieca a laurearsi
in un college (aveva soltanto venticinque anni).
Instancabile fu la sua attività in difesa dei disabili, possiamo dire una vera e propria
crociata.
Nel 1915 entrò a far parte del Consiglio d’Amministrazione del Fondo di
Guerra per il soccorso dei ciechi permanenti; nel ’24 istituì il Fondo di dotazione Helen
Keller e si unì allo staff della Fondazione Americana per Non Vedenti, in qualità di
consigliere delle relazioni nazionali ed internazionali. Nel 1925 parlò alla convention dei
Lions Clubs International a Cedar Point, in Ohio, e persuase i Lions a diventare i
“Cavalieri dei ciechi nella crociata contro le tenebre”. Nel 1946 divenne consigliere nelle
relazioni internazionali per conto della Fondazione Americana per i Non Vedenti
Oltreoceano, e visitò trentacinque paesi.
Il film sulla sua vita, “Helen Keller in Her Story” ricevette un Oscar dall’Academy of
Motion Picture Arts and Sciences come miglior film documentario. Apparve
24
pubblicamente l’ultima volta nel 1961 a Washington D.C. e ricevette il Lions
Humanitarian Award alla carriera.
Morì il primo giugno del 1968, all’età di 87 anni. Il suo antico appello ai Lions ispirò
l’Organizzazione Internazionale ad adottare il “Programma di Conservazione della vista
e del lavoro con le persone non vedenti”, considerato di primaria importanza. Nel ’71 i
Lions dell’Alabama le dedicarono vari doni commemorativi tra cui l’Helen Keller
Memorial Park, nelle sue terre natie, note come Ivy Green.33
Leggiamo parte del suo discorso ai Lions, per costruirci un’idea della grinta e della
spinta sognatrice di Helen: «Cari Lions e Gentili Signore, immagino che conoscerete la
leggenda che descrive l’opportunità come una signora capricciosa che bussa una sola
volta ad ogni porta e, se la porta non viene aperta immediatamente, va oltre e non torna
mai indietro. Ed è così che dovrebbe essere. Le signore piacenti e desiderabili non
aspettano. Dovete uscire ed afferrarle. Io sono la vostra opportunità. Sto bussando alla
vostra porta. Voglio essere adottata. La leggenda non dice che cosa dovete fare
quando molte ottime opportunità si presentano alla stessa porta. Immagino che
dovreste scegliere quella che preferite e spero che adotterete me. Io sono la più
giovane qui e ciò che vi offro è splendido di ottime opportunità di servizio. […] Avete
sentito come tramite una piccola parola trasmessa dalle dita di un’altra persona, un
raggio di luce da un’altra anima ha toccato le tenebre della mia mente ed ho scoperto
me stessa, ho scoperto il mondo, ho scoperto il Signore. Grazie alla mia insegnante, ho
scoperto me stessa e sono riuscita a dissipare le tenebre, la prigionia che mi
attanagliava e sono in grado di lavorare per me stessa e per gli altri. L’interesse è ciò
che desideriamo più del denaro. Il dono senza la simpatia e l’interesse da parte del
33
Non possiamo non menzionare l’importante Centro Regionale “Helen Keller” di Messina, che
ispirandosi alla sua opera, nasce con lo scopo di dotare ipovedenti e non vedenti dei più efficaci strumenti
di integrazione sociale, soprattutto attraverso corsi di orientamento, mobilità e autonomia personale. Vedi
Terranova G., Centro regionale Helen Keller; Milano P., Relazione sulle attività svolte all’interno del corso
di autonomia personale; Fallo C., Corso di orientamento e mobilità e autonomia personale; Arcidiacono
M., Interventi di riabilitazione plurisensoriale; Strano R., Interventi sulla attività teatrale e attività manuale,
“Oltre il confine”, I.Ri.Fo.R., ottobre 2004, pp. 1-15. (Da qui è tratto il precedente riassunto della vita della
Keller, oltre che da Ambrosioni C., I miracoli di Helen, “Lisdha News”, n. 61, aprile-giugno 2009, pp. 2021. Vedi anche Helen Keller: una vita per gli altri, intervento alla 5ª Conferenza Nazionale delle Persone
Sordocieche di Sifola M. e Demurtas M. A., sito Internet www.fradinoi.it). Sempre Terranova precisa
alcune iniziative del Centro: Scuola di cani guida per ciechi; corsi di autonomia domestica, personale ed
informatica; corsi di educazione alla motricità fine ed al coordinamento bimanuale attraverso la scultura
ed altre attività manipolatorie ed espressive; corsi di orientamento e mobilità sui campi da neve ed in
barca a vela. Vedi Terranova G., Solo con i miei occhi, “Il Corriere dei Ciechi”, novembre-dicembre 2009,
pp. 9-10.
25
donatore non ha valore. Se siete interessati, se possiamo far sì che le persone di
questo meraviglioso paese s’interessino, i ciechi trionferanno senz’altro sulla cecità».34
Commovente il richiamo continuo alla sua Maestra, il sentimento di debito, o meglio di
unità che le spronava sulla stessa strada. Possiamo dire che Anne fu per Helen ciò che
Augusto fu per Sabina: un insegnante, una amica, una guida, qualcuno direbbe un
angelo custode. Grazie a lei imparò a sentire le vibrazioni prodotte dal parlato, dal canto
(pose le dita sulle labbra di Enrico Caruso), dalla musica con il violino. Imparò da lei
tante attività, persino a nuotare, suonare, cavalcare e andare in tandem. «Nel 1936
Anne, da sempre debole di vista, dopo un’operazione agli occhi, diede l’ultimo addio a
Helen, la sua pupilla, la sua eroina, il suo capolavoro. Erano state, l’una per l’altra, tutto.
Insieme avevano scoperto la vita, insieme si erano realizzate, insieme avevano fornito
al mondo uno di quegli esempi di abnegazione che danno la misura di quanto possano
essere grandi le forze dei più deboli, se solo sanno farne tesoro e metterle in campo».35
«La signorina Sullivan aveva l’arte di spiegare le cose più astruse presentandole sotto
forma di una bella storia o poesia… aveva una straordinaria attitudine alla descrizione...
sorvolava sui particolari e non mi annoiava mai con domande per vedere se ricordavo le
lezioni passate. Mi introduceva nell’arido tecnicismo della scienza a poco a poco
vivificando talmente tanto ogni argomento che non ho potuto più dimenticare quello che
mi insegnava...
La sua genialità, la sua simpatia e il suo amore allietarono i primi anni della mia vita...
Capiva che la mente di un bimbo è come un ruscello che scorre e spumeggia sopra il
letto petroso dell’educazione, riflettendo qua un fiore, là un cespuglio, laggiù lo
sfioccare di una nuvola e cercava di incanalare la mia mente sulla retta via ben
sapendo che il ruscello deve essere alimentato dalle sorgenti nascoste fra i monti, fin
quando si dilaterà in un ampio fiume, capace di rispecchiare nel suo placido corso le
ondulazioni delle colline, le sagome luminose degli alberi che si profilano nell’azzurro
del cielo, insieme con la corolla delicata di un fiorellino… Il bambino non lavora con
gioia se non ha la sensazione di essere libero di occuparsi o di riposarsi quando crede:
deve provare l’ebbrezza della vittoria e lo scoraggiamento della disillusione prima di
34
Un discorso di Helen Keller, Convention Internazionale Cedar Point, Ohio, USA, 30 giugno 1925,
“L’informatore Notizie”, luglio 2004, 2 pp.
35
Gervaso R., Helen Keller, “L’Informatore Notizie”, luglio 2004, pp. 19-20.
26
11
intraprendere spontaneamente un compito sgradevole, decidersi a destreggiarsi
bravamente attraverso la banalità dei libri di testo...».36
Concludiamo il capitolo con altre parole di persone sordocieche, poiché al di là
della fama, o di una vita normale sconosciuta, c’è lo stesso dolore, c’è lo stesso
ardore, dentro queste persone e dentro il loro operare quotidiano.
Yolanda de Rodriguez rimase paraplegica e sordocieca a causa di un errore
dell’anestesista che la seguiva durante il parto della sua unica figlia; divenne una
autorevole figura a livello mondiale per il progresso sociale dei sordociechi americani,
strappandone dall’isolamento, anche familiare, più di 2000. Scrive, con estrema
semplicità e lucidità: «Essere sordocieco è come trovarsi sottoterra a grandi profondità,
dove non giungono né luce né suoni. All’inizio incontrai difficoltà a respirare, ma poi
riuscii a convincermi che disponevo di aria a sufficienza».37
Così si esprime Nicole, a cui è stata diagnosticata la Sindrome di Usher a quindici
anni: «Ho imparato a convivere con la sindrome di Usher anche se è qualcosa che non
mi lascerà mai. Se qualcuno dice qualcosa per sconvolgermi ci rido sopra e continuo
per la mia strada. Non sono cieca come loro».38
Ed ecco anche le disarmanti, teneramente ingenue parole di Pinuccia, oggi donna
anziana in pensione, colpita da sordocecità in adolescenza a seguito di una violenta
febbre: «Dunque, la Provvidenza divina che non manca mai, l’amore vero e
disinteressato, la fede, la preghiera e le buone attività quotidiane mi aiutano a
camminare con serenità e forza di volontà per il resto della mia vita terrena. Dio è
veramente buono, misericordioso e pieno di Amore. Attualmente sto vivendo una vera
e bella storia d’amore con…»,39 e qui la lasciamo alla sua privacy, felici di scoprire che
anche la sordocecità porta con sé la possibilità di rapporti amorosi, argomento che
meriterebbe un approfondimento a se stante.
C’è infine chi ama sottolineare le possibilità culturali che il Braille e tutti i nuovi mezzi
tecnici e informatici hanno donato alle persone sordocieche per raggiungere i propri
traguardi: «Ho dovuto costruire piano piano questo percorso; l’11 maggio però, con
mia grande soddisfazione, ho constatato che le pari opportunità non sono un sogno,
ma una realtà: io ero lì con altri studenti (normodotati) i quali avevano svolto il mio
36
Keller H., La storia della mia vita, dal Cap. VII, audiolibro scaricabile dal sito Internet
www.bancadellavoce.it (dedicato a ipovedenti e non vedenti previa iscrizione).
37
Yolanda de Rodriguez. Una donna eccezionale, “L’Informatore Notizie”, ottobre 2003, pp. 4-6.
38
Henderson N., Io, Nicole, convivo con la sindrome di Usher, “Effeta”, Parole che girano, dicembre
2002, p. 28.
39
Manenti P., Sordo cieca, “Giulio Tarra”, n. 1, 2006, p. 9.
27
stesso corso di laurea con la sola differenza della metodologia».40 O ancora: «[…] ma
per uscire seriamente da una forma cronica di emarginazione sociale ed umana,
Internet mi ha dato una mano importante con le sue immense possibilità, con la sua
capacità di attivare nella nostra mente la voglia di stare con tutti. Insomma, se ci
lasciamo prendere, la gioia rischiara il cielo che si fa più sereno, e la musica che altri
ascoltano diventa musica anche per noi».41
40
Angela, sordocieca dall’età di diciassette anni, laureata in pedagogia nel 2000 con lode: Pimpinella A.,
Io e voi, “Voce Nostra”, 16-30 giugno 2002, 3 pp.; Angela, sorda e cieca, “Noi nel Mondo”, n. 2, 2001, pp.
26-27.
41
Russo A., Lasciatemi dire, “Voce Nostra”, 1-15 gennaio 2007, p 8. Vedi anche le testimonianze in:
AA.VV., Anche noi possiamo, Atti 2ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, Agnello di
Sorrento (NA), 28 marzo-1 aprile 1998, www.fradinoi.it, tutte incentrate sul tema “Anche noi possiamo”
(comunicare, vivere da soli, studiare, viaggiare, usare la tecnologia, essere protagonisti, essere uomini e
donne). Lo stesso vale per “Trilli nell’Azzurro”, i cui numeri sono facilmente scaricabili dal sito Ufficiale
della Lega del Filo d’Oro, e nei quali si possono leggere storie e racconti di vita, corredati da belle
immagini.
28
Il Giovedì Santo sera gettai intorno l’ultimo sguardo nella camera; la mattina
dopo udii l’ultimo grido, seguito da una sbattuta di porta: da allora niente più.
Troppo lungo sarebbe descrivere il salto dalla luce all’ombra.
Mi ritrovai rinchiusa in me stessa come un eremita nel mezzo della società,
sola con le mie idee e i miei capricci.
Sabina Santilli
29
CAPITOLO SECONDO
LA LEGA DEL FILO D’ORO 42
1. Accenni di storia e organizzazione.
La Lega del Filo d’Oro è un’Associazione Nazionale privata senza scopo di lucro
che si pone come obiettivo fondamentale quello di «Assistere, educare, riabilitare e
reinserire nella famiglia e nella società le persone sordocieche e pluriminorate
psicosensoriali», attraverso: «La creazione di strutture specializzate; la formazione di
operatori qualificati43; lo svolgimento di attività di ricerca e sperimentazione nel campo
della sordocecità e della pluriminorazione psicosensoriale; la promozione di rapporti con
enti, istituti, università italiane e straniere; la sensibilizzazione degli organismi
competenti e dell'opinione pubblica nei confronti di questo tipo di disabilità»44.
Come abbiamo ricordato, l’Associazione si costituisce nel 1964, attraverso l’opera
meritoria di Sabina Santilli. Nel 1967 è stata riconosciuta Ente Morale con D.P.R. n. 516
del 19 maggio 1967, e ad Osimo è stato aperto il primo nucleo dell’Istituto per bambini
sordociechi. Nel 1974 l’Associazione viene riconosciuta dal Ministero della Sanità come
“Istituto di Riabilitazione”, e l’anno successivo viene aperta la Comunità Kalorama che
ospita adulti sordociechi, in appartamenti situati nel centro di Osimo, e dove si svolge
attività di riabilitazione occupazionale. Già l’anno seguente vi è il riconoscimento
42
Molte delle indicazioni di questo capitolo provengono dal confronto con la mia educatrice di riferimento
dello Stage Formativo, a partire dalla lettura della sua Tesi di Laurea. La cito anche più avanti negli
allegati. Rabensteiner M. A., La mia esperienza di terapia occupazionale con persone sordocieche
anziane, Tesi di Laurea in Terapia Occupazionale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di
Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”, Roma, a. a. 2007-2008.
43
La sede legale della Lega del Filo d’Oro considera fondamentale la formazione continua e
l’aggiornamento. Vi è presente un Ufficio Corsi che si occupa di sicurezza, igiene, manageriale e tecnica.
Vengono organizzati corsi ECM per il personale dipendente, con riferimento alla circolare ministeriale n.
448/2002 sul “Programma nazionale per la formazione continua in medicina”. Degni di nota anche i
contributi del Servizio Civile –due progetti finanziati nel 2010/’11-, e dei tirocinanti, studenti e
professionisti –oltre 50 per lo stesso anno. (Bilancio Sociale 2010. La filiera della solidarietà, Sito ufficiale
dell’Associazione: www.legadelfilodoro.it, pp. 18,20. Nel documento si possono reperire informazioni
anche sul complesso sistema di sussistenza dell’Associazione, per la maggior parte di origine privata).
Le altre sedi territoriali dell’Associazione si trovano a: Milano (1987), Roma (1993), Napoli (1996), Ruvo
di Puglia in provincia di Bari (2000), Modena (2005), Termini Imerese in provincia di Palermo (2010). I
Centri Socio-Sanitari Residenziali sono a Lesmo (2005), Molfetta (2007), Modena (in fase di
realizzazione). Le date riportate si riferiscono all’anno di effettiva attivazione. Per Osimo (sede territoriale
e residenziale) vale l’anno 1999.
44
www.legadelfilodoro.it, alla voce “Mission”.
30
dell’Istituto, da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, quale “Istituto sperimentale
nel campo dei pluriminorati psicosensoriali sordociechi”.
Nel 1998 La Lega del Filo d’Oro viene riconosciuta dallo Stato come ONLUS.
Del 2001 è la Certificazione di qualità della sede legale di Osimo in base alla norma UNI
ENI ISO 9001, poi estesa a tutte le altre sedi territoriali. Viene anche rilasciata la
certificazione del Sistema di Gestione per la Salute e la Sicurezza (secondo la norma
BS OH SAS 18001).45
Oggi il Centro di Riabilitazione di Osimo, accreditato dalla regione Marche, opera
in regime di convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale, e si occupa di servizi
socio-educativi con finalità assistenziali e riabilitative, si apre al territorio, oltre che nei
modi menzionati in apertura, anche attraverso le campagne di prevenzione,
l’organizzazione di eventi, i rapporti con altre Associazioni, con Istituzioni e
Amministrazioni pubbliche, la collaborazione a livello internazionale con altri Enti ed
Organizzazioni, Università,46 e non ultima la promozione dell’Associazione grazie alla
fitta rete di affezionati volontari di cui gode.
Nella sede di Osimo è presente dal 1993 un avanzato Centro Diagnostico, nel quale
una équipe di specialisti effettua le valutazioni funzionali, a partire dalle quali verrà poi
elaborato il primo programma educativo individualizzato, che è l’esito dell’incontro tra
componente medica, psicopedagogica, educativa e sociale. Qui si diagnosticano in via
preliminare persone di ogni fascia di età che presentano sordocecità o pluriminorazioni
psicosensoriali, provenienti da tutto il territorio nazionale. È previsto un intervento
precoce per i bambini da zero a quattro anni (e un servizio di foresteria che agevoli i
genitori durante il ricovero), per rendere più funzionali i residui sensoriali e sviluppare
strategie alternative che incrementino le tappe evolutive.47
La famiglia è di particolare aiuto durante i trattamenti, specialmente con i bambini molto
piccoli, ed in generale essa è coinvolta in tutto il percorso del congiunto, anche al fine di
un suo possibile reinserimento nel proprio ambiente. L’attenzione rivolta ai familiari dei
pazienti si esplica attraverso la costante informazione, i colloqui individuali con gli
psicopedagogisti ed i medici, con il Parent-training (incontri ed esperienze di gruppo), il
45
Questi brevi accenni di storia sono reperibili nel Bilancio sociale 2010. La filiera della solidarietà, Cit.,
pp. 11-12.
46
Un esempio su tutti: La collaborazione con il Dottor Steven Collins, professore del Dipartimento di
Linguistica ed Interpretariato della Gallaudet University. Vedi Sindrome di Usher: tre seminari con Steven
Collins, “Trilli nell’Azzurro”, n. 3, 2000, p. 4.
47
Bilancio sociale. La filiera della solidarietà, Cit., p. 23.
31
quale è importante per far emergere i vissuti emotivi legati alla faticosa e difficile
gestione di una persona con disabilità all’interno del nucleo familiare.48
Essenziale è la presenza, sempre dal 1993, del Centro di Documentazione, in cui è
raccolto un vasto materiale sul tema, ma anche scritti appartenenti alle aree educativa,
sociale, riabilitativa e sanitaria.49
Parimenti determinante è il lavoro svolto dal Comitato Tecnico Scientifico che ricerca in
campo biomedico, psicopedagogico e tecnologico-riabilitativo, affidando a staff di
esperti e specializzati l’attuazione dei vari progetti.
Dunque possiamo affermare che in generale una approfondita indagine diagnosticoriabilitativa, una organizzazione sanitaria specialistica, l’elaborazione di un piano
educativo e riabilitativo, un servizio di consulenza tecnica rivolto tanto agli operatori
quanto alle famiglie, ed infine la Ricerca, fanno dell’Unità Speciale di Osimo una
struttura capace di competere con analoghe realtà a livello europeo, e non solo.
Un elemento centrale per la buona riuscita dell’intervento rieducativo è però
sicuramente rappresentato dalla coordinazione e dalla congruenza del lavoro di ogni
specialista sul medesimo soggetto. A nulla servono sofisticate teorie ed avanzati
strumenti se vi è frammentazione del percorso riabilitativo. Perciò, in tutte le sedi
dell’Associazione, spiccata validità viene conferita alla mansione del Coordinamento di
ogni specifica area di competenza.
2. La RSD di Lesmo (MB).
La RSD di Lesmo, in provincia di Monza e Brianza, fa parte dei distaccamenti
della sede centrale di Osimo. Con delibera n. VI/1525 2000 è stata riconosciuta dalla
Regione Lombardia “Centro Socio-Sanitario Sperimentale Residenziale per Sordociechi
e Pluriminorati Psicosensoriali Adulti”. Essendo appunto una struttura residenziale gli
ospiti vi abitano a tutti gli effetti, con la possibilità, naturalmente, di visitare i parenti o di
ricevere visite in appositi confortevoli spazi.50
48
Ivi, p. 24.
Il materiale è consultabile dal personale interno ed esterno, dai familiari, e da chiunque sia interessato
ad aggiornarsi sulla tematica della riabilitazione di persone con deficit sensoriali gravi.
50
Il Centro è dunque aperto tutto l’anno, ma prevede la possibilità di inserimenti temporanei per dare
sollievo alle famiglie in situazioni di emergenza, o bisognose di un momento di distacco dalla totale presa
incarico della persona con disabilità.
49
32
L’obiettivo primario del Centro è quello di consentire un miglioramento della qualità di
vita, attraverso adeguate cure sanitarie, educative e sociali, presentando le persone
accolte un quadro clinico di estrema delicatezza dove, come abbiamo visto, alla
menomazione sensoriale si accompagnano diverse problematiche, comprese patologie
organiche e danni neurologici, e che quindi esige una presa in carico complessa e
composita. La mission dell’Associazione è stata ben esplicitata durante la 4ª
Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, che si è tenuta appunto a Lesmo
nell’ottobre del 2004, laddove si è affermato che il sordocieco è protagonista della sua
esistenza attraverso, particolarmente, gli indispensabili elementi qui riportati: il suo
comportamento ed i suoi atteggiamenti, l’intervento dei Servizi, il sostegno della
famiglia, le garanzie offerte da una legislazione adeguata.51
Anche in questa Sede la famiglia viene coinvolta il più possibile nel progetto
individualizzato di riabilitazione, favorendo la discussione ed il dialogo rispetto a tutti i
problemi riscontrati e sollevati.
Il Centro è rivolto a persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali adulte di
età compresa tra i 18 e i 65 anni, benché poi, di fatto, permangano nella struttura utenti
più anziani, in quanto compatibili con i servizi offerti e con il lavoro prestato dal
personale presente. Più nello specifico, vengono presi in considerazione per un
eventuale inserimento: «Persone che presentano minorazioni di entrambi i canali
sensoriali congenite o acquisite dopo la nascita; persone che presentano minorazioni di
entrambi i canali sensoriali e ritardo evolutivo; persone che presentano minorazioni
gravi di almeno uno dei canali sensoriali, accompagnate da grave ritardo
evolutivo/intellettivo e/o handicap motori e/o gravi disordini comportamentali».52 Se ne
deduce un quadro clinico generale caratterizzato da una “gravità” di fondo, e si nota
l’esclusione per la permanenza in struttura di persone che accanto al danno sensoriale
presentano una diagnosi prevalentemente psichiatrica.
Ad oggi le principali cause della pluridisabilità per questo Centro sono encefaliti, virus e
patologie affini (46%), sindromi (40%), nascite premature (14%).
51
Lesmo “debutta con la 4ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche, “Trilli nell’Azzurro”,
Attualità, n. 6, 2004, p. 1.
52
Carrella L., La sordocecità e la riabilitazione possibile: l’esperienza della Lega del Filo d’Oro, Opuscolo
informativo della RSD di Lesmo, p 1.
33
L’unione, di minorazione sensoriale e altri deficit evolutivi determina la ricerca di una
differenziazione dell’intervento sulla base della singola specificità, della peculiarità di
ogni individuo.53
Specificando ulteriormente la casistica, possiamo affermare che la maggioranza dei
casi accolti in Struttura è portatrice di una pluridisabilità derivante da esiti di
encefalopatie infantili. Oltre al danno sensoriale si sommano quasi sempre grave ritardo
mentale, assenza di sviluppo del linguaggio, epilessia, gravi alterazioni della personalità
e del comportamento, completa mancanza di autonomia nei più banali atti della vita
quotidiana, deficit motori. Mancano, o sono decisamente scarse, la consapevolezza di
sé e la comunicazione con le altre persone e con l’ambiente. Sono possibili degli
apprendimenti, molto semplici, essenziali, solo a fronte di un intervento specialistico
multidisciplinare, massiccio, prolungato nel tempo (si può dire a vita). Costante deve
essere l’esposizione allo stimolo che richiede una risposta. Questa prospettiva d’azione
genera uno stato di benessere psicofisico del quale un assistente esperto si accorge
grazie alla presenza di sottili segnali, i quali vanno mantenuti sempre vivi, “accesi”.54
Vi sono poi utenti con sordocecità acquisita, che presentano di solito comorbidità
(ad esempio disturbi neurologici o psicologici), con i quali è possibile instaurare una
forma anche ricca e fluente di comunicazione attraverso vari metodi (vedi capitolo IV),
soprattutto, ovviamente, se vi è stata alfabetizzazione precedente l’evento traumatico.
Con tali soggetti si ottengono di solito crescenti miglioramenti quantitativi e qualitativi
sotto più profili: autonomia, comunicazione, relazioni sociali, partecipazione alla cura
della propria persona, non soltanto dal punto di vista della prestazione sanitaria.
Anche le persone in esiti da trauma cranico possono essere inserite, e spesso
accompagnano le gravi lesioni all’apparato sensoriale con caratteristiche che gli
avvicinano agli utenti tipici della RSD, in modo speciale: grave compromissione
nell’orientamento
spazio-temporale,
problemi
cognitivi
(soprattutto
nella
sfera
dell’attenzione e della connessa memoria), difficoltà nell’ambito delle funzioni esecutive
e
nella
capacità
di
scelta,
alterazioni
della
personalità
con
manifestazioni
comportamentali. Chiaramente è raro che una patologia o un danno cerebrale interessi
53
Ivi, p. 4. Questo costante impegno è merito di lode, se pensiamo ad uno dei concetti cardine dell’ICF
(OMS, maggio 2001), che affronta la disabilità con un approccio multiprospettico, salvaguardando la
singolarità, l’essere unico e irripetibile della persona, alla quale non si possono “applicare soluzioni”, in
via pregiudiziale basandosi su di uno standard.
54
Ivi, pp. 3-4. L’autrice, pedagogista della RSD di Lesmo, rimarca come il concetto di “riabilitazione di
mantenimento” fa riferimento non ad interventi assistenzialistici ed educativi vaghi e superficiali, ma ad
attività e tecniche riabilitative personalizzate, specialistiche, e a vita, visto che, aggiungiamo noi, non si
tratta solo di un recupero funzionale, bensì della presa in carico di tutta la persona.
34
solo un’area funzionale del cervello, senza colpire le zone confinanti; per questo le
conseguenze sono di solito multiple.55
Per tutti gli utenti accolti è fondamentale godere di un tipo di riabilitazione che
non punti tanto sull’aspetto funzionale, inteso come ripristino del funzionamento di un
organo danneggiato, ma piuttosto di una stimolazione continua che tenga conto, lo
ripetiamo, della persona nella sua globalità. In tale maniera vengono mantenute le
capacità residue e se ne stimolano di nuove, poiché, ribadiamo anche questo concetto,
il rischio di rapide regressioni in mancanza di sollecitazioni è sempre in agguato, pure in
termini psicologici.
Sulla base del Piano di Assistenza Individualizzato ogni utente ha diritto a varie
prestazioni:
Sostegno educativo nelle attività quotidiane domestiche, ad esempio il riordino o la
raccolta differenziata che stimolano il movimento, la distinzione di oggetti e materiali ed
una maggiore sicurezza nei movimenti;
Assistenza nell’igiene e nella cura della persona;
Assistenza sanitaria infermieristica e specialistica;
Apprendimenti d’aula e attività di laboratorio espressivo-creative;
Momenti destrutturati a sfondo ludico ricreativo di gruppo (ad esempio utilizzando giochi
come la Tombola, il Tris, il Forza4 in Braille);
Terapie occupazionali manuali tipo selezione e assemblaggio di oggetti, cartapesta,
lavoro al midollino, bigiotteria, etc., che sviluppano la manualità fine, la sensibilità tattile,
la capacità di distinguere forme, materiali e colori (per chi possiede un residuo visivo);
Terapia riabilitativa di fisiokinesiterapia che favorisce il recupero funzionale, come il
cammino, i passaggi posturali, la corretta postura, etc.;
Terapia riabilitativa di idroterapia che possiede una doppia finalità: da un punto di vista
ortopedico favorisce il rilassamento in caso di emiparesi, paralisi, e retrazioni gravi,
grazie al calore dell’acqua, favorendo la libertà dei movimenti in un ambiente esente da
ostacoli; da un punto di vista psicologico aiuta chi mostra un atteggiamento di difesa o
chiusura nei confronti del mondo esterno, favorendo maggior sicurezza in se stessi e
fiducia negli altri;56
55
Nel 2006 è stato attivato un progetto, riconosciuto ed in parte sostenuto dalla Regione Lombardia,
sulle problematiche dei soggetti a “responsività minimale” (cioè sul confine tra stato vegetativo e grave
disabilità); una sperimentazione per valutare l’adeguatezza di risorse e strumenti per tali casi. (Bilancio
sociale 2010. La filiera della solidarietà, Cit., p. 40).
56
Idroterapia: dall'acqua un ausilio fondamentale per il percorso riabilitativo, “Trilli nell'Azzurro”, Attualità,
n. 2, 2007, p. 2.
35
La musicoterapia, che attraverso le vibrazioni ed il canto è in grado di trasmettere
reazioni positive, rilassamento corporeo e interiore, nonché è fonte di stimolo per la
socializzazione;
Passeggiate e coltivazione dell’orto per uno sviluppo massimizzato del tatto, dell’olfatto
e del gusto, oltre che della sperimentazione in senso lato;
Uscite sul territorio (ippoterapia, negozi, sagre, ristoranti, etc.),57 per conoscere e farsi
conoscere;
Soggiorni estivi con finalità puramente ricreative.
Poi vi sono tutta una serie di agevolazioni utili a far vivere il Centro con il massimo del
confort e della naturalezza che si respirano in una casa; vi sono servizi di trasporto con
mezzi idonei e sicuri, di lavanderia e guardaroba, diete personalizzate, prestazioni di
parrucchieri e barbieri, presenza di personale volontario che favorisce uscite in luoghi
d’interesse, etc.;
Per quanto concerne la struttura organizzativa sono previste la figura di un
Direttore con funzioni amministrative e organizzative, il quale gestisce il servizio ed i
rapporti con il personale; un pedagogista ed uno psicologo che operano assieme agli
educatori nella definizione e nell’attuazione dei progetti educativo-riabilitativi e
nell’impostare sulla base di questi ultimi l’attività assistenziale; un medico che
garantisce l’integrazione tra le prestazioni infermieristiche, socio-assistenziali ed
educative; un Assistente Sociale che collabora soprattutto nella fase di inserimento
dell’ospite, la quale avviene tenendo conto, oltre che della compatibilità con l’utenza già
inserita, della valutazione della situazione globale in cui versa la famiglia (ad esempio
presenza di problemi comportamentali non facilmente gestibili nel contesto familiare,
assenza di uno o entrambi i genitori oppure età avanzata degli stessi, presenza di un
altro familiare disabile, e così via, attraverso colloqui che mirino ad approfondire la
situazione psico-sociale sia della famiglia che dell’utente, non senza una visita guidata
all’interno della Struttura, per illustrarne ogni aspetto gestionale ed il funzionamento del
servizio offerto).
57
Da tener presente la presenza sul nostro territorio nazionale di alcuni importanti musei tattili per ciechi
e sordociechi. A proposito del Museo Accorsi di Torino scrive Giovanna Guarnieri: «Un ricamo prodotto
su un pannello permette al disabile visivo di comprenderne la meraviglia: alcuni oggetti pregiati che
possono essere presi in mano, consentono di cogliere somiglianze e differenze fra la porcellana, la
maiolica e la terracotta: nel salotto cinese, è possibile toccare la seta italiana, quella indiana e quella
cinese, per comprenderne la diversità. […] Visitare un Museo e avere la possibilità di esplorare oggetti
piacevoli e con forme armoniche, è un piacere istruttivo e un arricchimento per lo spirito». Guarnieri G.,
Museo tattile per ciechi e sordociechi, “L’Informatore Notizie”, agosto 2002, pp. 23-24.
36
Periodicamente il personale si riunisce in équipe alle quali possono partecipare anche
gli utenti in grado di comunicare i propri pensieri, le esigenze emerse durante la vita
quotidiana, suggerimenti, etc., sentendosi così partecipi di un ambiente da vivere
appieno, così come in una famiglia si aprono dialoghi, ci si confronta e si sollevano
discussioni.58
Tra le varie professionalità presenti in Struttura un ruolo di assoluto rilievo è
ricoperto dall’Educatore Professionale, che è il punto di riferimento per la persona
disabile e una figura di mediazione con gli altri operatori. Egli ha il compito di redigere il
Progetto Individualizzato mediante la supervisione dell’équipe psicopedagogica.
Inizialmente viene letta e approfondita la documentazione diagnostica fornita dal Centro
Diagnostico di Osimo; poi vi è un periodo di osservazione dell’utente nel Centro di
Lesmo; in terzo luogo la stesura, sulla base del primo programma riabilitativo, in cui
vengono indicati degli obiettivi che vanno periodicamente verificati.59 Il P.I. contiene una
dettagliata descrizione della scheda sociale e del quadro clinico del soggetto in esame,
e si concentra sulle seguenti aree:
•
Senso-percettiva: mantenimento e possibile potenziamento dei sensi
residui;
•
Motoria: sviluppo di abilità grosso e fino motorie, di coordinazione bimanuale e oculo-manuale, di orientamento e mobilità nello spazio;
•
Cognitiva:
comunicazione,
sviluppo
delle
l’autonomia,
capacità
cognitive
l’orientamento
per
favorire
la
spazio-temporale
e
l’interazione sociale;
•
Della comunicazione: ampliamento e sfruttamento di tutti i codici
comunicativi possibili, avvalendosi altresì degli ausili tecnologici che
limitino i vissuti d’esclusione, e quindi la comparsa di comportamenti
disadattivi;
•
Socio-affettiva: sviluppo di un proprio senso identitario, gestione
dell’emotività,
dell’autocontrollo,
sviluppo
dell’autostima
e
dell’autodeterminazione, capacità di collaborazione sulla base di un senso
58
Esistono inoltre il Comitato delle Persone Sordocieche ed il Comitato dei Familiari delle Persone
Sordocieche, organi consultivi della Lega del Filo d’Oro, i quali si occupano di dare una pronta risposta a
tutte le problematiche che emergono nei servizi dell’Associazione.
59
La seguente stringata descrizione deriva dalla diretta lettura di alcuni P.I. durante l’esperienza di Stage
Formativo e dall’affiancamento di una educatrice esperta.
37
di responsabilità e di condivisione di regole che determinino un buon
adattamento all’ambiente e alle persone;
•
Dell’autonomia:
mantenimento
e
potenziamento
della
propria
indipendenza nelle attività domestiche, nelle abilità sociali, nella cura della
persona e nelle attività occupazionali.
In particolare le aree motoria e dell’autonomia competono molto il personale OSS, e la
formulazione dei piani individuali d’assistenza sono concordati con il Responsabile
dell’Area Sanitaria che coordina l’intervento di infermieri, tecnici sanitari e terapisti. Va
sottolineato che il personale Socio-Assistenziale lavora a stretto contatto con quello
educativo, essendo le figure che trascorrono l’intera giornata con gli utenti, momento
per momento; vi è una tale complicità (e fiducia da parte dell’utenza) da arrivare a
interscambiarsi i ruoli pur mantenendo ben delineate le diverse professionalità.
Per quanto concerne la modulistica, La Lega del Filo d’Oro attribuisce molta
importanza alla registrazione delle attività al fine di valutare gli effettivi progressi
ottenuti, dando logica priorità all’area dell’autonomia. Gli educatori e gli OSS compilano
un diario giornaliero e clinico in cui informano il turnista successivo di tutti gli
accadimenti salienti della giornata, e dello stato di salute di ogni ospite; inoltre utilizzano
sistematicamente schede di osservazione/verifica e task analisys in cui un
comportamento viene scomposto in vari items al fine di confermare o disconfermare
(parzialmente o totalmente) un apprendimento in atto, sul quale si sta concentrando
l’attenzione. Il lavoro viene scomposto in singole azioni, in modo che l’educatore riesca
ad individuare più facilmente il punto in cui intervenire fornendo non una soluzione
“confezionata”, ma una strategia da sviluppare assieme all’utente.60
La programmazione dell’intervento educativo-riabilitativo è ben sintetizzata dal Direttore
Educativo della RSD nelle seguenti, progressive tappe:
«Individuare l’area in cui si colloca l’attività (autonomia personale, comunicazione,
terapia occupazionale, ecc.); valutare le abilità esistenti con osservazione sistematica
diretta o check list; progettare l’intervento con analisi del compito; costruire il curricolo
individuando obiettivi a lungo termine, a medio termine e a breve termine; definire le
tecniche di insegnamento (concatenamento anterogrado o retrogrado, guida fisica,
prompting, fading, criterio di padronanza, rinforzamento, ecc.); stendere una task
analysis il più dettagliata possibile; individuare eventuali sussidi e protesi per favorire
60
In tale modalità di interazione ho potuto riconoscere il modello vygotskijano di “pensare la conoscenza”.
L’educatore dota l’utente di un suggerimento utile a lasciare che sia poi lui a trovare la soluzione, meglio
ancora in un contesto in cui vi è collaborazione, se non di gruppo, almeno di un altro compagno.
38
l’autonomia; generalizzare l’apprendimento; valutare in itinere e alla fine degli
apprendimenti con osservazione e compilazione di check list; programmare il
mantenimento dell’abilità acquisita».61
Con i sordociechi acquisiti la filosofia di fondo è il metodo comportamentale che mira a
correggere il comportamento utilizzando modificazioni ambientali, basandosi sui
concetti di rinforzo, eliminazione (del rinforzo), shaping, discriminazione, rinforzo
intermittente e generalizzazione del rinforzo.62
In generale possiamo dire che tutti i servizi che ruotano attorno al portatore di
disabilità, sia all’interno che all’esterno della Struttura, non devono essere
autoreferenziali; insistiamo nel dire che l’intervento non può venir frammentato, ma ci si
deve collocare in un’ottica sistemica. «Nel pensare ai servizi è necessario muoversi […]
facendo sì che di fronte a processi decisionali si cominci a ragionare in termini di
complessità. La famiglia mostra sempre più l’esigenza di essere aiutata nella lotta che
deve affrontare di fronte alla frammentazione dei servizi. La ricerca in tale ambito ha
evidenziato che o si supporta la famiglia in questo, oppure nonostante l’alta qualità
tecnologica dei servizi, la possibilità che questi abbiano effettivamente una ricaduta sul
benessere dell’utente, praticamente si azzera».63 E ancora: «L’irripetibilità e la
complessità della persona umana nello sviluppo della sua personalità esigono risposte
e progetti individualizzati, singolari. Proporre un possibile percorso educativo non può
prescindere dalla conoscenza delle domande che pone colui e coloro che per esso si
devono incamminare ed essi stessi sono chiamati a costruirlo e a modificarlo».64
61
Carrella L., La sordocecità e la riabilitazione possibile: l’esperienza della Lega del Filo d’Oro, Cit., pp.
7-8.
62
Tale metodologia è ben spiegata in Nicolosi M., La persona sordocieca: aspetti salienti per un progetto
di intervento, Università di Pavia, Corso di Psicologia clinica, pp. 1-42, pubblicato sul suo sito Internet
www.michaelnicolosi.com. Qui inoltre si analizzano gli strumenti della Check-list, dell’Analisi funzionale e
della VALIAB (Valutazione del livello di abilità). Molto intuitivo anche Rinforzi: manuale per l’uso, di Nisi A.
e Ceccarani P., Quaderni della Lega del Filo d’Oro, n. 26, dicembre 1988, Osimo.
63
Mecca A., Il sistema di monitoraggio e le persone pluriminorate. Risultati di una ricerca, Fondazione
Percorso Verde, L’Arte del Tipografo di V. Vicinanza, Salerno, gennaio 2001, p. 5.
64
Ivi, p. 4, all’interno della Premessa di Scelzo F.
39
3. Legislazione.
Nel 2004 le Associazioni che fanno capo a EDbN (Rete Europea sulla
sordocecità), tra le quali la Lega del Filo d’Oro, si sono fatte promotrici di un’iniziativa
avente come scopo ultimo di richiamare l’attenzione delle Autorità Europee sulla
necessità imprescindibile di riconoscere la sordocecità come disabilità specifica. Il
riconoscimento è arrivato il 12 aprile dello stesso anno: il Parlamento Europeo ha
approvato il testo “Dichiarazione scritta sui diritti delle persone sordocieche”, sancendo
dunque la specificità della doppia minorazione, e garantendo ai sordociechi gli stessi
diritti di cui godono tutti i cittadini dell’Unione Europea, ed ha invitato gli Stati membri a
dotarsi di leggi adeguate, atte a garantire ai sordociechi i loro diritti, in particolare:
-
Il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione Europea;
-
Il diritto al lavoro e all’accesso alla formazione, con tutti gli ausili necessari;
-
Il diritto all’assistenza sanitaria e sociale incentrata sulla persona;
-
Il diritto alla formazione permanente;
-
Il diritto ad avere un sostegno personalizzato sotto forma di guidecomunicatori, interpreti per sordociechi e/o assistenti.
Già in occasione della 3ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche vi era stato
un grande lavoro di sensibilizzazione per sollecitare le nostre Istituzioni a riconoscere la
disabilità specifica, e subito il Comitato delle Persone Sordocieche della Lega del Filo
d’Oro, nella seconda riunione del 10/11 giugno a Lesmo, ha cominciato a studiare ed
approfondire il testo Comunitario, per generare una proposta di Legge attuabile nel
nostro Paese.65
Grazie alla Lega del Filo d’Oro in Italia si sono compiuti numerosi passi in avanti
per ottenere il riconoscimento della sordocecità quale disabilità unica. In modo speciale
richiamiamo alla memoria la costituzione del Comitato delle Persone Sordocieche del
1993, le sei Conferenze Nazionali delle Persone Sordocieche, l’inserimento del bastone
bianco e rosso nel nuovo Codice della Strada del 2002. Inoltre importante ai fini della
visibilità dell’Associazione, la mostra itinerante “IO dentro il mondo” (2004-2006),
presentata in numerose città italiane, nella quale sono stati mostrati al pubblico
soluzioni, ausili, strumentazioni e progettazioni validi per accrescere l’indipendenza e
65
Per questa prima parte: Per il Parlamento Europeo la sordocecità è una disabilità specifica, “Trilli
nell’Azzurro”, Iniziative, n. 3, 2004, p. 6.
40
l’autonomia delle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali, nella vita
quotidiana (casa, lavoro, ambiente educativo, tempo libero).
Il 14 novembre 2006, nella sala stampa di Montecitorio, viene presentata una
proposta di Legge per il riconoscimento della sordocecità quale disabilità unica,
depositata alla Camera dei Deputati il 21 novembre. Il 13 luglio 2010 la proposta
“Misure per il riconoscimento dei diritti delle persone sordocieche” è diventata una
Legge dello Stato, la Legge n. 107, colmando così un altro gap della legislazione
italiana rispetto a quella degli altri Stati Europei. Essa è stata promulgata dopo un lungo
percorso di maturazione legislativa, cominciato con la Legge 104/1992, “Legge-quadro
per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, e dopo
altrettanto lunghi lavori preparatori, e a tre mesi dall’emanazione di un’altra Legge
rilevante in materia sanitaria, La Legge 15 marzo 2010 n. 38, “Disposizioni per garantire
l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”.
In generale, per i sordociechi, questo passo in avanti significa maggior salvaguardia,
pari opportunità e migliore qualità di vita.
Nello specifico si sancisce:
Il riconoscimento della disabilità specifica unica;
L’unificazione delle indennità percepite dai sordociechi: il sordocieco
ottiene l’indennità e le pensioni per la cecità e la sordità in forma unificata, quindi
percepisce due indennità, di comunicazione e di accompagnamento, più due
pensioni di cieco (totale o parziale) e per sordità prelinguale. L’indennità di
comunicazione non spetta nel caso di sordità intervenuta in età matura.
Un’unica visita medica per l’accertamento della sordocecità: la
valutazione della sordocecità viene effettuata dalla Commissione ASL prevista
dalla legge 104/1992, integrata da altri specialisti preposti all’accertamento della
cecità e sordità, senza bisogno di revisione.
Rispetto però alla Legge Europea, che faceva leva sui termini “dignità umana”,
“persona” e “sostegno personalizzato”, quindi sulla relazionalità, la socialità come
diritto-base, nella nostra Legge si torna a parlare in modo asettico di “soggetti” (art. 2
comma 3), compare l’ambigua espressione “nei limiti delle risorse disponibili”, si
menzionano i “progetti individuali” (art. 4), si legge termine “integrazione sociale”,
limitativo anche rispetto al “Diritto alla partecipazione” della Nostra Costituzione all’art. 3
comma 2. Inoltre nell’art. 5 si dice “possono individuare” anziché “individuano”, in merito
alle competenze delle Regioni, senza tener conto oltre tutto dei tagli ai fondi delle
41
Regioni stesse e dei divari esistenti tra di esse in materia socio-sanitaria. Si continua a
parlare di “assistenza individuale” (art. 5), mentre si dovrebbe parlare sempre di
“sostegno”, il quale implica il “prendere in carico la persona”. Infine, sempre nell’articolo
5, la formazione è intesa solo in senso professionale e non permanente.
Insomma dovremmo concludere che anche le parole hanno il loro peso, nel momento
stesso in cui vengono espresse, e dovrebbero poi essere accompagnate da campagne
di sensibilizzazione che limitino il clima di indifferenza e insofferenza che ancora
permangono nei confronti delle persone con disabilità.66
Comunque sia, nonostante tutte le imperfezioni e le possibili migliorie, attraverso
questa nuova Legge, la Lega del Filo d’Oro ha potuto realizzare un impegno preso più
di quarant’anni prima, dal tempo della sua fondazione. Esso è la premessa
fondamentale per qualsiasi tipo di aiuto. «Senza riconoscimento specifico, infatti, manca
il quadro d’insieme all’interno del quale predisporre l’azione del pubblico a favore dei
sordociechi: “Non avete idea –ha detto Rosa Francioli, presidente del Comitato dei
Familiari delle Persone Sordocieche- di quanto sia duro cercare servizi o ausili specifici
per soggetti con sordocecità in un paese che non la riconosce nemmeno”».67
Durante la 5ª Conferenza Nazionale si è infatti puntato sull’importanza delle Leggi, per
garantire i diritti, anche attraverso campagne di sensibilizzazione. Ma essenziale è che
la persona non sia costretta a districarsi tra normative complesse senza riuscire ad
ottenere, a livello locale, il supporto necessario. Infatti in quella sede venne proposta
l’idea del difensore civico (avvocato o magistrato) che possa fornire informazioni circa le
Leggi e la loro applicazione, e che debba, all’occorrenza, intervenire a difesa di chi
viene discriminato a livello legislativo. Purtroppo però si sottolineava la carenza di
questa utilissima figura in molte città principali.68
Concludiamo il capitolo dando un breve sguardo all’Europa sul tema della
legislazione. Nell’Unione Europea si stimano circa 150.000 cittadini colpiti da
sordocecità (compreso l’uso parziale di uno od entrambi i sensi), e da una ricerca di
qualche anno fa, condotta dalla Rete Europea sulla sordocecità, sono emersi i dati
66
Per questa seconda parte: Quinta Conferenza nazionale delle persone sordocieche. Modena 24-28
maggio 2008. Breve resoconto e Sintesi dei lavori di gruppo, “L’Informatore Notizie”, febbraio 2008, p.7, e
marzo 2009, p. 6; Bilancio sociale 2010. La filiera della solidarietà, Cit., pp. 12, 37; Marzaro M., Ancora la
persona nella sua interezza: la legge sulle sordocecità, “Press-IN”, anno II, n. 2783, Venezia, 2 pp., vedi
www.pressin.comune.venezia.it.
67
Caredda S., La sordocecità sarà riconosciuta da una legge dello Stato come disabilità specifica,
“PressVisione”, n. V/1153, 15 novembre 2006, Venezia, pp. 2. Il riferimento è alla discussione apertasi a
Montecitorio, in occasione della presentazione della proposta di Legge.
68
Quinta Conferenza Nazionale delle persone sordocieche. Modena 24-28 maggio 2008. Breve
resoconto e Sintesi dei lavori di gruppo, Cit., p. 9.
42
riportati qui di seguito: nel 76% dei paesi membri dell’Unione Europea la sordocecità
non è riconosciuta come disabilità unica; nel 62% dei paesi non esiste uno specifico
programma per identificare i nuovi casi di sordocecità; nel 38% dei paesi non esiste una
formazione specifica per interpreti e operatori per la comunicazione; nel 48% i sordociechi non hanno diritto al supporto a loro necessario per essere abili al lavoro. Tra i
paesi più avanzati, relativamente a questa problematica, ne menzioniamo alcuni che si
distinguono per essersi dati in proposito e rispettare standard particolari: la Francia, che
possiede un registro delle persone sordocieche, servizi di intervento precoce, un
supporto per tutti i disabili in merito al lavoro, un’Associazione di Volontariato, la
CRESAM, che forma operatori ed interpreti; la Danimarca, in cui esiste uno specifico
programma per individuare i nuovi casi di sordocecità e per la formazione di
professionisti ed interpreti; la Svezia, in cui le Autorità regionali devono fornire ai sordo
ciechi interpreti formalmente qualificati, e vi sono scuole bambini portatori di tale
disabilità; la Norvegia in cui i servizi di intervento precoce sono forniti dai Centri
regionali di supporto.69
Possiamo per contrasto immaginare la drammatica situazione in cui versano le persone
sordocieche in altri Paesi extra-europei, con particolare riferimento a quelli poveri o in
via di sviluppo. Un accenno finale a questo problema, per non dimenticarlo, attraverso
le sofferte parole di Alex Garcia, persona sordocieca brasiliana che ha partecipato alla
Conferenza Mondiale Helen Keller: «I sordociechi in Brasile non conoscono i loro diritti.
Sono pesantemente coinvolti in scambi di favori. I sordociechi sono stati educati ad
essere incapaci di dare giudizi. Non dare giudizi significa che non capiscono realmente
se stessi e comunque non possono gestire i propri bisogni per mezzo dei loro diritti e
responsabilità. I sordociechi non hanno libertà di pensiero. I sordociechi sono resi
incapaci di avere certezze –un diritto umano fondamentale. I sordociechi sono confusi
circa la differenza tra diritti individuali e collettivi».70
69
Una ricerca sulla sordocecità nell’Unione Europea, “L’informatore Notizie”, giugno 2006, pp. 3, e
ottobre 2006, pp. 2. Rilevante l’intervento di Susannah Barnett alla Conferenza Nazionale di Roma, in cui,
esplorando la situazione dell’Inghilterra, giunge all’idea di una «Unique Deafblind culture», basata su
quattro elementi fondamentali: Associazione, Lingua, Comportamento e Identità.
Interessante anche, per l’Irlanda del Nord: Schubotz D., Survey of need of people with dual sensory loss
in Nothern Ireland, ARK, Institute of Governance, Public Policy and Social Research, 2004, pp. 1-28,
www.ark.ac.uk, in cui l’autore prende in considerazione, statisticamente, l’aspetto affettivo, ovvero chi
sono le principali figure di riferimento e di cura per la persona sordocieca.
70
Pimpinella A., I sordociechi in Brasile, “Voce Nostra”, n. 7, 1-15 aprile 2006, 4 pp.
43
Stay Hungry. Stay Foolish.
Steve Jobs
44
CAPITOLO TERZO
VERSO L’AUTONOMIA
1. La vita quotidiana.
L’RSD di Lesmo non è pensata come un ospedale, o comunque come un luogo
di cura che dia l’idea dell’istituzionalizzazione della persona. Si tratta di una sorta di
piccolo villaggio composto da un grande parco nel verde della Brianza, di circa 45.000
mq, nel quale vi sono diverse strutture: quella principale all’ingresso, nella quale
troviamo gli uffici ed i laboratori, poi una grande mensa, la palestra, la piscina, ed infine
gli appartamenti degli ospiti, disposti su due piani. (Si tratta di dieci appartamenti con
quattro ospiti ed uno con sei, per un totale massimo di quarantadue). Gli alloggi in cui
vivono gli ospiti sono contraddistinti da un colore; si cerca infatti di accorparli sulla base
della similarità del quadro clinico di base, anche per agevolare il lavoro del personale
educativo, il quale, potremmo dire, si specializza ancor più approfonditamente
all’interno del medesimo settore. Nella mia esperienza di stage sono stata inserita nella
“palazzina rossa” dove si trovano soltanto sordociechi acquisiti, benché vi fosse molta
variabilità rispetto alla gravità del danno sensoriale. Si tratta di uno spazio familiare,
paragonabile ad una casa comune, semplice, ospitale. In ogni appartamento il
sordocieco acquisito, in un rigoroso ordine ambientale, impara a gestirsi in autonomia
negli spostamenti, nelle azioni della vita quotidiana, nell’orientamento spazio-temporale,
favorito da una routine rinforzata dal calendario generale appeso nel soggiorno centrale
e dalla compilazione di un personale diario settimanale, scritto al computer o con la
dattilo Braille a seconda delle capacità o delle preferenze del soggetto.
Oltre alla camera da letto singola, vi sono il salotto, la cucina, il guardaroba, la
dispensa, un ampio balcone al primo piano e un giardinetto al piano terra. All’esterno,
nel parco, indizi strutturali (percorsi tattili, olfattivi, sonori e visivi, nonché numerosi
corrimano), aiutano la persona a raggiungere da sola il luogo desiderato, o
semplicemente a fare una libera passeggiata.
Sia all’interno che all’esterno l’ospite è spinto ad essere più attivo e autonomo possibile,
sia negli aspetti vitali (lavarsi, vestirsi, nutrirsi, etc.) sia in ciò che riguarda la sua sfera
personale (hobby, relax, gestione delle proprie cose e dei propri spazi, etc.). È
45
essenziale, oltre all’ordine del mobilio e di tutti gli oggetti ivi riposti, che la scansione
temporale degli eventi sia sempre chiara ed esplicitata in caso di cambiamenti, poiché il
sordocieco soffre dell’impossibilità di poter dominare lo spazio attorno a sé e gli
accadimenti che in esso avvengono, reagendo facilmente con ansia, angoscia o rabbia
quando qualcosa sfugge a quei familiari, precisi criteri che invece sono fonte di
sicurezza, in quanto, prima di tutto, garanzia di sopravvivenza.
Per mantenere alto l’interesse della persona sordocieca al mondo che lo
circonda di frequente si finalizza la giornata alla partecipazione a momenti di vita
comunitaria, invitando l’utente a utilizzare tutti i sistemi di comunicazione di cui è in
possesso, forzando l’isolamento in favore di una interazione sociale gratificante e
benefica soprattutto dal punto di vista psicologico. Il soggetto si sente una parte vitale,
significante, dello stare e fare insieme, sia che si tratti di una attività di laboratorio
piuttosto che di un momento ludico-ricreativo, e se egli è posto nelle condizioni migliori
per soddisfare i personali bisogni di partecipazione alle esperienze, sviluppa una serie
di nuove abilità, di adattamento e di creatività, che lo rendono affascinante per chi lo
incontra. In questo senso, di altissimo valore etico è la collaborazione del personale
volontario, che con visite programmate e con iniziative di vario genere, anche
esternamente alla Struttura, risulta fonte di stimolazione, in quanto ravviva la curiosità
del sordocieco a conoscere, informarsi, provare nuove sensazioni ed emozioni.71
Vi sono alcune norme da rispettare per rendere gli spazi accessibili e fruibili alla
persona sordocieca. Ne elenchiamo alcune di fondamentale peso:
• Gli oggetti degli appartamenti e i materiali dei laboratori devono essere sistemati
in modo ordinato, in un posto ben definito senza mai cambiarne la posizione, e
devono essere facilmente accessibili, tenendo conto delle reali necessità del
singolo; è d’obbligo avvisare circa gli spostamenti degli oggetti e descrivere dove
vengono collocati, ricorrendo a frasi che siano riconducibili al corpo della
persona, e non a vaghi “lì sopra”-“lì sotto”; il bastone (vedi più avanti) non deve
mai essere allontanato.
• In tutti gli ambienti chiusi o di transito bisogna lasciare lo spazio libero da
qualsiasi tipo di ingombro o ostacolo;
71
La persona sordocieca ama ritrovare le persone che conosce, in quanto anch’esse fonte di “sicurezza”.
Ciò non significa che non sia portato a incontrare gente nuova, ma nella routine della vita quotidiana vive
male situazioni in cui il personale cambia troppo in fretta o bruscamente, poiché per il sordocieco è
essenziale la creazione di un rapporto di fiducia privilegiato, prima di tutto con il proprio educatore di
riferimento, che egli sa esser sempre presente per aiutarlo nel soddisfacimento dei bisogni o nella
“traduzione” del suo messaggio incompreso agli altri.
46
• Non sovraccaricare di stimoli l’appartamento privato, l’aula e gli ambienti di
lavoro;
• Preferire l’illuminazione naturale e mantenere un’illuminazione artificiale indiretta
e diffusa, per favorire il residuo visivo degli ipovedenti;
• Evitare la ridondanza acustica e l’eccessiva rumorosità nelle stanze sia private
che di uso comune, per facilitare la comprensione del parlato in chi possiede
residui uditivi;
• Segnalare all’utente la sua posizione con vari accorgimenti, ad esempio contrasti
cromatici, corrimano dotati di indizi tattili, percorsi con segnali acustici od olfattivi,
pavimentazioni con materiali diversi sia per scabrosità che per colore. Il tutto sia
all’interno che all’esterno della Struttura, per assecondare l’autonomia motoria e
l’orientamento nello spazio.
L’ambiente abitativo deve risultare un luogo in cui la persona sordocieca possa
sentirsi il più possibile indipendente e al tempo stesso sicura, per cui gli appartamenti
della RSD di Lesmo sono pensati con una serie di accorgimenti utili ad incoraggiare la
sperimentazione autonoma. Ad esempio i mobili hanno ante scorrevoli, le maniglie sono
di materiale morbido, le porte sono dotate di paraspigoli; primeggiano le forme
ergonomiche per facilitare la presa ed i colori contrastanti per l’identificazione; tramite la
pinza dymo per nastro Braille si creano etichette in Braille adesive da applicare sugli
oggetti, in modo da riconoscerli per poterli utilizzare; in cucina vi sono luci sottopensili
ad accensione automatica, dosatori per il caffè che si adattano alla misura della
caffettiera, piano cottura elettrico ad induzione in vetroceramica, onde evitare bruciature
degli ospiti e favorire una facile pulizia (essendo completamente piana, priva di
manopole); l’illuminazione è schermata, quindi indiretta e diffusa omogeneamente nello
spazio; l’orologio è tattile e/o fornito di sintesi vocale per aiutare il sordocieco
nell’orientamento temporale; vi sono molti segnali oggettuali, ad esempio quelli posti nel
salotto con i simboli in rilievo che identificano gli operatori in turno (il cosiddetto segnonome della L.I.S.) o altri posti sulla maniglia della propria stanza per permetterne
l’immediato riconoscimento; per il tempo libero vi sono giochi di società come la
tombola in Braille, o le carte ingrandite, e poi altri oggetti personali, studiati per gli
svaghi individuali, come il metro da sarto, sempre in Braille, per chi ama ricamare,
oppure il tavolo ergonomico in cui poter sempre riporre ordinatamente i propri strumenti.
Durante le riunioni una speciale attenzione viene riservata ai portatori di Sindrome di
Usher, prevedendo luce al neon che provenga dall’alto, riduzione del rumore
47
ambientale, presenza di un interprete che non si ponga in piedi sotto la luce, che non
vesta degli stessi colori dello sfondo e che non si sieda di fronte ad uno sfondo confuso.
Presentazioni in Power Point e materiale cartaceo devono essere scritti a caratteri
grandi ben comprensibili.
Perché sia la casa che il mondo “là fuori” siano vissuti con serenità un ruolo
decisivo è svolto dal personale volontario.72 Si parla di volontariato “diretto” quando si è
a contatto con la persona disabile, in attività individuali o di gruppo, specialmente
ludico-ricreative, culturali, legate al tempo libero. In questo caso la finalità è
l’esplorazione dell’ambiente esterno, l’accesso alle informazioni, la socializzazione e
l’autonomia personale. Si tratta all’opposto di volontariato “indiretto” quando si è
coinvolti in iniziative di supporto all’Associazione, del tipo eventi promozionali, raccolta
fondi, mostre, spettacoli, fiere, attività d’ufficio o di laboratorio, guida degli automezzi
dell’Ente, attività promosse dal Comitato delle Persone Sordocieche e dal Comitato dei
Familiari delle Persone Sordocieche.
Ogni sede della Lega del Filo d’Oro organizza almeno una volta all’anno un corso
gratuito di formazione per volontari, suddiviso in lezioni teoriche e pratiche. I requisiti
per accedervi sono: per il volontariato indiretto aver definito con il Referente per il
volontariato le modalità di inserimento; per quello diretto è necessario prestar servizio
almeno due volte al mese o una settimana durante i soggiorni estivi, gestiti appunto dai
volontari e indirizzati ad adulti con un buon grado di autonomia. Per entrambi i tipi di
volontariato è obbligatoria la maggiore età.
2. Gli ausili tecnologici e tecnici.
La persona sordocieca necessita di numerosi ausili tecnici e tecnologici per
mantenere le proprie abilità residue e svilupparne di nuove. In questo paragrafo si vuole
dare un’idea di come tali strumenti possano, con la loro crescente funzionalità,
agevolare tale obiettivo, e pertanto ne elenchiamo alcuni di primaria importanza, molti
dei quali ho potuto osservare, o dei quali mi è stato mostrato l’utilizzo, durante il mio
stage formativo.73
Per la vista ricordo:
72
La distinzione cui accenniamo ora è ripresa da Il volontariato, in Hai mai conosciuto una persona
sordocieca?, Cartelle informative a cura della Lega del Filo d’Oro, Osimo.
73
Ivi, nella cartella Gli ausili.
48
• Il video ingranditore: una telecamera riprende il foglio da leggere ed il monitor
riporta il contenuto della pagina in modalità ingrandita; permette di controllare
manualmente la messa a fuoco ed il livello di ingrandimento. I più sofisticati
presentano l’immagine filtrata, ovvero migliorata a seconda della patologia (per
esempio con caratteri bianchi su sfondo nero). Non tutti i modelli offrono
l’immagine a colori, e ve ne sono alcuni portatili che si avvalgono di una lente
elettronica che si sposta sul testo; altri sono in grado di acquisire immagini
dall’ambiente per poi riportarle sullo schermo.
• Software ingrandente: applicazioni che consentono l’ingrandimento di testi e
immagini per chi utilizza il computer o il cellulare; ha le stesse funzionalità
descritte per il video ingranditore e si può altresì integrarlo con la sintesi vocale.
• Lettori automatici: sistemi di lettura che riconoscono il testo e convertono un
documento cartaceo in informatico (display Braille o sintesi vocale). Necessitano,
oltre che del computer, di uno scanner, di un sistema di sintesi vocale e di un
software che consenta la gestione delle operazioni in modalità semplice. Alcuni
lettori sono in grado di fornire il testo ingrandito e con l’opportuno contrasto
cromatico.
• Display o riga Braille: sistema composto da un numero di celle che va da venti a
ottanta, il quale traduce elettronicamente in rilievo le informazioni presentate a
video (nella modalità sia del Braille informatico a otto punti, sia a sei punti). Tali
ausili permettono di utilizzare tutte le funzionalità del computer e del cellulare
(Internet, posta elettronica, messaggistica, etc.), e altresì di leggere documenti
acquisiti con uno scanner.
• Stampanti Braille: periferiche che consentono di ottenere in tempi brevi testi in
Braille di ottima qualità, grazie ad un software che riorganizza il testo sul display
in modo semiautomatico.
Per l’udito:
• Sintesi vocale: applicazioni software che vocalizzano attraverso una voce
sintetica (oggi meno “artificiali” che in passato), il testo presente sul video del
computer (o cellulare, palmare).
49
• Sistemi integranti portatili: sono simili alle agende elettroniche portatili con sintesi
vocale o interfaccia Braille (dunque apprezzati anche da chi ha problemi visivi);
molto efficaci per lo studio ed il lavoro.
• Amplificatori a induzione magnetica (Tele Loop): sistemi che trasmettono
all’apparecchio acustico (provvisto di ‘posizione T’) voci e suoni in modo più
chiaro eliminando i rumori di fondo. Possono essere portatili, per consentire una
comunicazione a due, o anche installabili in ambienti ampi come un cinema o
una sala riunioni.
• Avvisatori luminosi o vibranti: segnalatori di rumori come lo squillo del telefono o
di eventi pericolosi come una fuga di gas.
Specifico per la sordocecità grave o totale è lo Screen Braille Communicator, una
sorta di piccola, leggera e agevole macchina da scrivere che permette al sordocieco di
comunicare con chi vede in tempo reale. Da un lato il vedente scrive brevi frasi su di
una tastiera QWERTY, dall’altro il sordocieco legge e risponde con il suo display Braille.
Il vedente a sua volta leggerà la risposta su di un display LCD posto sopra la tastiera. È
pertanto possibile per il sordo cieco comunicare con persone sconosciute faccia a
faccia, anche solo per brevi momenti, ad esempio all’interno di un negozio, senza
necessariamente approfondire la conoscenza reciproca, come a noi tutti capita quasi
all’ordine del giorno, nei nostri contatti psichici superficiali con le persone che
incontriamo
più
o
meno
casualmente.74
Eccone
una
immagine
esplicativa:
Lo stesso dicasi per il CAPtel USB, un telefono che fa apparire sullo schermo del
computer la conversazione dell’altro comunicante, potendo modificarne grandezza,
colore e stile del carattere.75
74
L’indicazione di questo apparecchio rivoluzionario viene da C. Lagarde, Communication device for
deafblind people, E-mail inviata al (e gentilmente concessa dal) Centro di Documentazione di Osimo. La
provenienza è Prinsenbeek in Olanda, dove appunto Chris Lagarde si occupa della costruzione di ausili
per la disabilità nella comunicazione. Maggiori informazioni, e visione di altri prodotti, sul suo personale
sito Internet: www.lagardecommunication.com.
75
Queste immagini sono tratte dal sito Internet dell’American Association of the Deaf-blind,
www.aadb.org, nel quale si possono esaminare altri apparecchi similari.
50
Rivoluzionario anche Conny, il cellulare per sordociechi76, sviluppato da Tiflosystem
S.p.A. di Piombino Dese (PD), con la quale la Lega del Filo d’Oro collabora al fine di
ricercare concrete soluzioni informatiche ed elettroniche, che possano migliorare le
possibilità comunicative dei sordociechi.77 Si tratta di un tastierino-display che una volta
collegato ad un qualsiasi telefonino o palmare fornito di Bluetooth, consente al sordocieco di comporre i numeri e la gestione di sms, della rubrica telefonica, dell’agenda,
della posta elettronica, il tutto in Braille.
Alla stessa stregua ricordiamo Braicom, il nuovo terminale Braille sviluppato dal Centro
Nazionale Tiflotecnico dell’Unione Italiana Ciechi. È in grado di connettersi in rete via
radio con il computer e può consentire ad un numero di utenti che va da 2 a 99, di
colloquiare all’interno di una stessa stanza, o comunque nel raggio di circa cinquanta
metri. Dunque uno o più sordociechi possono inviarsi in tempo reale dei messaggi scritti
fra apparecchi uguali, oppure è possibile scambiare tali messaggi con uno o più
computer dotati di modem radio e del software necessario. La possibilità di navigare ha
attratto particolarmente i giovani studenti in cerca di informazioni e conoscenze
nuove.78
Esperimenti interessanti si stanno compiendo da anni per realizzare un mouse per
ciechi e sordociechi che permetta soprattutto, oltre a leggere testi, formule matematiche
e testi musicali, di riconoscere figure e disegni. Si tratta però di un’invenzione che la
76
Notizia reperita da: Anche i sordociechi possono utilizzare il cellulare, “Press Visione”, 7 dicembre
2006, 1 p.; È nato "Conny", il cellulare per sordociechi, “Trilli nell'Azzurro”, n. 1, 2007, trafiletto.
77
Vedi www.tiflosystem.it.
78
Vezzosi F., Progetto Mercurio per i sordociechi. Il primo corso di alfabetizzazione informatica, “Il
Corriere dei ciechi”, giugno 2001, pp. 49-50. (Dello stesso autore molto interessante l’articolo sul Braille
applicato alla musica: Vezzosi F., Braille in musica, “Il Corriere dei ciechi”, aprile 2005, pp. 20-21).
Vedi anche Romano S., Informatica ante litteram, “Il Corriere dei ciechi”, aprile 2005, pp. 18-19. L’autore
pone la sua attenzione anche sulla rivoluzionarietà dell’I.C.R. (Intelligent Character Recognition), lo
scanner corredato di software di riconoscimento dei caratteri, che consente di leggere i testi già stampati,
gestibile attraverso i mezzi protesici precedentemente citati (display Braille, sintesi vocale, e sistemi di
ingrandimento caratteri).
51
scienza sta ancora elaborando e perfezionando, per i problemi che l’esplorazione
analitica della figura comporta.79
Passiamo ora brevemente ai sistemi switch, dei quali, nella RSD di Lesmo, ho
avuto modo di vederne il funzionamento. Si tratta di sensori, ovvero di sistemi che
trasformano l’energia meccanica in un segnale elettrico. In sostanza sono interruttori
modificati che rappresentano l’imput più semplice per azionare qualcosa. Vi sono
sensori che permettono di azionare dispositivi a batteria (ad es. gioco o allarme),
dispositivi elettrici (ad es. radio o elettrodomestici), mouse, tastiere speciali, computer
(software a scansione), VOCAs. Nell’ambito domestico possono ad esempio trovarsi su
porte, finestre, tapparelle, persiane, corridoi, letti, etc.; e vi sono sensori per stabilire
variabili ambientali come la temperatura o il livello di umidità. I sensori si presentano in
varie forme, dimensioni e con diversificati supporti per renderli accessibili nella maniera
più immediata e intuitiva. In generale ho notato che vengono utilizzati maggiormente nel
soggetto con sordocecità congenita estremamente grave dal punto di vista non soltanto
sensoriale, ma motorio e comunicativo. Ne ho constatato l’utilizzo da parte di sordociechi acquisiti solo in un caso in cui il deficit motorio era prevalente, trattandosi infatti
di un soggetto in esiti da trauma cranico.
Nella stessa categoria possiamo includere i “Sistemi di stimolo e di comunicazione
semplificata o facilitata”, utili però per sordociechi congeniti con pluriminorazioni
cognitive e spesso motorie, in particolar modo per soggetti spastici gravi (ultimamente,
tra diverse polemiche, sono stati applicati anche su soggetti autistici). Questi sistemi
associano ad una casella/bottone un messaggio registrato con voce naturale da un
operatore o dal genitore, in modo da favorire la comunicazione e programmi
d’apprendimento molto semplificati.80
Infine vanno assolutamente elencati gli ausili per la mobilità, il che equivale, per
un sordocieco, a parlare di orientamento spazio-temporale. Egli deve innanzitutto
imparare ad usare i sensi residui per discriminare lo spazio che lo circonda, e in ciò
alcuni ausili divengono parte integrante della propria persona, facilitando i movimenti ed
il riconoscimento degli ambienti. Ma debbono sempre essere introdotti rispettando l’età,
lo stato psicologico e le attuali capacità organizzative del soggetto, ovverossia la fase di
crescita in cui si trova in quel determinato stadio della propria esistenza. L’ausilio non
79
Su questa invenzione israeliana e sulla diatriba che ne è conseguita si veda Il mouse per ciechi e
sordociechi, “L’Informatore Notizie”, ottobre 2001, pp. 5-7.
80
Esempi ne sono Communicator, Brain, Baby Brontosauro, Twin-Talk. Come si denota già dai nomi, si
tratta di sistemi per lo più dedicati ai bambini. Per le immagini relative vedi Gli ausili, in Hai mai
conosciuto una persona sordocieca?, Cit., p. 6.
52
deve mai essere imposto, altrimenti verrà percepito come una protesi che rincara
l’immagine negativa che la persona ha di se stessa.
Entrando nello specifico, ricordiamo l’importanza dei seguenti ausili per la mobilità:81
Il bastone a strisce rosse: il doppio colore segnala appunto la doppia
minorazione sensoriale di vista e udito. Durante il cammino va tenuto con la
punta a contatto col terreno per essere informati in anticipo sugli ostacoli e sui
dislivelli, e favorire così sicurezza/velocità nella capacità di gestire le difficoltà
dell’ambiente. Il bastone trasmette informazioni di natura acustica (volumi,
distanze, informazioni strutturali), tattile (qualità dei materiali), e cinestesica
(salite e discese, in particolare). Il bastone corto viene utilizzato come segnale di
riconoscimento o in alternativa in luoghi chiusi, mentre quello lungo (ca. 120-150
cm, regolabile a seconda dell’altezza della persona), si usa in esterno.
Questo ausilio gode dei vantaggi di offrire maggiore sicurezza, di costare poco e
di esser facile da trasportare/utilizzare, e infine necessita di poca manutenzione.
Ha lo svantaggio di non coprire le parti alte del corpo (spalle, capo), e di non
segnalare ostacoli senza una base a terra, come per esempio una casella
postale.82
Mappe tattili: costituiscono un supporto per conoscere l’ambiente in cui ci si
dovrà muovere. Esistono In Europa simbologie standardizzate che permettono
l’interpretazione ad un livello generale.
81
Si riportano gli ausili del materiale Tecniche di guida e ausili per la mobilità, in Hai mai conosciuto una
persona sordocieca?, Cit.
82
Gli stessi limiti sono ben conosciuti dai non-vedenti con il bastone bianco, benché essi ottengano
maggiori informazioni dall’ambiente in condizione di integrità dell’apparato uditivo. Per una più dettagliata
descrizione dei tipi di bastone e delle loro caratteristiche si veda Storani E., I bastoni bianchi e bianchi e
rossi: amici o nemici?, “L'Informatore Notizie”, febbraio 2007, pp.11-15. L’aspetto più interessante
dell’articolo è però la messa in luce della problematicità che tale strumento porta con sé, poiché secondo
l’autrice tra tutti gli ausili tiflotecnici il bastone è quello che accelera bruscamente la consapevolezza della
propria quantità/qualità visiva, e soprattutto è l’oggetto che espone socialmente colui che lo usa. Pertanto
resta un ausilio non così facilmente accettato, e talvolta temuto.
Non della stessa opinione sono ad esempio Venturini L. ed Ardizzino F., sordociechi entrambi, che
vedono in questo ausilio una protezione contro i pericoli e un segno di identificazione che evita loro
risposte inutili ed imbarazzanti alla gente «sempre di corsa». Venturini L., Il bastone bianco e rosso,
“L’Informatore Notizie”, agosto 2002, pp. 25-27; Ardizzino F., Il bastone bianco e rosso, “L’Informatore
Notizie”, marzo 2002, pp. 9-11.
È stata la 3ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche di Roma, nel 2001, a promuovere
una iniziativa nei confronti del Parlamento italiano per il riconoscimento del bastone bianco e rosso,
affiancata dalla campagna di sensibilizzazione della Lega del Filo d’Oro. Vedi I sordociechi si fanno
strada. Una campagna di sensibilizzazione per il bastone bianco e rosso, “L’Informatore Notizie”, aprile
2004, pp. 33-36. (Qui si trovano anche indicazioni di buon senso per il conducente d’auto che dovesse
incrociare un sordocieco sulla sua strada; in particolare è da indicare il riferimento allo stampatello sulla
mano come forma di comunicazione “d’emergenza”). Il bastone bianco e rosso è stato introdotto
nell’agosto 2002, modificando l’articolo 191, comma terzo, del Codice della Strada, ed è stato individuato
come segno di riconoscimento dei sordociechi, così come quello bianco lo è per i non vedenti.
53
Bussola tattile: funziona come una normale bussola; sul quadrante il Nord è
rappresentato con una freccia in rilievo. È uno strumento apprezzabile per
controllare come si modificano gli spostamenti nello spazio a seconda del
movimento corporeo.
Ausili ottici: sono tutti quegli ausili che potenziando il residuo visivo aiutano la
mobilità, tipo i sistemi monoculari e le lenti (che agevolano ad esempio nella
lettura).
A conclusione di questa parte ci occupiamo delle tecniche di guida per un sordocieco.
83
Quando si accompagna una persona sordocieca è determinante lasciarla sentire
soggetto della situazione, non mai oggetto. Si deve instaurare un rapporto di fiducia e
complicità che le permetta di sentirsi a suo agio, come se fosse lei stessa la guida.
Opportune le seguenti tecniche:
Mettere in relazione il proprio schema corporeo con quello della persona sordocieca, fisicamente, non solo da un punto di vista empatico.
Lasciare il sordocieco mezzo passo indietro per protezione. Di solito si appoggia
sopra il gomito o sulla spalla, ma anche al di sopra del gomito se la guida è molto
alta.
Prendere la persona “a braccetto” per “malossare” (vedi ultimo capitolo), a
sinistra o a destra a seconda delle sue necessità.84
Non fornire indicazioni lunghe, confuse, o con un linguaggio difficile.
Avvertire della presenza di pianerottoli, gradini e simili e dei cambi di direzione.
Questi ultimi non vanno compiuti con curve troppo arrotondate poiché le forme
tonde disorientano il sordocieco.
Proteggere la persona standogli davanti quando si sale o si scende da una scala
o da un mezzo pubblico, e parimenti quando si passa attraverso una porta.
Non spingere mai la persona avanti o indietro; ciò genera insicurezza, disagio e
in ultimo sfiducia.
Offrire il braccio alla persona con residuo uditivo negli ambienti affollati o caotici.
Offrire il braccio alla persona con residuo visivo nel passaggio da luoghi ombrosi
a ben illuminati e viceversa, e avvisarla dell’esistenza di ostacoli troppo piccoli
oppure che non presentano contrasto di colore rispetto allo sfondo.
83
Cartella sopra citata alla nota 81, più cartella Il buon accompagnatore.
Normalmente il sordocieco porge la mano sinistra per “malossare”, e dunque l’accompagnatore per
comodità si pone alla sua destra. Così mi è successo durante tutto lo Stage Formativo.
84
54
Prevedere qualche momento di riposo per via del continuo e alto livello di
concentrazione richiesto alla persona sordocieca. Durante la conversazione con
soggetto avente residuo visivo è necessario porsi ad una distanza adeguata con
luce proveniente di lato o da dietro la persona stessa. Se vi è invece residuo
uditivo non gridare ma parlare normalmente, a distanza adeguata anche in
questo caso, verificando il lato in cui sente meglio, e dunque la presenza o meno
di protesi acustiche (le medesime indicazioni sono valide durante la
conversazione da fermi in ambienti chiusi).
Nei passaggi stretti in cui non si riesce a camminare affiancati, spostare il proprio
braccio-guida al centro delle spalle, invitando la persona a porsi dietro.
Indicare se ci si trova di fronte ad una porta destra o sinistra (a seconda della
posizione dei cardini) in modo che la persona si possa posizionare dietro,
tenendo libera la mano destra o sinistra, in base al tipo di porta, per poi
richiuderla.
Indicare se una eventuale scala è in salita o in discesa, e se fornita di corrimano
farci scivolare la mano del sordo cieco accompagnandola. All’ultimo gradino
effettuare una pausa per far comprendere che la scala è terminata e si può
proseguire il cammino.
Affrontare ogni ostacolo ad angolo retto e compiere una breve sosta prima e
dopo l’ostacolo.
In auto chiarire chi chiuderà la portiera, indicare dove si trovano le cinture di
sicurezza, le maniglie della portiera, i comandi del finestrino, e riporre il bastone
tra portiera e sedile onde evitare danni in caso di brusche frenate.
Sui mezzi di trasporto segnalare la presenza di sedili liberi, o di maniglie e
appoggi possibili in caso non vi fossero.
Altri consigli per un buon accompagnatore in contesti diversi:
Durante un viaggio è buona norma che la persona sordocieca possegga il
recapito telefonico di un referente (familiare o operatore);
Al bar, al ristorante, nei negozi, in tutti gli ambienti ricreativi, bisogna essere
descrittivi: chiedere dove vuole sedersi, leggere assieme il menù, comunicare i
prezzi, non sostituirsi nelle domande/risposte al personale, descrivere la
posizione del cibo nel piatto, chiedere se si necessita di aiuto per tagliare il cibo o
per versare le bevande (non farlo in automatico), dare informazioni riguardo ogni
elemento importante o pericoloso, avvisare se si dovessero macchiare i vestiti,
55
leggere le notizie in presenza di giornali, fare da tramite tra il sordocieco e il
venditore spiegando il rapporto qualità/prezzo dei prodotti esposti, descrivere e
lasciar toccare gli oggetti (previo consenso) per testarne dimensioni, materiale,
qualità; confermare il valore delle banconote mentre sta pagando e contare il
resto sulla sua mano.
Lo stesso atteggiamento descrittivo vale per situazioni come la toilette, la
permanenza in ospedale o la visita dal medico di base o da uno specialista:
descrivere ogni dettaglio e la collocazione degli oggetti (compresi, a maggior
ragione, i beni personali), e favorire l’espressione delle proprie opinioni o dubbi.
In ospedale sarebbe utile che il personale utilizzi qualche segno di
riconoscimento per evitare reazioni di paura o imbarazzo.
Queste semplici indicazioni ci danno un’idea della sensibilità che richiede
l’approccio con una persona sordocieca, per sua natura particolarmente suscettibile e
attenta a tutti i più piccoli cambiamenti che le accadono intorno, tanto nello spazio fisico,
quanto nella relazione con l’altro.85
È pur vero che le tecnologie mutano molto velocemente e non è sempre facile rimanere
aggiornati, o trovare una via agevole per procurarsi l’invenzione di nuova generazione
più attuale. Gioverebbe alla qualità media di vita un’informazione più omogenea e delle
indicazioni chiare sui reali benefici che si possono ottenere dalla tecnologia: «[…] anche
la scrittura normale potrebbe considerarsi simbolica poiché fissa la parola, il linguaggio,
su una memoria precaria: la carta, appunto; oggi questa può essere sostituita per tutte
le forme di comunicazione da sistemi più aggiornati e soprattutto più veloci che
consentono un migliore uso di tutte le informazioni che ci interessano. Se poi
consideriamo il fatto che un computer utilizza programmi e applicazioni che collegate ad
altri dispositivi, barre Braille o altro ancora, possono considerarsi strumenti che
agevolano una forma fondamentale di comunicazione simbolica, dovremmo dire al
legislatore di definire quali sistemi effettivamente ci servono per vivere meglio, sapendo
che il mondo non solo si vede e non si sente, ma si può toccare se si abbattono
pregiudizi ed ignoranza».86
Per tale ragione sta assumendo sempre più credito il Centro di Ricerca di Osimo che ha
lo scopo primario di recepire le esigenze provenienti dai Servizi riabilitativi e tradurle in
85
Durante il mio Stage ho imparato quanto potesse essere disorientante cambiare profumo… gli utenti
mi desideravano “riconoscibile”, erano vigili rispetto a tutti quei segni ch’essi vivono quale forma di
riguardo.
86
Russo A., Per vivere meglio, “Voce Nostra”, 1-15 maggio 2007, p. 7.
56
strumenti e metodologie validi per le persone sordocieche, con l’intento non solo di
fornire protesi che ottimizzino i residui sensoriali, ma di “protesizzare l’ambiente” in cui
la persona vive, al fine di ottenere un reale, pratico beneficio per la vita quotidiana, e
con una cura speciale per la comunicazione.87
3. La terapia occupazionale.
Ogni terapia si pone come obiettivo nodale quello di mantenere attive le abilità
acquisite e al tempo stesso di sviluppare le abilità potenziali. Come abbiamo già visto,
in presenza della doppia minorazione sensoriale, l’esposizione al rischio di una
definitiva chiusura in se stessi è sempre molto alto. Le attività di laboratorio si rivelano
determinanti per un sordocieco, in quanto lo stimolano alla relazione, evitano la
comparsa di stereotipie o di atteggiamenti ossessivi, ed in generale migliorano la sua
salute psicofisica generale.88
Nei laboratori di terapia occupazionale della RSD di Lesmo, durante la mia esperienza
formativa, ho avuto modo di guardare e toccare alcune produzioni di assemblaggio
(oggetti vari ottenuti unendo mollette di legno) e di decoupage (opere in stile mosaico
con variegati materiali colorati). Tutti prodotti apprezzabili per meticolosa precisione ed
effetto armonioso. Ma sono stata particolarmente colpita da un uomo affetto da
Sindrome di Usher (ormai completamente sordo e cieco), che ho avuto la possibilità di
osservare a lungo mentre si prodigava nel suo hobby della cestineria. Con quale
naturalezza raggiungeva la sua postazione e con quale sicurezza e padronanza si
muoveva nel laboratorio, in operazioni complicate e delicate che prevedevano l’uso
abbondante di colla. Ogni singolo strumento era al suo preciso posto e con la stessa
precisione lui sapeva dove trovarlo. Le educatrici mi hanno confermato che persone
come lui soffrono maggiormente nei momenti destrutturati, e preferiscono occupare le
giornate, anche nel week-end, rendendosi utili, sentendosi attivi. Ed è questa in
definitiva la filosofia che muove la Lega del Filo d’Oro in merito alla questione del valore
del lavoro in se stesso, al di là che esso dia frutti economici, tramite ad esempio la
vendita dei prodotti in appositi stand, o venga svolto per il puro piacere del fare. Le
87
Il Centro di Ricerca di Osimo, “Trilli nell'Azzurro”, n. 6, 2006, 1 p. A dirigere il Centro è Giulio Lancioni,
Professore ordinario dell’Università di Bari. Di ampio respiro è la sua impostazione teorica favorevole ad
interagire con diverse Università per creare una cultura scientifica omogenea e coerente.
88
Questo concetto è espresso in Marchetti F., Romaldini I., Migliore A., La terapia occupazionale come
momento di realizzazione personale. Esperienza del Centro di Riabilitazione della Lega del Filo d’Oro,
“Tiflologia per l’Integrazione”, n. 3, 2003, p. 1.
57
attività occupazionali sono molteplici, dalla tessitura di tappeti (o su telaio) alla
rilegatura, dal cartonaggio alla impagliatura di sedie, etc.
Un bell’esempio in questo senso ce lo fornisce l’esperimento del 1999, anno in
cui la Lega del Filo d’Oro è stata l’Ente promotore in Italia del progetto “New
Opportunities in Working Life for Deafblind People”, destinato a sordociechi e a persone
affette dalla Sindrome di Usher, allo scopo di individuare delle mansioni da poter far loro
svolgere in contesti aziendali, grazie a modalità sensoriali, soprattutto tattili. L’idea
portante era quella di poter creare una professionalità, potenziando l’autostima,
favorendo l’emancipazione dal disagio, dall’isolamento e dall’insoddisfazione personale
e sociale.
L’attività pratica nei laboratori delle sedi dell’Associazione e presso le strutture del
partner inglese (Sense West), sono state precedute da una formazione teorica in
Pedagogia, Metodologia didattica e Psicologia dell’Educazione per gli operatori
selezionati. Senza entrare nei particolari della sperimentazione, è interessante notare
l’esito, diciamo così psicologico, di tale sperimentazione: le persone sordocieche
coinvolte nel progetto (sempre su selezione in base a determinati requisiti), hanno
provato, sentito per la prima volta, l’azione che di solito subiscono: affiancare anziché
essere affiancati. E gli operatori, dall’altra parte, hanno sottolineato il loro vissuto del
“sentirsi utili”.89
Allo stesso risultato è giunto un progetto della Comunità Kalorama di Osimo, un
progetto di tutoring rivolto a due persone sordocieche adulte, nell’attività di impagliatura,
che oltre a richiedere dei prerequisiti generali dell’apprendimento (attenzione sostenuta
e divisa, motivazione al compito), richiede delle abilità specifiche: motricità fine, forza
muscolare, coordinazione bimanuale, concetti topologici e spaziali, abilità numeriche. I
soggetti coinvolti nell’esperienza hanno provato il piacere di utilizzare le mani a fini
costruttivi, quindi significativi per la loro realtà, e al tempo stesso, in un rapporto
paritario con il proprio tutor (comunicando col condiviso metodo Malossi), hanno
appunto sperimentato il passaggio da disabile ad abile, al punto tale da possedere
conoscenze da trasmettere agli altri.90
La terapia occupazionale ha anche un’altra finalità di fondamentale valore etico,
e di utilità pratica al tempo stesso, ovvero è una via privilegiata per aiutare il sordocieco
89
Questi concetti si trovano in Ceccarani P., Sperandini F., Bertini A. M., Green W., Programma
operativo occupazionale Volet Horizon 1997-1999. Rapporto finale, Lega del Filo d’Oro, Osimo, dicembre
1999, alle pagine 9-10, 15, 20, 26.
90
Marconi N., Progetto di tutoring con due persone sordocieche adulte, “Oltre il Confine”, n. 2002, pp.
13-15.
58
a venire in contatto col mondo e a conoscerlo, nel senso più profondo del termine.
Esemplifichiamo ancora citando un altro progetto della Lega del Filo d’Oro.91 Da
qualche anno nella sede Kalorama di Osimo ha preso vita questo programma chiamato
“Conoscenza dei mestieri”, la cui finalità è di rendere più consapevoli i sordociechi del
mondo reale che li circonda. Varie figure professionali (muratore, elettricista, ciabattino,
falegname, agricoltore, etc.), si sono resi disponibili a spiegare il proprio mestiere
“lasciando fare” ai sordociechi, che hanno toccato, sentito, provato, compreso. E così
un uomo di quarantanove anni ha scoperto che l’uovo non viene né dal frigorifero né dal
negozio degli alimentari dove sempre l’ha trovato, ma dalla gallina di cui non conosceva
l’esistenza. Quella che sembra una battuta non lo diventa più se leggiamo le seguenti
parole: «I ragazzi hanno appreso con vera contentezza che intorno a loro gira un
mondo di cui adesso si sentono maggiormente parte grazie agli stimoli ambientali
ricevuti e alle esperienze “sul campo”. Sapere da dove arriva l’acqua, come si pianta
l’insalata, accarezzare il muso di una mucca da latte, incollare la suola a una scarpa,
toccare i pezzi di ricambio di un’automobile, o provare a riverniciarne una parte
rovinata, vuol dire per loro –che non ne sapevano nulla- che cosa si mangia o si beve,
che cosa ci si mette addosso, che cos’è la macchina con cui ci si muove. Inoltre, i
contatti avuti con tante persone diverse hanno significato un notevole miglioramento nel
processo di socializzazione, nel percorso comunicativo e nella conoscenza della realtà:
un iter importante per sentirsi a pieno titolo parte integrante del mondo in cui vivono,
cosa a cui hanno assolutamente diritto».92
Per noi tutti è basilare, fonte di gratificazione e realizzazione, avere un lavoro. Lo
stesso avviene per la persona sordocieca, perché diventa uno strumento terapeutico
riabilitativo che potenzia la visione del proprio Sé in positivo, con la coincidenza tra
saper fare e saper essere, ossia “io Sono” attraverso “ciò che Faccio”. La terapia
occupazionale è stata inserita in questo capitolo sugli ausili, perché, di fatto, ne è uno, o
forse il principale, per garantire alla persona sordocieca oggettivi progressi funzionali e
psicosociali.
Essenziale è infatti che non si punti al lavoro come fucina da cui estrarre apprendimenti,
abilità fini a se stesse: ogni capacità nuova o il consolidamento di una già esistente, è
da inserire in un progetto di più ampio respiro che coinvolga tutti gli aspetti della
personalità, compresi gli atteggiamenti ed i comportamenti. Si tratta di tener presenti le
91
Qui il riferimento è a Sentirsi attivi, partecipi, vitali, visitando una fabbrica o aiutando in un frutteto,
“Trilli nell’Azzurro”, Attualità, n. 1, 2008, p. 1-2.
92
Ivi, p. 2, Gatto L., Direttore del Settore Adulti della sede Kalorama.
59
aree delle autonomie personali, motorie, di comunicazione, nonché le competenze
socio-adattive. Per ogni area è necessario condurre una prima fase di analisi dei
prerequisiti e delle potenzialità di sviluppo; in un secondo momento si passerà alla fase
di attuazione pratica delle attività da compiere, controllando il lavoro con schede di
verifica sia intermedia che finale.
Bisogna effettuare task analysis dei singoli compiti, monitorati un passo alla volta, al
fine di porre obiettivi successivi sensati, inseriti in apprendimenti più complessi.
L’individuazione delle competenze vale anche per l’operatore, che ha la funzione
di tutor, e dunque deve sviluppare una particolare abilità a muoversi in sintonia con la
persona sordocieca, imparando a sapersi gradualmente ritirare nel momento in cui il
soggetto sa gestire la situazione in autonomia.93
Fu in particolare la 1ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche a sottolineare
l’importanza di una guida-interprete, quanto meno per il primo periodo di inserimento
lavorativo, per imparare che cosa fare, conoscere l’ambiente ed i propri compagni di
lavoro. Questo operatore, ed un sorvegliante in sua vece nei suoi momenti d’assenza,
devono come si diceva essere presenti ma non in eccesso, altrimenti subito si verifica la
perdita di una sufficiente autonomia, e non si tratta solo di una sensazione soggettiva.
Un altro problema che si sottolineava nella Conferenza era la mancanza di Corsi
di Formazione Professionale per persone sordocieche, ed il pericolo costituito dallo
spostamento dall’abitazione al luogo di lavoro, in particolar modo quando non si
dispone di un cane-guida, e si pensava pertanto a quale figura potesse svolgere questo
servizio, ad esempio un volontario.94
93
Gatto L., Il lavoro come momento terapeutico, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 4., 2006, pp. 240-243.
Immediato il riferimento al concetto di “Fading” nella visione costruttivista della conoscenza.
94
Vedi Castellano R., Il mondo del lavoro, Atti 1ª Conferenza Nazionale delle Persone Sordocieche,
Marcelli di Numana (AN), 17-24 giugno 1995, www.fradinoi.it.
60
Molte persone credono di pensare,
ma in realtà stanno solo riorganizzando i loro pregiudizi.
William James
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CAPITOLO QUARTO 95
I SISTEMI DI COMUNICAZIONE CON SORDOCIECHI AQUISITI
Patrizia Ceccarani elenca nei suoi saggi i sette livelli che costituirebbero,
essenzialmente, la comunicazione umana.
Livello I: Comportamento pre-intenzionale.
Il comportamento non è sotto il controllo dell’individuo, ma riflette il suo stato in generale
(come ad esempio comodità, disagio, fame o sonno). Sta al caregiver interpretare lo
stato di un individuo dai comportamenti, come ad esempio il movimento del corpo, le
espressioni facciali e i suoni emessi. In genere nello sviluppo infantile questa fase si
verifica tra 0 e 3 mesi di età.
Livello II: Comportamento intenzionale.
Il comportamento è sotto il controllo dell'individuo, ma non è ancora utilizzato per
comunicare intenzionalmente. Il caregiver ancora una volta dovrà interpretare i bisogni
individuali e i desideri in base ai comportamenti, come i movimenti del corpo, le
espressioni del viso, le vocalizzazioni e la direzione dello sguardo. Di solito nello
sviluppo infantile questa fase si verifica tra 3 e 8 mesi di età.
Livello III: Comunicazione non adeguata.
I comportamenti pre-simbolici non adeguati sono usati intenzionalmente per
comunicare; è infatti in questo stadio che comincia la comunicazione intenzionale,
voluta. I comportamenti comunicativi sono "pre-simbolici" perché non comportano alcun
tipo di simbolo, e si definiscono "non adeguati" poiché non sono per noi socialmente
accettabili, per esempio tendiamo ad utilizzarli
quando invecchiamo. Questi
comportamenti comunicativi comprendono i movimenti del corpo, le vocalizzazioni, le
espressioni facciali e gesti semplici (ad esempio trattenere le persone). Normalmente
nello sviluppo infantile questa fase si verifica tra i 6 ei 12 mesi di età.
Livello IV: Comunicazione convenzionale.
I comportamenti convenzionali pre-simbolici sono utilizzati intenzionalmente per
comunicare. Vengono chiamati "pre-simbolici", perché non comportano alcun tipo di
simbolo, ma sono "adeguati", in quanto sono socialmente accettabili e continuiamo a
95
Il capitolo è un compendio delle tesi di Patrizia Ceccarani. Si rimanda alla bibliografia ragionata finale.
Altre note si inseriscono a parte su temi specifici.
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utilizzarli per accompagnare la nostra comunicazione anche in età adulta. I significati di
alcuni gesti possono essere specifici per una singola cultura.
I comportamenti comunicativi sono quelli di indicare, annuire o scuotere la testa,
agitare, abbracciare e guardare una persona o un oggetto desiderato. Da notare che
molti di questi gesti (e soprattutto quelli di indicazione) richiedono una buona capacità
visiva e possono non essere adeguati per le persone con disabilità visiva grave. In
questa fase si prestano anche alcune intonazioni vocali. Di norma nello sviluppo
infantile ci troviamo tra i 12 e i 18 mesi di età.
Livello V: Simboli concreti.
Da questo stadio comincia la comunicazione simbolica, dove i simboli hanno la funzione
di rappresentazione, ovvero “stanno al posto di”.
I simboli "concreti" (che fisicamente assomigliano a ciò che rappresentano) sono
utilizzati per comunicare. Essi sembrano, si sentono come suono o si muovono come
ciò che rappresentano. Includono immagini, oggetti (come un laccio a rappresentare la
"scarpa"), gesti "iconici" (come accarezzare una sedia per dire "sedere") e suoni (come
l’emissione di un ronzio per indicare il significato di "ape"). La maggior parte delle
persone saltano questa fase e passano direttamente al livello VI. Per alcune persone i
simboli concreti possono essere l'unico tipo di simbolo che abbia per loro senso, mentre
ad altri può servire come un ponte verso l'uso di simboli astratti. Tipicamente i bambini
in età evolutiva usano i simboli concreti in combinazione con gesti e parole. Nello
sviluppo infantile, ci troviamo tra i 12 e i 24 mesi di età, ma non in quanto fase separata.
Livello VI: Simboli astratti.
I simboli astratti come il linguaggio, i segni con le mani, il Braille o le parole stampate
sono usati per comunicare. Questi simboli sono "astratti", perché non sono fisicamente
simili a ciò che rappresentano. Essi sono usati uno alla volta. Solitamente nello sviluppo
infantile questa fase si verifica tra i 12 e i 24 mesi di età.
Livello VII: Lingua.
I simboli (concreti o astratti) vengono uniti in due o tre combinazioni ("vuoi succo",
"andare fuori"), secondo regole specifiche grammaticali. L'individuo è consapevole che
il significato delle combinazioni dei simboli può variare a seconda di come vengono
ordinati. In genere nello sviluppo infantile questa fase inizia intorno ai 24 mesi di età.
Con persone sordocieche acquisite (che non presentino problemi di grave ritardo
mentale) ci muoviamo nel campo della comunicazione simbolica, benché più
correttamente si debba parlare di Comunicazione Alternativa. Il termine non significa
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banalmente “in alternativa di”, ma è un metodo a se stante, di indiscusso valore
educativo e riabilitativo, che risulta essere imprescindibile ad un sordocieco al quale
sfuggono la quasi totalità delle caratteristiche della lingua parlata (ad esempio tono,
accento o ritmo) e del suo aspetto visivo (per esempio lettura labiale o mimica facciale).
I prerequisiti, come in definitiva abbiamo già indicato nel nostro lavoro, sono la
modificazione ambientale sulla base dei bisogni e delle preferenze individuali, e la
creazione di un legame di fiducia adatto al temperamento ed alle aspettative del
soggetto.
Presentiamo ora le tecniche di comunicazione utilizzate dai sordociechi acquisiti
per
soddisfare
il
proprio
naturale
bisogno
di
interazione
e
comunicazione
interpersonale.
1) IL METODO MALOSSI.
Questo sistema è stato ideato da una persona sordocieca dalla quale prende il nome.96
Si toccano e si pizzicano le varie parti delle falangi e del palmo come se la mano fosse
la tastiera di un computer (vedi figura: si toccano le lettere in nero, si pizzicano quelle in
azzurro). In passato si usava stringere tra le due dita il punto della lettera da toccare e
strisciare lungo il dito della lettera da pizzicare. L’attuale modalità genera un tocco agile,
96
Eugenio Malossi (8 maggio 1885-19 maggio 1930). All’età di sette anni, a causa di una encefalite,
perde vista, udito, olfatto, parola, e recupera la deambulazione dopo un ricovero di otto mesi in una casa
di cura della sua zona, Avellino. Nel 1985 viene accolto da Domenico Martuscelli nella sua Scuola per
ciechi, l’Istituto Principe di Napoli, attualmente Istituto D. Martuscelli. Viene affidato alle cure del maestro
Francesco Artusio che lo avvia all’uso funzionale del tatto prima, e della lettura/scrittura poi, e del
maestro Aurelio Colucci, sordocieco, che gli insegna le arti manuali. Qui Eugenio apprende il francese e
l’inglese (anche per poter corrispondere con l’amica Helen Keller), e diventa esperto nell’arte del vimini e
della meccanica. Aveva talmente affinato i suoi sensi da riuscire a riconoscere chi si avvicinava a lui
sentendo le vibrazioni del pavimento. Diventerà lui stesso educatore e maestro, dando prova del suo
infaticabile ingegno con originali invenzioni. Pimpinella A., Io e voi, “Voce Nostra”, 1-15 novembre 2006,
pp. 6-8.
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estetico, igienico, che consente un contatto discreto tra le mani. I numeri vengono
trasmessi stringendo inizialmente il polso della persona sordocieca, seguendo il
seguente codice: A=1, B=2, C=3, D=4, E=5, F=6, G=7, H=8, I=9, J=0.97
L’operatore durante la conversazione tende a comprendere nel gesto la cadenza della
voce (ad esempio marcando il contatto con l’ultima “e” di “Perché?”) o rafforzando la
comunicazione con i gesti.98
Con il Malossi l’operatore può raggiungere quasi la stessa velocità della parola orale. I
più esperti non guardano neanche le mani traducendo seduta stante, ad esempio, i
contenuti di un convegno o di una riunione, e possono leggere al sordocieco i testi con
le loro mani poggiate sulle ginocchia, così come i dattilografi non guardano più la
tastiera. I sordociechi lo utilizzano altrettanto speditamente con gli operatori o tra di loro,
e non hanno bisogno che si faccia una breve interruzione tra una parola e l’altra.
Tra i sordociechi è il metodo di comunicazione più accetto, d’uso nazionale, per la sua
praticità, chiarezza e semplicità. È in sostanza un metodo di scrittura basato sulla
battuta dattilografica.99 Presuppone la conoscenza della lingua italiana scritta,
sensibilità tattile muscolare, capacità ricettiva, di concentrazione e di memorizzazione,
oltre che l’esercizio costante nella relazione quotidiana.100
97
Nella mia esperienza di Stage non ho mai utilizzato questa modalità per i numeri, in quanto non
gradita. Più semplicemente scrivevo i numeri sul palmo della mano, o sollevavo/abbassavo le dita
necessarie a far comprendere il numero voluto (naturalmente se non si trattava di una cifra estesa)
98
C’è anche la tendenza a ripetere a voce alta o sussurrata le lettere man mano che vengono digitate,
per ‘sorreggere’ la concentrazione, e quindi compiere un minor numero di errori, soprattutto in chi, come
me, ha dovuto imparare a “malossare” in poco tempo. Tra l’altro va riconosciuto che alcuni ospiti della
RSD erano piuttosto insofferenti rispetto alla lentezza di chi sta apprendendo il metodo. Una strategia per
impararlo velocemente può essere il guanto alfabetico da indossare, o da far indossare, chiedendo però il
permesso… (altra possibilità non molto amata!).
99
Curioso l’articolo sulla modalità di comunicazione con le dita utilizzata in Giappone, dove le tre dita
centrali di ogni mano vengono digitate come se si trattasse di una dattilo Braille, col limite però di non
scrivere a velocità eccessiva o con un linguaggio troppo aulico. Vedi: Lamichane Kamal, Fingerbraille: An
Investigation of Japanese methods, for communicating with individuals who are deafblind, “Journal of
Visual Impairment & Blindness”, AFB, February, 2001, pp. 181-185.
100
Durante lo Stage ho dovuto imparare a usare il Malossi con una scrittura semplificata, con frasi brevi
costruite con i verbi all’infinito, per persone sorde perlinguali o con carenze cognitive (ad esempio
anziane), altrimenti il mio messaggio risultava di difficile comprensione.
65
2) L.I.S. e L.I.S.T.
La Lingua Italiana dei Segni è la lingua con cui comunica la Comunità sorda. In Italia il
suo riaffiorare si ha sull’onda degli studi di W. Stokoe, negli anni ’60, che per primo
dimostrò che la ASL (Lingua dei segni americana) possedeva tutte le caratteristiche
grammaticali, sintattiche e morfologiche di ogni lingua naturale. Tema controverso, ed
infatti oggi in Italia non è ancora stata riconosciuta. Alla base di questa teoria vi sta la
differenziazione tra i termini “Lingua”, intesa come sistema di simboli e regole
grammaticali condivisi da una Comunità e mutevoli nel tempo, “Gesto”, in riferimento ai
movimenti manuali e/o espressioni facciali non codificati, e “Segno”, ovvero l’insieme
dei movimenti manuali e delle espressioni facciali, al contrario di prima, rigidamente
codificati (La L.I.S. è composta da 42 configurazioni, 16 luoghi, 6 orientamenti, 38
movimenti, oltre al parametro rappresentato dall’espressione del viso).
I sordociechi la utilizzano di solito quando vi è un residuo visivo, mentre quando esso
manca, si passa alla L.I.S. tattile. In questo caso entrambe le mani della persona
sordocieca che riceve la comunicazione, debbono esser poste sopra quelle
dell’interlocutore. Ci si può avvalere anche di una sola mano, a seconda del grado di
conoscenza e comprensione di questa forma di comunicazione.101
101
Durante lo Stage ho potuto notare che la L.I.S.T. era più che altro una forma di Italiano Segnato,
quindi i segni seguivano l’andamento e le regole della conversazione normale, e non quelle della L.I.S.
vera e propria, che prevede ad esempio il verbo in fondo alla frase. Ciò era dovuto al livello cognitivo dei
soggetti e alla modalità non formale con cui l’hanno appresa. Infatti anche i segni utilizzati venivano
inventati a seconda dell’ospite con cui il quale si stava conversando, cosa che rendeva più divertente,
creativa e personalizzata la comunicazione.
66
3) DATTILOLOGIA O ALFABETO MANUALE.
Rappresenta le varie lettere dell’alfabeto mediante differenti configurazioni della mano,
attraverso i movimenti e le posizioni delle dita. Di norma è un sistema utilizzato da
persone sordocieche “segnanti”. Il messaggio di solito è trasmesso con la mano destra
(o comunque quella dominante), all’altezza del viso della persona sordocieca quando
possiede un residuo visivo, oppure tattilmente dentro il suo palmo se non lo
possiede.102
Quest’alfabeto è essenziale quando bisogna comunicare parole per le quali non vi è un
segno nella L.I.S., ad esempio un nome proprio o la marca di un prodotto.
102
Anche in questo caso ho notato durante lo Stage degli adattamenti “creativi”. Per far meglio
comprendere il messaggio, di solito condensato in un’unica parola, alcune lettere venivano modificate nel
senso della semplificazione della configurazione. Ad esempio la “D”, senza sollevare il mignolo,
rendendola così più simile al carattere stampato. La dattilologia mi è stata utile per rendere chiaro il mio
nome straniero che non veniva subito afferrato, sostituendo, il più delle volte, la “K” di Karin con la “C”.
67
4) SEGNO NOME.
Si tratta del segno che permette di identificare la persona o di presentarsi, evitando di
usare la dattilologia. Deve rispettare i quattro parametri della L.I.S., e di norma prende
spunto da caratteristiche fisiche o da interessi della persona.103
5) STAMPATELLO SULLA MANO.
Il metodo più semplice ed immediato per comunicare con una persona sordocieca è la
scrittura in stampatello sulla mano: si utilizza il proprio indice come fosse una penna e si
scrive sul palmo del ricevente. L’unica accortezza è che si seguano le linee tratteggiate
nello schema che indicano la direzione e la sequenza dei tratti da eseguire, altrimenti la
comprensione diventa difficoltosa, anche quando si spezza il tratto continuo.
Questo metodo può essere utilizzato, anche se non perfettamente, da chi per la prima
volta si trova ad incontrare una persona sordocieca, ad esempio in una situazione
103
Uno degli ospiti della RSD di Lesmo mi aveva attribuito un segno nome basandosi sulle mie origini
tedesche. Un’altra si riferiva ai miei lunghi capelli. Non sono rimasta un tempo sufficiente affinché venisse
in realtà “codificato” e condiviso da tutti.
68
d’emergenza per strada o in riferimento alla richiesta di un’informazione. Quanto meno
può garantire una forma di comunicazione e d’intesa, piuttosto che imbarazzo o panico.
Un altro possibile utilizzo di questo metodo interessa persone che, diventate
sordocieche ad esempio a causa di un incidente o dell'età, possono immediatamente
provare a comunicare, prima di apprendere sistemi più complessi e funzionali, in tempi
successivi e con la richiesta calma e attenzione
6) IL BRAILLE.104
Metodo di lettura e scrittura costituito da un codice di punti in rilievo corrispondenti alle
lettere dell’alfabeto, ai segni musicali e matematici. I segni grafici dell'alfabeto Braille
sono costituiti ciascuno da sei punti disposti tre sulla destra e tre sulla sinistra di una
casella rettangolare di 6 per 3 mm. La differenza tra i caratteri è data dalla diversa
disposizione e combinazione dei punti stessi che costituiscono le singole lettere. La
lettura Braille viene effettuata di solito dall'indice della mano destra, seguito da quello
della mano sinistra che ha principalmente compiti orientativi nella individuazione delle
righe. Le dita che leggono devono essere tenute in posizione morbida e procedere
sfiorando le lettere in rilievo, senza premere su di esse, per coglierne più chiaramente
la composizione. È necessario un solo atto motorio per la percezione e la
comprensione della struttura geometrica, inoltre lo spazio tra le lettere rispetta i
movimenti del dito rendendo possibile una lettura rapida.
L'alfabeto Braille è forse il più famoso sistema di comunicazione per non vedenti,
permettendo esso l’accesso alle più varie forme di linguaggio culturale e scientifico.105
104
Louis Braille (4 gennaio 1809-6 gennaio 1852). Un bel riassunto e approfondimento della sua vita e
della sua invenzione si trova in Gargiulo M. L., Braille: l'alfabeto sotto le dita. Parte prima: come si
insegna e come si impara, “L'Hessere”, marzo-aprile 2007, pp. 15-17 e in Braille: l’alfabeto sotto le dita.
Parte seconda: i modi del Braille, “L’Hessere”, maggio-giugno 2007, pp. 15-19. Interessante anche
l’articolo di Salvatore Lagati in cui afferma che mentre il Braille mette per iscritto la lingua italiana, la
Lingua dei segni ha un sistema tutto suo, e mentre il Braille (cartaceo o labile) serve per leggere opere
trascritte, la Lingua dei segni non dispone di un sistema di scrittura. Infine il Braille è più facilmente
adattabile ad computer. Per tali ragioni secondo l’autore la sola Lingua dei segni segrega dal contesto
sociale e dalla cultura. Vedi Lagati S., Strategie per la comunicazione. Braille e lingua dei segni, “Effeta”,
n. 2, maggio 2008, pp. 26-27.
105
Ho potuto notare durante il mio Stage l’attaccamento degli ospiti a questa forma di comunicazione.
Tutto viene tradotto in Braille e molti ausili o oggetti della vita quotidiana hanno trascrizioni in Braille. Un
ospite in particolare, sordocieco totale, utilizzava ogni settimana la Dattilo Braille per scriversi il suo diario
di attività o appuntamenti. Un’altra, cieca totale e ipoacusica, si faceva trascrivere in Braille i giornali
dedicati alla maglia e all’uncinetto, e con abilità invidiabile –e ottima memoria- realizzava prodotti da far
invidia ad una sarta vedente…
69
7) IL TADOMA.106
Metodo di riconoscimento dei suoni vocali appoggiando il pollice sulle labbra ed il palmo
e le dita della mano sulla guancia e sulla mascella di chi parla. Richiede una buona
capacità di discriminazione aptica (poiché davvero sottili sono le differenze tattili rilevate
dalla mano di chi ascolta).107 Risulta ottimo per avviare persone che non hanno
problemi fonatori o intellettivi (oppure lievi problemi cognitivi), ma che altresì presentano
assenza o gravi problemi di linguaggio di diversa eziologia.
Va insegnato precocemente ai bambini, come base per l’apprendimento del linguaggio
verbale, insegnando al bambino a ripetere i suoni percepiti. I suoni vengono riconosciuti
per la posizione di labbra e bocca, per la quantità di emissione d’aria, per quanto tempo
viene emessa, per la sua temperatura, ricordando che nel caso dei suoni consonantici il
problema è più complesso poiché l’emissione dell’aria viene interrotta o modulata
attraverso i vari organi coinvolti nella fonazione, soprattutto lingua, denti e labbra.
8) COMUNICAZIONE OGGETTUALE, PITTOGRAFICA, GESTUALE E
COMPORTAMENTALE.
Si tratta di sistemi di comunicazione che si utilizzano quando la persona pluriminorata
psicosensoriale presenta una tale gravità del livello cognitivo da non poter apprendere
un codice linguistico. La comunicazione ha una funzione ricettiva appresa per
associazione ed una produttiva che nasce da un bisogno; nel processo evolutivo
l’apprendimento della componente ricettiva della comunicazione precede il linguaggio
espressivo; essi in una normale conversazione si integrano. Dove esistono i suddetti
106
Il metodo è stato inventato da un’educatrice americana, Sophie Alcorn (3 agosto 1883-28 novembre
1967), ed il nome è il risultato dall’unione dei primi due soggetti a cui fu insegnato: Tad Chapman e Oma
Simpson. Oltre ad essere una straordinaria educatrice si batté molto per la causa dei diritti dei sordociechi, collaborando con l’Associazione Americana per i Sordociechi.
107
Per questa sua complessità non ho mai avuto modo di osservarlo durante il mio Stage. Una sorta di
Tadoma lo applicavo quando volevo far percepire alla persona le espressioni del mio viso o le vibrazioni
prodotte dalla mia risata.
70
problemi evolutivi è necessario un linguaggio con un alto livello di trasparenza che
rende comprensibili i concetti rappresentati e semplice l’apprendimento, e ciò accade in
massima misura nella comunicazione oggettuale e pittografica, mentre quella gestuale
richiede maggiori livelli d’astrazione. Tuttavia più la comunicazione è trasparente
(tramite oggetti e immagini) meno sarà pratica, dovendo disporre appunto di modellini,
oggetti reali, fotografie, disegni, etc., da portar con sé.
Importante la seguente distinzione: la comunicazione verbale si serve di un sistema di
simboli, cioè il linguaggio è scomponibile in costituenti autonomi, le parole, le quali
combinate tra loro consentono di generare e comprendere un numero di frasi infinito.
Invece la comunicazione non verbale si avvale di un insieme di simboli, che a differenza
delle parole non sono scomponibili e ricomponibili per formare nuovi significati. La
modalità non verbale è la più antica sia filogeneticamente, cioè nella linea evolutiva
degli esseri viventi, ma anche ontogeneticamente, in quanto si attiva nell’uomo dalla
nascita.108
Comunicazione oggettuale:
Ci si serve dell’oggetto per riferirsi ad una persona, ad un luogo, ad un oggetto
concreto, ad un’attività. Esso deve essere riconoscibile e significativo, trasparente, cioè
mantenere una buona somiglianza tattile con l'oggetto/situazione originale. Richiede la
capacità cognitiva imitativa, ossia la capacità di utilizzare oggetti-risposta identici
all’oggetto stimolo (ad esempio bicchiere = chiedere da bere), e la capacità non
imitativa, ovvero stabilire associazioni
per appartenenza (tappo-bottiglia), per
complementarietà (bacchetta-tamburo) e per uso comune (tovagliolo-pasto).
108
Gatto L., La comunicazione con persone pluriminorate, “Tiflologia per l’Integrazione”, n. 2, 2006, p. 2.
71
Comunicazione pittografica:
Attraverso immagini vengono rappresentate azioni, situazioni e bisogni diversi. La
modalità di apprendimento è per associazione oggetto-disegno; devono essere collegati
in maniera stabile il disegno dell’oggetto e l’oggetto con le sue funzioni.
Comunicazione comportamentale-gestuale:
La comunicazione comportamentale
è
la più semplice e spontanea. Si affida al
movimento del corpo e alle reazioni individuali per intuire i bisogni e la volontà del
soggetto. Nella comunicazione gestuale i gesti spontanei (come l’indicare) e le
espressioni del viso mandano dei messaggi, che però non sono sempre trasparenti
come accade nella Lingua dei segni (pertanto spesso si creano dei “gesti personali”, ad
esempio sul proprio corpo). Richiede conoscenza dello schema corporeo, buona
capacità motoria fine e coordinazione delle mani per rendere comprensibili i gesti, ed
inoltre memoria associativa e sequenziale. La comunicazione comportamentale/
gestuale è una forma comunicativa molto personale: viene per lo più compresa solo da
poche persone che conoscono bene il soggetto e quello che egli vuole significare con il
proprio comportamento (richiama molto il tipo di messaggi che fin dall’infanzia il
72
bambino manda alla madre). Oltre a ciò, può essere utilizzata per comunicare un
numero ristretto di bisogni e pertanto, solitamente, diventa un punto di partenza per
l'apprendimento successivo di altri sistemi di comunicazione.
In riferimento al nostro tema della sordocecità, questi sistemi comunicativi vengono
utilizzati molto di più con soggetti affetti da sordocecità acquisita o da pluriminorazione
psicosensoriale. Tuttavia, ciò non toglie che il sordocieco acquisito se ne possa servire,
ad esempio in caso di ritardo mentale o di mancata alfabetizzazione. Oppure la
presenza di cartellini con oggetti in rilievo può servire non come apprendimento
cognitivo, ma a fini orientativi, ad esempio tramite un calendario in cui sono segnati gli
operatori distinti da un segno nome e le varie attività giornaliere. Durante il mio Stage
mi sono avvalsa della comunicazione comportamentale con una donna sorda profonda,
con ritardo mentale e analfabeta. Era necessario guidarla fisicamente, avvalendosi
molto dei rinforzi e di situazioni stimolanti per provocare la sua motivazione e il ridursi
dei gesti stereotipati. Attraverso poi l’uso di fotografie si orientava rispetto al personale e
alle attività che l’aspettavano, ad esempio l’attività di mangiare o il riordino (vi erano
anche cartellini esposti in una bacheca personale nella sua stanza). Tramite disegni si
riusciva a farle sistemare i suoi oggetti personali nella dispensa per associazione di
immagine-oggetto. E a questo proposito vale la pena di operare la distinzione tra
sistemi di Comunicazione Alternativa non assistiti, che non richiedono cioè alcun
dispositivo esterno, ed i sistemi, all’opposto, assistiti, che impongono l’utilizzo di
dispositivi esterni, come possono essere le tavole comunicative o i dispositivi con
emissione di voce.109
È chiaro infatti che per questioni logistiche e di razionalità del lavoro in corso i capitoli
sugli ausili e sulla comunicazione sono stati separati, ma essi viaggiano in parallelo,
sono interdipendenti, verrebbe da dire intersecati, tanto maggiore è il grado di
compromissione motorio-cognitiva del soggetto.
Tutti questi metodi mettono in luce quanto sia importante per l’educatore,
quantitativamente e qualitativamente, calibrare l’intervento servendosi del proprio corpo
e rispettando quello altrui. Rammentiamo il contatto fisico che si instaura tra madre e
bambino. Da esso scaturiscono, come tutta la letteratura psicologica ha ampiamente
109
Davis T. N., Barnard-Brak L., Dacus S., Pond A., Sistemi di CAA assistita per persone con
menomazione dell’udito e altre disabilità, “Handicap Grave”, Edizioni Erickson, Vol. 12, n. 2, maggio
2011, p. 148.
73
ribadito, uno sviluppo positivo dell’interazione e della comunicazione, nonché
dell’identità e dell’autostima. L’educatore che lavora con un sordocieco si trova nella
situazione in cui il dialogo fisico deve possedere le caratteristiche del coinvolgimento
consapevole e sincero, che sia in grado da una parte di stimolare e dall’altra di
proteggere lo spazio personale. Per fare un esempio concreto: in un’attività
assistenziale di cura della persona mai e poi mai più mani devono toccarla senza che
ella venga avvisata del chi e del perché si trova in quel momento ad aiutarla. La
persona sa dell’addetto alla sua cura assistenziale, il quale si presenterà in quel preciso
momento e col il quale procederà alle operazioni necessarie. E ciò vale in generale: se
l’educatore o chi per esso non avverte il sordocieco del suo arrivo con un tocco, egli
non saprà mai della sua presenza, resterà nel suo bozzolo, magari emettendo suoni o
compiendo gesti stereotipati per colmare quel vuoto, quell’attesa. L’educatore porta una
grande responsabilità rispetto all’integrità personale del soggetto con cui sta operando,
almeno nello spazio del suo intervento. L’obiettivo è che si sviluppi una comunicazione
reciproca fondata non soltanto sul linguaggio, ma su una crescita sociale, emozionale,
intellettuale e fisica, ricordando che la pelle è il nostro canale sensoriale più esteso ed il
tatto il primo senso che sviluppiamo. Quest’ultimo è per il sordocieco la fonte primaria di
informazioni per il formarsi di una consapevolezza corporea e di una immagine di Sé e
dell’ambiente che lo accoglie. L’educatore con l’esperienza impara a cogliere segnali
comunicativi molto sottili, ai quali dà significato, e di conseguenza gratificazione alla
persona sordocieca.110
110
Knill C., Contatto corporeo e la comunicazione. La stimolazione fisica per lo sviluppo relazionale della
persona con handicap, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 1998, primi due capitoli, ed il resto per un
approfondimento sull’importanza del contatto fisico per una sana crescita psicofisica del bambino.
74
UNA PERSONALE RIFLESSIONE CONCLUSIVA
Tra i vari approcci teorici al tema della comunicazione interpersonale ho sempre
apprezzato molto la cosiddetta “Pragmatica della comunicazione umana”. Nel tentativo
di fissare alcuni “assiomi della comunicazione”, rispetto al primo, definito “L’impossibilità
di non comunicare”, venne scritto: «Anzitutto, c’è una proprietà del comportamento che
difficilmente potrebbe essere più fondamentale e proprio perché è troppo ovvia viene
spesso trascurata: il comportamento non ha un suo opposto. In altre parole, non esiste
un non-comportamento o, per dirla anche più semplicemente, non è possibile non avere
un comportamento. Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di
interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che
comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il
silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non
possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche
loro».111 Gli autori proseguono affermando che non costituisce eccezione il fatto di non
parlarsi, né di non prestarsi attenzione reciproca, né che la comunicazione sia
intenzionale, conscia, oppure efficace nel senso di dar origine a vicendevole intesa.112
Mai come nella mia esperienza di Stage con persone sordocieche ho potuto apprezzare
e davvero comprendere il senso di queste parole, che guarda caso fanno parte di una
teoria comportamentistica della comunicazione. In apertura al capitolo quarto ho
apposto un aforisma che canzonava il concetto del ‘pensare’, quando viene confuso
con una banale revisione di pregiudizi che hanno già preso terreno. E di quegli stessi
miei pregiudizi ero consapevole prima di imbarcarmi in questa avventura, come ho
accennato nell’introduzione. Il primo, l’idea cioè di trovarmi di fronte a persone quasi
inerti da dover continuamente stimolare, si è dissipato presto, anche solo nell’osservare
l’agilità con cui la persona sordocieca si muoveva nella sua tipica routine quotidiana, dal
vestirsi e far colazione, fino allo spedire e-mail e lavorare in laboratorio. Il secondo
pregiudizio, la paura di non riuscire ad interagire con loro, è svanito nel momento in cui
si è assopita la mia ansia, non la loro. Ho appunto scoperto che dietro il muro del
silenzio e del buio esistevano mille segnali e segni che mi venivano inviati, più o meno
esplicitamente, per invitarmi ad agire, a rendermi partecipe. Quando la curiosità è
divenuta vicendevole, quando la diffidenza ha ceduto il passo alla stima, è sorto un
111
Watzlawick P, Beavin J., Jackson D., Pragmatica della comunicazione umana, Casa Editrice
Astrolabio, febbraio 1997, Roma, pp. 40-41.
112
Ibidem.
75
bellissimo dialogo, incluse le persone che necessitavano di un linguaggio semplice e
intuitivo.
Ho scoperto che è possibile esperire un momento di socialità con persone che non
sentono e non vedono, in modo variabile, tutte sedute allo stesso tavolo, benché non si
possa provare la normale esperienza di uno scoppio di risa comune dopo una battuta
scherzosa. Ho superato l’imbarazzo di quei momenti di muto silenzio, che visti
inizialmente dall’esterno somigliavano per me a qualcosa di deprimente o di frustrante.
Per tale ragione il sottotitolo della mia tesi suona “comunicare oltre i confini”, proprio
perché i confini sono rappresentati dalla vista e dall’udito, dai doni che ogni uomo
dovrebbe possedere. Il senso del tatto, la sensibilità e l’intelligenza sono altri canali, che
possono diventare preferenziali, e trasmettere senso alla vita. In tutta sincerità, non ho
smesso di guardare con un istintivo terrore alla condizione di sordocecità, ma ora so
che esiste un mondo sotterraneo che grazie al lavoro di una infinità di persone emerge
alla luce. Tutte le riflessioni psicopedagogiche, tutte le innovazioni tecniche e
tecnologiche, tutta la specialistica dedizione degli operatori, tutto lo slancio umano dei
volontari, e tanto tanto altro ancora, sta scoprendo e valorizzando una condizione di
disabilità che si aggiunge ad una persona, ma non la determina, non può frenarne lo
sviluppo, non deve annullare LA PERSONA che egli/ella è, ancor prima di un evento
sfortunato, congenito o acquisito nulla conta. Siamo nel campo dell’etica? E sia.
Ho insolitamente citato le ultime parole del genio dell’informatica Steve Jobs,
dirette ai laureandi dell’Università di Stanford nel giugno del 2005. Rimanere “affamati”,
restare “matti”: questo è un insegnamento che sembra pensato per noi educatori, che ci
riporta da discorsi di morale alla pratica del nostro insegnamento. Siamo noi a dover
mantenere vivi gli strumenti e le tecniche che ci vengono forniti, rendendoli funzionali,
flessibili, utilizzabili nella nostra concreta attività educativa e anche nel privato di chi
assistiamo, con un occhio sempre rivolto al futuro, anche quando esso prende ancora la
forma del “sogno”. Soltanto così, in riferimento alla nostra tematica della sordocecità,
comunicare manterrà il suo originario senso latino di “communicare”, ovvero di
condividere, mettere assieme, far partecipe, far conoscere.113
Hellen Keller ha scritto che la cecità separa gli uomini dalle cose, mentre la sordità
separa gli uomini dagli uomini. Non ho certo bisogno, per gli addetti ai lavori, di spiegare
113
Si legga la bella teoria di Satoshi Fukuschima sulla “comunicazione creativa” fondata sul
coinvolgimento che fa nascere nuove informazioni, opinioni e valori, in Fukushima S., The deafblind and
Disability Studies, Research Center for Advanced Science and Technology, University of Tokio, aprile
2008, pp. 1-8, www.read-tu.jp (READ: Research on Economy and Disability).
76
cosa ciò indichi, ma posso, senza risposte, soltanto chiedere, porre un punto
interrogativo, attraverso una sola domanda: cosa accade allora ai sordociechi? Spesso
essi descrivono questa situazione, almeno all’inizio, come uno sprofondare, un
affondare, una sorta di inabissamento. Sta a loro quanto a noi, al nostro comune senso
di responsabilità e di volontà, far sì che non identifichino la personalità con la
menomazione, ma possano vivere, amando, riamati.
77
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INTRODUZIONE
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CAPITOLO I: LA SORDOCECITÀ. ALCUNE LINEE GUIDA.
1. Quando si parla di sordocecità? p. 6
2. Le conseguenze della malattia. p. 12
3. Dentro la sordocecità.
p. 21
CAPITOLO II: LA LEGA DEL FILO D’ORO.
1. Elementi di storia ed organizzazione.
p. 30
2. La RSD di Lesmo (MB).
p. 32
3. Legislazione.
p. 40
CAPITOLO III: VERSO L’AUTONOMIA
1. La vita quotidiana.
p. 45
2. Gli ausili tecnici e tecnologici.
p. 48
3. La terapia occupazionale.
p. 57
CAPITOLO IV: I SISTEMI DI COMUNICAZIONE
CON I SORDOCIECHI ACQUISITI p. 62
UNA PERSONALE RIFLESSIONE CONCLUSIVA
BIBILIOGRAFIA
p. 75
p. 78
86
87
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la sordocecità acquisita. - servizio di fisica medica e radi