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INDICE
Introduzione
a cura di Maddalena Negri …........................................................
Pag. 3
Degli Uomini e dei Santi..............................................................
Pag. 4
Pietro e Caterina........................................................................
Pag. 24
L'Angelo e il Ragioniere …............................................................
Pag. 27
El Sciur Luigi.............................................................................
Pag. 37
E vide l'airone alzarsi in volo........................................................
Pag. 40
Il paese dell'agapanto.................................................................
Pag. 64
Lo scricciolo..............................................................................
Pag. 82
Il curato pasticcione...................................................................
Pag. 88
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NOVELLE SENZA PRETESE DI ROBERTO PAGLIARDI
Roberto Pagliardi è un novelliere originale, corposo, carnoso, ironico. Quanti aggettivi!
Servono per presentare lui e le sue novelle, illuminandoli nella dovuta prospettiva. Le
trame, i dialoghi, le situazioni sono un intreccio perfettamente riuscito di fantasia e di
verosimiglianza. Quasi tutti i protagonisti sono persone semplici, così “veri”, che il loro
comportamento non cambia in qualsiasi situazione si trovino: da Uomini e da Santi.
Roberto ha la capacità di spiegarti, in modo “scientifico e storico”, come il lago Girondo sia
scomparso e come è nata l’industria casearia nel Lodigiano! E quasi ci caschi! Mi ha
coinvolto ed ho perfino pensato: “Magari è avvenuto proprio così!”
Delicato, non patetico l’amore tra Pietro e Caterina, due anziani coniugi che si accolgono
“nella salute e nella malattia fin che morte non vi separi”.
Gli Angeli “gestiscono l’eternità, e non è facile!” E nel caso, forse unico, della novella che
tratta anche di sociologia ed economia, un Angelo Ragioniere riesce a spostare il
momento della Morte, deciso dal Capo.
El sciùr Luigi io l’ho conosciuto: uno di quegli uomini che sanno fare di tutto!! O meglio,
che “fanno tutto”. Magari, ...tutto funziona… in qualche modo, ma funziona. Averne in
casa di uomini così!
“L’airone continuò a litigare con un guscio di noce vuoto: Poi, stanco della presa in giro,
volse il becco dalla parte opposta e spiccò il volo” . Azzeccata la metafora dell’airone in un
racconto-giallo che potrebbe essere rappresentato come opera teatrale. La sceneggiatura
è già pronta, tanto sono precisi avvenimenti e dialoghi. Chissà mai!!!
Gli agapanto e Sant’Omobone sono i protagonisti “verosimilmente fantasiosi” di una
santificazione, con qualche spintarella terrena.
Mi ha fatto riflettere la vicenda dello “Scricciolo”, non vi anticipo niente…. Leggetela e
“diventerete” più buoni.
Lei teneva la zampa delle mucche e lui tagliava le unghie”. Che dite? Si può essere felici
anche così? Considerato il lieto fine, … sì.
Di Santi e di come vanno le cose in Paradiso, Roberto ne sa! E come! E li sa rappresentare
in modo convincente e sorridente nelle sue novelle.
Ho conosciuto altri artisti che hanno cercato di immaginare la felicità del Paradiso,
umanizzandola. Antonella Perticone ha scritto: “è un posto bellissimo, è un lungomare
nella piena luce del giorno. Il lungomare è alberato, credo siano lecci. All’ombra un’infinità
di panchine, una brezza leggera e una dolce allegria”.
Maddalena Negri
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DEGLI UOMINI E DEI SANTI
Premessa
Le pagine che seguono attraverso una metafora più o meno seria raccontano di brava
gente che riempie difficilmente le cronache e raramente desta scalpore.
Lo svolgimento dei fatti stabilisce una sorta di continuità di comportamento dei personaggi
(Uomini e Santi) che spesso rasenta il paradosso e che risulta trasversale al tempo, ai ruoli
e alle situazioni.
Il cuore della storia si svolge sulle rive di un lago che ai nostri giorni non esiste più.
La sua scomparsa, che dalle nostre parti ha sempre dato adito a leggende e superstizioni,
risulta funzionale allo svolgersi del nostro racconto.
Si narra, infatti, che “tra i fiumi Adda, Serio e Oglio un tempo si estendeva un lago, il lago
Girondo, uno specchio d’acqua non eccessivamente profondo ma piuttosto esteso dal
quale emergevano numerose isole e isolette. La più grande era l’isola “Fulcheria” ,sulla
quale si sviluppò la città di Crema. Lodi era città costiera affacciata sulla sponda ovest del
lago. Era un lago post-glaciale”che, dopo secoli di onorata presenza, a partire dall’anno
mille iniziò a venir meno a causa del drenaggio delle acque che fu in massima parte opera
dell’uomo, in perenne ricerca di aree coltivabili. Le bonifiche effettuate dai frati che
abitavano conventi limitrofi, dal comune di Lodi e da famiglie feudali come i Borromeo ed i
Pallavicino, il cui nome ancora oggi è legato a rogge e navigli, determinarono la scomparsa
delle acque e l’offerta di vaste zone fertili.
(Dal sito internet:http://www.giovanipadani.com/bagaidalcremasc/Articoli/Gerundo.pdf)
Chissà poi se le cause della scomparsa delle acque non fossero di natura diversa… .
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A San Giuseppe piaceva il formaggio pannerone (*), anzi…ne era proprio ghiotto. Lo
assaggiò per la prima volta quando Teresina, un’anziana e gentile signora originaria del
Lodigiano, chiamata a miglior vita, decise di preparare qualche prodotto tipico da offrire in
Cielo.
Bisogna precisare che San Giuseppe in Paradiso non sapeva come impiegare il tempo
poiché per motivi di rispetto del suo ruolo di Padre Putativo non gli era stato conferito
alcun incarico.
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(*) Per chi non conoscesse questo tipo di formaggio, la cui produzione una volta era molto
diffusa nei piccoli caseifici del Lodigiano e dei dintorni di Milano, basti pensare che il nome
“pannerone” (o “panerone”, come diceva la gente comune) deve certamente le sue origini
all'espressione dialettale lombarda "panera" che vuol dire panna, crema di latte.
Giunto il momento del fatidico arrivederci,,infatti, la “Tere”, come veniva chiamata
confidenzialmente in vita, aveva preparato un cesto con una torta di pere, i ravioli di zucca,
il gorgonzola e appunto un generoso pezzo di pannerone, accompagnando il tutto con una
buona bottiglia di vino gutturnio.
San Giuseppe, che si trovò ad accoglierla al suo arrivo (stava sostituendo in incognito San
Pietro), fu molto riconoscente nei confronti di Teresina e fu così favorevolmente
impressionato dai profumi tipici di quei prodotti che tenne tutto per sé.
Alla sera dopo un’intera giornata di lavoro si avventò sulle prelibatezze che aveva tenuto in
fresco e fece un’abbuffata storica. Poi dormì per circa due giorni senza svegliarsi mai.
“Santità ..”, lo scrollavano gli Angeli, “Santità …”, lo esortavano i cherubini...ma non c’era
alcuna reazione apparente e tra gli addetti alla sua sicurezza personale cominciò a
balenare il timore che fosse avvenuto il peggio. Il peggio?!?
Il “pover uomo” (San Giuseppe), abituato a lavorare l'intera giornata nella sua
falegnameria durante la vita terrena, non riusciva a stare tutto il tempo con le mani in
mano e si era trasformato nello spauracchio di tutti coloro che invece, in Paradiso, un
lavoro lo dovevano svolgere.
Vagava infatti perennemente in cerca di qualcosa da fare, tentando di elargire consigli e di
offrire la sua disponibilità a tutti quelli che vedeva impegnati in un’attività di qualsiasi tipo,
soprattutto se manuale.
Purtroppo però non trovava mai nessuno disposto ad ascoltarlo o a farsi aiutare. L’unico
che si dimostrava sensibile a questa sua propensione era San Pietro.
Vero è che con il passare degli anni i due Santi avevano acquisito un’incredibile
somiglianza esteriore che Pietro, da esperto furbacchione quale era, aveva trovato il modo
di sfruttare a suo favore.
Ad esempio Pietro, ogni volta che per qualche motivo si doveva assentare dall’ingresso del
Paradiso, chiamava appunto Giuseppe e si faceva sostituire.
“Tanto non se ne accorge nessuno” pensava e, nel caso, nessuno avrebbe avuto il
coraggio di ridire.
Proprio in occasione dell’arrivo di Teresina era da poco avvenuta una di queste sostituzioni
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durante le quali Giuseppe si trovò a sbrigare tutte le formalità del caso e fu a lui che la
Tere, che non aveva la più pallida idea dell’identità del Santo, offrì le sue prelibatezze
culinarie.
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Poiché la panna è sempre stata considerata una prelibatezza, si può ritenere che anche il
formaggio “pannerone” godesse di altrettanta fama. Il sapore del pannerone è dolce e
aromatico, con una tipica sfumatura amara da attribuire alle notevoli dosi di caglio
impiegate per la sua fabbricazione. Forse proprio questa peculiarità, probabilmente poco
apprezzata dal palato dei consumatori di oggi, ha determinato la progressiva scomparsa di
questo prodotto che vive oggi solo grazie alla fedeltà di pochi amatori che continuano a
richiedere questo originale prodotto del caseificio lombardo (tratto dal sito internet
http://www.formaggio.it/panneronelodigiano.htm).
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All’epoca dei fatti che vogliamo raccontare il lago Girondo si estendeva in tutto il suo
splendore con flora tipica delle zone umide e un po’ paludose e con cacciagione e volatili
selvatici in quantità. Qua e là spuntavano gruppi di case abitate da famiglie che vivevano
di pesca, di caccia e di agricoltura.
Ciò rappresentava il visibile; ben diverso era lo spettacolo che stava al di sotto delle acque.
Al centro del lago infatti, sul fondo, sommerso e protetto da una stratificazione di un gas
indefinito che ne avvolgeva l’intera sezione, impedendo che le acque lo inondassero, c’era
una specie di cratere di modeste dimensioni che racchiudeva una verità antica, conosciuta
da tutti gli abitanti della zona ma che nessuno aveva avuto la possibilità di verificare.
Anzi, chi aveva potuto avventurarsi a quella profondità, mosso dalla curiosità di sapere,
aveva raccontato storie sinistre che si andavano arricchendo di particolari ogni volta che
venivano narrate.
Si vociferava infatti che all’interno del cratere sommerso esistesse un passaggio che
attraverso una scala a chiocciola buia, umida e un po’ sporca portava in un luogo
recondito, utilizzato come luogo di prima accoglienza nientemeno che per le anime
condannate dell’inferno.
Si, avete capito bene.
La storia narrava infatti che dopo il fatidico trapasso le anime dei condannati delle zone
limitrofe al lago venissero prese in consegna da strane entità che, attraverso un pertugio
nascosto tra la vegetazione del lago e scavato chissà da chi nei pressi della riva sud,
venivano denudati e costretti ad immergersi nelle acque, anche durante la stagione
invernale.
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Gli sventurati erano obbligati a nuotare sott’acqua fino al centro del lago dove appunto
attraverso questa apertura iniziavano il cammino della pena e della sofferenza.
Non si sa cosa succedesse a coloro che non sapevano nuotare.
Una volta introdotti nel “cratere”, i condannati iniziavano una lunga coda in attesa di
conoscere la loro destinazione all’interno dell’inferno. Poi potevano sostare per giorni in
quell’anticamera tetra in preda alla disperazione ed allo sconforto.
La presunta presenza dell’inferno infondeva tra gli abitanti che ne erano coscienti un senso
di inquietudine che ne condizionava le abitudini e che veniva attutito soltanto
dall’incertezza o, meglio, dall’auspicio che il tutto si riducesse ad una leggenda.

Mosè era un diretto discendente del Mosè vero, quello delle tavole della legge, tanto per
intenderci.
Lui ovviamente non lo sapeva ma noi che questa storia la raccontiamo ne siamo certi
perché il tutto è documentato nell’archivio parrocchiale del paese di Camairago.
All’epoca di Mosè (quello vero) la figlia Stina (diminutivo di Palestina della quale le scritture
non parlano forse perché illegittima), una testa calda, era fuggita di casa con un
saltimbanco italiano che si trovava in tournée nel deserto del Sinai.
Lo aveva sposato e lo aveva seguito per un certo tempo nelle sue trasferte.
Poi si erano stabiliti in Italia sulle sponde del lago Girondo, luogo di origine del saltimbanco.
Il ramo della discendenza si era radicato lì. Mosè (il discendente) viveva alla giornata
improvvisando spettacoli, un po’ da prestigiatore e un po’ da illusionista (chiedo scusa ma
non so se esiste una differenza).
Come il suo predecessore infatti nutriva un’innata familiarità con l’acqua che sembrava
obbedire alla sua volontà.
Un po’ rabdomante un po’ giocoliere Mosè faceva sorgere l’acqua con un semplice
comando e nutriva la peculiarità che gli permetteva di fronte ad un corso o a una distesa
d’acqua di farla letteralmente “aprire” in modo da potere comodamente camminare
utilizzando il letto del fiume o il fondo del lago come fosse un comodo sentiero.
Ad un suo comando infatti l’acqua arretrava e si riversava sui due lati disegnando un
passaggio.
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Ma, a onor del vero, ancora più dell’acqua Mosè aveva affinità con il vino che gli piaceva
tanto e se, per usare un eufemismo, al suo passaggio l’acqua si spostava all’esterno, i
boccali di vino che incrociava nel suo peregrinare intorno al lago, convogliavano all’interno
del suo palato conferendogli sempre un'aria alticcia e un po’ assente.
E quando dopo una strepitosa bevuta arrivava al top, Mosè sentiva un richiamo verso il
lago.
“Mi vuole” diceva tra sé e rispondeva istintivamente al richiamo dirigendosi attraverso le
acque verso il centro del lago.
Qui si fermava nei pressi del cratere sul fondo dove si era incredibilmente sviluppato un
pruno selvatico (sott’acqua?!).
Sotto quest’albero, in equilibrio precario, Mosè sostava. Era sicuro: sentiva delle voci.
Erano voci sommesse, velate e delle quali non era chiarissima la provenienza … ma
c’erano.
Lui le sentiva.
“E’ Dio che mi chiama” diceva a sé stesso e raccogliendo le mani intorno alla bocca in
modo da dirigere la voce verso l’alto urlava:
“Trinità, se aveste un attimo per me…”.
Poi attendeva ma non riceveva alcuna risposta.
Dopo aver provato più volte ed atteso altrettanto si confidava con sé stesso:
“Non ha un attimo di tempo” si rispondeva, “ ma sono sicuro, ha bisogno di me, riproverò”.
Un giorno però i suoni arrivavano nitidi e Mosè si accorse che le voci provenivano
dall’interno del cratere. Accidenti! c’era in atto una baruffa lì sotto.

Ritemprato dal sonno profondo durato due giorni, San Giuseppe aveva deciso di
concedersi una passeggiata.
Avvertiva un terribile cerchio alla testa ed uno strano senso di nausea.
Si guardò allo specchio.
Custodiva un cruccio segreto che si acutizzò in quel riflesso “Porca miseria!”.
Quella calvizie incipiente, quella fronte sempre più spaziosa che gli conferiva a suo dire
un’immagine “spoglia” lo turbava.
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Rinunciava addirittura a pettinarsi ed a sciacquarsi il viso per non doversi specchiare e
quando lo faceva si trovava a contare le defezioni: ”Anche oggi sono diminuiti, accidenti
“ e provava a simulare un riporto.
Poi distruggeva questa bella trovata per riprovare un’altra volta.
Il risultato però lasciava sempre a desiderare, anzi risultava sempre più ridicolo.
Decise di soprassedere, “tanto li sta perdendo anche Pietro” pensò ed uscì.
Con le mani raccolte dietro sul fondo schiena, camminava con lo sguardo fisso e assorto
rivolto a nord-est rispetto alla sua direzione, punto dal quale sembrava provenissero
rumori di attrezzi da lavoro. I suoi piedi erano avvolti da una specie di cotone idrofilo
impalpabile ma scivoloso che lambiva il suolo e lo costringeva ogni tanto ad abbassare lo
sguardo per evitare di perdere l’equilibrio.
La cosa regolarmente si verificò.
Il piede di appoggio scivolò su una famigerata e viscida poltiglia di natura indefinita della
quale non possiamo credere potesse essere ciò che immaginiamo ed, alla faccia della
fortuna, il Santo si trovò a sbattere violentemente contro il terreno del Paradiso, che a
quanto pare è presente sotto le nuvolette che lo avvolgono.
Si ruppero due falangi della mano destra e la clavicola.
Sua Santità rimase lungo disteso sommerso da quella materia falsa, bianca ed impalpabile
e svenne dal dolore.
Fu immediatamente soccorso e ci volle addirittura un intervento per ricomporre il tutto.
E quando al suo risveglio il medico che lo aveva operato e che fu un luminare anche sulla
terra gli sussurrò:
“Santità eravate tutto rotto e vi abbiamo ricostruito ma ora ci vuole un po’ di riposo”,
Giuseppe rispose: “ Ohe, sei matto?”
“Mi permetta di insistere Santità, ci vuole riposo…” dibatté il dottore.
“Come facciamo, io devo lavorare?” mentì Giuseppe ingannando anche sé stesso.
“Con tutto il lavoro che avete fatto nella vostra vita terrena … Fate lavorare un po’ gli
altri! ” continuò il medico, “guardate quanti sfaccendati bighellonano in Paradiso.
Erano sfaccendati prima sulla terra e continuano ad esserlo qui”.
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Giuseppe però non ne voleva sapere e non si sarebbe mai smosso se non fosse
intervenuta Teresina, che lui non ricordava nemmeno di avere fatto convocare prima di
avventurarsi nella passeggiata, per ringraziarla personalmente per il cibo offerto.
Teresina aveva atteso paziente il suo ritorno, aveva vissuto con preoccupazione i momenti
del suo ricovero e dell’intervento ed ora, che tutto sembrava tornare alla normalità, aveva
bussato con discrezione.
Sentite le ultime parole del medico poi, si era permessa di intervenire per rimarcare
quanto appena proposto dal dottore.
“Conosco un luogo tranquillo e riservato, un luogo ideale per ritemprarsi: buoni pasti e
riposo” aveva detto Teresina.
Alla prospettiva dei buoni pasti, ricordando l’ultimo consumato, San Giuseppe parve cedere.
“Non si è mai vista una cosa simile, non posso espormi, se mi scopre qualcuno addio relax”
rispose Giuseppe, ma stava già cedendo.
Teresina però con la sua dolcezza lo convinse a provare le sponde del lago Girondo ed alla
fine il Santo accettò.
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Passato a miglior vita, Rolando era vittima di uno dei casi di omonimia più eclatanti della
storia.
Dopo un’esistenza vissuta senza alti e bassi, senza pregi né difetti, era stato scambiato per
Rhon Lando (lo chiamavano proprio così), una sorta di brigante che batteva quel territorio.
Si trattava di un poco di buono, attaccabrighe, farabutto e ladro che non aveva proprio
niente da dividere con lui.
Purtroppo però non c’erano state ragioni: era stato condannato all’inferno.
Il nostro uomo (la vittima dell’errore) aveva dapprima protestato manifestando la sua vera
identità, ma ben presto, visto l’esito del suo infervorarsi, si era rassegnato a soffrire.
Se è vero però che la stoffa non è acqua, ben presto parve chiaro che il nostro Rolando
non era tagliato per stare in un luogo del genere. Era troppo buono, troppo gentile e
troppo servizievole.
Il consiglio locale dell’inferno dopo averlo richiamato più volte, aveva deciso quindi di
isolarlo dagli altri condannati, affidandogli uno dei compiti più noiosi ed impegnativi tra le
attività di quel luogo: l’accoglienza dei nuovi arrivati.
Rolando quindi da condannato passò a collaboratore dell’inferno e, per uno dei giochi
bizzarri del destino, fu destinato proprio all’ingresso vicino alla sua casa terrena: l’ingresso
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del lago Girondo.
Rolando passava le sue giornate (10-15 ore al giorno) in quella stanza austera con sbocco
sul fondo del lago consolando i nuovi arrivi, riempiendo moduli sempre uguali ed
augurando buona permanenza ai malcapitati.
Ne arrivavano di tutti i tipi e pensate un po’, ognuno era convinto di essere vittima di
un’ingiustizia.
Là sotto stava avvenendo il finimondo.
Vittorio già innervosito dalla avvenuta condanna si sentiva irritato dall’attesa e indispettito
dall’insistenza di un altro condannato (una condannata per la precisione, tale Marittima
che, estroversa nella vita, continuava ad esserlo anche lì).
La buonanima non stava zitta un secondo e persisteva in un cicaleccio ininterrotto e senza
senso, con un discorso del quale Vittorio aveva ben presto perso il filo.
E mentre questa gli riversava addosso “chilogrammi” di parole senza nemmeno fermarsi a
respirare, Vittorio con la coda dell’occhio lo aveva visto.
“Anche qui?!”
Dapprima non credeva suoi occhi, poi non ebbe più dubbi. Era proprio lui. Non è possibile,
Raffaele!
Proprio adesso doveva morire?
”Avrei giurato che sarebbe finita così” pensava Vittorio.
Raffaele era stato l’incubo degli ultimi 10 anni della sua vita. Abitava in riva al lago non
troppo distante da lui.
Era di qualche anno più anziano, più magro, più basso, meno forte e decisamente meno
intelligente ma …. era riuscito a conquistare il cuore di Zara, sua moglie.
Santa donna! Aveva il meglio che le rive del lago potessero offrire ed aveva preferito
quella specie di fantoccio!
Cosa accidenti ci avesse trovato lo sapeva soltanto lei.
Fatto è che Vittorio si sentiva ferito e nutriva un naturale sentimento di rivalsa nei
confronti di Raffaele.
E come se non bastasse, il destino aveva deciso di farli incontrare anche lì.
I loro sguardi si incrociarono e mentre l’uno, Raffaele, si faceva piccolo piccolo, l’altro,
Vittorio, lasciò la condannata di prima al suo destino e si avvicinò minaccioso.
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Marittima però non si dava per vinta, voleva terminare il suo discorso.
Così mentre Vittorio avanzava con il dito puntato verso Raffaele, lei continuava a vomitare
parole.
Ben presto i due contendenti furono vicini e inevitabilmente partì una serie di insulti e
sproloqui degni della più bassa delle osterie, che si trasformò in un attimo in un incrocio
impossibile di carezze e spintoni.
Marittima non taceva, i condannati urlavano, qualcuno emulava, altri scommettevano: una
vera ecatombe e Rolando in mezzo al trambusto saltellava in ogni direzione e non ci
capiva più niente.
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Mosè cercava di visualizzare la scena dall’alto senza però ottenere il risultato sperato.
L’acqua del lago era ferma e formava due pareti, quasi due dighe che lambivano l’ingresso
coperto dalla famosa nube di gas.
Dentro era buio e le immagini risultavano confuse. La curiosità era tanta.
Mosè provò con fare un po’ restio ad immergere in piede nella nube gassosa e subito lo
ritrasse.
Non succedeva niente.
Non bruciava, non irritava non succedeva proprio niente.
Attese qualche secondo e si inginocchiò al bordo dell’ingresso.
Si puntellò con la mano destra ed immerse più che poté il viso in modo da scrutare
l’interno.
Oddio, era vero!
C’era proprio una scala a chiocciola.
Preso da un insperato senso di coraggio, si decise ad entrare.
Si arpionò bene con le due mani e si mise in piedi sul primo gradino della scala d’ingresso.
Sembrava sicura.
Scese un secondo gradino, sempre badando a proteggersi bene con le due mani, ed iniziò
la discesa.
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Le voci si facevano sempre più vicine.
Ora le distingueva chiaramente.
Una volta toccato il suolo si fermò ad osservare la situazione, sgattaiolando all’interno di
un cono buio in modo da non essere notato.
Nessuno in realtà ne avvertì la presenza, nessuno eccetto Marittima che si staccò dal
gruppo dei contendenti ed iniziò ad “ululare” indicandolo, anche se l’avvenimento non
sembrava interessare alcuno.
Visto l’esito dei suoi richiami, Marittima si diresse verso Mosè bombardandolo di domande
ed, una volta raggiunto, spintonandolo continuamente per indurlo a rispondere.
Per sottrarsi all’evento Mosè fu costretto a muoversi nella direzione dei contendenti e si
trovò nel bel mezzo della disputa.
Uno di loro lo strattonò, Marittima lo tirava per un braccio per richiamare la sua attenzione.
Qualcuno sputò nella sua direzione, gli arrivò uno schiaffo in testa ed un pestone che
fortunatamente però lo sfiorò soltanto. “Accidenti che inferno” pensò Mosè e subito dopo
“Oddio l’inferno!”. Ma allora era tutto vero!
A quel punto però era coinvolto.
Raffaele scalciava, Vittorio pestava, Rolando saltellava in ogni direzione, Marittima non
desisteva e continuava con questo martellante “Chi sei?”.
Spingi di qui, spingi di là, qualcuno fu sbattuto contro una colonna che, urtata, si sgretolò
mostrando la sua natura.
Si trattava di forme di formaggio, impilate ordinatamente una sull’altra e stivate forse ad
essiccare.
Il frastuono che ne derivò si aggiunse all’esistente creando un effetto catastrofe. Mosè non
poté più trattenersi e gli venne spontaneo urlare: ”Dio mio aiutami tu!”
Non si sa se in seguito al frastuono oppure all’invocazione di Mosè ma a questo punto si
bloccò tutto.
Tutti i contendenti sembravano spersi e increduli scrutavano in ogni direzione temendo
forse un'imminente sciagura.
E ritornò il silenzio.
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Sembrava si fosse fermata anche l’aria.
“Accidenti che colpo da maestro!” si ritrovò a pensare Mosè attribuendosi la paternità della
soluzione.
Tutti nel frattempo avevano notato la sua presenza e si erano girati verso di lui.
Sembravano attendere.
Mosè si fece forte e, muovendosi a semicerchio e guardando negli occhi i contendenti,
incominciò a gridare ordini perentori:
“Basta, tutti in fila, non voglio sentire più nessuno. Silenzio!!!.”
Se avesse potuto, Rolando lo avrebbe baciato anche se in cuor suo si domandava chi fosse
e da dove spuntasse.
“Grazie, grazie” diceva con fare riconoscente e, forte della nuova presenza, si attivò
affinché l’ordine fosse rispettato.
Ripristinata la normalità, Rolando trovò il coraggio di avvicinarsi a Mosè “Perché non vieni
ad aiutarmi tutti i giorni?”
“Spiegami bene, dove siamo?” rispose questi.
Rolando lo mise al corrente in merito al luogo ed alla sua funzione. Poi passò a parlare
della sua attività, ma non riuscì a dilungarsi più di tanto in quanto Mosè era ormai distratto
da tutto quello che gli stava intorno.
Rolando lo riportò alla realtà prendendolo per un braccio “Non sto scherzando, io non ce la
faccio più: ho bisogno di aiuto”.
“Tu sei la persona ideale!”
“Oh, non sono mica morto io!” rispose Mosè.
“Non importa, io non lo dirò a nessuno. Non posso sicuramente pagarti, qui siamo
all’inferno, ma ti prego (si prega anche all’inferno?) aiutami!”.
“Ma da dove viene tutto quel formaggio?” chiede Mosè indicando le forme sparse sul
pavimento.
“E’ formaggio pannerone, lo conosci? Lo preparano alcuni condannati di un altro settore e
poi lo portano qui a stagionare” rispose Rolando.
“Certo che lo conosco, è tipico delle zone del Lodigiano, come fate a conoscerlo qui?”
aggiunse Mosè.
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“Ma sai quanti lodigiani ci sono all’inferno? E’ pieno!” continuò Rolando.
“Ma pensa, roba da non credere! Ma, scusa la domanda: dove andate a prendere il latte?
Non dirmi che avete le mucche…” chiese Mosè perplesso.
“Ma quali mucche, non abbiamo mucche qua. Il latte lo rubiamo di notte qui intorno, dalle
stalle ubicate sulle sponde del lago. Abbiamo fior fiore di ladri e delinquenti sui quali
puntare!” continuò Rolando quasi fiero di quel che stava dicendo.
“Si, ma scusa, ed i contadini non se ne accorgono?” Mosè sembrava incredulo.
“Certo, ma sono convinti che sia colpa delle mucche ammalate.
Non è così, arriviamo prima noi dei loro addetti alla mungitura” concluse Rolando e subito
aggiunse:
”Ti prego (un’altra volta), torna ancora ad aiutarmi, non lo dirò a nessuno”.
“Solo se mi fai assaggiare il vostro formaggio” chiese con fare altezzoso Mosè.
Rolando prese un grosso pezzo da una delle forme cadute, lo avvolse in un drappo e lo
porse a Mosè aggiungendo:
”Ti prego (e dai)”.
A questo fece eco Marittima che da buona impicciona aveva ascoltato tutta la
conversazione e scimmiottava “Ti prego” congiungendo le mani e ridendo in modo
canzonatorio.
Mosè la ignorò, ma non ebbe il coraggio di dire no e si convinse: quell’omino gli faceva
tenerezza.
Si, poteva anche dargli una mano…: va bene, sarebbe diventato “un volontario
dell’inferno”.
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San Giuseppe proseguiva il suo stato di convalescenza circondato dalle cure amorevoli di
Teresina che lo accudiva, lo medicava e cucinava per lui ogni genere di manicaretto.
Le ferite cominciavano a regredire ed il Santo iniziava a godere di questa nuova ubicazione.
Teresina aveva fatto costruire da Mosè un carretto ad hoc con il quale portava il
convalescente nel bosco, sulle rive del lago ed a vedere i lavoratori che si cimentavano
nelle attività di artigianato, di manutenzione e di produzione agricola; lavoratori che non
appena lo scorgevano in lontananza cercavano una via di fuga.
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Poi, quando era stremato, lo lasciava al fresco ai suoi sonnellini ristoratori.
Teresina si accomodava sulla riva del lago ed attendeva il risveglio.
Intanto il tempo passava e piano piano San Giuseppe incominciava di nuovo a camminare.
Dapprima faceva fatica, poi la camminata si fece meno rigida ed alla fine si avvio verso la
completa guarigione.
Aumentò così il buonumore e purtroppo crebbe la curiosità.
Come era cambiata la realtà! Il progresso! (rispetto ai suoi tempi il mondo era ovviamente
progredito).
Teresina era costretta a parlare tutto il giorno per spiegare il senso di tutto ciò che il Santo
vedeva per la prima volta.
Per fortuna esisteva Mosè che, bighellonando tutto il giorno, ogni tanto, bontà sua, veniva
in suo soccorso.
Con qualche storia, qualche gioco di prestigio, qualche notizia riusciva a sollevare Teresina
e farla riposare un po’.
E così gradualmente tra San Giuseppe e Mosè si era delineato un rapporto che dava
risultati proficui per entrambi.
Quando Mosè affiorò dal lago con il pezzo di formaggio avvolto sotto il braccio, il Santo era
lì che russava come un trattore (so che a quei tempi non era ancora stato inventato, ma il
paragone trasversale comunque regge).
Salutò Teresina con un cenno e le si avvicinò.
Teresina era incuriosita.
Non è cosa di tutti i giorni vedere le acque del lago fare breccia per lasciare il passo al
personaggio che gradualmente affiora e accidenti non è nemmeno bagnato!
San Giuseppe aprì gli occhi proprio in quel momento, si mise a sedere ed indicando Mosè
che si avvicinava incominciò a pronunciare vocaboli indefiniti:
“Oh, oh, oh, lallà …” .
Quando Mosè fu alla sua portata lo accolse così:
” Da dove vieni tu?”.
“Ti porto un regalo”.
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San Pietro, dopo aver assaggiato il formaggio, aggiunse “accidenti dove lo hai preso?
Vengo anch'io”.
Strizzando l’occhio a Teresina Mosè rispose ” domani ti porto con me!”

Il giorno dopo di buon'ora Mosè bussò alla porta della casa di Teresina.
San Giuseppe dormiva ancora.
La Tere preparò una colazione da favola della quale usufruì anche Mosè.
Terminato il pasto, San Giuseppe che zoppicava ancora un po’ e Mosè si avviarono
lentamente.
Arrivati sulle sponde del lago, Mosè alzò le braccia e, come per incanto, le acque si
spostarono lasciando un varco.
Mosè si avviò facendo cenno al Santo di seguirlo.
Quest’ultimo si avvicinò con un po’ di timore (anzi era terribilmente spaventato).
Dopo il loro passaggio le acque si richiudevano alle loro spalle.
Ben presto giunsero all’ingresso dell’inferno dove Mosè si fermò per tastare attraverso la
nube gassosa che lo sovrastava in cerca della scaletta a chiocciola.
Trovatola si issò sul primo gradino porgendo la mano al Santo che non aveva scelta e
dopo aver “cincischiato” in modo da raccogliere le forze, lo seguì.
Discesero lentamente ed in silenzio, ponendo attenzione ad ogni piolo.
Dapprima era buio pesto, ma gli occhi gradualmente si abituarono ed iniziarono a
distinguere i contorni della discesa.
Finalmente toccarono il suolo dell’inferno.
La situazione non era cambiata rispetto al giorno precedente.
Le forme di formaggio erano sparse per terra ed i condannati, distrutti, continuavano ad
attendere il loro turno.
Qualcuno si era sdraiato, qualcun altro dormiva.
Alcuni scalpitavano facendo impazzire Rolando, altri giocavano a dadi, altri ancora
osservavano il vuoto e le donne chiacchieravano ininterrottamente.
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Al loro arrivo una di loro si staccò dal gruppo e si diresse decisa verso di loro urlando:
“Vieni, vieni siamo ancora qui”.
Sul viso di Rolando si stampò uno splendido sorriso, tirò un respiro di sollievo ed anche lui
si diresse verso la direzione dei nuovi venuti. “Grazie, grazie di essere tornato” diceva.
Mosè presentò loro San Giuseppe etichettandolo come un amico. Ovviamente non fece
nessun accenno al fatto che si trattava di un Santo proveniente dal Paradiso.
E, senza perdere tempo, Mosè, con fare perentorio, urlò in modo che tutti
sentissero:“ Voglio un attimo di attenzione! “.
Attese pochi secondi e ripeté ancora più forte:
“Volete stare zitti o no!”.
Ottenuto il silenzio completo e l’attenzione dei condannati Mosè continuò:
“Come mai nessuno ha sistemato il formaggio?” e scelti alcuni condannati, che a dire la
verità non opposero alcuna resistenza, fece loro riordinare il tutto.
San Giuseppe non riuscì a resistere, si ricompose le maniche ed iniziò a dare una mano a
mettere tutto in ordine, disturbato da Marittima con la quale ebbe un furioso battibecco a
causa della sua insistenza e delle sue continue domande sulla sua identità.
A questo punto bisognava capire perché questa benedetta coda non si muovesse.
“Rolando come mai questa coda non si muove?”
Rolando corse nella sezione contigua dell’inferno nella quale confluivano i condannati
prima di essere smistati secondo la loro destinazione ed al ritorno, tutto affannato, riportò
la notizia
“Accidenti c’è un ammutinamento! Sono tutti allungati per terra e non vogliono muoversi”.
“Resta qui tu” gli rispose prontamente Mosè e rivolto a San Giuseppe:
”Tu vieni con me”.
I due si avviarono verso l’altro settore.

Giunti dall’altra parte, alla quale si accedeva attraverso un immenso e pesantissimo
portone di legno e borchie, i nostri due “eroi” si trovarono nel bel mezzo di una vera e
propria sommossa.
I condannati, con lo sguardo stralunato, erano stesi o seduti sul pavimento e non
accennavano a spostarsi nonostante numerosissimi addetti (il servizio d’ordine - all’inferno
c’è un servizio così che viene ricoperto a turno dagli stessi condannati) si stessero
prodigando per rimuovere i manifestanti.
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Come mossi da una regia occulta, tutti insieme battevano le mani con un vociferare
ritmico tipo “stadio”.
“Dio mio che baraonda!” disse Mosè rivolgendosi a Giuseppe.
Costui, confuso, cercava una risposta rivolgendosi ora a destra ora a sinistra, ma senza
che nessuno si degnasse di soddisfare la sua richiesta.
Fu Marittima, che non si era fatta scrupolo di seguire i nostri eroi, che, tirando un orecchio
ad uno dei manifestanti, riuscì ad ottenere un”abbiamo fame!”
“Da due giorni siamo qui e nessuno si preoccupa per noi”.
A sentire queste parole Giuseppe aggiunse:
“ma può essere?”.
“Con tutto il formaggio che c’è dall’altra parte …” ribatté Mosè, “dov’è Rolando?” E si
mosse per tornare nella sezione precedente, quella gestita dallo stesso Rolando per
intenderci.
Rolando era in preda ad un attacco di panico e correva da un lato all’altro senza un fine
apparente.
In realtà non sapeva che pesci pigliare.
Quando vide tornare i tre personaggi (Mosè, San Giuseppe e c’era sempre anche Marittima)
si sentì rincuorato e corse loro incontro “avete saputo qualcosa?”.
“Hanno fame, dai, che distribuiamo questo formaggio!”
Giuseppe fu ben felice di offrirsi per effettuare la distribuzione. Mosè prese il comando
delle operazioni mentre Marittima continuava a ronzare intorno “starnazzando” qualcosa di
non ben definito; però sembrava disposta a collaborare.
“Chiamate i lodigiani in modo che confezionino nuovi formaggi” diceva rivolto agli addetti
del servizio d’ordine che nel frattempo li avevano seguiti,
“trovate i ladri del latte e mandateli fuori in modo che ne recuperino la maggior quantità
possibile”.
“Ci vuole l’acqua calda, Rolando controlla che arrivino gli incaricati!”. Poi rivolto ai due che
lo accompagnavano:
”Voi preparate il formaggio”.
Prese così avvio un’attività frenetica di “confezionamento”, distribuzione e consumazione
del cibo che ben presto coinvolse tutti e riuscì, almeno per quel giorno, a dissipare i
malumori.
Si può ritenere che l’industria casearia così rinomata dalle nostre parti sia nata così.
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Quando tutti furono soddisfatti, Mosè predispose i turni perché la stessa attività fosse
ripetuta nei giorni successivi.
“Possibile che nessuno qui all’inferno avesse pensato a dar da mangiare ai condannati?”
rimuginava Mosè incredulo mentre con Giuseppe si apprestava ad aiutarlo a salire la scala
a pioli che portava al lago.
“Ci vediamo domani” dissero a Rolando.
San Giuseppe era soddisfatto del lavoro e del cibo consumato, mentre per Marittima
dovette intervenire il servizio d’ordine poiché non voleva saperne di rimanere.
Voleva tornare a casa.
“E’ questa la tua casa ora” diceva Rolando e ce ne volle per calmarla finché esausta si
addormentò.

Sulle rive del lago Girondo i giorni trascorrevano in modo uniforme, ma piacevole.
Con i manicaretti che Teresina preparava quotidianamente San Giuseppe era anche
parecchio ingrassato.
Insieme a Mosè ogni giorno impiegava il suo tempo come volontario dell’inferno,
sopportando Marittima, aiutando nella preparazione e nella distribuzione del formaggio.
Per le strade intorno al lago le processioni con i Santi Benefattori si moltiplicavano per
supplicare affinché passasse l’epidemia che aveva colpito le mucche che, non si sa proprio
come, non producevano più di latte ….
E Teresina ormai si era abituata a vivere una seconda vita terrena, anche questa però
volta al servizio di qualcuno.
Doveva cucinare, lavare i piatti, lavare e stirare…..
niente”, pensava, ma intanto si sentiva utile.
un’altra volta? “Non è cambiato
San Pietro in Paradiso era preoccupato.
Aveva “coperto” la convalescenza sulla terra di San Giuseppe ed il ritorno di Teresina.
Nessuno lassù sapeva niente di questa sua iniziativa, ma a questo punto gli sarebbe
piaciuto che qualcuno si facesse vivo (vivo?). “Come sempre, dai loro un dito e si
prendono l’arto intero!” pensava senza darsi pace.
“Accidenti, a quest’ora Giuseppe si sarà ripreso”.
Appena torna mi deve restituire il favore; e che favore!”
“Gli faccio passare la voglia di approfittare della mia troppa bontà. Sono proprio un Santo
fatto e finito, troppo buono!” si rammaricava. “Vedrai” diceva a sé stesso” mi faccio
sostituire per un mese intero!”
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Nonostante Pietro si arrovellasse, la situazione non si “schiodava”.
Niente da fare, non si faceva vivo nessuno.
“Ci hanno preso gusto quei due parassiti” pensava Pietro “Li sistemo io”.
Chiamò un angelo fidato e lo inviò a casa di Teresina.
“Portami notizie e ricorda loro che devono tornare immediatamente! Anzi conducili tu!” e
scandì le ultime parole dando enfasi al suo fare perentorio.
“Speriamo che questa storia sia finita e che nessuno ne venga a conoscenza!” si augurò,
“qui mi fanno fare la figura dello sprovveduto”.
Ci mise tutta la notte, Luciano, l’angelo designato, per raggiungere le rive del lago Girondo.
Alla fine giunse presso la casa di Teresina nella quale Giuseppe era ospite e si appostò
discretamente all’esterno per riprendere fiato in attesa che qualcuno si facesse vivo.
Il primo ad uscire fu Giuseppe ch,e come tutte le mattine, si apprestava a compiere la sua
giornata di volontariato all’inferno in compagnia di Mosè che lo stava già attendendo sulla
riva.
Luciano lo chiamò a gran voce “ Giuseppe …. Giuseppe …” ma costui, riconosciutolo, dava
la sensazione di non averlo sentito. Infatti continuava come se nulla fosse sussurrando a
bassa voce a Mosè “ vai non fermarti!”.
Mosè non capiva, ma obbediva.
La Tere, che sentendo i richiami si era affacciata alla finestra, si unì a Luciano nel tentativo
di guadagnare l’attenzione dei due ma senza risultato apparente.
A questo punto la donna scese, aprì la porta e, riconosciuta l’identità del personaggio che
si trovava di fronte ed il motivo della sua venuta, lo fece entrare.
Lo ristorò, gli preparò una colazione adeguata, lo mise al corrente dei progressi di
Giuseppe in merito ai problemi di salute e della prossima guarigione e da ultimo gli spiegò
candidamente dove erano diretti.
Per poco Luciano non cadde dalla sedia.
“Devo fermarlo subito” disse Luciano e, ringraziata Teresa e comunicato alla stessa di
prepararsi per il ritorno in Paradiso, si avviò verso il punto che gli era stato indicato come
ingresso.
Le acque del lago nel frattempo di erano ricongiunte (si aprivano al passaggio di Mosè e si
richiudevano subito dopo) e quindi Luciano fu costretto a scivolare a pelo d’acqua
acquistando velocità. Raggiunse i due “volontari” prima che imboccassero l’ingresso e si
fermò proprio nello spiazzo che per la presenza dei due eroi si era liberato dalle acque.
Alla vista di Luciano, Giuseppe fece finta di non riconoscerlo. L’angelo sorrise e
dolcemente ma con fare perentorio disse:
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”Giuseppe devi venire con me, il tempo di permanenza qui è terminato!”.
“Adesso non posso proprio” rispose Giuseppe “ ci aspettano” e guardò Mosè cercando
conforto.
Mosè rimase impassibile avendo intuito le circostanze.
“Ti prego Giuseppe, devi venire con me!” aggiunse ancora Luciano.
“Non se ne parla nemmeno, devo fare il formaggio” rispose sprezzante Giuseppe e si avviò
verso l’ingresso spostando con la mano i rami del pruno selvatico (ricordate che
all’ingresso sotto le acque si era sviluppato un albero?).
Per fermarlo prima che fosse troppo tardi a Luciano non restò che lanciare anche se a
malincuore un “lampo”.
Il “lampo” è proprio la scarica di elettricità statica che si vede durante i temporali e che gli
angeli utilizzano in Paradiso quando prestano servizio e qualcosa turba l’ordine.
Ha un po’ l’effetto di convincere chi trasgredisce.
Fu un attimo, i rami del pruno, investiti dal lampo, presero fuoco. Questo, alimentato
anche dal vento, si propagò alla nube gassosa che nascondeva l’ingresso dell’inferno e fu
tutto un falò.
Giuseppe e Mosè furono costretti a tornare precipitosamente sui loro passi ed a rientrare
verso la casa della Tere.
Come sempre al loro passaggio le acque si aprivano per richiudersi alle loro spalle.
In mezzo l’incendio infuriava ed arrivò a consumare tutto ciò che esisteva al centro del
lago e che poteva alimentare la combustione.
Epilogo
Alla fine le fiamme si spensero ma, mancando la barriera gassosa che era andata persa
nell’incendio e che da sempre vietava alle acque l’ingresso nell’inferno, successe quanto
avviene in una vasca da bagno quando si toglie il tappo.
Le acque fuoriuscirono dal lago confluendo nella sezione sottostante il lago ed inondando
l’inferno.
In questo modo il lago fu prosciugato e le acque formarono la falda acquifera della quale
ancora oggi ci serviamo.
Dello specchio d’acqua rimase la sola traccia dei contorni e grandi quantità di terreno
coltivabile furono messe a disposizione dei contadini.
I dannati dell’inferno, alle prime avvisaglie di allagamento, dimenticarono tutto ed
abbandonarono qualsiasi forma di protesta. “Ubi maior…” e si precipitarono ai piani
inferiori dove l’acqua non li avrebbe mai potuti raggiungere.
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D’altra parte cosa sarebbe potuto succedere loro?
Qualcuno riuscì a scappare dai pertugi predisposti per l’ingresso e, tornato a vivere
(almeno finché nessuno se ne fosse accorto), mise a frutto il mestiere imparato in ambito
caseario.
Luciano ricondusse Teresina e Giuseppe in Paradiso ed invitò Mosè a seguirli.
“Nemmeno per idea” rispose Mosè e dopo aver giurato il silenzio sui fatti che erano
capitati in quella zona fu lasciato al suo destino.
Teresina si gode il Paradiso e Giuseppe fa il portinaio alle dirette dipendenze di San Pietro.
Lui è contento così.
Rimane un mistero come Marittima, la chiacchierona, condannata all’inferno ora si trovi
anche lei in Paradiso e continui nella sua opera “oratoria”.
Giuseppe non la sopporta, più ma quando sta zitta gli manca.
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PIETRO E CATERINA
Le prese la mano destra e l’aiutò a farsi il segno della croce, quindi la invitò ad unirsi alla
sua preghiera.
Lei sorrise, congiunse le mani ed ad occhi chiusi incominciò a recitare l’“Ave Maria”, come
poteva naturalmente.
Pietro poi le rimboccò le coperte ed a fatica si protese per darle un bacio leggero sulla
fronte. “Buona Notte” le disse.
Lei sorrise di nuovo e si preparò a riposare.
Pietro e Caterina erano entrambi molto avanti con l’età e presentavano problemi di salute
piuttosto importanti.
Lei, in modo particolare, aveva bisogno di essere accudita in tutto e per tutto.
Le serviva un’assistenza continua che Pietro le forniva personalmente chiedendo di tanto
in tanto supporto ad una vicina di casa, infermiera in pensione.
Cercava di ricorrere a lei il meno possibile però, per non disturbare troppo.
Caterina non era allettata, ma non era nemmeno autosufficiente quindi lui si incaricava di
svolgere tutte le faccende domestiche, di fare la spesa, di cucinare.
Inoltre la lavava, la imboccava, le teneva compagnia, le raccontava storie, la teneva
aggiornata sui fatti del mondo e su quelli locali. Lei cercava di guardare la televisione, ma
non sempre capiva.
Aveva anche molta difficoltà ad esprimersi ed il più delle volte incominciava e poi desisteva.
Però non si lamentava mai e lui era contento così.
Aveva goduto della presenza di Caterina quando era giovane e voleva godersela anche da
vecchia, così com’era, come la vita aveva voluto.
Sposati da tanti anni la provvidenza non aveva voluto che avessero figli e nipoti, quindi il
loro mondo era lì.
La loro vita si svolgeva all’interno di quell’appartamento.
Uscivano raramente anche perché per loro era un’attività molto dispendiosa.
Caterina aveva la necessità di un deambulatore e di una carrozzina per disabili … se non
c’era qualche buonanima a supporto, portarla giù era un problema.
Poi quando era fuori, in mezzo alla gente, la gestione di Caterina diventava problematica,
si vergognava del suo stato e se qualcuno le si avvicinava o le rivolgeva la parola lei si
innervosiva e voleva tornare a casa.
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Un ulteriore problema stava nel fatto che Pietro, che abbiamo visto non essere più un
giovanotto, in un passato anche abbastanza recente aveva avuto problemi seri che aveva
superato, ma che avevano comunque lasciato segni.
Un paio di ictus, fortunatamente leggeri, avevano leggermente segnato la sua andatura e
la simmetria del suo corpo e dolori articolari e affaticamento erano una costante
compagnia.
Quel giorno Pietro di alzò con fatica e si trascinò per buona parte della mattina con
addosso una strana malavoglia, strana ma non sconosciuta.
Ciononostante accudì Caterina con la solita dedizione ed attese pazientemente l’evolversi
di questo suo stato.
Lo preoccupava più di tutto il formicolio che avvertiva agli arti e la leggera confusione
mentale che non prometteva niente di buono.
Verso il tardo mattino l’orizzonte si delineò in modo inequivocabile.
D’altra parte aveva già provato quelle sensazioni e sapeva dove l’avrebbero portato.
Si fece forza. Prese un petto di pollo dal freezer, lo lasciò sgelare ed intanto continuò a
leggere ad alta voce “Il vecchio e il mare”. Lei ascoltava, chissà se capiva.
Una volta sgelato, il pollo venne posto sul fuoco per la cottura.
Tra una pagina e l’altra, Pietro affettò delle zucchine che furono messe a lessare in
un’apposita pentola e quando il tutto fu pronto, Pietro contattò l’infermiera vicina di casa
che fortunatamente non era al lavoro scusandosi un milione di volte per il disturbo,
chiedendole disponibilità a far compagnia a Caterina.
“La sua presenza potrebbe servire anche questa notte… e forse qualche altra ..” aggiunse.
“Le pagherò il disturbo..”.
Raccolto il consenso della vicina, Pietro si avvicinò a Caterina.
Le fece una carezza e lei si ritrasse quasi infastidita.
“Ho le mani fredde, eh?” “… scusami “ le disse sorridendo.
“…Ti devo dire una cosa Caterina: per qualche giorno io non ci sarò …ma non preoccuparti
per me”.
Pensa a star bene. Ti lascio in buone mani”.
E le diede un bacio sulla guancia.
Poi mentre attendeva l’arrivo della vicina infermiera, Pietro infilò in una borsa qualche
pigiama e l’occorrente per l’igiene personale e chiamò l’ambulanza.
“Potete venire, temo un imminente attacco ischemico”.
L’addetto del 118 rimase sbalordito ed incredulo “Come fa a dire una cosa del genere,
signore? ”.
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Lo dico con cognizione di causa” rispose Pietro, “ ne ho già avuti due”.
Quando l’ambulanza arrivò Pietro accarezzò Caterina e volle stringere la mano alla vicina
che nel frattempo era arrivata ed in un attimo aveva capito la situazione.
Poi, diligentemente, si fece trasportare in ospedale.
Gli occhi di Caterina rimasero chiusi, ma da uno dei due scaturì una lacrima.
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L’ANGELO E IL RAGIONIERE
“Uno alla volta .... uno alla volta ....” scandiva correndo da una parte all'altra, “non
spingete ... c'è tanto tempo per l'eternità ....”, ma la gente spingeva ed avanzava lenta
vociferando in modo sommesso.
Ogni tanto la testa del gruppo si fermava destando un coro di proteste per poi proseguire
ancora più lenta ed ancora più disordinata.
Ogni componente del gruppo, nel tentativo di arrivare il più presto possibile all'imbarco e
prevenire eventuali tentativi di “scavalcamento” di posizione, cercava di sopravanzare gli
altri dialogando in modo stentato e rispondendo con sarcasmo a qualsiasi accenno di
discorso.
“Torniamo tra 20 minuti....”,
“vi prego, miei buoni colleghi... c'è tanto tempo per l'eternità....”
Chi si batteva per creare un po' di ordine ed evitare che l'ascensione degenerasse era
nientemeno che un Angelo, un Angelo vero, di quelli con i riccioli d'oro e le gote rosee e
paffute, che presidiava la Zona Franca per il Paradiso.
Questa porzione di spazio era delimitata da transenne che rappresentavano la barriera
oltre la quale trenta grossi ascensori inghiottivano fino ad un carico massimo di duecento
persone per ascensore, che trasportavano appunto ... in Paradiso.
Uno di questi “buoni colleghi” era uno stimato Ragioniere in viaggio dal giorno precedente
e destinato ad essere uno dei buoni del Paradiso.
Non poteva definirsi grasso, ma accusava una dilatazione del ventre che faceva un po'
tirare la camicia originariamente bianca.
Il Ragioniere ora era decisamente accaldato ... lo si notava soprattutto dai pochi capelli
rimasti incollati alla fronte. Si captava il suo nervosismo nei gesti furtivi e nelle occhiate
fulminanti che riservava a chiunque tentasse di superarlo.
Non sopportava le code. Non sopportava nemmeno i furbi, i maleducati, gli spiritosi e
soprattutto detestava l'alito maleodorante dei vicini.
Aveva anche pensato di mettersi in disparte ed attendere che la ressa si diradasse.
Quando però sembrava che l'afflusso fosse lì lì per ridursi, ecco che arrivava una nuova
folata di gente già giudicata e bramosa di imbarcarsi.
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Così per evitare la noia dell'attesa, decise di restare nella mischia imprecando in cuor suo
contro quella situazione che riteneva di trovarsi ad affrontare ingiustamente.
Ogni tanto sospirava, ogni tanto sorrideva malizioso. Poi si rabbuiava per poi tornare a
sorridere e sospirare.
E intanto ripensava alla sua vita. Non si perdonava di averla buttata per un motivo così
futile. E' vero che qualche problema di salute lo aveva già manifestato.
Analisi del sangue sballate, ipertensione ed affanno... “problemi tipici dei nostri tempi”
pensava lui. Oltretutto negli ultimi periodi abusava del “peccato di gola” come lo
apostrofava sua moglie e per la verità anche in occasione del giudizio questo particolare
era affiorato.
Per vincere questi sintomi un po' preoccupanti il medico, insieme ad una quantità
spropositata di farmaci come sosteneva lui (in realtà gli aveva prescritto un paio di
pastiglie al giorno), gli aveva suggerito di fare del moto in modo da rompere con la
sedentarietà.
Il Ragioniere però non sapeva nuotare, non amava andare in bicicletta e figuriamoci se si
abbassava a fare ginnastica.
Di fronte all'insistenza del medico, di sua moglie e perfino del suo vicino di casa (chissà
perché non si faceva gli affari suoi), più per sfinimento che per convinzione, aveva scelto il
“jogging”, un vocabolo che gli riempiva la bocca, che faceva contenti tutti questi
rompiscatole e che soprattutto non si pagava.
Così tutti i santi giorni quando tornava dall'ufficio con un’ incredibile fame da taglialegna,
era costretto ad infilare tuta e scarpe da ginnastica e, sotto lo sguardo severo della moglie,
a correre per ben quattro volte intorno al parco.
L'altro giorno mentre sudato come uno scaricatore di porto percorreva il terzo giro, sentì
una specie di ticchettio alle sue spalle e con la coda dell'occhio vide due ragazzini che si
affannavano per raggiungerlo.
Per la verità non ci misero molto poiché il suo passo non era irresistibile. In breve tempo si
avvicinarono e lo superarono. Una volta superato si girarono a guardarlo e uno dei due
ragazzini sibilò:
“ecco perché va così adagio, ...è vecchissimo!!!!”.
“Ma ... parlano di me?” pensò il Ragioniere ruotando il collo a destra e sinistra, “chi è
vecchissimo ?” e con un allungo semi portentoso partì per impartire una lezione esemplare
ai due impertinenti.
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Fu così che i due ragazzi allungarono a loro volta ed il Ragioniere si sforzò ancora di più e
loro aumentarono e lui ancora di più ...uno, due, tre volte ...
Poi fu solo un terribile dolore al petto, un bisbigliare di voci indefinite, una sirena ... e si
trovò in coda tra gente scomposta in attesa di un giudizio che sarebbe arrivato solo alcune
ore dopo ....
Ma il risultato del giudizio fu ottimo: destinazione Paradiso.
“Un viaggio ogni venti minuti, circa tre viaggi in un’ora, per trenta ascensori ogni giorno di
ogni settimana, per tutto l'anno ... ma quanto costa un kWh in Paradiso???”
Finalmente riuscì a partire per la destinazione finale.
Fece l'intero viaggio, trattenendo il respiro, imprecando in cuor suo contro un signore che
con il viso a trenta centimetri dal suo emanava una fragranza indefinita e pungente che
faceva lacrimare gli occhi.
Alla fine l'ascensore si aprì su una distesa immacolata che sembrava un’immensa tazza di
latte sulla quale si muovevano le persone appena arrivate, insieme agli Angeli.
Il Ragioniere notò subito che le figure presenti erano scalze, segno, pensò, che in Paradiso
non si devono spendere soldi inutilmente per acquistare calzature.
Ogni nuovo arrivato era avvicinato da una specie di apparizione, un Angelo (o un'Angela
non si capiva) che lo accompagnava verso una specie di reception ove correva voce
alloggiasse l'Arcangelo Gabriele.
Durante l'attesa ed il viaggio in ascensore, il Ragioniere aveva notato due bimbi che lo
guardavano di traverso e che non appena incrociavano i suoi occhi si stringevano l'un
l'altro tentando di sottrarsi al suo sguardo.
Se ne sarebbe dimenticato se sulla via delle reception non avesse incontrato questi due
bimbi che alla sua vista si eclissarono dietro al rispettivo Angelo.
Il Ragioniere finse di ignorarli e già stava ascoltando le istruzioni del suo accompagnatore
(o accompagnatrice) che uno dei bimbi, (una bimba veramente), prese il cosiddetto
coraggio a due mani mostrando metà del viso (il resto era coperto dal corpo dell'Angelo) e
disse “ tu sei San Pietro?”.
“ Chi io? No ...” rispose il Ragioniere sorpreso.
“Non è San Pietro!” disse trionfante la bimba e uscì allo scoperto spingendo avanti anche
l'altro piccolo compagno.
Incredulo per essere stato scambiato per San Pietro, il Ragioniere proseguì con un sorriso
ebete stampato sul viso ed una stranissima sensazione di disagio e conversando con
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l'Angelo (o l'Angela), attese il suo turno per essere introdotto al cospetto dell'Arcangelo
Gabriele (si, alloggiava proprio lì).
Attese tre ore durante il quale l'Angelo accompagnatore non smise mai di raccontare.
Con una cadenza monotona che pian piano appesantiva le palpebre del Ragioniere,
l'Angelo gli illustrava l'organizzazione vigente in Paradiso.
Venne così a sapere che gli Angeli seguono un ordine che rispecchia la loro attività (che
bella novità pensò il Ragioniere):
“ci sino gli Angeli Agricoltori che coltivano orti, campi e frutteti e producono cibo per tutti
gli abitanti del Paradiso”;
“Mi ascolti o dormi? “ aggiungeva l'Angelo.
“ Ci sono gli Angeli animatori che gestiscono un budget di Santi, Beati ed anime comuni”.
“Il loro compito è quello di far trascorrere il tempo a questi gruppi di anime, nel modo il
più possibile felice ... e non è facile gestire un'eternità, te lo assicuro!”
“ Quest'è matto!” pensava il Ragioniere ...
“Gli Angeli animatori si compongono degli Angeli cantori, dei suonatori e degli Angeli attori.
Inoltre ci sono gli Angeli portinai come me e come il collega che hai trovato nella zona
franca del Paradiso “,
“ed infine ci sono gli Angeli custodi che sono sempre in trasferta. Il loro compito, come sai,
è quello di assistere gli abitanti dell'universo aiutandoli in vita e preparandoli quando
questa sta per terminare”.
“E come fanno a sapere quando la vita sta per terminare?” chiese il Ragioniere con un
semi sorriso di scherno quasi sapesse di trovare l'altro impreparato;
“ per questo ci sono gli Angeli Viaggiatori che qualche giorno prima del trapasso partono:
destinazione Angelo custode .. “.
“ohe, guarda che sulla terra hanno inventato i telefoni, gli SMS, gli MMS e chi più ne ha
più ne metta, qui siamo ancora agli Angeli Viaggiatori?”… e l'Angelo penso: “quest'è
matto!”.
E finalmente una voce incominciò a chiamare a colloquio il Ragioniere; era finalmente
giunto il momento di incontrare l'Arcangelo Gabriele.
Al cospetto del suddetto Arcangelo fu ammesso soltanto lui; l'Angelo attese fuori.
L'Arcangelo (non ci crederete) si stava facendo un po' di pedicure.
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Senza alzare la testa né salutare con voce sommessa disse: “Che notizie mi porti
dall'Italia?”
“Devo essere sincero?” rispose il Ragioniere stupito dalla domanda mentre cercava una
risposta conciliante.
“Mi accorgerei di una risposta falsa non credi?” continuò l'Arcangelo Gabriele senza
distogliere lo sguardo dall'unghia dell'alluce sinistro inaspettatamente durissima.
“In Italia ci sono tantissime brave persone che dedicano il loro tempo libero per accudire i
meno fortunati, i più deboli .... “ iniziò il Ragioniere, “ ci sono tante brave famiglie
ma ....l'Italia è anche abitata da una marmaglia di furbi che non esitano ad approfittare
della disponibilità degli altri per arricchirsi alle loro spalle”.
“Costoro non hanno alcun rispetto, né per gli uomini né per le cose. Non hanno né
religione né ideali. Vogliono bruciare i tempi”.
“Le chiese sono sempre più vuote e gli stadi sono sempre più pieni”.
“Queste persone vivono senza regole ed i loro obiettivi sono il denaro, il denaro ed il
denaro. Caro signor Arcangelo, tutti questi furbi che vivono alle spalle degli altri
impoveriscono gli onesti”.
“Lei pensi che lotta per un padre, per una madre ... I figli pretendono, la vita quotidiana
costa, al punto che un solo stipendio non basta più”.
“Ora lavorano anche le mogli altrimenti la gestione della famiglia con le esigenze attuali
diventa veramente problematica”.
“ E non parliamo della gestione economica delle attività produttive”.
Tasse, costi, salari, scioperi. “Ad un certo punto si è costretti ad operare dei tagli altrimenti
non si riesce a far quadrare il bilancio”.
L'Arcangelo Gabriele aveva finalmente alzato lo sguardo e si era messo a seguire con
interesse lo sfogo del Ragioniere rintuzzandolo con continue domande.
“E qui in Paradiso com'è?” chiedeva il Ragioniere, “non dirmi, non mi dica” si corresse il
Ragioniere, “ che è sempre la stessa musica”.
“Non mi dica che le favole di mia nonna non erano vere ...”.
“Le favole di tua nonna erano favole. Qui in Paradiso comunque non è semplice trovare i
fondi per tutte le esigenze”.
Gli Angeli non sono mai contenti, i Santi anche, per non parlare dei Beati, con le arie da
Santi che si danno ...”
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“ E pensa, stipendi,” ed intanto elencava sulla punta delle dita, “regali, soprattutto nel
periodo natalizio, banchetti di lavoro, manifestazioni, fiere, investimenti per migliorare il
vostro soggiorno (e non siete mai contenti), cibo per tutti e non voglio parlare dei costi di
trasferta degli Angeli custodi!”,
“ io sto fino a notte fonda a pensare a come reperire i fondi ed a pensare a come far
quadrare i costi di tutte queste risorse.”
“Ma chi finanzia il Paradiso?” chiese con un certo timore il Ragioniere sfruttando il clima di
affabilità che si stava instaurando “.
”Il mio Capo passa solo il minimo indispensabile.
Quel che manca è affar mio. Funziona così: ogni opera buona, ogni preghiera recitata si
trasforma in un credito per tutto il Paradiso per il quale il mio Capo fornisce alla comunità
di valori.
In questo modo ho un po' di respiro ma per la verità non so fino a quando riuscirò a
respirare ...”.
“ Incominci a tagliare,” lo interruppe il Ragioniere, “tagli le spese superflue, ad esempio
tagli i banchetti, tagli i costi di trasferta .. quanti Angeli ci sono in trasferta?”
“ uno per ogni abitante dell'universo” rispose prontamente restando un po' sulla difensiva
l'Arcangelo Gabriele.
“ma siete impazziti? Ne basta uno per famiglia. Lo vuole un consiglio? Quando i fondi si
riducono non resta che tagliare le spese superflue”.
“Sopprima la figura dell'Angelo Custode e lo sostituisca con l'Angelo di Famiglia; vedrà che
risparmio ....”
“ma cosa dici, è sempre stato così ..” si difese l'Arcangelo, “ Un Angelo solo per una
famiglia composta come una famiglia media italiana di quattro persone, le permette di
risparmiare ben tre Angeli ...”
“Bravo, e cosa ne faccio di questi tre Angeli risparmiati?” continuò l'Arcangelo che stava
gradualmente prendendo in considerazione un'idea che pochi istanti prima gli sembrava
una pazzia.
“Li richiama in Paradiso naturalmente”.
“Sulla terra in queste situazioni si utilizzano strumenti quali i prepensionamenti e la
mobilità, strumenti che costituiscono un compromesso tra il datore di lavoro ed il
dipendente e che bene o male soddisfa le due parti” rispose prontamente il Ragioniere e
aggiunse:
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“Cosa fa un angelo anziano in Paradiso?”
“ Gli Angeli anziani accordano gli strumenti degli Angeli Musicisti, scrivono e trascrivono
canzoni per il coro e se sono intonati cantano nel coro e se sono stonati fingono di cantare
muovendo semplicemente la bocca”.
“Oppure allestiscono scenografie per gli spettacoli, scrivono i testi per le rappresentazioni,
confezionano i costumi di scena oppure ...”
“va bene, va bene ..., richiami gli angeli anziani; al limite farà due, tre cori, quanti ne
servono per impiegare tutti gli Angeli richiamati”.
“Costituisca un mercato libero dei cori, li metta in competizione tra loro in modo che
tendano sempre a perfezionarsi ...” lo interruppe il Ragioniere “ magari li faccia
specializzare anche in generi diversi ..., accidenti, ma chi lo dice che in Paradiso si
debbano suonare solo musiche celestiali?”
L'Arcangelo era perplesso ma si stava convincendo. Certo era preoccupato soprattutto per
le conseguenze. Un solo Angelo in una famiglia numerosa sarebbe stato in grado di gestire
tutti i componenti?.
Avrebbe dovuto dedicare molto tempo ai più piccoli trascurando di conseguenza i più
grandi che spesso sono quelli che necessitano di custodia ....
E la gestione del trapasso?
In occasione del trapasso è richiesta una presenza costante ed un periodo di assenza della
famiglia per accompagnare l'individuo al giudizio.
Il problema dei costi però andava risolto e serviva una decisione.
Così l'Arcangelo Gabriele decise di rischiare. “ Faremo una prova”.
“Daremo un periodo di riposo ad un mio parente che custodisce a Casalpusterlengo ed ai
suoi tre colleghi che lo aiutano a proteggere la famiglia che gli abbiamo affidato e
sperimenteremo da lì il tuo suggerimento”.
“Tu sarai il primo; da questo momento sei promosso Angelo, sarai il primo Angelo di
Famiglia. Seguirai un corso che confezioneremo ad hoc e partirai”.
E così dopo un periodo “full immertion” per imparare il mestiere Il Ragioniere o meglio
l'Angelo Ragioniere andò a Casalpusterlengo.
Figuriamoci come si sentiva frastornato; in un baleno: trapasso, giudizio, colloquio e
promozione.
Diventare un Angelo era una cosa che non aveva assolutamente preventivato, figuriamoci
un Angelo sperimentale!
Non aveva scelta però e maledicendo la sua linguaccia indomita si apprestò a svolgere la
nuova attività.
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La famiglia che gli era stata affidata era formata da quattro persone: padre, madre, nonno
(ottantenne arzillo) e figlio di tre anni. I genitori apparentemente non necessitavano di
alcuna custodia; la custodia invece serviva al nonno che si sentiva ancora un giovincello e
non lesinava di mettersi nei guai.
Non lasciava stare le signore (giovani, anziane bastava respirassero), faceva innervosire i
loro mariti, attaccava briga ovunque, voleva farsi giustizia come nel Far West.
In queste occasioni l'Angelo Ragioniere andava in escandescenza e lo avrebbe volentieri
lasciato al suo destino, in pasto a qualcuno che gli impartisse una buona lezione. Poi però
interveniva e rimetteva tutto a posto conducendo il vecchio al di fuori degli stessi pericoli
entro i quali si era cacciato, non senza però risparmiagli qualche calcio nel didietro che il
vecchio naturalmente non sentiva, ma percepiva come un cedimento momentaneo delle
gambe.
Il bimbo vivace al punto giusto e a dire il vero un po' viziato invece fu immediatamente il
suo preferito.
Quando si intestardiva e quando faceva i capricci stentava a tenergli testa con sto fiatone
che si ritrovava ed alla sera a furia di rincorrere sto ragazzino si sentiva sfinito.
Era diventato abilissimo. Il bimbo buttava per terra un piatto, un bicchiere, la zuccheriera
e lui si buttava e prendeva tutto al volo, il bimbo scivolava e lui ne attutiva la caduta, il
bimbo apriva i cassetti e li svuotava del contenuto e lui rimetteva tutto al suo posto
imprecando in cuor suo contro la cupidigia dei genitori che non gli davano nemmeno una
baby sitter.
In fondo però si divertiva. Quando poi lo vedeva farsi il segno della croce prima di andare
a letto e recitare una preghierina per l'Angelo Custode, l'Angelo Ragioniere si gonfiava di
soddisfazione.
A questo punto effettuava un breve controllo degli altri membri della famiglia, (quasi
sempre doveva aggiustare qualche situazione scomoda del nonno), poi si sdraiava vicino al
bimbo e si soffermava nel silenzio cercando di rilassarsi.
In questi momenti sentiva soltanto il ronzio nelle sue orecchie dovuto all'ipertensione si
domandava come potessero esistere Angeli con la pressione alta. Poi quasi subito si
addormentava.
Così passavano i giorni.
A far precipitare la situazione fu la visita inaspettata di un Angelo Messaggero che gli
intimo di iniziare l'iter di preparazione al trapasso per un componente della famiglia.
Si trattava ahimè del bimbo.
“Questi sono matti” pensò l'Angelo Ragioniere, “ha tre anni”. Forse si sono sbagliati”.
“Ohè, ma sei sicuro?” urlò all'Angelo Messaggero.
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“ Guarda che si tratta di un bambino, cercane un altro, guarda quanta gente c'è in giro!”
“La mia missione è questa, non mi sbaglio devi preparare proprio lui” rispose quasi stizzito
l'Angelo Massaggero.
E senza attendere alcuna replica partì ad impartire altri simili avvertimenti (e a quanto
pare ne aveva tanti).
Il nostro Angelo Ragioniere fu colto dalla disperazione e per un attimo pensò di non
obbedire.
“Perché?”, pensava, “è solo un bambino”.
“Non ha ancora assaporato niente, perché proprio lui”.
Ma il tempo incalzava e non c'era possibilità di cambiare la situazione.
Così tralasciò gli altri tre ignari componenti e si dedicò completamente al più piccolo.
Come da prassi l'Angelo Ragioniere si rese visibile al bambino che quando lo vide, per
niente stupito gli chiese:
“ Sei un angelo vero?.”
“Naturalmente lo sono, e starò con te qualche tempo per accompagnarti in un luogo ove ci
sono tanti Angeli che cantano e suonano e si passano intere serate ad ascoltarli”.
“Andiamo alla televisione?” rispose immediatamente il bambino alzandosi di scatto ed
allungando una manina,” “ …sì andiamo alla televisione ...” aggiunse saltellando.
“ No andiamo in un posto lontano dove ci sono tanti bimbi contenti, con tanti giochi, con
tanti amici ...” rispose L’Angelo.
“Come nelle favole?” continuò il bambino sempre più impaziente.
“Io non ce la faccio”, pensava l'Angelo Ragioniere, “Io non ce la faccio” continuava
sconsolato.
Siccome però non tutti i mali vengono per nuocere, accadde che il nonno, messosi in un
guaio serio a causa di quel suo vizietto di importunare le donne altrui e di far innervosire i
mariti, ebbe necessità dell'intervento dell'Angelo.
Questa volta il marito era giovane e soprattutto era un camionista con un passato da
pugile.
Questo camionista aveva costretto all'angolo il vecchio che, tra l'altro, pur nei guai, non
smetteva di urlare:
”fatti sotto pezzo di maiale!” e si accingeva ad insegnagli il giusto modo di comportarsi.
L'Angelo Ragioniere ebbe la visione di quel che stava accadendo e, come un lampo, si
precipitò a salvare il vegliardo dimenticando di rendersi invisibile.
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Il vegliardo, vedendo un Angelo vero, pensò fosse giunta la sua ora e si spaventò talmente
che fu colto da malore.
“Carpe Diem” pensò e fu un attimo.
“ Andiamo in un posto lontano” disse al vegliardo, “ dove ci sono tanti bimbi contenti, con
tanti giochi, con tanti amici ...” e contemporaneamente si rese invisibile al bimbo che si
guardò intorno per un po' e si rimise a giocare dicendo:
“pum … “ accompagnato da una battuta di mani quasi a sottolineare la visione scomparsa
per incanto.
Fu così che, a torto o a ragione, per la prima volta qualcuno provò a dare una logica
umana alla lotteria della morte, stabilendo attraverso un Angelo Ragioniere che ragionava
da ragioniere, chi avesse più diritto a vivere: un bimbo di tre anni o un arzillo signore di
ottant'anni, come potrebbe essere umanamente giusto ritenere.
Non si sa se l'esperimento abbia avuto un seguito e se in Paradiso abbiano accettato la
scelta. Che dire, ognuno pensi ciò che vuole, .... avremo tutti occasione di verificare.
Io spero tra ... mille anni … magari anche di più!
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EL SCIUR LUIGI
Mio padre sapeva fare tutto, ma proprio tutto: l’idraulico, l’elettricista, il meccanico, il
muratore e quant’altro.
Riparava TV ed elettrodomestici aggiustava stufe e caldaie … insomma tutto.
Faceva parte di quella generazione di persone che, senza una cultura vera e propria
(perché non avevano potuto permettersela), si erano creato un bagaglio di esperienze, di
conoscenze e di competenze tale da permettere loro di abbracciare campi e problematiche
di ogni tipo.
Tutto ciò veniva svolto per passione, a tempo perso, per favore. Al massimo fruttava un
po’ di verdura se colui che aveva ottenuto un servizio aveva un orto; del pesce, delle rane
se prestava la sua opera a qualche pescatore; qualche fagiano se l’opera veniva fornita ad
un cacciatore etc. Non lucrava sicuramente.
Se proprio vogliamo trovare una criticità al modo di svolgere queste attività, dobbiamo
rilevare che per la fretta svolgeva il tutto senza badare troppo all’estetica.
I tubi che installava magari non erano perfettamente diritti, qualche filo elettrico non era
proprio installato a regola d’arte… insomma … Però funzionava e questo era l’essenziale,
almeno per lui; era la sua filosofia.
E si comportava così anche in ambito familiare, ingaggiando liti furibonde con la moglie,
mia madre, che gli rimproverava di fare i lavori “con il filo di ferro”. Ma lui era così.
Si era comportato così per tutta la vita.
Figuriamoci se poteva derogare ad uno stile così ben rodato quando, con l’avanzare
dell’età, aveva incominciato a non sentire squillare il telefono.
Prima di ammettere la difficoltà uditiva, aveva lottato attribuendone la causa alla
Compagnia Telefonica, all’apparecchio che si era deteriorato, ai familiari che si divertivano
ad abbassare il volume…. tutto fuorché il vero motivo di quello che lui riteneva un dispetto.
Visto comunque che più di così non si riusciva ad aumentare il volume aveva così deciso di
incrementare il numero di apparecchi fissi presenti in casa, derivandoli ovviamente
dall’impianto esistente e prefiggendosi di non dire niente a nessuno prima che qualcuno
potesse lamentare aumenti tariffari di sorta.
Avrebbe fatto tutto da sé. Acquistò il materiale, l’indispensabile naturalmente, il meno
costoso ovviamente, riciclando tutto ciò che era riciclabile.
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Quindi si mise all’opera. C’era però un ultimo ostacolo, la pancia (quale pancia? diceva lui..)
Come poteva abbassarsi? Ne fece le spese la moglie che venne requisita per realizzare le
opere a filo pavimento, sotto la sua guida, ferrea naturalmente.
Risparmiamoci i battibecchi, gli sbuffi, gli accidenti. Alla fine l’opera fu realizzata.
Non era bellissima da vedere ma funzionava. Gli apparecchi dell’appartamento a questo
punto erano due, uno all’ingresso ed uno vicino al letto in modo da poter sentire lo squillo
quando si trovava in quello o in quell’altro ambiente.
Mi chiama tutto tronfio e raggiante. Naturalmente ha fatto tutto lui…
“Chiamami” mi ordina.
Io sono già preoccupato perché lo conosco e so che ne sta combinando qualcuna delle sue,
ma l’accontento.
Mi risponde: ”Pronto oo oo” (si sente un’eco all’interno dell’apparecchio telefonico).
Sorpreso mi permetto di chiedere: “Cos’è questa eco?”
Risposta scocciata di mio padre. “ Sarà il tuo telefono che è rotto”.
“Come il mio telefono, l’ho appena usato ed andava benissimo!” rispondo.
Lui sbotta. Così scopro il perché di questa sua chiamata, mi racconta cos’ha fatto (quello
che ha fatto lui, non mia madre).
Peccato però che il nuovo telefono funzioni come se la voce arrivasse dalle valli tirolesi.
Per non spendere, mio padre ha riciclato un vecchio apparecchio che teneva in cantina e
che non sapeva nemmeno lui di avere.
Lo convinco ad acquistarne uno nuovo. “Se vuoi te lo compro io” propongo. Neanche a
parlarne, mi sbatte giù il telefono.
Decido di attendere perché lo conosco e so che aria tira. In questo momento non vorrei
essere nei panni di mia madre.
Passa mezz’ora e mi richiama lui: “Mi senti?” l’eco è scomparsa.
“Sei contento adesso? Ho comprato un nuovo telefono” aggiunge.
“A quest’ora?” rispondo un po’ sospettoso. Erano quasi le nove di sera!?
”Non ti preoccupare” e vorrebbe chiudere la chiamata.
“Aspetta che provo a richiamarti!” aggiungo io.
Provo, ma non risponde. Riprovo niente da fare. Dopo un buon quarto d’ora mi richiama
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lui: ” Allora vuoi chiamare o no!”.
“Ma come, sto provando in tutti i modi” rispondo.
“Te lo dicevo che è il tuo telefono che non va” mi sciorina con un tono un po’ troppo
sarcastico….
Mi cospargo il capo di cenere, deglutisco e lo chiamo. Questa volta mi risponde:
“Per forza non rispondevo prima” mi dice” ero qui e non sentivo niente. Il tuo telefono
suona piano”.
“Papà è il tuo che suona piano, prova a aumentare il volume”. Non ci riesce.
A questo punto mi infilo la giacca e vado, voglio proprio vedere!
Scopro così che il volume non si può aumentare perché l’apparecchio acquistato è uno di
quelli che si utilizzano nelle camere degli hotel con il volume della suoneria bloccato per
non disturbare gli ospiti.
L’ha comprato dal vicino che prima della pensione lavorava per la Telecom e rubava i
telefoni per rivenderli a metà prezzo.
Gli era rimasto solo quello e mio padre era anche felice di averlo pagato poco.
Gli ho suggerito di installare un segnale luminoso che si attivi con il telefono …
Si è proprio visto l’idea prendere forma sul suo viso, si è illuminato… Non so cosa farà,
comprerà qualcosa, spenderà il meno possibile e saremo di nuovo da capo.
Sarà colpa del telefono, sarà colpa del tempo, dell’umidità, sarà colpa mia che mi sono
accordato con chissachì per screditare il suo lavoro …. Mai del suo udito …
E come sempre aggiungerà in modo sarcastico: “ pensa che qualcuno (e alluderà a me)
per fare queste cose avrebbe chiamato gli operai ….”
Aiutatemi a sopportarlo!!!
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E VIDE L'AIRONE ALZARSI IN VOLO
L'airone continuò a litigare con il guscio di noce vuoto. Poi,
stanco della presa in giro, volse il becco dalla parte opposta e
spiccò il volo.
Personaggi:
Carlo
Alberto …....................
Protagonista della novella
Mamma
Lucia......................
Madre di Carlo Alberto
Dacia................................. Badante rumena di Mamma Lucia
Claudia............................... Moglie di Carlo Alberto
Stefano.............................. Carrozziere, amico e compagno di baldoria di Carlo Alberto
Flavio................................. Farmacista, amico e compagno di baldoria di Carlo Alberto
Aldo................................... Attività legata alla compravendita all’ingrosso di generi
alimentari. Amico e compagno di baldoria di Carlo Alberto e
amante di sua moglie
Max................................... Avvocato, amico e compagno di baldoria di Carlo Alberto
Nicolae............................... Fratello di Dacia
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Premessa
Durante i pomeriggi estivi è bello andare sulle rive del Po. Il paesaggio del fiume mi ha
sempre attirato per i suoi colori, per i suoi riti e per i suoi silenzi. Percorro senza fretta la
ciclabile che collega Somaglia a Piacenza oppure in senso contrario verso Senna Lodigiana.
Copro il percorso che mi sento di affrontare e quando torno mi siedo sui gradini che
portano all'imbarcadero e contemplo ciò che mi circonda. Dalla mia posizione, se si guarda
il fiume, lasciandosi alle spalle il chiosco bar che durante la stagione estiva delizia gli
avventori (ed anche me), si vede scorrere l'acqua da sinistra e la si osserva descrivere una
curva ad ampio raggio che scompare sulla destra, dietro gli alberi. So di essere ridicolo ma
ho sempre pensato che con questa curva il Po mi sorridesse. Mi colpiscono
particolarmente i colori. Le acque azzurro verde nelle belle giornate sembrano sciogliere la
luce del sole e si spengono in prossimità degli alberi di destra lasciando il posto ad un
azzurro più cupo. Entrambe le rive, per lunghi tratti, oltre le dorate spiaggette fluviali,
presentano macchie di un verde profondo di varie tonalità con piante palustri, boschi
profondi e pioppeti allo stato naturale. Più verso l’interno si scorgono ampie distese
coltivate cosparse di fiori selvatici principalmente gialli e rossi, siepi arbustive multicolori e
qua è là tra le cime degli alberi affiora anche un campanile bianco ad indicare una
presenza urbana. Va detto che per queste sue caratteristiche fin dalle epoche più remote il
territorio bagnato dal Po è stato un Paradiso per gli amanti della natura, ma anche per
cacciatori, bracconieri e pescatori. Lungo il suo corso capita tuttora, accanto agli
immancabili colpi di fucile che accompagnano il periodo di apertura della caccia, di
scorgere pescatori che singoli o a gruppi, si dilettano con ami e lenze, sfoderando tutti gli
accessori del caso, assaporando l’essenza di quello che prima era una necessità ed ora
una mera passione. Cacciatori e pescatori abbiamo detto. All’interno delle vaste aree verdi,
infatti, trovano rifugio anatre, germani reali, folaghe, cornacchie grigie, cigni, gabbiani
comuni e, con un numero di esemplari in continuo aumento, anche l’airone cinerino,
mentre nelle acque del fiume si possono trovare numerose specie ittiche quali vaironi,
alborelle, trote, persico reale e il barbo. All'orizzonte, sulla riva opposta a quella sulla quale
mi trovo, oltre i campi coltivati, si scorge un sistema a terrazzi, sulla sommità dei quali si
rileva un cascinale ed edifici rurali, in gran parte abbandonati, che raccontano di un’epoca
agricola e, considerata la loro ubicazione, della necessità, da parte degli uomini che
vissero vicino al fiume, di proteggersi dalle frequenti esondazioni. Qualche volta, quando
Pino è “in buona” ne approfitto. Attraverso il fiume e cerco una delle spiaggette fluviali
assolate che stanno sull'altra sponda e mi godo il pomeriggio. Pino è il vecchio barcaiolo
canuto che viene da altri tempi che è sempre vissuto lì, sulla riva del Po e che fa ancora il
traghettatore tra le due sponde per i gitanti e per gli abitanti del posto. Quando la barca è
colma di gente si pavoneggia, si gongola, si sente utile. Pino sostiene che il Po non è
inquinato e per dimostrare la purezza dell’acqua ne beve un bicchiere. Non mi risulta gli
sia mai successo niente.
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Gli avvenimenti
Su una delle spiagge ghiaiose che stanno appunto sull'altra sponda delle quali si parlava
poc'anzi, nascosta rispetto alla strada principale ma facilmente raggiungibile attraverso un
sentiero sterrato, un gruppo di amici aveva passato il pomeriggio di un giorno di ottobre,
pescando (poco), discutendo (tanto), giocando e bevendo. Soprattutto bevendo.
Le canne da pesca dal mattino erano posizionate come cannoni pronti a fare fuoco, ma di
fuoco ne facevano poco; non avevano pescato quasi niente.
“Versamene una dose …” biascicò Carlo Alberto porgendo un bicchiere di plastica che
allungava con la mano sinistra tremante.
“Versamene un dose generosa” aggiunse con un sogghigno, puntando l’indice della mano
destra ad incrociare le labbra.
Ormai le bottiglie tracannate non si contavano più e l’amico che stava versando il vino
metà nel bicchiere e metà sulle braccia e sui pantaloni di Carlo Alberto, sembrava
allontanarsi gradualmente.
Stefano, che si era preso l’incarico di mantenere i bicchieri colmi, a sua volta viveva la
stessa sensazione e così facevano Flavio e Aldo. Ne era una riprova il fatto che questi
ultimi esibivano i pantaloni sbottonati sul davanti dimenticando di ricomporre il tutto dopo
aver ripetutamente svuotato la vescica.
Max, il più malconcio, era steso addormentato in mezzo all’erba e russava come un motore
a due tempi.
“Un buon vino può risultare divertente come una gita al lago” recitava Carlo Alberto
alzando il bicchiere semivuoto, strascicando le vocali.
“o stimolante come una buona lettura” rispondeva Stefano
“bere
bene
costa”
continuava
Carlo
Alberto
con
la
stessa
cadenza.
“ma bere bene costa quanto bere male” incalzavano Stefano, Flavio e Aldo. E giù una
risata sonora, e giù un altro bicchiere.
Questa storia continuava da troppe ore, ed era già il tramonto. Restava ben poco da
scolare e una volta svuotato anche l’ultimo bicchiere i “compagni di baldoria” si stesero per
godersi l’ultimo spiraglio di sole.
Carlo Alberto si allontanò raggiungendo a stento il bosco per vomitare.
Quando gli parve di stare un po’ meglio tornò per raccogliere i suoi arnesi. Prima però
sempre appostato all’interno del boschetto, ritrovando chissà come un briciolo di lucidità,
attivò il cellulare:
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“Pronto…” rispose una voce femminile con accento straniero,
“tra un ora circa sarò lì” rispose Carlo Alberto.
“vieni … ti aspetto” continuò la stessa voce con un modo di fare che celava un certo
risentimento.
Carlo Alberto non capì la sfumatura e sorrise tra i denti.
Senza disturbare e senza salutare gli altri, salì in macchina e raggiunse quella voce.
Quando la raggiunse erano ormai quasi le 19.
#####
Dacia chiuse la comunicazione e guardò nervosamente l’orologio. Respirò profondamente
come per scrollarsi di dosso quella sensazione di disappunto e timore che la inondava ogni
volta che sentiva quella voce.
Non perse tempo, andò in cucina e preparò un infuso, il solito, il preferito da Mamma
Lucia. Appena fu pronto estrasse dalla sua borsa un flaconcino di sonnifero e con un gesto
consueto ne versò alcune gocce che andarono ad intorpidire lo stesso infuso. Mescolò il
tutto, lo versò in una tazza che ripose sul comodino accanto al letto della padrona.
Successivamente regalò il flaconcino al segreto della sua borsa.
Mamma Lucia l’attendeva per essere aiutata a rigovernarsi per la notte. In piedi accanto
alla finestra della sua camera da letto osservava la campagna che circondava la sua casa
padronale, campagna che si andava lentamente spegnendo con l’avanzare della notte.
Quella che un tempo chiamavano “La Cascinetta”, era in realtà un grosso casolare
circondato da coltivazioni di cereali che, una volta molto copiose, davano lavoro e cibo a
molte famiglie di contadini.
Invecchiata Mamma Lucia, che aveva guidato l’azienda dopo la morte del marito, nessuno
aveva voluto raccogliere l’opportunità e l’attività si era pericolosamente ridotta.
Ora molti campi rimanevano incolti, ma per Carlo Alberto non era un problema, lui quale
unico figlio si godeva i “soldoni” accumulati con cura dai suoi genitori in tanti anni di
lavoro, anzi, meditava di sbarazzarsi di tutto non appena sua madre fosse passata a
miglior vita.
Mamma Lucia scostò con la mano destra la tendina avvicinando gli occhi al vetro. Un
lungo viale ghiaioso attraversava il giardino nel quale padroneggiavano sempreverdi e
magnolie di grosse dimensioni. Le aiuole, un tempo di aspetto gaio, erano secche e mal
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curate e così le siepi che sembravano denunciare l’incuria.
Il vialetto portava ad un ampio cancello oltre il quale si scorgeva una strada sterrata che
portava nei campi e che ormai risultava parzialmente inghiottita dal buio. Si potevano
ancora scorgere i contorni dei tetti delle case un tempo abitate dai contadini e che ora
attendevano diroccate lo scorrere dei giorni.
L’ingresso di Dacia la fece sussultare.
“Le ho portato il suo infuso … ora l’aiuto a mettersi a letto” scandì a voce alta Dacia; “su
da brava …”e si appoggiò per sorreggerla.
La prese sotto braccio delicatamente e la fece sedere sul letto dal quale la coperta era già
stata scostata. Mise il cuscino in posizione verticale in modo che Mamma Lucia potesse
appoggiarvi la schiena, sistemò la coperta e aggiunse:
“beva l’infuso finché è caldo…”
Mamma Lucia annuì con un cenno del capo e rispose: “Vai, vai pure… se avrò bisogno ti
chiamerò. Buona notte” e senza troppi preamboli la licenziò.
#####
Carlo Alberto parcheggiò l’automobile fuori, oltre la siepe in una posizione protetta ed
invisibile dalla finestra della camera di Mamma Lucia.
Sapeva che la casa era vuota, colma dei fasti di un tempo, mobili, dipinti, oggetti di
antiquariato e ricordi. Le uniche due figure animate erano sua madre e Dacia, la badante.
Dacia infatti era una ragazza dedicata alla cura di Mamma Lucia per sei giorni alla
settimana. Era una delle tre persone stipendiate affinché la padrona di un tempo risultasse
accudita 24 ore su 24. Le altre due collaboratrici erano signore di mezza età della zona.
Dacia era poco più che ventenne.
Carlo Alberto sapeva di essersi mosso bene. Nicolae, era il fratello di Dacia, uno “stinco di
santo” che gestiva illecitamente mediazioni e mercati di ogni tipo e che per particolari
esigenze dei suoi clienti aveva messo a disposizione la sorella minore. Questa dapprima si
era ribellata, ma ben presto aveva dovuto sottomettersi alla sua volontà. In poche parole
Dacia nel caso specifico veniva stipendiata per accudire madre e figlio, almeno ogni volta
che costui nei sentiva la necessità o il desiderio.
Quella sera, dopo una giornata spesa così bene e con tutto quell’alcool in corpo, Carlo
Alberto si sentiva pronto per l’ennesimo dispetto.
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La brezza primaverile lo aiutò a riprendere il controllo. Passò dal retro dopo aver tribolato
non poco per trovare le chiavi e dopo essere inciampato sull’unico gradino che portava al
portichetto aperto sul lato posteriore.
Infilò le chiavi ed aprì.
“Dacia dove sei?” urlò. Poi come se quelle parole fossero appartenute a qualcun
altro,”Ssss…” si corresse incrociando l’indice sulle labbra.
“Dove sei Dacia “continuò questa volta in tono sommesso.
“Sono qui, aspettami” rispose Dacia sottovoce e si avviò verso la camera della padrona
che dopo aver “sorbito l’infuso” (si fa per dire) si era addormentata.
Dacia le si avvicinò, le sistemò il cuscino, la ricoprì, spense la lampada del comodino e
attivò le luci notturne. Poi uscì dalla camera.
“Dorme” disse accostando la porta e sperò che quel momento non giungesse mai. L’uomo
però le si avvicinò mettendo in mostra una dentatura trascurata ed avvicinò il viso alle sue
guance. Lei lo lasciò fare: Carlo Alberto puzzava come un caprone ed aveva l’alito che
sapeva di rancido.
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“Santa provvidenza, ve l’ho fatta” pensava Mamma Lucia aprendo gli occhi nel buio, ma
rimanendo immobile. Aveva riconosciuto la voce del figlio che ogni volta le infondeva uno
strano senso di repulsione e nello stesso tempo risentimento e delusione.
Tanti sacrifici risultavano senza soluzione di continuità. Le mani di Carlo Alberto non erano
adatte. Da quelle mani non voleva nemmeno una carezza.
Da tempo l’infuso con il sonnifero facevano parte dei segreti del lavandino.
#####
Carlo Alberto lasciò la casa come era entrato, di nascosto, non prima però di avere
rovistato inutilmente alla ricerca di denaro. Si diresse verso la macchina e non appena fu a
bordo il suo cellulare squillò.
“Sono Nicolae”
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“Cosa vuoi, sei già stato retribuito a sufficienza” ringhiò Carlo Alberto.
“Certo, certo” continuò Nicolae “ ma mi servono subito 10.000 euro per un affare
importante”
“Sei già stato retribuito, non ti do più niente…”
“Non vorrei che tua madre sapesse cosa hai appena fatto a mia sorella!” precisò Nicolae
“ … Lo sai bene che se le procuri dolore ti toglie l’eredità…” e rise sonoramente.
Carlo Alberto cambiò subito tono ”Non ho quei soldi”
“Procurateli, li voglio entro domani sera” sentenziò Nicolae tornando serio e riattaccò.
Carlo Alberto sapeva che Nicolae non scherzava: domani sera si sarebbe presentato a
riscuotere.
#####
Con il pensiero fisso alla richiesta di Nicolae, Carlo Alberto tornò verso casa con
l’intenzione di rimandare ogni preoccupazione al mattino seguente. Se l’era sempre cavata,
aveva sempre trovato una scusa plausibile…. O almeno Claudia sua moglie , l’aveva
sempre bevuta. Era veramente convinta che i soldi che Carlo Alberto prelevava dal loro
conto corrente servivano per “invogliare”
alla clemenza (leggi “oliare) gli agenti
assicurativi che vegliavano sulla sua attività?
Quali attività poi, Carlo Alberto vendeva abbigliamento all’ingrosso, ma ormai il mercato
era preda dei mercanti orientali. Finora era riuscito a barcamenarsi accordandosi, diciamo
così, con loro, ma l’affare era troppo rischioso. Oltretutto i mercanti orientali non
perdonano. Aveva quindi deciso di sistemare le sue attività colmando le perdite con il
ricavato della vendita dei tesori di famiglia. Ovviamente nessuno era al corrente di questa
sua trovata, figuriamoci la madre che viveva in un mondo di pochi metri quadrati.
Così avevano preso vie alternative alcuni mobili antichi, alcuni dipinti e parte della
biancheria e dei suppellettili. E tutti in mano a persone senza scrupoli che non pagavano
che metà del reale valore delle cose. Ma andava bene così. In questo modo riusciva a
colmare le carenze o meglio le voragini che si creavano nei suoi conti.
Per dire tutta la verità sarebbe stato meglio salvaguardare la frequenza di questi travasi.
Diluendo i prelievi si sarebbe potuto mitigare la situazione o per lo meno l’emorragia
sarebbe forse passata inosservata, ma … ci avrebbe pensato domani. Anzi, aveva deciso:
era passato troppo poco tempo da quando aveva trafugato e venduto i cristalli , questa
volta era meglio attingere altrove. Si propose quindi di effettuare un prelievo dal conto
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corrente che condivideva con la moglie.
#####
Questa situazione continuava da troppo tempo. Nicolae esagerava con i suoi ricatti, ma …
ci avrebbe pensato domani, ora voleva dormire. Era stanco, se lo meritava. L’angoscia
però non se ne andava, anzi mano mano che si avvicinava a casa si sentiva più inquieto.
Fermò la macchina vicino ad un pub ed entrò. Sgolò due bicchieri di birra e fumò due
sigarette. Cacciò una ragazza che si offrì di tenergli compagnia “vai via, non è serata”.
Dopo le due birre passò ad un paio di superalcolici e poi non li contò più.
Si ritrovò steso in macchina con un'incredibile macchia di umido sul davanti dei pantaloni
ed un cerchio alla testa che lo faceva impazzire. Come tentò di alzare la testa sentì flussi
di umori che vagavano per il cervello. Pianse e colpì con un pugno il cruscotto dell’auto;
rischiò quasi di ammaccarlo. Alla fine abbandonò l’auto e si diresse a piccoli passi verso
casa. Ormai si era fatto decisamente tardi.
#####
L’odore dell’aria di casa gli dava il voltastomaco. Andò in bagno dove vomitò per
l’ennesima volta. Si spogliò cercando di mantenere l’equilibrio e si propose di stendersi, ma
non appena apparve sulla soglia della camera da letto Claudia accese l’abajour.
“Accidenti!” imprecò Carlo Alberto.
“Dove sei stato?”. Carlo Alberto non rispose.
Claudia iniziò un lungo monologo.”Guarda in che condizioni ti trovi, sono stufa!
Vergognati!” e tante altre cose.
Carlo Alberto per un po’ resistette poi non fu più padrone della sua volontà.
“Sono fatti miei” disse con una foga della quale anche lui si stupì e qui è preferibile
evitare una cronaca che dalle parole passò agli schiaffi. Carlo Alberto fuori di sé ed in
preda ad una violenza inusuale, senza remore picchiò la moglie selvaggiamente. Dopo
qualche tentativo di difesa Claudia riuscì a divincolarsi ed a fuggire dalla camera da letto.
Carlo Alberto sferrò un ultimo calcio senza colpire il bersaglio e chiuse violentemente la
porta restando l’unico padrone del letto e di sé stesso. Gli ci volle un po’ per calmarsi e
prendere sonno, ma, quando questo sopraggiunse, fu così profondo da annullare qualsiasi
sua ultima iniziativa.
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L’aria all’interno della camera era irrespirabile, ma Carlo Alberto non se ne accorse.
#####
Si risvegliò poche ore dopo. Era ancora buio; erano le cinque. Stava malissimo. La camera
sembrava una giostra e Carlo Alberto era costretto a chiudere gli occhi per la nausea.
Qualsiasi posizione assumesse era peggiore della precedente. Il posto di Claudia era vuoto.
“Chi se ne importa” pensò Carlo Alberto, “vattene via, andatevene via tutti” e pianse come
un bambino.
Poi ricordò Nicolae e la richiesta di soldi e si sentì precipitare.
Si alzò e prese un analgesico. Lottò ancora un po’ e si riaddormentò.
Dopo qualche ulteriore ora di sonno non poteva certo dire di stare meglio, ma a letto non
poteva più resistere.
Si alzò, si regalò una lunga doccia e si preparò ad uscire per prelevare il denaro necessario.
La casa era vuota.
Si avvicinò allo sportello del bancomat all’angolo della via per verificare il saldo del conto
corrente. Digitò il codice segreto. Sul display apparve: “credito residuo = a zero”
“come residuo zero, accidenti!” urlò Carlo Alberto, “Dove sono i miei soldi?” e batté
violentemente il pugno sulla base dello sportello. Non sentì nemmeno il dolore. Provò
un'altra volta ma il messaggio era sempre lo stesso. Gli girava la testa, respirò
profondamente e cercando di sfuggire dal rumore del traffico mattutino attese un orario
decente e chiamò la banca.
#####
Attese che il flusso dell'albero fonico terminasse e chiese di parlare con un operatore.
“Banca Popolare *** sono *** posso esserle utile?” disse una voce anonima all’altro capo
del filo, “Il mio codice identificativo è 1242, conto 9537/04 non riesco a prelevare” disse in
modo brusco Carlo Alberto leggendo i dati su un cartoncino che custodiva nel portafogli.
“Verifico subito” disse gentilmente la voce anonima. Passarono alcuni secondi durante il
quale Carlo Alberto sentì il ticchettio di una tastiera. “Mi dispiace , il conto è azzerato”
continuò con fare tranquillo l’impiegato.
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“Non capisco, mi legge i movimenti?” ordinò Carlo Alberto. La voce anonima invitò Carlo
Alberto ad utilizzare lo sportello bancario poiché non poteva dare informazioni di quel tipo
per telefono.
Recitando tutti i santi del paradiso Carlo Alberto suo malgrado dovette seguire il
suggerimento. Entrò in banca, si fece consegnare l'estratto conto.
Accidenti, c'era un prelievo di 27.800 euro effettuato alle 3:25 di quella mattina. Qualcuno
aveva effettuato un bonifico spostando tutto il denaro che era rimasto.
Si rivolse di scatto verso l'impiegato che aveva soddisfatto la sua richiesta e sibilò “Chi, mi
dica subito chi ha effettuato questo bonifico!”.
L'impiegato con tutta la calma del mondo gli fece notare che il conto era cointestato ….
Carlo Alberto uscì dalla banca in preda ad una profonda amarezza.
#####
Gli avori e quella teca lo avevano attratto fin da bambino quando lo obbligavano a vederli
tenendo la distanza di sicurezza di un metro.
Carlo Alberto tornò a recuperare l’auto nei pressi del pub dove l’aveva lasciata la sera
precedente e si diresse verso la casa di sua madre percorrendo con la vettura il vialetto
principale in modo da preannunciarsi.
“La signora, sua madre è fuori per una passeggiata, la può trovare lungo il fiume” lo
informò la domestica mentre spolverava un mobile da parete.
Carlo Alberto si incamminò in direzione della sponda del Po. Conosceva il percorso abituale
che la portava sull’argine alto da dove si dominavano le sponde fino a dove il fiume
cambiava percorso.
Un cacciatore che avanzava con cane e fucile in spalla lo salutò. Rispose distrattamente al
saluto e, mentre raggiungeva quel luogo, Carlo Alberto pensava a come approcciare con la
madre.
Mamma Lucia era seduta su una sedia per disabili con lo sguardo nel vuoto come se
cercasse i pensieri nell’acqua.
Due ragazzi in canoa stavano remando con movimenti sincronizzati. Si sentivano solo le
loro voci che dettavano il tempo. La badante (una delle due badanti della zona)
raccoglieva fiori lì intorno.
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Mamma Lucia lo vide arrivare, lo squadrò in silenzio e quando le fu vicino lo accolse con
un ”hai bisogno di denaro?”
“Sono venuto a vedere come stai “ rispose Carlo Alberto sorpreso dal tono aggressivo della
vecchia.
“Ti serve del denaro, lo so , ma non te ne do” e Mamma Lucia girò lo sguardo verso il
fiume. Carlo Alberto guardò negli occhi la badante e tornò sui suoi passi.
Si allontanò dalla parte da dove era venuto senza salutare e tornò verso la casa della
madre.
#####
Recuperò uno zainetto dalla sua auto, entrò nella casa eludendo la curiosità della
domestica e si avvicinò alla teca degli avori. Sapeva che la chiave era al solito posto, dove
a suo tempo la teneva suo padre. Aprì la teca e mise tutti gli avori nello zainetto. Salì in
macchina senza farsi notare. Sapeva a chi rivolgersi e probabilmente avrebbe recuperato
qualcosa di più di 10.000 euro.
Il tempo stava cambiando e prima di sera sarebbe piovuto.
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Nicolae intascò i soldi al solito tavolino del solito luogo dei loro soliti affari. “Sono più di
quanto mi hai richiesto,” disse Carlo Alberto con gli occhi rivolti verso terra, “però questa
sera mi serve tua sorella”.
“E’ tutta tua” rispose Nicolae alzandosi.
“Sono già pagato anche per questa sera”.
“Nessuna ulteriore richiesta?” disse Carlo Alberto seguendolo.
“Nessuna, parola mia” disse Nicolae appoggiando una mano sul petto.
Carlo Alberto gli credette.
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“Mi fa schifo, non voglio più” urlò Dacia al telefono nella sua lingua originale. Era la
risposta a Nicolae che al telefono la avvertiva del nuovo arrivo di Carlo Alberto.
“Non voglio più” ed incominciò a singhiozzare.
“Tu farai quello che ti dico” gridò Nicolae stringendo il pugno quasi volesse prepararsi a
colpirla. Se fosse stata lì le avrebbe dimostrato chi dei due comandava.
#####
Claudia se ne era andata con il denaro ... avrebbe dovuto farlo tanto tempo prima. Carlo
Alberto sapeva che la moglie lo tradiva con Aldo, uno con la fama di sciupa femmine del
paese ..
Li aveva pedinati, li aveva visti amoreggiare sulla riva del fiume, li aveva visti salire in casa
di lui un giorno della scorsa estate.
Carlo Alberto era rimasto lì per l’intero pomeriggio, su una panchina del parco di fronte
all’abitazione di Aldo, protetto dall’ombra e dall’imponenza del salice piangente.
Era rimasto lì incredulo ed incerto sul da farsi, se irrompere nell’appartamento e
sorprendere gli amanti o attendere che il pomeriggio terminasse e con lui il tempo a loro
disposizione.
Decise per la seconda possibilità sperando che questa fosse l’ultima volta. Ma di questi
pomeriggi ne vennero altri.
Claudia era cambiata, cantava, cantava tutto il giorno quella maledetta!
#####
Claudia per tutta la scorsa estate era riuscita a stento a nascondere il suo sentimento. Era
innamorata davvero. Aldo le dava ciò che aveva sempre cercato in Carlo Alberto. Era felice
e viveva ogni attimo attendendo il momento nel quale lo avrebbe rivisto.
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Aldo lavorava a Milano e gestiva un’attività legata alla compravendita all’ingrosso di generi
alimentari.
Le volte nelle quali Aldo doveva assentarsi per alcuni giorni per motivi di lavoro, per
Claudia diventavano un'ossessione.
Il suo amante aveva affittato un bilocale in città poco distante da Piazza della Repubblica,
che utilizzava come studio privato e come alloggio quando faceva tardi alla sera o quando
aveva qualche appuntamento al mattino presto.
Ci avevano passato qualche fine settimana. A Carlo Alberto, Claudia, aveva detto che
andava a Milano a fare compagnia a sua zia Piera, ma lui immaginava che razza di
compagnia dovesse fare alla zia. Aveva però deciso di non intervenire: prima o poi si
sarebbero stancati.
Un fine settimana nel quale Aldo aveva avvertito che non sarebbe rientrato, Claudia decise
di fargli una sorpresa. Somministrò a Carlo Alberto la solita scusa, prese il treno e si recò
all’appartamento di Aldo.
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“Tra un ora sarò lì” sussurrò al cellulare Carlo Alberto.
Erano passate ventiquattro ore e la faccenda si ripeteva. Dacia rassegnata strinse gli occhi
a disegnare una smorfia e non rispose. Chiuse la comunicazione ed andò in cucina per
preparare la solita tisana al sonnifero.
Lui passò il tempo che restava in compagnia del silenzio del fiume. Era un silenzio
apparente , rotto dallo starnazzare delle anatre selvatiche.
La solita canoa solcava le acque e due ragazzi pescando sull’altra riva poco distante si
divertivano a lanciare i sassi piatti sulla superficie dell’acqua gareggiando sul numero di
salti che questi facevano.
Così giocava anche Carlo Alberto tanti anni fa.
Il sole iniziava a prepararsi per la notte e sull’altra sponda un airone cinerino stava
immobile sfidando chiunque a fare la prima mossa. Forse, come Carlo Alberto, aspettava
che qualcuno si accorgesse di lui.
Carlo Alberto guardò l’orologio ed attivò il cellulare. Provò a rintracciare la moglie, più per
dovere che per un concreto desiderio. Accidenti a lei, non rispondeva...Sentì un tramestio,
alzò lo sguardo ….E vide l’airone alzarsi in volo.
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“Vieni” la invitò Carlo Alberto che si era introdotto nella casa della madre sicuro di trovarla
addormentata. “Vieni”, la prese per mano e la condusse nel solito rifugio ove Dacia non
avrebbe mai voluto rinchiudersi.
Una volta all’interno del rifugio lui la strinse a sé baciandole il collo. Lei lo lasciò fare
senza manifestare alcuna partecipazione. No, Carlo Alberto non poteva pretendere alcun
coinvolgimento. Che finisse tutto al più presto.
“Sciogliti maledetta”, Carlo Alberto la scrollava,”ti pago per questo”, le intimava sempre
più irritato”. E giù uno schiaffone.
“Voglio sentirti ridere” e giù un altro schiaffone. Lei però non reagiva e lui si irritava
sempre più.
Il lavandino in camera della madre aveva da tempo bevuto il solito infuso con il sonnifero.
Mamma Lucia attese che gli occhi si abituassero al buio poi si alzò barcollando. Si attaccò
alla sponda del letto per non cadere e aiutandosi come poteva si avvolse in uno scialle ed
uscì dalla camera. Dall’altra parte del corridoio Carlo Alberto dava sfogo al suo show.
Ormai sogghignava ad ogni schiaffo.
Dacia cercò si scansare l’ultimo di questi ruotando il capo verso la porta; rimase impietrita.
Con una mano sullo stipite e l’altra sul battente chiuso, sulla soglia era apparsa Mamma
Lucia. Carlo Alberto continuava a colpire quando si accorse dello sguardo fisso di Dacia.
Girò il viso lungo la direzione dello sguardo ed incrociò gli occhi della madre.
“Esci immediatamente da questa casa ….” Non l’aveva mai vista così. “Sotto il mio tetto …
vattene”.
Carlo Alberto raccolse la giacca da terra, se la infilò e senza voltarsi usci dal pertugio che
la madre aveva creato scansandosi. Quella donna gli incuteva qualcosa di più della
soggezione. Lo faceva sentire un vigliacco, un debole, una nullità.
Quella donna gli faceva paura.
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Mamma Lucia lo seguì con lo sguardo finché Carlo Alberto non scomparve dietro la porta
dalla quale non era mai entrato.
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La vecchia si rivolse a Dacia “ricomponiti e …….ribellati!”. Dacia la guardò atterrita.
Sul pavimento era rimasto il cellulare di Carlo Alberto, sfilato accidentalmente dalla tasca
nella fretta di infilarsi la giacca. Dacia lo presa istintivamente e lo nascose nel suo vestito
con un gesto protettivo. Poi si domandò perché.
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Dacia era venuta in Italia all’età di 9 anni con il fratello Nicolae di 10 anni più grande di lei
e con la madre. Suo padre non lo aveva mai conosciuto. Come molti connazionali erano
espatriati in cerca di lavoro. Per la verità la madre aveva preso tale decisione anche per
sradicare Nicolae da un ambiente che lo aveva indotto a prestare i suoi servizi alla
criminalità, seppur minorile e ad abusare dell’alcool.
Avevano trovato alloggio in un cascinale ove la madre aveva lavorato al servizio dei
proprietari di una azienda agricola. Anche Nicolae lavorava per l’azienda e veniva
impiegato ora nei campi, ora nella manutenzione dei macchinari agricoli, ora per accudire
gli animali.
Era una pena però, sia per lui che per coloro che lo facevano lavorare. Non si poteva dire
che Nicolae fosse svogliato... non ne voleva proprio sapere, al punto che, malgrado le
insistenze della madre, fu allontanato dal lavoro.
Era quanto di meglio potesse capitargli e da qui al malaffare fu un tutt'uno. Nicolae si fece
ben presto strada tra i nullafacenti fino a diventare il leader, un riferimento per tutti coloro
che abitavano la zona e che avevano deciso di trascurare la legge e la leale convivenza.
In casa quelle poche volte che tornava faceva il monarca. Madre e sorella erano due
cenerentole ai suoi comandi e soprattutto nella sorella, così attraente iniziò ad intravedere
una fonte di reddito.
Le cose precipitarono quando, in seguito ad un incidente, la madre smise di tribolare. Fu
investita da un autoveicolo mentre attraversava la strada principale e senza scalpore, con
la dignità con la quale era venuta se ne andò, lasciando Dacia nelle mani di Nicolae.
All’inizio fu veramente difficile, ma ormai era passato tanto tempo e Dacia aveva imparato
a badare a sé stessa. Si trovò un lavoro per il quale veniva ovviamente sottopagata; ne
trovò uno migliore presso un’impresa di pulizie ed infine divenne la badante di Mamma
Lucia, una donna scontrosa, ma che le pagava il dovuto.
Nicolae non la voleva a tempo pieno, preferiva lasciarla fare, tanto sapeva come gestirla e
come guadagnare di più.
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Poi c’erano gli “extra” (per intenderci quelli che abbiamo visto interessare Carlo Alberto),
Nicolae voleva tutto il denaro per sé lasciandole qualche misericordia per il suo
sostentamento. Le sceglieva i clienti, personaggi facoltosi che in qualche modo poteva
anche ricattare. E, quando Dacia accennava a dare risalto alla sua seppur debole volontà,
erano botte.
#####
Fu quello il periodo durante il quale Dacia passava il suo tempo libero sulle sponde del
fiume a costruire lunghissimi dialoghi immaginari con la madre che la rincuorava con la
sua saggezza e la sua esperienza. Ma come abbiamo visto la madre era morta … Dacia
formulava la domanda e forniva la risposta trasformando quei dialoghi irreali in monologhi
veri che la aiutavano dandole la forza per andare avanti. E fu lì che un giorno malcapitato,
mentre si trovava immersa nei suoi monologhi eterei, avvertì due presenze alle spalle.
“Ehi, ma io ti conosco” disse Stefano (il carrozziere, uno del gruppo di Carlo Alberto) con
la parola un’altra volta impastata e con lo sguardo malizioso.
“Ti conosco anch’io” gli fece eco Flavio, il farmacista (un altro del gruppo) e diede una
gomitata al fianco di Stefano.
Dacia cercò con lo sguardo una via di fuga. Stefano e Flavio si avvicinavano.
“Non avere paura, mica vogliamo farti del male…”continuò Stefano intuendo il suo disagio.
“Non avere paura” ripeté Flavio e giù un altro ghigno.
La ragazza cercò di scappare verso il fiume, ma perse uno zoccolo che rimase tra i sassi.
Correndo scivolò con il piede nudo su uno dei massi bagnati e cadde.
Sulla riva non c’era anima viva..
Stefano e Flavio si contorcevano dalle risate ma non desistevano. Quando si sentì afferrare
un braccio Dacia cercò di difendersi afferrando un sasso e minacciando di lanciarlo. I due
“animali” cambiarono espressione e si fecero seri.
Con fare cerimonioso Stefano mise un piede sulla gonna di Dacia che, stesa a terra, con
questo movimento non poté più muoversi. Con il braccio libero però riuscì a lanciare il
sasso colpendo Flavio sulla fronte.
Fu un attimo, l’uomo inviperito cominciò a scalciare e l’altro “animale”, che per un istante
si era fermato incerto, si buttò nella mischia.
Dacia sporca di terra con le braccia e le gambe sanguinanti riuscì a divincolarsi, ma anche
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l’altro zoccolo la tradì facendole perdere l’equilibrio. Dacia cadde per la seconda volta,
questa volta battendo violentemente la tempia contro un masso.
Echeggiarono due colpi secchi, qualche cacciatore proprio in quel momento aveva
individuato la preda. Stefano e Flavio un po' malconci lasciarono la presa e si dileguarono
istantaneamente...
Sulla spiaggia accanto al corpo di Dacia c’era anche il cellulare di Carlo Alberto che
durante la colluttazione era caduto dalla tasca di Dacia.
#####
Il corpo fu ritrovato da uno dei pescatori che il giorno dopo di buon'ora aveva deciso di
dare sfogo al suo divertimento. La polizia ci mise un niente a risalire al possessore del
cellulare a da qui a dare un nome ai sospetti.
Nicolae non ebbe nemmeno la necessità di collegare il tutto alla presenza del cellulare.
Era già convinto che l’unico famigerato soggetto che in qualche modo poteva aver fatto
del male alla sorella era Carlo Alberto.
Senza Dacia gli mancava una fonte di guadagno; doveva farsi ripagare.
#####
Era sabato mattina e Milano era sveglia da un po’.
Il traffico era come sempre caotico e la gente correva: ognuno era immerso nei propri
pensieri. Claudia era felice e passeggiava fermandosi ad osservare le vetrine. Faceva
freddo, ma chi lo sentiva? Arrivò all’appartamento sorridendo in cuor suo al pensiero
dell’espressione di Aldo. Suonò il campanello e dalla voce semi addormentata che rispose
Claudia contrappose un luminoso: ” Aldo sono io …”
“Claudia, cosa ci fai qui, vengo giù subito … ” sembrava titubante, aveva uno strano tono
distaccato che la lasciò perplessa.
“Non mi aspettava” pensò Claudia quasi per rincuorarsi.
Aldo scese con i capelli arruffati, si era vestito in fretta. “Che sorpresa!” disse appena la
vide. Rimase lì forse indeciso su cosa aggiungere. Claudia gli si avvicinò e gli diede un
bacio sulla guancia.
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“Ti disturbo?” Aldo non fece in tempo a rispondere.
Al balcone del suo appartamento era apparsa una ragazza che indossava un accappatoio
rosa. La ragazza attese che gli occhi si abituassero alla luce. “Dove sei Aldo?” disse la
ragazza guardando giù, senza dare l’impressione di vedere. Claudia si scosto e guardò
Aldo con fare interrogativo.
“Cosa credevi?” disse Aldo rivolgendosi a Claudia, ma lei non lo sentì; stava già correndo
via....Guardò istintivamente in alto , nel cielo azzurro di Milano …E vide l'airone alzarsi in
volo
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Carlo Alberto era introvabile. In preda ad una sorta di vergogna per essere stato sorpreso
dalla madre mentre approfittava di Dacia ed, ignaro del destino della ragazza, aveva
passato le ultime ore vagando in prossimità degli argini calpestando la vegetazione.
Spostandosi verso l’interno aveva trovato una “casina”, una di quelle costruzioni agresti
ormai utilizzate soltanto dai cacciatori che vi sostavano per una merenda e qualche ora di
riposo e dagli animali che ne ripulivano gli avanzi.
Si riposò per alcune ore poi decise di ritornare a casa: aveva tra le altre cose necessità di
cambiarsi.
Improvvisamente si ricordò di non avere nemmeno un centesimo, chissà dove si era
cacciata sua moglie! Rassegnato uscì dalla “casina” e vide lì, a poca distanza dalla stessa
un airone, un altro o forse lo stesso di sempre, che immobile guardava fisso davanti.
Sentì un fruscio, alzò lo sguardo ...E vide l'airone alzarsi in volo
#####
Raggiunse la macchina e quando fu vicino a casa, la casa dove aveva vissuto con Claudia,
Carlo Alberto parcheggiò l’auto al solito posto, vicino ad un fuoristrada nero domandandosi
chi ne fosse il proprietario. Entrò in casa.
“Ciao” sussurrò una voce maschile con l’inconfondibile accento straniero,
“hai lasciato la finestra socchiusa e sono entrato ... fai attenzione, potrebbe piovere dentro”
aggiunse sarcastico compiacendosi per la battuta.
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Nicolae era lì che lo aspettava.
“Cosa hai fatto a mia sorella?”. Carlo Alberto si irrigidì.
“Niente, questa volta proprio niente” aggiunse deglutendo.
La sua voce aveva una strana vibrazione. Era paura.
“Dacia è morta; tu che ruolo giochi in questa faccenda?”
“Come è morta, cosa dici?” Nicolae carpì la sorpresa nella sua voce, ma non si fece
influenzare.
“Tu che ruolo giochi in questa faccenda?” incalzò Nicolae.
“Come è morta, cosa è successo?” rispose Carlo Alberto.
“Cosa le hai fatto!” gli urlò Nicolae e gli si avventò conto. Carlo Alberto cercò di
proteggersi, ma qualche carezza arrivò.
Poi mentre Carlo Alberto si toccava il viso gonfio e formicolante Nicolae parve darsi un
contegno. “Sai quanto mi devi dare?” chiese Nicolae
”l’equivalente di quanto avrei guadagnato con la mia sorellina” e sparò una cifra che Carlo
Alberto non avrebbe mai potuto ottenere.
“Non ho quella cifra, non ce l’avrò mai e non c’entro niente con la morte di tua sorella”.
La risposta fu “ci vediamo domani al solito posto con i soldi”. Nicolae ruotò su sé stesso e
richiuse la porta dietro le spalle con un tonfo violento che fece cadere alcuni soprammobili.
#####
Quella notte Carlo Alberto, solo e in preda all’ansia, non dormì. Dove si sarà cacciata
Claudia?
Di tanto in tanto si sentivano lontano dei tuoni, come se un temporale estivo stesse
predisponendosi per regalare al mondo tutta la sua furia. Un temporale estivo in ottobre?
Il mattino seguente Carlo Alberto uscì di buon'ora, c’erano delle forti folate di vento freddo
che penetravano fino nelle ossa. Il cielo non prometteva niente di buono. Decise
comunque di continuare e, fatti pochi metri, in prossimità dell’edicola, vide l’addetto che
riponeva i quotidiani all’interno del gabbiotto. Fece in tempo a leggere i titoli e scoprì
quanto fosse fondata la storia che Nicolae gli aveva raccontato in merito al destino di
Dacia.
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Doveva nascondersi, la polizia lo cercava, Nicolae lo aspettava e sua madre? Dio mio,
dopo questa faccenda lo avrebbe di sicuro “dimenticato”. Non c’era tempo da perdere.
Tornò a casa, raccattò qualcosa e lo scaraventò in uno zaino e riprese in fretta la strada
per la “casina” sulla riva dell’Adda. Lì per ora non lo avrebbero cercato.
Incominciavano i primo scrosci di pioggia.
Carlo Alberto cercò della legna e passò il tempo ad aizzare il fuoco e a mantenerlo vivo
incerto sul da farsi.
E così fece i giorni successivi, visto che il freddo si faceva sentire e la pioggia non
accennava a diminuire.
#####
Piovve per giorni e giorni; non smetteva più. Per l’Italia settentrionale ed in particolare per
la Pianura Padana furono giorni di intense precipitazioni.
L'innalzamento del livello delle acque del fiume suscitò ben presto viva preoccupazione
nelle zone rivierasche del medio e basso corso e via via il livello d’allarme risalì verso nord
ed interessò anche tutti i suoi affluenti.
L’enorme portata d’acqua non riusciva a defluire. Il mare non riceveva e le acque
superavano gradualmente il livello di guardia iniziando a tracimare.
Ovunque iniziarono freneticamente i lavori di rinsaldo e riparazione degli argini e l’azione
di tamponamento di infiltrazioni e neutralizzazione di fontanazzi.
Ben presto in molte località le acque avevano sfondato gli arginelli di sostegno, e
penetrarono verso l’interno sommergendo campi e abitazioni. Incominciarono ad arrivare
segnalazioni di disgrazie umane.
Circa quattrocento famiglie erano già state evacuate in Piemonte ed almeno un migliaio tra
Lombardia e Veneto si apprestavano a sfollare. Il grande panico si era tramutato in
disperazione; nella notte si infittivano le file di gente terrorizzata in fuga.
Intensa e implacabile si rivelò l'opera dei vigili del fuoco, dei carabinieri, degli elicotteri e
dei barcaioli indispensabili per organizzare il trasporto di evacuati.
Ovunque, lungo il corso dei fiumi si potevano vedere masserizie accatastate, derrate delle
riserve familiari e bestiame abbandonato al suo destino.
Ma le piogge non accennavano a fermarsi.
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Nicolae attese invano Carlo Alberto, poi furibondo decise di ricordare a quel rammollito chi
comandava.
Non voleva perdere tempo, avrebbe agito da solo. Si fece riempire una tanica di benzina e
si diresse a grande velocità verso l’appartamento di Carlo Alberto incurante della pioggia.
Un rogo, un bel rogo come punizione.
Prese una strada secondaria che costeggiava il fiume. Era stretta, ma veloce. L’acqua
aveva già invaso l’asfalto e stava aumentando il livello. Non importava, nessuno lo avrebbe
fermato.
Lo fermò invece una curva a gomito.
L’auto sfondò le barriere stradali e cadde nel fiume. L’impatto fu violento e le portiere
rimasero bloccate. Nicolae cercò disperatamente di rompere il vetro, visto che non c’era
alcuna possibilità di abbassarlo. L’acqua invase l’abitacolo. Nicolae cercò di divincolarsi, ma
fu tutto inutile.
Il suo ultimo pensiero fu per Carlo Alberto.
Il suo corpo dentro la carcassa dell’auto fu trovato parecchio tempo dopo. Non lo pianse
nessuno.
#####
A San Rocco, il paese di Carlo Alberto, l’acqua sfondò gli argini poco prima delle 5 ed
allagò per primo un vecchio cascinale di periferia arrivando in breve tempo al centro del
paese. Intorno al cascinale allagato il livello dell’acqua in alcuni punti arrivava anche a un
metro e mezzo circa.
Le quattro famiglie, di origine Pakistana e Rumena, che abitavano nell’edificio erano
composte da lavoratori che prestavano la loro opera nelle stalle della zona. C’erano anche
alcuni bambini tra i quali anche un disabile. Alcuni individui risultarono subito dispersi, gli
altri riuscirono ad arrampicarsi su una serie di pioli murati fino ad arrivare al fienile.
Al centro del paese, tolta la piazza principale che per essere sopraelevata rispetto a tutte
le altre zone era la sola ad essere sgombra, l'acqua si era alzata mano a mano allagando
tutto ciò che trovava.
La zona della stazione registrava un'altezza d'acqua di metri 1,20 ed il Duomo era
sommerso da 1,3 metri di liquami.
Corso Garibaldi era interrotto in tre parti formando altrettante isole divise da canali
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profondi. Il paese, per l'allagamento di una cabina elettrica, era rimasta senza luce. Non
v'erano fiaccole, non v'erano altri mezzi di illuminazione.
Si organizzarono delle cordate a nuoto, qualche coraggioso si avventurò, assicurato con
corde, nel salvataggio di uomini e animali.
#####
Carlo Alberto aveva abbandonato il suo rifugio non appena si era reso conto del pericolo di
esondazione diretto verso il centro del paese, ma non aveva fatto in tempo ad evitarla e si
era trovato con l’acqua alle ginocchia.
Aveva percorso qualche centinaio di metri incerto se proseguire, quando notò una
imbarcazione a remi fissata ad un palo conficcato nella riva che sembrava reggere la forza
delle acque che intanto gonfiava. Era lì da tempo, forse da sempre, probabilmente a
disposizione di qualche pescatore.
Si fece coraggio, la raggiunse e salì a bordo. Iniziò a remare. All’inizio l’imbarcazione
sembrava governabile, ma ben presto l’uomo perse il controllo e la stessa si diresse verso
una catasta di attrezzi e materiali, proprio in prossimità del cascinale di periferia nel quale
abitavano le quattro famiglie citate in precedenza.
In cima alla catasta, in equilibrio precario c’era un ragazzino inginocchiato che urlava
qualcosa a Carlo Alberto indicando l’acqua. Carlo Alberto seguì con lo sguardo la direzione
indicata e capì.
Attese che l’imbarcazione si fermasse contro la catasta e si buttò in acqua premendo le
narici. Nuotò sott’acqua e risalì. Non aveva trovato niente. Riguardò il ragazzino che
indicava il solito punto e si rituffò.
Questa volta sott’acqua vide una massa che si andava formando. Si rese conto che si
trattava di due bimbi abbracciati. Li raggiunse, raccolse le forze e li spinse entrambi verso
l’alto. Risalì e li cinse entrambi con il braccio sinistro riuscendo a raggiungere la barca.
Li caricò all’interno dell’imbarcazione entro alla quale era arrivato anche il bimbo che si
trovava in cima alla catasta dei materiali.
Stese i tre bimbi sul fondo della barca e li coprì con la giacca che si era tolto prima di
lanciarsi in acqua. Stremato, incominciò a remare portando l’imbarcazione in prossimità
del cascinale, incitato da coloro che dal fienile avevano assistito alla scena. Si caricò i
bimbi sulle spalle ad uno ad uno e, utilizzando i pioli che erano già serviti agli altri individui,
li portò tutti in salvo sul fienile.
Quando furono tutti a destinazione Carlo Alberto tornò alla barca e prese la direzione del
paese alla ricerca di aiuto. In prossimità del paese incrociò le squadre di volontari che
stavano intensificando la loro opera e, raccomandato loro di raggiungere il fienile, si
abbandonò.
61
#####
Ci vollero alcuni giorni, ma alla fine le acque si ritirarono e le operazioni di recupero
riuscirono. Già il giorno dopo l’esondazione, nella tarda mattinata, il centro della città era
quasi saturo di scampati e pericoli imminenti nella periferia non se ne segnalavano più.
Purtroppo si contavano molti dispersi.
Mancavano i viveri, mancava soprattutto il latte, l'acqua e i medicinali.
Sul selciato della piazza Garibaldi vennero tracciate grandi fasce di tinta bianca e rossa. Da
tutti gli edifici vennero esposte bandiere. Sembravano il segno di una grande festa, ma in
realtà sventolava soltanto una disperata speranza.
Finalmente arrivò anche un pallido sole e regalò ai sopravvissuti lo spettacolo dello
scempio operato dalla furia delle acque. Intanto riaprivano dapprima timidamente i negozi
indispensabili, poi anche i bar e perfino un paio di negozi da barbiere. Suonavano le
campane e la gente si ritrovava a confabulare in piazza. Il livello dell'acqua contro gli
argini scese quasi di un metro e se ne andò per una rotta lontana dal paese.
#####
Già pregustava il senso della notorietà, che sarebbe derivata dall’eco dell’impresa.
Carlo Alberto si sentiva utile come non si era mai sentito. Mamma Lucia sarebbe stata
finalmente fiera. Questa volta aveva dimostrato la tenacia che gli aveva sempre
rimproverato di non possedere. Il sentimento era dentro di sé, era dentro assopito e
finalmente si era liberato.
In preda a queste sensazioni Carlo Alberto vagava per il paese godendosi il risveglio. Si
offriva a chiunque avesse necessità.
Era prodigo di consigli e scambiava volentieri impressioni con chiunque fosse disponibile
ad ascoltarlo.
Fu riconosciuto però, qualcuno ricordò gli avvenimenti “pre esondazione” ed avvertì le
Forze dell’Ordine.
Carlo Alberto dalla “casina” in riva all’Adda, piccola ma confortevole, passò ad uno spazio
delle stesse dimensioni che però condivideva con altri due individui, per intendersi due
personaggi della stessa pasta di Nicolae.
Nicolae, appunto, dov’era finito?
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#####
Epilogo
Intanto Stefano e Flavio, non sapendo come muoversi, decisero di consultarsi con Max, il
loro compagno avvocato. Questi, una volta acquisite le informazioni necessarie suggerì
loro di starsene zitti e tranquilli …
“intanto non vi ha visti nessuno ed io non ricordo già più cosa mi avete raccontato”, e
sorrise in modo sarcastico.
Così fecero i due compari e, a parte qualche notte insonne, ben presto per loro tornò tutto
alla normalità.
Carlo Alberto insieme al suo avvocato (che affrontò il processo di malavoglia visto che non
sapeva chi l'avrebbe pagato) non riuscirono a dimostrare l'estraneità al fattaccio e di
conseguenza il nostro protagonista fu condannato.
Alla notizia della condanna Claudia, la moglie di Carlo Alberto, si sentì libera. Tornò nella
sua casa e visse tranquilla senza né marito né amanti.
Mamma Lucia l'apprese dalla badante che le leggeva il giornale. Si fece condurre sulla riva
del Pò e rimase lì tutto il giorno, guardando scorrere l'acqua, senza nemmeno pranzare.
#####
Si preannunciava una bella giornata. Carlo Alberto, in piedi davanti alla finestra attendeva
di essere trasferito nel carcere di destinazione ed osservava il cielo che si illuminava
gradualmente. Non aveva dormito per tutta la notte, non ci era riuscito.
Carlo Alberto guardava l'orizzonte e vedeva sfumare la sua dignità di uomo ...
Stormi di uccelli solcavano il cielo disegnando figure iperboliche.
L’airone era là, eretto, attento ad ogni suono ed a ogni evento, sembrava in attesa. Ad un
certo punto si accorse di un guscio di noce con il quale litigò senza ottenere risultato.
Desistette, quindi con un violento battito di ali si lanciò nel cielo.
E Carlo Alberto …. vide l'airone alzarsi in volo.
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IL PAESE DELL’AGAPANTO
Introduzione
L’agapanto è un fiore diffuso nell’emisfero australe e nella Repubblica Sudafricana, in
particolare nella regione del Capo dove viene coltivato per la bellezza delle sue
inflorescenze costituite da fiori singoli di due specie, una di colore azzurro, l’altra bianca. E’
un fiore che non cresce in modo spontaneo dalle nostre parti, ma… nel paese di Sant’Ilario
sì, solo lì, cresce rigoglioso come fosse un fiore selvatico ed i campi ed i giardini ne sono
pieni. Durante la bella stagione per tutto il paese si estendono bordure candide o di
quell’azzurro particolare che lo contraddistinguono e che fanno etichettare quel luogo
come “il paese dell’agapanto”.
Ma non è sempre stato così. La natura che circonda il paese di Sant’Ilario, prima degli
avvenimenti che cerchiamo di raccontare, era bella e ricca come sono belle e ricche le rive
del Po, ma non aveva tracce di quei magnifici fiori. E' su queste rive che intorno al XVI
secolo visse un sant’uomo, Omobone, venerato da tutti e che apparteneva a tutti i suoi
conterranei. Le sue fatiche missionarie furono costellate da profezie e guarigioni al punto
che quando ancora in giovane età concluse il corso della sua vita terrena, ci fu un’unanime
richiesta di beatificazione e il Papa pochi anni dopo lo proclamò Beato.
E questo sembrava il primo passo verso la Santificazione ma, inspiegabilmente, da allora
nessuno si ricorda più di lui. Non un pensiero, non una preghiera non un fiore. Di lui
rimane solo qualche citazione in pochi documenti ed un grande affresco dipinto da un
autore anonimo che occupa il lato destro dell’altare maggiore della chiesa del paese e che
raffigura Omobone inginocchiato che offre un agapanto azzurro a qualcuno. Purtroppo non
si capisce a chi….
#####
“S…s…sei pronta?” disse Donovan rivolgendosi alla moglie. Donovan balbettava ogni volta
che si agitava.
“Senti Donovan io non me la sento “ rispose Maria pallida e con le labbra quasi viola.
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I due abitavano in un piccolo paese lontano circa ottanta chilometri da Sant’Ilario e si
trovavano nel paese degli agapanto per una concreta difficoltà.
Dopo l’incidente che lo aveva reso claudicante, le cose erano precipitate. Innanzitutto
Donovan (si chiamava così in onore del cantautore inglese) aveva perso il lavoro. La
compagnia per la quale lavorava si era infatti trasferita all’estero lasciando tutti i
dipendenti senza occupazione, oltretutto senza che fosse saldata alcuna pendenza. Ed,
anche se era in corso un’azione legale nei confronti della stessa compagnia, ci voleva
tempo e Donovan e sua moglie Maria avevano dato fondo ai risparmi.
Poi c’era l’annoso vizio del venerdì sera: il gioco d’azzardo. Donovan c’era dentro fino al
collo e si era giocato tanto, troppo ed aveva perso. In più, saputo da uno dei compari che
gli avevano asciugato le tasche che proprio a Sant’Ilario c’era un barbiere, un certo Gusto,
che aiutava i dannati in difficoltà prestando denaro con tassi “ragionevoli”, lo aveva
contattato e si era fatto prestare una somma considerevole. Aveva quindi giocato tale
somma il venerdì successivo e …. aveva perso anche quella. Così Donovan aveva
incominciato ad assaporare il retrogusto dei debiti.
Maria dal canto suo era all’ottavo mese di gravidanza e stava male. Le nausee, i
mancamenti ed i malori in genere che avrebbero dovuto dissolversi dopo il terzo mese
continuavano ed era in continua minaccia d’aborto, al punto che le era stato prescritto il
riposo assoluto. Diciamo però la verità: come si poteva fare con tutte quelle pendenze?
Maria tentava quindi di trovarsi un'occupazione che in quelle condizioni ovviamente non
trovava.
Così, come succede spesso agli infelici, Donovan decise di reagire e dopo un’ attenta
valutazione delle opportunità decise che “i soldi vano presi dove si trovano”. Si trattava
soltanto di decidere dove agire. Le banche era chiaramente da escludere in quanto troppo
impegnative e così i vari esercizi economici della zona (troppo vigilati). Ed ecco l’idea:
l’ufficio postale di Sant’Ilario da un’indagine sommaria risultava accessibile sia per la
vigilanza superficiale che vigeva (non era mai capitato niente) che per il personale che, da
informazioni raccolte, sembrava poco attento. Perché non tentare lì? Non fu semplice
convincere Maria ma alla fine Maria acconsentì. I due disperati quindi decisero di provare a
prendere la mazzata finale.
Ora erano lì, di fronte all’ingresso dell’ufficio postale su una vecchia SW, che attendevano
il momento propizio per fare l’architettata irruzione, per quanto in quelle condizioni si
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potesse parlare di “irruzione”. Ed il momento propizio arrivò.
“ S …S…Sei pronta? “ ripeté Donovan con una voce colma di angoscia.
“ Senti Donovan io non me la sento “ rispose per la seconda volta Maria
“Ehi, s…s…sei imp…imp…impazzita? … s…s…stai s…s…scher…scher…scherzando
v…v…vero, ci r..r..resta s…s…solo qu…qu…quest’ultima op…op….opportunità .. “ sbottò
Donovan
“il b…b…barb…barb…barbiere rivu…vu…vuole tutti i su…su..suoi soldi “ aggiunse Donovan
sottolineando le ultime parole.
A queste parole Maria strinse le labbra e sussurrò un: “ va bene, come vuoi…” senza
alcuna convinzione.
#####
Sarà stato per quel continuo andare e venire dentro e fuori dal locale che spalancava
l’ingresso a folate di aria gelata. Sarà stato forse perché ormai aveva qualche anno in più
rispetto a quelli che teneva scolpiti nella mente. Fatto è che le varie pappine, tisane e
unguenti che si è sempre vantato di utilizzare non facevano più effetto e così Gusto, il
barbiere di Sant’Ilario, che non si fidava dei medici, due giorni fa era stato costretto a
rivolgersi all’unica persona che riteneva in grado di curarlo. Si trattava di una figura un po’
inquietante che viveva in solitudine sulle rive del Po e che aveva fama di guaritore e di
indovino. Il barbiere risalendo l’argine era arrivato fin là annaspando ed imprecando in
cuor suo per la fatica.
Il guaritore lo aveva ricevuto con fare distaccato e lo aveva tastato facendolo tossicchiare
più volte. La faccenda non gli piacque. Ad ogni colpo di tosse strizzava gli occhi ed
assumeva un’aria sempre più preoccupata al punto che dopo essersi fin troppo contenuto,
Gusto sbottò: “allora cosa c’è? “.
Ma il guaritore con uno strano cipiglio, non aveva risposto fino al termine della visita
quando, senza proferire alcuna sentenza e senza cambiare espressione, gli aveva
prescritto una serie di inalazioni.
“Ogni sera …” gli aveva raccomandato “ogni sera”.
E così Gusto fece due sere fa; dopo cena il nostro barbiere incominciò ad inalare.
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“Questo fomento non fa niente” pensò, come se si trattasse di una soluzione magica;
tuttavia arrivò fino in fondo.
Dopo un paio d’ore però cominciò a sudare freddo ed a vedere la stanza ruotare tutto
intorno. Fu lì lì per chiedere aiuto, ma resistette e nel giro di un'ora, un'ora d’inferno, dopo
aver svuotato lo stomaco più volte, il tutto gradualmente svanì.
Il giorno seguente Gusto, ridotto ad uno straccio, con un cerchio alla testa ed una
sensazione di spossatezza e di indolenzimento del collo, si apprestava ad aprire il negozio.
Vista la sensazione di nausea che si ritrovava però non appena tentava di chinarsi, decise
di posticipare l’operazione e tornare dal guaritore per spiegare l’accaduto.
“Sei allergico, sospendi subito i fomenti” sentenziò il guaritore non appena Gusto terminò
l’esposizione dell’accaduto. E’ meglio utilizzare quest’altro sistema “
Scrisse qualcosa su un foglio bianco e continuò:
“Sono supposte che confeziono personalmente, ti faranno bene e non ti creeranno alcun
problema” e gli elargì alcune pacche sulla spalla.
“ Non poteva prescrivermele prima?” pensò il barbiere, ma non ebbe il coraggio di
ribattere. “Mi raccomando, una al mattino e una alla sera” terminò il guaritore e, dopo
aver ricevuto adeguata ricompensa, consegnò le supposte e senza attendere un attimo in
più, licenziò il barbiere.
Così Gusto, dopo una giornata d’inferno, con i postumi della serata precedente, prima di
coricarsi mise la prima supposta. Dopo pochi secondi però ebbe la sensazione di essersi
infilato un fiammifero acceso, un bruciore tremendo che lo fece letteralmente saltare per
alcuni minuti. Poi il dolore piano si attenuò e Gusto si schiantò addormentato russando
come un maiale con il raffreddore.
Anche questa volta dopo un paio di ore si svegliò madido di sudore, con la parte sinistra
del corpo bloccata che non rispondeva ai suoi movimenti, come fosse stato colpito da
ischemia. Stette malissimo per circa un’ora, poi lentamente passò.
Così quella mattina aveva pensato di tornare dal guaritore per la terza volta ma strada
facendo aveva incontrato il farmacista del posto che a passeggio con il cane, sentito il
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racconto di Gusto lo aveva seguito fino a casa per verificare di persona la natura dei due
prodotti.
“lo sai Gusto che si tratta della stessa cosa?” disse il farmacista dopo un esame sommario
dei due prodotti, “ il principio attivo è il medesimo. In poche parole c’è lo stesso
componente sia in quello che hai inalato che in quello che hai assunto. Caro Gusto, se sei
allergico al primo sei sicuramente allergico anche al secondo prodotto “ sentenziò.

Sant’Ilario, patrono del paese che abbiamo descritto sopra, era disperato.
“Possibile che con tutto lo spazio che c’è in Paradiso non si possano prevedere camere
singole?” pensava mentre passeggiava in prossimità del suo alloggio, “Proprio con questo
paranoico di Beato …” .. E ne aveva tutte le ragioni. Il Beato Omobone, suo compagno di
camera, viveva in uno stato di paranoia dalla quale sembrava non volersi riprendere.
“Chissà cosa crede di risolvere con queste ambizioni di carriera?” pensava “e poi, dovesse
anche esaudire questo suo desiderio, ma cosa crede di ottenere? Non ha ancora capito
che al di là della gratificazione personale, in fondo in fondo è la stessa cosa? Privilegi non
ne esistono, al contrario aumentano i doveri e gli obblighi”. “Santo, Santo, in fondo è solo
un problema d’immagine”.
Ad un certo punto si fermava immaginando di trovarselo davanti e sentenziava” Te lo dice
uno che ormai è fin stufo di sentirsi chiamare così…”
Poi cambiava direzione, dietro front e diceva a sé stesso “ora lo affronto e gli dico di
farsene una ragione. In fondo si possono servire Dio e gli uomini anche senza troppi titoli,
anche senza troppo clamore ….”.
Un giorno, al culmine della sopportazione, trovò il coraggio per affrontarlo per spiegare
quanto fosse fuori posto questa sua ambizione, ma …. evidentemente sbagliò l’approccio.
Fatto è che il Beato Omobone non ne volle sapere e per tutta risposta incominciò a
rimanere a letto tutto il giorno in una paranoia completa.
Sant’Ilario a questo punto si decise a chiedere colloquio a Dio e, ottenutolo, Gli espose la
questione sentendosi rispondere: “Fatelo rinascere affinchè possa rinnovare la sua opera”.
Pronunciate queste poche parole Dio lo allontanò.
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“Che razza di consiglio sarebbe?” pensava Sant’Ilario, “farlo rinascere … ma è roba da
matti!”. Ma più lo ripeteva più si rendeva conto che non trovava alternative e,
considerando che quello che diceva Dio non andava discusso, si rassegnò e non perse
tempo.
Prese di peso il Beato Omobone, lo rimise in piedi e lo costrinse a seguirlo. Quindi si
incamminò verso la periferia del Paradiso per raggiungere il luogo di smistamento delle
nascite.
#####
Il guaritore o l’eremita come lo chiamavano tutti secondo l’ispirazione del momento, in
passato, era stato frate nel convento di San Bartolomeo e tra le varie mansioni e gli studi
di medicina si era anche specializzato nell'osservare il cielo per individuarne i presagi che
utilizzava per funeste predizioni. Quest’ultima pratica aveva provocato attriti con i superiori
dello stesso convento più inclini a delegare a Dio l’esito delle “fatalità” che a prendere in
considerazione le fantasticherie e l’ostinazione di un visionario convinto di essere il
tenutario della verità. Così, dopo innumerevoli richiami ad un comportamento più sobrio,
era stato dapprima isolato e successivamente allontanato. Non avendo altra possibilità di
dimora, il guaritore aveva scelto di ritirarsi in riva al fiume.
Viveva solo, in una capanna costruita alla meglio e abbandonata. L’arredamento era
austero, con un piccolo altare in prossimità della finestra che il guaritore utilizzava per
celebrare le sue funzioni. Ovunque si trovavano cumuli di libri e documenti accatastati con
cura, c’era un tavolaccio e della paglia che lo stesso guaritore utilizzava come giaciglio.
All’esterno della capanna, aveva costruito una specie di soppalco con tanto di tettoia sulla
quale aveva posizionato un telescopio di sua costruzione, che era lo strumento terreno che
gli risultava più caro. A lato della capanna aveva realizzato un recinto pieno di capre che
gli fornivano lavoro e sostentamento ed infine in una sezione soleggiata di terreno,
protetto dalla curiosità delle capre e degli animali in genere da una barriera naturale di
massi, il guaritore aveva progettato uno splendido giardino, unico nel suo genere, pieno di
agapanto azzurri e bianchi. L’arte della coltivazione di questi fiori gli era stata trasmessa
da un suo confratello che aveva a sua volta importato i fiori in occasione di un suo viaggio
in Africa.
#####
Forse per un segno recondito del destino Sant’Ilario vide dal Paradiso gli avvenimenti della
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rapina di Donovan e Maria all’ufficio postale. Fu colpito dalla semplicità dei due rapinatori e,
vista che per far rinascere il Beato Omobone bisognava scegliere una mamma, scelse
Maria. “Non è possibile” rispose l’angelo addetto alle nascite, “sta compiendo una
scelleratezza..” Ma Sant’Ilario insistette così tanto che il suo desiderio fu esaudito. L’angelo
addetto alle nascite quindi tolse il bimbo dal grembo di Maria e vi ripose il Beato Omobone,
tornato bambino, che si apprestava in questo modo a rinascere.
#####
Indossarono entrambi una di quelle maschere che a carnevale ricoprono l’intero viso, una
di Nonna Papera e l’altra di Dracula e si apprestarono a compiere l’azione famigerata.
All’ingresso dell’ufficio postale Maria disse;
“ non sto bene, il bimbo si agita ….” ma Donovan la spronò:
“ f…f…forza, andiamo” . Estrasse l’arma giocattolo che puntò verso l’interno seguito da
Maria che fece altrettanto (anche lei con un’arma finta).
“F…f…fermi tutti v…v…vogliamo solt…solt….soltanto i vostri s…s…soldi” e lanciò un
sacchetto all’impiegato urlando: “f…f…f..orza riem…riem…riempilo”
I presenti erano attoniti , in una situazione di sorpresa e di irrealtà che faceva anche un po’
ridere. E, come non bastasse, Maria tentò di supportare gli ordini del marito, ma prima che
la voce potesse uscire gridò ““ah!!”, si piegò in due e cadde sul pavimento dove rimase
distesa. Il suo ventre sembrò quasi svuotarsi e poi improvvisamente rigonfiarsi (ricordate
l’angelo che aveva scambiato i bimbi mettendo Omobone nel ventre di Maria?).
Donovan lasciò cadere l’arma giocattolo e prima di inginocchiarsi su di lei riuscì a dire:
“No, Nooo non ora!”.
Vedendo però che Maria non si riprendeva si tolse la maschera e la lanciò lontano e nello
stesso momento sollevò la maschera che copriva il volto di Maria in modo da lasciarla
respirare. Maria aveva una smorfia disegnata sul viso; perdeva un filo di saliva dall’angolo
destro della bocca e gli occhi erano riversi.
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“M….M…Maria mi s…s…senti?” supplicò Donovan accarezzandole il viso.
I presenti capirono la situazione e cercarono di avvicinarsi, ma Donovan li tenne a debita
distanza urlando: “lasc…lasc…lasciatela res…res…respirare vi p…p…prego”.
Il respiro però si fece un rantolo poi piano tornò regolare ed il viso di Maria divenne
madido di sudore. .. Insomma per farla breve: appena iniziata la rapina iniziarono anche
le doglie.
Una signora che si trovava per caso nell’ufficio postale, intuita la situazione si fece avanti
dicendo:
“lasciate fare a me che sono una mamma “.
Arrotolò il suo maglioncino quasi fosse un cuscino e lo pose sotto la testa di Maria ed
incominciò ad impartire ordini al punto che ognuno dei presenti risultasse coinvolto.
Le doglie durarono un niente e nacque un bimbo, lì nell’ufficio postale. Sembrava un’
assurda avventura a lieto fine ma appena il bimbo nacque Maria peggiorò e fu necessario
il trasporto in ospedale ove giunse verso mezzogiorno in condizioni disastrose.
Una volta sistemata Maria all’ospedale, Donovan tornò all’ufficio postale a riprendersi il
bimbo, ma non appena lo ebbe tra le braccia, si sentì perso ed inadeguato. Lo portò in
macchina avvolgendolo in un plaid, corse a prender del latte di mucca in una rivendita
vicina pensando: “magari ha fame” e gliene versò parte in bocca con il rischio di soffocarlo.
Poi si diresse dalla parte opposta rispetto all’ubicazione dell’ospedale, verso la chiesa e,
verificato che risultava chiusa per la pausa pomeridiana e che non c’era anima viva nei
paraggi, abbandonò il bimbo sul sagrato, al lato destro dell’ingresso principale.
#####
Si udì lo stridore sommesso di una porta che si appoggiava su cardini mal lubrificati e
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pochi istanti dopo un “ding … ding,ding,ding…” come se una piccola sfera di vetro fosse
caduta e si fosse divertita a rimbalzare sul pavimento. Al primo “ding” iniziò un incredibile
“rosario “ di imprecazioni che spaziavano tra la citazione delle donne perdute in tutte le
loro ricette fino alla menzione di alcuni Santi del Paradiso, con un corollario di aggettivi
irripetibili.
“Niente di eclatante …” direbbe qualcuno, considerando gli spettacoli verbali ai quali
spesso nostro malgrado siamo costretti ad assistere e noi, potremmo trovarci anche
d’accordo con una affermazione di questo tipo, se in questo caso questa esibizione di
sapienza non provenisse … dall’interno di una Chiesa.
Erano le undici del mattino ed a quell’ora questa benedetta Chiesa era ancora chiusa ai
fedeli.
Quando dopo una serie di rimbalzi l’oggetto di vetro si fermò, ci fu qualche istante di
silenzio. Poi iniziò il rumore metallico di un catenaccio arrugginito che veniva aperto con
qualche difficoltà. ”Gnaooo… gnao, gnao, gnao…”
Quando il catenaccio giunse a fine corsa e si poterono finalmente disallineare i battenti,
dall’interno fece capolino, guardingo e curioso di verificare se qualcuno avesse assistito a
cotanta esibizione, l’autore del citato sfoggio di intelletto: il sagrestano della stessa Chiesa.
Costui inforcava un paio di occhiali che da un lato mostravano la sola montatura, in parole
povere mancava una lente che evidentemente stava all’origine del “ding … ding” di poco
fa.
Assicuratosi che non esistessero testimoni si inginocchiò ed, anche se qualcuno potrebbe
pensare che volesse chiedere perdono per la sfuriata, in realtà voleva semplicemente
cercare questa maledetta lente. Finalmente la trovò. Si rialzò, la forzò all’interno della
montatura e con sua grande soddisfazione rincominciò a vedere …. da quell’unico occhio
buono che gli era rimasto (l’altro occhio era coperto dalla palpebra socchiusa).
Lo chiamavano “Tarcisio il brut” per l’aspetto non proprio da attore cinematografico o a
scelta “il premio Nobèl” con l’accento sulla “e” in modo da ottenere un appellativo che in
buona parte del nord Italia significa “ no bèl” (ovvero brutto). Ed i fedeli non perdevano
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occasione per ricordaglielo, soprattutto all’Offertorio quando lui, il Premio Nobèl, passava
per le panche a raccogliere le offerte. In tali occasioni nella Chiesa si sentivano più tonfi
che preghiere; infatti il sagrestano utilizzava il contenitore delle monete come fosse una
mazza da stampare in testa a tutti coloro che osavano chiamarlo così.
Recuperata finalmente la vista, il Premio Nobèl aprì i battenti del portone principale senza
accorgersi che, appoggiata al battente di destra, era stata riposta una coperta che
avvolgeva il corpicino di un neonato che, evidentemente, dopo aver strillato a dovere,
esausto, si era addormentato. Quando il rito di apertura fu compiuto il nostro amico
sagrestano si fermò a contemplare la piazza come faceva ogni mattina, dondolandosi sulle
punte e facendo schioccare le dita delle mani. E fu lì che si accorse del piccolo involucro.
Rimase un attimo sbigottito poi spalancò l’occhio, ……si chinò per verificare il contenuto
e ….. perse ancora quella stramaledetta lente.
La recuperò nuovamente e finalmente afferrò la coperta con il corpicino del neonato. A
quel punto il neonato si svegliò ed iniziò a frignare ed a contrarsi diventando a tratti
paonazzo. Il nostro Premio Nobèl si bloccò e cercò di calmare quella creatura ribelle. Poi,
come per incanto, la stessa creatura, percependo il contatto umano del sagrestano si
ammutolì, emise una sonora scarica e parve rilassarsi. Il sagrestano a questo punto strizzò
quell’unico occhio trattenendo il respiro e lottando contro il desiderio di lanciare il tutto
lontano …. Vedendo però quel visino che lo guardava soddisfatto non riuscì a far altro che
a urlare:” Don Dorino, Don Dorino, venite a vedere che razza di “cornutello” (piccola
vendetta) ho trovato …” Fu così che il sacerdote che era accorso prontamente si ritrovò tra
la mani una piccola creatura puzzolente che sorrideva soddisfatta.
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Don Dorino era una di quelle persone che ispirano simpatia a prima vista, con un sorriso
sincero sempre stampato sul viso e la corporatura da ex atleta per il quale però l’attività
fisica era semplicemente un ricordo. Portava un paio di occhiali troppo larghi ed ogni volta
che faceva un movimento brusco gli scivolavano giù dal naso. A questo punto il sacerdote
aveva quasi un sussulto, poi tornava velocemente ad inforcarli. Durante la celebrazione
della Messa ad esempio quei continui richiami al cielo erano una persecuzione che
generava un susseguirsi di cedimenti e ripristino degli occhiali sulla punta del naso.
Gli volevano tutti bene, anche perché, oltre al ministero al quale la Chiesa lo aveva
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chiamato, sapeva svolgere anche altre attività che metteva a disposizione dei fedeli. “Don
Dorino mi si è rotta al lavatrice” e lui correva, riparava la lavatrice e chiedeva in cambio …
la presenza alla Messa domenicale. E così per la TV, il rubinetto, la caldaia, il citofono ….
tutto, riparava tutto in modo gratuito in cambio della presenza alla Messa; alla domenica
quindi la chiesa era colma di fedeli….
Così il modo di condurre il suo mandato era decisamente coinvolgente al punto che,
quando qualcuno dei suoi superiori decise di interrompere questo equilibrio poiché era
giunto il momento di cambiare destinazione a Don Dorino, la Comunità insorse ed il
vescovo stanco di sentire gente che manifestava sotto la finestra, visto che anche le forze
dell’ordine partecipavano alla protesta, considerato che alla fine male non faceva, decise di
rimettere Don Dorino al suo posto. E tutto continuò come prima.
Con questa creatura in braccio Don Dorino, si diresse verso la canonica seguito da un
traballante sagrestano che camminava guardingo da un lato perché non si era ancora
adeguato alla penombra della Chiesa, dall’altro per il timore di riperdere la lente. A questo
punto, considerato che non si poteva lasciare una creatura in quelle condizioni, decisero di
aprire l’involucro dal quale giunse immediatamente un rigurgito di latte che colpì la tonaca
di Don Dorino e che fece urlare ai nostri due amici :” Che schifo!”.
Ripulirono il neonato alla meglio, l’avvolsero in una veste da chierichetto ed
improvvisarono una specie di culla, lì in canonica, con una panca, due sedie per sponda e
con alcuni cuscini che generalmente venivano utilizzati in occasione delle cerimonie solenni.
E mentre la creatura finalmente libera agitava i piedini soddisfatta, il sacerdote ed il suo
fido sagrestano si accinsero a celebrare la Messa.

Alcune notti fa, scandendo la volta celeste si era soffermato su un particolare che lo aveva
fatto trasalire al punto che era stato preso da crampi incredibili allo stomaco. Lo stava
aspettando. Era soltanto un minuscolo punto luminoso che il guaritore, l'eremita, mise a
fuoco osservandone il movimento in apparenza lentissimo e costante. Lo stesso guaritore
individuò le coordinate e le annotò su una mappa riportando poi su un diagramma, che
aveva predisposto tempo fa in attesa dell’avvenimento del quale aveva letto il futuro
svolgimento, il punto individuato dalle stesse, l’ora e i minuti. Con intervalli regolari di
un’ora poi, fino al sopraggiungere del mattino fece la stessa cosa ed i vari punti iniziarono
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a tracciare sulla mappa e sul diagramma alcune spezzate. Così fece per le notti successive
in preda ad un'ansia sempre più incalzante ed a poco a poco si andarono a formare le
figure che aspettava. Nelle stesse figure il guaritore lesse la rinascita di un Beato scomodo,
così come da tempo attendeva ed individuò il luogo dell’avvenimento.
L’ex frate a questo punto non mancò di ringraziare Dio con una funzione al quale
ovviamente partecipò da solo e al momento stabilito, il pomeriggio si mise in cammino per
non mancare alla Messa vespertina, doveva ringraziare Dio per quanto stava succedendo
ma in modo particolare doveva avere quel bambino. Giunto alla chiesa di Sant’Ilario tentò
di mescolarsi ai fedeli pensando forse di passare inosservato.
Figuriamoci se un personaggio così singolare poteva risultare ignorato.
#####
Il Premio Nobèl si infilò la tonaca da chierichetto e mentre serviva la funzione attraverso la
porta socchiusa non perdeva d’occhio l’interno della canonica. Raccolse le offerte con la
solita tribolata modalità ed i questionari della Confessione. Per questo sacramento infatti al
fine di “snellire” le operazioni Don Dorino aveva predisposto un questionario al quale
bisognava rispondere mettendo semplicemente delle crocette; ad ogni crocetta veniva
attribuito un punteggio. Se il conteggio finale del questionario risultava inferiore alla soglia
imposta si era automaticamente assolti.
Senza distrarsi dal suo mandato di controllo, il Premio Nobèl si approviggionò delle ostie
integrali a basso contenuto calorico che Don Dorino utilizzava per la Comunione e mentre
il sacerdote distribuiva il Corpo di Cristo avvenne l’imponderabile. Don Dorino alzò l’ostia
consacrata verso l’alto seguendo il movimento con gli occhi e fu lì, non ci crederete, che
per l’ennesima volta caddero gli occhiali e siccome nessuno fu pronto ad afferrarli, questa
volta una lente si frantumò e andò in mille pezzi. Don Dorino rimase come paralizzato ad
osservare i pezzi di cristallo e così anche il Premio Nobèl ed i fedeli in coda per ricevere la
Comunione.
Approfittando della confusione, il guaritore raggiunse in canonica il bimbo al quale in quel
momento nessuno badava, lo raccolse e stringendolo tra le braccia si avviò verso l’uscita.
Prima di lasciare la chiesa si voltò per verificare che nessuno avesse notato l’accaduto, poi
lesto superò la soglia e scomparve. Ci mise circa un'ora e mezza per arrivare alla capanna.
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Fuori era già buio e in cielo era apparsa veramente una stella.

Una volta raggiunta la capanna, affaticato, con il bimbo tra le braccia, avrebbe voluto
subito interpellare i segni del cielo per carpire nuove istruzioni. Ma il bimbo piangeva:
aveva fame?. Lo ripose in una cesta che aveva appositamente predisposto al fine di
simulare una culla e andò nel recinto delle capre per prendere il latte fresco e glielo versò
lentamente in bocca… Dopo aver succhiato fino al rigurgito il bimbo si addormentò.
Fatta una consueta visita agli animali ed al giardino degli agapanto per le cure necessarie,
l’eremita si mise finalmente ad osservare il cielo annotando significati che riusciva da
questo a rubare. Dopo alcune ore di studio si stese sul pagliericcio per riposare mentre il
bimbo, forse ancora troppo sazio, continuava dormire.
Ma per lui, per l'eremita, di dormire non se ne parlava. Qualcosa lo tormentava. Era una
sorta di risentimento, qualcosa più che mai presente, che sembrava aleggiasse nell’aria e
che parve che in quel momento gli dicesse: “tu non dormirai”.
“Questo bimbo rinato mi è stato affidato per volontà superiori” recitava l’eremita. “Lo devo
preservare dai mali del mondo, in modo che possa crescere pieno di compiacenza, pronto
per il bene degli uomini “ Ma una voce dal profondo sussurrava” Che diritto hai di sottrarre
questo bimbo a sua madre?”,
“ Che idiozie , “ ribatteva prontamente, “ che idiozie mi passano per la testa? E' tornato
sulla terra per essere Santo ed io veglierò su di lui fino a quel momento”. “Sto
invecchiando, sono sciocchezze che passano per la testa di uno sprovveduto. Passeranno!”.
E per farle passare, andò cercando col pensiero qualcosa che potesse occuparlo
fortemente, ma non la trovò e rimase lì con mille domande che già altre volte avevano
fatto capolino tra i suoi pensieri anche se in modo meno limpido e forse meno diretto.
“E se tutta questa mia sapienza , questa mia caparbietà questa mia superbia non fosse
altro che convinzione? Se avessi interpretato male e Dio avesse mandato questo bimbo
per fargli vivere una vita normale insieme ad individui comuni?”
E mentre era assorto da questi pensieri sentì bussare alla porta. Dapprima parve non
sentire, poi si alzò domandandosi chi mai potesse trovarsi a quell’ora da quelle parti ove
non passava mai nessuno. Alla fine vinse la curiosità: l’eremita aprì la porta. … e si trovò
di fronte il barbiere …..
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#####
“Buon giorno” disse Gusto, “devo parlarle con urgenza”.
Il guaritore però lo guardava sorpreso senza accennare a farlo entrare .
“Vi voglio mostrare tutta la mia riconoscenza per quel servizio che mi avete concesso”
continuò il barbiere.
A questo punto il guaritore parve ridestarsi e provò a replicare:
“Devo accudire a qualcosa che mi riguarda e non posso perdere nemmeno un momento
“ “Vi prego concedetemi un attimo soltanto affinché possa sdebitarmi con voi…. “ continuò
con tono incalzante Gusto.
“Non mi è possibile … non insistete..”
“Forse che abbiate qualcosa da nascondermi ?” aggiunse sarcastico il barbiere.
Il guaritore era titubante.
“Vi devo parlare solo per un attimo vi dico ...”
A questo punto il guaritore un po’ sorpreso da tanta insistenza si scostò e fece entrare il
barbiere. Non appena Gusto fu in casa, il guaritore si sentì in dovere di chiedere: “stai
meglio?” e di aggiungere” quelle supposte sono proprio una scopa, le prescrivo sempre ai
miei pazienti…”
Il barbiere a queste parole non resistette: “ora ti faccio vedere se è proprio una scopa .…
“ e gli si avventò addosso. Il guaritore sorpreso non ebbe il tempo di reagire e fu
immobilizzato e legato ad una specie di trave che attraversava il locale in prossimità del
soffitto, con le mani incrociate. Una volta bloccate le mani fu la volta delle gambe e queste
furono legate tra loro in prossimità delle caviglie e delle ginocchia al punto che il guaritore
sembrava un insaccato in essiccazione.
A questo punto Gusto gli sciolse la cintura e gli abbassò i pantaloni e le relative mutande
lasciando in questo modo il sedere dell’eremita vergognosamente scoperto. Così il barbiere
incominciò a consumare la sua vendetta infilando la prima supposta. A una a una ne infilò
tre e poi altre tre. Dopo mezz’ora di tortura il guaritore si lasciò cadere e perse i sensi.
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“Mio Dio è morto” pensò il barbiere, e preso dal panico lo slegò e lo stese sulla paglia
vicino al neonato che continuava dormire (era così fuori di sé che probabilmente non si
accorse nemmeno della presenza di un bambino in quella capanna)
Poi, preso dal panico per quello che aveva combinato, abbandonò tutto, sbatté la porta e
corse verso casa. Si stese a letto, ma a furia di colpi di tosse anche lui non riuscì a
prendere sonno.

Ma c'era qualcun altro che avrebbe voluto dormire e non poté mai. Dopo l’abbandono del
neonato Donovan era tornato in ospedale per aiutare Maria che sembrava delirare.
La sua voce diceva parole che suonavano così: “Sono vissuto presso la vostra comunità
tantissimi anni fa e sono tornato per guarire” … balbettava Maria, “e quando ancora in
giovane età conclusi il corso della mia vita terrena … fui proclamato Beato” continuava.
Maria ansimava e sembrava soffrire …
“Ho assistito all’avvenimento dal Paradiso e quel giorno mi abbandonai ad una baldoria
quasi terrena e per poco non mi ubriacai”.
Maria stava male.
“Nessuno si ricorda più e mi hanno fatto rinascere … aiutatemi a diventare Santo! Vi
prego aiutatemi a diventare Santo!”
E dopo un profondo sospiro Maria si quietò e si addormentò.
E qui iniziarono gli incubi di Donovan che si andava convincendo che le parole di Maria
celassero un fondo di verità. Ma quale verità?
Intanto dentro di sé si faceva strada il rimorso di aver abbandonato il neonato. “Non l’ho
abbandonato l’ho affidato a qualcuno che saprà badargli”, ma subito una voce diceva
“L’hai abbandonato, vergognati!”
E mentre lui seduto all’estremità del letto si rodeva tra mille pentimenti Maria pareva
volesse tranquillizzarsi e sembrava sorridere.
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#####
In piena notte il guaritore si risvegliò madido di sudore con il neonato accanto e rimase lì
in quella posizione valutando la possibilità di rimediare.
#####
Don Dorino ricevette al visita di Donovan che suonò alla sua abitazione dicendo “ho
sbagliato”. In cielo splendeva una stella.
“Quella stella vuol dirci qualcosa” pensava il sacerdote che non capiva il significato degli
avvenimenti di quel giorno e non si dava pace: “Il bambino è scomparso” pensava, “ed io
non gli badavo ….”. “Chi può averlo sottratto?”.
“Padre, mi aiuti a ritrovarlo ….ho sbagliato” diceva Donovan piangendo e disperandosi.
E mentre i due si disperavano uno nel rimorso e l’altro nel rimprovero toccò come sempre
a qualcun altro trovare l’idea risolutiva.
Lo scorso Natale il Premio Nobèl aveva partecipato attivamente al presepio vivente nei
panni di Melchiorre, uno dei Re Magi ed il richiamo a quanto era apparso nel cielo di
Sant’Ilario era lampante.
Don Dorino, Il Premio Nobèl e Donovan quindi partirono fidandosi della stella che
risplendeva proprio sopra la capanna del guaritore e in poco più di un'ora arrivarono.
Entrarono, ma la trovarono vuota.
#####
Il guaritore qualche tempo prima della venuta dei tre infatti aveva deciso di ascoltare la
voce che proveniva dal profondo del suo cuore e di riaffidare il bimbo a Don Dorino.
Aveva preso il bimbo, lo aveva avvolto nella solita coperta e si era avviato verso la chiesa
di Sant’Ilario curandosi però di raccogliere un mazzo di agapanto da offrire come omaggio
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a Don Dorino. Aveva deciso di utilizzare un percorso alternativo più impegnativo, ma più
breve del percorso abituale. Mentre passava per il sentiero il mazzo di fiori perdeva i petali
che cadendo sul terreno davano origine a nuove inflorescenze bianche e azzurre. Arrivato
alla chiesa l'aveva trovata aperta. Era entrato, ma l'aveva trovata vuota.
Aveva quindi raggiunto la canonica e riposto il bimbo dove lo aveva prelevato.
#####
Don Dorino, Donovan ed il Premio Nobèl tornarono sconsolati alla chiesa di Sant’Ilario
pensando che la stella si fosse presa gioco di loro ed una volta entrati trovarono l’eremita
raccolto in preghiera. Il neonato era tornato al suo posto.
Il Premio Nobèl preso da un'improvvisa euforia prese il bimbo tra le braccia e questi,
svegliato di soprassalto, tanto per cambiare rigurgitò. Poi con la mano toccò l’occhio
malato del sacrestano che da quel momento incominciò a vedere.
“E’ un miracolo “ gridava il premio Nobèl e tra la sorpresa sembrò che la stella cadesse
sulla terra ed inghiottisse tutto. In realtà avvolse il bimbo con la sua luce e lo portò in
Cielo.
#####
Passarono alcuni giorni e la storia divenne pubblica con continue aggiunte di particolari. In
paese arrivarono i giornalisti e coloro che avevano assistito agli avvenimenti furono
intervistati. Il Premio Nobèl faceva il divo e si prestava ad ogni celebrazione. Arrivarono le
bancarelle, i venditori di souvenir e di statuette che ritraevano il Beato accanto al neonato.
Il Beato Omobone divenne una celebrità.
Don Dorino dal canto suo, si sentiva investito da un mandato divino. Studiò la vita del
Beato Omobone, predicò circa l’operato dello stesso Beato e scrisse un opuscolo sulla sua
missione che distribuì a tutti i pellegrini e che intitolò “Aiutatemi ad aiutarlo”.
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L’eremita si riprese e, pur continuando a vivere nella capanna sul fiume, decise di essere
un po’ meno eremita e un po’ più presente verso le necessità del prossimo di Sant’Ilario.
Anche Maria si riprese ed uscì dall’ospedale ma il suo bimbo (anzi il sostituto) se ne era
andato con la stella . Era orientata comunque a diventare mamma al più presto. Donovan
trovò un lavoro da giardiniere con il supporto del guaritore che gli insegnò l’arte di
coltivare gli agapanto. Il barbiere fu perdonato, ma obbligato da Don Dorino e dal premio
Nobèl ad azzerare il debito di Donovan.
Ed intanto prese piede un movimento con finalità di santificazione, ben sapendo però che
per questo ci volevano altre dimostrazioni, dimostrazioni che non tardarono ad arrivare.
Ben presto ci furono guarigioni ed alcuni credenti si salvarono miracolosamente da
incidenti di varia origine. E tutti questi casi erano accompagnati dal sogno di Omobone che
sorrideva ed offriva al miracolato un agapanto azzurro.
Così la fama di Omobone e dei suoi interventi miracolosi, cominciò a diffondersi. Tanto fu
detto, tanto fu fatto che lo stesso Omobone dopo qualche tempo, durante una solenne
funzione in San Pietro a Roma fu proclamato Santo e presumibilmente guarì dalla
depressione.
Gli agapanto continuarono a moltiplicarsi fino a formare un tappeto che avvolse Sant’Ilario.
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LO SCRICCIOLO
Nella sagrestia della Chiesa di San Bartolomeo a Casalpusterlengo, viveva un uomo … ma
non lo sapeva nessuno.
Di giorno si mescolava alla gente che riempiva i negozi, che frequentava il mercato, che si
affaccendava nelle varie attività, di sera, si ritirava all’interno del luogo di culto perché non
aveva una casa, né un amico, né un parente che lo potesse accogliere.
Spesso al mattino si fermava nella piazza, di fronte all’edicola, unendosi al gruppetto di
pensionati che sostavano in attesa dell’ora di pranzo e partecipava alle discussioni
quotidiane su argomenti che poi erano sempre i soliti.
A volte passeggiava sull’argine del Brembiolo scambiando due parole con i pescatori.
Non più giovane, ma nemmeno troppo vecchio, era un uomo di mezza età come ce ne
sono tanti.
Siccome poi era ben messo, pulito, sbarbato, ben vestito e soprattutto cordiale, nessuno si
poneva il problema da dove venisse o dove abitasse… cosa facesse … come si
mantenesse… per tutti, per via della sua figura esile, era semplicemente “ lo Scricciolo”.

“Lo Scricciolo” in un tempo non troppo remoto, aveva convissuto notte e giorno, con la
pioggia, il gelo o il sole, riparandosi sotto il ponte del Brembiolo ed aveva battuto gli
incroci stradali e gli ingressi degli ipermercati e dei grandi magazzini per chiedere
l’elemosina. Quanta indifferenza!
La strada però l’aveva accolto e gli aveva insegnato a vivere con le sue regole.
Si era fatto anche degli amici, ma alcuni erano scomparsi, altri erano rimasti sui cartoni,
sotto le coperte di giornale, chi per l’alcool o per overdose, chi per il freddo, sotto gli
sguardi indifferenti dei passanti.
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Vi sono molte possibili cause che riducono un individuo ad una situazione di questo tipo,
diceva lui: problemi di salute mentale o di abuso domestico, difficoltà economiche
conseguenti alla perdita del lavoro, separazione coniugale quando la necessità di
sostenere l'economia di due famiglie è impraticabile, tossicodipendenza, abuso di alcool o
droghe e tante altre condizioni che sono alla luce del sole e che sarebbe inutile dilungarsi
ad elencare.
Purtroppo non serve essere dimenticati da Dio e dal mondo per finire per strada.
Per “lo Scricciolo” il destino era stato quello di tanti altri.
Era stato per anni contabile di una grossa catena della grande distribuzione. Poi l'azienda
per la quale lavorava si era trasferita.
Non erano servite ad un granché le proteste, né le astensioni dal lavoro. Alla fine aveva
vinto l’indifferenza.
Così da un giorno all'altro si era trovato senza un lavoro.
La depressione per l’accaduto aveva cambiato il suo atteggiamento ed alla fine la moglie lo
aveva lasciato al suo destino e si era dileguata. “Lo Scricciolo” era rimasto solo al mondo.
A quel punto, senza lavoro, non era più stato in grado di pagare l'affitto e dopo qualche
mese era stato sbattuto fuori di casa.
Gli scadettero i documenti e senza un domicilio e senza lavoro non poté più rinnovarli.
In un attimo non fu più nessuno.
Aveva vissuto così per otto anni, poi, una sera, accadde un fatto.
Un uomo in età avanzata vagava sull’argine del Brembiolo, apparentemente confuso e
piangeva. Non l’aveva mai visto.
Pioveva forte ed era buio. L’uomo si avvicinava pericolosamente all’acqua.
Senza pensarci troppo “lo Scricciolo” gli si era avvicinato. Percepiva che l’uomo aveva
molta paura, quindi gli aveva preso la mano e gli aveva sussurrato: "Sono qui per aiutarla,
signore, non si preoccupi”.
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Venga con me e lo portò al suo giaciglio. L’uomo lo seguì.
Gli mise un coperta alle spalle e gli diede da bere. “Mi chiamano Scricciolo” gli disse con
un largo sorriso, “Qual è il suo nome?”.
L’uomo non rispose, lo sguardo era assente. “Lo Scricciolo” allora gli toccò le tasche dei
pantaloni trovandovi per fortuna il portafogli.
Lo aprì, ignorò tutto il contenuto ed analizzò i documenti. Scoprì così le generalità ed i
riferimenti dell’individuo.
Abitava relativamente vicino a dove si trovavano, ma in preda allo stato di confusione si
era perso.
Chissà da quanto tempo era in giro! Lo prese per mano e lo condusse all’indirizzo riportato
sui documenti.
Era una villetta dove una signora, che poi individuò essere la figlia, sconvolta, in preda ad
uno stato di ansia, era rimasta a presidiare nell’eventualità il padre fosse tornato.
Tutti gli altri componenti della famiglia erano sguinzagliati alla ricerca dell’uomo.
Le Forze dell’Ordine erano allertate ma non potevano intervenire prima che fossero
trascorse le ore richieste, come da regolamento.
“Lo Scricciolo” suonò il campanello e fu accolto dalle grida di gioia della figlia. “Grazie,
Grazie” e riempiendo il padre di baci, diceva “come posso ripagarla?” e, senza attendere
risposta, tornò in casa, riapparendo quasi subito con una manciata di banconote che cercò
di consegnargli.
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Ma “Lo Scricciolo” non pensava al denaro, gli piaceva aiutare le persone... questo era il
suo modo di vivere.
Rispose: "Se realmente desidera pagarmi, la prossima volta che incontra qualcuno in
difficoltà, si ricordi di me e dia a quella persona l'aiuto di cui ha bisogno" e si allontanò
lasciando la donna sbigottita.
Alcuni giorni dopo, la famiglia dell’anziano aveva deciso di festeggiare il ritrovamento
dell’uomo con una cena, in un piccolo ristorante del luogo.
Nel ristorante c’era una cameriera; era in stato di gravidanza.
Nonostante fosse molto affaticata era stata cordialissima e molto efficiente per tutta la
serata. Correva a destra e a sinistra senza mai cambiare atteggiamento, pronta ad ogni
richiesta. Il sorriso e la cortesia non erano mai mancati .
La figlia dell’anziano si ricordò di quanto le aveva detto “lo Scricciolo”.
La cameriera le faceva molta tenerezza.
Dopo aver terminato la sua cena e pagato il conto e mentre la cameriera si allontanava
verso un altro tavolo, la signora infilò qualcosa sotto il tovagliolo. Poi uscì dal ristorante.
Quando la cameriera si accinse a rigovernare il tavolo trovò quel pacchetto sotto tovagliolo.
Conteneva una somma considerevole, quella che la signora non aveva dato allo Scricciolo.
Alla cameriera caddero le lacrime leggendo ciò che la signora aveva scritto.
Diceva: "Te lo sei guadagnato”. “Qualcuno ci ha aiutato nei giorni scorsi e alla stessa
maniera noi aiutiamo te”.
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Quella notte, rincasando, stanca, in bicicletta, la cameriera aveva deciso di prendere una
scorciatoia.
Aveva così imboccato lo sterrato che costeggia il Brembiolo.
Non pioveva più ma faceva freddo. Per una di quelle strane situazioni che possono essere
attribuite solo al destino, passando nei pressi del ponte si era imbattuta nello Scricciolo,
steso sul cartone avvolto nelle coperte. Dormiva.
Le fece pena ma passò senza guardarlo e si diresse verso casa.
Una volta a casa la cameriera si era avvicinata al letto. Suo marito già stava dormendo,
non voleva svegliarlo.
Sapeva quanto faticava ad addormentarsi preoccupato per la situazione economica della
sua famiglia, con il bimbo che stava per nascere, tutto sarebbe diventato più difficile...
Anche suo marito aveva perso il lavoro, anche la sua ditta si era trasferita all’estero.
Per questo motivo, in mancanza d’altro, aveva accettato l’offerta di diventare il sagrestano
della chiesa parrocchiale, anche se non gli piaceva.
Lei cercava di integrare le entrate con il lavoro di cameriera.
Fece fatica a dominare la sua gioia, ma decise di comunicagli la notizia del denaro regalato
al mattino seguente.
Quella signora come poteva sapere della necessità che suo marito e lei avevano di quel
denaro?
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Pensando alla benedizione che aveva ricevuto, fece un grande sorriso. Ringraziò Dio e si
voltò verso il marito, lo sfiorò con un leggero bacio e gli sussurrò: "Andrà tutto bene”. Lui
non se ne accorse.
Poi si stese anche lei. Stanca com’era avrebbe dovuto addormentarsi all’istante ma non
riusciva.
Continuava a pensare a quell’uomo, “Lo Scricciolo”, allungato per terra, al freddo. Non
poteva lasciarlo là.
Si vestì e si avviò verso il ponte del Brembiolo e convinse Lo Scricciolo a seguirla. Lui non
voleva, ma poi frastornato la seguì.
Lo condusse in canonica …“riposati qui” sussurrò.
“D’ora in poi starai qui, penserò io a te”.
E mentre lei rincasava felice “lo Scricciolo”, rimasto solo si addormentò.
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IL CURATO PASTICCIONE
Personaggi:
Don Clemente
Curato protagonista del racconto
Splendore
Sorella del curato che gli fa un po' da Perpetua
Madida
Figlia di Splendore, studentessa universitaria a tempo perso
Marisa
Vedova di fresca nomina
Pino detto Netto
Figlio disoccupato di Marisa
Otello
Vigile Urbano
Marcantonio Velluti
Amico odontotecnico del padre di Don Clemente
Svolgimento dei fatti
Era anche inutile continuare a girarci intorno, a Don Clemente non piaceva uscire alla sera
dopo cena, in modo particolare d'inverno. Dopo aver assunto quanto gli veniva preparato
(naturalmente senza alcun tipo di coinvolgimento) dalla sorella, che gli faceva un po' da
Perpetua, aveva un po' preso le usanze alla Don Abbondio.
Si sedeva sulla poltrona, un po' leggeva, un po' pensava, un po' si assopiva ... e guai a
parlagli di TV!
Quel maledetto 27 novembre però, qualcuno aveva organizzato un incontro in serata
presso l'Oratorio ed aveva richiesto un suo intervento su argomento riguardante il disagio
giovanile (cosa ne sapeva lui?).
Dapprima Don Clemente aveva rifiutato, ma ... non si può dire sempre “...no!” quindi era
stato costretto ad adeguarsi.
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L'Oratorio non era lontano dalla casa del curato ma pensare di farla a piedi, d'inverno, al
buio, non era roba troppo raccomandabile. Quindi era iniziata la ricerca di qualche
volontario che si facesse carico di scarrozzare il povero curato prima e dopo il suo
intervento.
Naturalmente non aveva tempo nessuno, quindi “il musetto” ce lo doveva mettere lui.
Gli venne fortunatamente in aiuto la sorella Splendore, che come già detto, dopo
l'improvvisa dipartita del marito, viveva con la figlia in una casa della parrocchia, vicino a
Don Clemente in modo da proteggersi a vicenda ed aiutarlo nelle faccende “perpetuali” (si
dice così?).
“Madida questa sera non sta bene, è già a letto...”
“Prendi la sua 500 che è lì a far niente … Ohe! non lasciarla mica senza benzina!”
Non restava che adattasi. Don Clemente non guidava da un bel po' e, porca miseria, non
si ricordava nemmeno dove aveva messo la patente. Alla fine la trovò e non senza qualche
preoccupazione partì all'avventura.
Fuori faceva un freddo da morire! C'era una nebbia fine fine che ti penetrava proprio nelle
ossa e oltretutto si scivolava ….
Don Clemente non aveva pensato a mettere delle scarpe più pesanti ma, comunque,
all'Oratorio arrivò in tempo. Parcheggiò con una fatica da non raccontare a nessuno e
tenne il suo intervento.
Il problema nacque al ritorno.
Intanto erano passate due ore abbondanti e la nebbia era scesa. Non si vedeva proprio
più niente. La macchina era completamente ghiacciata.
Pensare di mettersi lì a grattare i vetri voleva dire rischiare una broncopolmonite. Niente,
Don Clemente decise di usare la via più breve.
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Grattò solo il necessario in prossimità degli occhi e partì. Oltretutto durante la partenza
premette un po' troppo l'acceleratore e una volta dato il colpo al pedale, gli scivolò via la
frizione. Insomma non passò troppo tempo che la 500 di Madida si andasse a schiantare
contro un'altra autovettura parcheggiata, distruggendo tutta la sua parte anteriore (della
500) ed il muso dell'altra.
Don Clemente dapprima pensò di scappare ma il frastuono aveva attirato gente che aveva
partecipato all'incontro o che si fermava per curiosita. Tutti avvocati delle cause perse! Chi
imprecava, chi misurava (al buio), chi parlava d'altro.... tutta una gran confusione
all'interno della quale però qualcuno aveva avvertito Otello, il Vigile Urbano.
Questi scocciato perchè anche per lui non era cosa gradita uscire con quel freddo, non si
fece attendere troppo e, chiesti lumi sull'accaduto, si avvicinò al curato:
“Ohe, Don Clemente, domani mattina alle otto la voglio in Comune!”.
Così dicendo chiamò il carro attrezzi e fece sgomberare la strada dalle macchine sinistrate.
E adesso?
####
Lasciamo perdere lo squallido spettacolo del mattino successivo quando Madida, avvertita
dell'accaduto dalla madre, aveva affondato le unghie nella guancia sinistra di Splendore.
Aveva rovesciato un intero flacone di latte sempre sulla testa della malcapitata e cercava
Don Clemente per poter scarnargli il viso. E che così continuò per giorni fino a che la 500
non fu di nuovo fiammeggiante davanti all'uscio di casa.
Ma la prima mattina, almeno in questo, il curato, si era distinto: alle 7.30, dopo una notte
da non raccontare, era già al cospetto dell'Otello.
La procedura di verifica fu breve … il risultato sconcertante: la macchina non era
assicurata.
!.. e allora! Che si deve fare?” disse quasi con un po' di ironia Don Clemente.
“Si paga mio caro” rispose Otello ….
“…. tutte le spese sono a vostro carico” .
90
“Gulp!” pensò Don Clemente che stava iniziando a realizzare …. E adesso?
####
Il cuore di Don Clemente aveva raggiunto la frequenza di un elettrodo al quarzo in alta
precisione. .…. Soldi non ne aveva e non poteva certamente richiederli in banca. Come
avrebbe giustificato il tutto verso i suoi superiori? Ohè, figure non ne voleva fare!
Intanto gli era venuto un affanno così evidente e soprattutto un alito così sgradevole che
Otello, annusandosi le mani, fu costretto a chiedere a Don Clemente di lasciare gli Uffici
Comunali al più presto.
“Dai che riva el matt...” disse Otello in dialetto alludendo all'imminente arrivo del Sindaco.
Fu proprio quel “matt”, con l'accento sulla “a” a dare un po' di respiro a Don Clemente.
Caspita! Si, Si faccio così! E se ne tornò in canonica.
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La signora Marisa, vedova di fresca nomina, dopo la morte del marito per cirrosi (lo
avevano trovato al mattino dopo una intera notte di ricerca, freddo, secco riversato su una
siepe all'interno del giardino della scuola materna) viveva con il figlio Pino detto Netto, uno
stinco di Santo che se il lavoro chiamava a sinistra si girava a destra.
Erano in continua lotta per via dei soldi e anche perchè piaceva bere anche alla Marisa e si
sa che bere costa.
In fin dei conti comunque le cose andavano avanti… un po' di pensione e qualche
risparmio ce l'avevano e si erano accordati in questo modo demenziale, ma necessario:
Netto sosteneva i suoi vizzi e le sue necessità con l'importo della pensione che andava a
ritirare personalmente e dal quale decurtava una minima somma che consegnava alla
madre per la gestione familiare, come diceva lui e Marisa provvedeva a tutto il resto
attingendo da questo gruppo di risparmi.
Ma è chiaro che un equilibrio così era destinato a durare poco.
Ben presto a Netto i soldi pattuiti non bastarono più, si sa il costo della vita aumenta e
Marisa incominciò a vedere strani ammanchi dal suo cassetto.
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Qui nacque l'idea.
La povera donna si rivolse a Don Clemente e gli chiese di custodire quel gruzzolo in modo
che fosse fuori dalla portata del figlio.
Sarà un segreto tra me e Voi …. sarete il mio “BANCOMAT” con l'accento sull'ultima “a”.
Don Clemente da buon pasticcione accettò, anzi ne fu ben felice anche perchè ne
approfittò per attingere denaro fresco per pagare la riparazione delle campane.
“Tanto non lo sa nessuno, poi reintegro con le offerte”.
Ma di offerte ne arrivavano poche e Don Clemente si dimenticò di rabboccare.
In più una sera che Marisa che aveva alzato un po' il gomito aveva raccontato a Netto la
faccenda dell'accordo bancomàt con il curato e così ora Netto sapeva tutto.
Per fortuna quello che era rimasto bastava a Don Clemente per far riparare le due
macchine. Il curato quindi pagò le riparazioni con quelli.
Del “bancomàt” non rimaneva quasi niente e naturalmente qualcosa doveva succedere!
Quel qualcosa si chiamava Gertrude, la gatta di Don Clemente.
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L'animale più stupido che potesse dar sfoggio di sè in quel momento andò ad incastrare la
sua coda nei raggi della bicicletta della signora Marisa. Risultato: caduta con frattura
scomposta del femore e lussazione alla spalla. Quarantadue giorni tra intervento, postintervento e riabilitazione. Necessità di cure, assistenza da parte di una badante da
retribuire ... naturalmente.
Netto si recò da Don Clemente:
“so tutto anche del bancomàt. La gatta è sua, paga tutto lei!”
“Accidenti, e adesso?” pensò Don Clemente ed incominciarono, se mai erano finiti, i
periodi delle notti in bianco o meglio quelle degli incubi.
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Don Clemente non dormiva, sudava, si sentiva mancare. Oppure faceva dei sogni
improponibili ed osceni. Per citarne uno, si era addirittura immedesimato un otto marzo,
giorno nel quale alcune donne perdono facilmente la testa, di essere uno dei “California
Dreamer (credo si dica così).
Nel sogno si era spogliato e con i mutandoni a fiori rossi, ed in cima ad un tavolo, agitava
tutta la pancia adiposa. In quell'ambito in mezzo ad una musica assordante ed a mille
oscenità qualcuno gli infilava manciate di banconote nell'elastico delle mutande gridando
Don Clemente, …. “GULADOR” che poteva essere anche un“ VULADOR” o qualcosa del
genere.
Cosa significava? Mah?
Al risveglio per Don Clemente però qualcosa significò.
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Nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, il padre di Don Clemente fu fatto
prigioniero dei tedeschi, tanto per cambiare, e deportato in Austria. Lì, divenne attendente
di un tenente colonnello austriaco che, evidentemente di nobili origini, avendo perso tutta
la dentatura dell'arcata superiore, si era fatto predisporre una dentiera tutta d'oro.
Era d'oro anche il palato …. insomma un incanto. I prigionieri italiani, almeno quelli del
nord, avevano iniziato così a soprannominarlo “GULA D'OR”.
Tutto questo sfoggio di metallo nobile durò poco, però, in quanto il tenente colonnello
austriaco, morì per un colpo che nessuno seppe mai individuare perchè non era in atto
nessuna battaglia, tra le braccia del padre di Don Clemente che, prima di ogni altra cosa,
sfilò la dentiera dalla bocca del morente e se la infilò in tasca.
Quando, a guerra finita, il padre tornò, fu colpito da Piorrea(?) o qualcosa del genere e nel
giro di poco tempo rimase completamente sdentato.
Si recò quindi da un suo compagno di scuola, tale Marcantonio Velluti, che aveva studiato
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da odontotecnico ed al quale chiese di adattare al suo palato la dentiera d'oro. Il lavoro fu
fatto ed il padre di Don Clemente sembrava uno splendore.
Ma anche questo durò molto poco perchè sto poveruomo morì d'infarto nel giro di pochi
mesi. Non aveva ancora esalato l'ultimo respiro che la dentiera dorata era già nelle tasche
del grembiule della madre di Don Clemente.
Nel frattempo la disgrazia di perdere i denti capitò alla stessa madre di Don Clemente.
Stessa storia, stesso adattamento richiesto dal curato all'amico di papà e stesso sfoggio
della dentiera usata.
Forse tale sfoggio portava un po' di sfortuna, fatto sta che anche la madre morì molto
presto e Don Clemente ci mise un attimo a far sparire la preziosa dentiera ed il palato
nelle capaci tasche della sua tonaca.
Beh, per farla breve, Don Clemente aveva un piccolo tesoro, ma se ne era dimenticato.
A questo punto ringraziamo il sogno osceno.
Dopo una bella mattinata passata a ricordare l'ubicazione del nascondiglio che poi si rivelò
il fondo di un cassettone della canonica, Don Clemente si recò con il prezioso pacchetto
dal figlio di Marcantonio Velluti che nel frattempo aveva sostituito il padre.
“Pensa te, mi ha chiesto qualcosa di simile una cliente di Lugano. Sai questi svizzeri sono
un po' tradizionalisti. Chissà dove l'hanno vista, forse tra qualche vecchia fotografia ….
(ma se erano tutte in bianco nero! Mah!).
Comunque anche il questo caso la signora svizzera indossò la dentiera usata e ne fu ben
felice e pagò un bel po' di soldi che solo in parte arrivarono a Don Clemente... ma erano
sufficienti per ricostruire il pacchetto bancomàt iniziale.
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Don Clemente restituì tutto il gruzzolo a Netto che fu ben felice di riceverlo e che nel
frattempo, conosciuto qualche benefattore aveva trovato la sua strada.
Girovagando per le campagne aveva notato un signore ormai avanti con l'età che tagliava
o riparava (non so) gli zoccoli delle mucche. Si era avvicinato ed aveva chiesto di vedere.
Il vecchietto gli aveva chiesto aiuto:
“se vuoi ti insegno” e la collaborazione era incominciata.
Per farla breve Netto incominciò a mettere la testa a posto tanto più che Madida, la nipote
di Don Clemente, che non aveva mai comprato un libro universitario, si innamorò di lui ed
iniziò ad aiutarlo nella nuova attività. Lei teneva la zampa della mucche e lui tagliava le
unghie. Che ne dite? Si può essere felici anche così?
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Era finalmente giunta la sera. Don Clemente aveva assorbito la solita pastina e si era
accomodato sulla solita poltrona sfogliando “Turisti Per Caso”.
Piano piano si assopì pensando al mare di Cuba.
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