Indice
Pesca e Ambiente
Il presidente
Editoriale
Notiziario d’informazione
dell’Ente Tutela Pesca
del Friuli Venezia Giulia
Attività dell’Ente
pag. 4 Illy e Marsilio visitano laboratorio e acquario di Ariis
(Ufficio stampa Regione FVG)
Un Cd-rom svela i fiumi del Friuli Venezia Giulia
(Ufficio stampa)
pag. 5 Minimo deflusso vitale - Stato degli studi
(Giuseppe Adriano Moro)
Numero 1 - Marzo 2006
(chiuso in redazione il 15 - 02 - 2006)
Periodico trimestrale
istituito con L.R. n° 19 del 12/05/71
Ci scrivono...
pag. 6 L’acquacoltura nella Regione Friuli Venezia Giulia. Quadro generale
(Associazione Piscicoltori Italiani)
Autorizz. del Trib. di Udine n° 335 del 31/05/74
Direzione e Redazione
Laboratorio Regionale di Idrobiologia
"Paolo Solimbergo" - Ariis di Rivignano
(UD)
Amministrazione
via Colugna, 3 - 33100 UDINE
Tel. (centralino): 0432 551211
Fax: 0432/482474
e-mail: [email protected]
www.entetutelapesca.it
Direttore responsabile
Loris Saldan
Presidente Ente Tutela Pesca
Redazione
Lucio Agrimi
Isidoro Barzan
Giulio Ferretti
Mauro Garzitto
Giuseppe Adriano Moro
Sergio Paradisi
Elisabetta Pizzul
Claudio Polano
Emilio Tibaldi
Con la collaborazione di Paolo Cè
Ufficio stampa
Alessandro Di Giusto
Progetto grafico e impaginazione
Franco Vicario
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Tiratura 35.000 copie
Distribuzione gratuita
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Diritti riservati
Bacini idrografici
pag. 7 Le piane alluvionali del Tagliamento - (Prima parte)
(Azzolino Bugari)
Acqua e territorio
pag. 10 Analisi storica del torrente Cormor
(Elisabetta Santarossa)
Pesca e memoria
pag. 15 Gli storioni e il Paradiso perduto
(Sergio Paradisi)
Una giornata sul fiume
pag. 18 Le acque di montagna - (Parte Prima)
(Giuseppe Adriano Moro)
Itinerari
pag. 22 Parco naturale delle Dolomiti friulane
(Ufficio stampa Parco N. D. F.)
Dai prossimi numeri pubblicheremo le vostre migliori catture.
Chi lo desideri può inviare le foto agli Uffici dell’Ente tutela Pesca in via
Colugna 3 a Udine, all’attenzione di Paolo Ce, specificando luogo e data
della cattura ed eventualmente ogni dato ritenuto utile (misure, peso).
Ad esempio:
trota marmorata
di 13,5 kg -110 cm di lunghezza
Pescata da Pietro Peloso (a sinistra
nella foto), con Pietro Sovrano Presidente dell’APS “Di Bon”
nelle acque del Tagliamento, nella
zona di Vidulis (Dignano)
Pubblicata su Notiziario ETP n° 4/2002
In copertina:
il Fiume Tagliamento visto dal Monte di Muris (Damiano Balbi)
Il presidente
A
vrei voluto dedicare questo spazio
all’illustrazione del programma di
ripopolamento approvato dal Consiglio
direttivo del novembre 2005. Purtroppo, mi vedo costretto a dover informare il lettore di un nuovo increscioso
fatto occorso all’allevamento di
Flambro. Si è verificato un nuovo episodio di moria di trote “fario”, il secondo verificatosi da quando ho assunto la presidenza dell’Ente Tutela Pesca del Friuli Venezia Giulia.
Martedì 31 gennaio 2006, mi è stata
infatti comunicata una perdita atipica
di tali trote. Ben 107 quintali di questo pregiato pesce, con pezzature comprese tra i 300 e i 1.000 grammi, sono
andati perduti, mettendo così a repentaglio i ripopolamenti previsti per il
mese di marzo.
Fatti incresciosi come questo, impongono una serie di riflessioni ed analisi sulla gestione degli impianti e, inducono ad una particolare attenzione
in merito alla sorvegliabilità degli stessi. Un primo provvedimento in tal senso è già stato adottato.
Desidero far sapere che, nonostante il gravissimo danno subito, l’Ente è
riuscito comunque ad adottare le misure necessarie per assicurare una
quantità sufficiente di trote da immettere nei fiumi e torrenti, in vista dell’imminente apertura della stagione di
pesca. Questo, per non deludere le
aspettative dei tantissimi pescatori
che, da questo ecologico e rilassante
sport, traggono gratificanti soddisfazioni.
Detto questo, ora desidero ricordare le iniziative che, con l’aiuto del
Consiglio e dei miei collaboratori, sono
riuscito a far decollare sino ad oggi.
Tutte iniziative volte a far crescere
questo Ente in specializzazione, in conoscenza scientifica, al fine di acquisire a livello regionale, ma non soltanto, quel prestigio e quella visibilità che
sicuramente merita.
Importante è stata la recente visita
del presidente della Giunta regionale
Riccardo Illy con l’assessore alle Risorse agricole Enzo Marsilio all’acquariolaboratorio di Ariis. Illy si è
complimentato sia per il modo in cui è
stata gestito detta struttura, sia per i
progetti in fase di studio che gli sono
stati rappresentati. Un grande respiro
economico è arrivato all’Ente anche
grazie al contributo che la Giunta regionale ha concesso per la
ristrutturazione dell’impianto di
Flambro e, di non poco conto, è l’accordo stipulato con il Comune di
Talmassons per la gestione di detto
impianto. Ringrazio pertanto di vero
cuore il presidente, l’assessore alle
risorse agricole e l’intera Giunta regionale che ha sempre dimostrato una
grande sensibilità ed attenzione alle
esigenze di questo Ente.
Penso che un obiettivo primario da
conseguire subito, per i ripopolamenti,
sia la creazione di un nuovo impianto
alternativo a quello di Flambro. Questo, sia per diversificare la produzione sia per ridurre i rischi di perdite
come quelli di recente subiti. La 1 a
Commissione ha già visionato alcuni siti
e sta predisponendo le relazioni da
sottoporre al Consiglio direttivo al fine
di individuare una zona idonea ad ospitare un nuovo impianto.
Una nuova stagione di pesca è oramai alle porte e, al solito, la vigilanza
volontaria sarà vicina ai pescatori, garantendo loro un aiuto costante, ponendosi come punto di riferimento e
di informazione preventiva. È intenzione dell’Ente, infatti, far sì che la
presenza della vigilanza volontaria sia
percepita dai pescatori come una realtà di formazione-informazione, anziché come una realtà di repressione.
Poiché credo fortemente nell’importanza del volontariato, ho voluto far
ristrutturare l’ufficio di Vigilanza centrale affinché possano, a breve, aver
inizio i primi corsi di aggiornamento.
È inoltre volontà di questo Ente e
mia personale, garantire il lavoro degli operai addetti agli impianti ittici,
trasformando, per quanto più possibile, i rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo
indeterminato.
Desidero altresì ampliare e diversificare i rapporti con le varie Università e questo, per assicurare la massima
specializzazione e divulgazione del
lavoro dell’Ente. Saranno infatti predisposti dei programmi da inviare ai
distretti scolastici, saranno incentivate e potenziate le visite delle scolaresche all’acquario permanente di Ariis,
sarà ripristinato l’ambiente umido
retrostante l’acquario per creare un
polo di rilevanza ambientale di grande interesse.
Ricordo che nel corso di una recente conferenza stampa è stato presentato un nuovo Cd-Rom, contenente i
dati di rilevamento effettuati nell’ultimo decennio nei fiumi della nostra
regione. È a disposizione di tutti coloro che siano interessati a tale argomento. Tale strumento costituisce un
primo tassello utile all’aggiornamento della carta ittica.
È anche decollato il progetto di
monitoraggio del cormorano sul quale, al momento non ho ancora ricevuto i primi dati. È stato però autorizzato nel frattempo un abbattimento mirato di tale specie a fini esclusivamente dissuasivi (50 cormorani in tutta la
regione).
Anche la veste grafica del notiziario
è cambiata per rendere più facile la
lettura e per dare maggior risalto, grazie alle accurate illustrazioni ivi contenute, alle molteplici bellezze naturali di questa regione.
Auguro a tutti i pescatori una stagione di divertimento, di apprendimento e di svago. Auguro inoltre che
possiate assaporare momenti di spensieratezza all’aria aperta, circondati
da un ambiente sempre più protetto e
qualificato.
Loris Saldan
Pesca e Ambiente 3
Attività dell’Ente
ILLY E MARSILIO
VISITANO LABORATORIO
E ACQUARIO ETP
Un Cd-rom
svela i fiumi del
Friuli Venezia Giulia
Comunicato Stampa Regione Friuli Venezia Giulia
II presidente della Regione Riccardo
Illy e l’assessore alle Risorse Agricole
e Naturali Enzo Marsilio hanno visitato, martedì 17 gennaio, il Laboratorio
regionale di Idrobiologia “Paolo
Solimbergo” e l’annesso Acquario permanente di pesci d’acqua dolce dell’Ente Tutela Pesca di Ariis di Rivignano.
Accompagnati dal presidente e dal
direttore dell’ETP, Loris Saldan e
Isidoro Barzan, Illy e Marsilio hanno
preso visione dell’intera struttura,
soffermandosi in modo particolare sulle strutture di ricerca e nell’area didattica dell’Acquario, annualmente
visitato da circa 5 mila persone, per
gran parte giovani e scolaresche provenienti, però, più dal vicino Veneto
che dalle province di Pordenone,
Gorizia e Trieste, ha rilevato Saldan.
Una struttura dunque interessante,
sia dal punto di vista della ricerca sulla fauna delle acque interne del Friuli
Venezia Giulia sia sotto l’aspetto divulgativo, che sarebbe opportuno integrare, ha osservato il presidente Illy,
nel circuito regionale delle Riserve e
dei Parchi per stimolare una maggiore
affluenza di pubblico.
Anche perché, entro fine 2006, sarà
realizzato (grazie a risorse finanziarie
dell’Obiettivo 2 pari a 500 mila euro)
il progetto di recupero ambientale di
un’area di 16 mila metri quadrati pro-
4 Pesca e Ambiente
spiciente il Laboratorio, in grado pertanto di rafforzare le funzioni didattiche dell’Acquario dell’ETP.
Il progetto prevede il ripristino di
quattro vecchie vasche, il rimodellamento degli argini, la realizzazione di
percorsi di visita e la costruzione di
due ‘belvedere’, l’uno al centro della
zona, l’altro lungo lo Stella.
Nel corso dell’incontro sono state anche valutate le possibili simbiosi tra
la pesca nei corsi d’acqua dolce del
Friuli Venezia Giulia e le possibili attività turistiche,
A conclusione del sopralluogo Illy e
Marsilio, che hanno espresso il loro apprezzamento per il lavoro dell’Ente
Tutela Pesca e la qualità della struttura di Ariis, hanno brevemente visitato
Villa Savorgnan Ottelio, ubicata a poche decine di metri dal Laboratorio e
dall’Acquario dell’ETP.
Lo stato di salute dei nostri fiumi su
scala di bacino e fino al particolare della
stazione di rilevamento, la consistenza e
le caratteristiche delle specie che li popolano, le loro caratteristiche geomorfologiche.
Sono alcune delle informazioni che
sarà possibile ottenere consultando il Cdrom “Pesci e acque interne del Friuli
Venezia Giulia”, presentato ufficialmente
lunedì 30 gennaio 2006 nella sede dell’Ente tutela pesca del Friuli Venezia
Giulia dal suo presidente Loris Saldan e
dai ricercatori che hanno realizzato l’opera nel corso di una conferenza stampa alla
quale hanno partecipato numerosi giornalisti delle principali testate
radiotelevisive e della carta stampata
operanti nella nostra regione. Va sottolineato, a dimostrazione dell’importanza
riconosciuta a quest’opera, destinata a
migliorare la conoscenza dei nostri fiumi, che all’iniziativa erano presenti anche molti membri del Consiglio direttivo
oltre al direttore Isidoro Barzan.
Come hanno spiegato Elisabetta Pizzul,
del dipartimento di Biologia dell’Università di Trieste e Giuseppe Adriano Moro,
biologo dell’Etp (alla realizzazione dell’iniziativa ha lavorato anche Francesca
Battiston del dipartimento di Biologia
dell’ateneo triestino, mentre la veste grafica e la parte informatica sono a cura di
Michele Toniolo e Annarita Di Pascoli),
il Cd- rom raccoglie tutti i risultati della
vasta campagna di rilevamenti avvenuti
dal 1997 al 2004 sui fiumi della nostra
regione aggiornando in tal modo la carta ittica risalente al 1992.
Il disco contiene una mole di informazioni enorme, raccolta
in ben 287 stazioni di campionamento, che permetterà di migliorare la gestione delle acque e al contempo rappresenta per
gli appassionati uno strumento completo ed efficace per conoscere meglio gli ecosistemi acquatici. Gli studiosi si sono concentrati in particolare sull’aspetto della qualità biologica delle
acque, attraverso lo studio delle specie ittiche che le abitano,
(sotto analisi il loro numero, la varietà, il loro stato di salute) e
dei macroinvertebrati, primo anello della catena alimentare nelle
acque dolci e dunque considerati un indicatore fedele del loro
stato di conservazione. Tutti i dati dei rilevamenti condotti sono
custoditi in un apposita banca dati, e saranno facilmente
aggiornabili man mano che saranno compiuti nuovi rilevamenti.
La stessa veste grafica e l’interfaccia scelti, estremamente
semplici e facili da comprendere, si prestano ottimamente alla
consultazione anche da parte di chi è poco avvezzo all’utilizzo
degli strumenti informatici.
“Un lavoro importantissimo per l’Etp - ha spiegato il suo
presidente Loris - perché contiene i dati dal 1996 al 2002 di
tutte le ricerche effettuate nei corsi d’acqua della regione. Questo cd rappresenta una prima fotografia sullo stato generale dei
nostri bacini ed è, allo stesso tempo, un primo tassello per l’aggiornamento della carta ittica che dovrà tenere conto di tutti gli
elementi in possesso dei vari enti regionali, ottenendo quindi
una sovrapposizione di carte e dati in modo tale da dare una
risposta completa non soltanto al mondo della pesca, ma a tutti
coloro che si interessano di ambiente per una migliore qualità
della vita”.
Selezionando il collegio o il bacino sarà possibile scendere
nel dettaglio della singola stazione di rilevamento: la schermata
mostra le caratteristiche geofisiche del luogo, una fotografia e
la consistenza delle specie ittiche tramite un grafico a torta che
riporta le percentuali. Selezionando quindi la lista dei pesci e
dei macroinvertebrati si ottiene il dettaglio relativo alle singole specie, mentre basta andare sulla mappa ingrandita per verificare lo stato di salute delle acque, in base all’indice biotico
esteso distinto in classi di qualità dalla prima alla quinta.
Il Cd-rom “Pesci e acque interne del Friuli Venezia Giulia”
sarà distribuito gratuitamente a chi ne farà richiesta per motivate esigenze di studio o divulgazione.
Torrente Lumiei in corrispondenza di Ampezzo.
Asciutte a valle degli sbarramenti ex Enel
Derivazioni sull’Alto Tagliamento.
Stato degli studi
A seguito delle richieste di informazioni, relative agli studi
sul deflusso minimo vitale nell’Alto Bacino del Tagliamento,
si fornisce un breve aggiornamento dopo il primo anno di attività
A partire dal 20 settembre del 2004 l’Ente Tutela Pesca,
in collaborazione con la Direzione regionale dell’Ambiente, sta effettuando una serie di campagne di studi
idrobiologici volti a contribuire alla definizione ed al controllo del rilascio del deflusso minimo vitale a valle delle
grandi derivazioni. I corsi d’acqua coinvolti sono il
Tagliamento, il Lumiei ed il Degano.
Gli studi relativi alla fauna ittica sono stati condotti dal
personale del Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Trieste, mentre quelli relativi ai macroinvertebrati bentonici vengono svolti presso il Laboratorio
regionale di Idrobiologia di Ariis. L’obiettivo iniziale, della
campagna biennale di ricerche, era quello di seguire l’evoluzione dei corsi d’acqua a seguito del rilascio del deflusso
minimo vitale dagli sbarramenti, come definito da apposite delibere dell’Autorità di Bacino dell’Alto Adriatico (competente per il bacino del Tagliamento). Gli obiettivi sono
stati modificati “in corso d’opera” in seguito al mancato
rilascio del Dmv. Le delibere dell’Autorità di Bacino sono
state, infatti, impugnate dal concessionario delle derivazioni, presso il Tribunale Superiore delle Acque. Rimane, in
ogni caso, valida la Legge Regionale 28/2001, che prevede
l’esecuzione di studi specifici al fine di ridefinire l’entità
del deflusso minimo vitale. I dati raccolti in questa fase
saranno, quindi, essenziali per determinare uno stato di
partenza dei corsi d’acqua interessati. Nella prima fase di
studio é stato osservato un importante fenomeno di
risorgenza di acque negli alvei asciutti di Tagliamento e
Degano, che crea piccoli ruscelli ricchi di vita.
La speranza per il prossimo futuro é quella di potere ampliare queste “oasi” attraverso un rilascio costante, anche
se modesto, di acque dagli sbarramenti maggiori. Le operazioni di campagna proseguiranno fino al 20 settembre
2006.
Pesca e Ambiente 5
Ci scrivono...
L’acquacoltura in Friuli Venezia Gulia.
Quadro generale
Le attività di acquacoltura nella Regione Friuli Venezia Giulia si caratterizzano per la presenza della maggior
parte delle tipologie di allevamenti
esistenti in Italia.
Infatti a livello regionale è ben rappresentata la troticoltura, per la quale il Friuli Venezia Giulia è al primo
posto in ambito nazionale (circa 30 %
della
produzione),
mentre
l’acquacoltura marina, presente in forma intensiva/semi-intensiva, risulta
caratterizzata da un discreto numero
di aziende di vallicoltura e da alcuni
impianti di avannotteria. Completa il
quadro regionale l’allevamento di specie minori di acqua dolce, tra cui vale
la pena ricordare: l’anguilla, la trota
fario, il salmerino, il persico trota, il
pesce gatto.
Da sottolineare poi il ruolo della
vallicoltura in acque salmastre e delle
zone umide costiere, caratterizzate da
un
patrimonio
biologico
e
paesaggistico di rilievo, che costituisce un importante sistema di conservazione territoriale e di gestione ambientale.
La vallicoltura produce sia pure su
scala modesta cefali, spigole, orate,
saraghi, molluschi bivalvi, anguille,
ombrine.
Un grave problema che affligge la
vallicoltura è costituito dalla
predazione da uccelli ittiofagi, tra cui
spicca, per i danni provocati, il
Cormorano (Phalacrocorax carbo
sinensis), la cui popolazione è oggi
stimabile in alcune migliaia di individui.
Per quanto riguarda l’acquacoltura
di acqua dolce bisogna ricordare come
la produzione della trota rappresenti
il fiore all’occhiello dell’acquacoltura
regionale. Il Friuli infatti è una delle
poche regioni del mondo dove troviamo acque pulite, fresche, sorgive a
6 Pesca e Ambiente
temperatura costante, sito naturale
per insediamenti troticoli. Prime notizie sulle tecniche di fecondazione artificiale della trota, sono riportate nel
“Bollettino dell’Associazione Agraria
Friulana” dell’aprile 1861. Dopo alcuni esperimenti dei primi anni dello
scorso secolo, bisogna aspettare gli
anni 50-60 per vedere, l’inizio e l’affermarsi delle attività produttive che
ancor oggi rappresentano la continuità e il progresso della troticoltura
friulana. Lo sviluppo degli anni 80 della
GDO nel nostro Paese favorendo la crescita dei consumi di prodotti ittici, unita all’introduzione di nuove tecniche
produttive portò ad un ulteriore balzo
del comparto. Negli ultimi anni, causa il sensibile aumento dei costi produttivi, derivanti soprattutto dai fattori esterni al sistema, s’è potuto rilevare una diminuzione della redditività
degli allevamenti di trota riscontrata
anche nella Regione. Altro aspetto che
ha nociuto alla troticoltura del Friuli
questa l’unica strada, che può essere
percorsa con buone probabilità di successo, ma soprattutto è quella in grado di non creare effetti negativi sull’ambiente. Infine, bisogna ricordare
l’importanza che ancora rappresenta
per la troticoltura del Friuli la semina
nelle acque pubbliche: in questo senso è auspicabile un sempre migliore
coordinamento tra i produttori e gli organismi (Ente Tutela Pesca) preposti a
livello regionale a questa funzione.
Per quanto riguarda il comparto marino, pur non essendoci in regione produzioni di rilievo, sotto il profilo
quantitativo, sono presenti alcuni impianti che rivestono una certa importanza anche a livello nazionale per
l’elevata specializzazione e le tecnologie che hanno saputo adottare.
Nel suo complesso il comparto a livello regionale, come appare dai dati
ricavati dal “Sistema di monitoraggio
del mercato dei prodotti ittici di
acquacoltura in Italia” realizzato dal-
associazione piscicoltori italiani
Venezia Giulia è quello della vulnerabilità alle patologie che colpiscono la
trota, derivanti dalla scarsità di presidi autorizzati per il controllo delle stesse. Questa situazione nell’ultimo periodo sta migliorando grazie anche all’impegno della Regione, che utilizzando risorse derivanti da programmi nazionali, ha saputo rispondere adeguatamente a istanze dei produttori attivando programmi di vaccinazione su
ampia scala realizzati dall’Associazione Piscicoltori Italiani, in collaborazione anche con l’Università degli Studi
di Udine. Allo stato attuale sembra
l’Associazione Piscicoltori Italiani appare costituito da oltre 90 aziende di
allevamento, cui si aggiungono 4 impianti di trasformazione dei prodotti
della piscicoltura, con una occupazione di addetti impiegati direttamente
nelle aziende pari a ad oltre 300 unità
lavorative, cui si aggiunge l’indotto per
un totale nell’ordine di circa 7-800
addetti al comparto.
L’acquacoltura regionale produce
circa 13.000 tonnellate di pesce, con
una PLV, compresa la trasformazione,
che si attesta intorno ai 36 milioni di
Euro.
Bacini idrografici
Le piane alluvionali
del Tagliamento
(Prima parte)
Fiume Tagliamento La piana alluvionale vista
dal monte di Ragogna
Fiume Tagliamento - Osoppo
fine anni ’20
Progetto relativo
alla costruzione
di un repellente
per la salvaguardia
della zona golenale
sinistra
Notizie sulla loro formazione, sviluppo,
conservazione, tutela e utilizzazione
Azzolino Bugari
Mi è stato richiesto dal Direttore
di questo Notiziario, di descrivere, a grandi linee, gli interventi
antro-pogenici realizzati lungo
l’asta del fiume Tagliamento, nella
tratta confluenza T. Lumiei - P.te
Dignano, finalizzati alla formazione, sviluppo, conservazione, tutela ed utilizzazione delle sue principali “piane” alluvionali.
Pur nei ristretti limiti prefissati,
nel redigere lo scritto mi sono reso
conto della vastità dell’argomento
da trattare, per cui dal previsto
unico articolo rischiestomi inizialmente, se ne dovranno necessaria-
mente aggiungere degli altri per
dare una, seppur limitata ed elementare panoramica sulla trasformazioni antropiche intervenute in
queste aste fluviali.
II mio personale convincimento
su quanto si è fatto e quanto si continua a fare su tali ambiti fluviali,
può essere così sintetizzato: nel
passato, era realisticamente necessario realizzare tali interventi per
provvedere allo sviluppo economico e sociale delle popolazioni
rivierasche del fiume Tagliamento,
tenendo presente che le opere realizzate sono risultate, quasi sempre, idraulicamente corrette e
compatibili con l’ambiente.
Successivamente la “conquista”
di tali zone è avvenuta in forme
troppo esasperate e, conseguentemente, gli interventi sono risultati in molti casi troppo spinti ed
irrazionali, addirittura in antitesi
con il buon regime idraulico del
corso d’acqua e quindi con la sicurezza del territorio.
Questi fatti sono accaduti e stanno accadendo, in particolare, su alcuni affluenti del Tagliamento: lo
stato di grave dissesto idrografico
in cui versa l’intero bacino meriterebbe senz’altro una pausa di
riflessione per operare una attenta disamina della situazione e sul
come, quando e perchè intervenire su questi corsi d’acqua.
Pesca e Ambiente 7
Vista panoramica della piana alluvionale nella zona di Osoppo
Le piane alluvionali si sono costituite, nel tempo, in presenza di ampie
varici (piazze di deposito) fluviali
dove, con l’aumento del perimetro bagnato dalla sezione liquida e la conseguente diminuzione della velocità delle acque, durante le diverse fasi di
intumescenza del corso d’acqua, avviene il deposito dei materiali trasportati per trascinamento ed in sospensione.
Sino alla fine dell’ottocento, nell’alto e medio corso del fiume Tagliamento
- di tipo pluricorsale, con ampio alveo
ed abbondante trasporto solido - erano presenti una serie di piane alluvionali raramente difese da opere idrauliche: tra queste spiccavano per la loro
ampiezza, quelle di Enemonzo, Caneva
di Tolmezzo, Fabbrica di Tolmezzo,
Gamìa di Venzone ed Osoppo, in sponda sinistra, nonché Cavazzo Camico,
Bordano, Trasaghis e Spilimbergo, in
sponda destra.
Quelle Comunità rivierasche, prive
in pratica di buoni tenitori pianeggianti
da sfruttare per loro stessa sopravvivenza, si videro costrette, con grandi
sacrifici, a strappare al fiume quei
terreni ghiaiosi, invasi dalle acque durante le piene più significative.
I primi veri pionieri di queste terre,furono le popolazioni rurali più povere, che andarono ad occupare generalmente le zone d’alveo più esposte alle “montane”, in quanto le
golene situate nei terrazzamenti più
alti, e quindi più sicure erano stati già
nel ‘600 -‘700 occupalo dalle Comunità locali o dalle famiglie più abbienti.
Conseguentemente, per difendere, ricostruire, ampliare e consolidare tali
vitali territori si andarono sviluppan-
8 Pesca e Ambiente
do, man mano, adeguati sistemi di difesa idraulica di queste estesissime
lande: dai primitivi modesti rilevati di
ghiaia, si passò alle tripodate in legno
e nei casi più importanti a vere e proprie arginature, costituite da un rilevato in ghiaia rivestito a fiume da una
mantellata in legno, generalmente
priva di una vera e propria opera di
fondazione. Spesso poi, a campagna
di queste opere primordiali, si realizzavano ampie piantumazìonì di essenze autoctone (pini, pioppi, salici ecc.)
che costituivano una discreta barricata contro le acque di inondazione.
Già agli albori del ‘700, comunque,
in alcune tratte fluviali, laddove, in
particolare, si fosse reso necessario
salvaguardare importanti strade, ponti, attività artigianali e/o industriali,
si iniziarono a realizzare le prime
arginature in muratura di pietrame a
secco.
Nella successiva epoca napoleonica
vengono realizzate numerose opere di
difesa fluviale con sistemi costruttivi
diversi, che sono descrìtti e motivati,
molto dettagliatamente, nella “Memoria dell’Ispettore ai Lavori Pubblici,
Acque, Ponti e Strade del Friuli” datata Udine marzo 1806 (Archivio di Stato - UD) di cui si riporta di seguito un
estratto:
“Gli tronchi superiori con letto di grossi rami, e di materia atta a far cangiar
corso ai Filoni principali dell’Acque,
mal possono di essere ottenuti in un
retto Canale, ed in un letto più angusto - Occorrono ivi dei forti ripari i quali
siano più atti a correggerli, che a superarti. Sembrerebbe, che la Riva interna dei ripari non dovesse essere tutta
liscia, come si è usati sin’ora. Codesta
forma sempre conserva l’Acqua alla
stessa altezza. Ora i fluidi premendo
sempre in ragione diretta della loro
altezza, non si ottiene l’intento di domarne la forza. Vogliono dunque a gradini, e a scale esser formati i ripari a
Torrenti. In tal guisa rattezza loro dividersi a più misure, e l’impeto e il peso
dell’acqua viene diminuito in proporzione a queste altezze moltiplicate. In
tali ripari si che aver riflesso alle rive
opposte, si da procurare, che il letto
quantunque ampio, conservi una direzione parallela.”
Rilevo che ai quei tempi il sistema
di difesa idraulico del territorio
rivierasco, posto interamente a carico delle Comunità o dei privati, era
costituito generalmente da una serie
di brevi arginature della lunghezza di
circa 20 - 50 metri, intervallate da altrettante brevi tratte spondali non difese.
Queste opere, realizzate leggermente sporgenti in alveo, a mò di repellenti, provocavano la deviazione dei
filoni di corrente verso la sponda opposta, danneggiandola, scatenando
così acerrimi scontri tra le Comunità
e/o privati frontisti.
Tale irrazionale sistema di difesa (purtroppo ancor oggi dì moda) veniva praticato in quanto permetteva di abbattere i costi della “conquista territoriale”, a quel tempo ancora in parte compatibile con l’assetto idraulico e
geomorfologico del Tagliamento e di
alcuni suoi affluenti.
Dopo le grandi alluvioni della prima
metà dell’800, dalla cartografia dell’epoca, si può costatare una certa evoluzione, non tanto nei sistemi costrut-
Bacini idrografici
tivi, quanto nell’andamento planimetrico delle difese, le quali vengono ad
assumere allineamenti più razionali, nel
rispetto della morfologia del corso d’acqua.
Nella tratta di Tagliamento in esame, incerte sono le opere idrauliche
ascrivibili al periodo pre italiano: credo di aver riconosciuto alcuni di questi manufatti nei Comuni di Cavazzo
di Amaro in località del Dint, di
Venzone a monte del ponte di Pioverno
e di Osoppo in località Carantan.
Opere più significative ed ancora in
piena efficienza sono invece presenti
in alcuni affluenti del fiume, come a
Pontebba, nel torrente Pontaiba, ed
in particolare a Tolmezzo, nei torrente But, dove tratti significativi di antiche “Roste” in pietrame, si possono
ammirare in località Caneva e Terzo,
ambedue risalenti alla prima metà dell’ottocento. Eccezionale poi la rosta
austriaca in località Sfleus di Tolmezzo,
terminata nell’estate del 1866 poco
prima della ritirata dell’esercito
asburgico.
Le attuali antiche opere idrauliche
presenti lungo l’asta del fiume Tagliamento risalgono a dopo la tremenda
piena del 1882, allorché lo Stato italiano diede inizio alla realizzazione di
grandi opere di sistemazione idraulica del fiume, che culminò nel periodo
d’oro dell’idraulica italiana, cioè tra
gli anni ‘20 e ‘40. Per la realizzazione
di questo vasto programma quasi tutte le antiche opere idrauliche, venete,
napoleoniche e austriache, se non incorporate in quelle italiane vennero
distrutte o abbandonate.
A partire dalla seconda metà degli
anni venti si diffuse in Italia l’impiego
di opere idrauliche sporgenti in alveo
(pennelli - repellenti - moli) finalizzate anche alla formazione, sviluppo e
salvaguardia di vaste aree golenali;
tale impiego divenne poi massiccio
negli anni trenta.
Questo anche grazie all’ impegno
profuso, nel settore, dagli uffici del
Genio Civile sparsi in tutto il territorio nazionale, come giustamente fu riconosciuto negli atti del VI0 Congresso
Nazionale delle Acque tenutosi a
Cremona nel 1932 (Relazione Generale dell’ing. prof. Giandotti).
Fiume Tagliamento - Piana alluvionale di Osoppo
Funzionamento del rallentatore durante una piena. Si noti l’invaso a monte e la protezione dei demani di valle
Per quanto riguarda il Tagliamento,
il Magistrato alle Acque ed il Genio Civile di Udine, con la fattiva collaborazione degli uffici delle Foreste, iniziarono negli anni venti un massiccio e
puntuale rilevamento dell’alto bacino
del Tagliamento, propedeutico alla
stesura dello Studio Generale del fiume ed alla conseguente attuazione di
un esteso programma di sistemazioni
idrauliche e idrauliche-forestali, che
interessarono l’intero bacino fluviale.
Per poter ottemperare al meglio anche alla realizzazione di tali opere
venne istituita, con D.R. 19.04.1925,
una Sezione autonoma del Genio Civile con sede a Tolmezzo “... con l’incarico di provvedere a tutti i servìzi riguardanti le opere pubbliche nella regione della Carnìa e Canai del Ferro...”.
Al termine della realizzazione delle
parti essenziali del programma, la Sezione autonoma venne soppressa con
D.R. 19.10.1933.
Nell’attuazione di quel programma
certamente si commisero degli errori,
ma si deve pur riconoscere che si ottennero anche buoni risultati nella
regimazione dei corsi d’acqua e
stabilizzazione dei versanti, salvaguardando buona parte del territorio interessato, dando maggiore sicurezza alle
popolazioni e favorendo certamente lo
sviluppo economico e sociale di buona
parte del territorio friulano.
Tutto questo senza troppo snaturare il contesto ambientale sul quale si
operava: oggi si può fare molto di meglio a patto che non prevalgano certe
esasperanti prese di posizione a difesa dell’ambiente, conseguenza di una
congeria di vincoli legislativi e burocratici, alcuni dei quali così illogici e
irrazionali da favorire addirittura lo
sviluppo delle tanto vituperata, giustamente, cultura dell’”emergenza”,
che fagocitando tutto e tutti interviene sul territorio senza limite alcuno.
Con la diffusione dei nuovi criteri di
sistemazione sopra accennati, attuati
in gran parte nel periodo 1920 - 1950
circa, si crearono e consolidarono diverse vaste piane alluvionali, adibite
generalmente ad uso agricoloforestale, alcune delle quali, in tempi
abbastanza recenti, sono state oggetto di profonda trasformazione ed adibite a zone industriali, commerciali
ecc. o utilizzate per la realizzazione
di importanti infrastrutture.
In questi casi è stato necessario realizzare nuove difese longitudinali, ritengo, non sempre razionali e corrette, sia dal punto di vista idraulico che
ambientale.
Nei prossimi numeri cercheremo dì
descrìvere le trasformazioni di carattere antropico che hanno interessato
questi territori fluviali, avvenute negli ultimi cento anni.
Pesca e Ambiente 9
Acqua e territorio
La storia
del torrente Cormor
Dalle cronache di Plinio ai giorni nostri,
il racconto di un torrente irascibile
Elisabetta Santarossa
Autorità di Bacino del Friuli Venezia Giulia
L’
etimologia della parola Cormor, sicuramente di origine antica, è ancor oggi oggetto di disputa. Sono diverse,
infatti, le attribuzioni date all’origine del nome:
• origine preromana – prelatina da “KOR, KAR” (sasso, roccia) e “MAR” palude (ipotesi del Guyon);(Gentili R., 1975);
• deriva dal nome di un animale, proprio di alcuni dialetti
ladini ovvero “Carmo”, e cioè donnola (Frau Giovanni,
1978);
• l’ultima è la definizione più folcloristica derivante dalla
tradizione popolare che riprende il percorso del torrente
che all’inizio del suo percorso corre impetuoso nella pianura per finire poi (un tempo) nelle paludi di Mortegliano.
(Munini Ermes, 1956; Gentili R. 1975).
10 Pesca e Ambiente
La più antica memoria scritta sul Cormor risale al 23–24
d.C. Plinio, autore romano noto per le sue indagini su tutto
ciò che esiste in natura, scrisse una vera e propria “summa”
del sapere che si poteva reperire sino a quel momento. Nel
libro “Storia Naturale” descrive l’idrologia del Friuli. Secondo alcuni studiosi l’Anaxum che egli cita corrisponderebbe al torrente Cormor che secondo Plinio al tempo scaricava nei pressi di Grado a Porto Buso. (Martinis, 2002)
Una prima citazione sulle caratteristiche torrentizie del
Cormor è data da Giovanni Mazzuccato che nel 1809 scrisse
un opuscoletto intitolato “Notizie idraulico agrarie sopra
alcuni torrenti del Friuli” e parlando del Cormor descrisse
la sua irruenza: “Il Cormor ristretto d’alveo caccia sì velocemente le sue acque, che seco loro trasportando ogni sorta di ciottoli, rompono, e scavano le rive, e tentano ogni
momento di farsi un altro letto”.
Dettagliata risulta invece la documentazione prodotta da
Giovanni Collini che nel 1899 scrisse il testo “Il torrente
Cormor” in occasione dell’anniversario di nozze di una coppia di Pozzuolo. Dopo aver fatto un breve augurio nuziale,
dedica a loro una raccolta di informazioni, dati sulle vicissitudini del torrente dal 1486 al 1806.
Questo opuscolo si rivela come un’opera di straordinario
valore in quanto ci permette di avere una dettagliata
cronistoria di questo torrente per un periodo di ben 4 secoli. Utilizzando i documenti conservati all’archivio Sabbatini
di Pozzuolo, Giovanni Collini ci riporta i lavori effettuati e
le vicende intercorse che hanno riguardato il torrente.
Il Collini riprenderà inoltre quanto scritto da Plinio nel
libro Storia Naturale spiegando che nel 1899, il Cormor terminava invece il suo percorso nello Stella. L’autore risolve
inoltre la diversità attribuendo questo mutamento a motivazioni telluriche. (Martinis, 2002)
In merito alla dichiarazione del Collini sul torrente Cormor,
considerato come affluente dello Stella, Tonizzo e Ferrari
(1926) ci riportano che A. Lorenzi “considerava il Cormor
affluente dello Stella poiché le sue acque dopo aver
spagliato sulle paludi di Mortegliano vengono raccolte in
gran parte dalla Velicogna affluente dello Stella e dal
Revonchio - Muzzanella che confluisce in laguna con lo Stella”.
Il Torrente Cormor nasce a quota 250 m s.l.m. dal monte
San Lorenzo in località Sottofratta nei pressi di Santo Stefano di Buia. Attraversa poi l’area collinare morenica passando attraverso 17 Comuni, l’alta pianura friulana, la fascia delle risorgive terminando il suo percorso in Laguna.
Il tragitto di questo torrente non è però sempre stato
così; l’uomo è intervenuto molte volte per modificarne il
percorso, per cercare di difendersi dalle esondazioni e per
creare delle condizioni di vita più salutari per le popolazioni che vivevano nei pressi delle aree paludose di
Mortegliano consentendo così al torrente di non spagliarsi
tra le paludi, ma di proseguire sino al mare.
Attraverso la cartografia antica recuperata, si è potuto
verificare il corso originario del Torrente Cormor. Una delle prime cartografie della Patria del Friuli è stata creata
da Marin Sanuto di Giovane presumibilmente datata tra il
1502 e il 1506. (Lago Luciano, 1989). Identifica correttamente l’alta e la bassa pianura riportando l’idrografia.
Questa cartografia e quelle di altri autori quali Flavio Biondo e Antonio Sabellico hanno un inquadramento troppo vasto
per poterci dare un’immagine particolareggiata. “Ciò sarà
possibile solo con le carte regionali che a partire dal secolo
XVI ci segneranno gli inizi di una nuova cartografia, che
attinge all’esperienza per creare materiale nuovo.” (Lago
Luciano, 1989)
Antonio Magini, in un disegno della fine del secolo XVI,
inserito in un fascicolo di appunti relativo alla sua carta
del Friuli e attualmente conservato al museo civico di Padova, rappresenta il percorso del torrente Cormor. In questo disegno si può evidenziare come il torrente, nato dai
colli di Buia, passi prima a lato di Fontanabona, poi a lato
di Udine per terminare poco sopra la Strada Alta (attuale
S. 252). (Lago Luciano, 1989)
Figura n. 2: Disegno di Giacomo Spinelli del 1688 (immagina tratta dal testo “Theatrum Adriae dalle alpi all’adriatico nella
cartografia del passato” di Luciano Lago)
Figura n. 1: Disegno del XVI secolo di Antonio Magini (immagina
tratta dal testo “Theatrum Adriae dalle alpi all’adriatico nella
cartografia del passato” di Luciano Lago)
Anche Giacomo Spinelli, cartografo che denota di conoscere attentamente la nostra Regione, ritrae nel 1688 una
parte della Patria del Friuli in cui scorgiamo nuovamente il
torrente Cormor che spaglia le sue acque dopo il centro di
Torsa.
Tra la fine del 1600 e per tutto il 1700, compaiono moltissime cartografie che indicano due distinti percorsi del
torrente Cormor: in un primo caso il torrente spaglia le sue
acque nelle paludi di Mortegliano mentre nell’altro si nota
una continuazione del percorso sino al mare. (Lago Luciano, 1989)
Nel 1778 Tiberio Majeroni e Giovanni Antonio Cappellaris
disegnarono la carta del Friuli in cui si può notare come il
percorso del Torrente Cormor non termini come nelle altre
cartografie sopraccitate sopra la stradalta, ma continui il
suo percorso sino al mare. Anche Antonio Zatta, nel suo
atlante “Il Friuli , colla Carnia e Cadornino” del 1783 riporta il percorso del torrente Cormor sino al mare. (Lago Luciano, 1989)
Pesca e Ambiente 11
Acqua e territorio
Un’altra preziosa cartografia risulta essere la Kriegskarte,
ovvero la carta di guerra dell’Impero Austriaco realizzata
dal generale Anton von Zach e da 32 topografi. Essa riproduce Veneto e Friuli e venne realizzata tra il 1798 e il 1805
per iniziativa dello Stato maggiore austriaco. In queste tavole viene rappresentato anche il torrente Cormor. Nel testo “Kriegskarte von Zach 1798-1805, carta del Ducato di
Venezia”, viene descritto il Corso del torrente Cormor:
“Viene dalla zona di Udine; se il clima è secco non ha acqua e serve da San’Andrat in giù come via verso i prati che
si trovano a destra e a sinistra. In caso di tempo piovoso
esso spesso s’ingrossa con forza e fa poi dei notevoli danni,
anche se è delimitato da argini. Al di sopra di Paradiso esso
si perde completamente e termina nel canale Roja dei posti (Fosso dei Posti).”
Analizzando la tavola, si nota come nell’ultimo tratto del
torrente Cormor sia presente una zona coltivata irrigata
con canalette. Da alcune di queste canalette partono una
serie di fossi e rogge che arrivano sino al fiume Stella. Si
può ipotizzare dunque che molti storici e cartografi sostenevano che il Cormor andasse a defluire nello Stella proprio per la presenza di questi canali.
que del torrente Cormor in laguna considerando i periodi
in cui il Cormor era soggetto a forti esondazioni. Sappiamo
quindi che durante le esondazioni, il Cormor non si fermava nella zona di Mortegliano, ma le sue acque si dirigevano
verso altri rii e rogge che sfociavano poi in laguna.
Attualmente utilizzando i rilievi laser scan è possibile
vedere inoltre qual era il percorso originario dei fiumi e
torrenti. Si riescono infatti ad evidenziare le vecchie anse
dei torrenti o come per esempio un affluente minore sia
diventato una stradina di campo.
Immagine n. 4: rilievo laser scan di un tratto del torrente Cormor
tra Pozzuolo e Mortegliano. Con la freccia di colore nero sono
indicate le anse originarie del torrente. Nel tratto superiore l’ansa ha subito una modifica naturale mentre tutte le altre qui rappresentate sono state modificate dalla mano dell’uomo intervenuta con l’opera di canalizzazione.
Figura n.3: parte della cartina XVI.12 tratta da “Kriegskarte 17981805, il Ducato di Venezia nella carta di Anton von Zach”, Fondazione Benetton Studi Ricerche
Le nostre conoscenze storiche ci indicano, infatti, che i
lavori di canalizzazione del torrente Cormor sono state eseguite in tempi relativamente recenti. Possiamo dunque ipotizzare che questi cartografi abbiano fatto defluire le ac-
12 Pesca e Ambiente
Col passare degli anni molte sono state le modifiche apportate dall’uomo al torrente che non sempre si sono rivelate utili e rispettose nei confronti dell’equilibrio naturale
ed ecologico innescando delle crisi di rigetto da parte dell’ambiente. Una delle modifiche più importanti ed evidenti è datata 1486. I Comuni di Billerio, Magnano e Artegna
decisero di deviare le acque del torrente Urana (chiamato
Lurane dalle genti del luogo) nel bacino del Soima (Sfueime)
già affluente del Cormor. Con questa operazione i Comuni
sopraccitati risolsero il problema di uno sfavorevole deflusso delle acque, ma lo scaricarono sui Comuni a valle.
(Martinis, 2002)
Attualmente l’Unione Europea consapevole delle modalità di protezione attuate in passato che non prevedevano
alcuna coordinazione tra le aree a monte e a valle, scaricando il problema da una parte all’altra, ha emanato nel
mese di luglio 2004 una comunicazione sulla gestione dei
rischi di inondazione, prevenzione, protezione e mitigazione
delle inondazioni contenente la proposta di un programma
d’azione concertato per la protezione delle
piene. (COM(2004)472 del 12 luglio 2004). È
indispensabile che la protezione dalle alluvioni sia attuata in maniera coordinata e condivisa lungo tutto il percorso del fiume. Viene riconosciuta dunque per la prima volta a livello
europeo la necessità di collaborare, cooperare nella stesura dei piani di gestione dei bacini idrici. (Commissione delle Comunità europee, 2004)
Le esondazioni del Cormor si ebbero soprattutto nell’area di Pozzuolo e la pericolosità delle piene andò progressivamente aumentando.
Negli anni 1719, 33, 34, 37, 38 si manifestarono violente esondazioni del Torrente Cormor
che allagarono il Comune di Pozzuolo. Le spese per i ripari erano a carico del Comune e dei
privati. Molte volte vi era però l’impossibilità
da parte di questi soggetti a sostenere le spese necessarie e veniva chiesto un aiuto al doge
di Venezia. (Collini, 1926)
Il 1743 viene descritto dal Collini come un anno
importante in cui il Comune di Pozzuolo chiede nuovamente l’intervento alla Serenissima
Repubblica Veneta riuscendo a dimostrare che
le piene del Cormor sono causate dall’immissione abusiva di altri torrenti nel suo alveo e
in particolar modo dell’Urana. (Collini,1926)
Solo nel 1744 venne effettuata un’ispezione
lungo il Cormor e si attestò che effettivamente la causa maggiore delle piene del Cormor
derivava dall’immissione dell’Urana che in precedenza, nei momenti di piena, scaricava nel
Ledra. (Collini,1926)
I Comuni si trovavano nelle condizioni di
provvedere alle riparazioni dei danni provocati a proprie spese con molti sacrifici. Vi sono
però nella storia alcune famiglie che si presero a cuore il proprio territorio e decisero di
intervenire. Una di queste, forse la più conosciuta e impegnata in questo senso è la Famiglia Sabbatini di Pozzuolo.
La famiglia Sabbatini intervenì molte volte
per riparare agli ingenti danni provocati dalle
esondazioni del Torrente. Questa facoltosa famiglia costruì a proprie spese dighe e argini,
piantò pioppi al fine di consolidare i terreni
minacciati. (Martinis, 2002)
Per la loro attenzione, la Serenissima repubblica veneta decise di risarcirli donando loro i
terreni che avevano salvato con i loro interventi.
L’elenco delle maggiori esondazioni che hanno colpito il Friuli e in particolar modo il torrente Cormor vengono descritte da De Piero
(1972, 1975) e Martinis (2002) e qui brevemente riportate:
1321 - gravissimi allagamenti in tutto il Friuli
1400 - grandi inondazioni
1431 - straripamento in tutto il Friuli – dal 30/10 al 16/11
1450 - straripano di tutti i fiumi friulani
1592 - straripamento di tutti i fiumi
1596 - straripamento di tutti i fiumi
1691 - straripamenti del torrente Cormor a Mortegliano
1719, 12 dicembre - esondazione del torrente Cormor
1733 - piene spaventevoli del torrente Cormor
1734 - esondazione del torrente Cormor
1737 - esondazione del torrente Cormor
1749, 26 giugno - esondazione del torrente Cormor a Pozzuolo
1795 - esondazione del torrente Cormor a Mortegliano e Castions
1755 - esondazione torrente Cormor causata dall’eliminazione
di un’ansa del torrente sopra Pozzuolo
1823 - tutti i fiumi del Friuli straripano
1837 - piogge dirompenti, straripamento di tutti fiumi
1851, nell’autunno - straripamenti
1920, 19 settembre - piogge dirompenti, straripamento di tutti fiumi
Pesca e Ambiente 13
Acqua e territorio
L’evento di piena di cui si hanno documentazioni maggiori è quello verificatosi nel settembre 1920. Questo è il
primo evento rilevato strumentalmente è documentato in
modo dettagliato da un rapporto eseguito dall’Ufficio
idrografico del Magistrato delle acque nel 1924.
Gli Anni ’20 sono importanti anche per le dispute inerenti ai lavori di bonifica e salvaguardia delle piene creatisi
tra la società Anonima Grande Bonifica della Bassa Friulana
e dal Comitato promotore per la costituzione del Consorzio
di bonifica tra i proprietari del territorio denominato “bassa Friulana”. Entrambe le società elaborarono un progetto
di bonifica.
Nel 1928 il Magistrato delle acque dichiara ammissibili le
indicazioni date dal Consorzio “bassa friulana”.
Con il Regio Decreto 25 novembre 1928 venne costituito
il Consorzio di secondo grado. “È da questo momento che
ha inizio la proficua e concreta marcia della bonifica della
Bassa Friulana” (Consorzio di 2°grado per la trasformazione fondiaria della Bassa Friulana, 1942).
Durante la visita del Capo del Governo in Friuli nel 1938
il neonato Consorzio di secondo grado mise in evidenza
l’indispensabilità delle opere da eseguire per il riordino e
la salvaguardia del comprensorio ponendo attenzione ai
lavori da eseguire sul torrente Cormor. A seguito di tali vi-
site il Governo dispose un finanziamento di 13 milioni e
mezzo di lire per realizzare l’intervento ma questi fondi
non poterono essere utilizzati per il sopraggiungere degli
eventi bellici. (Consorzio di 2° grado per la trasformazione
fondiaria della Bassa Friulana, 1942)
I lavori di canalizzazione vennero effettuati dal 1944 al
1963 ad opera del Consorzio di secondo grado Bassa Friulana
mediante 22 stralci dalla laguna alla Stradalta.
Nel 1937 venne realizzato il bacino di laminazione a S.
Andrat e solo nel 1961 si realizzò l’inalveazione verso
Mortegliano. (De Cillia, 1993)
Possiamo dunque riscontrare che i cambiamenti, le
esondazioni, i lavori di bonifica e di salvaguardia dalle piene che riguardarono il torrente Cormor nel corso della storia furono molti e coinvolsero direttamente tutte le popolazioni che si trovavano ad abitare nelle vicinanze. Ogni
modifica e ogni catastrofe segnò profondamente la vita di
tutte le popolazioni vicine. Il rapporto tra l’uomo e l’ambiente si dimostra ancora una volta in tutta la sua forza.
Come accennato in precedenza, attualmente l’attenzione della Comunità europea è focalizzata anche sugli aspetti ambientali e sulle alluvioni, sulla gestione del rischio.
Questa è l’ottica verso cui oggi dobbiamo tendere in accordo con quanto sancito dalla direttiva quadro 2000/60.
Bibliografia:
Collini G. “Il torrente Cormor”, Tipografia del Patronato, Udine,
1926;
Commissione delle comunità europee “Comunicazione della commissione al consiglio, al parlamento, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni”,
12.07.2004;
Consorzio di secondo grado per la trasformazione fondiaria della
bassa friulana “ La sistemazione fluviale della Bassa
Friulana”, Grafiche G. Chiesa, Udine, 1942;
De Cillia “Mortean lavarian e cjasielis”, Società filologica friulana
Bergamini e Ellero,1993;
Feruglio, Tonizzo, Ferrari “Progetto di bonifica della bassa friulana”,
stabilimento tipografico friulano 1926;
Frau Giovanni “Dizionario toponomastico Friuli-Venezia Giulia”,
Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Udine,
1978;
Fondazione Benetton Studi Ricerche “Kriegskarte 1798-1805, il
Ducato di Venezia nella carta di Anton von Zach”, Grafiche V. Bernardi, Pieve di Soligo, 2005;
Gentili Roberto, “Un parco per Udine. Termini e motivi per un
intervento unidilazionale nella valle del Cormor”, La
panarie n. 28, Tipografia Sociale, Udine 1975;
Lago Luciano “Theatrum Adriae dalle alpi all’adriatico nella
cartografia del passato”, Ed. LINT, Trieste 1989;
Martinis Mario “Il torrente Cormor”, ce fastu? rivista della società
filologica friulana 2002;
Mazzuccato G. “Notizie idraulico agrarie sopra alcuni torrenti del
Friuli”, Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia, tipografia di Giovanni Silvestre, Milano,1809;
Munini Ermes “Il Cormor corre e muore”, gazzettino sera 1956;
Plinio Gaio Secondo “Storia naturale”, Einaudi edizione, 1983.
R. Magistrato delle acque, Ufficio Idrografico, “Le piogge e le piene dei fiumi friulani nella terza decade del settembre
1920”, Premiate officine grafiche Carlo Ferrari, 1924.
14 Pesca e Ambiente
Pesca e memoria
Gli storioni
e il Paradiso perduto
Divagazioni in libertà su pesci che furono e pesci che saranno
Sergio Paradisi
Quando gli anni dietro le spalle cominciano ad essere non proprio pochissimi, capita di trovarsi con qualche coetaneo davanti a un bicchiere a rievocare il tempo che fu. “Non bisognerebbe mai ricordare” - dice Francesco
Guccini in una sua canzone: i ricordi,
quando non sono consolatori, non fanno bene alla vecchiaia. Oddìo, per la
vecchiaia c’è ancora tempo, ma le
malinconie fanno certo capolino quando l’amico dall’altra parte del bicchiere è un pescatore e si parla di pesci e
acque dei bei tempi andati. Andati
quando? Beh, diciamo trenta-quaranta anni fa. Quando l’Isonzo non lo passavi a piede asciutto neanche nel
solleone di luglio dopo tre mesi di siccità, e le cheppie risalivano in massa
ai primi tepori estivi. Quando il fiume
a Sagrado era il paradiso di temoli e
barbi. Quando sporgendoti dalla passerella di Gradisca potevi scorgere
decine di lamprede di mare in riproduzione. Quando a Gorizia una
marmorata di dieci e passa chili faceva certo notizia, ma più volte a stagione. Quando a Monfalcone andando
al mare in bicicletta ti potevi ancora
fermare a bere l’acqua di qualche piccola risorgiva, e a guardare i gamberi
sul fondo. Quando a Fossalon le carpe
e le tinche erano tante e grandi, e grovigli di anguille in risalita potevano
bloccare le pale dell’idrovora della
Bonifica della Vittoria. Quando nelle
acque della Bassa i lucci erano lucci,
e non aspiranti tali. Quando a
Cervignano nell’Aussa e nel Taglio i
temoli nuotavano a sciami, e nella
Roggia dei Prati le marmorate erano
di un incredibile color rosa-arancio che
non vedrete mai in nessuna foto e in
nessun libro. Non avreste malinconie,
voi?
Chi ha cominciato ad andar per fiumi alla fine degli anni ’70 può anche
ritenere che queste siano esagerazioni da pescatore, o pensare che la memoria di chi è un po’ avanti con gli
anni ogni tanto si incasina. A volte me
lo chiedo anch’io: vuoi vedere che
anche nei ricordi c’è una differenza
fra Paese percepito e Paese reale? Del
resto si impara presto ad accontentarsi: l’Isonzo sarà sì ridotto talvolta a un
rigagnolo, ma è pur pieno di “savette”
e di altri pesci che, anche se non si sa
bene cosa siano, pur sempre pesci
sono! E con un po’ di fortuna, potete
addirittura rimediarci un siluro da
mezzo quintale!
Il siluro che ho visto catturare accidentalmente qualche anno fa, a dire
il vero, era ancora più grosso: 80 chili
di peso per un metro e ottanta di lunghezza. Devo dire che vederlo tirar
fuori dall’acqua mi ha procurato una
sensazione strana, come se alla scena
mancasse qualcosa: c’era lo stupore,
certo, per le dimensioni del mostro,
ma era fredda meraviglia, non emozione. Ad esempio, non l’emozione che
molti anni prima, alla foce dell’Isonzo,
mi aveva regalato l’unico storione selvatico da me incontrato, e che oggi
ritorna intatta al ricordo. Era una giornata plumbea di tarda primavera, con
le nubi basse di un temporale incombente ed ancor più bassi aironi cinerini
che sfioravano lenti le cime degli alberi, e quel pesce era una creatura
venuta dal passato a proclamare la sua
fedeltà a quel luogo, a dispetto del
tempo e degli uomini.
Era lungo poco più di un metro ed
era un animale affascinante, con qualcosa di antidiluviano nell’aspetto. Era
incappato in una rete, e quando lo vidi
stava ancora indugiando attorno al
barchino di legno di chi lo aveva liberato; a quei tempi, di sicuro, nessuno
aveva ancora sentito parlare di no kill
Pesca e Ambiente 15
Pesca e memoria
- che del resto è un concetto estraneo alla pesca di sussistenza - ma vi garantisco che quello storione fu rilasciato,
anche se allora la specie non era certo protetta come oggi:
forse perché da queste parti una tradizione a proposito
della pesca dello storione non c’è mai stata, o forse perché
si trattava di una cattura talmente inusitata da non essere
proprio contemplata da chi in quel momento stava pensando a passere e branzini. O forse per rispetto. Forse. Se
fosse stato catturato nel Po, nell’Adda, nell’Oglio o nel
Ticino, lo avrebbero rispettato mangiandolo. Ed era giusto
così, perché mangiare bisognava. È vero che una delle cause della quasi scomparsa degli storioni dai fiumi italiani è
stata la pesca, esercitata anche su esemplari non
sessualmente maturi, ma per chi negli anni ’50 e ’60 doveva mantenere la famiglia facendo conto su quello che il
fiume offriva, uno storione nella rete era una benedizione.
Adesso è facile giudicare, però va ricordato che il tracollo
delle popolazioni padane di storioni si è avuto in tempi più
recenti, quando a vivere solo di pesca sui fiumi erano rimasti in pochi. Pescatori di mestiere o bracconieri che fossero
(la differenza consisteva spesso solo nel possesso o meno
del permesso legale di cattura) si trattava in molti casi di
personaggi straordinari, che conducevano una vita in totale simbiosi con il fiume, che combattevano - spesso da soli
- con pesci più grandi di loro, e che avevano una conoscenza dell’ambiente e degli animali incomparabilmente maggiore della stragrande maggioranza dei pescasportivi di oggi:
perché noi con queste cose ci giochiamo, e loro ci dovevano campare. Era una vita grama, condotta in luoghi integri
e straordinari in cui però nessuno oggi si avventurerebbe
senza un paio di taniche di Autan, e il pesce catturato serviva in primo luogo per sfamare se stessi e i figli. Oggi non
dobbiamo pescare per mangiare, arriviamo sul fiume con
l’automobile e il climatizzatore, se fa freddo abbiamo i
calzini riscaldati, se piove sfoggiamo il Goretex, se fa caldo molliamo tutto e andiamo al mare, se il pesce non si
vede proviamo con i Polaroid e per le acque profonde esistono indispensabili ecoscandagli. Ma abbiamo i fiumi di
cemento, le trote di batteria e l’acqua razionata, e ai figli
allunghiamo i soldi perché vadano al fast food e ci lascino
in pace.
Il bilancio tra costi e ricavi ognuno lo può fare secondo il
proprio metro, e decidere la propria personale classifica di
guadagni o perdite. Una cosa abbiamo certamente perso:
l’avventura, che avevamo gratis e che adesso andiamo a
cercarci in viaggi organizzati, ad esempio nelle steppe russe, per pescare il vorace aspio e incontrare il grande beluga.
L’aspio è un Ciprinide predatore che può arrivare al metro
di lunghezza, e per non farci mancar niente l’abbiamo anche importato; il beluga è uno storione, ce l’avevamo già e
abbiamo fatto in modo di non averlo più.
Huso huso, volgarmente detto storione làdano o beluga,
è infatti una delle tre specie di storione proprie
dell’ittiofauna italiana. Le altre sono lo storione comune
(Acipenser sturio) e lo storione cobice (Acipenser naccarii).
16 Pesca e Ambiente
Pescatori di storioni del Po mantovano, al confine della provincia
di Reggio Emilia.(Da Fly Line n° 6/2004).
Gli storioni sono animali straordinari, non solo per le dimensioni imponenti e perché possono vivere vari decenni,
ma anche per i caratteri di primitività che testimoniano la
loro antica origine evolutiva: scheletro poco ossificato, in
gran parte cartilagineo; capo ricoperto superiormente da
ossa cutanee (dermocranio); muso allungato, a forma di
rostro, con profilo superiore concavo; bocca nettamente
infera, protrattile; opercolo rudimentale, che lascia
intravvedere le lamelle branchiali.
Disposizione degli scudi ossei sul capo degli Acipenseridi italiani;
da sinistra Storione cobice, Storione comune, Storione ladano.
(Da Hecker & Kner, 1858).
La pinna dorsale, le ventrali e l’anale sono molto arretrate; la pinna caudale è eterocerca, come quella degli
squali. La sezione del tronco è pentagonale, con i vertici
del pentagono corrispondenti a cinque serie longitudinali
di scudi ossei cutanei (una serie dorsale, due laterali e due
ventrali). Un buon carattere distintivo sono i 4 barbigli posti
anteriormente alla bocca in un’unica serie trasversale: essi
sono lunghi, nastriformi e giungono fino alla rima boccale
nello storione ladano; sono corti a sezione rotonda nelle
altre due specie, più vicini all’apice del muso che alla bocca nel cobice, il contrario nello storione comune.
Tutte e tre le specie sono migratrici anadrome, vivono
cioè in mare e vengono a riprodursi in acqua dolce, con
esigenze ben precise per quanto riguarda substrato di deposizione delle uova, temperatura, ossigenazione, velocità della corrente. I fiumi vengono risaliti sfruttando i corridoi di acque profonde. Sembra che gli adulti maturi si riproducano solo ogni 2-4 anni. Fuori dal periodo riproduttivo vivono in acque relativamente costiere: il cobice non
supera i 40 m di profondità, mentre le altre due specie
possono spingersi a 150-200 metri.
Il ladano è un pesce di dimensioni enormi, può arrivare
con certezza a 6 m di lunghezza e a una tonnellata di peso,
ma si favoleggia di esemplari prossimi ai 9 m. Il suo areale
comprende il mar Nero, il Caspio e i fiumi maggiori che in
essi sfociano; la distribuzione della specie ha in Adriatico il
suo limite occidentale, e l’unico fiume risalito in Italia era
il Po, dove gli esemplari pescati rimanevano su taglie ben
inferiori, attorno ai 2 metri.
Lo storione comune può raggiungere i 4 m di lunghezza e
i 250 kg di peso. È ampiamente distribuito nelle acque
marine costiere d’Europa e del Medio Oriente; in Italia la
specie risaliva i fiumi maggiori, raggiungendo nel bacino
del Po taglie raramente superiori ai 2 m di lunghezza e al
quintale di peso.
le si conserva anche a monte di Isola Serafini, compiendo
quindi tutto il ciclo vitale nelle acque dolci. La contrazione demografica è comunque estrememente marcata. Anche le popolazioni di Croazia e Montenegro sono considerate estinte. Il cobice è il più piccolo dei nostri storioni, e le
sue dimensioni, pur se possono giungere ai due metri, raramente toccano i 150 cm di lunghezza e i 30 kg di peso.
Oggi per gli storioni sono in vigore misure di protezione,
anche se la saggezza popolare direbbe che sono state prese dopo s’cjampât il purcìt. Comunque, oltre al divieto di
pesca, tutte le specie sono citate sia nella Direttiva 92/
43/CEE sia nella Convenzione di Berna. Nella Lista Rossa
dei pesci d’acqua dolce indigeni in Italia tutte le tre specie
sono considerate “in pericolo critico”. Misure urgenti di
protezione dovrebbero riguardare interventi di miglioramento degli habitat, costruzione di passaggi che permettano di superare le dighe (o, in alternativa, predisposizione
di letti di frega artificiali immediatamente a valle degli
sbarramenti), ripopolamenti. A questo proposito, vanno
segnalate le iniziative condotte a partire da metà degli
anni ’90, prima in Lombardia (ripopolamenti in Ticino, Adda
e Oglio) e poi in Veneto (ripopolamenti in Piave, Livenza e
Sile); inoltre è di grande interesse un recente progetto coordinato dall’Ente Parco Delta del Po, che vede il
coinvolgimento di tre regioni (Emilia Romagna, Lombardia
e Veneto), otto province (Cremona, Ferrara, Piacenza,
Rovigo, Venezia, Treviso, Verona e Padova), e un partner
Avrete notato che sto parlando al passato: la riproduzione dello storione comune e dello storione ladano è infatti
documentata in Italia fino agli inizi degli anni ’70, e le
catture successive, oggi estremamente rare, sono verosimilmente dovute all’erratismo di singoli esemplari provenienti da altre regioni dell’areale. Le principali cause sono
da ricercarsi, oltre che nella pesca, nel degrado degli
habitat e dalla costruzione di dighe (ad esempio sbarramenti di Isola Serafini e Casale Monferrato sul Po) che
impediscono la risalita dei riproduttori fino alle zone di
deposizione.
Solo lo storione cobice sembra riprodursi ancora nelle
acque interne d’Italia. La specie è endemica nel bacino
del mare Adriatico, del quale frequenta soprattutto le coste settentrionali e orientali. L’areale storico comprende
Po e affluenti maggiori, e poi Adige, Brenta, Livenza e
Tagliamento; nella nostra regione esemplari comparivano
anche nello Stella e nell’Isonzo. Oggi è limitato quasi
eslusivamente al bacino del Po, dove una popolazione vita-
privato (la piscicoltura VIP di Orzinuovi, in provincia di Brescia), per la produzione e la semina di novellame di
Acipenser naccarii.
Mi piacerebbe che anche in Friuli Venezia Giulia si pensasse di dare una mano a questi magnifici pesci, anche se
nei nostri corsi d’acqua sono forse sempre stati una presenza relativamente marginale.
Uno storione nel fiume rimane celato nei fondali: non si
cattura a canna, non preda altre specie ittiche (nonostante la taglia si nutre quasi esclusivamente di invertebrati),
non si moltiplica a dismisura divenendo un problema: è
un’entità discreta e inafferrabile, quasi un sogno.
Perché rinunciare al sogno? Una cosa è andare al fiume
sapendo che in un giorno inmagato lo si potrebbe anche
incontrare; una cosa è andarci sapendo che si tratta di un
capitolo chiuso, di una delle tante cose da relegare al passato, insomma di una perdita.
Auguri storione. Ma c’è molto egoismo in questi auguri,
perché in fondo in fondo sono auguri che faccio a me.
Pesca e Ambiente 17
Una giornata sul fiume
Giuseppe-Adriano Moro
Le acque
della montagna
“Pescata” sul torrente Lumiei
(Prima parte)
L’Ente Tutela Pesca conduce Una giornata di campagna inizia, in
ogni anno, con personale proprio
ed attraverso la collaborazione con
istituti universitari regionali, campagne di studi relativi alla fauna ittica ed agli ambienti acquatici del
Friuli Venezia Giulia. Lo scopo di
questa attività è l’acquisizione delle informazioni necessarie per la
gestione del patrimonio ittico regionale ed i risultati sono periodicamente pubblicati, sugli organi di
informazione dell’ETP.
L’ultima pubblicazione dell’Ente é un cd-rom intitolato “Pesci ed
acque del Friuli Venezia Giulia”, in
cui i risultati delle campagne degli
ultimi sette anni, condotte dall’ETP
in collaborazione con l’Università
degli Studi di Trieste, vengono presentati in modo organico. Raramente i cittadini della nostra Regione,
siano essi pescatori o meno, conoscono tutto ciò che conduce alla
realizzazione di queste pubblicazioni, il vero e proprio “backstage”
scientifico.
In questo numero di “Pesca e Ambiente” descriverò una giornata di
raccolta dei dati nei torrenti della
zona montana, nei prossimi numeri affronteremo le acque della pianura.
18 Pesca e Ambiente
effetti, molto prima del giorno in cui si
lavora sul fiume. Bisogna, infatti, decidere che corsi d’acqua studiare, dove
raccogliere i dati e quando farlo. È ovvio che dal punto di vista scientifico la
situazione ideale sarebbe quella di raccogliere dati su tutto il corso d’acqua,
ma questo è evidentemente impossibile dal punto di vista pratico. Bisogna,
dunque, scegliere dei punti rappresentativi della realtà di un corso d’acqua,
cercando di capire quali siano i tratti
con caratteristiche uniformi. È poi necessario individuare almeno un punto
Campionamento sul torrente Lumiei
di raccolta dati, detto “stazione”, per
ciascun tratto omogeneo. Per fare questo è necessario conoscere a priori il
corso d’acqua, almeno parzialmente. In
questa fase è fondamentale la conoscenza dei luoghi e quindi la disponibilità di informazioni che vengono fornite da chi frequenta abitualmente i
nostri fiumi. Le decisioni vengono prese in genere discutendo con i collaboratori ittici ed i volontari della vigilanza dell’Ente, che conoscono molto
bene il loro campo d’azione. Individuati i tratti omogenei si decide dove posizionare al loro interno le stazioni,
sulla base di un principio semplicissimo: si va dove il fiume è più accessibile e dove è più facile lavorare. Non
si tratta di pigrizia, ma della soluzione
di un problema pratico: durante le campagne bisogna cercare di lavorare in
più stazioni in ciascun giorno, ma bisogna farlo bene e raccogliere buoni
dati. Se si perde molto tempo per raggiungere una stazione, o ci si stanca
molto nella prima mattinata, è molto
difficile riuscire ad ottenere buoni risultati. Bisogna ricordare che fare un
censimento ittico è un lavoro massacrante per gli operatori e che la stanchezza rende sempre più difficile essere efficienti. Da questo punto di vista risulta evidente che la preparazione di una giornata di lavoro sul fiume
richiede esperienza, ciò che a tavolino
può sembrare ideale, nella realtà si rivela spesso totalmente sbagliato. Un
aspetto importante del nostro lavoro è
trovare il modo per integrare differenti punti di vista e, attraverso questo
processo, fornire risposte utili a chi
chiede informazioni. La visione delle
acque non è infatti identica per un pescatore ed una guardia, per un collaboratore ittico ed un biologo, per un
cittadino qualunque ed un amministratore, anche se l’oggetto dell’interesse
è il medesimo.
Quando i piani d’azione sono pronti
e le squadre di operatori coinvolte sono
state avvertite, inizia la vera attività di
campagna. Nell’affrontare un corso
d’acqua si cerca sempre di iniziare dalla stazione posta più a monte, quella
Campionamento a Pioverno
Torrente Venzonassa
più lontana dai punti di appoggio, in
modo da lasciare per ultime le stazioni
maggiormente accessibili.
Appena raggiunta una stazione il lavoro inizia con una suddivisione dei
compiti che è ormai tacita e prestabilita.
Le variazioni sul modo di operare sono
minime e dipendono per lo più dalle
caratteristiche dell’ambiente o dal tipo
di dati che si vogliono acquisire. Se si
desidera raccogliere dati quantitativi,
per esempio, è necessario isolare un
tratto di corso d’acqua con delle reti,
per fare sì che i pesci non possano sfuggire. Questo comporta differenze notevoli nella scelta delle stazioni, perché non sempre è possibile tirare delle
reti attraverso un impetuoso torrente alpino. Mentre alcuni posizionano le reti
di sbarramento altri preparano
l’elettrostorditore, montano il tavolo
per le misure, qualcuno inizia ad annotare le caratteristiche della stazione
e qualcun altro misura parametri chimico fisici delle acque come temperatura, pH, conducibilità e concentrazione di ossigeno disciolto. Appena tutto
è pronto una squadra di almeno tre collaboratori ittici scende in acqua in corrispondenza della rete di valle ed
inizia a recuperare il pesce con
l’elettrostorditore. La squadra minima
di tre operatori è necessaria perché uno
di loro manovra il guadino elettrificato, uno porta il generatore a zaino ed il
terzo un secchio per raccogliere i pesci catturati. Un altro operatore fa la
spola fra la squadra di recupero ed il
tavolo di misura, perché i pesci non
possono essere trattenuti troppo a lungo dentro un secchio. Al tavolo ogni
pesce viene riconosciuto (a livello di
specie), misurato e pesato, quindi messo in un altro secchio, col quale verrà
il più rapidamente possibile portato
nuovamente al torrente, liberandolo
sotto la rete di valle, quindi fuori dal
tratto di campionamento. La squadra
di recupero raggiunge la rete di monte, quindi torna verso quella di valle,
continuando a catturare pesci. Gli
esemplari catturati in ciascun passaggio vengono annotati separatamente, in
modo da potere stabilire quanti erano
quelli del primo passaggio e quanti
quelli del secondo. Questo accorgimento é necessario per valutare il numero complessivo di individui secondo il removal method.
Mentre la squadra di recupero procede nelle catture vengono effettuati i
campionamenti di macroinvertebrati
bentonici. Disporre di dati sul
macrobenthos è utile sia per valutare
la qualità biologica dell’ambiente
acquatico che per ottenere preziose
informazioni sul corso d’acqua applicando metodi di indagine tipici dell’ecologia. A tutti gli effetti la sola valutazione della qualità delle acque, che
spesso colpisce di più il pubblico, è insufficiente dal punto di vista gestionale,
poiché semplifica in modo eccessivo
il quadro ambientale che viene osservato. L’operatore addetto a questo
campionamento percorre il tratto di
torrente studiato ed individua una sezione che sia il più possibile rappresentativa dell’ambiente complessivo
del tratto, nonché adatta al
campionamento degli invertebrati. Le
regole per scegliere una buona sezione di campionamento sono poche, ma
in verità è l’esperienza a guidare questa scelta. L’operatore addetto alla raccolta dei macroinvertebrati attraversa
a guado il corso d’acqua, quindi inizia
la raccolta procedendo a ritroso lungo
un transetto che attraversa tutta la sezione. Questo dove è possibile guadare
senza particolari problemi. In altri casi
la raccolta avviene in una fascia limitata della sezione. Catturare i
macroinvertebrati è relativamente semplice: si dispone un retino immanicato
dalla bocca quadrata rivolto verso
monte, l’operatore si posiziona a monte
del retino e con i piedi smuove il fondo (il metodo si chiama kick sampling).
Pesca e Ambiente 19
Una giornata sul fiume
Così facendo i macroinvertebrati non
possono più resistere alla corrente e
vengono da questa trasportati nel
retino. L’efficienza di questo metodo
dipende molto dalle caratteristiche del
fondo, dalla velocità della corrente,
dalla turbolenza e dalla profondità. In
genere tentare di catturare invertebrati
con questo metodo quando l’acqua è
veloce e supera in altezza il ginocchio
si risolve con un insuccesso: la turbolenza è tale che gli organismi vengono
portati dalla corrente al di sopra della
bocca del retino e si rimane letteralmente con un pugno di sabbia. Il retino
si riempie, comunque, di detriti: sabbia, piccoli ciottoli, foglie morte, frammenti di legno e, purtroppo, immondizie. L’operatore raggiunge la riva e
vuota il contenuto del retino in una
vaschetta, eliminando i detriti più grossolani e versando il resto del campione in un barattolo da uno o due litri. Il
campione viene fissato con formaldeide (in concentrazione variabile a seconda delle esigenze) ed è così possibile conservarlo molto a lungo. In alcuni casi la pulizia preliminare del
campione è possibile con estrema efficacia e nel barattolo finiscono pochi
decilitri di residui oltre a molte centinaia di organismi. Il tutto viene esaminato in laboratorio nei giorni successivi.
Quando le operazioni di raccolta dei
dati sono terminate si smonta rapidamente il tavolo di misura, vengono
ricontrollate le schede di campagna
compilate, si scattano alcune foto e ci
si sposta alla stazione successiva. In
condizioni idriche buone possono essere effettuati campionamenti completi
su sei o sette stazioni al giorno, nei
mesi estivi. Una squadra passa da trenta minuti ad un’ora in acqua per ciascuna stazione. Anche questi elementi
devono essere tenuti in considerazione mentre si opera, perché un lavoro
logorante può ridurre il livello di attenzione, riducendo l’efficienza e sopra tutto la sicurezza di chi lavora in
acqua.
I dati raccolti devono essere riordinati ed elaborati, una volta tornati in
laboratorio, per ottenere quelle infor20 Pesca e Ambiente
I Chironomidi, un mondo di Ditteri
Onnipresenti e spesso fastidiosi i Ditteri sono un grande ordine di Insetti nel quale sono compresi organismi
con larve acquatiche. Allo stadio adulto possono assumere due forme tipiche, definibili in termini semplificati come “zanzara” e “mosca”. Le larve di questi animali hanno una varietà di forme e di comportamenti
eccezionali e rappresentano una quota molto importante della fauna degli ambienti acquatici. Le famiglie di Ditteri con larve acquatiche presenti in Friuli
Venezia Giulia sono quattordici e ciascuna di esse comprende molti generi. Una di queste famiglie comprende gli organismi più diffusi nelle nostre acque: i
Chironomidi. Le larve acquatiche di questi animali appaiono, ad una rapida osservazione, simili a piccoli
vermetti. Alcune larve hanno sono di colore rosso acceso e le più grosse vengono usate come esca col nome esotico di “ver de
vase”. Si tratta, in effetti, di larve ben adattate ad ambienti dove scarseggia l’ossigeno e sono responsabili delle pessima fama che i Chironomidi godono, presso coloro che si occupano di qualità biologica delle acque. Contrariamente a quanto si crede, però, non tutti i Chironomidi amano le acque
inquinate e povere di ossigeno, anzi, molte specie di questi Ditteri vivono
esclusivamente in acque fresche e ben ossigenate, nei ruscelli alpini. Il loro
riconoscimento è, purtroppo, difficile per chi sia uno specialista e sono pochi coloro che hanno il coraggio di affrontare una simile impresa. Ad ogni
modo, una conoscenza spinta alle sole sottofamiglie, consente di scoprire
un nuovo mondo e di apprezzare l’enorme varietà di forme e caratteristiche
ecologiche di questi piccoli organismi. Dal più alto laghetto alpino, alla laguna, dai ruscelli limpidi e gelati delle Alpi ai canali di bonifica, i Chironomidi
hanno sempre dei rappresentanti e non lasciano mai vuoto il retino
dell’idrobiologo che si avventura nelle nostre acque; un brulicare di piccole
larve promette sempre la scoperta di un nuovo paesaggio biologico, quasi
fosse un mondo di Ditteri.
Torrente Arzino
mazioni essenziali alla corretta gestione del patrimonio ittico regionale. Questo genere di lavoro viene svolto con
continuità da molti anni ed ha subìto
alcune modifiche nel corso del tempo,
grazie all’acquisizione di nuove tecniche ed esperienze. Le attività di campagna non si possono mai considerare
concluse, poiché i corsi d’acqua subiscono una continua evoluzione, che
necessita di un costante aggiornamento delle informazioni. Appena terminato un ciclo di campionamenti viene
programmato quello successivo, in
modo da potere fornire costantemente
gli opportuni aggiornamenti a coloro
che sono responsabili della pianificazione e gestione della fauna ittica.
Itinerari
Emozioni
dalla natura
Istituzione
Il Parco Naturale Regionale delle
Dolomiti Friulane è stato istituito con
Legge Regionale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia n. 42 del
30 settembre 1996.
Tutto straordinariamente emozionante. L’emozione vi coglie al primo contatto, bastano pochi passi e
vi troverete subito in un paradiso
naturale incontaminato. Estese vallate, prive di viabilità principale e
di centri abitati, si addentrano tra
vette dolomitiche elevando il Parco al grado di “wilderness”, ideale
per escursioni di tipo naturalistico
ed il trekking. Lontano dalla confusione cittadina e dal logorio della vita moderna, ci si trova in una
quiete silenziosa, fattore importante per migliorare la qualità della vita. Camminate contemplative,
scalate su roccia; osservare la natura o semplicemente rilassarsi in
un dolce far niente.
Ubicazione
Il Parco è inserito nel comprensorio
montano soprastante l’alta pianura
friulano-veneta.
L’area protetta si estende dalla provincia di Pordenone a quella di Udine
ed abbraccia la Valcellina (Comuni
di Andreis, Cimolais, Claut, Erto e
Casso), l’Alta Valle del Tagliamento
(Comuni di Forni di Sopra, Forni di
Sotto) ed i territori confluenti verso
la Val Tramontina (Comuni di
Frisanco e Tramonti di Sopra).
Estensione
Il Parco è il più vasto tra gli unici dei
due del Friuli Venezia Giulia: con
un’area di 36.950 ettari.
Nelle vicinanze si trova anche la Riserva Naturale Regionale Forra del
Cellina (304 ettari), gestita dall’Ente Parco stesso.
Territorio
Il Parco delle Dolomiti Friulane è un
vero e proprio paradiso per
l’escursionismo di tipo naturalistico
ed il trekking, attività garantite da
un’adeguata rete di sentieri e da un
buon numero di strutture d’appoggio (casere - ricoveri, bivacchi).
Il territorio, considerato di grande
interesse geologico, ambientale e
naturalistico, è caratterizzato da un
alto grado di wilderness, particolarmente percettibile grazie all’assenza di strade di comunicazione (sono
presenti solo alcune vie di
penetrazione in fondovalle e piste
di servizio non collegate tra le grandi vallate) e difficilmente riscontrabile, per estensione, in altre zone
dell’arco alpino.
Pesca e Ambiente 21
Itinerari
La catena dei Monfalconi con il Campanile di Val Montanaia, le praterie
di alta quota di “Canpuros”, i pascoli di malga Senons e la solitudine
dei Canali di Meduna, ne fanno un
ambiente unico.
Collegata al Parco vi è inoltre la vicina Riserva Naturale Forra del
Cellina, significativa e spettacolare
incisione che il Torrente Cellina ha
scavato negli strati calcarei fra
Barcis, Andreis e Montereale
Valcellina prima del suo sbocco nell’alta pianura friulana.
La geomorfologia di questi monti rivela una notevole e continua evoluzione del territorio testimoniata dalla presenza di faglie, sovrascorrimenti e fratture che si contrappongono a morene e piramidi di terra
determinate dall’escavazione e dal
deposito di antichi ghiacciai; guglie
e torrioni dolomitici (il Campanile di
Val Montanaia), nonché stratificazioni rocciose dalle svariate caratteristiche (i libri di San Daniele) indicano inoltre un’intensa erosione
alpina.
La zona è interessata da tre grandi
linee tettoniche: “linea dell’Alto
Tagliamento”, “Sovrascorrimento
Monte Duranno-Alto Meduna” e
“Sovrascorrimento (o faglia)
Periadriatico”. Quest’ultimo è facilmente individuabile nella zona di
Andreis a Sud del Monte Raut, dove
determina un singolare paesaggio.
Ulteriore fattore che ha caratterizzato l’aspetto geomorfologico delle
22 Pesca e Ambiente
Cima Duranno
zone più interne, è stata la presenza diffusa dei ghiacciai, protratta
fino ad alcune migliaia di anni fa, in
tutte le valli del comprensorio
prealpino. Le testimonianze si
evidenziano da alcune sezioni vallive
e dai grandi e piccoli “circhi” glaciali modellati nei fianchi montuosi.
Bisogna inoltre ricordare i grandiosi
depositi della Frana del Monte Toc
(o del Vajont), che evocano la catastrofe del 1963 e costituiscono un
esempio unico di colossale evento
franoso.
Sentieristica
Caratteristica notevole del Parco è
il fatto di essere attraversabile unicamente in assetto escursionistico,
seguendo la rete sentieristica primaria, individuata e gestita tenendo
presenti gli aspetti relativi alla garanzia della manutenzione, degli
standard di sicurezza, dell’impatto
naturalistico e dell’importanza storica. Non mancano i percorsi
tematici, accessibili a tutti (alcuni
anche a disabili), caratterizzati dalla vicinanza ai centri abitati e dalla
particolarità di introdurre, rappresentare e fornire spunti sull’area interna del Parco. I rimanenti tracciati, più impegnativi e caratterizzati
da attraversamenti di aree con sentieri privi di segnaletica e con
segnavia scarsi o assenti, garantiscono la conservazione degli aspetti
alpinistici tradizionali, ovvero il gu-
ti in aree originarie e circoscritte.
Tra questi endemismi evidenziamo:
l’Arenaria huteri, la Gentiana
froelichi, la splendida Pianella della
Madonna (Cypripedium calceolus), la
Daphne blagayana (un esemplare di
Timeleacea rinvenuto in Italia nella
zona del Raut e del Tramontino solo
nel 1989).
il paesaggio a Forni
sto dell’avventura e della scoperta,
e nel contempo assicurano la tutela
spontanea di vaste aree.
Cime Principali
Toc (m 1921), Duranno (m 2652),
Preti (2706), Monfalconi di
Montanaia (m 2548), Vacalizza (m
2266), Pramaggiore (m 2478),
Cridola (m 2851), Cornaget (m 2323),
Dosaip (m 2062), Caserine (m 2306),
Chiarescons (m 2168), Frascola (m
1961), Ressetum (m 2067), Raut (m
2025), Castello (m 1923), Borgà (m
2228), Turlon (m 2312), Vetta
Fornezze (2110).
PARCO NATURALE DOLOMITI FRIULANE
Via Vittorio Emanuele, 27
33080 Cimolais (PN)
Tel. +39.0427.87333
Fax +39.0427.877900
web:www.parcodolomitifriulane.it
e.mail: [email protected]
Torrenti Principali e Fiumi
Zemola, Vajont, Cimoliana, Settimana, Cellina, Silisia, Meduna,
Poschiadea, Dria, Giaf, Fiume
Tagliamento.
Flora
La notevole ricchezza floristica di
tutto il comprensorio del Parco dipende soprattutto dall’occasione di
rifugio e di sopravvivenza che è stata data da questi territori ad innumerevoli specie durante il periodo
di espansione dei ghiacciai. Oltre
quindi alla molteplicità di specie tipiche della fascia temperata, sopravvivono degli autentici endemismi,
cioè organismi differenziatisi in loco
in tempi lontani e rimasti oggi isola-
Fauna
Il patrimonio faunistico del Parco è
interessante: ciò dipende soprattutto dalla variabilità ambientale di
questa fascia alpino-montana. Stabilmente possiamo trovare: camosci,
caprioli, marmotte, galli cedroni,
galli forcelli, cervi è una consistente colonia di stambecchi in continua
espansione.
Segno dell’elevato grado di
naturalità dell’ambiente dell’Area
Protetta è la consistenza dell’aquila
reale (Aquila crysaetus), simbolo del
Parco; in ogni vallata si stima la presenza di una coppia nidificante.
L’esistenza di una popolazione ben
strutturata e vitale di aquila reale,
rilevabile dall’occupazione di tutti i
territori disponibili, è indice di salute ambientale e della presenza di
una fauna ricca.
Sorveglianza
È svolta dal Corpo Forestale dello
Stato delle Stazioni Forestali di
Barcis, Claut, Forni di Sopra,
Maniago, Meduno. Vi è anche la collaborazione del Corpo Provinciale
Agenti di Vigilanza delle Province di
Udine e di Pordenone
Pesca e Ambiente 23
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Il presidente - Ente Tutela Pesca