Introduzione 1. E’ con un certo timore e tremore che ho accettato di predicare questo corso di Esercizi Spirituali, perché “nemo propheta in patria”. Conto molto sulla comunione di fede tra di noi, sulla vostra comprensione e specialmente sullo SS che è il maestro di ognuno di noi. E’ lui con voi che fa gli EESS. E poi, predicare un corso di Esercizi Spirituali non è cosa facile. Non è sufficiente dettare una meditazione, bisogna aiutare a riflettere e con una riflessione che tocchi la vita, il ministero, la comunione con il Signore che ci ha chiamato alla sua sequela e che proprio negli Esercizi Spirituali richiede suggerimenti per essere approfondita e rilanciata su nuove strade, quelle che la vita e il ministero ci indicano e ci fanno percorrere. Se il paragone non è troppo alto, direi che è quello che il Risorto ha fatto sulla strada di Emmaus con i due discepoli fino a convertire il loro cuore dubbioso in un cuore dove ardeva il fuoco della Pentecoste (Lc 24). 2. Mi è stato chiesto di predicare su CDF, Fratel Carlo di Gesù. Ho cercato di avere come traccia di fondo non solo la vita e la traiettoria di Fratel Carlo, ma anche i “nodi portanti” che ci potevano aiutare nel vivere oggi la spiritualità di Nazaret: Vangelo, Eucaristia, il mistero della Visitazione. Non sono forse i cardini della nostra vita sacerdotale? L’anno sacerdotale, indetto da Papa Benedetto XVI, ce lo ha ripetuto in molti modi: se vogliamo essere preti “contenti”, se vogliamo essere pastori “efficaci” dobbiamo essere uomini/preti evangelici, eucaristici e colmi di Spirito Santo, poiché “Nazaret fa ritrovare, armonizzati, nascondimento e serenità, quotidianità e gioia, silenzio e fecondità”. Nella lettera che i responsabili della Fraternità Sacerdotale IesusCaritas hanno scritto alla fine dell’incontro di Malta nel 2009 afferma : “Noi riaffermiamo la convinzione che il messaggio spirituale di Fratel Carlo ha una attualità esplosiva proprio per noi preti di oggi, in questo tempo di crisi. Nell’incertezza del nostro futuro, noi ci uniamo a tutti quei poveri dei nostri paesi che non sanno quale sarà il loro futuro. Condividiamo la loro precarietà. E’ la grazia che Dio ci fa. Come suggeriva Cristian de Chergé, priore dei monaci di Thibirine, poco prima di morire: “Noi dobbiamo essere in mezzo ai nostri fratelli e sorelle d’Europa testimoni dell’Emmanuele, cioè del “Dio con noi”. La presenza di ‘Dio in mezzo agli uomini’ deve essere assunta da noi nella preghiera, nel silenzio e nell’amicizia”. Devono poi servire anche per la nostra pastorale. Per questo preparando questi nostri EESS ho letto il cammino pastorale che il Vescovo ha indicato alla Diocesi da quando ha fatto il suo ingresso, traendo alcuni spunti perché possiamo incarnare la nostra riflessione e la nostra preghiera, il nostro essere pastori a servizio del gregge che Dio ci ha affidato tramite il Vescovo. Sono solo alcuni spunti perché io ho ‘letto’ il cammino pastorale, voi lo avete vissuto e lo vivete e quindi sapete concretizzarlo meglio e con più realismo ed efficacia, perché come scriveva il Vescovo : “Ora è tempo di passare dalle buone intenzioni all’azione, per dare un volto nuovo alle nostre comunità e per rispondere ai nuovi scenari mediante un’evangelizzazione ‘nuova’, soprattutto nelle sue forme” (Seguire Gesù…, 2011-2012, 5). 3. L’Emmanuele, il ‘Dio con noi’, che abbiamo accolto in questo Natale, è venuto tra di noi per essere il Buon Pastore (Gv 10), colui che compie la promessa del Padre (Ez 34) di pascolare il suo gregge. Di Lui e del suo stile pastorale noi dobbiamo essere immagine. Oggi la gente incontra il Buon Pastore attraverso di noi, della nostra parola, della nostra carità, e come Lui, ci è richiesto di dare la nostra vita, attraverso le mie doti, i miei talenti, la mia umanità, quindi riscoprire la mia umanità, avere parole umane per tutti, essere ‘ponti umani’ con tutti e di tutti con Dio : “Farsi tutto a tutti per donare tutti a Gesù, avendo per tutti bontà e affetto fraterni, prestando tutti i servizi possibili, cercando con loro un affettuoso contatto, essendo fratelli amabili con tutti, per condurre a poco a poco le anime a Gesù, praticando la mitezza di Gesù”. Questo è possibile solo se si è capaci di “vedere in ogni essere umano un fratello. ‘Voi siete tutti fratelli, voi avete un solo Padre che sta nei cieli’ (cfr. Mt 23, 8-9). Vedere in ogni essere umano un figlio di Dio, un’anima riscattata dal sangue di Gesù, un’anima amata da Gesù, un’anima che dobbiamo amare come noi stessi e per la cui salvezza dobbiamo lavorare”. E poi condividere anche il soprannaturale, il divino che sta in noi, le grazie che il Signore ci dà, senza rispetto umano perché siamo tutti ‘mendicanti’ di Lui ma mendicanti che camminano insieme e si sostengono gli uni gli altri e in questo pellegrinaggio comune l’importante è la gratuità, non cercare il proprio tornaconto… C’è quindi per noi l’esigenza di un continuo ritorno alla fonte, (e gli EESS ne sono un’occasione) cioè a Gesù, alla sua Parola, al suo Vangelo (> vangeli viventi!), ai suoi sacramenti, a riscoprire sempre di nuovo in quale modo vivere, oggi, la nostra sequela, purificando il nostro cuore per lasciare spazio allo SS in noi. 4. L’Emmanuele, il ‘Dio con noi’, il Buon Pastore che vive con e per le sue pecore, che ha voluto farsi prossimo, vivere con noi nella vita ordinaria e semplice di Nazaret, ci spinge a ricercare uno stile pastorale più semplice, più vicino alla vita della gente, a condividere la loro vita, mettendoci in ascolto, accompagnandola nei diversi avvenimenti della vita, con dolcezza, umiltà e con uno sguardo di simpatia, sapendo che lo Spirito Santo ci precede nel cuore degli uomini e delle donne che ci circondano e vivere con quello stesso stupore che ebbe Elisabetta nell’accogliere Maria nel mistero della Visitazione. La spiritualità di Nazaret di Fr. Carlo ci aiuta a vivere e donarci nel ministero quotidiano, nel rapporto con la gente, con i confratelli e con tutti coloro che il Signore mette sulla sua strada. In effetti, mi sembra che oggi abbiamo da parte del Magistero un’abbondanza di indicazioni sui grandi temi della vita cristiana ed ecclesiale, ma ci manca il “pane quotidiano”, il nutrimento per la vita ordinaria, per la “sequela feriale”. E’ il vuoto che Fratel Carlo, con la sua vita e testimonianza, con il suo essersi radicato nella vita di Nazaret, ha saputo recuperare e rimettere in circolazione a beneficio di tutti i cristiani. 5. Alcune condizioni per vivere bene questi EESS : a. prima di tutto non avere fretta, mettersi calmi, in pace, davanti a Dio per ascoltare lo SS, che può parlarci attraverso la brezza dolce e serena della sua presenza, come con Elia, ma anche attraverso la tempesta del lago agitato come con Pietro b. per questo è necessario il silenzio per sé e per gli altri c. dare spazio alla preghiera, all’incontro con Dio d. ascolto della parola di Dio. Vi raccomando di scegliere e di leggere un vangelo. Magari lo conosciamo a memoria, ma poco importa l’importante è trovare in quel Vangelo il Signore che parla a me oggi, adesso… 6. Termino questa prima parte ancora con le parole del vescovo: “La nuova evangelizzazione è soprattutto un compito e una sfida spirituale. Essa comincia da noi stessi, con un nuovo desiderio di santità”. E a mio parere, Fr Carlo è stato proprio un segno che il Signore ha messo sulla strada della Chiesa per indicargli, ancora una volta, che l’importante per l’apostolo, per il pastore, è la santità. “La santità è infatti ‘la sorgente segreta e la misura infallibile della attività apostolica della Chiesa e del suo slancio missionario”. Charles de Foucauld Il piccolo fratello Carlo di Gesù Breve biografia Nato il 15 settembre 1858 a Strasburgo (Francia) in una famiglia molto cristiana. (E’ battezzato due giorni dopo la nascita; il 28 aprile 1872, riceve la prima comunione e la Cresima). Perde entrambi i genitori ad appena 6 anni. Carlo e sua sorella Maria sono affidati al nonno materno. A 12 anni, dopo l’annessione dell’Alsazia da parte della Germania, la famiglia andrà ad abitare a Nancy. Intelligentissimo, dotato di uno spirito curioso, ha molto presto la passione della lettura. Si lascia vincere dallo scetticismo religioso e dal positivismo che segnano la sua epoca. Presto, secondo le sue stesse parole, perde la fede e s’immerge in una vita mondana gaudente e di disordine che però lo lascia insoddisfatto. Nel 1876, Carlo entra a Saint-Cyr, per due anni. Ufficiale a 20 anni, è inviato in Algeria. Tre anni più tardi non trovando ciò che cerca, dà le dimissioni per effettuare, a rischio della propria vita, un viaggio di esplorazione in Marocco, in quel tempo chiuso agli europei; esplorazione scientifica, che descriverà nel libro “Reconnaissance au Maroc, 1883-1884” e gli otterrà la gloria riservata agli esploratori del XIX° secolo. La scoperta della fede musulmana, la ricerca interiore della verità, la bontà e l’amicizia discreta della cugina, l’aiuto dell’abbé Huvelin gli faranno riscoprire la fede cristiana. Alla fine di ottobre 1886 si recherà dall’abbé Huvelin nella Chiesa di Sant’Agostino a Parigi: si confessa e riceve la comunione. Questa conversione, senza dubbio latente da qualche tempo, diventa totale e definitiva. Completamente rinnovato da questa conversione, nutrito dall’Eucaristia e dalla Santa Scrittura, Charles de Foucauld comprese allora che “non poteva fare altrimenti che vivere per Dio” al quale vuole consacrare tutta la sua vita e così “esalarsi in pura perdita di sé davanti a Dio”. Durante tre anni, Charles de Foucauld, aiutato dall’abbé Huvelin, cercherà come realizzare concretamente la sua vocazione di consacrazione totale a Dio. Lui che aveva conosciuto la ricchezza e la vita agiata e che era stato posseduto da una grande volontà di potenza, vuole imitare Gesù-Povero che ha preso “l’ultimo posto”. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa (1888-1889), dove, “camminando nelle strade di Nazaret su cui si posarono i piedi di Gesù, povero artigiano”1, scopre il mistero di Nazaret, che sarà d’ora in poi al cuore della sua spiritualità, entra nella Trappa di Nostra Signora delle Nevi (Ardèche-Francia) e dopo qualche mese sarà inviato in Siria, nella Trappa di Nostra Signora del Sacro Cuore, una Trappa povera, vicino ad Akbès. Vi dimorerà per 7 anni lasciandosi formare alla scuola monastica e cercando l’imitazione la più perfetta di Gesù vivente a Nazaret. Ma non trovandovi la radicalità che desiderava, anche se “tutti lo veneravano come un santo”, chiede di lasciare la Trappa. Nel gennaio 1897, il Padre Abate Generale lo scioglie dai suoi impegni trappisti e lo lascia libero di seguire la sua vocazione personale. Fratel Carlo parte per la Terra Santa e andrà a vivere a Nazaret, come domestico delle Clarisse (1897-1900). Nel servizio, nel lavoro umilissimo, nella meditazione del Vangelo ai piedi del Tabernacolo cercherà di vivere “l’esistenza umile e oscura del divino operaio di Nazaret”, come piccolo fratello di Gesù nella santa casa di Nazaret tra Maria e Giuseppe. Meditando il mistero della Visitazione, lui che aveva ricevuto “la vocazione alla vita nascosta e silenziosa e non quella dell’uomo di parole” scopre che anche lui può partecipare all’opera della salvezza imitando “la Santa Vergine nel mistero della Visitazione portando come lei, in silenzio, Gesù e la pratica delle virtù evangeliche (…) tra i popoli infedeli, per santificare questi sfortunati figli di Dio attraverso la presenza della santa Eucaristia e l’esempio delle virtù cristiane”2. Inoltre, confortato dalla certezza che “niente glorifica tanto Dio quaggiù che la presenza e l’offerta dell’Eucaristia” riceverà l’ordinazione sacerdotale il 9 giugno 1901 a Viviers (Francia) dopo aver trascorso un anno di preparazione nel monastero di Nostra Signora delle Nevi che lo aveva accolto all’inizio della sua vita consacrata. “I miei ritiri di diaconato e di sacerdozio mi hanno mostrato che questa vita di Nazaret, che mi sembrava essere la mia vocazione, bisognava viverla non in Terra Santa, tanto amata, ma tra le anime le più ammalate, le pecore le più abbandonate” Così il suo sguardo si rivolge al Marocco poiché “nessun popolo mi sembrava più abbandonata di questi”3. Lettre à Mme de Bondy du 24.6.1896. CDF, Voyageur dans la nuit, 109. 3 Lettre à Mgr. Caron du 8 avril 1905. 1 2 Nel 1901 Charles de Foucauld parte dunque alla frontiere del Marocco, in Algeria, “fidei donum’ ante litteram e si metterà al servizio del Prefetto Apostolico del Sahara, Mons. Guérin, vivendo nell’oasi di Beni-Abbès (1901-1904). Là cercherà di portare al Cristo tutti gli uomini che incontra “non con le parole, ma con la presenza del SS Sacramento, l’offerta del divin sacrificio, la preghiera, la penitenza, la pratica delle virtù evangeliche, la carità, una carità fraterna e universale, condividendo fino all’ultimo boccone di pane con ogni povero, ogni ospite, ogni sconosciuto che si presenti e ricevendo ogni uomo come un fratello benamato”4. Costruisce un eremo, e si dà un regolamento dettagliato, come un monaco. Ma il suo desiderio d’accogliere tutti quelli che bussano alla sua porta trasforma presto l’eremo in un alveare dal mattino alla sera. Scriverà presto alla cugina: “Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, giudei, a guardarmi come il loro fratello, il fratello universale. Iniziano a chiamare la casa la ‘fraternità’ e questo mi piace molto”5. A causa della chiusura delle frontiere con il Marocco, e mentre riceve un invito per l’Hoggar – nessun prete poteva avere il permesso di risiedervi, a causa della politica anticlericale del governo francese - si orienterà verso i Tuaregs. Per questo, nel 1905, Fratel Carlo andrà ad abitare nel cuore del Sahara, a Tamanrasset. Povero tra i poveri per fedeltà alla sua vocazione di imitare la vita nascosta di Gesù a Nazaret che si era fatto piccolo per dare un volto umano a Dio, Fratel Carlo di Gesù si fa piccolo tra di loro per rivelare il volto di un Dio che è Amore: “Amarci gli uni gli altri, come Gesù ci ha amati, è fare della salvezza di tutte le anime, l’opera della nostra vita, donando, in caso di necessità, il nostro sangue per lui, come l’ha fatto Gesù”6. Un amore che lo spinge a vivere, durante molti anni, nell’amicizia e nella bontà con loro, imparando la loro lingua e i loro usi e costumi per dare buoni strumenti ai futuri operai evangelici, fino a dare la sua vita il 1° dicembre 1916, assassinato da razziatori, in una spoliazione estrema. Realizzò così, perfettamente, la vocazione ricevuta da Dio: “Silenziosamente, segretamente come Gesù a Nazaret, oscuramente, come Lui, passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte […] poveramente, laboriosamente, […] disarmato e muto davanti all’ingiustizia come Lui, lasciandomi come l’Agnello divino tosare e immolare senza fare resistenza ne parlare, imitando in tutto Gesù a Nazaret e Gesù sulla Croce7. Così si compiva uno dei desideri più tenaci: il desiderio di imitare Gesù nella sua morte dolorosa e violenta, dargli il segno del più grande amore e completare così l’unione, la fusione di colui che ama in Colui che è amato. Charles de Foucauld, il piccolo fratello Carlo di Gesù, non è un fondatore nel senso stretto della parola, ma un iniziatore, un fratello maggiore che ha aperto la via a tanti 4 5 Lettre à Castries du 23 juin 1901. Lettre à Mme de Bondy du 7 janvier 1902. 6 7 Carnet, 103-104. altri che vogliono camminare al suo seguito, al seguito di Gesù di Nazaret. Straordinaria fecondità di una vita caduta in terra come il grano che muore – irradiazione spirituale che si estende al di là delle frontiere della Chiesa visibile… Per la Riflessione 1. Per una prima riflessione/preghiera chiediamoci se la santità è anche per noi la “meta alta” del nostro vivere da cristiani e di pastori. Non una santità fatta di eventi straordinari o penitenze esacerbate, ma quella santità che è fatta di impegno per vivere il nostro battesimo, sorgente di vita nuova, e nutrita dalla ‘carità pastorale’ che ci è propria. 2. Nella lettera pastorale “Il battesimo, sorgente di vita nuova” il nostro vescovo ha tutto un capitolo su “la gioiosa testimonianza dei santi, segni tangibili della vita nuova” dove scrive che “Attraverso il racconto e la testimonianza, i santi ci trasmettono dal vivo la loro esperienza di Gesù Cristo, dal quale sono stati totalmente attratti e del quale sono diventati un riflesso… […] Dentro il loro tempo, secondo i bisogni del loro ambiente, essi hanno saputo far fruttificare il dono del proprio battesimo perché pienamente immersi nella logica della Pasqua del Signore. La loro comunione con Cristo ha generato, per opera dello SS, una progressiva identificazione, fino a poter esclamare con San Paolo: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me” (Gal 2,20)”. Questa è la nostra meta alta e questo chiediamo al Signore, ne abbiamo bisogno noi e ne ha bisogno la nostra amata Chiesa di Crema. 1 ORIGINE NAZARET “Appena ho creduto che c'era un Dio, ho capito che non potevo fare altro che vivere per lui” 1. Nazaret nella spiritualità del beato fratel Carlo di Gesù. Nazaret non appartiene alle pagine più note del NT; è menzionata poco e indirettamente, non vi passano le grandi vie di comunicazione, ma è una “insignificante borgata della Galilea, non nominata né nell’AT né da Giuseppe Flavio né dal Talmud”1. E’ un paese che non richiama la folla, non è teatro dei grandi avvenimenti del tempo, né umani né divini; resta periferico rispetto alla grande storia. Suggerisce la quotidianità di una vita fatta di lavoro, di relazioni familiari e di silenzio. Ne dà alcune notizie Lc 2, 39.52: luogo della vita filiale di Gesù in obbedienza al piano salvifico del Padre, in piena sottomissione ai suoi genitori. Anche Mt 2, 23: designa Gesù come il Nazareno (cf. Is 42,6; 49,6) che rimanda alla figura del servo, di colui che è il ‘nascosto di Dio’, il ‘riservato da Dio e per Dio’, cioè consacrato per Dio. Inoltre Nazaret è da mettere in relazione anche con il rifiuto: Gesù viene ‘scomunicato’ dai suoi compaesani, cacciato ufficialmente, perché ‘uno di noi’, così poco straordinario, pretende di essere il Messia (Mt 13, 53-58; Mc 6, 1-6) e non fa i miracoli che ha fatto a Cafarnao. Giovanni nota che è proprio la gente della sua famiglia e del suo paese a rifiutare Gesù perché è un uomo normale, come tutti gli altri, fa parte della realtà quotidiana; del resto, anche i sapienti di Israele si chiedono cosa possa uscire di buono da Nazaret (Gv 1, 46; 6, 41-42; 7, 40-52). Questo umile e dimenticato villaggio della Galilea fu senz’altro “la patria spirituale”2 di Fratel Carlo. Ma è anche è un luogo, un simbolo che affascina ancora oggi la chiesa. Benedetto XVI, quando era ancora professore, ha scritto quel testo che ha fatto il giro di tutti i nostri computer, dove indicava Fratel Carlo come colui che ha rinnovato il senso di Nazaret per la Chiesa e che “la grande Chiesa non può ne crescere ne svilupparsi se la si lascia ignorare che le sue radici si trovano nascoste nell’atmosfera di Nazaret. […] Nazaret è un messaggio permanente per la Chiesa. La nuova alleanza non inizia al tempio, né sulla Montagna santa, ma nella piccola dimora della Vergine, nella casa di un operaio, nei luoghi dimenticati della “Galilea delle genti”, dai quali niente di buono poteva uscire. E’ solamente a partire da lì che la Chiesa potrà partire di nuovo e guarire. Non potrà mai dare la vera risposta alla rivolta del nostro secolo 1 2 Léon-Dufour, X., “Nazara, Nazareth” in Dizionario del NT, Queriniana, Brescia 1978, 376. SICARI, A.M., Il settimo libro dei ritratti di santi, Jaca Book, Milano 2002, 138. 2 contro la potenza della ricchezza, se, nel suo seno stesso, Nazaret non è una realtà vissuta” (Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo). 2. Ciò che dà importanza a Nazaret è la persona del Verbo fatto carne (Gv 1) Al cuore della conversione di Charles de Foucauld c’è la scoperta della persona del Verbo incarnato. Durante la sua esplorazione del Marocco fu colpito dalla fede islamica nel Dio Trascendente ed Infinito, Onnipotente e Grande, a cui si deve sottomissione. Al momento della conversione egli scoprì che l’Onnipotente si è fatto debole a Betlemme, a Nazaret e soprattutto al Calvario; l’Infinito si è fatto piccolo per la nostra salvezza; il Trascendente si è fatto carne per noi uomini, è diventato il più piccolo tra gli uomini, colui che si sacrifica liberamente sulla croce per la salvezza dell’umanità (Gv 1). Scoperta e conoscenza che crebbero poco a poco, fino a condurlo all’imitazione, all’amicizia, all’unione con il “fratello e Signore Gesù”, fino a diventare l’uomo acceso di amore per Gesù Cristo e a non manifestare altro interesse che per Lui solo, ad investire tutto se stesso per lui: “Appena ho creduto che c'era un Dio, ho capito che non potevo fare altro che vivere per lui”3. “Vivere per Lui” significa per Charles de Foucauld essere chiamato ad imitare Gesù nella vita di Nazaret: “Cosa piace maggiormente a Dio che io faccia? Ciò in cui è il più grande amore. Il più grande amore è nella più perfetta imitazione. La più perfetta imitazione, è imitare perfettamente Gesù in uno dei tre generi di vita di cui ci ha dato l’esempio: predicazione, deserto, Nazaret. Certamente io non sono stato chiamato alla predicazione, poiché l’anima mia non ne è capace, e nemmeno al deserto, poiché il mio corpo non può vivere senza mangiare: sono dunque chiamato alla vita di Nazaret (di cui la mia anima e il mio corpo sono capaci e per la quale mi sento attratto)”4. Qui dobbiamo dire una parola sull’imitazione in Fratel Carlo se vogliamo capire la sua spiritualità. Per lui l’imitazione è la sua forma di sequela; seguire Gesù significa imitarlo. Ecco perché l’imitazione è la cosa più importante: “imitare Gesù e contemplarlo tutti gli istanti della nostra vita, è il nostro tutto: ‘ se questa vita non ci serve ad imitare Gesù, a cosa è buona? [...] Facciamo dunque ad ogni istante della nostra vita ciò che Gesù farebbe al nostro posto: imitiamo Gesù, è il nostro tutto... Questa sola regola contiene tutto, basta a tutto, contiene l’amore di Dio e del prossimo, l’obbedienza e la contemplazione, tutto il dovere, tutta la virtù, tutta la perfezione possibile”5. Imitazione che diventa così la “sola regola, ma la regola assoluta” del suo vivere e agire. Imitazione che è prima di tutto e principalmente un bisogno, una conseguenza, dell’amore che porta a Gesù Cristo: ““Seguimi”, cioè “imitami”! Cosa c’è di più tenero? cosa c’è di più dolce da ascoltare per colui che ama? Cosa c’è di più salutare, poiché l’imitazione è così intimamente unita all’amore, che dire “imitami”!, cioè “amami”! Cosa c’è di più amoroso che dire “imitami” per amarmi perfettamente! Imitiamo, imitiamo Gesù!... l’imitazione è figlia, sorella, madre dell’amore. ImiCastries, 96. Solitudine con Dio. Ritiri per le ordinazioni e nel Sahara (1900-1909), 47. 5 Imitation, 33. 3 4 3 tiamo Gesù perché l’amiamo, imitiamo Gesù per amarlo di più! Imitiamo Gesù perché egli ce lo comanda e obbedirgli è amare...”6. Dove Gesù è il modello unico: “Tutto ciò che penserai che io facevo, fallo; tutto ciò che non penserai che facevo, non farlo… è qui la regola… Non seguire né san Benedetto, né san Francesco, né san Labre, né sant’Alessio nei dettagli della loro vita, nelle loro pratiche personali né nelle loro regole: seguili nel loro spirito generale che era il mio, lo spirito di amore di Dio e del prossimo, di povertà, di penitenza, di preghiera, di lavoro, ma non cercare di seguirli in alcuna pratica particolare… Segui me, me solo…[…] Chiedimi ciò che facevo, “Scruta le scritture” […] e segui me, me, me solo…”7. 3. Le “tre vite” di Gesù Per meglio comprendere come sia nata e sviluppata in Frère Charles questa vocazione di imitare la vita di Gesù a Nazaret dobbiamo precorrere un po’ i tempi e raggiungere Frère Charles nella suo soggiorno nel paese che ha ospitato Gesù durante i suoi trent’anni di vita nascosta (1897-1900). In una delle adorazioni notturne che fece nei primi mesi del 1899, Charles de Foucauld, meditando sul Vangelo di San Matteo vi scopre che Gesù visse, e quindi propose a chi volesse seguirlo, tre generi di vita ben distinti: “Quali generi di vita vediamo in Gesù? Tre. La vita nascosta di Nazaret, i 40 giorni del deserto, la vita pubblica [...] In che cosa consistono? ... Il primo, è castità, povertà, ritiro, raccoglimento, vita vissuta con un piccolo numero di anime nell’oscurità e nel silenzio, vivendo del lavoro quotidiano, nella contemplazione, la pratica in ogni istante della volontà di Dio... La seconda, è castità, povertà, solitudine completa, vita vissuta da soli nel silenzio completo, la contemplazione, la pratica di tutte le virtù interiori e l’obbedienza in ogni istante alla volontà di Dio... La terza, è castità, povertà, vita d’operaio evangelico, consacrata al servizio del prossimo nell’evangelizzazione delle anime e nel sollievo dei cuori e del corpo, vita di parole e di opere esteriori compiute nella contemplazione, la pratica di tutte le virtù interiori e l’obbedienza in ogni istante alla volontà di Dio”8. Allora: ! la vita di Nazaret, caratterizzata dalla vita in famiglia, dal lavoro e dall’amicizia con i suoi concittadini; ! il deserto, con i suoi 40 giorni trascorsi in adorazione e poi in lotta contro il tentatore; ! la vita pubblica, con la predicazione nel tempio, nelle sinagoghe e per le strade, vita segnata dalla croce. Questi tre generi di vita di Gesù diventano agli occhi di Charles de Foucauld il modello per lo stato di vita di coloro che nella chiesa vogliono seguire Gesù: Imitation, 288. La vita nascosta, 105-106. 8 Saint Matthieu, 153-154. 6 7 4 ! la vita nascosta di Nazaret rappresenta la vita cenobitica ed è il modello di vita per i religiosi che vivono una vita nascosta, contemplativa, ma hanno pure contatti con le persone che li circondano; ! il deserto con il digiuno di quaranta giorni rappresenta la vita eremitica ed è il modello di vita per il monaco; si è separati dal resto degli uomini, ma li si ama offrendo se stessi per loro; ! i tre anni di vita pubblica rappresentano la vita apostolica ed sono il modello di vita per il sacerdote, nella quale si compiono tutte le opere necessarie all’estensione del Regno di Dio9. Inoltre questi tre stati non sono mai fine a se stessi, non sono chiusi in se stessi: poiché Gesù li ha vissuti tutti e tre, tutti e tre trovano in lui la loro perfezione. Coloro che lo vogliono imitare possono anch’essi vivere o in un singolo stato di vita o passare da uno stato di vita all’altro, o vivere i tre stati successivamente così da collaborare alla diffusione del Vangelo. L’importante è dimenticare se stessi per mettere al cuore della propria vita Gesù e come lui compiere la Volontà del Padre. Certamente una Volontà non sempre facile da scoprire. Alla sorella che gli scriveva che sua figlia Denise desiderava diventare religiosa, ma che ella esitava a darle il suo permesso nel dubbio che fosse la Volontà di Dio, Charles risponde: “Il buon Dio può volere che entri o che esca : ci mostra la sua Volontà nel momento nel quale vuole che la compiamo, non illumina di un solo raggio di luce tutta la nostra vita, ma ci dà, ora dopo ora, la luce necessaria per guidarci sul sentiero e fare in ogni momento la sua Volontà”10. Ed è questa volontà di Dio la cosa più importante da ricercare e praticare, attraverso la ragione e il Vangelo: “la ragione e il Vangelo bastano a mostraci: 1° che dobbiamo vivere nella maniera la più perfetta “Siate perfetti... amate Dio con tutto il vostro cuore... date a Dio quel che è di Dio”... 2° che la vita perfetta abbraccia necessariamente il celibato “per non essere divisi”; la povertà “se tu vuoi essere perfetto, vendi quello che hai”; l’obbedienza a Dio “colui che mi ama è colui che mi obbedisce”; l’imitazione di Nostro Signore “Seguitemi”, “Io sono la via... io sono il Figlio di Dio”11. Ma dopo averci mostrato in modo sicuro questo volontà di Dio, il Vangelo e la ragione non ci insegnano quali delle tre vite di Nostro Signore, dobbiamo vivere, poiché tutte e tre, per il fatto stesso che Gesù le ha vissute, sono divinamente perfette. “Dobbiamo allora fare come Gesù, far tacere i nostri ragionamenti, non interrogare noi stessi, ma prestare l’orecchio alla voce dello Spirito, esaminare dove Dio ci spinge e obbedire al suo impulso”12. Per Charles de Foucauld ciò che è essenziale nella vita spirituale non è questo o quell’altro stato di vita, ma la disponibilità a compiere sempre e in tutto la Volontà di Dio, ciò che Gesù vuole da noi. Questa disponibilità dell’anima, aperta al volere divino, riPetit frère, 95-96. Lettre inédite du 26 avril 1914. 11 Saint Matthieu, 193. 12 Saint Matthieu, 194. 9 10 5 mane nella vita del discepolo “l’unico necessario, il ‘pane quotidiano”, la condizione necessaria per imitare e seguire: “Vita nascosta, vita attiva, vita di Nazaret o vita pubblica sono ugualmente sante e perfette, poiché il divino Modello le ha vissute entrambe. Quella che è più perfetta per noi, è quella che Egli vuole per noi... la sua volontà è il nostro ‘unico necessario’”13. La sua vita è una luminosa esegesi di questa attenzione e ricerca continua della Volontà di Dio. Come vedremo, nel desiderio di imitare Gesù Cristo e di compiere in tutto la sua Volontà passerà attraverso un discernimento lungo e faticoso. Gli sembrerà di poter realizzare la sua vocazione entrando alla Trappa. Ne uscirà per abbracciare la vita solitaria ed eremitica di Nazaret. Chiamato al sacerdozio si stabilirà prima a Benis-Abbès e poi a Tamanrasset dove eserciterà l’apostolato tra i militari francesi e fra i Tuareg, passando così in tutti i tre stati di vita che Gesù ha vissuto e ha lasciato ai suoi discepoli. Charles de Foucauld convertito è un uomo che si eleva verso un assoluto spirituale, una verità senza mezze misure, e per questo elimina tutto ciò che vi si oppone e rompe con tutta la vita anteriore. Si tratta di una vera rivoluzione praticata da un uomo che aveva conosciuto e vissuto una cultura del facile, legata alla sua condizione sociale. Si modella uno stile di vita al quale, sotto diverse forme e modi, rimarrà fedele per tutta la sua vita, nella ricerca alla trappa, a N., e negli ultimi 15 anni del Sahara. Egli non è né un eremita, né un vagabondo, ma un uomo che ha trovato nel deserto la chiave di una sintesi tra la preghiera e l’azione, sotto lo sguardo di Colui che aveva preso come Guida. Il 15 agosto 1910, Fratel Carlo ricevendo la notizia della morte di Huvelin, scrive a Louis Massignon: « Caro amico, caro fratello, nella vostra vita spirituale non scoraggiatevi mai. Noi siamo tutti miserabili e meravigliarci della nostra miseria è conoscerci male: odiamoci tranquillamente senza perdere mai la fiducia e la speranza. Le ultime parole che mi ha detto Huvelin sono: “fiducia e speranza”. Ve le dico anch’io. Facciamo del nostro meglio senza guardare la nostra debolezza, sicuri dell’aiuto di Dio. Come il Vangelo è semplice, la vita cristiana è semplice: conoscere la volontà di Dio e compierla di tutto cuore … »14. 4. NASCITA DELL’IMITAZIONE DI GESÙ A NAZARET Centro dinamico di tale imitazione è quindi l’amore appassionato per Gesù nel suo mistero di Nazaret. Ma come gli era nata questa nuova forma di imitazione del Cristo? E poi come l’avrebbe vissuta concretamente? Seguendo le indicazioni di JeanFrançois Six15 ci sembra che l'ideale di Nazaret sia nato da tre avvenimenti: C. Sah., 973. L’aventure de l’amour de Dieu, 82-83. 15 SIX, 68. 13 14 6 1) dalla direzione spirituale dell'Abbé Huvelin; 2) dalla visita all'Abbazia di Fontgombault; 3) dal pellegrinaggio in Terra Santa nel 1888-1889. 4.1. Dalla direzione spirituale dell'abbé Huvelin Charles de Foucauld fa risalire il suo desiderio di vivere la vita di Nazaret ad una frase dell’abbé Huvelin ascoltata in una predica che descriveva Gesù nel suo profondo avvilimento, umiliato e disprezzato: “Quelle parole di don Huvelin in una sua predica: “Voi avete preso l’ultimo posto in modo tale che nessuno ha potuto portarvelo via”, sono rimaste così profondamente scolpite nella mia anima”16. Per tutta la vita Charles si riferirà costantemente a queste parole che gli hanno fatto vedere Gesù come il povero, l'ultimo dei poveri. Ma non sarà la sola frase dell'Abbé Huvelin che si scolpirà profondamente in Charles de Foucauld. Egli realizzerà molto della sua spiritualità: “Senza alcun dubbio, non è uno solo ma sono molti i pensieri, amati e vissuti dal prete parigino, che furono incarnati, realizzati dall'eremita del Sahara, per esempio: la devozione eucaristica, la testimonianza evangelica, la vita di Nazaret, la devozione al S. Cuore, il sacerdozio, ecc…17. L’abbé Huvelin, a sua volta, ha le sue radici spirituali nella Scuola francese e ha lavorato sufficientemente il 17° secolo per essere profondamente sensibile ai toni cristocentrici di Berulle e di Bossuet e al culto nascente del S. Cuore18 Quella di Nazaret era un'idea cara all’Abbé Huvelin che con tutta probabilità l'aveva attinta dalla Scuola Francese e dallo studio di S. Francesco che era il santo da lui più amato. Ne parlava e scriveva a tutti coloro che si recavano da lui per la direzione spirituale. Egli sapeva che N. non era importante come villaggio, ma solamente perchè in esso aveva vissuto Gesù nel nascondimento della vita ordinaria. Per questo poteva scrivere a Charles de Foucauld, il 18 settembre 1905: “Nazaret si trova ovunque lavoriamo con Gesù nell'umiltà, nella povertà, nel silenzio”19. Il mistero di Nazaret con la vita umile, nascosta e povera, la vita di Nazaret, quindi: “… non è una scoperta originale di frère Charles. Gli è stata suggerita dall'Abbé Huvelin, ma durante la sua vita, Charles de Foucauld l'ha riempita con la sua esperienza personale e l'ha interpretata in una nuova maniera”20. 4.2. La visita all'Abbazia di Fontgombault Un secondo avvenimento che aiuterà Charles de Foucauld nella sua ricerca sul come vivere la vita di Nazaret, fu la visita all'Abbazia di Fontgombault, nella Francia cenCfr. Six, 69. Cfr. L. PORTIER, Un précurseur, 106-107. 18 ESCOUDIER, R., Conferenza al colloquio per il 150° anniversario della nascita di Charles de Foucauld, Strasburgo 20 settembre 2008. 19 Huvelin, 197. 20 G. GRESHAKE, Die bedentung, 281. 16 17 7 trale, non lontana dalla residenza estiva di La Barre, dove era ospite della cugina Mme de Bondy, durante il mese d'agosto 1888. Il 19 agosto ella lo invitò ad accompagnarla all'Abbazia, a una trentina di Km dalla loro proprietà, dove pochi monaci vivono del lavoro delle loro mani, coltivando la terra. Era la prima volta che frère Charles vedeva una Trappa: si era convertito da un anno e mezzo. Più che dal luogo povero e tutto in rovina, Charles de Foucauld fu tanto colpito dalla vista di un fratello con un vestito così sporco, così rappezzato che ne sarà sedotto. Intuì in quel momento, di fronte a quel fratello converso vestito così miseramente, di avere davanti a sé un'immagine viva di come poteva imitare la povertà di Gesù. Dieci anni dopo lo stesso Charles de Foucauld scriverà alla cugina l'importanza di quella visita e dell'incontro che ebbe all'abbazia di Fontgombault nella ricerca dell'imitazione di Gesù povero operaio di Nazaret21. Così, pur nella semplicità dell'avvenimento, l'incontro di Fontgombault diventa una tappa essenziale nel cammino di ricerca dell'ultimo posto. 4.3. Pellegrinaggio in Terra Santa nel 1888-1889 Il terzo avvenimento fu il pellegrinaggio in Terra Santa, tra la fine di novembre 1888 e i primi di febbraio 1889. E', dei tre avvenimenti, il più importante, quello da cui de Foucauld prende coscienza, con chiarezza, della sua vocazione. I motivi che spingono l'abbé Huvelin a proporre tale pellegrinaggio a Charles de Foucauld, non ci sono noti. Forse per prendere un po' di tempo di fronte all'entusiasmo del neo-convertito? Forse perché, memore dell'esplorazione marocchina, aveva capito l'importanza che aveva per Charles de Foucauld il vedere con i propri occhi il paese di Gesù? Sta di fatto che Charles de Foucauld s'imbarcherà alla fine novembre a Marsiglia, senza un grande entusiasmo, soltanto per obbedienza al suo direttore ma, secondo il suo stile, con un programma ben dettagliato. Giunge a Gerusalemme, imbiancata dalla neve e ne visita i luoghi santi. Per la solennità del Natale va a Betlemme e nei dintorni. All'inizio dell'anno nuovo, a cavallo, accompagnato da una guida, visita la Galilea. E' conquistato da Nazaret. Nazaret era veramente un piccolo villaggio sperduto, abbandonato, un paese “arrampicato a mezza costa tra le rocce”, dove Gesù visse per trent’anni una vita comune, ordinaria. Camminando per le strade, guarda le pietre che Gesù ha calpestato, alla fontana vede le donne e i bimbi rifare gli stessi gesti di Maria e Gesù. Ne rimase profondamente toccato. E lì scopre, tocca quasi con mano, fino a che punto Dio ci ha amato nel farsi uomo come noi. “L'aver trascorso tante ore a Nazaret, […] dove egli abitò per 30 anni, l'essermi visto in questo luogo dove risuonò così a lungo la sua voce, […] l’aver camminato per le strade che lui percorreva ogni giorno, artigiano povero… questo e tutto il resto, sono altrettante grazie incomparabili che è impossibile descrivere e, soprattutto, che lasciano una traccia incancellabile”22. 21 22 Bondy, 65. LEPETIT, C., Sempre imprevedibile, 46. 8 Grazia incomparabile che si trasformerà in vocazione ad imitare Gesù, nella povertà e nell’umiltà d'una vita semplice e nascosta, proprio come quella del fanciullo divino a Nazaret. “Ho sete di condurre infine la vita che cerco da sette anni, che ho intravisto, indovinato camminando nelle vie di Nazaret che furono calpestate dai piedi di Nostro Signore, povero artigiano, perduto nell'abiezione e nell'oscurità”23. Fratel Carlo rilegge tutta la vita di Gesù alla luce di Nazaret: ha scoperto l'amore di Dio nel mistero dell'incarnazione, ma ha scoperto anche come la gioia per la nascita del redentore, povero e indifeso, deve a Gerusalemme lasciare il posto al mistero della croce, l'elemento integrante della condizione esistenziale di Gesù sulla terra. Capisce che per salvare, bisogna morire; che il Calvario si inserisce nel mistero di umiltà di Nazaret. “Dopo aver trascorso il Natale del 1888 a Betlemme, e aver ascoltato la Messa di mezzanotte, e aver ricevuto la Santa Comunione nella grotta santa, in capo a due o tre giorni tornai a Gerusalemme: la dolcezza che avevo provato in quella grotta dove erano risuonate le voci di Gesù, di Maria e di Giuseppe, e dove io ero così vicino a loro, era indicibile…; ma, ahimè, dopo un'ora di cammino, il luogo del Santo Sepolcro, il Calvario, il Monte degli Ulivi si elevarono davanti a me. Bisognava, volenti o nolenti, cambiare pensieri, e trovarsi ai piedi della croce”24. Queste due ineffabili realtà fecero comprendere al giovane de Foucauld come imitare concretamente il Gesù di Nazaret. Con J-F. Six possiamo affermare: “Il pellegrinaggio in Terra Santa segna una svolta: dal gennaio 1889 Charles de Foucauld sa come imitare Gesù: nella povertà e nell'umiltà di una vita semplice, la vita di Nazaret. E comincia a praticarla. A poco a poco, con l'esperienza, egli scoprirà che questa vita è molto diversa e molto più ammirevole di quanto avesse immaginato nel 1889; a poco a poco, soprattutto, egli incontrerà vivendo, la Sua vita, Gesù stesso”25. Non si dirà mai abbastanza quanto fu importante questo pellegrinaggio per la vita di Charles de Foucauld. Qualche settimana dopo essere stato ordinato prete, egli ancora scriverà alla cugina, evocando gli anni passati: “Voi sapete il bene infinito, incomparabile che mi ha fatto il pellegrinaggio in Terra santa, dodici anni fa, sapete quanto ha influito sulla mia vita”26. La Terra Santa sarà per lui una rivelazione. Toglierà Gesù dalle nebbie del catechismo dell’infanzia, dal moralismo del suo tempo e dal giansenismo imperante per fargli scoprire il Gesù concreto del Vangelo, presenza viva da incontrare e seguire. D’ora in poi Charles de Foucauld leggerà il vangelo seguendo le tracce visibile del Verbo, incarnatosi in quell’umilissimo e sperduto villaggio di Galilea. 5. COME SI IMMAGINA LA VITA DI NAZARET Fin qui la scoperta del mistero di Nazaret. Ma proprio perché questa semplice intuizione si è rivelata in lui straordinariamente feconda ed ha dominato il suo cammino BAZIN, 131. Cette chère dernière place, 148. 25 Six, 73. 26 Bondy, 73-74. 23 24 9 spirituale, ci sembra importante cogliere come egli si immaginava questa vita di Gesù tra Maria e Giuseppe. Vedremo che tra l’inizio e la fine della sua vita c’è stata tutta una evoluzione che lo ha portato su strade sconosciute pur nella fedeltà “all’intuizione primaria” alla vocazione ricevuta da Dio. 5.1. Il focolare di Nazaret Quando Charles de Foucauld inizia a meditare sulla vita di Nazaret (Mt 1, 16); essa era per lui una specie di focolare molto intimo dove Giuseppe e Maria vivevano, colmi di stupore, una vita santa, separata dal mondo, inabissati e perduti nella contemplazione di Gesù e dove tutto è vissuto e fatto in vista di lui, dove i giorni scorrono come in un sogno. Più che la grandezza delle cose di ogni giorno, c’è la straordinarietà del quotidiano vissuto con e per il Signore: ogni giorno d’intimità con Gesù costituisce un invito a conoscerlo meglio, a scoprire più profondamente il significato della sua presenza ed il mistero d’amore della sua persona. Certo, Giuseppe e Maria “hanno comunque le loro occupazioni quotidiane”, il loro lavoro, ma vi consacrano solo il tempo necessario per procurarsi lo stretto indispensabile, poiché tutto è riservato all’orazione, alla contemplazione dinanzi alla presenza discreta ma costante del Redentore fatto uomo. Se è pur vero che l’importanza della Sacra Famiglia non dipende dalla sua notorietà o dalle grandi cose che fa, ma dal contatto con Gesù che cresce e, sforzandosi di penetrare il mistero del Figlio, e dal contemplare e adorare, bisogna tuttavia ammettere che siamo lontani dalla vita di una famiglia modesta, normale, ordinaria, del villaggio di Nazaret. Ci sembra piuttosto che, descrivendo la famiglia di Nazaret, Charles de Foucauld descriva la sua vita monastica e l’ideale della congregazione che vuole fondare. La casa di Nazaret allora è un piccolo monastero di silenzio, di relazioni vitali con Dio. Non è tanto la vita comune della maggioranza dei concittadini di Gesù, ma è piuttosto una vita di religiosi contemplativi che Charles de Foucauld immagina per la casa di Nazaret. Non esiterà a scrivere che la casa di Nazaret fu il primo nucleo di vita religiosa ‘ante litteram’: “O Maria, Giuseppe, i due primi religiosi cristiani, prima di Gesù stesso, prima di San Giovanni Battista, prima della Maddalena, voi che, prima dell’incarnazione, vivevate già, come un fratello e una sorella religioso e religiosa sotto lo stesso tetto, questa vita d’amore, di puro amore divino, dove per legare, rilegarsi (da dove il nome di religioso), perfettamente e unicamente a Dio, l’unico Beneamato, ci si separa da tutto ciò che non è Lui solo, per mezzo della verginità, la penitenza, la povertà, il silenzio, la solitudine, e dove, praticando tutte le virtù ch’Egli comanda, (poiché l’obbedienza a Dio è il primo segno che Lo si ama), ci si getta perdutamente, ci si annega nella contemplazione di questo Tutto delle nostre anime, immergendosi nell’adorazione delle sue bellezze”27. 5.2. Gesù nel focolare di Nazaret Gesù incarnandosi entra in questo mistero di intimità familiare tra sua madre e S. Giuseppe. A questa vita viene associato pienamente Gesù: 27 Saint Matthieu, 32. 10 “Scese, sprofondò, si umiliò... fu una vita di umiltà; [...] fu una vita di abiezione, scendesti fino all’ultimo tra gli ultimi posti, scendesti con loro, per vivervi della loro vita, della vita dei poveri operai che vivono del loro lavoro, la tua vita fu come la loro povertà e la loro fatica; erano oscuri, vivesti nell’ombra della loro oscurità; andasti a Nazaret piccola città sperduta, nascosta sulle montagne, da cui “niente usciva di buono” dicevano, era il ritiro, l’allontanamento dal mondo e dalle capitali, vivesti in questo ritiro”28. Dunque in questo “ritiro”, Gesù conduce una vita semplice e laboriosa, fatta dei gesti e dei lavori più abituali, comuni a tutti gli operai e artigiani del suo paese. Esteriormente era come tutti i figli, anche lui viveva obbediente, disponibile e sottomesso ai suoi genitori, senza distinguersi in niente dagli altri ragazzi. Interiormente era invece animato da un amore più grande per i suoi genitori, “così durante questi trent’anni fosti il figlio più tenero, il più premuroso, il più sottomesso, il più amabile, il più consolante, facendo tutto il piacere possibile ai tuoi genitori”29. Con loro, naturalmente, si volge verso il Padre, immergendosi nella contemplazione e nell’obbedienza: “Quando entrai nella vita, entrai in questa interiorità tutta divina, in cui le giornate scorrevano nella contemplazione continua, nel digiuno, nella preghiera e in un lavoro accompagnato da preghiere: delle anime che si erano fatte questa vita, che non respiravano che per Dio, delle quali tutta la conversazione era a questo punto nei cieli, che erano l'uno per l'altro fratelli e non sposi, avevano saputo farsi una vita bene a parte, ben solitaria, ben ritirata in questa piccola Nazaret”30. Meditando sul versetto “Scese con loro e andò a Nazaret, ed era loro sottomesso” (Lc 2, 51) Charles de Foucauld sottolinea come Gesù sia nato e cresciuto all’interno dell’umile famiglia di Nazaret, coltivando tutte virtù interiori che lo renderanno capace di amore e di piena adesione al divino disegno del Padre suo. Il Cristo, il Verbo incarnato, il Figlio di Dio si nasconde, si seppellisce nell’oscurità della vita quotidiana della sacra famiglia. Si nasconde non ritirandosi nel deserto, come Giovanni Battista, ma vivendo tra i suoi compaesani. E questa scelta diventa così pure la scelta di vivere nell’umiltà, nella povertà, nell’abiezione dell’ultimo posto, nella penitenza per obbedienza ai suoi genitori prima e in seguito, da adulto, per libera scelta, guadagnandosi la vita giorno dopo giorno, mediante il lavoro: “In quale misura lavoravi, mio Dio? Abbastanza per vivere, abbastanza per prendere su di me la maggior parte del carico della casa, ma meno, molto meno degli altri operai. [...] Gli operai, i commercianti lavoravano almeno da 10 a 12 ore al giorno, spesso di più... Eccettuato qualche caso del tutto straordinario, carità da fare, malattia di san Giuseppe, che so, cosa del tutto straordinaria, lavoravo 8 ore, in media 8, d’inverno un po’ meno, d’estate un po’ di più”31. Questa era la sua vita visibile. La parte invisibile di tale vita era la relazione con il Padre nella preghiera, nella contemplazione, nell’amore per il Padre e i suoi fratelli. Ma, dobbiamo sottolineare che questo aspetto fu comune a tutta la vita di Gesù, menLa dernière place, 51. La dernière place, 51-52. 30 La dernière place, 182-183. 31 La dernière place, 58-60. 28 29 11 tre quello che è caratteristico di Nazaret è che Gesù non fece nessun gesto rivelatore della sua missione redentrice. Il suo amore redentore, nella ‘vita nascosta’ di Nazaret, si è espresso unicamente nel silenzio della preghiera, della contemplazione del Padre: “La parte invisibile era la vita in Dio, la contemplazione di ogni istante: Dio vivevi in Dio; uomo non cessavi di godere in tutti i tuoi istanti della visione beatifica e di doni incomparabili... Lavorarvi, consolavi i tuoi genitori, conversavi teneramente e santamente con loro, pregavi con loro durante il giorno... ma come pregavi anche nella solitudine e nell’ombra della note, come la tua anima si effondeva in silenzio.... Sempre, sempre pregavi. [...] Come la tua vita era un’effusione continua in Dio, uno sguardo continuo dalla terra verso Dio: contemplazione continua di Dio, in tutti i tuoi istanti; preghiere vocali e mentali nel raccoglimento esteriore più volte al giorno, lunghe orazioni , lunga intimità, lunga contemplazione la notte”32. 6. Conclusione Concludendo possiamo dire che agli occhi di Fr. Carlo e dei suoi discepoli : 1. Nazaret è prima di tutto un luogo: il luogo geografico, un piccolo e sconosciuto villaggio di Galilea, che Dio ha scelto per diventare uomo, per radicarsi nell’umano. 2. Nazaret è un tempo: cioè i 30 anni necessari a Gesù per maturare, perché il seme porti frutto, perché l’eternità di Dio penetri nel tempo degli uomini. 3. Nazaret è uno stile di vita : della vita ordinaria, della vita comune di tutti gli uomini fatta di lavoro, di preghiera, di relazioni, di servizio, stando all’ultimo posto nell’umiltà e nella povertà. 4. Nazaret è una maniera di essere: essere nella logica dell’amore, del gridare il Vangelo sui tetti, tacendo, senza predicare ma amando. Nazaret è la priorità data all’amore vissuto, a ciò che si è piuttosto che a ciò che si dice. Possiamo affermare che il cammino percorso da Fr. Carlo nell’imitazione della vita di Gesù a Nazaret è stato un cammino di interiorizzazione progressiva. Non più “la condizione di vita di Nazaret, in quanto riproduzione letterale della condizione di Gesù durante la sua vita nascosta, ma Nazaret in quanto caratteristica della vita di Gesù: vita di povertà e di disponibilità a tutti, vita di ultimo posto, di inserzione nel vivo di tutto ciò che è umano, poveramente umano, la vita di Nazaret in quanto trasposizione mirabile, in azioni comuni e quotidiane, del grande atto della Croce”33. Nazaret non è più un luogo e non è più un’imitazione di Gesù Cristo a tutti i costi, è, invece, un lasciarsi invadere da Gesù; lasciarlo sempre più vivere in se stessi il suo mistero dell’Incarnazione, perché i più poveri, gli abbandonati, possano conoscerlo ed essere salvati. Era giunto a vivere in pienezza ciò che un giorno gli aveva scritto l’Abbé Huve32 33 La dernière place, 53-54. SIX, 310. 12 lin: “Nazaret è dove si lavora, dove si è sottomessi… è una dimora che si costruisce nel proprio cuore o piuttosto che si lascia costruire in sé dalle mani di Gesù Bambino dolce e umile di cuore!”34. 6.1. Al di là dell’immaginazione sulla vita di Nazaret che non ci tocca ormai più, quello che mi sembra importante è l’averci fatto scoprire l’importanza di questo periodo della vita di Gesù. Una vita di contemplazione, di preghiera, una vita fatta di umiltà e di totale abbandono in Dio, sapendo che essa fa già parte del mistero della redenzione. Facciamo nostra l’intuizione di Sequeri : “Nazaret non è il ‘prologo’ della vita pubblica, il semplice momento ‘preparatorio’ della missione, la forma di una ‘pre-evangelizzazione’ che realizza una condivisione generica ed una testimonianza anonima. Né, spiritualmente parlando, l’emblema dello ‘spirito d’infanzia’ già noto alla storia dell’imitazione cristiana: dove Nazaret vive ancora del riflesso di Betlemme. [...] Nell’immaginario spirituale di fr. Charles, Gesù di Nazaret è sin dall’inizio l’Uomo dell’incarnazione, il beneamato Signore e Fratello, Jesus Caritas. Nazaret è la vita di Gesù, non semplicemente la sua prefazione. E’ la missione redentrice in atto, non la sua mera condizione storica”35. 6.2. La vita nascosta di Nazaret influenzerà poi tutto il suo apostolato. Charles de Foucauld penetra sempre più profondamente nella dimensione divina e redentrice che una simile vita esprime e realizza. Infatti ci pare che da una parte Charles de Foucauld guardi a Nazaret con occhi nuovi e vi riscopra questa vita nel suo realismo e nella sua semplicità umana - cioè esistenza nascosta nel condividere la condizione comune degli uomini e della legge del lavoro per vivere - dall’altra parte però sottolinea come, sotto le apparenze di una vita tra gli altri, questa esistenza di Nazaret sia una vita kenotica perché vita di umiltà, d’abbassamento e d’abiezione, ma sia pure una vita contemplativa perché ‘vita nascosta con Cristo in Dio’ e infine sia una vita ascetica, perché è una vita di mortificazione e di penitenza. Forse ci ripetiamo, ma anche qui ci sembra evidente che Charles de Foucauld trasferisca alla vita di Gesù a Nazaret la sua vita, o il suo ideale di vita religiosa, trappista. 6.3 Quello che aveva sentito dall’abbé Huvelin: “Dio ha talmente preso l’ultimo posto che nessuno è mai riuscito a toglierlo” lo coniugherà durante tutta la sua vita dicendosi che se non poteva toglierglielo poteva almeno fargli compagnia come un piccolo fratello, chiedendo la grazia di “renderci il più possibile assomiglianti in tutta la nostra vita al nostro divino modello, col cercare di essere una sua fedelissima immagine, di vivere con lui e come lui, condividendo esattamente la sua vita, come un vero suo piccolo fratello”36 che, fiducioso, si lascia guidare dal fratello maggiore e vuole vivere le sue stesse virtù, per vivere con lui e come lui: “A Nazaret mi avete stabilito per abitarci; la vostra vita, povera, abietta, laboriosa, di preghiera, di silenzio, nascosta, sconosciuta, disprezzata dagli uomini, me l’avete meravigliosamente data perché Huvelin 45. P-A. SEQUERI, Ripartire da Nazaret?, 572. 36 Petit frère, 100. 34 35 13 la viva con voi in una conformità con la vostra che è una grazia ineffabile; […] Fate che in questa Nazaret viva realmente la vostra vita, alla vostra presenza, gioiendo come è giusto dei vostri baci e delle vostre benedizioni, amandovi con tutto il cuore, obbedendovi con tutta l’anima e con tutto lo spirito, imitandovi con tutte le mie forze, rendendomi fin dove è possibile la vostra fedele immagine, vivendo tra voi e i vostri santi genitori come il vostro perfetto piccolo fratello”37. In un secondo momento troverà nel vangelo e nell’eucaristia gli strumenti per ricreare ovunque il mistero della casa di Nazaret. Per la riflessione. 1. Centralità di Gesù. Charles de Foucauld è profondamente impressionato dal realismo dell’incarnazione del Figlio di Dio, dal mistero del Gesù storico che è venuto per amore ad abitare in mezzo a noi, discendendo per salvarci… Nella lettera alla Diocesi “Il battesimo sorgente di vita nuova” il Vescovo invita tutti i cristiani della Chiesa di Crema e quindi anche noi a: “contemplare, di nuovo e più intensamente, Cristo Signore, volto umano di Dio Padre, e scegliere più consapevolmente di lasciarsi guidare sui sentieri del suo Spirito” così facendo “possiamo sperimentare… che Cristo ricolma ogni desiderio umano e che Lui è in grado di bastare alla nostra sete di felicità”. Gesù è veramente il centro della mia vita di cristiano e di prete ? “Si tratta, infatti, di trasmettere un incontro, una relazione personale e questo avviene attraverso un incontro personale. L’ordinazione è il segno sacramentale che esprime e realizza una particolare conformità a Gesù attraverso la continuità con l’esperienza di coloro che prima di noi lo hanno incontrato, a partire dai primi discepoli” (L. Monari, C:\Users\asd\AppData\Local\Microsoft\Windows\Temporary Internet Files\Content.Outlook\index.htmLa vita e il ministero del Presbitero, 2006). 2. Centralità dell’imitazione. Gesù è il modello unico al quale CDF vuole conformarsi in tutto e per tutto facendo la volontà del Padre. Questa ricerca e questa conformità a Cristo diventano la molla del suo dinamismo spirituale. “Conoscere Dio non è solo un’idea o un pensiero, uno sforzo intellettuale, ma un incontro con una Persona: Gesù Cristo, crocifisso e risorto, […] essere immersi nel mistero pasquale, imparare a pensare come Lui, a valutare come Lui le persone e le cose, a seguirlo sulla via della croce, fino a “dare la vita” come ha fatto Lui” (Battesimo, sorgente delle vocazioni ecclesiali, 21). 37 Considérations, 427-428. 1 NAZARET: VANGELO Essere Vangeli Viventi Charles de Foucauld ha sostato a lungo sui vangeli, soprattutto durante i tre anni vissuti a Nazareth (1897-1900). In questo luogo ha approfondito molto questi testi. Aveva già cominciato ad esplorare l’esperienza di Gesù di Nazareth durante il suo primo viaggio a Nazareth, dopo la conversione, un viaggio durato qualche mese (da novembre 1888 a febbraio 1889) e fatto per obbedienza al padre spirituale, l’abbé Huvelin, prima di entrare in trappa. Pur ritenendo fondamentale il lungo periodo dei tre anni vissuti a Nazareth, dopo la trappa, vedremo che la parola evangelica, per CDF, resta decisiva anche in seguito, nel tempo del Sahara, rispettivamente al suo orientamento apostolico scaturito, appunto, dall’assidua frequentazione del testo evangelico e dalla vicenda di Gesù di Nazareth, assunta progressivamente nella sua vita. 1. Per ciò che concerne la Scrittura, fino al momento della conversione Charles de Foucauld ha condiviso la mentalità dell’ottocento, cioè essa era al di fuori della spiritualità e della vita quotidiana dei fedeli. Nonostante l’abbondante diffusione di letteratura devota, mancano quasi totalmente strumenti che aiutino i fedeli ad accostarsi alla Bibbia. Essa resta quasi sempre un’opera di biblioteca, in più volumi e dal costo elevato, in lingua latina e usufruibile soltanto dai sacerdoti. Inoltre si ritiene che non sia necessario metterla nelle mani dei fedeli, poiché non necessaria alla salvezza né sempre utile al fedele, anzi talvolta è nociva. Si preferisce far giungere la scrittura attraverso la liturgia e la catechesi, ma non dare in mano ai fedeli il testo. Il clima cambierà dopo la metà del secolo, ma prima che la lettura diventi comune tra i fedeli, bisognerà aspettare il Concilio Vaticano II. La prova di questa non comunanza con la Scrittura ne è che la cugina Mme de Bondy per la prima comunione, il 28 aprile 1872, gli regala “Elevations sur les mystères” di Bossuet. E Antonella Fraccaro ha ragione di sostenere che prima della conversione, il vangelo era un libro sconosciuto a Fratel Carlo. La sua conversione è dovuta più alla testimonianza cristiana che alla frequentazione delle scritture. 2. Un volta convertito, con l’aiuto del suo direttore spirituale, l’abbé Huvelin, il vangelo diventa il libro di referenza per conoscere Gesù. Non è stato subito un testo di referenza, ma lo è diventato poco a poco: all’inizio l’abbé Huvelin ha dovuto rifare il tessuto di fede e “vincere molti ostacoli”1; alla trappa si nutre della regola, della vita dei santi e specialmente di S. Teresa di Gesù, e tra queste molteplici letture inserisce anche i santi vangeli2, (nell’edizione de l’abbé Foulard, La vie de Jésus, compendio dei 4 vangeli). Quando inizierà gli studi in vista del sacerdozio scoprirà i padri, soprattutto S. Giovanni Crisostomo e 1 2 Castries, 97. Bouvier, Le Christ de CDF, 99. 2 poi i dottori della Chiesa, S. Giovanni della Croce e i teologi, ne ricopierà intere pagine riempiendo quaderni con la sua scrittura fine e chiara3. E’ a Nazaret, che su consiglio dell’abbè Huvelin medita e studia il Vangelo, soffermandosi a lungo su di essi. Ben presto, tra lui e il testo evangelico, si crea un rapporto così intenso, al punto da condurlo a leggere, rileggere e commentare tutti i testi evangelici e anche altre pagine bibliche (quasi tutti i salmi e qualche capitolo della Genesi). Molto tempo, dedicato a questa operazione, sarà trascorso, poi, dinanzi a Gesù eucaristia. Si tratta di un rapporto amorevole, istruttivo, di ricerca. Nella parola evangelica, de Foucauld sta in relazione con Gesù, sta piacevolmente a lungo con Lui presente in essa e nella presenza eucaristica, silenziosamente eloquente, che è di fronte a lui, seduto ai piedi di Gesù, lo legge e lo rilegge: “per meglio conoscerlo, amarlo e servirlo; povero domestico a Nazareth, per la sua infinita misericordia, farà queste letture il più spesso davanti al divin tabernacolo, alla fine del giorno, quando, terminato il lavoro, all'avvicinarsi del tramonto, non avrò altro da fare che riposare ai suoi piedi e adorarlo nel raccoglimento delle ore tranquille della sera. Voglio fare queste piccole letture ai tuoi piedi, o mio beneamato Signore Gesù, allo stesso modo in cui tu la sera, dopo il lavoro quotidiano, ti sedevi in questa stessa Nazareth, tra la santa Vergine e san Giuseppe, e prendendo in mano la Bibbia tutta piena di te, ne leggevi qualche pagina ai tuoi santi genitori, spiegando loro quello che, per il bene delle loro anime, volevi dire ad essi... Fa altrettanto, o Gesù, con il tuo piccolo servitore: eccomi ai tuoi piedi, a leggere davanti a te, con te, queste stesse pagine che i tuoi occhi hanno scorso, delle quali le tue labbra hanno pronunciato le parole, in questo stesso luogo, su queste stesse colline, sotto lo stesso cielo, davanti agli stessi orizzonti”4. La sua non è una lettura neutra, ma una lettura per imparare a conoscere Gesù esteriormente e soprattutto interiormente: “Scrutiamo le Scritture, leggiamole, meditiamole! Cerchiamoci Gesù, cerchiamoci ciò che Egli ha pensato, quello che è stato, per conformare tutta la nostra anima alla sua, la nostra vita alla sua”5, ma anche che “Gesù si degna ancora in questo libro d’aprire le sue labbra e parlarci come lo faceva con i suoi discepoli” 6. Egli ha così la possibilità - sia nell’Antico Testamento ma soprattutto nel Nuovo Testamento - di conoscerlo, desideroso di scorgerne i pensieri, i desideri, il comportamento, la preghiera, e conformarsi a Gesù anche nei dettagli7, a Lui, che è il “solo Maestro”. Alla fine del ritiro di Efraim in una ‘tavola di impegni’ riassumerà che egli deve impegnarsi a: “1° - Perfezionarmi nelle virtù interiori, soprattutto nell’annientamento. 2° - Praticare le virtù esteriori così perfettamente che lo permettano la regola e i superiori. Bouvier, Le Christ de CDF, 110-116. Qui peut résister à Dieu, 244-245. 5 Imitation, 158. 6 CDF, Lettre inédite du 5 mars 1901 à son beau-frère. 7 E’ straordinario come in questa lettura amorosa trovi che anche i più piccoli dettagli ci fanno conoscere sempre di più Gesù: “Le prix que nous attachons à ces détails est en raison directe de notre amour pour Jésus; tout ce qui se rapporte au bien-aimé a tant d'importance pour le cœur qui aime... Si nous aimons, attachons donc grand prix à tous ces détails, à tous ces noms, à toute cette généalogie, comme à tout ce que contiendront les Évangiles: tout y est détail sur Jésus, tout nous fait connaître Jésus, ou en ce qu’Il est, ou en ce qu’Il fait, ou en ce qu’Il dit, ou en ce qu’Il pense, ou en Ses parents, ou en Ses amis, ou en Ses frères, ces enfants de Dieu pour qui Il donne Son sang et qu’aime si chaudement Son Cœur...”. Saint Matthieu, 16. 3 4 3 3° - Desiderare, sperare, chiedere a N.S. di imitarlo perfettamente all’esterno come all’interno e di condividere interamente la sua povera e piccola vita. 4° - Essere esigente nella pratica delle virtù. 5° - Rimettermi senza pausa nelle mani di NS del Perpetuo soccorso perchè mi aiuti a glorificare il più possibile suo Figlio”. Poco prima aveva elencato le virtù interiori ed esteriori: “Interiori : Fede – Speranza- Carità – Castità – Povertà Obbedienza – Umiltà – Coraggio – Verità – annientamento. Esteriori : Povertà – Abiezione – Lavoro – Ritiro – Penitenza – Preghiera”8. In questa conoscenza-imitazione si trova pure la spiegazione del piccolo libro “Modèle Unique”, una serie di citazione dei 4 vangeli (circa 350 versetti), raccolti attorno a quelle che lui chiama le principali virtù evangeliche per conoscere Gesù, il “Modello Unico” e lasciarsi purificare e modellare da Lui: il vangelo ricrea nel suo cuore i sentimenti del suo benamato Signore e fratello, lo aiuta a discernere la volontà di Dio, gli dona la forza dello Spirito Santo necessaria per attualizzare nell’oggi la missione salvifica del Verbo, secondo lo stile di Nazaret. Questa scelta conferma ulteriormente l’inscindibile legame tra Gesù e la Parola evangelica. Il Modello Unico, infatti, sarà per lui come uno specchio, sul quale riflettersi per ritrovare un po’ alla volta i tratti del proprio volto in quelli del volto di Gesù. Questo opuscolo, frère Charles lo leggerà a lungo a Nazareth e lo riprenderà anche nel Sahara; inoltre deciderà di inserirlo come premessa nel testo delle regole per i Piccoli fratelli, le Piccole sorelle, i Fratelli e le Sorelle del Sacro Cuore di Gesù. La parola evangelica, dunque, come testo da leggere, rileggere, imparare, della quale impregnarsi, per imparare a vivere a imitazione di Gesù. Una parola che non è scontata perché ripetutamente sentita, ma sempre viva e sempre nuova, una parola ascoltata e riascoltata, finché si impregna in noi, fino a diventare il nostro nuovo linguaggio di vita. Si può dire che Charles de Foucauld nel Vangelo cerca Gesù e Gesù solo: è un uomo del vangelo, un uomo evangelico (sarebbe interessante fare un confronto con S. Francesco d’Assisi…). In esso vi sente vibrare la voce del Beneamato e vi può cogliere, secondo la celebre espressione di San Gregorio Magno, “il cuore di Dio nelle parole di Dio”9, e lasciarlo vivere in sé. Il Vangelo diventa lo strumento della relazione personale e dialogica con Gesù : “è il modo permanente della relazione personale. Il rapporto con le scritture è semplicemente vissuto e praticato come la forma stessa della relazione interlocutoria con il Signore. Egli così facendo dialoga con il Signore, il Signore gli parla e fr. Charles lo trascrive e gli scrive” (Sequeri). Il vangelo diventa così preghiera, “colloquio con Dio”, cioè profonda comunione di vita con il Signore; rapporto personale ed intimo con Lui guidato dalla fede nella presenza viva, operante ed efficace del Verbo fatto carne: “Leggiamo dunque sempre il Vangelo con amore, come seduti ai piedi del Beneamato e ascoltandolo parlarci di Lui stesso… Quando leggiamo il Santo Vangelo, siamo veramente ai piedi di Dio ovunque presente; ci parla veramente di Lui stesso, facendosi conoscere a noi, raccontandoci su di Lui mille dettagli; è veramente Lui che ci parla […]. Leggiamo sempre i santi Vangeli così, con 8 9 La dernière place, 241-242. Cfr. Gregorio Magno, Epist. IV, 31, 1; Patrologia Latina 77, 706 AB. 4 amore, […] e ascoltando la Sua parola con un’attenzione e uno zelo che sono la misura del nostro amore: con amore, ascoltandolo parlarci di se come Maria e Giuseppe facevano a Nazaret”10. In questo modo egli “tiene compagnia a Nostro Signore Gesù”11 fino a diventare spiritualmente il compagno che con lui cammina lungo le strade della Palestina, dalla nascita all’ascensione e fa della sua vita una vita di preghiera. Una vita, come quella di Cristo, spesa per conoscere e compiere la volontà del Padre, nella semplicità ma pure nella gioia di seguire in tutto l’esempio di Gesù “che è sempre il commento sicuro della sua parola”12. E questo per amore, per puro amore. “Amiamo, amiamo, amiamo il nostro beneamato che ci parla… ascoltiamolo con amore e sforziamoci con amore, con lo zelo dell’amore di capire tutte le parole cadute dalle labbra del Beneamato”13. Fr. Charles coltiverà sempre questa lettura amante e viva del Vangelo, anche quando questa esigenza di meditare per iscritto, con l’avanzare degli anni, scomparirà, non scomparirà però la lettura e la meditazione del Vangelo per lasciarsi impregnare “dello spirito di Gesù leggendo e rileggendo, meditando e rimeditando senza sosta le sue parole e i suoi esempi”14. 3. Lettura che raccomanderà e lascerà in eredità ai suoi futuri discepoli. Nel Direttorio scriverà che vuole che in tutte le cappelle della fraternità, il Vangelo sia esposto a lato del tabernacolo e che la stessa lampada che indica la presenza di Gesù nel SS. Sacramento, indichi pure la presenza del Verbo di Dio incarnato nella parola del Vangelo, unendo così questi due elementi della vita cristiana15. Ma la raccomandazione più importante è quella nella quale invita i suoi discepoli non solo a “Leggere e rileggere incessantemente il santo Vangelo per avere sempre dinanzi alla mente gli atti, le parole, i pensieri di Gesù, al fine di pensare, parlare, agire come Gesù, di seguire gli esempi e gli insegnamenti di Gesù e non gli esempi e i modi di fare del mondo, nel quale ricadiamo così alla svelta appena stacchiamo gli occhi dal Divino Modello” 16 ma a diventare essi stessi Vangeli Viventi: “I fratelli e le sorelle devono essere una predicazione vivente. Ciascuno di loro deve essere un modello di vita evangelica; vedendoli si deve vedere ciò che è la vita cristiana, ciò che è la religione cristiana, ciò che è il Vangelo, ciò che è Gesù. […] Devono essere un Vangelo vivente: le persone Saint Matthieu, 16. Cfr. «Essai pour tenir compagnie à Notre Seigneur Jésus», Petit frère, 117-226. 12 Petit frère, 78. 13 Saint Matthieu, 16-17. 14 Aventure, 166. 15 “Noi circondiamo di un culto amoroso la Sacra Scrittura: non solamente i piccoli fratelli preti la leggono, la meditano e la studiano senza sosta, ma ne abbiamo sempre una copia nel santuario, vicino all’altare dove è conservato il SS Sacramento, vicino alla lampada del Tabernacolo che consumandosi in onore del Corpo di Gesù, manda i suoi raggi sulle pagine che contengono la sua divina Parola”. Règlements, 165. 16 CDF, Correspondances lyonnaises, 93. 10 11 5 lontane da Gesù, e specialmente gli infedeli, devono, senza libro e senza parole, conoscere il Vangelo vedendoli vivere”17. Meta alta, ma non impossibile perché è la meta della nostra santità. Prendendo in prestito un’espressione cara a M. Delbrêl, anche per noi : “il Vangelo è il nostro savoir-vivre e il nostro savoir-faire”18. Il vangelo, non come studio di una legge, ma come incontro con “lo sposo, il fidanzato, il beneamato”, per conoscere i suoi desideri, per dialogare con Lui e perché Egli ci indichi come “piacergli, essergli gradito, servirlo, glorificarlo, consolarlo, come desidera che si faccia ogni cosa”19. Come fraternità e come singoli discepoli, ogni giorno ci si ritrova per mettersi ai piedi di Gesù nell’ascolto del suo vangelo, un ascolto amoroso e colmo di fiducia e dal vangelo ci si lascia formare, plasmare, trasformare, assimilare a sé: “Accogliamo il Vangelo, è dal Vangelo, secondo il Vangelo che saremo giudicati… non secondo tale o tal altro libro di tal o tal altro maestro spirituale, di tal o tal altro dottore, di tale o tal altro santo, ma secondo il Vangelo di Gesù, secondo le parole di Gesù. Gli esempi di Gesù, i consigli di Gesù, gli insegnamenti di Gesù… Seguiamo quindi gli insegnamenti di Gesù, i consigli, le parole, gli esempi di Gesù… e non quelli di tale o tal altro maestro, di tal o tal altro santo, se si discostano anche pochissimo da quelli del ‘nostro Solo Maestro’ e dal solo perfettamente santo, GESÙ”20. Inoltre dal vangelo prende forma la vita della fraternità e del discepolo, con le sue modalità, i suoi criteri, i suoi giudizi e i suoi valori; alla luce del vangelo essi colgono l’interpretazione di tutti gli aspetti dell’esistenza e questo, non solo nelle grandi scelte della vita, ma anche in quelle piccolissime, quelle della vita ordinaria, fino ad essere conformi in tutto al “divino modello”, al beneamato fratello Gesù. Una fraternità dove il primato del Vangelo sia evidente, ma non ostentato, perché coltivato come seme che germina e fruttifica nell’oscurità, nel silenzio, nell’ascolto. Solo una comunità che ascolta la Parola può mettere Gesù al cuore della sua vita e diventare discepola del Signore, identificarsi a Lui, che rimane l’ideale di ogni discepolo del Signore. Da qui nasce tutto l’amore per il Signore, per essergli fedeli, per conformarsi a lui, per vivere con lui, in lui e per lui e nello stesso tempo per accoglierlo continuamente in noi, nella nostra vita. Solo una comunità cristiana aperta e attenta al Vangelo del suo Signore può accogliere in sé il suo Spirito lasciarsi guidare da lui fino a diventare “memoria” di Gesù. Tutto è qui racchiuso: nell’essere come Gesù, nel far memoria di Gesù, nel diventare memoria di Gesù. E questo, dicevamo, ci è possibile solo nello Spirito Santo, che è lo Spirito di Gesù, lo Spirito che modella in noi il Cristo e in lui ci fa uomini perfetti (GS 22), cioè “Vangeli viventi”. 4. La significatività della parola evangelica per de Foucauld emerge anche nel suo modo di proporre l’evangelizzazione nel Sahara, tra i Tuaregs. Il legame con Gesù instaurato a Nazareth, per mezzo della Parola e dell’eucaristia, conduce a prospettare un’evangelizzazione nel Sahara che non si discosti dalla Parola di Dio. Non a caso, quando a Beni Abbès, Règlements, 647. M. DELBREL, La gioia di credere, 213. 19 Qui peut résister à Dieu, 45-46. 20 Imitation, 203. 17 18 6 nel 1902, de Foucauld scrisse il catechismo per le popolazioni del luogo lo intitolò: “Il Vangelo predicato ai poveri neri del Sahara”, un catechismo sulla falsa riga dei principi della religione musulmana, per i catechisti che si sarebbero impegnati a evangelizzare il popolo sahariano. Riferirsi alla Parola per conoscere Gesù è lo stile con il quale fr. Charles si rivolse ai Tuaregs ed è lo stile che propose a quanti lo avrebbero seguito nelle varie forme di vita pensata, mediante questi principi : In primo luogo, la parola evangelica TRADOTTA NELLA LINGUA DEGLI ASCOLTATORI, per essere ascoltata e compresa. Per questo motivo, de Foucauld tradurrà i vangeli in tuareg, che non saranno pubblicati perché, dopo la loro traduzione, egli si accorgerà che la traduzione era da ritenersi poco affidabile. In secondo luogo, la parola evangelica, TRADOTTA NEL LINGUAGGIO di VITA DEGLI ASCOLTATORI, cioè nella cultura, come primo elemento di evangelizzazione; si trattasse anche di un’operazione che duri dei secoli, diceva de Foucauld. In terzo luogo, la parola evangelica TRADOTTA ASCOLTANDO E FRATERNIZZANDO. Gli ultimi anni, fr. Charles li ha trascorsi anche a sviluppare l’evangelizzazione dell’ascolto, della comprensione, dell’accoglienza gratuita, elementi di vita che riteneva indispensabili per far conoscere lo stile di vita di Gesù ai musulmani, uno stile di vita buono, accogliente, di ascolto, di comprensione. Si è parlato, in rapporto alla vicenda e alla proposta di de Foucauld, di pre-evangelizzazione, di apostolato dell’amicizia, di dissodare il terreno, ecc. Non dimentichiamo che tutta la sua opera di preparazione del terreno per l’evangelizzazione era già per lui vera e propria evangelizzazione, secondo lo stile di Nazareth, una proposta evangelica che ha più i tratti della vita di Gesù a Nazareth, che della sua vita pubblica. 5. Raccogliamo tre proposte che scaturiscono dall’approccio di Fr. Carlo al vangelo : a. L’IMPRESCINDIBILITÀ DEL TESTO EVANGELICO PER CONOSCERE GESÙ di NAZARETH; troppo facilmente pensiamo di conoscere il Gesù dei vangeli senza sostare nella lettura e nell’interpretazione paziente del testo evangelico. Troppo spesso le nostre proposte pastorali, le omelie, parlano di altro rispetto alla parola evangelica, non sono frutto del suo ascolto, non la interpretano per gli ascoltatori, non la traducono per la loro vita. b. LA NECESSITÀ DELLA RELAZIONE PERSONALE CON IL TESTO EVANGELICO, perché il Verbo che si è fatto carne sia Parola viva per noi e per gli altri. Il vangelo è, infatti, Parola viva, Parola che dà vita. Il già citato Pierangelo Sequeri, al convegno a Bose, svolto nel 2002, sosteneva che la grandezza di Charles de Foucauld, in rapporto al vangelo, consiste nel fatto che egli ha scoperto che “il canone evangelico non è semplicemente la fonte storica della rivelazione pubblica, bensì il modo permanente della relazione personale. […] Il rapporto quasi esclu- 7 sivo di Charles de Foucauld con le Scritture – in pieno Ottocento – è sorprendentemente diretto, integrale, fondante, non strumentale. La spontaneità colloquiale e il ruolo generatore della lectio divina assume un rilievo formativo affatto peculiare: non tanto per la configurazione di una specifica spiritualità biblica, quanto piuttosto come elemento della fede teologale e della sua conformazione cristocentrica. Nella scrittura evangelica il Signore stesso parla e ascolta: frère Charles lo trascrive e gli scrive. Il rapporto con le Scritture è semplicemente vissuto e praticato come la forma stessa della relazione interlocutoria con il Signore. Questa consuetudine interlocutoria con il Signore è vissuta nella realtà effettiva di una coabitazione con Gesù di cui la vita di Nazaret è l’icona. A Nazaret d’altra parte Gesù abita, nell’intimità di persone che lo riconoscono e lo amano, un contesto umano assai più ampio. E’ il contesto di coloro che – per lo più ignari – egli riconosce e ama come fratelli. Per essi il Figlio è realmente e interamente già dato, pur se non riconosciuto e amato. Proprio come avverrà alla fine. E sino alla fine. La parola del Signore forma il discepolo: e perciò edifica già la chiesa. Frère Charles attua questa struttura ecclesiologica – che ripete il legame fra Gesù e i discepoli, come quello di Gesù con le folle – nella modalità della vita nascosta, povera, operosa, affettiva e contemplativa di Gesù di Nazaret. In questo quadro, la presenza al Signore che ripete Nazaret trova nella relazione evangelica ed eucaristica (il secondo pilastro della spiritualità di de Foucauld, secondo Sequeri, ndr) con lui ragione di fine: non più di mezzo”21. c. LA NECESSITÀ di UN MAGGIOR RIFERIMENTO AL VANGELO PER QUALIFICARE LA NOSTRA EVANGELIZZAZIONE. Nelle parrocchie, oggi, spesso accade che le proposte pastorali, che potrebbero essere chiamate proposte di evangelizzazione, per il motivo per il quale sono offerte, non possono neppure più essere considerate tali, perché risulta ormai troppo debole il riferimento al vangelo, al suo messaggio, il riferimento al duplice comandamento dell’amore, molto caro a de Foucauld. Mi pare necessario, allora, che nelle nostre comunità cristiane riconsideriamo il valore della parola evangelica, come Parola che si offre pedagogicamente a noi quale stile di vita evangelica, che va senz’altro interpretata e tradotta ai destinatari di oggi, ma che non va stravolta o abbandonata perché considerata difficile da comprendere. Una buona parola non è mai impossibile da comprendere, se ci trova pazienti ad accoglierla e pazienti a trasmetterla. La difficoltà sta soprattutto nella fatica a cimentarsi per far sì che quella parola, raccolta più di 2000 anni fa, esprima il suo valore anche oggi, raggiunga il cuore, la mente e il corpo degli uomini e delle donne della società odierna. Ciò richiede, da parte di noi cristiani, determinazione e perseveranza, pazienza e continuità d’azione. CONCLUSIONE Siamo di fronte a una struttura portante che decide dell’autenticità dell’esperienza cristiana. Il cristianesimo, infatti, non nasce da una ricerca umana di Dio, non deriva dai desideri P. SEQUERI, La cristologia « vissuta » di Charles de Foucauld, in H. TEISSIER, C. DAGENS, A. CHATELARD, P. SEQUERI E AA. VV., Charles de Foucauld. L’eloquenza di una vita secondo l’evangelo, Qiqajon, Magnano (BI) 2003, pp. 85-86. 21 8 che ci portiamo nel cuore e ai quali tentiamo di dare una risposta. Nasce, il cristianesimo, dalla ‘decisione’ libera di Dio di venire in cerca dell’uomo, di rivelarsi a lui, di chiamarlo a un’esperienza di comunione con Lui, di renderlo partecipe della vita divina stessa: “Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare Se stesso e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo, hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura” (DV 2). Proprio per non restare nel vago, aggiungo quello che Enzo Bianchi scriveva nell’ultimo articolo apparso su “La rivista del clero italiano, novembre 2011, 727-743” : Il presbitero e la preghiera”. Termina questo suo articolo raccomandando a tutti i presbiteri la Lectio divina: “Ma accanto alla liturgia delle ore, o addirittura nella liturgia delle ore, in particolare nella celebrazione dell'ufficio delle letture, il presbitero deve esercitarsi anche alla lectio divina. Dalla fine degli anni '80 del secolo scorso in poi anche il magistero papale richiama la Chiesa e i presbiteri a questa pratica tradizionale, attraverso la quale la Parola di Dio contenuta nelle Scritture quale Parola del Dio vivente incontra il credente. La lectio divina è luogo di celebrazione dell'alleanza, perché nella lectio è Dio che parla all'uomo, nell'oratio è il credente che parla a Dio. Avendo meditato ampiamente e a più riprese sulla lectio divina, in questo contesto vorrei solo raccomandarmi di non fare di essa un metodo rigido, né di cercare estrose definizioni inventate ogni giorno, ma di comprenderla come una traccia, un'indicazione di alcune esigenze: - la lectio come lettura attenta del testo biblico; - la meditatio come un sostare sulla Parola, un cercare di comprenderla secondo il principio tradizionale «Scriptura sui ipsius interpres» (aiutandosi, ove necessario, con commenti esegetici, antologie patristiche, ecc.); - l’oratio come una preghiera che sgorga da ciò che abbiamo ascoltato dal Signore, come risposta alla sua voce che è giunta nelle nostre profondità quale presenza viva del Signore risorto a cui possiamo dare del tu, dicendogli il nostro amore e il nostro «amen»; - la contemplatio come custodia della Parola che muta il nostro sguardo, il nostro sentire, il nostro parlare, il nostro agire e lo conforma a quello di Dio, al pensiero di Cristo («Noi abbiamo il noùs di Cristo»: 1Cor 2,16). Così si può sperimentare come la Parola di Dio contenuta nelle Scritture sia cibo che cresce e diventa più saporito per chi la «rumina» con assiduità. In estrema sintesi possiamo affermare quanto segue: se il Signore ha intimato a Giosuè quale guida del suo popolo: «Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa Legge, ma meditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pratica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon fine il tuo cammino e avrai successo»; se Paolo ha chiesto al presbitero-vescovo: «Dèdicati alla lettura» (1Tm 4,13), ne consegue che l’assiduità con le Sante Scritture è un dovere assoluto e primario di ogni pastore nella Chiesa. E la lectio divina è il modo tradizionale, risalente già alla tradizione giudaica, in cui la sacramentalità della Parola si evidenzia nella vita di preghiera del presbitero. 9 E conclude affermando: Sono fermamente persuaso che dal rapporto di un presbitero con la Parola di Dio dipende la sua vita spirituale, la sua identità, l'efficacia del suo ministero: tutti elementi che trovano la loro sintesi nel faticoso esercizio della preghiera quotidiana. In questo senso vorrei concludere con un bel testo rivolto quasi dieci anni fa dall’allora cardinale Joseph Ratzinger al Consiglio delle Conferenze episcopali europee, che esprime bene come la preghiera del presbitero, radicata nel suo ascolto della Parola, può conferirgli exousía, autorevolezza per svolgere giorno dopo giorno il suo ministero a servizio della Chiesa di Dio: “Sono convinto che la lectio divina è l'elemento fondamentale nella formazione del senso della fede e di conseguenza l'impegno più importante per un vescovo maestro della fede [e dunque per un presbitero] [...] La lectio divina è ascolto di Dio che parla a noi, che parla a me. Questo atto di ascolto esige quindi una vera e propria attenzione del cuore, una disponibilità non solo intellettuale, ma integrale, di tutto l’uomo. La lectio divina deve essere quotidiana, deve essere il nostro nutrimento quotidiano, perché solo così possiamo imparare chi è Dio, chi siamo noi, che cosa significa la nostra vita in questo mondo". RIFLESSIONE 1. La lettura del Vangelo di Fratel Carlo è una lettura per diventare “cristoforme”. Conoscere il Vangelo per conoscere Gesù, vivere in Lui : “Ritorniamo al Vangelo. Se non viviamo il Vangelo, Gesù non vive in noi”22. Al n. 14 della Lettera pastorale “Dal battesimo il coraggio della missione”, il nostro vescovo scrive: “Il Vangelo non è lettera morta. Spesso cadiamo nell'errore che basti dire qualcosa su Dio perché gli altri credano. non coincide con il racconto delle parole e della vicenda di Gesù, significa invece mostrare come Gesù, presente nella nostra vita, ce l'ha trasformata. Evangelizzare è far incontrare gli uomini con la Parola, con il Verbo, cioè con Gesù stesso così che gli uomini possano incominciare una storia nuova. Trasparenza di Cristo dobbiamo essere, se desideriamo davvero che ogni uomo incontri il Signore e si lasci vivificare dal suo Spirito. Nonostante i nostri limiti, le nostre debolezze, i nostri dubbi, dobbiamo portare agli altri il Vangelo "tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (Eb 12,2). Per dirla alla maniera di Fr. Carlo: dobbiamo essere noi stessi Vangelo vivente. 2. Per noi presbiteri dobbiamo fare nostro lo stile di Fr. Carlo nella lettura del Vangelo : leggerlo in un contesto di preghiera, perché li si attuano le due dimensioni del dialogo di fede con Dio: l’ascolto (Dio ci dirige una parola e noi l’accogliamo nella fede) e la risposta (noi ci rivolgiamo al Signore e lo preghiamo insieme con altri credenti). Questa duplice dimensione è tradizionale nella vita spirituale cristiana. San Cipriano scriveva a Donato così: “Sii assiduo ora alla preghiera, ora alla lettura. Ora parla con Dio, ora Dio con te. Egli ti istruisca nei suoi precetti, egli ti formi” (Ad Donatum 15). A sua volta il Concilio, citando sant’Ambrogio, esorta: “La lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla 22 Caron, 78. 10 preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché ‘gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini’.” (DV 25). C’è un cammino che dall’ascolto e dalla comprensione della parola di Dio si sviluppa coerentemente nell’amore personale per Gesù e in una vita conforme al suo Vangelo. 3. Per la nostra pastorale più impregnata di Vangelo, vi invito a riflettere su quanto scrive sempre il Vescovo nella sua ultima lettera pastorale “Seguire Gesù, maestro di vita” al n. 56: “Non si può dare per scontato che oggi tutti sappiano chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa. Vale per i fanciulli, i ragazzi, giovani e adulti; vale anche per la nostra gente e, ovviamente, per tanti immigrati, provenienti da varie culture e religioni. Si tratta di un compito proprio della Chiesa locale in quanto tale, in particolare delle parrocchie, ma ricade anche su ogni cristiano, testimone di Cristo. Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali”. Ne sono convinto o faccio finta che nella mia parrocchia siano tutti cristiani praticanti… 1 NAZARET - EUCARISTIA “Più che mai in voi, con voi e per voi, mio divino Gesù” Accanto alla parola del vangelo, ritroviamo l’altro pilastro della spiritualità foucauldiana, che è l’eucaristia. Occorre subito dire che la celebrazione e l’adorazione eucaristica, per de Foucauld, non sono state un semplice culto, quanto piuttosto una forma di vita, uno stile di vita imparato e vissuto. Il riferimento all’eucaristia, per lui, è stata la forma delle forme. Questo orientamento ha decisamente caratterizzato la sua esistenza e le sue scelte. E, diciamo subito anche che, la celebrazione e adorazione eucaristica, per questo uomo di Dio, sono state come le due facce della stessa medaglia, le due espressioni dell’unico mistero eucaristico. Quando quel mattino di fine ottobre 1886 Charles de Foucauld va a confessarsi dall’Abbé Huvelin e si converte ritornando visibilmente in seno alla Chiesa, ne accetta tutta la dottrina, e durante tutta la sua vita non farà mai opera di teologo, ma cercherà di viverla secondo la vocazione ricevuta. Così è pure dell’eucaristia. Egli non analizza da teologo cosa sia la Presenza eucaristica, gli basta credere che “la Santa eucaristia è Gesù, è tutto Gesù”1, facendo di tutta la sua vita una eucaristia. Per lui, l’eucaristia è Gesù presente ancora su questa terra nel sacramento dell’ostia; è Gesù che continua a restare con i suoi fratelli e a benedirli attraverso l’eucaristia: “Sei, mio Signore Gesù nella Santa Eucaristia! Sei qui, a un metro da me, in questo tabernacolo! Il tuo corpo, la tua anima, la tua umanità, la tua divinità, il tuo essere tutto intero è qui, nella sua duplice natura! Come sei vicino mio Dio! Mio Salvatore! Mio Gesù, mio fratello, mio sposo, mio beneamato! Non eri più vicino alla Santa Vergine durante i nove mesi che ti portava nel suo seno di quello che lo sei a me quando vieni sulla mia lingua nella comunione! Non eri più vicino alla Santa Vergine e a San Giuseppe nella grotta di Betlemme, nella casa di Nazaret, nella fuga in Egitto, durante tutti gli istanti di questa divina vita di famiglia, di quello che lo sei a me in questo momento […] nel tabernacolo!”2. 1. Eucaristia e conversione E’ il 28 aprile 1872, a Nancy, che Fratel Carlo, riceve per la prima volta l’eucaristia, aveva 14 anni. Poi se ne allontana perdendo poco a poco la fede e durante 13 anni l’eucaristia non avrà più nessun significato per lui. Al momento della conversione l’abbé Huvelin lo invierà, seduta stante, a comunicarsi e poi, in un secolo dove ricevere sovente l’eucaristia era una rarità, la riceverà quasi quotidianamente e diventerà il mezzo per unirsi intimamente al Signore e vivere del suo amore. Il culto al S. Cuore e al SS. Sacramento, nell’adorazione e nelle benedizioni, non sono per lui che un’unica espressione dell’amore, che, come gli ha insegnato l’abbé Huvelin, è il cuore della religione cristiana. 1 2 La bonté de Dieu, 76. La dernière place, 77. 2 Quando si presenterà a ND des Neiges vi cercherà la vita nascosta di Nazaret, ma anche la dolcezza di vivere tutta la sua vita “ai piedi del tabernacolo”. E quando lascerà la Trappa per andare a vivere la vita nascosta a Nazaret ha la ferma convinzione che l’Eucaristia trasforma ogni focolare nella santa casa di Nazaret: “La Nazaret terrestre è lontana, ma c’è un’altra Nazaret sotto il tetto di tutte le case religiose, in tutti i conventi dove si trova il SS. Sacramento, e questa Nazaret è vicina a tutti, alla portata di tutti : possa tu dimorarci per sempre”3. Fratel Carlo è talmente convinto di questo che quando abiterà a Nazaret ed avrà la possibilità di andare ogni giorno nella basilica che custodisce la santa casa egli preferirà la cappellina delle Clarisse, poiché è là che ora Gesù vive. Quindi vivere alla presenza dell’Eucaristia è vivere alla presenza di Gesù: “Voi siete vicino a me nel tabernacolo come lo foste presso di loro nella santa casa!”4. “E’ là realmente come lo era in terra. Possiamo tenergli compagnia nel Santo Tabernacolo così realmente come lo facevano la Santa Vergine, San Giuseppe e Santa Maria Maddalena quaggiù”5. Questo lo colma di gioia: “Oh! Come sono felice! In questo Nazaret! Vivendo della vostra vita! Senza sosta alla vostra presenza. Spesso davanti al Santo Sacramento. Benedetto da voi ogni giorno nella santa comunione e benedetto ogni sera! Come sono divinamente felice”6. Per questo cercherà di passare tutto il tempo libero dal lavoro e dai servizi alle Clarisse alla cappella: “La domenica e i giorni festivi trascorro con dolcezza infinita tutto il mio tempo in chiesa, leggendo e meditando ai piedi del Tabernacolo, nella solitaria cappellina delle clarisse; vi leggo i trattati di teologia davanti a Colui di cui essi parlano; guardo il Tabernacolo e vivo giorni di delizie... I giorni festivi sono numerosi in questa diocesi, e la buona badessa li aumenta ancora per me...”7. Sotto le specie eucaristiche Charles de Foucauld scopre la possibilità di vivere il mistero della vita nascosta della Santa Famiglia. Inoltre l’adorazione del SS. Sacramento è per Frère Charles il tempo dell’intimità e della gratuità, il tempo in cui ha la possibilità di “effondersi là, davanti a Lui, come la piccola lampada”8. Un amore che diventa unione intima, poiché “s’unir, c’est l’idéal de l’amour...”9. Una unione tale che non solo ci consacra quali tabernacoli viventi, ma ancor più ci trasforma in Gesù: “Vivete in me, poiché voi siete entrato in me!… Pensate, parlate, agite, fate tutto voi solo in me, poiché eccovi in me!… Che non sia più io che viva, ma voi, Gesù, che vivete in me… O mio Dio poiché voi siete entrato in me, unitemi a voi e a quelli che vi sono uniti!… Trasformatemi in voi… Trasformate la mia anima nella vostra anima, il mio cuore nel vostro cuore… CDF, Lettre inédite du février 1900 à sa nièce Denise. Considérations, 50. 5 La bonté, 301. 6 Considérations, 436. 7 Huvelin, 60-61. 8 Cette chère dernière place, 159. 9 Imitation 166. 3 4 3 Fatemi amare ciò che voi amate, come voi l’amate. Oh, più che mai in voi, con voi e per voi, mio divino Gesù!”10. Possiamo applicare a Fr. Carlo, senza ombra di dubbio, quanto Mons. Monari scrive della relazione tra eucaristia e presbitero: “L’Eucaristia contiene tutto per il discepolo: la sua memoria (tutte le parole di Gesù e tutte le sue opere; la sua sofferenza e la sua morte; la sua obbedienza al Padre e il suo amore per gli uomini); la sua speranza (che la sua vita e la vita del mondo – il pane e il vino – possano diventare corpo di Cristo e quindi assumere la forma dell’amore oblativo), il suo impegno (il dono di se stesso nell’amore fraterno, secondo la volontà del Padre), la relazione con il corpo ecclesiale («siamo un corpo solo, noi tutti che partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor 10, 17). Se può rimanere viva la consapevolezza che abbiamo richiamato sopra (che Cristo “ci ama”), questo dipende soprattutto dall’Eucaristia: («È il mio corpo per voi… è il mio sangue dell’alleanza per voi…»). Dall’Eucaristia il discepolo assume la forma stessa della sua vita: è l’amore di Cristo per noi, infatti, che accolto nella fede produce una risposta corrispondente: «amatevi gli uni gli altri (sic) come io vi ho amato» (Gv 13, 34); dunque l’amore ricevuto nell’Eucaristia diventa amore fraterno. E ancora: «Se dunque io, il Signore e il maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio perché (sic) come vi ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13, 14-15); dunque il servizio (dono della vita) che riceviamo nell’eucaristia produce la forma del servizio ai fratelli fino al dono della propria vita. Questo è il vero discepolato: «Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando» (Gv 15, 14)”11. Una forma di vita che esprimerà attraverso il sacerdozio e l’apostolato nel Sahara, tra i Tuaregs. 2. Eucaristia e sacerdozio Tra le motivazioni che lo hanno spinto ad accettare l’ordinazione sacerdotale, c’è senz’altro l’eucaristia. Se l’aveva sempre rifiutata non era per disprezzo - ne fanno fede gli studi teologici iniziati fin dalla Trappa ad Akbès e la lettera a Frère Jérôme del 24 gennaio 189712, - ma solamente perché temeva di perdere la sua vocazione all’imita10 Considérations, 28; cfr. pure Considérations, 524-525. Monari Luciano, « La vita e il ministero del presbitero », relazione per la 56° Assemblea generale della CEI, 16 maggio 2006. 11 Scriveva a Frère Jérôme : “Il n’est pas de vocation au monde aussi grande que celle d’être prêtre: et en effet ce n’est plus du monde, c’est déjà du ciel. Le prêtre est ce que nous avons dit tout à l’heure de l’obéissance, quelque chose de transcendant, de dépassant tout: il tient entre ses mains le corps divin de Jésus. Il le fait, à sa voix, être sur l’autel. Il fait naître Jésus chaque jour, comme le Père éternel, comme la Très Sainte Vierge. Il fait naître les âmes par le baptême, les purifies par le sacrement de pénitence, leur distribue le corps de Jésus comme fit celui-ci a la Cène, les aide dans leur dernier moment a paraître devant le BienAimé, en leur donnant leur dernière parure, leur dernier parfum, et aussi le dernier pardon et la force suprême. Il converti les âmes en leur annonçant 1’Evangile, en les dirigeant. Il fait tous les jours de sa vie, aus12 4 zione della vita di Nazaret. Ai piedi del tabernacolo scopre il mistero della visitazione, che diventa per lui, se così possiamo dire, un “mistero eucaristico”, poiché egli poteva continuare a vivere questo mistero proprio per mezzo della presenza del santissimo sacramento: “Portare GESÙ in silenzio presso i popoli infedeli e santificarli con la presenza del santo tabernacolo, come la Vergine Santissima santificò la casa di Giovanni portandovi GESÙ”13. Inoltre una migliore comprensione del ministero sacerdotale gli fa capire che egli glorifica Dio e santifica gli uomini, più che con tante altre forme di preghiera, con la celebrazione del “santo sacrificio”, poiché la sua sarà una preghiera fecondata dal sacrificio di Gesù Cristo. Sarà la sua nuova forma di imitazione: “Il prete imita più perfettamente Nostro Signore, sacerdote sommo, che ogni giorno si offriva... il prete continua la sua opera e non lo imita mai più perfettamente di quando offre il Santo Sacrificio e amministra i sacramenti: una ricerca di umiltà che allontanasse dal sacerdozio non sarebbe dunque buona perché allontanerebbe dall’imitazione di Nostro Signore che è la “sola via” e dunque l’imitazione è – per me, in particolare – la mia vocazione speciale... Non vi è dunque per me da fermarmi alla maggiore bassezza della mia condizione attuale per restarvi, né di temere l’elevazione del sacerdozio per respingerlo, mettere l’umiltà ove Nostro Signore l’ha messa, praticarla come lui l’ha praticata, e per questo praticarla nel sacerdozio, secondo il suo esempio”14. Fratel Carlo scopre quindi che anche lui può essere salvatore con Gesù15. Può portare l’Eucaristia - nuovo modo di Gesù di vivere la sua vita nascosta - l’offerta del divino sacrificio e l'imitazione delle virtù evangeliche in mezzo ai popoli infedeli per operare alla loro salvezza. De Foucauld riconosce così che ciascun uomo può santificare gli altri se ha Gesù “in grembo”, se porta con sé il Figlio di Dio. Questa forma di evangelizzazione è una possibilità di vita che Gesù offre e che consegna ai discepoli, offrendo loro delle regole specifiche per viverla. Allora, chi non ha ricevuto da Dio si bien au fond d’un couvent qu’au dehors, ce que Jésus a fait pendant les trois ans de son ministère. Il apprend aux hommes à connaître, à aimer, à servir leur bon Maître. Quelle vocation! Il aide le divin Pasteur à garder ses brebis, porte avec Lui sur ses épaules les brebis malades, cherche avec Lui les égarées: il garde les enfants du Père de famille, les défend contre les brigands. Il procure le salut de ces âmes rachetées à un si grand prix: ces hommes, pour qui Jésus a vécu, a tant souffert, est mort, ces hommes que son Cœur Sacré aime d’un amour si ardent, si enflammé, pour le salut de chacun desquels Il voudrait souffrir et être percé encore, c’est le prêtre qui les sauve. Enseigner l’Evangile, sauver les enfants de Jésus, leur distribuer de ses mains le corps du Christ! Quelle vocation, mon cher frère, et combien je bénis Dieu de vous l’avoir donnée”. Cette chère dernière place, 152-153. 13 C. sah., 530. 14 Crier l’Evangile, 128-129. 15 Per Fratel Carlo la tonsura e gli ordini minori hanno il loro parallelo nella vita di Nazaret e richiedono una “vita nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3); il suddiaconato ha il suo parallelo nei quaranta giorni di digiuno e chiede la rinunzia ad ogni cosa creata, mentre il diaconato ha il suo parallelo nella vita pubblica di Gesù e chiede l’esercizio della carità. Il sacerdozio ha il suo parallelo nella passione di Gesù e chiede il sacrificio di Gesù sull’altare e di sé sulla croce. Come “piccolo fratello di Gesù” si sente chiamato ad essere, con lui e come lui, salvatore, immolandosi sulla croce. Questa originale visione, se da una parte gli fa abbandonare il modello di sacerdote-eremita, dall’altra parte gli permette di conservare tutte le caratteristiche della vita di Nazaret che da anni vive e non vuole abbandonare. Inoltre questo modo “restrittivo”, anche se non errato, di applicare la figura del sacerdozio agli ultimi tre giorni della vita terrena di Gesù Cristo, è anche il modo di salvaguardare la sua vocazione di Nazaret e di viverla nella Chiesa. 5 Padre la missione di predicare riceve, per mezzo del Figlio Gesù, la missione di santificare gli uomini in silenzio, portando loro Gesù con la santa Eucaristia. La presenza di Gesù “nel proprio grembo” è resa possibile, in particolare, nella partecipazione al mistero eucaristico. Charles de Foucauld fa propria questa possibilità di evangelizzazione mediante la contemplazione del mistero eucaristico celebrato e adorato. Egli, poi, riconosce in sé la volontà di Dio di stabilire, fra coloro che non conoscono Gesù, un Tabernacolo e un Altare. Nel 1905 presentandosi per lettera a Mgr. Caron e descrivendogli la sua vocazione e la sua vita, così ritorna su questa decisione tanto importante della sua esistenza, mostrando che è proprio il Signore che gli ha fatto capire “che questa vita di Nazaret, che sembrava essere la mia vocazione, era necessario viverla non in Terra Santa, tanto amata, ma tra le anime più ammalate, le pecore più abbandonate. Questo banchetto divino, di cui ero diventato ministro, bisognava presentarlo non ai parenti, ai ricchi vicini, ma agli zoppi, ai ciechi, ai poveri, cioè alle anime mancanti di preti. Nella mia giovinezza, avevo percorso l’Algeria e il Marocco. In Marocco, esteso come la Francia, con dieci milioni d’abitanti, non c’è al suo interno un solo prete; nel Sahara, sette o otto volte più esteso della Francia e molto più popolato di ciò che si credeva nel passato, una dozzina di missionari! Nessun popolo mi sembrava più abbandonato di questo”16. Ormai sa che la vita nascosta di Nazaret è da viversi tra i più poveri e abbandonati. E’ a loro che deve offrire il banchetto eucaristico, la salvezza di Gesù Cristo. Allora trova Nazaret tra le sabbie del Sahara algerino e le montagne del Marocco, esplorato in gioventù: “Sono appena stato ordinato sacerdote e sto facendo delle pratiche per andare a continuare nel Sahara, “la vita nascosta di Gesù a Nazaret”, non per predicare, ma per vivere nella solitudine, la povertà, l’umile lavoro di Gesù, cercando di fare del bene alle anime, non attraverso la parola, ma attraverso la preghiera, l’offerta del Santo Sacrificio, la penitenza, la pratica della carità”17. La mattina del 9 giugno 1901, nella cappella del seminario di Viviers, dopo aver passato tutta la notte in adorazione, è ordinato sacerdote da Mons. Montéty, alla presenza del suo vescovo e dell’abate di ND des Neiges. Il 6 settembre 1901 lascia ND des Neiges e il 10 settembre arriva ad Algeri. Trova sul molo ad attenderlo il priore di Staoueli, Dom Henri, e il Prefetto Apostolico del Sahara, Mgr. Guérin. La loro presenza è il segno di quanto entrambi lo apprezzano: uno per averlo avuto sotto i chiostri del suo monastero, l’altro per averne sentito parlare egregiamente. Uno era l’immagine delle radici della sua vita religiosa e l’altro l’immagine dell’avvenire che attraverso richiami, dubbi e desideri, l’avrebbe portato sulle piste del Sahara, divenuto la nuova “casa di Nazaret”. Una casa di Nazaret dove vivere “nella solitudine, la clausura e il silenzio, nel lavoro delle mani e la povertà, solo o con qualche prete o laico, fratelli in Gesù, nell’adorazione perpetua del Santissimo sacramento esposto, se 16 17 Caron, 13-14. Castries, 98-99. 6 il buon Dio mi darà qualche fratello, una vita conforme il più possibile alla vita nascosto del beneamato Gesù a Nazaret”18. 3. Sahara: dall’eucaristia celebrata all’eucaristia vissuta Arrivando a Beni-Abbés vuole costruirvi la Fraternità che, vuole essere un luogo d’incontro tra gli uomini e con Dio ed egli è contento di aprirne le porte a tutti e si consacra al servizio di ogni uomo, con una particolare predilezione per i più bisognosi e poveri: i senzatetto, gli orfani, i più abbandonati e i più diseredati. La “fraternità” è la casa di Nazaret dove tutti sono accolti, ma dove sono accolti prima di tutto quelli che nessuno accoglie; lì possono vivere la “vita di famiglia molto semplice” e possono sempre trovare un amico, un fratello, e attraverso di lui, ciascuno può incontrare Gesù. Il cuore della fraternità è la cappella, dove passa lunghe ore in adorazione dell’Eucaristia. E’ il centro del suo apostolato. Facevamo già notare che per Charles de Foucauld è continuare il mistero della Visitazione: “fare il maggior bene possibile alle popolazioni musulmane così numerose e abbandonate, portando in mezzo a loro Gesù nel Santissimo Sacramento, così come la Vergine Santa santificò Giovanni Battista avvicinando a lui Gesù”19. La sua carità generosa verso tutti e la sua vicinanza alla guarnigione militare lo portano ad allontanarsi dall’adorazione eucaristica. Ma egli sa - ed è questo il primo modo di diventare eucaristia - che: “Accogliere il prossimo è accogliere un membro di Gesù, una porzione del corpo di Gesù, una parte di Gesù; tutto quel che noi diciamo, facciamo al prossimo è dunque Gesù che lo ascolta, lo riceve; è a lui che è detto, che è fatto... Con quale amore, quale rispetto, quale gioia, quale desiderio di fare a colui che si presenta a noi il più gran bene possibile nella sua anima, o nel suo corpo secondo i suoi bisogni e la nostra possibilità, con quale tenera premura dobbiamo accogliere chiunque si presenta a noi, ogni essere umano, chiunque egli sia! ... il povero che bussa timidamente alla porta, il nostro superiore che viene a farci visita a nome della Chiesa e della Santa Sede, tutti, tutti, tutti, il povero turco, e il vescovo, tutti, tutti, accogliendoli come si accoglierebbe Gesù!”20. Quando su invito del Generale Lapperine, nel 1905 si stabilirà Tamnrasset la sua prima preoccupazione è di esporvi il Santissimo Sacramento e di gettarvisi ai suoi piedi. L’anno dopo pur di poter celebrare la messa farà 4000 Km per andare a cercare Fratel Michel. In effetti la sua presenza gli permetterà di esporre frequentemente il Santissimo Sacramento. Ma ancor sulla strada del ritorno dovrà rimandare Fratel Michel à la Maison Carrée e così ritornarsene tutto solo a Tamarasset. Sa che non solo non potrà esporre il Santissimo Sacramento, ma non avendo nessun assistente, non potrà nemmeno celebrare la messa. Per poter celebrare dovrà aspettare dei militari di passaggio, cosa rara (Cf. Natale 1907: il primo natale dopo la conversione senza messa. Non ceCaron, 14. Bondy, 74. 20 Petit frère, 35-36. 18 19 7 lebrerà la S. Messa dal 7 luglio 1907 al 31 gennaio 1908, quando otterrà, direttamente dal Papa Pio X, il permesso di celebrare da solo. E’ Natale!). Ma più tardi posto di fronte al dilemma di abbandonare l’Hoggar per poter celebrare la S. Messa o restarvi senza poterla celebrare21, sceglierà, pur soffrendone moltissimo, di restare in mezzo ai suoi Tuaregs. Non solo non celebra, ma nella stessa lettera nella quale gli annuncia la possibilità di celebrare da solo, Mgr. Guérin gli toglie l’autorizzazione a conservare il Santissimo (riotterrà questo permesso solo il 12 giugno 1914) e quindi la possibilità dell’adorazione, la gioia di essere ai piedi del tabernacolo, nell’intimità con il Beneamato. Ora, non dimentichiamolo, era proprio per la celebrazione del sacrifico eucaristico che aveva accettato il sacerdozio ed era proprio questo uno degli scopi per cui aveva voluto vivere nel Sahara e fondare una congregazione, perché il Signore attraverso l’eucaristia prendesse possesso del suo Regno. Notiamo che non per questo cambierà lo scopo delle sue fondazioni. Egli continuerà a scrivere che i piccoli fratelli e le piccole sorelle avranno nell’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento il loro centro e il loro modo di evangelizzare tra gli infedeli22. Unico sacerdote che lo poteva fare, è venuto a Tamanrasset per vivere con i Tuaregs e con loro vuole restare, per loro vuole vivere quella “carità spirituale [che] dagli apostoli i più grandi santi hanno sacrificato in certe occasioni la possibilità di celebrare”23. Fratel Carlo nel suo itinerario spirituale può fare questa scelta perché, come Gesù Cristo, egli si è fatto eucaristia, dono del suo amore, della sua carità verso i fratelli più poveri: “Non c’è, credo, parola del vangelo che abbia fatto su di me una più profonda impressione e trasformato di più la mia vita che questa “Tutto quello che fate a uno di questi piccoli, voi lo fate a me...”24. E’ lo stesso culto del Corpo di Cristo. Non solamente presenza reale di colui che si dona per essere contemplato, mangiato e offerto, ma presenza reale in un popolo, nei fratelli, presenza di una vita offerta. Vita offerta a Dio e agli uomini, come quella di Gesù. Questa è un volto del mistero di Nazaret al quale non aveva pensato. Non avrà più niente da offrire se non se stesso e allora sarà quasi obbligato ad essere fra i Tuaregs puro testimone dell’amore divino, senza apparenza e gloria, ma al modo eucaristico, cioè nel dono di sé. Lo potrà fare nella terribile carestia del 1908, quando per poter sfamare i bambini rischierà di morire lui stesso. Questa offerta avrà il suo apice il 1° dicembre 1916. E’ la data della morte di Fratel Carlo. Una morte che aveva tanto atteso e che voleva come dono totale di se stesso: “Fatemi dare tutto all’unico Beneamato: tutto me stesso e tutto quello che è mio: il profumo e il vaso, l’anima e il corpo: tutto...”25, sostenuto dal pensiero di poter morire martire, di poter dare a Gesù la più grande prova d’amore che un amico possa dare all’amico, morendo per Lui (Gv 15, 13): C. Sah., 527. Règlements, 110-114. 23 C. Sah., 527. 24 L’Aventure, 210. 25 Lo spirito, 246. 21 22 8 “Mio Signore Gesù, sei morto, e morto per noi! ... Se avessimo veramente fede in ciò, come desidereremmo morire e morire martiri, come desidereremmo morire nelle sofferenze invece di temerle. [...] Per qualunque motivo ci uccidano, se noi, nell’anima, riceviamo la morte ingiusta e crudele come un dono benedetto dalla tua mano, se noi te ne ringraziamo come una dolce grazia, come di una beata imitazione della tua fine, se noi te la offriamo come un sacrificio offerto con gran buona volontà, se non resistiamo per ubbidire alla tua parola: “Non resiste al male” e al tuo esempio: “Si è lasciato non soltanto tosare ma sgozzare, senza lamentarsi”, allora qualunque motivo abbiano per ucciderci, moriremo nel puro amore e la nostra morte sarà per te un sacrificio di gradevolissimo odore e, se non un martirio nel senso stretto della parola e agli occhi del mondo, lo sarà ai tuoi occhi e sarà una perfetta immagine della tua morte e una fine amorevolissima che ci condurrà diritti in cielo... Poiché, se non abbiamo offerto in questo caso il nostro sangue per la nostra fede, l’avremo con tutto il nostro cuore offerto e sparso per amore di te”26. La morte realizzava completamente il suo più grande desiderio: essere fatto simile in tutto al suo beneamato Signore e fratello Gesù. Compimento del mistero di Nazaret: “Silenziosamente, segretamente come Gesù a Nazaret, oscuramente, come Lui, passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte […] poveramente, laboriosamente, […] disarmato e muto davanti all’ingiustizia come Lui, lasciandomi come l’Agnello divino tosare e immolare senza fare resistenza ne parlare, imitando in tutto Gesù a Nazaret e Gesù sulla Croce”27. Alla fine del suo itinerario aveva capito che non basta vivere semplicemente con Gesù a Nazaret adorando e godendo della sua Presenza reale, occorre altresì essere salvatori e quindi portare la propria croce con Gesù e con Lui immolarsi su di essa: “Siamo vittime a vostro esempio, Beneamato Gesù, vittima per vostro amore, olocausto bruciante in vostro onore, per mezzo della mortificazione, la preghiera, esalandoci in pura perdita di noi stessi per voi solo, dimenticandoci radicalmente e consacrando tutti i nostri istanti a piacervi il più possibile... Siamo come voi “vittime per la redenzione di molti” unendo per la santificazione degli uomini le nostre preghiere alle vostre, le nostre sofferenze alle vostre, entrando profondamente a vostro esempio nella mortificazione per aiutarvi efficacemente nella vostra opera di redenzione, poiché la sofferenza è la condizione “sine qua non” per fare del bene al prossimo: ”Se il grano di frumento non muore, non dà niente...”... E siamo vittime per Dio e per gli uomini in vista di Dio solo; niente in vista di noi, niente in vista delle altre creature, tutto in vista di Dio solo, al quale noi dobbiamo rendere tutto, poiché riceviamo tutto da lui”28. Il giorno dopo sarà sepolto dalla gente di Tamarasset. Tre settimane dopo, il capitano De la Roche troverà, nel suo bordj, l’ostensorio e darà l’ostia ad un soldato, ex-seminarista, perché la consumi. Ultimo simbolo eucaristico che questa ostia, gettata per terra, come il corpo di colui che l’aveva consacrata e che aveva fatto della sua vita En vue de Dieu seul, 183-184. Carnet, 103-104. 28 Imitation, 145. 26 27 9 una eucaristia, realizzando pienamente e realmente il comando del Signore: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19). Per completare questa nostra riflessione possiamo, ancora una volta, fare riferimento all’eredità lasciata ai suoi piccoli fratelli. Abbiamo visto che l’adorazione e la celebrazione eucaristica sono state determinanti nella vita di de Foucauld, poiché, oltre che garantire la presenza di Gesù tra gli uomini, permettono di assumere uno stile di vita. Al punto che egli ha deciso di rendere queste due pratiche religiose molto presenti e praticate nelle regole per i Piccoli fratelli, le Piccole sorelle, i Fratelli e le Sorelle del Sacro Cuore di Gesù. Esse sono da lui considerate come pratiche religiose che definiscono e alimentano l’imitazione di Gesù. In particolare, la regola del 1899 prevede una forma di vita organizzata in modo che ogni movimento, ogni scelta, ogni spostamento, ogni relazione permettano l’adorazione perpetua di Gesù eucaristia; ogni spazio richiami la presenza di Dio e ogni sguardo sia rivolto costantemente alla santa Ostia. L’intenzione è quella di riprodurre, attraverso il significato e la pratica dell’adorazione eucaristica, l’ambiente della casa di Nazareth, la semplicità del divino focolare della sacra Famiglia, evitando tutto ciò che impedisce questa esperienza di intimità con Gesù. Anche se de Foucauld ha fatto delle regole che non sono state praticate, per la loro radicalità, tuttavia, esse permettono di comprendere il valore e la portata di Gesù eucaristia per lui. Infatti, se la celebrazione eucaristica permette di rivivere, ogni volta che è vissuta, la venuta di Gesù tra gli uomini, l’adorazione eucaristica permette di stare a lungo alla sua presenza. L’adorazione eucaristica, poi, non solo permette di conoscere Gesù e di fare esperienza di Lui, ma apre anche il cuore di chi adora il Santissimo Sacramento esposto, lo allarga, lo fa diventare come il Cuore di Gesù. Occorre, allora, fare spazio nella propria vita, nei rapporti, nella fraternità. Si richiede che tutto sia abbastanza “largo” in modo che ogni condizione di vita permetta l’esercizio della pietà e della carità verso tutti. Il cuore che imiterà, poco a poco, il Cuore di Gesù, diventerà capace di far traboccare l’amore ricevuto, espandendolo attorno a sé in ogni istante della giornata. Dunque, l’adorazione eucaristica è la condizione privilegiata che permette al credente di imparare a stare in relazione con Gesù e con quanti ci circondano, credenti o non credenti, ricchi o poveri. Essendo una preghiera silenziosa, essa “costringe” a compiere continui atti di sottomissione al mistero grande che è Gesù nell’Ostia, atti di umiltà, chiede di stare con gratuità dinanzi alla pochezza del “pane”, educa a compiere atti di sobrietà perché non conduce a fare cose, ma semplicemente a stare. L’adorazione eucaristica istruisce l’uomo in quanto pratica, lo induce a stare semplicemente dinanzi a Gesù, lo abitua ad ascoltare l’essenziale. Un ultimo testo di Charles de Foucauld, tratto dal cap. IX del regolamento per i Piccoli fratelli e le Piccole sorelle, ci aiuta a stare sul valore del mistero eucaristico celebrato e adorato. Lo possiamo ritenere come una preghiera rivolta al Signore, affinché ci aiuti a vivere meglio questo mistero: 10 “Supplichiamo il nostro beneamato Signore Gesù, sotto i nostri occhi nella Santa Ostia esposta, di farci la grazia di celebrare, di servire, di ascoltare il meno indegnamente possibile il divino sacrificio… È Lui Stesso che viene sull’altare, così realmente quanto Egli fu nella mangiatoia; è Lui Stesso, Dio e uomo, corpo e anima, che si offre a Dio come vittima per la Sua gloria e nostra salvezza, così realmente quanto Egli si offrì al calvario; è Lui Stesso che toccano le mani del Prete, così realmente quanto Lo toccarono le mani della Santissima Vergine… Supplichiamo la Santissima Vergine, San Giuseppe, Santa Maddalena, di metterci ai Suoi piedi come lo furono a Betlemme e al calvario… Supplichiamo Nostro Signore Gesù di creare in noi un cuore nuovo, «un cuore di carne al posto del nostro cuore di pietra», un cuore bruciante come il Suo, per avvicinarci a Lui, ascoltando, servendo, offrendo il divino Sacrificio, con qualcosa dell’amore infinito che Gli dobbiamo!… «Ecco lo Sposo che viene!… Sic Deus dilexit!»29 4. Per la riflessione 4.1. l’intensa relazione di Fr Carlo con l’eucaristia è stata una condizione di vita assunta progressivamente: pregare a lungo dinanzi al Santissimo Sacramento è significato per lui imparare un modo di vivere : è imparare da Lui a vivere la stessa gratuità di una presenza donata gratuitamente, nell’oscurità, nella fedeltà e nel silenzio; è entrare nella sua vita nascosta; nella sua vita data per la salvezza, sapendo affidarci al Signore gratuitamente e generosamente. E’ pure questa la mia esperienza? E l’esperienza che faccio fare alla mia gente nella messa domenicale ? (cf. n.31 “Trasmettere la fede battesimale). 4.2. Andando a seppellirsi tra i Tuaregs, Charles de Foucauld vuole portarvi Gesù, presente nell’eucaristia. Presenza che irradia per l’amore, la condivisione totale. Vivere l’eucaristia è entrare in questa dinamica missionaria, apostolica dove l’importante è l’offerta di sé : “Fate questo in memoria di me”, cioè “Diventate eucaristia” (Col 3,15). Ma è saper accogliere anche l’altro, membro del corpo di Cristo, come eucaristia per me. Cosa faccio e come lo divento con il popolo di Dio che mi è stato affidato o con le persone che incontro ogni giorno ? 4.3. Il vivere ai piedi del tabernacolo significa essere trasformati in Gesù, ma significa pure, nel silenzio adorante, portare a Lui il grido, le attese, la sete di quanti con noi e come noi lo cercano. Pur senza trovare sempre le risposte che vorremmo poter dare, crediamo che questo ministero contemplativo sia l’aspetto più fecondo, per quanto nascosto e non misurabile, della missione che il Signore e la Chiesa ci affidano per la salvezza dell’umanità? 29 Règlements et Directoire, 147-148. 1 NAZARET VISITAZIONE “L’intuizione nazaretana della missione” Il 19 maggio 1898, Charles de Foucauld scrive una lettera al Padre Jerome che si stava preparando al sacerdozio, invitandolo a non far altro che vivere per Dio solo e “amare gli altri ardentemente ma solo in vista di Dio, vedendoli quasi come in sogno, vivendo nell’universo come se fosse “solo con Dio solo”1. “Vedendoli quasi come in sogno”... perchè questi fratelli passino dal sogno alla realtà, Fratel Carlo dovrà fare ancora tanta strada e, paradosso della pedagogia divina, dovrà andare a vivere nel deserto, nel Sahara, per scoprirveli e dare la sua vita per loro, per essere salvatore con Gesù e come Gesù. A Nazaret Dio gli aveva fatto la grazia di scoprire come la sua vocazione alla vita nascosta potesse essere pure una vocazione all’apostolato. Fu questa una scoperta così notevole della sua vita, della sua vocazione e della sua missione che gli cambierà non solo lo sguardo, ma aprirà nuovi orizzonti e gli farà prendere decisioni importanti per la sua vita religiosa e per il suo futuro. Questa grazia la riceve meditando il mistero della Visitazione (Lc 1, 39-56): “Luca 1, 39...« In quei giorni Maria si alzò e partì in fretta verso la montagna, per una città di Giuda... ». Appena incarnato ispiro a mia madre di portarmi nella casa in cui nascerà Giovanni, al fine di santificarlo prima della sua nascita... Mi sono dato al mondo per la sua salvezza nell’incarnazione...”2 Notate che Fratel Carlo non medita sulla disponibilità e sulla prontezza della Vergine nell’aiutare la vecchia cugina Elisabetta, ma su Gesù che è salvatore ancor prima di nascere, poiché, ancor prima di nascere, in un modo non visibile, e quindi ‘nascosto’, ha santificato Giovanni Battista: “… Quello che la Vergine fa nella Visitazione, non è una visita a sua cugina per consolarla e per edificarsi reciprocamente con la recita delle meraviglie di Dio in loro, ed ancor meno è una visita di carità materiale per aiutare sua cugina negli ultimi mesi di gravidanza o nel parto;… ma molto di più che tutto questo: ella parte per santificare san Giovanni, per annunciargli la buona novella, per evangelizzarlo e santificarlo, non con le sue parole, ma portandogli in silenzio Gesù, in casa sua…”3 Da questa intuizione, come è nel suo stile, Charles de Foucauld deduce subito che nel silenzio e nel nascondimento può anch’egli lavorare alla santificazione dell’umanità: “Non è essa sola che spingo a lavorare, a santificare gli altri; spingo anche tutte le altre anime a cui mi do, fin dal momento in cui mi possiedono... Un giorno dirò ai miei apostoli: predicate; e darò loro la loro missione e traccerò loro le loro regole... Qui dico alle altre anime, a tutte quelle che mi Cette chère dernière place, 182-184. Crier l’Evangile, 20. 3 Considérations, 471. 1 2 2 possiedono e che vivono nascoste, ma che non hanno ricevuto la missione di predicare, dico loro, di santificare le anime portandomi tra di esse in silenzio: alle anime di silenzio, di vita nascosta, che vivono lontano dal mondo nella solitudine… do qui la loro missione e la loro regola, e dico loro: tutte, tutte, lavorate alla santificazione del mondo lavoratevi come mia madre; senza parola, in silenzio, andate a stabilire i vostri pii ritiri in mezzo a coloro che mi ignorano: portatemi tra di loro stabilendovi un altare, un tabernacolo, e portatevi il Vangelo non predicandolo con la bocca ma predicandolo con l’esempio, non annunciandolo ma vivendolo: santificate il mondo, portatemi al mondo, anime pie, anime nascoste e silenziose come Maria mi ha portato a Giovanni”4. Anche lui quindi è chiamato a predicare il vangelo con la sua vita di Nazaret, “senza parola, in silenzio” portandovi Gesù Cristo, “stabilendovi un altare, un tabernacolo e portandovi il Vangelo non predicandolo con la bocca, ma predicandolo con l'esempio, non annunciandolo ma vivendolo”. Ed intuisce che questa vita di Nazaret, può viverla non solo in Terra santa, ma anche tra coloro che ignorano Gesù e irradiare la salvezza di Cristo attraverso la presenza dell'Eucaristia e l’esempio evangelico della vita, nei paesi di missione, tra i : “popoli infedeli facendo ciò che Gesù fa fare qui a Maria! Si fa portare da lei in mezzo a coloro che vuole santificare, la fa rimanere in mezzo a loro, circondandoli, avendoli in essa e vivendo in questa famiglia una vita profumata di tutte le virtù evangeliche. I doveri di coloro che vivono della vita nascosta di Gesù nei confronti dei popoli infedeli sono gli stessi di portare Gesù in mezzo a loro, Gesù nella Santa Ostia, e di restare in mezzo a loro con questo divino Gesù. Adorandolo e vivendo una vita profumata di tutti i profumi del vangelo”5. Questa intuizione trasformerà in maniera straordinaria la comprensione della sua vita: fino ad ora aveva capito la sua vocazione alla vita di Nazaret come una vita nascosta, oscura, povera, austera nella preghiera e nel lavoro, vissuta “solo con Dio solo”. Ora il suo ideale è “d’imitare la Santa Vergine nel mistero della Visitazione portando come lei, in silenzio, Gesù e la pratica delle virtù evangeliche, non a casa di santa Elisabetta, ma tra i popoli infedeli, al fine di santificare questi sfortunati figli di Dio con la presenza della Santa Eucaristia e l’esempio delle virtù cristiane”6. Il mistero della Visitazione gli ha permesso di unificare la vita nascosta all’apostolato: ha capito di essere chiamato a collaborare all’opera della redenzione allo stesso modo della Vergine nel mistero della Visitazione. D’ora in poi non ci sarà più opposizione tra questi due aspetti: egli ha la certezza di poter vivere la vocazione di Nazaret - che rivendicherà sempre per sé - al di fuori del villaggio di Nazaret, anche se non sa ancora bene come. Notiamo pure che questa scoperta cambierà anche la sua attitudine verso il sacerdozio. Se arrivando a Nazaret era più che mai deciso a rifiutare il sacerdozio che lo avrebbe elevato ad uno statuto sociale incompatibile ai suoi occhi con la ricerca dell’ultimo posto, ora non si opporrà più a riceverlo. Crier l’Evangile, 20-21. La bonté, 212-213. 6 Voyageur, 120. 4 5 3 1. Dove lo spinge lo Spirito? Tralascio tutti i tentativi, un po’ strani, che fece presso il Patriarca di Gerusalemme, Mons. Piavi, e tutte le lettere che scrisse a questo proposito all’abbè Huvelin, che non ebbero mai un seguito positivo. Fallito il piano di trovare dei compagni, come gli proponeva Mère Elisabeth du Calvaire - che lo voleva prete e cappellano del suo monastero - pensa di acquistare il monte delle Beatitudini e di viverci come sacerdote-eremita costruendovi un santuario. Anche se questo progetto va in fumo gli resterà il desiderio di essere sacerdote e così all’inizio dell'agosto del 1900 lascerà Nazaret e ritornerà in Francia per consultarsi con il suo padre spirituale e prepararsi all’ordinazione sacerdotale. Su indicazione dell’abbé Huvelin, si preparerà all’ordinazione nel monastero di ND des Neiges, che lo aveva accolto all’inizio del suo itinerario spirituale. E qui a ND des Neiges, nell’elezione al ritiro di ordinazione sacerdotale - fatta nella festa del SS. Sacramento del 1901, spunta, quasi improvvisamente per la prima volta, l’idea di andare a vivere nel Sahara : “I miei ritiri per il diaconato e per il sacerdozio mi hanno mostrato che questa vita di Nazaret, che sembrava essere la mia vocazione, era necessario viverla non in Terra Santa, tanto amata, ma tra le anime più ammalate, le pecore più abbandonate. Questo banchetto divino, di cui ero diventato ministro, bisognava presentarlo non ai parenti, ai ricchi vicini, ma agli zoppi, ai ciechi, ai poveri, cioè alle anime mancanti di preti. Nella mia giovinezza, avevo percorso l’Algeria e il Marocco. In Marocco, esteso come la Francia, con dieci milioni d’abitanti, non c’è al suo interno un solo prete; nel Sahara, sette o otto volte più esteso della Francia e molto più popolato di ciò che si credeva nel passato, una dozzina di missionari! Nessun popolo mi sembrava più abbandonato di questo”7. Un desiderio che porterà con sé per tutta la vita, anche contro ogni speranza, poiché vedrà la Francia entrare e stabilirsi in Marocco, e lui, che aveva atteso per tanto tempo questo momento, non sarà chiamato8. A Beni Abbès, era giunto con un progetto ben chiaro: per lui era la prima tappa per entrare in Marocco, per esercitarvi un apostolato tutto teso all’evangelizzazione di questo paese abbandonato, perché, scrive, “manca [a questi fratelli di Gesù] tutto, dal momento che manca loro Gesù”9. Quindi, egli sbarca in terra d’Africa con una profonda e ben radicata ansia missionaria: vuole consacrare tutta la sua vita all’evangelizzazione. Qui, dicevo, c’è l’inizio della conversione, che, poco a poco, cambierà la vita di fratel Carlo: sarà obbligato ad uscire dall’idea della vita nascosta, cioè vissuta nella solitudine, separato da tutto e da tutti, per farsi solidale con gli altri uomini, specialmente con i più abbandonati. Dico inizio di conversione poiché Fratel Carlo andrà a Beni Abbés, dove arriva il Caron, 13-14. La Francia, dopo il protocollo del 20 luglio 1901 e gli accordi del 20 aprile e del 7 maggio 1902 per una collaborazione franco-marocchina, nel maggio 1907 entrerà in Marocco per appoggiare il sultano Moulay Hafid contro la rivolta del sud e poco a poco prenderà possesso del paese. Cfr. G. CARROUGES, CDF, Explorateur mystique, 257 e B. JACQUELINE, «Appel de CDF pour le Maroc», BACF, supplément au n° 110, avril 1993, 3. Il comando fu affidato al generale Lyautey, amico di CDF, che conosceva il suo vivo desiderio di entrare in Marocco. 9 CDF, Cette chère dernière place, 239. 7 8 4 28 ottobre 1901, con la ferma convinzione di vivere una vita monastica, un’esistenza nascosta, solitaria e povera, dove gli altri sarebbero venuti a cercarlo. Una delle sue prime preoccupazioni è di stabilire il muro di clausura, che ritiene fondamentale per la sua vita. Anche se non lo terminerà mai, resta però il segno di una mentalità ben precisa. A conferma di ciò che dico si può citare ciò che scrive a Henri de Castries: “Sono appena stato ordinato sacerdote e sto facendo delle pratiche per andare a continuare nel Sahara, “la vita nascosta di Gesù a Nazaret”, non per predicare, ma per vivere nella solitudine, la povertà, l’umile lavoro di Gesù, cercando di fare del bene alle anime, non attraverso la parola, ma attraverso la preghiera, l’offerta del Santo Sacrificio, la penitenza, la pratica della carità”10. Dietro questo desiderio si nasconde ancora il metodo pastorale monastico: “E’ l’antica evangelizzazione dei monaci e dei benedettini d’Occidente che sogno per i paesi musulmani e gli altri che il cuore dello Sposo vorrà”11. Gli servirà tutta la vita sahariana per scoprire sempre di più le conseguenze di questa conversione, cioè di fare della sua vita una vita veramente apostolica e veramente donata come quella di Gesù. Non sarà più una vita vissuta ‘solo con Dio solo’, come alla Trappa e a Nazaret, ma una vita vissuta per Dio solo a servizio dei fratelli, e dei fratelli più abbandonati. Vediamo come questo seme fiorirà e porterà frutto. Sarà proprio il monastero di Beni Abbés che gli farà compiere il primo passo. Poco a poco sarà conosciuto e proprio questi fratelli che accoglierà, gli faranno cambiare di prospettiva e inizierà a vivere in fraternità, a passare “dalla vita contemplativa alla vita del ministero...”12. E allora il suo “monastero” di Beni Abbès diventerà “la fraternità del S. Cuore”: un luogo “di preghiera e d’ospitalità [...] per far splendere il Vangelo, la Carità, Gesù”13. 2. Quale sono le caratteristiche di questa fraternità? a) La fraternità è quindi, prima di tutto, un edificio, concepito come un povero monastero e che rivela la sua spiritualità e il suo metodo pastorale: gli altri vengono a vederlo, come si fa in un monastero, e lui li accoglie in ‘foresteria’: “Essi cominciano a chiamare la casa “la fraternità” (Khaoua14 in arabo) e questo mi è caro”15. E allora la vita che avrebbe dovuto essere il più possibile eremitica si colma di incontri: “La fraternità, silenziosissima durante la notte e dalle 10 alle 15 (periodo in cui molti dormano e gli altri non escono), è un alveare dalle 5 alle 9 del mattino e dalle 4 alle 8 della sera...”16. Castries, 98-99. C. Sah., 961-962. 12 CDF, Lettre inédite du 27 janvier 1902 à sa sœur. 13 Castries, 87. 14 Castries, 113. 15 G. GORREE, Sur les traces, 127. 16 Bondy, 90. 10 11 5 Per questo deve iniziare la sua giornata molto presto. Si alza prima dell’alba per poter celebrare senza essere disturbato, ma lo chiamano in continuazione, perfino durante il ringraziamento alla santa Messa: “celebro la messa, alla quale non assiste mai nessuno nei giorni feriali, prima che faccia giorno per non essere disturbato dal frastuono e per poter fare un po’ tranquillamente il ringraziamento, ma ho un bel da fare ad alzarmi di buon’ora: durante il ringraziamento mi chiamano sempre tre o quattro volte”17. Sempre alla cugina scrive che “dalle quattro e mezza del mattino alle otto e mezza di sera non finisco di parlare e di vedere gente: schiavi, poveri, malati, viaggiatori, curiosi. Curiosi me ne capitano raramente, ma gli schiavi, gli ammalati e i poveri aumentano più che diminuire”18. Scriveva pure a Mgr. Guérin: “sono oberato dalle occupazioni esteriori e la mia vita è diventata da contemplazione, una vita di ministero... Però basta che sia come GESÙ la vuole, che importa !”19 e all’amico Henri de Castries: “sono schiavo, schiavo di GESÙ... la mia vocazione ordinaria è la solitudine, la stabilità, il silenzio... ma se credo, in via eccezionale, di essere chiamato a un’altra cosa, non ho che dire “Ecce ancilla Domini”, l’amore obbedisce sempre quando l’amore ha Dio per oggetto”20. b) La fraternità è poi lui che arrivando in terra africana, si era proposto di “abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, ebrei, idolatri, a considerarmi come loro fratello, il fratello universale”21, per poter meglio imitare Gesù a Nazaret nella sua vita comune con tutti i suoi concittadini. L’essersi messo a metà strada tra il villaggio e la guarnigione francese, sembra essere un segno di questa fraternità: Fratel Carlo vuole essere un “ponte” che unisce ogni uomo all’altro, a colui che gli è prossimo. E sappiamo come sia difficile ancor oggi, ma di più nel suo tempo di piena colonizzazione, far legare due popoli di cui uno si sente superiore all’altro e quindi estraneo al suo modo di vita e di pensiero. Mi sembra che ora Fratel Carlo ha scoperto la pienezza della sua vocazione: egli sarà il fratello di tutti gli uomini, il ‘fratello universale’ come il suo beneamato fratello e Signore Gesù, che incarnandosi a Nazaret si è fatto fratello di ogni uomo, “senza eccezioni o distinzione”22. Questa prossimità, sempre sull’esempio di Gesù che si è fatto solidale con gli uomini, specialmente con i poveri e gli ultimi, si concretizza nella carità. Con tutti coloro che vengono a chiedere un po’ di carità, egli ne approfitta per “condividere la mia felicità. [...] Egli [Gesù] ci ha detto che siamo tutti fratelli, figli di uno stesso Padre, e che dobbiamo amare ogni anima come noi stessi... per obbedirgli, per amarlo, bisogna dunque che io cerchi di condividere la mia felicità con i miei fratelli...”23. E per gli ammalati giunge perfino a dispensarsi Bondy, 91. Bondy, 90. 19 C. Sah., 59. 20 Castries, 154. 21 G. GORREE, Sur les traces, 127. 22 G. GORREE, Amitiés sah., II, 26. 23 Castries, 160. 17 18 6 dalla clausura, per lui cosa intoccabile: “Per i malati, faccio quello che posso, uscendo dalla clausura ogni volta che c’è qualcuno ammalato gravemente e vado a vederlo ogni giorno”24. Proprio per questa sua attività caritatevole sarà chiamato: “le marabout, è il nome che già tutti gli indigeni mi danno; io mi trovo benissimo con loro, essi del resto sono bravissima gente”25. Man mano che la residenza a Beni Abbès si prolunga Charles de Foucauld passa dalla semplice carità a scoprire le necessità spirituali e materiali dei suoi abitanti: “Ci sono molte opere da installare qui: quella degli schiavi (è per ora la più urgente e la più importante), quella dei viaggiatori poveri, dei poveri malati, dei soldati e degli ufficiali, poi le relazioni con i marabouts, gli altri musulmani e i giudei”26. Da uomo metodico fa un elenco minuzioso di tutte le opere principali che si potrebbero stabilire a Beni Abbès. Non dimentica nessuno: schiavi, poveri, soldati, malati, musulmani, giudei, orfani. La sua bontà diventa per gli uni difesa, per gli altri carità, per tutti amicizia e per i soldati anche ministero pastorale. Ogni sera dà la benedizione eucaristica: “Vengono in chiesa abbastanza soldati perché possa fare loro una lettura e una breve spiegazione del S. Vangelo. Dopo questa istruzione, che dura circa venti minuti, c’è la benedizione del SS. Sacramento e la preghiera della sera”27. Soprattutto egli scopre la miseria dei poveri e tra di loro dei più poveri, cioè degli schiavi. In loro favore e in nome del vangelo si lancia nella lotta contro questa piaga che costituisce, ai suoi occhi, una vergogna e un’ingiustizia, approvata dalle autorità francesi in questa loro colonia del Sahara. Vede la loro triste situazione, la loro miseria e non può tacere in nome della fraternità, che lo lega ad ogni uomo. Vuole aiutarli, li accoglie alla fraternità inizia a riscattarne alcuni, ma vi rinuncerà presto sia per mancanza di soldi sia perché si accorge che non è il metodo migliore. Scrive a H. de Castries, a Mgr. Guérin, il quale ne parlerà a Mgr. Livinhac, e a Mgr. Bonnet, a ND des Neiges perché facciano dei passi presso le autorità politiche, la società antischiavista e per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa grave piaga. Non tocca a lui fare tutto questo poiché ha scelto la vita di Nazaret, ma non può rinunciare a rendere coscienti i suoi superiori in nome del Vangelo. E anche quando Mgr. Guérin, timoroso della reazione del governo francese anticlericale, lo richiamerà ad una maggiore discrezione e all’obbedienza, lo farà, ma a malincuore. E pur usando la discrezione e la pazienza chiestagli dal suo Prefetto Apostolico, sa che essi, in quanto sacerdoti, non hanno “il diritto d’essere dei cani muti e delle sentinelle mute: bisogna gridare quando vediamo il male e dire ad alta voce: “Non è permesso” e “guai a voi ipocriti”28. c) Fraternità sarà poi l’insieme di fratelli/monaci, uniti dall’amore di Gesù (Iesus+Caritas), hanno come modello il S. Cuore, viventi all’ombra dell’eucaristia, come piccoli fratelli di Gesù, aperti ai loro fratelli, facendosi carico della loro salvezza: C. Sah., 131. G. GORREE, Amitiés sah., II, 25. 26 C. Sah., 60. 27 Cette chère dernière place, 269. 28 C. Sah., 78. 24 25 7 “Di fronte ad ogni anima, avranno senza sosta davanti agli occhi la loro missione verso ognuna di esse: questa missione è di salvarla. In ogni uomo, buono o cattivo, amico o nemico, benefattore o carnefice, cristiano o infedele, ciò che vedranno, è un’anima da salvare: si faranno “tutto a tutti per salvarli tutti”; odieranno il male, ma questo odio mai impedirà loro di amare gli uomini; portandoli tutti nel loro cuore, anche i più perversi, come il Cuore di Gesù, saranno gli amici universali per essere i salvatori universali: discepoli, imitatori e membri di Gesù, la loro vita avrà lo stesso scopo della Sua, salvare gli uomini in vista di Dio, e deve come la Sua, riassumersi ed esprimersi con il nome Gesù, Salvatore”29. 3. Tamanrasset :“Essere piccolo e povero come lo fu Gesù a Nazaret” Charles de Foucauld, dopo lunghe esitazioni, accetta l’invito del comandante Lapperine ad accompagnarlo nelle tournée che farà nell’Hoggar “pour apprivoiser” i Tuaregs recentemente sottomessi alla Francia. Restando sempre chiuso il Marocco, vede, in questo invito, aprirsi dinanzi a sé un immenso campo per l’evangelizzazione che lo attira e, a suo parere, lo prepara eventualmente anche a quello marocchino. Inoltre in questa decisione ad accettare l’invito per il sud gioca pure in lui la responsabilità di essere l’unico sacerdote che può andare nell’Hoggar, proprio in nome dell’amicizia che lo legava al comandante Laperrine che lo aveva invitato personalmente. Ci sembra proprio questo suo desiderio di far conoscere Gesù e di seguire la volontà di Dio manifestatasi negli avvenimenti, uno dei motivi che prima gli fa nascere il desiderio e in seguito gli dona la forza per stabilirsi fra i Tuaregs. Realizza così ciò che nel 1903 aveva scritto al suo Prefetto Apostolico: “Voi mi chiedete se sono pronto ad andare in altri posti diversi da Beni Abbès per la diffusione del santo Vangelo? Sono pronto, per questo, ad andare fino in capo al mondo e a vivere fino al giudizio finale”30. Da parte sua Charles de Foucauld sceglie Tamanrasset perché risponde maggiormente al suo ideale di Nazaret: è un luogo abbandonato, senza grande futuro, dove potrà vivere una vita umile, povera e nascosta e “con le sue quaranta famiglie di poveri coltivatori, è proprio come Nazaret e Betlemme al tempo di Nostro Signore”31. E si propone un nuovo stile di vita, dove risplende, con maggior chiarezza, la vita di Nazaret: “Vivere la vita di Gesù a Nazaret secondo il regolamento dei piccoli fratelli del sacro CUORE di GESÙ. Essere così piccolo e povero come lo fu GESÙ a Nazaret. Non cercare, come a Beni Abbès, di preparare il nido; Dio darà il nido se invia delle anime. Non cercare, come a Beni Abbès, di fare delle grandi elemosine: dare il sovrappiù nella misura che c’è, come lo facevano GESÙ, Maria e Giuseppe a Nazaret; non cercare di dare, essendo solo, l’elemosina e l’ospitalità come lo farebbe una fraternità di 25 piccoli fratelli: nel dubbio conformarmi sempre a ciò che faceva GESÙ a Nazaret” 32. Essere piccolo per essere fratello universale, per poter giungere, come Gesù, nel cuore di tutti e di tutti farsi carico, intercessore. Qui, ancora una volta, il mistero della vita di NazaRèglements, 228. C. Sah., 155. 31 Bondy, 181. 32 Carnet, 102. 29 30 8 ret raggiunge il mistero della Croce, il cooperare cioè, nel silenzio e nel segreto “come Gesù a Nazaret”, alla redenzione dell’umanità. Ci sembra che Fratel Carlo raggiunga qui quella profondità e quell’ampiezza che non gli era più familiare durante gli anni di Beni Abbés; ora si tocca quasi con mano il desiderio di essere immagine vera di Gesù a Nazaret al quale vuole assomigliare poiché, come aveva detto tante volte, “la nostra perfezione sta nell’essere simili a lui”33. Nel rispondere alla domanda dell’esametro sul “come” vivere fra i Tuaregs, scrive: “Silenziosamente, segretamente, come GESÙ a Nazaret, oscuramente, come lui “passare sconosciuto sulla terra, come un viaggiatore nella notte”, “aquae Salvatoris vadunt cum silentio”, poveramente, laboriosamente, umilmente, dolcemente, con bontà come lui, “transiens benefaciendo”; disarmato e muto davanti all’ingiustizia come lui, lasciandomi come l’Agnello divino, tosare e immolare senza resistere, né parlare, imitando in tutto GESÙ a Nazaret e GESÙ sulla croce, e nel caso di dubbio sulla maniera di vivere e di seguire il regolamento dei piccoli fratelli del sacro Cuore di GESÙ, conformarmi sempre alla vita di GESÙ a Nazaret e di GESÙ sulla croce, poiché il primo dovere dei piccoli fratelli del S. CUORE e il mio, il primo articolo della loro vocazione e della mia, del loro regolamento e del mio, quello che per loro e per me è scritto da Dio, “in capite libri” è d’imitare GESÙ nella sua vita di Nazaret e quando sarà l’ora di imitarlo nel suo cammino della croce e nella sua morte”34. Morendo sulla croce, Gesù esprime la sua volontà di servire e di consegnare se stesso per amore (Gal 2, 20). Dicevamo già che questo è l’effetto e la continuazione dell’atteggiamento di tutta la sua vita, tendente a vivere e a morire per Dio e per gli uomini. E’ la “proesistenza” che è totale solidarietà di vita con noi, fino alla morte di croce. La sua solidarietà con noi è stata totale, fuorché nel peccato (Eb 4, 15) ed è stata universale, perché a beneficio di tutti gli uomini (Eb 2, 9). L’imitazione del Signore non è soltanto la vita intima e cordiale di Nazaret, ma è anche farsi solidari con i fratelli come Gesù e morire come Lui e con Lui perché Egli abbia la possibilità di salvare per mezzo nostro. La “kenosi” diventa così un’esperienza, una pratica pasquale, un “ritrovare la propria vita, perdendola” (Mt 10, 39) a favore dei fratelli (Cf. pure Mt 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; 17, 33; Gv 12, 24-25). “Gesù Cristo soffrendo per noi […] ci ha dato l’esempio perché seguiamo le sue orme” (GS 32) e, giustamente, Frère Charles ha capito che il mistero della croce fa parte del mistero di Nazaret, proprio perché mistero di redenzione. Sempre sull’esempio di Gesù che non fu solidale con noi per costrizione, ma per amore, per libera adesione all’iniziativa del Padre (Eb 10, 5-9), così anche Charles de Foucauld non vuole essere solidale con i fieri Tuaregs per fatalità, ma perché questa è la via della sequela e dell’imitazione di Gesù Cristo. Se egli vuole manifestare la salvezza di Cristo “nel cuore dell’Hoggar”35, non può farlo se non raggiungendo i Tuaregs là dove sono, cioè nella loro esistenza dura e trasformare, con la carità di Dio, questa stessa esistenza in un cammino di liberazione, di redenzione, agendo in mezzo a loro: L’esprit de Jésus, 143. Carnet, 103-104. 35 C. Sah., 366. 33 34 9 “Soprattutto con amore, guardando, contemplando senza sosta il Beneamato GESÙ durante il suo lavoro quotidiano, vegliando la notte nell’adorazione della divina ostia e la preghiera, dando sempre allo spirituale il primissimo posto, imitando GESÙ a Nazaret nel suo amore immenso per Dio più che nel resto. Facendo scorrere, splendere questo grande amore di DIO e di GESÙ su tutti gli uomini “per i quali Cristo è morto”, “riscattati a caro prezzo”, “amandoli come Egli li ha amati”, e facendo tutto il mio possibile, tutto quello che Egli faceva a Nazaret per salvare le anime, santificarle, consolare, confortare, in Lui, per Lui, come Lui”36. Conclusione 1. Il mistero della visitazione secondo l’intuizione di Fr. Carlo è un nuovo modo di fare missione, di trasmettere la fede. Il mistero di Nazaret diventa stile di missione: un ritornare alle sorgenti del vangelo, per riuscire a testimoniare con la qualità della propria vita evangelica l’alto destino, cioè la santità, al quale Dio ci chiama. E’ quindi una evangelizzazione non più portata avanti con spirito di conquista e di crociata, ma con quell’attitudine contemplativa che consente di discernere i segni del Risorto presenti in ogni persona, in ogni avvenimento e viverle con quello stesso stupore che ebbe Elisabetta nell’accogliere Maria nel mistero della Visitazione. Ce lo ricorda pure il vescovo nella lettera “Trasmettere la fede battesimale” quando scrive: “Quanto maggiori sono le responsabilità nell’opera evangelizzatrice, tanto più si deve avere coscienza del nostro bisogno di essere evangelizzati, ossia trasformati, noi per primi, dal di dentro dallo Spirito del Signore, convertiti dalla sua Parola, radicati nel suo amore” (n.23) e ancora la n. 24 : “Il fondamento del compito missionario (non lo si ripeterà mai abbastanza!) si trova nel lasciare che il Signore sia sempre di più il vero fondamento della nostra vita: più saremo inseriti in Lui, più desidereremo che altri giungano a conoscerlo, ad amarlo e a seguirlo!”. Come entro in questa prospettiva, in questo modo di fare missione, di trasmettere la fede? 2. Il mistero di Nazaret non è dare spazio ad una fede anonima e dimissionaria nei confronti della testimonianza cristiana, ma un ritorno benefico alla radicalità evangelica, al dono si sé, nella pro-esistenza. Donazione che si dispiega all’interno di relazioni umane di amicizia, solidarietà, amore, tenerezza. Essa domanda anche a noi oggi la capacità di declinarsi come fraternità, come capacità di creare fraternità in cui uomini e donne vivano insieme gratuitamente, semplicemente per onorare il primato dell’evangelo, e narrare che vale la pena vivere e morire per Cristo, di essere “animatori spirituali” delle comunità e dei singoli (cf. Seguire Gesù maestro, n.63). Cosa faccio o come costruisco queste comunità nel mio ministero? LA VISITAZIONE Mons. Luciano Monari 0. Terminiamo il nostro cammino con la lectio brevis (come normalmente si fa), che prendo dal testo molto bello della “Visitazione”, perché ci può introdurre nella visione di Maria nella prospettiva del discepolato, e credo sia preziosa e consolante. 36 Carnet, 104. 10 «[39]In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. [40]Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. [41]Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo [42]ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! [43]A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? [44]Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. [45]E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore. [46]Allora Maria disse: L’anima mia magnifica il Signore [47]e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1, 39-47). 0.1. La lettura etica della “Visitazione” Di questo testo c’è una lettura, molto semplice, di tipo etico. Maria è in qualche modo esempio di amore fraterno e di sollecitudine. Maria venuta a sapere di Elisabetta che ha concepito, quindi del periodo di gestazione che Elisabetta sta vivendo, si affretta ad incontrala per accompagnarla in questo periodo, che è evidentemente delicato e chiede anche attenzioni e cure particolari; quindi è un segno di carità, di sollecitudini e di servizio fraterno. In realtà il testo non insiste molto su questo, non c’è un elogio di Maria perché è caritatevole o di questo genere di cose. L’unico elemento che può farlo pensare è il fatto che Maria si ferma tre mesi in casa di Elisabetta (cfr. Lc 1, 56); “tre mesi” che sono stati evidentemente un’immagine di condivisione di vita, di aiuto e di sostegno reciproco. Però proprio il fatto che siano “tre mesi” è significativo; perché vuole dire che, quando il bambino nasce, Maria lascia Elisabetta e torna a casa sua; quindi quando il bisogno di aiuto diventava forse ancora più grande. 1. La lettura teologica della “Visitazione” Probabilmente quella corretta, come è nella logica del Vangelo, è la lettura teologica. L’angelo ha annunciato a Maria la nascita, il concepimento, del Figlio a Maria, e le ha dato come segno il concepimento di Elisabetta: «[36]Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: [37]nulla è impossibile a Dio» (Lc 1, 36-37). Sono queste parole che spingono Maria ad andare in fretta verso la montagna e raggiungere una città di Giuda (cfr. Lc 1, 39). 1.1. Il segno del concepimento di Elisabetta è l’occasione per riconoscere le «grandi opere di Dio» Il segno – che è il concepimento di Elisabetta – va inteso non come il sostegno della fede, che evidentemente Maria non ne ha bisogno dopo tutto quello che ha detto all’angelo; ma come l’occasione per riconoscere le «grandi opere di Dio» (At 2, 11), e rispondere a queste opere con la lode, lo stupore e il ringraziamento. Il concepimento di Elisabetta è dono di grazia. Elisabetta è sterile, sono anziani, la loro speranza sembrava senza possibilità di compimento. Ebbene, “Dio ha operato 11 cose grandi” (cfr. Lc 1, 49). Evidentemente, dove Dio opera cose grandi, è giusto e fondamentale che l’uomo lodi e benedica. Il cammino di Maria è per condividere la grazia del Signore e per intonare insieme con Elisabetta il “cantico di lode” (cfr. Lc 1, 46-55); lo scopo è essenzialmente questo, quindi di preghiera e di rendimento di grazia al Signore. 1.2. Il saluto di Maria a Elisabetta, Shalom Ora è significativo che Maria, quando entra in casa di Zaccaria, saluta. Il saluto è quello normale e quindi possiede quel significato di augurio che ha sempre, e in particolare, la parolina Shalom. Solo che questo saluto sembra creare uno sconvolgimento pieno nella casa di Zaccaria, perché: il “bambino sussulta di gioia nel grembo di sua madre”, la “madre diventa piena di Spirito Santo”, la madre incomincia a intonare una benedizione rivolta a Maria, Maria risponderà a questa benedizione con il Magnificat rivolto come rendimento di grazia a Dio. Insomma, sembra che quel “saluto” sia come l’inizio di una reazione a catena che coinvolge tutti quelli che ci sono: il bambino, – i bambini, – le madri. L’interpretazione spirituale di Elisabetta – “spirituale” nel senso che è in Spirito Santo – fonda la lode di Maria. 1.2.1. Al centro c’è l’incontro dei due bambini: di Giovanni Battista e di Gesù Che cosa vuole dire allora tutto questo? Fondamentalmente vuole dire: al centro c’è l’incontro dei due bambini, di Giovanni Battista e di Gesù. Normalmente l’incontro tra Gesù e Giovanni Batista avviene al momento del Battesimo. Giovanni Battista al momento del Battesimo riconosce in Gesù il Messia, e nel vangelo secondo Matteo tanto lo riconosce che dice: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?» (Mt 3, 14). In qualche modo vorrebbe non battezzarlo, ritrarsi indietro. E Gesù deve dire: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia» (Mt 3, 15); “bisogna che facciamo la volontà di Dio, tu e io insieme”. Quindi ci sarà l’incontro, ed è un incontro di riconoscimento. Nel vangelo di Luca in realtà questo non c’è. Perché è vero che c’è il battesimo di Gesù, ma sembra che ci sia senza Giovanni il Battista (cfr. Lc 3, 21-22). Ma non è vero! Perché prima del battesimo di Gesù è stata data la notizia dell’incarcerazione di Giovanni il Battista, e l’incontro non viene raccontato, descritto (cfr. Lc 3, 19-20), perché nel Battesimo secondo Luca l’ottica fondamentale è la rivelazione divina nei confronti di Gesù. Ebbene, quello che normalmente è al Battesimo, lo abbiamo qui nella Visitazione. Qui Giovanni Battista riconosce Gesù. “Giovanni Battista” vuole dire: il profeta, l’ultimo dei profeti, che riassume tutta la profezia, l’attesa di Israele (cfr. Mt 11, 7-15); in Giovanni Battista è tutto l’Israele della speranza che viene incontrato da Gesù. E Gesù viene evidentemente riconosciuto 12 come il compimento di questa speranza, come il Messia, come l’atteso (cfr. Mt 16, 1617). Il Battista, è profeta prima ancora di nascere; è profeta con quel suo “saltare”, “esultare”, nel grembo di sua madre. 1.2.2. Il discorso della “gioia messianica” Anzi addirittura (in queste cose un po’ si può esagerare) qualcuno insiste sul fatto che il “verbo” indica anche una danza, ed è la danza davanti all’“arca dell’alleanza” quando viene portata a Gerusalemme (cfr. 2 Sam 6, 4-5); forse non si può insistere più di tanto, ma è per dire la gioia; siamo di fronte ad una realtà di una risposta di esultanza. Allora il nostro brano fa parte di tutti quei testi lucani del Vangelo dell’infanzia che insistono sulla gioia: «ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: [11] oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2, 1011). Ma questo discorso della “gioia” nel Vangelo dell’infanzia ritorna fuori quattro volte in due capitoli (cfr. Lc 1, 28.44.47; 2, 10); s’intende, ritorna fuori anche nel corso del Vangelo di Luca. La gioia di Zaccheo quando accoglie Gesù nella sua casa è evidentemente la stessa gioia (cfr. Lc 19, 6), è ancora “la gioia messianica”, che traduce in esperienza umana la gioia stessa di Dio: «ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 7). Cioè tutto questo contesto della rivelazione divina in Gesù è un contesto di gioia. E la gioia si manifesta nel “muoversi del bambino nel grembo di sua madre”. Chiaramente il movimento del bambino vorrebbe dire niente; chissà quante madri sentono il bambino che si muove nel loro utero. 1.2.3. La Benedizione è la vita Ma il problema è che questo movimento è accompagnato dalla profezia di Elisabetta: «Elisabetta fu piena di Spirito Santo [42]ed esclamò a gran voce…». Quindi profeta è il bambino perché esulta, e profeta è la madre che interpreta l’esultanza del bambino, e la interpreta in rapporto a Maria stessa: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!». Questa benedizione è il riconoscimento che Dio ha operato in Lei e nel Bambino cose grandi, che Maria e il Bambino portano la pienezza di vita che è il dono di Dio. La “Benedizione è la vita” (cfr. Dt 30, 19). Questa benedizione riferita a Maria è evidentemente il riconoscimento che Maria è una sorgente straordinaria di vita; quel Bambino che Lei porta è colui che donerà la vita al mondo, sia dunque benedetto quel bambino e sia benedetta la madre che lo porta. «[43]A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? [44]Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo». E questo è forse l’aspetto significativo che mi interessava. Allora, il Salvatore è Gesù, chi fa esultare il Battista (cioè Israele) è Gesù; ma Gesù è portato da Maria, e l’ingresso di Gesù in quella casa è segnato dal saluto che Maria ha 13 rivolto a quella casa: «appena la voce del tuo saluto è arrivata ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo». Cioè l’elemento che fa scattare il tutto è il saluto di Maria; è la sua presenza che diventa portatrice della presenza del Messia e quindi della presenza del Salvatore. 2. Il discorso della “Visitazione” Alla fine il discorso è tutto lì (e non dico altro che questo). Il discorso della Visitazione è: Il significato di Maria e la sua grandezza è nel fatto che porta dentro di sé il Verbo di Dio, il Figlio di Dio fatto carne. Proprio perché lo porta dentro di sé, dovunque vada annuncia, trasmette e comunica la gioia che viene da questa presenza della parola di Dio, del Figlio di Dio, del Verbo di Dio incarnato. Maria è lo strumento attraverso cui: – Gesù può incontrare Israele; – il Figlio di Dio può incontrare l’umanità; – quel Bambino può incontrare la casa di Zaccaria e il profeta Giovanni. Maria è la portatrice, è lo strumento di questo. 2.1. La Visitazione contiene il nucleo fondamentale della missione Evidentemente piacerebbe a tutti, credo, avere una capacità di saluto simile a quella di Maria, potere salutare e trasmettere in questo modo la gioia messianica, potere dire Shalom e ottenere in questo modo che chi ascolta viene trasformato dentro e ha una capacità di gioia e di esultanza perché sente in quel saluto una possibilità di vita e di salvezza che gli è offerta. Nella settima meditazione leggevamo nel Vangelo di Matteo (Mt 10, 12) che il missionario. che porta il Vangelo. “entrando in una casa deve portare il saluto”, deve dare il saluto come quello che ha fatto Maria; se riuscisse a farlo come lo ha fatto Lei, sarebbe uno straordinario missionario che con la sua presenza introduce il Figlio di Dio dentro al tessuto dell’esistenza umana; e essere missionari non è un’altra cosa, è proprio questo. Maria non è missionaria nel senso del titolo o tutto quello che volete, ma la visita a Elisabetta, questa Visitazione, contiene il nucleo fondamentale della missione. 2.1.1. Maria ha il potere di salutare perché ha concepito il Verbo innanzi tutto nella sua fede e poi nella sua carne. Allora viene da dire: come mai e perché? Perché Maria è in grado di salutare con questa energia di gioia e di salvezza? E la risposta è evidentemente nelle parole di Elisabetta: «[45]E beata colei [tu] che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». Detto in altri termini. Maria ha questo potere perché ha concepito il Verbo e lo porta dentro di sé; ma questo avviene per la fede con cui ha ascoltato la parola di Dio e l’ha accolta nella docilità. È questo atteggiamento che ha permesso a Maria di diventare “l’arca dell’alleanza” (cfr. 2 Sam 6, 1-23), che porta la presenza di Dio dentro di sé nella sua carne. 14 Sant’Agostino insiste frequentissimamente sul fatto che “Maria è diventata Madre del Figlio di Dio innanzitutto nella sua fede e poi nella sua carne”; prima nella mente con cui ha detto di sì alla Parola, e poi nella carne dove il Verbo ha posto la sua abitazione, “la sua tenda” (cfr. Es 40, 34-38), ma a motivo di quel sì, dell’adesione radicale di fede. 2.2. L’Annunciazione è il racconto della vocazione di Maria A questo punto varrebbe la pena ritornare indietro al racconto dell’Annunciazione, che è il racconto della vocazione di Maria. Non lo riprendiamo tutto (perché il commento di questo sarebbe evidentemente lungo), però m’interessa sottolineare tre cose. 2.2.1. Tutto parte dall’iniziativa di Dio La prima, che tutto parte dall’iniziativa di Dio. «[26]Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, [27]a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1, 26-27). Tutti i commentatori insistono a fare notare il confronto con la prima annunciazione del vangelo si san Luca, quella a Zaccaria nel tempio di Gerusalemme (cfr. Lc 1, 822). Perché il contesto della prima Annunciazione è il più solenne che si possa immaginare, perché avviene: ad un sacerdote, nel luogo più sacro della religione ebraica, nel momento della preghiera, quando tutto il popolo è in attesa e sta pregando. Mentre il contesto della seconda Annunciazione è umile, non ci sono grandi personaggi, e non siamo in luoghi importanti ma addirittura in quel luogo un poco risibile che si chiama “Nazaret”, che non è neanche una città. «[46] Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1, 46), può dire Natanaele (che non era neanche di una metropoli perché veniva da Cana, cfr. Gv 21, 2); ebbene, lì a Nazaret c’è l’iniziativa di Dio. Come dicevamo nella settima meditazione, le grandi trasformazioni della pastorale non le programmiamo noi, ma il Signore le fa venire dove pare a lui; così qui il cambiamento vero è venuto da Nazaret, e chi lo avesse pensato sarebbe stato un profeta di quelli straordinari per immaginare una cosa di questo genere; eppure la salvezza viene di lì, e non tanto dalle strutture religiose, anche se è necessario che ci siano; ma per dire della libertà di Dio e della iniziativa di salvezza che il Signore si prende come e quando pare a Lui. 2.2.2. Maria è piena di grazia. Iniziativa che si esprime nelle prime parole dell’angelo «rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1, 28); e quel “piena di grazia” dice il dono di benevolenza gratuito, originario, immenso e generoso con cui Dio ha guardato Maria. Dove chiaramente lo sguardo di Dio è creativo, e quindi se «Dio guarda con benevo- 15 lenza» (Sir 11, 12) quello che viene guardato con benevolenza diventa bello; se “Dio ha guardato con benevolenza Maria”, Maria è bella, bella per questo sguardo che purifica e rigenera la creatura. Quel «piena di grazia», è piena di quella bellezza che viene dallo sguardo di amore e di benevolenza di Dio, di un Dio che ha un qualche disegno su di Lei, tanto che «il Signore è con te». Questo, «il Signore è con te», va inteso com’è nella Bibbia, quindi non tanto un’affermazione statistica di presenza di Dio (Dio che è in qualche modo presente in Maria in modo stabile), ma piuttosto come una promessa, un irrobustimento di Maria per un compito che Dio ha in mente per Lei. Lo abbiamo letto nella Messa di ieri, quando il Signore dice a Geremia: «io sarò con te per salvarti» (Ger 1, 19); “siccome avrai da combattere contro della gente che se la prenderà con te, allora io farò di te un muro di bronzo, e io sarò con te”. Quel “io sarò con te” vuole dire: nel compito che io ti affido non avere paura perché ci sono; è più grande delle tue forze ma io sarò con te. 2.2.3. Il sì alla Parola e il sì allo Spirito sono la condizione perché Maria diventi la Madre del Figlio di Dio Ed è per questo che “Maria rimane turbata”, perché l’adesione a un compito più grande di lei evidentemente la turba, e deve sapere quale sia questo compito. “Quale sia” viene espresso da due interventi dell’angelo. Il primo è un intervento biblico, perché mette insieme citazioni dell’Antico Testamento: 2 Samuele 7, 1-17, che è la “profezia di Natan a Davide”; Isaia 7, 14, che è la “Vergine che concepirà il Figlio”; Isaia 9, 5, che è “un figlio ci è stato donato”; Daniele 7, 13, che è il “Figlio dell’uomo che viene con le nubi del cielo”. Cioè tutti questi testi profetici – che vanno dal 1000 a.C., più o meno Davide è di quella età, fino al II secolo a.C., che è Daniele –, tutto questo complesso di attese, viene raccolto nelle parole che l’angelo rivolge a Maria. La Parola di Dio è una sintesi della parola che viene posta di fronte a Maria per indicare il suo compito. Il suo compito è di generare la Parola, il Figlio di Dio, quel Messia che la Parola di Dio ha delineato attraverso i secoli e ora viene donato definitivamente al suo popolo. Poi quando Maria risponde: «Come è possibile? Non conosco uomo?» (Lc 1, 34). La risposta, che è il secondo intervento dell’angelo (sarebbe il terzo ma il primo è semplicemente il saluto), è tutto giocato sullo Spirito Santo. «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio…» (Lc 1, 35). Tutto il discorso dello Spirito Santo si lega strettissimamente nel testo con la verginità di Maria. Perché vuole dire che la nascita di quel Bambino sarà non il frutto della potenza dell’uomo ma della potenza di Dio, non della creazione dell’uomo ma del dono dello Spirito. Allora la condizione di verginità – che Maria avrebbe potuto pensare essere un impedimento al compimento delle profezie, e le profezie annunciano la nascita di un bambino (cfr. Is 9, 5; ecc.) – può apparire un impedimento a questo. In realtà è vero il contrario, è necessario che Maria sia vergine perché quel Bambino che nasce sia non il fi- 16 glio dell’uomo ma il Figlio di Dio; non il segno della potenza dell’uomo, ma il segno della grazia di Dio (cfr. Lc 2, 12). Allora la verginità sta dentro ai disegni di Dio. Quando l’angelo annuncia la maternità di Maria non le sta chiedendo di rinunciare alla verginità, di percorrere un altro itinerario; al contrario sta proclamando la fecondità della sua verginità. È una verginità feconda, s’intende non feconda dal punto di vista umano, ma feconda per la grazia di Dio, per il dono dello Spirito Santo. Quindi, il sì alla Parola e il sì allo Spirito, sono la condizione perché Maria diventi la Madre del Figlio di Dio. 3. Riassunto conclusivo Mettete insieme tutti i fili e viene fuori il discorso: Maria ha accolto la Parola di Dio; ha dato la sua docilità all’azione dello Spirito nella sua vita; per questo ha concepito il Verbo; avendo concepito il Verbo, va nella casa di Zaccaria e introduce il Verbo nella casa di Zaccaria; introduce la Salvezza e quindi fa scoppiare la gioia messianica in quella casa; che è il simbolo in qualche modo dell’Israele che attraverso il profeta Giovanni Battista riceve il dono della grazia di Dio. 3.1. Maria è missionaria nel senso che porta il saluto che contiene la pace A) Maria è missionaria (non è che mi piaccia molto il termine, però tanto per intenderci), nel senso che porta il saluto che contiene la pace. Ma questa capacità le viene dall’avere concepito il Verbo; non fa dei grandi discorsi o delle grandi prediche ma lo porta in sé, dentro la sua carne, o ancora meglio dentro la sua fede e la sua carne. Se tenete presente tutto questo il passo successivo è semplicissimo. B) Perché il passo successivo è che Maria nel fare questo è evidentemente il segno, l’immagine, della Chiesa nella sua figura pulita, piena e perfetta. In quella figura che noi non riusciamo mai ad esprimere, perché noi il mistero della Chiesa lo esprimiamo con tutta una serie di nostri limiti che sono le nostre insufficienze. C) Maria, figura della Chiesa, è una figura limpida. Che cosa vuole dire? Vuole dire che la Chiesa è missionaria, che la Chiesa deve portare la pace di Cristo, deve fare esultare il mondo della gioia che viene dal Salvatore. Per fare questo deve fare quello che fa Maria, va a trovare Elisabetta, entra nella casa degli uomini, e porta nella casa degli uomini il saluto. Lo ricordavamo prima in Matteo 10, 12, «entrando in una casa rivolgetele il saluto». Questo lo deve fare la Chiesa. D) E deve produrre gli stessi effetti che ha prodotto il saluto di Maria. Ma evidentemente la possibilità di produrre gli stessi effetti è condizionata al fatto di avere la stessa esperienza di Maria. Cioè bisogna che la Chiesa abbia concepito il Verbo e se lo porti dentro. 17 E) Quindi che la Chiesa abbia aperto il suo grembo alla grazia di Dio. Come? Come Maria, con il suo sì, con il sì della sua fede. È la fede della Chiesa che permette alla Chiesa di essere Madre del Verbo. Ed è il sì della Chiesa a imitazione del sì di Maria che permette alla Chiesa poi di portare quel Verbo che ha concepito nella storia degli uomini, a contatto con gli uomini. F) Questo concepimento avviene nel sì detto alla Parola e allo Spirito: alla Parola perché è quella che contiene il disegno di Dio; allo Spirito perché è quello che è in grado di realizzare il disegno di Dio nella storia degli uomini. Senza la Parola il disegno di Dio è oscuro, muto, senza forma. Senza lo Spirito il disegno di Dio è puramente mentale, è puramente un disegno immaginario. G) Ma proprio questo richiede che la Chiesa faccia sua quella che è in Maria la condizione della verginità. La maternità di Maria è legata alla sua verginità, e la maternità della Chiesa idem; bisogna che sia Vergine per potere generare, per potere generare il Verbo, per potere concepire il Verbo. S’intende “Vergine” vuole dire evidentemente che la sua vita è una vita dedicata a Dio e senza compromessi con il mondo, senza idolatrie, senza confusioni o mescolanze con il potere mondano. Perché il potere mondano concepisce a modo suo, ma certamente non concepisce il Verbo di Dio. Il Verbo di Dio è concepito nella verginità per la potenza dello Spirito e nel sì alla Parola. 3.2. Una Chiesa mariana può introdurre il Verbo di Dio dentro la vita degli uomini Allora avete tutto un itinerario, che è quello della Chiesa, ma è il nostro itinerario. Perché sant’Agostino – quando insiste su quel discorso che “Maria ha concepito prima nella mente e poi nella carne” –, tra le tante cose che pronuncia, dice anche che “il discepolo è addirittura Madre di Cristo”. Lo prende da quel testo, “Mi è fratello e sorella e Madre” del Vangelo. E insiste sul fatto che voi dovete essere Madre di Cristo, s’intende in quel modo che abbiamo detto: dovete avere un ascolto così limpido della Parola di Dio, e una dedizione così forte allo Spirito, e quindi una libertà così grande da tutti i poteri del mondo che la vostra esistenza produce la presenza del Verbo, che dentro di voi il Verbo c’è e si manifesta. Credo che dentro a tutto il discorso missionario questo sia in qualche modo l’anima. Dopo dobbiamo trovare le forme delle parole da dire, o le occasioni delle missioni, tenteremo di organizzare le missioni in modo nuovo, faremo i “gruppi di ascolto”, ecc. Cioè tutte queste cose ci stanno dentro, sono fondamentali per una programmazione pastorale, ma la condizione è quella di Maria. Cioè solo una “Chiesa che sia mariana”, da questo punto di vista, può effettivamente introdurre il Verbo di Dio dentro la vita degli uomini. Siccome il compito della Chiesa e dei discepoli è proprio quello, cioè: di portare Gesù Cristo, quindi la missione è la missione di Gesù Cristo; il regno di Dio è Gesù Cristo, quindi quello che voi annunciate è Gesù Cristo. Dovete portare quello lì, e per poterlo portare la condizione fondamentale è quella. Il resto viene dopo. Ed è senza fondamento se questa base di Parola e di Spirito nella 18 Verginità non è consolidato. 1 CARATTERISTICHE DELL’EVANGELIZZAZIONE IN CDF” I 0. Alla luce della precedente meditazione, vorrei continuare nelle prossime due a parlare dell’evangelizzazione secondo lo stile di CDF. Nella Chiesa da un po’ di tempo si parla di nuova evangelizzazione e io sono convinto che Fr. Carlo abbia la sua parola da dire alla Chiesa di oggi, nel suo modo, nel suo stile di evangelizzare. 1. A mò di introduzione vorrei sottolineare ancora una volta che la missione in CDF non è frutto del caso, dell’improvvisazione, ma una scelta ben precisa. Vuole andare ad evangelizzare il Marocco e poi i Tuaregs e sa che in Algeria ci sono già i Padri Bianchi, nati nel 1868 proprio per l’evangelizzazione dei musulmani e dell’Africa. Del resto il suo secolo è il “secolo missionario” e “missionario francese”: “Due terzi dei vescovi e vicari apostolici di Africa, Asia e Oceania sono di tale nazionalità. Solo in Francia si contano trentasei congregazioni o società missionarie (contro le otto dell'Italia). I loro effettivi sul terreno raggiungono all'incirca le 16000 unità, di cui 7400 uomini e almeno 8500 religiose”1. Se è vero che CDF non era un uomo ecclesiastico e quindi al di fuori dell’ambiente di chiesa, non è altrettanto vero che fosse cieco e quindi ha senz’altro notato attorno a lui tutta questa effervescenza missionaria e non vuole entrarvi. Cfr la visita pastorale di Mgr Guérin a Beni-Abbés, nel 1903. In questo incontro Fr. Carlo si accorge di come, discretamente, Mgr. Guérin lo spinga verso la vita missionaria alla maniera dei Padri Bianchi. Scrivendo al suo Direttore Spirituale dirà che ha notato presso Monsignore: “una piccola e discreta tendenza da parte sua a spingermi dolcemente a trasformare la mia vita di monaco silenzioso e nascosto, la mia vita di Nazaret, in una vita di missionario”2. Egli reagirà, poiché questo significa allontanarsi dal carisma, tanto ricercato, di Nazaret: “non seguirò questa sua tendenza, poiché mi sembrerebbe di essere gravemente infedele verso Dio, che mi ha chiamato ad un’esistenza nascosta e silenziosa, e non alla predicazione: i monaci e i missionari sono entrambi apostoli, ma in modo diverso, su questo punto non cambierò, e continuerò per il mio cammino, che percorro alla meglio, piuttosto male, ahimè, ma fedelmente da quattordici anni: vita nascosta di Gesù, insieme ad altri se Gesù vorrà mandarli, solo se mi lascerà solo”3. 2. E’ difficile parlare di evangelizzazione senza fare riferimento al Vangelo, giacché l’evangelizzazione deve essere concepita come un servizio al Vangelo, come un lavoro per il vangelo. E qui tocchiamo un punto basilare della missione in CDF. Dopo anni di vita in missione e costatando pure il degrado della situazione religiosa della Francia e dei paesi cattolici, concretizza la sua visione missionaria in un obiettivo che si rifà alla chiesa primitiva: bisogna ritornare al Vangelo. Questo programma di ritorGadille, in AA.VV., CDF, l’eloquenza di una vita secondo il Vangelo, Ed. Qiqajon, Bose, 2003. p.34. Huvelin, 175. 3 Idem. 1 2 2 no al Vangelo lo scrive prima di lasciare la Trappa e lo aggiornerà poi durante tutto il resto della sua vita. Il Vangelo, per lui, non è prima di tutto un documento scritto ma una “buona notizia” da gridare con la propria vita nelle relazioni quotidiane e in ogni occasione. Il tesoro che ha ricevuto e che vuole condividere con tutti è una testimonianza, un “fuoco” da accendere al seguito di Gesù: “Per quanto riguarda le 2 parole che ho detto prima di partire: “Andate nel mondo intero a predicare il Vangelo a ogni creatura” e “restate in città fino a quando avrete la forza dall’alto” ecco come devo applicarle a me stesso… Devo andare nell’universo intero per mezzo delle mie preghiere che devono abbracciare tutti gli uomini… devo predicare il Vangelo ad ogni creatura con l’esempio della mia vita, far sì che la mia vita sia una fedele immagine di quella di Nostro Signore e così gridare il Vangelo sui tetti, far vedere il vangelo vivente a tutti quelli che mi vedono, che mi circondano, nel luogo dove Dio mi ha messo… questo luogo, questa piccola città di Nazaret, non devo uscire fino a quando lui stesso mi darà le forze speciale per questo, cioè una vocazione chiara, evidente, accompagnata da grazie speciali che ne sono l’accompagnamento e il sigillo…”4, che è lo SS. E’ chiaro che Gesù non solo fa parte del vangelo, ma ne costituisce davvero il cuore e il centro. Ma ne consegue anche che quando Gesù sale al cielo, egli affida ai suoi apostoli un’unica consegna: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Questa è la missione della Chiesa, dei cristiani, di ogni cristiano, ed è la finalità stessa della Chiesa, ed è in questa missione che si è inserito coscientemente Fr. Carlo con il suo carisma nazaretano. Lo sforzo che ha fatto per tradurre il Vangelo in tuareg e parlare la loro lingua non è una originalità propria a CDF: tutti i missionari lo hanno fatto; mentre ciò che è sua caratteristica è proprio questo suo attaccamento al Vangelo, ad essere trasparenza del Vangelo, a tal punto di voler essere Vangelo vivente. Quando Gesù lascia i suoi, che ha formato con il suo insegnamento e con la sua testimonianza, non lascia loro i vangeli. Era lui, il Vangelo e gli apostoli - e con loro tutti i suoi discepoli - a Pentecoste diventano a loro volta, secondo la grazia ricevuta, dei Vangeli viventi. Alcune conseguenze: ! Evangelizzazione come centralità di Gesù Cristo. A mio parere questo è il pun- to essenziale. Siamo cristiani perché apparteniamo a Gesù Cristo, lui è il tutto della nostra vita, il modello unico! “ Il Piccolo Fratello Carlo di Gesù non ha aperto nessuna via nuova, se non l’unica via, la via di Gesù. Sulle sue labbra, sotto la sua penna, c’è una parola unica che ritorna sempre, perché c’è un essere unico che ha invaso tutta la sua anima e che è diventato la sua unica passione: Gesù – Jesus-Caritas – Gesù-Amore. Ed è il grande segreto della sua santità. E’ ciò che spiega tutta la fecondità della sua opera. E’ ciò che gli procura un tale irraggiamento, una tale personalità. Per capire fino in fondo Fratel Carlo di Gesù bisogna dimenticarlo per non vedere che Gesù che traspare attraverso di lui” (P.S. Magdeleine). 4 Considérations, p. 402. 3 ! Avere fede in Gesù Cristo, nella sua presenza salvifica oggi, qui, ora. La sua presenza è reale. Gesù non è semplicemente il predicato della fede che aspetta di diventare reale attraverso qualche iniziativa un pò più brillante che esserci semplicemente! La presenza del Signore è salvifica, il Salvatore non è sostituito dai suoi discepoli : essendo Gesù ormai morto e non potendo più fare... siamo qui noi! La Sua presenza continua largamente, corposamente nel modo di Gesù a Nazareth; noi non siamo altri che i testimoni, non i sostituti… Da qui nasce il ‘dovere’ dell’imitazione: “Sarà nostro impegno imitare senza sosta il nostro beneamato Signore Gesù, in modo da essere suoi immagini fedeli in tutti i nostri atti interiori ed esteriori. […] Nelle nostre preghiere, gli chiederemo il Suo Spirito, il buono spirito, che egli ci ha promesso. Nelle nostre meditazioni quotidiane e nel nostro ritiro annuale, mediteremo profondamente sulle sue parole e i suoi esempi, in modo che ci lasciamo penetrare, con la sua grazia, così intimamente del suo spirito, che noi pensiamo i suoi pensieri, diciamo le sue parole, facciamo le sue azioni, nel limite del nostro possibile”5. ! Credere che il vangelo ha una forza “performativa”. Questa dimensione del di- namismo trasformante (e performante) del Vangelo fa riferimento alla dottrina tradizionale che riconosce nella parola di Dio, non solo un insegnamento infallibile, ma anche una potenza (una dynamis) che converte e trasforma secondo la formulazione della Lettera agli Ebrei 4,12: «Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore». Vangelo, dunque, non solo come contenuto di una narrazione, ma come dinamica trasformante e salvifica, come buona novella… 3. Ma Fr. Carlo sa che essere Vangeli viventi non è facile e allora da ai suoi discepoli le indicazioni concrete di come essere e fare. Nell’articolo XXVIII° del Direttorio elenca “i mezzi generali e particolari per la conversione delle anime lontane da Gesù e specialmente gli infedeli”. Queste caratteristiche le ripeterà negli Statuti del 1916. Certamente la nostra Chiesa non è più la Chiesa del 1900-1916, ma questi “mezzi e pratiche”, espressioni delle sue convinzioni e della sua esperienza, possono, ancora oggi, sostenerci nella nostra missione: “1. Il santo sacrificio della Messa, facendo crescere il numero delle messe celebrate presso gli infedeli, facendo applicare delle Messe per la loro conversione, pregando devotamente per la loro conversione durante il santo Sacrificio; 2. Il SS. Sacramento, moltiplicando il numero di tabernacoli presso gli infedeli, sviluppando nei paesi infedeli il culto della S. Eucaristia, pregando devotamente davanti al SS. Sacramento per la conversione degli infedeli; 3. La santificazione personale, poiché l’anima fa del bene nella misura della propria santità ; 4. La preghiera 5 Réglements, p. 109. 4 5. La penitenza, cioè il sacrificio, l’accettazione delle croci inviateci da Dio e gli atti di mortificazione volontari permessi dal nostro Direttore spirituale ; 6. Il buon esempio, essendo modelli di vita evangelica, facendo vedere il Vangelo nella loro vita, essendo dei Vangeli viventi, così che vedendoli si sappia cos’è la vita cristiana, ciò che è il Vangelo, chi è Gesù; 7. La bontà, per farsi amare e far amare tutto quello che è loro, la loro religione e Gesù il loro maestro; 8. Stabilire dei rapporti di amicizia con le persone, con la costante cura di fare del bene alle loro anime, attenti a coloro che si vuole convertire e particolarmente agli infedeli, mischiandosi strettamente a loro e legandosi strettamente d’amicizia con loro; 9. L’aiuto dato ai preti, ai religiosi e religiose che lavorano alla salvezza delle anime là dove siamo e particolarmente a quelli che vi lavorano per la conversione degli infedeli; 10. L’aiuto dato ai preti, religiosi e religiose che lavorano alla salvezza delle anime all’estero, particolarmente a quelli che lavorano alla conversione degli infedeli” 6 Dopo il culto dell’eucaristia (1 e 2 mezzo) sui quali non insisto perché ne ho già parlato e tralasciando gli ultimi due, quelli sull’aiuto ai preti, religiosi e religiose, vorrei dire una parola sugli altri mezzi per concretizzare lo stile missionario di CDF e il nostro con il suo. 4. La santificazione personale. Agli occhi di Fratel Carlo, questo significa che l’annuncio non basta: bisogna conformarsi a Gesù Cristo. In una nota scritta durante il ritiro fatto a Ghardaïa nell’Avvento 1904, scrive: “Mostrare in me “la religione cristiana vissuta” ciò che è un cristiano, un ritratto di Gesù, “Christianus alter Christus”. Per questo prendere come regola di tutta la mia vita quella di S. Giovanni della Croce: ‘In ogni cosa chiedermi come Gesù farebbe e farlo allo stesso modo’”7. Nel primo articolo del Direttorio dell’associazione che chiama l’Unione dei fratelli e delle sorelle del S. Cuore di Gesù, scrive: “I fratelli e le sorelle del S. Cuore di Gesù avranno come regola di chiedersi in ogni cosa, cosa penserebbe, direbbe, farebbe Gesù al posto loro e di farlo. Faranno degli sforzi continui per rendersi sempre più somiglianti a Nostro Signore Gesù, prendendo come modello la sua vita di Nazaret, che ha degli esempi per tutti gli stati. La misura dell’imitazione è quella dell’amore”8. Convinto di questo, Fr. Carlo presenterà la santità ( = essere perfetta immagine di Gesù) come la condizione ‘sine qua non’ richiesta ad ogni apostolo o missionario che vuole portare frutti e rendere quindi il suo apostolato fecondo : “Si fa del bene non nella misura di ciò che si dice o si fa, ma nella misura di ciò che si è, nella misura della grazia che accompagna i nostri atti, nella misura nella quale Gesù vive in noi, nella misura nella quale i nostri atti sono degli atti di Gesù che agisce in noi e attraverso di noi. Il grado della nostra santità personale sarà quello del bene prodotto dalle nostre preghiere, 6 Règlements, 591-592. 7 Seul avec Dieu, p. 156. Règlements, p. 614. 8 5 dalle nostre penitenze, dai nostri esempi, dai nostri atti di bontà, dalle nostre opere di zelo. La prima cosa da fare per essere utili alle anime, è di lavorare con tutte le nostre forze e continuamente alla nostra conversione personale” 9. Fr. Carlo sa che per un ideale così alto deve lasciare spazio in lui allo SS, solo capace di santificarci, di farci contemporanei di Gesù ed evangelizzatori. Ecco perché si rende conto che : “ho bisogno di qualcosa, di qualcosa che Dio solo può darmi; per fare in ogni momento ciò che Gesù vuole, per amarlo, imitarlo, obbedirgli e così glorificarlo; ad ogni istante, è necessario il suo Spirito, lo Spirito di Lui; questo Spirito attraverso il quale conosceva le cose e le vedeva nella loro verità; questo Spirito attraverso il quale amava ciò che bisogna amare, come bisogna amarlo; questo Spirito attraverso il quale faceva con un tale coraggio tutto quello che doveva fare… “Seguitemi” ci ha detto Gesù e questa è ormai la nostra vita sulla terra: imitarlo, imitarlo, amandolo e obbedendogli … ma per imitarlo abbiamo bisogno del suo Spirito, il suo Spirito che ci farà conoscere ciò che pensava, ciò che amava, ciò che faceva… è necessario che questo Spirito, il suo Spirito, ci animi, ci ispiri i suoi pensieri, ci faccia vedere ciò che lui vedeva, ci ispiri il suo amore, la sua carità… per Dio e per gli uomini, ci ispiri il suo coraggio per compiere ciò che ha compiuto, quello che vuole continuamente compiere in noi”10 e termina chiedendo : “O Gesù, dateci il vostro Spirito, così che ci animi come vi ha animato e ci faccia pensare i vostri pensieri, amare come voi avete amato, agire come voi avete agito e in questo modo vi imiteremo, vi ameremo, vi obbediremo perfettamente”11. È lo Spirito che fa del discepolo un innamorato di Cristo e che gli permette di crescere nella sua piena statura e maturità. 5. La Preghiera. Per CDF, che si sentiva chiamato ad imitare Gesù nella sua vita di Nazaret, la dove Gesù per 30 anni è stato salvatore in una maniera nascosta, cioè non conosciuta, non visibile agli occhi umani, ma divinamente efficace, la preghiera ha una fecondità apostolica ed è una vera forma di apostolato, un vero apostolato. Commentando il passaggio evangelico di Mt 18,14 sul buon pastore che lascia le 99 pecore nell'ovile per cercare quella che si è smarrita, scrive: “Facciamo come lui: e poiché le nostre preghiere sono una forza, e sono sicure d'ottenere ciò che chiedono, corriamo con le nostre preghiere alla ricerca dei peccatori, facciamo con esse l'opera per la quale il nostro divino Sposo è venuto' sulla terra... Se non siamo votati alla vita apostolica, quanto dobbiamo pregare per la conversione dei peccatori, poiché la preghiera è quasi il solo mezzo possente, esteso, che abbiamo per far loro del bene, per aiutare il nostro Sposo nel suo lavoro, per salvare i suoi figli, per sottrarre a un pericolo mortale coloro che egli ama appassionatamente e che, col suo testamento, ci ha ordinato di amare come lui stesso li ama... E se siamo votati all'apostolato, il nostro apostolato sarà fruttuoso soltanto se noi preghiamo per coloro che vogliamo convertire, perché Nostro Signore non dà se non a chi chie9 Règlements, 645. 10 11 Id., p. 412-413. Id., p. 414. 6 de, non apre se non a chi bussa... Affinché Dio metta buone parole sulle nostre labbra, buone ispirazioni nei nostri cuori, buona volontà nelle anime di coloro a cui ci rivolgiamo, occorre la grazia di Dio, e per riceverla, bisogna domandarla... Così, qualunque sia il nostro genere di vita, preghiamo molto per la conversione dei peccatori, poiché è soprattutto per loro che Nostro Signore lavora, soffre e prega... Preghiamo ogni giorno con tutta la nostra anima per la salvezza e la santificazione di quei figli sviati ma tanto amati da Nostro Signore, affinché non periscano, ma siano felici: preghiamo ogni giorno per loro a lungo e con tutta la nostra anima, affinché il Cuore di Nostro Signore sia consolato dalla loro conversione e rallegrato dalla loro salvezza... Abbiamo dunque cura di riservare ogni giorno un gran posto nelle nostre preghiere all'intercessione per la conversione dei peccatori” 12. Sulla base di questa convinzione, Fr. Carlo considera i mezzi esteriori, cioè le opere materiali come dei mezzi secondari, pur riconoscendo che Dio può sempre servirsene nella sua libertà sovrana e nella sua onnipotenza, per convertire i cuori. Si possono costruire dei monasteri, delle missioni, delle parrocchie, costruire delle scuole e degli ospedali, ma - ricorda Fr. Carlo - “devono essere ‘salvatori’ con la presenza del SS Sacramento e l’offerta del S. Sacrificio, con l’imitazione delle virtù di Gesù, con la penitenza e la preghiera, con la beneficenza e la carità” 13. L’importante non è costruire, edificare, aprire delle strutture, ma l’importante è che si trovi negli apostoli il fuoco dello Spirito, il profumo di Cristo: “Le fraternità del S. Cuore sono dei piccoli foyer d’amore dove brucia il S. Cuore di Gesù; la maggior parte dei foyer sarà in terra di missione per accendervi “il fuoco che Gesù ha portato sulla terra” e far splendere le fiamme del divino Cuore sui suoi figli i più svantaggiati e i più perduti” 14. E ancora “Ci sforzeremo di essere con tutti i nostri pensieri, parole e azioni delle perfette immagini di Nostro Signore Gesù, pensando, dicendo e facendo quello che il divino Maestro penserebbe, direbbe, farebbe al nostro posto, in modo da profumare quelli che si circondano del profumo delle virtù di Cristo e ‘attirare’ il mondo al suo seguito facendogli respirare “l’odore dei suoi profumi” 15. Per poter vivere così, l’apostolo deve ritemprarsi continuamente nel silenzio e nella preghiera, deve “riservarsi sempre, senza debolezze, costi quel che costi” un tempo di preghiera nella solitudine silenziosa del deserto. PA Sequeri ha un bel commento a questo proposito : “Il deserto è spoliazione. Ma conduce alla scoperta dell'essenziale: e qui l’essenziale è sempre ritrovato come sollecitudine per l’umanità dell’altro uomo. Lo diventa per l’ufficiale, giudicato intelligente e neghittoso dai superiori, che si rivela guida affidabile e sicura per i suoi sottoposti. Così come diventa attenzione commossa per la dignità delle culture e la marginalità del vivere delle popolazioni che l’esploratore de Foucauld frequenta nel suo lungo viaggio di scoperta. Assume infine il valore di un vero e proprio simbolo di ciò che deve essere indossato come una nuova pelle, assimilato come una seconda natura, L’Esprit de Jésus, 46. Règlements, 105. 14 Règlements, 106-107. 15 Règlements, 232. 12 13 7 a motivo dell’Evangelo. Il deserto è distanza, ma non è vuoto, solitudine fine a se stessa, abbandono dell’umano per una migliore ricerca di sé. La vocazione alla condizione monastica, la cura della povertà radicale, l’inquietudine che spinge alla ricerca dell’ultimo posto assumono in fratel Carlo il linguaggio tradizionale dell’ascesi. Ma prendono distanza, nel fulcro delle loro motivazioni e della loro pratica, dall’ideale astratto di una perfezione che si risolve nella privazione. Il fatto essenziale, per de Foucauld, è che non c’è nessuna solitudine, nessuna povertà, nessuno svuotamento dell'umano che non siano già sempre abitati da umani. In questo senso, nessun deserto della terra lo è a tal punto da non rivelare un’umanità in tale stato di abbandono da dare appunto l’impressione di non esistere neppure”16. 6°. La penitenza, “cioè il sacrificio, l’accettazione delle croci inviateci da Dio e gli atti di mortificazione volontari permessi dal nostro Direttore spirituale” ; La croce è sempre stata un elemento presente nella vita di Nazaret. Da quando nel suo pellegrinaggio in Terra santa ha scoperto che il mistero di Nazaret ha il suo compimento nella croce, con quella caratteristica dell’ultimo posto, dell’umiltà, della croce che è e resta “la via regale”. Il che significa che: “Come lui, noi avremo sempre la croce ... come lui, saremo sempre dei vinti in apparenza; come lui, saremo sempre in realtà dei vincitori. E questo a misura della nostra fedeltà alla grazia, nella misura in cui lo lasceremo vivere in noi e agire in noi e attraverso di noi… ". Come sempre esorta lui stesso e i suoi discepoli : “Soffriamo e preghiamo il più possibile, poiché è per la croce che Gesù ha salvato le anime e mai le salveremo senza la croce. Preghiamo, poiché Gesù ha passato notti intere e ci rimprovera quando noi non possiamo “vegliare un’ora con lui”. Santifichiamoci, poiché convertirci, è lasciare Gesù vivere in noi, è fare sì che i nostri atti non siano più dei poveri atti semplicemente umani, ma gli atti di Gesù, di un’efficacia divina e infinita” 17. Ma la croce ai suoi occhi ha pure due aspetti che ritengo interessanti: a. La nostra è una evangelizzazione che si fa senza fare rumore. E’ questa un’altra caratteristica dell’attività ecclesiale di CDF, che cita a suo modo queste parole del profeta Isaia “Aquae Salvatoris vadunt cum silentio” (Is 8,6)18. Siloë significa “inviato” e si capisce allora perché CDF modifiche leggermente la citazione di Isaia ed usi il termine “Salvatore”. Il contesto di questo passaggio di Isaia è noto: il re di Giuda e il popolo di Gerusalemme cercano una alleanza con i pagani e non vedono che Dio dà loro senza rumore e gratuitamente dell’acqua per alimentare la città assediata. La protezione di Dio continua senza fare rumore, silenziosamente: basta avere occhi per vederla. Questa fede è la fede di CDF che ha imparato dalla sua esperienza come Dio 16 SEQUERI, PA., CDF. Il vangelo viene da Nazaret, Milano, Vita e pensiero, 2010, p. 57. 17 C. Sah., 560. 18 Volgata traduce: “Aquas Siloe quae vadunt cum silentio” e la CEI : “le acque di Siloe scorrono piano”. 8 tocca il cuore degli uomini, con discrezione, semplicità, così come Gesù operava invisibilmente ma efficacemente durante la sua vita di Nazaret. Questa caratteristica l’applicherà anche alla predicazione del Vangelo da parte della Chiesa. Scrive nel 1904, quando ormai è certa la sua partenza tra i Tuaregs, come deve vivere in mezzo a loro: “Silenziosamente, segretamente come Gesù a Nazaret, oscuramente, come Lui, passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte […] poveramente, laboriosamente, dolcemente”19. Mentre vivere nella preghiera significa svolgere quella funzione di intercessori per tutta l’umanità, dove ognuno porta tutti i suoi fratelli a Gesù. “Portare a tutti Gesù è ben diverso dal portare tutti a Gesù”. Si inserisce qui il mistero eucaristico, dell’offerta della nostra vita insieme a quella di Cristo per la salvezza del mondo, così importante agli occhi di Fr. Carlo. Allora ecco l’invito a ritrovare nella nostra vita, nella nostra giornata, la dimensione contemplativa, dando un tempo gratuito alla preghiera di intercessione. Anche questa preghiera è evangelizzazione “ senza parole”: “E’ l’evangelizzazione non con la parola, ma con la presenza del SS Sacramento, l’offerta del divin sacrificio, la preghiera, la penitenza, la pratica delle virtù evangeliche, la carità, una carità fraterna e universale, che condivide fino all’ultimo boccone di pane con ogni povero, ogni ospite, ogni sconosciuto, che si presenta e ricevendo ogni umano come un fratello beneamato”20. Alla cugina scriveva: “Noi siamo portati a mettere al primo posto quelle opere i cui effetti sono visibili e tangibili. Dio dà il primo posto all'amore e poi al sacrificio ispirato dall'amore e all'obbedienza che deriva dall'amore. Bisogna amare e obbedire per amore offrendosi come vittime con Gesù, come a lui piacerà!” e aggiungeva nell’ultima lettera, quella del 1°dicembre 1916, poche ore prima di morire: “Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e per fare del bene alle anime”21. La sua morte è stata un martirio? Certo la Chiesa l’ha riconosciuta piuttosto come una morte ‘eroica’, ma sappiamo come per CDF il martirio era parte integrante della sua missione di evangelizzatore. Nel Regolamento dei Piccoli Fratelli di Gesù, tra i motivi che indica per fondare delle fraternità nei paesi di missione c’è pure: “Il desiderio di correre, fin dove è in nostro potere, qualche pericolo per il Suo Nome, desiderio che lui stesso ci ispira dicendo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”22. Desiderio che lascia pure ai suoi “eredi”: “Che i PF pensino ogni giorno che una delle bontà di cui li ha colmati il loro sposo Gesù è la possibilità, la speranza fondata, di terminare la loro vita con il martirio: che si preparino senza sosta a questa felice fine: che agiscano ad ogni istante come conviene a delle anime chiamate dalla bontà dello sposo a ricevere – presto forse – questo dono infinito… Che chiedano con tutto il desiderio, con tutte le preghiere il momento benedetto di dare al loro beneamato questo’ segno del più grande amore’; che ad ogni ora siano degni di tale vocazione… E quando il Carnet Beni-Abbès, 103-104. Castries, p. 84. 21 Bondy, p. 212-213. 22 Règlements, p. 116. 19 20 9 momento verrà, che senza alcuna ombra di difesa […], ‘come pecore in mezzo ai lupi’, dolci come l’Agnello divino, umili, colmi di gratitudine, pregando per i persecutori, nella volontà di lasciare Gesù ‘compiere quello che manca alla sua passione’ con la loro morte, offrendosi a Lui per la sua più grande gloria a tutte le intenzioni per le quali si è offerto sul Calvario, unendo il sacrificio della loro vita a colui che fece della sua, nella pace, la benedizione e l’amore, lasciandolo vivere e agire in essi più che mai in quest’ora suprema, benedetto, essi votati per vocazione alla sua imitazione, di imitarlo nella sua morte come nella sua vita, lasciano scorrere il loro sangue e esalano le loro anime in Gesù, con Gesù, come Gesù, per Gesù…!”23. b. Ma quello che scrive per se è pure valido per la missione di tutta la Chiesa. Sa che essa dovrà testimoniare sempre “in angustia temporum” (Dan 9,25). Questa espressione – riferentesi alla ricostruzione di Gerusalemme dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia – è la caratteristica che accompagna l’annuncio del Vangelo. Il 1 giugno 1908, scrive a Mons Guérin a proposito “di queste anime che mi circondano, che si perdono e che resteranno per sempre in questo stato, se non si cercano e non si prendano i mezzi per agire efficacemente su di esse”: “C’è una parola della santa Scrittura della quale dobbiamo, credo, ricordarcene sempre: Gerusalemme è stata ricostruita “in angustia temporum”. Bisogna saper che dovremo lavorare tutta la nostra vita ‘nell’angoscia dei tempi’. […] Le difficoltà non sono un stato passeggero da lasciar passare come una burrasca per metterci al lavoro quando il tempo sarà sereno; no, esse sono il tempo normale; bisogna sapere che dobbiamo essere tutta la nostra vita, per tutte le cose buone che vogliamo fare “in angustia temporum”24. E la Chiesa per evangelizzare ha a disposizione gli stessi mezzi che ha avuto Gesù e la comunità primitiva. Lo scrive al suo Prefetto Apostolico nel 1908: “I mezzi di cui egli si è servito nel presepio, a Nazaret, sulla Croce, sono: povertà, abiezione, umiliazione, abbandono, persecuzione, sofferenza, croce. Eccole le nostre armi, quelle del nostro Sposo divino, il quale ci chiede di lasciargli continuare in noi la sua vita, lui l’unico Amante, l’unico Sposo, l’unico Salvatore e anche l’unica Saggezza e l’unica Verità… Non troveremmo niente di meglio di lui, e non è invecchiato... Seguiamo questo Modello unico e saremo allora sicuri di fare molto bene, poiché, allora, non siamo più noi che viviamo, ma è lui che vive in noi, e i nostri atti non sono più i nostri atti, umani e miserabili, ma i suoi, divinamente efficaci”25. 6. Conclusione. Come dicevo all’inizio, la missione in CDF non è un carisma nuovo, ma piuttosto radicale: ritornare al Vangelo, al Modello Unico, alla persona di Gesù: questo è possibile solo se c’è una forte esperienza di Dio, cioè la santità. Forse è proprio questo il messaggio essenziale di CDF per il nostro tempo, un messaggio fedele alla grande tradizione degli apostoli e dei martiri di sempre. In altri termini, la vita e la morte di Charles de Foucauld sono per noi un appello a scoprire o a riscoprire ciò che vi è di Règlements, p. 305-306. Cor. Sah. p. 624. 25 C. Sah., 578. 23 24 10 più radicale e di più essenziale nella missione cristiana: la vita secondo l'evangelo alla sequela di Gesù. E per questo che si deve dire che al seguito di CDF l’importante non sono le opere ma sono i missionari radicalmente fedeli all’evangelo, che sappiano testimoniare questa concezione semplice e radicale dell’evangelizzazione, inseparabile dalla radicalità dell’evangelo. E’ una missione, come dice Mgr. Dagens, sotto il segno dell’imprevedibile, dove l’importante è l’obbedienza radicale alla chiamata di Dio, rispettando le fasi e le età… abbandonandosi nelle mani di Dio con gioia. La preghiera di abbandono non solo come atto supremo di dono di sé, ma anche come ‘tirocinio’ per metterci sempre più nelle mani del Padre, per essere figli come il Figlio… “E’ così dolce sentirsi nelle mani di Dio, portati da questo Creatore, bontà suprema, che ‘ è Amore’ – Deus caritas est – che è l’Amore, l’Amante, lo Sposo… Sentirsi tra le mani del Beneamato, e di quale beneamato, quale pace, quale dolcezza, quale abisso di pace e di fiducia”26. 7. Per la riflessione 1. A proposito della preghiera, sempre Mons. Monari scrive : “Il secondo ritmo fondamentale è quello tra preghiera e ministero. Non si può trascurare a lungo la preghiera e pretendere di riuscire a vivere il ministero con soddisfazione. Se non abbiamo alle spalle una preghiera calma e prolungata, non riusciremo a trovare parole di fede autentiche quando incontriamo una persona che soffre; non riusciremo a dare consigli saggi a chi tenta di vivere con coerenza il discepolato; saremo istintivamente portati a trascurare il ministero dell’ascolto (confessione, guida spirituale) e a occuparci piuttosto delle attività pratiche. In realtà la nostra gioia viene dalla preghiera e il nostro ministero è soddisfacente quando diventa accompagnamento delle persone alla via alta della vita cristiana. Facciamo tutti l’esperienza della fatica di pregare (e di pregare senza fretta, senza l’ansia di arrivare in fondo), ma sappiamo anche, per esperienza, che proprio dalla preghiera vengono per noi i momenti più belli di serenità e di gioia. In concreto, bisogna che il breviario sia pregato con calma e che la lectio (o un’altra forma di preghiera personale) sia regolare”. 2. Il vescovo nella lettera pastorale “Il battesimo. Il coraggio della missione” in sintonia con CDF, ci ricorda che l’Evangelizzazione è questione di amore. Il testimone è innamorato di Cristo e da questo amore trae il coraggio dell’annuncio (n. 11) e non si lascia spaventare dall’indifferenza, la chiusura, l’ateismo, il rifiuto, l’opposizione : essi sono luogo di dialogo e confronto, sono il campo della nostra missione oggi” (n.13) Come è il mio stile di annuncio ? Nasce dal mio essere innamorato di Cristo o è diventato un tran tran abituale, senza slancio, senza coraggio e senza entusiasmo? Interessante per una riflessione personale/pastorale è anche la III° parte della lettera dove siamo invitati a “riscoprire la missione nella Chiesa di Crema” e “rinnovare l’annuncio del Vangelo” per tutti i suoi abitanti che non sono più i contadini o gli 26 Castries 149-150. 11 operai di una volta, ma la nostra Chiesa ha ormai un terreno “estremamente composito” che dobbiamo conoscere se vogliamo essere evangelizzatori. 1 CARATTERISTICHE DELL’EVANGELIZZAZIONE II Bisogna soprattutto cogliere l’ispirazione profonda di questa forma di apostolato: è la carità, l'affetto, la bontà disinteressata che viene messa in rilievo e posta alla sorgente di ogni opera di evangelizzazione. Quali che siano i mezzi dell’evangelizzazione, essi sono indissociabili da quell'irradiamento naturale dell’amore di Dio e della carità di Cristo costituito dalla vita dei apostoli. In questa meditazione vedremo gli ultimi tre mezzi che caratterizzano lo stile di evangelizzazione di Fr. Carlo: 6. Il buon esempio, essendo modelli di vita evangelica, facendo vedere il Vangelo nella loro vita, essendo dei Vangeli viventi, così che vedendoli si sappia cos’è la vita cristiana, ciò che è il Vangelo, chi è Gesù; 7. La bontà, per farsi amare e far amare tutto quello che è loro, la loro religione e Gesù il loro maestro; 8. Stabilire dei rapporti di amicizia con le persone, con la costante cura di fare del bene alle loro anime, attenti a coloro che si vuole convertire e particolarmente agli infedeli, mischiandosi strettamente a loro e legandosi strettamente d’amicizia con loro; 1. “Il buon esempio, “essendo modelli di vita evangelica, facendo vedere il Vangelo nella loro vita, essendo dei Vangeli viventi, così che vedendoli si sappia cos’è la vita cristiana, ciò che è il Vangelo, chi è Gesù”. Egli sa che tra i musulmani, illetterati, non sono tanto le parole che contano, ma l’esempio. Sa che l’esempio li colpisce molto e li aiuta a riflettere su di loro e sulla loro vita. Giungendo fra di loro, a Beni-Abbés, si era già accorto di questo e si chiedeva se per condurre i musulmani a Dio è necessario: “Cercare di farsi stimare da loro eccellendo in certe cose che essi stimano. Per esempio essendo audaci, buoni cavalieri, buoni tiratori, di una liberalità un po’ fastosa, ecc., o invece praticando il Vangelo nella sua abiezione e nella sua povertà, camminando a piedi e senza bagagli; lavorando con le proprie mani come GESÙ a Nazaret, vivendo poveramente come un piccolo operaio? ...1. E conclude che “non è dai Chamba che dobbiamo imparare come vivere, ma da GESÙ. [...] GESÙ conosceva il modo migliore per condurre le anime”2. 1 2 Carnet, 69. Ibidem. 2 Non è un buon esempio moralistico, ma un buon esempio ‘cristologico’: “essere modelli di vita evangelica, cioè di Gesù”, perché scrive “Il prete è un ostensorio, il suo ruolo è quello di mostrare GESU’; deve sparire per far vedere GESU’” 3. E subito dopo, quasi per non restare nel vago, aggiunge : «Sforzarmi di lasciare un buon ricordo nelle anime di tutti quelli che vengono a me. Farmi tutto a tutti: ridere con chi ride; piangere con chi piange per portarli tutti a Gesù. Mettermi volentieri alla portata di tutti, per attirarli tutti a Gesù”4. Da qui nasce lo stile di accoglienza verso tutti: Accogliere il prossimo è accogliere un membro di Gesù, una porzione del corpo di Gesù, una parte di Gesù; tutto quel che noi diciamo, facciamo al prossimo è dunque Gesù che lo ascolta, lo riceve; è a lui che è detto, che è fatto... Con quale amore, quale rispetto, quale gioia, quale desiderio di fare a colui che si presenta a noi il più gran bene possibile nella sua anima, o nel suo corpo secondo i suoi bisogni e la nostra possibilità, con quale tenera premura dobbiamo accogliere chiunque si presenta a noi, ogni essere umano, chiunque egli sia! ... il povero che bussa timidamente alla porta, il nostro superiore che viene a farci visita a nome della Chiesa e della Santa Sede, tutti, tutti, tutti, il povero turco, e il vescovo, tutti, tutti, accogliendoli come si accoglierebbe Gesù!5. 2. “La bontà, per farsi amare e far amare tutto quello che è loro, la loro religione e Gesù il loro maestro”. Ritornando dal viaggio in Francia del 1909, Fr. Carlo aveva scritto nel suo Diario, i consigli ricevuti dall’Abbé Huvelin: “Il mio apostolato deve essere l’apostolato della bontà: Vedendomi ci si deve dire: “Poiché quest’uomo è così buono, la sua religione deve essere buona” – Se si chiedono perché sono così dolce e buono, devo rispondere: “perché sono il servitore di uno molto più buono di me. Se voi sapeste come è buono il mio maestro Gesù”6. E alla fine dell’elenco dei consigli ricevuti dal suo direttore spirituale, ripete: “Vorrei essere così buono, perché si possa dire: se tale è il servitore come dunque sarà il Maestro”7. Questa bontà si fa visibile “nella benevolenza, la bontà, il fatto di voler bene e di farne nella misura del possibile”. Inoltre essere buoni è una maniera di imitare Gesù: “Che siano buoni per imitare Gesù [che disse] “amatevi gli uni gli altri come vi ho amati”. E quindi è questa una maniera di obbedire a Gesù : “che siano buoni per obbedire a Gesù che ha detto : “ il primo dovere è di amare Dio, il secondo di amare il prossimo”, di essere suoi disce3 4 Carnets de Tam, 188. Carnets de Tam, 188. 5 Petit frère, 37. 6 Carnets de Tam, 188. Carnets de Tam, 189. 7 3 poli: “Che siano buoni per essere veramente suoi discepoli: “Amatevi gli uni gli altri. Da questo vi riconosceranno come miei discepoli”. Bontà quindi che non è solo l’occasione della buona azione che ci capita, ma che diventa stile di vita, dimensione dell’intera esistenza non un frammento del nostro tempo e del nostro agire : “Si fa del bene non nella misura di ciò che si dice o di ciò che si fa, ma nella misura di ciò che si è, nella misura della grazia che accompagna i nostri atti, nella misura nella quale Gesù vive in noi, nella misura nella quale i nostri atti sono degli atti di Gesù che agisce in noi e attraverso di noi”8. Questa bontà diventa anche lo strumento d’apostolato : “Che siano buoni perché è uno strumento per fare del bene alle anime: “Seminate amore e raccoglierete amore” ha detto S. Giovanni della Croce: il miglior modo per farsi amare è di amare noi per primi; e essere amati, è il mezzo per vedere i nostri esempi seguiti; le nostre parole ascoltate, i nostri consigli efficaci, le nostre affermazioni credute, la nostra fede accolta. Che i fratelli e le sorelle siano buoni per farsi amare e per far amare tutto quello che è loro, la loro religione, il loro Maestro” In questa luce possiamo cogliere pure i consigli sul come essere apostolo che da a J. Hours, un giornalista di Lione che aveva sentito parlare di lui e della sua esperienza e gli scrive chiedendogli con quale mezzo essere apostoli tra i musulmani. CDF gli risponde: “Con la bontà, la tenerezza, l'amore fraterno, l'esempio della virtù con l’umiltà e la dolcezza, sempre così attraenti e cristiane; Con alcuni senza dire mai una parola di Dio e della religione, pazientando come Dio pazienta, essendo buono come Dio è buono, essendo un fratello affettuoso e pregando; Con altri parlando di Dio nella misura in cui possono accettarlo; Soprattutto vedere in ogni uomo un fratello, vedere in ogni uomo un figlio di Dio, una persona riscattata dal sangue di Gesù; Bandire da noi lo spirito di conquista, Che grande distanza corre tra il modo di fare e di parlare di GESÙ e lo spirito di conquista di chi non è cristiano 8 Règlements, p. 645. 4 o è cattivo cristiano, e vede intorno a sé dei nemici da combattere; Il cristiano è sempre tenero amico di ogni uomo, egli ha per ogni persona i sentimenti del cuore di Gesù; Essere caritatevoli, miti, umili con tutti, Farsi tutto a tutti per donare tutti a GESÙ; Leggere e rileggere incessantemente il santo Vangelo per avere sempre dinanzi alla mente gli atti, le parole, i pensieri di GESÙ, al fine di pensare, parlare, agire come GESÙ, di seguire gli esempi e gli insegnamenti di GESÙ”9. C’è in questi consigli non solo l’esperienza di Fr. Carlo ma anche e soprattutto una caratteristica basilare dell’evangelizzazione secondo CDF. Non ci è richiesto grandi opere o strumenti, ma semplicemente di contemplare “Soprattutto con amore, […] senza sosta il Beneamato GESÙ durante il suo lavoro quotidiano, vegliando la notte nell’adorazione della divina ostia e la preghiera, dando sempre allo spirituale il primissimo posto, imitando GESÙ a Nazaret nel suo amore immenso per Dio più che nel resto. Facendo scorrere, splendere questo grande amore di DIO e di GESÙ su tutti gli uomini “per i quali Cristo è morto”, “riscattati a caro prezzo”, “amandoli come Egli li ha amati”, e facendo tutto il mio possibile, tutto quello che Egli faceva a Nazaret per salvare le anime, santificarle, consolare, confortare, in Lui, per Lui, come Lui”10. 3. L’amicizia. “Stabilire dei rapporti di amicizia con le persone, con la costante cura di fare del bene alle loro anime, attenti a coloro che si vuole convertire e particolarmente agli infedeli, mischiandosi strettamente a loro e legandosi strettamente d’amicizia con loro”. Non basta voler essere degli « amici universali, fratelli universali e fin dove è possibile Salvatori universali”11 per evangelizzare, ma bisogna imparare come vivere tutto questo nei rapporti con i fratelli vicini e lontani. Ecco perché anche per Frère Charles l’accoglienza a Beni Abbès non è mai meschina o banale, anzi raggiunge una delicatezza e una finezza di cui c’è da stupirsi, sapendo che “questo comportamento fraterno non doveva essere naturale ad un uomo fatto per il comando e per l’organizzazione”12: “Siamo infinitamente delicati, nella nostra carità; non limitiamoci ai grandi servizi, ma abbiamo la tenera delicatezza che scende nei particolari e sa, con cose da nulla, mettere tanto balsamo nei cuori. [...] Scendiamo anche noi, con coloro che ci sono vicini, nei piccoli dettagli della salute, della consolazione, delle preghiere, dei bisogni. Consoliamo, confortiamo con le più minuziose attenzioni; abbiamo per quelli che Dio ci mette accanto quelle tenere, delicate, pic9 Correspondances lyonnaises, p.90-93. Carnet, 104. 10 11 Règlements, 234. 12 A. CHATELARD, «Devenir frère universel», Jesus Caritas, 265, 1997, 46. 5 cole attenzioni che i fratelli affettuosissimi avrebbero tra di loro, che madri affettuosissime avrebbero verso i loro figli, allo scopo di consolare quant’è possibile tutti quelli che ci circondano e di essere per costoro un motivo di consolazione e un balsamo, così come lo fu sempre Nostro Signore per tutti quelli che l’avvicinarono. [...] Noi dobbiamo, per quanto sta in noi, cercare di rassomigliargli in questo come in tutto, e passare per questo mondo santificando, consolando, confortando nella maggior misura possibile”13. Proprio per essere vicino, per poter esercitare questa carità con delicatezza si trova il significato di tutto lo studio della lingua e della cultura tuareg. Quando si sarà stabilito a Tamanrasset farà del suo meglio per imparare la lingua perché sa che è il solo mezzo, non solamente per preparare la strada ai missionari che verranno dopo di lui, ma soprattutto per entrare in contatto con la gente, persuaso che non potrà “fare del bene ai Tuaregs che parlando con loro e sapendo la loro lingua”14. Sa che imparando la lingua potrà meglio capirli, capire la loro cultura e che questa conoscenza gli farà stimare i suoi vicini, la stima genererà l’amore e l’amore la fraternità15. Iniziano a frequentarsi: “la mia vita scorre calma e regolare, senza ombra di incidente: il lavoro quotidiano, interrotto sempre più da delle visite, che se dipendesse solo da me lascerei prolungare per delle ore intere. Vedo tanti Tuaregs” 16 e allora confessa che “i Tuaregs del mio vicinato sono sempre più amicali e fiduciosi” 17, sono “affettuosi e fiduciosi con me” 18, anzi “molto affettuosi” 19. Nel 1912 scriverà a P. Voillard, il suo nuovo direttore spirituale: “La fiducia di cui mi circondano i miei vicini Tuaregs cresce sempre di più; i vecchi amici diventano sempre più intimi; delle nuove amicizia nascono. In quel che posso rendo servizio, cerco di mostrare che li amo; […] I Tuaregs hanno il carattere dei nostri buoni contadini di Francia, dei migliori dei nostri paesani: Come loro sono lavoratori, prudenti, economi, nemici delle novità e pieni di sospetti verso le persone e le cose sconosciute…”20. Mi sembra di poter concludere questo aspetto dell’amicizia, dicendo che Fr. Carlo, vivendo tra i Tuaregs, ha scoperto la pienezza della sua vocazione all’apostolato secondo lo stile della visitazione : sarà il loro fratello – e attraverso di loro il fratello universale – tessendo con loro dei rapporti di bontà e di amicizia per salvarli. Lascerà questa “fraternità salvifica” in eredità ai suoi seguaci : “Di fronte ad ogni anima, avranno senza pausa, davanti ai loro occhi, la loro missione verso ognuna di esse: questa missione è di salvarla: in ogni uomo, buono o cattivo, amico o nemico, benefattore o carnefice, cristiano o infedele, quello che vedranno è un’anima da salvare; si faranno ‘Tutto a tutti, per salvarli tutti”; odieranno il male, ma questo odio non li impedirà mai 13 La bonté, 124-125. Huvelin, 291. Cf. Cor. Sah., 758-759. 16 Cf. Cor. Sah., 758-759. 17 Cf. Cor. Sah., 758-759. 18 Cor. Sah., 787. 19 Cor. Sah., 948. 20 Cor. Sah., 863. 14 15 6 di amare gli uomini; li porteranno tutti nel loro cuore, anche i più perversi, come il Cuore di Gesù; saranno gli amici universali per essere i salvatori universali: discepoli, imitatori e membra di Gesù, la loro vita ha lo stesso scopo che la Sua, salvare gi uomini in vista di Dio e deve come la Sua riassumersi e esprimersi nella sola parola Gesù, Salvatore”21. Essere testimoni, evangelizzatori, per noi discepoli di Fr. Carlo, significa “Vivere con”, “essere presente”: Significa poi essere presenti non con le grandi opere, ma nella vita quotidiana della gente, vivere con loro se non è possibile vivere pienamente come loro, essere pellegrini di Emmaus con loro sulle tracce del Risorto. “Vivere con”, “essere presenti” come si può, attivi, disinteressati, senza impazienza, senza desiderio di proselitismo, ma semplicemente e pienamente come il fratello di tutti. Essere parlanti anche, ma non necessariamente in primo luogo per annunciare Gesù Cristo o il mistero della fede: per denunciare piuttosto, quando è necessario, e perfino a rischio di essere incompresi: per denunciare quel che attenta all'uomo stesso, le ingiustizie specifiche, le violenze intollerabili, le gravi oppressioni, eccetera. Ciò non equivale certo all’annuncio della buona novella di Gesù Cristo; ma può significare, in un certo numero di casi, adottare l’unico mezzo per poter forse un giorno annunciarlo in tutta chiarezza a un numero crescente di uomini che sono oggetto, da parte di Dio, di un amore di predilezione perché sono dei poveri, degli esclusi e dei piccoli. Ed è, in ogni caso, il modo per testimoniare che noi stessi abbiamo già ricevuto questa buona notizia, che ci sforziamo di metterla in pratica, di viverla pienamente. E qui trova posto l’apostolato dei “laici”. CDF li pensa, guardando ai compagni dell'apostolo Paolo, Priscilla e Aquila (cf. At 18,2; 18,18-19). Come loro, essi possano evangelizzare tramite il contatto umano con tutti coloro che incontrano: “Accanto ai presbiteri occorrono delle Priscille e degli Aquila, che vedano quello che il prete non vede, penetrino ove egli non può entrare, avvicinino chi lo evita e gli è ostile per partito preso, evangelizzino mediante un contatto benefico, una carità che si espande su tutti, un affetto sempre pronto a donarsi, un buon esempio che attragga”. 10. Per la Riflessione 1. Fino ad ora vi ho invitato a riflettere come annunciare e condividere il Vangelo con la nostra gente, i nostri parrocchiani, ora vorrei invitarvi a riflettere su come vivere in fraternità tra noi sacerdoti. a. La nostra è una fraternità “sacramentale”: Attraverso l’ordinazione siamo inseriti in un presbiterio concreto attorno a un vescovo. Non si tratta solo di una determinazione giuridica o organizzativa, ma di una dimensione fondamentale dell’identità del prete. Il prete non è pensabile al di fuori di un presbiterio e quindi del rapporto con un vescovo. Mons. Monari scrive : “Un vescovo e i preti del suo presbiterio sono una cosa sola. Lo deve sapere il vescovo che può compiere la sua missione solo attraverso i presbi21 Règlements, 228. 7 teri; lo debbono sapere i presbiteri che operano in modo ecclesiale solo in comunione col loro vescovo. I preti non sono impiegati dell’azienda “chiesa locale”; il loro rapporto col vescovo non è di “dipendenza”, come salariati. Vescovo e preti sono insieme segno e strumento di Gesù pastore e hanno in solido la cura pastorale di una Chiesa particolare. La legge del loro rapporto e del loro servizio è quella della comunione. Ma certo “comunione” non significa meno della “dipendenza” di un salariato; è molto di più perché comprende anche un’adesione di affetto, di fraternità, di corresponsabilità”. Ma questo è possibile se condividiamo la stessa radice che è l’amore per Gesù e il suo vangelo e la stessa meta che è l’annuncio del Regno di Dio… ognuno secondo le sue responsabilità e secondo la propria generosità. b. Sempre Mons. Monari: “Fa parte di questa dimensione l’amore fraterno tra preti che si esprime in amicizia, dialogo, ascolto, aiuto, collaborazione, sostegno. Tra le testimonianze necessarie nella Chiesa quella della comunione nel presbiterio è la più feconda. San Giovanni scrive nella sua prima lettera: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). Naturalmente queste parole riguardano tutti i discepoli; ma credo sia doveroso applicarle alla comunione che deve manifestarsi tra i preti del medesimo presbiterio superando gelosie o critiche, confronti e mormorazioni. Per questo vanno valorizzate al meglio le molte occasioni di fraternità che sono offerte al presbitero”. Sarebbe bello dirci quali sono le nostre attese, le occasioni di fraternità che creiamo, ricerchiamo o offriamo ai nostri confratelli, non solo nelle cose materiali o i beni psicologici (come la compagnia, il momento di distensione, l'amicizia, qualche interesse culturale...), ma anche i beni dello spirito, ossia l'esperienza del proprio cammino credente con le sue difficoltà, crisi, aiuti trovati (e non trovati), crescita progressiva nella fede cristiana... . La prova migliore di tutto ciò sono quei presbiteri diocesani ove si sta imparando piano piano la pratica della condivisione fraterna spirituale. Sono loro a dire e testimoniare quanto questo sia possibile realizzarlo - eccome! - anche in un contesto sacerdotale diocesano, e soprattutto quanto sia vero e dia verità ai rapporti, qualcosa che cambia lo stile di rapporti, e che fa nascere fraternità vera. 2. CDF, seguendo lo Spirito e frutto della sua esperienza aveva sottolineato queste caratteristiche per evangelizzare. Credo, come dicevo all’inizio, che esse possono aiutarci a dare uno stile nuovo anche alla nostra evangelizzazione. Ma vorrei aggiungere quelle che il nostro vescovo al n. 27 della lettera “Dal battesimo il coraggio della missione” indica per la nostra Chiesa: “Per svolgere con frutto la nostra missione nella Chiesa dobbiamo prendere sul serio l'invito della Novo millennio ineunte: il coraggio di "prendere il largo": "È ora di riproporre a tutti con convinzione questa 'misura alta' della vita cristiana" (n. 43). In 8 questa ottica suggerisco alcuni atteggiamenti: genialità, generosità, rischio. E mi spiego: - GENIALITA’ : fondare la vita sul “genio del Vangelo”, ossia sulla straordinaria capacità di ogni pagina che quel "quadruplice fuoco" ha di tenere fermo il centro di tutto, di far andare al cuore delle questioni, senza rinunciare alla concretezza dei particolari. Certo, il genio del Vangelo, ma anche il genio personale di ciascuno, ovvero il compito di vivere l’unicità della propria persona, di sviluppare in maniera personalissima le proprie doti individuali. - GENEROSITA’ : chi ha trovato il gusto di sentire scorrere dentro di sé la vita di Dio, riesce a vincere la tentazione, ai nostri giorni, fortissima, di credere che Narciso abbia ragione, che il tempo migliore sia il tempo passato a specchiarsi in se stessi e nei propri appetiti. Generosi per aver compreso che “solo l’amore crea” (s. Massimiliano Kolbe), che la dedizione ai fratelli è l'unica via per rendere più bella la comune umanità. - RISCHIO : chi ama con generosità non riesce più a fermarsi, a rimanere tranquillo, a conservare gelosamente l’esistente. Per una evangelizzazione fruttuosa abbiate l’audacia e il coraggio della novità che lo Spirito sempre suggerisce alle Chiese. È il rischio di chi crede che, grazie anche al suo impegno, è possibile per il Vangelo di Gesù prendere casa nelle dimore e nei luoghi più impensati. «Come sacerdoti siamo a disposizione di tutti: per coloro che conoscono Dio da vicino e per coloro per i quali egli è lo Sconosciuto» (Benedetto XVI) 1 LA NAZARET SAHARIANA “Nazaret … è una dimora che si costruisce nel proprio cuore”1 Per terminare questi nostri Esercizi Spirituali vorrei condividere come CDF ha sempre tenuto alla sua vocazione di Nazaret e come l’abbia cercata. Il suo esempio è senz’altro uno stimolo per ognuno di noi a cercare (o a rinnovare), là dove il Signore l’ha messo, la sua Nazaret, il luogo della manifestazione di Dio e della nostra testimonianza. Lo faccio attraverso un paradosso: come Fratel Carlo ha cercato Nazaret a Nazaret e l’abbia trovata a Tamnrasset… vedrete la differenza. 1. Nazaret Arrivando il 5 marzo 1897 a Nazaret, Fratel Carlo è convinto di poter infine realizzare qui a Nazaret quella vocazione che stava ricercando ardentemente da tanto tempo. Scrive al cognato: “Arrivato qui senza avere un lavoro, senza certificato, senza nessun altro documento che i miei passaporti, ho trovato al sesto giorno, non solamente da guadagnarmi la mia vita, ma da guadagnarmela in condizioni tali che ho assolutamente ciò che sognavo da tanti anni, e si direbbe che questo posto mi aspettasse; e in effetti mi aspettava poiché niente ci succede per caso e tutto ciò che è fatto è stato preparato da Dio. Sono servitore, domestico, cameriere di una povera comunità religiosa (non dei francescani: avrei voluto esserlo, ma non c’erano posti disponibili, per il momento). Il mio servizio consiste nel servire delle messe, nel fare dei lavori di sacrestia, nello scopare, nel fare qualche rara commissione, nel fare i lavori interni, giardinaggio o altri che si devono fare. […] Sono il solo domestico in modo che vivo come eremita… Mi alloggiano, mi nutrono, mi vestono, mi danno tutto quello di cui ho bisogno… e questo con una tale bontà, una così pia carità che la mia sola sofferenza è d'impedire che mi si coccoli oltre misura e che si facciano troppe spese per me”2. Eppure A. Chatelard nel suo libro, Charles de Foucauld verso Tamanrasset, (pag. 83-111) sottolinea come Charles de Foucauld, dopo aver raggiunto Nazaret e la creduta pace nel convento delle clarisse, viene provato da 5 tentazioni contro la vita di Nazaret che era venuto a cercare e che lo porteranno, alla fine, a lasciare il villaggio di Nazaret e a cercare la vita di Nazaret nel Sahara. 1.1. La prima tentazione si manifesta poco tempo dopo il suo arrivo a Nazaret nel 1897. Ha saputo che le suore hanno bisogno di soldi e quindi si propone di andare a chiedere l’elemosina per loro. E’ la tentazione di voler rendersi utile. Huvelin gli impone di restare a Nazaret, poiché “è lì che il suo cuore vedrà fiorire ciò che nostro Signore vuol fare crescere in lei”. 1.2. La seconda durerà più di sei mesi ed è la tentazione di ritornare alla Trappa. Il 15 gennaio 1898 scrive all’Abbé Huvelin che ritiene di aver peccato d’orgoglio nel lasciare la Trappa, anche se si accorge che Nazaret è il posto che Dio ha preparato per lui. Chatelard afferma che sono tutti falsi problemi… la vera tentazione è il suo bisogno di fare qualcosa, di voler lavorare per il bene delle anime, di voler essere utile, efficace… L’Abbé Huvelin, ancora una volta, gli chiede di rimanere a Nazaret perché il buon Dio lo vuole lì. 1.3. La terza tentazione sono i pericoli di Gerusalemme o della visibilità. Fratel Carlo da Nazaret va a Gerusalemme dove Madre Elisabeth vuole conoscerlo e gli propone di vivere nel convento di Gerusalemme, offrendogli la possibilità di accogliere dei discepoli. Per questo l’11 settembre compie 1 2 Huvelin, 44-45. CDF, Lettre du 24 avril 1897 à son beau-frère. 2 pure la famosa andata e ritorno ad Alessandretta per cercare un ex-trappista, il quale però rifiuta di seguirlo e il 4 ottobre è di nuovo a Gerusalemme dove scrive all’Abbé Huvelin tutta la sua delusione. Egli gli risponde di essere “felicissimo” che tutto sia andato storto e di rimanere “all’ombra del monastero” nella sua solitudine, nel suo silenzio e nella profonda oscurità, poiché la tentazione era proprio quella di uscire dall’ombra, dal nascondimento… Il 20 febbraio ritornerà a Nazaret e lì rimane insieme “all’operaio figlio di Maria [...] nascosto in Dio con Gesù” 3, felice di “aderire con maggiore fedeltà e più profonda riconoscenza alla mia vocazione così benedetta”. 1.4. La quarta tentazione si presenta nel marzo 1900. Charles de Foucauld ha scoperto che le clarisse lo hanno accolto e lo trattano “come un pascià” perché lo conoscevano e vuole quindi andare a cercare un altrove migliore. In un primo momento vuole andare ad abitare in un paese non distante da Nazaret dove sia veramente sconosciuto. Poi di andare a lavorare come domestico in un ospedale poiché ha sentito parlare di una vedova, anziana e povera, il cui figlio non può entrare in convento perché deve assicurare il mantenimento della madre. Il suo salario gli consentirebbe di assicurare il mantenimento di questa vedova e di permettere al figlio di seguire la sua vocazione religiosa. Ne patirebbe la sua vocazione alla vita di Nazaret, soprattutto la preghiera, ma in compenso farebbe qualcosa di utile per il prossimo. 1.5. L’ultima tentazione è la più grave ed è l’acquisto del Monte delle Beatitudini. La storia la conosciamo, ma è più importante sapere che acquistando quel monte, Fratel Carlo pensa che là vivrà meglio “la sua vocazione ad imitare nel modo più perfetto possibile nostro Signore nella sua vita nascosta di Nazaret” con tutte le virtù legate a questa : “la preghiera, l’amore per la verità, l’abiezione, la penitenza, il coraggio, l’obbedienza a Dio, la pura ricerca del suo bene, il ritiro, l’amore di Dio, l’imitazione di nostro Signore, la speranza”. Perché questo possa realizzarsi non rifiuta nemmeno più l’idea dell’ordinazione sacerdotale. La risposta di Huvelin è un no categorico, non tanto per l’idea in sé, ma per il modo del discernimento, e avrà ragione perché Charles de Foucauld perderà in questo affare i soldi fornitegli dal cognato. Ma tutto questo ha mostrato che Charles de Foucauld ha ormai perso il gusto di restare a Nazaret e si sente spinto al sacerdozio. L’Abbé Huvelin non sa più cosa fare, e nonostante i molti dubbi lo lascia andare da Mons. Piavi, patriarca latino di Gerusalemme, per chiedere l’ordinazione. Davanti al suo rifiuto l’8 agosto si imbarca per la Francia dove, il 9 giugno 1901, si farà ordinare sacerdote. Proprio quando aveva raggiunto il suo obiettivo, il poter vivere la vocazione tanto sognata e preparata, queste tentazioni si presentano come un altrove che si contrappone alla stabilità, al radicamento di Nazaret e al nascondimento del seme nella terra. Fare, creare, lavorare per qualcosa, servire, essere utile, essere più efficace, sono attività in sé buone e desideri legittimi, ma realtà contrarie alla vocazione di Nazaret. Questuante, superiore della trappa, domestico in un ospedale, prete in un santuario, fondatore di un ordine: tutte situazioni che non sono cattive in se stesse. Ma per Fratel Carlo erano tutte tentazioni che gli impedivano di vivere in pienezza Nazaret e lo spingevano a cercare altrove la vita che Gesù conduceva a Nazaret. 2. Tamanrasset: “vivere qui è vivere Nazaret” 3 Bondy, 67. 3 Charles de Foucauld vi stabilisce a Tamanrasset nel 1905 dopo due tournée4 e vi rimarrà per il resto della sua vita, eccetto i tre soggiorni in Francia5. Durante la prima tournée, il 26 maggio 1904, in una sosta nel villaggio di Tit, dove studiava la possibilità di costruirvi una fraternità, mette sulle labbra del Signore questa richiesta, che ci rivela come voleva vivere il mistero di Nazaret: “Oggi e in futuro, se lo puoi, stabiliscimi al primo posto tra queste rocce simili a quelle di Betlemme e di Nazaret, dove tu hai e la perfezione della mia imitazione e quella della carità; per ciò che concerne il raccoglimento, è l’amore che deve raccoglierti in me interiormente e non l’allontanamento dai miei figli: Vedimi in loro, e come me a Nazaret, vivi vicino a loro, perso in Dio. Fra queste rocce dove ti ho condotto io stesso nonostante te, tu hai l’imitazione delle mie dimore di Betlemme e di Nazaret, l’imitazione di tutta la mia vita di Nazaret, la carità per gli abitanti del luogo e i viaggiatori essendo vicino a loro”6. Proseguendo questa meditazione, Charles de Foucauld ci fa capire come ormai per lui l’imitazione della vita di Nazaret non è ricreare ovunque e a qualsiasi costo uno stile di vita monastica, ma coltivare in sé quelle virtù di “raccoglimento, [...] povertà, [...] umiltà” e bontà che lo fanno essere immagine viva di Gesù. Durante questo periodo, ci sembra, che Charles de Foucauld purifichi la sua concezione del mistero di Nazaret. A Beni-Abbés aveva capito che doveva abbandonare lo stile monastico quale unico modo per imitare la vita di Nazaret, per privilegiare quello della fraternità, dell’essere con i fratelli, del vivere con loro. Egli ha compreso che il nascondimento di Cristo ha coinciso con la sua incarnazione e che Gesù a Nazaret non si nasconde isolandosi dagli uomini, ma vivendo il più possibile tra di essi, perdendosi in mezzo a loro. Quindi anche lui vuole, a sua volta, essere sempre più immerso fra la gente, “essere con” loro e, per amore, essere sempre più uno di loro, scomparendo in mezzo a loro, tanto si è fatto solidale con loro e la loro vita. Nella stessa meditazione riflettendo poi sul programma di vita che vuole attuare a Tamanrasset dopo aver ricordato che al di fuori dell’imitazione di Gesù Cristo non c’è perfezione e proprio questa è la vocazione scritta per lui “in capite libri” dal Signore che lo ha “stabilito per sempre nella vita di Nazaret” - scrive: “Prendi [...] per obiettivo la vita di Nazaret, in tutto e per tutto, nella sua semplicità e la sua ampiezza, servendoti del regolamento come un direttorio che ti aiuta per certe cose ad entrare nella vita di Nazaret (per esempio, fino a quando i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle siano pienamente stabiliti , niente abito - come Gesù a Nazaret -; niente clausura - come Gesù a Nazaret -, niente casa lontana da un luogo abitato, ma vicino ad un villaggio, - come Gesù a Nazaret -; non meno di 8 ore di lavoro al giorno (manuale o altro, fin dove è possibile manuale) come Gesù a Nazaret -; né una grande proprietà, né una grande abitazione, né delle grandi spese, e ugualmente delle grandi elemosine, ma un’estrema povertà in tutto – come Gesù a Nazaret... – In una parola in tutto: Gesù a Nazaret”7. La prima di un anno: dal 13 gennaio al 14 giugno 1904 in compagnia di Laperrine nell’Hoggar dell’ovest; e poi dal 14 giugno all’11 novembre 1904 in compagnia del luogotenente Roussel nell’Hoggar dell’est; la seconda dal 3 maggio all’11 agosto 1905 con il capitano Dinaux nell’Hoggar del sud. 5 Dal 16 febbraio all’8 marzo 1909; dal 16 febbraio al 16 marzo 1911; dal 10 giugno al 29 settembre 1913 con Ouksem. 6 Carnets, 110-111. 7 Carnets, 46. 4 4 “Come Gesù a Nazaret” è il ritornello di questa meditazione, quasi a conferma di come questo cambiamento si era radicato in lui e a sottolineare che non è più questione di luogo e di regolamenti, ma di spirito. Non ci può sfuggire che la regola unica davanti a tutti i cambiamenti diventa l’imitazione pura di Gesù. Come giustamente fa notare M. Serpette: “La base è sempre l’imitazione della vita di Nazaret: Foucauld vi vede la regola assoluta”8, ma essa non è più una legge ferrea, ma una traccia, uno statuto di vita. Quello che invece rimane “un devoir stricte” a cui non venire mai meno, è l’imitazione di “Gesù a Nazaret”. Le circostanze possono cambiare, possono richiedere di lasciar cadere abito, clausura, abitazione isolata, elemosine, ma ciò che deve restare fermo, non soggetto ad alcun cambiamento è essere “come Gesù à Nazaret”. Ma questo significa che ormai Nazaret non è più una modalità esterna, ma una modalità essenziale radicata nel cuore, all’interno del proprio spirito, e dall’interno informa ogni sentimento, parola, pensiero, progetto e gesto di carità. Da parte sua, ancora una volta, l’Abbé Huvelin, che aveva capito prima del suo diretto questa essenzialità di Nazaret, lo conferma nel discernimento fatto, scrivendogli: “Figlio mio, faccia ciò che il Buon Dio le ispira, segua l’istinto e la valutazione che lei solo può fare del bene da compiere. Nazaret si trova ovunque lavoriamo con Gesù nell’umiltà, nella povertà, nel silenzio”9. Una ulteriore e ultima conferma ci viene dal “quasi-ritiro” che fa “durante i sei giorni di riposo tra il Giovedì santo e il martedì di Pasqua” nel 1906. Ciò che colpisce e ciò che è interessante notare è che in queste 14 risoluzioni egli fa un continuo ed unico riferimento a “Gesù a Nazaret”. Lui stesso lo sottolinea quasi a far risaltare la purificazione che è avvenuta; ora è molto più libero e non più preoccupato di costruire un luogo; sa che Nazaret è un simbolo che traccia la sua vita e la sua vocazione: “vita di povertà e di disponibilità a tutti, vita all’ultimo ultimo posto, di inserzione nel vivo di tutto ciò che è umano, poveramente umano, la vita di Nazaret in quanto trasposizione mirabile, in azioni comuni e quotidiane, del grande atto della Croce”10. Nelle prime otto risoluzioni fa memoria a se stesso di quella che è la sua vocazione, quasi a volersi immergere di nuovo in essa per riscoprire, ancora una volta, il vivere e l’essere come “Gesù a Nazaret”: “1. - Richiamo del genere di vita che è la mia vocazione: Imitazione di GESÙ a Nazaret: Adorazione della Santa Ostia esposta: Santificazione silenziosa dei popoli infedeli, portando in mezzo a loro GESÙ. La sua adorazione e l’imitazione della sua vita nascosta. 2. - Richiamo all’imitazione continua di GESÙ nella sua vita di Nazaret. 3. - Richiamo alla penitenza, alla via stretta, alla Croce di GESÙ a Nazaret. 4. - Richiamo alla povertà di GESÙ a Nazaret. 5. - Richiamo all’abiezione, all’umile lavoro manuale di GESÙ a Nazaret. 6. - Richiamo al ritiro, al silenzio di GESÙ a Nazaret. 7. - Richiamo all’allontanamento dal mondo e dalle cose mondane di GESÙ a Nazaret. 8. - Richiamo alla vita di comunione spirituale, d’adorazione, d’orazione, di preghiere e di veglie di GESÙ a Nazaret”11. Inoltre, giunto a questo stadio della sua ricerca, rivede il suo modo di essere testimone del Vangelo e, anche qui, senza discostarsi da ciò che aveva già acquisito, rilegge la sua esperienza alla luce di ciò che lo Spirito e gli avvenimenti gli hanno fatto scoprire. Non dobbiamo dimenticare che scrive queste risoluzioni il 17 maggio 1906, proprio il giorno in cui Paul, il catecumeno che lo accompagnava, lo abbandona e quindi Fratel Carlo, rimasto solo, non potrà più celebrare l’eucaristia. D’ora in avanti quindi sarà votato ad un apostolato di presenza “attraverso la carità, la bontà, il fare del bene; […] la dolcezza, l’umiltà, il perdono; […] il buon esempio, la preghiera, la penitenza, la santificazione personale”: M. SERPETTE, Foucauld, 122-123. Huvelin, 197. 10 SIX, 310. 11 Carnets, 65-66. 8 9 5 “9. - Richiamo allo zelo delle anime cercando di radunare intorno alla Santa Ostia, in questi paesi infedeli una piccola famiglia che imiti la vita di GESÙ a Nazaret. 10. - Richiamo allo zelo delle anime, attraverso la carità, la bontà, il fare del bene a tutti gli umani, come GESÙ a Nazaret. 11. - Richiamo allo zelo delle anime, attraverso la dolcezza, l’umiltà, il perdono delle ingiurie, la dolce accettazione dei cattivi trattamenti come GESÙ a Nazaret. 12. - Richiamo allo zelo delle anime, attraverso il buon esempio, come GESÙ a Nazaret. 13. - Richiamo allo zelo delle anime, attraverso la preghiera, la penitenza, la santificazione personale, come GESÙ a Nazaret”12. E’ chiaro che Fratel Carlo vuole fare come Gesù: vuole essere presente agli uomini come lui lo è stato, realizzando, nella propria vita, l’abbassamento e il nascondimento che Gesù ha vissuto a Nazaret in mezzo agli uomini e per gli uomini. Così egli renderà presente Gesù, con quella presenza amante che il Sacro Cuore rappresenta. Essere Gesù nel cuore di questo popolo sahariano, quel Gesù che nel suo villaggio niente distingueva dagli altri uomini, era come loro, viveva la loro vita comune e semplice, ma vivendola, lui, il Figlio di Dio, la elevava e la santificava, cioè la salvava (GS 38). Fratel Carlo di Gesù aveva compreso che l’importante non era imitare in modo pedissequo uno stile di vita molto lontano dal suo e dalla cultura che lo ospitava, né tanto meno ricreare un luogo ideale, ma essere animato dallo Spirito che lo avrebbe fatto “essere di Gesù”, appartenere a lui, essere memoria viva di Gesù vivente a Nazaret. E tutto questo lo esprimeva nell’ultima risoluzione: “14. - Richiamo a lasciar vivere in me il CUORE di GESÙ affinché non sia più io che vivo, ma il CUORE di GESÙ che vive in me, com'egli viveva a Nazaret”13. Ci sembra che questi propositi, e specialmente questa ultima risoluzione, riassumano, con grande forza d’espressione, il cammino fatto da Charles de Foucauld nel cercare di imitare Gesù a Nazaret: Nazaret non è più un luogo e non è più un’imitazione di Gesù Cristo a tutti i costi, è, invece, un lasciarsi invadere da Gesù; lasciare sempre più vivere in se stesso il suo mistero dell’Incarnazione, perché i più poveri e gli abbandonati, lo possano conoscere ed essere salvati. Come per Gesù la cui vita “è inconcepibile senza la dimensione dell’essere-con”, del condividere cioè la sua vita con gli altri e in modo particolare con i suoi discepoli, così anche per Charles de Foucauld quest’aspetto prenderà sempre più importanza e trasformerà la sua visione e il suo stile dell’imitazione di Gesù vivente a Nazaret. Come Gesù si era fatto umile e piccolo “per dare un volto umano a Dio”, vivendo in fraternità con i suoi compaesani, così Fratel Carlo, a sua volta, si fa umile e piccolo tra i Tuaregs per dare un volto umano all’amore di Dio. Un volto che sia il più possibile vicino e rispecchi il più fedelmente possibile quello di Gesù, perché lui è il Rivelatore del Padre (Gv 1, 18). E come Gesù “morendo ha distrutto la morte” e ha dato la vita al mondo, così egli nel farsi tuareg tra i Tuaregs, nel morire a se stesso per vivere in fraternità con loro, vuole dare loro la possibilità di conoscere e di avere la vita di Cristo (1 Gv 4, 9). “Essere con” e “vivere con” come fratello diventa, d’ora in poi, il significato primo dell’imitare Gesù a Nazaret. Nazaret non è più un luogo da riprodurre sotto forma di monastero, ma il vivere in fraternità là dove il Signore lo chiama e lo invia. La vita di Nazaret, allora, la si può vivere ovunque perché è un “vivere con” la gente, senza nessuna separazione materiale, vivendo il più possibile come loro, portandovi la testimonianza del Vangelo in semplicità e fraternità. E’ un “cercare l’ultimo posto”, un “seppellirsi nell’oscurità” non isolandosi dagli altri, ma al contrario, fondendosi nella vita comune e fraterna con gli altri. E quindi - lo ripetiamo - Nazaret non è più questione di vivere in un luogo, ma imitare la vita di Gesù a Nazaret, la carità che egli ebbe con i suoi concittadini: 12 13 Carnets, 66. Carnets, 66-67. 6 “Ama Gesù con tutto il tuo cuore “dilexit multum”, e il tuo prossimo come te stesso per amore di Lui... la tua vita di Nazaret può essere vissuta ovunque: vivila nel luogo più utile per il prossimo”14. Non so se sono riuscito a farvi vedere l’evoluzione che si è prodotta nella vita di Fratel Carlo, della ricerca appassionata per meglio interpretare la chiamata del Signore. Certamente c’è stato un cambiamento e che cambiamento! Egli, attraverso il mistero della Visitazione, ha capito che la vita di Nazaret non è da viversi in una sommità deserta, ma in una valle, in mezzo agli uomini. Charles de Foucauld sente che deve andare a vivere tra le anime che ancora non conoscono il Cristo, per essere salvatore con Lui e messaggero del suo vangelo, portandolo nell’eucaristia e dedicandosi ad una intensa vita di immolazione, nella penitenza, nella preghiera e nella carità. Egli è più che mai convinto che evangelizzare non significa per forza parlare, ma piuttosto unirsi al sacrificio di Cristo, agnello immolato, e bruciare di un fuoco ardente per la salvezza delle anime. Ecco perchè si può affermare, senza paura di smentite, che la presenza di Fratel Carlo nel Sahara non è “una vocazione al silenzio” e neanche “una spiritualità del deserto”, ma piuttosto essere con Gesù, ed essere con gli altri, nello stile della stessa vita di Gesù a Nazaret. Siamo ben lontani dalla lettera al P. Jérôme e possiamo dire che egli ha imparato che “è amando gli uomini che si impara ad amare Dio. Il mezzo per avere l’amore di Dio è di praticare l’amore per gli uomini”15. 14 15 Carnets, 46-47. Citato da JF., SIX, Le testament de CDF, 81.