Codice cliente: 95585 10 Lunedì 14 Ottobre 2013 Corriere del Mezzogiorno NA PERCORSI DELLA MENTE In un documentario la storia di una disciplina troppo a lungo snobbata MA LA PSICOLOGIA NON È INTRATTENIMENTO unica rivoluzione che possiamo ancora fare è quella della psicologia, che ha al centro la cosa più importante per noi, la psiche, che ragiona, pensa, ama ed è alla base della nostra identità personale». Le parole dell’ex ministro e vicepresidente del Senato Adriano Ossicini aprono il documentario «La psicologia italiana raccontata a mia figlia», curato dal Consiglio dell’Ordine nazionale, con la regia di Lorenzo Cioffi e la sceneggiatura del presidente dell’Ordine campano, Raffaele Felaco. La pellicola è stata proiettata a Paestum, in chiusura del congresso organizzato dalla Società italiana di Psicoterapia. Ossicini, dopo un lungo travaglio, ha condotto in porto la sua rivoluzione professionale con l’approvazione nel 1989 della legge che ha istituito il ruolo dello psicologo e che porta il suo nome, dopo essere stato in prima linea negli anni della Resistenza contro il nazifascismo, difendendo Roma e ponendo le basi con Franco Rodano per quello che diventerà il Movimento dei Cattolici Comunisti. «Il ritardo con il quale si è arrivati a questa legge — spiega nel documentario — ha radici culturali, per la presenza in Italia di due grandi tradizioni storiche, una psichiatria di carattere organicistico e una filosofia di tipo idealistico, entrambe importanti, ma che «L’ Ritardi Il ritardo in questo settore ha radici culturali, per la presenza in Italia di una psichiatria di carattere organicistico e di una filosofia di tipo idealistico, che davano un giudizio negativo della psicologia davano un giudizio sostanzialmente negativo della psicologia scientifica. Gli aiuti in Parlamento sono stati pochi, ma grazie alla mia carica istituzionale ho avuto la possibilità di far ascoltare ai colleghi i contributi culturali di tecnici di altissimo valore, come Basaglia, Bollea o Musatti, che ne hanno fatto comprendere il valore ai parlamentari». Il documentario ripercorre le tappe fondamentali della storia della psicologia attraverso le voci dei padri della professione, intervistati da Felaco. Dalle loro parole emerge la stretta relazione con gli eventi storici del ’900 in Italia. «Durante il fascismo — racconta Marcello Cesa Bianchi, presidente emerito del Collegio dei docenti e dei ricercatori delle discipline psicologiche nella facoltà di Medicina dell'Università di Milano — la psicologia fu esautorata per ragioni filosofiche, politiche, accademiche (rimasero operative solo due cattedre), sia per iniziative nel campo sociale, educativo, lavorativo o giuridico. Erano gli anni in cui la disciplina era vista dai medici come il divertimento durante l’ora del tè e da lì si è partiti per costruire un’idea della psicologia non come presupposto per la soluzione di tutti i problemi, ma come apporto a rivedere le situazioni patologiche della persona e ad affrontare i problemi essenziali come quello della nascita e della morte». Pesava anche la presenza di «correnti di natura ideologica che ne hanno condi- zionato lo sviluppo — sottolinea Luciano Mecacci, docente di Psicologia generale all’Università di Firenze — la forte presenza del cattolicesimo, la filosofia idealista, il marxismo e il ruolo del partito comunista nell’organizzazione delle professioni nella seconda metà del ’900 e nella scrittura di alcune leggi, che avevano a monte una tradizione di condizionamenti politici e sociali». Dall’approvazione della legge del 1989 si arrivò all'apertura dei corsi di laurea e all’istituzione della prima facoltà di Psicologia alla Sapienza di Roma, con l'importante contributo di Mario Bertini, che è stato preside dal 1991 al 1994. «Dall’idea della psicoterapia come competenza esclusiva dei medici — ricorda — siamo arrivati al concetto di salute intesa non più co- me assenza di malattia, ma come stato di benessere psichico, biologico e sociale, come riconosciuto oggi anche dall’Oms». Tra gli esempi di applicazione pratica delle teorie psicologiche nel documentario si accenna alla ricerca collegata a molti istituti europei, realizzata in collaborazione con la Ceca e ancora attualissima. «Collaboravo con il professor Gustavo Iacono — racconta nel documentario Giulia Villone Betocchi, docente emerito di Psicologia alla Federico II di Napoli — che organizzò uno studio innovativo sul tema della protezione degli incidenti sul lavoro, con un lungo periodi di osservazione partecipata sugli operai dell’Ilva di Bagnoli». Dalla storia del Paese alle prospettive future della professione si arriva con la testimonianza di Renzo Da sinistra, Raffaele Felaco; Adriano Ossicini e Marcello Cesa Bianchi Canestrari, professore emerito dell’Alma Mater di Bologna e decano della facoltà medica. «L’entusiasmo per la psicologia sperimentale — dice nell’intervista — mi portò a leggere un opuscolo che scoprì a Bologna quando arrivarono dalla Sicilia le Forze Alleate e, con loro, un’agenzia culturale. In quel testo, fondamentale nel mio percorso, si parlava dell’immaginazione, della percezione, delle emozioni. Prendendo spunto da quella curiosità, invito le nuove generazioni a nutrire grande amore per la letteratura, la storia e per il sapere generale, perché quando un paziente ci propone dei quesiti con la sua sofferenza, la risposta va pescata dentro di noi, in un bagaglio molto vasto che non può essere solo tecnico». «Il documentario racconta un viaggio nella storia della psicologia — spiega Felaco — per curarne la memoria. Incontrare amici e personalità che hanno costruito la struttura della professione nel nostro Paese ci ha restituito quei fermenti culturali delle epoche e delle città sui quali si fonda la psicologia italiana. Un’operazione della memoria per rinvigorire le radici che alimentano lo sviluppo dell'albero della psicologia». R. S. © RIPRODUZIONE RISERVATA La novità A colloquio con Emilio Fina, tra i responsabili del servizio dedicato soprattutto agli adolescenti Dall’Irpinia progetto sull’autismo U n vento nuovo rinfresca l’Irpinia, è un vento di speranza per centinaia di famiglie che da anni aspettano una risposta concreta ai problemi dei propri cari con sindrome autistica. Tutto nasce dal progetto messo a punto da un uomo, Emilio Fina, primario di Psichiatra e direttore del dipartimento di Psichiatria della Asl di Avellino. E lui, uomo abituato ai fatti più che alle chiacchiere, ci tiene a precisare che tutto è partito dalla decisione del direttore generale dell’Asl, Sergio Florio, che ha ritenuto di conferirgli questo mandato. Dottor Fina, quali sono i punti cardine del progetto? «La struttura principale è quella del servizio di neuropsichiatria dell’adolescenza, una delle strutture complesse che afferiscono al dipartimento di Psichiatria del primario Camillo Vittozzi». È al pubblico che spetta la diagnosi? «Non solo, anche la pianificazione del progetto terapeutico». L’idea che esista un progetto terapeutico è molto rassicurante. «Devo dire di sì. Per le famiglie di persone con autismo la possibilità di individuare un percorso è fondamentale, e l’esistenza di un progetto terapeutico è importante anche per la semplice idea di non essere lasciati soli nel corso degli anni». Come si articola questo percorso? «Il progetto è composto da diverse fasi. Il primo passo è nell’età prescolare, con assistenza a domicilio attraverso le tecniche dell’Analisi applicata del comportamento (Aba) , dunque attraverso la formazione dei familiari». Molti problemi nascono però con l’approccio alla scuola, no? «Sì, e proprio per questo per la fase di scolarizzazione abbiamo predisposto un Il tablet può essere uno strumento utile nella cura dell’autismo infantile protocollo di intesa con il Provveditorato che è parte integrata della rete. In altri termini è un co- protagonista della rete per consentire che gli operatori che saranno formati possano essere in grado di offrire una continuità anche in età scolare». E dunque si inizia ad vedere l’elemento della continuità. «Come dicevo la continuità assistenziale è un punto imprescindibile del nostro progetto». Lei ha parlato di «rete», può dirci qualcosa in più? «L’aspetto residenziale e semiresidenziale dell’assistenza non poteva non tenere conto delle realtà che hanno cercato in questi anni di occuparsi del problema. Ecco perché tutte queste realtà, che spesso sono associative, sono state inserite nella rete. Per essere più chiari le strutture che potranno chiedere di accedervi sono quella di Ariano Irpino, gestita da un ordine religioso, l’Aias di Cicciano e il Centro di Valle con l’Aipa». Molto interessante è anche quello che è stato definito progetto «dopo di noi», in cosa consiste? «Si tratta di un progetto che fa capo ad associazioni familiari che si sono rese disponibili ad investire in soluzioni abitative autonome, per gli anni a venire. L’idea è quella di cercare una risposta alla domanda che si pongono i genitori di questi ragazzi: cosa sarà di nostro figlio quando noi non ci saremo più?». Si punta dunque all’autonomia dell’individuo. «L’abilitazione, che è cosa diversa dalla ri-abilitazione, è la filosofia portante della mission offertami con questo mandato dipartimentale. E ciò che mi prefig- go in ambito psichiatrico, lo sarà ancor più con la neuropsichiatra Infantile e dell’Adolescenza». Dunque, siamo davanti ad un punto di svolta? «Direi proprio di sì, abbiamo messo in piedi un progetto chiaro con chiari punti di riferimento». Che tempi serviranno? «Siamo pronti a partire con il primo step, la formazione del personale, ci sono diversi passaggi e tante difficoltà, ma nulla che potrà piegare la nostra determinazione. Direi che siamo davanti ad una svolta, ma anche davanti ad una vittoria dell’Irpinia e del territorio. Ed è importante perché questo successo migliorerà, e di molto, la vita di centinaia di persone». Raffaele Nespoli © RIPRODUZIONE RISERVATA