2
3
INDICE
Introduzione
1. Berselli e l‟Italia prima del ‟68
p.
6
8
1.1 Il contesto storico – sociale nel racconto di Edmondo Berselli
8
1.2 Musica in mutamento: Domenico Modugno, il rock‟n‟roll e il
14
pop italiano
1.3 L‟epoca dell‟impegno: il beat e i cantautori
2. Modelli di musica popolare secondo Berselli
27
37
2.1 Lucio Battisti come autore di riferimento
38
2.2 Max Pezzali e gli 883: un‟analisi controcorrente
48
3. Il ruolo della musica nella democratizzazione italiana
55
3.1 Sistema e anti-sistema nell‟industria discografica italiana
58
3.2 Una “terza via” per la musica italiana
62
Conclusioni
70
Bibliografia
74
4
5
6
INTRODUZIONE
Nel seguente lavoro sull‟opera dello scrittore e intellettuale Edmondo Berselli
(Campogalliano, 2 febbraio 1951 – Modena, 11 aprile 2010) ci concentreremo sulle sue
analisi in merito al rapporto fra la società italiana contemporanea e le produzioni di
musica popolare in Italia dal dopoguerra agli anni Duemila. Nel corso della sua attività
come direttore editoriale della rivista Il Mulino, saggista, collaboratore dei maggiori
quotidiani e periodici italiani, Berselli ha dedicato uno spazio considerevole alla
trattazione della musica leggera nell‟ambito del racconto dell‟Italia, mediante gli
strumenti che attengono all‟analisi sociologica e fenomenologica, mantenendo sempre
quell‟approccio ironico che rappresenta la sua peculiare cifra stilistica, la cui
onnipresenza deve pertanto indurre a non attribuire alle suddette analisi alcun carattere
assertivo.
Le vicende italiane sono state spesso rappresentate da Berselli attraverso le riflessioni
sulla musica “pop”, che soprattutto in Canzoni. Storie dell‟Italia leggera è stata
utilizzata come strumento privilegiato per intercettare gli slittamenti progressivi
dell‟identità italiana. La musica di massa e i suoi autori, come avremo modo di vedere,
hanno avuto in alcuni casi un ruolo che Berselli ritiene abbia travalicato la pura
descrizione del cambiamento vissuto dal pubblico italiano.
Il lavoro si propone di approfondire la tesi di fondo della riflessione musicologica di
Berselli, oltre che per il valore e l‟importanza dell‟autore all‟interno del panorama
culturale italiano, per l‟assoluta originalità delle sue argomentazioni in merito
all‟incidenza della musica di massa sulla costruzione della società italiana. Vedremo
come secondo Berselli vi siano stati esempi di cantanti e canzoni che hanno contribuito
e talvolta determinato i cambiamenti di costume, introiettato pulsioni vitali e politiche,
svolto un ruolo antipedagogico o pedagogico nell‟educazione sentimentale, civile e
morale dei cittadini italiani.
Dedicheremo la parte iniziale del primo capitolo alla contestualizzazione storicosociale dell‟Italia del dopoguerra, dalle contraddizioni del suo sviluppo economico a
cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta al periodo della
contestazione del Sessantotto. A seguire si ripercorreranno, dal punto di vista di
Berselli, le evoluzioni tecnologiche e compositive che dagli Stati Uniti d‟America e
dall‟Inghilterra si imposero sul mercato discografico e sull‟immaginario collettivo del
pubblico italiano, coadiuvando le rivoluzioni stilistiche approntate alla musica popolare
7
italiana innanzitutto da Domenico Modugno. La terza e ultima parte del primo capitolo
sarà incentrata sulla dicotomia fra i complessi beat e i cantautori nei rispettivi
atteggiamenti compositivi di fronte al clima contestatario del Sessantotto e
l‟imposizione del tema della protesta e della rivoluzione all‟interno delle canzoni.
Nel secondo capitolo si tratterà specificamente di due artisti paradigmatici del
pensiero di Berselli sulle connessioni fra la musica “pop” e l‟Italia a partire dal periodo
immediatamente successivo al Sessantotto. Vedremo come Lucio Battisti rappresenti
per Edmondo Berselli il campione perfetto, l‟autore e cantante di riferimento, il
musicista che più di ogni altro ha saputo trattare la musica leggera secondo le modalità e
i fini che Berselli ritiene auspicabili poiché fondative di un‟educazione estetica e morale
dell‟ascoltatore. Successivamente vedremo come la produzione musicale di Max
Pezzali, ritenuta dalla totalità della critica italiana un mero fenomeno di marketing,
costituisca per Berselli un ulteriore modello di riferimento, nonché l‟unico artista che
abbia saputo canonizzare il racconto della provincia italiana e la vita delle giovani
generazioni degli anni Novanta.
Il terzo e ultimo capitolo prenderà in esame tre saggi brevi scritti da Berselli tra il
1993 e il 1994: La democrazia infelice dell‟Italia moderna, La musica popolare italiana
come genere di educazione politica e La cultura informale. Qui in particolare emergerà
come il mercato discografico italiano abbia strutturato la produzione musicale sulla base
dell‟opposizione fra sistema e anti-sistema, rivestendo un ruolo decisivo nella
modernizzazione e democratizzazione dell‟Italia. Al termine del capitolo ci
soffermeremo sul tentativo di Berselli di formalizzare i caratteri di una forma canzone
alternativa e terza rispetto alle oscillazioni, diseducative e anti-democratiche, che
avrebbero influito sulle capacità degli italiani di strutturare un‟identità individuale e
collettiva.
8
1. Berselli e l‟Italia prima del „68
1.1 Il contesto storico – sociale nel racconto di Edmondo Berselli
Edmondo Berselli nasce a Campogalliano, in provincia di Modena, nel 1951, da
madre casalinga e padre operaio reduce da una prigionia in Inghilterra finita nel 19461.
Innanzitutto va sottolineato come Berselli viva gli ultimi anni della sua pre-adolescenza
nel pieno del “boom economico”, ovvero quella fase di grande crescita economica e di
sviluppo che l‟Italia attraversa fra la seconda metà degli anni Cinquanta alla prima metà
degli anni Sessanta. La fiducia nel futuro, un accresciuto benessere, nuovi suoni e colori
definiscono un decennio di cui Berselli, in Adulti con riserva – Com‟era allegra l‟Italia
prima del ‟68, narra i connotati a suo dire non riproducibili. Qui, nelle prime pagine,
Berselli scrive: <<Con il miracolo, con il boom, con la massima occupazione, con le
esportazioni, con l‟industria, con l‟urbanizzazione, con gli immigrati, le cambiali e il
Mottarello…Si era capito che, grazie al cielo, circolavano un po‟ di soldi e di
allegria.>>2.
Il boom dopo un decennio subisce un arresto dovuto a una grave congiuntura
economica. In merito scrive, fra gli altri, lo storico Guido Crainz : <<Dalla fine degli
anni cinquanta avevano preso avvio trasformazioni colossali nel modo di lavorare e di
vivere, di produrre e di consumare, di pensare e di sognare degli italiani – ma,
prosegue - tra il 1963 e il 1964 l‟Italia vedeva bruscamente cessare quel „miracolo
economico‟ che l‟aveva scossa dalle fondamenta in pochi anni: essa lasciava il posto, si
disse, alla „congiuntura‟, cioè a una crisi economica temporanea.>>3
Il „miracolo‟ cui Guido Crainz fa riferimento modifica le condizioni di vita, gli usi e i
costumi dell‟Italia e degli italiani in un clima di entusiasmo generale. Tuttavia, dai
dibattiti dell‟epoca emergono visioni contrastanti a riguardo. Il poeta e intellettuale Pier
Paolo Pasolini critica negativamente i mutamenti sociali in atto, che a suo dire
costituiscono i primi sintomi della “mutazione antropologica” degli italiani. Nel gennaio
1963, in un‟intervista allo scrittore Alberto Arbasino, Pier Paolo Pasolini afferma: <<Sa
1
Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Quel gran pezzo dell‟Italia, Milano, Mondadori, 2012, p. 911.
Il volume intitolato Quel gran pezzo dell‟Italia, che raccoglie tutte le opere pubblicate da Edmondo
Berselli tra il 1995 e il 2010, sarà d‟ora in poi indicato come Q.G.P.D.I.
2
Ivi, pp. 882-883.
3
Guido Crainz, Il Paese mancato, Roma, Donzelli Editore, 2003, p. 3.
9
cosa mi sembra l‟Italia? Un tugurio i cui proprierari sono riusciti a comprarsi la
televisione>>4.
Il giudizio espresso da Pier Paolo Pasolini nel 1963, come ampiamente riportato
dallo storico Ernesto Galli della Loggia, sarebbe divenuto un luogo comune,
<<largamente condiviso dall‟opinione colta del paese, dagli osservatori più preparati,
da larga parte del ceto politico>>, a certificare <<l‟incapacità/impossibilità per l‟Italia
di essere un paese davvero moderno. La modernità italiana non è capace né di superare
né di risolvere in sé il passato, ma si sovrappone semplicemente ad esso, vi si mischia
goffamente producendo solo incongruenze e inefficienze.>>5
La crisi economica, a partire dal 1964, chiude un decennio caratterizzato da un
significativo mutamento delle condizioni di vita degli italiani. A una diminuzione del
15% dell‟occupazione nel settore agricolo, quantificabile in tre milioni di unità,
corrispondeva un incremento occupazionale dell‟8% nell‟industria e del 7% nei servizi.
Il dato statistico sull‟aumento del reddito nazionale netto ne rivela l‟incremento, dai
17.000 miliardi di lire del 1954 ai 30.000 miliardi del 1964.6
A tale mutamento va ascritto il progressivo svuotamento delle campagne,
determinato da uno sviluppo industriale senza precedenti che interessa in primis le
grandi città del Nord Italia, come Milano. L‟arte e la letteratura subiscono l‟influenza
del modello americano, che si impone sulla realtà quotidiana nel suo complesso. Il
nuovo modello di cittadino italiano osserva e contribuisce a mutare il proprio habitat,
così da riproporre quello che il giornalista Giorgio Bocca, sulla “Nuova frontiera di
Milano”, nel 1965, definsce il “crogiuolo americano”. L‟italiano americanizzato matura
un‟inedita idiosincrasia per il passato, adattandosi a un ambiente circostante
completamente nuovo, dove la sempre crescente cementificazione e il ramificarsi di uno
stile di vita assunto in toto dal modello statunitense attorniano un “cittadino senza città”.
Quest‟ultimo, a dispetto di una condizione alienata prossima a manifestarsi, nella sua
moderna operosità metropolitana riesce a costruire la propria emancipazione
individuale.7
Degli Stati Uniti d‟America e dalla Gran Bretagna, in particolare da Londra, vengono
importati in Italia nuovi stili di vita, mode e modelli di consumo. Ispirandovisi
4
Pier Paolo Pasolini, Interviste corsare sulla politica e sulla vita, 1955-1975, a cura di M. Gulinucci,
Roma, Liberal Atlantide Editoriale, 1995, pp. 57-58.
5
Ernesto Galli della Loggia, L‟identità italiana, Bologna, Editore il Mulino, 1998, pp. 139-140.
6
Cfr. Guido Crainz, op.cit., p. 13.
7
Cfr. Giorgio Bocca, Fratelli Coltelli, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2010, pp. 136-139.
10
dichiaratamente, nell‟arco del decennio 1954-1964, il giovane costruisce su di sé il
ruolo di protagonista del cambiamento. L‟allegria, come evidenzia Berselli nel
sottotitolo al suo Adulti con riserva – Com‟era allegra l‟Italia prima del ‟68, definisce
un Paese che acquisisce gran parte della cultura popolare anglofona, particolarmente
inglese, rielaborandola secondo i propri stilemi. La musica inglese costituisce una forte
attrattiva per i giovani italiani. Dall‟Inghilterra si impongono i nuovi esponenti del
rock‟n‟roll nato negli Stati Uniti d‟America, presto oggetto di idolatria dei teenagers
europei. Fra questi, i Beatles e i Rolling Stones ottengono i successi più considerevoli,
influenzando i comportamenti dei giovani che ne assimilano conformisticamente
l‟abbigliamento, le movenze e il taglio di capelli, alimentando simboli che certifichino
la loro volontà di superare i valori della società patriarcale.
Berselli focalizza la sua descrizione sul graduale allungamento dei capelli degli
adolescenti italiani in alcuni fra i passaggi più caratteristici della sua auto-ironia e
comicità. I capelli sintetizzano il manifesto individuale di una rivoluzione collettiva
volta a sovvertire i costumi tradizionali, soprattutto nell‟ambito sessuale, al fine di
impostare in modo esplicito un discorso amoroso con l‟universo femminile: <<L‟idea di
fondo era che le ragazze dovessero riscontrare immediatamente un certo nonsoché, e
rimanere ammaliate, notare quel centimetro in più e dire a se stesse: ma quello lì,
quelllo lì assomiglia a uno di quelli là, come si chiamano, i Beatles!>>8. Conformarsi
allo stile dei Beatles significa, per i teenagers come Berselli, tentare di emularne il
riscontro presso il pubblico femminile. Berselli ripercorre con la consueta ironia le
difficoltà di adattamento adolescenziale alle imposizioni della modernità, decretandone
il fallimento sia generazionale, sia personale, nell‟idolatria femminile esplosa nel corso
del primo concerto italiano dei Beatles al velodromo Vigorelli di Milano in data 24
giugno 1965: <<… quell‟innamoramento collettivo implicava un tradimento. A priori,
senza avere mai avuto l‟occasione di apprezzare il nostro humour e il nostro stile
modernissimo, quelle si erano buttate mentalmente fra le braccia dei fighetti inglesi>>9.
L‟allungamento programmatico dei capelli, cui Berselli conferisce la qualifica di
“rivoluzione”10, culmina nella nascita, e conseguente proliferazione in tutta Europa, dei
cosiddetti “capelloni”. Pier Paolo Pasolini ne avrebbe fornito una fenomenologia nel
“Discorso dei capelli” apparso il 7 gennaio 1973 sul Corriere della Sera, affermando
8
Cfr. Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., pp. 920-921.
Cfr. Ivi, pp. 923-924.
10
Cfr. Ivi, p. 921.
9
11
che il giovane, principale attore sociale della seconda metà degli anni Sessanta, aveva
realizzato lo strappo culturale rispetto alle generazioni precedenti secondo modalità
controproducenti. I giovani, secondo Pasolini, avevano mancato l‟auspicato
superamento dei padri, ottenendo un arretramento rispetto alle loro conquiste. Tale
situazione aveva generato un conformismo dal quale poterono scaturire due
sottoculture, l‟una di sinistra e l‟altra di destra, omologate al punto da risultare
assimilabili l‟una all‟altra: <<Ora così i capelli lunghi dicono, nel loro inarticolato e
ossessivo linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le „cose‟ della
televisione>>.11
ll televisore conosce in Italia una diffusione considerevole a partire dagli ultimi anni
Cinquanta: tra il 1960 e il 1975 le famiglie che possiedono un apparecchio televisivo
aumentano sino all‟85%. In undici anni, tra il 1954 e il 1965, gli italiani abbonati alla
televisione sono sei milioni. Tali cifre rivelano una diffusione del mezzo televisivo tale
per cui esso diventa <<il perno di una modificazione radicale del sistema dei media che
non si limita a coinvolgere – e a stravolgere – il ruolo di cinema e radio […] ma
riguarda anche le forme tradizionali della cultura>>.12
Oltre al televisore altri due simboli del boom diventano parte integrante della vita
quotidiana del Paese: la motocicletta e l‟automobile. Sempre lo storico Guido Crainz
segnala come in particolare la motocicletta inizi a non essere più mero mezzo di
locomozione prediletto dalle famiglie meno abbienti, bensì divenga già nei primi anni
Sessanta un “elemento aggiuntivo”, pressoché uno status symbol a uso e consumo del
membro familiare più giovane. Il 23 aprile 1946 la ditta Piaggio deposita il brevetto
dello scooter “Vespa”, reclamizzandolo nel 1950 con uno storico manifesto
pubblicitario recante la scritta: “Vespizzatevi”. Berselli ricorda come, dal 1953, lo
straordinario successo di pubblico della commedia “Vacanze romane” di William
Wylder, in cui gli attori Gregory Peck e Audrey Hepburn giravano per la città di Roma
sulla Vespa, avesse contribuito al fascino planetario del prodotto Piaggio, nonché al
rilancio dell‟industria italiana nel Mondo: <<Adesso, con quella coppia di semidei,
Gregory e Audrey, l‟intimazione pubblicitaria aveva trovato anche la sua
mitologia>>13.
11
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Roma, Garzanti Editore S.p.A., 2008, pp. 5-11.
Cfr. Guido Crainz, op.cit., pp. 14-15.
13
Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., pp. 873-874.
12
12
Se da una parte si manifestano segnali positivi di sviluppo e ammodernamento, resi
possibili anche dalla mediazione di nuovi simboli – il televisore, la motocicletta,
l‟automobile, l‟aereo - , dall‟altra occorre evidenziare come il miracolo economico
tenda ad ampliare quel divario sociale che inizialmente si prefiggeva di ridurre. A
conferma del declino occorso della seconda metà degli anni Sessanta, Guido Crainz
riporta alcuni numeri significativi in merito alla sperequazione sociale in atto nel Paese.
Nel biennio 1964-65 , pur aumentando la produttività del 15%, si verifica un aumento
dei salari pari a meno del 7,5%, mentre il monte-salari complessivo diminuisce del 4%.
Inoltre, l‟ENEL riporta che agli inizi del 1965 gli italiani privi di illuminazione elettrica
domestica sono ancora due milioni14.
Il passaggio improvviso dal cosiddetto ”euforico quinquennio” alla fase di
contrazione del mercato conduce all‟annichilimento delle prospettive del Paese: <<Si sa
che purtroppo anche le migliori storie durano poco, come i bei giochi. Avevamo appena
cominciato a respirare, a farci qualche regalino, a guardare con timido ottimismo
all‟avvenire… – scrive Berselli - Quando all‟improvviso, com‟è come non è, comincia a
risuonare una parola minacciosa, una voce sinistra: „congiuntura‟… Eravamo stati
troppo ottimisti, troppo canterini, troppo svitati >>15. Alla congiuntura economica si
oppongono riduzioni dell‟orario di lavoro e licenziamenti, spesso decisi sulla base del
ricatto. Lo Stato si rivela inadeguato a fronteggiare le nuove diseguaglianze sociali,
mentre è oramai inarrestabile la fascinazione degli italiani per quello che Guido Crainz
definisce il “modello acquisitivo individuale”, generato dalla rivoluzione dei consumi in
cui si ramifica la “dittatura del mercato” teorizzata da Pasolini. Il suddetto modello,
unitamente alle diverse e innumerevoli opportunità alimentate dal boom, veniva
secondo Crainz a <<enfatizzare propensioni già largamente diffuse e indifferenze ai
valori collettivi che non nascevano allora: esse alimentavano a dismisura rincorse
all‟ascesa sociale di gruppi e ceti specifici, in reciproca concorrenza>>.16
Emergono, in definitiva, fattori destabilizzanti per l‟intera società italiana, covati da
quella rivoluzione nel cui successo veniva riposta ogni speranza di modernità. In tale
bacino di insoddisfazione nascono le proteste e gli slanci di rivalsa dei giovani
protagonisti delle contestazioni del Sessantotto. Il cantautore Francesco Guccini,
considerato con Fabrizio De André fra gli ispiratori dei movimenti studenteschi, molti
14
Guido Crainz, op. cit. , p. 17.
Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., pp. 891 – 892.
16
Cfr. Guido Crainz, op. cit. , pp.16-19.
15
13
anni dopo parlerà di “illusioni”. Rievocando le sensazioni provate molti anni addietro
alla notizia della morte, il 9 ottobre 1967, del rivoluzionario Ernesto “Che” Guevara –
un‟icona mondiale dell‟azione anti-sistemica - nel 2000 Guccini canta: “Erano gli anni
fatati / di miti cantati e di contestazioni / erano i giorni passati / a discutere e a tessere
le belle illusioni”17.
Il Sessantotto, secondo alcuni osservatori, presenta contraddizioni significative.
Giorgio Bocca nel 2010 ricorda le vicende dell‟epoca: <<Il Sessantotto. Una tempesta
politica, un mutamento rapido e imprevisto. Il Sessantotto come spallata, come repulisti
di quanto vi era di morto, di ipocrita nella Repubblica antifascista, lo capivo, ma il
Sessantotto come rivoluzione no.>>18
Sempre su tale promessa di rivoluzione contro il sistema, alcuni anni dopo, nel marzo
1974, sul Dramma, Pasolini riassume l‟esperienza del Sessantotto in questi termini:
Oggi è chiaro che tutto ciò era prodotto di disperazione e di inconscio sentimento
di impotenza. Nel momento in cui si delineava in Europa una nuova forma di civiltà
e un lungo futuro di „sviluppo‟ programmato dal Capitale - che realizzava così una
propria rivoluzione interna: la rivoluzione della Scienza Applicata, pari per
importanza alla Prima Seminagione, su cui si è fondata la millenaria civiltà
contadina – si è sentito che ogni speranza di Rivoluzione operaia stava andando
perduta. È per questo che si è tanto gridato il nome delle rivoluzione. Non solo, ma
ormai era chiara non tanto l‟impossibilità di una dialectica, quanto addirittura
l‟impossibilità di una commensurabilità, tra capitalismo teconologico e marxismo
umanistico.19
Secondo Berselli il Sessantotto fu <<una cosa micidiale e collettivista, che mischiava
la ribellione… con la compattezza da testuggine della Falce e martello>>, il sigillo di
un decennio reso improduttivo dai “sessantottusi”20 che proponevano <<una visione
deludente di futuro>>, caratterizzata dalla fine dello sviluppo borghese e
dall‟imposizione di una povertà condivisa. Su tali basi Berselli matura la propria
adesione all‟europeismo, al riformismo e all‟eclettismo tipico del “decennio breve”
terminato con il Sessantotto, e al contempo la diffidenza verso i movimenti collettivi
rivoluzionari: <<Non mi avrete. Non verrò alle assemblee, non verrò alle riunioni, non
17
18
Francesco Guccini, Stagioni, in Stagioni, CD, Ed. EMI Italiana, 2000.
Giorgio Bocca, op.cit., p.159.
Pier Paolo Pasolini, op.cit., pp.26-27.
20
Cfr. Riccardo Chiaberge, Caro Berselli, non è una bella società, in “Il Sole 24 Ore”, 17 aprile 2010.
19
14
verrò alle manifestazioni. Non aderirò alle mozioni, non firmerò le petizioni… voglio
continuare ad avere una speranza… Perché anch‟io sono un bambino degli anni
Sessanta. Perché anch‟io sono un eclettico>>.21 L‟Italia da lui amata e rimpianta
sarebbe rimasto il Paese della ricostruzione post-bellica e degli slanci di allegria.
L‟Italia leggera dei Rokes e degli Equipe 84, figli di una stagione tanto breve quanto
indimenticabile, che il giornalista Andrea Scanzi ha così sintetizzato: <<Berselli vedeva
nel beat una sorta di brodo primordiale non ancora contaminato dall'ideologia. Un
Eden affatto deludente, in cui sognare non costava nulla>>22.
1.2 Musica in mutamento: Domenico Modugno, il rock‟n‟roll e il pop italiano
La canzone all‟italiana, dopo aver registrato una diaspora fra gli ascoltatori italiani
del secondo dopoguerra a causa del proprio ancoraggio a una tradizione ritenuta desueta
e incapace di soddisfare i gusti del pubblico italiano, oramai orientato alle produzioni
straniere, riacquista importanza nel 1951 con la prima edizione del Festival della
Canzone Italiana di Sanremo, ideato da Amilcare Rambaldi, a sua volta futuro fondatore
del Club Tenco, rassegna della canzone d‟autore.23
Berselli, nel ricordare come sin dalla prima trasmissione radiofonica del 29 gennaio
1951 il Festival di Sanremo <<avrebbe segnato la data d‟inizio di un‟epoca>> e
successivamente <<sarebbe stato interpretato come un‟autobiografia, secondaria ma
non troppo, della nazione>>, ironizza sul <<deprimente registro jettatorio>> delle
canzoni in gara nelle edizioni precedenti alla rivoluzione di Domenico Modugno del
1958, <<tristemente affollate di colombe, campanari e campane>>, che testimoniavano
il grigiore dell‟Italia in attesa della modernizzazione e del boom economico.24
Nei decenni che seguono la prima edizione del Festival di Sanremo, la produzione
musicale italiana registra numerosi cambiamenti. Questi avvengono congiuntamente ai
mutamenti sociali del tempo, talvolta in un biunivoco scambio di impulsi, e talvolta
fungendo, in alcuni casi e grazie a particolari interpreti, da motori degli sconvolgimenti
in atto. Per dirla con Lucio Spaziante, la musica <<è stata veicolo di costituzione
21
Cfr. Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., pp. 992-995.
Andrea Scanzi, Seduti in quel caffè tutti pensano a te, in “La Stampa”, 29 settembre 2010.
23
Cfr. Gianni Borgna, Storia della canzone italiana, Roma, Editori Laterza, 1° ed. 1985, pp. 124-125.
24
Cfr. Edmondo Berselli, A Sanremo un‟autobiografia della nazione, in “Il Sole 24 Ore”, 27 febbraio
2000.
22
15
identitaria, non mero riflesso della cultura, si è comportata come un vero e proprio
attore del cambiamento sociale a tutti gli effetti>>25.
Il progressivo mutamento della forma - canzone si accompagna e adegua
all‟evoluzione dei mezzi tecnici che ne permettono una sempre maggiore facilità di
registrazione, riproduzione e fruizione. La rivoluzione tecnologica e gli stravolgimenti
stilistici nella composizione e nelle tematiche trattate nei brani di musica popolare
partono dagli Stati Uniti d‟America. Nel 1949 la Rca, Radio Corporation of America,
crea il disco 45 giri, che sostituisce il precedente disco 78 giri. Rispetto a quest‟ultimo
formato, il 45 giri presenta
diverse peculiarità tali da renderlo più appetibile sul
mercato discografico americano – e successivamente europeo e italiano - sul quale si
imporranno a partire dal periodo compreso tra il 1954 e il 1956: <<è molto più leggero,
maneggevole, resistente; si stampa più facilmente…si può spedire per via aerea; e,
infine, è più facile da mettere sul giradischi>>26.
La multinazionale Rca, inoltre, nel 1953 apre una fase nuova della discografia
italiana, insediando un proprio stabilimento a Roma. Tale approdo risulta fondamentale
perché, come spiega ancora Gianni Borgna, determina nell‟industria dicografica italiana
un radicale mutamento di prospettiva, dove <<il marketing assume un‟importanza
sconosciuta e dove la filosofia americana del business si affianca alla ricerca nella
produzione artistica>>.27
La televisione nasce ufficialmente il 3
gennaio 1954. Berselli ne ricorda la
sconvolgente comparsa in questi termini: <<Non si è capito subito che era successo
qualcosa di importante, o di decisivo, con l‟arrivo della televisione… Ma il colpo di
grazia, dal punto di vista sociologico, fu assestato quando una sera le ragazze pretesero
di giocare al “Musichiere”>>28. Il 7 dicembre 1957 la Rai trasmette la prima puntata di
un programma intitolato “Il Musichiere”, un gioco a premi i cui concorrenti devono
dimostrare la propria cultura musicale tentando di indovinare i titoli delle canzoni
proposte, secondo l‟idea originale dalla trasmissione televisiva americana “Name this
tune”. Nella trasposizione domestica del gioco, le serate si sviluppano davanti al
televisore <<sparando titoli a casaccio, finché la luna è alta e non viene l‟ora di andare
25
Lucio Spaziante, Dai beat alla generazione dell‟Ipod, Roma, Carrocci Editore S.p.A., 1° ed. 2010,
p.11.
26
Gianni Borgna, op.cit., p. 145.
27
Ibidem.
28
Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., p. 858.
16
a letto>>29. Il successo di pubblico del Musichiere stimola la nascita di una rivista e un
festival canoro omonimi, e successivamente di altre trasmissioni televisive aventi come
fulcro
la
musica:
“Buone
vacanze”,
“Giardino
d‟inverno”,
“Studio
Uno”,
“Canzonissima” e “Settevoci”. L‟azione divulgativa della televisione, unita alla
proliferazione dei juke - box nei luoghi di ritrovo delle grandi città italiane, alimenta
nella popolazione il desiderio di proposte musicali sempre nuove, favorendo l‟ascesa del
mercato discografico italiano: si passa dai tre milioni di dischi venduti nel 1951, ai quasi
diciassette milioni del 1958. 30
In riferimento all‟anno 1958, parte di quel segmento esistenziale trascorso con la
famiglia a Rovereto, in provincia di Trento, tra il 1954 e il 1966, Berselli scrive: <<Per
uscire da una sensazione generale che era veramente da buongiorno tristezza, ci voleva
una botta di vita, un colpo alla roulette, un cambio di marcia e di fase. Si viene a
sapere, per esempio, che al Festival è presente un cantante curioso…>>31. Al Festival
di Sanremo del 1958 Berselli assiste alla prima rivoluzione artistica nella musica
italiana del dopoguerra. Questa risiede, per stile e contenuti, nell‟esibizione di
Domenico Modugno, che canta “Nel blu, dipinto di blu”, presto nota come “Volare”.
Una canzone <<leggendaria, mitopoietica, sociologica. Una canzone totale>>32, scrive
Berselli.
Gianni Borgna individua chiaramente i fondamenti su cui poggia la vittoria del brano
di Modugno e del paroliere Franco Migliacci: <<Intanto che fosse lui a cantarlo… con
la sua voce ha operato una vera e propria rivoluzione nello statuto della nostra
canzone, dimostrando che canto altro non significa che uso espressivo della voce, dei
suoi timbri, dei suoi difetti, della sua inflessione, della sua natura musicale>>33;
secondariamente, “Nel blu, dipinto di blu” opera una commistione fra la canzone
tradizionale italiana e una forma – canzone più ritmata e moderna, sul cui sviluppo si
concentrerà il futuro mercato discografico; infine, il testo del brano di Modugno è saturo
di richiami al subconscio di una sessualità diversa da quella, palese, dichiarata e talora
greve di alcune composizioni popolari tradizionali, rispetto alle quali “Nel blu, dipinto
di blu” <<costituiva l‟antitesi. In Volare, la sessualità era felice, libera, vissuta senza
traumi, senza complessi di colpa, con naturalezza. Comunque, con la sua incontenibile
29
Ivi, pag 860.
Cfr. Gianni Borgna, op.cit., pp. 146 – 150.
31
Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., p. 872.
32
Ibidem.
33
Gianni Borgna, op.cit., 1° ed. 1985, p. 142.
30
17
vitalità, con la sua ansia di liberazione da tutti i tabù>>34. Nella scelta di spalancare le
braccia al termine dell‟esibizione, Modugno compie un gesto di profonda rottura
rispetto alla regola tradizionale secondo cui l‟interprete doveva attendere l‟applauso del
pubblico ponendo la mano sul cuore.
Berselli aggiunge un‟ulteriore considerazione alla critica di Borgna, scrivendo che
“Volare”
coincideva alla lettera con la sintesi pragmatica del “Financial Times”, secondo
cui l‟economia italiana era in pieno “miracolo” e la lira era degna dell‟Oscar per la
stabilità delle monete… a Sanremo la gente singhiozzava e agitava i fazzoletti, come
se all‟improvviso il grigiore del dopoguerra fosse stato spazzato via dall‟impeto di
quell‟uomo del Sud.
35
Cantando “Nel blu, dipinto di blu”, è come se Domenico Modugno canti,
rispecchiandoli e alimentandoli, i sogni di sviluppo, ricchezza e prosperità di un‟Italia
ancora a forte connotazione agricola: <<Modugno urlava “volare”, strillava “volare”,
ragliava “volare” e gli italiani capivano Autostrada del Sole, FIAT Cinquecento e
Seicento, patecipazioni statali, ENI, Enrico Mattei, Giorgio Bocca, Sophia Loren,
fabbriche, addio al lavoro nei campi>>36, scrive Berselli, che ricorda divertito di aver
preso a calci una porta, <<tanto per sfogare quella strana felicità>> per la vittoria di
Modugno.
Oltre che di una rivoluzione sociologica, quella che Gianni Borgna definisce come la
grande “ubriacatura collettiva”37, Domenico Modugno è fautore di una trasformazione
della musica italiana. La canzone tradizionale dei grandi interpreti come Nilla Pizzi e
Claudio Villa viene rinnovata da Modugno <<dal suo interno senza guardare
eccessivamente ai modelli esteri>>38. È una trasformazione su scala nazionale simile
alla rivoluzione musicale messa in atto, a livello mondiale, dal rock ‟n ‟roll39.
34
Ibidem.
Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., p. 872.
36
Ivi, p. 873.
37
Gianni Borgna, op.cit., p. 142.
38
Lucio Spaziante, Dai beat alla generazione dell‟Ipod, Carrocci Editore S.p.A., Roma, 1° ed. 2010, p.
33.
39
Ivi, p. 26.
35
18
Il rock ‟n ‟roll
Prima della nascita del rock‟n‟roll esistevano negli Stati Uniti d‟America tre macrogeneri musicali, trasmessi da canali di diffusione separati, come differenziate erano le
rispettive classifiche di vendita: i cittadini borghesi ascoltavano il “Pop”, ovvero una
musica popolare, di massa, destinata all‟etichetta di “musica di consumo”; operai e
contadini ascoltavano il “Country & Western”; infine, il “Rhythm and blues” era il
genere dominante presso le comunità nere urbane.40 Nel 1954 il cantante americano Bill
Haley reinterpreta il primo brano rock per antonomasia, scritto nel 1952 da DeKnight &
Freedman, intitolato “Rock around the clock”. La canzone viene utilizzata nei titoli di
testa del film “Blackboard Jungle”. Il film, successivamente tradotto in italiano con il
titolo di “Il seme della violenza”, viene proiettato nel 1956 al cinema Trocadero di
Londra. L‟enorme entusiasmo, cui seguono scontri fisici e atti vandalici, suscitato dalla
canzone di Bill Haley trasmessa nella sala cinematografica, è al contempo simbolo e
sintomo dello scoppio di quella che Berselli definisce come
la <<pandemia del
rock‟n‟roll>>41. Fondendo rhythm and blues e country, musica “nera” e musica
“bianca”, il rock‟n‟roll intercetta, incanalandole nella propria <<costellazione>>42, le
esigenze
di
teenagers
socialmente
ed
etnicamente
disomogenei,
ma
uniti
dall‟appartenenza alla stessa generazione. Per dirla con Gianni Borgna, il rock‟n‟roll è
<<il prodotto culturale che definisce operativamente il mito dell‟adolescenza>>43. Nel
fideismo verso il rock‟n‟roll, i giovani esprimono il proprio disappunto verso il potere
degli adulti, l‟ansia di ribellione dall‟autorità dei padri. Lo scollamento, al limite della
lotta intergenerazionale, fra padri e figli, può dirsi riassunto nelle affermazioni del
cantante Frank Sinatra, il quale nel 1957 afferma che la musica rock è <<Roba da
delinquenti… falsa, oscena, sporca, un afrodisiaco puzzolente… che piace ai giovani
perché non piace ai loro vecchi>>44. Berselli sottolinea la funzione di raccordo del
cantante Elvis Presley, che portando con sé i valori tradizionali degli americani bianchi
e contadini si fa <<interprete borghese dell‟insurrezione>> riuscendo a conferire al
rock‟n‟roll una legittimazione ufficiale in quanto unanime. Elvis è il caposcuola di una
tradizione di artisti, come B.B.King, Jerry Lee Lewis e Chuck Berry, che nelle loro
40
Gianni Borgna, op.cit., pp. 152-153.
Cfr. Edmondo Berselli, Quando la musica fece la rivoluzione, in “la Repubblica”, 07 aprile 2004.
42
Ibidem.
43
Gianni Borgna, op.cit., p. 154.
44
Cfr. Edmondo Berselli, Quando la musica fece la rivoluzione, in “la Repubblica”, 07 aprile 2004.
41
19
canzoni parlano di ciò che interessa particolarmente ai giovani, dalle automobili
all‟amore – specialmente nella sua dimensione sessuale, edonistica.45
Il rock è ancora oggi legato a una stereotipizzazione della rivolta cristallizzatasi con
il suo successo presso il grande pubblico adolescenziale sul finire degli anni Cinquanta.
Secondo Berselli, tuttavia, il rock‟n‟roll non poteva assurgere ad autentica filosofia
poiché modellava il moto consumistico giovanile alla base del meccanismo che il
filosofo Herbert Marcuse avrebbe indicato come “desublimazione repressiva”, e che
Berselli sintetizza così in Post – Italiani: <<tu credi, povero illuso, di essere ribelle e
rivoltoso perché metti sul giradischi “Satisfaction” dei Rolling Stones, mentre in realtà
il sistema capitalistico e le multinazionali ti stanno assoggettando, nel momento in cui ti
concedono una falsa trasgressione>>46. La peculiarità straordinaria e affascinante che
Berselli elogia del rock‟n‟roll è la sua ecumenicità. All‟interno del genere rock‟n‟roll,
infatti, coesistono prodotti discografici apparentemente dissimili, talvolta antitetici. La
leggerezza dei Beach Boys è riconducibile all‟idea di rock‟n‟roll quanto i brani folk di
Bob Dylan contro l‟intervento militare americano in Vietnam. Altrettanto, è attribuibile
al rock‟n‟roll la progenitura del beat, altro genere musicale spurio, prediletto da Berselli
sia nella sua versione anglofona originale sia, soprattutto, nella sua forma derivativa
italiana. Berselli ritiene che la prova più tangibile dell‟universalità del rock‟n‟roll sia
ravvisabile nell‟aver consentito nello stesso campo semantico la coesistenza di due
complessi musicali teoricamente agli antipodi, i Beatles di John Lennon e Paul
McCartney e i Rolling Stones di Mick Jagger e Keith Richards: <<confrontare la patina
geniale dei Beatles con i riff sudici della coppia Jagger & Richards, e trovare tutto ciò
compatibile è davvero il segno dell‟eclettismo del rock>>47.
Il pop italiano
Il rock‟n‟roll interpreta, corrisponendovi, le aspettative dei giovani. Si impone nei
loro luoghi di ritrovo e svago, declinando in forme innovative e differenziate che
usufruiscono delle nuove tecnologie. L‟avvento dei juke – box decreta che anche in
Italia i nuovi interpreti debbano possedere voci potenti, in grado di essere percepite in
modo netto, pienamente riconoscibile, in luoghi ampi e dalla grande dispersione sonora
dove i giovani trascorrono il tempo libero. Tali interpreti vengono comunemente
45
Cfr. Ibidem.
Edmondo Berselli, Post-italiani, in Q.G.P.D.I., p. 417.
47
Cfr. Edmondo Berselli, Quando la musica fece la rivoluzione, in “la Repubblica”, 07 aprile 2004.
46
20
chiamati “urlatori”. La tradizione italiana degli urlatori, derivata dalla rivoluzione
avviata negli U.S.A. da Bill Haley e ascrivibile al “Pop italiano”, ha in Tony Dallara il
proprio iniziatore, i massimi esponenti in Mina e Adriano Celentano.48
Berselli ricorda ironicamente come, con l‟avvento di Domenico Modugno, Mina e
Adriano Celentano, il pubblico dei giovani ritenga Claudio Villa, dominatore della
tradizione popolare ancora preminente nei gusti delle famiglie italiane, il <<nemico
assoluto>> della modernizzazione musicale. Nonostante Claudio Villa abbia all‟epoca
un‟età non avanzata, in Adulti con riserva49 emerge che i giovani ne ritengano la figura,
e la sua canzone più rappresentativa, “Granada”, la sintesi artistica e antropologica dei
valori da sovvertire in una musica popolare ancora troppo legata a stilemi antiquati,
figlia di una società vecchia che deve lasciare spazio al nuovo: <<la tradizione
melodica, il virtuosismo, il falsettone, la prosopopea, l‟acuto, il piagnisteo retorico
delle canzoni italiane>>50. Claudio Villa, dal 1958, piace solo <<alle nonne>>, per
citare la semplificazione ironica di Berselli, che tuttavia ammette come i ragazzi non
avessero molti altri punti di riferimento oltre a Domenico Modugno, Adriano Celentano
e Mina per opporsi alle preferenze dei rispettivi nuclei familiari. Invero Berselli
sottolinea come l‟anelito di Mina ad assurgere, terminato il primo periodo di piena
aderenza ai criteri giovanilistici, a <<mito canzonettistico>> erede della tradizione
canora classica, l‟avrebbe poi esautorata dal ruolo di interprete canora delle nuove
generazioni.51
Il quarto grande interprete del gusto giovanile, seppur caratterizzato dall‟approccio
più maturo, intellettuale ed esistenzialista, riconoscibile in brani come “Il cielo in una
stanza”, è Gino Paoli52. Berselli, nell‟esporre la tesi che lo caratterizza, individua in
Domenico Modugno, Adriano Celentano, Mina e Gino Paoli gli <<acceleratori della
trasformazione>>53 le cui canzoni, che non sono solo prodotti, bensì <<produttori di
cultura e società>>54, determinano il cambiamento registrato in Italia fra due anni –
chiave: il 1958 e il 1963. Nel 1958, anno in cui la RCA italiana pubblica i dischi di
Elvis Presley, in Italia Domenico Modugno vince il Festival di Sanremo, e sia Adriano
48
Cfr. Gianni Borgna, op. cit., pp. 152-154
Cfr. Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., pp. 913-915.
50
Ivi, pp. 913-914.
51
Cfr. Ivi, p. 916.
52
Cfr. Ivi, p. 917.
53
Edmondo Berselli, Quell‟Italia della canzonetta, in “la Repubblica”, 28 febbraio 2004.
54
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 99.
49
21
Celentano sia Mina compiono il proprio debutto artistico. Nel 1963 Gino Paoli ottiene
un vasto successo di pubblico con il brano “Sapore di sale”.
Con “Sapore di sale”, secondo Berselli, Gino Paoli non si limita a descrivere i nuovi
costumi sentimentali e sessuali degli italiani, bensì fornisce loro <<un manuale, un
nuovo galateo dei rapporti fra uomini e donne>> liberalizzando a comportamento
legittimo, normale, nonché naturale nella sua didascalica fisicità composta di “pelle”,
“braccia” e “labbra”, un‟esperienza sessuale per cui smette di essere necessaria ogni
premessa o prospettiva sentimentale. Gino Paoli anticipava in tal modo quella forma di
erotismo di cui il filosofo Zygmunt Bauman tratta specificamente nel suo Gli usi
postmoderni del sesso55: una sequela indistinta di atti sessuali finalizzati al puro
godimento sensoriale, slegati dalla funzione riproduttiva e dalla dimensione
sentimentale dell‟amore. L‟erotismo nella sua versione indipendente, e in quanto tale
antitetico ai precetti della morale tradizionale corrente presso gli adulti degli anni
Sessanta, non avrebbe potuto incontrare la piena approvazione sociale, stando alla teoria
di Berselli, senza l‟azione di precursori come Gino Paoli. Per dirla con Berselli:
<<al popolo dei juke-box, ai giovani del boom, il cantautore Paoli offriva un discorso
amoroso che dissolveva le ipocrisie, e che sanzionava l‟assoluta praticabilità del “fare
l‟amore”, senza nemmeno bisogno di un innamoramento e di giuramenti che
giustificassero lo strappo rispetto ai tabù>>.56
“Sapore di sale” canonizza una trasformazione avviata nel 1958 con la diffusione, ad
opera di RCA Italia, dei brani di Elvis Presley, successivamente sostenuta dalla vittoria
a Sanremo di Domenico Modugno con “Nel blu, dipinto di blu”, dunque finalizzata da
Mina e Adriano Celentano. Questi ultimi, secondo Berselli, <<avevano trasferito
l‟America in Italia soprattutto sul piano della gestualità teppistica, un dinamismo
sfrontato, un look giovanilista che faceva a pezzi il cantante confidenziale>>57.
Nel 1958, l‟Italia attraversa quella che Berselli chiama <<la breve era
dell‟irresponsabilità>>58. Il disimpegno collettivo trova la propria ragion d‟essere nella
relativa opulenza permessa dal “miracolo economico”, così definito dal “Daily Mail” in
un articolo del 25 maggio 195959, nonostante il quale il grigio rimane il colore
dominante dell‟Italia sino all‟avvento di Adriano Celentano e Mina.
55
Cfr. Zygmunt Bauman, Gli usi postmoderni del sesso, Bologna, Editore Il Mulino, 2013, pp. 57-63.
Cfr. Edmondo Berselli, Quell‟Italia della canzonetta, in “la Repubblica”, 28 febbraio 2004.
57
Ibidem.
58
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 103.
59
Ivi, p. 106.
56
22
Mina, nome d‟arte di Annamaria Mazzini, nata a Busto Arsizio in provincia di
Varese nel 1940, dopo aver debuttato nel 1958 con il gruppo “Happy Boys” incide il
brano “Be bop a Lula” con lo pseudonimo di “Baby Gate”. In tale scelta di Mina, la cui
altezza di 1,78 metri è inusuale per la media femminile italiana, c‟è tutto il suo gusto per
l‟antitesi. Dopo aver fondato il suo gruppo musicale, chiamato “I solitari”, Annamaria
Mazzini sceglie il nome d‟arte definitivo di “Mina”, che rinvia all‟estensione
straordinaria della sua potenza vocale.60
Berselli ne sottolinea innanzitutto la fisicità, ritenuta all‟epoca eccessiva per i canoni
di bellezza femminile, a cominciare dalla sua altezza, le sue imperfezioni estetiche, il
suo abbigliamento originale. Al Festival di Sanremo del 1961 Mina è protagonista sin
dalle interviste. In una di esse, la giornalista Oriana Fallaci afferma che Mina riassume
<<l‟enigma di una generazione da cui ci divide un invalicabile abisso>>. Un giudizio,
quest‟ultimo, che Berselli ritiene inverosimile alla luce della trasversalità con cui Mina
si rapporta alla società italiana. Il brano presentato da Mina al Festival di Sanremo del
1961, “Le mille bolle blu”, <<Era una canzone – manifesto – di – guerra, una
dichiarazione di rottura>>, scrive Berselli. L‟esibizione di Mina, che accompagna i
richiami immaginifici del testo giocando con le proprie dita e la bocca, assume una
dimensione provocatoria tale da soddisfare la volontà del popolo italiano di trasgredire
la rigidità dei valori tradizionali. Berselli ritiene che la popolarità di Mina, a vantaggio
della quale gioca a suo dire il voto contrario, la <<punizione moralistica>> della giuria
del Festival di Sanremo, sia legata alla capacità della cantante di incarnare
l‟idealizzazione italiana del modello americano. L‟Italiano “americanizzato”, come da
connotazione di Giorgio Bocca, percepisce in Mina i tratti dell‟America irreale,
idealizzata dalla prospettiva personale: <<l‟abbondanza, l‟eccesso, l‟esibizione
sfrontata, il rock and roll come moda da teddy boy>>. Secondo Berselli l‟americanismo
di Mina costituisce <<il primo grado di una nuova identità italiana>>. L‟esagerazione
di Mina è costruita in modo tale da auto-disinnescarsi nel quotidiano bisogno di
trasgressione facente parte della nuova identità italiana. Mina, in quanto essa stessa
proveniente dall‟universo piccolo-borghese, è al contempo autrice e fruitrice di ciò che
Berselli definisce la <<proposta casalinga di trasgressioni ormai obbligate>>. La sua
straordinarietà, a detta di Berselli, consiste non nel voler trasgredire, quanto nella sua
60
Cfr. Gianni Borgna, op. cit., pp. 155-156.
23
capacità di prospettare all‟italiano medio la soddisfazione di una trasgressione sino ad
allora preclusa dai dettami della morale comune.61
Al fine di inquadrare con maggiore chiarezza la portata rivoluzionaria della condotta
quotidiana, esistenziale, di Mina, nelle note al testo di Canzoni. Storia dell‟Italia
leggera Berselli si rifà alla vicenda di due coniugi, Mauro e Loriana Bellandi, sposatisi
con rito civile, che nel 1958 vennero pubblicamente accusati da monsignor Fiordelli,
vescovo di Prato, di essere “pubblici peccatori e concubini”62. L‟azione con cui Mina
nel 1961 pone le basi per uno scandalo nazionale consiste nella maternità seguita
all‟innamoramento e la relazione amorosa con un uomo sposato, l‟attore Corrado Pani.
In antitesi con la negazione dell‟amore propugnata dalla controretorica di Adriano
Celentano, Mina contrasta, grazie a un‟inclinazione naturale per l‟innamoramento
romantico, il connubio di bigottismo e maschilismo che limita la libertà delle donne
italiane nella gestione delle loro vicende sentimentali. Tuttavia, laddove Celentano
fonda sulla retorica anticonformista il proprio successo, Mina subisce la temporanea
esclusione dai programmi della RAI. Quest‟ultima punisce l‟anticonvenzionalità di
Mina, la quale, assecondando la propria passionalità amorosa, rivendica la libertà di
azione di ogni donna, <<con la determinazione della donna che decide la sua vita in
assoluta autonomia>> e non accetta limitazioni alla propria felicità, pur se conducano a
scandali pubblici, come una gravidanza extra-coniugale, e finanche a procedimenti
penali, quale il processo per concubinato che vede imputato Corrado Pani.63
Attore maschile dell‟americanizzazione, per l‟eccessività delle proprie esibizioni, è
Adriano Celentano. Nato da madre quarantunenne nel 1938, due anni prima di Mina,
Celentano si fa notare sin dagli esordi del 1958 per la sua innata capacità di affascinare
il pubblico, nella quale Berselli vede lo <<straordinario dono naturale di un ragazzo da
bar>>64. Adriano Celentano è un giovane lavoratore, espressione del proletariato urbano
milanese. Nel periodo in cui svolge il mestiere di orologiaio ascolta il 45 giri che fa
nascere in Celentano il desiderio di fare il cantante rock: “Rock around the clock”,
inciso nel 1956 da Bill Haley, re-interpretato nello stesso anno dal gruppo musicale
Quartetto Cetra, con il titolo di “L‟orologio matto”65. Imitando i cantanti americani Bill
Haley, Elvis Presley e Jerry Lewis, Celentano elabora e inventa un inglese
61
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 108-111.
Cfr. Ivi, nota n. 35, p. 255.
63
Cfr. Ivi, pp. 122-125.
64
Ivi, p. 111.
65
Cfr. Malcom Pagani, La scatola magica di Adriano, in “Il Fatto Quotidiano”, 19 novembre 2013, p. 14.
62
24
“italianizzato”, il cui significante ricalca la percezione dei testi di brani inglesi e
americani all‟orecchio dell‟ascoltatore italiano medio, il quale, come Celentano, ignora
la lingua inglese. A tale componente derivativa Celentano aggiunge la propria
autenticità nell‟interpretare le diverse componenti dell‟Italia del “miracolo economico”.
Berselli individua in Celentano quattro “anime”: americana, per la <<mimesi buffona
di Jerry Lewis>>; latina, per il suo gusto per <<gli scherzi e le smorfie e i versacci>>;
milanese per il suo <<gusto gerarchico della gang di quartiere>>; infine meridionale
per il patetismo delle sue esibizioni, <<la sfrontatezza trasgressiva dell‟emigrato con
voglia di sbalordire>>66. Celentano, tanto quanto Mina, si presenta al pubblico italiano
in veste di normalizzatore della trasgressività. Nelle loro canzoni il pubblico ritrova
l‟auspicata trattazione della propria quotidianità, la realizzazione di aspettative diffuse,
lo smantellamento della tradizione.
Rispetto alla postura trionfante di Domenico Modugno nel 1958, Adriano Celentano
compie un ulteriore gesto di rottura, presentandosi voltato di spalle sul palco del
Festival di Sanremo del 1961. L‟iconoclastia del linguaggio corporeo di Celentano
prelude all‟interpretazione del brano in gara, “Ventiquattromila baci”. Laddove in “Nel
blu, dipinto di blu” di Modugno la tensione sessuale assumeva tratti onirici, intaccando
il senso morale tradizionale a livello subliminale, “Ventiquattromila baci” ostenta una
carnalità inequivocabile, addirittura quantificabile, pur con un‟iperbole, nel numero di
effusioni prodotte nella prestazione amorosa. Berselli sottolinea come anche Mina, nel
brano “Renato” del 1952, nomini l‟eponimo oggetto del desiderio per cinquantaquattro
volte. Entrambe le quantificazioni esprimono la concezione ludica dell‟amore,
caratterizzato dall‟irresponsabilità, proteso a una leggerezza della vita privata che
assolva gli individui dall‟oppressione delle vicende pubbliche internazionali, come la
Crisi dei missili di Cuba del 1961. In un altro brano del 1961, intitolato “Non esiste
l‟amor”, Celentano canta: “Non esiste l‟amor / è soltanto una favola / inventata da te /
per burlarti di me”. Qui Celentano stigmatizza il rapporto sentimentale, amoroso, in
quanto coltivato su illusioni prive di fondamento, e contrassegnato delle delusioni che
ne accompagnano la fine già preventivata. L‟individuo moderno, emancipato, conscio
della finitudine di ogni avventura sentimentale, sa anestetizzarsi declinando il dolore per
la conclusione di un rapporto nella ricerca del rapporto successivo. L‟analisi di Berselli
vede Adriano Celentano opporre alla retorica tradizionale dell‟amore romantico
66
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 112.
25
un‟antiretorica materialistica dell‟amore superficiale in quanto espressione di un
individualismo de-responsabilizzato. Nella sua azione di rottura Celentano è l‟ispiratore
di un nuovo modo di stare al mondo: <<una rivolta tutta sua, istintiva, basata su una
speciale retorica dell‟antiretorica e su un individualismo che ci avrebbe messo poco a
diventare di massa>>.67
Berselli sostiene che la popolarità di Celentano vada ricondotta ad altre due
caratteristiche del cantante: il suo essere capobranco, e il suo essere maschilista. Se
Mina preconizza la visione modernizzatrice di una donna emancipata, che non ha timore
di dichiarare i propri desideri sentimentali oltre che sessuali, l‟azione di Celentano è
ambivalente. Celentano conduce al contempo una rivoluzione in ambito artistico, e una
restaurazione dei valori sociali tradizionali, rimanendo <<il ras di quartiere, il maschio
maschilista, il capobanda>> del cosiddetto “Clan”, un‟organizzazione discografica
composta da cantanti poi divenuti celebri, come Don Backy e Ricky Gianco, alla quale
Celentano conferisce uno stile e un‟identità originali ideando una divisa: <<micidiali
pantaloni bicolori a zampa d‟elefante, e magliette e canottiere da underclass>>. Il
maschilismo di Celentano si manifesta in brani come “Grazie, Prego, Scusi”, nel loro
rinvio testuale a situazioni legate al corteggiamento, al ballo finalizzato alla seduzione,
al suo atteggiamento da <<Mezzo uomo e mezzo animale>>.68
Adriano Celentano, nella sua naturale istintività, genera nel pubblico un sentimento
di appartenenza. Diventa l‟idolo delle masse popolari in quanto ne ricalca i tratti
salienti: l‟ambiente in cui si muove, il suo stile di vita, il suo linguaggio minimale,
essendo popolari formano una sinergia con le esistenze e i sentimenti del mondo
proletario e borghese. Celentano costruisce su di sé l‟immagine del “cattivo ragazzo di
periferia”, che compensa l‟opacità dei propri risultati scolastici con la dimestichezza nei
rapporti con le donne e le capacità di comando all‟interno di un gruppo. Tale modello,
che nell‟analisi di Berselli costituisce piuttosto un contro-modello, risulta invidiabile
all‟ascoltatore desideroso di anticonformismo: <<quando dicevi “Mi piace Celentano”,
volevi anche segnalare una presa di distanza dal gusto corrente. Sarà stato per via del
rock delle sue origini, come anche per l‟anticonformismo di paese o di periferia…
Adriano era una specie di modello al contrario, la figura dialetticamente opposta allo
studente perfetto>>.69
67
Cfr. Ivi, pp. 111-115.
Cfr. Ivi, pp. 116-117.
69
Cfr. Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., pp. 898-899.
68
26
Berselli separa con nettezza le due fasi in cui ritiene filologicamente corretto ripartire
il percorso artistico di Celentano. La prima fase artistica di Celentano, fondamentale per
il rinnovamento dei costumi nella società italiana, si conclude nel momento in cui
l‟Italia si appresta a uscire dal periodo di espansione economica. Nel passaggio alla
seconda fase Celentano abbandona l‟istintività, la leggerezza, la trattazione della
quotidianità. All‟era dell‟irresponsabilità succede l‟era della protesta, e nella produzione
di Celentano diviene predominante ciò che Berselli identifica come una <<irrefrenabile
e fastidiosissima vocazione pedagogico – religiosa. Celentano non si limita più a
credere, vuole convertire. Non gli piace solo raccontare, vuole fare educazione di
massa>>70. In questa seconda versione di Celentano Berselli individuerà un esempio di
approccio compositivo non desiderabile, in quanto portatore di una diseducazione
estetica.
La cosiddetta “urgenza del messaggio” prevede che l‟intera potenzialità espressiva
del brano musicale non venga riposta nella sua forma, quanto nel suo contenuto
“impegnato”, da divulgare alla stregua di opuscolo prescrittivo finalizzato al progresso
sociale. La fase pedagogico – religiosa di Celentano comincia al Festival di Sanremo
del 1966, con il brano “Il ragazzo della via Gluck”. Una canzone ambientalista, in cui
Celentano denuncia il processo di cementificazione corrente in vaste zone d‟Italia. Nel
1967, Celentano si schiera contro il divorzio in “La coppia più bella del mondo”, mentre
in “Tre passi avanti” predica la fine del beat e del fenomeno dei capelloni. Vent‟anni
dopo, nella duplice veste di cantante e conduttore televisivo del programma RAI
“Fantastico”, andato in onda tra il 1987 e il 1988, Celentano instaura un <<magistero
populista di massa>>, pontificando contro l‟attività venatoria e invitando i cittadini in
ascolto a votare “sì” al referendum contro il nucleare del 1987. In tale svolta, secondo
Berselli, consiste il maggior danno inferto da Celentano sia alla propria attività artistica,
sia alla società italiana, avendo egli fornito una <<anticipazione mediatica>> di Silvio
Berlusconi alle elezioni politiche del 1994, nonché della sua contro-cultura politica
successivamente denominata “Berlusconismo”. L‟errore di Celentano risiede, secondo
Berselli, nella sua decisione di abbandonare il ruolo di eroe popolare, interprete della
<<struttura psicologica della società italiana>>, per poter divenire qualcos‟altro: <<Un
guru. Il profeta di una religione molto sincretistica fatta di ecologismo estremista, di
70
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 118.
27
cattolicesimo stiracchiato alla sua maniera di interlocutore diretto di Dio, di
paternalismo massimalista>>.71
Appare significativa, nell‟analisi di Berselli, la considerazione per cui i due cantanti
“pop” resisi straordinari <<acceleratori di trasformazione>> divengano la perfetta
espressione del marketing applicato alla musica, allorché nel 1998, Mina e Celentano
pubblicano un disco frutto della loro collaborazione. Berselli giudica il prodotto
irricevibile, elaborando una stroncatura complessiva delle rispettive parabole: <<Mostri
sacri si nasce, babbioni si diventa. Mina e Celentano, da sublimi plebei che erano, sono
riusciti a diventare borghesi banali>>. Berselli ritiene il disco “Mina Celentano” il
sintomo dell‟ineludibilità dell‟omologazione caratterizzante gli anni Novanta dell‟Italia,
<<l‟immagine di un paese che è invecchiato, e che non ha avuto neppure la forza e la
lealtà di costringere i suoi miti a restare tali>>, determinando nei coetanei di Berselli la
malinconia per un passato incapace di reinventarsi.72
A tali giudizi critici Berselli non manca di affiancare giudizi più ironici, improntati
alla sua peculiare leggerezza e legati al suo personale sentimento nei confronti sia di
Mina sia di Celentano, quasi a voler sottrarre assertività alle sue conclusioni. Così, se da
un lato ipotizza un irreale <<convegno internazionale a Parigi o a Londra sulle voci più
belle del mondo>> dove produrre una relazione secondo cui <<la signora Mazzini non
ha mai imparato a cantare come si deve, e che strilla sempre, si sgola anche quando
non dovrebbe>>73, dall‟altro rimarca la propria antipatia per Adriano Celentano, che
<<a meno di trent‟anni era già un reazionario della Madonna, o meglio un tardivo
microfono di Dio>>74 e in “Tre passi avanti” aveva auspicato la fine dell‟era beat,
quando la felicità connessa a quel periodo era ancora nella sua fase espansiva, prima del
Sessantotto.
1.3 L‟epoca dell‟impegno: il beat e i cantautori
Gli anni Sessanta, visti da Berselli, si caratterizzano per la brevità del perdurare della
propria peculiare scala di valori. All‟irresponsabilità della “Belle Epoque” si
contrappone una sperimentazione artistica percorsa da una costante ricerca della
71
Cfr. Ivi, pp. 119-121.
Cfr. Ivi, pp. 128-130.
73
Cfr. Ivi, pp. 246.
74
Ivi, pp. 245.
72
28
pesantezza, del principio di una depressione, della percezione del mal di vivere fra i
giovani. La musica “Pop” attraversa, nella seconda metà degli anni Sessanta, un
processo di intellettualizzazione del proprio linguaggio, già esemplificabile nella svolta
pedagogico – religiosa di Celentano. Altrettanto essa risulta nella divulgazione di una
condizione esistenziale generata dalla modernità, la cosiddetta “alienazione”, mediata
dall‟accessibilità linguistica dell‟italiano medio protagonista di film come “Il sorpasso”
di Dino Risi. L‟esistenzialismo, intriso di dolore, massimalismo e di una pensosità
contrapposta alla levità dell‟Italia del boom economico, è per Berselli mero
stratagemma programmatico finalizzato alla pratica dell‟erotismo ludico da parte degli
intellettuali e degli artisti. Nel racconto di Berselli acquista centralità l‟emancipazione
erotica e sessuale che coinvolge sia i giovani, sia la generazione dei quarantenni,
prossimi a un conflitto sociale causato dalla duplice esigenza di rimarcare e colmare una
distanza mediante la contestazione.75
Prima dell‟interruzione imposta dal Sessantotto all‟edonismo di massa, Berselli si
sofferma ancora sul personale idillio di un periodo da lui definito <<quella stagione
breve, un po‟ sgangherata e però felice della nostra – della mia - vita>>76, l‟epopea del
beat italiano. La prima parte degli anni Sessanta è segnata dallo schema d‟azione
giovanile costruito sul benessere del boom economico, che si realizza nel disimpegno
politico, nello scontro con i canoni valoriali adulti, nella ricerca del divertimento.
Allorché inizia la fase recessiva, diverse fonti delineano scenari percorsi dal pessimismo
per le sorti della società italiana. Il finale del film “Il sorpasso” di Dino Risi, nel 1962,
<<getta un velo di cupezza sul futuro>>. Lucio Spaziante sottolinea come le inchieste
sociologiche dell‟epoca annotino presso la popolazione giovanile una considerevole
diffusione di ansietà per le prospettive lavorative future. Tuttavia, si assiste alla
stereotipizzazione dei giovani, in una rappresentazione che persevera a configurarne
<<una spensieratezza vacua…una totale separazione dagli adulti… Il “giovane”
diventa una categoria, un ruolo sociale, nel quale riconoscersi e con il quale essere
irresolubilmente etichettati>>. Il linguaggio giovanile, per la sua tendenza
all‟esterofilia, viene definito “yé yé”, riproposto in canzoni come “Andavo a cento
all‟ora” di Gianni Morandi, del 1962. Le cosiddette “radio pirata”, come Radio
Luxembourg, sono il maggior canale di diffusione e affermazione culturale della nuova
musica nata in Inghilterra e negli Stati Uniti d‟America. Al fine di contrastare la
75
76
Cfr. Ivi, pp. 131-132.
Ivi, p. 155.
29
concorrenza delle radio clandestine, anche le radio ufficiali iniziano a concedere spazi
di trasmissione che soddisfino i gusti giovanili, protesi alla musica diffusa da Londra
più che dall‟America di Elvis Presley. Il genere musicale del “Mersey Beat”, praticato
dai Beatles e gruppi similari, viene tradotto in Italia come “beat”, alla cui categoria
vengono iscritti sia gruppi inglesi come Beatles, Rolling Stones, Small Faces ed
Animals, sia i cosiddetti “complessi” formatisi in Italia fra il 1964 e il 1966, ovvero i
Ribelli, i Rokes, i Giganti, l‟Equipe 84, i Camaleonti, i New Dada, i Califfi, i Corvi e i
Dik Dik. Il beat italiano diventa fenomeno di massa nel 1966, nel corso di una
manifestazione canora itinerante, il “Cantagiro”, dove propongono al pubblico le
proprie reinterpretazioni di brani inglesi. Esempio ne è il brano de I Corvi “Un ragazzo
di strada”, del 1966, la versione italiana del brano originale “I Ain‟t No Miracle
Worker” scritto nel 1965 dai Brogues.77
Nel testo dei Corvi sono presenti i temi cari ai giovani del 1966, quali il
rimarcamento della propria singolarità rispetto all‟altro da sé (“Io sono quel che sono /
Non sono come te”), e, soprattutto, la sottolineatura di un‟esigenza di differenziazione,
da parte di coloro che vivono nella marginalità sociale, urbanistica, ideologica, rispetto
agli individui ritenuti inseriti nel conformismo della società degli adulti (“Non faccio la
vita che fai / Io vivo ai margini della città”). “Un ragazzo di strada”, scrive Berselli, è
percorsa da quella marginalità <<rivendicata sui toni rauchi, con la voce che si incrina
per la rabbia, e che ci piaceva tanto perché eravamo tutti ragazzi cresciuti sulla
strada>>78. Nella predilezione per brani come “Un ragazzo di strada” Berselli, all‟epoca
adolescente, individua l‟epifania di un mutamento di prospettiva, che <<metteva allo
scoperto ciò che si era, e che fino a qualche momento prima era mascherato o filtrato
da chissà quale convenzione o cretineria del gusto>>79. Il rifiuto della proposta
canonica dei canali RAI e i prodotti editoriali di massa come “Sorrisi e Canzoni”,
incentrata su cantanti melodici alla maniera di Gianni Morandi, è cifra distintiva del
pubblico beat italiano. A questo si aggiunge la volontà dei beat di non inseguire
l‟aderenza alla contestazione giovanile, esplosa il 27 aprile 1966 a seguito dell‟omicidio
dello studente romano Paolo Rossi. All‟interno delle contestazioni, caratterizzate da
scontri fisici tra studenti e forze dell‟ordine, attività di sciopero e occupazioni di istituti
scolastici e universitari, i partecipanti inneggiano alle composizioni di autori come
77
Cfr. Lucio Spaziante, op. cit. pp. 59 -61.
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 133.
79
Ibidem.
78
30
Paolo Pietrangeli e Fausto Amodei, definiti “cattivi maestri” per l‟istigazione alla rivolta
violenta presente in alcuni testi.80
Berselli delinea con chiarezza lo stretto legame fra la cultura beat e il qualunquismo
politico, il culto della ricerca individuale, l‟avversione per le esperienze collettive che
esulino dalla contrapposizione con avversari non meglio definiti se non nella vaghezza
del contrasto fra pronomi personali plurali – i Rokes nel 1966, in “Ma che colpa
abbiamo noi”, cantano: “E se noi non siamo come voi / Una ragione forse c‟è”. I
giovani fruitori del beat italiano professano indifferenza per le condizioni in cui versa il
paese, coltivando un individualismo di cui rende conto Berselli in prima persona:
<<lasciatemi perdere, non sono fatto per le esperienze collettive…non voglio saperne di
cortei, di occupazioni, di impegni più o meno politici e collettivi. E se insistono: della
società non me ne frega niente>>81. La contrapposizione inter-generazionale dà luogo al
manicheismo con cui la società viene divisa in due macro-gruppi risultanti: “Noi”,
ovvero i ragazzi dediti all‟utopia del beat, contro “Voi”, ovvero gli altri, <<individui
sadicamente uniti nella mistica del profitto>>82.
Berselli racconta l‟ascesa e il successo del gruppo dei Rokes di Norman David
Shapiro, in arte “Shel”. I Rokes, in principio noti in Inghilterra con il nome The Cabin
Boys & Colin Hicks, arrivano in Italia nel 1960 e, a seguito della defezione di Colin
Hicks, presentano la formazione standard di quattro elementi, come da canonizzazione
impartita dai Beatles. Il loro primo successo è “Un‟anima pura”, del 1964,
reinterpretazione di una canzone composta nel 1940 da Don Marino Barreto Jr.
L‟apporto dei Rokes alla musica italiana è fondamentale per Berselli, il quale li ritiene il
gruppo che <<avrebbe dato una sonorità alla modernizzazione italiana>>83. I Rokes
sono attori del rovesciamento delle convenzioni. L‟esibizione dei capelli lunghi e l‟uso
della tecnica vocale del falsetto sono elementi di una provocazione costruita
sull‟ambuguità sessuale, sgradita al pubblico adulto e apprezzata dai giovani clienti del
Piper, locale beat nato a Roma nel 1965.
La cosiddetta “epoca d‟oro” dei complessi beat dura fino al 1967. Il coefficiente
rivoluzionario dello scandalo del beat è tale per cui Adriano Celentano, innovatore nella
seconda metà degli anni Cinquanta, prima della svolta “pedagogico – religiosa”, nel
1967 propala conformismo nel brano “Tre passi avanti”. Celentano vi difende le
80
Cfr. Ivi, pp. 133-135.
Ivi, p. 135.
82
Cfr. Edmondo Berselli, Post-italiani, in Q.G.P.D.I., p. 381.
83
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 138.
81
31
convenzionalità,
esprimendo
un‟iniziale
gratitudine
al
movimento
beat
ma
prospettandone la fine per aver creato i valori in cui si riconoscerebbero, a suo dire, “i
ragazzi che non si lavano / e altri che si drogano / e dimenticano Dio”, nonché i
capelloni, coloro che “visti di spalle / chi è la donna non si sa”.84
Il livore di Celentano verso il mondo beat è riconducibile a una vicenda sentimentale
conclusasi negativamente, come tiene a precisare Berselli che ironizza in questi termini:
<<il ragazzo beat gli ha fregato la ragazza, e allora lui insulta tutti>>85. L‟amore
perduto a causa della concorrenza del ragazzo beat simboleggia per Celentano la
sostituzione nel ruolo di guida rivoluzionaria, assunto in toto dal movimento beat.
Berselli identifica nel brano anti – beat di Celentano la dissoluzione dell‟utopia beat
della modernità, fondata su un fideismo capace di travalicare l‟oggettiva discrepanza
qualitativa fra gruppi come Beatles e Rolling Stones e i complessi italiani come i Rokes:
<<Facendo il tifo per un complesso decisamente minore si combatteva una piccola
guerra senza speranza, al cui fondo c‟era però la convinzione che non contassero solo i
protagonisti, gli idoli delle masse, ma il movimento in sé, l‟indistinto collettivo in cui si
esprimeva la modernità>>86.
L‟urgenza di modernità è il fulcro della coscienza costruita dal movimento beat sulla
contrapposizione generazionale, racchiusa nella formula “noi contro voi”. Il “noi”, i
giovani, che rivendicano il diritto di coltivare illusioni di mutamento, contro gli adulti,
contro-modello espressione di ipocrisie e conformismo. Nelle canzoni dei Rokes i
giovani trovano una giustificazione al proprio vittimismo, e il dolore generazionale
connaturato al cambiamento si acuisce all‟approssimarsi del Sessantotto. “Piangi con
me”, “È la pioggia che va”, “Che colpa abbiamo noi”, contengono spunti sul movimento
di protesta. La protesta dei Rokes e degli altri gruppi beat non presenta un sistema
ideologico di riferimento né un indirizzo politico, quanto piuttosto sociale,
antropologico, nell‟ambito di un‟identificazione con ciò che Shapiro definisce <<lo
spirito del tempo>>, il senso di appartenenza al movimento collettivo della
modernizzazione.
Con l‟esplosione dei moti del Sessantotto, le cui motivazioni risultano
incomprensibili al popolo beat87, unitamente all‟esigenza di un impegno totalizzante
all‟interno della società italiana, l‟era beat può ritenersi conclusa in favore dell‟ascesa
84
Cfr. Ivi, pp. 136 – 139.
Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., p. 945.
86
Cfr. Ivi, p. 943.
87
Cfr. Ivi, p. 947.
85
32
dei cantautori. L‟attività della maggior parte dei gruppi beat di successo, dopo il
Sessantotto, si riassume nel tentativo di eternizzare il “triennio magico” in una
riproposizione statica e immutabile dei brani adatti a soddisfare la nostalgia di un
pubblico divenuto adulto. Delle due differenti motivazioni addotte da Shel Shapiro al
ritiro ufficiale dei Rokes, avvenuto l‟8 agosto del 1970, l‟una risulta riconducibile a una
dimensione privata, l‟altra alla questione pubblica. Nella prima confluisce l‟intero
apparato simbolico del beat, dal momento che, così come il beat italiano si esaurisce con
il passaggio definitivo dei giovani alla fase adulta della contestazione globale, al
contempo Shel Shapiro e gli altri elementi del gruppo avvertono l‟urgenza di abiurare
alla gioventù al fine di diventare adulti essi stessi88. Secondariamente, i Rokes
anticipano l‟accantonamento della Weltanschauung alla base del beat, reso obbligatorio
dalla gravità delle vicende nazionali e internazionali. Il pensiero di modernità del beat
scompare nella presa di coscienza dell‟ineluttabiltà del proprio logoramento definitivo89.
I cantautori
Dagli scritti di Berselli emerge come il beat fosse considerato alla stregua di una
forma di strutturazione dell‟esistenza pressoché priva di difetti, eventualmente
perfettibile, capace di insinuarsi persino nel mondo ecclesiastico con le cosiddette
“messe beat”. Alla fiducia nel sistema di valori del beat si annette la presunzione della
sua insostituibilità, successivamente disattesa dall‟irruzione delle nuove correnti “yeye” e “hippy”. Queste ultime si pongono come semplici diramazioni del beat.
La novità è costituita dalla contestazione globale del Sessantotto, che sostituisce
all‟antagonismo inter-generazionale, di cui il beat è espressione, la protesta politica
intesa nel senso generale di rifiuto dell‟autorità costituita, in primis accademica.
All‟omicidio dello studente Paolo Rossi, il 27 aprile 1966, era seguita l‟immediata
occupazione studentesca della Facoltà di Lettere dell‟Università “La Sapienza” di
Roma, alla quale l‟allora ministro dell‟Interno Paolo Emilio Taviani, con due circolari
risalenti rispettivamente al 1° luglio 1966 e al 27 gennaio 1967, tentava di porre rimedio
imponendo al Prefetto di introdurre le forze dell‟ordine in tutte le sedi universitarie
italiane occupate, salvo espresso diniego da parte dei rispettivi Rettori90. La discussione
aperta sui rapporti fra studenti e docenti universitari costituisce la base dialettica per
88
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 145 – 155.
Ivi, nota n. 27, p. 258.
90
Cfr. Guido Crainz, op. cit., p. 217 – 218.
89
33
un‟opposizione a tutti i rapporti di subalternità degli appartenenti alle classi disagiate
rispetto a una minoranza capace di attrarre il potere economico – politico su di sé. Tale
opposizione, che vede nella prosecuzione dell‟intervento militare americano in Vietnam
il nuovo simbolo di una gerarchia di poteri da sovvertire, si compie al suo meglio nel
1968 nel cosiddetto “Maggio Francese”, a cui segue, negli Stati Uniti d‟America, tra il
15 agosto e il 18 agosto 1969, l‟evento musicale di Woodstock. Il concerto di
Woodstock rappresenta al contempo la sintesi delle culture legate al rock‟n‟roll, dal beat
al movimento hippie, e somma di esperienze rivoluzionarie aventi come cardine
l‟aspirazione alla libertà. Il rimescolamento degli artisti sul palco, la promiscuità
sessuale, la sperimentazione di droghe, si fondono nel messaggio di rifiuto
dell‟oppressione operata dalla società capitalistica, ritenuta responsabile della
persistenza di conflitti bellici internazionali, nonché di un processo di disumanizzazione
della società. Woodstock rimane tuttavia un evento circoscritto: Berselli lo ricorderà
come la <<terra promessa… riscoperta quando anche la rivoluzione sarebbe infine
diventata una nostalgia>>91.
La contestazione in Italia trova un sostegno culturale nei “cantautori”, così definiti
<<per una modalità di fare musica che si svincolava dalla tradizione melodica e
leggera “all‟italiana”, nella quale gli autori delle canzoni erano anche gli interpreti e
dove le parole e le storie raccontate avevano un‟importanza pari se non superiore alla
musica>>92. Nella canzone d‟autore i testi costituiscono pressoché l‟unico oggetto di
interesse dell‟ascoltatore, nel momento in cui la scelta dei temi trattati inizia a vertere
non più sull‟esistenzialismo e i turbamenti sentimentali della quotidianità privata, come
in “Sapore di sale” di Gino Paoli, bensì su questioni di portata più ampia, dirimenti per
le vicende pubbliche e i destini collettivi. Il massimalismo dei cantautori consta di topoi
quali il pericolo della guerra atomica, al centro di “Noi non ci saremo” dai Nomadi, o
l‟orrore dell‟Olocausto, oggetto del brano “Auschwitz” degli Equipe 84. Entrambe le
composizioni, incise nel 1966 dai rispettivi interpreti, vengono riproposte nel 1967 dal
loro autore originale, Francesco Guccini, all‟interno del disco “Folk Beat n.1” .
Berselli inizialmente stigmatizza una prassi compositiva afflitta da quella che
definisce <<l‟infezione del contenuto>>93. Si professa inoltre, seppure con ironia,
91
Edmondo Berselli, La terra promessa di Woodstock, in “la Repubblica”, 11 agosto 2004.
Lucio Spaziante, op.cit., p. 64.
93
Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., p. 949.
92
34
<<fiero oppositore del passaggio dal beat alla protesta cantata>>94, dove la musica
assume un‟importanza secondaria rispetto ai testi delle canzoni. In tale cambiamento
Berselli ravviserà uno scatto culturale significativo, pur nella generale convinzione,
esposta nella successiva strutturazione dialettica, che pressoché nessun cantautore abbia
contribuito al progresso sociale.
Berselli imputa ai cantautori un eccesso di cerebralità, unitamente all‟ostentazione di
una competenza culturale e intellettuale per mezzo di un lessico inaccessibile alle grandi
masse. Il canone della canzone d‟autore costiuisce per Berselli l‟estremizzazione della
complessità applicata alla musica popolare, un contributo alla sperequazione, oggetto di
critica di Berselli, fra le così definite cultura “alta” e “bassa”, e quindi alla
diseguaglianza economica fra le classi sociali. Nello stile e nella produzione dei
cantautori, in particolare di Francesco De Gregori95, Berselli critica l‟uso di parole
auliche, estranee alla quotidianità, adoperate per una forma di auto-compiacimento. La
vacuità dei significati espressi in larga parte dalla canzone d‟autore porta Berselli ad
accusare i cantautori di aver <<giocato a dadi con l‟ermetismo, con l‟insondabile, con
le allusioni, con l‟indicibile e l‟incomprensibile>>96, sublimando la protesta nella
narrazione favolistica.
Se non si considera l‟appunto encomiastico sulla bravura e l‟ironia di Rino
Gaetano97, Francesco Guccini rappresenta la sola eccezione all‟interno delle valutazioni
di Berselli sui cantautori e le implicazioni estetico - sociali della loro musica colta. In
primo luogo Berselli individua nei brani composti da Guccini nel 1966, “Noi non ci
saremo” e “Auschwitz”, eseguiti rispettivamente dai gruppi “Nomadi” ed “Equipe 84”,
la costruzione di un collante simbolico fra il popolo del beat e i sentimenti condivisi
verso il pericolo atomico, oltre che nel totale rifiuto di ulteriori genocidi. La sua
competenza autoriale, le tematiche trattate e la scelta di vocaboli quali “sudario”, mai
utilizzati precedentemente in un brano musicale, sono caratteristiche tali da rendere
Guccini, secondo Berselli, il rappresentante dell‟<<evoluzione sociale>> del beat.
Guccini, con “Noi non ci saremo”, “Auschwitz” e “Dio è morto”, diviene garante della
dignità del beat, poiché ne opera una variazione dei moduli imprimendovi una cultura e
una sensibilità maturate grazie agli studi pregressi. Ascrivendo la prima fase della
94
Edmondo Berselli, Francesco, il maestro amico, prefazione a Stagioni, Torino, Giulio Einaudi Editore,
2007, p. VIII.
95
Cfr. Edmondo Berselli, Venerati Maestri, in Q.G.P.D.I., pp.742-743.
96
Edmondo Berselli, Francesco, il maestro amico, prefazione a Stagioni, Torino, Giulio Einaudi Editore,
2007, p. XII.
97
Cfr. Edmondo Berselli, Sinistrati, in Q.G.P.D.I., p. 1119.
35
produzione di Guccini al movimento beat, Berselli ottiene di vedere riconosciuta, anche
fra i detrattori della protesta beat, l‟attribuzione al popolo del beat di una coscienza
civile degna di rispetto.98
Berselli non manca, nei suoi scritti, di spendere parole dense di stima per Francesco
Guccini, a fronte di una fase transitoria di diffidenza, seguita agli studi filosofici di
Theodor W. Adorno, verso la sua presunta strumentalizzazione della vicenda
dell‟Olocausto; oltre che per l‟accusa, successivamente ritrattata, di un abuso di cultura
nelle sue canzoni99. Con leggerezza e auto-ironia Berselli ripercorre tale transizione,
dalla sua definizione di Guccini come <<il Carducci dei cantautori, con le sue strofe e
rime un po‟ macchinose>> fino al progressivo riconoscimento sia del valore artistico di
Guccini, <<un deposito vivente di cultura>>100, sia della simpatia personale che induce
Berselli a chiamare il cantautore <<Guccinius>> all‟interno di un approfondimento
intitolato scherzosamente <<Storia di Francesco Guccini raccontata al mio cane>>101,
frutto della sua fantasia comica, dove Berselli con effetti esileranti immagina una
dissertazione sul percorso artistico e la formazione di Guccini con il cane Liù, futuro
protagonista dell‟omonimo saggio102 dell‟autore. Berselli ricorrerà altre volte al
personaggio di Guccinius103, sempre nell‟intento, non dichiarato, di rimarcare la sua
generale presa di distanza dalla seriosità e dalla pesantezza nel racconto della musica
popolare in rapporto alla società.
Nell‟analizzare la produzione di Guccini, Berselli identifica due aspetti che ne
determinano l‟unicità. In primo luogo, Guccini si pone alla stregua di un maestro
artigiano capace di pervenire, per mezzo del labor limae, all‟esattezza formale, la
dimensione evocativa, l‟inevitabilità e l‟essenzialità riscontrabile nei classici. L‟anima
classica di Guccini gli consente di rispondere alle esigenze dell‟anima popolare,
tradizionale, che non viene quindi esclusa dal processo narrativo. Secondariamente,
Berselli riconosce nel percorso artistico di Guccini la coerenza rispetto al ruolo di
cantastorie. Nelle sue canzoni, a differenza di quanto espresso dai colleghi cantautori,
Guccini non racconta favole, bensì impernia il rapporto di amicizia con il suo pubblico
raccontando storie. Storie come quella narrata in “Incontro”, nella spiegazione fornita
da Berselli, possiedono il dono dell‟atemporalità, che ne determina il valore in quanto
98
Cfr. Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., p. 952.
Ibidem.
100
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 240 – 243.
101
Cfr. Edmondo Berselli, Venerati maestri, in Q.G.P.D.I., pp. 738 – 743.
102
Edmondo Berselli, Liù, in Q.G.P.D.I.
103
Cfr. Edmondo Berselli, Adulti con riserva, in Q.G.P.D.I., pp. 939 – 942.
99
36
<<la bellezza di una canzone consiste proprio nella possibilità di prendere una storia e
di proiettarla in uno spazio senza tempo, in una specie di eternità>>.104
104
Cfr. Edmondo Berselli, Francesco, il maestro amico, prefazione a Stagioni, Torino, Giulio Einaudi
Editore, 2007, pp. XI – XII.
37
2. Modelli di musica popolare secondo Berselli
In questo capitolo si intende affrontare la trattazione di Berselli in merito a due artisti
particolarmente significativi per la sua sociologia della musica leggera italiana: Lucio
Battisti e Max Pezzali.
Per quanto riguarda la portata rivoluzionaria di Lucio Battisti nell‟analisi di Berselli
occorre considerarne sia l‟apporto tecnico, sia pedagogico. Il primo è desumibile dalle
dichiarazioni di Ennio Morricone, che Berselli convintamente ripropone:
Mi sembra addirittura che Battisti abbia resuscitato lo spirito dell‟antico canto
gregoriano. In particolare, di quel tipo di canto liturgico che applicava al testo una
nota per ogni sillaba: in questo modo gli ascoltatori potevano capire ogni parola…
Quali che fossero le sue “radici”, per la nostra musica leggera il suo arrivo fu una
novità che portò a dei risultati strepitosi.105
Il ruolo pedagogico di Battisti, acceleratore dell‟evoulzione dei costumi per le
generazioni di italiani cresciute e cambiate con la sua musica106, può invece trarsi dalla
validità universalistica del racconto di Pier Vittorio Tondelli, scrittore oggetto di
numerose citazioni nell‟opera di Berselli:
La prima volta che ho baciato… una ragazza è stato ascoltando Mi ritorni in
mente… In una gita scolastica alle Cinque Terre, Acqua azzurra, Acqua chiara fu
l‟accompagnamento musicale ed ecologico più adatto; Emozioni andò benissimo un
po‟ più tardi… Fiori rosa fiori di pesco si cantò a squarciagola sul pullman dei
campeggi estivi… Forse, Battisti, come nessun altro, riuscì in quegli anni a cantare
di sentimenti e di amori adolescenziali, di grandi fughe e grandi dispiaceri
eseguendo belle canzoni da mandare a memoria e quindi incomparabili refrain
per… giovani ugole innamorate e malinconiche, prima della rivoluzione.
107
Sulla valutazione di Berselli del percorso artistico di Max Pezzali si rimanda alla
Postfazione di Canzoni, risalente al 2007. Qui Berselli, pur affermando di non attribuire
una qualche importanza alla tesi espressa nel 1999, secondo cui le canzoni costituiscano
105
Cfr. intervista a Ennio Morricone, in “Il Messaggero”, 10 settembre 1998, citato in Edmondo Berselli,
Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 267.
106
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 98-99.
107
Cfr. Pier Vittorio Tondelli, in “L‟Espresso”, 13 aprile 1986, citato in Edmondo Berselli, Canzoni, in
Q.G.P.D.I., p. 265.
38
la corsia preferenziale per una migliore comprensione delle dinamiche sociali, afferma
con certezza quanto segue:
Rivendico integralmente la sociologia debitamente selvaggia che innerva tutto
l‟ultimo capitolo, dedicato a Max Pezzali, interpretato come un interprete
specializzatissimo, intelligente e a suo modo perfino colto, capace di identificare i
giochi di ruolo della provincia… Insomma, potete dire tutto, dell‟autore di questo
libro… Ma su Max Pezzali non ci sono discussioni. L‟ha sdoganato lui, cioè io. E
ancora adesso sono disposto a sostenere in pubblico che non solo è un bravissimo
sociologo naturale, un perlustratore intelligente della provincia profonda, ma è anche
il più bravo autore di testi per le canzoni che ci sia in circolazione in questo povero
momento.108
2.1 Lucio Battisti come autore di riferimento
Fra i diversi interpreti e autori della canzone italiana, Edmondo Berselli attribuisce
assoluta rilevanza all‟opera di Lucio Battisti. Tale importanza deriva sia da
considerazioni di tipo soggettivo, legate al gusto e alle simpatie di Berselli che con autoironia si dice appartenente alla <<setta dei battistiani affezionatissimi al… maestro
solitario>>109, sia dalla valutazione dei componimenti di Battisti nel rapporto fra questi
e la società.
Lucio Battisti è innanzitutto la figura di raccordo fra la musica beat e quella specifica
tipologia di canzone italiana popolare, di massa, e tuttavia capace, secondo Berselli, di
sublimarsi nell‟esempio di Battisti in una dimensione artistica meritevole di lode. La
produzione musicale di Battisti, pur trovando espressione anche in collaborazioni
diverse, è legata in particolar modo al paroliere Giulio Rapetti, il quale, noto con il
nome d‟arte “Mogol”, tra il 1965 e il 1966 scrive i testi di due brani composti da Lucio
Battisti, “Dolce di giorno” e “Per una lira”, interpretati da due complessi beat,
rispettivamente i Dik Dik e I Ribelli110.
Nel corso degli anni Settanta, il binomio Battisti – Mogol è tale da generare una
sigla, “Mogolbattisti”, che fonde il musicista e il paroliere, due personalità distinte e
separate, in un progetto creativo che inizia ufficialmente nel 1969, e termina nel 1980
per incompatibilità personali. A riguardo appare significativo che Berselli dedichi un
108
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 251-252.
Edmondo Berselli, L‟anniversario che non fa cultura, in “Il Sole 24 Ore”, 29 settembre 2002.
110
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I, pp. 156-157.
109
39
capitolo di Canzoni a Mogol, il cui titolo, “Quel gran genio di Mogol”, parrebbe
preludere a una dichiarazione di stima incondizionata per il talento comunicativo di
Mogol. Ciò è dimostrabile in ampia parte, ma Berselli non manca di evidenziare la
contrapposizione fra i caratteri e gli approcci compositivi di Mogol e Battisti, al fine di
argomentare secondo i criteri dell‟oggettività una predilezione ancora maggiore per il
percorso artistico di quest‟ultimo.
Berselli elogia il metodo di lavoro di Battisti, da lui stesso descritto nel brano
eponimo del primo disco prodotto senza Mogol, pubblicato nel 1982 con il titolo di “E
già”, e nel quale è ravvisabile la principale antitesi fra il musicista e il paroliere: “Niente
è definitivo per te / provi e riprovi non ti fermi mai / e intanto aggiungi tagli e
sintetizzi”111. Laddove Battisti ritrova nella musica pop consumistica un terreno per la
sperimentazione musicale, alla sempiterna ricerca di un perfezionamento del proprio
stile, da perseguire con l‟umiltà, la consapevolezza e la pazienza tipiche dell‟artigiano –
addirittura, secondo Berselli, dello <<scrittore>> - l‟unico obiettivo di Mogol è
comunicare con il maggior numero possibile di ascoltatori112. La centralità di Battisti e
Mogol nel discorso di Berselli intorno alla musica risiede sia nella pregevolezza del
suddetto atteggiamento di Battisti, sia nella coincidenza tra la personalità di Mogol e i
suoi testi, frutto della pura istintualità del paroliere.
In primis, e in aperta contrarietà rispetto a quella <<infezione del contenuto>>113
tanto biasimata da Berselli quanto dilagante al massimo grado negli anni Settanta storicamente denominati “Anni di Piombo” per la violenza profusavi da organizzazioni
criminali e terroristiche - nella pur encomiabile forma dei suoi componimenti Mogol
ostenta, secondo Berselli, <<uno schietto anti-intellettualismo>>114. Tale antiintellettualismo risulta dai due interessi precipui di Mogol, nei quali Berselli individua
una doppia fede. Mogol nutre una prima fede in se stesso, sia in quanto individuo sia
nella propria abilità nell‟estrinsecare quella che Berselli sintetizza come la fede <<nelle
emozioni, anzi, e meglio ancora, nelle Emozioni, con tanto di maiuscola e narici
frementi>>. Contrariamente a Battisti, Mogol basa il proprio metodo di lavoro sulla
rapida cristallizzazione degli stati d‟animo secondo gli unici filtri dell‟istinto e
l‟immediatezza, estromettendovi tanto una riflessione sui contenuti quanto una
111
112
Lucio Battisti, E già, in E già, 33 giri, Ed. Numero Uno, 1982.
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I, pp.158-160.
Vedi capitolo 1, nota n. 93.
114
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 159.
113
40
rielaborazione formale finalizzata a perfezionare la concatenazione fra musica e testo.
Le parole, per Mogol, sono semplici mezzi per esprimere
queste emozioni che urgono ancora allo stato grezzo. Lui… è fiero di essere un
professionista del massimo risultato con il minimo sforzo. E si vede. Si vede sempre.
Anche nelle prove migliori… affiora sempre la sensazione di un che di non rifinito,
qualcosa che cigola, si ribella, che non sta nelle battute… Quella che conta non è la
forma. È la sostanza.
115
Questa urgenza comunicativa permette inoltre a Mogol di scrivere “Una giornata
uggiosa”, brano presente nell‟ultimo disco frutto della collaborazione con Battisti, che a
Berselli pare sia un‟anticipazione profetica della fine del connubio artistico e personale
con il musicista, sia un <<autentico necrologio anticipato>> dell‟ancora lontana
sepoltura di quest‟ultimo nel cimitero di campagna di Dosso di Coroldo, nel 1998.116
Le tematiche predilette da Mogol attingono in via pressoché esclusiva al
dispiegamento quotidiano della dimensione privata, scandita dai sentimenti che
definiscono l‟identità di ciascun individuo e, al contempo, la inseriscono in un sistema
valoriale condiviso dalla collettività. La dimensione pubblica in Mogol, e
conseguentemente in Battisti, risulta assente. Portando a esempio l‟assassinio di Aldo
Moro, avvenuto nel 1978, Berselli sottolinea come nessun evento di pubblico dominio,
per quanto risulti avere un impatto considerevole sulla società italiana e il suo
immaginario, riesca a trovare il benché minimo riflesso nei testi di Mogol, per il quale –
scrive ancora Berselli – la dimensione pubblica appare <<semplicemente uno dei teatri
in cui avvengono rappresentazioni individuali e commedie personali, rapporti a due,
amori e ripulse, incontri e addii>>117. Il rifiuto di Mogol per tutto ciò che attiene alla
società intesa come entità sovra-individuale si traduce nella scelta del duo
“Mogolbattisti” di escludere la politica in senso stretto dalle loro composizioni. Tale
indirizzo a-politico risulta coincidere con una banalizzazione in chiave qualunquista
delle ideologie di riferimento per le masse, come traspare da alcune dichiarazioni rese
da Mogol alla stampa in cui afferma di credere negli uomini ma non nelle ideologie,
nonché di ritenere Battisti associabile alla vaghezza di una presunta ideologia della
115
Cfr. Ivi, p. 161.
Cfr. Ivi, pp. 160-162.
117
Cfr. Ivi, p. 162.
116
41
libertà, e tuttavia pienamente estraneo all‟ideologia comunista118. Qui, oltre che
nell‟esternazione di un maschilismo latente che sfocia nella misoginia in brani come
“Donna selvaggia donna”, dove la donna viene definita un “controsenso affascinante”,
possono rintracciarsi le origini delle accuse di fascismo rivolte all‟ambiguità delle
posizioni di Mogol, ritenuta incompatibile rispetto alle esigenze degli anni Settanta: un
decennio fondamentale per il processo di emancipazione femminile, a partire dalle
conquiste legislative in tema di aborto e nell‟istituzione del divorzio, ma soprattutto,
come scrive Berselli, <<Un decennio prismatico, sfaccettato, apparentemente
inseplicabile. Ma dominato da un‟idea e una soltanto: che l‟unica prospettiva
intellettuale, l‟unico quadro teorico utilizzabile, l‟unica strumentazione sociopolitica,
l‟unica speranza civile sia esclusivamente “di sinistra”>>.119
Si può dire che Berselli, prima ancora di inoltrarsi in specifiche argomentazioni
teoriche, provi un personale sentimento di sollievo per la rinuncia di Mogol a scrivere
canzoni simili a “La rivoluzione”, proposta da Gianni Pettenati e Gene Pitney al Festival
di Sanremo 1967, ovvero nel pieno di quella contestazione globale che Mogol riduceva
a una <<marmellata psicologico-esistenziale, finto-protestataria, farraginosamente
giovanilista>>, inserendosi quindi nel filone artistico della reazione mascherata da
rivoluzione cui il filosofo Herbert Marcuse si richiama con la formula della
desublimazione repressiva. L‟unica ideologia costruita da Mogol, secondo Berselli,
consiste nella rappresentazione di Battisti in veste di contadino e cerimoniere della vita
nei campi, che tuttavia non consente a Mogol di sublimare la realtà in una
soprannaturalità possibile grazie al valore evocativo delle parole scelte. Si noti come il
limite della forza espressiva di Mogol coincida con la sua cifra stilistica, costituendone
il perno: per Mogol, infatti, <<le cose, la vita materiale, gli oggetti della quotidianità,
servono a qualcosa solo se possono diventare entità di livello superiore, se la casa può
trasformarsi in un Tempio>>. Allorché ciò accade, Mogol riesce a mitizzare la pura
materialità del reale in un apparato simbolico interpretabile, a livello inconscio, dal
pubblico. Per citare ancora Berselli, <<L‟estetica di Mogol si stende così senza
soluzione di continuità fra il banale e il sublime… considerando il Sacro e il Profano
sempre intercambiabili, in quanto garantiti dalla sua – di lui Mogol – personale ed
118
119
Cfr. Ivi, nota n. 20, p. 261.
Cfr. Ivi, p. 163.
42
eroica spontaneità>>, ottenendo i risultati minormente degni di encomio, secondo
Berselli, quando adotta un registro formale e linguistico ispirato al minimalismo.120
Nella descrizione di Berselli appare evidente, per quanto non venga dichiarato in
modo esplicito, un parallelismo fra Mogol e Adriano Celentano. Al pari di quest‟ultimo,
alla personalità di Mogol viene attribuita l‟inclinazione al paternalismo, alla missione
pedagogica – non in ambito sociale, bensì sessuale e sentimentale -, nonché la capacità
di comprendere in anticipo i mutamenti del costume. Sia Celentano sia Mogol
interpretano il cambiamento sociale <<con una mentalità fra il filisteo e il macho, fra
bizzarrie egocentriche e comicità conformiste… tradizionale fino a essere
irrimediabilmente reazionaria, incazzosamente sbrigativa e autoritaria>>, ma Mogol si
dimostra capace di compiere un‟operazione diversa, ristrutturando i connotati della
modernità sotto forma di allegorie che gli consentono di evitare qualsivoglia cenno di
analisi sociologica. Convinto della sostanziale inesistenza dell‟entità comunemente
chiamata “società”, Mogol si richiama al massimalismo delle tematiche oggetto di
dibattito negli anni Settanta nella sola misura in cui esso possa giovare alla sua
rappresentazione allegorica: la disoccupazione, e la correlata crisi del modello di
sviluppo capitalista, forniscono a Mogol uno spunto per canzoni come “Neanche un
minuto di „non amore‟”, in cui la donna, ancora relegata a obiettivo di conquista
amorosa, lamenta il proprio licenziamento ottenendo dal suo accompagnatore la
promessa di un amore ininterrotto, la cui onnipresenza possa compensare la perdita
dell‟occupazione. Anche l‟evoluzione dei concetti di “innamoramento” e “amore”, che
nell‟analisi di Francesco Alberoni diventa <<un movimento collettivo a due>>, conduce
in Mogol alla perpetua restaurazione dell‟egocentrismo maschilista nei rapporti
sentimentali.121
Nell‟elogio della genialità di Mogol, Berselli mira alla valorizzazione della sua
intangibilità rispetto all‟urgenza del messaggio, all‟infezione del contenuto, alla
commistione fra musica e politica sentite come imprescindibili dal pubblico
contestatario degli anni Settanta. Il Mogol migliore, secondo Berselli, è il paroliere,
talvolta meritevole dell‟appellativo di “poeta”, in grado di cogliere negli elementi
apparentemente più trascurabili della realtà metropolitana l‟essenza della quotidianità
dell‟Italia modernizzata.122 A quest‟ultima, secondo l‟analisi di Ernesto Galli della
120
Cfr. Ivi, pp. 164-167.
Cfr. Ivi, 168-169.
122
Cfr. Ivi, 170-171.
121
43
Loggia ripresa da Berselli, Mogol offre finanche <<un lessico per parlare
d‟amore>>123.
In seguito si procederà a illustrare come Berselli ritenga sottovalutato l‟impatto
socio-politico delle canzoni scritte da Mogol e Battisti per il grande pubblico, senza il
quale, stando alla teoria di Mogol, la musica perde ogni utilità. Secondo Berselli, brani
come “Acqua azzurra, acqua chiara”, “Pensieri e parole” e “Fiori rosa, fiori di pesco”,
oltre a rispettare il criterio utilitarista elaborato da Mogol risultano aver assolto, alla luce
della loro popolarità e diffusione inter-generazionale presso tutte le classi sociali, a una
funzione formativa nella costruzione dell‟identità italiana.
L‟assenza di Lucio Battisti
Oltre che prelusiva, secondo Berselli, di una morte prematura successivamente
verificatasi, l‟assenza di Battisti rappresenta l‟unica costante, eccezion fatta per un
approccio compositivo mai disgiunto dall‟anelito al perfezionismo, di un percorso
artistico perpetuamente soggetto a una progressiva evoluzione che <<comincia dal beat,
e… va a concludersi tutta in levare>>124.
Innanzitutto l‟assenza di Battisti si palesa nella scelta di evitare l‟autobiografismo
tanto nelle dichiarazioni pubbliche quanto nella creazione dei brani musicali. Nel
decennio dei Settanta, propedeutico all‟instaurazione definitiva del dominio
dell‟individualismo, l‟egocentrismo e il presenzialismo antitutto di matrice televisiva,
Lucio Battisti compie l‟operazione inversa, di sottrazione. Per dirla con le parole di
Berselli, <<per poter fare parlare Battisti bisogna andare per indizi, alla caccia di
piccole spie del comportamento; oppure cercando di leggerne le internzioni, qualche
segno esterno e visibile di una volontà>>125.
Se l‟assenza di Battisti si assolutizza solo successivamente alla conclusione dei
rapporti personali e artistici con Mogol, avvenuta nel 1980, un più generale
atteggiamento di sottrazione risulta evidente sin dalle prime apparizioni televisive.
Berselli cita le apparizioni a suo parere sintomatiche del <<pudore>> di Battisti,
allorché è già assurto a fama nazional-popolare. Nel corso della trasmissione “Teatro
10”, andata in onda il 1° maggio 1971, Battisti propone in playback il brano intitolato
123
Edmondo Berselli, Quell‟Italia della canzonetta, in “la Repubblica”, 28 febbraio 2004.
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 196.
125
Ivi, p. 173.
124
44
“Pensieri e parole”. Grazie a un‟invenzione del regista Antonello Falqui, l‟esibizione
viene ripresa sia in primo piano, sia in piano americano, producendo uno sdoppiamento
della figura e della voce di Battisti, la cui presenza in primo piano rimanda, secondo
Berselli, a un artista <<semplificato, tramutato in un‟immagine, nel poster stilizzato di
se stesso… Sul volto gli appare qualcosa che assomiglia a un rossore>>, tale da
configurarsi come <<l‟annuncio dell‟addio>>. Berselli riscontra questo presentimento
nella timidezza ostentata da Battisti a fronte del clamore e l‟entusiasmo del pubblico,
quando nel 1972 sussurra in televisione le prime strofe della canzone “I giardini di
marzo”; nel finale dell‟esecuzione di “Emozioni” insieme alla cantante Ornella Vanoni,
nel 1971, dove Battisti, ricevuto un bacio da quest‟ultima, <<istintivamente si porta la
mano alla guancia, come fanno i bambini quando le effusioni diventano intrusive>>;
nella parvenza di risentimento indottogli dalla coercizione di Renzo Arbore, che nel
1969 durante il programma “Speciale per voi” interrompe Battisti mentre canta il brano
dal titolo “Il vento”, contaminando l‟andamento liturgico della musica con una sorta di
blasfemia perpetrata dalla nascente liturgia televisiva. Per converso, sia nel corso della
storica esibizione con Mina datata 1972, sia in un diverso momento della già citata
partecipazione alla trasmissione “Teatro 10”, dove propone una versione di “Eppur mi
son scordato di te” improvvisata, acustica e accompagnata dal solo battere di un piede,
Battisti non si sottrae alla libera esposizione della propria gioia, pressoché abdicando al
pudore in cui poteva riassumersi. In riferimento a tale esecuzione, Berselli racchiude
nelle seguenti righe l‟essenza di Lucio Battisti: <<quello che era un divertissement
canoro si tramuta in musica allo stato puro: al punto che quando a metà fa risuonare
uno dei suoi “uououò”… si scatena un applauso, e lui sorride… e in quel sorriso c‟è
tutto il piacere del music maker soddisfatto di essere entrato in completa sintonia con
chi lo ascolta>>. Inoltre, laddove Mogol ritiene inutile qualsiasi musica in assenza di
un‟ampia massa di ascoltatori, Battisti trova nella felicità del pubblico, sia esso
televisivo o presente alle feste private in cui viene invitato a cantare, un‟ulteriore
sublimazione della propria felicità nel realizzare se stesso attraverso la creazione e la
manipolazione della musica, oltre che nell‟interazione con essa. All‟insofferenza per le
interviste a giornali e programmi televisivi, Battisti supplisce con l‟unica attività nella
quale sente di poter <<recuperare naturalezza e sentirsi a suo agio>>, ovvero fare
musica.126
126
Cfr. Ivi, pp. 173-176.
45
Dall‟analisi di Berselli emerge come, in un panorama musicale dominato
dall‟infezione del contenuto e dall‟asservimento della musica alla propalazione del
messaggio protestatario e anti-sistemico esatto dai movimenti del Sessantotto,
l‟artigiano musicista Battisti ritenga la musica un fine, anziché un mezzo. Inoltre,
Battisti si rivela portatore di verità in un contesto discografico già soggetto alle regole
del marketing, che delineano in primo luogo la superiorità commerciale, e dunque
fattuale, dell‟apparenza sulla sostanza dell‟arte in sé. Nel decennio della protesta, Lucio
Battisti manifesta una concezione ludica, a-politica e a-protestataria, della musica.
Questa viene così emancipata da sovrastrutture che ne inibiscono il potenziale
espressivo, formale, estetizzante, restituito dalla serietà e dall‟applicazione di Battisti, il
quale percorre gli anni Settanta profilandosi <<sempre meno “cantante” e sempre più
tecnico e gestore dei propri suoni>>127.
Non è casuale, secondo Berselli, che al sopraggiungere degli anni Ottanta, ovvero il
decennio del trionfo dell‟esteriorità post-moderna, Battisti termini i rapporti con Mogol,
rifiuti contratti discografici estremamente vantaggiosi sotto il profilo economico e
ponga, materialmente, una distanza fra sé e il mondo circostante, rifugiandosi
nell‟interiorità. La presa di distanza di Battisti è per Berselli <<un gesto estetico>>, che
disattende la prevedibilità della musica popolare, da parte di un artista già divenuto
<<soltanto una voce che esce da un disco, da una distanza, da un altrove: una voce da
nessun luogo>>128.
Fatta eccezione per il disco “E già” pubblicato nel 1982, il silenzio di Battisti perdura
sino al 1986, quando la seconda fase della sua carriera prende avvio con il disco
intitolato “Don Giovanni”, il primo di cinque dischi elaborati con il poeta e paroliere
Pasquale Panella. <<Un mese dopo è la volta della luce accecante di Cernobyl>>,
scrive Berselli, che associa metaforicamente l‟Apocalisse nucleare, <<collasso
filosofico della tecnica e della modernità>>, all‟anti-modernismo del nuovo approccio
compositivo di Battisti che, stando alle dichiarazioni rilasciate all‟epoca dal suo nuovo
paroliere129, adatta la struttura dei suoi componimenti all‟irrazionalità e la rarefazione
interpretativa dei testi di Panella, trattato ironicamente da Berselli come un
<<volenteroso e comico serial killer del linguaggio>>, composto da <<enjambements
127
Ivi, p. 177.
Cfr. Ivi, p. 178.
129
Cfr. Ivi, nota n. 4, p. 267.
128
46
vertiginosi, combinazioni da scioglilingua e sillabazioni molto inedite per le scansioni
tipiche della canzone popolare>>130.
A partire dalla collaborazione con Panella, Battisti elimina inderogabilmente le
canzoni d‟amore, abdica alla produzione di emozioni nella loro accezione
sentimentalistica, <<intellettualizza i sentimenti e li mette in freezer>>131. Berselli
sostiene che dietro a tale mutamento di metodo e prospettiva non vi sia uno
sperimentalismo fine a se stesso, bensì un progetto consapevolmente avanguardista
finalizzato alla sottrazione di qualsiasi punto di riferimento per il pubblico. In tal modo,
secondo Berselli, Battisti avrebbe indotto i suoi ascoltatori più desiderosi di complessità
a evolvere le proprie capacità percettive in una costante ricerca di senso. L‟ineffabilità
di quest‟ultimo nei testi di Panella sarebbe sintomatico non già di un‟insensatezza di
fondo, come da analisi di alcuni critici musicali, bensì della volontà di instillare il
dubbio interpretativo nell‟ascoltatore, il quale riceve così una formazione estetica e, in
ultima analisi, morale. Nei testi di Panella le cose pensano e hanno sentimenti132, si
assiste a un ribaltamento prospettico da cui non è esente <<neppure la matematica: per
questo accanito sistemista del caos, la somma dei numeri è il frutto… di una
macchinazione dei dadi>>. Battisti consegna la sua musica all‟ermetismo poetico di
Panella sia per estremizzare la distinzione e la distanza dal corpus elaborato con Mogol
negli anni Settanta, sia per creare <<un prodotto unico, inconfondibile, definitivo.
Qualcosa di fatale e in quanto tale immodificabile>>.133
Alcuni critici dell‟epoca descrivono la produzione di Battisti e Panella come
<<dadaismo da Baci Perugina>>134, o affermano che nel connubio vi sia <<Troppa
poesia per la canzonetta. Troppa canzonetta per la poesia>>135, o infine rinvengono
nell‟esperimento una <<metafisica della canzone>>136. Secondo Berselli, invece, nella
collaborazione con Panella Battisti si dimostra un precursore nell‟uso di una tecnica che
sarebbe divenuta prassi nell‟offerta musicale di fine anni Novanta, lasciando intendere
che <<la capacità anticipatrice, l‟eclettismo musicale, le doti di mimetismo rispetto al
130
Ivi, pp. 179 – 180.
Ivi, p. 248.
132
Lucio Battisti, Le cose che pensano, in Don Giovanni, Numero Uno, 1986.
133
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 183-184.
134
Cfr. Maurizio Bianchini, L‟hit parade degli invisibili, in “Europeo”, 9 novembre 1990.
135
Cfr. Gabriele Ferraris, “La stampa”, 25 settembre 1992, citato in Edmondo Berselli, Canzoni, in
Q.G.P.D.I., p. 265.
136
Cfr. Gino Castaldo, Il nuovo Battisti thrilling di note, in “la Repubblica”, 4 ottobre 1988.
131
47
pop internazionale, ma anche all‟acid, alla house, alla techno, e al bass & drums,
fossero davvero di ordine superiore, da fuoriclasse>>137.
Traendo spunto da una recensione di Michele Serra, che parla del disco di Battisti e
Panella intitolato “L‟apparenza” come dell‟opera di due geni, Berselli ritiene l‟intero
prodotto della coppia <<un‟opera totale della pop art>>, dove la musica incarna
<<l‟unica felicità possibile in questa trans-realtà>>, e la voce di Battisti dà seguito
<<alla inesauribile ricchezza di significato implicita nelle cose, intrinseca al loro
proliferare>>.138 Con mezzi propri dell‟ermeneutica, Berselli evidenzia le sottigliezze
stilistiche nelle canzoni di Battisti e Panella, decretandone la complessità ed elogiando
l‟abilità con cui Battisti ha saputo tramutare la materia popolare in materia di culto:
Battisti si rende artefice di un compromesso, realizzando <<l‟opera d‟arte con i
materiali della cultura minore>>, una fusione volta al progresso estetico e morale del
pubblico. Alla sua visione di insieme sulla parabola di Lucio Battisti, oramai assurto
all‟agognato ruolo di <<”fine dicitore” della musica italiana>>, perfezionato grazie
alle stesse doti che secondo il suo storico collaboratore Greg Walsh autenticano la
qualifica di “artista”, Berselli aggiunge un‟ulteriore considerazione.
I testi di Panella, anche alla luce del sussiego con cui la critica musicale e la
comunità filosofica accademica accolgono l‟ultimo disco di Battisti, “Hegel”, sembrano
a Berselli lo sberleffo di due artisti che, pur trattando la materia musicale con
professionalità, applicazione e genio, hanno intimamente preservato lo spirito degli anni
Sessanta, che nell‟immaginario di Berselli rimanevano ancorati ad alcuni principicardine improntati all‟allegria e la diffidenza per ogni forma di seriosità: <<Un
concentrato di cialtroneria collettiva che poteva diventare qualche volta spettacolo
trascinante, imprenditoria allo stato nascente o musica emozionante>>139.
Appare qui meritevole di approfondimento un ultimo aspetto della musica di Battisti,
nonché del rapporto fra questa e il pubblico, caratterizzato da una dualità sfociata in
alcuni casi in dualismo. Avviene che dal 1998, sin dai primi momenti seguiti alla morte
di Battisti, le sue opere create in collaborazione con Panella vengono sostanzialmente
escluse dalle celebrazioni postume. In uno dei rari passi in cui dà sfogo all‟amarezza per
il trattamento riservato dai mass-media all‟amato Battisti, Berselli segnala che, salvo
137
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., p. 185.
Cfr. Ivi, p. 189.
139
Ivi, p. 246.
138
48
rare eccezioni, <<sedici anni di carriera vengono semplicemente censurati, rimossi,
dimenticati, trattati come se non esistessero>>140.
Il pubblico di Battisti si divide fra gli adoratori esclusivi della prima fase dell‟autorecantante, legata al paroliere Mogol, e gli estimatori del percorso intrapreso con Pasquale
Panella. Lo stesso Berselli, dopo aver profetizzato nel 1999, con la prima stesura di
Canzoni141, la rivalutazione positiva da parte della critica, a posteriori, della produzione
di Battisti e Panella - riproposta in un cofanetto nel 2006 -, trae una nuova summa
dell‟intero percorso di Battisti all‟interno della Postfazione del 2007. Oltre a ribadire il
proprio giudizio positivo sui prodotti di Battisti e Panella, Berselli pare confermare lo
scenario vaticinato nel 1999: <<negli ambienti appena più snob della media, tutti, ma
diconsi davvero tutti, hanno cominciato a dichiarare con aria di sufficienza che il vero
Battisti, quello più autentico e moderno, sarebbe l‟ultimo>>, che stando alla tautologia
di Berselli <<piace solo a Battisti e a chi piace l‟ultimo Battisti>>: estraneo alla
settarietà e fruitore della complessità di un percorso in continua evoluzione, Berselli
afferma che la predilezione per l‟una o l‟altra delle due fasi dipende unicamente dai
mutamenti di umore, prefigurando così le canzoni di Mogol come panacea per i
<<momenti di malumore>>, e Panella a soddisfare la <<voglia di roba culturale>>.142
In definitiva, l‟autore-cantante popolare Lucio Battisti diviene, nel ritratto di Berselli,
la personificazione dell‟artista perfetto, capace di modificare radicalmente la tradizione
musicale italiana e di conformarla a una dimensione internazionale, accompagnando
con l‟evoluzione del proprio percorso artistico la formazione di diverse generazioni, alle
quali più di ogni altro musicista ha saputo fornire un‟educazione sentimentale
esteticamente e moralmente progressista.
2.2 Max Pezzali e gli 883: un‟analisi controcorrente
Nell‟arco temporale attraversato da Battisti la società italiana cambia radicalmente.
Tale mutamento non è desumibile dalle canzoni di Battisti a causa della dimensione
privata e sentimentale dei testi di Mogol, e successivamente di quella visionarietà
ermetica, attribuibile alla produzione di Battisti e Panella, che Berselli ascrive a una
140
Cfr. Ivi, p. 195.
Cfr. Ivi, p. 172.
142
Cfr. Ivi, pp. 247-249.
141
49
dimensione <<post-storica>>143. Invero la nuova mutazione italiana rientra nel più
generale riassetto europeo seguito al crollo del Muro di Berlino nel 1989, sfociato nel
Trattato di Maastricht del 1992 e, in sintesi, nell‟era della globalizzazione. Gli anni
Novanta possiedono un‟identità non meglio identificabile, sulla quale Berselli si
interroga alludendo a quelli che ritiene possano dirsi i simboli del decennio: la moneta
unica dell‟Euro; l‟invenzione del World Wide Web; le liberalizzazioni; la popolarità del
cattolicesimo anti-capitalista professato da Karol Józef Wojtyła, Papa Giovanni Paolo
II; il monetarismo e il liberalismo economico; la scomparsa delle grandi ideologie. In
particolare l‟assenza di questi ultimi punti di riferimento, un tempo adoperati alla
stregua di dogmi in cui incanalare l‟incontrovertibilità di idee e visioni del mondo
ampiamente condivise, conduce a un‟incertezza collettiva che non si traduce in un
auspicabile culto del dubbio, bensì nel dominio del relativismo e dell‟individualismo:
<<pochissima o nessuna fiducia nel futuro, se non puntando sulla rapacità del proprio
ego e sulla capacità… di allestire sodalizi funzionali al mantenimento di quote di
potere>>. Il welfare italiano inizia a disgregarsi, erodendo diritti acquisiti ai meno
abbienti e fornendone di nuovi ai principali attori del capitalismo, il cui spirito si
propaga nel consumismo alimentato da un‟offerta televisiva antitetica all‟avanguardia
culturale degli anni Cinquanta e Sessanta. L‟antica gerarchia alla base della divisione
della società italiana in classi differenziate viene sostituita dall‟omogeneità di <<una
specie di nuova classe, né proletaria né borghese, molto estesa socialmente e del tutto
indifferenziata>> alla quale vengono proposti <<consumi socialmente degradati,
pubblicità qualitativamente spaventosa, intrattenimento… da zombi>> e una televisione
<<perfettamente autoreferenziale, dove si divertono soltanto quelli che la fanno, cioè
gli ospiti e i marchettari>>. In tal modo, secondo l‟ipotesi di Berselli che oggi, quasi
quindici anni dopo la sua enunciazione, risulta essersi pienamente realizzata, si
determinano <<le condizioni per una subalternità di massa>>. La nuova classe sociale
descritta da Berselli possiede l‟irresponsabilità tipica delle masse degli anni Cinquanta,
con la differenza che mentre l‟ottimismo di queste ultime aveva dato luogo al beat, il
pessimismo della massa indistinta degli anni Novanta si riflette in operazioni quali il già
citato disco “Mina Celentano”, pubblicato nel 1998. L‟industria culturale e discografica
si presenta come il supermercato dal quale la suddetta massa attinge le proprie
emozioni: <<Occorre solo il prodotto adatto, che esemplifichi la sua subalternità e la
143
Ivi, p. 182.
50
renda protagonista, la emblematizzi>>, ovvero gli 883 capitanati dal cantante e autore
Max Pezzali.144
Tali premesse non impediscono a Berselli di spiegare in termini sociologici la
produzione degli 883, ridotta dalla totalità della critica musicale italiana a infima
espressione del consumismo musicale, un mero fenomeno di marketing. In realtà, come
si evince da una delle numerose interviste rilasciate nel corso degli anni, Max Pezzali
inizia a scrivere, senza progettarne sistematicamente la struttura, le canzoni che avrebbe
voluto ascoltare da semplice ragazzo di provincia: brani con una forte base realistica,
improntati alla rappresentazione della quotidianità delle singole vite vissute nell‟era
della massificazione, tanto comuni nella comunicazione dei brani rap statunitensi
quanto introvabili nella musica italiana degli anni Novanta .145
Berselli ritiene che gli 883 rappresentino <<un‟operazione sociologica>> nonché
<<quel pezzo d‟Italia che viene su fino a noi dagli anni Cinquanta>>, con un
linguaggio innovativo e meritevole di analisi. L‟opera degli 883 per Berselli è
<<comunicazione pura, trasmissione multimediale di tendenze-mode-mitologie pop>>.
Laddove il pop e la canzone d‟autore italiani, salvo rare eccezioni, anche negli anni
Novanta tendono a celare il significato nell‟ermetismo, Berselli riconosce a Max Pezzali
la stessa dote di Francesco Guccini: l‟abilità e il desiderio di raccontare. Contrariamente
alla poetica erudizione dei testi di Guccini, Pezzali adotta un registro linguistico medio,
proprio di un <<neo-italiano né ignorante né colto… un “italiano massa”>> che a
prescindere dalla generazione di provenienza fa proprio il gergo giovanile, assurto a
italiano standard per la comunicazione quotidiana, che viene sintetizzata e velocizzata in
onomatopee, anglicismi e sintagmi ai quali l‟inedita liceità sociale della “parolaccia”
contribuisce a conferire senso. Il fumettismo di canzoni come “Hanno ucciso l‟uomo
ragno” attiene a uno dei tre livelli in cui Berselli seziona il percorso degli 883, e che
viene presto sostituito dal secondo filone tematico del gruppo: quello legato in
particolar modo all‟<<epopea giovanilistica>> di una generazione svuotata di connotati
identitari. Nel brano “Jolly Blue” gli 883 si dicono “né ricchi né barboni”, ovvero
appartenenti alla massa vasta e indifferenziata, né proletaria né borghese, descritta da
Berselli. I giovani degli anni Novanta si muovono all‟interno dei classici teatri della
socializzazione, i bar e le balere – frattanto divenute discoteche -, esattamente come i
giovani degli anni Cinquanta. Ciò che li distingue è l‟approccio alla vita e al
144
145
Cfr. Ivi, pp. 219-224.
Cfr. Franco Zanetti, intervista a Max Pezzali, in “www.rockol.it”, 24 ottobre 2005.
51
divertimento: a muovere i secondi era la volontà di praticare l‟ottimismo ancora non
intaccato dal Sessantotto; per i primi l‟edonismo è ricerca di evasione dal pessimismo e
dalla noia di provincia.146
L‟insofferenza per le liturgie della vita di provincia si riscontra nel testo di “Con un
deca”, nel gergo giovanile la banconota da diecimila lire con cui “non si può andar via”
da una qualsiasi città provinciale dove si trovano solo “due discoteche” ma ben
“centosei farmacie”. In “Rotta per casa di Dio” si nota un‟ulteriore separazione tra il
pubblico di Pezzali e i giovani cresciuti nel boom economico all‟interno di un sistema
fortemente plasmato dalla religione e dalle grandi ideologie. La generazione a cui
parlano gli 883 è totalmente secolarizzata, de-sacralizzata, al punto che la “casa di Dio”
non indica più una chiesa, bensì una festa in cui andare “a botta sicura”, cioè
consumare uno o più atti sessuali con partners occasionali. Nelle canzoni degli 883 il
bar è <<un‟officina sociale dove si manifestano senza filtri i tic, le ossessioni e le
manie>> di una generazione allevata sia nella secolarizzazione sia nell‟omologazione,
in particolare nella componente under 21, <<il target commerciale primario
dell‟operazione 883>>. Tale omologazione, secondo Berselli, non è assimilabile
unicamente alla ricerca dell‟appartenenza a un gruppo sociale o generazionale alla base
della “rivoluzione dei capelli”, ma è il risultato dell‟ambizione di ciascun giovane di
coltivare la propria diversità rispetto agli altri, innanzitutto nell‟abbigliamento,
utilizzando un‟offerta di dettagli ornamentali talmente limitata da determinare, alfine,
l‟assenza di una differenziazione tangibile. Su tali presupposti va a radicarsi
l‟identificazione fra il pubblico e Max Pezzali, il quale è semplicemente <<uno di
loro>>, un anti-divo afflitto da problemi comuni di tipo sia estetico sia caratteriale,
come la calvizie, la malposizione dentaria o l‟introversione. Nei bar, sia i fan di Pezzali
sia il cantante in persona programmano con le rispettive compagnie un edonismo serale
destinato, quasi sempre, a essere disatteso. Laddove la missione erotica fallisca, la
disillusione conduce al ripiego di un‟altra serata fra amici all‟autogrill, ulteriore “casa di
Dio” parimenti alla discoteca o al luogo della festa dove le donne attendono “con il
tacco alto e la gonna corta”: <<si sente echeggiare… una rassegnazione pragmatica, il
disincantato vaffanculo che coincide sotto sotto con il chissenefrega>>. Tale sentimento
di solidarietà all‟interno di una cerchia di amici si esplica nella millantata professione di
indifferenza verso la donna, quasi sempre oggetto del desiderio e talvolta, in brani come
146
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 224-228.
52
“Sei un mito”, partner egocentrica rispetto alle cui volontà vengono anteposti gli affetti
del gruppo.147
Intorno alla centralità assoluta del bar, Max Pezzali propone una suddivisione del
mondo in “noi” e “voi” ancora più stringente della contrapposizione cantata da Shel
Shapiro e i beat. Il “noi” identifica un gruppo particolare di amici, che frequenta un
determinato bar e si professa unico detentore di un‟etica fondata sulla lealtà. La
sfortuna, una “sfiga” anch‟essa personalizzata, impedisce loro di competere in àmbito
sentimentale con “gli altri”, i conformisti borghesi estranei al gruppo che non manca di
chiedersi quali siano i motivi per cui <<le ragazze avvertano un‟attrazione per quei tipi
lì>>. La visione della donna nei testi di Max Pezzali, fino al momento in cui egli stesso
non avvia una fisiologica responsabilizzazione della propria vita, risente della
frustrazione per una marginalità che assurge a <<costante esistenziale, un
atteggiamento…reclamato come una prerogativa>>. Nel suo cinismo, lo sventurato
della compagnia elabora un <<antigalateo>> condiviso dai fans degli 883, in base al
quale rifugge l‟amicizia le donne, la costanza e la serietà in vista di progetti di vita
comune, nonché i <<conformismi da fidanzamento>> che preludono al temuto sbocco
nel matrimonio, limitandosi a frequentazioni occasionali con finalità erotiche.148
Come in Battisti, anche negli 883 e in Max Pezzali non trovano rappresentazione né
le ideologie, né la politica. La preminenza spetta invece alla filosofia sviluppatasi nei
bar e sulle strade, la cui enunciazione viene spesso affidata al personaggio ricorrente di
Cisco, che in brani come “La dura legge del gol” mette l‟ascoltatore in guardia dalle
avversità della vita. La svolta nel percorso artistico di Max Pezzali avviene con la presa
di coscienza della fine dell‟immaturità, l‟esaurimento dell‟epopea giovanilistica, la
consapevolezza della fugacità dell‟edonismo praticato in discoteca: <<Non gli basta più
la registrazione dei fatti. E allora dà il via al suo terzo filone: quello di una nostalgia
disincantata che gli fa volgere lo sguardo all‟indietro>>149. La nostalgia, unita alla
rassegnazione e al rimpianto per l‟irreversibilità della fine di un‟epoca, assume tratti
pubblici o privati. Secondo lo stesso Pezzali, la nostalgia collettiva alimentata da un
inno generazionale come “Gli anni” <<è indipendente dal contenuto della canzone. I
tempi di cui ha nostalgia la canzone “Gli anni” non sono i tempi di cui ha nostalgia
quella generazione lì, perché erano precedenti… Anche oggi i ragazzi ascoltano quella
147
Cfr. Ivi, pp. 229-232.
Cfr. Ivi, pp. 233 – 235.
149
Ivi, p. 236.
148
53
canzone e vivono una nostalgia per un tempo che non hanno vissuto… È il bisogno di
nostalgia che li porta a cercare quelle canzoni>>150. Nella maggior parte dei casi la
nostalgia degli 883 riguarda le emozioni indotte da avvenimenti comuni quanto
personali, afferenti alla dimensione privata individuale. Il protagonista del brano
“Nessun rimpianto” esterna la delusione per essere stato abbandonato dalla donna con
cui aveva una relazione ritenuta importante. “Se tornerai” è il canto funebre del
protagonista in memoria di un amico morto per overdose, al quale lo legano i ricordi
puntualmente rievocati, la condivisione di una “solitudine che ci portiamo dentro”. Il
testo di “Se tornerai” offre a Berselli lo spunto per concludere che <<questa non è noia,
non è insofferenza, non è cretineria giovanile: sembra addirittura dolore>>. Berselli
riconosce a tale inquietudine esistenziale, <<costruita certamente con gli strumenti e gli
oggetti dell‟industria culturale>>, i caratteri dell‟autenticità. Adoperando i mezzi
dell‟artigiano cari a Lucio Battisti, Max Pezzali ha saputo produrre musiche
<<continuamente replicabili e sempre nuove, e sempre sul filo delle emozioni>>,
rappresentando la generazione di un neo-italiano che, dopo aver inseguito il
consumismo americano negli anni Cinquanta, si ritrova a condividere una condizione
universale di subalternità, alla luce della quale <<il bozzettismo “post” di Pezzali… è
l‟unica creatività praticabile all‟interno della nuova classe: di questo composto sociale
esteriormente diverso, ma anche ben sovrapponibile, e forse geneticamente uguale, alla
sua matrice di mezzo secolo fa>>.151
150
Andrea Scanzi intervista Max Pezzali per il programma televisivo “Reputescion”, in onda su La3 il 24
giugno 2013 .
151
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 236-239.
54
55
3. Il ruolo della musica nella democratizzazione italiana
Nella prima metà degli anni Novanta l‟inchiesta giudiziaria denominata “Mani
Pulite” determina la condanna per corruzione di molti deputati della Repubblica italiana,
coinvolti nel sistema di tangenti nella gestione illecita di appalti pubblici insieme a
membri di organizzazioni criminali, imprenditori ed esponenti istituzionali. Inoltre, al
culmine del processo giudiziario istituito a Palermo nel 1985 contro Cosa Nostra, i
magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino muoiono nei due attentati predisposti
nel 1992 dall‟organizzazione mafiosa. Tale precarietà democratica conduce alla
dissoluzione dei due partiti politici dominanti nella storia italiana repubblicana, la
Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, con le elezioni del 1994, alle quali
non farà seguito un miglioramento delle condizioni economiche, civili e morali del
Paese.152
Nell‟intervallo fra la caduta della Prima Repubblica e l‟ascesa della Seconda
Repubblica risultano consolidarsi i mali che affliggono tradizionalmente l‟Italia. Nel
tentativo di spiegare la formazione e l‟inamovibilità di tale consolidamento Berselli, in
collaborazione con Lorenzo Ornaghi e Vittorio Parsi, nel 1993 scrive un saggio
intitolato La democrazia infelice dell‟Italia moderna. La tesi di fondo del saggio
consiste nell‟attribuzione della responsabilità dei malesseri dell‟Italia a una <<cattiva
modernizzazione>> derivata dalla <<cattiva democratizzazione>> avviata dal 1945.153
La cattiva modernizzazione ha inizio con il miracolo economico di cui si è
ampiamente trattato nel primo capitolo di questo lavoro. La coesione sociale viene
minata dalle contrapposizioni interne e dalla frattura delle élites portatrici dei <<modelli
di condotta>> e dei <<sistemi di credenza>> della società, nonché dalla
secolarizzazione di una morale pubblica ancora improntata al cattolicesimo. Il film “Il
sorpasso” descrive il neo-italiano che, già sensibile all‟alienazione, esprime la propria
modernità nell‟intendere il progresso come viatico per la trasgressione delle regole
tradizionali, e al contempo persevera a ostentare le caratteristiche deteriori a cui lo
relega la tradizione. Trattasi di un progresso <<volgare>> che preludeva a quanto si
sarebbe realizzato nei decenni successivi:
152
Cfr. Guido Crainz, op. cit., pp. 598-604.
Cfr. Edmondo Berselli, L. Ornaghi, V.E. Parsi, La democrazia infelice dell‟Italia moderna, in Fabio
Luca Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, pp. 335-358.
153
56
una società sempre più slegata da comportamenti ragionevolmente compatibili e
armonizzabili, una società atomizzata, somma di libertinismi individuali spesso
miserevoli, moltiplicati all‟infinito fino a sovrapporsi di fatto all‟intera collettività…
Una convivenza sociale composta (o, meglio, scomposta) da molecole irrazionali,
schegge modestamente impazzite e variabilmente deliranti, tutte proiettate verso un
individuale soddisfacimento dei desideri e tutte sovranamente inconsapevoli dei
desideri altrui e a essi indifferenti.154
Il genere della commedia all‟italiana, di cui fa parte “Il sorpasso”, sfrutta a fini
commerciali la rappresentazione dei difetti antropologici di un popolo relegato alla
subalternità, e li ripropone a quello stesso pubblico inducendolo a ilarità verso se stesso,
esimendosi conseguentemente dalla stigmatizzazione del malcostume sociale. La
modernizzazione italiana è in realtà un processo <<quasi interamente di superficie>> al
di sotto della quale persistono atavismi che non vengono emendati.
Con il boom economico anche la politica e le istituzioni si volgarizzano, abdicando
progressivamente al ruolo di garanti dell‟ordine e della coesione sociale, producendosi
in <<atti abietti>> che da un lato alimentano la percezione di una politica “bassa” che
non dimostra più alcuno spirito di servizio a favore della collettività, e dall‟altro
conducono i cittadini italiani sia alla sfiducia verso le inadempienze dello Stato, sia
all‟indulgenza nei confronti del proprio lassismo. Esauritasi l‟adesione ai valori di
riferimento incarnati dalle istituzioni, l‟immagine della politica italiana viene deturpata
al punto da escludere la divergenza fra la realtà della politica “bassa” e l‟idea di una
potenziale politica “alta” che governi la caoticità di un <<Far West istituzionalizzato>>.
Il clientelismo, stando all‟analisi degli autori, corrompe le strutture democratiche al
punto da indurre elementi politici vieppiù numerosi a crearsi un bacino elettorale
privatizzato intessendo rapporti con le organizzazioni criminali.
Il linguaggio della politica “bassa” viene propagato dai mass media, che
svolgono la funzione di <<vettori subliminali della metaideologia del sistema>>,
arginando il dissenso nei confronti del sistema partitico. Il consenso appare l‟unico
modello proposto dalla televisione degli anni Ottanta, che affinando le proprie tecniche
formali riesce a coadiuvare il meccanismo intimidatorio e clientelare ai danni del
cittadino comune, ormai homo videns privato della facoltà astraente, incapace di
rivendicare i propri diritti e di padroneggiare quelle <<cose che lo abilitano alla
154
Ivi, p. 337.
57
cittadinanza>>155, relegato alla <<subalternità di massa>> evocata da Berselli in
Canzoni.
La rinuncia delle élites politiche a perseguire un‟identità propria, che impedisce in tal
modo la formazione di un‟identità sociale, risiede nel loro tentativo di inglobare in sé le
istituzioni sociali, come la famiglia e la scuola, sostituendo al codice della politica il
linguaggio sociale televisivo. La televisione di Stato RAI diviene la sintesi della cattiva
democratizzazione e della cattiva modernizzazione, un <<prisma dei vizi italiani>>
adeguatosi agli stilemi delle televisioni commerciali, principale veicolo di una
<<scissione schizofrenica… tra una realtà dura e una sua rappresentazione
edulcorata>>. Né la Democrazia Cristiana né il Partito Comunista Italiano portano a
compimento un percorso formativo fondato sulla cultura e il pensiero liberale,
imprimendo nei cittadini italiani una duplice convinzione, affine alla suddetta
schizofrenia: <<quella che in ultima analisi il cambiamento sia un pericolo e un rischio
più che un‟opportunità, e che, rischio per rischio, si debba allora puntare a un
cambiamento radicale e violento piuttosto che a una graduale serie di riforme fatte di
piccoli e significativi passi>>.156 Viene così a determinarsi una società deresponsabilizzata nell‟anarchismo, in cui la privatizzazione delle libertà trova riscontro
nell‟incapacità della politica di fornire risposte attraverso le riforme, e dove gli interessi
individuali prevalgono su quel <<patriottismo delle regole>> su cui gli autori ritengono
debba fondarsi uno Stato moderno e democratico.
La realtà italiana risulta descrivibile in termini dicotomici, a partire da un‟identità
nazionale non definita in sé e per sé, ma imperniata sulla storica opposizione tra
fascismo e anti-fascismo. La rappresentazione della realtà, invece, oscilla tra due
opposte inclinazioni: sistema contro anti-sistema. Se da un lato la televisione omologa
il pubblico a un modello di italiano consensuale verso il sistema e il mercato dei
consumi, alimentando con programmi nazional-popolari la fiducia verso una proficua
convinvenza fra i dialetti e i tipi italiani più disparati, dall‟altro si attivano i fautori della
rivoluzione contro il sistema vigente.
Gli
autori
rimproverano a questi
ultimi di
non aver provveduto
alla
<<sistemazione>> dell‟esperienza storica italiana. In particolare gli intellettuali
sarebbero stati propensi ad <<autorappresentarsi la propria “utile” esistenza>>,
disattendendo al compito di una rielaborazione ideologica che non fosse <<pseudo155
156
Cfr. Giovanni Sartori, Homo Videns, Roma, Editori Laterza, 2010, p. 124.
Ivi, p. 347.
58
aristocratica… autenticamente antipopolare>>, esprimendo un anti-conformismo
asservito al potere, ai cui malcostumi opponevano un approccio anti-istituzionale
diseducativo per le masse:
l‟atteggiamento di coloro che si chiamavano fuori sdegnosamente dal difficile
engagement della vita democratica, per semplicemente arrogarsi il diritto di
formulare soluzioni…impraticabili tecnicamente, che però avevano il pregio di
offrire la possibilità di gettare disprezzo dall‟alto… sull‟azione riformatrice… sulla
ricerca di obiettivi attorno a cui coagulare consenso.
157
Altrettanto restii ad affrontare la sistemazione di una fenomenologia storica della
società italiana, anche gli scrittori e i narratori italiani si sono limitati al <<disimpegno
calligrafico>>. In tal modo, come spiegano gli autori, <<se mancano i menestrelli,
mancano anche i cantastorie, i cantori e i testimoni dell‟identità (frazionale o collettiva
che sia)>>158.
3.1 Sistema e anti-sistema nell‟industria discografica italiana
Al pari delle produzioni intellettuali e dell‟editoria, anche il mercato
discografico post-boom si regola sul contrasto fra sistema e anti-sistema, fomentandone
la radicalizzazione e contribuendo all‟incompiutezza dei processi di democratizzazione
e modernizzazione dell‟Italia: da un lato si producono artisti specializzati nella sola
creazione di canzoni d‟amore, per garantire consenso al sistema tra la massa
maggioritaria; dall‟altro si assiste alla proliferazione del fenomeno dei cantautori, i cui
contenuti densi di cultura e pensosità riescono a introiettare il sentimento di rivalsa, e
talvolta l‟anelito alla rivoluzione, di una massa minoritaria tanto conscia della propria
subalternità quanto desiderosa di progressismo e sovversione del sistema.
Nei saggi La musica popolare italiana come genere di educazione politica159 e La
cultura informale160 Edmondo Berselli sottolinea che all‟interno della contrapposizione
157
Ivi, p. 349.
Ivi, p. 351.
159
Cfr. Edmondo Berselli, La musica popolare italiana come genere di educazione politica, in Fabio
Luca Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, pp. 451-464.
160
Cfr. Edmondo Berselli, La cultura informale, in AA.VV., La cultura degli italiani, a cura di Saverio
Vertone, Editore Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 129-154.
158
59
ideologica fra destra e sinistra, con l‟approssimarsi delle contestazioni del Sessantotto e
del fallimento del centro-sinistra, l‟industria discografica <<assecondava con protervia
la protesta politica>>161, e che per quasi trent‟anni <<un teorema implacabile impone
alla musica popolare italiana l‟obbligo di essere “di sinistra”, almeno nelle ispirazioni
e nelle intenzioni dichiarate se non nei risultati poetico-letterari oggettivi e
compiuti>>162. Il cantautore Giorgio Gaber avrebbe canonizzato tale teorema nel suo
brano “Qualcuno era comunista”163.
I cantautori italiani sono per definizione, e talvolta per auto-certificazione, “di
sinistra”. Questo dato suggerisce a Berselli la constatazione per cui i concerti d‟autore
risultano essere luoghi in cui il pubblico può ritrovare quella <<cultura di sinistra>> un
tempo vissuta, sentita ed espressa nelle piazze. Qui avvengono materialmente le
proteste, si snodano i cortei che rivendicano il progresso inteso come ottenimento di
pace, benessere e libertà universali. Tali rivendicazioni contro il sistema assumono per
Berselli <<intonazioni…odiose>> nelle canzoni militanti di Fausto Amodei, che in “Per
i morti di Reggio Emilia” immagina zombies in rivolta cantare Bandiera Rossa; e
soprattutto in “Contessa” di Paolo Pietrangeli, il quale, invitando i proletari a impugnare
la falce e il martello al fine di usarle come oggetti contundenti negli scontri in piazza,
<<non sa ancora di formulare un inno per i cortei del 1968, e probabilmente nemmeno
lo sfiora il dubbio che la violenza di cui sono intrisi i versi della sua canzone possa
costituire un principio di cattiva educazione, politica, civile, estetica>>164.
Nell‟analisi di Berselli non pare esistere un cantautore che, pur estraneo agli
estremismi di Amodei e Pietrangeli, rifugga il <<barbonismo rivoluzionario>>.
Francesco Guccini, pur essendo stato <<per tutta la vita un moderato, niente
rivoluzioni, bensì gradualismo, riforme>>165, in una delle sue canzoni intergenerazionali e apparentemente “militanti” esalta la figura di un ferroviere anarchico
per il quale il treno è un‟arma per vincere la lotta di classe166, mentre nel disco della
maturità “Stagioni” concentra il nostalgismo verso gli anni giovanili nel brano eponimo
161
Edmondo Berselli, La musica popolare italiana come genere di educazione politica, in Fabio Luca
Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, p.454.
162
Ivi, p. 452.
163
“Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la
letteratura anche. . . lo esigevano tutti”, Giorgio Gaber, Qualcuno era comunista, Teatro – Canzone,
stagione teatrale 1991-1992.
164
Edmondo Berselli, La musica popolare italiana come genere di educazione politica, in Fabio Luca
Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, p. 452.
165
Edmondo Berselli, Canzoni, in Quel gran pezzo dell‟Italia, Milano, Mondadori, 2012, p. 243.
166
Francesco Guccini, La locomotiva, in Radici, CD, Ed. EMI Italiana, 1972.
60
in cui celebra il rivoluzionario Ernesto Guevara167. Francesco De Gregori, tesserato al
Partito dei Democratici di Sinistra, a dispetto di un‟opera complessiva contraddistinta
dall‟ermetismo linguistico oggetto delle stroncature di Berselli168, in “Chi ruba nei
supermercati” sceglie di mandare un messaggio preciso all‟ascoltatore, costretto a
schierarsi nel contesto di una rigida dualità: “Stai dalla parte di chi ruba nei
supermercati / o di chi li ha costruiti / rubando?”169. Altrettanto di sinistra è Fabrizio
De André, esponente della borghesia genovese e capostipite della sua generazione di
cantautori, che nei suoi componimenti si fa cantore della pace universale nell‟antimilitarismo de “La guerra di Piero”, nonché della subalternità dei tipi marginalizzati,
come per esempio le prostitute in “Bocca di rosa”, i non-abbienti ne “La città vecchia”,
gli utopisti che tentano la rivoluzione in “Storia di un impiegato” trasformandosi negli
sconfitti protagonisti del disco seguente, “Non al denaro, non all‟amore né al cielo”.
Il fil rouge che secondo Berselli lega le diverse fasi della produzione di De André,
nonché le evoluzioni della maggior parte dei cantautori verso lo sperimentalismo degli
anni successivi, viene così descritto in La cultura informale:
una linea ininterrotta che conduce dalla ballata “contro” o “anti” a un‟intenzione
sperimentale talmente esplicita e protratta da ambire necessariamente ai vertitci della
poeticità, anzi, dell‟artisticità, e quindi a qualcosa che si chiama fuori rispetto al
mercato, e alle regole che presiedono alla fabbricazione dei prodotti che al mercato
sono destinati. Il principale titolo di merito rivendicato dai cantautori di casa nostra è
sempre consistito nella timbratura “non commerciale” stampata sulla propria
produzione170
la quale era invece necessariamente inserita all‟interno del circuito anti-sistemico del
mercato discografico, che ne permetteva la diffusione e la vendita ai consumatori, se
non addirittura l‟esistenza stessa.
Occorre notare come l‟ammiccamento ai temi della “sinistra” e un generico richiamo
alla contestazione coinvolga in alcuni casi anche gli artisti beat come i Rokes o i
167
Francesco Guccini, Stagioni, in Stagioni, CD, Ed. EMI Italiana, 2000.
168
Cfr. Edmondo Berselli, Venerati Maestri, Quel gran pezzo dell‟Italia, Milano, Mondadori, 2012, pp.
742-743.
169
Francesco De Gregori, Chi ruba nei supermercati, in Canzoni d‟amore, CD, Ed. Columbia, 1992.
170
Edmondo Berselli, La cultura informale, in AA.VV., La cultura degli italiani, a cura di Saverio
Vertone, Bologna Editore Il Mulino, 1994, p. 140.
61
Nomadi, e soprattutto icone nazional-popolari come Adriano Celentano e Gianni
Morandi, rispettivamente interpreti dell‟Apocalisse nel “Mondo in Mi settima” e della
condanna rivolta alla guerra in Vietnam in “C‟era un ragazzo”, nel 1966. Tuttavia
Berselli ritiene che il caso più emblematico della coercizione esercitata dal mercato, che
obbliga gli artisti ad aderire ai canoni della “sinistra”, sia quello di Milva.
Inizialmente urlatrice e <<icona dell‟Italia strillante del boom>>, Milva viene
scritturata da Giorgio Strehler, regista teatrale e storico fondatore del Piccolo Teatro di
Milano, che la introduce a una dimensione artistica e intellettuale d‟élite. Strehler è per
Berselli il <<passe-partout intellettuale>> con cui Milva accede all‟<<apice dell‟Italia
“rivoluzionaria”, che concepiva anche la musica… come l‟esternazione del proprio
indefettibile e smisurato sentimento antisistema>>171. Milva si pone quindi come
divulgatrice del conformismo “di sinistra” adoperando un apparato didascalico che
include la tintura rossa dei capelli – che le fa guadagnare il l‟appellativo di Milva “la
Rossa” -, la rivendicazione di letture freudiane che dichiarino la sua adesione alle
istanze popolari di emancipazione sessuale, le dichiarazioni d‟amore per “la libertà” che
Berselli traduce a suo modo, ironizzando sull‟enfasi della retorica di Milva: <<non
importa che cosa canto e come lo canto, sappiate però che lo faccio per il bene
dell‟umanità, per il socialismo, per un mondo migliore. E non è colpa mia se mi
pagano>>172.
Il contro-esempio scelto da Berselli per evidenziare l‟inequivocabile omologazione
imposta dal mercato discografico sugli schemi dell‟impegno politico a sinistra risale alle
accuse di disimpegno e “fascismo” indirizzate a Lucio Battisti e Mogol, riprese
dall‟osservatore Gianfranco Baldazzi in questi termini:
Negli anni ‟70 la critica discografica – schierata a fianco della canzone di
protesta in maniera perfino maniacale – versò fiumi di inchiostro per dimostrare il
contrario di quanto intimamente sentiva… siccome né Battisti né Mogol si
schieravano politicamente verso la canzone d‟impegno… si farà di tutto per
dimostrare l‟inconsistenza [di Battisti e Mogol].173
171
Cfr. Edmondo Berselli, La musica popolare italiana come genere di educazione politica, in Fabio
Luca Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, pp. 455-456.
172
Ivi, p. 136.
173
Gianfranco Baldazzi, La canzone italiana del Novecento, Roma, Newton Compton, 1989, p. 166.
62
3.2 Una “terza via” per la musica italiana
Il “ricatto del contenuto” e la perdita dell‟oggetto
Con l‟espressione <<ricatto del contenuto>>174, successivamente mutuata in
<<infezione del contenuto>>175, Edmondo Berselli descrive il risultato di quel processo
di omologazione conformistica “di sinistra” che, come si è detto, investe la musica
popolare italiana e, in termini generali, ogni campo artistico, dalla letteratura alla
cinematografia. Ciascun autore, al fine di conquistare il pubblico, non sente l‟obbligo di
ricercare la miglior forma possibile, bensì di schierarsi politicamente a sinistra e a
favore della rivoluzione, cosicché la qualità intrinseca al prodotto artistico finale assume
un‟importanza secondaria: <<rispetto a una ragione “oggettivamente più alta”…
l‟unica cosa che contava era la sostanza, non mai la forma. Per quanto grezza fosse
questa sostanza, allorché era vivificata opportunamente dall‟alitare di un‟intenzione
politica, essa veniva riscattata>>176 e nobilitata. Se il contenuto e la sostanza
prevalgono sulla forma, si assiste a ciò che Berselli chiama “perdita dell‟oggetto”.
Laddove l‟oggetto è appunto la musica in sé, intesa come nel senso battistiano di “fine”
e non di “mezzo”, strumento comunicativo privilegiato dal musicista e autore. Avviene
quindi che a distanza di decenni i fans di Mina continuino ad acquistare le sue opere
indipendentemente dalla loro qualità, oppure che Jovanotti imponga all‟universo
giovanile degli anni Novanta la generalizzazione secondo la quale “Tutto il mondo è
una grande chiesa / da Che Guevara a Madre Teresa”177 utilizzando una musica
qualitativamente <<debole>> e testi <<retorici>> che paiono a Berselli un <<frullato di
buonismi e anticattivismi, essenzialmente impolitico>> che accoglie in sé <<tutti gli
ideologismi sopravvissuti al naufragio delle ideologie>>178.
Il ricatto del contenuto, la perdita dell‟oggetto, il prevalere dell contenuto sulla forma
e dell‟intenzione sul risultato da parte di autori spesso eccessivamente concentrati sulla
retorica dell‟<<essere contro>>, hanno determinato ciò che Berselli, senza voler
174
Cfr. Edmondo Berselli, La cultura informale, in AA.VV., La cultura degli italiani, a cura di Saverio
Vertone, Bologna, Editore Il Mulino, 1994, pp. 130-135.
175
Vedi nota 87.
176
Edmondo Berselli, La cultura informale, in AA.VV., La cultura degli italiani, a cura di Saverio
Vertone, Bologna, Editore Il Mulino, 1994, p. 132.
177
Jovanotti, Penso positivo, in Lorenzo 1994, CD, Ed. Soleluna/Mercury, 1994.
178
Cfr. Edmondo Berselli, La cultura informale, in AA.VV., La cultura degli italiani, a cura di Saverio
Vertone, Bologna, Editore Il Mulino, 1994, p. 147.
63
caricare il termine della gravità che lo stesso autore ritiene impropria al contesto, poiché
<<trattasi sempre di canzonette>>179, definisce come il <<tradimento>> della musica
popolare italiana. Coloro che l‟hanno tradita sono gli stessi protagonisti della musica
popolare, ivi inclusi i cantautori - con l‟eccezione di Francesco Guccini180 - ai quali
Berselli attribuisce quanto segue:
anziché concentrarsi sul mestiere, la convenzione, le tradizioni, le idee e le
esperienze condivise, anziché stratificare e codificare il rimario dei piccoli e meno
piccoli sentimenti… hanno voluto trasmettere la profondità delle proprie riflessioni,
e insegnare una strategia di pensiero. Invece di accettare la tradizione musicale
italiana e mediterranea, non sono quasi mai sfuggiti alla tentazione dello
sperimentalismo, della ricognizione di culture musicali esotiche. Con il risultato di
rendere sempre più impervio l‟ascolto, e di spostarne la soglia di piacere verso
vaghe, incontrollabili lontananze.181
La tesi di Berselli è che la musica popolare italiana potrebbe aver agito sulle masse in
chiave anti-pedagogica, impartendo una possibile diseducazione sentimentale e politica
ai cittadini-ascoltatori. A fronte dei mutamenti di costume susseguitisi a cominciare dal
boom economico, la musica popolare italiana ha rivelato spesso un‟inadeguatezza di
fondo. Gli autori hanno preferito <<le liturgie della soggettività>> rispetto
all‟osservazione oggettiva dei fatti sociali e politici, nonché dell‟incidenza di questi fatti
sui comportamenti individuali e collettivi. Il pop secondo Berselli avrebbe dovuto
<<descrivere, invece di proclamare e declamare>>, permettendo alle generazioni della
modernità
post-boom
di
ricevere
<<un
imprinting...
più
autenticamente
e
intrinsecamente pluralista>> di quanto non abbiano saputo essere i diversi
<<preconcetti multipli>> espressi sotto forma di tautologie, o prediche: <<la società è
in fondo malvagia, la politica cattiva, l‟ordine sbagliato, l‟amore incosciente e
disperato, l‟unico rifugio è la propria coscienza>>182. Infine, per quanto riconosca che
le maggiori responsabilità vadano attribuite all‟inefficienza delle istituzioni sociali e
politiche, Berselli conclude che l‟atteggiamento espresso dai parolieri e dagli autori di
musica popolare ha plausibilmente influito <<sul perdurare nella società italiana… di
propensioni così poco “moderne” come l‟indulgenza al lamento, la tendenza
179
Edmondo Berselli, Ma a Sanremo sono solo bustarelle?, in “Il Sole 24 Ore”, 15 giugno 2003.
Vedi Cap.1, nota n. 87.
181
Cfr. Edmondo Berselli La musica popolare italiana come genere di educazione politica, in Fabio Luca
Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, pp. 458-460.
182
Ivi, p. 462.
180
64
all‟autocompatimento o al mugugno, a un estremismo velleitario nelle dichiarazioni e
alla fine desolatamente conformista>>183.
Si è visto come all‟interno della produzione musicale italiana del dopoguerra
prevalga non la qualità dell‟oggetto finito, ma la cerebralità piegata all‟ideologia, e
come in essa abbia prevalso non già il potenziale educativo, ma la componente antieducativa fondata sulla contro-cultura. Tuttavia secondo Berselli non sono mancati,
nella cultura italiana contemporanea, modelli positivi a cui ispirarsi.
Oltre ai già citati <<acceleratori della trasformazione>> Domenico Modugno,
Adriano Celentano, Mina e Gino Paoli, per non dire di Lucio Battisti – la cui opera
omnia è considerata da Berselli un capolavoro – , Max Pezzali e il cantastorie
Francesco Guccini, Berselli elenca gli autori che si sono rivelati capaci di elaborare un
<<lessico della quotidianità>> a uso e consumo dell‟italiano contemporaneo: Mogol,
Claudio Baglioni, Edoardo Bennato, Vasco Rossi, Eros Ramazzotti, Zucchero e
Antonello Venditti. Rientrano inoltre in questa categoria le prime composizioni di
cantautori successivamente dediti al massimalismo, come Franco Battiato, Ivano Fossati
e Paolo Conte, l‟esattezza stilistica dell‟<<artigiano>> Mario Lavezzi e l‟innovazione di
Luca Carboni, il quale racconta il quotidiano dei ragazzi degli anni Novanta adoperando
un lessico la cui semplicità ricalca le loro speranze e vicende, coniando slogan
generazionali come “Ci vuole un fisico bestiale”: <<Non vuole insegnare niente, ma in
compenso parla di qualcosa. Qualcosa di reale, concreto, oggettivo>>184.
Su alcuni di questi autori esemplari Berselli scherza con regolarità, quasi a rinnovare
l‟attenzione sulla leggerezza della materia trattata, e sulla necessità di raccontarla con
ironia. Così Berselli chiama Mogol <<il Geniale… il Gran Mogol>> e <<il perfetto
impolitico, il frigido ideologicamente, l‟avventurista con sottolineato turista>>185, a
rimarcarne rispettivamente il superomismo e la vocazione qualunquista in politica.
Claudio Baglioni è <<l‟estatico divo dei pianoforti bianchi>>186, mentre Vasco Rossi è
il bersaglio comico privilegiato di Berselli, che affettuosamente lo descrive <<fumatore,
sballato, budellone, pelato>>187, lo chiama <<lo sconvolto di Zocca>>188 o
183
Cfr. Ivi, p.463.
Ivi, p. 460.
185
Cfr. Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I., pp. 170 – 171.
186
Ivi, p. 197.
187
Ibidem.
188
Ibidem.
184
65
<<montanaro patentato>>189. Persino Lucio Battisti, che in Canzoni viene associato alla
figura austera dell‟artigiano meticoloso, trova una sua corrispondenza più lieve e ilare
quando Berselli in Liù afferma che <<“il Maestro solitario” lavorava proprio come il
cane>>190.
Sulla base di tali argomentazioni, secondo cui la canzone popolare italiana presenta i
caratteri diseducativi dell‟<<insincerità>> quando non dell‟<<artificiosità>> deliberata,
Berselli sostiene che ad essa sia qualitativamente superiore la musica trash o <<musicaspazzatura>>, costruita su quelle che il filosofo Theodor W. Adorno aveva denominato,
disprezzandole, <<ghiotte sonorità>>. Secondo Berselli, infatti, la creazione di musiche
in grado di magnetizzare l‟attenzione dell‟uditore richiede il possesso di <<pragmatica
competenza tecnica… una inesauribile e vorace curiosità, una propensione plagiaria
senza confini: la concezione della musica come pura praticabilità, una sconfinata
adesione all‟oggetto, la voglia in sostanza di metterci continuamente le mani>>191,
ovvero quelle qualità che, come si è visto, Berselli ritiene Lucio Battisti abbia posseduto
in massimo grado. La musica-spazzatura, prevede quindi che l‟oggetto non venga mai
subordinato all‟intenzione soggettiva dell‟autore, poiché l‟oggetto, in sé, è precisamente
riconducibile alla forma di quelle “canzonette” che per generazioni <<hanno modellato
dei pezzi di esistenza, e hanno insegnato a maneggiare quelle che tu chiamale se vuoi
emozioni>>192.
Musica educativa
Al fine di sottolineare ulteriormente l‟importanza di un‟aderenza all‟oggetto in
sé, Berselli dedica un intero capitolo193 del saggio La cultura informale al karaoke,
esibizione canora improvvisata da individui comuni che riproducono brani celebri
seguendone le basi pre-registrate e cantando le parole del testo che scorrono in
sovrimpressione su uno schermo televisivo. Il karaoke, secondo Berselli, è <<un
esercizio altamente pedagogico>> ed educativo. Innanzitutto perché, nel tentativo di
imitare la pronuncia americana o inglese tipica delle produzioni musicali estere, i
partecipanti al karaoke compiono uno sforzo di apprendimento linguistico encomiabile,
189
Edmondo Berselli, Quel gran pezzo dell‟Emilia, in Q.G.P.D.I., p. 545.
Edmondo Berselli, Liù, in Q.G.P.D.I., p. 1296.
191
Edmondo Berselli La musica popolare italiana come genere di educazione politica, in Fabio Luca
Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, p. 457.
192
Edmondo Berselli, Quell‟Italia della canzonetta, in “la Repubblica”, 28 febbraio 2004.
193
Cfr. Edmondo Berselli, La cultura informale, in AA.VV., La cultura degli italiani, a cura di Saverio
Vertone, Bologna, Editore Il Mulino, 1994, pp. 143-145.
190
66
che li pone al di sopra delle semplificazioni fonetiche propinate alle masse da attori
nazional-popolari come Alberto Sordi e Totò. Inoltre, il karaoke impartisce quella che
Berselli ritiene la lezione fondamentale, ovvero insegna che la creazione musicale non è
soggetta all‟arbitrarietà sregolata di colui che la manipola, ma richiede il rispetto
pedissequo e incondizionato delle sue regole: le note infatti possiedono una lunghezza
determinata, e a questa devono inderogabilmente confarsi le parole del testo, da scandire
con regolarità e sistematicità. Il karaoke permette l‟acquisizione di un metodo
apparentemente inaccessibile agli alunni delle classi primarie e secondarie della scuola
italiana, e anzi consegna a molti giovani una competenza tecnica da mettere in pratica in
programmi televisivi appositi come Roxy Bar di Red Ronnie. Qui nasce il fenomeno
delle cover-band, complessi musicali di giovani appassionati che ricalcano alla
perfezione le esibizioni delle band originali, edificando da sé la propria educazione
estetica. Nel praticare la musica, infatti, i giovani del karaoke offrono al pubblico
prestazioni elevate, agli antipodi rispetto al dilettantismo dei complessi degli anni
Sessanta, e soprattutto riescono a <<riappropriarsi dell‟oggetto>>.
La riappropriazione dell‟oggetto è lo sbocco auspicato da Berselli per la risoluzione
di ciò che in Post-italiani definisce <<il dilemma dell‟Italia contemporanea>> che
consisterebbe
nel trovare un canone efficacemente e dignitosamente popolare, che sia il frutto
di una buona mediazione fra cultura e mercato, cioè fra uno stile e i grandi numeri.
Invece, proprio perché la categoria del popolare è stata consegnata… al livello più
basso… fra ciò che è elitario e ciò che è di massa permane quella cesura ormai
storicamente accertata che induce l‟intellighenzia a ignorare il popolo, e il popolo a
grattarsi nei suoi divertimenti grossolani…[con il risultato che] l‟ignoranza effettiva,
da parte delle élite colte, dei gusti del grande pubblico e dei fenomeni culturali di
massa… porta poi tutti, i colti e gli incolti, a non individuare le differenze
qualitative, e ad assimilare… il conformismo più prevedibile. 194
Ed ecco allora che nella conclusione del saggio La musica popolare come genere di
educazione politica Edmondo Berselli esplicita quali caratteristiche dovrebbe assumere
la musica popolare italiana per riappropriarsi dell‟oggetto, onde contribuire in modo
sostanziale all‟educazione estetica e dunque morale, civile e politica delle masse.
194
Cfr. Edmondo Berselli, Post-italiani, in Q.G.P.D.I., pp. 449-450.
67
Poiché l‟evasione dei cittadini italiani verso l‟individualismo, il disimpegno e il
disinteresse per le sorti della collettività non è sintomatica di un allontanamento dalla
realtà, bensì di un appiattimento nell‟irrealtà della mono-dimensione adeguatasi
all‟ideologia dominante, la canzone popolare italiana sarebbe dovuta assurgere,
nell‟auspicio di Berselli, a <<piccola poesia civile… liberale… intrisa di fatti meglio
che di idee>>195, di descrizioni e illustrazioni delle diverse componenti della pluralità
del mondo piuttosto che di teorizzazioni retoriche soggettive in merito, al fine di
<<praticare un modesto ma sincero culto della realtà>>. L‟idea di Berselli è che,
esaurite le grandi ideologie sfruttando le quali l‟industria discografica aveva incanalato
il bisogno di appartenenza delle masse, il ruolo dei nuovi autori popolari avrebbe dovuto
riassumersi nel racconto qualitativamente dignitoso della vita quotidiana degli italiani:
<<un eccellente esercizio – senza esagerazioni – di democrazia>>196 per una buona
modernizzazione e democratizzazione del Paese.
Dagli ultimi scritti di Berselli del 2010, l‟Italia risulta sempre più distante dalla tanto
auspicata realizzazione della propria modernità e democrazia. Poco prima del decesso,
avvenuto nel 2010, in L‟economia giusta Berselli descrive un‟Italia destinata al
progressivo
impoverimento,
afflitta
dalle
problematiche
tradizionali
frattanto
aggravatesi: <<la democrazia s‟incarta, come in una partita malriuscita: funziona
peggio… di fronte allo scadimento della qualità democratica, e alla visibile crisi della
legalità, la sinistra risponde con… la rabbia… l‟indignazione… [sentimenti che]
difficilmente riescono a esplicarsi utilmente sul piano politico>>197. In uno scenario
socio-politico dominato dal pensiero unico del capitalismo consumistico, la sinistra è
ancora alla ricerca della propria identità <<nel deserto dei significati e dei progetti in
cui ci troviamo>>, orfano dell‟apporto di maestri, intellettuali e ideologi capaci di
offrire <<un modo e una misura di guardare la realtà>>.198
È lecito supporre che non sia casuale l‟ineluttabilità con cui Berselli rifiuta la
produzione culturale degli anni Duemila, in uno dei suoi ultimi articoli apparsi sul
quotidiano La Repubblica: <<Mi sembra che niente degli ultimi anni possa essere
ricordato>>199. Da tali dichiarazioni risulta evidente che a oggi il processo di
democratizzazione e modernizzazione dell‟Italia non si è ancora compiuto, né sia stata
195
Cfr. Edmondo Berselli La musica popolare italiana come genere di educazione politica, in Fabio Luca
Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, p. 463.
196
Ivi, p. 464.
197
Cfr. Edmondo Berselli, L‟economia giusta, in Q.G.P.D.I., p. 1347.
198
Ivi, p. 1348.
199
Edmondo Berselli, Cosa resterà degli Anni Zero, in “la Repubblica”, 19 dicembre 2009.
68
elaborata quella forma “terza” di musica popolare proposta da Edmondo Berselli,
capace di educare l‟italiano alla rivendicazione del proprio ruolo, da suddito a cittadino,
e di contribuire alla costruzione di una democrazia davvero moderna per l‟Italia.
A fronte di quanto detto sinora occorre infine sottolineare come Berselli, in merito
alla sua lettura sociologica dell‟Italia basata sulla musica popolare che ne ha
accompagnato la modernizzazione, abbia voluto insinuare un dubbio interpretativo, un
invito a non conferire un peso eccessivo alla tesi di cui lui stesso afferma di aver
rivalutato la fondatezza. Se nella prefazione all‟edizione 1999 di Canzoni afferma che
<<c‟è un legame o un gioco di riflessi tra l‟insieme di “pensieri e parole” che è rimasto
nell‟aria, in questi quattro decenni, e la trasformazione sociale in cui siamo stati
coinvolti>>200, nella “Postfazione” dell‟edizione 2007 parrebbe rivalutare i contenuti
precedenti: <<questo libro ha più di sette anni, e in sette anni io sono piuttosto
cambiato: dovessi scriverlo adesso avrei qualche ritegno a sociologizzare come facevo
allora… insomma, quella mezza tesi di sette anni fa secondo cui attraverso le canzoni si
capirebbe meglio la nostra società adesso non mi pare più così interessante>>201.
Tuttavia si registrano giudizi diversi, nel corso degli anni, anche sul Festival di
Sanremo: nel 2000 Berselli sembra concludere che <<mano a mano che si trasforma
sempre più in una vetrina spettacolare… sembra che Sanremo non abbia più quella
identificazione con la società italiana che, giureremmo, aveva una volta. La sensazione
è che sia molto più uno show che una scheggia di italianità>>202, ma nel 2003, al fine di
sdrammatizzare sulle irregolarità nello svolgimento del Festival di alcuni mesi prima,
torna a ironizzare sull‟inscindibilità fra Sanremo e i caratteri degli italiani: <<Si sa che
le canzoni sanremesi sono tutte uguali e quello che conta è l'arrangiamento. E qui
niente da dire, gli arrangiamenti sembravano riusciti piuttosto bene. Siamo sempre lì:
qual è la specialità in cui gli italiani svettano? L'arte di arrangiarsi ovvero di
arrangiare: è un patrimonio culturale che non deve andare disperso>>203.
Berselli non intende rinnegare o avallare teorie in precedenza sostenute o respinte,
bensì evitare per quanto possibile che l‟assertività prevalga sull‟ironia e la leggerezza
che si convengono al contesto ludico, legato ai sentimenti e alle emozioni, della musica
popolare. Il fine ultimo di Edmondo Berselli, mai disatteso, è permettere che le canzoni
200
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I, p. 98.
Cfr. Ivi, pp. 249 – 251.
202
Cfr. Edmondo Berselli, A Sanremo un‟autobiografia della nazione, in “Il Sole 24 Ore”, 27 febbraio
2000.
203
Edmondo Berselli, Ma a Sanremo sono solo bustarelle?, in “Il Sole 24 Ore”, 15 giugno 2003.
201
69
assolvano alla loro funzione primaria, ovvero porre in essere <<il gioco delle
associazioni e dei ricordi>>204; nella convinzione, espressa ne Il più mancino dei tiri,
che <<la memoria è l‟unica cosa che conta nella vita>>205.
204
205
Edmondo Berselli, Canzoni, in Q.G.P.D.I, p. 98.
Edmondo Berselli, Il più mancino dei tiri, in Q.D.G.P.I., pp. 10.
70
CONCLUSIONE
Ciò che in definitiva emerge dalle riflessioni di Edmondo Berselli sul rapporto fra la
musica popolare e la società italiana, sulle quali è imperniato il presente lavoro, è
innanzitutto che alcuni cantanti e alcune canzoni abbiano avuto un ruolo fondamentale
positivo sulla modernizzazione italiana, rappresentando il cambiamento in atto
nell‟Italia degli anni Cinquanta e in tal modo, formalizzandone il canone e la
riconoscibilità a cui poter ascrivere i comportamenti individuali, determinandolo.
Tale dote, per Berselli, va attribuita in particolare a precisi “acceleratori della
trasformazione”: Domenico Modugno, che con “Nel blu, dipinto di blu” realizzava i
sogni di progresso e sviluppo degli italiani; Gino Paoli, che in “Sapore di sale” sanciva
la liceità dei nuovi comportamenti amorosi all‟insegna della trasgressione dei costumi
tradizionali; Mina e Adriano Celentano, che nelle loro prime fasi artistiche esaudivano
la diffusa esigenza di rottura e modernità del sistema valoriale manifestata dalle masse
proletarie e della piccola e media borghesia.
La modernizzazione dell‟Italia, tuttavia, è stata, a dire di Berselli, “cattiva” poiché
indotta da una “cattiva democratizzazione” a cui hanno contribuito principalmente la
politica e le istituzioni, e secondariamente l‟industria culturale e discografica nel
proporre al pubblico un canone privo di equilibrio, elaborato su quell‟opposizione fra
sistema e anti-sistema che rifletteva l‟antitesi tra fascismo e anti-fascismo su cui si era
tentato di fondare un‟identità italiana mai pienamente realizzatasi. Da un lato si è
verificata l‟evoluzione di Mina in “mito canzonettistico” e l‟involuzione di Adriano
Celentano in cantore della reazione anti-moderna dopo la sua “svolta pedagogico –
religiosa”, sublimati nel disco “Mina Celentano” che Berselli ritiene un‟operazione di
marketing sintomatica dell‟invecchiamento dell‟Italia. Dall‟altro lato i cantautori,
eccetto Francesco Guccini, anziché raccontare storie e vite quotidiane hanno
alternativamente ceduto al “barbonismo rivoluzionario”, all‟imposizione del proprio
Ego sulla descrizione e il racconto realtà, o alla ricerca di stili e contenuti aulici ed
elitari.
Secondo Berselli si è verificato un autentico “tradimento” della musica italiana al
termine del decennio raccontato con affetto dall‟autore in Adulti con riserva., quando le
contestazioni del Sessantotto avevano posto ai cantanti e autori italiani un aut-aut
inderogabile: dichiararsi favorevoli o contrari alla rivoluzione, e plasmare le proprie
creazioni sulla base di questa scelta. Tale spartiacque ha determinato la scomparsa dei
71
complessi beat, e, con essi, dell‟eclettismo che aveva contraddistinto l‟esperienza
generazionale degli adolescenti come Berselli. Dall‟altro lato, ad avversare frontalmente
la produzione di canzoni d‟amore allineate al sistema propalato dai mass-media,
nascevano i cantautori, che già con Paolo Pietrangeli e Fausto Amodei avevano dato
avvio a un processo diseducativo sia da un punto di vista estetico, sia civile. I cantautori
hanno quindi per primi praticato il “ricatto del contenuto” producendo la “perdita
dell‟oggetto”, cosicché al contenuto, purché anti-sistemico e “di sinistra”, viene
attribuita un‟importanza primaria rispetto all‟oggetto in sé, laddove l‟oggetto in sé è la
forma, la musica intesa come “pura praticabilità”, fine ultimo del compositore che non
dovrebbe piegarla alle “liturgie della soggettività” ma a un “culto della realtà”.
Il compito della maggior parte degli autori o interpreti di canzoni avrebbe dovuto
consistere, secondo Berselli, nell‟elaborazione di un lessico della quotidianità né elitario
né massificante, che non imponesse l‟interpretazione soggettiva dell‟autore sulla realtà
ma ne offrisse una descrizione, una narrazione, un racconto all‟interno del quale
l‟ascoltatore potesse ritrovare le sue emozioni, la sua vita, in quella ricerca di identità la
cui realizzazione individuale e collettiva è fondamentale per una democratizzazione che
non sia “cattiva”.
Appare evidente che, al di fuori di prove occasionali fornite da certi autori di canzoni
“pop”, il modello della forma – canzone proposto da Berselli abbia trovato, a detta
dell‟autore, ben pochi interpreti che hanno raccontato, concentrandosi sull‟oggetto in sé
alla stregua degli “acceleratori di trasformazione” nel periodo precedente al Sessantotto,
portando quindi a compimento un “esercizio di democrazia”: Francesco Guccini, il
“cantastorie”; Max Pezzali, il cantore della subalternità di massa dei giovani degli anni
Novanta; e, soprattutto, Lucio Battisti, il quale sia collaborando con Mogol, sia con
Panella, ha riaffermato per trent‟anni la prevalenza della forma sul contenuto,
praticando con un approccio da “artigiano” la musica al solo fine di ricrearla in forme
sempre nuove e stimolanti, senza voler trasmettere alcun messaggio, alcun contenuto,
che non fosse il
racconto
delle emozioni
e delle situazioni invididuali,
conseguentemente fornendo agli italiani un‟educazione estetica e quindi etica,
sentimentale e morale, in definitiva: civile.
Laddove Berselli ritenga non vi sia, in tal senso, nulla di memorabile nella
produzione musicale degli “Anni Zero”, non resta che andare alla ricerca dell‟eclettismo
degli anni Cinquanta e Sessanta, al fine di ritrovarvi i presupposti ancora non disattesi di
72
una nuova “piccola poesia civile”, che consenta agli italiani di correggere quegli
atavismi che ancora oggi li separano da una reale condizione democratica moderna.
Quanto emerso non va comunque inteso alla stregua di una sintesi inconfutabile,
bensì come il tentativo di Berselli di interpretare l‟evoluzione della società italiana in
relazione alla sua produzione musicale popolare, con un‟operazione intellettuale
rigorosa e al tempo stesso condotta con allegria, ironia e leggerezza, al fine di evitare
quella seriosità così avversa all‟autore.
73
74
Bibliografia
Bibliografia principale
Edmondo Berselli, Post-italiani.Cronache di un paese provvisorio, Milano, Mondadori,
2003
Edmondo Berselli, Quel gran pezzo dell‟Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel
gioco, cucina grassa e italiani di classe, Milano, Mondadori, 2004
Edmondo Berselli, Il più mancino dei tiri, Milano, Mondadori, 2006
Edmondo Berselli, Venerati Maestri. Operetta immorale sugli intelligenti d‟Italia,
Milano, Mondadori, 2006
Edmondo Berselli, Adulti con riserva. Com‟era allegra l‟Italia prima del Sessantotto,
Milano, Mondadori, 2007
Edmondo Berselli, Canzoni. Storie dell‟Italia leggera, Bologna, Editore Il Mulino, 2007
Edmondo Berselli, Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica, Milano,
Mondadori, 2008
Edmondo Berselli, Liù. Biografia morale di un cane, Milano, Mondadori, 2009
Edmondo Berselli, L‟economia giusta, Torino, Einaudi, 2010
Le opere sopra citate sono raccolte nel volume: Edmondo Berselli, Quel gran pezzo
dell‟Italia. Tutte le opere 1995-2010, Milano, Mondadori, 2011
Edmondo Berselli, Lorenzo Ornaghi, Vittorio E. Parsi, La democrazia infelice
dell‟Italia moderna, in Fabio Luca Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano,
Longanesi & Co., 1993, pp. 335-358
75
Edmondo Berselli, La musica popolare italiana come genere di educazione politica, in
Fabio Luca Cavazza, La riconquista dell‟Italia, Milano, Longanesi & Co., 1993, pp.
451-464
Edmondo Berselli, La cultura informale, in AA.VV., La cultura degli italiani, a cura di
Saverio Vertone, Bologna, Editore Il Mulino, 1994, pp. 129-154
Edmondo Berselli, Francesco, il maestro amico, prefazione a Stagioni, a cura di
Valentina Pattavina, Torino, Einaudi, 2007
Articoli consultati
Articoli tratti dal sito www.ilsole24ore.com:
Edmondo Berselli, A Sanremo un‟autobiografia della nazione, in “Il Sole 24 Ore”, 27
febbraio 2000
Edmondo Berselli, L‟anniversario che non fa cultura, in “Il Sole 24 Ore”, 29 settembre
2002
Edmondo Berselli, Ma a Sanremo sono solo bustarelle?, in “Il Sole 24 Ore”, 15 giugno
2003
Articoli tratti dal sito www.larepubblica.it:
Edmondo Berselli, Quell‟Italia della canzonetta, in “la Repubblica”, 28 febbraio 2004
Edmondo Berselli, Quando la musica fece la rivoluzione, in “la Repubblica”, 07 aprile
2004
Edmondo Berselli, La terra promessa di Woodstock, in “la Repubblica”, 11 agosto 2004
Edmondo Berselli, Cosa resterà degli Anni Zero, in “la Repubblica”, 19 dicembre 2009
76
Altri articoli consultati
Maurizio Bianchini, L‟hit parade degli invisibili, in “Europeo”, 9 novembre 1990
Gino Castaldo, Il nuovo Battisti thrilling di note, in “la Repubblica”, 4 ottobre 1988
Riccardo Chiaberge, Caro Berselli, non è una bella società, in “Il Sole 24 Ore”, 17
aprile 2010
Malcom Pagani, La scatola magica di Adriano, in “Il Fatto Quotidiano”, 19 novembre
2013
Andrea Scanzi, Seduti in quel caffè tutti pensano a te, in “La Stampa”, 29 settembre
2010
Franco Zanetti, intervista a Max Pezzali, tratta dal sito internet “www.rockol.it”, 24
ottobre 2005
Altri testi consultati
Gianfranco Baldazzi, La canzone italiana del Novecento, Roma, Newton Compton,
1989.
Zygmunt Bauman, Gli usi postmoderni del sesso, Bologna, Editore Il Mulino, 1° ed.
2013
Giorgio Bocca, Fratelli Coltelli, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2010
Gianni Borgna, Storia della canzone italiana, Roma, Editori Laterza, 1° ed. 1985
Guido Crainz, Il Paese mancato, Roma, Donzelli Editore, 2003
Ernesto Galli della Loggia, L‟identità italiana, Bologna, Editore il Mulino, 1998
77
Pier Paolo Pasolini, Interviste corsare sulla politica e sulla vita, 1955-1975, a cura di
M. Gulinucci, Roma, Liberal Atlantide Editoriale, 1995
Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari, Roma, Garzanti Editore S.p.A., 2008
Giovanni Sartori, Homo Videns, Roma, Editori Laterza, 2010
Lucio Spaziante, Dai beat alla generazione dell‟Ipod, Roma, Carrocci Editore S.p.A.,
1° ed. 2010
Registrazioni video
Andrea Scanzi, intervista Max Pezzali per il programma televisivo “Reputescion”, in
onda su La3 il 24 giugno 2013, dal sito internet www.la3-tv.it
Brani musicali citati
883, Con un deca, in Hanno ucciso l‟uomo ragno, CD, Ed. Fri Records, 1992
883, Hanno ucciso l‟uomo ragno, in Hanno ucciso l‟uomo ragno, CD, Ed. Fri Records,
1992
883, Jolly Blue, in Hanno ucciso l‟uomo ragno, CD, Ed. Fri Records, 1992
883, Rotta per casa di Dio, in Nord sud ovest est, CD, Ed. Fri Records, 1993
883, Sei un mito, in Nord sud ovest est, CD, Ed. Fri Records, 1993
883, Gli anni, in La donna il sogno & il grande incubo, CD, Ed. Fri Records, 1995
883, La dura legge del gol, in La dura legge del gol, CD, Ed. Fri Records, 1997
78
883, Nessun rimpianto, in La dura legge del gol, CD, Ed. Fri Records, 1997
883, Se tornerai, in La dura legge del gol, CD, Ed. Fri Records, 1997
Fausto Amodei, Per i morti di Reggio Emilia, in EP Cantacronache 6, Ed. Italia Canta,
1960
Lucio Battisti, Il Vento, in Lucio Battisti, 33 giri, Ed. Dischi Ricordi, 1969
Lucio Battisti, Acqua azzurra, acqua chiara, in Lucio Battisti Vol. 2, Audio-cassetta,
Ed. Dischi Ricordi, 1970
Lucio Battisti, Dolce di giorno, in Lucio Battisti Vol. 2, Audio-cassetta, Ed. Dischi
Ricordi, 1970
Lucio Battisti, Fiori rosa, fiori di pesco, in Lucio Battisti Vol. 2, Audio-cassetta, Ed.
Dischi Ricordi, 1970
Lucio Battisti, Mi ritorni in mente, in Lucio Battisti Vol. 2, Audio-cassetta, Ed. Dischi
Ricordi, 1970
Lucio Battisti, Emozioni, in Emozioni, 33 giri, Ed. Dischi Ricordi, 1970
Lucio Battisti, Eppur mi son scordato di te, 45 giri, Ed. Numero Uno, 1971
Lucio Battisti, Pensieri e parole, in Lucio Battisti Vol. 4, 45 giri, Ed. Dischi Ricordi,
1971
Lucio Battisti, I giardini di marzo, in Umanamente uomo: il sogno, 33 giri, Ed. Numero
Uno, 1972
Lucio Battisti, Neanche un minuto di “non amore”, in Io tu noi tutti, 33 giri, Ed.
Numero Uno, 1977
79
Lucio Battisti, Donna selvaggia donna, in Una donna per amico, 33 giri, Ed. Numero
Uno, 1978
Lucio Battisti, Una giornata uggiosa, in Una giornata uggiosa, 33 giri, Ed. Numero
Uno, 1980
Lucio Battisti, E già, in E già, 33 giri, Ed. Numero Uno, 1982
Luca Carboni, Ci vuole un fisico bestiale, in Carboni, CD, Ed. RCA Italiana, 1992
Adriano Celentano, Non esiste l‟amor, 45 giri, Ed. Jolly, 1961
Adriano Celentano, Grazie, prego, scusi, 45 giri, Ed. Clan, 1963
Adriano Celentano, Il ragazzo della via Gluck, 45 giri, Ed. Clan Celentano, 1966
Adriano Celentano, Mondo in Mi settima, 45 giri, Ed. Clan Celentano, 1966
Adriano Celentano, Ventiquattromila baci, 45 giri, Ed. Clan Celentano, 1966
Adriano Celentano, La coppia più bella del mondo, 45 giri, Ed. Clan Celentano, 1967
Adriano Celentano, Tre passi avanti, 45 giri, Ed. Clan Celentano, 1967
Fabrizio De André, La guerra di Piero, 45 giri, Ed. Karim, 1964
Fabrizio De André, La città vecchia, 45 giri, Ed. Karim, 1965
Fabrizio De André, Bocca di rosa, in Volume I, 33 giri, Ed. Bluebell Records, 1967
Francesco De Gregori, Chi ruba nei supermercati, in Canzoni d‟amore, CD, Ed.
Columbia, 1992
80
Dik Dik, Dolce di giorno, 45 giri, Ed. Dischi Ricordi, 1966
Equipe 84, Auschwitz, 45 giri, Ed. Dischi Ricordi, 1966
Bill Haley & His Comets, Rock around the clock, 45 giri, Ed. Decca Records, 1956
Francesco Guccini, Auschwitz, in Folk Beat N. 1, 33 giri, Ed. La voce del padrone, 1967
Francesco Guccini, Noi non ci saremo, in Folk Beat N. 1, 33 giri, Ed. La voce del
padrone, 1967
Francesco Guccini, Dio è morto, in Due anni dopo, 33 giri, Ed. EMI Italiana, 1970
Francesco Guccini, Incontro, in Radici, 33 giri, Ed. EMI Italiana, 1972
Francesco Guccini, La locomotiva, in Radici, 33 giri, Ed. EMI Italiana, 1972
Francesco Guccini, Stagioni, in Stagioni, CD, Ed. EMI Italiana, 2000
I Corvi, Un ragazzo di strada, 45 giri, Ed. Ariston Records, 1966
I Ribelli, Per una lira, 45 giri, Ed. Clan Celentano, 1966
Jovanotti, Penso positivo, in Lorenzo 1994, CD, Ed. Soleluna/Mercury, 1994
Mina, Be bop a lula, 45 giri, Ed. Broadway – Italdisc, 1958
Mina, Le mille bolle blu, EP, Ed. C.A. Rossi, 1961
Mina, Renato, in Renato, 33 giri, Ed. Italdisc, 1962
Domenico Modugno, Nel blu, dipinto di blu, 78 giri, Ed. Fonit, 1958
Gianni Morandi, Andavo a cento all‟ora, 45 giri, Ed. RCA Victor, 1962
81
Gianni Morandi, C‟era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, 45
giri, Ed. RCA Italiana, 1966
Nomadi, Noi non ci saremo, 45 giri, Ed. Columbia, 1967
Gino Paoli, Il cielo in una stanza, 45 giri, Ed. Dischi Ricordi, 1960
Gino Paoli, Sapore di sale, 45 giri, Ed. RCA Italiana, 1963
Gianni Pettenati e Gene Pitney, La rivoluzione, 45 giri, Ed. Fonit Cetra
Paolo Pietrangeli, Contessa, 45 gri, Ed. I dischi del sole, 1968
Rolling Stones, Satisfaction, 45 giri, Ed. London, 1965
The Cabin Boys & Colin Hicks, Un‟anima pura, 45 giri, Ed. ARC, 1964
The Rokes, Che colpa abbiamo noi, 45 giri, Ed. ARC, 1966
The Rokes, È la pioggia che va, 45 giri, Ed. ARC, 1966
The Rokes, Piangi con me, 45 giri, Ed. ARC, 1966
Claudio Villa, Granada, 45 giri, Ed. Fonit Cetra, 1966
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