IL MONDO NASCOSTO DIETRO LE CIFRE Quando i numeri fanno dell'ironia In una Storia universale dei numeri (non ricordo di chi) un signore si sveglia al mattino e se la prende con la pendola. «Questa notte — dice — l'orologio è impazzito. Ha battuto cinque volte l'una, e invece erano le cinque». Il signore che calunnia l'orologio è ingiusto,' perché la pendola si è comportata benissimo. Però non è scemo. Se l'orologio si accontentasse di indicare le ore sul quadrante, nessuno potrebbe lamentarsi, essendo le cifre (romane o arabe) diverse l'una dall'altra. Il guaio è che la pendola vuole cantarle a Voce. E così sciorina un segreto che dovrebbe rimanere nascosto. Contando e cantando le ore, la pendola svela l'ermafroditismo dei numeri, che, fuori del linguaggio, non sono né cardinali né ordinali, ma presenze mute, cose addormentate, sparse una per una nell'universo. Anzi, fuori del linguaggio non ci sono neppure numeri, ma oggetti separati, non numerabili, anche se numerosi e addirittura innumerevoli. Bisogna che qualcuno conti, e dunque che qualcuno parli, perché una mela qua, l'altra là e l'altra ancora più in là diventino tre mele. Ci vuole l'intenzionalità mentale della matematica per dare non solo un ordine, ma anche una quantità al mondo inerte della materia. In clinica Il signore della pendola finirà in clinica. Ma ognuno di noi rischia di seguirlo se sospende, anche solo per un attimo, l'abitudine alla distrazione che ci consente di vivere educatamente. Il signore e abituato a dire «cinque» una volta sola: come noi. Mentre l'orologio può dire soltanto «uno» per cinque volte. Dire «uno» cinque volte è il muto linguaggio degli oggetti, che non devono rispondere, all'appello di nessuno; è la loro inarticolata, opaca dichiarazione di presenza. Mormorando «uno» per cinque volte, le cose o i suoni non si sommano, non si unificano, non colloquiano, sicché, la successione s'inceppa, il tempo si ferma e la conta trasforma ogni progressione in ripetizione. Per il signore della Storia universale la pendola ha reciso il tendine dell'intenzionalità, sciogliendo il mondo dal guinzaglio che 10 tiene insieme. Strappato il guinzaglio, l'universo è diventato un deposito di cani sciolti e senza collare. E' rimasto multiplo, ma non è più numeroso, perché ogni unità abbaia, guaisce o ringhia per conto suo, e tutto ricomincia ogni volta da uno. Il signore ha scoperto che la pendola parla il linguaggio insignificante della materia. E ha ragione di stupirsi. Tuttavia, dopo essersi rimesso dalla meraviglia, questo signore ha avuto il modo di riflettere sulla sua scoperta; e forse ha capito meglio di noi che la celebre oggettività della matematica è una credenza degna di una pendola. Sicché non è escluso che sia proprio lui a scrivere, nella clinica dove è stato ricoverato, quelle strane paginette di Numeri che da qualche anno compaiono sull'Europeo e che in questi giorni l'editore Leonardo ha raccolto in volume con il sottotitolo Un mondo da decifrare (177 pagine, 19.000 lire). Federico Bini, che ha firmato il libro, potrebbe essere solo 10 pseudonimo di tutte le intelligenze silenziose e stupefatte che praticano l'arte della matematica come opinione: una verità misconosciuta e ostica. Bini sa che il mondo è un alveare di numeri: piccoli, grandi, fratti, primi, interi, ordinali, cardinali; disparì e maschili, oppure pari e femminili (secondo Pitagora); numeri che indicano assenza di quantità e dunque di numero (per fortuna ce n'è uno solo: lo zero) e numeri che si approssimano all'infinito sia in alto che in basso, nel senso che tendono verso una grandezza illimitata o che hanno un'illimitata capacità di scomporre ogni grandezza (così che l'aggettivo «infinitesimo», imparentato con il sostantivo «infinito», e "cioè «moltissimo», significa poi «pochissimo», quantità négligeablé). Ma ha anche capito, Bini, che le api di questo alveare ronzano solo nella nostra testa. Forte di questa consapevolezza, si è permesso di aggiungere a quelle già conosciute una nuova classe di numeri: i numeri ironici. Li ha suddivisi in capitoli con tanto di titolo, ad esempio Appetito, Estasi, Donne, Sensi, ecc., e ha scaricato nella nostra testa il miele di mille favi. Veniamo a sapere che il 30 per cento dei nuovi iscritti al Miami College non sa dove sia l'Oceano Pacifico; che il 25 per cento dei francesi crede che il sole giri intorno alla terra; che nel mondo ci sono 220 milioni di cani e gatti domestici; che in Italia avvengono in media 10 mila contatti sessuali al giorno; che 58 donne su 100 sono disposte ad andare a letto con il primo venuto in cambio di un miliardo; che un bacio mette in movimento 29 muscoli del no- stro corpo; che il numero di telefono del Kgb di Moia e 224.4K.48: che la ruggine corrode ogni anno il 3.5 per cento del Pil (Prodotto interno lordo) dei Paesi industrializzati; che il valore del dito mignolo di un agente di Borsa è quo-, tate a Milano 190 milioni; che negli Stati Uniti ci sono 3.650 astronomi e 15 mila astrologi; che i topi di nazionalità italiana sono 300 milioni; che a Genova la velocità media è di 5 chilometri orari per un pedone, di 6 per un autobus, di 8 per un'automobile e di 14 per uh ciclomotore; che ogni giorno i cani di Parigi depositano sui marciapiedi 20 tonnellate di escrementi; che 7 inglesi su 100 credono di dover andare a Est per recarsi in Spagna, 2 su 100 credono di dover andare a Nord, e 13 su 100 non saprebbero quale direzione imboccare per raggiungere l'Alhambra... Io mi devo fermare qui. Ma il libro continua per 170 pagine facendoci intravedere Io scheletro quantitativo di tutto quel che c'è e di tutto quel che potrebbe esserci nel mondo. E si ha l'impressione che anche dopo aver chiuso il libro i numeri continuino da soli a contare le infinite realtà, probabilità, volando nella nostra testa con le zampe e le ali di mosca delle loro cifre arabe. Magari per farci sapere quante creature ci separino dall'ultimo pitecantropo seguendo in vertiginosa ascesa la parete più ripida del nostro albero genealogico (non più di 60 mila persone: il pubblico di uno stadio); o quanti Everest salga ogni anno ^inquilino-di un'quarto1 piano senza ascensore. Una spiaggia Io almeno ho continuato a contare e a numerare computi stupefacenti e involontariamente ironici. Ma mi sono fermato davanti al totale dei granelli di sabbia non già del Sahara, ma di una spiaggia qualsiasi. So bene che un numero ci deve pur essere; ma il signore della pendola mi ha insegnato che i granelli non possono contarsi da sé. Per riunirli tutti insieme in un computo deve esserci qualcuno in grado di tenere a mente la progressione e di sparare la cifra finale. Se non c'è un Grande Ragioniere che lo sappia fare, la pendola dovrà ricominciare da uno per milioni, miliardi, trilioni, trilioni di bilioni di volte. Insomma: per sempre. E dunque non ci sarà un totale, ma l'eterna balbuzie della nostra cultura che non riesce mai a finire né le sue frasi, né i suoi numeri. Saverio Vertone I MEDICI DEL MARE /2 - CRONACA DI UNA MISSIONE SULLA BARCA DI « GREENPEACE» Caccia a balene fantasma Binocoli e idrofoni per individuare i cetacei a sud della Corsica - Anche i delfini in pericolo: ne vengono uccisi dalle reti circa settemila all'anno - 250 imbarcazioni impegnate negli avvistamenti DAL NOSTRO INVIATO CALA BITTA (Sassari) — Lunedì 18 giugno, ore 23. L'appuntamento con i cacciatori di balene è in questo tranquillo porticdolo della Gallura, non lontano da Palau. Il cielo è stellato, non un filo di vento. Sul ponte del «Blu Program», ormeggiato al molo, ci attendono Daniele, lo skipper ventinovenne, e Loredana, mozzo e cuoca di bordo. Facciamo le presentazioni. Siamo sei passeggeri in tutto, di cui tre giornalisti, un fotografo, e naturalmente lui, l'Achab della spedizione, Gianni Squitieri, direttore di Greenpeace Italia, accompagnato dal suo assistente scientifico Fabrizio Fabbri. Cacciatori di balene, dunque. Ma che razza di cacciatori? A bordo non hanno portato fiocine o arpioni: soltanto binocoli, macchine fotografiche, carte nautiche, manuali di biologia marina. E due valigette piene di cavi e di misteriose apparecchiature. «Sono gli idrofoni: servono per captare e registrare i suoni emessi dai cetacei nel raggio di tre miglia — spiega Fabrizio —. Ogni specie ha il suo timbro di voce e il suo linguaggio. Il capodoglio fa uno schiocco, il delfino un fischio, e così via. Al centro di bioacustica dell'Università di Pavia conservano i nastri con tutte le registrazioni: Meglio così. Se non vedremo Moby Dick, forse almeno riusciremo a sentirlo, a intervistarlo a distanza. Ma ora tutti nelle cuccette, perché domattina, promette Daniele, sarà una levataccia. Il «Blu Program» che ci ospita non è certo il «Rainbow Warrior» o la «Sirius», le grandi navi che i corsari di Greenpeace utilizzano peri loro arrembaggi in .difesa dell'ambiente. E'.un. normalissimo cabinato di diciotto metri, come se ne vedono fanti nei mari di Ferragosto. Squitieri se l}è fatto prestare da un amico armatore. Il clima a bordo è di grande eccitazione: i mammiferi del mare, i nostri cugini leviatani grandi e piccoli, sono là da qualche parte nel buio che si rotolano dentro le onde, schioccano e fischiano aspettando noi. «La meta di domani — annuncia Gianni — è la baia di Pinarello, in Corsica, dove l'anno scorso avevamo avvistato una comunità di grampi, una specie di delfini». MARTEDÌ' ORE 6. Il sole è ancora basso sull'orizzonte quando si salpano le ancore. Comincia un'avventura che dovrebbe durare due giorni, ma che si concluderà anzitempo, non senza averci regalato emozioni intense, qualche brivido e una buona dose di mal di mare. Mentre Daniele costeggia i fianchi selvaggi di Caprera, dirigendo il timone verso le bocche di Bonifacio, Squitieri illustra gli scopi della missione. «I cetacei in Italia sono protetti dalla legge, ma soltanto sulla carta — dice —. Per difenderli, MARE DELLA CORSICA — Un cane alle prese con un delfino bisogna prima di tutto imparare a conoscerli, studiarli, farne un censimento sia pure grossolano. Di qui l'operazione cetacei, lanciata nell'89, e che ripetiamo più in grande quest'anno, in collaborazione con l'Istituto Tethys di Milano. Abbiamo mobilitato 250 barche da diporto in tutta Italia, per farle partecipare, ogn\, domenica, da giugno ad agosto, alla campagna di avvistamento. Inoltre, 18 biologi e naturalisti selezionati e, ad,destrati da noi saranno ospitati per una settimana a bordo di imbarcazioni private per svolgere ricerche sul campo. L'attenzione si concentra sul Mar Ligure, che sempre più si configura come un vero e proprio "santuario" dei cetacei italiani». I sogni di Melville Centocinquant'anni fa, Hermann Melville era convinto che la balena fosse «immortale nella specie». Oggi nessuno è così ottimista. I cetacei, grandi e piccoli, corrono tutti il rischio dell'estinzione. Nel Mediterraneo, dove orche, balenottere comuni e capodogli — non si sa se stanziali o immigrati dall'Atlantico — si contano ormai sulla punta delle dita, sono in pericolo anche i piccoli delfini. Stenelle, tursiopi e grampi muoiono impigliati nelle reti derivanti per la pesca del pesce spada, soffocati dai sacchetti dei supermercati, intossicati dalla chimi- ca. «Sugli effetti dell'inquinamento non ci sono dati certi — precisa Squitieri —. La vera strage si consuma nelle spadare, che ne fanno fuori sei o settemila ogni anno». Intanto Fabrizio, il cranio rasato come il ramponiere Quiqueg di «Moby Dick», sta di vedetta a prua. Per. cinque . lunghe ore, dal mare a specchio («a patàna» come dice Daniele in vernacolo toscano) affiorano soltanto gavitelli, boe e sacchetti di plastica, che più volte ci traggono in inganno, facendoci sussultare. Ogni tanto il guizzo di un tonno, ma di cetacei nemmeno l'ombra. Che si siano passati parola, e se ne stiano tutti acquattati sott'acqua per fare dispetto ai cacciatori di Greenpeace? ORE 10.30. Cominciavamo a scoraggiarci, quand'ecco a un centinaio di metri una schiuma bianca, una pinna, un dorso scuro. Fabrizio afferra il binocolo: «E' un grampo — conclude, dopo una rapida occhiata —. Lo si vede dal muso arrotondato, senza rostro. E dal fatto che nuota solitario, non in gruppo». Questo grampo dev'essere davvero un tipo poco socievole, perché in pochi secondi sguscia via e lo perdiamo di vista. «Proviamo coll'idrofono» dice Fabrizio. Con l'aiuto di Gianni, srotola quaranta metri di cavo in acqua, prende la cuffia e si mette in ascolto. «Eccolo — esclama dopo qualche minuto —, l'ho intercettato. Era proprio un grampo. Volete sentirlo anche (Foto Grazia Neri) voi?». Ci porge la cuffia a turno: in effetti, dallo sfondo confuso di rumori e fruscii, emerge distintamente un crepitio modulato. «Sembra una pernacchia», osserva qualcuno. E' il grampo, quell'insolente, che ci sfotte da qualche miglio più in là. Ma non è l'unico suono. Ogni tanto, si sentono come dei fischi. «Questi, invece, sono tursiopi o delfini comuni. Non devono essere lontani», dice Fabrizio. Gli autori' dei fischi ORE 12. Aveva ragione. Siamo al «Traverso delle Cervicali», a quattro miglia da Porto Vecchio, quando gli autori dei fischi si materializzano. Sono in tre, e a grandi balzi nuotano verso di noi. Ci tagliano la strada, filano zigzagando sotto il pelo dell'acqua, si rivoltano a pancia in su come grossi gatti. Potremmo quasi accarezzarli. Tre metri di lunghezza, grigi sopra e sotto, muso a becco piuttosto corto: sono tursiopi. Fabrizio, spenzolandosi dal bompresso di prua, scatta una raffica di foto, e intanto ci invita alla calma. Inutile, gridiamo tutti come ragazzini, e i tursiopi, spaventati, si allontanano. «Vi avevo avvertito», ci rimprovera il nostro Quiqueg. Ma eccoli di nuovo: vogliono proprio giocare con noi. A turno, fanno il surf sull'onda di prua, fischiando di gioia. Daniele, lo skipper, anche lui studente di biologia marina a Pisa, rallenta la marcia per assecondarli. Per almeno un quarto d'ora, i cetacei ci scortano lungo la rotta. «Probabilmente — annota Fabrizio sulla sua scheda — si sono staccati da un gruppo più grosso, di nove o dieci compagni». ORE 14. Galvanizzati da questo «incontro ravvicinato», buttiamo l'ancora nella baia di Pinarello e ci tuffiamo, nuotando come delfini (o quasi). Poi Lori, una vivace padovana che quando non fa il mozzo lavora in banca, ci sfama con un piatto di spaghetti. ORE 16. Puntiamo la prua verso il largo, a caccia della fantomatica tribù dei grampi. Ma questa volta siamo noi a mancare all'appuntamento. Fatte poche miglia, avvertiamo un acre puzzo di bruciato. Daniele si precipita nella sala macchine e risale imprecando. «S'è rotto l'invertitore». Che cos'è? «Il meccanismo che permette di invertire la marcia. In pratica, ragazzi, siamo in avaria. Ci tocca ritornare a vela». A vela? E quanto ci metteremo? «Chi lo sa. Dieci, dodici ore, forse di più. Dipende dal vento». L'euforia è svanita di colpo, in coperta cala un silenzio greve. Aiutato da Lori, Daniele scioglie fiocco e randa e vira verso la Sardegna. ORE 17. Si chiama per radio l'armatore. E' imbarazzato: «In bocca al lupo», si limita a dirci. Date le circostanze, sarebbe più appropriato «in culo alla balena». ORE 19. Mentre scende il sole e il «Blu Program» dondola pigramente come il «Pequod» nella bonaccia, sul ponte si favoleggia di megattere, di balene franche, di squali, di calamari giganti. E naturalmente di delfini. «Lo sapete che viaggiano a 20 o 25 nodi? — dice Fabrizio — Quaranta, cinquanta chilometri all'ora. Dieci volte la nostra velocità in questo momento». «Perché allora non ci facciamo trainare?», propone qualche spiritoso. ORE 21. Si accende il televisorino di bordo e con qualche fatica riusciamo a vedere Italia-Cecoslovacchia. Ma i gol di Schillaci e di Baggio non bastano a tirarci su il morale. La Sardegna è lontanissima, nella notte di pece. MERCOLEDÌ' ORE 3. Sballottati dalle onde al largo della secca dei Monaci, mentre Daniele e Fabrizio lottano contro un vento insidioso, pensiamo: strano animale l'uomo, che per salvare i cetacei (e la propria coscienza inquinata) rischia di dover essere salvato lui. ORE 7. Finalmente Cala Bitta! Al largo della baia, due tursiopi ci danno il benvenuto con capriole luccicanti. L'odissea è finita, e scendiamo a terra un po' delusi. Per questa volta non abbiamo avvistato la Balena Bianca. Forse ci ha avvistato lei: speriamo che non lo racconti in giro. Filippo Mazzei, il toscano che ha costruito un pezzo di America «Quando nel corso degli umani eventi un popolo si vede nella necessità di rompere i legami che lo uniscono ad un altro...». Pochi di noi sanno che in calce alla Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti c'è anche la firma di un italiano, un toscano di Poggio a Caiano, che il destino aveva fatto approdare nel Nordamerica proprio in quegli anni turbinosi. Il nome di Filippo Mazzei da noi fa parte soltanto del bagaglio dei dotti. Negli States, invece, le sue vicende vengono studiate a scuola, insieme a quelle di George Washington, Thomas Jefferson e Adams, un caso che forse più di altri dimostra vero il detto che nessuno è profeta in patria. Filippo Mazzei ci ha lasciato uno dei più personali e arruffati libri di memorie che mai sianoi stati scritti e questo in parte giustifica l'oblio che in Italia è sceso su di lui. Quando si mise a vergare i propri ricordi, Mazzei era in là con gli anni e spesso finiva per confondere le date. In più, il suo racconto è fluviale perché egli non possedeva il dono della sintesi. Sta di fatto che da noi ben pochi si immergono nel suo smisurato zibaldone e anche nell'antologia sui letterati, memorialisti e viaggiatori del Settecento, curata da Ettore Bonora per la Ricciardi, lo spazio a lui dedicato non è eccessivo. Bene ha fatto, dunque, Guido Gerosa a dedicargli una biografia («Il fiorentino che fece l'America», Sugarco Edizioni, pagine 378, lire 32 mila) che riassume il suo cammino attraverso le vie del mondo. Insieme a Casanova e Da Ponte, a Vincenzo Martinelli, a Carlo Ludovico Bianconi, Mazzei è il prototipo del viaggiato- re in parrucca che l'Illuminismo spinge oltre i confini della patria. Ma a lui capiterà in sorte d'esser presente proprio dove succederanno le cose, prima nelle Colonie Americane che si ribellano al giogo inglese, e poi a Parigi, durante la Rivoluzione. Con una buona scorta di vini toscani e con la benedizione di Beniamino Franklin, che aveva conosciuto a Londra e al quale aveva fornito certe radici chiamate «ravizzoni», Mazzei parte per l'America nel 1773 e subito conosce, in Virginia, Adams e George Washington, che sarà poi il primo presidente americano. Da Jefferson Mazzei compra un terreno e semina il granoturco «cinquantino», che maturava in cinquanta giorni, e il grano «civitella» che si coltivava sui monti del Casentino e in Valdarno. Tutti vogliono le sue sementi: quel granoturco venne chiamato da allora «Mazzei's corn». Nel dicembre del 1773, a Boston, i coloni che si ribellano all'Inghilterra rovesciarono in mare le casse di tè arrivate dall'Inghilterra. Durante l'alta Filippo Mazzei in un'incisione marea il tè ricopriva l'acqua dalla parte sud della città fino a Dorchester Nech, formando una specie di enorme tisana. Mazzei combutte insieme ai ribelli, scrive opuscoli, sulla scia del fortunatissimo «Common senso» di Thomas Paine, e vota per affidare a Washington il comando supremo dell'esercito. Gli indipendentisti americani avevano allora quello che oggi viene definito un «problema di immagine» e Filippo Mazzei viene spedito in Europa per spiegare le ragioni dei coloni. Mazzei svolge egregiamente il suo compito. C'è uno scambio fittissimo di lettere tra lui, Jefferson e Washington. Quest'ultimo gli continua a domandare ragguagli sull'agricoltura: «Sono del parere che, visto la spontanea crescita della vite, e visto che in molte parti della Virginia clima e suolo sono ben adatti a vigneti, il vino, presto o tardi, diventerà un articolo di produzione. In quanto all'ulivo sono molto più dubbioso». Poiché nelle «Memorie» il filo storico talvolta è arruffato, Guido Gerosa si incarica di dipanarlo con intelligenza per il lettore. L'instancabile Mazzei ritorna in Europa — allora i viaggi per mare duravano mesi, occorreva attendere il momento favorevole nei porti e rassegnarsi a ballar sulle onde quando c'era la bonaccia — e diventa agente diplomatico a Parigi del re di Polonia. Se fosse stato un giornalista, il toscano avrebbe fatto fortu- na, perché dove egli si stabiliva succedeva sempre qualcosa. La Rivoluzione bolle in pentola. Mazzei ha appena avuto il previlegio di assistere ogni martedì alla «levée du Roi», che gli Stati Generali si radunano a Versailles. La rivoluzione è cominciata. Jefferson, anche lui a Parigi, scriverà: «Tutte le donne belle e giovani sono per il Terzo Stato e questo in Francia è una forza molto superiore ai duececentomila soldati del Re». Mazzei, che di donne se ne intendeva parecchio, ha conosciuto Maria Antonietta, giudicandola vanesia e scipita. Ma il toscano non si limita ad osservare. E' tra i fondatori del «Club dell'89» con i capi della corrente moderata, Bailly, Mirabeau, Condorcet. La Fayette. E, credendo di ravvisare nell'estremismo il maggior pericolo degli ideali democratici, si fa promotore presso La Fayette di un colpo di Stato per sopprimere Robespierre, Marat, Danton, Desmoulins e gli altri capi giacobini, consiglio che il generale americano non raccoglie. Filippo va ai raduni inalberan- A. E. Hotchner HEMINGWAY E IL SUO MONDO La più completa, la più emozionante biografia per immagini di uno scrittore il cui mito continua. Val. ril. 208 pag. olire 400 ili. L. 60.000 David Hamilton LA POESIA DEI FIORI La fragile bellezza di corolle, petali, foglie raccontata dall'obbiettivo di un grande fotografo e commentata dai versi dei più grandi poeti. Voi. ril. 120 pag. HI. L 50.000 Yann Artbus-Bertrand KENYA DAL CIELO Vertiginosamente, su un immenso paese. Immagini da creazione del mondo per un'Africa mai vista cosi. Voi. ril. 112 pag. 57 HI. 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Passerà gli ultimi anni scrivendo i proprio ricordi — il materiale non gli mancava — e cercando di salvare quanto restava delle sue proprietà dall'avidità dei generali napoleonici. Perché soltanto l'avventura del Corso non lo vide, come sempre, presente. Siamo sicuri, però, che se avesse avvicinato Napoleone sarebbe riuscito a farselo amico. Ma allora era cominciata una stagione nuova, quella degli spiriti irrequieti del Settecento era ormai agli sgoccioli. La sua tendenza al nomadismo, il suo spirito salottiero.la sua facilità a fare amicizie, il gusto delle lettere, il talento multiforme e anche la sua inclinazione per le belle donne, lo fanno uno dei personaggi più straordinari e curiosi di tutta un'epoca. Leonardo Vergani CORSICA .i-M pag. 248 HI. L. 40.000 SARDEGNA 472 pag. 220 ili !.. 45.000 * * * COLLANA PICCOLI PIACERI Lidia Kuscar MIELE & C. Voi. ril. 96 pa%. ili'. L 18.000 Alberto Conforti Mariarosa Schiaffino ELOGIO DEGLI OCCHIALI Voi. ni. 96 pa^ ili. L. 18.000