Sdeng!
Numero 1 nuova serie Novembre 2mila9
sdeng.it
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Sdeng! Numero1 nuova serie
EDITORIALE
“
Ottobre 2mila9
”SANTINO”
la redazione
di Sdeng!
ARTICOLO
”SINE SOLE SILEO”
di Francesco
Rosi
FUMETTO
”WAITING FOR THE SUN”
di Alessandro
Bacchetta
RACCONTO “
”IN MEZZO A”
PORTFOLIO
“
PUBBLICITA’’
”FORNITURE CULTURALI”
”CORPO”
di Marco
Mencarelli
di Viola
Cangi
di Marcello
Volpi
© S d e n g!
P e r i o d i c o b i m e st r a l e - O t t o b r e 2 0 0 9
Im m a gi n e d i c o p e r t i n a : V i o l a C a n gi .
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A c u r a d i : Lo r e n z o A l u n n i , G i o v a n ni B e t t a c c h i o l i , S e r e n a F a c c h i n ,
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SDENG! è un supplemento on-line a “L’Altrapagina”, Direttore
Responsabile: Enzo Rossi, Autorizzazione del Tribunale di Perugia n° 684 del
21/01/1984.
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_________________________EDITORIALE:
“Santino e la battaglia dell’attenzione”
________________dalla redazione di Sdeng!______________
C
iò che stiamo per scrivere è tutto vero. Per verificare basta digitare qualcosa come
“santino zoo svezia” in Google.
Furuvik è una piccola città svedese dotata di zoo. È lì che abita il mentore del nuovo
corso di Sdeng!. Signore e signori: Santino! Segni particolari: scimpanzè.
Ogni giorno il vecchio Santino si sveglia e, con una minuzia d’altri tempi, si mette a raccogliere
sassi nella sua porzione di zoo. Li cerca più o meno tutti della stessa misura e li accatasta con precisione. E fin qui tutto bene, un passatempo da scimpanzè come un altro.
Ad un certo punto della mattinata però lo zoo apre le porte ai visitatori, che cominciano a sfilare di
fronte alla gabbia degli scimpanzè. E Santino cosa fa? Comincia a lanciargli contro le pietre che
aveva preparato! Metodicamente e con decisione. Le pietre volano come le palle di cannone delle
navi di sua maestà, i turisti cercano di evitarle e passano frettolosamente (spesso imprecando)
all’animale successivo. Grandioso.
Ci sarebbero tutti gli elementi concettuali per eleggere il ribelle e romantico Santino a guida spirituale di quello che vorremmo fosse il nuovo Sdeng!: nel nostro piccolo, vogliamo lanciare ai nostri
visitatori sassate di Bellezza, nelle forme più impensate o in quelle più positivamente tradizionali.
E ci auguriamo di sentire, al contatto fra i sassi e i nostri lettori, un bel... “sdeng!”, dolce rumore
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del bersaglio emotivo centrato."D'accordo, Bellezza è un parolone, ma per intenderci..."
Eccoci dunque ad inaugurare il nuovo corso della nostra dolce rivista artigianale. Come vedete,
passiamo in internet, con i numeri che saranno di volta in volta scaricabili in un comodo formato
pdf stampabile. Non stiamo ad annoiarvi con le ragioni, ma ce ne sono eccome.
Rispetto alla prima serie – che già ricordiamo con sospiri di nostalgia – troverete anche saggi, reportage, recensioni di eventi valtiberini, lavori dei nostri artisti locali preferiti, interviste e, certamente, dei succulenti nuovi episodi del tipo d’invenzioni sbilenche che trovavate nei vecchi numeri. Proveremo ad uscire ogni due mesi e, al pari della frutta e della verdura fresca davvero, saremo
una rivista a chilometro zero, ovvero attenta alle cosiddette risorse e dinamiche locali (era l’ultima
espressione così formale, promesso).
Per cercare di tenere fede a tutto ciò, drizzeremo piuttosto le orecchie ad ogni rumore culturale
che dovesse attraversare l’aria di queste parti, ovvero a qualsiasi espressione artistica che si attiri
giudizi di casino, scarabocchi, vandalismo, giovanilismo ecc.. Fraintendimenti, cerchiamo fraintendimenti. “Gesti epicamente insensati”, “genio o stupidità: qualsiasi cosa di smodato”, scrisse un
grande critico musicale. Proveremo ad essere sensibili ad ogni avvisaglia di fenomeni o movimenti
che non si meritino di vivere solo per loro stessi (odiamo la parola “hobby”). Le regole del “buon
vicinato” sembrano assopire, nelle piccole realtà come la nostra, il senso critico come le capacità
espressive, e per questo cercheremo le pur minuscole rotture locali, il cui crepitio dovrà far vibrare
il nostro bastone da rabdomanti.
Certo, è anche possibile che ci saranno due o tre numeri della rivista poi la finiremo lì. È possibile,
perché no. Ma vale la pena provare, quantomeno perché non riusciamo a toglierci dalla testa che
c’è qualcosa che non va, e che stiamo perdendo un sacco di occasioni per, semplicemente, sentirsi
giusto un pò meglio dalle nostre parti.
È una battaglia dell’Attenzione, Signore e Signori. Lo sappiamo e in piccola scala lo abbiamo già
sperimentato. Ma sappiamo anche che la nostra venerabile guida ci condurrà per mano attraverso
gli insegnamenti che c’impartisce dallo zoo di quella sperduta cittadina svedese. Lunga vita a Santino.
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_________________________ARTICOLO:
“Sine Sole Sileo”
________________di Francesco Rosi______________
“Se la bellezza degli strumenti astronomici
deriva dall’utilità dei risultati che si possono
ottenere con essi, allora le linee meridiane possono essere annoverate tra gli oggetti più belli”
Giornale de’ letterati d’Italia 1711
classe di eletti, era alla base della fondazione delle città e i
trattatisti latini codificano vari metodi.
L’uso consapevole dei raggi solari attraverso l’opportuno
orientamento dei fabbricati e delle aperture era strumento
tipico del bagaglio culturale degli architetti medievali,
veri maestri nella creazione di effetti ierofanici.
In epoca rinascimentale si capì che le cattedrali, con le
loro maestose dimensioni, potevano essere i migliori edifici per compiere misure astronomiche e, per assurdo, la
stessa Chiesa che condanna
PREMESSA
Come Alberto Burri era un dato di fatto della mia infanzia
tifernate, lo era anche la bella meridiana della scuola Agraria; dal mondo adulto venivano, in entrambi i casi, solo
risposte evasive, sommarie e insoddisfacenti alle mie domande. Crescendo ho trovato vano cercare spiegazioni
razionali alle opere del Maestro mentre ho voluto carpire
il “segreto” nascosto nelle scale graduate, negli indici
numerici, nel cavo teso e nel disco forato del cronometro
solare del prof. Luigi Mori.
Il testo che segue riguarda gli orologio solari, le meridiane
e le modalità con cui l’uomo, con il suo ingegno, ha catturato il moto apparente del cosmo traendone significato; in
conclusione, illustrerò quanto realizzato, in Alta Valle del
Tevere, dal prof. Mori.
Ci si potrebbe chiedere: “perché, nel XXI secolo, era in
cui la scienza ha inventato strumenti in grado di rilevare
intervalli della durata di 100 attosecondi, ci si può ancora
interessare del tempo misurato attraverso il sole?”; rispondo dichiarando che trovo impossibile sottrarmi al fascino
del continuo mutare della volta celeste che scandisce il
ritmo atavico del succedersi dei giorni, delle stagioni, degli anni; indagare questo movimento presuppone nozioni
di geometria, matematica, astronomia, arte applicata che
fanno parte della mia formazione di architetto e, dal loro
uso combinato, il mio intelletto trae piacere.
La traduzione del palpito del cosmo in numeri e teorie
rende l’universo un tassello della mia attività di progettista, restituendo alla mia professione quel tocco di esoterico che lo stupido groviglio di burocrazia e normative ha
cancellato.
Una innegabile differenza fra il genere umano e gli animali è sicuramente ravvisabile nella percezione del ritmo e
cioè nel riuscire cogliere la regolarità di alcuni fenomeni
naturali; contare i giorni, gli anni, cogliere il ciclo delle
stagioni e delle fasi lunari ha impegnato l’uomo per millenni e, a tal fine, strumenti sempre più sofisticati sono
stati elaborati.
Riesco ad immaginare il nostro più remoto antenato segnare con dei sassolini la posizione dell’ombra di una
roccia e, in un attimo, diventare il sacerdote che conosce il
segreto per orientare le primitive architetture megalitiche
attraverso le quali profetizzare “magicamente”
l’inversione del terribile accorciarsi delle giornate e la
speranza di una nuova primavera.
La determinazione dei punti cardinali, appannaggio di una
Galilei, dà forte impulso all’astronomia con la necessità di
determinare univocamente la data della Pasqua, funzione
dell’equinozio di primavera. Il Duomo di Firenze, San
Petronio a Bologna, S. Maria degli Angeli a Roma, le
cattedrali di Palermo e Milano permettono, funzionando
da enormi meridiane a camera oscura, di correggere gli
errori del calendario giuliano, di calcolare con esattezza
l’inclinazione dell’asse terrestre trasformando
l’astronomia in una scienza certa, basata sulla matematica
applicata.
L’avvento degli strumenti ottici per l’osservazione del
cielo e di orologi sempre più precisi relega le meridiane a
semplici curiosità ma conoscerle e capirle conduce il pensiero in sentieri che collegano scienza e arte, in un esercizio mai vano; il fine del presente articolo è quello di fornire le basi per poter apprezzare appieno le opere consegnateci dall’ingegno di Luigi Mori che, nel XX secolo, ha
sentito il bisogno di percorrere questi sentieri.
Le difficoltà che l'uomo contemporaneo incontra di fronte
agli strumenti solari discendono dalla non conoscenza del
loro metodo di lettura e dal fatto che la suddivisione del
giorno e le modalità di computo del tempo che oggi adottiamo sono, in realtà, acquisizioni piuttosto recenti.
L'ora sulla quale normalmente basiamo le nostre azioni è
frutto di convenzioni, di decisioni politiche e di scoperte
scientifiche; specifici enti hanno l'incarico di attuare la
misurazione del tempo e mantenerne il rigore; lo strumento di misurazione chiamato orologio è un sofisticato oggetto di cui pochi eletti conoscono realmente le modalità
di funzionamento; la lettura dell'ora e la misurazione del
tempo si apprendono, non senza difficoltà, nei primi anni
di scuola.
Ciò nonostante basta un colpo d'occhio per conoscere l'ora
esatta e la stessa cosa avveniva nel passato, quando ancora
gli orologi meccanici dovevano essere inventati ed era il
sole, con i suoi moti quotidiani, a far funzionare le meridiane.
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to anche dell'influenza della cultura araba, viene
introdotto in occidente il sistema equinoziale
basato su due importanti
Mezzanotte
novità: in primo luogo, la
Alba
Tramonto
costruzione di orologi mecNotte
canici consente la divisione
del giorno in 24 ore di uGiorno
guale durata (fig. 5) (da cui
Mezzogiorno
il nome di equinoziale; la durata co24 ore
stante delle ore canoniche infatti, si Fig.5 Le ore italiche
riscontrava solamente nei giorni degli equinozi). La seconda novità consiste nel misurare il
tempo dal tramonto, come era in uso in oriente.
Una meridiana a
ore italiche permette di determinare, in base alla
posizione della
punta dello stilo,
le ore mancanti
al tramonto, ventiquattresima ed
Fig.6 Meridiana verticale ad ore italiche
ultima ora della
giornata.
Questo metodo di conteggio era funzionale alla vita dei
borghi che si andavano formando e popolando nel medioevo e le cui porte di accesso si chiudevano al calar del
sole; la vita dei campi terminava alla ventitreesima ora.
Uno dei principali svantaggi della suddivisione del tempo
in ore italiche era però quello dell'estrema variabilità del
concetto di tramonto che, a seconda dell'orizzonte del
luogo, poteva differire sensibilmente anche a distanza di
Mezzanotte
pochi chilometri: il sole tramonta prima per una località di fonTramonto
dovalle piuttosto che in un luo- Alba
Notte
go di crinale.
Prende piede allora, contempoGiorno
raneamente ai progressi della
cartografia, il sistema detto ad
Mezzogiorno
ore francesi (fig. 7) che intro24 ore
duce il mezzogiorno e quindi la
Fig.7
mezzanotte come riferimento.
Il momento in cui il sole passa esattamente sul meridiano
locale ed è alla massima altezza nel cielo (la dodicesima
ora) è certamente di più difficile percezione e deve essere
misurato ma è un fenomeno astronomico univoco e svincolato dall'orizzonte locale.
Questo sistema, che ancor oggi usiamo, viene introdotto
tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo in Italia (a
Roma, il colpo di cannone che da Castel Sant'Angelo indicava il tramonto fu spostato a mezzogiorno nel 1846).
Merita a questo punto sottolineare che, fino a questo momento, si è parlato di ora locale cioè ricavata da fenomeni
astronomici percepibili nella luogo ove ci si trova; il fatto
che il mezzogiorno astronomico di Trieste precedesse di
alcuni minuti il mezzogiorno a Roma era del tutto ininfluente.
Il progresso tecnologico però, con il crescente sviluppo
delle reti ferroviarie e telegrafiche, crea la necessità di
istituire un orario comune a tutta la nazione.
Nel 1866 l’Italia estende a tutto il territorio della nazione
l’ora del meridiano passante per Roma; nel 1884 il siste-
Fig.1 la meridiana orizzontale
È quindi importante fermarsi a riflettere sugli effetti prodotti dall’ombra proiettata da uno stilo verticale infitto nel
terreno (gnomone) (fig. 1) che è di per sé sufficiente a
individuare un ciclo che si ripete annualmente ed alcuni
fenomeni quotidiani e stagionali:
esiste un momento della giornata in cui il sole ha la
massima altezza sull'orizzonte e la lunghezza dell'ombra
proiettata è minima; questo è il mezzogiorno.
questa altezza varia, nell'anno, fra due estremi; quando l'altezza è massima si ha il solstizio estivo, al minimo
corrisponde il solstizio invernale.
L'ombra del punto gnomonico descrive quotidianamente
delle iperboli ma in due giorni ogni anno essa si muove
lungo una linea retta; questi sono gli equinozi primaverile
ed autunnale.
Questi fenomeni possono essere rappresentati nel piano
dall’analemma vitruviano che, attraverso le regole della
geometria descrittiva, permette di calcolare graficamente
la posizione del sole nella volta celeste ed è, forse, il più
antico metodo teorico per il disegno del quadrante di un
orologio solare
É antichissima la necessità di misurare e quindi suddividere in
ulteriori intervalli il giorno e già
in epoca egizia il nittemero
(sinonimo di giorno inteso come
intero ciclo diurno e notturno) era
di 24 ore di cui 12 ore componevano l'intervallo tra l'alba ed il
Fig.2 Le ore canoniche tramonto ed altrettante scandivano la notte (fig. 2); poiché la durata del periodo di luce varia con le stagioni, le ore non
avevano misura costante e variavano da circa 45 minuti in
periodo invernale
a circa 75 in
quello estivo alle
nostre latitudini.
Gli orologi solari
recanti
questo
tipo di suddivisione delle ore,
riportati in auge
Meridiana verticale ad
dai Benedettini nel VI secolo Fig.4
ore canoniche (i cerchietti
ed in uso ancora nel XVI se- segnano il numero di rintocchi
colo, sono detti meridiane ad delle campane alle varie ore)
ore canoniche o temporarie
(fig. 4);
l'ombra proiettata sul quadrante
scandiva la giornata nei conventi ed era il riferimento per i
momenti della prassi liturgica
(fig. 3) nella regola di San Benedetto.
Intorno al XIII secolo, a segui- Fig.3 Orari delle preghiere
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ma dei fusi orari viene recepito ufficialmente da molte Successiva di pochi anni è la meridiana della Verna
nazioni europee ma solo nel 1893 l’Italia adotta l’ora media dell’Europa centrale, riferita al meridiano Etneo (fig. 9); realizzata nel 1930 ed analoga alla precedente per
(15°).
orientamento e grafico; è oggi sostituita con un'altra realizzata nel 1972 dal prof. Guido Baracchi (fig. 10) basanLe ripercussioni di queste convenzioni sono notevoli nel
dosi sui disegni ed i calcoli di Mori. Nel 1934 Frate Agomondo degli orologi solari; l'esigenza di visualizzare un'ora non più funzione di eventi astronomici locali introduce stino Gemelli, rettore dell'Università Cattolica di Milano,
la necessità di correggere opportunamente l'orario segnato scrive a Mori chiedendogli di ricostruire le linee mancanti
dall'ombra tramite due variabili; la prima considera la della "antica e molto solenne" meridiana posta nel cortile
differenza di longitudine del sito dell’orologio solare dal dell'Ateneo. Nella missiva egli dice: "mi sono rivolto ad
meridiano di riferimento del fuso e la seconda tiene conto astronomi, ma mi hanno detto che occorrono calcoli tropdella velocità di rivoluzione non costante della terra, nella po lunghi per completare i segni che non esistono più".
sua orbita ellittica attorno al sole.
Una fotografia proveniente dall'archivio del fratelli Baroni
rappresenta la lapide (fig. 8) in marmo di Candoglia situa
ta oggi nella Sala dello Zodiaco della Università Cattolica, ovvero l'atrio dell'aula Pio XI.
Nell'iscrizione si legge: "Linea meridiana horizoverticalis studiosis rite constructa Anno Domini
MDCCLVI".
Alcune meridiane riportano una curva a forma di otto,
generalmente in corrispondenza del mezzogiorno, detta
lemniscata che, nel momento dell'intersezione con il punto
gnomonico, fornisce l'ora media senza bisogno di applicare le precedenti correzioni.
L'introduzione dell'ora media complica la lettura degli
orologi solari che diventano strumenti scientifici di non Si tratta di una linea meridiana che indicava il mezzogiorimmediata comprensione.
no completata con i segni zodiacali; il foro gnomonico che
permetteva il passaggio dei raggi solari era posto, probaNotevoli esempi di meridiane di questo tipo sono stati bilmente, sul fabbricato. In corrispondenza dell'estremo
calcolati, disegnati e realizzati dal Professor Luigi Mori della linea e cioè al solstizio invernale, nella parte più alta
(1899,1955) nella prima metà del XX secolo, nell’Alta della lapide, le cifre indicate sono le 4 e 16 e le 19 e 44: la
Valle del Tevere.
prima corrisponde alla “semiluce diurna” e cioè la quantità di ore e minuti che separano il Mezzodì dall'alba in un
senso e dal tramonto nell'altro mentre la seconda è l’orario
italico corrispondente al mezzogiorno.
Tutta la corrispondenza fra Padre Gemelli e il prof. Mori è
andata distrutta nell’agosto del 1943, con i bombardamenti su Milano che hanno anche irrimediabilmente danneggiato il fabbricato e la linea meridiana.
Al 1941 risale l'orologio solare apposto sul fabbricato di
Santa Maria della Pace in località Sigliano, vicino a Pieve
Santo Stefano; a differenza dei precedenti, esso è collocato direttamente sulla parete declinante in direzione sud
ovest con conseguente asimmetria del grafico delle stagioni ed a dimostrazione dell'abilità acquisita nel calcolo.L'anno successivo, nel 1942, Mori realizza il
"Cronometro Solare" a Città di Castello (fig 12) presso
l'Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e
l’Ambiente U. Patrizi; il suo quadrante è costituito da una
lastra in pietra di 2.3 x 1.6 ml, lo stilo polare è realizzato
con un filo metallico teso ed un disco forato che proietta
la propria ombra sulla tavola; una tabella sottostante riporta il fattore di correzione giornaliero derivato dall'equazione del tempo.
Figura 8 - La lapide della linea meridiana
dell'Università Cattolica di Milano in una
foto d'epoca (proprietà Baroni)
Il primo di questi orologi solari di cui ho conoscenza è
ubicato presso la Pieve di Micciano (fig. 15), non lontano
da Anghiari e risale al 1925. Il quadrante, inciso da Assunto Innocenti, realizzato in marmo e sostenuto da una
struttura metallica è orientato esattamente a sud e riporta
indicazione dell'ora locale, dell'ora media dell'Europa centrale, del mezzogiorno nelle principali capitali mondiali
oltre alle linee stagionali degli equinozi e dei solstizi; lo
stilo polare, costruito con un'asta interrotta dal disco recante il foro gnomonico, è oggi strappato ed il braccio che
lo sosteneva piegato.
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La realizzazione è stata accompagnata da una pubblicazione esplicativa che contiene indicazioni preziose sul procedimento matematico utilizzato da Mori per tracciare i grafici e sulle modalità di lettura delle ore; l’opuscolo è stato
riprodotto, in ristampa anastatica, in occasione del restauro dell’orologio solare, che ho condotto nella primavera
del 2009."Il lavoro matematico ha richiesto l'uso di oltre
diecimila operazioni logaritmiche a 5 ed a 7 decimali per
la soluzione di alcune migliaia di formule di trigonometria sferica e piana".
L'orologio reca indicazioni relativamente all'ora vera locale, all'ora vera dell’Europa Centrale, al mezzogiorno medio legale, ai fusi orari dell’Europa e delle Colonie italiane, ai solstizi, equinozi e segni zodiacali.
Figura 10 - L'attuale meridiana della Verna
di Guido Baracchi
Rispetto alle precedenti meridiane Mori introduce il
"meraviglioso grafico", probabilmente ispirandosi alla
linea meridiana di Milano, che permette la lettura dell'ora
esatta della nascita ed del tramonto del sole sull’orizzonte
delineato dalle colline e dai monti locali, indicata dallo
gnomone alle ore 11.15 di ogni giorno; i dati utilizzati per
tracciare questo grafico sono desunti da misure goniometriche dirette dell'orizzonte, effettuate dalla torre dell'Osservatorio Meteorologico di Palazzo Bini a Città di Castello, attuale sede dei laboratori dell'Istituto Professionale
di Stato per l'Industria e l'Artigianato.
Musicista e matematico, Luigi Mori vive un’esistenza
connotata da eventi forti, che ne segnano profondamente il
carattere senza però oscurarne la genialità ma questa è
un’altra storia che forse, un giorno, qualcuno si prenderà
la briga di raccontare.
Figura 11 - La meridiana della Pieve
di Micciano (AR)
Figura 12 - La meridiana dell'Agraria in
una foto d'epoca (proprietà Baroni)
Figura 9 - La meridiana della Verna di Luigi Mori in una foto d'epoca (foto
proprietà Baroni)
8
A conclusione, un bel sonetto sulla divisione del tempo:
N
on pago l’uom con publico rigore
aver l’empio uccisor di sua salute,
con rote penosissime ed acute
squarciato in giorni e lacerato in ore,
acceso ancor di novo sdegno il core,
lingue di ferro ora loquaci or mute
vibra contro il fellone e in più minute
parti il divide, e pur quel reo non more.
Non more ei no, moriam ben noi. Diviso
Ei non è già, ma noi da noi divide
E si ride di noi, da noi deriso.
È mago il tempo e con nov’arti infide
Lacerato da l’uom, da l’uomo ucciso,
lacera lacerato, ucciso uccide.
Giovan Leone Sempronio (1660 circa)
Tratto da Le parole e le ore, Sellerio
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"Waiting for the Sun”
Storia e disegni: Alessandro Bacchetta
Acquerelli: Andrea Fantechi"
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_________________________RACCONTO:
“In mezzo a”
________________di Marco Mencarelli______________
________________illustrazione di Francesca Bernuzzi______________
Aujourd'hui
Un bel giorno, oggi.
Dove andiamo?
Casa mia.
Duecentocinquanta chilometri ma, stranamente, sembreranno venti.
Qualcosa di speciale oggi.
La meta? Nota.
La compagnia? Forse.
Deve essere la vicinanza, il movimento, lo stupore.
Come ti senti?
Meravigliosamente.
Deve essere qualcosa che è nell’aria.
Tutto sembra nuovo, intatto, incontaminato.
Tutto sembra immobile, ecco.
Siamo partiti.
Sei sicura?
Certo, che domande.
Eppure tutto sembra ancora immobile.
L’inerzia, la sento.
E’ vero, ci muoviamo.
Sicuro di sentirti bene?
Mai stato meglio.
Sembri strano.
Sono strano, lo sai.
Intendo “strano”.
Sensazioni strane.
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Ho l’impressione di muovermi in maniera diversa, o meglio, è come se tutto si muovesse con me, con noi.
Non so che dire, alle tue stranezze ormai sono abituata.
Forse ti emoziona l’idea di visitare le mie terre.
Forse.
Tutto fuori comincia a miscelarsi.
Tutto muta e cambia forma.
Pur rendendomi conto di come ogni cosa rimanga al suo posto, permane con forza la sensazione che l’indiviso si direzioni arbitrariamente e senza far rumore.
Tutto muta e cambia forma.
E’ come se le cose, nel momento in cui mi allontano da loro, decidano scientemente di avvicinarsi a me.
Tutto muta e cambia forma.
Ancora stranezze?
Più che stranezze li definirei “sguardi che mi tradiscono”, manifestazioni, come sempre del resto, di un più ampio e
forse malato modo di carpire senza mordere.
Se fai così diventa difficile comunicare.
Forse, però diventa più facile capirsi.
Forse, forse, forse. Una certezza?
Magari.
Basta poco.
Forse basta ancora meno, è quello il problema.
Non so se rinunciare o se provare a prenderti sul serio.
Sii paziente.
Le cose si comportano come mai prima d’ora.
Ho l’impressione che tutto si stia movimentando, che tutto sia in uno stato di forte eccitazione.
Lente defibrillazioni.
Piccole pause e poi vita.
La direzione, quella si qualifica con certezza ma il resto.
Il resto lo devo immaginare.
L’immaginazione.
L’immaginazione è un arrendersi al tentativo di conoscere, di creare.
L’immaginazione è l’assassina della fantasia.
La fantasia.
La fantasia sì che aiuta.
La conclusione ai miei pensieri, comunque, è sempre un nulla di fatto, una sospensione che da estemporanea diventa
definitiva e certa.
Ecco, una certezza.
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La certezza di essere sospesi, come i pensieri.
La certezza di essere interamente contenuti nelle menti altrui o nella propria.
Poca è la differenza.
Tutto muta e cambia forma.
Il tentativo di conoscere, di saper nominare correttamente intendo, quello è il fine che annienta l’immaginario.
Lo sforzo di comprendere uccide, annulla, sfinisce.
Uccide l’immaginazione.
Annulla l’immaginazione.
Sfinisce l’immaginazione.
Tutto muta e cambia forma.
Demain
Entra, chiudi la porta e fai silenzio.
Buongiorno.
Buongiorno.
Le mani? Ci sono ancora?
Ancora.
I piedi?
Ci sono.
Labbra, orecchie, bocca?
Tutto al proprio posto.
Molto bene, andiamo.
In piedi, allora.
La strada da fare era davvero lunga, soprattutto per l’assenza di una meta precisa.
Ci incamminammo al mattino, il sole doveva ancora manifestarsi.
Tutto era in ombra, tutto era ombra.
L’oscurità stessa era ombra, in ombra.
Così, il moto può sembrare meno faticoso ma al contempo risulta più appagante, se lo si comprende.
Durante tutta la notte avevo dormito un sonno leggero, ricco di eventi allucinati ma al contempo, come ovvio, superfluamente privo di veglia.
La cosa strana, questa volta, era la viva e pesante presenza del ricordo.
La facilità con cui riportavo alla mente gli accadimenti onirici era davvero stupefacente, inusuale.
Non mi era mai capitato prima di allora.
Solitamente al risveglio tutto era nebuloso, offuscato dalla tenue luce della coscienza.
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Questa volta, a dispetto di altre, tutto era stranamente presente, vivo.
La cosa ancor più strana che i miei pensieri sottolineavano era la vigorosa presenza della componente emozionale,
sentita, lucida, ingombrante.
Nonostante la strada da fare fosse lunga, almeno credo, per un breve lasso di tempo rimasi concentrato sugli accadimenti verificatisi durante la mia lunga serrata degli occhi.
Tutto era necessario, me ne rendevo conto.
Non avrei potuto intraprendere il viaggio senza l’ausilio della notte ma allo stesso tempo avrei preferito non essermi
addormentato, anche se non ne comprendevo bene il motivo.
Tutto bene?
Deve essere l’assenza.
E’ sempre l’assenza.
Questo dovrebbe consolarmi? Non credo.
Cerca piuttosto di guardare avanti.
Prova a stupirti dei tuoi passi, disegnali, contali.
Il fatto di essere consapevole della direzione da prendere non mi premetterà comunque di stare tranquillo.
Forse non c’è bisogno che tu sia tranquillo.
Forse è la tempesta ciò che ti serve ora.
Non credo di essere in grado di affrontare contemporaneamente il viaggio e la tempesta.
Non sono così avventuriero.
Tu non hai la più pallida idea di chi o cosa tu sia, come non ce l’ho io e come nessuno l’avrà mai.
Credi?
Ovviamente ne sono certa, l’incertezza è qualcosa che preferisco lasciare in luoghi molto lontani.
Non so se riuscirò mai a vivere di certezze.
La fatica cominciava a farsi pesante ma ancor più pesante era la distanza che ci separava dal punto di partenza,
dall’origine.
Il sole si esibiva in cromie eccedenti le normali potenzialità degli occhi.
Nel movimento, e nel piacere procuratoci dall’assassinio della distanza, trovavamo la forza di armare i nostri piedi.
Tutto scorreva pedissequamente anche se le nostre energie cominciavano a venir meno.
E il mare?
Cosa c’entra ora il mare?
Il mare c’entra sempre.
Non riesco a fidarmi del mare.
Non riesco a galleggiare senza chiedermi come sia possibile non affondare.
Metafore, metafore e ancora metafore.
Non riesco a lasciarmi andare, in mare.
Forse, molto semplicemente, perché significherebbe morire.
17
Hier
Buongiorno.
Buongiorno.
E’ ora di alzarsi.
Di già?
Dobbiamo andare.
Il viaggio.
Quella mattina tutto si mosse lentamente fino alla porta scorrevole.
Solo di fronte al metallo della carrozza, nel momento in cui mi apprestavo a salire, solo e soltanto allora tutto riprese a
fluire in modo naturale.
Un viaggio, il primo.
Avevo sei anni.
Il mondo era un luogo più infinito che gigante e la distanza che mi separava dalla meta sembrava al contempo incolmabile ed insignificante.
Un salto, due, tre e mi trovai in carrozza.
Entrai in punta di piedi con un forte e tangibile senso di rispetto e di timore.
Le pareti erano altissime, i sedili erano dei sofà comodissimi ed il soffitto era ciò che di più distante si possa immaginare dal pavimento.
Tutto era grande, sovradimensionato.
Mio nonno si trovava al mio fianco.
Siediti.
Vicino al finestrino.
Continuavo a guardarmi intorno con fare intimidito.
La testa in mezzo alle spalle e gli occhi al cielo.
Non sapevo cosa aspettarmi.
Immaginavo di poter prendere il volo da un momento all’altro.
Immaginavo di poter viaggiare così velocemente da non poter più distinguere ciò che fuori tentava di mostrarsi.
Immaginavo scie di colori.
Immaginavo.
Un istante dopo, la stazione cominciò a muoversi mentre io restavo inspiegabilmente fermo.
Anche il prato si muoveva, gli alberi, le case, il cielo mentre io restavo stranamente fermo.
Tutto si muoveva mentre io restavo inspiegabilmente fermo.
Mio nonno con me.
Vedi, ci stiamo muovendo, siamo partiti.
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A me non pareva affatto.
Restavo stranamente fermo.
Il mondo, lui sì che si era messo in movimento.
Fuori tutto sembrava s-correre, tutto contribuiva a colmare la distanza ma noi restavamo inspiegabilmente fermi.
Io, il sofà, il soffitto, mio nonno e il suo giornale.
Tutti stranamente fermi.
Venti chilometri, la distanza da percorrere.
Il mondo si mosse per venti chilometri.
Sembravano duecentocinquanta, anche se non sapevo di preciso che differenza ci fosse tra venti chilometri e duecentocinquanta.
Lo avrei scoperto solo molto tempo dopo.
Siamo arrivati.
Noi?
E chi altro?
Il mondo di certo.
Il sofà, il soffitto, mio nonno e il suo giornale, non saprei.
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Portfolio
fotografie
di
Viola Cangi
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Gli autori:
Alessandro Bacchetta: nato il 12 dicembre 1986, vive a Città di Castello. Diplomato alla Scuola Internazionale di
Comics di Firenze nel 2009, studente di Lettere Moderne all'Università di Arezzo, scrive per Multiplayer.it,
Unseen64 e, sporadicamente, per Lo Spazio Bianco.
www.alessandrobacchetta.com
Francesca Bernuzzi: nata a Carrara il 12 ottobre 1984, vive per ora a Città di Castello e lavora per ora ad Arezzo.
E' socia dell'agenzia di booking Indie-Gestione Promotions.
Viola Cangi: studentessa diplomata all'Istituto d'arte di Sansepolcro dopo 5 anni di numerosi tentativi in campo
artistico. Frequenta ad oggi la facoltà di Moda e Design all’Università di Urbino. Gioca con la fotografia fin dai
primi anni delle superiori.
www.flickr.com/photos/violetberry/
Andrea Fantechi: amante dei pinguini, nasce a Firenze nel 1988, dove vive tuttora.
Diplomatosi alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze nel 2009, è iscritto alla Facoltà di Architettura e ha
praticato sport (adatti a un disegnatore!) come judo e rugby.
www.pingupingue.blogspot.com
Marco Mencarelli: nato a Città di Castello il 12 dicembre 1977, impiegato pubblico, vive e lavora per ora a Città
di Castello. Laureato in Lettere e Filosofia all'Università degli studi di Perugia
è membro del gruppo indie-rock Moleskin.
www.moleskin.it
Francesco Rosi: architetto libero professionista, vive e lavora a Città di Castello. Ha progettato e diretto il restauro
della Meridiana del Prof. Mori alla scuola Agraria.
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