PaRoLe A PeSo
(NoN UnA BuoNA IdeA)
2007 Autoproduzioni Appese
PAROLE A PESO
PAUROSI APPESI
COME SE LA MERCIFICAZIONE DEL CORPO
E DELLA MENTE POTESSE
ESSERE ACCETTATA PERCHE’,
ESSENDO IN OFFERTA,
PER QUESTA SETTIMANA
POSSO
PERMETTERMI
ANCH’IO
IL MIO CHILO
E MEZZO
DI MINCHIATE A FETTINE.
PAROLE APPRESE.
PAROLE A PESO.
CONVIENE METTERSI A DIETA!
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BASILIO CAMPANELLA
III° atto
La rivolta dell’attualità è che al momento
un uomo
è morto proprio al momento in cui uno si accorge
di vivere;
la rivolta della sconfitta è quando quest’ultimo
s’accorge di non poter gridare
e nel silenzio prende coscienza della sua morte
già trascorsa
come un essere scopre che la luce di una
stella
dell’attualità
è molto più vecchia.
La rivolta del passato è tornare alla miccia
proprio un po’ prima dell’esplosione
e fermarla lì
a bruciare in eterno.
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Così l’attualità propose e la sconfitta asservì.
Il passato no,
propose invece,
l’attualità si confuse in un composto statico
rimanendo confusa, la sconfitta s’asservì.
Nel silenzio di domani vedo in una agenda l’attualità
appunta:
rivolta e lotta.
Rimanendo confusa, la sconfitta s’asservì.
Nel silenzio di domani vedo in una agenda l’attualità
appunta:
rivolta e lotta.
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PINO AMADDEO
A bassa voce
Abitiamo dentro le nostre convinzioni
avvolti dal vuoto quotidiano
e annoiati fino alla nausea
respiriamo abitudini dentro gli schemi.
Routine di una giornata qualunque
nelle parole ruvide e quasi amare
il marcio di sempre, l’egoismo di sempre.
Aspettami a Marzo
nel fuoco della prossima idea fallimentare
verrò disarmato e con il sole sulla camicia.
Ti parlerò di sconfitte passate
trionfi futuri, un presente da sfidare.
Foglie nelle tasche e odore di caffé, ricorderai sempre le
mie illusioni
e ne parlerai a bassa voce, ti ascolterò.
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Formule Appassite
Fatiche di giornata, fiori sull'asfalto di una strada provinciale
corridoi dentro locali appena imbiancati e già sporchi
macchiati dal tuo coraggio, col palmo della mano
con l'inchiostro quasi nero, sulle tue guance
l’azzurro del mare e la sua musica tangente delle tue
sillabe
ed io come un idiota inizio a calcolare il diametro
formule da rispolverare nei meandri della memoria
semplifico sulla nostalgia, arrotondo per eccesso
applico formule appassite
e raccolgo fiori dai petali trasparenti.
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E’ già oggi
Lenta è la sera
la pazienza negli sguardi.
Il calice, parole dense
sembra già domani.
Notte rifugiata nei sogni
aromi del passato
il pane, pensieri respinti
sembra già ieri.
Si scioglie nel mattino
l'odore della gioia.
Le mie suole sottili
sentono che è già oggi.
Notte di Nessuno
Nel vaso di terracotta si sciolgono peccati
dolce il sapore sulle tue labbra,
ornamenti del silenzio
sorrisi mescolati senza avarizia, ciglia unte d'allegria.
Candelabri nel buio delle mie macabre bestemmie
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si spengono desideri tinti di agitazione
scalze sono le intenzioni di queste stelle trasparenti
scalzo è il mio agire con le candele accese.
Riflette nella stanza la notte di nessuno,
nel vaso di terracotta galleggiano preghiere.
STAGIONE
La meta, il traguardo di una vita, il sacrificio contro la
pigrizia
allargando nuove intenzioni sotto nuvole senza pudore.
Davanti al tuo prossimo colore ci sarà spazio per i deboli
calcando altri sentieri verrà a cercarti un giardiniere
e dipingerai foglie ancora autunnali.
Cadranno dalla tela e le raccoglierai senza malinconia,
sarà terra senza orme la tua strada, sarà rosso il cielo.
Codardi in ginocchio pregheranno sulle loro stesse bugie,
gatti in calore godranno nella sera, voleranno rapaci
fuori dalla cornice, bambini salteranno dentro prati veri
e non ci saranno giochi d'artificio
ma sorrisi privi di cattiverie, cammineranno
tra carezze intense e vento profumato di stagione.
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KAAR
Come un lottatore di Sumo
Sposto Continuamente
chi mi impedisce di raggiungere
la vetta innevata
della mia esistenza.
Continuo a navigare a vista
nell’immenso mare della vita
alla ricerca dell’isola
che non c’è.
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Infante affascinato
del pino della
Concessa
Porco dio perché
il vino
Per non vedere
Come un ragno
Stendo la mia tela sul mio corpo
Continuando a chiedermi
Perché?
Perché sono nato?
Perché qui?
Perché?
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ALDO LA SERPE
Tempo Primo (estrapolato da SOLO TUA)
Sono mie queste parole, queste collette d’interni, o abbracci per contratto, o regole sotterranee, o ancora cantine di
frustrazioni? … Chi sono gli uomini che troveranno fragore in
me? I reclusi? Gli internati? Sono delle parole queste? Dove sono
chiuso? Dentro l’esplosione di una cella?
Diciamo che stavo seduto sul water, sai cosa si fa sul water? Io lo so … io mi svuoto e poi mi riempio e m’ingrasso e se
crepo ingrasso i vermi e se non crepo sfondo …
Muovetevi miei cari sinistri, miei cari ministri, miei cari
ospiti al banchetto dell’emisfero cerebrale affinché io sia posseduto. Stronza, vuoi che io sia posseduto? Già fatto! Da me stesso
…
Quindi spegnete la luce, cavatemi gli occhi, strappatemeli che
voglio più visioni. Bando al suono, e ai colori, e che abbia
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pazienza il mare se lo rivelo ancora una volta. Sono stato
castigato dall’enormità una volta …
Che sia pure quel che merito, io ora proprio sul punto di
esplodere farò l’infame, e gli dei mi puniscano anche loro se mi
pentirò sul fatto di non scorgere dentro il cuore pieno godimento
nel rivelare il male fattomi ingiustamente… occhi pazzi dentro
una gabbia di pazzie e passioni.
A che punto sei mio fraterno lettore?
Eccolo arriva. Si, è arrivato con le streghe, non sarei mai
riuscito ad immaginarlo altrimenti. Che tempestoso inizio che è
con tutti i suoi prodotti tipici, è un vero maestro. Sono posseduto
a metà come piace a lui.
Lentamente o dolcemente sale da sotto al cuore e stimola
quello che più può farmi paura. Ma si ... amerò fino in fondo il
male o il bene, tanto poi mi sveglierò con le descrizioni più belle.
Coraggio bambini un due e tre fuori dal giardino dell’infanzia,
ecco gli odori, ecco la città oscurata, ecco la missiva di espiazione.
Il vero massacro è la verità se scovarla non la vogliate: il tuo
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mondo è salvo per una bugia. Al sottosoccorso il corpo ha poesie
non organi …
La beffa, la reclusione del coraggio per non dire tutto, se
solo avessi la certezza che il segnale al giusto orecchio giungesse
senza tramite dire, anche se di preciso al collettivo non saprei
che vomitare, la mia la dico bene adesso. La strada è calda come
la piena estate vorrei la coda di un felino e correre, ma ho i piedi
quindi ecco la miccia. Ma dove sono le mie braccia, il tuo riso e le
nostre mani per mano Signore? Non so a chi mi sono rivolto ma
so di non essere confuso, sarò preciso: sto sciogliendo il cuore
goccia a goccia e poi un’altra e un’altra ancora lentamente nel
ventre della corsa che porta fino al mare, quello dove sempre si
tocca, lì non ho paura di affogare. Apri la bocca, i tuoi denti bianchi e perfetti masticano aria fino all’essenza. Io ti guardo e non lo
sai? Non senti che vorrei sfiorarti? Non toccarti! Sfiorarti come
piaceva a te … Lo scrivo quanto ti adoro ma tu non guardi dove
non so e dove immagino, e per questa fantasia tremo, mi perdo e
mi trafiggo prima di vestirmi a festa ed uscire. Se io parlo o chiac15
chiero o aspetto e m’intrattengo cantando, cantando potrei sentirmi lo stesso vivo. No no, no vivo! Di certo lo sono! Allora, diciamo,
potrei sentirmi utile a me stesso. Ricordo e arrossisco nel pensarci su, che ero davvero triste davanti agli occhi suoi e non capivo
come mai, e non lo comprendo neanche al momento, boh sarà che
adesso non mi importa un bel niente credo … forse non sto rimuovendo un granché … Bah… poco conta quel che dico, in
questa circostanza confusionaria il mio massimo è l’innato non il
peso.Il vero sovversivo oggi è chi non si lamenta, io penso di
lamentarmi su qualche cosa di preciso, no forse sono un po’ arrabbiato con Dio perché non trovo troppo piacere ad avere troppa
coscienza e decidere d’avere troppa testa sulle cose che in qualche maniera contano. Contatemi i capelli che mi esplodono e perché! – Porco Dio.Parole a vuoto anche per me, si le mie, le mie, le
mie parole … le mie parole d’amore. Denunciatemi a me stesso
che voglio confessarmi ad un possibile rappresentante di Dio e
assolvermi se tutto torna … se … Non darmi l’amore se tieni
alla mia salvezza, capisci cosa esigo, non ricoveratemi dalle me16
gere. Non darmi la ragione ancora per un Po…poco! Vorrei che il
grande acquazzone che si tuffa nel piccolo fiume divenisse donna
da mordere e che fosse un buon canale all’inferno che cerca lo
sfogo immenso. Ci pensi, le alghe muoiono di fame, perbacco, di
fame, non è stupidamente ironico che le alghe abbiano fame? Io
pensavo fossero in acqua per la sete primitiva come una sorte di
grazia.
Io pensavo tante cose anche che tu fossi mia, ma tu sei
solo tua. E porco del tuo dio anche io sono solo mio.
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GIACOMO GIACOMAZZI
Senza Titolo
La parola è sempre
e comunque, crudele.
E’ una violenza
imposta al reale
dinamicità incontrollabile.
Argina il flusso,
lo rapprende,
lo formalizza all’istante
della pronunzia.
La parole è stupro.
Così, chi dice la verità,
è sempre cattivo.
O stupido.
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Il Morbo
A volte
sento il bisogno
di prendere un foglio bianco e di strapparlo.
E spargere nel vento
quei coriandoli senza nome,
né segno.
Per far sì che corrompano il mondo
e diffondano il morbo:
insoddisfazione,
insufficienza,
desiderio.
Quello stesso morbo che,
perennemente,
mi spinge a violentare il lindore
della placida, remissiva carta.
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Senza Titolo
Non mi importa di luccicare,
non mi importa di rifulgere falsi riflessi di luce:
veicolo l’oscurità intima,
la luce discreta che immanenta le cose.
Di quel mondo percorso nell’oscuro silenzio
di questa voce profonda che,
a malapena sussurra la propria evidenza
solo per chi davvero presta attenzione,
mi impegno a esser parte.
Un’altra storia è finita
Le dita fendono l’aria
veloci:
figure fugaci
si rincorrono.
Tutto è effimero
e splendido
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ANTONIO CARDIA
Lisa delle mie metastasi
Lisa mi lasciò e la cosa per me non fu troppo strana. Niente era
strano in quello che era successo tranne il fatto che le mie gambe si
allontanarono da lei con una velocità di cui non erano abituate. Lei
prese un autobus, la vidi sedersi sul sedile e tenersi la pancia, come
in preda a coliche, portando la testa all'indietro. Lisa fu una di quelle storie che diventano molto più importanti quando finiscono che
quando sono ancora in corso. Durante il mese che ci frequentammo
il mio coinvolgimento nei suoi confronti si era sempre mantenuto al
di qua della pericolosa linea emotiva oltre la quale si intravede il
profilo dell'innamoramento. Lisa, non ho mai capito fino a che punto
fosse arrivata, in quel mese. I problemi vennero dopo. Già la prima
notte non riuscivo a dormire e dovetti prendere un sonnifero. Non
mi era mai successo prima. Sono sempre stato abbastanza regolare.
La mattina dopo non riuscì a svolgere le mie consuete funzioni fisiologiche e stetti male tutto il giorno come se qualcosa di dovuto non
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fosse stato svolto. Le giornate mi passavano veloci. Il lavoro era
noioso ed umiliante come sempre, ma sembrava che terminasse
ogni giorno prima per fare in modo che mi trovassi in casa, da solo,
a pensare. E pensavo a Lisa. Le domeniche erano anche peggio. Non
lavoravo e avevo tutto il tempo per pensare a lei. Mi era entrata
all'interno dopo. Quando era mia era sempre stata una cosa esterna, altro da me e lontana dalla mia biologia. Iniziai ad uscire da
solo, sempre sotto la pioggia dato che i fatti si svolsero a febbraio,
e ogni sera tornavo a casa sempre più ubriaco. Fumavo duemila
sigarette e sembravo uno di quegli stupidi disperati da film. Stavo
diventando uno stereotipo, ma bere non mi aiutava affatto a dimenticare. Ad ogni sorso vedevo Lisa davanti a me e il whisky me la
spingeva più in fondo, dentro le mie viscere ed ogni boccata di tabacco me ne faceva riempire i polmoni della sua immagine. Esattamente dopo trenta giorni da quando vidi Lisa per l'ultima volta cominciarono i primi sintomi. Giravo sempre tutta la notte prendendomi tutta la pioggia di questo mondo ed il vento che i vicoli della città
mi gettavano contro, ma non mi era mai piaciuto vestirmi troppo
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pesante così, sulle prime, il dolore al petto che mi avevo lo scambiai
per un dolore intercostale provocato dal freddo che inevitabilmente
prendevo. Per scacciarlo accendevo una sigaretta e espandevo al
massimo i polmoni per aspirare il fumo. Dopo un paio di boccate il
dolore scompariva. Mentre aspiravo pensavo sempre a Lisa e ficcarmela dentro i polmoni aiutava a dilatare la mia cassa toracica maggiormente. Mi accorsi anche che cominciavo a rantolare di tanto in
tanto, come se mi si fosse fermato a qualcosa nella laringe, ma anche quello lo attribuii al freddo. Mi convinsi di questo fino al giorno
in cui, seduto alla mia scrivania, sul posto di lavoro, il dolore fu
talmente forte che non riuscii più a respirare. I miei colleghi dovettero chiamare un'ambulanza. Mi dissero in seguito che ero diventato
cianotico. Il medico mi sottopose ad una radiografia toracica e mi
disse quello che, dopo l'incidente sul posto di lavoro, avevo cominciato a pensare anch'io. Avevo un cancro ai polmoni al quarto stadio, con delle metastasi nella parte inferiore che avevano attaccato
anche le pareti dello stomaco. Mi mostrò le radiografie e mi fece
vedere le macchie scure nella parte basse dei miei polmoni. Macchie
informi che potevano rappresentare qualsiasi cosa, ma io le seppi
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leggere come un test di Rorschach. Il medico mi fece portare a casa
le lastre, non mi volle ricoverare, non so bene per quale motivo.
Quella notte misi le lastre davanti a me con una lampada dietro. Le
macchie scure si stagliavano ed io lo vidi in ognuna di quelle, camuffato come un messaggio subliminale: il volto di Lisa. Lisa era dentro
di me, mi stava scavando. Dalla mattina dopo presi ad osservare
qualsiasi mia eiezione in cerca del suo volto ed ogni volta mi appariva lucido, nelle mie feci, nel muco di ogni mio starnuto, negli sputi
sanguinolenti ai quali la malattia ogni mattina mi obbligava. Cominciai a sentirla dentro di me. Cellule maligne di Lisa che lasciavano la
base dei miei polmoni, dove io le avevo spinte, e navigavano nei
miei vasi linfatici cercando nuovi approdi, cercando di conquistare
più territori possibili. Dopo un'altro esame approfondito il medico
decise di ricoverarmi. Le metastasi erano estese. Il medico mi disse
che avrebbe potuto operarmi, cercare prima di ridurre la loro portata con dei farmaci che avrebbero aiutato il mio metabolismo a combattere le cellule tumorali per poi asportarle, ma non aveva ancora
afferrato il punto. Lisa era ormai il mio metabolismo .Nel letto d'ospedale rimanevo sveglio, con gli occhi chiusi, a pensare al suo cor25
po che lentamente prendeva possesso del mio interno, dei miei
organi vitali e mi masturbavo a questo pensiero. La possessione
erotica totale, l'essere totalmente annientato dal suo volto scolpito
nelle masse tumorali. L'idea che il medico volesse asportare quello
che lei aveva creato dentro di me, l'idea di perderla ancora, proprio
adesso che piano piano stava riuscendo a radicarsi nel mio interno
era insopportabile. Dovevo oppormi … Adesso sono collegato a
macchinari di cui ignoro il nome e l'utilizzo. So soltanto che fanno
per me le funzioni fisiologiche di cui Lisa si è impossessata. Ancora
provo degli orgasmi all'interno dei miei organi ad ogni sua nuova
espansione al mio interno. Quando avrà preso possesso anche della
fisiologia dei macchinari sarà finito. E Lisa sarà capace anche di
questo. Già il macchinario alla mia sinistra trilla tre volte più spesso
che due giorni fa.
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EMILIO SORRIDENTE
Dentro soli di lucertola
Dentro soli di lucertola
immergo le rotaie di questo autunno
tutto è senza senso
cerco solo di raggiungerti,bambina
attraverso vetri lentissimi
bevo sogni pervertiti di spiagge
ancora senza senso
senza senso.
Luci lontane a gemiti mi richiamano
rispondo accennando un sorriso
senza rispetto ballano le galassie,
cerco di sotto la bocca che gocciola.
monaci tibetani
di posacenere bianchi tristi
benvenuti a leggere Prévert
tutto è senza senso
cerco solo di raggiungerti, bambina.
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L'alba che scoppia
mi ferisce le palpebre
l'uomo senza segreti
non esiste
Mi riflettevo in uno specchio
frantumato
chiedendomi chi ero io
tra tutti quei pezzi di uomo
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HASAEL
L'eterna città …
Questa città … ha molto da raccontare,anche se la sua
voce è sovrastata e quasi zittita dal rombo del
"progresso", inteso nel senso più becero del termine…
il suo racconto non è ovviamente rappresentato dalla
compressa nozione, che si trova brutalmente stampata
negli opuscoli turistici. E’ al contrario un racconto fatto di
intimità, di luoghi che si estrinsecano in immagini, ombre, caducità, vetustà... è quella Roma che parla attraverso angusti vicoli odorosi d'urina, attraverso la sobria
maestà del costruito antico … una voce, che una volta
distinta nella bolgia di rumore, chiasso e superficialità
della contemporaneità... esplode con tutto il suo repertorio secolare, di immagini sensazioni e chiaroscuri
Double pleasure of an unknown pleasure
Esiste … Credo …
nella quotidianità, un singolo istante …
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nel quale si condensi tutto il piacere,
che il susseguirsi dei momenti in una giornata
può donare …
un piacere particolare, o particolarmente insolito
sconosciuto …
Mio fratello è tornato
Travalicando l'onta del silenzio
ritrovo il sentimento assopito
senza rimorsi per quel che fu …
rinasce, più vigoroso e sincero
quel legame..
che supera il sangue e la carne
ritrovo tra le goliardie di una notte
l'animo inquieto che mi fu vicino..
ritrovo te..
fratello perduto..
ritrovo te..
ritrovo te
anima mia.
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Ineluttabile lascività sensoriale e sconnessione
sentimentale
Tutto torna … come su uno stupido ottovolante …
passi e ripassi davanti a quell'idiota che sta alla cassa
… Tutto riprende e ti riprende in quella torbida spira di
inquietudine, amarezza e sorda malinconia. Sembri sul
punto di spiccare il volo, ma ti riportano a terra … e
ogni volta vai sempre più giù … non è l'urto che ti spaventa … ma la consapevolezza del ripetersi, fastidiosamente uguale dei discorsi … scuse futili, motivi inutili.
…
Esistenze riaffioranti in un clima di buonismo
Esistenze che vegetano nell'ombra dei ricordi
che vivono ai margini della mia vita
ma che in cicliche occasioni riemergono dal grigio..
per riaccendersi dei colori del ricordo.
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Clokwork …
Non comprendo il perchè di certi atteggiamenti
umani … il fatto stesso di celare i propri istinti,
fingendo di non esserne sfiorati. Qualcuno mi disse un
giorno "se ripudi i tuoi istinti, rifiuti l'unica cosa che fa
di te un essere umano"
ora magari può apparire un po' estremo come concetto,
ma ha in se comunque, un fondamento di innegabile
attinenza, col tumulto di sensazioni
che portano l'essere umano, ad adottare una modalità
di comportamento
anziché un'altra.
Alla fine siamo macchine biologiche, non meccaniche,
agiamo spinti da scariche ormonali, adrenalina, testosterone, endorfina, (e un centinaio di altri)
tutte queste azioni biochimiche innescano in noi le sensazioni e quindi il nostro comportamento in determinate situazioni. Porre un freno, o sarebbe meglio dire
bloccare in toto tali istinti, credo sia deleterio. Qui mi
fermo non voglio scrivere un trattato di endocrinologia
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Romolo di Battista
Occhi nella Notte
Nella notte nera
due grandi occhi che ti osservano
indifferenti a tutto ciò che succede intorno a te.
Prendi il tuo diario
e cominci a scrivere qualcosa …
quando senti scorrere
la penna tra la mano
non ti fermi più
non sai perché
non sai quanto
non sai quando.
Entri nel cerchio magico
e diventi magico anche tu.
La vita di un tempo
i tuoi giovani giorni …
Quanti ricordi dentro quel vecchio armadio
dimenticati nel tempo.
E per questo che chiedi la risposta al vento
mentre accarezza il tuo volto stanco.
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Fogli Bianchi
Quante storie raccontate
In questi spazi mancati!
Alla mia anima dolce melodia
Della musica ho raccontato;
le campane che suonano
nella mia mente ho raccontato;
quando un bimbo mi ha sorriso ho raccontato.
Quando viaggiavo nel tempo
In compagnia del vento
Ho raccontato.
Quando ascoltavo il rock ho raccontato;
quando apro la finestra nella mia stanza
saluto il giorno che nasce,
anche questo ho raccontato!
Nella notte, in punta di piedi
Entro nella città grigia,
anche questo ho raccontato!
La notte con i suoi misteri ed i suoi inganni,
mi inganna ancora una volta;
anche questo ho raccontato!
Oh, notte, cosa ti ho fatto?
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MICHELE RIERI
Dirt Train (lo Sporco Treno della mia Epoca)
E cosa sono io
nell’acredine nebulosa di questi giorni contemporanei?
Spirito vacillante su una terra bruciata dal gelo
Abbiamo ucciso Cristo due volte, dimenticandolo
Adesso
non voglio più fingere di non essere
l’ultimo dei falsi messia
Le parole svuotate
come fluido lattiginoso disperso sotto l’immensità dell’Occhio a
Ponente
Lo sguardo ferito da realtà in necrosi
neo Babilonia trionfante
covata sino a risplendere
dal calore ossidrico dell’idiozia umana
Non una lacrima
non un fiore per questa mia epoca
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Sporco Treno fuori controllo
inarrestabile proiettato
verso mostruose metropoli di rovina
Epoca Sporco Treno fabbricato con l’arroganza
dietro le Bianche facciate rassicuranti
di Case sporgenti su Downing Street
Epoca Sporco Treno che si alimenta di N.A.F.T.A.
e nuove sacre coesioni imperoccidentali
Sporco Treno sorgente da LochNess nitracidi
Epoca Sporco Treno
struttura di catacombe per zombi in catatonia
al crescendo di eco veicolanti asessuate lingue globali
asessuate fedi globali
e asessuati folklori globali
in nome della suprema Weltanschauung strisciostellata
Soffocano le razze
inquinate dal vuoto luminescente coltivato in alienanti Motown
Città degli Angeli e Grandi Mele
Zio Sammy ciclope all’ingrasso
digerendo il cervello di Adamo Smith
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Zio Sammy in genuflessione
innanzi ad altari consacrati a Cortès
Beffardo zio Sammy
Portatore di Luce diabolico camuffato da Quetzalcoàtl
Reich restaurati all’ombra del Campidoglio
e nuove Salò zoppicanti
nei crepuscoli di ombelico-Bruxelles
Epoca Sporco Treno apoteosi del fallimento
Fallite le civiltà
regredendo allo scontro frontale
Nuovi muri in risposta alla faida
che sconvolge i figli di Caanan e Samaria
Falliti visionari verbi MarxEngelsiani
per tentacolo-egemonia di megalitica divinità Capitale
E non posso non piangere
l’innocenza sepolta dalle macerie dei simulacri dell’opulenza
abbattuti sotto il sole a settembre
Ma comprendo
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dobbiamo comprenderlo
l’odio suicida verso Occidente
nutrito dalla disperazione impregnante formicolanti Manila
formicolanti Baghdad
e Jenin
e Kabul
e formicolanti New Road a Bangkok
e pulquerias a Mexico City
La pace è possibile nella morte
e negli strati sferici della Conoscenza
Soltanto
La morte e la Conoscenza, soltanto,
cancellano le differenze
Sfioriscono invece, in Epoca Sporco Treno
Bellezza
e Idee
e Conoscenza
Implosioni mentali
innescate dagli ESCLUSIVO solfidrici di Vanity Fair e Novella 2000
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Distese che germogliano narcisi appassiti
il solo seguito desolante allo splendore passato
Non so se credere, e attenderlo
ancora un vortice di Resurrezione
che ci travolga
Confinati al silenzio i proclami di Marinetti
nelle svendite di stagione
le visioni cubiche di Picasso e Braque
Sepolcri d’assurdo conservano spoglie
di esistenza sartriana
Scherno e sozzume sugli orinatoi di Duchamp
Ci saranno, Epoca Sporco Treno,
ci saranno nuove surrealtà dagli abissi psichici
ad inghiottirci nelle incoscienze lirico-bretoniane
o nelle ombre metafisiche di De Chirico?
E quale altro dio celebreremo con folgorazioni di parola pura
come un tempo Ermes da Ungaretti e Montale?
Non c’è posto in Epoca Sporco Treno
per vastità di Concetti Spaziali
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Né tela né superfici per sgocciolanti vernici di Pollock
e riproduzioni d’icona dalla Warhol Factory
Epoca Sporco Treno sanguinante trauma storico
perdona tuo figlio
Perdona la rabbia
per l’impotenza
innanzi a una Madre
indifferente alla propria agonia
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FRANCESCO IOCOLANO
I Segreti Della Madonna di Munch CAP. 1
Con Dafne. Ad una certa ora della sera del1993. La vide bella che resisteva
al buio.
Il parco pieno di bravi ragazzi. E serviva tabacco per sante cremature d’hashish
d’omaggio a una fisarmonica slava vagabonda che scivolava esagerata tra
cartoni di bancarelle e ottoni bulgari. Partirono eroici e febbrili a chiedere
sigarette ai passanti.
D. : Scusi ce l’ha una sigaretta ? !
Il tipo neanche la guarda
W. : Non l’hai visto dalla faccia ? quello era un miliardario che-non-ha-mai-!chiesto-niente-!-a-nessuno-!
Passa una coppia sottobraccio
W. : Senta mi scusi me la offrirebbe una sigaretta
per favore ?
L’uomo si incupisce e affretta il passo
W. : Questo da com’è scappato via incupito era un
parvenu infastidito dal ricordo di quando era lui a
chiederle
Passa una donna
D. : Signora ce la dà una sigaretta?
Fa di no con la testa arrabbiata
W. : Questa non ce la data perché vuole spegnerle
tutte fino all’ultima addosso al marito!
Passa uno e con Whot si chiedono vicendevolmente in
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simultanea : “ ce l’hai una sigaretta ? “
Passa un altro con una cartellina sottobraccio
D.: Me la dà una sigaretta per favore ?
Fa la faccia un po’ smarrita un po’ stupita e se ne va scuotendo la testa
W.: Incredibile ! Era un impiegato sbalordito che
qualcuno gli rivolgesse la parola dopo tanti anni
fuori dal lavoro !
Passa un altro camminando veloce
D.: Lei me la dà una sigaretta vero ?
Fa di no sorridendo e se ne va
W.: Lascia stare questo era certamente un cuoco che andava di fretta veloce a servirsi una meritata notte di baldoria
Passa una signora di mezza età tutta tirata
W.: Ci avrebbe una sigaretta da offrirmi ?
Se ne va con la faccia disgustata
D.: Ciondolava avarizia fin dalle orecchie !
Passa uno preoccupato che cammina lento
D.: Su via mi offri una sigaretta !
La guarda assente e allarga le braccia dispiaciuto che non ne ha
W.: Questo invece era un giocatore di poker che
stava ancora pensando a quella maledetta bassa
scala azzardata ieri sera prima di finire nei guai.
Si mettono a contare le sigarette che hanno raccolto. sono illimpiditi di
energia. Le teste ben piantate sulle stelle. Whot da un occhiata al pacchetto e lo mostra a Dafne
W.: Penso che possono bastare non credi ?
Dafne guarda Whot
D.: Bastare ?!
Guarda tutto intorno poi di nuovo Whot
D.: Io voglio tutto !
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W.: Tutto cosa ?
Dafne allarga le braccia al cielo
D.: Tutto ! Tutto in una volta ! Tutto insieme !
Contemporaneamente !
Whot si gira verso la strada serio. Qualcosa che non va.
W.: Come l’enorme panino che lo zio di braccio di ferro buttava giù direttamente dalla gola ?
Dafne non capisce. Poi risolve in un attimo
D.: Sì ! Come un enorme panino per la gola !
W.: Con la maionese ?
D:. Sì ! Con la maionese !
W.: Devi spalmarla all’esterno. Altrimenti non scenderà mai giù
Dafne riflette mistica un momento
D.: Sì ! come un enorme panino spalmato di maionese all’estero giù per la
gola !
W.: E poi ?
Dafne lo guarda con una punta di disperazione. Diventa depressa rassegnata disillusa
D.: E poi … tornerò nella mia carne marcia. Sciagurata. Maledetta. Tra la
fuliggine delle auto.
Si abbassano lentamente le luci fino al buio. Dafne decorava con fare
pesante e vigile una voragine di amore no nutrito. Iniettata di paradiso si
essiccava civettando con la morte. In disunione costante. Danzava di ansimo in lacrima. All’ombra di cose nate da un alone di mancanza. Lunghi
capelli castani chiarissimi fino al rame. Gli si affondavano fino all’anima.
Per disegni senza desiderio che fiorivano di pietra. Eppure baciandole le
labbra si poteva assaggiare morbido evanescenza di nuvola. Era in un
inferno celeste. Il sangue tormentato di aghi mescolati a quelli delle iniezioni. Ferite che si placavano avviluppate in un nero incanto inespresso. Al
di là del corpo disfatto. Abbandonato come zavorra nell’emergenza di
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sopravvivere lontano dal violento assedio dell’essere. Era un aberrante e
riuscita opera di strazio verso ogni coabitazione possibile. Era un corpo il
suo persuaso al suono della colpa. Si dilaniava dai demoni. Congiunto alle
potenze del cosmo si decostruiva d’azzurro flusso ideale sempre alle
prese coi vincoli dell’organizzazione organica. Corpo senza organi. Cuore
microfisico del divenire prima di ogni scontro d’immagini. Prima di ogni
totem. Prima di ogni verbo. Materia divina senza forma. Senza necessità.
Senza fondo. Si piegava ai flussi di carne per unirli a un dio malinteso.
Sprovveduta e affamata d’amore si affrettava di pregustare l’eterno.
Vibrando addormentata dolorante e trafitta. Quando capì che Whot non
apparteneva al suo universo sparì in un pianto.
Lui Whot era un dottore disoccupato col pallino di andare in Sudamerica a
fare il medico in cambio di pollame e bottiglie di rum. Via! lontano da altri
addolorati incidenti. Via! in autobus fluorescenti di frontiere e cromature
d’auto al sorpasso verso gioie di buddhità risvegliate al respiro. Aveva a
volte un sorriso verde d’oro che troneggiava d’azzurro colato sulla mente.
L’aquila del grande anno ormai verso la rotta del nord e niente più occhi
lacerati giù da mezzenotti spopolate di grigiore traslucido dell’uomo più
brutto. Impettito dagli stenti di tenere la carne attaccata ad uno scheletro
di lattine riciclate. Al dt Whot capitava di sostare come in piena America.
Riflettere i vetri delle stazioni imporporati di gente piena di imbrogli e
bagagli e piani d’azione e parole assortite ed assolate d’occidente. Gli si
rallentavano le gambe e il sangue gli rifluiva al cuore quando vedeva una
donna fiammeggiare il viso alla luce. Guance distese di grande creatura.
Occhi ebbri d’aria e d’astri ballerini. S’involava lungo le soglie dell’oscuro
carezzando quiete ai denti a meditare di incrociarla per strade da disegnare. A volte le incontrava avvolte d’oriente su vecchi banconi di bar
pieni di solchi fatti di parole posate passate e sparite in centinaia d’anni di
desiderio. Ti andrebbe di fare un bambino con me ? scherzava. A volte
andava bene di cieli rosso carne. Frontiere atmosferiche. Solitudini che
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nuotavano nel panico e infiorivano nude. Si toccavano con rispetto. Quasi
con terrore. Si trascinavano oltre i tetti fluendo tra i denti attimi di vite
nuove che invecchiavano alla svelta. Gli piaceva sentirle belle. Germogliare segrete prima delle parole. Accarezzando parole e bitterdrinks. Alchimie. Soffi vitali nuovi. Sempre uguali. Dionisiaco crepitare d’afriche feroci
tenere poi gioiose poi crudeli. Eternità che lasciano il passo ad altre eternità. Gli piaceva vederle belle dalla penombra incoscienti danzare diverse. Così libere! così vitali! Era come vedere paesaggi parlanti di rose ai
balli soleggiati intorno al buco nero della ragione. Altre volte Whot fermava la sua immaginazione. L’appendeva al crine vuoto platino dei petali di
geranio e di luce a recitare un Ave Maria alle lancette smarrite dell’incoscienza. La vita non è cosa che possa essere pensata fuori dal suo arabescato frusciare all’ombra di un pomeriggio passato ginocchioni a rubar
pannocchie. Si diceva. Ogni giudizio mastica l’anima con forza grecoromana. Eppure l’ora leggera dell’uomo era già da cento anni caduta al
collo di un cavallo torinese. Gli capitava allora di starsene in un tempo
fatto di pietre e polvere esploso dal ventre di un vento abbrunato di aria
lunatica a sedere su uno sguardo imploso d’ardito. Oh! Natura! bianca
madre degenere! Col tuo sciame scintillante di spiriti perduti e spezzati
nelle infinite parti dei tuoi istanti e di secoli macellati dall’occhio corrotto
e tetro del potere che riempie di silenzio le più audaci vedette pirata e
vascelli in rada perenne in putride acque spacciate per fresche correnti.
Ne affondano a migliaia risucchiati da goffi ansimi di prestigio preso a
rate. Pensava così a Gaetano Bresci. Stirpe ligure di memoria lunga tutta
tesa al futuro. A ricordare di fare ciò che si era promesso. Whot La immaginava La volontà di quell’anarchico venuto dall’America che volle esigere
che il conto fosse pagato fino in fondo. A qualunque costo. Fino alla vita!
Affinché i morti siciliani e poi quelli milanesi trucidati dai cannoni di Bixio
e Beccaris nelle proteste dello stomaco rivivessero di anarchica giustizia
nella sua pallottola sentimentale in testa al re! Che il buio rabbioso delle
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fabbriche restituisse il dovuto alla macelleria del potere. In-Una-FolgoreDi-Fuoco!
Quella mattina Whot sentì suonare alla porta. Mettendo le gambe fuori dal
letto Whot fece cadere la bottiglia di whisky sul pavimento,la aprì per
berne un goccio ma restò mezzo nauseato dall’odore e la mise in un cassetto. Aprì e vide Dafne sorridere con un sacchetto di carta bianco. Entrarono in cucina. Lei rimase seduta con i piedi sul bordo della sedia accennando un brivido. Whot accese il fornello con la macchina del caffé. Sul
tavolo c’era il sacchetto di carta bianco.
W.: Perché mi hai telefonato stamattina. Sono tre mesi. Ti avevo dimenticata.
D.: Ho portato delle paste al cioccolato.
Whot guarda il sacchetto e non dice niente.
D.: Sono stata male. Pensare alla nostra scorribanda per strada a chiedere
sigarette mi ha fatta state meglio.
Il viso quasi le si scioglie
D.: Come mi trovi ?
W:: La stessa bellezza mal sopportata.
Sorridono. Dafne allunga le gambe
W.: Hai le labbra un po’ più scolorite. A tratti più violacee
D.: Sei gentile... anche se non è un bel complimento
Ridono forte capendosi con un occhiata
W.: La tua sofferenza benelegante continua a intenerirmi!
Si guardano negli occhi
W.: Ti si increspano le palpebre! Forse moti browniani! Forse il resto di un
sogno!
Ci sono due grosse tazze smaltate d’azzurro piene di caffé. La luce è fredda entra chiara impallidendo i muri e sui fornelli.
W.: Avevo un amica che si è fatta portare via tutto dall’eroina. E che continua a dargli ogni pomeriggio e ogni altra cosa! Chiusa in casa da dieci
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anni. Mi arrabbiavo dei suoi lamenti. Sei nata con la siringa al braccio?
Non hai trovato quello che cercavi la fuori tra la gente? E allora continua a
scivolarci in mezzo! Fa sentire al tuo corpo vivere invece di usarlo come
un materassino d’acqua sgonfio preso a noleggio. Lo squallore che gli
ruotava intorno dovette prenderla alla gola prima di riuscire a trascinarsi
sopra lo scompartimento di un treno con l’ultimo pezzo di caramellato. Se
ne stette 5 giorni dormendo di e-enne e a ripulirsi il sangue con 3 litri di
flebo ogni tanto scossa dalle fiondate di liquidi che la ritenzione idrica gli
aveva cattivizzato fino a quando sentì il corpo riemergere. S’allontanò ma
gli rimase il mito,continuò a dargli troppa forza tanto ne venerò il ricordo
che ricominciò a cercare uno spacciatore. L’ho sai qual è l’unico mito inventato nella modernità?
D.: No
W.: Quello degli zombi!
Ridono
D.: Mi sento di orbitare sulla superficie di un gomitolo
fatto di fili che non capisco
W.: D'altronde bisogna esserci nati con la realtà pietrificata da non trovar
di meglio che pisciarci sopra.
D.: Già. Io ci sono nata di sicuro.
W.: Tutti ci nasciamo non credere sia una passeggiata per nessuno essere
spinti fuori dall’empireo amniotico
D.: Il mio male è ancora qui. Mi ha legato con ogni rivolo di sangue. E’
sempre lo stesso bisogno permanente di un sollievo. Anestetizzare ogni
disagio della solitudine. Ho fatto crescere un fantasma dagli abissi dell’impossibilità ad amare. Ne è seguito un tragico viaggio nella notte nera
dell’immaginario. Danzo con la morte. Ora mi pavoneggio come un idiota
dentro una prigione di specchi di un padrone che ormai mi possiede tutta!
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SERGIO MARIA BRANCA
La derniere epoque
Invidia regalo d’amore
e di poesia
2 parole ed una carezza
per un odio socialmente giustificabile
così non solo i miei dolori
ma anche la mia poesia
è stanchezza postindustriale
le angosce lasciate
i miti da superare
desideri postindustriali
io voglio
camuffare
la verità
ed userò orologi nuovi.
lancetta di secondi
produce ritmi conosciuti
superati
fin troppo conosciuti.
(immenso è l’uomo che non ascolta e tace)
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…
a noi è mancato il tempo
di quando ci si menava fra i campi
ed una capra scandiva il piacere
Pan perse la fanciullezza
dietro ad un gregge
In quel momento
credo che fossi dentro ad un cinema
…
il mio primo esperimento
sarà d’impiccare
una rosa
e già si vedranno
meno dolci
le giornate.
e nessuno comprerà più niente
viva la pubblicità
che non riesce a vendere.
siediti lì,
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osserva,
Cosa c’è di dolce
nelle nostre ombre?
Cosa c’è di dolce
nel tornare a casa a mangiare?
Cosa c’è di dolce
nell’aspettare la propria donna
senza interesse?
per questo me ne fotto
dilla rima
dell’armonia
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ANTONIO CAMPOLO
28 Dicembre 1908
Prima trimau 'a terra e cincu e vinti ra matinata
tanta genti muriu fuendu e tanta inveci ddurmintata
fujivunu tutti pu schiantu, strambati e presciaroli
i merici, i scarpari e i mammi appressu chi figghioli
non c'esti tempu pi pensari e va fuendu nta strada
ti curriunu i minuti e ca disperazioni u cori sata
ti stringi u cori a 'npettu e ti senti picciriddhuzzu
buci e grira chi si sentunu e a genti chi fui ammuzzu
vannu fuendu pì campagni e vannu fuendu pu mari
a spiaggia è china i genti chi si voli riparari
poi u mari s'arricugghiu e turnau comu na cuperta
i cumbigghiau a tutti e a rribba ristau deserta
si livau barchi e genti si livau arburi e nimali
sdurrupau barracchi e casi, non dassau mancu i spitali
na nuvula i purbirata e tutt'attornu distruzioni
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mentri chiuviva leggiu leggiu senza lampi
e senza troni…
‘A favula ru ponti
Nù jornu ‘u presidenti i tutti l’italiani
vinni mi ndi faci visita...ogni tantu puru ‘e cani !
si mangiau i maccarruni cu zucu du maiali
un biccheri i vinu bbonu e l’idea fu geniali...
Si jasau tuttu cuntentu, ggrirava eureka eureka !
Passava nu traghettu e dissi: “Chissu è na ciofeca,
nci voli nu bellu ponti u chiù longu i tuttu u mundu”
Fici nu disegnu e nci misi nu sicundu :
“A ‘ccà passunu i treni e ‘ccà i machini a caminari
Semafuri e cartelloni , stradi supplementari,
ma i tutti chisti cosi esti ancora assai chiù bellu
com’è comudu pavari, ‘pì ccù passa ‘nto casellu!
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Chi ndi futtimu nui rì spiaggi, ru litorali
ri lavuraturi, i sti quattru vecchi, ri lampari…
chi ndi futti si è giustu o no, si faci beni o si faci mali
l’importanti è varagnari, tantu a genti ndavi chi ‘ffari”
Cusì chiamau a radunu architetti e industriali
ingegneri senz’ingegnu e baruni e cardinali
si misuru a lavurari tutti quanti a stu progettu:
signori e signori eccu “u ponti supra u strittu”
Ma a ccaccarunu st’idea ccuminciau a non piaciri
Quantu sordi chi nci vonnu e cu sti stradi aundi ajjiri?
Ma non viri quanta mundizza chi nc’esti ntè sciumari,
i spiaggi sunnu lordi e mari i merda a galleggiari!
U presidenti sa sentiu e si mpuntau comu pi dispettu
“Non mi fannu fari nenti, polemizzunu pi dilettu,
pirchì stù guvernu vi vosi sempri sempri beni
comu a un padri chi so figghi, intra ‘o cori sempri i teni!”
A sunata è sempri a stessa, e ci mentunu fervori
ntò parrari sunnu bravi sannu sempri cosa diri
sannu ciangiri a cumandu chi risati all’occorenza,
e a genti si spirdìu comu si faci mi si penza!
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Onde
Eccomi osservare nuovi battiti del tempo,
arrendevoli e scarsi, primeggiano per un soffio di vita.
Un alito che ti sta accanto, che non vuol morire mai
perdersi e poi ritrovarsi, svegliarsi, come d'incanto,
di premura matematica che inciampa nel deserto,
abbandonata e fragile da non reggere se stessa,
di maliziosa e ineffabile nostalgia,
cavalca onde che non finiranno mai di stupirmi.
Enormi e concrete nel disperdersi della speranza flebile
sospettano se stesse di arroganza plausibile
poi trovano come un muro, uno scoglio grave e duro
e muoiono così, grandi e stupide.
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NANDO PRIMERANO
estrapolato da “Solo fumo è la paura che nasconde il tuo orizzonte”
Caro Manuel, che bello tornare in cella e trovare la
tua lettera. Grazie per questo sentirti così vicino. Anche se
potevo aspettarmelo, per certi versi non ne immaginavo la
portata. La nostra breve storia ma intensa – posso ricordarla cosi? – ed i nostri molti scazzi non ti hanno impedito di
essere presente; ma per me non è stata una sorpresa, ho
sempre saputo, comunque, di poter contare su di te. È vero, di
questi tempi non è poi tutto così scontato visto che tanti altri
legami, che sembravano così solidi, si sono sciolti, dileguati
davanti a questa mia/nostra situazione. Grazie anche per il
tuo cartellino del Monopoli che ci hai inviato in regalo : AUTORIZZAZIONE AD USCIRE DI GALERA, ne farò buon uso, ogni
notte, almeno con la testa. Anche quell’altro cartellino, quello
degli IMPREVISTI è stata un’idea spassosa, noi giochiamo
spesso a Monopoli (perdo sempre tutto) a Risiko, , ad Otello.
Giochi tipici della galera. Le tue lettere, le vostre lettere, sono fondamentali. Ci sono momenti di fronte alle ingiustizie
che dobbiamo sopportare che a stento riesco a trattenermi
dal non spaccare, dal non bruciare tutto.
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Il coraggio non ci manca, la determinazione nemmeno; non
sempre la lucidità, ma con voi al nostro fianco ce la faremo.
Alle volte mi viene da uscire dall’aula del processo perché
non ce la faccio proprio più a mangiarmela continuamente, e
mi chiedo come facciate voi a restare “calmi” per ore ed ore
solo per vederci e comunicare a gesti. È con tutte le provocazioni che subite. Abbiamo attaccato il manifesto del compagno morto accanto al letto, pare proprio che di stare in galera
non ne voglia sapere. Ti stavo raccontando di essere rientrata
dall’udienza incazzata nera, non solo per le nefandezze della
troia a cui, comunque, non ci si riesce mai ad abituare, ma
anche per non avervi potuto salutare, come al solito, perché
ci hanno rinchiuso e incatenate nella gabbia che c’è dentro il
cellulare. Io ho chiamato te e gli altri ma voi non avete sentito. Continuavo a chiamare pur sapendo che non mi vedevate,
anche se vi vedevo salutare e cercarci con gli occhi. Siamo
sempre nel primo blindato – precedenza alle donne? – e vi
saluteremo sempre anche se non ci vediamo. Il fuori dev’essere altrettanto duro che qui in prigione, lo capisco dai vostri
sguardi, dalle vostre lettere, anche se dalla nostra angolazione la percezione della realtà, della repressione è alterata.
Soffro per la mia situazione, ma anche per l’impotenza di
fronte alla morte di un compagno, ad un padre che si dispera,
agli infami, a voi che soffrite come noi e dovete in più
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stringere i denti per darci una mano. Cambiamo registro sennò tra un pò mi metto a piangere o a far casino e la soddisfazione di far arrivare la squadretta punitiva non gliela voglio
dare. Grazie anche per le foto, sono bellissime e sento proprio il bisogno di avere tanti quadratini attaccati su questi
muri grigi. Anche se non sempre ritroviamo le nostre povere
cose quando ritorniamo dal tribunale. E la cicciona come sta?
Vomita sempre? Dille che ho pensato per lei una “compagnoterapia” che potrebbe funzionare … e gliela dettaglierò
quando esco.
Quando esco … Beh, prima o poi verrò fuori a riabbracciarvi tutti. A presto dolcissimo compagno, vado a dormire. Domani ci aspetta la solita levataccia. Se non ci foste voi
forse ci rifiuteremmo di partecipare a questa farsa.
Smack! A domani.
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LORENZO VILASI
Qualcuno s'incazza
Ho perso tempo aspettando
non ho cercato niente di meglio
sono rimasto a guardare
mentre calpestavano i miei sogni
ho perso tempo lasciando nell'aria quell'odore
ammuffito di una casa chiusa
da anni
sono rimasto chiuso, legato
mi hanno costretto a fare danni
a giocare con il falso
a credere di non esserci dentro
a quantificare le colpe.
Qualcuno s'incazza prima o poi
anche se ci vuole un po' di tempo
se la farete franca
e solo perchè qualcuno è diventato veramente libero.
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La lingua nei sogni
La lingua nei sogni
non è quella che usi da sveglio
mastichi parole che credi siano uguali
a volte sogni di sognare
che qualcuno ti sta per parlare
accumuli parole e luoghi da ritrovare
persone uniche da ricordare
attraversi un campo dove tutti bisbigliano
e non sai da dove cominciare
fonema minimale
la lingua nei sogni
non è quella che usi da sveglio
come una sveglia che non suona mai
per ricordarti che non devi parlare.
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Qualcuno s'incazza (atto II)
Adesso qualcuno sarà felice di infierire
certo, sono a terra ansimante di dolore
pieno di sangue a chiedere aiuto
vi sarete divertiti a congedare un certo tipo del cazzo
che non è disposto a stare a certe bassezze
Sinceramente " contro" la malata volontà di adottare
chiunque in questa massa
sento puzza di marcio sento che sto per vomitare
non avete voglia di sbattermi fuori ancora una volta
disfatevi del corpo ma non ce la farete mai a mandarmi
veramente via
sarò un'ombra che stazionerà presente
sulle vostre
brutte
teste di cazzo.
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FRANCESCO VILLARI
Sacchi neri, sacchi blu
… e se nella notte il pulsare,
il bussare stanco ma in necessità,
lo stimolo avesse a che vedere con me
mi porterei un sacco a pelo.
Un sacco di pelo fresco per i piccoli esercenti
bisognosi come il “blast” per determinati sottogeneri.
Alticcio ma deciso a muovermi anche nel sonno ...
maldigerito ma deciso a finirla.
Un sacco nero per la raccolta
che differenza può fare
se il sacco blu non è per la carta?
Protesi, pillole, pareti rettali e mille rettili
(non sempre viscidi come da credenza),
eseguono figure da snow-board on board.
a bordo non rimangono i topi
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nemmeno i capitani
nemmeno i passeggeri
nemmeno i passanti
nemmeno i pezzenti
solo quattrocentoundici cameraman e seguito
a raccontare il disastro del giornalismo
che nel capodanno ultimo
ha preso e poi perso
l’occasione al volo.
vola via… vola via… tutto smette … vola via.
Niente se non la città sul secondo canale.
Venezia in miniatura è come dire una bottiglia mignon per i
festeggiamenti.
Ma le mignotte si sentono in palla
e le palle sentono le mignatte in palla.
Ho secoli dietro e non dentro.
ho fameliche formiche commiste a grilli estatici.
A far bene mangerei argilla e camperei di più.
ma … evidentemente … me ne sto fottendo!
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MIGLIORABILANDIA
Non meglio di altre volte.
Nemmeno peggio.
Insomma …
Tra le briciole ho riconosciuto i chicchi di caffé
appena macinati.
In testa avevo semi di idee
senza contorno
senza aggiunta.
Percettibili come seduto in coda
dal medico che non ha condotto
(e questo è evidente)
nessuna
specifica
relazione sulle nevrosi da sala d’aspetto.
L’aspetto dei pazienti è pane e non mollica.
Vedi i chicchi di caffé?
Ballano costanti come il cuore della signorina Palmer
alla terza puntata.
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Autobus, caffé, sigaretta ma soprattutto autobus
Quarantuno gradi per allattare una giornata
fattasi grande
ormai pagante i propri doveri.
Quarantuno punti per campare non sono pochi,
quarantuno soste per campane non sono poche,
quarantuno posti dei quali dodici liberi.
Alla prossima fermata,
inevitabile,
Un morto.
Ventinove facce di cazzo pronte all’amplesso
tutto compreso e senza preservativo.
Autobus, caffé, sigaretta ma soprattutto autobus.
(l’occhiataccia di Polifermo non mi ha mai messo fretta)
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NON UNA BUONA IDEA.pub