Ministero delle Politiche Agricole e Forestali
Presenze scientifiche illustri
al Collegio Romano
Celebrazione del 125° anno di istituzione dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria
Roma, 26 novembre 2001
Ufficio Centrale di Ecologia Agraria
Sala Rosini
Via del Caravita 7/A - Roma
1
INDICE
Presentazione
Il passato, il presente, il futuro dell’Ufficio Centrale di Ecologia
Agraria
Domenico Vento (direttore dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria)
Galilei e il barometro
Padre Tommaso Vinaty (professore della facoltà di Filosofia dell'Università
Pontificia di San Tommaso d’Aquino Angelicum, Roma)
Padre Angelo Secchi e la meteorologia
Padre Sabino Maffeo, S.J. (Specola Vaticana, Castelgandolfo)
Aspetti della formazione scientifica del giovane Fermi: il ruolo di Filippo
Eredia e dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica
Giovanni Battimelli (Dipartimento di Fisica, Università “La Sapienza”, Roma)
Appendice
Astronomia al Collegio Romano
George Coyne s.j.; Sabino Maffeo s.j. (Adattamento a cura di Renzo Lay):
L’Osservatorio del Collegio Romano. Gli astronomi della Compagnia di Gesù fino alla
soppressione della medesima.
Itinerario storico bibliografico dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria
Maria Carmen Beltrano, Stanislao Esposito, Luigi Iafrate (Ufficio Centrale di Ecologia
Agraria)
Verso un ufficio meteorologico centrale anche in Italia
Dai primi fermenti organizzativi alla sua istituzione ad opera del governo: Regio
Decreto n° 3534 del 26 novembre 1876
Luigi Iafrate ( collaboratore esterno Ufficio Centrale di Ecologia Agraria)
2
Presentazione
L’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria il 26 novembre 2001 ha
ricordato il 125° anniversario della sua istituzione con una giornata celebrativa
che è stata altresì l'occasione per sottolineare la lunga tradizione di attività
scientifica che si è sviluppata al Collegio Romano, dove ha sede l’UCEA. Con il
proposito che rimanesse traccia concreta degli interventi dotti pronunciati in
quell'occasione, si è ritenuto utile raccoglierli in questo volume, giunto alla
stampa grazie alla dr.ssa Maria Carmen Beltrano che è stata il vivace motore
organizzativo della giornata celebrativa e che ha curato la realizzazione di
questa pubblicazione.
Il volume raccoglie gli interventi degli oratori che hanno rievocato
alcune importanti personalità scientifiche la cui attività è stata legata al
contesto culturale e scientifico del Collegio Romano e dell'Ufficio Centrale di
Ecologia Agraria. Nel volume sono state inserite alcune pagine esplicative delle
mostre che hanno arricchito il programma della giornata, la prima sul
patrimonio bibliografico dell'Ufficio, la seconda sulla storia dell'astronomia al
Collegio Romano.
Infine si è ritenuto opportuno presentare una breve nota per descrivere il
contesto istituzionale in cui nacque l'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria,
accennando alla situazione dei servizi meteorologici italiani negli anni che
hanno immediatamente preceduto la costituzione dell’Ufficio.
Domenico Vento
Direttore dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria
3
Il passato, il presente, il futuro dell’Ufficio Centrale
di Ecologia Agraria
dr. Domenico Vento (direttore dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria)
Signore, Signori,
Vi ringrazio per aver deciso di ricordare con noi, oggi, il 125° anniversario di
istituzione dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria, che è l’organo scientifico e tecnico per
l’agrometeorologia del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e, a breve, del nuovo
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in agricoltura.
Oggi compiamo 125 anni, e questi 125 anni di storia per noi sono importanti; ci
aiutano a riflettere e ad ancorarci ad un illustre passato per progettare, nella continuità e
nella tradizione, il futuro.
Questa storia, tra mille vicende, ha avuto inizio, a livello governativo, nel 1876
quando un Regio Decreto stabilì la nascita del Regio Ufficio Centrale di Meteorologia:
questo è stato il primo nome dell’UCEA che di fatto, quindi, è stato il primo ufficio
meteorologico governativo italiano.
L’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria è nato nel 1876 e ha la sua sede al Collegio
Romano dal 1879. Qui da sempre si è respirata un’atmosfera di cultura scientifica, molto
spesso a livelli elevati; il Collegio Romano d’altronde è stato non poche volte sede e
testimone di eventi culturali importanti. Questo ci impone di assumere un impegno forte ad
essere adeguati alle esigenze del momento nello spirito di agire nel modo migliore e con
responsabilità.
In questi 125 anni sono progredite significativamente le strutture, i prodotti, le
potenzialità della meteorologia in genere, non solo dell’UCEA e non solo della meteorologia
italiana
La celebrazione di questa giornata dunque, per noi dell’UCEA, è importante; è
motivo di orgoglio, lasciatemelo dire, anche per dare evidenza ai progressi consolidati, e
abbiamo deciso di viverla nella Sala Ezio Rosini, cioè nella Sala dedicata ad una figura di
scienziato che ha fortemente operato per lo sviluppo della climatologia italiana quando era al
Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, per la crescita dei servizi di
agrometeorologia quando era direttore dell’UCEA, e che anche successivamente ha
contribuito con energia a sostenere, con la sua esperienza e la sua competenza, lo sviluppo
degli studi e delle attività legate all'agrometeorologia in Italia.
Mi fa piacere rendere noto di aver ricevuto comunicazioni di adesione alla giornata
anche da parte di molti, che non hanno potuto essere presenti, in particolare vorrei citare
proprio il prof. Rosini, il direttore generale dr. Vincenzo Pilo, il sig. Ministro Giovanni
Alemanno. Ringrazio per la sua partecipazione il Prof. Sergio Zoppi, presidente del nuovo
Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, in cui l’UCEA sta concretamente
per confluire.
La celebrazione della giornata ha come tema la memoria della tradizione scientifica
legata al Collegio Romano prestigiosa sede dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria. Si
tratta di una tradizione particolarmente ricca. Abbiamo infatti il privilegio, qui, di respirare
la stessa aria, di frequentare gli stessi ambienti di alcune importanti personalità scientifiche
4
la cui attività è stata in qualche modo legata al contesto culturale e scientifico del Collegio
Romano.
Abbiamo trovato documenti concreti della presenza di Galileo Galilei al Collegio
Romano, dove, tra l'altro si diede lettura, al suo cospetto, del "Sidereus Nuncius".
Padre Angelo Secchi, insigne astronomo e meteorologo, fu presidente del primo
Consiglio Direttivo dell’Ufficio.
Enrico Fermi, ancora studente liceale, nella nostra biblioteca consultò per mesi i testi
di fisica su cui si preparò per l'esame di ammissione alla Normale di Pisa.
Altri personaggi illustri, e non solo scienziati, transitarono al Collegio Romano; per
esempio Sthendal, che visitò i locali del Collegio, come lui stesso ha scritto nelle sue
"Promenades dans Rome".
Il passato dell’UCEA inizia con il padre Secchi, alla fine dell’'800, e da allora l’Ufficio,
passando attraverso cambiamenti radicali degli assetti istituzionali italiani, attraverso periodi
storici travolgenti, come quelli bellici, attraverso mutati interessi, umori e necessità della
società civile, ha dovuto far fronte, nel tempo, nei compiti e nelle sue attività d’istituto, ai
problemi di interesse pubblico via via emergenti; di essi ne ha risentito anche il suo stesso
nome, se non la sua ragione sociale.
Ho voluto allora ricordare alcune date importanti della storia dell’UCEA, quelle legate a
momenti particolari e le ho presentate accostando ad esse foto di monete coniate nello stesso
anno di quelle date, volendo così sottolineare anche lo stare al passo dei tempi da parte
dell’Ufficio. Le monete italiane spesso hanno presentato, nel corso dei 125 anni, temi
agricoli; una serie un po’ rara del 1946, per esempio, presenta un’arancia nella lira, una
spiga nelle 2 lire, un grappolo d’uva nelle 5 lire, un ramoscello d’ulivo nelle 10 lire.
Su alcune date della storia dell’UCEA mi soffermerò con qualche osservazione flash:
1876: l’Osservatore Romano pubblica i dati del Collegio Romano anche se con due o tre
giorni di ritardo; non risultano rilevazioni nei giorni festivi.
1879: da giugno l’Osservatore non riporta più i dati del Collegio Romano, che invece da
settembre sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del Regno.
1967: è un anno importante per l’attuale UCEA; nel 1967 è infatti iniziato il presente
dell’UCEA: il Ministero decide di provvedere seriamente a ridare vigore all’Ufficio e
all’agrometeorologia, mettendo a concorso il posto di direttore dell’Ufficio. Il concorso fu
vinto dal prof. Ezio Rosini, che grazie alle sue capacità e larghezze di vedute diede impulso
al rilancio dell'UCEA.
Il presente è per l’UCEA ricerca e servizio.
1999: nasce il futuro dell’UCEA; il futuro quindi è già nel presente e da come vivremo il
presente dipenderà la bontà o meno del futuro. A dicembre 1999 l’UCEA, in effetti, è
entrato a far parte, dal punto di vista legislativo, del nuovo Consiglio per la ricerca e
sperimentazione in agricoltura. Nello stesso periodo si è attivato nella preparazione di un
progetto finalizzato di ricerca importante ed attuale, per rispondere, come sempre, alle
esigenze della società civile; esso è stato finanziato nel 2000 ed è decollato a febbraio del
2001. Si tratta di Climagri, della ricerca con cui l’UCEA comincia il suo futuro in attività di
ricerca e servizio.
Il futuro è la continuazione del presente: sarà ricerca e servizio, ricerca complessa nel
settore dell'agrometeorologia e servizio agrometeorologico a livello nazionale nel nuovo
Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura.
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Galilei e il barometro
Padre Tommaso Vinaty, professore della facoltà di Filosofia dell'Università Pontificia di San
Tommaso d’Aquino (Angelicum)
Galilei aderì all’opinione che la natura manifesta una ripugnanza a lasciare che si
formi un qualsiasi vuoto. L’espressione tradizionale per designare tale repulsione era “horror
vacui”. Galilei sostenne l’ “horror vacui” almeno fino al 1638, anno della pubblicazione dei
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due Nuove Scienze (quella delle resistenze e
quella dei moti)1. Fu la convinzione che portò con sé in tutti gli incontri con i Gesuiti del
Collegio Romano2:
la prima visita a Christoph Clavius per discutere i nuovi teoremi sui centri di
gravità e l’invenzione della bilancetta idrostatica;
il soggiorno romano che si protrasse da marzo a giugno 1611 per far confermare
le sue scoperte astronomiche dagli astronomi del Collegio nella loro specola;
gli scontri polemici tra il 1619 e il 1622 con il P. Orazio Grassi, che fu il Rettore
del Collegio Romano, sulla natura delle comete, del calore e della luce.
Alla fine del 1637, la cecità colpisce Galilei e le sue forze declinano. Nell’ottobre del
1641 Torricelli viene chiamato ad Arcetri per assistere il Maestro e raccogliere i suoi ultimi
pensieri. Galilei muore il 9 gennaio 1642. L’anno successivo i primi esperimenti sono
realizzati da Gasparo Berti con l’acqua in una condotta verticale e da Evangelista Torricelli
in un tubo riempito di argento vivo, cioè di mercurio3. Torricelli redige la sua lettera
sull’esperienza del tubo l’11 giugno 16444.
Sorge allora la domanda: nel corso del breve soggiorno di Torricelli presso Galilei ad
Arcetri, ebbero i due l’occasione di discutere attorno alla scoperta della pressione
atmosferica? Si profila allora negli ultimi pensieri del Maestro il capovolgimento dei punti di
vista sulla possibilità del vuoto: successivamente la pressione atmosferica ebbe due funzioni
opposte ma non contraddittorie:
1 Galileo Galilei, Discorsi e Dimostrazioni Matematiche intorno a due Nuove Scienze (Leida,
1638), a cura di Adriano Carugo e Ludovico Geymonat, Torino, Paolo Boringheri, 1958
2 Stillman Drake, Galileo at work. His scientific Biography, The University of Chicago Press
1978, James Restor, Galileo, vers. Ital. Piemme, 2001
3 Opere scelte di Evangelista Torricelli a cura di Lanfranco Belloni, U.T.E.T., 1975
4 ibidem, pp. 657-660
6
Testimonianza della presenza di Galileo al Collegio Romano nella Biografia di William Wallace sullo scienziato
7
dapprima spiegò l’“horror vacui”, cioè la repulsione della natura ad ammettere
una depressione stabile che non fosse subito colmata dalla pressione; fatto
riscontrato in tutti i fenomeni di aspirazione;
e dall’altra parte, quando è bilanciata da un contropeso costituito da una colonna
d’acqua o di mercurio, appare un vuoto barometrico.
Prima parte: l’aria ha un peso. Il nesso tra peso dell’aria e pressione
atmosferica
Fin dagli anni giovanili all’Università di Pisa, Galilei fu impegnato nel programma di
una rifondazione dell’idrostatica archimedea e della sua estensione all’aerostatica. Nella sua
opera sui Galleggianti, Archimede aveva fondato la sua idrostatica su due postulati:
il primo: “Si supponga che il liquido abbia natura tale, che delle sue parti
ugualmente disposte ( ex ìsou keiménon) e continue, quella meno premuta venga
spinta da quella più premuta,”
il secondo: “ciascuna delle sue parti sia premuta secondo la verticale dal fluido
situato sopra di essa, a meno che il liquido non sia contenuto dentro un
recipiente e non sia premuto da qualunque altra causa.”1
Archimede ne deduce la legge della spinta idrostatica che spiega i galleggiamenti: “ I
corpi solidi più leggeri del liquido, immersi a forza nel liquido, vengono rinviati verso l’alto
con una forza tale quale è la differenza di cui il peso del liquido, che ha lo stesso volume
della grandezza solida, supera il peso della grandezza solida.
Se la figura che è più leggera del liquido viene abbandonata nel liquido in modo che
la sua base resti totalmente immersa nel liquido, la figura si disporrà dritta in modo che il suo
asse sia lungo la verticale.”2
Meditando i testi archimedei, Galilei, giovane lettore di matematica, cercò di
elaborare una teoria del moto dei gravi e dei leggeri che si fondasse completamente ed
esclusivamente su ragioni archimedee. La sua idea centrale fu quella di negare l’esistenza di
una leggerezza positiva, cioè di un principio interno che spingerebbe l’aria e il fuoco a salire
verso l’altro. Unica e sola causa del moto naturale è la gravità. Contrariamente alla tesi
aristotelica, il moto verso l’alto dei corpi leggeri si deve spiegare per mezzo del principio di
Archimede. Il mezzo che è più pesante del corpo immerso anche se fosse fluido, lo fa salire.
Il moto dei corpi in un mezzo avviene perché il mezzo li estrude.
A partire dal 1630, arrivato a Roma, dove studia sotto la direzione di P. Benedetto
Castelli, il primo discepolo di Galilei Evangelista Torricelli ha seguito il percorso dei
pensieri archimedei di Galilei. Nelle Lezioni Accademiche, Torricelli proporrà questa
allegoria suggestiva:
“Le Nereidi stabilirono un giorno di voler comporre una somma di Filosofia.
Aprirono la loro Accademia colà nei profondissimi fondi dell’Oceano del Sud.
Cominciarono poi a scrivere i dogmi della fisica, conforme facciamo ancor noi abitatori
dell’aria delle scuole nostre. Vedevano queste Ninfe curiosi che parte delle materie praticate
discendevano nell’acqua abitata da loro, e parte ascendeva. Però subito senza stare a
pensare ciò che potesse seguire negli altri elementi conclusero, che delle cose alcune sono
gravi, cioè terra, pietra, metalli, e simili, poiché nel mare discendono; ma alcune son
1 Opere di Archimede, a cura di Attilio Frajese, U.T.E.T. 1974, Cf. I Galleggianti, 525-552
2 ibidem, p.531
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leggere, come aria, sugheri, cera, olio e un gran parte dei legnami, perché salgono dentro
l’acqua. Se elle procedessero temerariamente, o no, seguitando la semplice scorta del senso,
senza correggerlo con l’uso della ragione io non lo so: so bene, che potrebbero difendere la
causa loro con l’esempio riverito di Filosofi venerabili. Io fabbricando poi chimere tra me
stesso mi accorsi, che era comportabile l’errore d’inconsiderazione commesso da quelle
fanciulle marine, le quali pronunziarono per leggere molte cose da noi tenute per gravi.”1
Restava la domanda: l’aria nel suo elemento, cioè nell’aria e nell’atmosfera ha un
peso? Galilei non si fermò all’assunto teorico della ponderabilità dell’aria, bensì intraprese la
pesata dell’aria. La bilancetta che aveva inventato nel 1586 serviva a determinare le
proporzioni dei pesi specifici dei metalli e delle gioie pesati nell’aria e nell’acqua, e quindi
poteva anche determinare la proporzione della densità dell’aria e dell’acqua.
Più tardi in una lettera del 1613 a Tolomeo Nozzolini, Galilei riferisce una
dimostrazione sperimentale della pesantezza dell’aria contenuta in un recipiente di vetro2.
Abbandonerà questa via della dilatazione termica per evitare l’indeterminazione che avrebbe
potuto risultare dall’esalazione ignea penetrante nella porosità del vetro. Torna
sull’argomento nel 1614, comunicando all’ingegnere genovese Giovan Battista Baliani 3
modi per pesare l’aria, “o almeno quanto l’aria pesa rispetto all’acqua.” Galilei
arrotondava il rapporto a 400 volte meno, mentre aveva indicato precedentemente 460 meno.
Il rapporto oggi noto è di 773 volte meno “su condizioni normali”. Era difficile attendere una
migliore esattezza dai mezzi impiegati, tanto più che non si aveva ancora un’idea precisa
della notevole comprimibilità dell’aria, in confronto alla pratica incomprimibilità dell’acqua.
Comunque le condizioni storiche dalle quali sarebbe uscita la scoperta di Torricelli
erano mature.
Che cosa l’ha ostacolata e ritardata? La mancanza di una prima meccanica razionale
dei mezzi continui, disponendo della nozione chiara di pressione in seno ad una massa fluida
(acqua o aria). L’Antichità e il Medioevo avevano considerato distintamente e separatamente
il peso e la pressione. Certo, un corpo rigido preme sulla superficie di appoggio che lo
sostiene. Al peso corrisponde una pressione unidirezionale dall’alto verso il basso.
Le ragioni archimedee non ebbero il sopravvento immediato su quelle aristoteliche,
sicché contaminazioni tra le due tradizioni potevano aver luogo. Francesco Buonamici
(1592-1603), che fu il maestro di Galilei a Pisa, dà l’esempio nella visione aristotelica del
mondo di alcuni motivi e risultati della matematica archimedea. Conserva sia la distinzione
dei quattro elementi in ponderabili (terra, acqua) ed imponderabili (aria, fuoco); sia la
dottrina dei luoghi naturali verso le quali tendono gli elementi, a seconda della loro rispettiva
natura. Ne ricavava una duplice conclusione:
la vera causa dei galleggiamenti è l’equilibrio tra le due tendenze interne dei
corpi: la leggerezza e la gravità degli elementi che costituiscono il corpo;
l’acqua non pesa nell’acqua, né l’aria nell’aria, giacché l’elemento occupa il suo
luogo naturale.
Queste contaminazioni sono ben illustrate nelle discussioni del Discorso intorno alle
cose che stanno in sù l’acqua (1615).
Il nesso tra peso e pressione, già implicitamente presente nella spinta idrostatica che
si esercita sui corpi immersi, sarà generalizzato o chiarito quando si stabilirà il legame tra
1 Torricelli, Quinta Lezione Accademica “della Leggerezza”, op. cit., p. 583
2 I riferimenti ai testi di Galilei saranno dati all’Edizione Nazionale (E.N.) di A. Favare . Cf.
vol XI p.
9
stato solido e stato fluido: mentre un corpo solido trasmette una forza in una sola direzione,
un fluido (liquido o gas) trasmette una forza in tutte le direzioni. Toccherà a Pascal
formulare l’assioma comune all’aerostatica e all’idrostatica: in un fluido in quiete la
pressione si trasmette ugualmente in tutte le direzioni1.
Per quale via si giungerà a risultati sulla distribuzione delle pressioni in un fluido?
Le pompe sono strumenti che, per mezzo di un pistone, producono una pressione su
un fluido. Hanno una duplice funzione: come pompe respingenti e come pompe aspiranti.
La riflessione di Galilei sul funzionamento delle pompe l’aiutò a imboccare la via
giusta e a riformare i suoi pensieri sull’ “horror vacui”. Parte da una osservazione che aveva
attirato la sua attenzione fin dagli anni padovani 1593-1594: l’impossibilità di sollevare
l’acqua al di sopra di 18 braccia, che gli era apparsa quando ideò il progetto di una pompa
per il sollevamento dell’acqua. Tornerà sull’argomento intorno al 1630, quando sarà
consultato a questo proposito dal Baliani. Si era ormai convinto dell’ ”altezza limitatissima”
dell’acqua sollevata nel corpo di una pompa aspirante2.
Comunque, Galilei aveva definitivamente abbandonato l’idea che il vuoto fosse una
impossibilità logica perché l’attributo fondamentale di un corpo è l’estensione e il vuoto non
può avere dimensione. Galilei obietta all’impossibilità logica del vuoto la considerazione
seguente: “se il vacuo non può conoscersi con l’intelletto, giacché nulla sta nell’intelletto
che non sia stato nel senso. Allora come avete fatto voi a sapere che non vi dia?”3
Galilei preferisce spiegare le difficoltà fisiche di produrre un vuoto, da una parte per
mezzo di fenomeni di aderenza nella superficie liscia di contatto fra due corpi; l’esempio è
dato dalla difficoltà di separare due lastre sovrapposte oppure di aprire un soffietto sgonfiato,
dall’altra parte a causa della coesione delle parti di un medesimo corpo: l’acqua, aspirata,
sale fino a un’altezza determinata; non si può aspirare l’acqua oltre questa altezza, senza che
crolli la colonna.
Ma durante il periodo delle conversazioni con Torricelli, entrambi si accorsero della
perfetta reciprocità delle pompe aspiranti e delle pompe respingenti. Tutti i fenomeni
idraulici e pneumatici spiegabili con l’aspirazione possono altrettanto spiegarsi con una
spinta. Mentre una aspirazione è l’effetto di una depressione, una spinta è l’effetto di una
sovrapressione. Una pressione è una forza che può esercitarsi in qualunque direzione in due
sensi opposti. Quando due pressioni uguali si oppongono in sensi opposti, si annullano,
mantenendo in equilibrio il corpo al quale sono applicate. Così si apriva il varco alla
concezione della pressione atmosferica, in quanto effetto del peso dell’aria nell’atmosfera.
Seconda parte: l’invenzione del tubo torricelliano. Il suo primo uso
tecnico come altimetro.
A conferma di quanto appena esposto leggiamo nella lettera di Torricelli a Ricci:
“Molti hanno detto, che il vacuo non si dia, altri che si dia, ma con ripugnanza della
Natura, e con fatica; non so già, che alcuno abbia detto, che si dia senza fatica, e senza
1 Pascal, Oenvres complètes, prèsentation et notes de Louis Lafuma, Paris, Edition du Seuil,
1963. Traité de l’ équilibre de liqueurs et de la pesanteur de la masse de l’air , op. cit., p. 238.
Hunter Rouse and Simon Ince, History of Hydraulics, State University of Iowa, 1957, pp.7679
2 Sulla colonna d’acqua di 18 braccia si veda Discorsi e Dimostrazioni ..., E. N. VIII, 64/65;
nell’edizione Carugo 28-30
3 Galilei, E. N. III A, 350
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resistenza della Natura. Io discoreva così: se trovassi una causa manifestissima dalla quale
derivi quella resistenza, che si sente nel voler fare il vacuo, indarno mi pare si cercherebbe
di attribuire al vacuo quella operazione che deriva apertamente da altra cagione, anzi che
facendo certi calcoli facilissimi, io trovo che la causa da me addotta (cioè il peso dell’aria)
dovrebbe per sé sola far maggior contrasto, che ella non fa nel tentarsi il vacuo. Dico ciò
perché qualche Filosofo vedendo di non poter fuggire questa confessione che la gravità
dell’aria cagioni la repugnanza, che si sente nel fare il vacuo, non dicesse di concedere
l’operazione del peso aereo, ma persistesse nell’osservare che anche la Natura concorre a
repugnare al vacuo.
Noi viviamo sommersi nel fondo di un pelago d’aria elementare, la quale per
esperienze indubitate si sa che pesa, e tanto, che questa grossissima vicina alla superficie
terrena, pesa circa la quattrocentesima parte del peso dell’acqua.
Quel peso scritto da Galileo, s’intende dell’aria bassissima dove praticano gli
uomini e gli animali, ma che sopra le cime degli alti monti, l’aria comincia ad essere
purissima, e di molto minor peso che la quattrocentesima parte del peso dell’acqua.”1
Benché Galilei non accenni nei Discorsi e Dimostrazioni matematiche del 1638 alla
problematica, quasi sicuramente Galilei e Torricelli ne discussero, sulla base della lettera del
24 ottobre nella quale il Baliani aveva esposto le sue conclusioni:
sull’esistenza di ciò che più tardi fu chiamato “vuoto barometrico”;
sulla spinta esercitata dai fluidi (liquidi e gassosi) in tutte le direzioni;
sulla misura della pressione atmosferica equivalente al peso della colonna
d’acqua o d’altro liquido.
Torricelli sembra riprendere i termini del Baliani: “lo stesso mi è avviso che ci
avvenga a noi nell’aria, che siamo nel fondo della sua immensità né sentiamo né il suo peso
che la compressione che ci fa da ogni parte, perché il nostro corpo è stato fatto da Dio di tal
qualità, che possa benissimo resistere a questa compressione senza sentirne offesa, anzi che
ci è per avventura necessario, né senza di lei si potrebbe stare nel vuoto, ma si fossimo nel
vacuo all’hora si sentirebbe il peso dell’aria che havessimo sopra il capo, il quale io credo
grandissimo... chi volessi ritrovar questa proporzione, converrebbe che si sapessi l’altezza
dell’aria e il suo peso in qualunque altezza. Ma comunque sia, io veramente lo giudicavo
per tale che per causar vacuo io credeva che vi richiedesse maggior violenza di quella che
può far l’acqua nel canale non più lungo di 80 piedi.”2
Appena l’anno dopo la pubblicazione dei Discorsi e Dimostrazioni matematiche
Gasparo Berti ed Evangelista Torricelli, due allievi di Benedetto Castelli, intrapresero
esperimenti a Roma, per verificare le affermazioni di Galilei relative al limite
dell’aspirazione dell’acqua e per indagare la natura del fluido oppure del vuoto che rimaneva
al di sopra della colonna d’acqua. Berti aveva costruito un apparecchio costituito da una
condotta d’acqua convenientemente alta. Torricelli ebbe la geniale idea di sostituire il
mercurio all’acqua: l’apparecchiatura diventava così molto meno ingombrante e più precisa.
L’esperimento torricelliano consiste nel riempire di mercurio un tubo e nel
capovolgere il tubo, la cui estremità aperta è immersa in una vaschetta anch’essa riempita di
mercurio.
Nel tubo drizzato nella vaschetta si vede la colonnina di mercurio abbassarsi a “un
braccio, e un quarto, e un dito in più” (76 cm). Il Torricelli confidò il suo pensiero al suo
1 Torricelli, op. cit. 657-658
2 ibidem, 658
11
amico Vincenzo Viviani, il quale fu accolto presso Galilei in Arcetri nei primi mesi del
1639. Procurò al Torricelli il mercurio e fabbricò lo strumento a cannello e vaschetta.
L’esperimento torricelliano equivale ad una pesata d’aria: la colonna di mercurio
sormontata nel cannello da uno spazio vuoto fa da contrappeso ad una colonna d’aria di
medesima sezione dalla parte bassa alla parte alta dell’atmosfera. Fu così stabilito dal
Torricelli che il valore della pressione atmosferica vale:
hp = 76x13,59 = 1.033 g/cm2 = 1,033 Kg/cm2 essendo 13,59 il peso specifico del
mercurio.
L’interpretazione è esatta. Merita però di essere segnalato che l’esperimento del tubo
torricelliano illustra un caso particolare del “paradosso idrostatico” discusso in quegli anni.
Poco importa l’area della sezione della colonna barometrica, l’altezza che misura la
pressione atmosferica resta la stessa perché ne è indipendente. Pascal, che analizza
chiarissimamente questo paradosso, mostra come si conciliano perfettamente questi due
principi dell’idrostatica:
in un punto di un liquido la pressione agisce ugualmente in tutte le direzioni;
i fluidi pesano secondo la loro altezza.1
Il corollario è che le superfici isobariche dell’acqua e dell’aria in quiete sono piani
paralleli all’orizzonte. Chiamiamo “superficie isobarica” l’insieme dei punti che hanno la
stessa pressione. La cosiddetta superficie libera di contatto del liquido con l’esterno ha
costantemente la stessa forma quando il liquido è fermo. Se il liquido è soggetto soltanto alla
forza di gravità, tale superficie è piana e orizzontale, qualunque sia la forma e la posizione
del recipiente.
Il primo uso tecnico del tubo torricelliano è stato altimetrico, ossia è servito per
determinare l’altezza di una località. Già nella prima lettera a Michelangelo Ricci dell’11
giugno 1644, Evangelista Torricelli accenna a questa prospettiva:
“Noi viviamo sommersi nel fondo d’un pelago d’aria elementare, la quale per
esperienze indubitate si sa che pesa, e tanto, che questa grossissima vicino alla superficie
terrena pesa circa la quattrocentesima parte del peso dell’acqua. Gli Autori poi de’
Crepuscoli hanno osservato che l’aria vaporosa e visibile si alza sopra di noi intorno a
cinquanta, ovvero cinquanta quattro miglia, ma io non credo tanto, perché mostrerei che il
vacuo dovrebbe far molto maggior resistenza, che non fa se bene vi è per loro il ripiego, che
quel peso scritto da Galileo s’intenda dall’aria bassissima dove praticano gli uomini e gli
animali, ma che sopra le cime degli alti monti, l’aria cominci ad esser purissima e di molto
minor peso che la quattrocentesima parte del peso dell’acqua.”2
Le misure altimetriche diventarono uno dei temi favoriti della sperimentazione, in
particolare nell’Accademia dei Cimento. Una delle prime e più clamorose fu fatta su
suggerimento di Descartes, a cura di Pascal che ne affidò l’esecuzione al cognato Florin
Périer. Questi compì la “grande expérience” il 19 settembre sulla montagna il “Puy de
Dôme” alta 1465m, nelle vicinanze di Clermont-Ferrand, città situata a 449 m di altezza.
Florin Périer mandò al cognato una minuziosa relazione il 22 settembre 1648. Pascal
trascrisse la relazione e diede i risultati ottenuti sotto forma di tavole nel suo Trattato della
Pesantezza della Massa dell’Aria (pubblicato nel 1663)3.
1 Pascal, op. cit., p.236
2 Torricelli, op. cit., 658
3 Pascal, op. cit. 261-263
12
Per eliminare le incertezze delle misure altimetriche, si operano sempre due misure
altimetriche, l’una in una località il cui livello è già noto e l’altra nella località di cui si cerca
di determinare l’altezza.
Florin Périer, alla partenza della sua spedizione, aveva disposto un tubo torricelliano
nel convento dei Minimi di Clermont-Ferrand, che servì di riferimento continuo durante tutta
la giornata, malgrado il tempo incostante. La colonna di mercurio variò poco dall’altezza di
26 pollici, 3 linee e mezzo (76,39 cm). In cima al Puy de Dôme, a 500 tese al di sopra della
città (1056 m), la pressione atmosferica si era abbassata a 23 pollici 2 linee (a quasi 64 cm).
La sensibilità delle misure altimetriche suscitò una grande meraviglia. All’indomani
dell’ascensione nel Puy de Dôme, Florin Périer ripeté le misure altimetriche dall’alto della
torre della Cattedrale di Clermont: rispetto al suo piede la differenza di pressione rilevata era
di 6,35 mm per 40 m; rispetto al giardino del convento dei Minimi, 7,93 mm per 54 m.
Allo stesso tempo tuttavia le misure altimetriche soffrivano di relativa imprecisione.
I mutamenti delle condizioni meteorologiche potevano diminuire la loro attendibilità
e provocare errori di alcune decine di metri. Ci si era convinti della necessità di correzioni
dovute alle temperature già prima della costruzione dei primi termometri1.
La misura dell’altezza di una località sulla base della pressione atmosferica dovuta
alla pesantezza dell’aria è fondamentalmente una operazione aerostatica, la quale è affidabile
a condizione che l’atmosfera sia in quiete. Allora le superfici isobariche sono orizzontali.
Nell’aria messa in movimento da diseguaglianze termiche locali, i venti hanno una
componente verticale, perché le superfici isobariche non sono più orizzontali ma oblique.
Le misure altimetriche, pur nel loro carattere approssimativo, hanno contribuito a
rinnovare la conoscenza dell’atmosfera.
Persino nel corso della rivoluzione copernicana l’idea di “atmosfera” rimaneva assai
vaga ed indeterminata. Dopo la misura della pressione atmosferica, emerse la domanda alla
quale accenna il Torricelli: esiste un confine superiore all’atmosfera terrestre?
Terza parte: i primi passi verso la teoria dei venti: il tubo torricelliano
diventa “barometro”
La parola “barometro” apparirà 25 anni all’incirca dopo l’invenzione del tubo
torricelliano. La troviamo per la prima volta nella lista di strumenti compilata dall’astronomo
Adrien Auzout (1622-1691), in preparazione di una spedizione in Madagascar organizzata
dall’Accademia delle Scienze di Parigi.
Auzout menziona: “15 o 20 libbre di vivo argento tanto per fabbricare barometri
quanto per fare altre esperienze ed osservare di quanto si sale rispetto al luogo da cui si parte,
e pure di tutte le località attraversate.”2
Viene confermato che l’uso altimetrico del tubo torricelliano fu il primo ad essere
praticato e diffuso.
Restava, tuttavia, l’enigma delle connessioni tra i mutamenti delle condizioni
meteorologiche e le variazioni della pressione atmosferica. Nei nostri barometri domestici il
tubo è sormontato da un quadrante, sul quale si sposta un ago collegato ad un indicatore
1 W. E. Knowles Middleton, in The History of the Barometer dedica la sezione (VIII, 5, pp.
176-184) alle correzioni del barometro dovute alla temperatura
2 Citato da N. E. Knowles Middleton, nella sua monumentale “The History of the
Barometer”, The Johns Hopkins Press, Baltimore, 1964, p. 598
13
galleggiante sulla colonna di mercurio. Sull’orlo del quadrante leggiamo le indicazioni:
“vento-vento forte-tempesta”, che corrispondono agli abbassamenti di pressione; e dalla
parte opposta, “sereno-bel tempo” in corrispondenza con gli aumenti di pressione.
L’Antichità e il Medioevo non disponevano di una scienza dei venti, anche se
avevano accumulato un sapere empirico sui diversi venti. I geografi avevano descritto i
principali venti che soffiano in differenti località e avevano raccolto le loro informazioni in
carte nautiche (i “portolani” con la rosa dei venti). Mancava, invece, una spiegazione
dell’origine dei venti. Torricelli dedica la settima delle sue Lezioni Accademiche al vento.
La inizia con questa dichiarazione:
“La Natura (...) fra le cose sue più nascoste e più impenetrabili, non mi pare che
alcuna ve n’abbia occultata con maggior segretezza che quell’accidente dell’aria, il quale
con nome “il vento” comunemente si appella. (...) Ma del vento invisibile per se stesso, qual
cognizione avremmo noi se per la moltitudine de gl’effetti non si palesasse? Il gonfiarsi
delle vele, l’ondeggiar delle biade, lo scuotersi delle piante, il sollevarsi della polvere, e
tanti altri accidenti, sono indizi manifesti di un parto della natura invisibile, prodotto, non
meno per accecar gli occhi dell’intelletto, che quei del corpo. Ora se la natura quasi con
ogni studio procurò di occultare il vento ugualmente al senso e all’intelletto, non sarà
maraviglia, se io pieno di confusione comparisco oggi in questo luogo a pubblicar quella
ignoranza.”1
Questa conferenza di Torricelli dà un eccellente esempio di “dotta ignoranza”.
Egli rileva tutte le incoerenze delle opinioni tradizionalmente sostenute sull’origine
dei venti. La meteorologia aristotelica era un capitolo della cosmologia dei quattro elementi.
Due idee dominavano in questo quadro la problematica della formazione dei venti:
l’affinità dell’elemento acqua e dell’elemento aria, attestata dalla frequente
associazione della pioggia e del vento;
le trasmutazioni di un elemento in un altro, in particolare della condensazione
dell’aria nelle nuvole.2
Torricelli svolge un'esercitazione più dialettica che propriamente scientifica ma con
la massima coerenza. Comincia con il rilevare che “Ci sono venti che spontaneamente
nascono senza che pioggia alcuna gli sia preceduta.”3 Oltre alla mancanza di generalità
delle spiegazioni troppo legate ad osservazioni locali. Torricelli sottolinea la principale
incoerenza che invalida l’idea di trasmutazione dell’acqua piovana in aria ventosa: essa non
rispetta i rapporti ponderali deducibili dal peso dell’aria relativamente al peso dell’acqua.
“I Filosofi antichi si pensavano che una mole d’acqua se per sorte si convertiva in
aria si distendesse dieci volte più, e dieci volte maggior luogo occupasse. I Moderni più
curiosi, ed anco più diligenti hanno con industriose esperienze ritrovato che una mole
d’acqua, se si converte in aria, non altrimenti dieci ma 400 volte maggior mole diventa.Ora
stante questo principio proveremo che non solo una pioggia, ma né anco un Oceano intiero
di pioggia sarebbe atto a somministrar materia sufficiente per un vento gagliardo, il quale
per otto ovvero dieci giorni si faccia continuamente sentire.”4
1 Torricelli, La Settima Lezione Accademica, “Del Vento”, op. cit., 598
2 Aristotele, I Meteorologici in 4 libri; libro I, capitolo 12 “Teoria dei venti, dei fiumi e delle
sorgenti”; per i venti, cf. 349 a IV 349-52
3 Torricelli, Settima Lezione..., op. cit. 600
4 ibidem, p. 601
14
Continua senza procedere per via di definizione, via malagevole e sconsigliabile per
chi intende indagare un oggetto così evanescente e incircoscrivibile com’è il vento. Usa
espressione “tanta affluenza d’aria velocitata”1 per designarlo. L’espressione torricelliana
conserva ancora tutta la genericità dell’espressione aristotelica nei Meteorologici2 di “aria
agitata”. Ciò nonostante rinnova il modo di porre il problema della formazione del vento. Ne
fa un problema di meccanica dei mezzi continui che segna la transizione dell’aerostatica
all’aerodinamica.
Questo passaggio fu consentito al Torricelli dalla sua comprensione della pressione
atmosferica in due punti essenziali:
l’aria ha un peso che costituisce il fattore determinante di una pressione interna
all’atmosfera3;
la caratteristica di una pressione interna è di essere omnidirezionale.
Torricelli può dunque dedurre la concezione generale del vento come la corrente di
un’aria di maggiore pressione verso un’aria di minore pressione. Entro i limiti delle sue
cognizioni fisiche, egli aveva raggiunto l’obiettivo che si era fissato:
“aver incontrato la vera ragione dell’origine de’venti , se col medesimo principio la
causa e la necessità di tutti egualmente si dimostrasse? Questo principio altro non è che
quel notissimo e vulgatissimo della condensazione e rarefazione dell’aria.”4
Torricelli getta le basi della “meccanicizzazione” dei venti, grazie alla
reinterpretazione delle qualità sensibili dei quattro elementi – le due coppie “caldo-freddo”,
“secco-umido” -, in proprietà meccaniche della fluidità contrapposta alla solidità.5
Torricelli, discepolo di Galilei, specifica la natura di ciascuno dei venti tramite
la determinazione della sua direzione;
la misura dell’intensità della sua velocità, la quale è proporzionale alla differenza
fra la pressione alta e la pressione bassa.
La sua “dotta ignoranza” gli permette, tuttavia, di cogliere le questioni lasciate aperte
che forniranno gli argomenti delle ulteriori ricerche.
Infatti le caratteristiche fisiche che accompagnano i venti erano state lasciate da parte.
Da dove provengono le differenze di pressione da un luogo o un altro, indipendentemente
dall’altezza dei posti osservati? Torricelli non trascurava quanto di essenziale contenevano le
osservazioni antiche.
“Se è pur vero l’opinione del Filosofo che per la generazione del vento, siano
ugualmente necessari il calore e l’umidità.”6
1 ibidem, p. 606
2 Aristotele, I Meteorologici, I, 13, 349 e 16-17
3 Lecombard Euler, in tre comunicazioni negli Atti dell’Accademia di Berlino (1755)
elaborò:
il concetto di fluidità in quanto assenza di resistenza a qualsiasi forza di taglio;
e il concetto di “pressione interna” da non confondersi con la pressione esterna studiata da
Stevin
4 Torricelli, Settima Lezione..., op. cit. 603
5 Aristotele, De Generatione et Corruptione I, 10, cf. Hans Strohm, Untersuchunger zur
Entwicklungsgeschichte der Aristotelischen Meteorologie, Lacipzig, 1935
6 Torricelli, Settima Lezione..., op. cit. 600
15
Il barometro è uno strumento locale. I processi aerodinamici operanti nella
formazione dei venti richiedono una osservazione “sinottica” estesa a tempi e luoghi diversi.
Due progressi allargarono i rilevamenti barometrici all’osservazione delle variazioni
meteorologiche:
il primo fu costituito dalla migliore conoscenza della terza proprietà dell’aria
dopo le due prime già note, il peso e la pressione: l’elasticità. L’invenzione della
pompa pneumatica ad opera di Otto von Guericke, nel 1661, condusse presto alla
scoperta della legge di Boyle (1627-1691) Mariotte (1620-1684): “ volume e
pressione di un gas sono inversamente proporzionali.”1 Più che una legge fisica,
questo enunciato rappresenta la definizione implicita della perfetta
compressibilità e corrisponde alla scoperta dell’elasticità quasi perfetta dell’aria,
sia in compressione sia in espansione, nelle normali condizioni di temperatura.
Boyle aveva anche notato che il riscaldamento aumenta la pressione di un gas
racchiuso in un dato volume, senza però trarne conseguenze;
il secondo fatto, altrettanto decisivo per la meteorologia, è costituito dalle prime
indagini metodiche relative all’evaporazione. Furono condotte da Edmond Halley
(1656-1742), l’astronomo inglese contemporaneo di Isaac Newton. Rimase
sorpreso dalle sue prime osservazioni dell’evaporazione2:
1. quando il cielo è chiaro, avviene una forte condensazione di vapor acqueo;
2. durante le notti, l’atmosfera si rinfresca; una parte dell’umidità si trasforma in
rugiada;
3. l’aria calda sopporta un maggior tenore di umidità dell’aria fredda.
Il fatto più rilevante dello studio dell’evaporazione fu la scoperta della natura e delle
proprietà fisiche del vapor acqueo, ben diverse da quelle dell’aria in quanto pochissimo
comprimibile ed elastico e con un comportamento fisico differente rispetto alla pressione.
Finora non si erano distinti i vari aeroformi; ormai la chiara distinzione dell’aria e del vapor
acqueo rinnova la conoscenza fisica dell’atmosfera terrestre. Lo studio sperimentale
dell’evaporazione condotto da Halley stabilì che il fattore climatico più determinante delle
variazioni meteorologiche in un dato territorio è la sua distanza media da acque marine.
Bisognerà aspettare i primi decenni del Settecento perché l’associazione del
barometro con il termometro, dopo l’istituzione delle scale termometriche, diventi la
strumentazione basilare delle osservazioni meteorologiche. Dalla meccanica dei venti si è
passato infine alla fisica dell’atmosfera.
1 E. J. Dijksterhuis. “Il meccanicismo e l’immagine del mondo dai Presocratici a Newton”,
vers. It. di Adriano Carugo, Milano, Feltrinelli, 1971
Cf. IV, 279-280: Robert Boyle (1627-1690).
Opere di Robert Boyle vers. ital. a cura di Clelia Dighetti, U.T.E.T., 1977.
Boyle pubblicò nel 1660 il suo primo trattato fisico sull’elasticità dell’aria: “New
Experiments Phisico-Mechanicall touching the Spring of the Air, and its Effects.
Boyle enunciò per la prima volta la legge che porta il suo nome, associato anche a quello di
Mariotte, allo scopo di rispondere alle critiche del gesuita Linus Francis Hall nello scritto A defence
of the Doctrine touching the Spring and the Weight of the Air. Boyle non attribuisce alla sua legge
l’importanza ricevuta più tardi, cioè la prima relazione quantitativa stabilita nel campo della fisica dei
gas
2 Asit K. Biswas History of Hydrology, North-Holland Publishing Company, 1970. Cf.
Edmund Halley, 16-166, 207-208, 221-229
16
Si può attribuire, senza anacronismo, a Torricelli il merito di aver aperto la strada alla
fondazione della scienza meteorologica? Torricelli termina le ultime pagine della sua
Lezione accademica sul vento con l’esposizione di un nuovo concetto, quello di
“circolazione generale dell’atmosfera”. Vi leggiamo:
“Il vento sarebbe una circolazione, la quale non iscorrerebbe sopra più che ad una
parte terminata della terra: e tanto durerebbe l’effetto della circolazione predetta quanto
durasse la causa, cioè quel freddo d’una provincia, maggior che non dovrebbe essere in
paragone di quello dei luoghi circonvicini. CIRCOLAZIONE la chiamo poi che nella parte
superiore tutto il moto dell’aria concorre verso il centro della Provincia più del dovere
raffreddata. Quivi poi sentendo quel medesimo freddo accidentale si condensa, s’aggrava e
discende a terra: ove non reggendosi scorre da tutte le parti, e cagiona su la superficie del
terreno un vento contrario a quello delle regioni sublimi. Che questa CIRCOLAZIONE non
sia sogno chimerico ma effetto reale può quasi dimostrarsi.”1
Conclusioni
W. E. Knowles Middleton nella sua monumentale Storia del Barometro2 antepone
alla sua esposizione la citazione dedicatoria:
“la scoperta del barometro (...) fece l’aspetto della fisica, come il telescopio quello
dell’astronomia, la circolazione del sangue quello della medicina, la pila del Volta quello
della fisica molecolare.”3
Gli ultimi mesi della vita di Galilei furono impegnati nella ricerca della soluzione di
due problemi di misura:
il primo: l’applicazione delle oscillazioni pendolari agli orologi per misurare il
tempo;
il secondo: l’applicazione del tubo torricelliano per misurare le variazioni della
pressione atmosferica.
Possiamo ragionevolmente supporre che Galilei abbia avuto con Torricelli
conversazioni sulla questione della pressione atmosferica e sull’invenzione del tubo
barometrico?
Dobbiamo purtroppo ammettere che non disponiamo di prove documentarie relative
al secondo problema, a differenza di quanto riguarda il primo.
Infatti il giovane Vincenzo Viviani, della più ristretta cerchia dei discepoli di Galilei,
giunse nell’ottobre del 1639 ad Arcetri, nel momento in cui il Maestro era sopraffatto dalle
infermità e incomodità di salute. Il principe Leopoldo de’ Medici, fondatore dell’Accademia
del Cimento gli ordinò una relazione intorno all’applicazione del pendolo all’orologio.
“Viviani gliela consegnò in data del 20 agosto 1659.”4 Sempre per incarico del Principe
Leopoldo scrisse il Racconto Istorico della Vita del Sig. Galileo Galilei5.
1 Torricelli, Settima Lezione..., op. cit., 604
2 W. E. Knowles Middleton, op. cit
3 Si tratta di una citazione presa da Vincenzo Antinori, nelle sue Notizie istoriche relative
all’Accademia del Cimento, (Firenze, 1841). Middleton ha scritto The Experimenters, A Study of
the Accademia del Cimento, The John Hopkins Press, 1971
4 Edizione Nazionale (cf. nota 8), vol. XIX, 648-659. Cfr. Bedini. The pulse of time,
Olsenky, Firenze
5 E. N., XIX, 599-632
17
Perché il Racconto non accenna a discussioni sulla pressione atmosferica nell’ultimo
anno della vita di Galilei? Indizi rendono plausibile che ebbero luogo. Da una lettera di Pier
Francesco Renuccini a Leopoldo de’ Medici, siamo informati che Galilei, ormai prossimo
alla fine, aveva “grandissima soddisfazione” nell’ascoltare le “dispute fisiche” del Torricelli
con il giovane discepolo Viviani. L’allusione non è riferita esplicitamente al nostro
argomento.
Tuttavia rileviamo che Vincenzo Viviani collaborò con il Torricelli alla realizzazione
dei primi esperimenti con il tubo riempito di argento vivo. Alla morte di costui nel 1647
ebbe in sorte di succedergli quale “filosofo e matematico del granduca di Toscana.” Fu
inoltre membro dell’Accademia del Cimento fin dall’anno della fondazione (1657).
In questa Accademia si proseguì un’intensa opera di sperimentazione che da almeno
sedici anni si svolgeva alla corte di Toscana per lo stimolo ricevuto dal Granduca Ferdinando
II. I lavori durarono dal 1657 al 1667. Non ci fu dunque discontinuità dopo la fine della vita
di Galilei nel compimento del programma dovuto alle sue idee. Lorenzo Magalotti diede
resoconto dei lavori dell’Accademia del Cimento nei Saggi di Naturali Esperienze1. Le
esperienze sulla pressione dell’aria e sul vuoto, sul congelamento dei liquidi, nonché sugli
effetti del caldo e del freddo circa la capacità dei vasi vi tengono un posto di grande rilievo.
“ E’ nota oramai per ogni parte d’Europa quella famosa esperienza dell’argento
vivo, che l’anno 1643 si parò davanti al grande intelletto del Torricelli, e noto parimenti è
l’alto e maraviglioso pensiero ch’egli formò di essa, quand’ei ne prese a specular la
ragione. Questa ei volle dire che fosse l’aria, la quale aggravandosi sopra tutte le cose a lei
sottoposte, le costringa a uscire de’ loro luoghi ogni volta ch’ell’abbiano spazio voto in cui
rifuggirsi, e particolarmente i liquori per la grande attitudine ch’egli hanno a muoversi.2”
Perché Galilei non è menzionato? Nel Racconto Vincenzo Viviani insiste sulle sue
indisposizioni: “nel tempo di trenta mesi ch’io vissi di continuo appresso di lui sino alli
ultimi giorni della sua vita, essendo egli spessissimo travagliato da acerbissimi dolori nelle
membra, che gli toglievano il sonno e ‘l riposo, da un perpetuo bruciore nelle palpebre, che
gl’era di insopportabile molestia.”3
A questa prima motivazione si può aggiungere una seconda meno evidente. La
misura della pressione atmosferica e le applicazioni barometriche costituivano una questione
disputata assai diversa dalla misura del tempo. Mentre la proporzione della lunghezza del
pendolo con la durata dei periodi delle oscillazioni si deduce da “ragioni necessarie” della
geometria, i fenomeni che accompagnano la pressione atmosferica mettono in giuoco
“esperienze sensate”. Lo statuto epistemologico della certezza sperimentale è differente da
quello della certezza geometrica e meccanica.
“Provando e riprovando” era il motto dell’Accademia dei Cimento. Lorenzo
Magalotti lo commenta nel “Proemio a’ lettori” che compose a modo di avvertimento per i
Saggi di Naturali Esperienze:
“Non vi ha cui meglio rivolgersi che alla fede dell’esperienza, la quale non
altrimenti di chi varie gioie sciolte e scommesse cercasse di rimettere ciascuna per ciascuna
al suo incastro, così ella adattando effetti a cagioni e cagioni ad effetti, se non di primo
lancio come la geometria tanto che provando e riprovando le riesce talora di dar nel segno.
Conviene però camminar con molto riguardo che la troppa fede all’esperienza non ci faccia
1 Lorenzo Magalotti, Saggi di Naturali Esperienze, a cura di Teresa Poggi Salani, Milano
Longanesi, 1976. Middleton li ha tradotti in inglese
2 op. cit., p.80
3 Viviani, Racconto storico..., E.N. XIX
18
travedere e n’inganni, essendo che alle volte, prima ch’ella ci mostri la verità manifesta
dopo levati que’ primi vela delle falsità più palesi, ne fa scorgere certe apparenze
ingannevoli ch’hanno sembianza di vero e sì lo somigliano.”1
Se, più di una generazione dopo la morte di Galilei, Geminiano Montanari riprende
nel Discorso sul Vacuo (1678) e Le Forze d’ Eolo (1694) per dimostrare risultati ottenuti
quarant’anni prima, si capisce il riserbo che trattenne Viviani e Torricelli di attribuire agli
ultimi pensieri del Maestro in condizioni malferme conclusioni attendibili ma non ancora
definitivamente assodate.
Lo stesso Torricelli terminava la sua Lezione Accademica sul Vento con queste
parole:
“la considerazione de’ venti in questa stagione infiammata, è materia da godersi
piuttosto in pratica, che da ventilarsi colla specolazione.”2
Ringrazio Loro per l’ascolto benevolo e paziente che hanno riservato al mio racconto
della protostoria della meteorologia e rivolgo al Loro Ufficio Centrale auguri che vorrei
georgici per le ricerche e i lavori di ecologia agraria.
1 Lorenzo Magalotti, Proemio, op. cit. p.59
2 Torricelli, Settima Lezione..., p.606
19
20
Padre Angelo Secchi e la meteorologia
Sabino Maffeo, S.J. (Specola Vaticana)
La mia relazione avrà due parti: nella prima tratterò del tema richiesto: "Padre Secchi e la
Meteorologia», cercando di dire quanto avrebbe esposto il padre Casanovas 1, col quale ho parlato e
del quale ho consultato gli appunti; nella seconda citerò alcuni brani da un carteggio Secchi-Denza,
ancora inedito, gentilmente messo a mia disposizione dal Padre Domenico Frigerio, Barnabita del
Collegio di Moncalieri (Torino): da esso si ricavano notizie interessanti sia su quanto il Padre Secchi
si adoprasse per promuovere la ricerca meteorologica, sia, soprattutto, riguardo al suo stato d’animo
negli ultimi anni della sua vita, a causa dell’incertezza in cui venne a trovarsi dopo l’occupazione di
Roma del 1870 e dell’atmosfera anticlericale che lo circondava.
I Parte
Il Padre Angelo Secchi, come tutti i suoi giovani confratelli gesuiti della provincia Romana,
frequentò i corsi del Collegio Romano dove, avendo avuto un ottimo professore di fisica nella
persona del Padre Giovanni Battista Pianciani, gli nacque una grande passione per questa materia,
tanto che i superiori lo destinarono, dal 1840 al 1844, all’insegnamento della stessa nel nostro
collegio-convitto di Loreto.
Tornato a Roma per attendere agli studi di teologia, nel 1847, dopo essere stato ordinato
sacerdote, dovette, insieme ai suoi confratelli, lasciare l’Italia per ragioni politiche. Dopo aver
completato gli studi teologici in Inghilterra, fu destinato a insegnare matematica e fisica nel nostro
collegio di Georgetown, a Washington, D.C.
Qui, oltre l’amicizia col Padre Curley, direttore di quell’osservatorio astronomico, è importante
ricordare la frequentazione che egli ebbe con il capitano Matteo Fontaine Maury, direttore
dell’osservatorio navale di Washington, promotore della cosiddetta meteorologia dinamica che, a
differenza della meteorologia statica, si occupa dei movimenti dell’atmosfera e studia i metodi più
adatti per la previsione del tempo. Il Padre Secchi, come professore di fisica, si dedicò a esperienze di
laboratorio riguardanti soprattutto l’elettricità e le sue applicazioni agli orologi e al telegrafo.
Approfondì in modo particolare la legge di Ohm, scoperta solo qualche decennio prima. Sono infatti
di questo periodo le pubblicazioni: Sugli orologi elettro-magnetici ; Descrizione di un nuovo
apparato per trasmettere i segni nei telegrafi elettrici ; Sopra alcune esperienze di reometria
elettrica, quest’ultimo pubblicato anche in inglese col titolo: Researches on electrical rheometry,
Washington City, 1852.
Chiamato nel 1850, a soli 32 anni, a succedere al Padre De Vico nella direzione
dell’Osservatorio del Collegio Romano, il Padre Secchi, si occuperà di meteorologia e, soprattutto, di
1 Questo argomento doveva essere trattato dal p. Casanovas, il quale però non ha potuto
mantenere l’impegno per ragioni di salute; sono stato quindi pregato di sostituirlo.
21
astronomia. È però importante notare come, anche in questi rami principali della sua attività,
l’impostazione di fondo e l’impronta che egli dette alla sua ricerca fu sempre quella del fisico. A
questa sua passione si deve il fatto che egli si sia occupato dei campi più svariati della fisica:
geodesia, spettroscopia stellare, fisica solare, geofisica, meteorologia, idraulica, lasciando in tutti un
segno degno di nota. Non è a caso quindi che, per quanto riguarda l’astronomia, il Padre Secchi sia
considerato un pioniere, se non il fondatore, dell’astrofisica e che, nel campo della meteorologia si
sia occupato di meteorologia dinamica, alla ricerca delle leggi delle burrasche e, in particolare, dei
fenomeni connessi con l’elettricità e il magnetismo come: campo magnetico terrestre, correnti
telluriche, registrazione a distanza, spettri di aurore boreali e di scariche atmosferiche, nonché di
parafulmini; e tutto questo sempre con la preoccupazione tipica del fisico di cercare di ricavare e
studiare le correlazioni esistenti tra i fenomeni più disparati, come quelle tra l’attività solare, le
correnti telluriche, il campo magnetico terrestre e le aurore boreali.
Per mettere in evidenza gli aspetti ora accennati citerò alcuni passi dell’opuscolo«L’Astronomia
in Roma nel Pontificato di Pio IX», che Padre Secchi pubblicò nel 1877, un anno prima della sua
morte.
Ecco quanto egli dice riguardo al passaggio dalla meteorologia statica a quella dinamica sotto
l’influenza del capitano Maury:
«Ma la meteorologia in questi ultimi anni è entrata in una fase novella; essa non si occupa solo
della climatologia, ma della fisica generale dell’atmosfera e delle correnti aeree e del giro delle
burrasche. Lo scrivente si trovava in America all’epoca delle grandi scoperte di Maury. Egli vide i suoi
metodi, e dalla sua bocca stessa raccolse le sue idee, e fu sua cura informarne al ritorno i suoi
compatrioti in una memoria inserita negli annali del Tortolini, Tom. 4. 1853. Circa il medesimo tempo
il Maury si recava in Europa, e a Bruxelles faceva una conferenza ove discutevasi un progetto di studi
generali sui movimenti dell’atmosfera. Gli Stati non concorrevano ancora ufficialmente, ma
progettavasi fin d’allora la coalizione telegrafica per lo studio delle burrasche. All’osservatorio del
Collegio Romano si prese parte attiva a questo studio, e nel 1856 si otteneva dal Governo Pontificio
l’istituzione di una comunicazione telegrafica quotidiana tra le principali città della Stato, Roma,
Ancona, Bologna, Ferrara, che continuò parecchi anni. Intanto il Leverrier veniva organizzando tra
varii Stati la corrispondenza meteorologica telegrafica internazionale, e noi non fummo lenti ad
aderirvi, e si cominciò fin dal 1857 a lavorarvi intorno. Ogni mattina si spediva a Parigi il telegramma
delle osservazioni fatte alle 7 antimeridiane colle altre informazioni richieste, e si continua anche
oggidì a spedirlo non solo a Parigi, ma a Firenze e Pietroburgo, oltre alla diffusione dei listini
meteorologici nei giornali come si disse §. II.
Le osservazioni raccolte dal Leverrier venivano poscia litografate e rinviate così
raccolte agli osservatorii. Fu su questi bullettini che all’osservatorio si studiarono da
principio le leggi delle burrasche. Avendo noi fatto costruire delle carte mute
d’Europa, su di esse si fecero tracciare dal giovane signor Serra-Carpi le curve
isobariche ed isotermiche, si riuscì a riconoscere la direzione ben definita che hanno in
generale le burrasche ben circoscritte di natura ciclonica, da N-W verso S-E e si
riconobbero queste linee di corso così marcate, che quando un «pozzo», ossia una
notabile depressione si presentava nella Scozia, essa generalmente veniva difilata
sull’Italia impiegando due o tre giorni ad arrivarvi: ma se essa erasi presentata più
alta o più bassa, Roma non sentiva che gli effetti indiretti dei suoi contorni. Questi
risultati forse contribuirono a fare che simili carte venissero poscia fatte costruire
sistematicamente e pubblicate a Parigi dal Leverrier, che con quei mezzi che possiede
22
Il meteorografo di Padre Angelo Secchi
23
una ricca nazione poté diffonderle, donde nacque la teoria dei preavvisi delle burrasche come
ora si usa» (p. 44).
E quanto alla correlazione tra i fenomeni:
«Durante tali ricerche meteorologiche riconoscemmo la grande importanza delle
osservazioni del magnetismo terrestre in relazione colle vicende atmosferiche. Un
magnetometro di declinazione era già stato eretto fin dal 1852 nella specola vecchia, che
fu trasportato quindi nella nuova, ma l’angustia del sito e la mancanza degli strumenti
complementarii non permettevano uno studio esatto di questo ramo di fisica. Cercammo
pertanto di compiere questa lacuna in Roma e in Italia tutta, ove allora non esisteva
nessun osservatorio magnetico completo» (p. 45).
Nell’elenco delle varie osservazioni magnetiche fatte al Collegio Romano, il Padre Secchi cita in
particolare:
«una lunga serie comparativa delle fluttuazioni magnetiche colle correnti che
hanno luogo in un filo telegrafico. Questo era esclusivo servizio dei Sacri Palazzi
apostolici tra Roma e Porto d’Anzio, e fu per tale scopo lasciato in libera disponibilità
all’osservatorio per molti anni» (p. 46).
Fu ancora lo studio delle correlazioni tra fenomeni vari che indusse il Padre Secchi a inventare il
suo «Meteorografo»:
«In una lunga discussione [di dati] spettante a parecchi anni fu dimostrata la
relazione che passa tra le burrasche e le perturbazioni magnetiche. Quest’ultima risultò
dal confronto delle curve meteorografiche con quelle degli strumenti magnetici. E in
verità lo studio completo tanto della meteorologia che del magnetismo non possono farsi
con le sole cifre: per molti problemi la costruzione delle curve diviene indispensabile. Fu
perciò che essendo noi riusciti ad inventare nel 1858 una sensibilissima forma di
Barometro grafico sul principio della bilancia pesatrice della pressione, cominciò fin
d’allora la costruzione delle curve su opportuna macchina, che poscia completata pel
resto costituì il meteorografo. I successi avuti da queste prime ricerche furono molto ben
ricevuti nella scienza e noi pubblicammo per varii anni al fine del Bull. Meteor. i risultati
in figure ridotte col Pantografo del PADRE Mancini. In conseguenza di ciò il S. Padre
ordinò che un meteorografo completo fosse costruito ed inviato all’esposizione generale
di Parigi nel 1867. Il successo suo fu superiore all’aspettazione e fu coronato l’inventore
di un gran premio e con medaglia d’oro di grande dimensione. [...] Essa [macchina] in
una faccia disegna le indicazioni della direzione del vento, dell’ora della pioggia, la
curva barometrica, quella della velocità del vento e del termografo metallico. Sopra un
secondo quadro nella seconda facciata dà in iscala più grande il barometro, il
termometro secco e il bagnato per il psicrometro, e l’ora della pioggia, e anche può dare
la quantità di essa. Molti risultati di questa macchina sono inseriti nelle Memorie e nel
Bullettino dell’Osservatorio mensilmente, quali sono i massimi e minimi barometrici, e la
velocità media, e oraria del vento. Ogni quadro contiene una decade e alla fine del mese
nello spazio di questo quadro che resta tra una curva meteorologica e l’altra, si
disegnano le tre curve delle variazioni magnetiche cioè del Declinometro, del Bifilare e
del Verticale. Avendo così su questi quadri a fronte i fenomeni meteorici e i magnetici è
stato facile rilevare se fra essi vi era relazione. E questa sorse immediata. Benché la
legge di relazione non sia semplice, si provò però che non accade burrasca grande che
24
non sia accompagnata da cambiamenti magnetici. Anzi questi possono benissimo servire
a prenunziare l’avviso della burrasca stessa. Sono ormai 18 anni che si osserva tale
coincidenza, onde non può dirsi esser essa cosa fortuita od accidentale» (p. 46-47).
Quanto all’utilità pratica della meteorologia, il Padre Secchi così prosegue:
«Se non che la scienza è vana se non è utile, e la meteorologia è fortunatamente
di quelle scienze da cui l’umanità può ricever grandi ed utili servigi. È vero che lo
scienziato non può impedire la formazione delle burrasche, né variare il regime delle
piogge, può però cogli avvisi prevenire molti danni delle tempeste e ciò non solo in
terra, ma molto più in mare: e i nostri avvisi delle lontane burrasche hanno più volte
impedito de’ disastri a Civitavecchia, e al litorale nostro. Inoltre le piogge sono un
elemento che è manifestamente collegato coi lavori agricoli, e le qualità delle
coltivazioni possibili in un dato clima; ma principalmente è legato col regime delle
fontane che in paesi come i circostanti di Roma interessano i bisogni di tutti. Su questo
il meteorologista può dare consigli non ispregevoli in moltissimi casi. Più volte perciò il
Santo Padre ordinò al Direttore di ispezionare alcune sorgenti per servizio delle
popolazioni e per dar consiglio sulle condutture e gli allacciamenti, onde non mettersi
in ispese che riuscissero poi inutili» (p. 48).
II Parte
Dal carteggio Secchi-Denza
Il Padre Francesco Denza, barnabita, già discepolo del Padre Secchi, era direttore
dell’osservatorio meteorologico del Reale Collegio Carlo Alberto di Moncalieri (Torino). Le citazioni
che seguono sono tutte prese da lettere di Padre Secchi a Padre Denza.
In risposta al Padre Denza che si rammaricava della scarsa pubblicità che veniva data ai lavori
del Padre Secchi:
29 febbraio 1864
La ringrazio dei suoi incoraggiamenti. ...... Poco importa del resto che i miei lavori
siano o no apprezzati; a me basta che non si possa dire che nel clero non si fa quanto si fa
dagli altri professori insegnanti. Le scoperte poi siano preterìte [trascurate, non pubblicate]
o no non me ne curo.
Il Padre Denza, che fu tra i primi in Italia a fare misure sistematiche dell’ozono nella bassa
atmosfera, chiese consiglio al Padre Secchi il quale gli rispose con molta umiltà:
17 novembre 1865
Credo anch’io che sia meglio fare le osservazioni ozonometriche di 6 in 6 ore, visto
l’incommodo da lei dimostrato. Ma io sono poco pratico di questa materia perché non ci vedo
ancora chiaro in questo benedetto ozono. .....
Sulla priorità del servizio meteorologico telegrafico:
9 marzo 1866
La è una gran questione quella di dire chi abbia pel primo indicato il servizio
meteorologico telegrafico. - Passioni senza fine si sono mescolate a questa semplice scoperta,
che poteva venire in mente a tutti. Se parliamo di un servizio momentaneo eccezionale, molti
possono avervi avuto merito - e credo che in America e in Inghilterra si sia fatto prima che in
Europa. A desiderarlo e proporlo molti più! In Italia e in Europa sono stato io, il primo, ad
25
Iscrizione rinvenuta su una parete durante il restauro della Biblioteca dell'UCEA
26
effettuarlo tra Roma, Bologna, Ferrara ed Ancona, ma altri l’avea già progettato. Ma queste idee,
chi e in quanti cervelli sono fiorite: meglio è che ognuno si faccia valere i suoi titoli e io non mi
scalderò molto perché ho documenti sicuri di quel che ho fatto; che cosa siasi fatto prima lo lascio
agli altri.
PADRE Secchi comunica al Padre Denza di aver trovato il modo di osservare
contemporaneamente lo spettro del sole e quello delle protuberanze:
14 agosto 1871
Ho fatto oggi una bella scoperta. Ho trovato il modo con cui vedere il sole e il suo
spettro simultaneamente con quello delle protuberanze in modo da poter misurare l’altezza di
queste, e la distanza del loro vertice dal lembo solare. Non le posso dire il come che sarebbe
troppo lunga cosa: è una fortunata combinazione di pezzi che posseggo.
Può dare notizia di questa scoperta nel suo prossimo bullettino, perché ho così
adempito il voto degli astronomi di poter vedere il sole insieme colle sue protuberanze.
Negli ultimi anni della sua vita, a causa della scomparsa dello Stato pontificio, il Padre Secchi
non fa mistero della sofferenza che gli procurano sia l’incertezza sulla sorte sua e su quella
dell’osservatorio, sia l’insorgere di manifestazioni anticlericali.
7 febbraio 1872
L’altra sera, durante l’aurora [boreale = cielo rosso a nord], un briccone da una delle
logge vicine gridava a squarcia gola con voce stentorea buzzurresca queste parole: «Ah
Secchi, Ah Secchi ! Guarda l’aurora boreale . È l’aurora boreale. È la commune di Parigi
che viene. Roma dovrà avere la commune!»
Ella vede che anche i buzzurri sono retrogradi abbastanza.
25 dicembre 1872
Ella può ben capire che nelle circostanze presenti io ho poca voglia di lavorare. Finora
lavoravo volentieri, ma adesso me ne sento svogliato oltre modo. Sarà questo un benefizio del
Signore per mettermi disgusto di queste cose, onde senta meno il dispiacere che mi minaccia?
Desidero quasi che sia così. Preghi per me .....
13 ottobre 1873
L’altro giorno, 9 a sera, abbiamo avuto un temporale orribile con scarica di acqua a
torrenti dalle 5,30 alle 7,30. Caddero 100 mm d’acqua, lampi e tuoni continui e molti fulmini
caduti.
I magneti si turbavano poco prima della burrasca; e con questa occasione ho
esaminato lo spettro del lampo. Il baleno dà lo spettro di 1° ordine dell’azoto. Il lampo dà
quello di 1° misto a quello di 2°.
In certe scariche si aveva una moltitudine di righe svariatissime, e brillarono quelle
dell’idrogeno.
.......... Qui stiamo aspettando di giorno in giorno la fatale sentenza di dispersione.
Preghi per noi.
13 giugno 1875
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PADRE S. Quest’anno pare che i temporali e le grandini siano molto vessatorie.
Anche a Grottaferrata e Frascati si ebbe nella settimana scorsa una grandine devastatrice
molto fiera. Fu il giorno in cui andò colà Garibaldi, e non mancarono i commenti!
Sulle osservazioni meteorologiche richieste ai Padri Passionisti di Monte Cavo sopra
Rocca di Papa
22 febbraio 1876
Da molto tempo si cercò di far fare a quei frati [passionisti] qualche osservazione
perché la stazione è molto importante. Cominciò a mia insinuazione un certo Padre SerraCorsi, che portò colà alcuni mediocri strumenti. Ma dopo pochi mesi di osservazioni il
Provinciale dei passionisti trovò che era una cosa distrattiva il fare tali osservazioni e per
rimediare al dissipamento spirituale di un buon frate che se ne occupava con amore, lo levò
di là e finì tutto.
Alcuni anni sono io cercai di nuovo di metterle su, ma fu inutile. Sarà circa due anni
che un buon priore assunse di fare le osservazioni pluviometriche e io gli feci pervenire il
pluviometro del Ministero. Ma che cosa abbiano fatto nol so dire perché mandavano al
Ministero di agricoltura certe liste che non mi parvero molto brillanti.
Due anni fa io cercai di impegnarli a fare qualche cosa di più completo, ma mi
risposero molto risolutamente dicendo che erano operazioni distrattive! Io non volli quindi
contribuire alla dissipazione dello spirito religioso!
Ma ecco che l’anno scorso viene a svegliarli un fulmine a ciel sereno. Si intima loro di
sgombrare la casa entro 15 giorni, e andarsene. Allora mi viene una ansiosa lettera del
curato di Rocca di Papa che mi prega di vedere di rimediare un poco alla intimazione
allegando che qui pure hanno un pluviometro a cui badare! E sono disposti a fare di più. Io
allora scrivo subito al Ministro del culto perché sospenda l’ostracismo, atteso che siamo in
trattativa dell’osservatorio. Il Ministro Vigliani a posta corrente mi risponde che il mio voto è
eseguito. Io allora vado dal generale dell’ordine per concertare le cose, e questo mi dà una
salata risposta, che se avessi comunicata al Ministro li avrebbe cacciati tutti su due piedi:
mille riserve, mille difficoltà: che non era roba per loro, che era un peso, che vedrebbero
ecc. Infine dopo 8 giorni viene il rescritto (?) altissimo che si sobbarcherebbero ... Io volo a
Monte Cavo, studio la posizione degli strumenti, li ordino a Parigi, e vado al Ministero per
trattare la loro permanenza definitiva in quel locale. Trovo tutti molto ben disposti. Intanto
essi trovano un altro appoggio, e io stesso li consiglio a valersene, e solo li prego a dirmi
quando avranno assicurato la loro sorte, perché io mandi gli strumenti, poiché non vorrei
mandarli senza esser sicuro che fossero impiegati.
Ha ricevuto risposta la Sig. Vostra? Tanta ne ho avuta io!
Questi frati adunque, spaventati, fecero mostra di fare qualche cosa. Ora che la paura è
passata, perché il principe Colonna, nel cui terreno è il convento e di cui sono tributari, forse
ha preso la loro protezione, non si curano più delle osservazioni e se io dessi loro gli
strumenti che tengo in pronto, non ne farebbero nulla.
Dico il vero la loro condotta mi ha stomacato, e io non me ne impegnerò più. Se Ella vi
riesce, ne la feliciterò. Solo la prego a far uso dei miei strumenti perché mi costano qualche
cosa.
Se vuole osservazioni sicure le pigli a Grottaferrata ove i monaci Basiliani le fanno
bene, e da oggi sarà servita. Le domandi pure a Padre Nilo di Gregorio che gliele manderà!
28
Padre mio qui non siamo nei paesi del Piemonte. Qui non si conosce nei frati che la
poltroneria, e perciò Iddio stanco di loro li ha fatti bastonare, ma poco li ha convertiti.
Hanno un egoismo e commodismo esagerato, e ciò ha fatto la comune rovina.
2 marzo 1876
Ella ha ragioni da vendere per dire che anche i religiosi devono occuparsi di ciò che
può essere utile alla società! Ma come farlo loro capire? Solo colla paura: se questa cessa
per altri titoli, tutto è finito. Così fu a Monte Cavo. .............
28 dicembre 1876
Il ritardo della spedizione [degli strumenti] è provenuto dai disturbi del Ministro dei
culti che aveva dato ordine di espulsione pei frati [passionisti] un’altra volta, e io ho dovuto
correre su e giù per salvarli. Spero che la casa e il locale tutto passerà al Ministero
dell’istruzione per lo studio di meteorologia, e come luogo monumentale pel tempio di Giove
Laziale.
Lettera ultima, senza data: vi si parla del pendolo Tunnel per le misure di gravità nella galleria del
Moncenisio
Abbiamo anche quello [pendolo] degli inglesi, ma è un macchinone niente
trasportabile, va a finire che ne faccio fare uno io! Se fossimo in tempo di pace non esiterei,
ma a questi lumi di luna, si figuri che proprio è a proposito! Basta, in qualche modo faremo.
Se pure non mi tocca prima a far fagotto, che allora addio pendolo tunnell e giocarelli. Se mi
cacciano vado diritto in America in California, non mica a cercar l’oro ma per trovare un
po’ di pace lasciando questa pazza e vecchia Europa.
Più sopra ho accennato al fatto che ai dispiaceri e allo stato di depressione che afflissero il Padre
Secchi negli ultimi anni della sua vita dovette contribuire anche l’atmosfera anticlericale da cui si vide
circondato dopo il 1870. Più tardi, nel 1891, proprio per confutare le accuse di oscurantismo che,
specialmente in Italia, massoni e anticlericali movevano contro la Chiesa, Leone XIII rifondò in
Vaticano la Specola Vaticana.
Per dare un’idea di quanto fosse diffuso in Italia questo spirito anticlericale, cito un episodio
raccontato dal Padre Bellino Carrara in un discorso he egli tenne a Padova nel 1903 in occasione del
venticinquesimo della morte del Padre Secchi:
«Stava di questi giorni elucubrando il meglio che per me si poteva, questo povero mio
lavoro d’elogio al PADRE Secchi, e mancandomi a casa ciò che all’uopo servir mi poteva,
feci ricorso qui alla vicina Biblioteca della R. Università di Padova. Fra le altre mi fu
gentilmente offerta la famosa opera del PADRE Secchi «l’Unità delle forze fisiche». Quel
prezioso libro era stato da parecchi per lo avanti richiesto in lettura. Ma fra i lettori vi fu, si
capì, il pretofobo, il quale, letto il libro, fu preso d’ammirazione per lo straordinario ingegno
dell’autore; ma, riconosciutolo sacerdote, l’astioso di lui animo la vinse sopra ogni
regolamento di pubblica biblioteca e sopra anche ogni buona regola di galateo, onde scrisse
sul frontispizio «Grande ingegno, peccato sia un prete». Il libro è là, ma la frase non è
purtroppo esclusiva ed originale di quel cattivello: essa è forse più comune che non si pensa.
La massima dei settari è, che il prete, dotto od ignorante che sia, deve essere sempre
denigrato. Calunniosamente si deplora e si piange sull’ignoranza dei preti; s’incontra poi il
prete dotto e scienziato, questo è un peccato! Colla logica degli anticlericali è impossibile
intenderci.»
29
Il necrologio di Padre Angelo Secchi su "L'Osservatore Romano del 28 febbraio 1878
30
Per quanto riguarda la sua tendenza a non contentarsi dei dati climatici ma a cercare la correlazione tra
i fenomeni:
- in particolare tra burrasche atmosferiche, variazioni del campo magnetico terrestre, e delle
correnti telluriche, metodi di previsione del percorso delle burrasche atmosferiche;
- relazioni tra l’attività solare e le aurore polari osservate contemporaneamente in vari luoghi
della terra, e le correnti telluriche;
- mettendo anche in evidenza i primati del Padre Secchi nel campo della ricerca meteorologica.
- Il merito del meteorografo sta non tanto nell’automatizzazione delle letture, ma nel fatto di
rispondere all’esigenza di poter vedere a colpo d’occhio le correlazioni tra i vari fenomeni meteorici.
31
Aspetti della formazione scientifica del giovane Fermi:
il ruolo di Filippo Eredia e dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e
Geodinamica
Giovanni Battimelli (Dipartimento di Fisica, Università “La Sapienza”, Roma)
In questo anno 2001 si sono tenute numerose iniziative volte a ricordare la figura e l’opera di
Enrico Fermi, a causa della ricorrenza del centesimo anniversario della sua nascita. Può peraltro
apparire strano che se ne parli in questa circostanza; certamente la celebrità di Fermi non è legata a suoi
particolari contributi all’ecologia agraria, né si può dire che, tra le istituzioni scientifiche con cui il
grande fisico ebbe modo di interagire nel corso della sua carriera, l’Ufficio di via del Caravita abbia
svolto un ruolo particolarmente significativo. Esiste tuttavia una ragione per cui parlare qui di Fermi
non è del tutto fuori luogo: per quanto si tratti di una connessione relativamente labile, legata ad alcuni
episodi giovanili dall’apparenza tutto sommato marginale, uno sguardo più attento a questa vicenda
permette di gettare ulteriore luce su una fase importante della formazione scientifica e culturale del
giovane Fermi, attraverso cui si possono comprendere meglio le radici di alcune caratteristiche del suo
rapporto con la fisica e delle sue peculiari qualità di ricercatore.
E’ un tratto distintivo di Fermi, sempre ricordato e giustamente enfatizzato nelle varie biografie,
quello di essere stato, in fisica e più in generale in campo scientifico, sostanzialmente un autodidatta. In
un’Italia in cui le nuove teorie prodotte oltralpe sulla struttura della materia alla scala microscopica
stentavano a penetrare ed erano praticamente sconosciute, Fermi si costruì da solo una solida
competenza in matematica e fisica studiando autonomamente queste materie. E’ noto che un ruolo
importante, nell’indirizzarlo verso questi studi e nel suggerirgli i testi da approfondire, fu svolto
dall’ingegnere Adolfo Amidei, un amico di famiglia che aveva evidentemente saputo riconoscere ed
apprezzare le eccezionali qualità del ragazzo. Un ruolo analogo fu certamente quello giocato dal suo
insegnante di fisica durante gli anni trascorsi al liceo Umberto (ora Pilo Albertelli); proprio negli anni
in cui Enrico Fermi (e con lui l’amico, e futuro collega Enrico Persico) transitò come studente per il
liceo, vi insegnò fisica il direttore della sezione presagi dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e
Geodinamica, Filippo Eredia. Le tracce dell’influenza esercitata da Eredia sulla formazione di Fermi
sono documentate grazie alla fortunata circostanza che Enrico Persico conservò sia la corrispondenza
scambiata con il compagno di studi durante quegli anni che gli appunti delle esercitazioni di laboratorio
che essi svolsero (probabilmente su iniziativa autonoma, ma certamente sostenuti dalle indicazioni e
dai consigli del loro insegnante) in quello stesso periodo, verso il termine dei loro studi liceali. Parte
della corrispondenza scambiata tra i due giovani è pubblicata in appendice alla biografia di Fermi
scritta da Emilio Segrè1. Egli ricorda come i due si dedicassero, negli ultimi anni di liceo, a misure di
precisione di cose come l’accelerazione di gravità a Roma, la densità dell’acqua marcia, il campo
magnetico terrestre. In particolare, intorno all’estate del 1917 i due amici costruirono un barometro ad
1 E. Segrè, Enrico Fermi, fisico, Zanichelli, Bologna 1971; la seconda edizione, del 1986,
contiene in appendice numerosi documenti inediti non riprodotti nella prima.
32
acqua e se ne servirono per effettuare misure dopo avere determinato le procedure per la calibrazione
dello strumento e calcolato con accuratezza i termini correttivi da apportare alle letture.
Il barometro era simile a un normale barometro di Torricelli, ma faceva uso di acqua anziché
di mercurio; la parte superiore del cannello (in genere vuoto) era sostituita da un recipiente
contenente dell’aria satura di vapor d’acqua. Questo strumento poteva perciò essere usato solo se si
misuravano con accuratezza sia l’altezza della colonna d’acqua, che la temperatura; la calibrazione
non era affatto semplice. I due ragazzi avevano calcolato una formula che permetteva di ottenere la
pressione in funzione della temperatura e dell’altezza della colonna d’acqua.1
Una menzione diretta di questa attività (e del ruolo attivo di consulente scientifico svolto da
Eredia) si trova nel seguente passo di una lettera inviata da Fermi a Persico verso il termine delle
vacanze estive:
Io vado tutte le mattine alla Vittorio Emanuele. Qualche giorno fa sono stato dal prof. Eredia
per fare graduare il barometro ma non l’ho ancora graduato perché, dietro consiglio del professore,
farò sette o otto letture che poi confronterò con le pressioni che si sono avute, in modo da ottenere una
media più esatta.2
Nelle carte di Enrico Persico sono ancora conservati alcuni fogli di appunti e alcune tabelle di
dati relativi a quelle osservazioni. Anche dalle poche tracce documentarie che ne sono rimaste, quello
che sorprende in questa attività dei due giovani non è tanto il fatto che si dilettassero in ricerche non
strettamente richieste dal curriculum scolastico, quanto il livello relativamente sofisticato
dell’attrezzatura sperimentale da essi realizzata e delle esperienze svolte con essa; i due futuri
professori di fisica teorica stavano acquisendo una confidenza con la manualità sperimentale e con la
pratica di laboratorio che, in particolare nel caso di Fermi, avrebbero poi costituito un tratto distintivo
della loro personalità scientifica matura. Certamente, il fatto che queste tabelle di dati e foglietti di
appunti, piuttosto insignificanti come valore scientifico intrinseco, siano stati gelosamente conservati
da Persico fino alla morte è un buon indicatore dell’importanza che soggettivamente i due ragazzi
attribuivano a quelle esperienze nel proprio percorso formativo di fisici in erba.
Nell’estate del 1918, terminati gli studi liceali, Fermi studiò intensamente per prepararsi agli
esami di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Un passaggio fondamentale nella sua
preparazione fu lo studio del trattato di fisica di O. D. Chwolson, professore dell’Università Imperiale
di San Pietroburgo, nell’edizione francese pubblicata, in nove volumi, tra il 1906 e il 1914. E’
verosimile che a Roma esistessero solamente due copie dell’opera; la prima, nella biblioteca
dell’Istituto di Fisica di via Panisperna diretto da Pietro Blaserna, era inaccessibile al giovane liceale,
ma una seconda copia si trovava (e si trova tuttora) nella biblioteca dell’Ufficio Centrale di
1 E. Segrè, op. cit. p. 247.
2 E. Fermi a E. Persico, 7 settembre 1917; la lettera è in E. Segrè, op. cit., p. 191.
33
Meteorologia e Geodinamica, e fu messa a disposizione di Fermi dal suo insegnante Eredia (non è da
escludere, anzi appare altamente probabile, che sia stato lo stesso Eredia, una volta saputo
dell’intenzione di Fermi di concorrere all’esame per la Normale, a suggerirgli di prepararsi sul testo
dello Chwolson). Fermi trascorse buona parte dell’estate nella sede dell’Ufficio in via del Caravita
immerso nella lettura dell’imponente trattato. Verso la metà di agosto scriveva in merito all’amico
Enrico Persico:
La lettura dello Chwolson procede rapidamente e prevedo che fra tre o quattro giorni sarà
finita; è uno studio che sono molto contento di aver fatto perché ha approfondito molto le cognizioni di
fisica che già avevo e mi ha insegnato molte cose di cui non avevo nemmeno un’idea. Con queste basi
credo che potrò concorrere a Pisa con una certa probabilità di riuscita…1
E’ un eccellente indicatore delle qualità del tutto particolari del giovane Fermi il fatto che sia
riuscito nel giro di un mese o poco più ad assimilare a fondo un trattato di quelle dimensioni (e che non
si sia trattato semplicemente di una lettura superficiale è ampiamente provato dal livello di competenza
nei più vari settori della fisica dimostrato da Fermi già nei mesi immediatamente successivi, a
cominciare dal celebre saggio sui caratteri distintivi del suono prodotto per l’ammissione alla
Normale). A parte la stazza considerevole, una caratteristica del trattato dello Chwolson è
l’accoppiamento di completezza e modernità; sono discussi esaurientemente, con un attento equilibrio
tra gli aspetti matematici e formali e la presentazione della fenomenologia rilevante, tutti i vari capitoli
canonici della fisica classica, ma a questo si accompagna (e la cosa non è usuale per un trattato di
quell’epoca) una singolare attenzione agli sviluppi più recenti, sia sul piano teorico che sperimentale.
Le “molte cose di cui non avevo nemmeno un’idea” sono con grande probabilità le basi della teoria
della relatività e delle recenti concezioni sulla struttura della materia che Fermi apprese dalla lettura
dello Chwolson, che segna quindi una tappa fondamentale della sua formazione scientifica. E va
ascritto a credito di Filippo Eredia l’aver intuito le potenzialità del suo giovane allievo, e averlo
indirizzato allo studio di un trattato così avanzato e così particolare. Del ruolo svolto dallo studio dello
Chwolson nel formare alcuni tratti distintivi del modo di fare fisica del Fermi maturo ha scritto Carlo
Bernardini:
Credo con gran convinzione che questo vecchio e sapiente librone di Chwolson racchiuda il
segreto della formazione del Fermi “fenomenologo”, che abbiamo imparato a conoscere attraverso le
sue ricerche e il suo peculiare modo di intuire le spiegazioni dei problemi: né assiomatico né
totalmente empirico, ma molto plausibilmente fondato su rappresentazioni mentali assai potenti dei
fenomeni… Nel vecchio Traité russo nulla è pregiudizialmente accantonato, di ciò che può aiutare a
capire: né le descrizioni accurate degli apparati né le sottigliezze della matematica avanzata
dell’epoca e nemmeno certe proposizioni suggestivamente sagge, da epistemologo divulgatore… Ed è
proprio questa profonda commistione di ogni argomento “buono per capire” che mi sembra
determinante nella formazione di Fermi come fenomenologo autodidatta.2
1 E. Fermi a E. Persico, 18 agosto 1918; la lettera è in E. Segrè, op. cit., p. 191.
2 C. Bernardini, “Fisico matematico o sperimentale?”, Lettera Matematica Pristem 39-40
(Marzo-Giugno 2001), pp.69-71.
34
Fermi sostenne le prove del concorso di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa
presso l’università di Roma, tra il 12 e il 15 novembre del 1918. E’ stato questo, almeno per quanto è
dato accertare dalla documentazione disponibile, il suo ultimo incontro con Filippo Eredia, che era uno
dei tre membri della commissione giudicatrice, presieduta da Giulio Pittarelli, professore a Roma di
Geometria descrittiva. Dai verbali dei lavori della commissione apprendiamo che la parte di fisica
dell’interrogazione di Fermi fu svolta essenzialmente dal suo professore di liceo; certamente la
memoria delle esperienze fatte col barometro poco più di un anno prima suggerì ad Eredia una parte
delle domande, e contribuì al brillante successo del candidato:
Il prof. Eredia interroga il candidato sui seguenti argomenti: formula caratteristica dei gas,
formula delle lenti, formule del prisma, correnti alternate – trasformatori, riduzione della pressione
barometrica a 0° e al mare, teoria della pila.1
Si comprende quindi come due almeno delle caratteristiche che unanimemente verranno
riconosciute dai colleghi e dai biografi al Fermi maturo prendano forma proprio nel corso di queste
vicende giovanili direttamente collegate all’influenza del professor Filippo Eredia e, per suo tramite,
dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica: la peculiare convivenza, in Fermi, di eccelse
capacità di teorico con spiccate attitudini sperimentali (al punto che egli viene sovente indicato come
l’ultimo esemplare di fisico ancora in grado di eccellere contemporaneamente nei due campi), e la
padronanza completa di tutti i settori della fisica, dalle regioni più avanzate della ricerca di frontiera ai
più tradizionali capitoli della fisica classica (e può essere interessante notare, per quest’ultimo aspetto,
che, oltre al corso di Fisica Teorica di cui era titolare, Fermi ebbe per quattro anni a via Panisperna, a
partire dall’anno accademico 1928-29, l’incarico dell’insegnamento di Fisica Terrestre).
Un ulteriore legame, sia pure molto indiretto, tra Fermi e l’UCEA può essere rintracciato
attraverso l’influenza scientifica da lui verosimilmente esercitata, come professore all’Istituto di via
Panisperna, sulla formazione di giovani studiosi che in seguito svilupparono la loro carriera scientifica
nei settori di competenza dell’Ufficio, e vi svolsero parte della propria attività. In un caso significativo,
questo legame è documentato: tra gli studenti che seguirono il corso di Fisica Teorica di Fermi intorno
alla metà degli anni Trenta c’era Ezio Rosini, che, laureatosi in Matematica e Fisica nel 1937, diede un
importante contributo allo sviluppo della climatologia italiana operando inizialmente presso il Servizio
Meteorologico dell’Aeronautica Militare, e a cui si deve un successivo impulso agli studi e alle attività
di agrometeorologia, in particolare negli anni in cui ricoprì la carica di direttore dell’UCEA, tra il 1970
e il 1979.2 Tuttavia, a parte queste influenze indirette, dopo l’incontro con Eredia in occasione
dell’esame di ammissione alla Normale di Pisa non ci sono più tracce di un rapporto successivo di
1 Parte dei verbali della commissione è riprodotta nella Appendice documentaria, curata da
Roberto Vergara Caffarelli,, del volume, a cura di S. D’Agostino e A. Rossi, Enrico Fermi e
l’Enciclopedia Italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2001. Il passo citato è a p. 167.
2 Devo le informazioni su Rosini alla cortesia della Dr.ssa Maria Carmen Beltrano dell’UCEA e
del direttore dell’Ufficio, Dr. Domenico Vento, che ringrazio per la segnalazione.
35
le misure termo - barometriche effettuate da Fermi e Persico in casa Persico nel mese di
settembre 1917
36
Fermi con l’ambiente scientifico che gravitava intorno a via del Caravita. Chi invece ebbe
ancora contatti con Filippo Eredia fu il suo compagno di studi liceali Enrico Persico, che, mentre Fermi
faceva i suoi studi universitari a Pisa, seguì il corso di laurea in fisica all’università di Roma. Qui
Eredia – che a Roma aveva ottenuto la libera docenza nel 1912 - tenne corsi liberi di Meteorologia
negli anni accademici dal 1913-14 al 1916-17 e poi nel 1920-21 e 1921-22. Persico frequentò uno di
questi ultimi due corsi tenuti dal suo ex professore di liceo, e prese accurati appunti che sono ancora
custoditi tra le sue carte personali. In quegli anni, Eredia – che si occupava, ricordiamo, di climatologia
e in particolare delle questioni legate alle previsioni atmosferiche - stava studiando le idee della
meteorologia dinamica sviluppate dalla scuola norvegese, che poi avrebbe contribuito a diffondere
negli ambienti scientifici italiani. Dello stato dell’arte nel campo delle previsioni del tempo troviamo
indicazione negli appunti presi da Persico durante le lezioni di Eredia:
Allo stato attuale della scienza si può indicare, due o tre giorni prima, la direzione e la forza
del vento in un luogo, con buona approssimazione e quasi assoluta certezza, e con una certa
probabilità si può prevedere lo stato del cielo e le precipitazioni. Presagi a lunga scadenza non
sembrano, per ora, possibili.1
Gli sviluppi successivi della meteorologia come scienza di previsione costituiscono
un’affascinante storia, nella quale né Fermi né Persico prenderanno parte. Un ruolo decisivo sarà
svolto, in questa vicenda, dalla possibilità, offerta dalle macchine calcolatrici a partire dalla fine della
seconda guerra mondiale, di effettuare in tempi rapidi calcoli altrimenti proibitivi e di simulare il
comportamento e l’evoluzione di modelli matematici della dinamica dell’atmosfera. Può essere allora
interessante ricordare, come nota di chiusura di queste osservazioni sul rapporto di Fermi con il mondo
della meteorologia, che un contributo determinante all’utilizzo del calcolatore come strumento di
simulazione è stato dato proprio da Fermi in uno dei suoi ultimi lavori, svolto in collaborazione con i
matematici J. Pasta e S. Ulam nel corso degli anni 1952-53, e pubblicato come rapporto interno dei
laboratori di Los Alamos solo nel maggio 1955 (dopo la scomparsa di Fermi).2 L’importanza di questo
lavoro è stata lungamente trascurata, fino ad essere rivalutata pienamente in tempi più recenti grazie
alla rinascita dell’interesse per il comportamento dei sistemi non lineari e all’utilizzo della simulazione
al computer come strumento chiave per lo studio e la comprensione di questi processi. Un ruolo
1 E. Persico, Appunti di Meteorologia dalle lezioni del prof. F. Eredia, 1921(?), Archivio
Persico, Dipartimento di Fisica, Università “La Sapienza”, Roma.
2 E. Fermi, J. Pasta, S. Ulam, “Studies of non Linear Problems”, Los Alamos Sci. Lab. Rep.
LA-1940 (1955), ripubblicato in E. Fermi, Note e Memorie (Collected Papers), vol. II, Accademia
Nazionale dei Lincei e University of Chicago Press, 1965.
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determinante per questa rinascita è stato svolto dal lavoro di un meteorologo, Edward Lorenz, che nel
1961 ha “lanciato” l’idea del caos deterministico; si può essere allora tentati di vedere nell’ultimo
lavoro di Fermi (che peraltro si occupa del comportamento su tempi lunghi di catene di oscillatori non
lineari, riprendendo con i nuovi mezzi offerti dai calcolatori un antico interesse per alcune questioni di
meccanica statistica, e che quindi nulla ha a che fare direttamente con la meteorologia) la possibilità di
istituire un collegamento, seppure indiretto, con gli sviluppi successivi , e, operando una piccola
forzatura, leggervi un lascito e un contributo involontario all’ambiente che aveva fatto da brodo di
coltura della sua prima formazione scientifica.
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Appendice
In occasione della celebrazione del 125° anniversario della fondazione dell'Ufficio Centrale di
Ecologia Agraria oltre ai dotti interventi programmati, sono state organizzate altre manifestazioni che
hanno completato la giornata.
Il Sig. Renzo Lay ha curato l'organizzazione e l'allestimento di una mostra iconografica
sull'attività scientifica svolta al Collegio Romano da alcuni componenti della Compagnia di Gesù, che
con i loro studi favorirono lo sviluppo delle conoscenze nel campo dell'astronomia e della geofisica in
Italia. In particolare la mostra è stata dedicata soprattutto all'attività di Padre Angelo Secchi, che ha
ricoperto un ruolo importantissimo nello sviluppo della meteorologia. Il materiale raccolto e sistemato
ha dato esito ad un lavoro pregevole per i contenuti e per la ricchezza iconografica. In particolare, ha
riscosso vivo interesse la presentazione dei posters sulla storia dell'attività astronomica svolta presso il
Collegio Romano dalla fondazione dell'Osservatorio al suo passaggio allo Stato Italiano.
Nell'occasione è stata anche allestita un'esposizione delle pubblicazioni e degli scritti di maggior
pregio appartenenti al patrimonio bibliografico dell'Ufficio, selezionate tra le tante che delineano le
tappe storiche dell'attività dell'Ufficio e testimoniano la permanenza e il passaggio di illustri
personaggi al Collegio Romano. Tra le molteplici opere, anche il " Traité de Physique di O. D.
Chwolson (cinque volumi, sette tomi), sul quale Enrico Fermi, nel 1918, approfondì le sue conoscenze,
preparandosi all'esame di ammissione alla Normale di Pisa. La Biblioteca dell’Ufficio Centrale di
Ecologia Agraria (UCEA) appare oggi come la maggiore delle raccolte italiane specializzate nelle
scienze dell’atmosfera e si configura come la principale memoria storica della tradizione
meteorologica e geofisica italiana dell’età moderna. Accanto a queste opere sono state presentate, per
gentile concessione della Biblioteca Nazionale e della Biblioteca Gregoriana, alcune opere di grande
interesse che attestano l'attività degli insigni personaggi cui è dedicata la giornata. Si ringraziano le
Istituzioni che hanno consentito di arricchire la documentazione esposta.
Infine una breve annotazione presenta il contesto storico e scientifico in cui nacque l'Ufficio
Centrale di Ecologia Agraria, accennando alla situazione dei servizi meteorologici e degli studi di
meteorologia agricola italiana negli anni che hanno immediatamente preceduto la costituzione
dell’Ufficio.
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Astronomia al Collegio Romano
George Coyne s.j.; Sabino Maffeo s.j.: L’Osservatorio del Collegio Romano. Gli astronomi
della Compagnia di Gesù fino alla soppressione della medesima. (Adattamento a cura di Renzo Lay)
L'Osservatorio del Collegio Romano. Gli astronomi della Compagnia di Gesù
Sin dai giorni della su fondazione, avvenuta per opera di Gregorio XIII, il Collegio Romano era
stato un luogo di profondi studi anche nel campo della matematica, della fisica e dell'astronomia.
Qui il p. Clavio scrisse i suoi tre volumi in difesa del calendario gregoriano e si adoperò, insieme
ai suoi confratelli, a confermare le scoperte sensazionali di Galileo e a convincere le autorità
ecclesiastiche della loro esattezza. Qui il p. Scheiner aveva osservato con diligenza instancabile le
macchie del Sole per scrivere la sua grande opera Rosa Ursina, adoperando per il suo cannocchiale la
montatura equatoriale usata per la prima volta dal p. Grienberger. Qui il p. De Cottignies osservò le
macchie su Giove e le grandi comete del 1664, 1665 e 1668.
Qui finalmente lavorò come insegnante rinomatissimo il p. Boscovich, che eseguì per la prima
volta in Italia una misura geodetica di un arco di due gradi, e portò a compimento l'opera iniziata dal p.
Lagrange, s.j., per la fondazione dell'osservatorio di Brera a Milano. Inventò il micrometro ad anello e
propose un esperimento assai importante per la ricerca sulla natura fisica della luce: esperimento,
eseguito più tardi con successo dall'Airy, che consiste nel misurare come varia il fenomeno
dell'aberrazione della luce quando si osservano le stelle con un telescopio pieno di acqua.
Nei primi due secoli non si poteva parlare di un vero osservatorio del Collegio Romano. I corpi e
i fenomeni celesti si osservavano dalle finestre e dalle logge meglio che si poteva. Ma naturalmente le
cose non riuscivano sempre secondo il desiderio e la necessità. Per esempio, la posizione della grande
cometa del 1744 era così sfavorevole che non la si poteva vedere dalle logge. Questo fatto suscitò nel
giovane Boscovich l'idea di erigere sul tetto della Chiesa di S. Ignazio, annessa al Collegio, un
osservatorio vero e proprio. Il progetto, però, benché approvato dal Papa Benedetto XIV non poté
essere eseguito a causa degli avvenimenti che si andavano profilando all'orizzonte, così fatali per
l'esistenza dell'ordine dei gesuiti. Boscovich però non si perdette d'animo: nel Museo Kircheriano egli
collocò un settore zenitale e un quadrante murale con un orologio a pendolo con cui poté fissare il
punto sud per la triangolazione dell'arco Roma - Rimini. Per questi lavori la sala bastava, anche se non
si poteva osservare il resto del cielo. Così questo luogo si può considerare come il primo inizio
dell'osservatorio del Collegio Romano.
L'Osservatorio passa al clero secolare
Dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, sancita dal Papa Clemente XIV nel 1773, gli
studi nel Collegio Romano furono affidati al clero secolare. Già nell'anno seguente, il 14 luglio 1774,
Clemente XIV, con un Motu proprio, ordinò la fondazione dell'Osservatorio Pontificio del Collegio
Romano. Il canonico Giuseppe Calandrelli, professore di astronomia fu nominato direttore; tuttavia
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La Torre Calandrelli ieri e oggi
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l'osservatorio rimase soltanto sulla carta. Finalmente nel 1786, per impulso del già vecchio Boscovich,
furono ripresi i suoi piani primitivi. Egli stesso promise di provvedere con mezzi propri per gli
strumenti, ma quando morì nell'anno seguente gli eredi non si ritennero legati a questa promessa. In
ogni modo il card. Zelada fece costruire a spese del Collegio una torre alta 125 piedi e comprò a sue
spese alcuni piccoli strumenti. Ma l'attrezzatura e la situazione finanziaria dell'osservatorio lasciavano
ancora molto a desiderare. Le cose migliorarono solo quando Papa Pio VII si interessò personalmente
dell'osservatorio: l'11 febbraio del 1804, il Papa vi si recò per ammirare una grande macchia solare.
Sotto l'impressione di questo evento straordinario promise un'attrezzatura adatta e una dotazione
adeguata per l'osservatorio. E mantenne la parola.
Quando nello stesso anno Pio VII andò a Parigi per incoronare Napoleone, approfittò
dell'occasione e acquistò per il suo osservatorio un cannocchiale acromatico e un buon orologio a
pendolo di Ponce. Più tardi acquistò ancora un buono strumento dei passaggi di Reichenbach (Monaco
di Baviera) e un orologio a pendolo compensato da Bréguet. Un altro orologio fu donato dal cardinale
Litta.
Con questi mezzi, per quanto ancora modesti, Calandrelli e il suo collega Andrea Conti, ai quali
si associò nel 1816 Giacomo Reichenbach, cominciarono i loro studi astronomici. Negli otto volumi
dei loro Opuscoli astronomici (1803-1824) descrivono osservazioni eseguite sul Sole, su pianeti e
comete e su occultazioni di stelle, triangolazioni in Roma e nei dintorni; fanno delle considerazioni
teoriche sull'aberrazione della luce; calcolano l'orbita di pianeti e di comete; danno delle tavole
particolareggiate della parallasse della luna; eseguono ricerche strumentali e fanno ancora regolari
osservazioni meteorologiche.
Il padre Angelo Secchi riconobbe che il valore del lavoro scientifico di questi dotti astronomi
sorpassava di molto la povertà dei mezzi di cui erano forniti. Ma tutto ciò non poté far dimenticare che
l'osservatorio non corrispondeva alle esigenze della scienza.
Tornano i Gesuiti
Nell'anno 1824 il Collegio Romano - chiamato in seguito anche "Università Gregoriana" - e
l'annessa Chiesa di S.Ignazio, furono restituiti alla ristabilita Compagnia di Gesù. Leone XII, con la
Lettera Apostolica Quod divina sapientia, dette in quell'anno un ordinamento allo studio delle scienze
nelle Università dello Stato della Chiesa. Furono anche date delle norme per i direttori degli
osservatori: essi devono osservare il cielo senza posa, compilare e pubblicare i bollettini. Devono
inoltre mettersi in corrispondenza con i più celebri astronomi, per essere così al corrente delle nuove
scoperte che dovranno essere esaminate e sfruttate per utilità degli studenti, per il bene non solo delle
scienze naturali, ma anche di quelle soprannaturali.
Riconsegnando il Collegio ai gesuiti il Papa desiderava che il benemerito Calandrelli rimanesse
alla direzione dell'osservatorio. Egli però preferì ritirarsi insieme ai colleghi e portò i suoi strumenti al
Collegio S. Apollinare, nuova sede del Seminario Romano, ma la morte improvvisa, nel 1827, pose
fine ai suoi piani scientifici.
P. Etienne Dumouchel (1824-1838)
Nuovo direttore dell'osservatorio del Collegio Romano fu nominato il padre Etienne Dumouchel,
che aveva ricevuto la sua istruzione scientifica al Politecnico di Parigi. Trovò l'osservatorio in uno stato
miserando: era stato privato dei migliori strumenti, la torre eretta nel 1787 era così poco stabile che non
vi si poté collocare neppure uno strumento mobile dei passaggi e meno ancora uno qualunque fisso. Il
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nuovo direttore non cessò di richiamare l'attenzione dei superiori sulla necessità di una nuova
costruzione e dell'acquisto degli strumenti indispensabili. Nel 1825 il Padre Fortis, Generale della
Compagnia di Gesù, donò all'osservatorio un cannocchiale di Cauchoix montato azimutalmente, un
capolavoro dell'ottica per quei tempi. Nel 1842 il padre Generale Roothaan procurò un circolo
meridiano di Ertel. Ma la torre malferma rimase in uso fino al 1850.
Nella storia dell'astronomia il padre Dumouchel è conosciuto per avere di nuovo scoperto la
cometa di Halley nel suo ritorno del 1835, scoperta che egli comunicò il 6 agosto all'editore delle
Astronomische Nachrichte, allora il periodico più diffuso del genere. L'onore di questa scoperta
appartiene però al suo giovane assistente padre De Vico il quale, in base alle determinazioni dell'orbita
della cometa disponibili dalle apparizioni precedenti, calcolò la posizione probabile e la inserì in una
carta del cielo. Si deve solo a questo aiuto e al lavoro instancabile dei collaboratori che presero parte
nella ricerca, se la grande cometa si poté osservare il 5 agosto 1835 col grande rifrattore di Cauchoix,
molto tempo prima che gli altri osservatori la potessero vedere.
De Vico continuò le sue osservazioni ancora fino all'aprile dell'anno seguente, e in base ad esse,
ne determinò l'orbita con maggiore precisione.
P. Francesco De Vico (1839-1848)
Negli ultimi anni il padre Dumouchel aveva già in gran parte lasciato la direzione
dell'osservatorio al suo competente collaboratore, padre De Vico, che nel 1839 fu nominato
ufficialmente direttore. Comincia così un'epoca nella quale l'osservatorio del Collegio Romano
acquisterà fama mondiale.
Le osservazioni del padre De Vico sui satelliti di Saturno, Mimas ed Enceladus, suscitarono
giustamente grande interesse, e in principio furono persino considerate come allucinazioni. E ciò si
capiva. Anche Herschel aveva potuto osservarli soltanto poche volte in condizioni favorevolissime, e il
padre De Vico, benché facesse le sue osservazioni con uno strumento tanto piccolo, ardiva di fissare
persino i periodi delle loro rivoluzioni. E' certo che De Vico fece uso di un piccolo artifizio: introdusse
cioè un piccolo dischetto opaco nel campo visivo dell'oculare in modo da coprire il pianeta il cui
splendore ostacolava l'osservazione dei satelliti vicini. Questi diventavano così visibili anche con
strumenti più piccoli, come il De Vico dimostrò ad alcuni colleghi a Parigi.
"Il padre De Vico calcolò una copiosa effemeride della cometa di Halley, accompagnata da una
carta, sulla quale era tracciata la via della cometa. Fu dovuto a questo lavoro, dice il p. Secchi, che gli
astronomi del Collegio ebbero la fortuna di rivedere la cometa per primi il 5 agosto 1835, molto
innanzi che potesse essere veduta negli altri osservatori" (Stein 1941, 12).
Gli anni 1844-1847 furono ricchi di comete, otto delle quali vennero scoperte al Collegio
Romano; a una di queste, con periodo di circa 67,5 anni, fu dato il nome del padre De Vico. La
scoperta delle prime sette fu riconosciuta ufficialmente e premiata dal re di Danimarca.
Il frate Bernardino Gambara, aiutante del padre De Vico come custode dell'osservatorio ed
osservatore meteorologico, ebbe grandi meriti in queste scoperte: con assidua costanza sorvegliava il
cielo col cercatore di comete, e, data l'eccellente conoscenza delle costellazioni che si era acquistata,
difficilmente si lasciava sfuggire uno di questi rari visitatori. Il padre De Vico fece anche
numerosissime osservazioni per la determinazione del periodo di rotazione di Venere, che però non
furono coronate da successo.
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Accanto a queste ed altre osservazioni occasionali, il padre De Vico aveva concepito il grandioso
disegno di compilare un catalogo del cielo settentrionale, che doveva contenere tutte le stelle fino
all'undicesima grandezza e doveva essere un mezzo per rendere più facile la scoperta di comete e di
nuovi pianeti. Cominciò la grande opera con alcuni suoi collaboratori. Aveva già osservato le zone fino
ad una distanza zenitale di 52° quando, per gli avvenimenti del 1848, dovette interrompere il lavoro.
L'ardito progetto non ebbe più seguito per la morte prematura del padre De Vico, avvenuta nello stesso
anno.
La rivoluzione del 1848 si rivolse particolarmente contro i gesuiti i quali, secondo il consiglio di
Papa Pio IX, si dispersero per qualche tempo in tutto il mondo. Anche il padre De Vico seguì i suoi
confratelli nell'esilio quantunque i nuovi dirigenti dello Stato Pontificio desiderassero che egli
rimanesse al suo posto. Per la sua fama e per i suoi meriti nel mondo scientifico, avrebbe anzi ricevuto
la nomina di Consigliere di Stato ma egli partì per Parigi e Londra, poi si recò negli Stati Uniti, in
quello che fu un vero viaggio trionfale, al punto che fu anche ricevuto dal Presidente. L'America gli
piacque tanto che decise di stabilirvisi. Ma prima tornò in Europa per cercare, tra i suoi confratelli
dispersi, dei collaboratori che potessero aiutarlo nel nuovo compito di direttore dell'osservatorio
astronomico del Collegio di Georgetown. Il suo fisico però, indebolito dalle fatiche del viaggio,
perdette ogni resistenza al punto che, colpito da una ribelle malattia di petto, il 15 novembre morì a
Londra a soli 43 anni.
P. Angelo Secchi (1850-1878)
Dopo la breve parentesi della Repubblica Romana, alla fine del 1849 i gesuiti, rientrati in Roma,
riaprirono l'osservatorio del Collegio Romano. Il padre De Vico morente aveva proposto come suo
successore nella direzione dell'osservatorio il giovane fisico e matematico padre Angelo Secchi, già suo
alunno, di cui aveva conosciuto ed apprezzato l'alta capacità e l'amore per questo genere di studi. I
superiori accettarono il suggerimento e nel 1850 assegnarono al p. Secchi la direzione dell'osservatorio.
Il nuovo direttore, che allora aveva 32 anni, si mise all'opera con energia. Ma anche i suoi piani
sarebbero falliti come quelli dei suoi predecessori se il suo assistente, il padre Rosa, con l'aiuto
dell'eredità paterna, non avesse acquistato un equatoriale di Merz di 24 cm. di apertura e 435 cm. di
distanza focale, strumento ottimo per quei tempi. Avuto il telescopio, fu necessario trovargli un posto
adatto. Il padre Secchi riprese l'antica idea del Boscovich, di trasferire l'osservatorio sopra la chiesa di
S. Ignazio e il padre generale Roothaan lo incoraggiò ad elaborarne il progetto. I robusti muri della
chiesa e quattro poderosi pilastri che, secondo il progetto originario dell'architetto della chiesa, mai
realizzato, dovevano portare una cupola con 17 metri di diametro, offrirono un fondamento che per un
osservatorio non si poteva desiderare migliore. Grazie all'energia del padre Secchi, all'aiuto dei
superiori dell'ordine e alla grandiosa munificenza del Papa, l'osservatorio fu eretto in un anno e Pio IX
volle che gli fosse riconfermato l'attributo Pontificio. Questo osservatorio, famoso per le scoperte del
padre Secchi, fu certamente più noto a tante generazioni di romani per un semplice ma pratico servizio
reso loro ogni giorno: quello di dare l'ora esatta. Infatti, Pio IX, dopo aver abolito, per suggerimento del
padre De Vico, la vecchia usanza del tempo "all'italiana", che consisteva nel fissare le ore 24 a
mezz'ora dopo il tramonto, stabilì che a mezzogiorno medio se ne desse avviso alla città con un colpo
di cannone dal Forte di Castel S. Angelo. L'osservatorio del Collegio Romano fu incaricato di darne il
segnale ogni giorno, con la caduta della famosa palla lungo un'asta issata sul tetto della chiesa di S.
Ignazio: usanza che fu a poco a poco imitata in altre capitali d'Europa.
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L’Osservatorio astronomico di Roma Collegio Romano, sulla chiesa di Sant’Ignazio in due
stampe d’epoca.
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Il padre Secchi, per la sua cultura scientifica e per le sue doti, era soprattutto un fisico, e soltanto
per il desiderio dei suoi superiori, che lo destinarono come successore del De Vico, si dedicò
all'astronomia, nella quale si rivelò poi così eminente. Osservò stelle doppie, nebulose, pianeti e
comete. Di queste ne scoperse tre negli anni 1852-1853. Studiò il magnetismo terrestre e la
meteorologia e curò una nuova misurazione della base trigonometrica sulla Via Appia. Accanto alle sue
grandi opere sul Sole, sulle stelle fisse e sull'unità delle forze fisiche, pubblicò nelle diverse riviste
scientifiche circa 730 piccoli trattati.
Aveva una particolare predilezione per il Sole, i cui molteplici problemi lo attirarono fino al
termine della sua vita. Quotidianamente osservò e notò il numero, il movimento e l'aspetto delle
macchie, ne disegnò le più interessanti stando al cannocchiale. Quando lo Janssen nel 1861 trovò nello
spettroscopio un mezzo per osservare le protuberanze del Sole anche senza un'eclisse, il padre Secchi si
mise subito su questa nuova via e ben presto trovò la connessione fra le protuberanze e le macchie
solari. I suoi magnifici disegni delle immense fiamme rosse d'idrogeno, che prorompono dalla
superficie solare in forme fantastiche e sempre cangianti, sono diventati classici nella letteratura
astronomica.
In seguito, seguendo l'esempio di Fraunhofer e di Respighi, diresse il suo spettroscopio verso le
stelle. Collocando un prisma circolare davanti all'obiettivo del rifrattore di Cauchoix, esaminò gli
spettri di più 4000 stelle, giungendo ad una scoperta la cui portata neppure egli stesso poté intuire.
Nonostante tutte le diversità degli spettri delle singole stelle, trovò molte rassomiglianze, in base alle
quali poté raggruppare le stelle, secondo i loro spettri, in quattro classi. per questa scoperta il padre
Secchi è considerato il padre della classificazione degli spettri stellari: questa infatti si è rivelata
strumento potentissimo per le ricerche sull'origine e la struttura dei sistemi stellari.
La vita del padre Secchi subì un brusco mutamento a seguito dell'occupazione di Roma nel 1870.
Nel 1873 il Collegio Romano con l'osservatorio furono espropriati e dichiarati proprietà dello Stato
Italiano, però, in seguito alle proteste del padre Secchi, l'Osservatorio, col suo personale, restò alla
Santa Sede. Il trattamento di riguardo fatto al p. Secchi non durò oltre la sua morte avvenuta il 26
febbraio 1878.1 Nel 1879, l'osservatorio del Collegio Romano, fu annesso al Reale Ufficio Centrale di
Meteorologia.
1 Non sembra esatta tale affermazione, dal momento che il Governo Italiano decise di erigere un
busto per commemorare la figura dell’illustre astronomo gesuita. A tutt’oggi si può ammirare tale busto
sul punto culminante del Pincio, nel luogo dove lo stesso p. Secchi volle apporre una “mira” per il suo
telescopio, affiggendo ad un albero dei tasselli bianchi e neri per mettere a punto il suo cannocchiale.
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Itinerario storico bibliografico
dell'Ufficio Centrale di Ecologia Agraria
Maria Carmen Beltrano, Stanislao Esposito, Luigi Iafrate
L’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria storicamente, si configura come il depositario principale
dell’eredità scientifica della tradizione meteorologica e geofisica italiana. Oltre che per le collezioni di
strumenti meteorologici e sismici storici, l’UCEA si distingue in tal senso per le pregevoli raccolte di
libri e periodici di meteorologia, geofisica e geologia possedute. Raccolte che sono gelosamente
custodite negli ambienti dell’Ufficio adibiti a Biblioteca.
La Biblioteca dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (UCEA) appare oggi come la maggiore
delle raccolte italiane specializzate nelle scienze dell’atmosfera e si configura come la principale
memoria storica della tradizione meteorologica e geofisica italiana dell’età moderna.
Le origini del suo fondo si fanno storicamente risalire agli anni immediatamente successivi
all’erezione, in seno al vasto complesso edilizio del Collegio Romano, della famosa Specola
cinquecentesca dei Padri Gesuiti (1572). La Biblioteca deriva infatti dalla raccolta di scienze della
Terra di quest’ultima, in seguito integrata dal fondo di meteorologia e geodinamica dell’Osservatorio
Meteorologico ivi impiantato, per merito dell’abate Giuseppe Calandrelli, nel 1782.
Ma perché le raccolte della Specola e dell’Osservatorio divenissero il nucleo dell’odierna
Biblioteca fu necessario tuttavia attendere la sistemazione, datata al 1879, del Regio Ufficio Centrale di
Meteorologia (decretato nel novembre del 1876, frutto dell’accentramento sotto un’unica direzione, dei
quattro differenti Servizi di Stato a quel tempo operanti nel settore della meteorologia) nell’ala del
Collegio Romano già sede dei locali dell’Osservatorio Meteorologico. La confluenza delle raccolte di
meteorologia e climatologia dei Servizi appena unificati nelle collezioni della Specola e
dell’Osservatorio ivi conservate segnò di fatto la nascita della Biblioteca di meteorologia e geofisica
dell’Ufficio Centrale di Ecologia Agraria. D’ora in avanti la sua storia verrà esattamente ad
identificarsi con quella dell’Ufficio di Meteorologia anzidetto, essendone l’UCEA l'erede ultimo.
Primo esempio italiano di ente governativo deputato alla centralizzazione dei Servizi tecnici di
meteorologia, l’Ufficio ha, dal 1887 e fino al 1939, altresì avuto la responsabilità del Servizio
geodinamico nazionale (Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica). Rilevanti furono in
quel periodo gli effetti sulla Biblioteca. l’incremento del fondo di sismologia, vulcanologia e geologia
della Biblioteca è stato considerevole. L’accrescimento del fondo di sismologia, vulcanologia e
geologia (quello ereditato dall’Osservatorio Meteorologico, per intenderci) si palesò difatti
considerevole. Ciò grazie alle diverse raccolte di libri e periodici che, dall’Italia e dall’estero,
continuamente vi pervenivano.
Nel frattempo, collezioni molto importanti di meteorologia (sinottica, dinamica, agraria),
climatologia ed aerologia, molte delle quali a carattere periodico, affluivano alla Biblioteca da ogni
parte del mondo, incrementando sempre più la sezione corrispondente.
E’ da rilevare come, poco alla volta, la Biblioteca si sia arricchita di libri antichi di pregio,
manoscritti originali (principalmente ottocenteschi), interessanti raccolte miscellanee, tra cui quelle
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ponderose per autore (oltre cinquanta) ed autorevoli lettere autografe di carattere scientifico (carteggi
del Tacchini e del Palazzo in particolare); nonché di un fondo speciale costituito dalle pubblicazioni
periodiche dell’Ufficio Centrale di Meteorologia stesso.
Degno di nota è come alla vigilia del primo conflitto mondiale la Biblioteca presentasse già una
configurazione molto prossima all’attuale. Ben fecondo si era in effetti rivelato l’interessamento dei
primi direttori dell’UCEA (e quindi della Biblioteca stessa), Pietro Tacchini (1838-1905) e Luigi
Palazzo (1861-1933), per siffatta istituzione. Acquisti, scambi con istituzioni meteorologiche e
geofisiche tra le più prestigiose (al livello soprattutto internazionale), e lasciti di studiosi risultano
essere i canali di cui si sarebbero entrambi avvalsi per aumentarne mano a mano la consistenza.
Con il passaggio del Servizio Geodinamico alle dipendenze dell’Istituto Nazionale di Geofisica
(ING), decretato nel gennaio del 1939 e istituito nel 1936, anche la corrispondente sezione della
Biblioteca, fondo di geologia compreso, dovette essere in parte ceduta al nuovo ente. Va comunque
evidenziato che, nonostante la cessione di parte delle sue collezioni all’Istituto Nazionale di Geofisica
(art. 2 e 6 della Legge 5 gennaio 1939, n° 18), la Sezione di geofisica e geodinamica endogena della
Biblioteca dell’UCEA possiede ancora libri e periodici di sismologia, vulcanologia e geologia di valore
storico e scientifico elevato.
Lo smembramento bibliografico che seguì con l’indirizzarsi, dagli anni Quaranta in poi,
dell’Ufficio verso gli studi e le attività di agrometeorologia, impresse alla Biblioteca in parola il
carattere di raccolta specializzata nelle sole scienze dell’Atmosfera ed in agrometeorologia. Una
specializzazione destinata sempre più a consolidarsi in avvenire, cosicché la Biblioteca dell’UCEA
appare oggi come la maggiore del genere in Italia, oltre che una delle più prestigiose al livello
mondiale per la Storia della meteorologia stessa (fig. 1). Di qui la recente definizione di Biblioteca
Centrale della Meteorologia Italiana1.
E’ da rilevare come, poco alla volta, la Biblioteca si sia arricchita di libri antichi di pregio, tra
cui cinquecentine e seicentine, manoscritti originali (principalmente ottocenteschi), interessanti raccolte
miscellanee, tra cui quelle ponderose per autore (oltre cinquanta) ed autorevoli lettere autografe di
carattere scientifico (carteggi del Tacchini e del Palazzo in particolare); nonché di un fondo speciale
costituito dalle pubblicazioni periodiche dell’Ufficio di Meteorologia stesso, vale a dire i suoi Annali2,
il Bollettino Meteorico Giornaliero e relativo Supplemento e la Rivista Meteorico-Agraria (fascicoli
decadici).
I testi della Biblioteca sono attualmente in fase di recupero, riordino e catalogazione
informatizzata.
1Cfr. L. Iafrate, Il Mistero del tempo e del clima (a cura di S. Palmieri), Napoli, CUEN, 2000,
p. 212.
2 Continuazione dal 1879 della Meteorologia Italiana, gli Annali del Regio Ufficio Centrale di
Meteorologia e Geodinamica (Geofisica dal 1923) appaiono divisi in tre parti, di cui la prima,
descrittiva, contiene i lavori di meteorologi e geofisici di chiara fama.
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La Biblioteca dell’Ucea
Foto G. Dal Monte
Frontespizi del Bollettino del Vulcanismo Italiano e di una Cinquecentina sul Terremoto
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Verso un ufficio meteorologico centrale anche in Italia?
(Dai primi fermenti organizzativi alla sua istituzione governativa: Regio Decreto
n° 3534 del 26 novembre 1876)
Luigi Iafrate - Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (Collaboratore esterno)
La storia che segue nasce dal proposito di illustrare i momenti e gli aspetti più significativi della
costituzione del primo ente di Stato per il coordinamento della meteorologia in Italia, il Servizio
meteorologico centrale del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, alla luce di un approccio il
più possibile critico.
Non diversamente dagli altri Stati, l’Italia della prima metà dell’Ottocento vedeva le
osservazioni e gli studi di meteorologia ancora appannaggio degli osservatori astronomici. Realizzate
nella più completa autonomia, tali misure ed indagini apparivano per lo più circoscritte ai parametri
utili all’astronomo per la determinazione delle altezze degli astri, quali la temperatura, la pressione ed il
vento, al fine di spogliarle dell’effetto della rifrazione atmosferica. Agli astronomi, infatti, la
meteorologia interessava essenzialmente per le possibili applicazioni ai loro studi, per cui si limitavano
alle sole osservazioni di pertinenza. In altri termini, vedevano nella scienza dei fenomeni atmosferici
una disciplina collaterale, o di supporto, alla propria. Di qui la necessità di istituire osservatori per soli
scopi meteorologici, deputati semplicemente allo studio dei fenomeni atmosferici. Soltanto così
l’atmosfera sarebbe stata regolarmente indagata in tutte le sue manifestazioni, e queste in tutta la loro
estensione. Avvertita dagli stessi astronomi, se non altro dai più sensibili al problema, tra cui il celebre
Francesco Carlini (Osservatorio di Brera), quest’esigenza incominciò, tra gli anni ’20 e ’30 del XIX
secolo, ad essere finalmente soddisfatta, sebbene tra non poche difficoltà.
Ma perché simili osservatori, con le loro misure giornaliere, giovassero all’avanzamento della
meteorologia in senso rigorosamente scientifico, tale da recare al consorzio umano una qualche utilità,
occorreva istituire un ente che ne curasse l’ordinamento in rete e si ponesse alla loro guida. Il
Congresso degli scienziati italiani del 1839 (Pisa), il primo di una lunga serie, si rivelò l’occasione
propizia per richiamare l’attenzione dei fisici al riguardo. L’idea di dare un assetto centralizzato e
coordinato alle varie iniziative meteorologiche esistenti parve loro quanto mai opportuna, e pertanto nei
congressi successivi, in quelli di Padova, Lucca, Milano e Napoli in special modo, ignorando ogni
divisione politica interna, si procedette alla definizione di un adeguato programma di coordinamento
per l’intero territorio. Il Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze era designato a centro comune di
raccolta e di ordinamento delle osservazioni meteorologiche del Paese.
Di grande attualità, l’iniziativa appare riconducibile al clima più generale di risveglio economico
e culturale sperimentato in Italia, sia pure in misura modesta, a quel tempo. La mancanza negl’italiani
di una coscienza meteorologica moderna e le note vicissitudini storiche del periodo impediranno
tuttavia al piano di tradursi felicemente in atto; cosicché gli osservatori continuarono, di fatto, ad
operare in modo del tutto indipendente fra loro.
Se la costituzione di una siffatta organizzazione era dunque risultata impossibile, non
mancarono però altri sforzi in tal senso, sebbene su scala più ridotta (regionale). Tra questi era quello
del p. Angelo Secchi (1818-1878), una delle personalità scientifiche maggiori dell’Ottocento. Al suo
nome è addirittura legato il primo esempio italiano di servizio meteorologico di moderna concezione.
Assunta la direzione dell’osservatorio astronomico e meteorologico del Collegio Romano (1850), egli,
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con l'autorizzazione del ministro del Commercio dell’allora Stato Pontificio, attuò un piano coordinato
di osservazioni giornaliere sincrone all’interno stesso del territorio della Chiesa. A Roma (Collegio
Romano), Ancona, Bologna, Ferrara, Pesaro, Perugia e Urbino erano le stazioni principali. Provviste di
telegrafo, le prime tre si scambiavano ogni giorno i dati allo scopo di trarne indizi utili per la previsione
delle tempeste in loco. Il loro compito era, infatti, quello di prevederne, per quanto possibile, il
passaggio sulla vicina area costiera, una volta nota l’evoluzione più probabile, così come estrapolata
dal Secchi a partire dall’andamento della pressione e della temperatura in Europa. Tutto ciò al fine di
allertare le autorità portuali e prevenire quindi i possibili danni alla navigazione. Operativa sin dal 20
giugno 1855, la corrispondenza telegrafica pontificia entrò nel 1857 a far parte di un’organizzazione
per la previsione delle tempeste di ben più ampio respiro: il servizio meteorologico internazionale, con
sede a Parigi, creato da Urbain Jean Joseph Le Verrier (1811-1877), astronomo e meteorologo francese
di chiara fama. Per “circostanze affatto indipendenti dalla scienza” (cfr. Denza, 1883, p. 416), il suo
periodo di attività fu però breve. Mi preme, per amor di verità, soggiungere che a suggerire al p. Secchi
l’idea di una tale organizzazione sarebbe stata l’astronoma e meteorologa Caterina Fabbri-Scarpellini
(1808-1873) della specola del Campidoglio (cfr. op. cit., p. 416).
Al nome di Angelo Secchi è inoltre legata la pubblicazione del Bullettino Meteorologico
dell’Osservatorio del Collegio Romano (1862-1879), periodico destinato a rendere di pubblico dominio
i risultati delle osservazioni e gli studi di meteorologia e fisica terrestre.
L’iniziativa romana fu di lì a breve seguita da un’altra parimenti importante. Di carattere
privato, questa era però concepita per soli fini di climatologia. Suo artefice era un discepolo provetto
del Secchi, il barnabita padre Francesco Denza.(1834-1894). Dopo aver impiantato un osservatorio
meteorologico in Moncalieri, al Collegio Carlo Alberto (1859), egli si era dato pena di associare quanti
in Italia, separatamente, si interessavano ai rilevamenti di meteorologia, nell’intento di coordinarne, dal
punto di vista operativo, gli sforzi; contribuendo così ad agevolare l’opera di “ordinamento ufficiale”
della meteorologia stessa (cfr. op. cit., p. 435). Non pochi erano gli studiosi del settore che, entusiasti
dell’iniziativa, dovevano raccogliersi intorno a lui! Il risultato fu la creazione di una fitta rete di
stazioni, estesa da un capo all’altro della Penisola, vale a dire dalla chiostra delle Alpi alle nostre isole
maggiori di Sicilia e Sardegna (ben 140 era il loro numero nel 1879). All’impianto delle stazioni di
montagna molto concorse la collaborazione del Club Alpino Italiano (CAI), con le sue sezioni locali.
Nota, dal 1873, come Corrispondenza Meteorologica Italiana delle Alpi e degli Appennini, la rete del
Denza recava in sé il germe della futura Società Meteorologica Italiana (1882).
Anche la Corrispondenza aveva un suo periodico specializzato: il Bullettino Meteorologico
dell’Osservatorio del Real Collegio Carlo Alberto in Moncalieri (1865-1880).
È a questo punto evidente che, in Italia, sforzi organizzativi nel settore della meteorologia erano
stati intrapresi ancor prima della sua unificazione politica, con risultati in generale stimolanti.
La necessità di adeguare le osservazioni meteorologiche a standard comuni (adozione di
strumenti e modalità di rilevamento uniformi), da tempo avvertita negli ambienti scientifici, finì, con
l’unità d’Italia, per imporsi anche all’attenzione dei politici, e, cosa molto importante, come una delle
questioni più urgenti da risolvere. Compresa l’utilità che la scienza meteorologica avrebbe recato al
progresso della Nazione, attraverso i suoi principali obiettivi, quali, in particolare, la definizione dei
caratteri climatici del Paese e la previsione del tempo, il nascente governo italiano si mise all’opera per
dare alle osservazioni anzidette assetto unitario ed un ordinamento istituzionale centralizzato.
La costituzione, in seno all’allora Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, di una
prima organizzazione meteorologica ufficiale rappresentò il primo passo concreto in tal senso. A
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promuoverla era il capo stesso del dicastero, il senatore Luigi Torelli (1810-1887), con circolare del 14
gennaio 1865.
“Prezioso è il concorso che l’Italia potrebbe rendere alla migliore intelligenza della fisica
terrestre, quando essa, ad imitazione di ciò che già compiesi in alcuni dei primari Stati d’Europa,
avesse ad istituire numerosi osservatorii meteorologici in punti opportunamente trascelti e
coordinati, che mediante il telegrafo facessero quasi istantaneamente convergere ad un centro i
risultamenti delle loro indagini. Né v’è contrada che per la sua giacitura e per la sua conformazione
meglio dell’Italia si presti ai diversi fini cui mira la meteorologia. Un paese infatti, che, come il nostro,
si distende per oltre 11 gradi di latitudine, circondato da tre mari, fiancheggiato da numerosi gruppi
d’isole, assai variamente atteggiato per rilievo e per direzione di monti, per corso d’acque, per natura
di suolo e vegetazione, con terre che sono da un lato aperte alle correnti infuocate dell’Africa e
dall’altro lato difese per mezzo dell’immensa muraglia delle Alpi dalle correnti nordiche, dove
percorse per lungo tratto dagli Appennini che partono le correnti orientali dalle occidentali, dove
spianate in una gran valle corsa da uno dei maggiori fiumi dell’Europa ed ingemmata di tiepidi laghi,
che nella plaga alpina anticipano la temperia meridionale, è per la sua varietà più atto ad osservare
le feconde contraddizioni […] di cielo e di clima ”.
Ritratto molto poetico dei lineamenti climatici della Penisola, la citazione che precede non è che
la parte introduttiva della circolare menzionata. Nelle considerazioni del ministro sull’opportunità di
istituire una moderna rete di osservatori anche in Italia, sull’esempio delle nazioni europee più evolute,
quali il Regno Unito, la Francia, il Belgio l’Austria e la Germania, appare, in sintesi, racchiuso il
disegno di un primo servizio meteorologico governativo per il Paese. I suoi compiti dovevano essere la
caratterizzazione meteo-climatica, su base scientifica, della Penisola e la formulazione di presagi (oggi
previsioni) circa l’evoluzione del tempo, specie all’approssimarsi dei grandi sistemi perturbati, “non
foss’altro” per “rendere”, si legge nella circolare, “utili servizi” a settori della vita del Paese quali
l’agricoltura e la navigazione marittima, oltre che agli studi demografici e l’igiene pubblica.
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…….“ i dati meteorologici rilevati presso l’Ufficio Centrale Meteorologico venivano pubblicati
sulla Gazzetta Ufficiale”…..
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Al ministro doveva essere chiaro, così come il testo della circolare dà a intendere, che
conoscenze via via più approfondite del clima italiano avrebbero trovato applicazioni utili, oltre che in
ambito agricolo e nei trasporti marittimi, anche in campo medico, particolarmente nell’igiene, e nella
statistica demografica, e che fondate previsioni di tempesta avrebbero, se diramate in tempo, anch’esse
giovato all’agricoltura ed alla “marina mercantile” (cfr. Circolare), preservando da non pochi danni
soprattutto quest’ultima. Concepito per soddisfare esigenze sia di climatologia che di previsione, tale
servizio era, nel disegno del Torelli, da porre alle dirette dipendenze del suo dicastero, che era deputato
all’amministrazione di attività, quali l’agricoltura, l’industria ed il commercio, direttamente influenzate
dai fenomeni dell’atmosfera.
Da quanto esposto si può affermare che il ministro Torelli, da uomo di grande intelletto e
cultura qual era, doveva avere molto a cuore l’organizzazione, per il Paese, di un servizio
meteorologico ufficiale, completo e con ordinamento centralizzato. A giudicare dallo stralcio di
circolare citato, la creazione di una rete meteo adeguata doveva apparire all’uomo di Stato come il
primo grande passo da compiere, sebbene non mancasse in lui la consapevolezza dell’impossibilità di
riuscirvi, data la scarsa dotazione di bilancio del suo dicastero. Non pochi, del resto, erano i problemi
impellenti, tra cui quelli legati alla lotta contro la malaria, che il ministro Torelli doveva affrontare,
cosicché spese per l’impianto di nuovi osservatori non erano in quel momento sostenibili. La soluzione
migliore da adottare, gli parve, allora, quella di ricorrere a studiosi del settore già impegnati nelle
attività di rilevamento, nella prospettiva di coordinarne l'operato attraverso un ufficio centrale, da
costituire presso la Direzione di Statistica del ministero: di qui l’idea ispiratrice della circolare in
parola.
Egli si servì della circolare per esortarli, tutti, ad inviare presso tale direzione i dati giornalieri
delle osservazioni raccolte; per posta, al termine di ciascuna decade, oltre che via telegrafo qualora
rilevati in condizioni di tempo particolarmente perturbato (tempeste o burrasche). Compito della
Direzione di Statistica era quello di provvedere all’elaborazione (lavoro di correzione e riduzione) e
confronto delle misure, alla pubblicazione, in quadri decadici e mensili, dei risultati ("Meteorologia
Italiana"), alla formulazione, infine, di “pronostici” sul tempo in caso di possibili tempeste, sulla base
anche dei presagi degli “osservatori esteri”.
“Gli immediati raffronti” delle condizioni atmosferiche di “molti e discosti punti”, che si
sarebbero fatti per fini di climatologia e meteorologia prognostica, avrebbero giovato alla scienza
meteorologica “assai più dei voluminosi registri d’osservazioni” pubblicati dalle singole specole (cfr.
Circolare).
Ventuno furono gli studiosi, tutti a capo di proprie stazioni (cfr. Palazzo, p.5, 1911), che fin da
principio, con “prontezza” e “diligenza”, come scrisse il Torelli (da Denza, p. 419), aderirono a
quest’iniziativa. Ne conseguì che a meno di due mesi dall’emanazione della circolare, dal 1° marzo per
la precisione, questo primo Servizio meteorologico ufficiale era già regolarmente operativo.
Alla guida della Direzione di Statistica era allora il pubblicista Pietro Maestri, noto in ambito
meteorologico per essere stato il braccio destro del ministro nell’organizzazione del Servizio; mentre a
dirigere quest’ultimo era Giovanni Cantoni (1818-1897), scienziato ed uomo politico ad un tempo.
Docente di fisica all’università di Pavia, Cantoni stabilì la sede operativa del Servizio presso
l’osservatorio stesso dell’ateneo; era lì che, mediante l’uso di calcolatori, si elaboravano i dati delle
osservazioni trasmesse.
Circa l’attività di rilevamento, essa doveva svolgersi conformemente alle norme proposte dal
meteorologo tedesco Heinrich Wilhelm Dove (1803-1879). Tre erano le ore designate per le
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osservazioni ordinarie, le 9 del mattino, le 3 del pomeriggio e le 9 della sera. Nella Circolare si
raccomandava vivamente l’uso di strumenti omogenei e “comparati tra loro”. Un'organizzazione così
strutturata non aveva nulla da invidiare ai servizi meteorologici centrali degli altri stati.
Ma l’idea che un tale servizio facesse capo al solo dicastero dell’Agricoltura non incontrò il
favore dell’altro organo di governo a quel tempo impegnato nella costituzione di una struttura analoga,
il Ministero della Marina. Così, con R. Decreto n° 2235 del 9 aprile 1865, questo avocò a sé il diritto di
gestire il settore del Servizio meteorologico dell’Agricoltura che più gli interessava: la sezione dei
cosiddetti “presagi”. Ciò prima ancora che il dicastero dell’Agricoltura espletasse le “pratiche di
franchigia” (cfr. Circolare Torelli) necessarie per porla in funzione (franchigia per l’utilizzo del
telegrafo) e formalizzasse con decreto l’istituzione del Servizio stesso.
Interessato alle previsioni del tempo in mare, difatti, il Ministero della Marina, aveva, l’anno
precedente, incaricato il fisico Carlo Matteucci (1811-1868), all’epoca ispettore generale dei telegrafi,
di organizzare un servizio telegrafico per l’accentramento dei dati meteo rilevati presso le Capitanerie e
la successiva diramazione degli avvisi di tempesta ai porti italiani (i principali, s’intende). La struttura
del dicastero della Marina ufficialmente istituita nel 1865, o Servizio meteorologico telegrafico1, era
stata opportunamente concepita per le previsioni del tempo, segnatamente delle tempeste, ad uso dei
naviganti. Sebbene il Servizio fosse in principio strutturato in maniera rudimentale, esso riuscì fin
d’allora ad acquisire elementi prognostici utili sulla dinamica delle perturbazioni nei cieli della
Penisola. A formulare le previsioni era l'ufficio centrale del Servizio, la cui sede era a Firenze presso
l’Osservatorio del Museo di Fisica e Storia Naturale, sulla base delle osservazioni della rete della
Marina e dei presagi a carattere internazionale di Londra e Parigi. A fruirne erano tutte le stazioni di
prima classe (ubicate nei porti principali del Regno) e le più importanti di seconda. Il Servizio
incominciò a funzionare regolarmente il primo aprile del 1866, a quasi un anno dalla sua istituzione. A
dirigerlo venne chiamata la persona stessa che ne aveva curata l’organizzazione, Carlo Matteucci (fig.
I).
L'istituzione di un servizio per i “presagi” presso il Ministero della Marina ebbe ripercussioni
negative sul nascente organismo meteorologico dell’Agricoltura, limitando le competenze del Servizio
alla sola climatologia e precludendo la sua organizzazione in servizio unitario.
È evidente come, in Italia, la gestione della meteorologia di Stato sia stata fortemente settoriale
fin da principio. Al dualismo organizzativo degl’inizi si fanno storicamente risalire le origini
dell’attuale suo frazionamento in servizi indipendenti.
Un’altra rete di stazioni meteorologiche, pluviometriche per l'esattezza, era l'anno dopo
impiantata anche dal Ministero dei Lavori Pubblici, nelle valli e nei bacini idrografici maggiori, allo
scopo di studiare le precipitazioni e l'idrografia della Penisola. Ciò nell’interesse di provvedere ad un
servizio di preavviso delle piene.
Operativa a quel tempo era anche una quarta rete governativa, composta dagli osservatori
meteorologici annessi agl'istituti universitari e d'istruzione secondaria; questa faceva capo ad un altro
dicastero ancora, il ministero della Pubblica Istruzione (allora dell’Istruzione Pubblica).
Agli inizi del 1870 erano dunque quattro le istituzioni meteorologiche governative cui
osservatori e stazioni facevano capo, ciascuna con modalità e tempi di rilevamento propri.
1Era questa, all’epoca, la sua denominazione corrente.
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Il Congresso degli scienziati italiani del 1875, tenutosi nel capoluogo siciliano, offrì al governo
l’occasione di convocare, in seno alla sessione di scienze fisiche e matematiche, dal 30 agosto al 6
settembre, i più insigni meteorologi del Paese (commissione presieduta da Giovanni Cantoni), con
l’incarico formale di predisporre un piano organico di gestione unificata delle quattro organizzazioni
governative del settore. Nell'evidenziare la necessità di dare alle osservazioni ed agli studi di
meteorologia un indirizzo unitario, gli scienziati dell’atmosfera esortarono gli operatori delle stazioni
della Marina e dei Lavori Pubblici, nonché della Pubblica Istruzione, ad uniformarsi al “programma”
di rilevamento adottato dal Servizio di meteorologia del ministero dell'Agricoltura (cfr. Palazzo, p.11),
il quale, precedendo analoghe istituzioni straniere, aveva nel frattempo intrapreso anche osservazioni di
carattere agrometeorologico (presso le nascenti stazioni agrarie sperimentali di Asti, Milano, Firenze,
Pesaro, Roma, Caserta e Gattinara, in particolare). Ma il contributo concreto all’unificazione dei
Servizi doveva venire da quel Cantoni più volte nominato. Merito soprattutto suo fu lo storico
accentramento delle organizzazioni di meteorologia della Marina, dei Lavori Pubblici e della Pubblica
Istruzione sotto la direzione del Servizio meteorologico del dicastero dell’Agricoltura1, in quanto unico
servizio italiano che operativamente soddisfaceva agli standard di lavoro adottati dal primo Congresso
meteorologico internazionale (Vienna, 1873).
Lo sforzo del Cantoni -a quel tempo anche rappresentante italiano presso il Comitato
meteorologico internazionale- era però destinato a non riuscire del tutto. Per quanto l'accentramento
avviato si traducesse nell’assunzione da parte del Servizio meteorologico dell’Agricoltura del ruolo di
Ufficio Centrale di Meteorologia (cfr. Khrgian, p. 118), formalmente decretata nel novembre 1876 (R.
Decreto n° 3534), l’istituzione che ne derivò, per gli egoismi delle amministrazioni interessate, mai
riuscì però a diventare un servizio meteorologico centrale veramente effettivo. Fu solo grazie a Pietro
Tacchini (1838-1905), l’astronomo e geofisico che subentrò al Cantoni nella direzione del nascente
Ufficio, se le stazioni dei servizi appena centralizzati, pur conservando piena autonomia, operarono per
qualche tempo (fino agl'inizi del 1900) in modo sinergico e tra loro coordinato.
Con l'agosto del 1880, l’Ufficio Centrale di Meteorologia appariva definitivamente costituito, e,
con sede presso il Collegio Romano, dove l’anno precedente era stato trasferito2, incominciava anche
ad emettere previsioni a breve scadenza. Dall'agosto 1880, infatti, con l'accentramento presso l'Ufficio
anche del Servizio della Marina, le sue attribuzioni si erano estese alla preparazione delle carte
sinottiche ed al lavoro di prognosi3.
*****
Il Servizio meteorologico del ministero dell’Agricoltura, dal 1876 Ufficio Centrale di
Meteorologia (denominazione in seguito mutata in Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica,
Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica, Ufficio Centrale di Meteorologia e Climatologia, Ufficio
Centrale di Meteorologia e di Ecologia Agraria) vanta come discendente diretto proprio l’attuale
Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (UCEA). Compreso nel gruppo degl’istituti ed enti del nascente
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (Decreto Legislativo 29.10.1999, n° 454),
1 Direzione, vale la pena ricordarlo, alla quale egli era da tempo preposto.
2 Con la proclamazione di Roma capitale, la sede del Servizio meteorologico del dicastero dell’Agricoltura era stata
trasferita presso il ministero insieme con i calcolatori di Pavia ed il materiale scientifico pertinente.
3 Per uno studio storico approfondito dell’Ufficio Centrale di Meteorologia rimando il lettore alla pubblicazione
“120° Anniversario dell’UCEA”, Speciale di “Agricoltura”, a. XLIV, n° 277, Roma, Ministero delle Risorse Agricole,
Alimentari e Forestali, 1996.
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l’UCEA svolge principalmente il ruolo di Servizio agrometeorologico nazionale (istituzione finalizzata
alla risoluzione dei problemi agricoli legati alle vicende del tempo).
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*****
Ringrazio sentitamente la dott.ssa M. C. Beltrano per l’accurato lavoro di revisione della bozza
e la sua disponibilità.
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