ENNIO CORTESE l, Naturalmente Irnerio non fu una voce isolata, esplosa improyvisamente: dal silenzio. Da qualche decennio -diciamo dalla metà 'del secolo! XI all'incirca -un diffuso brusio era andato facendosi sempre più fOI-te nel mondo dei giuristi. Si sa bene, anzi,tutto, che cresceva in Italia l'entusiasmo per il diritto romano. Se, tra il vecchio e il nuovo millennio, il restaurato Impero aveva dapprima portato una ventata di germanesimo al di qua dalle Alpi -basti,leggere nel Capitulare italicum le norme di Ottone I .che rib;:idiscono la'prova giudiziale del duello nelle fattispecie più correnti, e tale prova per duello estendono ai soggetti di natio romana (c. 9 [lO]) -, sul finire; del secolo, invece, il vento comincia a spirare in altra direzione. L ",ormai famoso placito lombardo descritto da Radulfus Niger mostra ad esempio un Pepo che fa modificare una sentenza correttamente fonrlata sul diritto penale longobardo, vigente nel Re; gnum .;,Italiae, pe~" :adeguarla a un diritto romano-naturale libera, , mente fabbricato cQn materiali tratti da GiustiIÙano, dalla Bibbia e da 'lsidorol. ti : Colpisce anzitutto, in quest'episodio, la facilità con cui un collegio giudicante accantbna norme germaniche dell'ordinamento positivo del Regno. A tali ~orme positive i giudici avevano in un primo tempo irreprensibilmente:obbedito: è l'imperatore Enrico IV a lasciarsi con- * Il tes'to riproduce~ con qualche variante, la prolusione tenuta il 14 aprile 1988 a Ravenna al conve'gno Da Giustiniano a /rnerio, svolto nel quadro delle manifestazioni per il,' nono centenario dell'Università di Bologna. Comparirà anche negli Atti relativi. l L. Schmugge, 'C'odicis Iustiniani et Institutionum baiulus. Eine neue Quelle zu Magister Pepo von Bologna', /us Coinmune 6 (1977) 3. Ho segnalato la strana mescolanza delle fonti, e le curiose premesse mentali rivelate dal Pepo del placito lombardo, in 'Tra glossa, commento e umanesimo', Studi senesi 104 (1992) 458-503 (lavoro dedicato a D. Maffei, che apparirà anche nella raccol ta di scri tti i n suo onore). 7 ,'""" ~~ -,,~;.:'X':;;:.:;:;::~ 1-::-;11.'10COI{TI-:SE vincere da Pepo e a convincere a sua volta il tribunale a calpestarle. Occorre dire, tuttavia, che si tratta di un caso, a quanto se ne sa. isolato. Qualche anno dopo. nel 1098 a Garfagnolo. taluni autorevoli giudici toscani decideranno invece in prima battuta sulla scorta di testimonianze giurate e di precetti imperiali. ossia secondo i principi probatorii romani, e sarà la contessa Matilde a intervenire per dare alla parte soccombente che ne aveva fatto richiesta la possibilità di espcrire la prova per duello. ai sensi del diritto germanico vigente. di quei capitularia italica di Ottone I ai quali si è accennato2. In secondo luogo sorprende. nel placito di Enrico IV. il modello singolare di diritto romano che viene presentato da Pep~. È una miscela in cui l.elemento prevalente è un diritto naturale di stampo chiaramente ecclesiastico. quindi convergente con il ius divinum. Non che la cosa sia proprio rivoluzionaria. In realtà, l'abbraccio tra le leggi di Roma e della Chiesa era fenomeno largamente scontato; se n.eran mostrate consapevoli anche la prassi notarile e le cancellerie sovrane. Da un canto, infatti. si conoscono bene i documenti che dopo il Mille a Gaeta3 -ma stranamente con l'uso di formulari correnti antece- '2 Il notissimo placito, edito più volte a partir dal Muratori, è oggi in Manaresi, I piaciti del "Regnum Italiae- (Fonti per la storia d'Italia 111.2; Roma 1960) nr. 478, 432-434. Usava richiamarlo come presunta prova di un conservatorismo filogermanico della contessa: cfr. ad es. U. Gualazzini, La scuola giuro reggiana nel Medio Evo con appendice di documenti e testi (Milano 1952) 39 s.; G. De Vergottini, 'Lo Studio di Bologna l'Impero, il Papato', Sto e Mem. per la sto dell'Univo di Bologna, n. ser., 1 (1956) 28, ora in Scritti di storia del dir. ital., a cura di G. Rossi (Milano 1977) II, 708 s. O comunque di una sua presa di posizione politica in chiave antiromanistica (A. Padoa Schioppa, 'Le rale du droit savant dans quelques nctes judicinires italiens des Xle et Xlle siècles', Con. f1uence des droits .çauants et des pratiques juridiques. Actes du colloque de Montpellier... [Milano 1979J 352.355, trad. ital. 'Il ruolo...', Nuova Riv. stor. 64 (1980J 273.275). Ma ora l'episodio è COITettamente descritto come la regolare applicazione di una norma di diritto positivo vigente, appunto il capitulare italicum ottoniono (G. Nicolaj, Cultura e prassi di notai preirneriani. Alle origini del Rina.çcimento giuridico [Ius Nostrum 19; Milono 1991] 73 s. e nt. 196). Contrariamente a quanto io stesso avevo creduto ('Legisti, canonisti e feudisti: 10 formazione di un ceto medievale', Università e società nei secoli XII. XVI. Atti del nono convegno internazionale di studio tenuto a Pistoia..., [Pistoio 1982] 202), l'intervento di Matilde non fu dovuto all'esigenza di far applicare il principio della personalità della legge. 3 La formula "auctoritas valet ecclesiastica et lex precipit romana" ricorre, naturalmente con varianti, in taluni dei documenti riportati da F. Branwleone, 'La "stipulatio" nell'età imperiale romana e durante il Medio Evo', RSDI 8 ':;:;:;~~~;~~';~:.,j.~:';~;f.i"';"" Al!.!-: ORIGINI DI.:I.I..A SCUOI.l\ ()( IIOI.O(~;-,',\ dentemente in Francia4 -invocano l'auctorita,ç ecclesiastica insieme con le leggi rom'ane quale presidio congiunto di donazioni e te:' stamenti. D'altro canto si vede l'imperatore Enrico II nel 10475 interpretare una cdstituzione del Codice giustinianeo facendo dichiaratamente leva su entrambi i diritti: "utriusque divinae videlicet et humanae legis intentione servata". L'XI secolo, dice tra gli altri Calasso, è insomma il tempo dell'utraque lex6. Nel secolo seguente, invece, a proclamare l'unione dei due sistemi nell'utraque lex --'- ossia, alla fin dei conti, la derogabilità del diritto civile da parte del canonico -resteranno quasi soltanto i canonisti. La distinctio X di Graziano sancirà il principio che il diritto romano, pur da privilegiare come la maggiore delle leges saeculi, vada tuttavia scartato nel caso di çontraddizione con norme canoniche. Tale principio, nel XII secolo, porterà tanto nitidamente impresso il marchio della Chiesa da suggerire che le redazioni francesi definitive del Libro l (1928) ora in F. B., Scritti di sto del dir. privo ital. (Bologna 1931) II, 509 S., 515526. Ne è stato colpito F. Calasso, Medio Evo del dir. (Milano 1954) 229. 4 G. Yismara, C"Leges" e "canones" negli atti privoti delj'olto Medioevo: influssi provenzali in Italia', Studia Gratiana 20 (1976 = Mélanges Fransen II), ora in G. V., Scritti di sto giuro II (Milano 1987) 3-47. In questo medesimo lavoro il Vismara segnala anche suggestivi atti milanesi che sin dai primi anni del X secolo richiamano' insieme l'ordine canonico e quello legale (Scritti, II, 18 s.). " ' 6 Enrico II a Rimi~i rilasciò, dietro richiesta, l'interpretatio principis di C. 1.3.25.1, circa l'esenzione dei chierici dal iusiurandum calumniae (MGH, Const., I, nr. 50, 96 s.). Sul celebre episodio, in cui tra l'altro venne ufficial. mente ammessa la aerogabilità delle leges da parte dei canones, cfr. già Savigny, II, 224 e nt. b, trad. Bollati, I, 412. La costituzione di Rimini fu introdotta nel Liber Papiensis, ove però restò priva di expositio, e nella Lombarda (11.47 de advocatis, 12). La rilanciò ripetendone il testo pari pari Onorio II tra il 1125 e il 1130 (Jaffé-Loewenfeld 7401_[5316]); la sua decretal~ venne inserita nello Compilatio I (1.35.1) e nel Liber Extra (X.2. 7.1). Mss. indicati do S. Kuttner, Repertoriumider Kanonistik (1140-1234) (Città del Vaticano 1937 = 1972) 273. Dopo il vedchio studio di A. Gaudenzi, 'La costituzione di Onorio II sul giuramento di calunnia e la Lombarda, legge imperiale di Enrico V', Quell~n u. Forsch. aus 'ital. Arch. u. Bibl. 14 (1912) 267.286, cfr. P. Legendre, 'Le droit romain,' modèle et langage. De la signification de l'Utrumque ius', Études... Le Bras (Paris 1965) li, 914 nt. 4, ora in P. L., Ecrits juridiques du Moyen Age occidental.:(Variorum; London 1988) VIII; E. Cortese, 'Lex, aequi. tas, utrumque ius 'nella prima civilistica', -Lex et iustitia- nell'utrumque ius: radici antiche e prospettiue attuali ("Utrumque Ius". Collectio Pontificiae Universitatis Lateranensis' 20; Città del Vaticano 1989) 96 s. 6 F. Calasso, Medio Evo del dir., 232 s. 9 o:.;~4:i~: 1-:'-':'-':10 COHTI-:SE di Tubinga e delle Exceptiones Petri -ove la regola è proclamata ad alta voce7 -oltre ad aver probabilmente utilizzato fonti di età gregoriana, siano in realtà collezioni di norme romane fatte in centri canonistici. A questo tipO,di c?llezioni, d'altronde, la Chiesa era usa ricorrere ab immemorabili, almeno dall'epoca in cui, per esempio, aveva compilato per l'Italia settentrionale la Lex Romana canonice compia. Ma ritorniamo al secolo XI. Accanto alle apparizioni dell'utraque lex si scorgono però anche segni dell'emersione di un diritto romano intollerante di condizionamenti dal canonico. Affiorano cioè le prime tracce di una scienza che per amore di Giustiniano' si stacca dalla prassi. Nel famoso episodio della disputa ravennate del 1045, quei giudici e avvocati che se la prendevano con S. Pier Damiani si rifiutavano di computare i gradi di parentela altrimenti che secondo il metodo romano, e non volevano sentir parlare del m'et~do canonico8. La questione dovette esser grave e dibattuta a lungo, finché la Chiesa optò per una soluzione di compromesso: si usasse il computo romano nelle 7 Sia nel prologo -che dedica l'opera a giudici e avvocati perché agiscano "utriusque iuris, naturalis videlicet et civilis, ratione perspecta" -sia nel c. 61 del Libro di Tubinga = Exceptiones 1.2, che giustifica la derogabilità delle leges da parte dei canoni deducendola da Giustiniano (dalla costo 119.1 dell'Epitome I uliani). Si può notare che il ragionamento suona identico a quello fatto nel 1047 da Enrico II nella cito costituzione di Rimini: il che potrebbe valere come indizio, tra gli altri, dell'utilizzazione di fonti italiane preirneriane da parte del successivo redattore francese delle collezioni. Qualche considerazione su altre raccolte che, tra XII e inizio del XIII secolo, si collegano alle Exceptiones, in Cortese, 'Lex, aequitas, utrumque ius' (cfr. nt. 5) 99-101 nt. Il. Anche per la cosiddetta Summa Vindocinensis andrebbe posto il problema dei legami con il mondo canonistico. La preferenza data al computo canonico dei gradi di parentela (E. Seckel -E. Genzmer. 'Die Summa Vindocinensis', r"ibhandlungen der preus.ç. Akad. der Wissenschaften [Berlin 1939] nr. 3, 12 nt. 5: "sane secundum canones in eodem gradu sunt pater et filius; ergo idem riunc censeri debet secundum leges. ait enim imperator: non dedignamur nostras leges imitaTi sacros canones") tocca troppo da vicino un tema tipico della vecchia polemica corrente tra romanisti ed ecclesiastici, perché si possa sorvolare sul fatto che l'ignoto autore si schiera decisamente sulle posizioni estreme della Chiesa. Posi,zioni in apparenza ancor più integraliste e intransigenti di quelle prospettate da papi e da concili nella prima metà del XII secolo ed eccezionalmente recepite, come si vedrà ora, da quello spiritualis homo ch'era Martino. 8 Si allude, ovviamente, IV.2 nt. c, trad. Bollati 10 II.15. alla disputa ravennate resa celebre dal Savigny, AI.l.l'; OI{ICINII)I';I~I.A SClJOIJ\ ()IIlOI.OCNA successioni ereditarie, quello canonico nelle applicazioni del divieto di matrimonio tra parenti. Tra i romanisti della scuola di Bologna tale soluzione canonistica sembra ave'r fatto presa soltanto su Martin09. Un personaggio che nell'alma mater dell'età di Azzone sarà circondato dall'aureola di una certa eterodossia: ed era cosa in effetti eterodossa, per un puro esegeta bolognese, ~estar fedele all'antica tradizione dell'utraque lex preirnerianalO. A ben vedere, però, non si trattava di un atteggiamento eversivo delle leges: perché il giurista teneva a rilevare che il, compromesso c'anonico obbediva a Giustiniano sul punto dove questi legiferava -o'ssia nel tema delle successioni mortis causa -e si limitava a completarloov'egli taceva, cioè nei divieti matrimoniali. Era, a ogni modo, ~a soluzione òstica ai legisti di Bologna. Verrebbe addirittura da supporre che Martino abbia. difeso l'opinione -o almeno l'abbia maturatameno -nelinnovatrice. corso di un insegnamento in. qualche altra scuola padana . Perché,in effetti nella futura alma mater, a partire da Irnerio e soprattutto da Bulgaro, si comincia a impostare una scienza giuridica dal v6lto nuovo: tutta dedita al solo testo giustinianeo, essa -almeno a quanto drce l'apparenza, e salvi pochi episodi oltretutto non sicuramente bolognesi, come quello di Martino -abbandona nelle mani dei canonisti 1'1,lfficio di difendere la vecchia unità del sistema dell'utraque lex. i' 9 Nella fariiosa glassa de computatione graduum edita dal Kantorowicz (H. Kantorowicz l'OW. W. Buckland, Studies in the Glossators or the Roman Law [Cambridge 1938 = Aalen 1969] 253 s.) in cui sono appunto richiamati da collezioni anterioH a quella grazianea un cosiddetto, e discusso, re.çpon.çum di Gregorio Maghot una falsa epistola di papa Fabiano e specialmente una decretale di Alessandro II (Kantorowicz, Glossator.ç, 92 s., con le correzioni indicate da P. Weimat:nelle nt. 140-145 aggiunte alla rist. del 1969; inoltre S. Kuttner, 'Zur neuesten: Glossatorenforschung', in Si. et Doc. Rist. et /uris 6 [1940], ora in Studies irl the Ristory or Medieual Canon Law [Variorum; Aldershot, Hampshire -Brookfield, Vermont, 1990] 1290-294). lO Il 'conservatori smo' di Marti no, opposto all'atteggi amen to 'rivoluzionario' di Bulgaro, è stato acutamente individuato da B. Paradisi, 'Diritto canonico e tendenze di scuola nei glossatori da Irnerio ad Accursio', Studi medievali, 111ser., 6.2 (1965) 205-208 (51-54 dell'estr.), ora in B. P., Studi .çul Medioeuo giuridico (1st. stor. ital. per il M. E. Studi storici 163-173; Roma 1987) II 577-580. 11 i~;;'4;;~I."' i~f;:i;i ~NNIO CORTESE 2. D'altronde la stessa concezione del diritto romano come ius commune non fu congenialè alla prima scienza romanistica, né a Bologna, né in altra scuola. Lungi dall'essere stata l'invenzione d'Irnerio e dei suoi allievi, questi sembrano al contrario averla lasciata cadere. E averle preferito l'idea che il diritto rom~o fosse l'unum ius con il quale nessun altro ordinamento dovesse ardire di concorrere. Era in realtà, quella del ius commune, una concezione dalle radici lontane, cara ab antiquo al mondo germanico. La presupponeva, in nuce, già nel 619 il concilio di Siviglia quando chiamava la legge romana lex mundialis11, e in piena età carolingia Benedetto Diacono quando la diceva omnium humanarum mater legumJ2: sicché, oltre due secoli più tardi, allorché l'expositor ad librum Papiensem ne proclamava l'efficacia di lex generalis omnium predicava cose vecchie13. Anzi, si mostrava egli stesso tanto consapevole dell'antichità del fenomeno da dir che già Rotari aveva inteso la legge romana come sussidiaria di quella lorigobarda: né va escluso che, se non per la parti- Il Conc. Hispal II, c. l e c. 3, che richiamano rispettivamente l'isti tuto del postliminio di C. Th. 5.5.2 e l'inamoVibilità dei coloni sancita da C. Th. 5.10.1 (costituzioni che si leggono nella Lex Romana Wisigothorum): ed. dei canoni in lo. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, X (Florentiae 1764) 557 e 558. I passi sono noti per essere stati segnalati dal Savigny, I, 227 s. nt. a, trad. Bollati, I, 441 e in séguito da M. Conrat (Cohn), Geschichte der Quellen und Literatur dea romischen Rechts im fruhen Mittelalter (Leipzig 1891 = Aalen 1963) 14 nt. l. 12Benedicti Capitul. Add. IV, c. 160, in MGH, Leges, II.2, p. 156. La definizione è di Benedetto Levita stesso, pacché"non ricorre nelle sue fonti. il richiamo è a C. Th. 9.7.6 che prevede la:;penacapitale pèr i reati sessuali contro natura, pena che il falso capitolare preten4e d'introdurre nell'ordinamento franco. Si veda K. Neumeyer, Diegemeinrechtliche EntwickeIung des interna-.tionalen Privat- und Strafrechts bis Bartolus, I (Munchen 1901 = Berlin 1969) 50~54. ,. 13Non altrimenti di come aveva fatto il concilio di Siviglia del 619, l'expositor vedeva dunque un'efficacia mundialis della Iex romana, e non un suo mero coordinamento con la longobarda (J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und iVfr'f" :,1;"" 11':"1' Rechtsgesch. ltaliens, III [Innsbruck 1872 = Aalen 1961] 68). Patetta sottolinea che l'enunciazione si ritrova già nel maestri antiqui (F. Patetta, 'Sull'introduzione del Digesto a Bologna e sulla diVisione bolognese .in quattro parti', Riu. ital. sc. giuro 14 [1892], ora in Studi sulle fonti giuridiche medievali [Torino 1967] 201 nt. 1, con richiamo dell'Exp. a Guido 5, § 4); Il principio, come tutti sanno, è ripetuto frequentemente (Exp. a Roth. 1, § 4; Roth. 172; Roth. 221, 1~J!i\t.t. § 5; Oth. I, 4, § 3). 12 tI'I,'~; .,;~; ALLE ORIGINI DELLA SCUOLA [}t-flOLOCNA colare fattispecie processuale che adduceva, almeno nelle grandi linee cogliesse nel vero14. L'espressione stessa lex communis -dal valore correlativo e antitetico a quello di 'legge ad ,applicazione circoscritta' -è familiare al linguaggio dell'alto Medioevo germanico e, tra XI e XII secolo, quell'espressione continua a essere usata nella cancelleria germanica di Enri~o V. Ma non nella scuola irneriana: malgrado l'espressione equipollente ius commune ricorresse sia in un passo di Ulpiano a proposito del ius naturale (D. 1.1.6), sia nella celebre Omnes populi di Gaio (D. 1.1.9) con~riferimento al ius gentium: in entrambi i casi con valore correlativo-arttitetico al ius civile, definito come il ius proprium di ciascuna città. È davvero strano che varie generazioni di maestri italiani del XII secolo passassero con indifferenza persino sul frammento di Gaio, che pure sembra ~atto apposta per illustrare un sistema composito di diritto romano uruversale e di quei iura propria cittadini dei quali l'Italia e la Provenza cominciavano a essere fornite. Invece gli iura dei Comuni, peraltro ancora embrionali, furono tutt'al più forzati dalla scuola a fare capolino -e fuggevolmente -nel gioco dell'abituale antitesi tra [ex e consuetudo, che aveva il pregio di essere ben descritta dal diritto giustinianeo. Perché gli statuti, nella loro veste di ordinamenti autonomi posti dagli organi costituzionali cittadini, fossero chiamati leges' e fossero fatti oggetto a sé di scienza dovette pas~ar del tempo. : . Un uso antichissimo dell'espressione lex communis rimanda invece all'età carolingia, ch'è appunto l'epoca del più complicato intrecciarsi di numerosi ordinamenti. L'impero di Carlo da una parte non lesina prfi-fntire per preservare le antiche tradizioni nazionali dei singoli popoli, dall'altra le aggiorna e le coordina con precetti nuovi: secondo metodi di cui si vedono -è vero -i prodromi già nella tarda antichità e nel periodo longobardo, ma che ai tempi dell'Impero di Carlo esa~per~no oltre ogni ..limite la tumultuosa concorrenza delle fonti. Moltepli:ci 'leggi' popolari sono costrette a convivere e nel contempo a integt~si con capitularia imperiali o regi, e finiscono col sollevare polveroni di cui taluno, come il vescovo Agobardo, si lamenta. , , 14Exp. a Roth. 359, § 4: "...ideoque, quando Rotharis leges suas componeTe cepit, qualiter suarum legum placita diffinirentur non ubique diffinivit, sed secundum legis Romanae diffinitionem dimisi t...". 13 E "NIO COI~TI-;SE Ed ecco che un frammento d'ignota f~ttura, gabellato poi come un Capitulare italicum e aggiunto, nei manoscritti del Liber Papien.)is, ora al complesso di Carlo Magno (c.143), ora al successivo di Pipino (c. 46), spiega che l'uso del)e leggi proprie da parte dei longobardi e dei romani va limitato alle successioni ereditarie, alle documentazioni scritte, ai modi di giurare e alle compositiones.pecuniarie. E poi conclude: "de ceteris vero causis communi lege vivamus, quam domnus excellentissimus Karolus rex Francorum atque Longobardorum in edicto adiunxit". La qualifica di rex Longobardorum attribuita a Carlo Magno fa supporre che il brano sia stato scritto tra il 774 e quel 781 in cui Pipino fu fatto rex ltalie e quindi Carlo smise di farsi chiamare re dei Longobardi. L'espressione lex communis fa così un'apparizione naturale nel contesto tutt.o germanico della pl.uralità carolingia degli ordinamenti e della loro integrazione. Il passo è ben noto, né è l'unico a svelare come l'alto Medioevo germanico sapesse della dialettica tra diritti dall'efficacia generale o comune e altri dall'efficacia nazionale o locale. Lasciamo passar tre secoli. La contrapposizione logica tra una categoria di leggi comuni a tutte le città di un regno -un ius commune legitimum che non è, si badi, il romano -e un'altra categoria di norme consuetudinarie, specifiche di un luogo, compare nella cancelleria di Enrico V, in un privilegio dato alla città di Strasburgo. Si tratta di una disposizione dell'età irneriana, emanata anzi in quello stesso anno 1119 al quale risale la scomunica lanciata dal concilio di Reims contro il sovrano, la sua corte e Irnerio, a séguito della sfortunata difesa dell'antipapa Maurizio Burdino l'anno precedente. Con quel precetto Strasburgo si vede restituire, in materia di commercio, un ius civile et omnibu.<;, commune che viene contrapposto al ius con.\'uetudinarium 'lOTI autem legitimum secondo il quale si era regolata per l'innanzi la città 15. Un linguaggio tanto singolare ha attirato l'attenzione della storiografia -ma, per la verità, con riguardo alle parole "ius consuetudinarium" -e ha fatto congetturare l'intervento o l'influenza di un maestro del calibro d'Irnerio: si è pensato in15 Il confronto dialettica tra un ius commune intercittadino e un ius con- suetudinarium cittadino del documento di Strasburgo è stato messo in risalto da H. Krause. 'Kanigtum und Rechtsordnung in der Zeit der sachsischen und salischen Herrscher'. ZRG Gerrn. Abt. 82 (1965) 13. 14 I\I.I.I~ OI~I(~I1\"1 01,;1.(.,\ SCUOI.A [)f--H.()(.OG1\"A fatti che q1..l~$ti,dopo essere entrato al séguito dell'imperatore subito dopo la sua '~iscesa in Italia nel 1116, potesse averlo accompagnato oltr'Alpe dopo lo sfortunato episodio della difesa dell'antipapa, tanto più che le s,comuniche incombenti rappresentavano per il giurista una minaéc~a 16. Che Irn:'eri'o abbia ispiratb la norma argentinense, per quanto in sé possibile,;non è comunque probabile, né molto rilevante. La cancel~eria imperià1e poteva benissimo aver fatto tutto da sé: il suo linguaggio evocava çoncetti, come si è visto, propri di una tradizione germanica antica; !e, quanto alla forma, qualche nuova eco romanistica poteva e~sere il; frutto del perfezionarpento tecnico da tempo perseguito: alle fonti giustinianee la cancellerip imperiale usava infatti rivolgersi almeno dagli anni '80 del secolo precedente, dal tempo di Enrico IV, dei falsi detti ravennati, della Defensio Henrici regis. Insomma, il document.o del1119 per Strasburgo può benissimo esser visto come l'espressione di una cultura cancelleresca originale e, tra gli ultimi anni dell'XI secolo e i primi del seguente, in qualche misura alternativa di quella scolastica italiana. La quale invece continuerà fino alle soglie del Duecento a occuparsi di lex è consuetudo17 sotto il solo profilo ermeneutico delle fonti giustinianee., e ignorerà sia l'esistenza del vecchio ordinamento del Regno d'Italia, sia il fatto nuovo delle autonomie cittadine. Queste ultime -è vero' non potevano acquistare spicco se non dopo le vittoriose lotte antifedericiane dei Comuni e con la pace di Costanza: mentre, prima di tale pace -ch'è formalmente un priuilegium con, , , " .. 16 Così J. Fri'ed, 'Die Rezeption bologneser Wissenschaft in Deutschland wahrend des 12. Jahrhunderts', Viator 21 (1990) 136 (alle indicazioni bibliogrnfiche di nt. 189 si aggiunga G. Pace, "'Garnerius Theutonicus". Nuove fonti su Irnerio e i "quattro dottori"', RIDC 2 [1991] 129 nt. 19). n punto che ha colpito maggiorment~ il iFried è stato tuttavia l'uso precoce dell'espressione ius consuetudinarium,: un uso sul quale aveva da poco attirato j'attenzionl" A. Gouron, 'Sur les origines de l'expression "droit coutumier"', Gio.çsae 1 (1988) 179-188. In r~altà non è di minore interesse la qualifica di questo ius consue/udinarium con'\e non legitimum e di quello omnibus commune come ius civile. 17E. Corte~e, La norma giuridica. Spunti teorici nel Diritto comun~ classico (Ius Nostrum :6.I1; Milano 1964) 101-161; A. Gouron, 'Sur les origines' 179-181 (cfr. nt. 16). I:l: Gobron (ivi, 187 s.) ha llJ'lche individuato acutamente, forse in Giovanni Bassiano, comunque nei canohisti e legisti tra XII e XIII secolo, il passaggio dell'antitesi tra lex e consuetudo dal piano astratto della teoria delle fonti, svolta in via ermeneutica scolastica, a quello concreto del dibattito sui problemi attuali posti da ordinamenti autonomi. 15 i! i: :' E~IO COltTESE cesso alle città -rientra tutto compreso nella logica che la politica federiciana del recupero delle regalie e della restaurazione della sovranità imperiale influenzasse la dottrina. Eppure, non si può fare a meno di essere colpiti ;dalla viplenza con cui tal une. voci di maestri addirittura sconfessano la realtà di fatto, e condannan'O con giri di elucubrazioni quella pluralità di ordinamenti che, lo si volesse o non, improntava la prassi. È ovvio che il pensiero corre alle Questiones de iuris sublililalibus: al loro ripudiare ogni coesistenza del diritto romano con le leggi germaniche accolte in Italia dalla tradizione, alloro sdegnoso svalutare l'autorità degli statuti comunali al rango della semplice autorevolezza: tale cioè da esigere soltanto un'osservanza pari a quella che si tributa alle regole delle-arti liberali18. Per concludere: non è la neonata scienza romanistica a teorizzare la trama delle fonti concorrenti nel sistema del diritto comune. I germi di tale concezione discendono dal mondo germanico dell'alto Medioevo e vengono ripresi, intorno all'età irneriana, da scuole longobardistiche e da culture cancelleresche: che tutt'al più li dirozzano al setaccio tecnico del diri tto romano risorgente. Solo col passar dei decenni, e dietro la pressione della pratica, l'alta scienza si piegherà a importare nelle aule degli Studia i meccanismi del ius commune: di quel sistema che molta storiografia presenk'1 come il quadro entro il quale si svolse la dottrina medievale. 3. Il Digesto è uno dei protagonisti principali delle vicende del diritto tra tardo XI e inizio del :xII secolo. Che Irnerio abbia, per primo, cominciato a studiarne il testo fu certo una delle ragioni del salto di qualità compiuto dalla sua didattica. È ben noto che della riemersione di quel grosso libro -un fenomeno tra i più oscuri -a stento si intravvedono tal un e tappe. Sepolto sotto la polvere più o meno dal tempo dell'ultima notizia sicura che abbiamo del suo uso -quella offerta nel commonitorium di Gregorio 18 l celebenimi passi delle Questiones mostrano una notevole aderenza alla real tà politica nelle domande dell'allievo, una forte dose di astrazione nelle risposte dell'interprete (cfr. il brano sui diritti germanici e dei regni nell'ed. Zanetti, II de iUTe nat., §§ 14-16, p. 15 s.; ed. Fitting, I, p. 56 s.; l'altro sugli statuti comunali precede immediatamente, §§ 10-13, ed. Zanetti p. 13 s., ed. Fitting 16 p. S5 s.). - ALLE ORIGINI DEU.A SCUOLA DI BOLOGNA Magno dell'agosto 60319 -, lo si vede riapparire all'improvviso, e come testo j.llo'rmativo applicato in giudizio, nel placito di Marturi del 1076, celebratissimo sin dal Settecent02O, Il testo ulpianeo che viene l' richiamato! in quel processo è raffinato, descrive un istituto non corrente ed è tutt'altro che "grossly misunderstood", come invece ~orrebbe il Kantorowicz21. La citazione è precisa quanto al contenuto della norma "per quam copiam magistratus non habentibus restitutionem in integrum pretor pollicetur". Ma è elusiva nella forma. Se la cava riferendo che il missus aveva emanato la sentenza "lege Digestorum libris inserta considerata": e così non fornisce alcun dato per' agevolare il: reperimento del pezzo. 19 Ed. D. Norherg, S. Gregorii Magni Opera. Registrum epistularum libri VIII-XIV, Appendix, in Corpus Christianorum. Series lat. CXL A, Registrum XIII, ep. 49 (Turnholti 1982) 1063; anche la vecchia ed. Ewald-Hartmann in MGH, Beati ;Gregorii Eegistrum, II, lib xiii, ep."50. La citazione indica il numero progressivo del libro del Digesto -chiamato appunto Degest. -e individua il titolo non con il numero ma con la rubrica. n frammento, poi, è identificato con l'inscriptio alla quale segue l'incipit del testo (Cfr. Mor, '11 Digesto nell'età preirneriana e la formazione della "vulgata"', Per il XIV Centenario delle Pandette e :del Codice di Giustiniano [Pavia 1934] ora in C.G. Mor, Scritti di storia giuridica altomedievale [Pisa 1977] 95; ivi anche bibliografia prece. dente). Si sa :che C.G. Mor ha tentato di dimostrare che, malgrado il Digesto fosse indubbiamente troppo ingombrante per le limitate esigenze altomedie. vali, ne sia stnto fatto tuttavia un qualche modesto uso, magari per il tramite di epitomi, anche nei secoli precedenti l'XI (lI Digesto nell'età preirneriana). 20 Si vedan,o i dati esibiti da P. Fiorelli, 'Clarum Bononiensium lumen', Per Francesco Calasso. Studi degli allievi (Roma 1978) 419 s. Sulla prima edizione del placito an'che. E. Spagnesi in Le Pandette di Giustiniano. Storia e fortuna della "Littera FlorentinaW (catalogo della mostra di codici e documenti, Firenze 24.6 -31.8.1983; Firenze 1983) nr. 137, p. 99. L'ed. moderna di C. Manaresi è nei suoi PIaciti del "Regnum ItaliaeW, 111.1, nr. 437 (cfr. nt. 2), pp. 333-335. 21 Si tratta, com'è noto, di D. 4.6.26.4 che prevede la restitutio in integrum anche dei maggiorenni nei casi di difetto di giurisdizione: e appunto il monastero di Marturi, che rivendicava beni' usurpati da lunghissimo tempo, poteva allegare la on)essa o denegata giustizia da parte della corte di Canossa. Quest'ultima circostanza risulta dal frammento d'una notitia redatta da un mo. naco e pubblicata da W. Kurze, 'Die Grundung des Klosters Marturi im Elsatal', Quellen u. Forsch. aus ital. Arch. u. Bibliotheken 49 (1969) 271 s., con descrizione 239 s~ Non ne era al corrente il Kantorowicz quando ritenne il testo mal compreso dagli avvocati e dai giudici di Marturi (H. Kantorowicz, 'An English Theologian's View of Roman Law: Pepo, Irnerius, Ralph Niger', uscito postumo in Medieval and Renaissance Studies 1 [1941 ma 1943], ora in H. K., Rechtshistorische Schriften, a cura di H. Coing e G. lmmel [Karlsruhe 1970] 234. Ma cfr. già il suo Vber die Entstehung der Digestenvulgata, ed. separata [Weimar 1910] 108 s.). 17 ElI."NIO CORTESE Non è solo in Toscana, peraltro, che le preziose Pandette fanno capolino nel tardo secolo Xl. Si è notato ripetutamente che qualche sporadica e vaga conoscenza dovettero averne sia l'expositor ad Librum Papiensem22, sia i primi anonimi glossatori delle Istituzioni23. È difficilissimo datare le 22 Le utilizzazioni del Digesto da parte dell'expositor sono state elencate già dal Boretius, nella prefazione al Liber Papiensis, in MCH, Leges, IV, lxxxix. Quanto salta agli occhi è che per ben due volte l'expositor si riferisca genericamente alla lex Romana (l'Exp. a Oth. 111, c. un., cita come lex Romana un incerto riassunto di D. 2.12.1 e 3: l'Exp. a Liut. 72, § 1 riproduce Uiuxta Romanorum legem" l'inc. dell'editto pretorio riportato in D. 4.3.1.1): alimentando cosi il dubbio che traesse da una collezione di Lex Romana: Un'unica volta il Digesto è nominato -"legitur enim in Digestis" -quando si riporta testualmente, seppur con varianti nella disposizione delle parole, la definizione di D. 50.16.94 (Exp. a Roth. 200, § 5). 23 A1meno la glossa ~oloniense dovrebbe esser d'origine lombarda: oltre le ci taziòni di Milano e di Pavia contenute nelle false costituzioni scritte dalla stessa mano in appendice, sono stati avvertiti, infatti, legami teorici con l'Expositio e con il suo ambiente (da ultimo G. Diurni, L'Expositio ad Librum Papiensem e la scienza giuridica preirneriana [Bibl. della Riv. di sto del dir. ital. 23; Roma 1976] 107 s.). I vari apparati alle Istituzioni denunciano a loro volta legami tra loro (osservati dal Patetta ed elencati da A. A1berti, Ricerche su alcune Closse alle Istituzioni e sulla "summa 1nstitutionumpseudoirneriana [Pubbl. dell'1st. di sc. giur., econ., pol., e soc. dell'Univo di Messina, 5: Milano 1935] 21-94). Quanto ai richiami del Digesto, le glosse coloniensi ne presentano cinque (elencati dall'editore M. Conrat [Cohn], 'La glossa di Colonia alle Istituzioni', Arch. giuro 34 [1885] 120, cfr. anche il secondo editore H. Fitting, Die 1nstitutionenglossen des Cualcausus [Berlin 1891] 39-42): in generale sono citazioni anodine (Uut in principio digestorum legitur", Uut in digestis", Uut in digestis legitur"). Una volta però richiamano, con una certa approssimazione, non si sa bene se una rubrica o un frammento (Uut in rusticorum prediorum capitulo legitur" [D. 8.3 oppure 8.3.1]) e -secondo una nota abitudine terminologica riscontrata non solo prima d'Irnerio, ma anche talora dopo -parlan di capitulum; un'altra volta si spingono a indicare l'inscriptio del frammento (Uquod in digesti<s> legitllr Gajus libro II institutionum"). Dell'inscriptio si faceva in effetti ab antiquo molto caso: anche Gregorio Magno nel 603 (supra nt. 19), seppur dopo aver citnto correttamente il libro e il titolo, aveva indicatv il frammento del Dig(~s':,()trascrivendone l'inscriptio (UModestinus lib. xii pan~ictarum"); all'inscriptio continua sistematicamente a ricorrere, per citare i passi del Digesto, anche il cosiddetto Libro di Ashburnham. Le stesse osservazioni si possono fare, e il ~atetta ha già fatte, a proposito del ms. di Casamari, oggi' sessoriano 110 (che presenta le medesime caratteristiche sia del rinvio generico al Digesto, sia alla sola rubrica, sia infine all'inscriptio: Patetta, 'Contributi alla storia del diritto romano nel Medio Evo, II', Bull. 1st. Dir. Rom. 4 [1891] ora in Studi sulle fonti giuridiche medievali, a cura di G. Astuti [Torino 1967] 49; cfr. le glosse edite ivi 88-91,94 s. e ried. da A. A1berti, La Clossa di Casamari alle 18 ALLE OIUCINI DELLA SCUOLA DI130LOGNA loro opere,ima esse o appartengono effettivamente alla fine del sec. XI, o comunque rispecchiano una cultura preirneriana. Il tipo di citazione è vario, talvolta la si spinge fino all'indicazione del giurista antico e dell'inscriptio del passo, talaltra si usano incipit non esatti e si individua con la qualifica di capitulum forse un framm.ento o forse una rubrica: ma per lo più si allega registrando soltanto -come a Martw-i -la collocazione della fonte genericamente nel Digesto. La cos~ porta a mettere in dubbio consultazioni del testo o~ginale, e tende a,riaffacciar la vecchia ipotesi della circolazione di una o più raccolte ;antologiche di estratti24. Raccolte, comunque, diverse dalle due che oggi conosciamo, la cosiddetta Collectio Britannica e il Libro di Ashburnham, entrambe posteriori al placito di Marturi se non anche a:ll'Expositio e alle glosse alle Istituzioni: ma in mancanza di testimoni:anz'e precedenti è a queste due raccolte che occorre chiedere qualche: informazione. Il Libro di Ashburnham riproduce passi del Vetus e del Novum o senza indicazioni o tutt'al più riportandone l'iscriptio25 6ssia in modi documentati anche altrove, sui quali non , i Istituzioni di Giustiniano [Orbis Romanus 9; Milano 1937] 14, 16, 29, 50, 130). Riporta l'inscriptio anche, ad es., una glossa torinese ed. da A. Alberti, La IIGlossa torinese- e le altre glos,çe del ms. D.III.13 della Biblioteca Nazionale di 'Torino (1st. Giur. della R, Univo di Torino. Testi inediti e rari II; Torino 1933) 51, gl. 183, collocata nell'XI sec. dall'Alberti, 249. Si limita invece al solito, generico lIut in Digestis" una glossa del ms. di Poppi (ed. V. Crescenzi, La glossa di Poppi alle Istituzioni di Giustiniano [Fonti per la sto d'Italia 114; Roma 1990] gl. 2 312, p. 220), Anche il vecchio apparato di Bamberga usa forse il Digesto, ma senza citar~o (M. Conrat (Cohn), Die Epitome Exactis regibus [Berlin 1884 = Aalen 1965] xl~i, con le precisazioni di F. Patetta, Contributi, I, in Bull. 1st. Dir. Rom. 4 (1892), ora in F. P., Studi, 137): le due glosse che ne riproducono estratti risaliré,bbero però all'età giustinianea secondo il Conrat (Geschichte [cfr. nt. Il], 118, 163: la loro forma -si noti -sarebbe diversa da quella del manoscritto pisano-fiorentino). 24 Mor, 'n Digesto', ora in Scritti, 133 (cfr. nt. 17). Raccolte che sarebbero per il Mor diverse dall'ipotetica Epitome Pandectarum, lo cui origine il Kantorowicz vorrebbe respingere indietro sino all'età giustinianea (Digestenuulgatd, ed. separata Weimar 1910, 58; cfr. nt. 21). Va notato, tuttavia, che l'uso primitivo di richiamare il Digesto senza esauriente citazione si prolunga in tal.une scuole minori, ad esempio francesi, fin verso lo metà del XII secolo: si può ricordare in proposito un casus dello pseudo-Guglielmo da Cabriano (lisi c sdlvitur: lex Digestorum loquitur, cum parata fuerit querela...", ed. K1intorowicz.Buckland, Studies in the Glossators, 297, § 3; cfr. nt. 9). 25 n Mor ('Il Digesto', ora in Scritti, 181 s.; cfr. nt. 17) ne ha individuato tre gruppi, di cui solo l'ultimo trascrive l'inscriptio (è comunque un gruppo nutrito, che comprende i capp. 10.51: tutti di fila e tutti tratti dal Digestum No- 19 E1'."NIOCOI~TESE vale la pena di fermarsi. È invece la Bitannica comparsa a Roma verso il 1090 o poco dopo, a presentare peculiarità che ne fanno un pezzo unico per l'epoca26. È unico, anzitutto, il suo modo d'introdurre ciascun frammento indicando con precisione il numero sia del libro del Digesto, sia del titolo: un metodo che nell'XI secolo non ha alcun riscontro in altre opere. Colpisce in secondo luogo la scelta piuttosto equilibrata del materiale tra quasi tutti i primi 24 libri, così da offrir una rappresentanza tutto compreso abbastanza armonica dell'intero Digestum uetus due soli pezzi tratti l'uno dall'Inforziato, l'altro dal Nuovo stanno per conto loro: ma potrebbe trattarsi di successive aggiunte27. Infine, è eccezionale il numero dei frammenti -ben 93 -che fanno irruzione nella raccolta: nessun'altra collezione canonica ne ha tanti. uum. Anche dal Nouum provengono i capp. 105-111 del secondo gruppo, che son però privi di inscriptio e che il Mor (ivi, 190) vede fonnati con caratteristiche diverse. La datazione è incertissima anche perché non si sa se la redazione ultramontana, intorno alla metà del XII secolo, abbia o non riprodotto una fonte italiana necessariamente più antica, e di parecchio. Comunque, anche una tale ipotetica fonte dovrebbe esser posta al di qua dell'anno 1100. 26 P. Ewald, 'Die Papstbriefe der Brittischen Sammlung', Neues Archiu der Gesellscha{t {ilr iiltere deutsche Geschichtskunde 5 (1880) specialmente 568572; M. Conrat, Der Pandektenund lnstitutionenauszug der Brittischen Dekretalensammlung Quelle dea luo (Berlin 1887) 6-11. L'edizione dei 93 frammenti del Digesto è offerta dal Mor in appendice al suo 'Il Digesto', ora nei suoi Scritti, 215-228 (cfr. nt. 17). Quanto a))a datazione del)a raccolta, nonnalmente fissata intorno al 1090, è stato notato di recente che se le decretali riprodotte non vanno oltre que)l'anno, la raccolta in sé potrebbe essere stata fatta dopo: presumibilmente comunque entro il 1099, ossia entro il pon~ficato di Urbano II (senza potersi esc)udere tuttaVia anche anni successiVi: M. Brett, 'Urban II and the collections attributed to Ivo of Chartres', Proceedings o{ the Eighth Interno Congress o{ Medieual Canon Law. San Diego... 1988 I Monumenta iuris canonici. Series C: Subsidia 9; Città del Vaticano 1992] 35). A stretto rigore si dovrebbe a questo punto lasciar spaziare il fenomeno della ricomparsa del Digesto a Roma almeno fino al tennine del secolo, se non oltre: ma, tutto com'preso, il tradizionale 1090, o poco dopo, resta verosimile. 27 L'ultimo frammento, tolto dal Nouum (D. 43.3.15.1), ha l'apparenza di un'aggiunta. Un altro frammento, tratto dall'ln{ortiatum (D. 30.39.6), sembra un'interpolazione successiva (tra pezzi del titolo D. 2.14). Non me la sentirei di vedere in questa comparsa de)l'ln{ortiatum, con un passo oltretutto collocato fuori posto, una confenna alla recente tesi di W.F. Muller C'The recovery of Justinian's Digest in the Middle Ages', BMCL 20 [1990] 13, 25) che alla riemersione del Vetus fosse seguita la comparsa di un volume comprendente D. 2635.2.82. w ALLE OIUCINI DEU.A SCUOLA DI OOI.OCNA Negli stessi anni o pochissimo più tardi, comunque prima dello spirare del s;ecolo, ecco un nuovo episodio singolare: I vo di Chartres riutilizza nel suo Decreto -oggi si tende a non mettere come una volta in' discussio?e l.a paternità dell'opera -una cinquantina di pezzi attingendo o dalla Britannica, come credeva il Conrat, o da altro misterioso libro~ fonte magari della Britannica stessa. Insomma:' sembra quasi che un'improvvisa ondata di entusiasmo per il Digesto percorra la curia romana di quegli anni. , Taluno ha pensato anzi che persino il papa fosse coinvolto da quell'entusiasmo: Urbano II -sotto il cui pontificato la Britannica fu fatta e Ivo venne a Roma, quel "vir strenuus et divinis scripturis eruditus"28 ch'era battagliero seguace di Gregorio VII e successore del Desiderio di 'Montecassino amante dei libri e delle biblioteche -in una lettera del 1088 avrebbe evocato il Vetus. Se l'allegazione, in realì tà dubbia, fosse vera, sarebbe questa la prima volta dopo Gregorio Magno -ossia dopo quasi mezzo millennio -che un pontefice mostrerebbe di conoscer le Pandette. Il Miquel, che dà l'episodio per sicuro, lo definisce anc6ra più importante di quella sentenza di Marturi ch'è da sempre celebrata come il maggior segno della svolta scien'ti, " fica in corso nel iliritto29. Ma trala$ciamo pure il quesito se papa Urbano avesse o non incontrato le Pandette in qualche scaffale della curia. Bastano le straordinariei:taratteristiche della Britannica ~ non rendere poi tanto balzana l'ipotesi :-- pur così ostica alla storiogr~a30 -che una copia, . l' i 28 Come 10 qefiriisce il biografo nel Liber . pontificalis, ed. L. Duchesne, (Bibl. des École$ françaises d'Athènes et de Rome; Palis 1955) 293. 29 J. Miquel, {Mechanische Fehler in der Ober.1ieferung der Digesten' II ZRG Rom. Abt. 80 (1963) 283 s. Il Miquel dà la citazione per certa, mentre il Conrat (Geschichte [cfr~ rito 11] 353 nt. 5) si era limitato a suo tempo a darla per possibile: e che non:.'sia sicura ha opportunamente tenuto a ricordare S. Kuttner, 'The Revival qf Jurisprudence', Renaissance and Renewal in the Twelrth Century, a cur~ di R.L. Benson e G. Constable (Cambridge, Mass. 1982) 304 e nt: 19-20, ora in S. K., Studies in the History or Medieual Canon Law 111 (cfr. nt. 9). L'epistola (jafTé-Loewenfeld 5382 [4311]) è solo parzialmente li portata nella Britannica, nel Decrero di Ivo e in quello di Graziano (C. 31 q. 2 c. 1). 30 Cfr. Mor, 'n Digesto', ora in Scritti, 174-177 (cfr. nt. 17). Anzi, accantonata l'ipotesi del Con~at che la Collectio Britannica fosse stata una fonte di Ivo di Chartres, si è immaginata l'esistenza di una collezione precedente da cui abbiano attinto passi del Digesto sia la Britannica sia Ivo (P. Fournier -G. Le Bras, Histoire des collections canoniques en Occident [Paris 1932 = Aalen 1972] II, 160; Mor, 11: Digesto', ora in Scritti, 169-172). Il che, in fondo, non faceva 21 l? E~'NIO CORTESE almeno della parte corrispondente al Vetus, fosse comparsa a Roma da non molto, magari appunto nell'ultimo ventenni o o quindicennio del secolo. Insomma all'incirca in quei medesimi anni '80 in cui il I<antorowicz suggerisce di collocare il fantomatico Codex secundus. .Quest'ultimo, inventato a costitui!e l"anello man.cante' tra le Pandette pisano-fiorentine e la tradizione manoscritta della vulgata31, che rimandare più indietro nel tempo la comparsa a Roma di un florilegio del Digesto o del Digesto stesso: magari, come si credeva all'inizio del secolo, anticipandola all'epoca di S. Pier Damiani. A lui venivano infatti attribuite le citazioni di D. 2.12.1 e 3.1.1.6 contenute nel sermo XII (N. Tamassia, 'Le opere di Pier Damiano', Atti R. 1st. Veneto 62 [1902-1903], ora in N. T., Scritti di storia giuridica II [Padova 1967] 657-659): citazioni di due frammenti, si noti, destinati entrambi a entrar nella Britannica. D'altronde Pier Damiani, cardinale di Ostia dal 1057 e incaricato dall'amico Ildebrando di Soana di redigere una collezione canonistica de auctoritate papae (com'egli stesso ricorda tra il 1059 e il 1061 in un.opuscolo a Ildebrando, in Migne, PL 145.89), appariva personaggio adattissimo a frugar tra i fondi librari della curia e a scoprirvi passi del Digesto ancor prima dell'autore della Britannica. n fatto è, però, che né Pier Damiani ha accolto l'invito di I1debrando, né ha mai scritto il sermo XII, il quale va assegnato a un'età posteriore (già compreso nel sermonario di Pier Damiani pubblicato in Migne, PL 144, 563-567, il sermo XII ne è stato definitivamente espunto dal più recente editore G. Lucchesi, Sancti Petri Damiani Sermones [Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis, LVII; Turnholti 1983]). Alla fin dei conti sembra dunque che gli indizi reali della riemersione romana del Digesto puntino ai tempi di Urbano II e non a quelli del santo monaco e dottore della Chiesa. La Britannica suggerisce che negli anni '80-'90 il Vetus circolasse come parte a sé. 31 Si sa che la congettura mommseniana dell'esistenza di un codice S<ecundus> è stata complicata dal Kantorowicz con l'ulteriore ipotesi dell'intervento di un manoscritto intermedio: l'intero gioco del passaggio in due tappe dalla redazione pisano-fiorentina a quella del codice S dovendosi svolgere tra i1 1075 e il 1085 (Kantorowicz, Digestenvulgata, ed. separata [Weimar 1910] 36 s.; cfr. nt. 21). Il. meccanismo così inventato appare come un tentativo di compromesso tra 1'autorità del Mommsen e l'impossibi1ità di ridurre la pisano-fiorentina a unico archetipo della vulgata: impossibilità che aveva già riscontrata il Cuincio sin dal Cinquecento. Ma anche le vecchie posizioni di compromesso, al giorno d'oggi, non sono più soddisfacenti: v'è, per esempio, chi ha pensato a un archetipo da cui si sarebbero diramati sin dall'età giustinianea sia la fiorentina, sia un altro ipotetico intermediario che avrebbe dato origine alla vulgata (P. Pescani, 'La scoperta del Bononiensis: sue forme', Bull. 1st. Dir. Rom. 88 [1985] 383-396): va detto che una tale congettura renderebbe ragione dell'uso da parte di Gregorio Magno di un testo diverso da quello fiorentino. Pur nelle nebbie di tante incertezze, non si può tuttavia escludere che la fiorentina iniziasse, nel tardo XI secolo, una delle linee di discendenza: sempre nel Cinquecento molti suoi legami con la successiva tradizione sono stati elencati da Antonio Agustfn; colpisce in special modo, tra i vari errori che la fiorentina tramanda ALI.E ORIGINI DELLA SCUOLA D1 nOLOGNA aveva il compito di spiegare l'origine del testo vulgato derivandolo unicamente dal celebre manoscritto dell'età giustinianea, la cui riscoperta nell'età preirneriana sarebbe stata la sola causa della resurrezione del Digesto. Ma adesso è appunto questa derivazione esclusiva a non convincere, e la Vulgata -almeno fino all'azione unificatrice.:esercitata dalle officine scrittorie deg:li stationarii e specialmente qalla stampa -si presenta ormai comunemente alla storiografia come un'astrazione che copre una realtà diversificata in infiniti rivoli. Scaturiti non da un'unica sorgente manoscritta, ma da molte e ignote; 'e incanalati da un lavoro fùologico di cui non si sa nulla o quasi. Sicc,hé lo spettro del Codex secundus sembra oggi addirittura fuorviante, con il suo tacito richiamo a inseguire ipotetici stemmi e archetipi e :"dati e argomenti caratterizzati e unificati dall'irrileI vanza " 32 . ' ai tanti eredi,;la celebre inversione di fogli segnalata già da Lelio Torelli (cfr. ora E. Spagnesi in Le Pandette cito a nt. 20, 30 s.; S. Caprioli, rvisite alla Pisana', Le Pandette di Giustiniano. Storia e fortuna di un codice illustre, Giornate di studio 23-24.6.1983 [Firenze 1986] 94 s.). Ma accanto alla pisano-fiorentina si muovon tante ombre che potrebbero proiettarsi anch'esse sulle origini delle forme vulgate.: Purtroppo la scomparsa di Guiscardo Moschetti impedisce di verificare la notizia, da lui data oralmente a Carlo Guido Mor, del reperimento di un foglio de1le Pandette di mano ch'egli riteneva toscana e addirittura della prima metà de1 secolo XI (cfr. la nota d'aggiornamento del Mor nei suoi Scritti, 139). Occorrerebbe poi sapere qua1cosa di più sul frammento dello stesso secolo rinvenuto di re'cente a Colonia e di cui ha fatto un cenno Johannes Fried nel convegno bolognese del novembre '87. Non si potranno invece soddisfare le curiosità sul codex peruetus, peruetustus usato dall'umanista Pierio Valeriano (Be11uno 1477 -',Padova 1558) e ricco di divergenze dalle altre uulgatae: varianti talora coincideriti con 1a Florentina, ma ta1volta no (P. De Francisci, 'Un manoscritto perduto del Digesto', Atti Congr. Internaz. Dir. Rom. e Sto Dir. di Verona I [Milano 1953] 105-117, in particolare 115 s.). Chissà poi se nell'XI secolo circolavano in forma meno frammentaria i pezzi papiracei che il Savigny vide in una biblioteca privata e giudicò antichi quanto la FIorentina (Savigny, III, 471 nt. c, trad. Bollati, I, 695), e que1li napo1etani, e il berlinese del IX secolo. E poi, per quel che riguarda in particolare la curia romana, si sarà salvato l'esemplare ch'ebqe tra le mani Gregorio Magno, e che colpisce -come si è già detto -per le varianti nei confronti della pisano-fiorentina (supra nt. 23)? 32 Cosl Caprioli,"rvisite a1la Pisana' 60 S. (cfr. nt. 31). Sono stati gli umanisti a gabellare la V~lgata come realtà unitaria per creare un interlocutore della Florentina, ma sin dai tempi del padre degli studi sulla Vulgata, Hendrik Brenkman, si è :denunciata l'inesistenza di un exemplar certum almeno fino a tutta l'età dei g1ossatori (G.C.J.J. van den Bergh -B.H. Stolte Jr., 'The, Unfinished Digest Edition of Henrik Brenkman (1681-1736). A Pilot Survey and Edition of Digest 9.2 ad legem Aquiliam', TRG 45 [1977] 228 e nt. 3), e dal tempo~ 23 }:N:--' IO CO[lTt;S}~ Piuttosto, l'ipotesi del Mommsen e del Kantorowicz potrebbe trasformarsi nell'altra, a onor del vero non meno incerta, che uno dei rivoli della vita del Digesto -quello che si rifaceva alla Pisana -sia passato da Roma in quegli anni '80. Si è fantasticato -parlando del codice Secundus -della sua redazione in scrittura beheventana, al fine di spiegare la meccanica di tal un e sviste di qualche copista successiv033. La cosa ha naturalmente evocato, in particolare al Miquel, la grande officina scrittoria di Montecassino e la rinas.cenza culturale legata al nome dell'abate Desiderio (1057-1087). Per quanto attraente sia la congettura, essa incappa però in qualche controindicazione. Per esempio: la lista dei libri fatti trascrivere a Montecassino dall'abate non include i Digesti, e per la copia di volumi tanto grossi e inconsueti è davvero difficile pensare a una dimenticanza. Tenendo.. conto del fatto che si naviga nel mare delle fantasie, perché non prendere allora in considerazione Cava dei TirreIii, vicinissima ad Amalfi dove la leggenda vuole che i pisani abbiano trovato il manoscritto originale? A tale leggenda, è vero, non si crede più. Eppure resta che la lillera Pisana, prima di essere pisana, risiedeva effettivamente nell'Italia 'meridionale, in un posto ove si scriveva in beneventana: lo attesta la celebre nota del X secolo, vergata appunto in "longobarda", che colpì ai suoi tempi il Poliziano e che più recentemente il Bischoff e il Cavallo hanno verificata3". Per questa via pode1 padredeg1i studi sui 1egisti medievali, Federico Car1o Savigny, si è osservato come una redazione "comune" del Digesto "rispetto a molti passi è come se non esistesse, non avendo mai avuto corpo" (Savigny, Gesch., 1I1, 482486, trad. Bo11ati, I, 699-701). Nel1'età d'lrnerio e dopo, i1 Digesto rimane in rea1tà un testo vivo che si modifica in cento direzioni, e su1 quale non esercita un'azione stabilizzante nemmeno quel1a littera Pisana che i glossatori pur riconoscono taJvol ta come "authentica Pandecta" (Caprioli, 'Visite aJ1a Pi$an.a', 60 s., cfr. nt. 31). 33 111. Mommsen nel]'introd. all'editio maior dei Digesti, I (Berolini 1879) lxv s.; Kantorow1cz, Digestenuulgata, ed. separ?ta (Weimar 1910) 32 s. (cfr. nt. 21); Miquel, 'Mechanische Fehler', 282-284 (cfr. nt. 29). 34 Miquel. 283 nt. 115a; G. Cavallo in G. Cavallo -F. Magistra1e, Libri e scritture del diritto nell'età giustinianea. Caratteri e problematiche (Bib1. di Fclix Ravcnna; Ravenna 1985) 55 S.; Caprio1i, 'Visite alla Pisana', 49 s. (cfr. nt. 31). La nota ("idest substantia", apposta a11aparola greca ous{a in D. 18.1.9.2) si legge a fol. 257r de1 I vol. (oggi nella sp1endida riproduzione in facsimi1e curata da A. Corbino e A. Santalucia, per i tipi di Leo S. Olschki, Firenze 1988, sotto g1i nuspici de1la Regione e dell'Università di Calabrin). Quanto a]1'autore della nota, viene spontaneo d'immaginare che potesse trattarsi di un ecc~esiastico, eventua1mente un monaco, abbastanza dotto: che non soltanto conoscesse i1 24 AI.I.F; OIU(~INI OI-;I.I.A SCUOI.A OIIIOI.OCNA trebbe dunque riaffacciarsi l'ipotesi che un grande monastero benedettino meridionale sia stato la residenza del venerabile codice nell'alto Medio~vo; sarebbe a questo punto facile procedere oltre con l'imma~inazlone e figurarsi che una copia -per evitare l'audacia di pensare all'òrigin.ale stessQ, nel corso del suo viaggio misterioso verso Pisa -raggiungesse la curia papaIe per il tramite degli stabilimenti cassinesi a Roma, nei quali, oltretutto, sarebbe stato facile eseguire trascrizioni. La cosa è troppo poco credibile? Ebbene, siccome tutte le congetture sUlle Pandette nel sec. XI per un verso o per l'altro lasciano perplessi, proponiamone addirittura un'altra: forse strampalata, ma noni tanto più di quelle finora correnti. A Roma stessa, nell'Ultimo ventenruo di quel secolo -e nel corso delle ricerche archivistiche presuppo~te dalle collezioni gregoriane -, potrebbero essere tornati alla luce i Digesti, integri o non, usati da Gregorio Magno. In linea di massima non si può escludere che quel pontefice avesse attinto solo da :un'epitome, ma è tutto sommato più verosimile ch'egli avesse consultato un esemplare completo: ne doveva pur circolare almeno uno ai Roma a cinquant'anni dalla pragmatica sanctio e a meno di quaranta dalla morte dell'imperatore Giustiniano. L'allegazione fatta da papa Gregorio dimostra che quelFesemplare presentava varianti hei confronti del manoscritto pisano-fiorentino -provenivàno entr,gmbi da un precedente archetipo, secondo la congettura del. Pescani?~, proprio come varianti avrebbe presentato più tardi la Britannica. Con quest'ultima, purtroppo, non sono consentite collazioni, perché il frammento usato da papa Gregorio è tratto dal Novum che nella Britannica non è riprodotto. Certo, sono tutte fantasie. Ma esse poggiano su un'impressIone chiara: che a Roma, dal tempo di Urbano II, e seppure in modi tuttora misteriosi, la; vicenda preirneriana della riemersione dei D,igesti compia un improvviso, grandioso passo avanti. I 4. A questo punto verrebbe voglia di seguire un suggerimento di Mario Ascher~ e ,di riprendere in considerazione la notizia -com- greco -.:.-cosa corrente ne] Mezzogiorno -ma avesse a]tresl curiosità tco]ogiche, e sapesse della ]unga storia che, da] conci]io di Nicea n]]e più t..'1rde polemiche contro i nestoriani, aveva avvalorato ]'equiva]enzn de] greco ous{a al ]fttino substantia (P. Grossi, 'Su]la 'natura' del contratto', Quaderni fiorentini 15 [1986] 613-617). ~ AI.LE ORIGINI DEU..A SCUOI.J\ DI BOLOGNA zardato d~supporre che l'aggiunta di Roma a Bologna come sede del primo insegnamento irneriano sia stato un errore materiale del ,tipografo, o dello stesso Caccialtipi, scivolato nella prima stampa e corretto nelle , successive. Una favola da accantonare, dunque, questa del magistero romano del primus illuminator scientia nostrae? , Forse non del tutto. Potrebbe suggerire una storia non troppo dissimile il celebre passo di Radulfus Niger individuato una cinquantina d'anni or sono dal Kantorowicz37, ove si narra che il mitico maestro avrebbe propagato la scienza delle leges dopo averI a tratta "religioso scemate" proprio "ad curiam romanam". Di nuovo Roma. E qui la testimonianza, risalente agli anni 1180, è molto più vicina ai fatti, ed è certo fondata su notizie allora correnti e oggi perdute. Tra l'altro, essa pone il quesito se Irnerio si sia limitato a visitare Roma nel 1118, quando difese l'antipapa e assunse le vesti di scismatico seguace dell'Imperatore, o se l'abbia fatto anche in altre occasioni. Chissà, insomma, se Enrico V gli affidò la missione in favore del Burdino solo per rendere omaggio alla sua bravura, o non anche per sfruttare la colta miscellanea (Hain 9887, IGI 8328). Se ne conosce un esemplare nella Biblioteca civica A. Mai di Bergamo (Inc. VI77), segnalato da M. Cochetti, 'Repertori bibliografici del Cinquecento', Il Bibliotecario 3 (1987) 21 e A. Serrai, 'Historia Literaria. § 17. Bibliografie giuridiche', Il Bibliotecario 25 (1990) 47. Ritengo che l'imperfetta citazione del Rabotti (nella sua ed. del Diplovatazio, 22 nt. 9) del testo in cui l'aggiunta ~ome et" inquina l'originario "legit bononie" si riferisca a quest'incunabolo. Si tratta dell'editio princeps del De modo studendi (cfr. anche C. Dionisotti, 'Filologia umanistica e testi giuridici fra Quattro e Cinquecento', La critica del testo I [Atti del secondo Congr. internaz. della Soc. dj sto del dir.; Firenze 1971] 193). Vi si legge alla 7.a .col.: "...primus qui incepit glosare tex. sine glo. fuit guernèrius seu hirnerius dum studuisset legibo (!) ex se ipso, et legit rame et bononie... ut dicit odofr. in l. ius ciuile. fT. de iust. et iure...". n riferimento a Roma è assente non solo in tutta la ricca tradizione successiva a stampa, ma anche nei manoscritti noti, che fanno peral tro mostra di un'esemplare concordia e le cui uniche varianti riguardano il nome d'Irnerio: così i due vaticani Ross. 820 (fo. 183vb in pr.: "...Guarnerius seu irnerius dum studuisset legibus ex se ipso et legit bononie...") e Otto lat. 1928 (fo. 392v, r. 8 s.: "...guarnelus seu irnelius dum studuisset legibus ex se ipso et legit bononie..."). Cosi anche i bolognesi del Collegio di Spagna 233 (fo. 3r: "Guarnerius dum 'studuisset Il. ex se ipso et legit bononie") e 264 ([o. 217va: "Guar. seu Hyrnerius dum studuisset legibus ex se ipso et legit bononie") mentre il 207, fo. 2v, riduce il testo a lacunose note schematiche e ignora Irnerio. . 37 Ed. KDntorowicz, 'An English Theologian's View', ora ne))e sue Rechtshist. Schriften, 242 r. 24-25 (cfr. nt. 21). Z7 E:..rNIOCORTESE sua .conoscenza degli ambienti romani e l'eventuale fama che vi si fosse già acquistata. Non v'è naturalmente da ritornare all'ipotesi, che non regge, di una vera e propria scuola tenuta da Irnerio a Roma: basterebbe raffi, gurarsi il maestro curvo su libri anc6ra senza glosse -così li descrive il Diplovatazio -e a studiarli per se, e a glossarli: se poi nel quadro possano o non entrare attorno a Irnerio, attratte dalla novità del lavoro e dalla fama di lui, altre persone avide di sapere e d'imparare è quesito da lasciare all'immaginazione. Se, infine, quel libro fosse stato un Digesto appena ritrovato., e magari già oggetto d'interessamento e fonte di entusiasmo nella curia romana, la scena apparirebbe naturale. Anzi, la notizia di un tale ritrovamento. potrebbe esser bastata a spingere Irnerio a fare un apposito viaggio fino a Roma. Egli era docente di arti liberali, almeno a stare a quanto dice Odofredo, e poteva quindi avere oltretutto gusti di gramaticus e amare i testi e i manoscritti antichi. Di certo doveva accostarsi loro con piglio da filologo e con occhi, per così dire, da umanista ante litteram: non per ntÙla la contessa Matilde, secondo quanto attesta Burcardo di Biberach nella cronaca urspergense, gli avrebbe chiesto di renouare libros legum per restituirli alla forma che aveva dato loro Giustiniano. Ossia -checché si continui a dire forzando un testo chiarissimo -a procurare un'edizione corretta dei libri che circolavano in forme scorrette e lacunose e divergenti tra loro. Eran d'altronde gli anni -quelli tra i due secoli -in cui lo studio dei testi al fine di edizioni attendibili era la maggiore preoccupazione dei giuristi: se del Codex il Krtiger ha accertato ch'esso fu addirittura ricostruito in quei tempi sulla scorta dei manoscritti epitomati, l'esistenza di problemi testuali circa i Digesti è evocata dai tanti interventi di giuristi testimoniati nelle tradizioni uulgatae. Con ingenua sottovalutazione della mole dell'opera, Matilde dovette dunque investire dell'attualissima impresa la persona che certo le appariva, al momento, come la più erudita e la miglior conoscitrice di quei testi. Qualcosa, d'altronde, Irnerio fece per venire incontro ai desideri della gran contessa. Se nulla o quasi ci è stato tramandato del suo lavoro filologico sci Digesto, interventi sul testo del Codice e delle Novelle traspaiono da qualche episodio: così le authenticae potrebbero essere state inserite nel Codice in funzione di un'impresa editoriale. ~ ALl.E OIUCINI Of;IJ.A SCUOl.A 01 BOLOGNA Forse nel corso della stessa impresa emerse il dubbio, dapprima espresso da lrnerio e poi superato, circa la genuinità delle novelle secondo l'Authenticum. Insomma: tal un e delle vicende fin qui immaginate potranno apparire troppo incerte. Ma esse sono coerenti almeno con un as'petto fondamentale della figura d'Irnerio, quale essa traspare dalle fonti: l'aspetto del preumanista, curioso delle fonti originali, filologo dedito alla critica testuale. E primo conoscitore del Digesto. 5. L'esegesi irneriana, rivolta com'è alla comprensione della lettera, è in sé funzionale anche alla restaurazione del testo: sicché l'analisi tecnico-giuridica e l'operazione filologica potrebbero vedersi come le du'e facce di una stessa medaglia, come i due aspetti congiunti del primo approccio a Giustiniano. Un approccio, pertanto, sostanzialmente rivolto al testo, quindi teorico e un po' astratto: che trova il suo , strumento ,espressivo tipico nella glossa. . Ma Irrierio non è solo un teorico. Verso la vita forense doveva orientarlo la carriera di causidicus e di giudice, testimoniata tra il 1112 e il 1125; a dimostrar l'attenzione anche all'arte notarile sta poi il formularium, ch'egli completò presumibilmente nel 1116, o pochissimo prima38. Anche l'interpolazione delle authenticae nel Codice 38 La notizia che Irnerio fece il primo formularium tabellionum è ofTerta, com'è noto, da .Odofredo (sull'Auth. Qui res iam, de sacros. eccl. (post C. 1.2.14], nr. 3, ed: Lugduni 1552 = Bologna 1968, fo. 17ra); ma è la glossa di Accursio a riprodurre l'incipit della formula irneriana del contratto enfiteutico (gl. petitione,alla l. /ubemus § sane (Il) (C. 1.2.14.8] e a offrire coslla possibilità di un riscontro nella pratica: il notaio Bonando, il quale fino al 1116 aveva adottato il tradizionale incipit "petimus a vobis" (G. Cencetti, 'Le carte bolognesi del secolo decimo', ora in Notariato medievale bolognese. I. Scritti di Giorgio Cenéetti (Cons. Naz. del Notariato. Studi stor. sul notariato ital. 3; Roma 1977] 17-19), da quell'anno preferisce l'incipit irneriano "emphyteuticariis '.' petitionibus" (cosa già notata dal Palmieri, Appunti per la storia dei glossatori. I.:/l formularium tabellionum di lrnerio (Bologna 1882] xxxxvxxxxvii). Da quel medesimo anno sceglie la nuova fonnula anche l'altro notaio e causidico b<?lognese Angelo: e colpisce che sempre in quel fatiruco 1116 Bonando e Angelo si trovino insieme con lrnerio in un atto di donazione pubblicato due secoli\fa dal Savioli e riedito da E. Spagnesi (Wernerius Bononiensis ludex, 88-91; cfr. nt. 35). L'episodio è messo in rilievo da G. Orlandelli, 'Irnerio e la teorica dei quattro istrumenti', Atti dell'Acc. delle BC. dell'/st. di Bologna. Rendiconti 61 (1972-73) 121 e tpetitionibus emphyteuticariis annuendo. Irnerio e l'interpretazione della 1. iubemus (C.1.2.14)', iui 71 (1982-83) 53. 2} E~'1'.'[O CORTI-;SE dovette essere destinata all'uso, al contempo, della scuola e della praSSI. Sicché Irnerio ci rivela un duplice v61to. Con l'uno guarda ai libri giustinianei da filologo ed esegeta teorico in vista di una scienza nuova. Con l'altro si volge alla prassi per educarla al diritto romano e per elevarne il tono. Una doppia personalità, dunque, da cui viene spontaneo di far simbolicamente scaturire i due indirizzi che la leggenda più tarda individua nel successivo magistero degli allievi d'Irnerio: all'ingrosso, l'aderenza bulgariana alla lettera della legge raffigurerebbe l'operazione esegetica rivolta essenzialmente alla comprensione del testo -un'operazione quindi di natura piuttosto teorica -, mentre l'aequitas di Martino e dei gosiani rivelerebbe una tendenza al compromesso con i valori tradizionali di cui la prassi era .portatrice39. Ma queste due linee di pensiero, di cui è difficilissimo riscontrare l'effettiva contrapposizione all'interno di Bologna, diventano più evidenti se a Bologna si assegni come emblema il purismo testuale di Bulgaro, e sotto il mantello di Martino si raccolga invece il diverso insegnamento romanistico, più attento alla formazione professionale del giurista, che venne impartito nelle scuole fiorite attorno a quella bolognese. In effetti, fin quasi allo scoccare del Duecento -quando il contrasto tra i due modi di vedere comincerà a comporsi -l'alma mater tende a essere il tempio del cUlto esclusivo di Giustiniano e della sua parola. Nelle altre scuole romanistiche -che si possono chiamare 'minori' solo in ossequio all'uso secolare di porre al di sopra di tutti lo Studium bolognese -si tenterà invece anche qualche rac- 39 Di Martino, a mo' di esempi, basti ricordare i pochi temi ru quali più sopra si è accennato: la sua celebre accettazione dei divieti canonici di matrimonio e, per applicarli, del computo canonico dei gradi di parentela (supra nt. 9); le sue aperture verso il diritto naturale disegnato a forti tinte etico-religiose: le stesse ti nte che il diritto naturale aveva assunte nel quadro dell'utraque lex preirneriana, risolta appunto nel binomio ius naturale-ius civile. Insomma, entro certi limiti si possono documentare i legami di Martino con le idee e le convinzioni che la prassi dei suoi tempi ereditava da quella del secolo XI: anche se occon-e riconoscere che, a indagar le singole fattispecie, non sempre Bulgaro compare, come von-ebbe la leggenda, su posizioni decisamente antagoniste. Si veda ora B. Paradisi, 'Diritto canonico e tendenze di scuola', (cfr. nt. lO). Quanto al problema della sopravvivenza o dell'accantonamento della visione preirneriana dell'utraque lex, qualche ulteriore indicazione anche nel mio 'Lex, aequitas, utrumque ius' (cfr. nt. 5) 95-119. ~ "l Al.lJ-: ORIGII I 0l-:1.1.A SCUOI..A 01 UOLOCNA cordo tra teoria e prassi, tra il nuovo Giusttniano e le concezioni giuridiche correnti: si farà insomma qualche esperimento di scienza romanistica applicata. Ed è inutile aggiungere che sarà quest'Ulti~a perché il diritto è di per se stesso scienza pratica -a prevalere col tempo: l'originale Usiste~a del diritto comune", composto di gruppi normativi diversi intrecciati insieme, éostituirà appunto q~ella sintesi finale tra teoria e prassi che l'esperienza concreta affiderà tacitamente alla scienza accademica. E che toccherà alle scuole minori di consegnare alla maggiore: non viceversa. La sintonia, qua e là riscontrabile tra gli insegnamenti di Martino e quelli impartiti in tali scuole minori, spiega perché siano stati considerati allievi di quel vecchio dottore tanti maestri extrabolognesi. E spiega perché l'ambiente detto oggi gosiano sia stato tanto ampio lungo l'intero XII secolo, e s~sia espanso ovunque: anche per mezzo di scrittori e: di docenti che non avevano mai sentito la voce di Martino dalla cattedra. La straordinaria vitalità di quelle sedi 'minori' è palesata dai temi peculiari che vi si coltivavano, da.i punti di vista sorprendentemente originali, dai propri generi letterari e didattici che vi si adopera vano. Per tutto il XII, come si è accennato, furono poi i centri extrabolognesi a specializzarsi nella formazione di giudici e di professionisti. I Bologna, insomma, lungi dall'essere una cattedrale del diritto romano ne'l deserto, subì assai presto -direi quasi subito -una ,nutrita concorrenza. 6. Il suo ruolo, peraltro, si è andato ridimensionando nella storiografia degli ultimi decenni. Anzi, la maggior parte della produzione più antica ~ o'pere e operette -disseminate tra la metà e la fine del' secolo; da tempo croce e delizia degli storici giuristi -ha preso strade che l'hanno allontanata da Bologna. Anche di molto, dacché quelle strade hanno quasi sempre condotto in Francia: e la Francia della seconda metà del secolo XlI si è venuta così delineando sempre più come un'incubatrice tutt'altro che secondaria della scienza giuridica medievale. A mettere' in movimento il quadro sono stati anzitutto gli storici del diritto canohico medievale, col loro disegnare oltr'Alpe una vera rete di precoci e fecondissimi centri di studi, appunto, canonistici. A partire da una celebre comunicazione parigina tenuta da Stephan I ! ! 31 ~ ENNIO CORTESE Kuttner nel 193740 si è venuto riconoscendo loro una vitalità crescente; li si è visti traversare il Reno verso oriente e, verso occidente, la Manica41. Ora, va tenuto presente che si trattava di centri in cui anche il diritto romana era curato, e ab antiquo, ossia ancor prima che la cosa, dai tempi di Uguccio, djventasse no~ale. Da vecchi ambienti canonistici francesi dovettero uscire nella loro redazione definitiva, per esempio, una summa lnstitutionum come il Brachylogus, nonché antologie di testi normativi, in gran parte parafrasati, come il Libro di Tubinga e le Exceptiones Petri42. Anche le scuole romanistiche hanno rivelato in Provenza -negli ultimi tempi per merito soprattutto di André Gouron -una vitalità sorprendente. La summa lnstitutionum edita dal Legendre43, la summa Trecensis attribuita dal Gouron a un Géraud44, la summa 40S. Kuttner, 'Les débuts de ]'éco]e canoniste française', Studia et Doc. Rist. et luris 4 (1938), ora in S. K., Gratian and the Schools of Law 1140-1234 (Variorum; London 1983) VI. Cfr. ora anche A. Gouron, 'Une école ou des éco]es? Sur les canonistes françrns (vers 1150 -vers 1210)', Proceedings of the Sixth lnternational Congress of Medieual Canon Law. Berkeley... 1980 (Monumenta iuris canonici. Series C: Subsidia 7; Città del Vaticano 1985) 223. 240. 41 Quanto all'espansione oltre ]a Manica, resta fondamentale S. Kuttner -E. Rathbonc, 'Ang]o-Norman Canonists of the Twelfth Centuri, Traditio 7 (194951), ora in S. K., Gratian and the Schools ofLaw, VIII. 42 Su quest'origine del Brachylogus cfr. P. Weimar, 'Die legistische Literatur der C]ossatorenzeit', Randbuch der Quellen und Literatur der neueren europaischen Rechtsgeschichte, a cura di H. Coing (Munchen 1973) I 207 s. Le Exceptiones, se ]e si vuoI collocare verso la metà del secolo XII, non possono fare a meno di denunciare l'ambiente canonistico (cfr. supra, nt. 7). Ta]uni pezzi potrebbero tuttavia provenire da ambienti di pratici italiani degli ultimi decenni del secolo prec.edente: come ad es. il prologo (cfr. anche Cortese, 'Tra g]ossa, commento e umanesimo' (cit. nt. 1) 458-464. 43 P. Legendre, La Summa lnstitutionum 'lustiniani est in hoc opere' (Ius Commune. Sonderhet'te 2; Frankfurt a. M. 1973). La summa, che cita Pepo ma non conosce Irnerio, sarebbe, a giudizio del Couron, influenzata dal pensiero di Martino, il cui fantasma sembra in effetti onnipresente nella prima scienza gi uriilica extrabolognese (A. Couron, 'Une éco]e juriilique française dans ]a premièrc moitié du XIIe siècle', Recueil de mémoires et trauaux ...Montpellier 9 [1974 = Mélanges Aubenas] 363.373 e 'Die Entstehung der franzosischen Rechtsschu]e. Summa lustiniani est in hoc opere und Tubinger Rechtsbuch', ZRC Rom. Abt. 93 [1976] 143, ora in A. C., La science du droit dans le Midi de la France au Moyen Age [Variorum; London 1984] IX). 44 A. Gouron, 'L'auteur et ]a patrie de la Summa Trecensis', fuso Commune 12 (1984) 1-38, ora in A. C., Études sur la diffusion médiéuales (Variorum; London 1987) 111. des doctrines juridiques ALLE ORICINI DEU.A SCUOLA DI BOLOGNA Codicis di Rogeri045, entrambe quelle del Piacentino, composte negli anni '70 a Montpellier, rappresentano un foltissimo gruppo di opere scritte tutte oltr'Alpe; nemmeno lo pseudo-apparato alla summa Vindobonensis46 è oggi ritenuto italiano. A questo punto, si è reso necessario considerar il genere stesso della summa come lo strumento tipico della scienza transalpina, e si è dovuto ammetterne implicitamente l'estraneità ai romanisti padani dei tempi d'Irnerio e dei quattro dottori. Trattandosi poi di un genere in fondo estraneo anche ai decretisti bolognesi -le cui prime summae non erano che apparati sciolti dal ,test047-, ecco che da noi in Italia la vita della summa ha finito col sembrar ridotta, almeno all'apparenza, a stentate apparizioni in cerchie ristrette di longobardisti. Se si prendono per buoni questi risultati, occorre però immaginare che i romanisti italiani procedessero immediatamente a importare summae legistiche francesi. Le si usò infatti di buon'ora, soprattutto nelle scuole minori: alla fine del secolo XII, a Modena, il loro uso didattico era già venuto a noia a Pilli048. Sorprende per contrasto che, 45 Che tutto fa pensare scritta in Provenza: se non altro perché Rogerio la lasciò incompiuta quando mori in Francia, perché essa pa1esa 1egami con summae francesi come 1a Trecensis e Lo Cadi (quest'u1tima sarebbe stata addirittura una fonte di Rogerio, secondo 1'ipotesi recente di A. Couron, 'Lo Codi, sourcc de la Somme au Code de Rogerius', Satura Feenstra [Fribourg 1985] 301-316, ora in A. C., Études sur la diffusion (cfr. nt. 44] XI) e infine perché il Piacenti no dovette trovarla in uso come manua1e scolastico quando intraprese di com pl etarla a Mon tpe 11ier. 46 Qua1che legame con 1a Francia denuncerebbe 1a stessa summa Vindobonensis secondo A. Couron, 'Une éco1e juridique française' (cit. a nt. 43), ,372 s. Quanto al cosiddetto apparato che l'accompagna -edito da1 Palmieri a mo' di glossa e già interpretato da1 Meijers come una lectura di Martino raccolta da un allievo (E. M. Meijers, 'Sommes, lectures et commentaires', ora in E.M. M., Études d'histoire du droit, a cura di R. Feenstra e H.F.W.D. Fischer, 111 [Leyde 1959] 212-216) -è stato trasferito in Francia da P. Weimar (in una re1azione svolta al' Congresso di storia de1 diritto canonico di Toronto nel 1972, ma non pubblicata nei relativi Proceedings [Città del Vaticano 1976], nei quali cfr. p. xix: la noti~ia in Weimar, 'Die legistische Literatur' in Handbuch, [cfr. nt. 42] 1206 e nt. 5).. 47S. Kuttner, 'The Revival ofJurisprudence' (cfr. nt. 29) 313. 48 Com'egli confessa nel proemio de1 suo Libellus disputatorius: "...propter mu1tip1icitatem summarum et apparatuum immediatorum, conculcato textu 1egum, scolari'um sensus sunt e1ati propter exteriora..." (ms. Wien 2157, fo. 36ra, ed. A. Be)loni, Le questioni ciuilistiche del secolo XII. Da Bulgaro a Pillio da Medicina e Azzone [Ius Commune. Sonderhefte 43; Frankfurt a. M. 1989] 54). 33 r;;\':..'I O COHTr:Sr; all'incirca in quegli anni o poco dopo, venissero invece in auge a Bologna. Con Giovanni Bassiano, forse. Ma certo, all'inizio del secolo seguente, con Azzone, che diede all'alma mater l'imperitura gloria delle grandi e definitive summae al Codice, alle Isti~uzioni e, a quanto sembra ora, anche al Digesto49. L'adozione 49 P. Weimar, 'Zur Entstehung della summa der azoschen sarà uno dei Digestensumme', Satura Feenstra (Fribourg 1985) 371-392. Sarebbero azzoniane, secondo il Weimar (p. 371), anche le summae del Codice e delle Istituzioni del ms. 131-134 di Bruxelles, finora ritenute rimaneggiamenti compiuti da Azzone delle originarie summae di Giovanni (Meijers, 'Sommes' in Etudes 111 234 [cfr. nt. 46]). La recezione del genere della summa a Bologna sarebbe stata perfezionata -sempre secondo il Weimar (372 nt. 8) -da Accursio, al quale si dovrebbe la summa Authenticorum andata a stampa insieme con le summae azz.oniane.. Che Accursio abbia effettivament~ dato mano a una Summa Authenticorum sembra in effetti sicuro. Il Kantorowicz aveva già offerto in proposito notizie suggestive (I.The quaestiones disputatae of the Glossators', TRG 16 [1939] ora in H. K., Rechtshist. Schr. 181 [cfr. nt. 21]); adesso il Martino ne ha ritrovato citazioni pressoché coeve: ma queste citazioni l'hanno indotto a ritener che la .\"umma edita sia cosa diversa, e che quella accursiana sia perduta (F. Martino, 'Una perduta Summa Authenticorum di Accursio', RSDI 61 [1988] 171-179). Si può qui, per inciso, aggiungere che tali ultime conclusioni lasciano perplessi. L'argomento principale addotto dal Martino -ossia che l'allegazione del titolo de instrumentorum cautela et fide (ColI. 6.3) da parte di un Simone tardo duecentesco evocherebbe il tema dell'obbligatorietà della promissio sine causa, e questo tema sarebbe ignorato dalla summa a stampa (p.174) -non regge: il misterioso Simone si limita a dire che, per la summa accursiana, la confessione di debito fatta in uno strumento pubblico non è obbligatoria, quasi essa vada considerata sine causa: e questo si legge effettivamente nel1a stampa, al titolo indicato (al § 1, ca. me.). Sicché, semmai, le fonti nuove addotte dal Martino sembrano confemare, anziché smentire, che la paternità accursiana si addica proprio a quella summa Authenticorum che abbiamo nelle edizioni: ai sensi, dunque, di quel che suggerisce il Weimar. Quanto alla tesi di quest'ultimo, tuttavia, occorrerà forse attendere maggiori precisnzioni prima di. accantonare definitivamente la vecchia idea che la .\"umma Authenticorum a stampa risalga in origine a Giovanni (Savigny, IV, 295-297, trad. Bollati, II, 154 s.; E. Genzmer, 'Die iustinianische Kodifikation lInci die Clossntoren', Atti Congr. Internaz. Dir. Rom. Bologna-Roma 1933 I [Pavia 1934] 412). Non sarebbe strano, infatti, che i contemporanei attribuiscano ad Accursio uno scritto che Accursio abbia -peraltro secondo il suo costume -soltanto ampliato, aggiornato, completato. Ultimamente il Weimar ha affacciato l'ulteriore congettura che appartenga ad Accursio anche la summa dei Libri feudorum edita en-oneamente dal Palmieri sotto il nome di Ugolino (in BIMAe, II, 181-194), e presentata invece dal Seckel come opera di Pillio arncchita delle aggiunte di Iacopo Colombi (E. Seckel, 'Ueber neuere Editionen juristischer Schriften aus dem Mittelalter. l', ZRG Rom. Abt. 21 [1900] 250 s., 255-271; E. Genzmer, 'Die iustinianische Kodifikation' 412): l'ipotesi della paternità accursiana è stata avanzata dal 34 Al.1J-: OU1(;INl Of:LJJ\ SCUOI.l\ OIIJO1.OG:-..',\ segni della svolta didattica e metodica verificatasi a Bologna a partire dal Bassiano, col definitivo passaggio dall'analisi testuale alla costruzione giuridica. È comunque curioso che Bologna si entusiasmasse per un genere d'importazione quando questo andava ormai esaurendo oltr'Alpe la propria carica vitale. 7. Ma torniamo al problema delle importazioni di testi dalla Francia. Tanti vecchi manoscritti sicuramente italiani contengono summae Codicis e Institutionum. Sia o non stato Riccardo risano a redigere in Toscana la versione latina del provenzale Lo Codi, certo è che taluni manoscritti adattano le esemplificazioni alla Toscana: e ai nomi di Sto Gilles e Montpellier sostituiscono quelli di S. Savino e Pontedera, a Tolosa Lucca, al ~odano l'Arno5°. Certo i rapporti della Provenza proprio con la Toscana erano antichi: è probabile che Pepo, l'unico gi~ista conosciuto dalla summa provenzale Iustiniani est in hoc òper:e e celebrato più tardi da Ralph Niger, sia un toscano e che non abbia mai insegnato a Bologna51. Il monaco vittorino di Marsiglia Weimar in conseguenza della sua attribuzione ad Accursio anche della glossa vulgata ai Libri feudorum -che si assegnava finora a lacopo Colombi -nella quale l'autore cita la summa come opera propria (P. Weimar, 'Die Hand. schriften des Liber feudorum und seiner Glossen' RIDC 1 (1990J 71 e nt. 73, 73). Tuttavia occone ribadire che, sia pure stato Accursio anziché lacopo Colombi a darci il testo definitivo sia dell'apparato sia della .çumma, nell'un ca$O e nel. l'altro si tratta unicamente di aggiunte al testo originario di Pillio. 50 H. Fitting, Lo Codi in der lateinischen Ubersetzung des Ricardus Pisanus (Halle 1906 = Aalen 1968) *57; R. Feenstra, 'A propos d'un nouveau manuscrit de la version latine du Codi (Ms. Lucques, Bibl. Feliniana 437)', Studia Gratiana 13 (1967 = Collectanea Sto Kuttner 111), ora in R. F., Fata iuris Ro. mani (Leyde 1974) 163 s. Restano però in certi manoscritti ambigui miscugli di città italiane e francesi nelle esemplificazioni: cfr. anche A. Gouron, L a science Juridique française aux Xlt et Xlr siècles: diffusion du droit de Justinien et in/zuences canoniques Jusqu'à Gratien (lus Romanum M. Ae., I. 4, d-e; Milano 1978) 98-101. 51 G. Nicolaj, Cultura e prassi di notai preirneriani. Alle origini del Rinascimento giuridico, (lus Nostrum 19; Milano 1991) 57-78. L'unica altra voce alzatasi di recente a negare l'insegnamento bolognese di Pepo è quella di H.G. Walther, 'Die Anfange des Rechtsstudiums und die kommunale Welt ltaliens , im Hochmittelalter', Schulen und Studium im sozialen Wandel des hohen und spaten Mittelalters (Vortrage und Forschungen ~; Sigmaringen 1986) 142 s., che ha peraltro incontrato la reazione un po' scandalizzata di C. Dolçini, Velut aurora surgente. Pepo, il vescovo Pietro e l'origine dello Studium bolognese (1st. stor. ital. per il M. E. Studi storici, 18{); Roma 1987) 24-29. 35 r::-.':-.'IO CO[{Tr:SE che, presumibilmente tra il 1124 e il 112752, decise di dedica:si allo studio delle leges, qualunque sia stata la personale motivazione, scelse di farlo a Pisa. Anche con l'Italia padana, nella seconda metà del secolo, il Midi ebbe rapporti tanto intensi da sollecitare, sui due versanti delle Alpi, la formazione di un'unica area culturale: al cw interno era logico vi fosse un nutrito scambio di libri. La produzione scientifica restava tuttavia diversa da luogo a luogo: se su quella francese si va facendo luce, come si è osservato sopra, su quella più tipica delle scuole minori italiane si stende invece tuttora -almeno quanto ai tempi anteriori alla Modena di Pillio -un'oscurità considerevole. Per cercar di diradarla, uno dei mezzi è quello di ricorrere a codici miscellanei che presumibilmente rispecchino, magari per l'attenzione data alle fonti germaniche del Regno ltalico estranee alla didattica bolognese, quella scienza che si può anch'essa -ma solo perché maturata fuori dall'alma mater -qualificar 'minore'. Scegliamo tra tali codici, a mo' di esempi, qualcuno dei più celebri in cui la Lombarda, o i commentari secondo Ariprando e secondo Alberto, o la Summa legis Longobardorum53, o pezzi di Vaccella, o anche frammenti di quei Libri feudorum che nacquero e circolarono inizialmente in ambienti di longobardisti, compaiono a fianco di summae romanistiche sicuramente o presuntivamente francesi, come la Trecensis o la Vindobonensis54. Vi si accompagnano talvolta operette come le 52 J. Dufour -G. Giordanengo -A. Gouron, 'L'attrajt des "leges". Notes sur la lettre d'un moine victorin (vers 1124/1127)', Sto et Doc. Rist. et Iuris 45 (1979) 504-529. 53 Ed. A. AnschOtz., Summa legis Longobardorum. Longobardisches Rechtsbuch aus dem XII. Jahrhundert (Halle 1870). Lo stesso AnschOtz ha edito Die Lombarda-Commentare des Ariprand und Albertus (Heidelberg 1855). 54 Una bellissima collezione di opere romnnistiche e longobnrdistiche è quella del celebre ms. 73 del bolognese Collegio di Spagna, databile tra gli ultimi anni del XII e i primissimi del XIII secolo, la cui origine ita1iana è indiscutibile (descrizione in MafTei, I codici del Collegio di Spagna di Bologna [Orbis academicus 5; Milano 1992] 143-149). Del cod. 1317 di Troyes che contiene sia la Trecensis, sia In summa legis Longobardorum edita da1l'AnschOtz, e ch'è composto di più parti indipendenti ancorché coeve, il Gouron ha afTennato invece l'origine francese facendosi forte dell'analisi fatta cent'anni fa da F. Patetta (A. Gouron, 'Rogerius, Questiones de juris subtilitatibus et prat~que ar1ésienne: à propos d'une sentence archiépiscopale (1141, 5 novembre)', J\1émoire.s des anciens pays bourguignons, comtois et romands 34 [1977 ma 36 AI.LE ORIGINI DELl.A SCUOI.A DI UOLOCNA famose Questiones de iuris subtilitatibus o come i trattatelli milanese Anselmo dall'Orto: la loro collocazione all'interno ili manoscritti miscellanei eccita qualche riflessione. del console ili quel tipo 8. Le Questione.')' de iuris subtilitatibus rappresentano con tutta probabilità il capolavoro delle officine italiane extrabolognesi. Anche quest'opera, per la verità, ha cercato ultimamente di emigrare in Francia55, ma si tratta di un tentativo che lascia assai perplessi. L'unico argomento concreto addotto per corroborare l'ipotesi di una nascita transalpina sta nell'asserita origine francese dei manoscritti di Londra, Troyes e Leida che ce la tramandano. Ma da una 1979] 45, ora in A. G., La science du droit dans le Midi de la France au Moyen Age [Variorum; London 1984] XIV): ma il Patetta, lungi dall'afTermare l'origine francese del codice, si limita a rilevare la fragilità degli argomenti addotti da H. Fitting a sostegno di quella italiana, rimane in dubbio e pensa comunque a un archetipo italiano (Patetta, 'n manoscritto 1317 della Biblioteca di Troyes', Atti Acc. Scienze Torino 32 [1896-97], ora in F. Patetta, Studi sulle fonti giuridiche medievali, a cura di G. Astuti, [Torino 1967] 561-577). D'altronde anche un altro manoscritto famoso che contiene la Trecensis -il 10ndinese B.M. Royal Il B XlVi di cui il Kantorowicz ha fatto la fonte principale dei suoi Gloss.ators -è stato assegnato dal Kantorowicz alla Francia perché riporta il Libro di Tubinga nella redazione più matura (Kantorowicz -Buckland, Studies in the Glossators [cfr. nt. 9] 9): e tuttavia trascrive -oltre le Questiones de iuris subtilitatibus di cui si parlerà tra poco -anche (al fo. 47rv) il frammento dei Libri feudorum contenente le leggi di Roncaglia, che dovevano essere particolarmente care alle città padane. In realtà l'accertamento dell'origine geografica qi un manoscritto vale poco al fine di stabilire l'origine delle singole opere: che' possono benissimo essere copiate da archetipi stranieri. Più significativa è l'individuazione del pubblico cui il manoscritto è destinato: e l'accoppiata di opere romanistiche e longobardistiche dovrebbe far pensare piuttosto a un pubblico padano. La vecchia constatazione del Conrat (Geschichte [cfr. nt. Il] 479 e nt. 5; cfr. ora anche L. Mayali, Droit savant et coutumes. L'exclusion des filles dotées Xllème.XVème siècles [Ius Commune. Sonderhefte 33; Frankfurt a. M. 1987] 42) che il diritto longobardo era conosciuto anche dai francesi trova in realtà riscontro nei soli canonisti, che il diritto longobardo annoveravano tra le leges saeculi e trovavano rappresentato, con un pezzo di Rotari, persino nel Decreto grazianeo. 55 Secondo un suggerimento, avanzato però con lodevole cautela, di A. Gouron, 'Rogerius, Quaesti<;>nes de juris subtilitatibus et pratique arlésienne: à propos d'une sentence archiépiscopale (1141,5 novembre)' (cfr. nt. 54) 44 s., ora, in A.G., La sciertce du droit dans le Midi de la France (Variorum; London 1984), XIV; ma già prima l'ipotesi che l'opera fosse stata scritta dal pjacentino a Montpellier era stata avanzata da B. Paradisi, 'Diritto canonico e tendenze di scuola nei glossatori da Irnerio ad Accursio' (cfr. nt. lO) 194 s. (40 s. dell'estr .), ora in B. P., Studi sul Medioevo giuridico (cfr. nt. lO) II 195. 37 '~ t:.":-.'IO CORTt:SJ.: parte j!'argomento - 1 mente---,ll'interno n appare labile, perché i libri si spostavano rapidadell'area culturale alla quale appartenevano: non è forse contenuta in codici italiani, come il famoso 73 del Collegio di Sp~lgna, <.lnche la Summa Trecensi.<; di cui si dà per scontata l'origine francese? D'altra parte, poi, che 1;:1mano scrittrice di quei codici sia sempre transalpina non è affatto certo, e la cosa andrebbe a volta a volta riesaminata dall'occhio esperto del paleografo56. IJe Que.<;liones, a ogni modo, sembrano respirare l'aria di una qualche città padana: magari al tempo della vigorosa campagna federiciana tesa al recupero delle regalie e alla restaurazione dell'Impero. La violenta polemica contro il principio della personalità della legge, il disprezzo manifestato per gli statuta imposti da antichi re con .la forza, per diritto di conquista -e che si sarebbero dovuti seppellire insieme con il regno, ormai estinto, da cui provenivano -sembrano evocare abbastanza chiaramente una presa di posizione romanistica contro il diritto longobardo: tanto più significativa a immaginarIa assunta in una città ove il diritto longobardo fosse stato di casa nei tribunali e magari nella scuola. Si trattava -prosegue l'ignoto autore di grossolane norme che si osava n impudentemente chiamare con l'augusto al diritto nome di leges ora, proprio l'attribuzione della qualifica di lex longobardo è tema di discussione in Italia dai tempi di Bul- garo fino a quelli di Giovanni e di Carlo di Tocco, maestri di fine secolo in scuole 'minori' nostre57. D'altronde, la domanda dell'auditor se gli iura romana abbiano potuto essere abrogati da quei "reges transalpini" che a\'evano imperato in Roma5B rivela chiaramente d'essere stata formulata in Italia. La vecchia ipotesi del Kantorowicz che evoca il giovane Piacentino a Mantova59, sebbene indimostrabile, continua insomma Le Questiones a esercitare un certo fascino. mostrano chiari gusti retorici sia nella struttura dialogica dell'opera, sia nell'immagine dellemplum iustitiae descritta nel proemio. Son gusti essenzialmente francesi, si dice: e non è dubbio che a partire dalla fine del secolo almeno la propensione per il dialogo 56 Si veda supra, nt. 54. 57 Su questo punto cfr. fonti in Cortese, Norma (cfr. nt. 17) II 236 nt. 177. Quanto ai notissimi passi delle Questiones contro il diritto longobardo, essi si leggono nel tit. de iure naturali, §§ 13-16, ed. Fitting (Berlin 1894) 56 s.; ed. Zanetti (Firenze 1958) 14-16. ~H'!'il. de ueteri iure enucleando, § 4, ed. Fitting, 58; ed. Zanetti, 22. 59 Kantorowicz -Buckland, Studie.ç in the Glossators 195 (cfr. nt. 9). ALl.I-: ORIGINI DElJ.A SCUOl.A 01 IIOI.OCi'-'A lo sia. Ma nei tempi immediatamente postirneriani -prima del,l'emigrazione del Piacentino in Francia, per intenderci -potrebbero essere state caratteristiche autoctone anche di scuole padane: l'immagine del templum iustitiae, per esempio, ricorre altresì nel /uris civilis instrumentum di Anselmo dall'Orto, ch'è opera certamente italiana di non molto successiva alla metà del secol06°. Era un'immagine tratta da Giustinian061: ma Anselmo ne aveva calcàto i colori 60 È presumibile che gli anni della composizione dell'operetta si debb~n collocare tra quelli delle famose lettere obertine -risalenti al 1154-1158 secondo l'ipotesi di E.A. Laspeyres (Ober die Entstehung und èillere Bearbeilung der Libri feudorum [Berlin 1830 = Aalen 1969] 201-203) -e l'anno 1162 in cui Anselmo comincia a comparire a Milano con la qualifica di console, e con tale qualifica partecipa alla resa della città a Federico Barbarossa (Acerbo Morena, ed. G.H. Pertz, MGH, SS., XVIII [Hannoverae 1863] 636 e F.G. Guterbock, MGH, SS. rer. germ. in usum scholarum, n. s. VII [Berlin 1930] 152. Anche Sire Raul, ed. L. A. Muratori, RIS, VI [Mediolani 1725] 1187; G.H. Pertz, MGH, SS., XVIII cit., 372; O. Holder Egger, MGH, SS. rer. germ. in usum schol., n.s. VII cit., 52). È noto che le cronache milanesi nominano di nuovo Anselmo, insieme con Aliprando giudice -con tutta probabilità il famoso longobardista -tra i cinque componenti della commissione tributaria del 1164-65 (Sire Raul, nelle cito edd. Muratori, col. 1190; Pertz, p. 376; Holder Egger, 58. Sulla notizia -e in genere sulla tradizione di Sire Raul -cfr. A. Belloni, IL "'Historia patria" di Tristano Calco fra gli Sforza e i francesi: fonti e strati redazionali' Italia medioevale e umani.çtica 23 [1980] 201-203 e 188 s.). Non è proprio sicuro che la città di Bologna, nella quale Anselmo situa il lemplum iu..,.titiae, sia il luogo di redazione dell'operetta come di regola si dice, ma la cosa è ben possibile: il tono immaturo dello scritto potrebbe addirittura essere quello di un Anselmo anc6ra studente nell'alma mater (di una populare Anfanger.çchrift parla infatti E. Seckel, IUeber neuere Editionen juristischer Schriften nus dem Mittelalter. l' (cfr. nt. 49] 228). È in effetti possibile che In metafora del templum iu.çtitiae fosse stata lanciata a Bologna: quando Guglielmo, allora solo arcidiacono di Tiro (1167.1175), parlerà nella Cronaca dei quattro dottori suoi maestri come delle colonne del templum iustitiae, è probabile ch'egli attinga l'immagine dai ricordi delle mode retoriche dei tempi in cui era studente bolognese (ed. R.B.C. Huygens, Guillaume de 1'yr, Chronique [Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis. LXIII A, che prosegue l'ed. della prima parte dell'opera al n. LXIII; 'l\1rnholti 1986] 880 s. [19.12, r. 37-44]: "In iure quoque civili Bononie dominum Hugolinum de Porta Ravennate et dominum Bulgarum iuri,s consultos et supreme auctoritatis viros habuimus preceptores, sed et alios contemporaneos, dominum videlicet Martinum et d;ominum Iacobum, viros in iUTe peritissimos, vidimus sepius et eorum auditoria frequenter ingressi sumus: hii quattuor quasi columpne in solidis basibus in tempIo iusticie videbantur ad eius sustentationem erecte"). 61 Dalla costo Deo auctore (C. 1.17.1.5): cfr. G.G. Archi, ISanctissimum templum iustitiae', Le Pandette di Giustiniano. Storia e fortuna di un codice il. lustre (Acc. tosc. La Colombaria. Studi 76; Firenze 1986) 11-36, ora in G. G. A., ~ EN~IO CORTESE retorici disegnandole un tetto composto di sette pianeti, che verosimilmente simboleggiavano le sette arti liberali62. Il che ci evoca un innesto vistoso dello studio del diritto in quello delle arti: un innesto anzi troppo vistoso per non denunciare subito l'aggancio piuttosto a una scuola 'minore' che a Bologna. Questa raffigurazione del templum iustitiae non ricorre più dopo l'uso fattone da Anselmo e dalle Questiones de iuris subtilitatibus. Nei proemi scritti in Francia, il Piacentino preferisce dare alla giustizia W1a sede nell'opulento ager lustiniani63: la cui immagine egli ripropone anzi con varianti nel sermo de legibus, in cui descrive l'appartato ager vetu.<;,luogo d'incontro con la brutta scienza legale e l'attraente ignoranza. Il sermo, si sa, è una prolusi,one in prosa e in versi recitata, secondo il Kantorowicz, intorno alla metà degli anni '80, sì, a Bologna, ma nel corso di una breve parentesi italiana seguita a un lungo soggiorno a Montpellier ove -sempre a giudizio del Kantorowicz -il Piacenti no si sarebbe appropriato di certo stile rerorico francese64. Il ricorso alla particolare figura del templum iustitiae sembra dunque rappresentare piuttosto una moda italiana. Non si può escludere che anche l'uso della forma dialogata, ripreso dalle Questiones de iuris subtilitatibus ma già inaugurato da Rogerio, sia stato sperimentato da quest'ultimo in operette scritte prima dell'emigrazione in Francia, e non dopo, come tende invece a congetturare il Kantorowicz65. La finzione retorica del dialogo potrebbe aver avuto, inStudi sulle fonti del diritto nel tardo Impero romano. Teodosio II e Giustiniano (Cagliari 1987) 201-231. 62 ~'lntorowicz.Buckland, Studies in the Glossators 195 (cfr. nt. 9). 63 Cfr. il pr:)emio della Summa Codicis piacentiniana, ed. G. Pescatore, Beitrage zur mittelalterlichen Rechtsgesch. II. Miscellen (Berlin 1889 = Torino 1967) 13; ried. nnchc con la ristampa della Summa (Torino 1962) ix. Né temo plum né ager I ustiniani compaiono nel proemio della Summa lnstitutionum. 64 Ed. H, Kantorowicz, 'The Poetical Sermon of a Medieval Jurist', ora in Rechtshist. Schr., 129 s. (cfr. nt. 21). L'invenzione stilistica risaliva tuttavia alla gioventù del Piacentino, ai tempi della sua produzione prefrancese: la personificazione della iuris scientia -sebbene sotto le sembianze di una donna bellissima apparsagli mentre stava studiando -era infatti immagine retorica già usnta dal Piacentino nella Cum essem Mantuae. 65 Kantorowicz.Buckland, Studies in the Glossators 128 s. (cfr. nt. 9). Altrove, tuttavia, il medesimo Kantorowicz ('Poetical Sermon', 113) presuppone almcno una precoce diffusione in Italia delle Enodationes di Rogerio, quando suggerisce ch'esse abbiano costituito il modello sia delle Questiones, sia della Cum e,çsem J\fantue piacentiniaria. 40 AU.E ORIGINI DEU.A SCUOI...,\01 nOLOCNA somma, anche una precoce tradizione giuridica italiana: sul finire del secolo, però, dovette essere piuttosto quella francese a influenzare Pillio66. 9. V'erano città come, ad esempio, Mantova, ove nella seconda metà del secolo dovettero insegnare il Piacentino e il Bassiano: ossia maestri tra i più grandi di quei tempi. Entrambi -il secondo probabilmente come successore del primo, e a ogni modo in polemica con lui67 -scrissero in quella città un trattato sulle azioni. Verrebbe da pensare che il complicato quadro delle azioni romane -fonte, tra Xl e XlI secolo, di tante preoccupazioni per i giu~ dici e gli avvocati italiani ansiosi d'imparare a maneggiarle bene costituisse effettivamente 66 L'ipotesi un tema adatto alla prima produzione ita- di un soggiorno provenzale di Pillio, situabile tra il 1184 e il 1185 secondo G. Santini (Università e società nel XII secolo: Pillio da Medicina e lo Studio di Modena [Pubbl. della Fac. di Giurispr. della Un. di Modena 143; Modena 1979] 168, 197)~ si .ronda sui richiami -già rilevati dal Genzmer ('Seckel und Ugo Nicolini uber die Quaestionen des Pillius', ZRG Rom. Abt. 55 [1955] 329 s.) -di numerose consuetudini e fattispecie transalpine nelle sue Quaestiones: cfr. i casus ed. da A. Belloni, Le questioni civilistiche (cfr. nt. 48), 107 qu. 66, 110 qu. 85, 112 qu. 94,113 qu. 1.02, 114 qu. 104, 115 qu. 107. Pillio potrebbe aver sentito in Provenza le lezioni del Piacentino: il che spiegherebbe sia perché quest'ùltimo gli sia apparso in sogno per indurlo a proseguire la summa Trium librorum, ch'è comportamento da maestro nei confronti dell'allievo, sia perché Pillio abbia in effetti continuato quella summa, ch'è comportamento da allievo nei confronti del maestro deceduto. Comunque anche Pillio ama la forma dialogata: la usa nelle oppositiones per modum dialogi di cui taluni esempi sono stati reperiti da G. D'Amelio (Indagini sull<1 transazione nella dottrina intermedia con un 'appendice .çulla .çcuola di Napoli [Milano 1972] 21 s. nt. 4), altri da A. Padoa Schioppa ('Le "quaestiones super Codice" di Pillio da Medicina', Sto et Doc. Rist. et /uris 39 [1973] 244 nt. 13); In ripropone talvolta in questioni introdotte nell'apparato ai feudi (gl. rebus suis [de suis rebus] in LLFF 2.3, ed. A. Rota, {L'apparato di Pillio alle Consuetudines feudorum e il ms. 1004 dell'Archivio di Stato di Roma', Sto e mem. per la sto dell'Univo di Bologna 14 [1938] 104-106 gl. 127; breve analisi del pezzo in M. Montorzi, Diritto feudale nel basso Medioevo [Torino 1991) 234 gl. 120). 67 L'ipotesi che l'insegnamento del Bassiano abbia tenuto dietro a quello del Piacentino, naturalmente divergendone, potrebbe trovare un appiglio in quella summula Placuit del ms. parigino 4546 in cui il famoso testo piacentiniano si presenta coITetto da un'aggiunta del Bassiano (E. Cortese, 'La su m m u/ a Placuit piacentiniana e le aggiunte di Giovanni nel ms. parigino 4546', Studi econ..giur. Cagliari 44 [1965] 341-355). Sul ms. 4546, in quanto testimone della didattica di una scuola 'minore' italiana del tardo ~I secolo, si avrà occasione di tornare. 41 I-~.',".',"(OCOHTI-;SI-; liana extrabQlognese, aperta com'essa era alle ansie della pratica forense. E che a questa produzione italiana siano dovuti i più antichi trattatclli in materìa, particolarmen.te quelli contenuti nel codice I-Iaenel ed editi neUeJuristische Schriften del Fitting. Ma nemmeno tali scrittarelli sfuggono alla sorte comune di tentare l'emigrazione in Francia68; il Gouron ora suggerisce che in Provenza sia nato il De natura actionum, all'incirca alla metà degli anni '30, e che ne sia l'autore quel medesimo Géraud che scrisse la Summa Trecensis più o meno in quello stesso tempo69. Anche del De actionum varietate si congettura, pur cautamente, che sia stato fatto in Francia: ma a eccitare qualche dubbio cQntribuisce il giovane Piacentino della Cum essem Mantuae quando racconta, nel proemio7O, di aver incontrato appunto a Mantova la Giurisprudenza, donna bellissima, e di averle visto in mano un libello intitolato proprio de actionum varietatibus, che poi ricevette in dono71: si trattasse o non del- 68 A. Gouron, 'Primo tractavit de natura actionum Geraudus: Studium Bononiense, glossateurs et pratique juridique dans la France méridionale', Chiesa diritto e ordinamento della 'societas christiana' nei secoli XI e XII. Atti... Mendola... 1983 (Miscellanea del Centro di studi medioevali Il; Milano 1986) 203-209. n De natura actionum è edito da H. Fitting, Juristische Schri(ten des (ruheren }'-[itteialters (Halle 1876 = Aalen 1965) 117-127. Anche l'altro trattatello edito dal Fitting (pp. .128.131), il De actionum uarietate, sarebbe per il Gouron (p. 205) di scuola francese; a un centro canonistico della Francia set. tentnoné1le l'é1\'evé1peraltro già nsse~nto il Weimar in Handbuch, a cura di H. Coing, I, 233 s. (cfr. nt. 42). 69 Per In dé1té1zione del De natura actionum cfr. Gouron, 'Primo tractavit', 209, e per gli anni in cui apparve la Trecen.c;is di nuovo Gouron, 'L'auteur et la patrie' (cfr. nt. 44), 37. 70 Prooem., ed. Pescatore, in Beitrage zur mi..ttelalterlichen Rechtsgesch., Heft 5 (Greifswald 1897 = Torino 1967) l;ed. L. Wahrmund, Quellen zur Gesch. ,le rijm. .kan. Prozesse int MA, IV, 3 (lnnsbruck 1925 = Aalen 1962) 1 s. 71 La stessa suntma piacentiniana porta il titolo de actionum varietate et earum multiplicitate nel ms. Vat. lat. 2302, fo. 283r, e solo in questo. Pur non contestando l'origine mantovana dell'opera, il Gouron ha recentemente rilevato l'uso che avrebbe fatto il Piacentino di fonti provenzali -dal Codi, alla Trecen is e nllé1 ..S'untma di Rogerio -: il che contribuirebbe a dimostrare la precoce difrusio~e di opere transalpine nelle scuole 'minori' italiane (A. Gouron, 'Placentin et la somme "Cum essem Mantuae"', Papera in European Legai History .Tràbajos de Derecho Hist6rico Europeo [Estudios interdisciplinares en homenaje a Ferran Valls i Taberner, V; Barcelona 1992] 1335-1352): precoce davvero, se il medesimo Gouron data la Cum essem Mantuae agli anni 1162-1169, propendendo anzi più verso la prima metà del decennio che verso la seconda (Gouron, iui, 1348). 42 ALlj~ ORICINI DJ.:I.I.I\ SCUOI.,\ DI nOl4OGNA l'operetta edita dal Fitting, l'allegoria parrebbe indicare che nelle scuole padane minori v'era una precoce produzione in questo tema. D'altronde, v'è la notissima glossa apposta all'arbor actionum di Giovanni72 a informare che -prima del Piacentino e del Bassiano avrebbe scritto sulle azioni un certo. Enrico, che tutti pensano d'identificare con Enrico da Balia. Di quest'ultimo, a parte la storia dei tempestosi rapporti con il Piacentino messa in circolazione da Roffredo 73, si sa molto poco: e nulla vieta di congetturare ch'egli abbia tenuto cattedra non solo a Bologna, ma anche altrove74, sebbene presumibilmente non in Francia 75. E che piuttosto altrove che a Bologna abbia composto un'operetta sulle azioni. 72 Edita già da1 Savigny IV, 64, trad. Bo11ati, II, 44 ("primo tractavit de na- tura actionum G. Postea Henricus. Postea P. Quarto di1ucide Jo." Per i1 Savigny 1a sig1a G. indicava Irnerio, ne1 Bo11ati essa appare sostituita erroneamente con la sig1a I.). 73 Che potrebbe avere un parzia1e fondamento di verità e magari collegarsi a1 racconto fatto dal Piacenti no, ne1 proemio ru Tres Libri, circa l'invidia ch'eg1i avrebbe suscitata nei co11eghi durante i1 biennio de1 suo insegnamento nel1'alma mater, intorno alla metà degli anni '80: si spiegherebbe cosI 1a brevità w quel1a parentesi bolognese (Knntorowicz, 'The Poetical Sennon', ora in Rechtshist. Schr. 115; cfr. nt. 21). 74 Tenendo presente che i maestri cambiavano sede agevolmente, vuoI dir forse qualcosa la compagnia in cui si trova la sigla w Enrico in taluni manoscritti. Nelle distinctiones di Stoccarda al Codice (E. Seckel, 'Distinctiones Glossatorum' Festschrift... uon Martitz fBerlin 1911, rist. separata Grnz 1956] 333-339), per esempio, un pezzo assegnato a lui si trova accanto -oltre che n g1osse d'lrnerio e dei quattro dottori -ad altre di Rogerio, del Pincentino, di Ottone e dell'ignoto che si sigla, secondo Seckel inequivocabi) mente, con In let. tera Z: son nomi di maestri attivi anche -o soltanto -in centri secondari (che Ottone vi abbia operato si può desumere, ad esempio, dal notissimo ms. chigiano E. VII. 218 che rispecchia bene l'attività di quei centri secondari: i brocarda di Otto vi compaiono insieme con quelli di diritto longobardo, cpn i Contraria legis longobardorum di Vaccella, con il Iuris ciuilis instrumentum di Anselmo dall'Orto, con il Libellus disputatorius w Pillio: insomma con opere che sicuramente non sono bolognesi). 75 A meno di congetturarne, insieme con il Besta (Fonti: legislazione e scienza giuro [Storia del dir. ital. pubbl. sotto la wrez. di Pasquale Del Giudice, II, Milano 1925 = Frankfurt/Main-Firenze 1969] 802), l'identità con il dilectus' Henricus richiamato in uno dei manoscritti della Summa Trecen.\'is: cosa giustamente ritenuta poco verosimile dal Kantorowicz (Studies in the Glossators 178 nt. 126; cfr. nt. 54) ed esclusa dal Gouron (che ha suggerito trattarsi piuttosto w un giurista francese di quel nome, divenuto vescovo w Riez nel 1167 e arcivescovo d'Ajx nel 1180: A. Gouron, 'Dilectus Henricus, archéveque d'Aix et juriste', Prouence historique 34 [1984] 97-101). 43 E '"?'."IO COI~TI~SE Il fatto è, però, che di tale operetta di Enrico si è persa inspiegabilmente ogni traccia. Si vede invece circolare molto illuris ciuilis instrumentum di Anselmo dall'Orto, che altro non è, appunto, se non un libello de actionibUS76. Vi sarebbe da domandarsi se, per caso, la glossa all'arbor di Giovanni non si sia sbagliata nel chiamare Henricus il secondo autore di un libro sulle azioni e, magari per l'erroneo scioglimento di una precedente abbreviazione, non abbia scambiato il nome con quello più plausibile di Anselmus. lO. Talune delle sigle che ricorrono in certi manoscritti miscellanei -come quello di Stoccardà delle di~tinctiones edite dal Secke177potrebbero evocare Piacenza: un'altra delle sedi didattiche importanti eppur tuttora nascosta da un'ombra almeno altrettanto fitta di quella che avvolge Mantova. Sui maestri e sugli scolari piacentini non vi sono, al solito, certezze ma soltanto indizi: che hanno tuttavia un ce.rto grado di attendibilità. Riguardano anzitutto Rogerio e Piacentino, poi Carlo di TOCCO78: che in quella città fu di sicuro docente 79 ma ancor prima dovette esservi scolaro e ascoltarvi il Piacentino suo maestro. Lì Carlo dovette inoltre coltivare sin dalla gioventù quel gusto per il diritto longobardo 76 Ed. V. Scialoja, in BIMAe II, 87-116 e in V. S., Studi giuridici II (Ius 6; Roma 1934) 414-494. n proemio situa il tempio della giustizia a Bologna, sicché l'opera viene usualmente data per bolognese (cfr. supra nt. 60). Il che non è sicuro. Anselmo a Bologna fu studente ma non professore, e tutto comunque fa presumere ch'egli sia stato più che altro un pratico. La sua operetta è infatti acutamente definita dal Seckel una "populare Schrift" (E. Seckel, 'Ueber neuere Editionen juristischer Schriften aus dem Mittelalter. l' [cfr. nt. 49] 228 s.), e almeno la sua circolazione extrabolognese è attestata dai manoscritti noti, e segnalati dal Seckel, che riportano scritti longobardistici o i Libri feudorum (con l'eccezione del leidense D'Ablaing 1, ch'è comunque per altri indizi un codice anch'esso non bolognese). 77 Cfr. supra nt. 74. 78 H. Kantorowicz, 'De pugna. La letteratura longobardistica sul duello g1uiliziario', ora in H. K., Rechtshist. Schr., 260 s. (cfr. nt. 21). 79 La glossa di Roffredo in cui Savigny ha letto ili un R. -ossia Rogerio - "dum Placentie regeret" richiama in realtà un K., cioè Carlo ili Tocco, che ili Roffredo fu il maestro (Savigny, IV, 199, trad. Bollati, II, 108)~ La lettura della sigla K. anziché R. è stata verificata dal Kuttner (come riferisce il Kantorowicz, 'De pugna', 260 nt. 34). Si veda la biografia ili Carlo -accurata e ricca, sebbene con insufficiente rilievo dato all'attività piacentina -di G. D'Amelio, in DBI 20 (1977) 304-310. M ALLI-; ORIGINI DEI.LA SCUOLA DI nOLOCNA che più tardi, dopo il rientro in patria, gli ispirerà tra il 1208 e il 1215 il grande apparato alla Lombarda. La Lombarda era infatti studiata e commentata a Piacenza: il Kantorowicz vuole che in questa città sia stata composta l'anonimq Summa legis Longobardorum edita dall'Anschtitz, e che vi abbiano insegnato Ariprando, il di lui allievo Alberto e quel misterioso Bar. o Ber. longobardista di cui Carlo dichiara di essere stato allievo. Sbrigliando la fantasia si potrebbe persino congetturare che a Piacenza Carlo abbia potuto seguire, oltre il Piacentino, taluni altri maestri delle leges ch'egli stesso dice di aver uditi: Cipriano e Ottone di Pavia e forse anche il Bassiano. Ma sono ovviamente ipotesi incertissime, perché non è detto che Carlo sia stato studente solo a Piacenza. Come non è detto, d'altronde, che solo a Piacenza abbia insegnato. È difficile individuare, per esempio, dov'egli a.bbia tenuto gli importanti corsi rispecchiati dal celebre manoscritto parigino 4546. Il fatto che in quel manoscritto si legga la summula Placuit del Piacentino integrata dalle correzioni di Giovanni potrebbe a tutta prima far pensare a Mantova. Ma da una parte nulla vieta che il Bassiano abbia insegnato anche a Piacenza avendo anche qui come predecessore il Piacentino, dall'altra va soprattutto tenuto presente che l'omogeneità di una raccolta miscellanea era determinata più dall'uniformità del pubblico cui era destinata che non dalla provenienza del materiale da un'unica sede d'insegnamento. V'è da osservare in proposito -che il manoscritto riporta, tra le tante, anche numerose glosse del presunto padre di Iacopo Colombi: di quel Columbus dominus e doctor legum di cui il Gualazzini ha documentato, tra il 1197 e il 1204, la presenza a Reggio80. Si noti per inciso: il manoscritto parigino, che si limita ai primi quattro libri del Codi.ce, dev'essere un testimone importante del magistero di Columbus. Sappiamo infatti che circolava un Commentum domini Columbi protratto, appunto, soltanto usque ad quartum librum: esso nel 1211 faceva parte della biblioteca del giudice Caccianemico dei Porconcini81. Chi vada alla ricerca della didattica romanistica italiana extraqolognese ne trova dunque esempi considerevoli nel codice parIgino 80 u. Gualazzi ni, La scuola giuridica reggiana 93-95 (cfr. nt. 2). 81 F. Patetta, tI libri legali e il corredo di un giudice bolognese 1211, e un caso di rappresaglia fra Bologna e Ferrara', delle Scienze di Torino 50 (1914-1915) 1175-1177. Atti della nell'anno Reale Acc. 45 ENNIO CORTESE 4546: sia ch'esso rispecchi lezioni tenute in sedi diverse, com'è tutto compreso .più pro~ab'i1e, o in una sola. Il. Della scienza cara alle cosiddette scuole 'minori' sono peral t,ro testimoni molti altri manoscritti famosi. Una volta di più scegliamone un paio tra quelli che raccolgono insieme diritto romano e longobardo, perché a entrambi i diritti s'interessavano contemporaneamente soltanto i centri di studio padani diversi da Bologna: spiccan tra tutti il vaticano Chigi E. VII. 218 e il 73 del Collegio di Spagna bolognese. Alcuni dei loro pezzi, tra l'altro, sono com~i: così il Iuris ciuilis in,)trumentum di Anselmo dall'Orto, di cui si è visto come esprima bene sia i gusti retorici, sia l'interessamento al tema delle azioni: che sono due peculiarità della prima scienza extra bolognese. Comune a entrambi i manoscritti è anche l'attenzione ai brocardica, tipica forma maturata negli Studia minori intorno -si dice -al 1180. Su questo genere letterario, tuttavia, è specialmente il codice chigiano a insistere: qui i Brocarda Lombardae sono immediatamente seguiti da quelli romanistici di Ottone82; questi ultimi poi -proprio come avviene nel celèbre manoscritto brancacciano di Napoli83, anch'esso da tener presente come miniera di scienza extra bolognese -si accompagnano al Libellus disputatorius di Pillio. Un tipico prodotto di Modena, quest'ultimo: nella quale Modena, anzi, aveva preteso di rivoluzionare la didattica -a quanto dice il proemio della seconda redazione -sostituendo a~la solita esegesi per glosas, e al consueto apprendimento sistematico-manualistico per 82 Cfr. Seckel, 'Distinctiones' 384 (cfr nt. 74). Che il testo dei brocarda del ms. Chigi E. VII. 218 sia quello ottoni ano nei fT. 1ra-22vc è conclusione di M. Schwaibold, 'Wer sucht, der findet', Rechtshistorisches Journal 4 (1985) 212. Comunque, anche i codici che li contengono nelle rielaborazioni azzoniana e di Cacciavillano (cfr. ora lo specchio di tali manoscritti proposto da Schwaibold, 206 nt. 25, 26) denunciano legami con centri extrabolognesi, magari già duecenteschi. 83 Napoli, Branc. IV.D.4 (studiato dal Meijers per Giovanni Bassiano): cfr. G. D'Amelio, 'Notizie di letteratura longobardistica', Studi Economico-Giuridici Cagliari, 46 (1969-70) 93. Si noti che Giovanni è presente anche nel ms. chigiano E. VII. 218. Che si tratti di produzione dei tempi prebolognesi del maestro? Anche ul tcriori manoscritti -come l'altro chigiano E. VII. 211hanno i brocarda di Ottone e pezzi di Giovanni, e sono di provenienza extrabolognese. 46 ALLE ORIGINI DEU..A SCUOLA DI BOLOGNA summas, il più vivace metodo dell'argomentazione brocardica. L'argomentazione, si badi, non la semplice raccolta di brocarda: ossia l'individuazione di principi logici nelle fonti giuridiche (foci) al fine di applicarli nei ragionamenti (modi arguendi). Di questo tipo di passione per la logica giuridica siamo abituati a guardare i frutti tardi, quelli maturati alla fme del Duecento, ai tempi cioè dei modi arguendi di Dino del Mugello. A inseguirne invece le radici si giunge, circa un secolo innanzi, agli esperimenti modenesi di quel singolarissimo personaggio ch'è Pillio da Medicina. Anche di altri, a ben vedere, sebbene in opere molto meno significative: com'è ad esempio il caso della serie del ros. 73 del Collegio di Spagna (fo. 69rb-vb). Nell'ultimo decennio del secolo la Modena di.Pillio è ormai diventata la grande antagonista di Bologna, e troppo si dovrebbe dire della svolta ch'essa sollecita sia nei modi studendi, sia nell'allargamento degli orizzonti. Su quest'ultimo punto b'asti ricordare ch'è Pillio a dirigere per primo l'esegesi dei romanisti verso i Libri feudorum"sottraendo questa prestigiosa materia al monopolio dei longobardisti. Occorre ad ogni modo precisare che da una parte le raccolte di brocardi, verso la fine del secolo, non erano un fatto soltanto italiano, se è vero che i manoscritti dei broca'rda (Dolum' evocano addirittura l'lnghilterra84. Dall'altra che anche il metodo brocardico ha una storia complessa: lo sollecitò la retorica, come il Lang ha dimostrato in tempi andati85, ed esso prese quindi slancio ovunque i giuristi subissero con particolare intensità l'influenza delle scuole di arti. Quanto, in particolare, ai romanisti, su di essi agirono altresì influenze canonistiche: prima di Pillio a Modena, un'opera brocardica precorritrice del Libellus disputatorius -il.Perpendiculum -era stata scritta in Francia in ambiente appunto- canonistico86. 84 M. Schwaibold, Brocardica "Dolum per subsequentia purgari". Eine englische Sammlung uon Argumenten des romischen Rechts aus dem ],,2. Jahrhundert (Ius Commune. Sonderhefte 25; Frankfurt a. M. 1985) 122 s. La stesura originaria risalirebbe, secondo Schwaibolod, agli anni tra il 1160 e il 1180. 85 A. Lang, 'pie rhetorische der Kanonistik,des 1940) 69-97. ' 86 A. Lang, 'Zur Einflusse 12. Jahrhunderts', Entstehungsgeschichte auf die Behandlung Festschrift des Processes in E. Eichmann (Paderborn der Brocardasammlungen' ZRG Kan. Abt. 31 (1942) 125-141; S. Kuttner, 'Réflexions sur les Brocards des Glossateurs', Mélanges J. de Ghellinck II (Gembloux 1951) 783-788, orn in S. K., Gratian and the Schools or Law (Variorum; London 1983) IX; P. Weimnr, 47 ENNIO CORTESE Che il metodo brocardico sostituisse alla ricerca del certo quella del probabile, che fosse pertanto agganciato dai giuristi ai meccanismi delle presunzioni, o che aprisse la strada ai successi dei modi arguendi dal tardo Duecento in poi, come si è accennato, è storia suggestiva: ma che troppo allontana dal tema delle origini delle scuole di diritto. 12. Il rapido sguardo al correr degli anni tra il preirnerio e il postirnerio ha visto una scienza d"ell'utraque lex, sostanzialmente unitaria nel secolo XI, scindersi. Da un lato nascere un'autonoma dottrina ci vilistica costruita da Irnerio soprattutto sul Codice e sul Digesto, e fatta a Bologna di esegesi delle fonti~ Dall'altro la scienza canonistica porsi come l'erede vera del preirnerio, con la sua fedeltà al principio dell'integrazione necessaria delle Jeggi romana e della Chiesa, con l'attenzione pe! tutte le leges "saeculi ~ comprese le germaniche -, eon il rispetto perlattadizione alto medievale. Molte delle stesse opere romanistiche che la storiografia ha più discusse, magari perché la redazione collocata verso la metà del secolo XII all'incirca stride con l'arretratezza del contenuto o dell'impostazione basti pensare alle raccolte della famiglia delle Exceptiones Petri -, escono in realtà da centri canonistici. Quanto alle leges; si è cercato fin qui di chiarire soprattutto che il modello bolognese non è affatto un unicum s-cientifico e didattico, e ch'esso, ebbe di buon'ora un contraltare. Fioriron nella pianura padana, oltre che nella Francia meridionale, molte scuole ove il diritto fu insegnato con metodi non solo esegetici, ma anche sistematici e col tempo brocardici; ove l'occhio venne rivolto al processo e, quindi, anche al sistema delle azioni;" ove si ebbe qualche apertura verso fatti-specie canoniche e persino verso il diritto longobardo; ove persistette una certa simpatia per la retorica e crebbe col tempo un gusto per la dialettica e l'arte dell'argomentazione. Il tutto usando anche di speciali generi letterari. In fondo, è proprio la pluralità di scuole dotate di caratteristiche diverse a costituire il fenomeno più significativo della civilistica immediatamente postirneriana. Bologna non vive in splendido isolamento, ma si contrappòne dialetticamente agli altri centri. Pronta, dall'alto della sua erudita specializzazione nello studio del testo giu- 48 ALLE ORICINl DELLA SCUOLA DI BOLOGNA stinianeo, a esportare prodotti. Ma anche a importarne, e con èsiti sempre più vistosi'via via che va accentuando la valenza pratica del proprio insegnamento e subisce l'effetto di quella circolazione dei maestri -ancor più nutrita di quanto si creda e si sappia -ch'è causa inevitabile di un livellamento dei metodi. Quanti professori, da Martin Gosia a Giovanni Bassiano, da, Cipriano a Ottone di Pavia, a Carlo di Tocco, a Pillio, ad altri anc6ra maturano, nel clima delle scuole 'minori' e influenzano poi, chi più chi meno, il magistero bolognese? Insomma, sin dagli inizi irneriani la vicenda di Bologna non è che la storia di un polo scientifico e didattico che chiama altri poli. Staccar l'uno dagli altri sarebbe come tagliare il circuito attivo di quella storia. 49