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Lunedì 14 Ottobre 2013 Corriere del Mezzogiorno
NA
PERCORSI DELLA MENTE
In un documentario
la storia di una disciplina
troppo a lungo snobbata
MA LA PSICOLOGIA
NON È INTRATTENIMENTO
unica rivoluzione che possiamo ancora fare è quella della psicologia, che ha
al centro la cosa più importante per
noi, la psiche, che ragiona, pensa, ama
ed è alla base della nostra identità personale».
Le parole dell’ex ministro e vicepresidente del Senato Adriano Ossicini aprono il documentario «La psicologia italiana raccontata a mia figlia», curato dal Consiglio dell’Ordine nazionale, con la regia di Lorenzo
Cioffi e la sceneggiatura del presidente dell’Ordine
campano, Raffaele Felaco. La pellicola è stata proiettata a Paestum, in chiusura del congresso organizzato
dalla Società italiana di Psicoterapia. Ossicini, dopo
un lungo travaglio, ha condotto in porto la sua rivoluzione professionale con l’approvazione nel 1989 della
legge che ha istituito il ruolo dello psicologo e che
porta il suo nome, dopo essere stato in prima linea
negli anni della Resistenza contro il nazifascismo, difendendo Roma e ponendo le basi con Franco Rodano per quello che diventerà il Movimento dei Cattolici Comunisti.
«Il ritardo con il quale si è arrivati a questa legge —
spiega nel documentario — ha radici culturali, per la
presenza in Italia di due grandi tradizioni storiche,
una psichiatria di carattere organicistico e una filosofia di tipo idealistico, entrambe importanti, ma che
«L’
Ritardi
Il ritardo in questo settore ha radici culturali, per
la presenza in Italia di una psichiatria di carattere
organicistico e di una filosofia di tipo idealistico,
che davano un giudizio negativo della psicologia
davano un giudizio sostanzialmente negativo della
psicologia scientifica. Gli aiuti in Parlamento sono
stati pochi, ma grazie alla mia carica istituzionale ho
avuto la possibilità di far ascoltare ai colleghi i contributi culturali di tecnici di altissimo valore, come Basaglia, Bollea o Musatti, che ne hanno fatto comprendere il valore ai parlamentari».
Il documentario ripercorre le tappe fondamentali
della storia della psicologia attraverso le voci dei padri della professione, intervistati da Felaco. Dalle loro
parole emerge la stretta relazione con gli eventi storici del ’900 in Italia. «Durante il fascismo — racconta
Marcello Cesa Bianchi, presidente emerito del Collegio dei docenti e dei ricercatori delle discipline psicologiche nella facoltà di Medicina dell'Università di Milano — la psicologia fu esautorata per ragioni filosofiche, politiche, accademiche (rimasero operative solo
due cattedre), sia per iniziative nel campo sociale,
educativo, lavorativo o giuridico. Erano gli anni in
cui la disciplina era vista dai medici come il divertimento durante l’ora del tè e da lì si è partiti per costruire un’idea della psicologia non come presupposto per la soluzione di tutti i problemi, ma come apporto a rivedere le situazioni patologiche della persona e ad affrontare i problemi essenziali come quello
della nascita e della morte». Pesava anche la presenza
di «correnti di natura ideologica che ne hanno condi-
zionato lo sviluppo — sottolinea Luciano Mecacci, docente di Psicologia generale all’Università di Firenze
— la forte presenza del cattolicesimo, la filosofia idealista, il marxismo e il ruolo del partito comunista nell’organizzazione delle professioni nella seconda metà
del ’900 e nella scrittura di alcune leggi, che avevano
a monte una tradizione di condizionamenti politici e
sociali».
Dall’approvazione della legge del 1989 si arrivò all'apertura dei corsi di laurea e all’istituzione della prima facoltà di Psicologia alla Sapienza di Roma, con
l'importante contributo di Mario Bertini, che è stato
preside dal 1991 al 1994. «Dall’idea della psicoterapia
come competenza esclusiva dei medici — ricorda —
siamo arrivati al concetto di salute intesa non più co-
me assenza di malattia, ma come stato di benessere
psichico, biologico e sociale, come riconosciuto oggi
anche dall’Oms». Tra gli esempi di applicazione pratica delle teorie psicologiche nel documentario si accenna alla ricerca collegata a molti istituti europei, realizzata in collaborazione con la Ceca e ancora attualissima. «Collaboravo con il professor Gustavo Iacono — racconta nel documentario Giulia Villone Betocchi, docente emerito di Psicologia alla Federico II di
Napoli — che organizzò uno studio innovativo sul tema della protezione degli incidenti sul lavoro, con un
lungo periodi di osservazione partecipata sugli operai dell’Ilva di Bagnoli».
Dalla storia del Paese alle prospettive future della
professione si arriva con la testimonianza di Renzo
Da sinistra, Raffaele Felaco;
Adriano Ossicini
e Marcello Cesa Bianchi
Canestrari, professore emerito dell’Alma Mater di Bologna e decano della facoltà medica. «L’entusiasmo
per la psicologia sperimentale — dice nell’intervista
— mi portò a leggere un opuscolo che scoprì a Bologna quando arrivarono dalla Sicilia le Forze Alleate e,
con loro, un’agenzia culturale. In quel testo, fondamentale nel mio percorso, si parlava dell’immaginazione, della percezione, delle emozioni. Prendendo
spunto da quella curiosità, invito le nuove generazioni a nutrire grande amore per la letteratura, la storia e
per il sapere generale, perché quando un paziente ci
propone dei quesiti con la sua sofferenza, la risposta
va pescata dentro di noi, in un bagaglio molto vasto
che non può essere solo tecnico».
«Il documentario racconta un viaggio nella storia
della psicologia — spiega Felaco — per curarne la memoria. Incontrare amici e personalità che hanno costruito la struttura della professione nel nostro Paese
ci ha restituito quei fermenti culturali delle epoche e
delle città sui quali si fonda la psicologia italiana.
Un’operazione della memoria per rinvigorire le radici
che alimentano lo sviluppo dell'albero della psicologia».
R. S.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La novità A colloquio con Emilio Fina, tra i responsabili del servizio dedicato soprattutto agli adolescenti
Dall’Irpinia progetto sull’autismo
U
n vento nuovo rinfresca l’Irpinia,
è un vento di speranza per centinaia di famiglie che da anni aspettano una risposta concreta ai problemi
dei propri cari con sindrome autistica.
Tutto nasce dal progetto messo a punto
da un uomo, Emilio Fina, primario di
Psichiatra e direttore del dipartimento
di Psichiatria della Asl di Avellino. E lui,
uomo abituato ai fatti più che alle chiacchiere, ci tiene a precisare che tutto è
partito dalla decisione del direttore generale dell’Asl, Sergio Florio, che ha ritenuto di conferirgli questo mandato.
Dottor Fina, quali sono i punti cardine del progetto?
«La struttura principale è quella del
servizio di neuropsichiatria dell’adolescenza, una delle strutture complesse
che afferiscono al dipartimento di Psichiatria del primario Camillo Vittozzi».
È al pubblico che spetta la diagnosi?
«Non solo, anche la pianificazione del
progetto terapeutico».
L’idea che esista un progetto terapeutico è molto rassicurante.
«Devo dire di sì. Per le famiglie di persone con autismo la possibilità di individuare un percorso è fondamentale, e
l’esistenza di un progetto terapeutico è
importante anche per la semplice idea
di non essere lasciati soli nel corso degli
anni».
Come si articola questo percorso?
«Il progetto è composto da diverse fasi. Il primo passo è nell’età prescolare,
con assistenza a domicilio attraverso le
tecniche dell’Analisi applicata del comportamento (Aba) , dunque attraverso
la formazione dei familiari».
Molti problemi nascono però con
l’approccio alla scuola, no?
«Sì, e proprio per questo per la fase di
scolarizzazione abbiamo predisposto un
Il tablet può essere
uno strumento utile
nella cura dell’autismo
infantile
protocollo di intesa con il Provveditorato che è parte integrata della rete. In altri termini è un co- protagonista della rete per consentire che gli operatori che saranno formati possano essere in grado
di offrire una continuità anche in età
scolare».
E dunque si inizia ad vedere l’elemento della continuità.
«Come dicevo la continuità assistenziale è un punto imprescindibile del nostro progetto».
Lei ha parlato di «rete», può dirci
qualcosa in più?
«L’aspetto residenziale e semiresidenziale dell’assistenza non poteva non tenere conto delle realtà che hanno cercato in questi anni di occuparsi del problema. Ecco perché tutte queste realtà, che
spesso sono associative, sono state inserite nella rete. Per essere più chiari le
strutture che potranno chiedere di accedervi sono quella di Ariano Irpino, gestita da un ordine religioso, l’Aias di Cicciano e il Centro di Valle con l’Aipa».
Molto interessante è anche quello
che è stato definito progetto «dopo di
noi», in cosa consiste?
«Si tratta di un progetto che fa capo
ad associazioni familiari che si sono rese disponibili ad investire in soluzioni
abitative autonome, per gli anni a venire. L’idea è quella di cercare una risposta alla domanda che si pongono i genitori di questi ragazzi: cosa sarà di nostro
figlio quando noi non ci saremo più?».
Si punta dunque all’autonomia dell’individuo.
«L’abilitazione, che è cosa diversa dalla ri-abilitazione, è la filosofia portante
della mission offertami con questo mandato dipartimentale. E ciò che mi prefig-
go in ambito psichiatrico, lo sarà ancor
più con la neuropsichiatra Infantile e
dell’Adolescenza».
Dunque, siamo davanti ad un punto
di svolta?
«Direi proprio di sì, abbiamo messo
in piedi un progetto chiaro con chiari
punti di riferimento».
Che tempi serviranno?
«Siamo pronti a partire con il primo
step, la formazione del personale, ci sono diversi passaggi e tante difficoltà, ma
nulla che potrà piegare la nostra determinazione. Direi che siamo davanti ad
una svolta, ma anche davanti ad una vittoria dell’Irpinia e del territorio. Ed è importante perché questo successo migliorerà, e di molto, la vita di centinaia di
persone».
Raffaele Nespoli
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