Giallo estremo
Antonio Fiorella
Parte seconda
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Siamo a luglio. Un mese torrido per prendere iniziative.
Non ho mai concretamente accarezzato l’idea di ritornare a Parigi,
né per mettermi alle calcagna di Annalisa, né per indagare in proprio
sul destino di Maria Grazia. Ma anche se avessi voluto...
“Non se ne parla neppure!” mi ha intimato il maresciallo dei
carabinieri dopo avermi interrogato. Purtroppo ogni mia riflessione, a
ruota libera, si traduce in ulteriori equivoci. E’ anche per questo che
ho cominciato a mettere su carta una memoria scritta.
Ma più ci penso e più mi sento incapace di stabilire se l’esercizio
tende a perpetrare il gioco di vedersi oggetto di tanta attenzione, o
assume la valenza di uno sfogo per il fastidio provocato. Intanto mi
dico che può essermi utile mettere in ordine i ricordi, quanto basta
almeno per ritrovare un filo logico a certi avvenimenti.
L’eventualità di essere rimasto, mio malgrado, invischiato in una
ragnatela di dimensione internazionale non mi sfiora neppure. Fatto
tangibile è che la semplice ipotesi di partire mi ha portato a
beneficiare degli arresti domiciliari per 24 ore. Essendo partito dallo
stato di diritto di persona informata dei fatti, è stato un bel progresso.
Poi mi viene imposto semplicemente di non lasciare la città.
Adesso che Annalisa non è più a Torino, mancandomi un punto di
riferimento dove partire per il fine settimana, trovo la disposizione
del tutto superflua. L’unica cosa di cui mi rammarico è che le notizie
mi arrivano, filtrate dal telefono di casa, principalmente da
Giovanna.
A questa stregua è chiaro che il mio racconto si complica, per non
citare la mia posizione di indiziato numero uno.
Avendo avuto disposizione di passare ogni giorno in questura a
firmare il registro, qualche volta il maresciallo, pancia in fuori, mi
rivolge delle domande sul caso che, sostiene, ora è diventato un
affare internazionale ma che sembra ancora intrigarlo. In queste
occasioni ha la compiacenza di schizzare il retroterra investigativo da
cui è scaturita, prima la riflessione, quindi la domanda che mi
sottopone, a volte a bruciapelo, altre volte nel tono mellifluo del
venditore di polizze vita o con l’aria del buontempone che s’incontra
all’osteria.
Le persone attempate destano simpatia anche con la divisa
addosso.
Nel maresciallo Nicola Biancacci, quella circonferenza addominale
che denota sedentarietà e amore per la buona tavola, oltre a fare la
sua figura, sembra avere una funzione professionale. “Da amico,”
sembra una invocazione la sua, “ti suggerisco di lasciare da parte la
tela ingarbugliata della cena tardi, dei succhi gastrici e delle
elucubrazioni addirittura metafisiche. Attieniti ai fatti. La gelosia è
già di per sé un buon movente. Non saresti il primo uomo ad aver
perso la testa in un momento di gelosia. Anche se non ti vedo come
una persona capace di azioni efferate. Ma per quante ne ho viste di
mostruosità, un possibile atto inconsulto devo metterlo in conto. A
distanza di anni, osserva con freddezza le cose: un atto inconsulto,
non premeditato, con le attenuanti del caso, può agevolarti.”
Sono passati soltanto pochi mesi, avrei voluto interromperlo. Ma
sarei cascato nel suo gioco fatto di ‘ripeti un’altra volta, non puoi
aver dimenticato, qui ti sei contraddetto’.
Quando il tono del maresciallo diventa così paternalistico, non so
davvero che rispondergli. In un momento di stanchezza uno potrebbe
cedere. Capisco come uno, in un contesto d’isolamento e
nell’asprezza della situazione, possa confessare di tutto soltanto per
compiacere chi gli sta di fronte, arrendendosi alle buone manieri.
“Riordina le idee, astieniti dal romanzare e metti giù i fatti come si
sono succeduti in una sequenza tem-po-ra-le; in una parola: la verità
ha una sua logica che non si può camuffare... E’ ben difficile da
camuffare da una persona inesperta del crimine.” L’esitazione in
parte lo ha tradito. “Per il resto affidati al tuo avvocato.”
Ho scelto Giovanna come mio avvocato. Sto cercando di riordinare
i fatti come mi ha chiesto, senza nulla omettere. Lei, contrariamente
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a quanto mi ha suggerito il maresciallo, mi ha detto di non tralasciare
niente, sopratutto il lato emotivo: “Ogni dettaglio può servire a
dipanare la nostra matassa, che...” che non sa o non vuole definire.
Che si sta complicando. “Che fonda la sua ragione d’essere
nell’assurdo,” mi sono affrettato a concludere al posto suo. La
nostra? Mi sorprende che Giovanna tenti di immedesimarsi nella mia
matassa. Tutti a interessarsi al mio caso, voglio dire: le forze
dell’ordine di due paesi, Francia e Italia. Non ho mai sperato di
meritare tanto.
Quando incontro Giovanna la prima volta nei panni del mio
avvocato difensore, Giovanna ha saputo che Paolo si è recato
all’indirizzo di Parigi che gli ho fornito, dove ho vissuto per un certo
tempo insieme a Maria Grazia.
Finché non ho raggiunto quel livello di compromesso che non
riuscivo più a tollerare. Solo questo aveva determinato il vero punto
di svolta.
Il sopralluogo si è concluso con un nulla di fatto.
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Parigi, qualche giorno prima degli arresti domiciliari.
E’ un palazzo senza portineria, nessuno rammenta i due giovani
italiani che hanno affittato al secondo piano, circa un paio di anni
prima, un monolocale che hanno abbandonato alcuni mesi dopo
senza preavviso. Nello stabile ci sono prevalentemente piccoli
appartamenti, adatti a studenti e a gente di passaggio. Nel via vai di
persone, due giovani uguali a tante altre coppie, si sono confusi con
altre giovani coppie.
L’agenzia immobiliare che gestisce le locazioni paga male i propri
dipendenti, quindi c’è un accentuato avvicendamento del personale.
“Due teste nella folla sono altrettanto difficile da cercare quanto
cercarne una sola!” commenta il titolare dell’agenzia che non ha
alcuna voglia di perdere altro tempo ad ascoltare le domande di un
bellimbusto italiano. Avesse chiesto di comprare o prendere in
locazione un appartamento, avrebbe ricevuto un’attenzione
commisurata al suo portafogli.
Paolo racconta il tentativo che ha fatto ad Annalisa. Decidono di
gestire il passo successivo insieme, con estrema accortezza. Non
resta altro da fare che recarsi a casa di Andrée Margot, 25 rue
Gouttefarde, Paris. Sarebbero comunque andati a fare un colloquio
con l’amica di Maria Grazia, Andrée. Paolo sperava di andarci
avendo nel fascicolo qualche notizia recente, qualche elemento in più
su cui contare. Giocata quella seconda e ultima carta, non hanno altro
appiglio.
Lo stabile ha una portineria. Il portinaio a mezzo citofono anticipa
ad Andrée la visita di due signori italiani vestiti elegantemente.
“Buon giorno. Scusi l’intrusione a quest’ora. Cerchiamo Maria
Grazia Baccini, abita qui?” chiede Paolo.
“Buon giorno.” Andrée è in vestaglia nonostante siano passate le
nove del mattino. Senza trucco, lo sguardo intenso da miope, non
risponde al saluto ma domanda senza scomporsi: “Chi siete voi?”
“Ci scusi. Io sono Paolo Di Donato, di professione avvocato e lei è
Annalisa. Siamo a Parigi di passaggio. Siamo qui, non in veste
professionale, ma in quanto amici di Marcello Dotti.”
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“E io cosa c’entro con Marcello Dotti?” risponde Andrée.
Il portoncino è rimasto aperto a metà. Andrée non ha ancora deciso
se farli accomodare o interrompere la conversazione alle prime
battute. Rimane ben vigile, attentissima a non fare passi falsi. Quella
visita ha avuto l’effetto di risvegliare un mare di interrogativi, per cui
si sforza di non mostrare né accondiscendenza né ostilità.
“E’ una storia lunga,” interviene Annalisa che fino ad allora era
rimasta ad ascoltare, mezzo passo indietro. “Sono la fidanzata di
Marcello. Ho saputo qualcosa della sua precedente relazione che mi
ha lasciata perplessa. M’interessa incontrare la sua ex.” Si ferma, ha
un attimo di esitazione.
“Sa,” aggiunge Paolo, cogliendo al volo il momento propizio, “è
rimasta incinta di Marcello...”
Andrée indugia un attimo, quindi indietreggia di un passo e
spalanca il portoncino per farli entrare. “Accomodatevi,” dice e li
accompagna in salotto.
Annalisa e Paolo prendono posto sul divano, lei si siede sulla
poltroncina che dev’essere il suo posto abituale. Prima di sedere l’ha
liberata di un libro, lasciato aperto con le pagine all’ingiù, che
appoggia in grembo, capovolto.
“Maria Grazia non ha mai abitato presso di me.”
“Sappiamo che lei era una sua amica,” precisa Annalisa.
“Strano che la cerchiate proprio qui.”
“Abbiamo provato a casa di Maria Grazia e Marcello,” dice Paolo,
“o ad essere più precisi, nella casa dove abitavano circa un anno fa.”
“Strano...” Andrée appare perplessa. Le mani prima hanno chiuso il
libro, con l’indice posto nel mezzo a fare da segnalibro, ora ne
tormentano le pagine. Mentalmente sembra stia risettando un quadro
scenico per elaborarne un’altro.
“Cos’è che è strano?” chiedono, con una frazione di tempo
discordante, Annalisa e Paolo.
“E’ una decina di mesi, più o meno, che non so niente di Maria
Grazia, né tanto meno di Marcello.”
Paolo e Annalisa si guardano in viso.
“Ora voi spuntate dal cielo,” prosegue Andrée “e mi domandate di
Maria Grazia. Fino a pochi minuti fa ho pensato che Maria Grazia
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fosse partita con Marcello. O meglio, lo abbiamo pensato tutti quelli
che li conoscevano. Essendo entrambi spariti nel nulla, senza
avvisare nessuno, senza lasciarsi dietro nemmeno un recapito,
cos’altro si può pensare?”
“In che senso sono spariti nel nulla?” domanda Paolo.
Andrée è ancora pensierosa, sembra incapace di reagire. Nell’atto di
sforzarsi di credere, di capacitarsi di fronte a uno scenario che si è
rovesciato, sente venir meno le forze.
“Ha bisogno di qualcosa?” chiede Annalisa, “le abbiamo dato una
notizia che non si aspettava?!”
“Ho bisogno di qualcosa di forte, di un cognac... cosa prendo per
voi? Un tè, un caffè?” Nell’alzarsi ha sfilato l’indice della mano
sinistra messo a fare da segnalibro e a riposto il libro nello scaffale.
Nello scomparto accanto c’è lo spazio bar con alcune bottiglie. Il
racconto giallo-rosa shocking può attendere, ora che è proprio la vita
a tingersi di giallo.
“Un caffè per me va bene,” dice Annalisa.
“Va bene anche per me,” aggiunge Paolo.
Maria Grazia porta una bottiglia di cognac e dei bicchierini. Quindi
versa in tre tazze il caffè che era stato lasciato filtrare in precedenza.
“Non è così forte come quello a cui siete abituati voi.”
“Va bene così, per noi è il secondo nel giro di un’ora.” Dice
Annalisa, che aggiunge: “Mi sembra di capire che abbiamo portato
una notizia choc.”
“A un certo punto Maria Grazia non si presenta sul lavoro, a casa
non risponde,” comincia a raccontare Andrée, “che pensare? La sera
sono andata a casa sua. Non c’era nessuno. L’indomani ho fatto un
giro di telefonate. Qualcuno ha ipotizzato che forse erano partiti per
una breve vacanza. A distanza di giorni, parlando tra amici e
conoscenti, abbiamo pensato che avessero voluto tagliare i ponti.
Cos’altro potevamo supporre?”
L’interrogativo cade nel vuoto.
“A mano a mano che il tempo passava, mi sono venuti dei dubbi,
nello stesso tempo non sapevo proprio che fare. Chi contattare. Ho
cominciato a dare a me stessa quelle spiegazioni che ci dicevamo tra
amici. L’hotel era ed è un porto di mare. Il lavoro è logorante, non dà
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soddisfazione. Intascata la paga, capita spesso che qualcuno se ne
vada senza neanche salutare. Maria Grazia era con questo Marcello,
un tipo non facile. Lei era una mia amica, ma anche lei aveva il suo
bel caratterino, apparentemente puntigliosa... Ma nelle scelte di
fondo così indecisa, che finiva con l’essere accomodante come un
materasso ad acqua.”
Lo sguardo di Annalisa smorza sul nascere il mezzo sorriso che sta
per affiorare sul volto di Paolo.
“Marcello era un compagno possessivo, di carattere chiuso. Non
aveva un lavoro fisso. Anzi, il più delle volte se ne stava per lunghe
ore in casa ad aspettare la sera. Cosa che esasperava Maria Grazia.
Ho pensato, lui avrà avuto voglia di cambiare aria e le avrà detto: o
vieni con me o me ne vado, e lei lo ha seguito. Non era la prima volta
che era successo.”
“E l’appartamento dove abitavano? Neanche lì hanno lasciato detto
qualcosa?” chiede Paolo.
“Il monolocale era ammobiliato. Scaduto l’affitto mensile, se
nessuno paga, l’agenzia riprende possesso dell’appartamento.”
“Si è mai recata a chiedere informazioni all’agenzia, per esempio
per sapere se nell’appartamento avevano lasciato vestiti o altro?”
“Certo che l’ho fatto, ma quella è gente sbrigativa. La prima volta
mi hanno domandato se ero disposta a pagare io l’arretrato. Se Maria
Grazia me lo avesse chiesto, sì. Pagare alla cieca per fare un favore a
chi? ‘Certo che no,’ ho risposto. La volta successiva ho scoperto che
avevano già affittato il monolocale a un altro inquilino. Ho chiesto se
avessero trovato libri o indumenti. La risposta è stata vaga: le cose
che vengono lasciate negli appartamenti, sono imballate e trasportate
nel loro deposito. Per un periodo indefinito, poi vengono regalate ad
associazioni di beneficenza. E’ tutto qui quello che mi hanno detto,
senza neanche verificare. Non so altro.”
Annalisa e Paolo, dopo essere usciti dalla casa di Andrée,
ripercorrono silenziosi il lungo tratto di marciapiede diretti alla
stazione del metrò più vicina.
“A cosa stai pensando?” chiede Paolo, rompendo il silenzio.
“E tu, a cosa stai pensando?” lo interroga Annalisa.
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“Prima tu, ho fatto io per prima la domanda.”
“No, prima tu. Il mio pensiero è troppo...”
“Intimo?” suggerisce Paolo.
“No, è soltanto maledettamente personale.” Il viso di Annalisa
mostra un velo di sgomento.
“Anche quello che pensavo io era, è maledettamente personale.”
Segue una breve pausa densa di emotività. “Vogliamo fare una sfida,
a chi di noi due ha motivo di recriminare?”
Le labbra serrate di Annalisa accennano una smorfia che sembra di
assenso.
“Pensavo alla nostra ultima gita in montagna. Ci siamo trovati,
Marcello ed io, sull’orlo di uno strapiombo. Per un breve istante ha
perso l’equilibrio e si è appoggiato a me.”
Annalisa ha uno sguardo interrogativo sotto una fronte corrucciata.
“Vorresti dire che ha cercato di spingerti giù dallo strapiombo?”
“Voglio dire che, col senno del poi, poco fa ho avvertito di avere
come sfiorato un pericolo. Vero che il pericolo può scaturire anche
da uno starnuto. E’ per questo che si fanno le indagini, no?”
“Beh sì, se lo starnuto ti fa cadere in un precipizio, è un’azione
pericolosa!” commenta Annalisa.
Paolo le cinge le spalle con un braccio. Intende solo mostrarsi
rassicurante, non intende spingerla a rivelare i suoi pensieri.
“Adesso,” dice Annalisa, la voce bassa, “ho una ragione in più per
non desiderare di scoprire la paternità di mio figlio.”
“Io sono pronto, da subito, a sposare la madre e ad adottare il
piccolo.”
“O la piccola... Ma prima ti toccherà fare i conti con Giovanna,
caro!”
Annalisa e Paolo si sono congedati da Andrée assicurandola che
una volta chiarito meglio il quadro d’insieme, l’avrebbero informata.
Per prima cosa si propongono di ritornare dall’agenzia immobiliare
per “estorcere generalità e dettagli completi” di Marcello Dotti e
Maria Grazia Baccini.
“Vedremo chi si mostra più tosto, adesso.” Paolo si è espresso in
tono categorico nel menzionare il prossimo passo. “Appena entro in
agenzia, subito prospetto loro l’eventualità che in pratica hanno
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occultato le prove di un possibile misfatto. Darò loro 24 ore di
tempo, per rispondere a tutte le mie domande. Altrimenti
risponderanno alle stesse domande direttamente a un rappresentante
delle autorità.” Poi avrebbero fatto un paio di telefonate in Italia: a
Giovanna avrebbero chiesto di rintracciare i genitori di Maria Grazia
e mettersi in contatto con loro.
Avrebbero invece tenuto Marcello nel vago, cercando di carpire,
ognuno dei due a proprio modo, cosa davvero possa passare per la
mente dell’uomo, se stesse fingendo o cercando di tessere l’orlatura
di una misteriosa tela iniziata anni prima.
In ogni caso, avrebbero incontrato di nuovo Andrée, prima di
programmare qualsiasi azione futura. A nessuno sfugge il fatto che,
probabilmente, lo sviluppo dei passi che stanno per intraprendere
portano alla denuncia della scomparsa di Maria Grazia alla polizia di
due paesi, Francia e Italia.
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Sabato mattina.
Il padre di Maria Grazia vive in un paese solitario inerpicato sulle
colline della Toscana.
Giovanna non ha trovato le parole per dirgli alcunché, se non per
chiedergli di concederle un appuntamento. Mentre era al telefono, le
è sembrata la soluzione più agevole per tirarsi fuori dalla situazione
di disagio in cui s’è trovata e per non risultare troppo incauta
nell’annunciare una eventuale brutta notizia.
Intanto, quale occasione migliore per un fine settimana
nell’entroterra toscano? Paolo è lontano, di fatto è con un’altra. Lei
dovrà imparare ad accettare la sconfitta, d’ora in poi, ad organizzarsi
in proprio preparandosi a convivere in un soliloquio con l’altra parte
di sé.
Adesso, in auto da sola, mentre è al volante, trova che le manca la
compagnia dell’uomo che le è stato accanto negli ultimi anni e del
navigatore che, nell’indicarle la strada, attira su di sé i rimbrotti le
volte in cui ad un incrocio dà una indicazione nient’affatto
tempestiva. Di preferenza è quasi sempre lei al volante quando sono
in giro ad esplorare le bellezze delle località sperdute - di un’Italia
minore al di fuori dei circuiti riservati ai turisti che si muovono in
carovana. A Paolo piace lasciarsi scorrazzare in giro. E a lei piace
avere le redini della situazione in mano.
Intanto si affaccia nella sua mente un altro pensiero molesto. Non
sa ancora quanto sia opportuno continuare a ragionare nel presente
circa le loro abitudini passate.
In definitiva, chi dei due è stato più determinante nella scelta di
ogni meta, non saprebbe dirlo. Non oserebbe più affermare di sentirsi
lei artefice delle svolte imposte alla loro vita di coppia e lui l’uomo
che si è sempre lasciato trascinare.
Sono trascorse già tre ore di viaggio. Da un pezzo sono cominciate
le colline. Le alture e i finestrini abbassati rendono la crescente afa
più sopportabile. La campagna toscana assolata, vista dall’alto,
sembra un assemblaggio di tele dalle tinte forti. Siepi e alberi a fare
da cornici.
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Le vengono in mente Gauguin, Van Gogh, i macchiaioli Fattori e
Silvestro Lega. Di quest’ultimo rammenta perfettamente il nome,
perché Silvestro è anche il nome di suo padre. Negli anni in cui
frequentava il liceo ha avuto con il proprio genitore non pochi
scontri, che li hanno portati a una convivenza distaccata durante gli
studi universitari. Ora che ‘il suo babbo’, come lo ricorda
affettuosamente, non c’è più, ne avverte infinitamente la mancanza.
Perché nella vita si saltano le tonalità intermedie? Perché spesso il
passaggio va così bruscamente dal senso di fastidio alla sensazione di
smarrimento, per la presenza o la mancanza di una persona? E perché
infine la sua mente è andata a suo padre? Forse comincia a profilarsi
sul serio l’uscita di Paolo dalla loro vita coniugale.
L’assenza di un uomo, una eventualità ormai che non dovrebbe
coglierla impreparata.
Ma in questo momento a turbarla è anche quello che le è parso di
cogliere, nel tono più che nelle parole, dalla breve conversazione che
ha avuto con il padre di Maria Grazia.
“Dottoressa Gandolfi, non la seguo. Non capisco se mi porta o mi
chiede notizie di mia figlia!”
“Signor Baccini, mi vuole essere di aiuto? Le sto chiedendo se ha
notizie recenti di Maria Grazia.”
“Quanto recenti? Notizie recenti di mesi, no; notizie recenti di
anni, forse...”
“Posso parlare con sua moglie?”
“Certo, ma non è in casa.”
“Quando posso trovarla?”
“Ah, mi è oscuro il dove, s’immagini il quando...”
“Posso venire a trovarla sabato prossimo?”
“In questo sì che posso esserle di aiuto. Io, di mia iniziativa, di qui
non mi muovo... Solo un terremoto mi mette fuori casa.”
“Signor Baccini, allora sarò da lei per il fine settimana.”
Giovanna si ferma sulla piazzola davanti a un bar per una sosta.
Prima di entrare, apre le carte e dà uno sguardo al resto del percorso.
Se ci fosse bisogno di chiedere informazioni, sarebbe meglio saperlo
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subito, al fine di dosare mance sorrisi e cortesie in base alle necessità
effettive. Un rapido confronto con l’orologio le assicura di trovarsi in
tempo per raggiungere la meta in tarda mattinata. Obiettivo: arrivare
prima dell’ora di pranzo. Ha predisposto con cura l’itinerario la sera
prima e la mattina successiva è partita all’alba, un po’ prima del
dovuto per compensare l’assenza del navigatore. E dimostrare a se
stessa che la presenza di un uomo non è poi così indispensabile.
L’eventuale arrivo dopo l’ora di pranzo avrebbe l’incognita del
riposo pomeridiano da parte del signor Baccini. Sa bene che a sud di
Torino, soprattutto d’estate, la gente è solita riposare dopo il pranzo
giornaliero.
Una
dieta
ipocalorica
li
affrancherebbe
dall’inconveniente.
Poi sarà libera di programmare il fine settimana. In zona alcune
fattorie iniziano a ospitare i visitatori di passaggio amanti della
natura.
Ancora pochi chilometri e raggiunge il paese arroccato su una
collina. Cerca un parcheggio, ogni zona in ombra è contesa dai
residenti. Lascia l’auto parcheggiata in prossimità di una quercia
nell’ultimo posto che trova libero. Il sole girandosi estenderà
l’ombra, fra non molto, non più tardi di una mezz’ora, fino alla sua
auto.
Quando di lì a poco scopre la casa del signor Baccini Domenico,
questi è già sull’uscio di casa ad attenderla. Infatti Giovanna, per
quei pochi minuti che ha domandato informazioni a un paio di
persone nella piazza del paese e ha attraversato la strada, si è sentita
come una mosca su una torta alla panna. In mezzo a decine di
persone che si trovano in giro, una persona che viene da fuori si nota
immediatamente non solo perché ha un viso sconosciuto, ma anche
perché ogni località sembra avere una serie di codici segreti che
contraddistinguono il paesano dal forestiero. Il modo di vestire, il
portamento, l’inflessione della voce, insomma tutto tradisce l’intruso
in queste località di antiche tradizioni, né più né meno come in un
posto di frontiera.
Il signor Baccini è un uomo sulla cinquantina, dai capelli radi e il
fisico asciutto del tipo energico. Di solito è affaccendato in piccole
attività di manutenzione per fare fronte alle diverse esigenze che la
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casa richiede. Oggi se ne sta seduto sulla porta di casa in maniche di
camicia. Sfogliando un opuscolo, che sembra incuriosirlo soltanto
parzialmente, sbircia sopra le lenti da presbite verso la piazza dove si
affaccia il bar principale del paese.
Davanti le solite facce del sabato mattina, il giovane ragioniere che
ha trovato un posto di lavoro presso il comune, l’amico pubblicitario.
Da lontano intravede una donna vestita di chiaro fermarsi a
chiedere informazioni. Il ragioniere indica la direzione puntando
verso casa sua. E infatti la donna con la borsa a tracolla si dirige
spedita verso di lui. Eccola puntuale quindi. “Non ho avuto le
traveggole” dice a se stesso predisponendosi all’incontro.
Gli sguardi s’incontrano e si parlano prima ancora dell’uscita delle
singole parole, che vengono pronunciate solo per convenzione.
“E’ il signor Baccini?”
“Buon giorno, la dottoressa Gandolfi?”
“Mi chiami Giovanna.”
“Giovanna si accomodi, in casa è più fresco.” Ed è anche più
riservato, sta ad indicare uno sguardo vigile, rivolto verso la strada
mentre si fa da parte per lasciar entrare l’ospite. “Il mio nome è
Domenico.”
Il signor Baccini è impaziente di conoscere a fondo cosa ha indotto
l’elegante signora a percorrere centinaia di chilometri per incontrare
un vecchio che non interessa più a nessuno. In verità ha capito bene
che si tratta di sua figlia e non di lui. Ma per scaramanzia preferisce
focalizzare la sua attenzione su aspetti non particolareggiati piuttosto
che... su altro. Una manovra di depistaggio. Un modo di fuorviare in
anfratti indistinti il destino. Intanto è troppo legato agli antichi
costumi di ospitalità per non indugiare, prima nell’offrire un
bicchiere di vino, in nome della tradizione, di pari passo con
qualcosa di fresco, che sa di moderno. Versa infine, con suo
disappunto, un bicchiere di acqua fresca di frigorifero a Giovanna
come gli è stato richiesto e attende.
Il primo sguardo è stato sufficiente a Giovanna per afferrare la
situazione. La casa pur essendo ordinata rivela l’assenza di una mano
femminile. Per esempio il piccolo particolare della fodera copri
divano appoggiata in qualche modo sul divano, senza stirare. La
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polvere sulle mensole. Sono entrambi segni eloquenti. Quindi va
diritta alla meta spiegando la ragione della sua visita.
Il padre di Maria Grazia è rimasto per tutto il tempo ad ascoltare
senza mai interrompere.
“Signor Baccini,” chiede infine Giovanna, “non si è preoccupato
della mancanza di notizie da parte di sua figlia?”
“Signora Giovanna, un padre è sempre preoccupato per un figlio o
una figlia, specie se la figlia vive lontano! Il fatto è che ho pensato:
nessuna notizia, buone notizie. Non ha telefonato a me, avrà
chiamato mia moglie...”
“E sua moglie, dov’è?”
“Non vedo mia moglie da quando è andata via di casa.”
“E’ successo prima o dopo che Maria Grazia si è recata all’estero?”
“Purtroppo, dopo la partenza di Maria Grazia, sono successi molti
fraintendimenti fra me e mia moglie, che sarebbe noioso raccontare.”
“E sua figlia sa della vostra separazione?”
“Io a Maria Grazia non ho detto niente.” Ha una pausa di
riflessione. “Ho pensato di sì, che l’abbia saputo da sua madre o da
qualcuno del paese con cui è rimasta in contatto. Mi sono detto: ‘è
perché sua madre se ne andata di casa, che non mi manda più
nemmeno una cartolina’. Ho pensato che ce l’avesse con me.” Così
dicendo si alza e stacca da una parete ricoperta di cartoline una in
particolare, l’ultima che ha ricevuto. Rappresenta una foto del parco
di Fontainebleau. La data è riconducibile a circa un anno e mezzo
prima.
Un rapido calcolo, all’epoca Marcello era in Francia, era tutto
regolare. “Lei non ha mai cercato di contattare Maria Grazia negli
ultimi mesi?”
“Ma è stata sempre lei a mandarci sue notizie. E’ lei che se ne
andata a studiare all’estero. Aveva detto, vado via per sei mesi, poi è
diventato un anno, poi due. ‘Allora’, le ho detto io: ‘questi studi non
finiscono mai?’ Io ho fatto il mio dovere, sono loro donne che
praticamente mi hanno abbandonato.” E’ un uomo amareggiato che
vive tuttora con rancore il pensiero del torto subìto e che non sembra
voler afferrare la portata di quello che sta scoprendo. Giovanna gli ha
riferito che sta cercando di rintracciare Maria Grazia per conto di un
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amico. Non vuole essere lei ad anticipare notizie drammatiche che
per adesso restano solo ipotesi.
“Cosa è successo, tra lei e sua moglie, di così importante, che vi
impedisce persino di rimanere in contatto per scambiarvi notizie di
vostra figlia?”
“Gliel’ho detto: una serie di fraintendimenti...”
Una frase dopo l’altra fa emergere una storia di ripicche, di divieti
e di visite fatte in città alla vecchia madre, alla parentela. L’ultimo
fraintendimento della serie è stato che la madre di Maria Grazia era
rimasta chiusa fuori della porta di casa. In pratica l’aveva trovata
sbarrata, per essere rincasata ventiquattr’ore dopo l’ora pattuita.
Il fatto risale a fine novembre o inizio dicembre dell’anno scorso. Il
pover’uomo racconta a modo suo l’episodio, ma non rammenta con
precisione neanche il mese in cui è stato lasciato da sua moglie.
E il mazzo di fiori per l’anniversario delle nozze? Se Dio vuole,
quando tornerà a rinascere, farà ammenda con fiori e champagne!
La signora Nobili - un nome dal sapore beffardo nella precisa
circostanza - aveva dovuto quindi fare ritorno in città, chiedere
ospitalità a sua cugina, per non impensierire inutilmente sua madre
che già di testa non ci stava. Dopo la morte del marito, il nonno di
Maria Grazia, la nonna non si era più ripresa.
Che situazione, ritornare dalla città in pullman con altre persone,
fare un pezzo di strada insieme con qualcuno che ti aiuta a portare la
borsa e i sacchetti della spesa, tentare di aprire, bussare alla propria
porta di casa e scoprire che è chiusa dal di dentro. E lui, forse
ubriaco, barricato all’interno a gridare che non aprirà per altre
ventiquattr’ore. Poteva chiamare i carabinieri e fare irruzione in casa
propria con la forza?
Altro che separazione, la madre di Maria Grazia, per la vergogna,
semplicemente non se l’era più sentita di ritornare in paese. E lui
Domenico Baccini per orgoglio non si era più recato in città, per
dimostrare a chiunque che era un uomo tutto d’un pezzo. Perché non
voleva che fosse il caso a farlo incontrare con la moglie.
“Io nemmeno so dove sta lei, ma lei sa dove sono io e dov’è casa
sua!” Era la frase che aveva ripetuto a parenti e conoscenti che
avevano cercato invano di rabbonirlo.
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E lui e la moglie, entrambi furenti e feriti nel loro amor proprio,
non si erano più parlati nemmeno per passarsi una breve notizia, una
qualche informazione, un cenno vicendevole che permettesse loro di
cogliere il fatto insolito. Se non arrivavano più cartoline dall’estero,
forse la loro unica figlia poteva non essere in grado di spedirne
alcuna.
Non avendo altro punto di riferimento, Giovanna si sta dirigendo
verso Grosseto, la città di provenienza della signora Baccini. Nome
da nubile Luigina Nobili.
Che fatica scucire a un marito arcigno nome e cognome della
moglie e la città dove - probabilmente - vive. Se non gli avesse
concesso quel ‘probabilmente’, forse starebbe ancor lì ad ascoltare la
solita solfa che lui non ha nessuna idea dove possa vivere sua
moglie, in quale città o continente.
“Una volta sradicata delle sue radici, una donna diventa una pianta
da vaso. In un primo tempo rifiorisce, poi del vaso se ne perdono le
tracce.”
Questa del vaso mi è nuova, ha pensato Giovanna, senza perdere
niente nel suo sguardo della grinta professionale che ha dovuto
esibire.
“Grosseto. Là vive o viveva sua madre e la sua parentela, che io
sappia. Non che ci abbia mai messo piede, negli ultimi vent’anni.
Che Dio mi fulmini se non dico la verità.”
“Quindi,” ha concesso Giovanna, “probabilmente, se voglio
incontrare la mamma di Maria Grazia, faccio bene a passare per
Grosseto.”
“Probabilmente... lo dice anche lei.”
“Ha un indirizzo dove rintracciarla, senza destare troppe attenzioni,
o mi devo rivolgere a una stazione dei carabinieri?”
Ha dovuto ricorrere a tutti gli artifizi del mestiere, compresa una
dose extra di pazienza, per raccogliere le informazioni necessarie.
Per cosa poi? Per ritrovarsi a percorrere un altro centinaio di
chilometri più a sud.
Eh via, il tempo libero per definizione è un modo di dissipare
denaro ed energie per missioni inconcludenti, che se le fossero state
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recapitate sulla scrivania, avrebbe rifiutate in toto.
Ha accantonato il proposito di recarsi in una fattoria, per
sperimentare da vicino i benefici dell’agriturismo, di quella che
appare come un nuovo modo di concepire lo svago. Attività o riposo
all’aria aperta, buona cucina, tranquillità. Forse una nuova moda.
Ecco un investimento per il futuro, ha pensato. Nello stesso tempo ha
immaginato l’imbarazzo di trovarsi sola. L’impegno d’incontrare la
mamma di Maria Grazia, la signora Nobili, le ha fornito l’alibi per
cambiare prospettiva e preferire l’anonimo soggiorno in un hotel.
Intanto ha potuto ammirare la maremma, i casali ristrutturati
all’interno di floride tenute agricole. I campi di grano, a rammentare
la stagione estiva. Il verde opaco degli oliveti intramezzato dalle
macchie scure dell’ombra e della terra. Il verde più uniforme della
pineta, a tratti quasi smeraldo sotto i raggi dardeggianti del sole,
distendersi all’orizzonte lungo la sottile striscia d’azzurro del mare.
Animali al pascolo nei prati e nel verde difforme dei boschi della
macchia mediterranea.
Domenica mattina ore 10.
La signora Luigina Nobili, all’ora in cui sarebbe andata a messa se
fosse stata una domenica normale (dopo aver provveduto alle
faccende di casa, in tempo - all’uscita della messa - per preparare il
pranzo per se e per sua madre), varca la soglia della locale stazione
dei carabinieri, accompagnata dall’avvocato Giovanna Gandolfi, per
denunciare la scomparsa di sua figlia.
L’animo della madre di Maria Grazia è gonfio di sgomento. Il
senso di colpa non è attenuato dal fatto che negli ultimi mesi abbia
scritto alla figlia due lettere per darle il nuovo indirizzo presso la
nonna e spiegarle la nuova situazione familiare. Si era detta, forse a
Maria Grazia occorre del tempo, ha bisogno che la faccenda si
sedimenti. Prima vorrà sapere da un’altra fonte come sono andate
davvero le cose, vorrà ascoltare un’altra versione.
Ora teme che Dio abbia voluto punirla per aver abbandonato il tetto
coniugale, per non aver trovato la forza di perdonare il suo uomo.
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11
Lunedì mattina.
Giovanna è in ufficio presto com’è sua abitudine. Ha dormito a
casa dei genitori, (che dopo la morte del padre è diventata anche
sua), evitando così una mezz’ora di guida per entrare in città.
Sua mamma è al mare in Liguria insieme a una parente. Non ha
dovuto rispondere a domande né anticipare spiegazioni.
Le poche ore di sonno non le hanno permesso di smaltire del tutto
la stanchezza del viaggio. Come per ogni persona attiva a cui piace la
propria professione, sa che troverà il vero riposo nel corso della
settimana lavorativa.
“Ci riposiamo cammin facendo,” era solito dirle suo padre, quando
da bambina diceva di essere stanca e talvolta “frignava per farsi
prendere in braccio”. Non che lei ricordi di essere mai stata una
bambina frignona. Di suo padre rammenta queste espressioni, tipiche
del suo carattere tendente al burbero, che solo adesso le suscitano
tenerezza.
Immagina che il terzetto a Parigi si sia mosso di pari passo a
quanto stabilito. Non ha bisogno di aspettare gli sviluppi per aprire
un fascicolo (una cartellina verde che le rammenta la maremma è di
buon auspicio per il prosieguo del caso) intestato:
MGB (privato)
da non classificare.
E’ una disposizione per le segretarie. Il fascicolo vuoto è destinato
a restare sulla scrivania a portata di mano, indisturbato, per
raccogliere ogni annotazione a mano a mano che arriveranno gli
aggiornamenti. Conosce a sufficienza il mondo giudiziario per
immaginare come si svolgeranno le cose. Sa bene che prima di metà
settimana non ci sarà niente di rilevante, il fascicolo testimonia
comunque che lei è lieta se gli sviluppi sono più dirompenti del
previsto. Pronta a essere smentita quindi, positiva.
L’unica vera incertezza della mattinata è stata quando dopo la M
maiuscola ha dovuto aggiungere le lettere successive. Per qualche
istante è rimasta perplessa se intestare il fascicolo a MD. Poi ciò le è
sembrato una dichiarazione di colpevolezza ante litteram. L’altra
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incertezza è piuttosto un gioco: consiste nell’indovinare chi si farà
vivo per prima. Paolo da Parigi con il suo resoconto oppure sarà
Marcello Dotti da Milano a chiedere aiuto perché il mondo gli sta
crollando addosso?
Com’è tutto strano. Fino a qualche settimana fa la vita si è svolta
abbastanza serena, almeno per lei, che non aveva sentore né della
tresca di Paolo con Annalisa, né dei sotterfugi che i due amanti
mettevano in atto. In definitiva non è che dovessero elaborare piani
mirabolanti per ritrovarsi a letto a sua insaputa, essendo totale la sua
fiducia verso entrambi. A pochi giorni di distanza, Paolo non solo
non è più sotto il tetto coniugale, ma insieme ad Annalisa vivono il
loro momento di grandeur nientemeno che a Parigi.
“Tieni l’amica di Maria Grazia al corrente, così ti è più facile
tenerla sott’occhio.” Gli ha suggerito. “E mandami un aggiornamento
giornaliero della situazione,” gli ha quasi intimato. In questo modo lo
mantengo occupato a riportare il corso dell’indagine e in più sarà
costretto a intrattenere due donne invece di una sola.
Ma come al solito, al pigro - e secondo lei lo sono la maggior parte
delle persone - chiedi molto per ottenere il poco. Riceverà almeno
una nota settimanale? Chi dei due, Paolo o Marcello, fornirà il primo
tassello del puzzle destinato a diventare il caso MGB?
La prima parte della mattinata prosegue indisturbata. La cartellina
verde rimane sul lato destro della scrivania. Adesso vuota e
inconsistente in una delle vaschette di plastica poste una sull’altra a
incastro su diversi ripiani. L’etichetta sul fianco sinistro della
vaschetta resta anonima. Altri fascicoli promettono di movimentare
la giornata. Intanto di primo mattino, insieme al buon giorno della
segretaria, arriva la posta che va a depositarsi nella vaschetta in cima,
che sul lato porta la scritta IN. Sotto ben visibile, l’etichetta della
vaschetta successiva reca la scritta OUT. Questo ripiano al mattino è
generalmente vuoto, salvo quando la situazione diventa
incandescente e si fanno anche delle sessioni notturne.
Sul lato sinistro della scrivania sono sistemati due faldoni, troppo
voluminosi per essere inseriti nelle vaschette. Quando la
documentazione di una cartellina prende consistenza fino a diventare
incontenibile nella stessa, il contenuto passa in un faldone: allora si
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può dire che la questione è diventata tangibile, che il caso c’è. Se poi
la parte remunerativa è adeguata, il caso assume un rango di
prim’ordine!
Ovviamente una segretaria efficiente, con qualche anno di
esperienza alle spalle, conosce l’ordine d’importanza di ogni caso e
sa come comportarsi di conseguenza. Al telefono, nei confronti del
cliente, di fronte all’ospite, non ha esitazioni. Smista la
corrispondenza, vaglia ogni chiamata, passa quelle urgenti o
appropriate al caso, mette a confronto la situazione interna di ciascun
ambiente o scrivania con la pressione che viene dall’esterno. Ed
anche una cartellina vuota parla e detta il comportamento adeguato
da tenersi.
Quindi mentre l’avvocato Giovanna Gandolfi nelle sue congetture
non ha tenuto in debito conto il pendolo della storia (l’esse
minuscola non inganni nessuno, fatte le debite proporzioni il gioco è
lo stesso) che nel suo movimento eccede ora da una parte, ora
all’altra, la segretaria ha capito l’antifona: una reazione non tarderà a
venire.
Marisa non ha raggiunto ancora i trent’anni, ma ha già ‘due lustri
di esperienza in cartella’, come ama dire lei. Fa palestra, non ha le
spalle ricurve delle signore quarantenni. Non si carica il peso degli
anni sulle spalle, ma ne fa tesoro. Alle nove del mattino ha già notato
la cartellina verde, ha appreso che la dottoressa si è recata in Toscana
nel fine settimana. Ha sommato due più due e ora è in campana.
Pertanto quando a metà mattina è giunta una telefonata da Grosseto
per l’avvocato Giovanna Gandolfi ha preso dalle mani della
segretaria più giovane la cornetta. Valutando correttamente
l’insieme, ha intuito che quella telefonata rappresenta l’inizio del
nuovo caso. “Attenda per favore,” si è affrettata a dire. Si è affacciata
alla porta dell’ufficio di Giovanna, di fatto interrompendo la
conversazione con un collega senior e muovendo quasi soltanto le
labbra le ha sussurrato della chiamata.
“Al telefono c’è una signora di Grosseto. Non so se ho fatto bene,
le ho detto di attendere.”
“Chiedile se mi sta chiamando da casa. Se è così, fatti dare il suo
numero di telefono. La richiamo io fra cinque minuti.” Un sasso, due
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piccioni. Il collega avvocato è avvertito, non ha più di cinque minuti
per argomentare il suo problema. La madre di Maria Grazia, non
dovendosi preoccupare anche della bolletta del telefono, parlerà più
liberamente.
E infatti ha intuito correttamente. La signora Luigina Nobili
chiama da casa. Avendo il collega rimandato la discussione a un altro
momento Giovanna è pronta a mettersi al telefono.
“Buon giorno signora Nobili, ha riposato stanotte?” così dicendo
pensa a lei stessa che sicuramente ha dormito meno ore.
“Buon giorno dottoressa Giovanna, spero di non essere di troppo
disturbo.”
“No, ha fatto bene a telefonarmi, si è un po’ ripresa dallo choc?”
“Stanotte non ho dormito, come può ben immaginare. Ma si dice
che la notte porta consiglio...”
“E quindi?” Capisce che deve incalzarla a dire subito quanto le sta
a cuore.
“E quindi mi è venuto in mente di andare a Parigi,” la signora
Nobili s’interrompe, poi quasi a giustificarsi aggiunge, “forse là
posso essere di maggiore aiuto.”
In una frazione di secondo Giovanna comprende l’impazienza, il
bisogno di conoscere di una mamma di fronte alla scomparsa della
figlia, il senso di colpa misto a frustrazione e vede Paolo alle prese
con un’altra donna. “Ma ha tenuto in considerazione la difficoltà
della lingua?”
“Appunto, non mi ha detto che suo marito in questi giorni si trova
proprio a Parigi? Non voglio disturbarlo più di tanto, ma ho pensato
anche: quale occasione migliore? Invece di far passare la mia
testimonianza tramite i canali italiani, ho pensato di dare un
contributo diretto all’indagine.”
Ha rimuginato tutta la notte, pensa Giovanna. “Andrà incontro a
delle spese, lo sa?”
“Per l’appunto, questo è il secondo motivo per cui la chiamo.” La
madre di Maria Grazia esita a trovare le parole.
Finirò anche per dover finanziare la spedizione, si domanda
Giovanna. “Me ne parla di questo secondo motivo o devo
indovinare?”
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“Beh, ho pensato: se lei mi può assistere nella separazione con mio
marito, forse posso provare a chiedergli una partecipazione alle spese
di viaggio.”
Non è stupida la signora. Se la notte porta consiglio, è probabile
che ci sia stato una specie di consiglio di guerra ad elaborare l’intero
piano strategico. “Intanto per la separazione legale, si può aspettare.
Sarebbe meglio che ad assisterla fosse un avvocato nella sua zona.
Inoltre non mi occupo di separazioni.” E un argine è stato messo. “In
quanto al denaro, ha provato a fare un tentativo con suo marito, a
chiedergli insomma di anticiparle parte della somma per il suo
viaggio?”
“Non ho osato, lui è così ristretto in tutte le cose, si figuri quando si
tratta di denaro!”
“E se faccio io una telefonata a suo marito, e la reazione non è di
chiusura totale, lei poi se la sente di andare da lui a ritirare i soldi?”
Nel mettere giù la cornetta Giovanna ha il sorriso sulle labbra. Il
soggiorno a Parigi di suo marito, alle prese con tre donne, le rende il
buon umore. Intanto già pensa alla prossima mossa. E Marcello è la
pedina da manovrare. Se entro la fine della settimana non riceve
nessuna richiesta d’aiuto, sarà lei a chiamarlo.
Lunedì, ora di pranzo.
Ruminando la sua insalata mista, Giovanna ad ogni movimento
della mandibola metabolizza vitamine e pensieri.
Il rito dei piatti macrobiotici le è valso il privilegio di essere
lasciata tranquilla, almeno durante la pausa pranzo, dai colleghi
maschi, che le rare volte in cui mangiano insieme, sono soliti
sbirciare nel suo piatto con malcelato ribrezzo, e dalle colleghe
donne, le quali essendo inferiori di rango non si sentono pienamente
a loro agio. E allora trangugiano foglie d’insalata e sequenze
frettolose di shopping altrove.
Il fattore leva è servito a scucire lire 150 mila al signor Baccini.
Il gioco di sponda le ha permesso di dosare gli ingredienti. E’
bastato solo accennare all’eventualità della richiesta di separazione
da parte di sua moglie, per fargli capire da dove può venire il vero
pericolo. Lei pur essendo un avvocato, non vuole immischiarsi nelle
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liti fra coniugi. La moglie, se davvero vuole raggiungere l’obiettivo
di ottenere la separazione legale, dovrà rivolgersi a un altro avvocato.
A lei è bastato informarlo di non cumulare troppi errori per quando
poi arriverà il momento. Mostrando disponibilità a partecipare alle
spese di viaggio di sua moglie, che vuole raggiungere il posto dove
sua figlia è stata segnalata l’ultima volta, acquisisce un elemento a
suo favore - oltre a essere un suo dovere di padre.
Per finire, facendo leva sull’orgoglio, ha servito il piatto condito
con una dose abbondante di amor proprio.
Un toscano, abituato al vino, può limitarsi al solo pane azzimo, può
mai rimanere indifferente di fronte a un piatto ben guarnito?
Avrà occasione di dare sapore alla sua miserevole esistenza.
Dimostrare al paese che ha avuto un comportamento coerente, che la
moglie è ritornata a bussare alla sua porta. E lui le ha aperto, dandole
il necessario per il viaggio.
Nel momento del bisogno, il signor Baccini c’è.
Dominare l’uomo, con il sotterfugio di dare corda al suo
temperamento, per poterlo manovrare. Sua madre non si comportava
alla stesso modo?
Le riesce perfino d’immaginare il padre di Maria Grazia, solitario,
nella sua cantina a parlottare con il suo vino, dopo aver scrutato la
sera prima, la luna. Perché al vino non si comanda, lo si asseconda,
osservando attentamente le stagioni e le fasi della luna. Un uomo
casa-cantina che invece diventa insofferente se sua moglie gli dice di
voler andare in città a visitare la madre.
O i parenti, a seconda dei casi. Perché, a cos’altro serve la
parentela? Se non a sviare il sospetto quelle volte in cui, a seguito di
una telefonata, si scopre che la visita dalla madre è stata sin troppo
breve.
E allora all’uomo salta la mosca al naso, vorrebbe custodirla in
cantina la sua donna, al fresco, costantemente sotto il suo dominio. E
per preservare il suo equilibrio, si chiude dentro... La cantina, la casa,
sono spazi da preservare. Dice alla moglie: non ti apro, ritorna
domani. La sua rabbia di uomo tradito necessita di alcune ore di
decantazione per sbollire. Vino e cantiniere hanno bisogno di un rito
uguale nel tempo.
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Lunedì, ore 19.
Colleghi e segretarie sono tutti andati. La donna delle pulizie si è
affacciata per salutare ma anche, lo sguardo interrogativo come al
solito, per domandarle quando preferisce che il suo ufficio venga
fatto - per primo o per ultimo. Giovanna attende una telefonata dalla
signora Nobili per conoscere l’esito dell’incontro con suo marito.
“Buona sera,” ha risposto, “stasera sono stanca, non mi fermo a
lungo. Aspetto solo una telefonata, per terminare la giornata.” Intanto
ne approfitta per portarsi avanti nel lavoro e, dato uno sguardo
all’agenda, predispone per l’indomani una tabella di marcia
destinata a essere sovvertita dagli imprevisti. Dentro di sé ha sentito
di essere maturata quando ha accettato il fatto che la vita non si può
programmare come una partita di scacchi. Altri giochi concorrono a
condizionare gli eventi. Occorre imparare a giocare su tutti i tavoli.
Le luci degli uffici sono rimaste accese, non solo per la donna delle
pulizie, ma anche perché fino a quando non sarà uscita, preferisce
non dare l’impressione di essere una donna sola e indifesa.
Quand’era bambina le era spesso richiesto di dare prova di coraggio
quasi fosse un maschietto. Avendo però accettato da piccola di
dormire nella sua cameretta, le era stato concesso di lasciare
l’abatjour acceso.
Il silenzio della sera amplifica lo squillo del telefono, che
ripercuote il richiamo più distinto e imperativo nell’ufficio della
segretaria, mentre l’eco del suono si diffonde nel corridoio fino a
raggiungere ogni stanza. La prontezza di riflessi di Giovanna lo
interrompe alla fonte.
“Giovanna Gandolfi, buona sera.”
“Buona sera dottoressa Gandolfi, sono la signora Nobili, mi
sente?”
“Sì, la sento bene. Come è andata?”
“C’è rumore, non sento molto bene.”
“Come è andata? Da dove chiama?”
“Chiamo dalla stazione di Grosseto. Prendo il treno per Parigi, fra
un’ora.”
“Prima ho chiesto se tutto è filato liscio.”
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“Sì, più o meno, tutto è andato come aveva previsto lei.”
“A che ora è previsto l’arrivo del treno a Parigi?”
“Alle nove del mattino.”
“Alla gare de Lyon, suppongo.”
“Non capisco, non si sente bene.”
“Ho detto, il treno arriva alla stazione di Parigi che si chiama: ‘gare
de Lyon’?”
“Sì, sul biglietto è scritto proprio così. Adesso devo salutarla,
stanno per finire i gettoni.”
“Buon viaggio, le darò ogni supporto da qui.”
“Grazie di tutto. Buona sera.”
Tutto è andato, più o meno, come ha disposto lei. Le sarebbe
piaciuto conoscere ogni passaggio della conversazione fra la signora
Nobili e suo marito. Ma la telefonata è stata breve e disturbata.
Intanto entrambe hanno raggiunto il loro scopo.
La signora delle pulizie si affaccia alla porta dell’ufficio. “E’ la
telefonata che aspettava?” chiede.
“Sì, è la telefonata che aspettavo. Adesso mi rimane di scrivere
solo due righe, ed ho proprio finito.”
Quando tempo fa ha ricevuto la medesima risposta? Per niente
rassicurata la signora ritorna nell’ufficio accanto.
Telex a Paolo.
‘Domani martedì ore 9, gare de Lyon, in arrivo signora Nobili,
madre di Maria Grazia. Necessita sistemazione in albergo adeguata
alle sue possibilità e assistenza con le autorità. Oltre agli sviluppi sul
campo, riportami subito se noti ‘segni particolari’ dell’incontro (oggi
pomeriggio) tra la madre e il padre di Maria Grazia. In seguito vorrei
conoscere anche i dettagli.
Ti abbraccio, G.’
25
12
Martedì mattina.
E’ quasi l’alba quando Giovanna viene sorpresa dallo squillo
monotono del telefono, nell’atto di sognare il rientro in casa dopo
una lunga giornata di lavoro. Ha la sensazione che una conversazione
lasciata in sospeso in ufficio debba in qualche modo essere
proseguita tra le mura domestiche. Pertanto con un affanno, che in
sogno diventa sfibrante, si affretta a salire la rampa di scale che
separa l’atrio del palazzo dal portoncino d’entrata. Costi quel che
costi arriverà puntuale. Come se ci fosse qualcuno dietro la porta ad
aspettarla nell’atto di porgendole materialmente un apparecchio che
non cessa di suonare.
Con uno sforzo di volontà si gira su se stessa nel letto, mette i piedi
nudi sul pavimento. Il marmo freddo ha l’effetto di un getto d’acqua
fredda addosso. Riacquista in parte lucidità; maledizione è notte,
malgrado un pallido chiarore che si confonde con la luce dei
lampioni in strada e che forse annuncia l’alba. Senza ulteriore
esitazione si dirige in sala dove il telefono continua incessante a
squillare. Solleva la cornetta nel momento stesso in cui sprofonda
nella poltrona. A questo punto spera che non interrompano la
telefonata, vuole sapere chi chiama. Teme per i suoi, spera
intensamente che non sia successo niente di grave.
“Chi è?”
“Mi scusi signora per l’ora, sono un agente delle ferrovie francesi,”
dice una voce in corretto italiano, ma con marcato accento francese.
“Mi dica.”
“Il treno diretto a Parigi è stato bloccato a Lione” scandisce le parole,
e prosegue velocemente come a volere sorvolare, “... ecco, a causa di
una banda di ladri che hanno narcotizzato alcuni passeggeri che
dormivano nei vagoni letto.” Breve pausa, ritorna al tono precedente.
“Tra i passeggeri c’è una signora di nome Nobili Luigina, la
conosce?”
“Sì, la conosco, come sta?”
“Ecco, per questo ho telefonato. La signora è sotto l’effetto di
sostanze narcotizzanti. Poiché presenta anche dei segni al volto,
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abbiamo deciso di mandarla con l’autoambulanza in ospedale per un
controllo.”
“Va bene.”
“In borsetta abbiamo trovato il suo biglietto da visita, sul retro è
annotato questo numero di telefono. Ci sono altre persone da
informare?”
“Sì, no, me ne occupo io. Intanto mi può dare il suo nome e numero
di telefono? La richiamo fra cinque minuti.”
“Per prima cosa prenda nota dell’indirizzo e del numero di telefono
dell’ospedale...”
“Ok.” Una incombenza che in pieno giorno avrebbe svolta la
segretaria, adesso tocca a lei con gli occhi impastati di sonno, ancor
prima di potersi sciacquare il viso.
Martedì pomeriggio.
Due donne entrano in un bar e si siedono a un tavolino nell’angolo
più remoto della sala. Il barista mentre serve ai tavoli le ha seguite
con la coda dell’occhio. Un pensiero che sta diventando il suo chiodo
fisso gli conferma la giustezza delle sue rivendicazioni: le
consumazioni dovrebbero tenere conto delle distanze da percorrere e
in generale della difficoltà per effettuare il servizio. D’altronde un
vago presentimento gli ha come anticipato che la mancia sarà nella
percentuale stabilita (ma soltanto perché è obbligatoria), neanche un
centesimo di più. Da cosa l’ha intuito? La donna più giovane vestita
sobriamente di blu, con una cartella a tracolla, ha un viso austero
senza l’ombra di un sorriso. E labbra sottili che appaiono serrate
ermeticamente da non lasciare sfuggire emozioni. Aspetteranno il
loro turno, queste due.
“Loro pensano che siano stati i ladri ad avermi malmenata!” rompe il
silenzio Luigina.
“Va bene così, tu continua a dire di non ricordare,” le suggerisce
Giovanna.
“In effetti io rammento di essermi sdraiata, a un certo punto ho
spento la luce, per un po’ sono stata a pensare... e così devo essermi
addormentata. Poi mi sono ripresa mentre mi trasportavano in
ospedale, capivo che mi stava succedendo qualcosa d’insolito, ma
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ero in uno stato di dormiveglia, impossibilitata a muovermi.”
“Ok. Tu continua a sostenere la parte.”
“Ma la polizia ha messo a verbale che mi hanno colpito.”
“E’ stata una loro deduzione, finora nella tua testimonianza non c’è
niente di rilevante. Tu sei la vittima.”
“Sì, ma prima o poi la verità può venire a galla, no? Lei lo sa meglio
di me, che conosco come funziona la giustizia solo per averlo visto
in tv, in tribunale ogni fatto viene discusso. Quelli negheranno di
avermi colpita. A che serve continuare a fare finta di niente?”
“Prima che le cose arrivino in tribunale, anche qui in Francia, ne
corre di tempo.”
Il tono della conversazione è andato spegnendosi all’arrivo del
barista. Ordinano una bottiglietta di acqua minerale e un caffè che il
barista si affretta ad annotare sul proprio taccuino con un ghigno che
porta impresso il déjà vu.
L’attesa è stata lunga, ma dopo l’ordinazione il servizio si rivela
fulmineo. Anche il conto viene presentato all’istante. Segue un
attimo di smarrimento da parte di Giovanna che non si aspetta di
dover pagare subito. Prende il portafogli nella borsetta e paga. Il
barista ha già la mente e lo sguardo altrove; strappato a metà lo
scontrino e lasciato il resto in un angolo del tavolo, si allontana
lasciando libero il campo.
“Allora,” Giovanna riprende la conversazione, “se mantieni la tua
posizione attuale ancora per un po’ non ti può succedere
assolutamente nulla. Non ci perdi nulla, in cambio ci possiamo
guadagnare qualcosa.” La zona dov’è il loro tavolo è rimasta
semideserta, non ci sono orecchie che possano captare la loro
conversazione a bassa voce, tanto più che parlano italiano in un
ambiente frequentato da stranieri. “Tu sei la vittima che più ci ha
rimesso. Per un po’ abbiamo sia la polizia, sia i ladri che pendono
dalle tue labbra! Capisci dove voglio arrivare?”
La signora Nobili Luigina fa cenno di sì con il capo. Ha imparato
subito come comportarsi all’estero; per mettere fine alle domande,
basta fare sì con il capo e quelli scrivono e così si mettono le cose a
tacere. Prima l’infermiera con il questionario, poi la polizia a
prendere appunti, quindi la trascrizione del verbale. E’ da questa
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notte che le rivolgono domande a cui non sa bene che rispondere. E’
rimasta abbottonata l’intero giorno. Il buon Dio le manda la
dottoressa Giovanna, che è un avvocato, finalmente può parlare
liberamente. Ed invece ora stenta a farsi capire e a capire lei stessa le
risposte. E’ arcistufa, stanca, ha soltanto voglia di distendersi, di
risposare gli occhi e il cervello, di lasciarsi andare. E’ tutto così
assurdo, se non fosse per la ragione di fondo per cui si trova lì:
ritrovare sua figlia.
Martedì sera.
Un taxi si ferma davanti al portone del palazzo dove abita la
dottoressa Giovanna Gandolfi. Tre donne scendono, varcano il
portone d’ingresso e salgono in casa. Portano su rispettivamente,
oltre a una borsetta ciascuna, una valigia, una borsa ventiquattrore e
un vassoio tenuto con cura orizzontalmente sul palmo della mano
destra, sorretta dalla sinistra.
Giovanna apre il portoncino di casa, fa accomodare in sala la signora
Luigina, mentre la sua segretaria Marisa con il vassoio in mano la
segue in cucina.
Mentre la signora Luigina è in bagno, Giovanna e Marisa
cominciano ad apparecchiare la tavola, ad aprire il vassoio, stanno
predisponendo piatti e bicchieri per un cena frugale per donne che
tengono cura della linea in ogni circostanza.
“Come va la scuola serale?” domanda Giovanna a Marisa.
“Le materie più legate alla professione legale non sono impegnative.
E’ tutto il resto che lo è: tenersi aggiornata sui corsi, capire ogni prof
che orientamento dà alla sua materia.”
“Basta comprare le loro dispense, che non t’insegnano molto essendo
frutto d’un mondo cervellotico a sé stante, ma ti permettono di
superare gli esami.”
“Infatti, quello delle dispense è il lato lecito del mercato degli
esami.”
“Ma tu davvero vorresti fare l’avvocato?”
“Perché no, pur avendo sostenuto solo un paio d’esami, ho fatto già
un lungo tirocinio. Non ti pare?” Praticamente Marisa e Giovanna
sono coetanee, ma è la prima volta che si danno del tu dopo anni di
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lavoro presso lo stesso studio.
Quando Luigina compare all’entrata della cucina è il turno di
Giovanna di recarsi in bagno. Marisa non può fare a meno di notare
parte dello zigomo destro della signora Nobili arrossato e gonfio
nonostante uno strato di trucco.
“Ti fa ancora male?”
“No, mi fa più male sapere che me lo sono procurato stupidamente.”
“Beh, poteva capitare a chiunque di venire derubata. In piena
notte?!” Il silenzio della signora Luigina porta Marisa a proseguire
l’osservazione che per un istante ha avuto nel tono di voce un
interrogativo. “Deve essere stata una esperienza tremenda.”
Infine è la volta di Marisa di andare in bagno per un bisognino
veloce.
Durante la cena hanno modo di raccontare alla segretaria di
Giovanna il seguito dei fatti accaduti sul treno Roma - Parigi.
Intanto la signora Luigina ha l’opportunità di ritornare anche
sull’antefatto a beneficio soprattutto di Marisa che qualcosa ha
subodorato. Senza mezzi termini rivela che stupidamente, quando si
è vista consegnare dal marito la cifra concordata con la dottoressa, il
bisogno di sfogarsi è stato più forte di lei. Gli ha detto ch’era il tipo
d’uomo che davanti a una donna con le palle si cala le braghe. E per
tutta risposta ha ricevuto un manrovescio. Poi sarcasticamente suo
marito, riferitosi al colloquio con la dottoressa, ha tenuto a precisare
che ciò non era parte dell’accordo, ma... “Vero anche che non ho
sottoscritto il contrario,” sue testuali parole.
E’ chiaro quindi che da un lato non ha potuto confessare alla polizia
francese certi retroscena. Oltretutto conoscendo il marito se l’è un
po’ cercato quel manrovescio. Dall’altro lato non le piace infierire
sulla gente che sbaglia per colpe che non hanno commesse.
La generosità della signora Nobili induce le altre due donne a
scambiarsi uno sguardo d’intesa, che hanno modo di sviluppare
qualche minuto più tardi, dopo aver sparecchiato la tavola e dopo che
Luigina è andata a riposarsi.
E’ ovvio che il punto di vista di chi sta al di qua della barricata sia
diametralmente opposto a una persona che sta sull’altro versante.
Infatti il ragionamento dell’avvocato tende a cogliere ogni
30
opportunità, a utilizzarla strumentalmente a proprio favore o
nell’interesse del suo assistito - se si dà il caso.
Quindi Giovanna espone a Marisa il suo piano tendente a ottenere il
massimo, in cambio di una testimonianza sia pure dovuta. La finalità
è indurre, per prima cosa, la polizia francese a essere collaborativa
nelle ricerche per ritrovare Maria Grazia. Due, una banda di ladri che
necessita di una testimonianza potrà rivelarsi utile in qualsiasi caso,
sta al manovratore trovare la maniera di guadagnarsi un credito di
riconoscenza. “Tre,” conclude Giovanna, “neanch’io ho sottoscritto
alcunché con il signor Baccini. Il marito della signora Luigina sarà
spinto a rendere alla moglie la giusta libertà, un assegno adeguato, e
dovrà capire che dietro di lei ora ci siamo noi. Per il futuro dovrà fare
molta attenzione prima di manifestare comportamenti violenti.”
“Marisa, te ne vuoi occupare tu? Questo sarà il tuo primo caso da
vera praticante nella professione di avvocato.”
“Va bene, grazie. Hai già in mente come colpirlo nel suo punto
molle?”
“Naturalmente, ma non ti ho detto tutto. Il vero punto molle è
l’attaccamento alla sua cantina. Lo spavento di dover cedere metà
della sua cantina, lo renderà in futuro mansueto come un bue.”
L’immagine è forte anche per due donne in carriera avvezze a farsi
strada a spintoni. Il richiamo, nel loro gergo, è più che altro allo stato
di castrato che alla mansuetudine o alla mole dell’animale.
“Ah,” si riprende Marisa, “stavo per dimenticare. Oltre alle
telefonate da parte del signor Baccini, il quale avendo appreso
l’accaduto dalla tv si è mostrato agitato, ma non così sconvolto come
uno potrebbe supporre, è arrivata una telefonata da parte di Marcello
Dotti.”
“Ha lasciato detto qualcosa?”
“Niente, non ha voluto dire altro se non riferirti di avere chiamato.”
31
13
Mercoledì mattina.
Luigina, coricata a letto, intravede le prime luci dell’alba attraverso i
fori della tapparella lasciata apposta tirata a maglie larghe per
permettere alla luce di filtrare. Per non disturbare resta ancora a letto.
Superata la sensazione di smarrimento iniziale per ritrovarsi sveglia
in un ambiente nuovo, il pensiero successivo va al silenzio
prolungato della figlia. Certamente dopo l’incontro con la dottoressa
Giovanna vive in uno stato d’ansietà mai conosciuta prima. Tuttavia,
come le è stata consigliata, non vuole pensare al peggio. Pertanto la
fantasia corre alle congetture, all’amore di Maria Grazia per i viaggi,
al fascino di trovarsi in posti dove ti parlano in una lingua straniera.
Allora scopri che il linguaggio non è fatto di sole parole, ma da una
miriade di gesti espressivi tanto quanto le parole stesse, se non di più.
Lo ha scoperto lei stessa, restando ore ed ore alla mercé della
situazione. Se quel fatto drammatico le fosse capitato in un altro
momento, forse avrebbe assunto il sapore dell’avventura.
La storia con suo marito non era cominciata da una disavventura
dopo aver perso l’ultimo pullman che portava al paese?
Era arrivata trafelata alla stazione di Grosseto dove avrebbe dovuto
sostare il pullman. Ricordava che era solito partire sempre cinque, se
non dieci minuti dopo l’orario. E infatti, le volte in cui lei era arrivata
in anticipo, aveva constatato un codazzo di paesani che erano arrivati
con qualche minuto di ritardo dopo di lei. Non era un dramma, il
vecchio autista del pullman era solito aspettare tutti. E nessuno dei
passeggeri osava mettergli fretta. Prima o poi poteva capitare a
chiunque. Il servizio era pubblico, ma il vecchio autista aveva
memoria. Rammentava a uno a uno i suoi passeggeri dell’andata. E
se qualcuno non era presente, domandava ai vicini se erano al
corrente di qualche fatto particolare. Talora la madre di qualcuno si
fermava all’ospedale per la notte. Talaltra si veniva a sapere che il
figlio o la figlia di un compaesano aveva preso casa in città, per cui
se ne deduceva che il padre o la madre si sarebbe fermato per la cena
e dopo sarebbe stato accompagnato in auto.
Come poteva immaginare che il pullman potesse avere un autista
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all’andata e un altro al ritorno? Anzi, l’autista del ritorno lei non
l’aveva neppure visto in quella precisa circostanza. Era arrivata
trafelata come al solito davanti alla stazione, ed aveva appreso che il
pullman era appena partito. Del nuovo autista aveva saputo dopo. E
soltanto dopo aveva saputo che tutti sapevano, tutti tranne lei.
Una donna sola nei pressi di una stazione. I maschi cominciarono ad
aggirarsi intorno a lei per giri concentrici; erano attratti come lo è
uno sciame di api dal fiore primaverile e solitario. Per fortuna, prima
di ritrovarsi nella più totale confusione, era apparso Domenico, che
all’epoca faceva il garzone presso un vinaio in città. Si erano piaciuti
subito, si erano fidanzati e sposati. Poi è andata come è andata.
Quando l’orologio sul comodino segna le sette decide che è l’ora
giusta per alzarsi. Va in bagno, fa una rapida toeletta. Non vuole
indugiare in bagno più del necessario, non conoscendo le abitudini
della padrona di casa. Quindi si reca in cucina e silenziosamente
esplora, mette sulla tavola la tovaglia che hanno utilizzato la sera
prima, si predispone a preparare la colazione del mattino.
E infatti di lì a poco Giovanna, avendola sorpresa ad armeggiare, le
fornisce le indicazioni per rintracciare le cose mancati. Poi mentre
Luigina prepara la colazione, ritorna in bagno concedendosi una
mattinata di relax, prima sotto la doccia, dopo davanti allo specchio.
Svolgendo ogni cosa con una calma inconsueta, desidera assaporare
il piacere di vedersi servita e riverita.
La colazione - una incombenza di Paolo a cui forse dovrà rinunciare
- ritorna a essere il momento solenne del mattino, il rito propiziatorio
che favorisce il buon esito della giornata.
Mentre fanno colazione Giovanna dice a Luigina: “Avevi già
preventivato di stare fuori casa qualche giorno. Se vuoi, puoi
rimanere da me fino a quando non abbiamo sistemato i diversi
problemi. Puoi badare alla casa in mia assenza, fare la spesa, per
l’aspetto economico ci mettiamo d’accordo. Ti va?”
“A me va bene, grazie. Come dice lei: rimango fino a quando le cose
si saranno sistemate.”
Luigina, in quanto alle faccende di casa, si sente pienamente a suo
agio. Ciò nonostante il primo giorno richiede un supplemento di
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istruzioni, un investimento finalizzato a dare una buona
impostazione. Giovanna le dispensa una quantità di suggerimenti,
tutte disposizioni molto soggettive in fatto di gestione domestica, che
Luigina ascolta senza fiatare. I prodotti da usare, il modo di
procedere, i negozi dove fare la spesa. Mentre ascolta risponde di sì
ben sapendo che appena sarà sola farà diversamente.
Quando in tarda mattinata la dottoressa Giovanna Gandolfi arriva in
ufficio, insolitamente più tardi (‘chi va con lo zoppo impara a
zoppicare’, avrebbe detto suo padre). Ha l’animo leggero di chi si è
lasciato alle spalle le faccende che ama di meno (‘prima il dovere,
poi il piacere’, un’altra massima proveniente dalla stessa fonte).
Seduta alla scrivania si sente più a suo agio che in casa propria (‘per
forza, hai sposato il lavoro’, avrebbe invece sentenziato Paolo).
‘Basta parentesi’, dice quindi a se stessa. Dà uno sguardo veloce al
giornale la Stampa, che segnala la notizia del furto del treno, in
prima pagina, in uno dei tanti titoli civetta; il resto dell’articolo è
nella cronaca interna. E mette subito mano alla cartellina verde,
contrassegnata MGB, che comincia a custodire le prime annotazioni.
In cima vengono segnalate due telefonate, alle 8:50 e alle 9:15, da
parte di Marcello Dotti. Nessun messaggio salvo il desiderio di
parlare con l’avvocato GG. Questa volta ha lasciato anche il numero
di telefono. Non quello dell’ufficio ma quello di casa, annota
mentalmente l’occhio esperto dell’avvocato.
Di seguito trova e legge i due telex datati il giorno precedente.
Telex a G. Gandolfi.
‘Il caso è a uno stallo con la polizia. Dopo inutile attesa di due ore,
vorrei sapere se la madre di MG farà un altro tentativo. Utile al fine
di un incontro con la polizia a cui poter partecipare anch’io. Temo
che si stiano ancora interrogando da dove cominciare. Da valutare un
intervento tramite consolato per spingere le indagini. Conto di essere
di ritorno entro sabato.
Un abbraccio, Paolo’
Ci sono mille modi di prendere le distanze. Il signorino ‘conta di
essere di ritorno’, non di ritornare a casa. Intanto per cominciare,
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mentre lui prende le misure alla nuova mammina, io faccio le prove
di convivenza con una donna in casa. Vedremo alla fine chi ci
guadagna.
Telex dalla polizia ferroviaria di Lione.
Alla c.a. della Dott.ssa Gandolfi
‘L’inchiesta del furto ai passeggeri del treno diretto a Parigi necessita
di ulteriori verifiche. La sua cliente Nobili Luigina è pregata di
mettersi in contatto con la polizia ferroviaria.
Saluti, tenente Rimbeaux’
Bonjour tenente. Eccolo qui uno che può far da chiave. Se non
spingerà le indagini, almeno le permetterà di raggiungere al telefono
chi di dovere, spera. Tra un corpo di polizia e l’altro ci si scambiano
piccoli favori, pensa Giovanna. Dopotutto a lei preme soltanto
trovare degli interlocutori disponibili che sappiano fare il loro
mestiere. Ma adesso è arrivato il momento di parlare con Marcello.
La conversazione con Marcello non la sorprende, a parte lo scoprire
che si trova agli arresti domiciliari. Una telefonata alla stazione dei
carabinieri le chiarisce che sono una misura transitoria. Ottiene che
l’interessato venga lasciato libero di recarsi al lavoro. Il maresciallo
concorda: l’importante è che il soggetto capisca che deve restare a
disposizione. Pertanto non si può allontanare dalla città.
Ottenuto un risultato parziale, si rimette in contatto con Marcello per
dargli la buona notizia; l’indomani gli farà visita a Milano. Intanto si
chiede: e se andasse a Milano assieme alla signora Luigina? Non si
conoscono, ma che importa? Le piacerebbe studiare la reazione di
Marcello davanti alla madre di Maria Grazia.
Deciderà entro sera come impostare la rotta per Milano: il prossimo
passo è nel senso opposto.
“Come ve la cavate con il francese?” chiede Giovanna alle
segretarie. Espressiva alzata di spalle di entrambe. “Ci devo parlare
io, non voi. Vi chiedevo soltanto di chiamarmi il tenente Rimbeaux a
Lione, a questo numero... ok, faccio io.”
“Dopo,” dice Marisa, “vorrei parlarti anch’io, se trovi dieci minuti da
dedicarmi.” La segretaria più giovane ha notato il tono di confidenza.
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Giovanna fa cenno di sì con il capo. E’ già in linea con il suo
interlocutore. “Bonjour tenente, non la disturbo a quest’ora?”
Risolino di sorpresa delle segretarie che, uscendo dall’ufficio, si
dicono sottovoce l’un l’altra che anche loro avrebbero potuto
telefonare a uno che parla italiano.
“Non mi disturba affatto,” risponde il tenente all’altro capo del filo.
“Ora capisco. Lei è arrabbiata e non mi ha ancora perdonato la
sveglia notturna. E’ per questo che è sparita assieme alla signora
Nobili!”
“Non sono arrabbiata! Capisco anch’io che a volte diventa necessario
disturbare le persone che dormono.”
“Allora se mi ha perdonato, perché è andata via con la testimone più
importante, senza neanche salutare?”
“La signora Nobili era ed è in stato di choc, ha bisogno di
riprendersi.”
“Io ho bisogno di interrogarla. Proprio per rispettare la situazione
della signora Nobili, io non le ho rivolto tutte le domande. Dove sta
adesso, quando posso interrogarla?”
“Non posso dirglielo. La signora Nobili, per qualche giorno, ha
bisogno di riposo assoluto.”
“Di quanti giorni di riposo ha bisogno la signora per ristabilirsi? Ho
bisogno solo di rivolgerle poche domande, altrimenti non posso
concludere la mia indagine.”
“Un modo di accelerare le cose ci sarebbe. Innanzi tutto, lei sa
perché la signora Nobili era su quel treno?”
Mercoledì pomeriggio.
Marisa ha intercettato la seconda telefonata della giornata (la quarta
in due giorni), dal marito della signora Nobili che chiede con
insistenza della dottoressa Giovanna. Ora è al telefono a spiegare
all’interlocutore che anche lei, che pure si trova nell’ufficio accanto,
ha chiesto di poter parlare cinque minuti con l’avvocato sin dal
primo mattino. E sta ancora aspettando di essere convocata. La
dottoressa Gandolfi è molto occupata, essendo stata assente
dall’ufficio due giorni.
Purtroppo l’informazione che l’avvocato si trova nell’ufficio accanto
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al suo non è stata presa per il verso giusto. Il signor Baccini si mostra
oltremodo spazientito, affermando che lui sta chiamando per la vera
ragione per cui l’avvocato è stato via dall’ufficio i due giorni in
questione! I casi sono due: o l’avvocato fa apposta a negarsi al
telefono, allora lo dica chiaro e tondo, o lei, la segretaria, non sa dare
priorità ai casi che si trova a trattare.
“Signor Baccini, aspetti un secondo.” Marisa chiede alla collega di
rintracciare l’avvocato che non è ancora rientrata dalla pausa pranzo.
“Ho controllato, non ancora è rientrata... è la verità, mi creda!”
“Signora, la verità è che lei non è all’altezza dei compiti che riceve.”
“Le sto dando l’assistenza che posso, lei però non mi offenda.”
“Lei si offende da sola, signora? Lei che ruolo ha, perché blocca le
mie chiamate? Se è una segretaria, allora si faccia da parte e passi la
mia chiamata!”
“Va bene, allora le parlo da avvocato e non da segretaria!” L’altra
segretaria, che fino a quel momento ha cercato d’isolarsi
concentrandosi nello svolgimento del suo lavoro, alza la testa
incredula per la piega che ha preso la conversazione. E perché è
sconcertata dal bluff.
“Purché parli in fretta perché sto spendendo un sacco in telefonate.”
“Cosa vuole sapere dall’avvocato Gandolfi e dal nostro studio
legale?” prosegue Marisa. “E’ un fatto privato o è un fatto legale?”
Nottetempo, pensa ancora la segretaria più giovane osservando la
collega, sarà riuscita nell’intento di superare i due terzi di esami
mancanti alla laurea o l’avrà comprata o... Le piace quando lo studio
legale diventa movimentato come un palcoscenico.
“E’ una cosa privata che voglio discutere con l’avvocato Gandolfi,”
risponde il signor Baccini.
“Per caso, questa cosa privata, ha a che vedere con sua moglie?”
“E se così fosse?”
“Sua moglie mi ha dato l’incarico di chiedere la separazione legale.”
“Non le credo,” il signor Baccini esita, la telefonata ha preso una
piega imprevista. “Dov’è mia moglie, si può sapere?”
“Sua moglie è libera di mettersi in contatto con lei, oppure di
rifiutare il contatto. Resta da capire, signor Baccini, se ci muoviamo
verso una separazione legale, consensuale, oppure se mettiamo nel
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conto anche i maltrattamenti.”
“Ah!” sospira il signor Domenico Baccini improvvisamente a corto
di fiato e d’argomenti. “Questo almeno è parlare chiaro.”
“Senta, va bene se la chiamo al più tardi domani mattina, dopo aver
parlato di nuovo con sua moglie e con l’avvocato Gandolfi?”
Mercoledì sera.
Gli uffici sono deserti a parte la donna delle pulizie, Marisa e
Giovanna la quale, date le ultime disposizioni per l’indomani, se ne
va. E’ stata una giornata campale per entrambi.
Finalmente Marisa ha avuto modo di aggiornare l’avvocato
Giovanna sulla conversazione con il marito della signora Luigina e
sulle altre pratiche in corso. Non ci sono stati ripensamenti da parte
di quest’ultima, ha il caso saldamente in pugno. Domani da sola in
ufficio, seduta alla scrivania del capo, potrà all’occorrenza mostrare
anche il lato affabile del suo carattere. L’importante sarà ottenere il
massimo.
Ora si appresta a inviare l’ultimo telex e via a studiare fino alla
mezzanotte.
Telex a Paolo.
‘La madre di MG resta in Italia. Ritorna domani dalla polizia per
aggiornamenti. Il tenente Rimbeaux polizia ferroviaria di Lione ha
promesso un intervento per permetterti di ricevere informazioni
p/conto della famiglia. Il tuo rientro rende superflua una procura.
Stabilisci un semplice contatto con qualcuno del consolato. Potremo
fare leva sulla stampa e il consolato, come azioni di riserva anche da
To.
Un abbraccio, GG’
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14
Giovedì mattina, ore 7.
Una Fiat 600 bianca con in mostra l’usura del tempo si è fermata in
prossimità della casa della dottoressa Giovanna Gandolfi. Un uomo
scende, si dirige con decisione al numero civico della via dove abita
la dottoressa, scorre con lo sguardo i nomi sul citofono. Arriva in
fondo alla lista, non ha trovato; ritorna a cercare in senso contrario
con l’aiuto dell’indice della mano destra. Il dito si ferma su un
pulsante dove sono annotati due nomi senza alcun titolo: Gandolfi Alessandrini. Si mette a tambureggiare sul pulsante, sfiorandolo
appena, per pochi secondi. Poi resta sospeso in alto quasi a porre un
interrogativo.
Un’occhiata dell’uomo all’orologio conferma solo in piccolissima
parte il motivo dell’esitazione. E’ ancora presto per presentarsi in
casa di estranei. Il vero motivo d’incertezza è che lui ha trovato
quell’indirizzo sulla guida del telefono. Non è affatto certo che
Mario Gandolfi passa essere imparentato con la dottoressa Giovanna
Gandolfi. Male che vada, pensa, passerà dallo studio legale più tardi
in orario d’ufficio.
Allora l’uomo ritorna stancamente alla propria auto, la rimette in
moto. Ha già adocchiato un posto libero. Fa una manovra a U e
parcheggia a una ventina di metri del portone di casa che gli
interessa. La targa dell’auto porta impressa la sigla della città di
Grosseto. Da quella posizione può tenere d’occhio chi entra e chi
esce. Essendo mattino presto, suppone che saranno in maggioranza
quelli che escono. Aspetterà comodamente seduto. Ha imparato ad
attendere che l’uva maturi, che il vino giunga a fermentazione, sa che
certi tempi vanno rispettati. La natura ha leggi inderogabili. Solo le
donne sono spesso in lotta contro il tempo e la natura e le
immancabili rughe.
Per questo le donne lo hanno colto qualche volta impreparato.
In casa ne ha avute due, tutt’e due hanno richiesto giorno per giorno
da lui ogni residua dose della sua pazienza. Poi, prima l’una, poi
l’altra se me sono andate lasciandolo vuoto come una vecchia botte,
inutile perfino da lasciare al sole e bruciare come legna da ardere
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quando arriva l’inverno.
Fuoco che brucia in fretta, non scalda.
In strada circolano poche auto, di passanti se ne vedono ancora
meno. Le facciate dei palazzi invece lasciano intuire un risveglio che
presto sfocerà in un travaso di gente che fluirà in tutte le direzioni.
Le persiane vengono spalancate una dopo l’altra. Una signora sul
balcone del secondo piano dà l’acqua ai gerani. Un’altra al piano di
sotto ritira alcuni panni stesi. Dimenticanze del giorno precedente.
Smette di sporgersi a guardare con la testa fuori dal finestrino
dell’auto. Non gli riesce d’immaginare l’avvocato Gandolfi, con un
portamento dimesso, affaccendata mentre svolge qualcuna di queste
incombenze.
A pochi metri di distanza due donne in vestaglia si affrettano a
consumare la colazione del mattino a base di caffèlatte e biscotti.
“Devi ritornare in bagno?” chiede Giovanna a Luigina. “Ti avviso
che per le otto dobbiamo essere in strada.”
“In bagno ho finito, devo soltanto lavarmi i denti,” risponde Luigina.
“Ma posso anche farlo nel lavandino della cucina se siamo in
ritardo.”
“No, per adesso non siamo in ritardo sulla tabella di marcia. Allora in
bagno vai prima tu.” Intanto Giovanna sparecchia la tavola e mette le
tazzine nel lavandino dove ha fatto scorrere dell’acqua.
Appena uscita dal bagno Luigina lava velocemente le tazzine e il
resto, lasciando ogni cosa capovolta a scolare sul lavello. Quindi
ritornata in camera, mette gonna e maglietta, un leggero fondotinta
indugiando sul lato del viso tumefatta, si dà una rapida spazzolata ai
capelli e chiede: “Praticamente ho finito, posso essere utile?” Ha la
borsa da viaggio aperta in mano.
“Se sei pronta, tieni d’occhio la strada,” risponde dal bagno
Giovanna. “L’appuntamento per il taxi è alle otto meno cinque. Di
solito arriva un po’ prima e si mette ad aspettare in macchina. In
seconda fila.”
La signora Nobili guarda in strada spostando di lato i tendaggi del
balcone. Mancano venti minuti all’appuntamento. Non c’è nessuno
in seconda fila, di taxi neppure l’ombra. Sta per ritornare in sala a
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rovistare di nuovo in borsa, per accertarsi di avere con sé il
necessario per il viaggio. Poi ha un dubbio, più impellente, che si
sovrappone alla mania di ricontrollare il contenuto della borsa ogni
volta che esce di casa. Spia di nuovo in strada, più a lungo e più
discretamente, ben nascosta dai tendaggi. Le pare di riconoscere
un’auto parcheggiata lì sotto. Una Fiat bianca, che una volta era
bianca, testimonia che il tempo porta alla resa dei conti.
“Cos’hai?” le domanda Giovanna vedendola seduta sul divano,
immobile, il volto tra le mani.
“Mio marito è sotto ad aspettare in auto.”
“Sei sicura?”
“Abbastanza, guarda sul lato sinistro quell’auto bianca: dentro c’è
qualcuno.”
“Bene, niente panico,” le raccomanda Giovanna. Niente panico,
ripete a se stessa. Come diavolo ha fatto? Il primo pensiero è
beffardo, a sottolineare la difficoltà del momento, o a
sdrammatizzare, senza peraltro fornire un vero aiuto. La piccola auto
di sotto le rammenta il coniglio bianco dei prestigiatori. Bisogna
trovare una rapida soluzione. Male che vada, fra poco ci sarà anche il
taxista a dar loro manforte. Usciranno di casa quando anche il taxi
sarà arrivato.
O forse è meglio se è lei sola a uscire di casa.
Quando mancano circa dieci minuti alle otto, la signora Luigina ben
nascosta dietro la tenda vede il taxi arrivare e fermarsi in seconda
fila. Dopo pochi secondi Giovanna esce dal portone con la sua
ventiquattrore. E’ rimasta nell’atrio ad aspettare almeno un paio di
minuti. A quel punto mentre il tassista le va incontro, si avvicina
precipitosamente anche il signor Baccini Domenico, marito di
Luigina.
La dottoressa fa segno al tassista di pazientare un attimo, tira in
disparte il signor Domenico e restano a parlare animatamente. Dopo
uno scambio fitto di battute, la dottoressa sembra avere la meglio. Il
marito di Luigina ritorna con passo incerto verso la sua auto.
Giovanna va dal tassista, vincendo le sue rimostranze lo paga. Quindi
si dirige verso l’auto di Domenico e insieme si allontanano.
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La Fiat 600 bianca si ferma al primo Autogrill che si trova in
autostrada in direzione di Milano. L’uomo esce dall’auto per fare
benzina. Uno dei ragazzi addetti alle pompe finisce di servire un altro
signore ed è subito disponibile. Dall’auto esce anche la donna. E’
proprio lei ad allungare per prima la mano, porgendo i soldi al
ragazzo, che li prende e ringrazia per la mancia.
“A questo punto l’auto è a posto,” dice la dottoressa Giovanna
rivolgendosi al signor Domenico Baccini. “Non resta che sederci un
attimo e prendere anche noi qualcosa.”
“E due.” L’uomo la guarda che se fosse stato preso in contropiede
per la seconda volta. “Non ha appena detto che ha già fatto
colazione?”
“Io sì, ma lei no! O dobbiamo litigare anche per questo?” conclude
iniziando ad allontanarsi verso il bar ristorante.
Il signor Domenico emette un lungo sospiro e arrendevole sbuffa:
“Se proprio insiste, parcheggio e la raggiungo.”
Entrano nel bar ristorante, ordinano due brioche, due cappuccini, una
spremuta d’arancia e si seggono in un punto isolato.
“Noto con piacere che non le manca l’appetito,” dice quasi divertito
il signor Baccini.
“Fare una colazione abbondante è un’abitudine che ho preso
quand’ero all’estero. Sa, ma anche adesso che lavoro, non si sa mai
come si svolge la giornata. E se ci sarà una vera pausa pranzo.” La
tensione tra i due sembra essersi stemperata. “Signor Domenico,
vogliamo ritornare sugli argomenti che abbiamo appena discussi?”
riprende la dottoressa Giovanna. “Così evitiamo di litigare durante il
viaggio e non passiamo una giornata d’inferno.”
“Per me non c’è bisogno di aggiungere altro!” risponde il signor
Baccini.
“Nel senso che lei resta del suo parere e io resto del mio?”
“Nel senso che i casi sono due: o lei e il suo studio state dalla parte di
mia moglie e vi occupate della nostra separazione legale, e allora io
mi trovo un altro avvocato, oppure voi non vi occupate di
separazione, e allora voi vi mettete da parte ed io voglio sapere dove
sta mia moglie!”
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“Lasci stare un attimo sua moglie, ne parliamo dopo.”
“Perché dopo? Non usi i suoi trucchi d’avvocato con me. ”
“Non è più urgente, in questo momento, venire a capo della
sparizione di sua figlia?” La voce di Giovanna ha raggiunto tonalità
ben al di sopra del brusio di fondo della sala tale da far girare alcuni
viaggiatori. Il signor Baccini si mostra ancora una volta spiazzato o a
corto d’argomenti. “Almeno in questo siamo d’accordo, lo vogliamo
fare uno sforzo di buona volontà, lo sa che ben due avvocati del
nostro studio si stanno adoperando in Italia e in Francia per riuscire a
capirci qualcosa? Del tutto gratis, di nostra iniziativa, solo perché
mio marito e io siamo amici di amici... E lei non riesce a mettere da
parte un po’ del suo rancore, nemmeno per ritrovare sua figlia?”
“Cosa devo fare allora? Ignorare che anche mia moglie è sparita? E
se qualcuno, se dei parenti mi chiedono qualcosa, devo dire: da un
anno non so niente di mia figlia, e da quattro giorni... poi da una
settimana... e così via, non so niente neanche di mia moglie!”
“Io le propongo un patto. Mi lasci manovrare ancora per un paio di
giorni, liberamente. Per dare una spinta alle indagini in Italia e in
Francia, a modo mio. Per sapere tutto quello che è possibile
accertare. A fine settimana mio marito rientra da Parigi. In entrambi
casi, sia che abbiamo scoperto qualcosa, sia che non si venga a capo
di niente, noi tiriamo i remi in barca. Non staremo mica a investire
altro tempo!” La dottoressa Giovanna si concede un’altra pausa e un
altro salto di tonalità. Con voce pacata conclude: “Spero di
raggiungere dei risultati entro una settimana. Per arrivare agli stessi
risultati, tramite i canali ufficiali, lei e sua moglie ci impieghereste
dei mesi.”
“Va bene, mi ha convinto,” concede il signor Domenico.
“Allora possiamo andare,” dice Giovanna, l’amaro in bocca per aver
bevuto il cappuccino della giornata senza zuccherarlo. Ha dovuto
spendere per due volte il nome di suo marito nella faccenda, ed è
stato un boccone difficile da ingoiare. “Prima di ripartire però, devo
fare una telefonata.”
Mentre il signor Baccini si avvia verso l’uscita, la dottoressa
Giovanna va a fare le telefonate che ha in mente. La prima allo
studio, quindi alla signora Luigina, per rassicurarla circa il
43
cambiamento di programma, l’altra a Marcello. Ma questi non
risponde, né a casa, né in ufficio. Il signor Domenico, che si è
fermato ad aspettare ed osserva da lontano, conta: “Tre,” tre volte
fottuto pensa, e la diffidenza, che pochi secondi prima sembrava
essersi sedimentata nel fondo, ritorna a intorpidire quello che
appariva cristallino.
Dall’inizio della settimana Marcello Dotti è ufficialmente in congedo
malattia. Stato depressivo, ha scritto il medico della mutua sul referto
medico; gli ha rilasciato una ricetta, prescrivendogli degli ansiolitici
e gli ha concesso sette giorni di riposo.
Avendo la possibilità di uscire, perché il suo stato di salute non
richiede l’obbligo di stare a casa, Marcello ha deciso di farlo di
primo mattino. E’ passato finalmente in farmacia per ritirare le
medicine, non perché ne sente il bisogno, ma perché gli servano di
alibi. E a piedi, con largo anticipo, si è diretto verso la Stazione
Centrale dove ha l’appuntamento con l’avvocato Giovanna Gandolfi
alle 9:50.
Il treno da Torino delle ore 9:50 arriva in stazione alle 10:02 minuti.
I passeggeri scendono dai due lati del treno. Alcuni con il solo
bagaglio a mano si dirigono di corsa verso l’uscita, altri appesantiti
da valige e borse seguono dietro. Uno sparuto gruppetto di persone
che compatto sta ad aspettare all’inizio del binario comincia un poco
alla volta ad allargarsi fino a confondersi con il flusso di gente in
arrivo. Qualcuno corre incontro al parente o all’amico, un abbraccio
e gli toglie di mano una borsa. Altri chiamano agitando le mani in
aria per farsi notare. Poi la marea di gente in arrivo prosegue
compatta verso l’uscita lasciandosi dietro, come detriti, alcuni curiosi
isolati e qualcuno che ha mancato l’appuntamento. Marcello è tra
questi. Intanto altri passeggeri cominciano a salire sul treno che si
appresta a ripartire in direzione opposta. Il tabellone ha già rettificato
le indicazioni di viaggio.
Che fare? si domanda Marcello. Decide di contattare Giovanna in
ufficio, ha conferma della sua partenza per Milano ma - cambio di
programma - in auto. Allora lascia detto che lui sarà a casa ad
aspettarla.
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L’arrivo in città, per i due occupanti della Fiat 600, si è rivelato
difficoltoso, prima la coda al casello dell’autostrada, poi non è stato
semplice imbroccare le arterie di traffico che conducono da ovest a
est, inoltre Milano non è paragonabile né a Grosseto, né a Torino. Il
signor Domenico non è mai stato a Milano: non è stata sua l’idea di
venire in una città così caotica, la dottoressa Baccini c’è stata altre
volte, ma è solita andare in taxi.
Infine, se le indicazioni da parte del navigatore cominciano a essere
contraddittorie, c’è da perdere la testa. Ed è così che l’avvocato
Giovanna, notando di essere in ritardo per andare all’appuntamento
originale con Marcello alla stazione, decide di andare alla caserma
dei carabinieri.
Arrivati a destinazione, presenta il suo biglietto da visita al
carabiniere che è alla guardiola e chiede di parlare con il maresciallo
Nicola Biancacci.
Dopo una breve assenza il carabiniere invita prima l’avvocato ad
entrare nell’ufficio del maresciallo, quindi appreso che
l’accompagnatore è il padre della ragazza scomparsa, fa accomodare
anche il signor Domenico.
“Lei è Giovanna Gandolfi, l’avvocato di Marcello Dotti?” chiede il
maresciallo andando incontro alla donna.
“Sì, sono qui anche come rappresentante del signor Baccini, il padre
della signorina Maria Grazia Baccini,” precisa la dottoressa
Giovanna.
“E’ il padre della ragazza scomparsa?”
“Sì, per l’appunto.”
“Allora, accomodatevi tutti e due,” il maresciallo indica le due sedie
davanti alla scrivania. “Noi ci siamo sentiti anche per telefono, vero
dottoressa?”
“Sì, sono qui per questo. Tuttora non mi sono chiari i capi
d’imputazione a carico del signor Dotti Marcello.”
“Non ci sono capi d’imputazione. Il signor Dotti è stato convocato
come persona informata dei fatti.”
“Ma è stato messo agli arresti domiciliari!”
“Adesso non lo è più. E’ stata una restrizione momentanea, per
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dissuaderlo dall’andare via. L’unica restrizione che rimane è quella
di non lasciare la città.” La risposta del maresciallo sembra
soddisfare l’avvocato Giovanna Gandolfi. “Altre domande?”
“Certamente, la domanda più importante: siete venuti a capo di
qualcosa?”
“Non mi occupo personalmente del caso, che ufficialmente è in
mano ai colleghi di Grosseto.”
“E ufficiosamente, c’è stato qualche sviluppo?”
“Da quello che so, si sono mossi per avere notizie dalla Francia.”
“Quindi, siamo ancora al punto di partenza?”
“Dovrà ammettere che c’è stata una segnalazione che definire tardiva
è poca cosa. Se avete ulteriori informazioni da rilasciare, prendo
nota. Se invece preferisce metterla su un tono polemico...”
“No, mi scusi, non era mia intenzione. Se vengo a conoscenza di
qualche fatto da Parigi, la metto al corrente.”
Il signor Domenico solleva l’indice in aria come a chiedere il
permesso di parlare. “Posso fare una domanda io?”
Certamente dicono con gli sguardi e le parole sia il maresciallo che
l’avvocato. “Certo, non esiti, prego!”
“Perché non si fa un appello in tv?” chiede il signor Domenico.
“Semplice,” risponde subito il maresciallo, “la tv non è un nostro
strumento d’indagine. Non è il modo abituale di procedere...”
“La verità è” lo interrompe l’avvocato Giovanna, “che il caso non ha
ancora superato la soglia del dubbio. Prima di tutto, in Italia e in
Francia, devono escludere che sua figlia non sia semplicemente
partita per chissà dove, di sua spontanea volontà.”
Con le labbra serrate, l’espressione volutamente silenziosa del
maresciallo sembra avvalorare quanto è stato appena detto. Prima di
congedarsi l’avvocato Gandolfi chiede la cortesia di fare una breve
telefonata in città. Il pensiero va a Marcello con il quale
l’appuntamento è slittato di un quasi un paio d’ore.
E’ quasi l’ora di pranzo quando l’avvocato Giovanna varca la porta
d’ingresso del bilocale dove abita Marcello.
All’uscita dalla caserma dei carabinieri, lei e il signor Domenico si
sono salutati ed ognuno è andato per la sua strada. “Non c’è motivo
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perché lei mi segua nel mio incontro con il signor Marcello Dotti,
non penso avrà modo di apprendere di più di quel che già sa,” ha
detto la dottoressa Giovanna, “a meno che...” Il signor Domenico si è
trovato subito d'accordo. Ha detto che avrebbe preso la sua auto e
sarebbe tornato nella sua Toscana.
L’abitazione dove Marcello risiede è modesta. Un tavolo e delle
sedie in frassino, e unico mobile bianco, addossato alle pareti
bianche, danno l’idea di un ambiente tenuto con cura. L’ordine
esasperato denota più l’assenza che la presenza di uno che ci abita.
Nell’attesa dell’ospite, Marcello ha avuto tutto il tempo per
riassettare ogni angolo del tinello. Ma la cura maniacale dell’ordine
traspare anche dal modo in cui sono tenuti i libri, perfettamente
allineanti per il colore del dorso di copertina e l’altezza,
dall’allineamento dei bicchieri nello stesso mobile, che nei suoi vari
scomparti è utilizzato per tutti gli usi.
“Il viaggio da Torino è stato travagliato, in compenso ho già avuto
modo di parlare con il maresciallo Biancacci...” Giovanna si
sofferma nel pronunciare il nome del maresciallo, per un
accostamento al colore prevalente che osserva in giro, che non ha
senso alcuno. “Mi ha detto che non ci sono altre restrizioni in essere,
salvo rimanere a disposizione.”
“Giusto, da domani penso di ritornare al lavoro.”
“Hai avuto dei problemi dal punto di vista del lavoro?”
“No, per adesso me la sono cavata con un certificato medico.”
“Perché per adesso? Prevedi problemi in futuro?”
“Come faccio a dirlo?”
“Se non nascondi niente, non ci sono motivi per dubitare che tutto
verrà chiarito.”
“Tutto mi è caduto addosso, all’improvviso. Non so cosa pensare...”
La pausa porta di fatto a un silenzio che, mentre gli sguardi
s’interrogano, diventa pesante come l’afa che d’ora in ora diventa più
opprimente. Il suono di un clacson in strada interrompe il protrarsi di
quella schermaglia.
“Hai provveduto a metter giù tutti gli appunti,” gli chiede Giovanna
“come ti eri promesso di fare?”
Senza rispondere immediatamente, Marcello si alza e prende dal
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cassetto del mobile dei fogli che porge all’amica e avvocato. Non sa
bene neanche lui in che veste lei è lì a interessarsi del presente e a
interrogarlo sul suo passato. “E’ quello che ricordo, dei giorni che
hanno preceduto il mio ritorno in Italia, compreso i miei stati
d’animo, come mi hai chiesto.”
“Li leggerò con attenzione.” Giovanna vorrebbe aver già ricevuto un
aggiornamento da Paolo, avere seduta stante la possibilità di una
verifica in controluce della confessione di Marcello. “C’è qualcosa in
particolare che dovrei sapere che non è nero su bianco su questi
fogli?”
“Ho appena detto che è tutto lì! Compresi i momenti di sconforto,”
risponde irritato Marcello.
“Non c’è motivo d’innervosirsi.”
“Hai notizie da Parigi?” chiede allora Marcello, anche per mostrare
di essere padrone di se stesso.
“Nessuna notizia utile.”
“E’ l’ora di pranzo, sei invitata a mangiare da me!”
“Possiamo andare a mangiare qualcosa fuori, in un posto più fresco.”
“Ho pronto una insalata di riso e una bottiglia di vino bianco in
frigo.”
Il colore dominante ritorna ossessivo, il bianco non è sempre
sinonimo di innocenza. Giovanna sta pensando a una donna bionda
patinata, che aveva conosciuta quand’era all’università. Dopo una
vita trascorsa a battere il marciapiede, la signora aveva risparmiato a
sufficienza per aprire una lavanderia.
E’ sufficiente una vita dedicata a pulire i panni sporchi dei clienti,
per sbiancare la propria coscienza?
Giovedì pomeriggio.
Se ci può essere qualche correlazione fra una lavanderia e uno studio
teatrale, allora c’è senz’altro una parentela di ruoli fra un avvocato e
un attore. I capi di vestiario, che li si chiami abiti o costumi, servono
all’identico scopo di fare calare chi li veste nella parte che ha scelto
di recitare, o che la sorte gli ha affibbiato. In quanto all’avvocato o
all’attore, a loro viene affidato un copione, che devono studiare,
saper interpretare e rendere credibile.
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Al di là del proprio carattere, a Giovanna piace il salto di ruoli che la
professione le impone. Ma è pure attenta a non fare il salto della
quaglia. Ogni caso richiede concentrazione, immedesimazione e
rinnovate energie; ogni sbaglio si paga. In qualche modo le necessità
del mestiere l’aiuta a non essere il personaggio monolitico che una
educazione alquanto severa le ha caricato sulle spalle come
un’armatura medievale. Liberarsi di certe costrizioni è un po’ come
mettere insieme l’utile al dilettevole.
Per sua natura, non oserebbe mai passare dallo studio legale di
Milano, loro partner e concorrenti nello stesso tempo, per una
semplice visita di cortesia. Nel mondo professionale non ci si può
permettere queste leggerezze. Di solito si stabilisce prima un contatto
(tramite la segretaria), si concorda un’agenda (che alla stregua di un
intervento chirurgico non può mai essere improvvisato), l’incontro è
collocato in un reticolato di altri incontri (coinvolgendo altri
colleghi), si corre difilato da un appuntamento all’altro (totalmente
spesati), avendo cura di non rimanere impigliato in nessuna delle
maglie della rete più del dovuto. La perizia di ciascuno di riuscire a
districarsi da questi ingorghi accresce il profilo professionale e di
conseguenza consolida il profitto.
La legge del pro, pro, pro (profilo, professione, profitto) ubbidisce a
questi canoni.
L’ingenua telefonata da Torino, della segretaria più giovane, allo
studio legale di Milano è servita allo scopo di fare sapere a chi di
dovere la presenza della dottoressa Gandolfi a Milano. Il fatto ha
scoperchiato lo sciame. Le api operaie segretarie hanno colto al volo
l’opportunità per pregarla di sacrificare una o due ore del pomeriggio
prima di ritornare alla base.
Quindi il viaggio dell’andata senza copertura finanziaria diventa
profittevole nella via del ritorno. Tuttavia quello che preme di più a
Giovanna è rendere, sia pure superficialmente, edotta una delle
colleghe al fine di ottenere un eventuale supporto che si rendesse
necessario. Inoltre la sosta nello studio legale di Milano le serve per
contattare l’ufficio di Torino, aggiornarsi sui casi correnti e dare
disposizioni. Prima di ripartire per Torino avvisa che rientrando,
passerà per lo studio, per cui chiede a Marisa di lasciarle sulla
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scrivania le pratiche urgenti da visionare e firmare.
E infatti appena giunge alla stazione di Torino, chiama un taxi e gli
dà l’indirizzo dell’ufficio, dove trova più di un messaggio che
attende una pronta decisione.
Giovedì sera.
Nell’ufficio illuminato ma deserto, seduta alla scrivania, Giovanna
passa in rassegna le annotazioni di Marisa che ha trovato sotto il
fermacarte di vetro - una palla trasparente con all’interno una palma,
a ricordo di un viaggio in Medio Oriente e della quiete di un’oasi. Un
rigoglio di vita incapsulata in una bolla, l’inconscio desiderio d’un
tuffo in una sfera a rappresentanza di un mondo più contenuto, il
miraggio di poter essere altrove.
‘La signora Luigina ha telefonato più volte chiedendo di essere
richiamata.’
‘Il signor Baccini ha lasciato detto che si è rivolto a un giornalista.’
‘Il tenente Rimbeaux vuole essere ricontattato.’
Telex (della sera precedente) da Paolo, Parigi.
‘Rif. MGB - Dopo alcuni sopralluoghi e incontri è emerso quanto
segue:
MG ha preso una settimana di vacanza il 22/9/73, ultimo giorno di
lavoro 21/9 (attesa per il 29/9 non si è ripresentata),
l’appartamento è rimasto vuoto a partire da quel periodo, non è stato
possibile accertare con precisione da quale data,
l’amica Andrée conferma l’assenza dell’amica dal lavoro, per una
vacanza non meglio specificata,
alcuni suoi amici hanno accennato a una fuga in campagna, ma non
hanno saputo dire né dove né con chi.
La conclusione a cui sono arrivati Andrée e amici è stata che Maria
Grazia da un lato ha vissuto un primo momento ‘totalmente
soggiogata’ nella relazione con Marcello, dall’altro volendo sottrarsi
a questa situazione ‘bramava o sognava’ di potersi tuffare in altre
storie.
La polizia intende prendere in esame la personalità di Marcello e la
natura della relazione fra i due, senza escludere una partenza di MG
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per una meta lontana, una fuga dalla quotidianità.
La ricerca di amici / partners con cui sarebbe sparita/partita, finora
non ha dato risultati.
Un saluto da Annalisa e un abbraccio da me, Paolo’
In treno, durante il viaggio di ritorno, Giovanna ha avuto la
possibilità di sfogliare gli appunti di Marcello e di soffermarsi sulla
parte relativa al periodo in cui ha lasciato Parigi, circa un anno
prima. Pertanto nello scorrere le note scritte da Paolo, è subito in
grado di cogliere i punti critici.
Tenta di mettersi in contatto con Paolo chiamandolo al telefono.
“Hotel du Nord, posso parlare con il signor Paolo Di Donato?”
“Mr. Di Donato è uscito, vuole lasciare un messaggio?”
“Sì, no,” Giovanna si blocca, stava per dire: sono la signora... “mi
può passare madame Di Donato?”
“Madame Di Donato è uscita assieme a Mr. Di Donato. Devo
lasciare detto qualcosa?”
“No, grazie.” Ha già detto abbastanza, pensa Giovanna, mentre si
rimprovera di aver telefonato, contravvenendo a quanto si era
ripromessa di fare fino a poco tempo fa. Ha prevalso la dedizione al
lavoro, l’abitudine di voler bruciare le tappe o la curiosità di avere
una conferma tangibile sullo stato di crisi del suo matrimonio?
Prima di lasciare l’ufficio manda un telex.
Telex a Paolo.
‘Rif. MGB / Pietro
Giovane studente Pietro, figlio di un diplomatico del consolato, ha
frequentato la stessa scuola di Marcello. Secondo Marcello: MG e
Pietro sono stati arrestati a seguito di disordini post-68, hanno
scoperto in carcere di avere un’amica in comune Andrée poiché
hanno dato lo stesso indirizzo. Espulsi, si sono reincontrati anni
dopo. Pietro potrebbe aver avuto a) una relazione sia con Andrée, sia
con MG, b) un proprio interesse a spingere Marcello a lasciare MG
e/o Parigi.
Saluti,Giovanna’
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15
Venerdì mattina.
Tra veglia e sonno talvolta è arduo mantenere il controllo di un
mulinello di sensazioni che si affacciano indisturbate a salutare il
mattino. In particolare certi stati d’animo che, manifestandosi come
improvvisi colpi di vento all’uscita dal tunnel, procurano
sbandamenti che finiscono con l’offuscare, più che propiziare, un
buon risveglio.
Ancora prima di spalancare gli occhi Giovanna è dominata dalla
frenesia: a) di scoprire quale giornale può avere contattato il signor
Baccini, b) di richiamare il tenente francese il cui nome rammenta
quello di un pittore che al momento le sfugge. Se davvero il signor
Domenico ha raccontata la vicenda a un giornalista, ora vale la pena
di studiare il modo di usare stampa e tv, collocando nella giusta luce
l’operato svolto, indirizzando il tam tam mediatico verso il ginepraio
che s’intende districare.
Chiederà al bel tenente se vuole essere della partita: dalla stessa parte
a cavalcare i media. Un pensiero, da ‘single’, molesto si è affacciato
a proiettare altre galoppate che sembrano confinate nei sempreverdi
prati del ricordo.
Questione di un attimo e si è alzata, scrollandosi di dosso ogni
torpore dei sensi. Si è recata in studio, prima di andare in bagno; ha
aperto l’agenda che porta sempre dietro in cartella e, per essere certa
di non dimenticare, ha preso nota delle azioni prioritarie chiamate a
scandire il ritmo della giornata.
Le succede talvolta di avvertire di primo mattino l’affanno per quello
che non è riuscita a completare il giorno precedente. A mente fredda
però sa bene che, se l’assenza dall’ufficio può aver determinato un
sovrappeso nelle pratiche inevase, nel giro di 24/48 ore sarà in grado
di smaltire ogni istanza.
Mentre sta per lasciare casa per andare in ufficio ha chiesto a
Luigina, a volo: “Tra le conoscenze di famiglia, c’è mai stato
qualche giornalista?”
La domanda ha talmente sorpresa la signora Nobili da averle
impedito di pronunciare parola. La risposta è comunque uscita
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eloquente dall’espressione complessiva del corpo, le labbra ad arco,
braccia e mani aperte a indicare il nulla.
Appena giunge in ufficio, Giovanna spalanca il giornale la Stampa
sulla scrivania e scorre i titoli alla ricerca di rivelazioni di persone
scomparse e di assalto ai treni in stile Arsenio Lupin. Ma non trova
neppure una misera traccia della notizia del treno per Parigi che
all’inizio della settimana è stato oggetto di cronaca.
Intanto anche i colleghi cominciano ad arrivare. Quando Marisa si
affaccia sulla porta per augurare il buon giorno, le fa segno di
entrare. “Puoi fare un giro negli uffici per accertarti quali e quanti
giornali, delle diverse testate, sono consultabili?”
“Vuoi scoprire se il signor Baccini è riuscito nel suo intento?”
“Certamente,” conferma Giovanna. “Non è mia abitudine aspettare
passivamente.”
“Perché non chiederlo direttamente a lui?”
“Ho avuto la stessa idea, ma lo faccio solo dopo aver fatto il tentativo
di spulciare almeno i quotidiani che sono facilmente reperibili. Non
rinuncio a posizioni di vantaggio.”
“Ci provo, la ricerca presso i colleghi ci espone a domande
indesiderate.” Evidentemente Marisa gradisce poco il compito che le
è stato affidato.
“E tu usa la tattica della disinformazione, ad ognuno dai una versione
diversa di quello che stiamo cercando.”
Neanche fra donne ci si capisce, borbotta tra sé e sé Marisa
allontanandosi. Una cosa è seminare una sequela di notizie
contraddittorie, altro è venire investita da attenzioni indesiderate.
In attesa di decidere se contattare o meno il signor Domenico,
Giovanna chiama il tenente Rimbeau, scusandosi di non averlo fatto
il giorno precedente. Gli anticipa la probabilità che giornali e tv si
impossessino delle due storie che, furto a parte, sono correlate.
Il tenente scalpita, vuole interrogare di nuovo la signora Nobili e
chiudere la sua inchiesta. Prospetta di venire a Torino per incontrarla.
Giovanna suggerisce che è meglio accertarsi nel corso della giornata
se davvero l’inchiesta è approdata agli onori della cronaca. Concorda
per finire che si sentiranno per un aggiornamento della situazione nel
pomeriggio.
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Venerdì, all’ora di pranzo.
Giavanna e Marisa avrebbero potuto prendere a prestito tutti i
quotidiani dell’intero palazzo, (che oltre allo studio legale ospita un
commercialista, un dentista e una ditta di import-export con una
ventina di dipendenti). Inutilmente avrebbero potuto acquistare
l’edicola all’angolo della strada e incaricare le due segretarie di
sfogliare ogni giornale di cronaca.
Le notizie si annidano negli anfratti più disparati, salvo venire
scoperte dal segugio abituato alla selvaggina, quindi una volta
scovate volano, di bocca in bocca, incontro a uno stuolo di cacciatori
posizionati per il tiro.
Il giorno precedente, il signor Domenico di ritorno da Milano, è
arrivato a Grosseto verso il tramonto. Si è fermato al bar della
stazione, ha chiesto, qua e là, a chi meglio poter comunicare: una
notizia con il botto. L’edicolante gli ha fornito il nome di un
collaboratore del Vernacoliere, un periodico di controinformazione e
satira. Ha trovato il sedicente giornalista, gli parlato, si è detto
disposto a farsi intervistare. Ed essendogli stato detto di ritornare
dopo un’ora, nel frattempo si è recato dalla sorella di Luigina, per
esporre il suo piano d’azione e per cercare di sapere dove si trova sua
moglie.
Quando la signora Luigina si siede a tavola, sono le dodici e
cinquanta. Ha davanti a sé una insalata caprese e la tv accesa. Il
telefim sta per finire, dopo segue la pubblicità e subito dopo il tg
dell’una. Ha bevuto un sorso d’acqua, non ha ingoiato un solo
boccone. L’ansia, che le mette sete, porta via la fame. Alle ore
tredici, puntuale, il telegiornale, dopo che le lancette dell’orologio
hanno scandito gli ultimo secondi e dato il via alla sigla.
I titoli: “Esteri: continua l’occupazione militare dell’esercito turco
del settore est di Cipro, abitato in prevalenza da turco-ciprioti.
Politica interna: il parlamento si appresta a varare un nuovo governo
balneare.
Cronaca internazionale: Lione, inquietante retroscena collegato al
furto della banda dei vagoni letto.”
Un sorso d’acqua dopo l’altro, la signora segue con insofferenza i
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fatti ciprioti che per lei sono lontani anni luce. La Toscana si affaccia
sul mare Tirreno, del Mediterraneo non sa che farsene, soprattutto in
questo momento. Con pari indifferenza segue la litania che la politica
somministra a intervalli regolari agli elettori. Attende con ansietà che
lo speaker ritorni a parlare della cronaca internazionale. Intanto nel
titolo ha trovato conferma il racconto telefonico di suo marito. L’ha
detto e lo ha fatto.
“All’inizio della settimana, un treno è stato bloccato a Lione per due
ore. La polizia ferroviaria ha sgominato la banda ‘dei vagoni letto’.
In quell’occasione una signora italiana che viaggiava sul treno è stata
trasportata in ospedale per accertamenti. Il marito della donna rivela
il retroscena di quel drammatico viaggio verso Parigi. Può partire il
servizio.”
Sullo schermo appare il signor Domenico mentre viene intervistato
da un giornalista. “Mia figlia, Maria Grazia, non dà notizie di sé da
una decina di mesi; chi ha notizie di mia figlia è pregato di mettersi
in contatto con le autorità; mia moglie era sul treno diretto a Parigi
per incontrare gli amici parigini di mia figlia e la polizia francese.”
La telecamera mostra una foto di tre anni prima: Maria Grazia appare
sorridente in uno dei suoi viaggi per l’Europa. “Faccio un appello
anche a mia moglie, che lasci svolgere le indagini a chi di dovere e
che torni presto a casa.”
La signora Luigina è sgomenta. Una settimana fa viveva nella
nostalgia di rivedere sua figlia e magari per l’occasione di ritornare a
vivere a casa; ora è sulle montagne russe. Mentre i fatti stanno
precipitando rovinosamente si sente sommersa da una valanga di
detriti. Impensabile un tale svolgimento delle cose. E tuttavia non le
riesce di condannare suo marito. Ha impresso una svolta drammatica
che forse era dovuta. Ha fatto un appello anche a lei perché ritorni.
Venerdì pomeriggio.
Nel primo pomeriggio arriva un telex che viene portato subito
all’attenzione di Giovanna, com’è nelle consuetudini dello studio
legale, soprattutto quando la materia scotta. Lo riceve nello stesso
istante in cui la signora Nobili al telefono sta raccontando ciò che ha
appena visto in tv.
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“Luigina scusami solo un secondo,” la interrompe, “c’è un
aggiornamento da Parigi” e con lo sguardo scorre le poche righe del
telex.
Telex (12/7) da Paolo.
‘Rif. MG/ Pietro (?)
NB: presso il ns consolato non risulta un giovane di nome Pietro.
Nessun figlio di dipendenti è stato a Parigi negli ultimi due/tre anni
che possa essere collegato ai fatti raccontati da MD.
Mi riservo di controllare con Andrée appena possibile (è andata via
per il fine settimana).
La polizia in fermento causa festa nazionale, presa della Bastiglia.
Non ho potuto accertare né precedente arresto di MG né l’esistenza
di Pietro (cognome?).
Causa ulteriori accertamenti e festività mi fermo fino a lunedì.
A presto, Paolo’
“Ah, che bastardo! La festa e l’assenza di Andrée, due motivazioni a
copertura di un misfatto,” dice Giovanna tra i denti a se stessa.
“Ci sono novità?” chiede Luigina, non afferrando, all’altro capo del
filo, che un bisbiglio a mezza voce.
Andrée è via, quindi non solo ha campo libero tutto il giorno, ma usa
Andrée anche per giustificare il protrarsi della vacanza. “Questi
uomini meriterebbero le pene che la Chiesa del Medio Evo riservava
alla categoria degli infedeli...” Giovanna continua mentalmente lo
sfogo, mettendo nel novero degli infedeli sia Paolo, sia Marcello.
Quindi rivolta a Luigina aggiunge: “Scusami, stavo parlando da sola,
ti ascolto.” Pausa. “No, da Parigi non si sono novità.”
La signora Nobili le comunica la sua decisione: in questo momento il
suo posto è accanto al marito. Pertanto è pronta a fare i bagagli e
ritornare a casa.
L’arringa contro il sesso forte ha reso meno battagliera Giovanna che
si arrende di buon grado alla volontà di Luigina. Pertanto dà
disposizione a Marisa di controllare gli orari dei treni. Chiamato un
taxi, si reca a casa propria. Fa firmare a Luigina una testimonianza,
di suo pugno, sui fatti di Lione per ogni evenienza e l’accompagna
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alla stazione ferroviaria dove attende fino alla partenza del treno.
Quando rientra in ufficio, sta pensando di dover studiare una
strategia alla luce degli ultimi sviluppi. Avrebbe gradito la presenza
di Paolo accanto a lei. Nelle fasi salienti, dei casi più o meno spinosi,
si sono sempre mossi in tandem ottenendo dei buoni risultati. Ma non
ha il tempo di proseguire nelle sue riflessioni. Giusto nell’atto di
sedersi alla scrivania squilla il telefono. E’ il tenente Rimbeaux che
chiama per la seconda volta, è dell’avviso di venire a Torino.
“E se la signora Nobili fosse impossibilitata a incontrarla? Farebbe
un viaggio a vuoto.”
“Se la signora Nobili non vuole o non può incontrarmi, mi vedrò solo
con lei.”
“Si accontenterebbe quindi d’incontrare solo me, ma solo come una
seconda scelta?”
“Touché: confesso, vengo a Torino per incontrare innanzi tutto lei,
poi la signora Nobili.”
“Se giura che gli incontri sono rigorosamente come ha detto e
nell’ordine indicato, a me va bene.”
“Giuro, vedo prima lei e quindi decideremo insieme!”
Visto che Paolo ha comunicato che rientrerà a Torino il lunedì,
Giovanna concorda l’incontro con il tenente francese per l’indomani.
Ha recuperato un uomo per il fine settimana.
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Venerdì notte.
L’appello del signor Domenico è stato riproposto in tv nei
telegiornali della sera. Con una sola azione, ha segnato due punti a
suo favore, commenta Giovanna. Ha riconquistato la stima di sua
moglie. E tutto sommato l’escalation mediatica può risultare utile a
fare emergere il quadro complessivo. La mossa è da giudicare
vincente, dunque onore al toscanaccio!
Se è accaduto l’irreparabile, di Maria Grazia non si saprà nulla lo
stesso, per un tempo indefinibile. D’altro canto, rendere pubblica la
sua sparizione servirà a delimitare le ipotesi da vagliare.
Dopo un pasto veloce, consumato in compagnia della tv, Giovanna
ha messo una vestaglia leggera ed è andata a letto, portandosi dietro
gli appunti di Marcello, un Block notes e una penna.
Il previsto incontro per il giorno dopo fa sentire meno la solitudine.
Una riflessione sul caso, che la tiene occupata da una settimana
ormai, le consentirà di non focalizzare la mente alla parte vuota del
lettone (forse sarebbe stato meglio andare a dormire nella propria
cameretta) e di non indugiare in fantasticherie sul domani. L’utilizzo
di tutti i cuscini, sistemati dietro le spalle, serve a stare più
comodamente in una posizione leggermente inclinata che facilita la
lettura. Deve imparare a disporre degli spazi e delle risorse da
persona egoista e indipendente.
Le pagine di Marcello narrano di un settembre piovoso, circa un
anno fa. Adesso siamo in luglio e in casa c’è afa. L’aria è stagnante
nonostante abbia lasciato spalancate le finestra della cucina e del
bagno. Si alza e apre la finestra della camera a vasistas avendo cura
di controllare che la cerniera sia a posto.
Il resoconto di Paolo e gli appunti di Marcello non coincidono
almeno in un paio di punti.
Mentre il telex di Paolo colloca la scomparsa di Maria Grazia tra il
22 e il 29 settembre, il racconto di Marcello è privo di date di
riferimento.
Pietro, chi è costui?
Azione: c’è da scoprire il cognome del misterioso personaggio
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Pietro. Da controllare i fatti salienti di cronaca; rendere più
circostanziata la testimonianza di MD; cercare altre fonti di
informazioni e per ognuno di quei fatti accaduti che non si possono
ignorare, chiedere se M. era di qua o di là delle Alpi.
Da controllare anche il meteo. Lo scorso settembre ha sempre
piovuto, oppure due o tre giorni di piogge trovano una esaltazione
solo nel ricordo?
Quando la mente si affida al ricordo, i contorni sfuggono nella loro
proporzione e nella forma. Già bisogna guardarsi dalle falsità nel
presente; una persona che oggi ti è accanto, domani non la riconosci
più.
Annalisa sembrava interessarsi solo alla carriera, invece non solo si
scopre che è incinta, ma non si sa neppure chi di due uomini
potrebbe essere il padre. Una situazione questa che credeva fosse
confinata alle cronache di periferia.
Sono passate due settimane che Paolo è partito; tra pranzi aziendali e
cenette a lume di candela, sarà cambiato nella circonferenza e anche
nel volto.
Quanti uomini entrano ed escono nei suoi sogni notturni
ultimamente: Paolo, Marcello... Pietro e Paolo. Suo padre...
L’ultima volta che ha visto suo padre, l’ha trovato di colpo
invecchiato, senz’altro a causa dell’intervento alla prostata. Per i
dottori era una operazione chirurgica di nessuna importanza, che ha
lasciato il segno in chi l’ha subita.
Finalmente qualcuno ha perso un po’ del suo aplomb, è bastato
sentirsi pizzicato dalla giustizia. Marcello, l’uomo indifferente,
tiepido con le donne, che non intende essere troppo coinvolto in una
relazione amorosa, schivo al punto da isolarsi dal mondo; eccolo
prendere il volo senza degnare di un saluto la donna con cui ha
vissuto per diversi mesi. E con quale distacco apprende che forse è
diventato padre per la prima volta!
Che incubo invece può diventare la maternità. Una donna non potrà
mai vivere un simile distacco. Anche se non desidera la maternità,
dovrà comunque giungere in fretta a una decisione. Tre o quattro
settimane per l’annunciazione - e mai che arrivi l’arcangelo a dirle
che è rimasta incinta! Altrettante settimane per informare il suo
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falegname - se questi è almeno uomo degno d’essere informato. E se
decide di abortire, è già agli sgoccioli, ha davanti la corsa a ostacoli
con le pastoie burocratiche. E guai se capita in mani sbagliate, se non
sa come muoversi.
L’estate appesantisce ogni movimento. Prima il caldo, poi il sudore...
la vestaglia ti si appiccica addosso. Finalmente con il mattino una
leggera brezza rende il sonno ristoratore.
I primi raggi del sole, che filtrano tra le fessure delle tapparelle,
vanno a confondersi con la luce sul comodino rimasta accesa tutta la
notte. Quindi, con il giorno che avanza, l’aria comincia a diventare di
nuovo opprimente. Le lenzuola madide di sudore e la pelle salata
accrescono la voglia di una doccia rinfrescante prima ancora che gli
occhi si aprano a salutare una nuova giornata.
Sabato mattina.
Sono le nove e venticinque del mattino, Giovanna si sta facendo la
doccia. Alle dieci ha un appuntamento presso il suo studio, in centro
città.
Sotto l’acqua che scorre cerca di rammentare, di mettere ordine nei
ragionamenti della sera precedente (lineari finché è rimasta sveglia),
che si sono ingarbugliati con i sogni della notte. Si è alzata con la
netta sensazione di essere arrivata, da qualche lato, vicina a una
soluzione. O forse è giunta soltanto a elaborare una nuova ipotesi.
Purtroppo non ricorda, le vengono in mente solamente dei bagliori di
luce che si spengono all’istante. Non c’è verso di andare al di là di un
confuso benché positivo stato d’animo.
Il suono del citofono la sorprende, come qualche minuto prima è
rimasta sorpresa dell’ora tardi. Il sabato non ha l’abitudine di puntare
la sveglia. Di solito però è in piedi, ben desta, al massimo verso le
otto. La sera prima si è addormentata senza neanche accorgersene. O
meglio, mentre il corpo riposava, la mente sdoppiata dal corpo ha
continuato a macinare pensieri.
“Che inutile esercizio mentale, se poi al mattino uno non ricorda che
vaghe sensazioni!” dice a se stessa, indossando un accappatoio e
andando ad aprire. “Chi è?” domanda, dopo aver aperto. Piuttosto in
ritardo perché ha sentito sbattere il portone, segno che qualcuno 61
estraneo al palazzo - è entrato. La signora Elvira, che conosce meglio
di lei i difetti della casa, avrebbe accostato il portone senza fare
rumore.
Quando suonano alla porta guarda dallo spioncino. Ha un lungo
momento d’esitazione, poi chiede di nuovo: “Chi è?”
“Bonjour. Le lieutenant Rimbeau.”
Infatti, l’ha ben riconosciuto dallo spioncino. Apre la porta a metà.
“Buon giorno tenente, ha sbagliato: il nostro appuntamento era
presso lo studio.”
“Sono arrivato con molto anticipo, lo so. Allora mi sono detto, vado
incontro alla dottoressa Gandolfi.”
E’ irresistibile con il suo accento straniero e il viso che abbozza un
sorriso. “Così, senza pensarci due volte?”
“Mi scusi, dopotutto il nostro appuntamento non è fra 15 minuti?”
Giovanna sa di essere in maledetto ritardo, ma non demorde “Mi
scusi lei,” anche se il tono si fa via via più scherzoso, “non la faccio
entrare se non è provvisto di un regolare mandato internazionale.”
Il tenente Rimbeau, dagli occhi impertinenti che non hanno mai
smesso di scrutarla fin dentro l’accappatoio, le presenta un mazzo di
fiori. Il suo sguardo penetrante fino a quel momento ha impedito a
Giovanna di notare la mano nascosta dietro alle spalle.
Touché, facendo un passo indietro lo invita a entrare. “Prego
s’accomodi, grazie.” Prende il mazzo di fiori togliendo la mano
serrata al petto, l’altra all’altezza del ventre impedisce
all’accappatoio di aprirsi. Sistemati i fiori in una vaso, li mette a
centro tavola in sala. “Vado a vestirmi.”
Il tenente attende seduto sulla poltrona. “Non volevo disturbare
venendo qui, a casa sua.”
“Non è mia la casa,” risponde Giovanna dalla camera, “è dei miei
genitori, sono in vacanza.” Poi dopo qualche minuto entrando, vestita
con una gonna beige e una camicetta bianca, aggiunge: “Lei pensava
di trovare la signora Nobili, non è vero?”
“Beh, speravo di semplificare il nostro incontro, sistemando subito
l’aspetto lavoro, per poi avere più tempo per visitare Torino.”
Non c’è necessità di passare per lo studio, tuttavia Giovanna non
vuole perdere il vantaggio competitivo che le offre l’ambiente
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conosciuto. “Avevo programmato di passare dallo studio e di offrirle
lì un caffè.”
“Sono nelle sue mani.” E nel dire ciò pensa alle mani di Giovanna
che restano libere, nonostante i bottoni della camicetta stentino a
contenere il seno che un accappatoio prima ha tenuto così
gelosamente nascosto. Lo spazio di pochi minuti tracciano la
demarcazione fra goffaggine e disinvoltura. Alcuni uomini si sentono
ringalluzziti dalla donna quando è in stato di soggezione, lui è uomo
da sentirsi attratto dalla donna quand’è disinvolta.
Sabato pomeriggio.
Una donna e un uomo siedono, all’interno del parco del Valentino,
protetti dai raggi dardeggianti di metà luglio all’ombra di un platano.
“Giovanna, nel descrivermi la tua casa in collina che domina Torino
dall’alto, mi hai incuriosito.”
“Emile, prima di proporti di andarci, vorrei sgomberare il terreno da
alcuni punti rimasti in sospeso.”
“La trovo una buona idea,” dice il tenente Emile Rimbeau, mentre
osserva l’avvocato Giovanna Gandolfi aprire la sua cartella. “Trovo
anche che è gradevole starsene qui fuori all’aperto con te,” mente: è
chiaro che vorrebbe essere altrove. “Non sembra di trovarsi in città e
il panorama è stupendo.”
La dottoressa Gandolfi gli dà una busta che ha tirato fuori dalla
cartella. “E’ la testimonianza della signora Nobili.”
Il tenente Rimbeau apre la busta e legge il contenuto. “Bene, questo
chiarisce e completa il quadro delle mie indagini, sull’operato della
banda dei vagoni letto. Altre cose in sospeso tra di noi?”
“Sì, vorrei sapere come hai fatto a scoprire che la signora Nobili è
stata mia ospite.”
“Dimentichi che noi della polizia ferroviaria viaggiamo spesso. Ho
degli amici a Torino. Prima ho avuto una intuizione, poi ho chiesto a
un collega di verificare!”
“Non mi sembrano altrettanto bravi, nell’indagine che sta a cuore a
me, i ‘nostri’ amici di Parigi!” E’ un modo per rammentargli la
promessa di collaborazione che ha fatto, per ironizzare sui suoi amici
che ora, per lei, automaticamente diventano ‘nostri’. Allude infine
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all’amica Annalisa e al marito Paolo. E’ una malizia, tutta personale,
che non può condividere con nessun altro. Solo Marcello potrebbe
sentirsi, in questo momento, roso dentro di sé, pervaso dalla
medesima rabbia. Annalisa si è frapposta come un cuneo nel suo
matrimonio. Marcello, sul suo percorso, ha trovato Paolo. E prima di
Paolo, uno di nome Pietro.
“I nostri amici di Parigi sono nel pieno dei festeggiamenti della festa
nazionale, oggi è la vigilia, domani ci sarà la grande parata sugli
Champs Elysées. Ma già in serata si balla per le strade e i balli
continueranno fino a domani sera. Poi, per finire, ci saranno i fuochi
d’artificio.”
“Rimpiangi di essere qui, lontano dai festeggiamenti?” Pietro e
Paolo, se c’è un Paolo in carne ed ossa, può esserci stato uno di nome
Pietro: oppure uno può esserselo inventato di sana pianta.
“Sono ben felice di stare qui, con te.” E’ quasi una dichiarazione
d’amore, che però cade nel vuoto. “Giovanna, sei tu invece che stai
da tutt’altra parte. Vero?”
“Sì, scusami, stavo pensando a mio marito che si ferma a Parigi,
guarda caso, fino a lunedì.”
Quindi il campo resta libero per l’intero fine settimana. Lo stesso
pensiero inespresso percorre la mente dell’uomo e della donna, che
con uno sguardo d’intesa si alzano e si dirigono verso l’auto in sosta
nei pressi del parco.
Sabato sera.
La città delle luci è addobbata a festa. Negli spiriti giovanili la
baldoria affiora visibile sin dal primo mattino. Da stasera cominciano
i balli nelle piazze che coinvolgeranno abitanti e turisti. Per le strade
verrà offerto vino in quantità e anche birra, che contageranno un po’
tutti portando l’euforia in ogni angolo della città, fino a domenica
notte. Chiuderanno i festeggiamenti i fuochi d’artificio che
solcheranno il cielo specchiandosi, fino a spegnersi, nella Senna.
Intanto sugli Champs Elysées Parigi prosegue frenetica la
sistemazione delle transenne per contenere la folla che assisterà
all’imponente parata militare per il giorno dopo, 14 luglio, ricorrenza
annuale della presa della Bastiglia e festa nazionale.
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Una lunga fila di gente aspetta il suo turno per vedere il tramonto
della vigilia dalla Tour Eiffel. Paolo e Annalisa sono fra questi. Nelle
diverse lingue i turisti raccontano di se stessi, i quartieri che hanno
percorso, i monumenti che hanno fotografato e i musei che intendono
visitare nei giorni che seguono. Il sole è scomparso dietro i palazzi, il
colore vermiglio del tramonto si sta disperdendo nel livore di poche
nubi sospese ad arte da un regista occulto ai margini della volta
celeste. Infatti come un immenso palcoscenico il cielo ha cambiato
repentinamente colore.
Ed eccolo ormai rischiarato soltanto dalle luci che tutte accese, nella
notte, contendono il chiarore alle stelle. Ma la vita che calca la città
vibra di troppa esuberanza per attardarsi a osservare il cielo più a
lungo di una manciata di secondi.
“Ormai il sole è tramontato del tutto,” dice Annalisa.
“Sì, ma vedrai che di lassù è ancora possibile vedere uno scorcio del
tramonto,” le risponde Paolo fiducioso. “Sarà come essere in vetta a
una montagna.”
“Non so se vale davvero la pena. Abbiamo fatto mezz’ora di coda
senza raggiungere lo scopo.” Lo sfogo coinvolge anche i due
obiettivi mancati. Il ricongiungimento di Paolo a Parigi doveva
condurre alla verifica del racconto di Marcello da un lato e dall’altro
al test di una breve convivenza assieme all’uomo che ha conosciuto
quasi sempre nel ruolo di amico (a parte la parentesi delle ultime
settimane, poco significative, poiché vissute sotto il paravento dei
continui sotterfugi).
“Vorrà dire che se non vediamo Parigi al tramonto, vedremo Paris en
lumière...”
“Paris by night,” osserva senza vero entusiasmo Annalisa. E’ la
proposta ‘tutto compreso’ per i turisti americani che attraversano
l’Europa in autobus in due settimane.
Il cocktail linguistico attira l’attenzione di una coppia di studenti di
diversa nazionalità, che in un inglese stentato riprendono una
conversazione probabilmente interrotta in precedenza. “Vedi,
l’esperanto va oltre il linguaggio; è una tendenza naturale verso la
comunicazione...” “Che ha bisogno del dosaggio di un insieme di
lingue.” “La ricetta si combina da sola senza maestri.” “L’esperanto,
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senza regole diventa una poltiglia difficile da digerire.”
La conversazione non è passata inascoltata a Paolo che sussurra
all’orecchio di Annalisa: “Abbiamo acceso noi la miccia...
sull’esperanto.” Annalisa sorride appena come chi presta attenzione
solo a metà.
Quando giungono in prossimità dell’ascensore, Paolo le chiede se è
stanca. Le promette che non staranno su molto a lungo. Ormai sono
intruppati nella fiumana che sale. Ed è giocoforza andare avanti.
Finalmente sono dentro l’ascensore. Pochi secondi di caldo
soffocante e sono al primo livello della torre, in una ressa
interminabile di gente, che già è in fila per salire di un altro piano o
si accalca per scendere, che si sposta di qua e di là per ammirare il
panorama della città filtrato dalle grate messe a protezione. Annalisa
si mostra spossata, tiene la mano appoggiata al ventre.
“Vuoi sederti un momento da qualche parte?”
“Preferisco ritornare in albergo.”
“Non ce la fai a resistere ancora qualche minuto?”
Non ottiene risposta se non uno sguardo smarrito che sembra
irritarlo.
Allora Paolo prende per un braccio Annalisa, scusandosi si fa largo
tra le persone che aspettano in fila e la spinge verso l’ascensore in
arrivo per la discesa, tra le proteste di alcuni, mugugni
d’incomprensione e il disappunto della compagna.
Quindi silenziosi vanno verso una stazione di sosta dei taxi dove c’è
una fila disordinata di persone che prendono d’assalto i pochi taxi in
arrivo ad intervalli irregolari che subito ripartono. Capito l’andazzo,
prendono il metro.
Appena arrivata in hotel Annalisa ha una crisi di pianto. Tutta la
giornata in giro per le strade, si sente distrutta. Avrebbe desiderato
rientrare in albergo molto prima. Alla fine non ha gradito sentirsi
strattonata dentro e fuori l’ascensore. Non ama vedere esibito, come
un lasciapassare, il suo stato di maternità, che ancora non si vede e
quindi lascia perplessi chi non sa.
Da parte di chi sa invece, vorrebbe più comprensione. E se non
protezione in senso classico, almeno qualche riguardo in più. Ora il
suo stato di collera accomuna chi gli sta vicino, a chi è lontano.
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Come giostrarsi tra due contendenti per un figlio in arrivo? Che
vadano a quel paese!
Quando ha incontrato Marcello la prima volta a Londra - lei vi era
andata per uno stage di due settimane - nel raccontare in classe a
turno le proprie scelte, lei aveva detto: “Ho cominciato a studiare
lingue straniere perché avrei desiderato viaggiare. Però incontro
gente che è stata in giro per il mondo cento volte più di me.”
Marcello laconico aveva detto di sé soltanto: “A un certo punto mi
sono interrogato sul mio futuro ed ho scoperto che tutto mi spingeva
ad andare a quel paese!” L’aveva rincontrato a Milano un annetto più
tardi mentre lei era allo stand dell’associazione ‘diritti senza
frontiere’ a manifestare contro gli arresti indiscriminati in Cile a
seguito del colpo di stato. Era stata lei a rivolgergli la parola, a
chiedergli di firmare la petizione contro la dittatura e quindi di fare
fronte comune durante le manifestazioni politiche che avrebbero
organizzate in futuro. Lui si ricordava a stento del loro breve
incontro a Londra. Non era affatto cambiato, il tipo che non ama
legarsi: ognuno a casa propria, ma che si volta indietro a cercarti con
lo sguardo. E aveva continuato nel genere disincantato: davvero
bisogna scambiarsi il numero di telefono? Se ci siamo incontrati per
caso una seconda volta, capiterà d’incontrarci di nuovo, no?
Al diavolo, Marcello con la sua flemma e Paolo con le sue premure
una volta troppo pressanti e ora tardive!
Paolo insiste. Ora Annalisa ha lo stomaco sottosopra, non vuole
mangiare niente. Anzi, preferisce rimanere da sola. Che lui vada a
mangiare qualcosa in camera sua. Potendo, ripartirebbe stasera stessa
per Torino. Al più tardi, domani.
67
Parte terza
17
Ottobre.
Asti, fiera del tartufo. Il buongustaio ama recarsi a caccia di sapori
per feste paesane. E’ nelle piccole località che si trova la genuinità
dei cibi di una volta, anche se quella di Asti di paesano ha molto
poco. E’ piuttosto un comprensorio imprenditoriale che sa combinare
le tradizioni, i buoni frutti della terra, alle dinamiche di mercato.
Siccome il maresciallo Nicola Biancacci si sente un po’ cane da
tartufo, che annusa, cerca, scava e annusando talvolta trova, un po’
cuoco e buongustaio, che s’ingegna a ricercare la materia prima di
qualità sul posto di provenienza, non ha voluto mancare a questa
ricorrenza.
Inoltre sa che le feste attirano commercianti, attività collaterali e
curiosi. E ogni chiesa, partito o associazione che vuole guadagnare
consensi, nonché adepti alla sua causa, non solo non può ignorare
queste opportunità, ma trova sempre il modo di prendervi parte.
Come si dice: quando è festa, è festa per tutti; l’occasione è ghiotta
per chiunque; chi coltiva il gusto, diventa beniamino della ricerca dei
buoni sapori... Gliela avrebbero fatta passare questa? Quante volte ha
fatto a gara con i colleghi nel ripescare in fondo alla memoria i detti
popolari in merito a un dato soggetto. Per restare svegli, quando gli
toccava un appostamento notturno.
Adesso contempla la ricerca delle ricette regionali come un
possibile passatempo per la vecchiaia.
Il maresciallo ha cumulato circa trent’anni di servizio. A conti fatti
è in età pensionabile da un pezzo, benché si senta ancora efficiente.
“Lucido e florido come una zucchina di serra,” lo ha trovato il
medico all’ultima visita. A Nicola non è sfuggita l’ironia. E infatti il
medico gli ha intimato di darsi una regolata a tavola, mettendosi a
dieta, zero superalcolici e non più di un bicchiere di vino al giorno. A
causa di certi valori del fegato.
“Mi ha preso per un prete? Non devo dir messa io!” In pratica solo
mezzo bicchiere a pasto, ha protestato. Poi ha finto di mettersi
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sull’attenti.
Signorsì: fedele all’arma ma attento a non fare la figura del cane da
tartufo - apprezzato finché è utile servitore.
Ormai è sempre più recalcitrante a seguire gli ordini dell’arma, da
qualsiasi reparto provengano. Alla salute ci pensa da sé. Certo lo
ammette: abbonda in circonferenza, sette - otto buchi della cintura in
meno farebbero di lui un uomo più giovanile nell’aspetto e agile nei
movimenti. Ma alla sua età, l’arma non può pretendere che si metta a
correre dietro ai piccoli delinquenti. A questo, se occorre, ci pensano
i giovani.
Va bene, gli hanno richiesto di starsene buono nella caserma dove
lo hanno confinato: nientemeno a riordinare le carte. Ed è per questo
motivo che in attesa del momento propizio passa il tempo a
reimpostare la sua vita. Se dovrà essere a stecchetto in fatto di
cucina, potrà almeno dedicarsi a collezionare le ricette delle
specialità preferite?
Quando sarà riuscito a dare alla giornata, la cadenza giusta nella
nuova attività, darà le dimissioni. Punto. E chi s’è visto s’è visto.
Che errore grossolano, da un lato gli hanno praticamente imposto
di non guardare troppo in alto, alle gerarchi del potere, nel corso
delle recenti indagini per stragi, dall’altro lo mettono a una scrivania
a sistemare pile di carta, ritagli di giornali, missive, corrispondenza
varia.
Un modo come un altro per spingerlo a dare le dimissioni.
Praticamente è lì a osservare dal buco della serratura, quasi una
provocazione.
A chi gli domanda cosa fa ultimamente, puntualmente risponde di
trascorrere il tempo a collezionare ritagli di giornali, per comporre le
sue ricette e per la preparazione di quei piatti che non potrà più
gustare.
Sono questi nuovi rompicapo che lo terranno occupato da vecchio
pensionato.
Così raccoglie di tutto, senza un ordine preciso nel classificarlo.
L’importante sarà, all’occorrenza, di avere tra le mani abbondanza di
materiale da spulciare, esaminare, mettere insieme, amalgamare. Per
esempio, tra le notizie stantie, da lui raccolte di recente, ha trovato un
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trafiletto che accenna a una cosiddetta associazione ‘diritti senza
frontiere’.
‘Alcuni attivisti contrari al regime di Pinochet, arrestati in Cile,
sono identificati come appartenenti all’associazione diritti senza
frontiere’. Settembre 1973, un anno fa.
Alcuni fatti hanno concorso in un primo tempo ad aggravare la
situazione di Marcello Dotti e poi ad offuscare ulteriormente la sua
posizione.
Maria Grazia Baccini è rimasta assente dal lavoro, a partire dal
giorno 19 settembre 1973. In pratica, una settimana dopo il colpo di
stato in Cile (11 settembre 1973).
Un funzionario argentino presso il consolato del proprio paese, con
sede a Santiago del Cile, è trovato morto per strada nei giorni
successivi al colpo di stato.
Il figlio Pietro, residente in Francia per motivi di studio, viene visto
a Parigi per l’ultima volta tra il 19 e il 25 settembre. Di lui dopo si
perde ogni traccia.
Vengono sventati degli attentati in Cile, definiti dalla stampa non
più libera come altrettanti colpi di coda da parte dei seguaci del
deposto governo. Alcuni attivisti contrari al dittatore Pinochet, sono
arrestati e identificati come appartenenti a frange di associazioni
umanitarie. Il nuovo regime mette in guardia contro ingerenze
esterne da parte di una galassia di movimenti dissenzienti più o meno
armati.
Durante gli interrogatori, dopo un fuoco di domande su vicende
internazionali e fatti di cronaca (dei due paesi Francia e Italia) che
non potevano passare inosservati, Marcello Dotti ha circoscritto la
data di partenza da Parigi, lasciando intendere di essere arrivato a
Milano tra il 18 e il 19 settembre, in concomitanza con l’entrata delle
due Germanie nell’ONU.
Al suo rientro in Italia, ha avuto contatti con l’associazione ‘diritti
senza frontiere’ attraverso la frequentazione aperta e assidua di
alcuni esponenti. Non ne ha fatto mistero, gli incontri si sono svolti
in una cornice di fitte relazioni.
Tuttavia le circostanze smentiscono le apparenze. Anzi, la
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‘presunta relazione’ con Annalisa Mancini accresce i dubbi degli
inquirenti. Se la relazione è vera e non è una copertura, perché la
signorina afferma di essere una ragazza madre? Perché due avvocati
dello stesso studio legale, che fino a un certo punto si è occupato di
cause civili di natura commerciale, hanno cominciato a occuparsi a
tempo pieno di un fatto di rilevanza penale? Senza un corrispettivo
economico?
Sì certo, l’attività dell’associazione li ha visti in passato, di tanto in
tanto, dare un contributo, sottoscrivere qualche petizione. Ma è stato
del folclore. Chi è nel campo investigativo sa bene discernere tra
contributo occasionale di facciata e totale coinvolgimento nello
svolgimento delle indagini, fronteggiando spese e dedizione di
risorse. Il quadro che viene evidenziato porta in tutt’altra direzione.
Tanti dubbi, non ancora confidati a nessuno. Il maresciallo questa
volta sa che, prima di fare anche un solo passo in campo aperto, sarà
giudizioso porsi le domande giuste e rispondere a quelle che di solito
danno fastidio, in fondo alla lista. Il quesito fondamentale è scoprire
se le attività del gruppo hanno goduto o godono di appoggi.
Quali appoggi hanno permesso all’organizzazione un così rapido
sviluppo in due continenti?
A questo punto, a fine carriera, il suo nuovo motto è diventato:
fedele all’arma, ma attento a non fare la fine del tartufo - servito a
dovere, a piccolissime scaglie.
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