SISSA – International School for Advanced Studies
ISSN 1824 – 2049
Journal of Science Communication
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Comment
NEARLY FIVE CENTURIES OF SCIENCE BOOKS
Contadini per il Regno dei Cieli. I catechismi agrari
nel Mezzogiorno italiano del tardo illuminismo e i
limiti dell’editoria tecnica
Francesco Paolo de Ceglia
ABSTRACT: Il catechismo, genere letterario nato in ambito religioso, è stato a lungo impiegato
nella didattica di saperi ‘laici,’ soprattutto di carattere tecnico. A una riflessione su tale
tradizione editoriale è dedicato il presente contributo, che si interroga su potenzialità e limiti dei
catechismi agrari, qui studiati nella loro diffusione nel Mezzogiorno italiano del tardo
illuminismo. Quanto uno scritto era in grado di comunicare procedure e nozioni a destinatari, se
non altro ideali, analfabeti o comunque poco istruiti?
D. Siete voi cristiano?
R. Sì, io sono cristiano per grazia di Dio.
D. Perché dite voi: per grazia di Dio?
R. Io dico per grazia di Dio, perché l’essere cristiano è un dono tutto gratuito di Dio, che noi
non abbiamo potuto meritare.
D. Chi è vero cristiano?
R. Vero cristiano è colui che è battezzato, che crede e professa la dottrina cristiana e obbedisce
ai legittimi Pastori della Chiesa.1
Inizia così il celebre catechismo maggiore, o di Pio X, pubblicato nel 1905, per “provvedere per quanto è
possibile alla religiosa istituzione della tenera gioventù.” Una lunga serie di nozioni che, una volta
memorizzate, avrebbero fornito al popolo di Dio le conoscenze essenziali per comportarsi piamente e
guadagnarsi la vita eterna. I cattolici, offrendo una versione popolare e in qualche modo sclerotizzata di
un genere letterario con cui avevano, nei secoli precedenti, a vari livelli flirtato, si accingevano a
concludere un lungo processo di appropriazione. Per alcuni decenni ancora il catechismo sarebbe rimasto
uno strumento didattico ampiamente diffuso, poi, dopo il Concilio Vaticano Secondo, la sua popolarità
sarebbe precipitata.2
Il genere si era imposto secoli addietro soprattutto tra le schiere protestanti ed era stato fino a quel
momento impiegato con apprezzabili risultati – se non pratici, almeno letterari – per la didattica di molti
saperi ‘laici,’ spesso tecnico-scientifici. Ad una riflessione su tale tradizione non religiosa è dedicato il
presente contributo, che, pur non potendo procedere con una trattazione stricto sensu storica, cercherà di
scandagliare le potenzialità e i limiti comunicativi del genere catechismo agrario, con un particolar
riferimento alla sua diffusione nel Mezzogiorno italiano del tardo illuminismo.
Catechismo o dialogo?
Un insegnamento che si snocciola in domande e risposte: questa, la chiave di volta della comunicazione
catechetica (dal greco katecheo, istruisco oralmente). Quali, dunque, i rapporti con un genere articolato
in una analoga dinamica interlocutoria, com’è il dialogo filosofico-scientifico? Platone aveva ‘dialogato’
per conservare anche nello scritto il ritmo intrinsecamente maieutico, tipico dell’oralità, del parlare per
piccole frasi (kata brachu dialegesthai), così superando il limite di quei libri che “non avrebbero nulla da
JCOM 10(1), March 2011
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F.P. de Ceglia
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rispondere e nulla da domandare … E se chiedessimo loro anche la più piccola spiegazione, … come i
vasi di bronzo, che, percossi, continuano a rimbombare finché uno non li tocchi,” ripeterebbero il già
detto, incapaci di interagire, dunque di co-filosofare, con il proprio interlocutore-lettore.3
Impossibile è in questa sede ripercorrere le vicende di un genere che, dopo aver conosciuto grande
fortuna verso la metà del Seicento, grazie all’uso fattone in prima persona da scienziati della statura di
Galileo Galilei e Robert Boyle, conobbe subito dopo una fase di grande vivacità editoriale, questa volta
conseguenza soprattutto della volontà di divulgatori ante litteram: costoro, servendosi del miscere utile
dulci, facevano del dialogo il cavallo di Troia con cui istruire con leggerezza un pubblico, retoricamente
costituito da dame e fanciulli, cui ci si poteva rivolgere paternalisticamente, dall’alto in basso, senza il
timore che qualcuno si offendesse. Di qui, in forma dialogica o paradialogica, alcuni dei classici della
comunicazione della scienza: in Francia, le Entretiens sur les sciences (1683) di Bernard Lamy e le
Entretiens sur la pluralité des mondes (1686) di Bernard de Fontenelle; in Italia, il Newtonianismo per le
dame (1737) di Francesco Algarotti; in Gran Bretagna, alcune sezioni delle Evenings at Home (1792-96)
di John Aikin e sua sorella Anna Laetitia Barbauld, Harry and Lucy (1825) di Maria Edgeworth e
soprattutto le Conversations on Chemistry (1805) e le Conversations on Natural Philosophy (1819) di
Jane Marcet nonché i Scientific Dialogues (1846) di Jeremiah Joyce. La lista sarebbe, com’è chiaro, ben
più lunga e porrebbe, caso per caso, questioni di appartenenza effettiva al genere, giacché numerosissimi
sono gli ibridi (in termini di teoria della letteratura, la ‘conversazione,’ per esempio, non coincide sempre
con un ‘dialogo’).4
Ci si chiedeva, dunque: quali le differenze tra dialogo e catechismo? Benché sia sempre molto difficile
muoversi tra generi letterari in continua evoluzione, è lecito affermare, in maniera schematica, che il
dialogo: 1) Richiede una fictio più o meno elaborata, vale a dire una cornice narrativa definita, entro cui
due o più personaggi, spesso caratterizzati fisicamente, psicologicamente e linguisticamente, si
incontrano e discettano. 2) È intessuto da attori, il cui rapporto, pur sbilanciato, prevede meccanismi di
compensazione: le donne, ad esempio, ‘per propria natura’ alunne, piuttosto che maestre, sono, in molti
casi, nobili; i bambini, con la loro freschezza, offrono al precettore inedite osservazioni empiriche, che
solo un bon sauvage avrebbe potuto avanzare. Tra i personaggi inoltre non è consueto riscontrarne taluni
con la prerogativa di porre domande, talaltri con quella di fornire risposte. Ciascuno è invece al
contempo, nel complessivo svolgimento del dialogo, interrogante e interrogato. 3) Dissimula le proprie
finalità didattiche. 4) Attraverso un procedimento argomentativo, si prefigge di dimostrare qualcosa o
perlomeno di persuadere il lettore della bontà di alcuni assunti. 5) Segue uno svolgimento definibile
come induttivo, cioè dal particolare al generale: questo fa sì che le riflessioni teoriche siano spesso
introdotte da eventi imprevisti e/o curiosi e/o anomali e che le conclusioni dell’opera (o di ciascuna sua
articolazione: giornata, capitolo, conversazione ecc.) contengano, almeno sotto il profilo retorico, le
asserzioni di più ampio respiro, vale a dire il quod erat demonstrandum. 6) Pone l’enfasi sul perché dei
fenomeni. 7) Contempla, da parte di almeno uno degli interlocutori, l’affermazione di argomenti a favore
di posizioni ritenute erronee dall’autore. Essi, puntualmente confutati, svolgono la funzione di espediente
impiegato in termini euristici per il raggiungimento di nuove, condivise, conclusioni. 8) La sua
scansione, piuttosto fluida, è progettata in base ai ritmi della lettura e non prevede un’articolazione
troppo minuta. 9) Si rivolge ad un pubblico di cultura media o alta. 10) È concepito per essere letto, o
eventualmente ascoltato, una sola volta, almeno in teoria.
Di contro, il catechismo, nella sua epoca d’oro tardo settecentesca: 1) Accantonando i belletti letterari,
sovente riduce la struttura narrativa all’interazione tra due voci, più che tra personaggi veri e propri,
scevre di deliberata caratterizzazione fisica, psicologica e linguistica. Esse sono quasi sempre
sbrigativamente indicate come ‘D,’ domanda, e ‘R,’ risposta. 2) Intende queste voci come espressione di
una costituzionale asimmetria di status: il docente, che interroga, vs. il discente, che è interrogato.
Prevede nondimeno che esse siano in qualche modo onniscienti. Il processo didattico che le coinvolge si
è infatti già consumato in maniera perfetta: il testo si limita a registrare la ricapitolazione di un sapere
conquistato in precedenza dalla voce-discente. 3) Enfatizza le proprie finalità didattiche. 4) Più che sulla
funzione di dimostrazione e/o persuasione, la quale è comunque contemplata, l’enfasi è posta sul travaso
di informazioni, spesso di carattere enciclopedico (almeno rispetto ad un dato ambito disciplinare). 5)
Segue uno svolgimento definibile come deduttivo, vale a dire dal generale al particolare, partendo da
definizioni generalissime, per poi snocciolare conoscenza sempre più specifiche e pratiche. 6) Pone
l’enfasi sul come dei fenomeni o delle procedure. 7) Non adduce mai argomenti provvisori a favore di
posizioni non condivise. Le assunzioni erronee sono sin da subito denunciate come tali ed attribuite ad
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Contadini per il Regno dei Cieli. I catechismi agrari nel Mezzogiorno italiano
del tardo illuminismo e i limiti dell’editoria tecnica
attori terzi; pertanto, non alle due voci, che, in quanto onniscienti, condividono un medesimo punto di
vista, unico possibile. 8) La sua scansione è progettata in base ai ritmi dell’apprendimento mnemonico
(nonché, com’è chiaro, della intrinseca articolazione della materia). È spesso suddiviso in una
molteplicità di paragrafi e sottoparagrafi titolati, da consultare, a mo’ di enciclopedia pratica, in caso di
necessità. 9) Si rivolge ad un pubblico poco o per nulla alfabetizzato. 10) È concepito per essere
ascoltato o letto numerose volte, perché possa essere imparato a memoria.
Dalla religione alla tecnica
Quali le origini del genere? Religiose, senza dubbio. Usato già nel Medioevo da predicatori che
cercavano in questo modo di diffondere i principi della dottrina cristiana, il catechismo conobbe grande
slancio in età moderna, allorché fu eletto, dalla Chiesa riformata prima, controriformata poi, a
insostituibile presidio educativo. Fu nondimeno soprattutto dalla seconda metà del Settecento che, a
livello internazionale, si registrò una significativa diffusione di catechismi non religiosi, di tematica, ad
esempio, legale, morale, politica, agricola o sanitaria. Quali le ragioni di un siffatto fenomeno? In primo
luogo, la sensibilità tutta illuministica nei confronti dell’educazione delle masse lavoratrici; quindi,
quella rivalutazione del sapere tecnico che stava, ad esempio, trovando esito nella Encyclopédie di
Diderot e D’Alembert. Se il dialogo, innescando meccanismi raziocinativi, era uno strumento
privilegiato per comunicare la scienza; il catechismo, garantendo la memorizzazione di procedure, era il
genere più idoneo per insegnare la tecnica.5
Di solito rivolto ad un pubblico poco o per nulla alfabetizzato, il genere venne talvolta impiegato per
una ‘comunicazione multilivello,’ come nei catechismi sanitari, che non di rado si rivolgevano al
contempo a experts (ostetriche, speziali e chirurghi) e a laypeople: l’uso del latino era conservato per gli
argomenti più pruriginosi, soprattutto di natura sessuale, i quali di fatto rimanevano così inattingibili a
quanti non avessero condotto studi di ordine superiore. Messe da parte le discettazioni teoriche,
occorreva divulgare ciò che aveva a che fare con la vita di tutti i giorni. Emblematico in tal senso è il
modello tedesco, che, rielaborando stilemi forgiati già nell’Enchiridion. Der kleine Catechismus
(Manuale. Il piccolo catechismo, 1549) di Martin Lutero, attribuiva alla Nützlichkeit, l’utilità appunto,
una pregnanza pratica, etica e religiosa. Si ricordano, ad esempio, il Rechtlicher Catechismus
(Catechismo legale, 1760) di Johann Heumann, che insisteva sulla conoscenza della legge come
prerequisito per elevarsi spiritualmente e attingere all’educazione religiosa; il Versuch eines allgemeinen
Hebammen-Catechismus (Tentativo di un catechismo generale per le ostetriche, 1784) di Johann Philipp
Hagen, che mostrava come il cattivo comportamento individuale possa arrecare danni alla comunità;
oppure il Catechismus der gesunden Vernunft (Catechismo della ragion sana, 1786) di Friedrich
Eberhard von Rochow, il quale si inscriveva nella tradizione illuministica secondo cui i fanciulli
sarebbero in grado di autoeducarsi e produrre nuova conoscenza.6
Nel medesimo contesto un caso di particolare interesse è rappresentato dall’Oekonomisch-praktischer
Katechismus des Kleebaus (Catechismo economico-pratico della coltivazione del trifoglio, 1787) di
Johann Ernst Werner. Di là dal titolo, si tratta di un’opera di genere parzialmente spurio, che mutua dal
dialogo la caratterizzazione dei personaggi nonché il desiderio di innescare un processo euristico di
ascendenze quasi socratiche. Nella fictio si incontrano il contadino Tobias Kitz e il locatario Liebhold,
espressioni di due diverse classi socioeconomiche, ma in rapporti di grande cordialità:7
K. La nostra pratica consueta è quella di raccogliere i frutti estivi e invernali, quindi di lasciare
i campi a maggese. Così hanno fatto i nostri padri e i nostri nonni. Dovremmo, noi contadini,
smettere e cambiare?
L. Sì, lasciare la pratica consueta è conforme ad una sana ragione quando è il caso e vediamo
che la cosa ci porta un vantaggio maggiore.
K. Gli antichi non erano certo degli sciocchi.
L. Neanche i moderni esperti di economia sono degli sciocchi. Essi sono giusti con gli antichi e
dicono: ‘hanno fatto al loro tempo quanto era nelle loro possibilità’ …
K Abbiamo bisogno di trifoglio nella maggese? È necessario come si dice?
L. Ve ne spiegherò i motivi …8
Ad imprimere una svolta in ambito tedesco sarebbe stato tuttavia il nobile e politico Joseph von Hazzi,
autore di numerosi catechismi, tra cui il ‘multilivello’ Katechismus der baierischen Landes-
F.P. de Ceglia
4
Kulturgesetze sammt Unterricht der Landwirtschaft für das Landvolk, auch zum Gebrauch für Richter
und Rechtsanwälte, Volks- und Schullehrer (Catechismo delle leggi agrarie bavaresi insieme ad un
insegnamento di agricoltura per la gente di campagna, ad uso anche dei giudici, degli avvocati, degli
insegnanti popolari e di scuola, 1804), con le solite parti accessorie destinate ad alcuni, piuttosto che ad
altri. Libro fortunato, che conobbe più edizioni, segnò l’istituzionalizzazione del genere catechismo nella
cultura germanofona: adottato dalle scuole parrocchiali bavaresi, il volume fu alla base di una vera e
propria riforma educativa. Una fonte straniera avrebbe commentato compiaciuta:
It was chiefly through his exertions that a piece of ground was added to every parochial school
in Bavaria, to be cultivated by the scholars in their leisure hours, under the direction of the
master. In these schools, Hazzi’s catechism of gardening, of agriculture, of domestic economy
and cookery, of forest culture, of orchard culture, and others, all small 12mo vols., with
woodcuts; sold at about 4d. each, are taught to all the boys, and those of gardening, the
management of silk-worms, and domestic economy, to the girls.9
I catechismi, nella maggior parte dei casi, non contenevano alcunché di originale: si limitavano a
ricapitolare con ordine e chiarezza saperi e tecniche di ‘scienza normale,’ per dirla con Kuhn, il che non
di rado li esponeva al plagio. Talora nuovi libri riportavano intere sezioni di vecchi manuali, talaltra
erano solo traduzioni aggiornate e adattate a contesti diversi. I lavori editi sotto la supervisione di
Rudolph Ackermann, ad esempio, pubblicati a Londra, tra il 1823 e il 1829, ma in spagnolo e destinati ad
un pubblico latinoamericano, traendo ispirazione da analoghi libelli inglesi, dati alle stampe nel decennio
precedente, si confrontarono con un ampio spettro di argomenti, dalla grammatica all’astronomia (in
tutto, un centinaio di volumi divulgativi, 25 dei quali veri e propri catechismi). Testi originali? In gran
parte no, solo traduzioni, totali o parziali, dei catechismi, allora molto diffusi nelle isole britanniche, editi
dalla coppia William Pinnock e Samuel Maunder, dal Dr. Mavor, da Christopher Irving.10
Se si volesse allargare lo sguardo e dar conto della diffusione del genere a livello internazionale, ci si
imbarcherebbe in una impresa disperata e comunque estranea a fini del presente lavoro: basterebbe una
rapida ricerca nei cataloghi elettronici delle principali biblioteche nazionali per contare già centinaia di
titoli. I numeri, tra l’altro, darebbero una indicazione indiziaria al massimo dell’acquisto di siffatti libelli,
piuttosto che del loro uso. Arduo sarebbe stilare un censimento anche dei soli catechismi agrari, su cui
tuttavia si spenderà qualche parola. Un’attenzione al genere si registrò nella Francia dei Lumi con opere
come il Catéchisme d’agriculture ou bibliothèque des gens de la campagne (1773), pubblicato anonimo
e ispirato a modelli tedeschi. Nell’introduzione si chiarivano alcune lucide scelte di strategia
comunicativa, la quale, organica al pensiero pedagogico dell’epoca, presupponeva nel fanciullo una
indomita curiosità che gli adulti erano tenuti a indirizzare:
A tal fine abbiamo scelto la forma di istruzione familiare o catechismo; ma osservando che è il
bambino che fa le domande e il padre dà le risposte. È più naturale così. Il bambino è curioso e
cerca di imparare ed è il padre che ha l’esperienza e deve istruire … Non bisogna dunque
imparare questo catechismo, come si suol dire, a memoria: sfortunatamente l’esperienza insegna
che tutto ciò che si impara a memoria influisce assai poco sullo spirito e sulla condotta di vita.11
L’autore, che si serviva di un andamento paradialogico, riconduceva le cose a nuovo ordine,
attribuendo al fanciullo il permesso, fino ad allora difficilmente concessogli, di porre domande.
Nonostante le buone intenzioni, la diffusione del genere presentava tuttavia dei limiti strutturali, connessi
al fatto che i suoi destinatari teorici erano di solito soggetti analfabeti ed economicamente impossibilitati
ad introdurre nella pratica agraria ciò che veniva loro suggerito. Ma chi leggeva davvero i catechismi? Vi
erano degli intermediari tra autore e destinatari? Quanto poi delle parole scritte potessero essere chiare
nello spiegare pratiche di lavoro che, solo se viste, avrebbero potuto essere imitate e che comunque
andavano adattate ai vari contesti, è un altro discorso. Un recensore commentò in maniera esemplare:
Un catechismo di agricoltura è forse, tra tutti i libri possibili, il più difficile da fare bene.
Teoricamente si parla a dei bambini o a uomini che non sanno nulla … Non ci si stupisce più di
vedere così tanti cattivi libri di questo genere e così pochi veri agronomi. L’opera che
annunciamo non appartiene interamente a questa categoria. È forse utile se giunge nelle
campagne e soprattutto se i signori curati si prendono la briga di spiegarlo ai loro parrocchiani.
I consigli dati dall’autore sulla mescolanza delle terre sarebbero ottimi, se i contadini fossero
ricchi abbastanza per sostenerne i costi. Si sarebbe auspicato una maggiore estensione nella
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Contadini per il Regno dei Cieli. I catechismi agrari nel Mezzogiorno italiano
del tardo illuminismo e i limiti dell’editoria tecnica
fisica dell’agricoltura e soprattutto un po’ più di precisione e chiarezza. Ogni domanda e ogni
risposta richiedono dei commentari per sviluppare le verità che contengono. Lo Stato dovrebbe
farsi carico delle spese di un’opera del genere e della sua distribuzione gratuita ai signori
curati, i quali farebbero poi l’applicazione della dottrina ai differenti terreni dei loro cantoni.
Tutti i principi generali in questo genere sono insufficienti a causa della loro generalità.12
L’iniziativa, pregevole dal punto di vista letterario, ebbe sul piano pratico un successo limitato, tant’è
che in Francia l’exploit dei catechismi agrari, ormai evoluti in veri e propri manuali di testo, da
impiegarsi dunque nelle scuole, si sarebbe verificato solo nella seconda metà del secolo successivo.13
Anche i paesi anglofoni fecero uso di catechismi, ma soprattutto nell’Ottocento, allorché
l’istituzionalizzazione dell’insegnamento agrario stava profondamente cambiando la natura del genere. In
Gran Bretagna, oltre agli opuscoli editi dalla coppia Pinnock & Maunder, come il Catechism of
Agriculture (n.d) di George Roberts, o quello of Botany (n.d.), scritto “by a friend to youth,” fu il
celeberrimo e fecondo Catechism of Agricultural Chemistry and Geology (1844) dello scozzese James
F.W. Johnston a fare scuola. Il testo era corredato di abbondanti immagini, tanto semplici, quanto
esplicative; esse tuttavia denunciavano chiaramente lo slittamento nell’uso (dichiarato) del libro, che,
progressivamente perdendo quel connotato di finta oralità da cui era stato fino ad allora caratterizzato,
stava diventando un moderno sussidio scolastico, ricco di spiegazioni ed esperimenti, da leggere, più che
da riprodurre. Un libro, pertanto, troppo complesso per dei contadini, ma ideale per studenti o (aspiranti)
proprietari terrieri. Seguì il medesimo modello Henry Stephens, autore di un Catechism of Practical
Agriculture (1856), che divideva la materia per stagioni e si serviva di iconismi estremamente elaborati,
impiegati soprattutto per illustrare macchine e processi. Più accessibile nella forma, ma parimenti
destinato ad un pubblico ormai scolarizzato fu poi An Agricultural Catechism or the Chemistry of
Farming made Easy (1867) di Benjamin Franklin. Libro in origine destinato agli insegnanti del North
Carolina, non risparmiava brevi divagazioni teoriche, che gli permettevano di divulgare i risultati delle
ricerche di Justus von Liebig, di Julius Adolph Stöckhardt e dello stesso Johnston.14
Catechismi napoletani
D. Cosa è l’agricoltura?
R. L’agricoltura è l’arte di ben coltivare la terra per cavarne il maggior frutto possibile.15
Una dichiarazione decisa, questa, espressione di una fattiva volontà di intervento sulla natura, da piegare
a vantaggio dell’uomo. Si apre così il Catechismo di agricoltura pratica e di pastorizia (1792),
pubblicato anonimo a Napoli, ma opera del celestino Teodoro Monticelli. Lo scritto, che invitava ad una
maggiore libertà di mercato e chiedeva una riduzione delle tasse, delle intermediazioni mercantili, delle
feste e delle pratiche devozionali, suggeriva di contro non poche innovazioni, come l’introduzione di
nuovi macchinari e colture o la sostituzione del maggese con foraggere, nonché interventi strutturali,
quali bonifiche e rimboschimenti. Concepito “per la publica istruzione de’ contadini del Regno di
Napoli,” il genere catechismo agrario cominciava a confrontarsi con la nuova realtà delle scuole normali,
istituite al fine di conferire un’istruzione di base a quanti non potevano permettersi i più elitari metodi
didattici dei precettori privati:16
Io scrivo unicamente per la istruzione de’ contadini e de’ fanciulli: ho creduto perciò di dover
adoprare uno stile chiaro, andante, privo di ornamento, e di eleganza… Per la stessa ragione ho
stimato non dovermi appartare dal dialogo, secondo l’uso delle scuole normali… Ed un solo
maestro fa questa scuola a sessanta e forse cento fanciulli con sommo profitto, per la simultanea
istruzione.17
Monticelli, come molti altri intellettuali napoletani – forse, si farebbe meglio a dire “filosofi” – faceva
tesoro della lezione di Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri, incaricandosi di diffondere la conoscenza
tra quelle classi sociali che fino ad allora non ne avevano potuto beneficiare. Persuasione, all’epoca non
così scontata, era che una maggiore istruzione a tutti i livelli avrebbe comportato un miglioramento delle
condizioni di vita nell’intero paese. La fine del XVIII secolo fu pertanto il periodo d’oro dei cosiddetti
“catechismi degli stati di vita:” tecnici sì (agrari, nautici, legali, militari ecc.), ma spesso anche
intrinsecamente politici.18 Gli uomini dotti avrebbero dovuto scendere dalla torre d’avorio e “spargersi
F.P. de Ceglia
6
nelle campagne,” se non fisicamente, perlomeno attraverso ‘propaggini’ testuali. Nel caso di specie,
l’agricoltura avrebbe prosperato solo “quando, o i filosofi coltiveranno o i contadini filosoferanno.”19
Il problema era sempre lo stesso: chi leggeva che cosa? La questione non si poneva nel caso di
adozione scolastica del manuale: un insegnante si sarebbe fatto carico di leggerlo, spiegarlo e farlo
imparare ai propri scolari. Ma come riuscire a spingerlo nelle campagne, dove lo stesso Stato non
riusciva ad arrivare? Lì, si sa, gli alfabetizzati erano pochi e comunque poco adusi ad un medium
relativamente sofisticato come un libro. Occorrevano degli intermediari, che Monticelli individuava nel
clero. Nel “Discorso ai vescovi del Regno” invitava così proprio i rappresentanti di Santa Romana
Chiesa ad impegnarsi: a loro difatti i popoli “volentieri ubbidiscono” e soprattutto i contadini
“ciecamente” credono. Una didattica agraria intesa come pratica pastorale, pertanto:
Né mi si dica, che io vi chiamo ad un’impresa aliena dal vostro ministero diretto alla salute
spirituale dell’anima … Se tralle altre scienze s’insegnasse l’agricoltura e la pastorizia, che sono
senza dubbio le più conducenti a prevenire i delitti, ed a mantenere la purità de’ costumi, come
quelle, che sono opposte all’ozio ed alla miseria principali cause della corruzione de’ popoli.20
Troppo ottimista, Monticelli. Come eccessivamente fiduciosi nei confronti dei curati di campagna erano
stati i suoi omologhi francesi. Non soltanto perché i parroci non potevano o volevano gravarsi di una
ulteriore incombenza, ma anche e soprattutto perché in agricoltura non era sufficiente un maestro che
guidasse gli alunni nella memorizzazione di principi assoluti e indiscutibili. Occorreva invece un esperto
che ‘animasse’ il catechismo, partendo da esso per poi mostrare direttamente nei campi le pratiche
agrarie più idonee ai vari contesti. Andare oltre le parole, era l’imperativo. La tecnica, molto più della
dottrina cristiana e, se si vuole, della stessa scienza, richiedeva di essere imparata soprattutto per
imitazione. Il filosofo, ovvero la sua propaggine editoriale, doveva andar sì in campagna, ma era anche
tenuto a servirsi delle modalità di comunicazione proprie dell’oggetto su cui intendeva offrire
ammaestramenti. La lettura di un catechismo agrario, se non sorretta da un’attività ostensiva svolta
direttamente nei campi, avrebbe sortito risultati analoghi allo sforzo compiuto dai contadini per imparare
preghiere e invocazioni in latino, che metteva loro in bocca frasi, flatus vocis variamente storpiati, di cui
non conoscevano il senso (ovviamente, quest’ultima analogia non venne in mente ai prelati dell’epoca).
Un recensore dell’opera monticelliana, che pure la lodava per la esemplare chiarezza, ebbe, ad esempio,
giustamente ad obiettare che i parroci non potessero “insegnare altrui un’arte qualunque con buona
riuscita senza metter la mano all’opera, ed a forza di nudi precetti.”21
Animato da propositi altrettanto nobili, l’anno successivo vide la luce il Catechismo agrario per uso de’
curati di campagna e de’ fattori delle ville (1793) dell’abate Giovanni Battista Gagliardo. L’autore
allargava la cerchia degli intermediari, arruolando, oltre al consueto clero, i fattori, vale a dire i cosiddetti
castaldi, che avevano in cura gli altrui possessi terrieri. Erano costoro che avrebbero potuto trarre
giovamento dalla “chiusura della tenuta,” vale a dire dalla recinzione della terra a loro disposizione.
L’operazione avrebbe permesso di aumentare la produzione agricola, di proteggere gli animali e le
piante, infine di rendere i terreni più fruttiferi. Il problema era che a questa classe, in genere non
particolarmente aperta all’innovazione, era, in molte zone del Regno borbonico, concessa ben poca
autonomia dal potere feudale.
D. Qual è l’oggetto dell’Agricoltura?
R. Di render fruttiferi i terreni […].
D. Il contadino dunque deve saperle tutte queste cose?
R. Certamente. Quest’ è il principale dovere del contadino, del quale dovere parleremo dopo
stabiliti gli altri due ugualmente necessari, o universalmente ancora trascurati.
D. Quali sono?
R. Chiudere la Tenuta, e fabbricare la Villa.
D. Qual vantaggio si ricava dal chiudere la Tenuta?
R. Questo è l’unico mezzo, col quale s’impedisce il passaggio degli uomini, e degli animali, e per
cui quei terreni di loro natura infruttiferi possono diventar fertili.
D. In che modo?
R. Molti terreni sono pieni di pietre, altri paludosi. Eccoli perciò incapaci di lavoro. Togliendosi
i primi le pietre, e dandoli lo scolo delle acque alli secondi, si ridurranno facili ad esser lavorati,
e perciò atti a produrre.22
7
Contadini per il Regno dei Cieli. I catechismi agrari nel Mezzogiorno italiano
del tardo illuminismo e i limiti dell’editoria tecnica
Si era alle solite, ma d’altronde era inevitabile per un libro i cui teorici beneficiari erano disinteressati
(parroci) o impossibilitati (fattori) a mettere in pratica quanto leggevano o del tutto analfabeti
(contadini)! Vi si richiamava quanto fatto nel 1746 in Svezia, poi in Italia, a Vicenza e Firenze: stampare
cioè dei prontuari per i parroci delle aree extraurbane, i quali “non solamente devono istruire i loro
parrocchiani nelle cose di religione ma ancora nelle pratiche di agricoltura e nei doveri dello stato
contadinesco.”23 Ricco di consigli pratici e di ‘esercitazioni,’ il catechismo si rivolgeva soprattutto ai
sacerdoti, i quali, facendo ancora una volta da intermediari con i contadini analfabeti, si inserivano –
come, ad esempio, di lì a poco sarebbe accaduto per le campagne di vaccinazioni antivaiolose – in una
lunga catena di controllori-controllati.24
Tutt’altro che ingenua, l’operazione di Gagliardo aveva un senso ben preciso. Nel 1789, presso il
Seminario di Taranto, era stata creata una vera e propria cattedra di agricoltura, allo scopo di formare
sacerdoti in grado di aiutare i propri parrocchiani nella gestione delle pratiche di coltura (essa sarebbe
stata tuttavia soppressa solo un anno dopo). L’abate, chiamato a insegnarvi, aveva proprio in tale
occasione concepito il Catechismo. Monticelli e Gagliardo non erano certo i primi in Italia a suggerire di
eleggere i ministri del culto a intermediari e diffusori del sapere agronomico – per esempio, altrove
avevano innescato un ampio dibattito le proposte di personaggi come Giovanni Targioni Tozzetti e
Francesco Pagnini – eppure il rapporto tra clero ed amministrazione periferica, più stretto nel Regno
borbonico che altrove, dava loro la speranza di un successo vicino. Questo però tardò ad arrivare,
facendo di quello protestante d’oltralpe un modello rincorso, ma, ahimè, mai riprodotto. 25
Il problema, avvertiva Gagliardo, era forse a monte. Con quali parole esprimersi? La lingua agraria,
molto più di qualunque altra lingua tecnica, era estremamente variabile a seconda del contesto
geografico. Andava pertanto creata innanzi tutto una koiné linguistica che permettesse a tutti di intendere
quanto si cercava di comunicare:
È ormai tempo, che si rettifichino tutte le scienze e che ciascheduna concorra all’intelligenza
delle altre. Se l’agronomo debba conoscere la chimica, la storia naturale, la geonomia, la
bottanica ec., deve far uso non delle voci arbitrarie, che nulla esprimono, ma dei vocaboli di
queste scienze quando parlerà di analisi delle terre, di nomi delle piante”26
Svanì presto la speranza che ciascun parroco agisse da bonus pastor e raccogliesse attorno a sé grandi e
bambini a cui insegnare l’agricoltura. Già dal decennio francese i catechismi apparvero sempre più come
manuali scolastici strutturati per domande e risposte. Addirittura, guide per gli insegnanti,
enciclopediche, viste le dimensioni: oltre 900 pagine, in tre tomi, le Lezioni e catechismo di agricoltura
(1808) di Paolo Nicola Giampaolo. Successivamente il termine catechismo sarebbe passato a designare
in termini generici l’“insegnamento elementare d’altra disciplina che religiosa, steso per via di domande
e risposte”27 o addirittura, come nel Catechismo agrario ad uso delle scuole elementari (1841) di Luigi
Granata, un tipo di manualistica non più neanche articolata in domande e risposte.
A denunciare lo slittamento in tal senso sarebbe stato un vero e proprio trattato, tra i più celebri in Italia,
che ebbe sì anche un’edizione napoletana, ma fu concepito in ambiente Veneto. Nel suo Catechismo
agrario (1819), Ciro Pollini avrebbe precisato: “Io però non ò dettata tale istruzione pel rozzo contadino
che lavora meccanicamente il suolo. Inutile affatto sarebbe per esso, o che non sa leggere, o se sa, non legge
o non intende. O’ reputato che debba servire pe’ contadini possidenti, per gli affittajuoli, pe’ castaldi, pe’
mezzajuoli o lavorenti, per chi insomma presieda alla direzione di un podere… Ma il catechismo agrario…
deve servire anco per le scuole comunali foresi.”28 Coloro a cui il catechismo era stato in origine dedicato, i
poveri contadini analfabeti, venivano ormai considerati refrattari a ogni forma di letteratura. Abbandonato
al proprio destino chi non avrebbe avuto grande interesse a conoscere i principi scientifici sottesi alla
tecnica che gli si voleva insegnare, si reintroduceva una teoria senza la quale i maestri, formatisi
all’accademia, non erano in grado di giustificare le proprie scelte:
D. Qual fine si propone l’agricoltura e come l’ottiene?
R. L’agricoltura si propone di cavar dalla terra il maggior provento colla minore spesa
possibile, e l’ottiene unendo alla pratica la teoria, ossia la scienza agraria. Spetta alla teoria
additar le regole generali di coltivazione, adattarle e modificarle secondo le circostanze
particolari. Spetta alla pratica la cultura del solo giusta i sani precetti teorici, emendando quel
che per avventura ne tramandarono di erroneo i nostri padri, e introducendo usi migliori.29
F.P. de Ceglia
8
Note e referenze
1
Compendio della dottrina cristiana prescritto da Sua Santità Papa Pio X alle diocesi della provincia di Roma (1905), Tipografia
Vaticana, Roma: Lezione preliminare. Della dottrina cristiana e delle sue parti principali.
2
L. Nordera (1988), Il Catechismo di Pio X. Per una storia della Catechesi in Italia (1896-1916), Libreria Ateneo Salesiano,
Roma. Nel 1930 ne venne pubblicata un’edizione ridotta, corredata di immagini, destinata in particolare ai bambini e ai ragazzi.
Si ricordi che tra gli insegnamenti che nell’Italia pre-repubblicana erano impartiti in forma catechetica vi era la dottrina fascista.
Il Primo libro del fascista (1938), ad esempio, si apre così: “Quale è il significato del nome DUCE? Duce viene dal latino Dux
che deriva da duco e significa ‘Colui che conduce:’ il Condottiero. Chi è il DUCE? Il DUCE, Benito Mussolini, è il creatore del
Fascismo …”
3
Plato, Protagora: 328a-b.
4
G. Myers (1989), Science for Women and Children: The Dialogue of Popular Science in the Nineteenth Century, in J. Christie e
S. Shuttleworth (eds.), Nature Transfigured: Science and Literature, 1700-1900, Manchester University Press, Manchester: 171-200;
G. Myers (1992), History and Philosophy of Science Seminar: Fictions for Facts: The Form and Authority of the Scientific
Dialogue, History of Science 30: 221-47;
G. Cantor (2000), Science for Women and Children, and A. Fyfe (2000), Young Readers and the Sciences, in N. Jardine e
M. Frasca-Spada (eds.), Books and the Sciences in History, Cambridge University Press, Cambridge U.K., pg. 276-90;
A. Fyfe (ed.) (2003), Science for Children, Thoemmes Press, Bristol;
M. Rogers (2003), Newtonianism for the Ladies and Other Uneducated Souls: The Popularization of Science in Leipzig, 16871750, Peter Lang, New York;
M. Mazzotti (2004), Newton for Ladies: Gentility, Gender, and Radical Culture, British Journal for the History of Science 37: 119-46;
L. Anscomb (2005), ‘As far as a woman's reasoning can go:’ Scientific Dialogue and Sexploitation, History of European Ideas
31: 193-208.
5
Nel 1529 Lutero pubblicò due diversi catechismi, l’uno per pastori, predicatori e insegnanti, l’altro per i bambini e la gente
comune. Calvino ne diede alle stampe una sua versione per bambini nel 1541. Il catechismo di Heidelberg, nel 1563, seguito da
una edizione concisa nel 1585, furono subito dopo intesi a fornire una ‘versione standard’ della dottrina della Chiesa riformata.
Con il Concilio di Trento i cattolici provvidero a mettere a punto analoghi lavori: Petrus Canisius (Peter Kanis), nel 1556-57,
Edmund Auger, nel 1563, e Roberto Bellarmino, nel 1597, furono i campioni di tale attività pedagogica. Il punto di riferimento
dottrinale fu comunque il cosiddetto Catechismo romano, del 1566, rivolto ai soli parroci. I suoi lavori, voluti da Pio V, furono
diretti da Carlo Borromeo.
B. Marthaler (1995), The Catechism Yesterday and Today: The Evolution of a Genre, Liturgical Press, Collegeville (Minn.).
6
N.F. Schott (2010), Catechisms and Enlightenment: The Conversion of Knowledge from Paul to Bahrdt, PhD thesis, Johns
Hopkins University, Baltimore U.S.A., pp. 340-414.
7
La procedura ricorda alcune modalità comunicative impiegate dalla radio italiana durante il fascismo. Creato nel ‘33, l’Ente radio
rurale ideò e gestì rubriche leziosamente paradidattiche. Suo vessillo fu L’ora dell’agricoltore (1934-45), una rubrica trasmessa
la domenica mattina, durante la quale, accanto ad indicazioni fin troppo elementari di agronomia, si offrivano pillole di saggezza
domestica attraverso l’espediente del dialogo tra tre personaggi – Menico, Timoteo e Dorotea – così stereotipati da apparire
farseschi. G. Isola (1990), Abbassa la tua radio, per favore… Storia dell’ascolto radiofonico nell’Italia fascista, La Nuova Italia,
Firenze Italy, pg. 115-41;
G. Isola (1998), L’ha scritto la radio. Storia e testi della radio durante il fascismo (1924-1944), Bruno Mondadori, Milano Italy,
pg. 250-60.
8
J.E. Werner (1787), Oekonomisch--praktischer Katechismus des Kleebaus, G.A. Keyser, Erfurt, pg. 10-11.
9
(1835), The Farmer’s Register, 2:169.
10
E. Roldán Vera (2001), Reading in Questions and Answers: The Catechism as an Educational Genre in Early Independent
Spanish America, Book History 4: 17-48.
11
G.L.C.A. Bexon (1773), Catéchisme d'agriculture ou bibliothèque des gens de la campagne, Valade, Paris: Avertissement, IX-X.
12
(1773), Observations et mémoires sur la physique, sur l’histoire naturelle et sur les arts et métiers, 2: 168.
13
Sui limiti di tal modo di far divulgazione si veda A.J. Bourdé (1967), Agronomie et agronome en France au XVIIIe siècle,
S.E.V.P.E.N., Paris France, 1: 70-73;
M. Simonetto (2001), I lumi nelle campagne. Accademie e agricoltura nella Repubblica di Venezia, 1768-1797, Canova, Treviso
Italy, pg. 353-54;
A. Sandrier (2007), Les catéchismes au temps des philosophes, Dix-huitième siècle 39: 319-34.
14
H.A.M. Snelders (1981), James F. W. Johnston's influence on agricultural chemistry in the Netherlands, Annals of Science
38: 571-84;
C. Merchant (2010), Ecological Revolutions: Nature, Gender and Science in New England, The University of North Carolina
Press, Chapel Hill, sec. ed., pg. 198-231.
15
T. Monticelli (1792), Catechismo di agricoltura pratica e di pastorizia, A. Cons, Napoli Italy; ried. a cura di M. Mainardi
(2002), Edizioni Panico, Galatina: 41.
16
Sull’educazione agraria nel Mezzogiorno italiano, si rinvia a R. De Lorenzo (1998), Società economiche e istruzione agraria
nell’Ottocento meridionale, Franco Angeli, Milano Italy;
L. Terzi (2001), Le scuole normali a Napoli tra Sette e Ottocento: documenti e ricerche sulla “pubblica uniforme educazione” in
antico regime, L’Orientale, Napoli Italy;
R. Pazzagli (2008), Il sapere dell’agricoltura. Istruzione, cultura, economia nell’Italia dell’Ottocento, Franco Angeli, Milano
Italy, pg. 279-92.
17
Ivi, 33-34.
9
Contadini per il Regno dei Cieli. I catechismi agrari nel Mezzogiorno italiano
del tardo illuminismo e i limiti dell’editoria tecnica
18
Per la Napoli di Genovesi si rinvia al classico VIII capitolo di F. Venturi (1969), Settecento riformatore. I. Da Muratori a
Beccaria, Einaudi, Torino Italy, pg. 513-644.
Specificamente rivolti al tema in questione sono invece: P. Matarazzo (1997), La formazione civile del suddito nel Regno di
Napoli alla fine del XVIII secolo: i catechismi degli stati di vita, Atti della Accademia Pontaniana 46: 173-94;
P. Matarazzo (ed.) (1999), Catechismi repubblicani: Napoli 1799, Vivarium, Napoli Italy.
19
Analisi ragionata de’ libri nuovi, maggio 1793: 60. Si tratta di una recensione del Catechismo di Gagliardo.
20
T. Monticelli (1792), Catechismo di agricoltura pratica e di pastorizia, cit.: VIII-IX.
21
Analisi ragionata de’ libri nuovi, febbraio 1793: 27-36.
22
G. Gagliardo (1793), Il Catechismo agrario, s.e., s.l., ried. a cura di E. Imbriani, Congedo, Lecce Italy (1990), pp. 1-2.
23
G. Gagliardo, Catechismo agrario, presentazione agli abitanti della provincia salentina.
24
R. De Maio (1970), Società e vita religiosa a Napoli nell'età moderna, vol. 2, Edizioni scientifiche italiane, Napoli;
G. Biagioli (2004), Agricoltura come manifattura. istruzione agraria, professionalizzazione e sviluppo agricolo nell'Ottocento,
vol. 2, Leo S. Olschki, Firenze.
25
T. Arrigoni (1987), Uno scienziato nella Toscana del Settecento. Giovanni Targioni Tozzetti, Gonnelli, Firenze Italy;
R. Pasta (1993), L’Accademia dei Georgofili e la riforma dell’Agricoltura, Rivista storica italiana 105: 484-501.
Del Pagnini, ad esempio, in una fonte si dice che “avea pubblicato un opuscolo per inculcare ai parroci il dovere di istruire i
villici nell’agricoltura, ma non approdava. Perché i parroci cattolici sono assorbiti dalle pratiche di culto, mentre i pastori
protestanti, specialmente nella Germania, contribuirono assai nel secolo passato al moto agricolo.” Enciclopedia agraria italiana
(1880), Roma, Pisa, Napoli: parte 1, 102.
26
G.B. Gagliardo (1804), Agli studiosi di agricoltura, in Vocabolario agronomico italiano, Agnelli, Milano Italy.
27
N. Tommaseo e B. Bellini (1865), Dizionario della lingua italiana, Società L’Unione Tipografico-Editrice, Torino Italy, vol. 1,
parte 2, 1290.
28
C. Pollini (1819), Catechismo agrario, seconda edizione, in Memorie dell’Accademia d’agricoltura, commercio ed arti di
Verona: 8: 9-10; 11.
29
Ivi: 15.
Autore
Francesco Paolo de Ceglia PhD insegna Storia della scienza presso l’Università degli studi di Bari Aldo
Moro. Divulgatore e studioso del pensiero scientifico in età moderna, ha al proprio attivo numerosi
volumi nonché articoli pubblicati su prestigiose riviste internazionali.
E-mail: [email protected].
HOW TO CITE: F.P. de Ceglia, Farmers for the kingdom of Heaven. Agrarian catechisms in southern
Italy in the late enlightenment and the limitations of technical publications,
Jcom 10(01) (2011) C05
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