FANTASCIENZA
DELOSBOOKS
INVERNO 2004 - ANNO II - NUMERO 3 NUOVA SERIE
RIVISTA DI FANTASCIENZA
INCHIESTA
Professione:
scrittore sf
NARRATIVA
Racconti di Ian Watson
e Roland C. Wagner
ALTRI RACCONTI DI
Alessandro Fambrini
Fabio Nardini
Giuseppe Pederiali
ARTICOLI DI
Valerio Evangelisti
Giuseppe Lippi
Ugo Malaguti
Roberto Vacca
CRITICA
Scienza e
fantascienza
Storia della
robotica
Fumetti & SF:
Ratman!
Telefilm:
Stargate SG-1
43
€ 9,90
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Sommario
www.fantascienza.com/robot
NARRATIVA
F A N T A S C I E N Z A
Rivista diretta da
Vittorio Curtoni
Direttore responsabile
Franco Forte
Grafica e redazione
Silvio Sosio
Copertina e illustrazioni
Giuseppe Festino
Stampa
DiGiEsse
6
36
88
124
Le farfalle dei ricordi di Ian Watson
Perimeni di Alessandro Fambrini
Confini di Fabio Nardini
Le belle figlie di madama Dorè
di Giuseppe Pederiali
159 Gli oscuri dei di Transpeeraags
di Marco Passarello
178 Pallida la tua pelle, rosso il tuo sguardo
di Roland C. Wagner
www.digiesse.com
RUBRICHE
Collaboratori
Kremo Baroncinij
Vittorio Catani
Valerio Evangelisti
Andrea Jarok
Claudio Leonardi
Giuseppe Lippi
Ugo Malaguti
Giovanni Mongini
Marco Spagnoli
Flora Staglianò
Roberto Taddeucci
Roberto Vacca
Riccardo Valla
Elisabetta Vernier
Enzo Verrengia
Pubblicità
Delos Books,
2 L’orribile invasione della melassa
autospalmante di Vittorio Curtoni
23 INCHIESTA - Professione: scrittore di
fantascienza a cura di Silvio Sosio
32 ROBOTA REDUX - Science Fantasy
di Giuseppe Lippi
80 LA VOCE DI TOBOR - Se incontrassi per strada
un comunista di Ugo Malaguti
86 AL ROGO! - Serial science fiction
di Nicolas Eymerich
102 CRITICA - Scienza e fantascienza
di Riccardo Valla
111 FUMETTI SF - Cose da ratti!
di Claudio Leonardi
119 MEDIOEVO PROSSIMO VENTURO Raffreddamento globale di Roberto Vacca
122 RETROFUTURO - Giuseppe Pederiali
di Vittorio Catani
136 ROBOTICA - L’evoluzione del metallo
di Alessandro Vietti
145 FANDOM - 2003: un anno in crescita
di A. Jarok e K. Baroncinij
150 FANDOM - I club italiani: Moonbase ‘99
di Flora Staglianò
133 MEMORIE DAL GRANDE SCHERMO - Come ti
travesto l’alieno di Giovanni Mongini
164 CINEMA - Forbidden Planet Hollywood
di Alan D. Altieri
169 PICCOLO SCHERMO - Stargate SG-1
di Roberto Taddeucci
191 Libri
tel. 348 2305144 - fax 02700439394
[email protected]
Distribuzione a cura di
Andrea Iovinelli
[email protected]
Una pubblicazione
Associazione Delos Books
Piazza Bonomelli, 6/4
20139 Milano
http://www.delosbooks.it
email: [email protected]
Presidente
Silvio Sosio
Direttore editoriale
Franco Forte
Amministratore
Luigi Pachì
Una copia Euro 9.90, arretrati Euro 19,80.
Reg. Tribunale di Milano n. 513 del 16 settembre 2003. È vietata la riproduzione di
testi e foto senza l’autorizzazione dell’editore. La Direzione lascia liberi e responsabili dei loro scritti e delle loro affermazioni i
singoli collaboratori. Testi e illustrazioni inviati non vengono restituiti.
Pag. 101: è tornato
il prestigioso premio
Robot per racconti
inediti: scopri come
partecipare
Pag. 111: Fumetti,
umorismo e fantascienza: Leo Ortolani
parla del suo “eroe”
più famoso
Pag. 169: Stargate
SG-1: una delle serie
più seguite in USA e
in Italia
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posta tradizionale:
Robot - Fantalettere
via Torre Borromea, 52
26852 Casaletto
Lodigiano LO
1
L’editoriale
L’orribile invasione della
melassa autospalmante
di Vittorio Curtoni
C
2
apita talora, in certi periodi della
vita, che i segnali si accumulino: il
mondo esterno, sotto varie e non
mentite spoglie, cerca di dirci qualcosa,
e se il nostro cervello non è troppo pigro, o se infilare la testa sotto la sabbia
e mettere il culo per aria non è la nostra
specialità, ce ne accorgiamo. Se ben rammento, C. G. Jung parlava di coincidenze
causali, che è una bellissima espressione
e mi viene a fagiolo.
Scrivo questo editoriale a ridosso
della fine d’anno, nella mia piccola Piacenza tappezzata di luci e lustrini come
ogni altra città italiana. E la sensazione
della coincidenza causale mi stringe forte lo stomaco. Perché da un po’ di tempo
sto traducendo per l’Editrice Nord quello
che mi pare un ottimo romanzo di fantascienza, Altered Carbon, opera d’esordio
di uno che ci sa fare, Richard Morgan:
siamo nel 2500 o giù di lì, e nessuno
muore più sul serio, perché negli esseri
umani è inserita una pila che raccoglie i
dati dell’esistenza quotidiana; e quando
uno crepa, i suoi dati digitalizzati vengono riversati in un nuovo corpo (una “custodia”) e oplà!, si risorge da morte. Senza nemmeno dover aspettare tre giorni.
Miracolo. Ovviamente, nell’intero univer-
so colonizzato è vietato creare duplicati di se stessi, anche se la tecnologia lo
permetterebbe; ma banditi e delinquenti vari danarosi, truffando le assicurazioni
e sfruttando il mercato nero delle custodie, lo fanno. Al di là del fatto che a me è
venuta subito in mente l’Italia di questo
futuro, fornita di legge Gasparri o equivalente per permettere la duplicazione
dei più eccellenti pezzi grossi del panorama politico e/o imprenditoriale, l’idea
non mette i brividi? Il doppio, il doppelganger della tradizione fantastica, ritradotto nei termini di una tecnologia che
lo renderebbe tanto concreto, massiccio.
Reale. Con o senza una pioggia di cloni,
che sarebbero contorno appetitoso ma
non indispensabile. Nello stesso corpo
o in un altro, ti potresti duplicare. Espandendoti fino a limiti oggi impensabili.
Poi, nella pienezza del tempo (il tono
biblico mi si addice, trovo), mi sono arrivati i materiali per questo numero 43
della nostra amata Robot. E cosa scopro?
Vanni Mongini che ci ricorda alcuni dei
più o meno perfidi invasori del cinema,
alieni che si sono impossessati dei nostri
corpi per farne loro dimora. Quindi, duplicandoci a loro uso e consumo, rendendoci altro da ciò che siamo realmente.
L’editoriale
Alan D. Altieri, alias Sergio, che ci parla
dell’allucinante mondo della Hollywood
dei nostri giorni, tutto remake, fotocopie,
duplicati mal fatti (e guardate che Altieri
a Hollywood lavora come sceneggiatore,
non parla per sentito dire). Ian Watson,
che ringrazio di cuore per la cordialissima disponibilità, con un racconto sui telefonini cellulari del futuro del quale non
posso svelare l’inghippo perché sarebbe
peccato mortale contro il lettore, ma insomma dopo averlo letto capirete cosa
c’entri con questo discorso. E infine, last
but not least (mi è solo arrivato per ultimo, proprio sul filo di chiusura del numero), uno straordinario, ruspantissimo
e sgargiantissimo pezzo di Ugo Malaguti, pagine che mi hanno scavato diritto nel cuore: dove stanno più le cose
vere di una volta? I veri comunisti, i veri
fascisti, o anche il vero gorgonzola, se vogliamo metterla sul piano culinario? Tutti uguali, tutti omologati sul buonismo e
sul ripudio delle idee per le quali ci si è
battuti un tempo? Tutti fotocopie? Tutti
orientati verso un indifferenziato centrismo di ideologie, ideali, e prassi operative? E’ questo il trionfo del liberismo e del
villaggio globale?
Gesù, ridatemi Mr. Hyde. ���������
Come saggiamente ricorda Malaguti, la fantascienza di cose controcorrente ne ha
dette parecchie, nella sua lunga storia.
Le ha dette affidandosi ad autori che
non condividevano la stessa visuale del
mondo, però avevano il coraggio di parlare, di esprimersi fuori dai denti. Poi tra
appassionati si litigava, ci si accapigliava,
si faceva a cornate. Io sono un reduce del
fandom degli anni Sessanta, che più litigioso di quello non ne possono esistere,
e delle grasse polemiche dei Settanta,
delle quali ho deprecato i toni; e non è
che su questo abbia cambiato idea, però
magari si potrebbe tentare di essere più
vivaci, meno omologati, meno duplicati,
meno fotocopie, anche senza venire alle
mani o agli insulti verbali.
Viviamo in un mondo anemico, tra
obiettivi livellati e confronti dialettici al
ritmo del minuetto, perché tanto quel
che è, è, nulla cambia alle radici. C’è il
grande velo di melassa omogeneizzante
spalmato su tutto. Ma che ne so, un pizzico di diarrea, un attacco di vomito magari non ci farebbero nemmeno troppo
male, eh?
In sintonia col pistolotto che precede,
vi annuncio che su questo numero non
è presente la rubrica della posta. Non c’è
perché tra le poche, davvero poche, lettere che ci sono pervenute, una quantità scarsissima conteneva domande, riflessioni, temi interessanti per la massa
dei lettori. Il loro numero non è legione
e non basta per imbastire una rubrica
cicciottella. Mica è colpa nostra. Che delusione però. Che scoramento. Ai tempi
della prima Robot, la mia scrivania in redazione era una specie di corte dei miracoli di buste, plichi; il problema non era
trovare lettere interessanti da pubblicare, il problema era fare spazio alla corrispondenza sulla rivista. Io le lasciavo ad
ammucchiarsi su quella linda superficie
3
4
bianca, tanto che a un certo punto la signora che di sera veniva a fare le pulizie
andò a parlare con l’editore, Giovanni
Armenia, e gli disse che io facevo schifo e che si rifiutava di toccare anche solo
con un dito la mia scrivania; e ogni tanto Armenia veniva da me e mi diceva:
“Quand’è che mette in ordine, Vittorio?
La donna delle pulizie si è lamentata”, e io
rimandavo a domani, dopodomani, l’anno prossimo…
Magari mi sbaglio, ma ho come l’impressione che Internet e le e-mail stiano
diventando un altro di quei fattori melassanti che dicevo prima. Ci siamo talmente abituati al chiacchierio elettronico giornaliero, privato e pubblico, che
siamo tutti un colossale bar dello sport,
e le chiacchiere si sprecano. Per carità,
nessuno degli scarsi, valorosi amici che
ci hanno scritto si senta rimproverato:
tutti quanti, me compreso, siamo ampiamente colpevoli dello stesso difettuccio,
e di certo io non posso tirare la prima
pietra. Nemmeno la centesima, per dire. Solo, ehi!, un pizzico in più d’audacia,
una qualche svolazzata d’aquila: okay le
opinioni sui singoli racconti e articoli, ma
una visione globale, opinioni che prescindano dal qui e ora, stimoli, provocazioni. E dai che ce la fate.
A parte questo, tutto va bene, madama la marchesa robotta (non è una parolaccia; i genitori in ansia per gli usi linguistici dei pargoli si tranquillizzino). Oltre
all’inglese Watson, abbiamo il piacere di
ospitare il suggestivo racconto di un autore francese, Roland Wagner, per il qua-
le ringraziamo l’ubikuo agente letterario
italiano, il vecchio (lo scrivo perché così
si arrabbia, lo so) Piergiorgio Nicolazzini. Wagner è un simpaticone che ho conosciuto un anno fa a Milano, e mi pare
proprio un tipo da tenere d’occhio. Con
la Francia, del resto, stiamo intrecciando
rapporti che potrebbero rivelarsi assai
proficui, ma per scaramanzia rimando le
informazioni al n. 44. Mai chiudere il sacco prima di averci infilato dentro l’orso.
Abbiamo in menù ottimi racconti, ottimi articoli, e l’orgoglio di annunciare un
nuovo collaboratore, un nome che poco
ma sicuro non ha bisogno di presentazioni, Roberto Vacca, al quale porgo il
più caloroso dei benvenuti. Acquisito lui,
è mio smodato piacere dichiarare pubblicamente che la stragrande maggioranza dei nomi di rilievo della fantascienza (ma non solo, non solo, è evidente) italiana stanno con noi. Li avete letti sui numeri precedenti, li leggerete su questo e
sui prossimi. Emusiun. E se anche qualcuno potrà tardare a comparire, è comunque nostro complice e sostenitore; come
il grande Lino Aldani, il quale mi ha promesso che il prossimo racconto che scriverà sarà per Robot. Hai detto niente.
Amici, lettori, volontari del soccorso
robotico: la melassa non deve trionfare!
Sia questa la nostra parola d’ordine per il
2004 appena iniziato, un anno che mi auguro molto meno ferale del precedente a
livello mondiale. Forse basterebbe anche
solo cercare di stare un pochino più calmi, no? Non parlo per voi. Penso a…
Operazione quota
1000!
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5
Narrativa
Le farfalle dei ricordi
di Ian Watson
S
tormi di volafonini svolazzavano tutt’intorno, con le ali intessute di microprismi che
scintillavano iridescenti
sotto il sole.
Sull’ampio marciapiede del
centro di
6
Milton Keynes, molti giacevano a
terra tra i mucchi di foglie color
ruggine e oro; le ali di qualcuno si agitava-
Le farfalle dei ricordi
no ancora, come mosse dalla brezza di quel tranquillo
martedì di settembre.
Ogni tanto i corvi, appollaiati a frotte come sentinelle in cima ai lampioni, si
lanciavano contro i volafonini in aria. Le gazze ladre
li afferravano al volo e se
li portavano via, brillanti trofei. Stando a quanto
avevano detto di recente
alla radio, a volte capitava
che qualcuno si ritrovasse impelagato in conversazioni
senza senso; dall’altro
lato della linea c’era un uccello starnazzante o il miagolio di un gatto.
Doveva trattarsi di certo di una
leggenda metropolitana, perché
gli animali non possedevano un
impianto Ident-info, piccolo co-
me un pisello.
Un volafonino poteva
essere attivato accidentalmente da una beccata o una
zampata data a caso?
Ogni giorno, volafonini nuovi di
zecca nascevano e spiccavano il volo
dalle fattorie della Telecom e delle altre compagnie telefoniche, in competizione tra loro per accaparrarsi i pagamenti elettronici degli utenti.
7
Ma a Tom Cavendish piaceva un
volafonino in particolare, quello che
ormai da tre mesi si era personalizzato su di lui, facendo il nido nel taschino della sua giacca.
Camminando, si soffermò ad ammirare lo Snowdome, che in realtà
non era affatto una cupola ma piuttosto una smisurata copertura argentata simile all’hangar di un dirigibile. Si sviluppava dal livello del terreno alle sfrenate altezze della facciata,
ospitando uno schermo video che in
quel momento mostrava l’immagine
di un gruppo di sciatori che si esibivano in slalom acrobatici e manovre
spettacolari. Nello Snowdome c’erano anche numerosi ristoranti, un
bowling e un cinema multisala. Tom
trovava che Milton Keynes fosse una
deliziosa cittadina utopica, ingiustamente criticata dagli snob, che nella
maggior parte dei casi ne parlavano
male senza esserci mai stati.
Ops! Si accorse di essere in ritardo
per l’appuntamento delle due con la
dottoressa Wykeham, e affrettò il passo. Poteva considerare quel ritardo
una prova della sua smemoratezza?
Attraversando l’ampio e luminoso atrio del centro commerciale, Tom
estrasse dalla tasca lo scintillante volafonino blu-violetto e se lo sistemò
sulla spalla. L’apparecchio spiegò
prontamente un’ala, disponendogliela davanti alla bocca.
Avrebbe potuto limitarsi a pensarlo, ma Tom disse a voce alta:
— Chiama la segretaria di Sandra
Wykeham.
Bip-bip.
Vicino a lui, una donna giapponese
fece un cenno con la mano. Attento al
suo profilo all’infrarosso, un volafonino libero si posò per servirla. La donna si fermò per sfogliare il menù che
Brillantissimo autore inglese, immeritatamente non molto conosciuto in Italia, Ian Watson ha raggiunto la grande fama nel 1973 col romanzo Embedded, vincitore del premio John W. Campbell Memorial
e del premio francese Apollo, edito anche in Italia dall’Editrice Nord
col titolo Riflusso. La sua raccolta di racconti The Great Escape è
stata scelta dal Washington Post come uno dei migliori libri di fantascienza del 2003. Nel nostro paese sono usciti alcuni altri suoi romanzi, editi su Urania e oggi di difficile reperimento. Diventato noto
al grande pubblico negli anni scorsi dopo aver scritto l’adattamento per lo schermo di A.I., il film girato da Steven Spielberg su un’idea
di Stanley Kubrick, Ian Watson partecipa spesso a convention in tutta Europa, e sarà ospite
d’onore alla XXX Italcon a Fiuggi dall’11 al 14 marzo 2004. Recentemente ha scritto un racconto a quattro mani con lo scrittore italiano Roberto Quaglia (autore della foto).
8
Le farfalle dei ricordi
il telefono le trasmetteva direttamente
sulla retina. Certo che quei giapponesi sapevano proprio come comportarsi in pubblico: molti inglesi, in quella
stessa situazione, avrebbero continuato a camminare, senza preoccuparsi di
andare a sbattere contro qualcuno.
— Sandra Wykeham. — Accento
scozzese.
— È lei in persona?
— La mia segretaria è ancora in
pausa pranzo e non mi piace utilizzare un avatar telefonico, se posso evitarlo, signor Cavendish. — Il telefono
le aveva appena trasmesso l’Ident-info del chiamante.
— Mi rincresce per il ritardo, arrivo di corsa… Beh, diciamo a passo
sostenuto.
Tom aveva fissato un appuntamento con Sandra Wykeham per via di
una storia letta sui giornali: una ragazza aveva accusato il padre di aver
abusato di lei quando era ancora una
bambina, sulla base di alcuni ricordi
molto vividi riaffiorati in lei durante
una seduta di psicoterapia. Era in cura
per vincere la tossicodipendenza. Era
stato suo padre a rovinarle la vita per
sempre.
Una delle compagnie parassite
del genere “vincenti o rimborsati”, di
quelle che riescono a farti ottenere un
indennizzo per qualunque sciocchezza, aveva fatto causa al padre per conto della ragazza. La signorina ce l’aveva proprio a morte con il padre, a cui
i soldi certo non mancavano. Sandra
Wykeham era stata convocata dalla
difesa come perito di parte, e aveva
messo pesantemente in dubbio l’attendibilità dei ricordi riaffiorati. Sul
giornale c’era scritto che la Wykeham
apparteneva a una certa Società per i
Falsi Ricordi, che aveva filiali in molti
paesi del mondo.
Tom entrò in un ambiente pulito
e arioso che ospitava vari negozi, numerosi ristoranti, il fitness club Living
Well e il giardino d’inverno con i suoi
banani, i fiori di strelitzia e la vasca
delle carpe giapponesi. Fuori da un
caffè, vicino a un ascensore di vetro,
un giovanotto in tuta mimetica sedeva davanti a un caffè macchiato appena assaggiato, con un volafonino sulla
spalla. Il suo sguardo fisso nel vuoto
parlava chiaro: doveva essere immerso in un videoclip o in un film retinico audioindotto.
L’ufficio di consulenza di Sandra
Wykeham era al quarto piano.
La segretaria, che nel frattempo
doveva aver terminato la pausa pranzo, era una giovane di colore con una
stupenda pettinatura afro di treccine
aderenti. Invitò Tom ad accomodarsi,
indicandogli una porta socchiusa in
modo invitante.
Sandra Wykeham era una rossa sulla quarantina, abbastanza alta
e magrolina, che indossava un delizioso ao-dai lungo color giada, ottima protezione UV nell’estate appena
9
trascorsa. Colletto alto e rigido, giacca con lunghe aperture laterali che
lasciavano intravedere pantaloni di
seta bianca. E sandali argentei. Con
l’intera Gran Bretagna e tutta l’Europa continentale che arrostivano per il
gran caldo, il look vietnamita era andato molto di moda quell’anno.
Sulla parete dello studio, a fianco
alla foto incorniciata di un girasole,
faceva bella mostra di sé una laurea
in neuroterapia conseguita al Royal
College di Medicina Olistica: quasi
una specie di Mandato Reale, come se
la donna godesse dell’appoggio di sua
maestà il re in persona.
Se Tom non avesse già saputo che
Sandra Wykeham era un membro
della Società per i Falsi Ricordi, notoriamente scettica, forse l’avrebbe trovata un po’ troppo New Age, troppo
suscettibile alle mode passeggere.
Troppo simile a Jenny, che l’aveva
lasciato.
Seguirono i dettagli sulla sua vita
privata, che la terapista ascoltò con
grande attenzione.
Tom aveva cinquant’anni, separato di recente: la sua Jenny era scesa a patti con l’arrivo anticipato della menopausa innamorandosi del suo
istruttore di yoga e imparando ad allargare i suoi orizzonti verso il mondo
esterno. Non avevano figli. L’infertilità era dovuta a una bassa conta degli
spermatozoi nel liquido seminale di
10 Tom, ma Jenny, invece di incoraggiar-
lo a far concentrare il seme in vitro o
a ricorrere a un donatore di sperma,
aveva deciso di piegarsi a quello che
considerava il volere di Madre Natura. Più tardi era diventata una sostenitrice del Voluntary Human Extinction
Movement���������������������������
, il movimento di estinzione volontaria della razza umana, noto
anche come VeHEMent.
— È la volontà di Gaia, Tom. Abbiamo avuto la nostra grande occasione. Guarda come l‘abbiamo sprecata
— diceva. Forse separarsi era stata la
cosa migliore da fare. O forse no.
Tom faceva l’editore e pubblicava libri e opuscoli sulla vita dei santi. Sebbene fosse un cattolico assai poco praticante, conosceva bene il gergo
del business e sapeva toccare le corde
giuste in un mercato che era enorme,
sia in patria che all’estero. La maggior
parte dei libri che pubblicava, alcuni
dei quali scritti di suo pugno, avevano un tema preciso: I Santi e la malattia, I Santi e le visioni, I Santi e i viaggi.
Spesso riusciva a infilare lo stesso santo in più di un libro.
Prendete san Fiacrio, per esempio. È il santo patrono di chi soffre
di emorroidi, ma anche dei giardinieri perché il suo simbolo è la vanga.
Inoltre protegge i tassisti, perché nel
1620 la prima stazione di taxi sorgeva
a Parigi a fianco dell’Hôtel Saint-Fiacre: da qui la parola fiacre, usata dai
francesi per quei mezzi di trasporto
pubblico.
Il colore preferito di Tom: il giallo.
Le farfalle dei ricordi
Era una decisione presa lì per lì, dovuta più che altro alla foto del girasole
appesa al muro. La musica che preferiva: in quel momento l’Adagio di Albinoni, che da quando Jenny l’aveva
lasciato si intonava alla perfezione al
suo umore.
Film preferito: uno dei tanti con
Bruce Willis o Arnold Schwarzenegger, che riuscivano a tenerlo sveglio
abbastanza a lungo da permettergli
poi di dormire una notte filata, senza svegliarsi presto per piangersi addosso.
Eccetera, eccetera. Sandra Wyke­
ham era una che credeva nell’efficacia
dei profili psicologici.
— Ciò che sto per dirle non ha
niente a che fare con la violenza sessuale sui minori — le spiegò Tom.
— Il mio problema è questo: tutti mi
dicono che ho un’ottima memoria e
fino a oggi ci credevo anch’io. Di recente, però, un mio vecchio compagno di scuola ha iniziato a mandarmi delle e-mail, in cui mi racconta alcune nostre bravate di gioventù, e io
non le ricordo affatto! È come se nei
suoi ricordi ci fosse un’altra versione
di me stesso, un me stesso che ha fatto cose diverse. All’inizio pensavo che
Howard mi stesse prendendo in giro,
ma lui è pronto a mettere la mano sul
fuoco: abbiamo fatto questo e abbiamo
fatto quello, come ce la siamo spassata
quella volta!
— Non è che per caso vi siete rimessi in contatto attraverso ‘Friends
Reunited’?
— No, no. Negli ultimi trent’anni
Howard mi ha sempre mandato diverse lettere all’anno, ma di recente
si è fatto il collegamento a Internet e
adesso ci sentiamo ogni settimana.
— Mi chiedevo se per caso vi avessero “riuniti” con la persona sbagliata.
— Quando leggo le e-mail di
Howard mi sembra veramente di essere la persona sbagliata. Non penso
di avere l’Alzheimer, ma Howard inizia a preoccuparmi.
Erano trascorsi trent’anni dall’ultima volta che Tom aveva incontrato
Howard di persona: già dai tempi della scuola era una persona fisicamente
ragguardevole. Per anni Howard aveva insegnato storia nelle scuole internazionali in Europa Continentale, ma ora era tornato alle sue radici,
nel nord dell’Inghilterra. Anche Tom
proveniva da là, ma non aveva la minima intenzione di tornarvi, neanche
per una visita.
Howard aveva continuato a farsi
sentire per motivi legati alla storia, alla loro storia personale. Ai tempi della
scuola, infatti, erano stati un gruppo
molto affiatato e Howard si era auto-nominato loro cronista, una specie
di centralino attraverso cui tenersi in
contatto. Le loro strade si erano divise, ma negli anni a seguire Howard si
era preoccupato che ciascuno di quegli studenti, ormai adulti, fosse informato su ciò che facevano tutti gli altri.
11
Sandra iniziò a dargli del tu.
— Tom, non pensi che tutto ciò
possa essere legato al desiderio di dimenticare Jenny, che invece fa sì che ti
dimentichi altre cose?
— Ammetto che mi sento un po’
solo, ma che motivo avrei di rimuovere vent’anni di ricordi insieme a
Jenny?
— Per attutire il dolore legato all’essere stato lasciato?
Sandra scrollò le spalle, come stesse spuntando mentalmente una lista e
avesse già eliminato quell’ipotesi. Si
infilò un dito all’interno del colletto
dell’ao-dai, percorrendo parte della circonferenza come per allentarne
la stretta.
— Non me lo sono mai chiesta —
disse — ma esiste il santo patrono degli smemorati?
— Non esiste nessuna santa Amnesìa, temo. Il massimo che posso offrirti è sant’Antonio da Padova. Si smarrì
in Dio, quindi è il santo degli oggetti
smarriti, degli ombrelli dimenticati e
tutto il resto.
Ma non delle mogli smarrite: per
quello purtroppo bisognava arrangiarsi da soli. Ma Tom non si trovava
lì per quel motivo.
— Credi che Howard possa aver
immaginato le bravate di cui parla?
— domandò a Sandra.
— Per arricchire il suo passato?
Usandoti come complice?
— È chiaro che ha scelto la perso12 na sbagliata.
— Di solito la gente, quando ricorda un avvenimento, si pone in un
ruolo più centrale ed emozionante di
quanto non sia stato nella realtà. In
che mese ti sei sposato, Tom?
— Cosa c’entra adesso con… E va
bene: a settembre.
— Che fiori c’erano nel bouquet
di Jenny?
Tom scosse il capo. — Non mi
ricordo neppure se ce l’avesse, il
bouquet.
— È possibile che il bouquet fosse
più importante per Jenny che per te.
Forse la tua così detta buona memoria
si concentra solo su quello che ti riguarda, invece che sulle altre persone.
— Forse Howard ricorda che tipo
di bouquet avesse Jenny!
— O forse Jenny non l’aveva affatto. La semplice idea del bouquet,
una volta radicata, può fare sì che altre persone inizino a immaginare orchidee e quant’altro. Dalie e gladioli
sarebbero un’assurdità, anche in settembre. Per un bouquet, intendo dire.
A Tom sembrò che Sandra iniziasse
un po’ a divagare. Forse era il suo stile
di analisi e sperava che Tom le avrebbe rivelato qualche indizio di importanza fondamentale.
Oppure…
Lei lo guardò fisso.
— Tom, mi sembri una persona
equilibrata. Lasciamo perdere l’onorario, per questa seduta. Voglio ribaltare i ruoli per un attimo. Sei venuto
da me in un momento particolare, e
Le farfalle dei ricordi
vorrei evitare la situazione in cui il terapista, con convinzioni e problemi
personali, finisce per plasmare i problemi di un cliente in modo da riflettere i propri. Ho intenzione di essere
assolutamente sincera, anche se questo può apparirti poco professionale.
— Non ho idea di cosa sia considerato professionale e cosa non lo sia,
nel tuo tipo di lavoro. Continua pure.
— Perfetto. Allora, ho un dilemma. Sono stata sposata: lui si chiama Jonathan, ma a essere sincera del
nostro matrimonio non ricordo quasi niente, neppure i motivi per cui ci
siamo separati. Almeno quelli dovrei
averli impressi a fuoco nella mente, non credi? Ho trovato una e-mail
di qualche tempo fa in cui Jonathan
mi rimproverava una mia… — Esitò,
forse cercando una parola più blanda
— …infedeltà. Ma tutto ciò non mi
dice assolutamente niente. Ti sembra
possibile?
— Oh, sì, mi sembra possibilissimo.
— Invece ricordo molto vividamente una cosa che, ne sono quasi
certa, non è mai accaduta: un viaggio in Spagna fatto quando avevo
meno di vent’anni, insieme al mio
amante, un tipo affascinante di nome Matthew. Ma di questa relazione
con Matthew non ricordo nient’altro!
Né prima, né dopo, solo quelle poche
settimane in Spagna. Mi sembra di essermi sempre ricordata di quella storia d’amore, eppure per quel che ne
so i ricordi di Matthew sono spuntati
nella mia mente la settimana scorsa, o
magari ieri.
A Tom, Sandra parve del tutto sincera. Non si trattava di qualche tattica
legata alla terapia.
— Quindi tu hai anche dei falsi ricordi, oltre alla perdita di memoria?
— Che ironia, vero, considerate
le mie convinzioni razionali. Senza
quelle probabilmente non sarei stata
in grado di concentrarmi in questo
modo sul mio caso. Le convinzioni
emotive sono molto potenti. La gente tende a difendere la veridicità dei
propri ricordi. Senza i ricordi, cosa
siamo?
Continuarono a parlare, e il tempo
trascorse troppo in fretta.
— Senti, Tom. Ho un appuntamento alle tre e un altro alle quattro. Possiamo rivederci domani? Sono libera a mezzogiorno e alle due. —
Tornò ad allargare il collo dell’ao-dai.
— Ti avrei proposto di uscire a cena
stasera, o andare a bere qualcosa insieme…
— Ma fraternizzare con un cliente non è poco professionale? Un pranzo è molto più innocente di una cena,
no? — Visto che Sandra sembrava ancora a disagio, le propose un’alternativa. — Che ne dici se vado a prendere
due sandwich da Prêt-à-Manger?
— No… Possiamo sempre andarci dopo pranzo, se ne abbiamo voglia,
per fare una passeggiata. Il loro caffè
mi piace proprio.
13
— Ci vediamo a mezzogiorno, allora.
Mentre Tom si recava al suo appuntamento di mezzogiorno, i volafonini svolazzavano qua e là, meno
splendenti del solito nel cielo grigio
di mercoledì. Ormai sapeva benissimo che lui e Sandra Wykeham erano
stati amanti. Non sapeva esattamente
quando, né per quanto tempo e neppure come fosse cominciata o come
fosse finita.
Ma conosceva il suo corpo nudo.
Conosceva i tre nei in fila sulla coscia destra di Sandra, e il modo in cui
mordeva l’angolo del cuscino per soffocare le grida di piacere. Frammenti
dei loro amplessi. Si era svegliato con
quei ricordi. E sapeva anche di non
poterle sapere, quelle cose.
Non si trattava di fantasie erotiche che avevano invaso la sua mente
mentre dormiva, perché in quel caso
se ne sarebbe accorto di certo. L’unico
sogno che ricordava non riguardava
neppure Sandra. Aveva sognato Jenny
che, immersa con i vestiti addosso in
una pozza fangosa e piena di vegetazione, tirava fuori dall’acqua pentole
e teiere, tirandogliele in modo che le
potesse afferrare. Ma lui non faceva
che mancare la presa.
Il girasole sorrideva a Tom.
Sandra indossava lo stesso vestito vietnamita, anche se quel giorno
14 i pantaloni erano di un verde acido
chiaro.
— Allora, come ti senti oggi? — gli
chiese.
— Come stai tu, piuttosto? — rispose Tom. Aveva iniziato anche lei a
ricordare la loro relazione?
Ma lei si limitò a scrollare le spalle.
— Come ieri. Mi ricordo sempre di
Matthew e la cosa mi sorprende.
Tom si batté una mano sulla coscia.
— Sandra, per caso hai tre nei in fila proprio qui?
Sandra fece per toccarsi la coscia,
ma poi allontanò la mano con eleganza. Il tono della sua voce era neutro.
— Devi avermi visto in costume da
bagno, in qualche piscina.
— Sandra, mi ricordo che siamo
stati amanti. Me lo sono ricordato
stamattina, appena mi sono svegliato.
— Quando iniziò a descrivere i particolari, lei arrossì.
— Non sono andata a letto con
molti uomini. Cinque, se includiamo l’immaginario Matthew. Quello
che hai appena detto sul fatto che mi
dà fastidio quando mi toccano l’ombelico…
— Un ombelico molto carino.
— … deve trattarsi di Rob. Rob
adorava il mio ombelico e io una volta
gli avevo detto che mia madre faceva
la levatrice e di togliere le mani da lì.
Mi dispiace, è una mia fissazione. Ciò
che ricordi l’ho vissuto insieme a lui.
— A Rob, secondo te, questi ricordi sono stati rubati? Vi sentite ancora,
Le farfalle dei ricordi
Sandra? Puoi cercare di scoprirlo?
— È passato un sacco di tempo.
Non ho idea di dove sia finito. Ti presenti qui ieri, Tom, e già oggi… Ti
credo, ovviamente. Come potrei fare
altrimenti? Qualcuno ci sta facendo
una specie di scherzo di cattivo gusto.
Oppure si tratta di qualcosa di più sinistro, qualcosa che ci tiene sotto controllo e che interferisce con noi.
Tom fu colto da un’idea improvvisa.
— Sotto controllo come fanno i
volafonini?
— I volafonini?
— Attraverso gli impianti. I volafonini sono intelligenti. Raccolgono informazioni su di noi e conoscono la
nostra identità. Un telefono personalizzato sa abbastanza di noi da poter
costruire un modello del nostro comportamento. Chi chiamiamo di solito,
che tipo di informazioni scarichiamo.
Sandra congiunse le mani per la
punta delle dita.
— Hai mai parlato al telefono con
Howard?
— No — rispose Tom. — Solo via
e-mail.
— Sei sicuro?
— Certo che sono sicuro.
— Come puoi dire di esserne sicuro, se sei anche sicuro che siamo
stati amanti e in realtà non lo siamo
mai stati?
— Un modo per saperlo c’è! —
Tom estrasse il proprio volafonino.
— Menù.
Mentre il tabulato delle chiamate gli scorreva davanti agli occhi, invisibile a tutti tranne che a lui, Tom
allontanò l’attenzione da Sandra, ma
non del tutto.
Poi, con un gesto secco, richiuse il
telefono e lo sbatté sulla scrivania di
Sandra.
— Gesù e tutti i santi del paradiso — esclamò. Tremava. — Ho veramente chiamato Howard, il diciotto
di agosto: ricerca numero poi connessione veloce. Abbiamo parlato per
otto minuti. E io non mi ricordo di
averlo fatto.
— Cancellato — disse Sandra, come intontita. — Cancellato dalla tua
memoria.
— Perché non ne parlano già sui
telegiornali nazionali? — le chiese
Tom.
— Forse è un fenomeno che ha iniziato a manifestarsi solo ora. Se non
fossi venuto da me, secondo te avrei
confidato a qualcun altro dei miei
vuoti di memoria o del mio amante
inesistente?
— Quindi sta iniziando proprio
ora? Un po’ di gente di qua, un po’ di
là? Tu, io. Ammesso che io abbia ragione sui volafonini, ma cos’altro potrebbe essere? I chip che hanno all’interno hanno una memoria enorme,
Sandra. Enorme. Abbastanza per contenere una dozzina di film a proiezione retinica.
— E sono usa e getta perché sono 15
così economici. Anche i nostri ricordi
sono diventati usa e getta?
— Sembra che i ricordi vengano ridistribuiti secondo un qualche tipo di
logica di collegamento.
— E allora come ti sono arrivati i
ricordi che Rob aveva di me?
— Secondo me i volafonini, come
collettivo, devono aver sviluppato una
grande intelligenza. Dovunque si trovi ora, Rob è costretto a utilizzare i volafonini, anche se non ne tiene sempre
uno con sé.
— Un’intelligenza sufficiente da
permettere loro di individuarlo, basandosi solo sul nome e sull’immagine che io ho di lui?
— E su tutti gli altri dettagli personali che ricordi, e le ricerche nei database… — Tom lanciò un’occhiata a
quello che fino a poco prima era stato
il suo volafonino preferito. — Non è
che per caso hai un martello a portata
di mano, eh? — Aggrottò la fronte. —
Lascia perdere. I volafonini sono tutti
collegati tra loro. Qualunque telefono
abbastanza vicino può captare la tua
Ident-info.
— Molto, molto furbi — mormorò lei. I due stavano entrando rapidamente in sintonia mentale. — Secondo te i volafonini capiscono ciò
che ci stiamo dicendo in questo momento? Avranno una loro opinione?
Tom, non credi che dovremmo rendere pubblica questa nostra scoperta alla svelta? Telefona al Guardian,
16 al Telegraph e al Mirror… o piuttosto
mandagli un’e-mail, così evitiamo di
essere fraintesi, parlando di persona.
Oddio, sentimi, sto diventando paranoica. Ma una giornalista, per poterci
credere, dovrebbe aver provato sulla
propria pelle un episodio di falsi ricordi o di perdita di memoria. Oppure dovrebbe aver già sentito parlare di questa storia in qualche caso
precedente.
— Non possiamo farci aiutare dalla Società per i Falsi Ricordi? Un’organizzazione è più credibile di due singoli individui.
Sandra appariva dubbiosa.
— La SFR deve mantenere intatta la sua credibilità, se vuole arginare con efficienza l’assurdità dilagante. Un caso come il nostro potrebbe
comprometterla.
— Non possiamo inoltrare una segnalazione di guasto alle compagnie
telefoniche!
— E se i volafonini cominciassero
a crollare?
— Sul mercato, intendi dire?
— No, in senso letterale. A crollare
perché finiti, pericolosi.
— Torneremmo ai telefoni tradizionali, direi.
Provate a immaginare lo scompiglio generale, le conseguenze economiche e sociali di un simile evento.
Alla fine ci andarono, da Prêt-àManger, e sedettero a un tavolino lucido a mangiare dei sandwich. Tom
prese quelli al granchio e rucola, San-
Le farfalle dei ricordi
dra con le verdure grigliate.
La donna si era accorta che Tom
la guardava con occhi molto diversi
da come lei guardava lui, e per questo sopportava il suo sguardo con imbarazzo.
— Non può portare niente di buono — disse. — Questa storia dei tuoi
falsi ricordi insieme a me, intendo. Se
fosse il contrario, se fossi io ad averli…
— Potrei essere tentato di approfittare dei tuoi falsi ricordi?
Lei gettò uno sguardo all’ampio
trampolino montato sul muro di vetro del centro commerciale: un ragazzo imbragato rimbalzava di una decina di metri su e giù. Oltre il trampolino c’era una mostra di uccelli a
rischio d’estinzione: sui posatoi, davanti agli occhi di una piccola folla,
erano appollaiati gufi di tutte le dimensioni. I rapaci ruotavano la testa
per osservare i volafonini che svolazzavano intorno, ma conoscevano bene i propri limiti.
Anche Tom avrebbe dovuto conoscere i propri.
— Quindi stasera niente cena insieme? — domandò Tom.
— Penso di no. Ti dispiace?
— È una sensazione curiosa. Mi
sembra che sia tu a essere in imbarazzo.
Tu, tu.
— Non ti conosco affatto — disse lei.
— Neppure io ti conosco, a parte…
— A parte ciò che non è mai accaduto tra noi.
— A me sembra di sì, però.
È più facile dire cose del genere in
pubblico, in pieno giorno.
Un trio di volafonini svolazzava intorno alla testa di Tom, come farfalle intorno a un cespuglio di buddleia,
come se, ora che Tom non ne portava
più uno con sé, percepissero un desiderio insoddisfatto.
Il giorno prima, dopo aver pranzato con Sandra, Tom si era recato al
Giardino d’Inverno e aveva gettato il
suo volafonino personalizzato nella
vasca delle carpe. Il fondo era fangoso: semisepolto nell’argilla, il volafonino sommerso sembrava un pesciolino morto, se proprio doveva sembrare qualcosa.
L’aver gettato via il proprio, comunque, non era stato sufficiente per
bandire i volafonini dalla sua vita. A
metà del tragitto verso casa, si era accorto che alcuni volafonini, invece di
svolazzare senza meta in attesa di essere chiamati, avevano iniziato a seguirlo. Uno aveva perfino cercato di
infilarsi nella porta principale della
sua casa in stile finto Tudor a Woburn
Close, assai efficiente dal punto di vista energetico, che era stata anche casa
di Jenny, ma ora non più.
Diversi volafonini erano rimasti attaccati ai tripli vetri delle finestre per
tutta la notte.
Mentre si recava da Sandra in quel 17
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Racconti di Ian Watson e Roland C. Wagner