Indice Pesca e Ambiente Il presidente Editoriale Notiziario d’informazione dell’Ente Tutela Pesca del Friuli Venezia Giulia Attività dell’Ente pag. 4 Illy e Marsilio visitano laboratorio e acquario di Ariis (Ufficio stampa Regione FVG) Un Cd-rom svela i fiumi del Friuli Venezia Giulia (Ufficio stampa) pag. 5 Minimo deflusso vitale - Stato degli studi (Giuseppe Adriano Moro) Numero 1 - Marzo 2006 (chiuso in redazione il 15 - 02 - 2006) Periodico trimestrale istituito con L.R. n° 19 del 12/05/71 Ci scrivono... pag. 6 L’acquacoltura nella Regione Friuli Venezia Giulia. Quadro generale (Associazione Piscicoltori Italiani) Autorizz. del Trib. di Udine n° 335 del 31/05/74 Direzione e Redazione Laboratorio Regionale di Idrobiologia "Paolo Solimbergo" - Ariis di Rivignano (UD) Amministrazione via Colugna, 3 - 33100 UDINE Tel. (centralino): 0432 551211 Fax: 0432/482474 e-mail: [email protected] www.entetutelapesca.it Direttore responsabile Loris Saldan Presidente Ente Tutela Pesca Redazione Lucio Agrimi Isidoro Barzan Giulio Ferretti Mauro Garzitto Giuseppe Adriano Moro Sergio Paradisi Elisabetta Pizzul Claudio Polano Emilio Tibaldi Con la collaborazione di Paolo Cè Ufficio stampa Alessandro Di Giusto Progetto grafico e impaginazione Franco Vicario Stampa Graphic Linea Tiratura 35.000 copie Distribuzione gratuita Spedizione in A.P. - 70% - D.C.B. "UD" Riproduzione vietata Diritti riservati Bacini idrografici pag. 7 Le piane alluvionali del Tagliamento - (Prima parte) (Azzolino Bugari) Acqua e territorio pag. 10 Analisi storica del torrente Cormor (Elisabetta Santarossa) Pesca e memoria pag. 15 Gli storioni e il Paradiso perduto (Sergio Paradisi) Una giornata sul fiume pag. 18 Le acque di montagna - (Parte Prima) (Giuseppe Adriano Moro) Itinerari pag. 22 Parco naturale delle Dolomiti friulane (Ufficio stampa Parco N. D. F.) Dai prossimi numeri pubblicheremo le vostre migliori catture. Chi lo desideri può inviare le foto agli Uffici dell’Ente tutela Pesca in via Colugna 3 a Udine, all’attenzione di Paolo Ce, specificando luogo e data della cattura ed eventualmente ogni dato ritenuto utile (misure, peso). Ad esempio: trota marmorata di 13,5 kg -110 cm di lunghezza Pescata da Pietro Peloso (a sinistra nella foto), con Pietro Sovrano Presidente dell’APS “Di Bon” nelle acque del Tagliamento, nella zona di Vidulis (Dignano) Pubblicata su Notiziario ETP n° 4/2002 In copertina: il Fiume Tagliamento visto dal Monte di Muris (Damiano Balbi) Il presidente A vrei voluto dedicare questo spazio all’illustrazione del programma di ripopolamento approvato dal Consiglio direttivo del novembre 2005. Purtroppo, mi vedo costretto a dover informare il lettore di un nuovo increscioso fatto occorso all’allevamento di Flambro. Si è verificato un nuovo episodio di moria di trote “fario”, il secondo verificatosi da quando ho assunto la presidenza dell’Ente Tutela Pesca del Friuli Venezia Giulia. Martedì 31 gennaio 2006, mi è stata infatti comunicata una perdita atipica di tali trote. Ben 107 quintali di questo pregiato pesce, con pezzature comprese tra i 300 e i 1.000 grammi, sono andati perduti, mettendo così a repentaglio i ripopolamenti previsti per il mese di marzo. Fatti incresciosi come questo, impongono una serie di riflessioni ed analisi sulla gestione degli impianti e, inducono ad una particolare attenzione in merito alla sorvegliabilità degli stessi. Un primo provvedimento in tal senso è già stato adottato. Desidero far sapere che, nonostante il gravissimo danno subito, l’Ente è riuscito comunque ad adottare le misure necessarie per assicurare una quantità sufficiente di trote da immettere nei fiumi e torrenti, in vista dell’imminente apertura della stagione di pesca. Questo, per non deludere le aspettative dei tantissimi pescatori che, da questo ecologico e rilassante sport, traggono gratificanti soddisfazioni. Detto questo, ora desidero ricordare le iniziative che, con l’aiuto del Consiglio e dei miei collaboratori, sono riuscito a far decollare sino ad oggi. Tutte iniziative volte a far crescere questo Ente in specializzazione, in conoscenza scientifica, al fine di acquisire a livello regionale, ma non soltanto, quel prestigio e quella visibilità che sicuramente merita. Importante è stata la recente visita del presidente della Giunta regionale Riccardo Illy con l’assessore alle Risorse agricole Enzo Marsilio all’acquariolaboratorio di Ariis. Illy si è complimentato sia per il modo in cui è stata gestito detta struttura, sia per i progetti in fase di studio che gli sono stati rappresentati. Un grande respiro economico è arrivato all’Ente anche grazie al contributo che la Giunta regionale ha concesso per la ristrutturazione dell’impianto di Flambro e, di non poco conto, è l’accordo stipulato con il Comune di Talmassons per la gestione di detto impianto. Ringrazio pertanto di vero cuore il presidente, l’assessore alle risorse agricole e l’intera Giunta regionale che ha sempre dimostrato una grande sensibilità ed attenzione alle esigenze di questo Ente. Penso che un obiettivo primario da conseguire subito, per i ripopolamenti, sia la creazione di un nuovo impianto alternativo a quello di Flambro. Questo, sia per diversificare la produzione sia per ridurre i rischi di perdite come quelli di recente subiti. La 1 a Commissione ha già visionato alcuni siti e sta predisponendo le relazioni da sottoporre al Consiglio direttivo al fine di individuare una zona idonea ad ospitare un nuovo impianto. Una nuova stagione di pesca è oramai alle porte e, al solito, la vigilanza volontaria sarà vicina ai pescatori, garantendo loro un aiuto costante, ponendosi come punto di riferimento e di informazione preventiva. È intenzione dell’Ente, infatti, far sì che la presenza della vigilanza volontaria sia percepita dai pescatori come una realtà di formazione-informazione, anziché come una realtà di repressione. Poiché credo fortemente nell’importanza del volontariato, ho voluto far ristrutturare l’ufficio di Vigilanza centrale affinché possano, a breve, aver inizio i primi corsi di aggiornamento. È inoltre volontà di questo Ente e mia personale, garantire il lavoro degli operai addetti agli impianti ittici, trasformando, per quanto più possibile, i rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Desidero altresì ampliare e diversificare i rapporti con le varie Università e questo, per assicurare la massima specializzazione e divulgazione del lavoro dell’Ente. Saranno infatti predisposti dei programmi da inviare ai distretti scolastici, saranno incentivate e potenziate le visite delle scolaresche all’acquario permanente di Ariis, sarà ripristinato l’ambiente umido retrostante l’acquario per creare un polo di rilevanza ambientale di grande interesse. Ricordo che nel corso di una recente conferenza stampa è stato presentato un nuovo Cd-Rom, contenente i dati di rilevamento effettuati nell’ultimo decennio nei fiumi della nostra regione. È a disposizione di tutti coloro che siano interessati a tale argomento. Tale strumento costituisce un primo tassello utile all’aggiornamento della carta ittica. È anche decollato il progetto di monitoraggio del cormorano sul quale, al momento non ho ancora ricevuto i primi dati. È stato però autorizzato nel frattempo un abbattimento mirato di tale specie a fini esclusivamente dissuasivi (50 cormorani in tutta la regione). Anche la veste grafica del notiziario è cambiata per rendere più facile la lettura e per dare maggior risalto, grazie alle accurate illustrazioni ivi contenute, alle molteplici bellezze naturali di questa regione. Auguro a tutti i pescatori una stagione di divertimento, di apprendimento e di svago. Auguro inoltre che possiate assaporare momenti di spensieratezza all’aria aperta, circondati da un ambiente sempre più protetto e qualificato. Loris Saldan Pesca e Ambiente 3 Attività dell’Ente ILLY E MARSILIO VISITANO LABORATORIO E ACQUARIO ETP Un Cd-rom svela i fiumi del Friuli Venezia Giulia Comunicato Stampa Regione Friuli Venezia Giulia II presidente della Regione Riccardo Illy e l’assessore alle Risorse Agricole e Naturali Enzo Marsilio hanno visitato, martedì 17 gennaio, il Laboratorio regionale di Idrobiologia “Paolo Solimbergo” e l’annesso Acquario permanente di pesci d’acqua dolce dell’Ente Tutela Pesca di Ariis di Rivignano. Accompagnati dal presidente e dal direttore dell’ETP, Loris Saldan e Isidoro Barzan, Illy e Marsilio hanno preso visione dell’intera struttura, soffermandosi in modo particolare sulle strutture di ricerca e nell’area didattica dell’Acquario, annualmente visitato da circa 5 mila persone, per gran parte giovani e scolaresche provenienti, però, più dal vicino Veneto che dalle province di Pordenone, Gorizia e Trieste, ha rilevato Saldan. Una struttura dunque interessante, sia dal punto di vista della ricerca sulla fauna delle acque interne del Friuli Venezia Giulia sia sotto l’aspetto divulgativo, che sarebbe opportuno integrare, ha osservato il presidente Illy, nel circuito regionale delle Riserve e dei Parchi per stimolare una maggiore affluenza di pubblico. Anche perché, entro fine 2006, sarà realizzato (grazie a risorse finanziarie dell’Obiettivo 2 pari a 500 mila euro) il progetto di recupero ambientale di un’area di 16 mila metri quadrati pro- 4 Pesca e Ambiente spiciente il Laboratorio, in grado pertanto di rafforzare le funzioni didattiche dell’Acquario dell’ETP. Il progetto prevede il ripristino di quattro vecchie vasche, il rimodellamento degli argini, la realizzazione di percorsi di visita e la costruzione di due ‘belvedere’, l’uno al centro della zona, l’altro lungo lo Stella. Nel corso dell’incontro sono state anche valutate le possibili simbiosi tra la pesca nei corsi d’acqua dolce del Friuli Venezia Giulia e le possibili attività turistiche, A conclusione del sopralluogo Illy e Marsilio, che hanno espresso il loro apprezzamento per il lavoro dell’Ente Tutela Pesca e la qualità della struttura di Ariis, hanno brevemente visitato Villa Savorgnan Ottelio, ubicata a poche decine di metri dal Laboratorio e dall’Acquario dell’ETP. Lo stato di salute dei nostri fiumi su scala di bacino e fino al particolare della stazione di rilevamento, la consistenza e le caratteristiche delle specie che li popolano, le loro caratteristiche geomorfologiche. Sono alcune delle informazioni che sarà possibile ottenere consultando il Cdrom “Pesci e acque interne del Friuli Venezia Giulia”, presentato ufficialmente lunedì 30 gennaio 2006 nella sede dell’Ente tutela pesca del Friuli Venezia Giulia dal suo presidente Loris Saldan e dai ricercatori che hanno realizzato l’opera nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno partecipato numerosi giornalisti delle principali testate radiotelevisive e della carta stampata operanti nella nostra regione. Va sottolineato, a dimostrazione dell’importanza riconosciuta a quest’opera, destinata a migliorare la conoscenza dei nostri fiumi, che all’iniziativa erano presenti anche molti membri del Consiglio direttivo oltre al direttore Isidoro Barzan. Come hanno spiegato Elisabetta Pizzul, del dipartimento di Biologia dell’Università di Trieste e Giuseppe Adriano Moro, biologo dell’Etp (alla realizzazione dell’iniziativa ha lavorato anche Francesca Battiston del dipartimento di Biologia dell’ateneo triestino, mentre la veste grafica e la parte informatica sono a cura di Michele Toniolo e Annarita Di Pascoli), il Cd- rom raccoglie tutti i risultati della vasta campagna di rilevamenti avvenuti dal 1997 al 2004 sui fiumi della nostra regione aggiornando in tal modo la carta ittica risalente al 1992. Il disco contiene una mole di informazioni enorme, raccolta in ben 287 stazioni di campionamento, che permetterà di migliorare la gestione delle acque e al contempo rappresenta per gli appassionati uno strumento completo ed efficace per conoscere meglio gli ecosistemi acquatici. Gli studiosi si sono concentrati in particolare sull’aspetto della qualità biologica delle acque, attraverso lo studio delle specie ittiche che le abitano, (sotto analisi il loro numero, la varietà, il loro stato di salute) e dei macroinvertebrati, primo anello della catena alimentare nelle acque dolci e dunque considerati un indicatore fedele del loro stato di conservazione. Tutti i dati dei rilevamenti condotti sono custoditi in un apposita banca dati, e saranno facilmente aggiornabili man mano che saranno compiuti nuovi rilevamenti. La stessa veste grafica e l’interfaccia scelti, estremamente semplici e facili da comprendere, si prestano ottimamente alla consultazione anche da parte di chi è poco avvezzo all’utilizzo degli strumenti informatici. “Un lavoro importantissimo per l’Etp - ha spiegato il suo presidente Loris - perché contiene i dati dal 1996 al 2002 di tutte le ricerche effettuate nei corsi d’acqua della regione. Questo cd rappresenta una prima fotografia sullo stato generale dei nostri bacini ed è, allo stesso tempo, un primo tassello per l’aggiornamento della carta ittica che dovrà tenere conto di tutti gli elementi in possesso dei vari enti regionali, ottenendo quindi una sovrapposizione di carte e dati in modo tale da dare una risposta completa non soltanto al mondo della pesca, ma a tutti coloro che si interessano di ambiente per una migliore qualità della vita”. Selezionando il collegio o il bacino sarà possibile scendere nel dettaglio della singola stazione di rilevamento: la schermata mostra le caratteristiche geofisiche del luogo, una fotografia e la consistenza delle specie ittiche tramite un grafico a torta che riporta le percentuali. Selezionando quindi la lista dei pesci e dei macroinvertebrati si ottiene il dettaglio relativo alle singole specie, mentre basta andare sulla mappa ingrandita per verificare lo stato di salute delle acque, in base all’indice biotico esteso distinto in classi di qualità dalla prima alla quinta. Il Cd-rom “Pesci e acque interne del Friuli Venezia Giulia” sarà distribuito gratuitamente a chi ne farà richiesta per motivate esigenze di studio o divulgazione. Torrente Lumiei in corrispondenza di Ampezzo. Asciutte a valle degli sbarramenti ex Enel Derivazioni sull’Alto Tagliamento. Stato degli studi A seguito delle richieste di informazioni, relative agli studi sul deflusso minimo vitale nell’Alto Bacino del Tagliamento, si fornisce un breve aggiornamento dopo il primo anno di attività A partire dal 20 settembre del 2004 l’Ente Tutela Pesca, in collaborazione con la Direzione regionale dell’Ambiente, sta effettuando una serie di campagne di studi idrobiologici volti a contribuire alla definizione ed al controllo del rilascio del deflusso minimo vitale a valle delle grandi derivazioni. I corsi d’acqua coinvolti sono il Tagliamento, il Lumiei ed il Degano. Gli studi relativi alla fauna ittica sono stati condotti dal personale del Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Trieste, mentre quelli relativi ai macroinvertebrati bentonici vengono svolti presso il Laboratorio regionale di Idrobiologia di Ariis. L’obiettivo iniziale, della campagna biennale di ricerche, era quello di seguire l’evoluzione dei corsi d’acqua a seguito del rilascio del deflusso minimo vitale dagli sbarramenti, come definito da apposite delibere dell’Autorità di Bacino dell’Alto Adriatico (competente per il bacino del Tagliamento). Gli obiettivi sono stati modificati “in corso d’opera” in seguito al mancato rilascio del Dmv. Le delibere dell’Autorità di Bacino sono state, infatti, impugnate dal concessionario delle derivazioni, presso il Tribunale Superiore delle Acque. Rimane, in ogni caso, valida la Legge Regionale 28/2001, che prevede l’esecuzione di studi specifici al fine di ridefinire l’entità del deflusso minimo vitale. I dati raccolti in questa fase saranno, quindi, essenziali per determinare uno stato di partenza dei corsi d’acqua interessati. Nella prima fase di studio é stato osservato un importante fenomeno di risorgenza di acque negli alvei asciutti di Tagliamento e Degano, che crea piccoli ruscelli ricchi di vita. La speranza per il prossimo futuro é quella di potere ampliare queste “oasi” attraverso un rilascio costante, anche se modesto, di acque dagli sbarramenti maggiori. Le operazioni di campagna proseguiranno fino al 20 settembre 2006. Pesca e Ambiente 5 Ci scrivono... L’acquacoltura in Friuli Venezia Gulia. Quadro generale Le attività di acquacoltura nella Regione Friuli Venezia Giulia si caratterizzano per la presenza della maggior parte delle tipologie di allevamenti esistenti in Italia. Infatti a livello regionale è ben rappresentata la troticoltura, per la quale il Friuli Venezia Giulia è al primo posto in ambito nazionale (circa 30 % della produzione), mentre l’acquacoltura marina, presente in forma intensiva/semi-intensiva, risulta caratterizzata da un discreto numero di aziende di vallicoltura e da alcuni impianti di avannotteria. Completa il quadro regionale l’allevamento di specie minori di acqua dolce, tra cui vale la pena ricordare: l’anguilla, la trota fario, il salmerino, il persico trota, il pesce gatto. Da sottolineare poi il ruolo della vallicoltura in acque salmastre e delle zone umide costiere, caratterizzate da un patrimonio biologico e paesaggistico di rilievo, che costituisce un importante sistema di conservazione territoriale e di gestione ambientale. La vallicoltura produce sia pure su scala modesta cefali, spigole, orate, saraghi, molluschi bivalvi, anguille, ombrine. Un grave problema che affligge la vallicoltura è costituito dalla predazione da uccelli ittiofagi, tra cui spicca, per i danni provocati, il Cormorano (Phalacrocorax carbo sinensis), la cui popolazione è oggi stimabile in alcune migliaia di individui. Per quanto riguarda l’acquacoltura di acqua dolce bisogna ricordare come la produzione della trota rappresenti il fiore all’occhiello dell’acquacoltura regionale. Il Friuli infatti è una delle poche regioni del mondo dove troviamo acque pulite, fresche, sorgive a 6 Pesca e Ambiente temperatura costante, sito naturale per insediamenti troticoli. Prime notizie sulle tecniche di fecondazione artificiale della trota, sono riportate nel “Bollettino dell’Associazione Agraria Friulana” dell’aprile 1861. Dopo alcuni esperimenti dei primi anni dello scorso secolo, bisogna aspettare gli anni 50-60 per vedere, l’inizio e l’affermarsi delle attività produttive che ancor oggi rappresentano la continuità e il progresso della troticoltura friulana. Lo sviluppo degli anni 80 della GDO nel nostro Paese favorendo la crescita dei consumi di prodotti ittici, unita all’introduzione di nuove tecniche produttive portò ad un ulteriore balzo del comparto. Negli ultimi anni, causa il sensibile aumento dei costi produttivi, derivanti soprattutto dai fattori esterni al sistema, s’è potuto rilevare una diminuzione della redditività degli allevamenti di trota riscontrata anche nella Regione. Altro aspetto che ha nociuto alla troticoltura del Friuli questa l’unica strada, che può essere percorsa con buone probabilità di successo, ma soprattutto è quella in grado di non creare effetti negativi sull’ambiente. Infine, bisogna ricordare l’importanza che ancora rappresenta per la troticoltura del Friuli la semina nelle acque pubbliche: in questo senso è auspicabile un sempre migliore coordinamento tra i produttori e gli organismi (Ente Tutela Pesca) preposti a livello regionale a questa funzione. Per quanto riguarda il comparto marino, pur non essendoci in regione produzioni di rilievo, sotto il profilo quantitativo, sono presenti alcuni impianti che rivestono una certa importanza anche a livello nazionale per l’elevata specializzazione e le tecnologie che hanno saputo adottare. Nel suo complesso il comparto a livello regionale, come appare dai dati ricavati dal “Sistema di monitoraggio del mercato dei prodotti ittici di acquacoltura in Italia” realizzato dal- associazione piscicoltori italiani Venezia Giulia è quello della vulnerabilità alle patologie che colpiscono la trota, derivanti dalla scarsità di presidi autorizzati per il controllo delle stesse. Questa situazione nell’ultimo periodo sta migliorando grazie anche all’impegno della Regione, che utilizzando risorse derivanti da programmi nazionali, ha saputo rispondere adeguatamente a istanze dei produttori attivando programmi di vaccinazione su ampia scala realizzati dall’Associazione Piscicoltori Italiani, in collaborazione anche con l’Università degli Studi di Udine. Allo stato attuale sembra l’Associazione Piscicoltori Italiani appare costituito da oltre 90 aziende di allevamento, cui si aggiungono 4 impianti di trasformazione dei prodotti della piscicoltura, con una occupazione di addetti impiegati direttamente nelle aziende pari a ad oltre 300 unità lavorative, cui si aggiunge l’indotto per un totale nell’ordine di circa 7-800 addetti al comparto. L’acquacoltura regionale produce circa 13.000 tonnellate di pesce, con una PLV, compresa la trasformazione, che si attesta intorno ai 36 milioni di Euro. Bacini idrografici Le piane alluvionali del Tagliamento (Prima parte) Fiume Tagliamento La piana alluvionale vista dal monte di Ragogna Fiume Tagliamento - Osoppo fine anni ’20 Progetto relativo alla costruzione di un repellente per la salvaguardia della zona golenale sinistra Notizie sulla loro formazione, sviluppo, conservazione, tutela e utilizzazione Azzolino Bugari Mi è stato richiesto dal Direttore di questo Notiziario, di descrivere, a grandi linee, gli interventi antro-pogenici realizzati lungo l’asta del fiume Tagliamento, nella tratta confluenza T. Lumiei - P.te Dignano, finalizzati alla formazione, sviluppo, conservazione, tutela ed utilizzazione delle sue principali “piane” alluvionali. Pur nei ristretti limiti prefissati, nel redigere lo scritto mi sono reso conto della vastità dell’argomento da trattare, per cui dal previsto unico articolo rischiestomi inizialmente, se ne dovranno necessaria- mente aggiungere degli altri per dare una, seppur limitata ed elementare panoramica sulla trasformazioni antropiche intervenute in queste aste fluviali. II mio personale convincimento su quanto si è fatto e quanto si continua a fare su tali ambiti fluviali, può essere così sintetizzato: nel passato, era realisticamente necessario realizzare tali interventi per provvedere allo sviluppo economico e sociale delle popolazioni rivierasche del fiume Tagliamento, tenendo presente che le opere realizzate sono risultate, quasi sempre, idraulicamente corrette e compatibili con l’ambiente. Successivamente la “conquista” di tali zone è avvenuta in forme troppo esasperate e, conseguentemente, gli interventi sono risultati in molti casi troppo spinti ed irrazionali, addirittura in antitesi con il buon regime idraulico del corso d’acqua e quindi con la sicurezza del territorio. Questi fatti sono accaduti e stanno accadendo, in particolare, su alcuni affluenti del Tagliamento: lo stato di grave dissesto idrografico in cui versa l’intero bacino meriterebbe senz’altro una pausa di riflessione per operare una attenta disamina della situazione e sul come, quando e perchè intervenire su questi corsi d’acqua. Pesca e Ambiente 7 Vista panoramica della piana alluvionale nella zona di Osoppo Le piane alluvionali si sono costituite, nel tempo, in presenza di ampie varici (piazze di deposito) fluviali dove, con l’aumento del perimetro bagnato dalla sezione liquida e la conseguente diminuzione della velocità delle acque, durante le diverse fasi di intumescenza del corso d’acqua, avviene il deposito dei materiali trasportati per trascinamento ed in sospensione. Sino alla fine dell’ottocento, nell’alto e medio corso del fiume Tagliamento - di tipo pluricorsale, con ampio alveo ed abbondante trasporto solido - erano presenti una serie di piane alluvionali raramente difese da opere idrauliche: tra queste spiccavano per la loro ampiezza, quelle di Enemonzo, Caneva di Tolmezzo, Fabbrica di Tolmezzo, Gamìa di Venzone ed Osoppo, in sponda sinistra, nonché Cavazzo Camico, Bordano, Trasaghis e Spilimbergo, in sponda destra. Quelle Comunità rivierasche, prive in pratica di buoni tenitori pianeggianti da sfruttare per loro stessa sopravvivenza, si videro costrette, con grandi sacrifici, a strappare al fiume quei terreni ghiaiosi, invasi dalle acque durante le piene più significative. I primi veri pionieri di queste terre,furono le popolazioni rurali più povere, che andarono ad occupare generalmente le zone d’alveo più esposte alle “montane”, in quanto le golene situate nei terrazzamenti più alti, e quindi più sicure erano stati già nel ‘600 -‘700 occupalo dalle Comunità locali o dalle famiglie più abbienti. Conseguentemente, per difendere, ricostruire, ampliare e consolidare tali vitali territori si andarono sviluppan- 8 Pesca e Ambiente do, man mano, adeguati sistemi di difesa idraulica di queste estesissime lande: dai primitivi modesti rilevati di ghiaia, si passò alle tripodate in legno e nei casi più importanti a vere e proprie arginature, costituite da un rilevato in ghiaia rivestito a fiume da una mantellata in legno, generalmente priva di una vera e propria opera di fondazione. Spesso poi, a campagna di queste opere primordiali, si realizzavano ampie piantumazìonì di essenze autoctone (pini, pioppi, salici ecc.) che costituivano una discreta barricata contro le acque di inondazione. Già agli albori del ‘700, comunque, in alcune tratte fluviali, laddove, in particolare, si fosse reso necessario salvaguardare importanti strade, ponti, attività artigianali e/o industriali, si iniziarono a realizzare le prime arginature in muratura di pietrame a secco. Nella successiva epoca napoleonica vengono realizzate numerose opere di difesa fluviale con sistemi costruttivi diversi, che sono descrìtti e motivati, molto dettagliatamente, nella “Memoria dell’Ispettore ai Lavori Pubblici, Acque, Ponti e Strade del Friuli” datata Udine marzo 1806 (Archivio di Stato - UD) di cui si riporta di seguito un estratto: “Gli tronchi superiori con letto di grossi rami, e di materia atta a far cangiar corso ai Filoni principali dell’Acque, mal possono di essere ottenuti in un retto Canale, ed in un letto più angusto - Occorrono ivi dei forti ripari i quali siano più atti a correggerli, che a superarti. Sembrerebbe, che la Riva interna dei ripari non dovesse essere tutta liscia, come si è usati sin’ora. Codesta forma sempre conserva l’Acqua alla stessa altezza. Ora i fluidi premendo sempre in ragione diretta della loro altezza, non si ottiene l’intento di domarne la forza. Vogliono dunque a gradini, e a scale esser formati i ripari a Torrenti. In tal guisa rattezza loro dividersi a più misure, e l’impeto e il peso dell’acqua viene diminuito in proporzione a queste altezze moltiplicate. In tali ripari si che aver riflesso alle rive opposte, si da procurare, che il letto quantunque ampio, conservi una direzione parallela.” Rilevo che ai quei tempi il sistema di difesa idraulico del territorio rivierasco, posto interamente a carico delle Comunità o dei privati, era costituito generalmente da una serie di brevi arginature della lunghezza di circa 20 - 50 metri, intervallate da altrettante brevi tratte spondali non difese. Queste opere, realizzate leggermente sporgenti in alveo, a mò di repellenti, provocavano la deviazione dei filoni di corrente verso la sponda opposta, danneggiandola, scatenando così acerrimi scontri tra le Comunità e/o privati frontisti. Tale irrazionale sistema di difesa (purtroppo ancor oggi dì moda) veniva praticato in quanto permetteva di abbattere i costi della “conquista territoriale”, a quel tempo ancora in parte compatibile con l’assetto idraulico e geomorfologico del Tagliamento e di alcuni suoi affluenti. Dopo le grandi alluvioni della prima metà dell’800, dalla cartografia dell’epoca, si può costatare una certa evoluzione, non tanto nei sistemi costrut- Bacini idrografici tivi, quanto nell’andamento planimetrico delle difese, le quali vengono ad assumere allineamenti più razionali, nel rispetto della morfologia del corso d’acqua. Nella tratta di Tagliamento in esame, incerte sono le opere idrauliche ascrivibili al periodo pre italiano: credo di aver riconosciuto alcuni di questi manufatti nei Comuni di Cavazzo di Amaro in località del Dint, di Venzone a monte del ponte di Pioverno e di Osoppo in località Carantan. Opere più significative ed ancora in piena efficienza sono invece presenti in alcuni affluenti del fiume, come a Pontebba, nel torrente Pontaiba, ed in particolare a Tolmezzo, nei torrente But, dove tratti significativi di antiche “Roste” in pietrame, si possono ammirare in località Caneva e Terzo, ambedue risalenti alla prima metà dell’ottocento. Eccezionale poi la rosta austriaca in località Sfleus di Tolmezzo, terminata nell’estate del 1866 poco prima della ritirata dell’esercito asburgico. Le attuali antiche opere idrauliche presenti lungo l’asta del fiume Tagliamento risalgono a dopo la tremenda piena del 1882, allorché lo Stato italiano diede inizio alla realizzazione di grandi opere di sistemazione idraulica del fiume, che culminò nel periodo d’oro dell’idraulica italiana, cioè tra gli anni ‘20 e ‘40. Per la realizzazione di questo vasto programma quasi tutte le antiche opere idrauliche, venete, napoleoniche e austriache, se non incorporate in quelle italiane vennero distrutte o abbandonate. A partire dalla seconda metà degli anni venti si diffuse in Italia l’impiego di opere idrauliche sporgenti in alveo (pennelli - repellenti - moli) finalizzate anche alla formazione, sviluppo e salvaguardia di vaste aree golenali; tale impiego divenne poi massiccio negli anni trenta. Questo anche grazie all’ impegno profuso, nel settore, dagli uffici del Genio Civile sparsi in tutto il territorio nazionale, come giustamente fu riconosciuto negli atti del VI0 Congresso Nazionale delle Acque tenutosi a Cremona nel 1932 (Relazione Generale dell’ing. prof. Giandotti). Fiume Tagliamento - Piana alluvionale di Osoppo Funzionamento del rallentatore durante una piena. Si noti l’invaso a monte e la protezione dei demani di valle Per quanto riguarda il Tagliamento, il Magistrato alle Acque ed il Genio Civile di Udine, con la fattiva collaborazione degli uffici delle Foreste, iniziarono negli anni venti un massiccio e puntuale rilevamento dell’alto bacino del Tagliamento, propedeutico alla stesura dello Studio Generale del fiume ed alla conseguente attuazione di un esteso programma di sistemazioni idrauliche e idrauliche-forestali, che interessarono l’intero bacino fluviale. Per poter ottemperare al meglio anche alla realizzazione di tali opere venne istituita, con D.R. 19.04.1925, una Sezione autonoma del Genio Civile con sede a Tolmezzo “... con l’incarico di provvedere a tutti i servìzi riguardanti le opere pubbliche nella regione della Carnìa e Canai del Ferro...”. Al termine della realizzazione delle parti essenziali del programma, la Sezione autonoma venne soppressa con D.R. 19.10.1933. Nell’attuazione di quel programma certamente si commisero degli errori, ma si deve pur riconoscere che si ottennero anche buoni risultati nella regimazione dei corsi d’acqua e stabilizzazione dei versanti, salvaguardando buona parte del territorio interessato, dando maggiore sicurezza alle popolazioni e favorendo certamente lo sviluppo economico e sociale di buona parte del territorio friulano. Tutto questo senza troppo snaturare il contesto ambientale sul quale si operava: oggi si può fare molto di meglio a patto che non prevalgano certe esasperanti prese di posizione a difesa dell’ambiente, conseguenza di una congeria di vincoli legislativi e burocratici, alcuni dei quali così illogici e irrazionali da favorire addirittura lo sviluppo delle tanto vituperata, giustamente, cultura dell’”emergenza”, che fagocitando tutto e tutti interviene sul territorio senza limite alcuno. Con la diffusione dei nuovi criteri di sistemazione sopra accennati, attuati in gran parte nel periodo 1920 - 1950 circa, si crearono e consolidarono diverse vaste piane alluvionali, adibite generalmente ad uso agricoloforestale, alcune delle quali, in tempi abbastanza recenti, sono state oggetto di profonda trasformazione ed adibite a zone industriali, commerciali ecc. o utilizzate per la realizzazione di importanti infrastrutture. In questi casi è stato necessario realizzare nuove difese longitudinali, ritengo, non sempre razionali e corrette, sia dal punto di vista idraulico che ambientale. Nei prossimi numeri cercheremo dì descrìvere le trasformazioni di carattere antropico che hanno interessato questi territori fluviali, avvenute negli ultimi cento anni. Pesca e Ambiente 9 Acqua e territorio La storia del torrente Cormor Dalle cronache di Plinio ai giorni nostri, il racconto di un torrente irascibile Elisabetta Santarossa Autorità di Bacino del Friuli Venezia Giulia L’ etimologia della parola Cormor, sicuramente di origine antica, è ancor oggi oggetto di disputa. Sono diverse, infatti, le attribuzioni date all’origine del nome: • origine preromana – prelatina da “KOR, KAR” (sasso, roccia) e “MAR” palude (ipotesi del Guyon);(Gentili R., 1975); • deriva dal nome di un animale, proprio di alcuni dialetti ladini ovvero “Carmo”, e cioè donnola (Frau Giovanni, 1978); • l’ultima è la definizione più folcloristica derivante dalla tradizione popolare che riprende il percorso del torrente che all’inizio del suo percorso corre impetuoso nella pianura per finire poi (un tempo) nelle paludi di Mortegliano. (Munini Ermes, 1956; Gentili R. 1975). 10 Pesca e Ambiente La più antica memoria scritta sul Cormor risale al 23–24 d.C. Plinio, autore romano noto per le sue indagini su tutto ciò che esiste in natura, scrisse una vera e propria “summa” del sapere che si poteva reperire sino a quel momento. Nel libro “Storia Naturale” descrive l’idrologia del Friuli. Secondo alcuni studiosi l’Anaxum che egli cita corrisponderebbe al torrente Cormor che secondo Plinio al tempo scaricava nei pressi di Grado a Porto Buso. (Martinis, 2002) Una prima citazione sulle caratteristiche torrentizie del Cormor è data da Giovanni Mazzuccato che nel 1809 scrisse un opuscoletto intitolato “Notizie idraulico agrarie sopra alcuni torrenti del Friuli” e parlando del Cormor descrisse la sua irruenza: “Il Cormor ristretto d’alveo caccia sì velocemente le sue acque, che seco loro trasportando ogni sorta di ciottoli, rompono, e scavano le rive, e tentano ogni momento di farsi un altro letto”. Dettagliata risulta invece la documentazione prodotta da Giovanni Collini che nel 1899 scrisse il testo “Il torrente Cormor” in occasione dell’anniversario di nozze di una coppia di Pozzuolo. Dopo aver fatto un breve augurio nuziale, dedica a loro una raccolta di informazioni, dati sulle vicissitudini del torrente dal 1486 al 1806. Questo opuscolo si rivela come un’opera di straordinario valore in quanto ci permette di avere una dettagliata cronistoria di questo torrente per un periodo di ben 4 secoli. Utilizzando i documenti conservati all’archivio Sabbatini di Pozzuolo, Giovanni Collini ci riporta i lavori effettuati e le vicende intercorse che hanno riguardato il torrente. Il Collini riprenderà inoltre quanto scritto da Plinio nel libro Storia Naturale spiegando che nel 1899, il Cormor terminava invece il suo percorso nello Stella. L’autore risolve inoltre la diversità attribuendo questo mutamento a motivazioni telluriche. (Martinis, 2002) In merito alla dichiarazione del Collini sul torrente Cormor, considerato come affluente dello Stella, Tonizzo e Ferrari (1926) ci riportano che A. Lorenzi “considerava il Cormor affluente dello Stella poiché le sue acque dopo aver spagliato sulle paludi di Mortegliano vengono raccolte in gran parte dalla Velicogna affluente dello Stella e dal Revonchio - Muzzanella che confluisce in laguna con lo Stella”. Il Torrente Cormor nasce a quota 250 m s.l.m. dal monte San Lorenzo in località Sottofratta nei pressi di Santo Stefano di Buia. Attraversa poi l’area collinare morenica passando attraverso 17 Comuni, l’alta pianura friulana, la fascia delle risorgive terminando il suo percorso in Laguna. Il tragitto di questo torrente non è però sempre stato così; l’uomo è intervenuto molte volte per modificarne il percorso, per cercare di difendersi dalle esondazioni e per creare delle condizioni di vita più salutari per le popolazioni che vivevano nei pressi delle aree paludose di Mortegliano consentendo così al torrente di non spagliarsi tra le paludi, ma di proseguire sino al mare. Attraverso la cartografia antica recuperata, si è potuto verificare il corso originario del Torrente Cormor. Una delle prime cartografie della Patria del Friuli è stata creata da Marin Sanuto di Giovane presumibilmente datata tra il 1502 e il 1506. (Lago Luciano, 1989). Identifica correttamente l’alta e la bassa pianura riportando l’idrografia. Questa cartografia e quelle di altri autori quali Flavio Biondo e Antonio Sabellico hanno un inquadramento troppo vasto per poterci dare un’immagine particolareggiata. “Ciò sarà possibile solo con le carte regionali che a partire dal secolo XVI ci segneranno gli inizi di una nuova cartografia, che attinge all’esperienza per creare materiale nuovo.” (Lago Luciano, 1989) Antonio Magini, in un disegno della fine del secolo XVI, inserito in un fascicolo di appunti relativo alla sua carta del Friuli e attualmente conservato al museo civico di Padova, rappresenta il percorso del torrente Cormor. In questo disegno si può evidenziare come il torrente, nato dai colli di Buia, passi prima a lato di Fontanabona, poi a lato di Udine per terminare poco sopra la Strada Alta (attuale S. 252). (Lago Luciano, 1989) Figura n. 2: Disegno di Giacomo Spinelli del 1688 (immagina tratta dal testo “Theatrum Adriae dalle alpi all’adriatico nella cartografia del passato” di Luciano Lago) Figura n. 1: Disegno del XVI secolo di Antonio Magini (immagina tratta dal testo “Theatrum Adriae dalle alpi all’adriatico nella cartografia del passato” di Luciano Lago) Anche Giacomo Spinelli, cartografo che denota di conoscere attentamente la nostra Regione, ritrae nel 1688 una parte della Patria del Friuli in cui scorgiamo nuovamente il torrente Cormor che spaglia le sue acque dopo il centro di Torsa. Tra la fine del 1600 e per tutto il 1700, compaiono moltissime cartografie che indicano due distinti percorsi del torrente Cormor: in un primo caso il torrente spaglia le sue acque nelle paludi di Mortegliano mentre nell’altro si nota una continuazione del percorso sino al mare. (Lago Luciano, 1989) Nel 1778 Tiberio Majeroni e Giovanni Antonio Cappellaris disegnarono la carta del Friuli in cui si può notare come il percorso del Torrente Cormor non termini come nelle altre cartografie sopraccitate sopra la stradalta, ma continui il suo percorso sino al mare. Anche Antonio Zatta, nel suo atlante “Il Friuli , colla Carnia e Cadornino” del 1783 riporta il percorso del torrente Cormor sino al mare. (Lago Luciano, 1989) Pesca e Ambiente 11 Acqua e territorio Un’altra preziosa cartografia risulta essere la Kriegskarte, ovvero la carta di guerra dell’Impero Austriaco realizzata dal generale Anton von Zach e da 32 topografi. Essa riproduce Veneto e Friuli e venne realizzata tra il 1798 e il 1805 per iniziativa dello Stato maggiore austriaco. In queste tavole viene rappresentato anche il torrente Cormor. Nel testo “Kriegskarte von Zach 1798-1805, carta del Ducato di Venezia”, viene descritto il Corso del torrente Cormor: “Viene dalla zona di Udine; se il clima è secco non ha acqua e serve da San’Andrat in giù come via verso i prati che si trovano a destra e a sinistra. In caso di tempo piovoso esso spesso s’ingrossa con forza e fa poi dei notevoli danni, anche se è delimitato da argini. Al di sopra di Paradiso esso si perde completamente e termina nel canale Roja dei posti (Fosso dei Posti).” Analizzando la tavola, si nota come nell’ultimo tratto del torrente Cormor sia presente una zona coltivata irrigata con canalette. Da alcune di queste canalette partono una serie di fossi e rogge che arrivano sino al fiume Stella. Si può ipotizzare dunque che molti storici e cartografi sostenevano che il Cormor andasse a defluire nello Stella proprio per la presenza di questi canali. que del torrente Cormor in laguna considerando i periodi in cui il Cormor era soggetto a forti esondazioni. Sappiamo quindi che durante le esondazioni, il Cormor non si fermava nella zona di Mortegliano, ma le sue acque si dirigevano verso altri rii e rogge che sfociavano poi in laguna. Attualmente utilizzando i rilievi laser scan è possibile vedere inoltre qual era il percorso originario dei fiumi e torrenti. Si riescono infatti ad evidenziare le vecchie anse dei torrenti o come per esempio un affluente minore sia diventato una stradina di campo. Immagine n. 4: rilievo laser scan di un tratto del torrente Cormor tra Pozzuolo e Mortegliano. Con la freccia di colore nero sono indicate le anse originarie del torrente. Nel tratto superiore l’ansa ha subito una modifica naturale mentre tutte le altre qui rappresentate sono state modificate dalla mano dell’uomo intervenuta con l’opera di canalizzazione. Figura n.3: parte della cartina XVI.12 tratta da “Kriegskarte 17981805, il Ducato di Venezia nella carta di Anton von Zach”, Fondazione Benetton Studi Ricerche Le nostre conoscenze storiche ci indicano, infatti, che i lavori di canalizzazione del torrente Cormor sono state eseguite in tempi relativamente recenti. Possiamo dunque ipotizzare che questi cartografi abbiano fatto defluire le ac- 12 Pesca e Ambiente Col passare degli anni molte sono state le modifiche apportate dall’uomo al torrente che non sempre si sono rivelate utili e rispettose nei confronti dell’equilibrio naturale ed ecologico innescando delle crisi di rigetto da parte dell’ambiente. Una delle modifiche più importanti ed evidenti è datata 1486. I Comuni di Billerio, Magnano e Artegna decisero di deviare le acque del torrente Urana (chiamato Lurane dalle genti del luogo) nel bacino del Soima (Sfueime) già affluente del Cormor. Con questa operazione i Comuni sopraccitati risolsero il problema di uno sfavorevole deflusso delle acque, ma lo scaricarono sui Comuni a valle. (Martinis, 2002) Attualmente l’Unione Europea consapevole delle modalità di protezione attuate in passato che non prevedevano alcuna coordinazione tra le aree a monte e a valle, scaricando il problema da una parte all’altra, ha emanato nel mese di luglio 2004 una comunicazione sulla gestione dei rischi di inondazione, prevenzione, protezione e mitigazione delle inondazioni contenente la proposta di un programma d’azione concertato per la protezione delle piene. (COM(2004)472 del 12 luglio 2004). È indispensabile che la protezione dalle alluvioni sia attuata in maniera coordinata e condivisa lungo tutto il percorso del fiume. Viene riconosciuta dunque per la prima volta a livello europeo la necessità di collaborare, cooperare nella stesura dei piani di gestione dei bacini idrici. (Commissione delle Comunità europee, 2004) Le esondazioni del Cormor si ebbero soprattutto nell’area di Pozzuolo e la pericolosità delle piene andò progressivamente aumentando. Negli anni 1719, 33, 34, 37, 38 si manifestarono violente esondazioni del Torrente Cormor che allagarono il Comune di Pozzuolo. Le spese per i ripari erano a carico del Comune e dei privati. Molte volte vi era però l’impossibilità da parte di questi soggetti a sostenere le spese necessarie e veniva chiesto un aiuto al doge di Venezia. (Collini, 1926) Il 1743 viene descritto dal Collini come un anno importante in cui il Comune di Pozzuolo chiede nuovamente l’intervento alla Serenissima Repubblica Veneta riuscendo a dimostrare che le piene del Cormor sono causate dall’immissione abusiva di altri torrenti nel suo alveo e in particolar modo dell’Urana. (Collini,1926) Solo nel 1744 venne effettuata un’ispezione lungo il Cormor e si attestò che effettivamente la causa maggiore delle piene del Cormor derivava dall’immissione dell’Urana che in precedenza, nei momenti di piena, scaricava nel Ledra. (Collini,1926) I Comuni si trovavano nelle condizioni di provvedere alle riparazioni dei danni provocati a proprie spese con molti sacrifici. Vi sono però nella storia alcune famiglie che si presero a cuore il proprio territorio e decisero di intervenire. Una di queste, forse la più conosciuta e impegnata in questo senso è la Famiglia Sabbatini di Pozzuolo. La famiglia Sabbatini intervenì molte volte per riparare agli ingenti danni provocati dalle esondazioni del Torrente. Questa facoltosa famiglia costruì a proprie spese dighe e argini, piantò pioppi al fine di consolidare i terreni minacciati. (Martinis, 2002) Per la loro attenzione, la Serenissima repubblica veneta decise di risarcirli donando loro i terreni che avevano salvato con i loro interventi. L’elenco delle maggiori esondazioni che hanno colpito il Friuli e in particolar modo il torrente Cormor vengono descritte da De Piero (1972, 1975) e Martinis (2002) e qui brevemente riportate: 1321 - gravissimi allagamenti in tutto il Friuli 1400 - grandi inondazioni 1431 - straripamento in tutto il Friuli – dal 30/10 al 16/11 1450 - straripano di tutti i fiumi friulani 1592 - straripamento di tutti i fiumi 1596 - straripamento di tutti i fiumi 1691 - straripamenti del torrente Cormor a Mortegliano 1719, 12 dicembre - esondazione del torrente Cormor 1733 - piene spaventevoli del torrente Cormor 1734 - esondazione del torrente Cormor 1737 - esondazione del torrente Cormor 1749, 26 giugno - esondazione del torrente Cormor a Pozzuolo 1795 - esondazione del torrente Cormor a Mortegliano e Castions 1755 - esondazione torrente Cormor causata dall’eliminazione di un’ansa del torrente sopra Pozzuolo 1823 - tutti i fiumi del Friuli straripano 1837 - piogge dirompenti, straripamento di tutti fiumi 1851, nell’autunno - straripamenti 1920, 19 settembre - piogge dirompenti, straripamento di tutti fiumi Pesca e Ambiente 13 Acqua e territorio L’evento di piena di cui si hanno documentazioni maggiori è quello verificatosi nel settembre 1920. Questo è il primo evento rilevato strumentalmente è documentato in modo dettagliato da un rapporto eseguito dall’Ufficio idrografico del Magistrato delle acque nel 1924. Gli Anni ’20 sono importanti anche per le dispute inerenti ai lavori di bonifica e salvaguardia delle piene creatisi tra la società Anonima Grande Bonifica della Bassa Friulana e dal Comitato promotore per la costituzione del Consorzio di bonifica tra i proprietari del territorio denominato “bassa Friulana”. Entrambe le società elaborarono un progetto di bonifica. Nel 1928 il Magistrato delle acque dichiara ammissibili le indicazioni date dal Consorzio “bassa friulana”. Con il Regio Decreto 25 novembre 1928 venne costituito il Consorzio di secondo grado. “È da questo momento che ha inizio la proficua e concreta marcia della bonifica della Bassa Friulana” (Consorzio di 2°grado per la trasformazione fondiaria della Bassa Friulana, 1942). Durante la visita del Capo del Governo in Friuli nel 1938 il neonato Consorzio di secondo grado mise in evidenza l’indispensabilità delle opere da eseguire per il riordino e la salvaguardia del comprensorio ponendo attenzione ai lavori da eseguire sul torrente Cormor. A seguito di tali vi- site il Governo dispose un finanziamento di 13 milioni e mezzo di lire per realizzare l’intervento ma questi fondi non poterono essere utilizzati per il sopraggiungere degli eventi bellici. (Consorzio di 2° grado per la trasformazione fondiaria della Bassa Friulana, 1942) I lavori di canalizzazione vennero effettuati dal 1944 al 1963 ad opera del Consorzio di secondo grado Bassa Friulana mediante 22 stralci dalla laguna alla Stradalta. Nel 1937 venne realizzato il bacino di laminazione a S. Andrat e solo nel 1961 si realizzò l’inalveazione verso Mortegliano. (De Cillia, 1993) Possiamo dunque riscontrare che i cambiamenti, le esondazioni, i lavori di bonifica e di salvaguardia dalle piene che riguardarono il torrente Cormor nel corso della storia furono molti e coinvolsero direttamente tutte le popolazioni che si trovavano ad abitare nelle vicinanze. Ogni modifica e ogni catastrofe segnò profondamente la vita di tutte le popolazioni vicine. Il rapporto tra l’uomo e l’ambiente si dimostra ancora una volta in tutta la sua forza. Come accennato in precedenza, attualmente l’attenzione della Comunità europea è focalizzata anche sugli aspetti ambientali e sulle alluvioni, sulla gestione del rischio. Questa è l’ottica verso cui oggi dobbiamo tendere in accordo con quanto sancito dalla direttiva quadro 2000/60. Bibliografia: Collini G. “Il torrente Cormor”, Tipografia del Patronato, Udine, 1926; Commissione delle comunità europee “Comunicazione della commissione al consiglio, al parlamento, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni”, 12.07.2004; Consorzio di secondo grado per la trasformazione fondiaria della bassa friulana “ La sistemazione fluviale della Bassa Friulana”, Grafiche G. Chiesa, Udine, 1942; De Cillia “Mortean lavarian e cjasielis”, Società filologica friulana Bergamini e Ellero,1993; Feruglio, Tonizzo, Ferrari “Progetto di bonifica della bassa friulana”, stabilimento tipografico friulano 1926; Frau Giovanni “Dizionario toponomastico Friuli-Venezia Giulia”, Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1978; Fondazione Benetton Studi Ricerche “Kriegskarte 1798-1805, il Ducato di Venezia nella carta di Anton von Zach”, Grafiche V. Bernardi, Pieve di Soligo, 2005; Gentili Roberto, “Un parco per Udine. Termini e motivi per un intervento unidilazionale nella valle del Cormor”, La panarie n. 28, Tipografia Sociale, Udine 1975; Lago Luciano “Theatrum Adriae dalle alpi all’adriatico nella cartografia del passato”, Ed. LINT, Trieste 1989; Martinis Mario “Il torrente Cormor”, ce fastu? rivista della società filologica friulana 2002; Mazzuccato G. “Notizie idraulico agrarie sopra alcuni torrenti del Friuli”, Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia, tipografia di Giovanni Silvestre, Milano,1809; Munini Ermes “Il Cormor corre e muore”, gazzettino sera 1956; Plinio Gaio Secondo “Storia naturale”, Einaudi edizione, 1983. R. Magistrato delle acque, Ufficio Idrografico, “Le piogge e le piene dei fiumi friulani nella terza decade del settembre 1920”, Premiate officine grafiche Carlo Ferrari, 1924. 14 Pesca e Ambiente Pesca e memoria Gli storioni e il Paradiso perduto Divagazioni in libertà su pesci che furono e pesci che saranno Sergio Paradisi Quando gli anni dietro le spalle cominciano ad essere non proprio pochissimi, capita di trovarsi con qualche coetaneo davanti a un bicchiere a rievocare il tempo che fu. “Non bisognerebbe mai ricordare” - dice Francesco Guccini in una sua canzone: i ricordi, quando non sono consolatori, non fanno bene alla vecchiaia. Oddìo, per la vecchiaia c’è ancora tempo, ma le malinconie fanno certo capolino quando l’amico dall’altra parte del bicchiere è un pescatore e si parla di pesci e acque dei bei tempi andati. Andati quando? Beh, diciamo trenta-quaranta anni fa. Quando l’Isonzo non lo passavi a piede asciutto neanche nel solleone di luglio dopo tre mesi di siccità, e le cheppie risalivano in massa ai primi tepori estivi. Quando il fiume a Sagrado era il paradiso di temoli e barbi. Quando sporgendoti dalla passerella di Gradisca potevi scorgere decine di lamprede di mare in riproduzione. Quando a Gorizia una marmorata di dieci e passa chili faceva certo notizia, ma più volte a stagione. Quando a Monfalcone andando al mare in bicicletta ti potevi ancora fermare a bere l’acqua di qualche piccola risorgiva, e a guardare i gamberi sul fondo. Quando a Fossalon le carpe e le tinche erano tante e grandi, e grovigli di anguille in risalita potevano bloccare le pale dell’idrovora della Bonifica della Vittoria. Quando nelle acque della Bassa i lucci erano lucci, e non aspiranti tali. Quando a Cervignano nell’Aussa e nel Taglio i temoli nuotavano a sciami, e nella Roggia dei Prati le marmorate erano di un incredibile color rosa-arancio che non vedrete mai in nessuna foto e in nessun libro. Non avreste malinconie, voi? Chi ha cominciato ad andar per fiumi alla fine degli anni ’70 può anche ritenere che queste siano esagerazioni da pescatore, o pensare che la memoria di chi è un po’ avanti con gli anni ogni tanto si incasina. A volte me lo chiedo anch’io: vuoi vedere che anche nei ricordi c’è una differenza fra Paese percepito e Paese reale? Del resto si impara presto ad accontentarsi: l’Isonzo sarà sì ridotto talvolta a un rigagnolo, ma è pur pieno di “savette” e di altri pesci che, anche se non si sa bene cosa siano, pur sempre pesci sono! E con un po’ di fortuna, potete addirittura rimediarci un siluro da mezzo quintale! Il siluro che ho visto catturare accidentalmente qualche anno fa, a dire il vero, era ancora più grosso: 80 chili di peso per un metro e ottanta di lunghezza. Devo dire che vederlo tirar fuori dall’acqua mi ha procurato una sensazione strana, come se alla scena mancasse qualcosa: c’era lo stupore, certo, per le dimensioni del mostro, ma era fredda meraviglia, non emozione. Ad esempio, non l’emozione che molti anni prima, alla foce dell’Isonzo, mi aveva regalato l’unico storione selvatico da me incontrato, e che oggi ritorna intatta al ricordo. Era una giornata plumbea di tarda primavera, con le nubi basse di un temporale incombente ed ancor più bassi aironi cinerini che sfioravano lenti le cime degli alberi, e quel pesce era una creatura venuta dal passato a proclamare la sua fedeltà a quel luogo, a dispetto del tempo e degli uomini. Era lungo poco più di un metro ed era un animale affascinante, con qualcosa di antidiluviano nell’aspetto. Era incappato in una rete, e quando lo vidi stava ancora indugiando attorno al barchino di legno di chi lo aveva liberato; a quei tempi, di sicuro, nessuno aveva ancora sentito parlare di no kill Pesca e Ambiente 15 Pesca e memoria - che del resto è un concetto estraneo alla pesca di sussistenza - ma vi garantisco che quello storione fu rilasciato, anche se allora la specie non era certo protetta come oggi: forse perché da queste parti una tradizione a proposito della pesca dello storione non c’è mai stata, o forse perché si trattava di una cattura talmente inusitata da non essere proprio contemplata da chi in quel momento stava pensando a passere e branzini. O forse per rispetto. Forse. Se fosse stato catturato nel Po, nell’Adda, nell’Oglio o nel Ticino, lo avrebbero rispettato mangiandolo. Ed era giusto così, perché mangiare bisognava. È vero che una delle cause della quasi scomparsa degli storioni dai fiumi italiani è stata la pesca, esercitata anche su esemplari non sessualmente maturi, ma per chi negli anni ’50 e ’60 doveva mantenere la famiglia facendo conto su quello che il fiume offriva, uno storione nella rete era una benedizione. Adesso è facile giudicare, però va ricordato che il tracollo delle popolazioni padane di storioni si è avuto in tempi più recenti, quando a vivere solo di pesca sui fiumi erano rimasti in pochi. Pescatori di mestiere o bracconieri che fossero (la differenza consisteva spesso solo nel possesso o meno del permesso legale di cattura) si trattava in molti casi di personaggi straordinari, che conducevano una vita in totale simbiosi con il fiume, che combattevano - spesso da soli - con pesci più grandi di loro, e che avevano una conoscenza dell’ambiente e degli animali incomparabilmente maggiore della stragrande maggioranza dei pescasportivi di oggi: perché noi con queste cose ci giochiamo, e loro ci dovevano campare. Era una vita grama, condotta in luoghi integri e straordinari in cui però nessuno oggi si avventurerebbe senza un paio di taniche di Autan, e il pesce catturato serviva in primo luogo per sfamare se stessi e i figli. Oggi non dobbiamo pescare per mangiare, arriviamo sul fiume con l’automobile e il climatizzatore, se fa freddo abbiamo i calzini riscaldati, se piove sfoggiamo il Goretex, se fa caldo molliamo tutto e andiamo al mare, se il pesce non si vede proviamo con i Polaroid e per le acque profonde esistono indispensabili ecoscandagli. Ma abbiamo i fiumi di cemento, le trote di batteria e l’acqua razionata, e ai figli allunghiamo i soldi perché vadano al fast food e ci lascino in pace. Il bilancio tra costi e ricavi ognuno lo può fare secondo il proprio metro, e decidere la propria personale classifica di guadagni o perdite. Una cosa abbiamo certamente perso: l’avventura, che avevamo gratis e che adesso andiamo a cercarci in viaggi organizzati, ad esempio nelle steppe russe, per pescare il vorace aspio e incontrare il grande beluga. L’aspio è un Ciprinide predatore che può arrivare al metro di lunghezza, e per non farci mancar niente l’abbiamo anche importato; il beluga è uno storione, ce l’avevamo già e abbiamo fatto in modo di non averlo più. Huso huso, volgarmente detto storione làdano o beluga, è infatti una delle tre specie di storione proprie dell’ittiofauna italiana. Le altre sono lo storione comune (Acipenser sturio) e lo storione cobice (Acipenser naccarii). 16 Pesca e Ambiente Pescatori di storioni del Po mantovano, al confine della provincia di Reggio Emilia.(Da Fly Line n° 6/2004). Gli storioni sono animali straordinari, non solo per le dimensioni imponenti e perché possono vivere vari decenni, ma anche per i caratteri di primitività che testimoniano la loro antica origine evolutiva: scheletro poco ossificato, in gran parte cartilagineo; capo ricoperto superiormente da ossa cutanee (dermocranio); muso allungato, a forma di rostro, con profilo superiore concavo; bocca nettamente infera, protrattile; opercolo rudimentale, che lascia intravvedere le lamelle branchiali. Disposizione degli scudi ossei sul capo degli Acipenseridi italiani; da sinistra Storione cobice, Storione comune, Storione ladano. (Da Hecker & Kner, 1858). La pinna dorsale, le ventrali e l’anale sono molto arretrate; la pinna caudale è eterocerca, come quella degli squali. La sezione del tronco è pentagonale, con i vertici del pentagono corrispondenti a cinque serie longitudinali di scudi ossei cutanei (una serie dorsale, due laterali e due ventrali). Un buon carattere distintivo sono i 4 barbigli posti anteriormente alla bocca in un’unica serie trasversale: essi sono lunghi, nastriformi e giungono fino alla rima boccale nello storione ladano; sono corti a sezione rotonda nelle altre due specie, più vicini all’apice del muso che alla bocca nel cobice, il contrario nello storione comune. Tutte e tre le specie sono migratrici anadrome, vivono cioè in mare e vengono a riprodursi in acqua dolce, con esigenze ben precise per quanto riguarda substrato di deposizione delle uova, temperatura, ossigenazione, velocità della corrente. I fiumi vengono risaliti sfruttando i corridoi di acque profonde. Sembra che gli adulti maturi si riproducano solo ogni 2-4 anni. Fuori dal periodo riproduttivo vivono in acque relativamente costiere: il cobice non supera i 40 m di profondità, mentre le altre due specie possono spingersi a 150-200 metri. Il ladano è un pesce di dimensioni enormi, può arrivare con certezza a 6 m di lunghezza e a una tonnellata di peso, ma si favoleggia di esemplari prossimi ai 9 m. Il suo areale comprende il mar Nero, il Caspio e i fiumi maggiori che in essi sfociano; la distribuzione della specie ha in Adriatico il suo limite occidentale, e l’unico fiume risalito in Italia era il Po, dove gli esemplari pescati rimanevano su taglie ben inferiori, attorno ai 2 metri. Lo storione comune può raggiungere i 4 m di lunghezza e i 250 kg di peso. È ampiamente distribuito nelle acque marine costiere d’Europa e del Medio Oriente; in Italia la specie risaliva i fiumi maggiori, raggiungendo nel bacino del Po taglie raramente superiori ai 2 m di lunghezza e al quintale di peso. le si conserva anche a monte di Isola Serafini, compiendo quindi tutto il ciclo vitale nelle acque dolci. La contrazione demografica è comunque estrememente marcata. Anche le popolazioni di Croazia e Montenegro sono considerate estinte. Il cobice è il più piccolo dei nostri storioni, e le sue dimensioni, pur se possono giungere ai due metri, raramente toccano i 150 cm di lunghezza e i 30 kg di peso. Oggi per gli storioni sono in vigore misure di protezione, anche se la saggezza popolare direbbe che sono state prese dopo s’cjampât il purcìt. Comunque, oltre al divieto di pesca, tutte le specie sono citate sia nella Direttiva 92/ 43/CEE sia nella Convenzione di Berna. Nella Lista Rossa dei pesci d’acqua dolce indigeni in Italia tutte le tre specie sono considerate “in pericolo critico”. Misure urgenti di protezione dovrebbero riguardare interventi di miglioramento degli habitat, costruzione di passaggi che permettano di superare le dighe (o, in alternativa, predisposizione di letti di frega artificiali immediatamente a valle degli sbarramenti), ripopolamenti. A questo proposito, vanno segnalate le iniziative condotte a partire da metà degli anni ’90, prima in Lombardia (ripopolamenti in Ticino, Adda e Oglio) e poi in Veneto (ripopolamenti in Piave, Livenza e Sile); inoltre è di grande interesse un recente progetto coordinato dall’Ente Parco Delta del Po, che vede il coinvolgimento di tre regioni (Emilia Romagna, Lombardia e Veneto), otto province (Cremona, Ferrara, Piacenza, Rovigo, Venezia, Treviso, Verona e Padova), e un partner Avrete notato che sto parlando al passato: la riproduzione dello storione comune e dello storione ladano è infatti documentata in Italia fino agli inizi degli anni ’70, e le catture successive, oggi estremamente rare, sono verosimilmente dovute all’erratismo di singoli esemplari provenienti da altre regioni dell’areale. Le principali cause sono da ricercarsi, oltre che nella pesca, nel degrado degli habitat e dalla costruzione di dighe (ad esempio sbarramenti di Isola Serafini e Casale Monferrato sul Po) che impediscono la risalita dei riproduttori fino alle zone di deposizione. Solo lo storione cobice sembra riprodursi ancora nelle acque interne d’Italia. La specie è endemica nel bacino del mare Adriatico, del quale frequenta soprattutto le coste settentrionali e orientali. L’areale storico comprende Po e affluenti maggiori, e poi Adige, Brenta, Livenza e Tagliamento; nella nostra regione esemplari comparivano anche nello Stella e nell’Isonzo. Oggi è limitato quasi eslusivamente al bacino del Po, dove una popolazione vita- privato (la piscicoltura VIP di Orzinuovi, in provincia di Brescia), per la produzione e la semina di novellame di Acipenser naccarii. Mi piacerebbe che anche in Friuli Venezia Giulia si pensasse di dare una mano a questi magnifici pesci, anche se nei nostri corsi d’acqua sono forse sempre stati una presenza relativamente marginale. Uno storione nel fiume rimane celato nei fondali: non si cattura a canna, non preda altre specie ittiche (nonostante la taglia si nutre quasi esclusivamente di invertebrati), non si moltiplica a dismisura divenendo un problema: è un’entità discreta e inafferrabile, quasi un sogno. Perché rinunciare al sogno? Una cosa è andare al fiume sapendo che in un giorno inmagato lo si potrebbe anche incontrare; una cosa è andarci sapendo che si tratta di un capitolo chiuso, di una delle tante cose da relegare al passato, insomma di una perdita. Auguri storione. Ma c’è molto egoismo in questi auguri, perché in fondo in fondo sono auguri che faccio a me. Pesca e Ambiente 17 Una giornata sul fiume Giuseppe-Adriano Moro Le acque della montagna “Pescata” sul torrente Lumiei (Prima parte) L’Ente Tutela Pesca conduce Una giornata di campagna inizia, in ogni anno, con personale proprio ed attraverso la collaborazione con istituti universitari regionali, campagne di studi relativi alla fauna ittica ed agli ambienti acquatici del Friuli Venezia Giulia. Lo scopo di questa attività è l’acquisizione delle informazioni necessarie per la gestione del patrimonio ittico regionale ed i risultati sono periodicamente pubblicati, sugli organi di informazione dell’ETP. L’ultima pubblicazione dell’Ente é un cd-rom intitolato “Pesci ed acque del Friuli Venezia Giulia”, in cui i risultati delle campagne degli ultimi sette anni, condotte dall’ETP in collaborazione con l’Università degli Studi di Trieste, vengono presentati in modo organico. Raramente i cittadini della nostra Regione, siano essi pescatori o meno, conoscono tutto ciò che conduce alla realizzazione di queste pubblicazioni, il vero e proprio “backstage” scientifico. In questo numero di “Pesca e Ambiente” descriverò una giornata di raccolta dei dati nei torrenti della zona montana, nei prossimi numeri affronteremo le acque della pianura. 18 Pesca e Ambiente effetti, molto prima del giorno in cui si lavora sul fiume. Bisogna, infatti, decidere che corsi d’acqua studiare, dove raccogliere i dati e quando farlo. È ovvio che dal punto di vista scientifico la situazione ideale sarebbe quella di raccogliere dati su tutto il corso d’acqua, ma questo è evidentemente impossibile dal punto di vista pratico. Bisogna, dunque, scegliere dei punti rappresentativi della realtà di un corso d’acqua, cercando di capire quali siano i tratti con caratteristiche uniformi. È poi necessario individuare almeno un punto Campionamento sul torrente Lumiei di raccolta dati, detto “stazione”, per ciascun tratto omogeneo. Per fare questo è necessario conoscere a priori il corso d’acqua, almeno parzialmente. In questa fase è fondamentale la conoscenza dei luoghi e quindi la disponibilità di informazioni che vengono fornite da chi frequenta abitualmente i nostri fiumi. Le decisioni vengono prese in genere discutendo con i collaboratori ittici ed i volontari della vigilanza dell’Ente, che conoscono molto bene il loro campo d’azione. Individuati i tratti omogenei si decide dove posizionare al loro interno le stazioni, sulla base di un principio semplicissimo: si va dove il fiume è più accessibile e dove è più facile lavorare. Non si tratta di pigrizia, ma della soluzione di un problema pratico: durante le campagne bisogna cercare di lavorare in più stazioni in ciascun giorno, ma bisogna farlo bene e raccogliere buoni dati. Se si perde molto tempo per raggiungere una stazione, o ci si stanca molto nella prima mattinata, è molto difficile riuscire ad ottenere buoni risultati. Bisogna ricordare che fare un censimento ittico è un lavoro massacrante per gli operatori e che la stanchezza rende sempre più difficile essere efficienti. Da questo punto di vista risulta evidente che la preparazione di una giornata di lavoro sul fiume richiede esperienza, ciò che a tavolino può sembrare ideale, nella realtà si rivela spesso totalmente sbagliato. Un aspetto importante del nostro lavoro è trovare il modo per integrare differenti punti di vista e, attraverso questo processo, fornire risposte utili a chi chiede informazioni. La visione delle acque non è infatti identica per un pescatore ed una guardia, per un collaboratore ittico ed un biologo, per un cittadino qualunque ed un amministratore, anche se l’oggetto dell’interesse è il medesimo. Quando i piani d’azione sono pronti e le squadre di operatori coinvolte sono state avvertite, inizia la vera attività di campagna. Nell’affrontare un corso d’acqua si cerca sempre di iniziare dalla stazione posta più a monte, quella Campionamento a Pioverno Torrente Venzonassa più lontana dai punti di appoggio, in modo da lasciare per ultime le stazioni maggiormente accessibili. Appena raggiunta una stazione il lavoro inizia con una suddivisione dei compiti che è ormai tacita e prestabilita. Le variazioni sul modo di operare sono minime e dipendono per lo più dalle caratteristiche dell’ambiente o dal tipo di dati che si vogliono acquisire. Se si desidera raccogliere dati quantitativi, per esempio, è necessario isolare un tratto di corso d’acqua con delle reti, per fare sì che i pesci non possano sfuggire. Questo comporta differenze notevoli nella scelta delle stazioni, perché non sempre è possibile tirare delle reti attraverso un impetuoso torrente alpino. Mentre alcuni posizionano le reti di sbarramento altri preparano l’elettrostorditore, montano il tavolo per le misure, qualcuno inizia ad annotare le caratteristiche della stazione e qualcun altro misura parametri chimico fisici delle acque come temperatura, pH, conducibilità e concentrazione di ossigeno disciolto. Appena tutto è pronto una squadra di almeno tre collaboratori ittici scende in acqua in corrispondenza della rete di valle ed inizia a recuperare il pesce con l’elettrostorditore. La squadra minima di tre operatori è necessaria perché uno di loro manovra il guadino elettrificato, uno porta il generatore a zaino ed il terzo un secchio per raccogliere i pesci catturati. Un altro operatore fa la spola fra la squadra di recupero ed il tavolo di misura, perché i pesci non possono essere trattenuti troppo a lungo dentro un secchio. Al tavolo ogni pesce viene riconosciuto (a livello di specie), misurato e pesato, quindi messo in un altro secchio, col quale verrà il più rapidamente possibile portato nuovamente al torrente, liberandolo sotto la rete di valle, quindi fuori dal tratto di campionamento. La squadra di recupero raggiunge la rete di monte, quindi torna verso quella di valle, continuando a catturare pesci. Gli esemplari catturati in ciascun passaggio vengono annotati separatamente, in modo da potere stabilire quanti erano quelli del primo passaggio e quanti quelli del secondo. Questo accorgimento é necessario per valutare il numero complessivo di individui secondo il removal method. Mentre la squadra di recupero procede nelle catture vengono effettuati i campionamenti di macroinvertebrati bentonici. Disporre di dati sul macrobenthos è utile sia per valutare la qualità biologica dell’ambiente acquatico che per ottenere preziose informazioni sul corso d’acqua applicando metodi di indagine tipici dell’ecologia. A tutti gli effetti la sola valutazione della qualità delle acque, che spesso colpisce di più il pubblico, è insufficiente dal punto di vista gestionale, poiché semplifica in modo eccessivo il quadro ambientale che viene osservato. L’operatore addetto a questo campionamento percorre il tratto di torrente studiato ed individua una sezione che sia il più possibile rappresentativa dell’ambiente complessivo del tratto, nonché adatta al campionamento degli invertebrati. Le regole per scegliere una buona sezione di campionamento sono poche, ma in verità è l’esperienza a guidare questa scelta. L’operatore addetto alla raccolta dei macroinvertebrati attraversa a guado il corso d’acqua, quindi inizia la raccolta procedendo a ritroso lungo un transetto che attraversa tutta la sezione. Questo dove è possibile guadare senza particolari problemi. In altri casi la raccolta avviene in una fascia limitata della sezione. Catturare i macroinvertebrati è relativamente semplice: si dispone un retino immanicato dalla bocca quadrata rivolto verso monte, l’operatore si posiziona a monte del retino e con i piedi smuove il fondo (il metodo si chiama kick sampling). Pesca e Ambiente 19 Una giornata sul fiume Così facendo i macroinvertebrati non possono più resistere alla corrente e vengono da questa trasportati nel retino. L’efficienza di questo metodo dipende molto dalle caratteristiche del fondo, dalla velocità della corrente, dalla turbolenza e dalla profondità. In genere tentare di catturare invertebrati con questo metodo quando l’acqua è veloce e supera in altezza il ginocchio si risolve con un insuccesso: la turbolenza è tale che gli organismi vengono portati dalla corrente al di sopra della bocca del retino e si rimane letteralmente con un pugno di sabbia. Il retino si riempie, comunque, di detriti: sabbia, piccoli ciottoli, foglie morte, frammenti di legno e, purtroppo, immondizie. L’operatore raggiunge la riva e vuota il contenuto del retino in una vaschetta, eliminando i detriti più grossolani e versando il resto del campione in un barattolo da uno o due litri. Il campione viene fissato con formaldeide (in concentrazione variabile a seconda delle esigenze) ed è così possibile conservarlo molto a lungo. In alcuni casi la pulizia preliminare del campione è possibile con estrema efficacia e nel barattolo finiscono pochi decilitri di residui oltre a molte centinaia di organismi. Il tutto viene esaminato in laboratorio nei giorni successivi. Quando le operazioni di raccolta dei dati sono terminate si smonta rapidamente il tavolo di misura, vengono ricontrollate le schede di campagna compilate, si scattano alcune foto e ci si sposta alla stazione successiva. In condizioni idriche buone possono essere effettuati campionamenti completi su sei o sette stazioni al giorno, nei mesi estivi. Una squadra passa da trenta minuti ad un’ora in acqua per ciascuna stazione. Anche questi elementi devono essere tenuti in considerazione mentre si opera, perché un lavoro logorante può ridurre il livello di attenzione, riducendo l’efficienza e sopra tutto la sicurezza di chi lavora in acqua. I dati raccolti devono essere riordinati ed elaborati, una volta tornati in laboratorio, per ottenere quelle infor20 Pesca e Ambiente I Chironomidi, un mondo di Ditteri Onnipresenti e spesso fastidiosi i Ditteri sono un grande ordine di Insetti nel quale sono compresi organismi con larve acquatiche. Allo stadio adulto possono assumere due forme tipiche, definibili in termini semplificati come “zanzara” e “mosca”. Le larve di questi animali hanno una varietà di forme e di comportamenti eccezionali e rappresentano una quota molto importante della fauna degli ambienti acquatici. Le famiglie di Ditteri con larve acquatiche presenti in Friuli Venezia Giulia sono quattordici e ciascuna di esse comprende molti generi. Una di queste famiglie comprende gli organismi più diffusi nelle nostre acque: i Chironomidi. Le larve acquatiche di questi animali appaiono, ad una rapida osservazione, simili a piccoli vermetti. Alcune larve hanno sono di colore rosso acceso e le più grosse vengono usate come esca col nome esotico di “ver de vase”. Si tratta, in effetti, di larve ben adattate ad ambienti dove scarseggia l’ossigeno e sono responsabili delle pessima fama che i Chironomidi godono, presso coloro che si occupano di qualità biologica delle acque. Contrariamente a quanto si crede, però, non tutti i Chironomidi amano le acque inquinate e povere di ossigeno, anzi, molte specie di questi Ditteri vivono esclusivamente in acque fresche e ben ossigenate, nei ruscelli alpini. Il loro riconoscimento è, purtroppo, difficile per chi sia uno specialista e sono pochi coloro che hanno il coraggio di affrontare una simile impresa. Ad ogni modo, una conoscenza spinta alle sole sottofamiglie, consente di scoprire un nuovo mondo e di apprezzare l’enorme varietà di forme e caratteristiche ecologiche di questi piccoli organismi. Dal più alto laghetto alpino, alla laguna, dai ruscelli limpidi e gelati delle Alpi ai canali di bonifica, i Chironomidi hanno sempre dei rappresentanti e non lasciano mai vuoto il retino dell’idrobiologo che si avventura nelle nostre acque; un brulicare di piccole larve promette sempre la scoperta di un nuovo paesaggio biologico, quasi fosse un mondo di Ditteri. Torrente Arzino mazioni essenziali alla corretta gestione del patrimonio ittico regionale. Questo genere di lavoro viene svolto con continuità da molti anni ed ha subìto alcune modifiche nel corso del tempo, grazie all’acquisizione di nuove tecniche ed esperienze. Le attività di campagna non si possono mai considerare concluse, poiché i corsi d’acqua subiscono una continua evoluzione, che necessita di un costante aggiornamento delle informazioni. Appena terminato un ciclo di campionamenti viene programmato quello successivo, in modo da potere fornire costantemente gli opportuni aggiornamenti a coloro che sono responsabili della pianificazione e gestione della fauna ittica. Itinerari Emozioni dalla natura Istituzione Il Parco Naturale Regionale delle Dolomiti Friulane è stato istituito con Legge Regionale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia n. 42 del 30 settembre 1996. Tutto straordinariamente emozionante. L’emozione vi coglie al primo contatto, bastano pochi passi e vi troverete subito in un paradiso naturale incontaminato. Estese vallate, prive di viabilità principale e di centri abitati, si addentrano tra vette dolomitiche elevando il Parco al grado di “wilderness”, ideale per escursioni di tipo naturalistico ed il trekking. Lontano dalla confusione cittadina e dal logorio della vita moderna, ci si trova in una quiete silenziosa, fattore importante per migliorare la qualità della vita. Camminate contemplative, scalate su roccia; osservare la natura o semplicemente rilassarsi in un dolce far niente. Ubicazione Il Parco è inserito nel comprensorio montano soprastante l’alta pianura friulano-veneta. L’area protetta si estende dalla provincia di Pordenone a quella di Udine ed abbraccia la Valcellina (Comuni di Andreis, Cimolais, Claut, Erto e Casso), l’Alta Valle del Tagliamento (Comuni di Forni di Sopra, Forni di Sotto) ed i territori confluenti verso la Val Tramontina (Comuni di Frisanco e Tramonti di Sopra). Estensione Il Parco è il più vasto tra gli unici dei due del Friuli Venezia Giulia: con un’area di 36.950 ettari. Nelle vicinanze si trova anche la Riserva Naturale Regionale Forra del Cellina (304 ettari), gestita dall’Ente Parco stesso. Territorio Il Parco delle Dolomiti Friulane è un vero e proprio paradiso per l’escursionismo di tipo naturalistico ed il trekking, attività garantite da un’adeguata rete di sentieri e da un buon numero di strutture d’appoggio (casere - ricoveri, bivacchi). Il territorio, considerato di grande interesse geologico, ambientale e naturalistico, è caratterizzato da un alto grado di wilderness, particolarmente percettibile grazie all’assenza di strade di comunicazione (sono presenti solo alcune vie di penetrazione in fondovalle e piste di servizio non collegate tra le grandi vallate) e difficilmente riscontrabile, per estensione, in altre zone dell’arco alpino. Pesca e Ambiente 21 Itinerari La catena dei Monfalconi con il Campanile di Val Montanaia, le praterie di alta quota di “Canpuros”, i pascoli di malga Senons e la solitudine dei Canali di Meduna, ne fanno un ambiente unico. Collegata al Parco vi è inoltre la vicina Riserva Naturale Forra del Cellina, significativa e spettacolare incisione che il Torrente Cellina ha scavato negli strati calcarei fra Barcis, Andreis e Montereale Valcellina prima del suo sbocco nell’alta pianura friulana. La geomorfologia di questi monti rivela una notevole e continua evoluzione del territorio testimoniata dalla presenza di faglie, sovrascorrimenti e fratture che si contrappongono a morene e piramidi di terra determinate dall’escavazione e dal deposito di antichi ghiacciai; guglie e torrioni dolomitici (il Campanile di Val Montanaia), nonché stratificazioni rocciose dalle svariate caratteristiche (i libri di San Daniele) indicano inoltre un’intensa erosione alpina. La zona è interessata da tre grandi linee tettoniche: “linea dell’Alto Tagliamento”, “Sovrascorrimento Monte Duranno-Alto Meduna” e “Sovrascorrimento (o faglia) Periadriatico”. Quest’ultimo è facilmente individuabile nella zona di Andreis a Sud del Monte Raut, dove determina un singolare paesaggio. Ulteriore fattore che ha caratterizzato l’aspetto geomorfologico delle 22 Pesca e Ambiente Cima Duranno zone più interne, è stata la presenza diffusa dei ghiacciai, protratta fino ad alcune migliaia di anni fa, in tutte le valli del comprensorio prealpino. Le testimonianze si evidenziano da alcune sezioni vallive e dai grandi e piccoli “circhi” glaciali modellati nei fianchi montuosi. Bisogna inoltre ricordare i grandiosi depositi della Frana del Monte Toc (o del Vajont), che evocano la catastrofe del 1963 e costituiscono un esempio unico di colossale evento franoso. Sentieristica Caratteristica notevole del Parco è il fatto di essere attraversabile unicamente in assetto escursionistico, seguendo la rete sentieristica primaria, individuata e gestita tenendo presenti gli aspetti relativi alla garanzia della manutenzione, degli standard di sicurezza, dell’impatto naturalistico e dell’importanza storica. Non mancano i percorsi tematici, accessibili a tutti (alcuni anche a disabili), caratterizzati dalla vicinanza ai centri abitati e dalla particolarità di introdurre, rappresentare e fornire spunti sull’area interna del Parco. I rimanenti tracciati, più impegnativi e caratterizzati da attraversamenti di aree con sentieri privi di segnaletica e con segnavia scarsi o assenti, garantiscono la conservazione degli aspetti alpinistici tradizionali, ovvero il gu- ti in aree originarie e circoscritte. Tra questi endemismi evidenziamo: l’Arenaria huteri, la Gentiana froelichi, la splendida Pianella della Madonna (Cypripedium calceolus), la Daphne blagayana (un esemplare di Timeleacea rinvenuto in Italia nella zona del Raut e del Tramontino solo nel 1989). il paesaggio a Forni sto dell’avventura e della scoperta, e nel contempo assicurano la tutela spontanea di vaste aree. Cime Principali Toc (m 1921), Duranno (m 2652), Preti (2706), Monfalconi di Montanaia (m 2548), Vacalizza (m 2266), Pramaggiore (m 2478), Cridola (m 2851), Cornaget (m 2323), Dosaip (m 2062), Caserine (m 2306), Chiarescons (m 2168), Frascola (m 1961), Ressetum (m 2067), Raut (m 2025), Castello (m 1923), Borgà (m 2228), Turlon (m 2312), Vetta Fornezze (2110). PARCO NATURALE DOLOMITI FRIULANE Via Vittorio Emanuele, 27 33080 Cimolais (PN) Tel. +39.0427.87333 Fax +39.0427.877900 web:www.parcodolomitifriulane.it e.mail: [email protected] Torrenti Principali e Fiumi Zemola, Vajont, Cimoliana, Settimana, Cellina, Silisia, Meduna, Poschiadea, Dria, Giaf, Fiume Tagliamento. Flora La notevole ricchezza floristica di tutto il comprensorio del Parco dipende soprattutto dall’occasione di rifugio e di sopravvivenza che è stata data da questi territori ad innumerevoli specie durante il periodo di espansione dei ghiacciai. Oltre quindi alla molteplicità di specie tipiche della fascia temperata, sopravvivono degli autentici endemismi, cioè organismi differenziatisi in loco in tempi lontani e rimasti oggi isola- Fauna Il patrimonio faunistico del Parco è interessante: ciò dipende soprattutto dalla variabilità ambientale di questa fascia alpino-montana. Stabilmente possiamo trovare: camosci, caprioli, marmotte, galli cedroni, galli forcelli, cervi è una consistente colonia di stambecchi in continua espansione. Segno dell’elevato grado di naturalità dell’ambiente dell’Area Protetta è la consistenza dell’aquila reale (Aquila crysaetus), simbolo del Parco; in ogni vallata si stima la presenza di una coppia nidificante. L’esistenza di una popolazione ben strutturata e vitale di aquila reale, rilevabile dall’occupazione di tutti i territori disponibili, è indice di salute ambientale e della presenza di una fauna ricca. Sorveglianza È svolta dal Corpo Forestale dello Stato delle Stazioni Forestali di Barcis, Claut, Forni di Sopra, Maniago, Meduno. Vi è anche la collaborazione del Corpo Provinciale Agenti di Vigilanza delle Province di Udine e di Pordenone Pesca e Ambiente 23