231/2001 e gli illeciti ambientali Avv. Antonio Papi Rossi - Santa Maria Studio Legale Associato [email protected] Università degli Studi di Milano - Statale Incontro ALGIUSMI Milano, 22 marzo 2013 www.santalex.com 1 Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 Indice 1. Il d.lgs. n. 231/2001 (cenni sulla disciplina generale); 2. Gli illeciti ambientali; 3. Il d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121; 4. Rapporti tra il d.lgs. n. 231/2001 e il d.lgs. n. 121/2011. 5. La mancata adozione e il mancato aggiornamento del modello 231. Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 Premessa n. 1 GENESI NORMATIVA Il d. lgs. n. 231/2001 recante la “disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica” (da ora, anche «decreto 231») è stato emanato in attuazione della legge delega al Governo prevista dall’articolo 11 Legge 29 settembre 2000 n. 300 ed in adempimento a convenzioni internazionali. OGGETTO (segue) Il decreto ha ad oggetto la responsabilità amministrativa degli enti per specifici reati commessi nell’ interesse o a vantaggio della società, da determinate persone fisiche «qualificate» (soggetti apicali o persone sottoposte alla direzione e vigilanza di questi ultimi, inclusi i soggetti non necessariamente in organigramma, come consulenti o procacciatori, cfr. art. 5). Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 Premessa n. 2 AMBITO DI APPLICAZIONE Ai sensi dell’art. 1, co. 2 e 3 del decreto 231 le disposizioni in esso previste si applicano: i) enti con personalità giuridica; ii) enti pubblici economici; iii) società di capitali e di persone (anche società capogruppo, se il reato commesso nell'interesse della “controllata” sia derivato da “indicazioni” provenienti da soggetti operanti per conto e nell'interesse della capogruppo) iv) associazioni (anche prive di personalità giuridica) Ricadono pertanto nel perimetro applicativo della norma anche le società di capitali a capitale pubblico, le società a partecipazione pubblica, anche minoritaria, le società miste, le società di persone, le società cooperative, le associazioni con o senza personalità giuridica e con o senza scopo di lucro, gli enti pubblici economici, le fondazioni e i comitati. Sono invece esclusi gli enti pubblici territoriali, gli organi di rilievo costituzionale e gli enti pubblici non economici (comunque liberi di adottare codici etici, codici di autodisciplina e comportamento). Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 Il decreto 231 si sviluppa e struttura sul seguente presupposto. Se il reato è stato commesso da determinate persone qualificate (cfr. art. 5. cit.) l'ente va esente da responsabilità amministrativa soltanto se dimostra che: a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei (c.d. modelli 231) a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 – il Modello 231 Ai sensi dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 6, i modelli 231 devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati. LA REDAZIONE DEL MODELLO 231: LINEE GUIDA NELLA PRASSI DELLE IMPRESE I modelli 231 constano di due parti. La prima, c.d. parte generale, costituisce la cornice normativa del modello e reca l’indicazione dell’operatività dell’ente, della sua organizzazione interna, degli organi direttivi e di controllo e delle modalità di interazione dell’ente con il mondo esterno. La seconda parte, c.d. parte speciale, costituisce il contenuto prescrittivo ed operativo di ogni modello. Detta parte dovrà essere predisposta secondo le caratteristiche proprie e individuali di ogni ente, tenendo altresì conto delle aree in cui l'attività può essere soggetta al rischio di commissione dei reati previsti dalla normativa. LA REDAZIONE DEL MODELLO 231: LINEE GUIDA NELLA PRASSI OPERATIVA DELLE IMPRESE (segue) Ogni modello 231, comprensivo di parte generale e speciale, deve rispondere alle seguenti esigenze: definire gli obiettivi del modello per quanto riguarda la prevenzione dei reati; individuare i destinatari del modello, chiarendo la posizione gerarchica e le funzioni; individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; individuare specifiche misure e protocolli di gestione per la prevenzione dei reati; definire idonee procedure di gestione delle risorse finanziarie (politica ambientale, budget, delega di funzioni); definire idonee procedure di registrazione e di informazione a tutti i soggetti che operano all’interno dell’ente sui principi e sulle misure del modello; definire un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello e pubblicizzarlo adeguatamente; adottare il modello organizzativo con deliberazione dell’organo dirigente; attribuire il compito di vigilare sull’applicazione del modello e di provvedere al suo aggiornamento ad un Organismo indipendente dotato di poteri di iniziativa e controllo (ODV); prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli. ADOZIONE DEL «MODELLO 231» E ORGANISMO DI VIGILANZA (cenni) L’art. 6, comma 1, lett. b) del decreto 231 prevede, “il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli, di curare il loro aggiornamento” debba essere affidato “a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo”, il c.d. Organismo di Vigilanza (ODV). Il successivo comma 4, lett. d) sottolinea l’obbligo di controllo dell’organo cui è affidato il particolare compito di vigilare sul rispetto del Modello 231: tale Modello può costituire un’esimente da responsabilità solo se l’ente prova che non vi è stata “omessa” o “insufficiente” vigilanza da parte dell’Organismo di Vigilanza. È la stessa norma istitutiva della disciplina a disporre espressamente che, nell’adottare il Modello di organizzazione, l’ente debba obbligatoriamente dotarsi di un apposito organismo di controllo che dovrà vigilare sull’efficacia, sull’adeguatezza nonché sul rispetto del Modello 231. ADOZIONE DEL «MODELLO 231» E ORGANISMO DI VIGILANZA (cenni) Essenziale ai fini del funzionamento gestione – e della connessa amministrativa – è l’adozione del dell’ODV. Il regolamento definisce infatti le funzionamento. del sistema di organizzazione e esenzione da responsabilità regolamento di funzionamento prerogative dell’ODV e il suo L’adozione del regolamento spetta al CdA nelle società di capitali e negli enti che prevedono l’istituzione di un CdA, mentre nelle società di persone e negli altri enti che non dispongono di CdA l’adozione del regolamento spetta agli organi direzionali dell’ente. ADOZIONE DEL «MODELLO 231» E ORGANISMO DI VIGILANZA (cenni) CONTENUTI MINIMI DEL REGOLAMENTO definizione delle funzioni e dei poteri dell’Organismo di Vigilanza indicazione delle modalità di aggiornamento del Modello 231 compiti dell’ ODV durata in carica e decadenza dei membri dell’ODV composizione e requisiti di eleggibilità modalità di riunione e deliberazione gestione delle segnalazioni e delle comunicazioni agli organi competenti dell’ente. registrazione delle attività svolte dall’ODV ADOZIONE DEL «MODELLO 231» E ORGANISMO DI VIGILANZA (cenni) Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell'organismo di vigilanza. L'attività svolta dall'ODV deve essere registrata e documentata, anche in forma sintetica Le attività dell'Organismo di Vigilanza trovano formale rilevazione mediante i seguenti documenti: verbali delle riunioni e delle attività dell'ODV rapporti alle parti interessate (CdA o altri) registro delle segnalazioni analisi dei rischi Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 L’art. 8 rubricato «Autonomia delle responsabilità dell'ente», norma di chiusura della Sezione I del decreto 231, specifica al comma 1 che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (secondo i canoni legislativi del nostro codice penale); b) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia. I commi 2 e 3 del medesimo articolo precisa che, salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell'ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l'imputato ha rinunciato alla sua applicazione. L'ente può comunque decidere di rinunciare all'amnistia. Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 LE SANZIONI Ai sensi degli artt. 12-23 del Capo I e dell’intero Capo III del decreto 231, le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono: a) la sanzione pecuniaria; b) le sanzioni interdittive; c) la confisca; d) la pubblicazione della sentenza. Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 Le sanzioni interdittive sono: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi. La competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell'ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono (art. 36). GLI ILLECITI AMBIENTALI PREMESSA N. 1: LA NOZIONE GIURIDICA DI AMBIENTE bene pubblico complesso, caratterizzato dai valori esteticoculturale, igienico-sanitario ed ecologico-abitativo, assurge a bene pubblico immateriale (cfr. Cass. Civ., sez. III, 10 ottobre 2008, n. 23010); contesto delle risorse naturali e delle stesse opere più significative dell’uomo protette dall’ordinamento; l’ambiente è una nozione unitaria e generale, comprensiva delle risorse naturali e culturali (cfr. Cass. Pen., sez. III, 28 ottobre 1993, n. 9727). GLI ILLECITI AMBIENTALI PREMESSA N. 2: LA DEFINIZIONE DI DANNO AMBIENTALE Ai sensi dell’art. 300 D. Lgs. n 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente): «è danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima»; il secondo comma, però, precisa che, “ ai sensi della Direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale, in particolare, il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato: a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria; b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo, oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate; c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale; d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente”. PRINCIPI DELL’AZIONE AMBIENTALE NEGLI ALTRI SETTORI DEL DIRITTO «principio chi inquina paga» secondo il quale la responsabilità primaria relativa alla prevenzione e riparazione del danno spetta all’operatore economico che ha creato la situazione di pericolo o di danno (Cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. I, 13 aprile 2011, n.664; Cons. St., sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885). Ai sensi dell’art. 2 del d. lgs n. 156/2006, è operatore «qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale, oppure, quando la legislazione nazionale lo preveda, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività , o la persona che notifica o registra l’attività medesima»; per imputare all’operatore economico il danno si deve, comunque, dimostrare che l’attività economica da esso esercitata sia stata la causa dall’evento dannoso; inoltre, la giurisprudenza ha affermato che la mera violazione colposa degli obblighi di sorveglianza connessi alla posizione qualificata di garanzia del produttore è sufficiente a fondare la responsabilità per abbandono abusivo di rifiuti (T.A.R. Toscana – Firenze, Sez. II, Sentenza 5 ottobre 2011, n. 1443) «principio di precauzione» finalizzato a prevenire i danni, anche solo potenziali, di attività ritenute lesive per l’ambiente (Cfr. Corte di Giust., sez. IV, 8 luglio 2010,C-343/09; Tar Piemonte, sez. I, 3 maggio 2010, n. 2294); tale principio trova immediata applicabilità ogniqualvolta sussistano incertezze riguardo all’esistenza di rischi per la salute delle persone, non occorrendo attendere che siano dimostrati in modo esauriente la realtà e la gravità di tali rischi; ne discende che tutte le decisioni adottate dalle autorità competenti in materia ambientale devono essere assistite da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che tenga conto di attività istruttorie parimenti ineccepibili (Tar Liguria, Sez. II, 15 ottobre 2010, n.9501; TAR Toscana Sez. II, 31 agosto 2010, n. 5145 ); la stessa giurisdizione europea ha avuto modo di affermare l’immediata applicabilità del principio di precauzione quando sussistono dubbi riguardo all'esistenza di rischi per l’ambiente o per la salute e la conseguente possibilità di adottare misure protettive, senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi((Tribunale I grado C.E., Sez. II, 19 novembre 2009; C.G. C.E. sentenza 14 luglio 1998, causa C-248/95; id. 3 dicembre 1998, causa C-67/97, Bluhme). «principio dello sviluppo sostenibile» la salvaguardia e la promozione dello sviluppo sostenibile è uno degli scopi perseguiti dalla Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE, espressamente enunciato all’art. 1 della direttiva; in ambito ambientale occorre trovare soluzioni conformi al criterio dello sviluppo sostenibile: compatibilità tra il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socioeconomica, tenuto conto delle alternative praticabili; in ambito ambientale occorre trovare un punto di equilibrio tra la realizzazione di infrastrutture e tutela dell’ambiente e del paesaggio; lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento ove lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con quelli attuali. IL D.Lgs. n. 121/2011 Il 16 agosto 2011 sono entrati in vigore ulteriori reati presupposti in materia di tutela dell’ambientale, introdotti dal d.lgs. 7 luglio 2011 n. 121, pubblicato nella G.U. del 1 agosto 2011, n. 177. Con detto decreto il legislatore ha altresì previsto nuove sanzioni amministrative conseguenti alla commissione di reati ambientali a carico delle persone giuridiche, nonché nuove responsabilità in materia di trattamento di rifiuti. Il decreto costituisce attuazione di due direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio in tema di tutela ambientale, la Direttiva 2008/99/CE del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell’ambiente e la Direttiva 2009/123/CE del 21 ottobre 2009 che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni, ed è attuativo della legge-delega 96/2010 (Legge comunitaria 2009). FONTE NORMATIVA DI RIFERIMENTO La Direttiva 2008/99/CE sulla «tutela penale dell’ambiente» ha introdotto: 1. la corporate liability, vincolando gli Stati membri a prevedere sanzioni in capo alle persone giuridiche per le ipotesi di realizzazione di reati ambientali (nonchè di agevolazione o istigazione), a loro vantaggio, da parte di qualsiasi soggetto che agisca individualmente o in quanto parte di un organo dell’ente e che detenga una posizione preminente in seno alla stessa basata «sul potere di rappresentanza della persona giuridica o sul potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica, o sul potere di esercizio del controllo in seno a tale persona giuridica»; 2. la responsabilità da reato dell’ente «per carenza di sorveglianza o controllo» per aver reso possibile la perpetrazione dei reati ambientali: l’ente è così tenuto ad agire concretamente, nell’ipotesi in cui accerti un reato ambientale, altrimenti incorre in responsabilità; il controllo dell’ente deve essere costante ed effettivo. IL D.Lgs. n. 121/2011 L’art. 25 undecies del decreto 231, introdotto dall’art. 2 del citato d.lgs. n. 121/2011, prevede ora un «nuovo» catalogo di reati presupposto della responsabilità degli enti che ricomprende: i) raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione (art. 256, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); ii) realizzazione o gestione di una discarica non autorizzata (art. 256, comma 3, primo e secondo periodo, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); iii) inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione alla gestione di una discarica o alle altre attività concernenti i rifiuti (art. 256, comma 4, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); iv) miscelazione non consentita di rifiuti (art. 256, comma 5, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); IL D.Lgs. n. 121/2011 v) deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi (art. 256, comma 6, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); vi) predisposizione od uso di un falso certificato di analisi dei rifiuti (art. 258, comma 4 e art. 260-bis, commi 6 e 7, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); vi) traffico illecito di rifiuti (art. 259, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); vii) attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); viii) violazioni del sistema di controllo sulla tracciabilità dei rifiuti (art. 260bis, comma 8, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152); viii) Ulteriori fattispecie incriminatrici previste da leggi speciali (per esempio quelle sul rispetto della flora e della fauna ed in tema di inquinamento marittimo) In estrema sintesi, anche in materia ambientale societas delinquere potest IL D.Lgs. n. 121/2011 Dalla predetta elencazione si evince come non siano stati inclusi fra i reati presupposto, i) la contravvenzione di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti di cui all’art. 256, comma 2, del Codice dell’ambiente, soprattutto se si considera come tale disposizione contempli proprio «i rappresentanti di enti» tra gli autori della condotta illecita, ii) la causazione di un disastro ambientale di cui agli artt. 434 e 449 c.p. e iii) l’avvelenamento di acque destinate all’alimentazione di cui agli artt. 439 e 452 c.p., eventi di sicuro più gravi di molti di quelli menzionati dall’art. 25 undecies del decreto 231. CHE COS’E’ LA RESPONSABILITA’ AMBIENTALE DELLE IMPRESE? In termini generali ed esemplificativi, le persone giuridiche e le associazioni rispondono direttamente dei principali illeciti ambientali commessi nel loro interesse da propri amministratori, dirigenti e dipendenti, in materia di: inquinamento di acque, aria e suolo; gestione dei rifiuti; danneggiamento di fauna, flora ed habitat. ESEMPI DI ATTIVITA’ ILLECITE gestione dei rifiuti senza autorizzazione (ad esempio, la realizzazione o la gestione di una discarica non autorizzata); traffico illecito di rifiuti; documentazione errata; scarichi non autorizzati es: scarico di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose, superamento dei valori limite in caso di scarico di acque reflue industriali, scarichi di acque reflue industriali oltre i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni; deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi; inquinamento, tramite sostanze pericolose, del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee, con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio senza provvedere alla bonifica. SETTORI INTERESSATI Consorzi e società private che gestiscono il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti Consorzi e società che gestiscono i servizi idrici integrati Industrie per la produzione di metalli, cemento, vetro, ceramica Industrie chimiche, cartarie e raffinerie Imprese edili Società che commercializzano animali, vegetali o derivati di essi, provenienti dall’estero Società di logistica che effettuano il trasporto di animali, vegetali o derivati di essi dall’Italia all’estero Impianti di grandi dimensioni, per il pretrattamento o la tintura di fibre o di tessili, impianti per la concia delle pelli Macelli di grandi dimensioni Compagnie di navigazione aerea e marittima Aziende agricole di medio/grandi dimensioni SANZIONI (rinvio) La citata Direttiva 2008/99/CE (art.7) vincola gli Stati membri a prevedere sanzioni «efficaci, proporzionate e dissuasive» in capo alle persone giuridiche nell’osservanza dei principi di omogeneità ed equivalenza rispetto alle sanzioni già previste per le fattispecie simili e comunque nei limiti massimi previsti dagli articoli 12 e 13 del decreto 231 (cfr. supra). D.L.gs 231/2001 e D.L.gs 121/2011 Rapporti e interventi sul Modello 231 l’inserimento dei reati ambientali, nel corpo del decreto 231, impone all’azienda un’attenta analisi dei rischi cui è esposta e l’identificazione di misure volte a prevenire l’accadimento di episodi che possono comportare una responsabilità amministrativa, con gravi impatti sul business e sulla reputazione aziendale; un’organizzazione che abbia come riferimento uno schema di gestione ambientale secondo la ISO 14001 e/o EMAS risulta avvantaggiata, in quanto dovrebbe tenere monitorati e controllati con continuità e sistematicità i propri aspetti ambientali significativi, diminuendo così la possibilità di incorrere in reati collegati; occorre adottare un COMPLIANCE PROGRAM Piano di azione interno all’ente, con necessario coinvolgimento degli organi direttivi e dell’ODV, volto a dare attuazione al d.lgs. n. 121/2011, mediante integrazione del modello 231 sul fronte dei reati presupposti e sulle misure in grado di prevenirli. Rapporti e interventi sul Modello 231 I reati ambientali presi in considerazione dall’art. 25 undecies possono riguardare trasversalmente sia la piccola sia la media e grande impresa. Le società che vogliano adeguarsi al d.lgs. 231/01 riguardo ai reati ambientali devono far sì che il modello organizzativo sia il risultato di un’attenta analisi dei rischi di reato in relazione alla specifica attività svolta, alle dimensioni e alla struttura organizzativa aziendale. Rapporti e interventi sul Modello 231 Sul piano pratico della modifica del modelli 231, la prima difficoltà che s’incontra in questa fase, come già accaduto con l’introduzione dei reati legati alla sicurezza sul lavoro, è quella di predisporre procedure interne idonee a prevenire i reati “colposi” che possano derivare dall’’attività ordinaria. Si pensi, ad esempio, all’impresa che si avvale di una società di trasporti per trasferire i rifiuti da essa prodotti ad un impianto di smaltimento: in queste ipotesi non è da escludersi l’estensione della responsabilità alla società nel cui interesse e/o vantaggio sia stato commesso il reato se lo smaltimento avviene in maniera illecita. Pertanto, il modello organizzativo deve essere costruito in modo da prevenire anche le condotte criminose di questi soggetti. Rapporti e interventi sul Modello 231 Si consideri al riguardo che la giurisprudenza (cfr. ex multis: Cass. 27 marzo 2007 e Cass. 15 gennaio 2008 n. 7461) è univoca nel sostenere che il produttore/detentore di rifiuti speciali non pericolosi, qualora non provveda all’autosmaltimento o al conferimento dei rifiuti a soggetti che gestiscono il pubblico servizio, ha il dovere di accertarsi che coloro ai quali conferisce il rifiuto per il suo smaltimento definitivo siano forniti, ognuno per le attività di pertinenza (trasporto, stoccaggio provvisorio, smaltimento definitivo) delle necessarie autorizzazioni e che l’omesso controllo sulla sussistenza di tale requisito comporti una responsabilità penale quantomeno a titolo di colpa. Applicando i principi in materia di concorso di persone si può ritenere, dunque, che il produttore di rifiuti, nel conferire a un soggetto non autorizzato la gestione dei rifiuti, essendo gravato da un obbligo di verifica dell’esistenza e regolarità dell’autorizzazione risponde, a titolo di concorso, nel reato di cui all’art 256. Rapporti e interventi sul Modello 231 Per la costruzione di un valido Modello Organizzativo, adeguato alla struttura organizzativa aziendale e idoneo a prevenire i reati ambientali, non potrà prescindersi, soprattutto da parte delle medie-grandi imprese, da un attento esame della giurisprudenza e della legislazione in materia ambientale, e da un attento studio del relativo sistema di gestione, tenendo comunque presente che le certificazioni in materia ambientale, come la ISO 14001 ed EMAS, forniscono protocolli che sono soltanto un punto di partenza, non potendo sostituire i protocolli del Modello Organizzativo ai sensi del d.lgs. 231/2001 la cui natura è quella di svolgere una funzione (diversa) di prevenzione del reato. CONSEGUENZE PER ENTI CHE HANNO GIA’ ADOTTATO IL MODELLO 231 i modelli 231 esistenti dovranno essere aggiornati, per includere nuovi protocolli per il controllo delle attività a rischio di reato ambientale; l’aggiornamento dovrà essere preceduto da un fase di analisi del rischio. a seconda dell’indagine condotta sul livello di rischio esistente, l’azienda potrà: 1.decidere di integrare solo il proprio codice etico e il sistema sanzionatorio (includendo il riferimento alla responsabilità di dirigenti e dipendenti in materia di tutela dell’ambiente); 2.integrare la parte speciale (in caso di rischi elevati), introducendo nuove procedure specifiche per le funzioni aziendali che gestiscono attività che hanno un impatto sull’ambiente (scelta che appare consigliabile). LE CONSEGUENZE PER GLI ENTI CHE NON HANNO UN MODELLO 231 (segue) L’adozione dei modelli non è obbligatoria per le aziende che gestiscono attività a medio/alto impatto ambientale. La mancata adozione del Modello non è inoltre soggetta ad alcuna sanzione ma espone l’Ente alla responsabilità per gli illeciti realizzati nel suo interesse. L’adozione diviene tuttavia necessarie se si vuole beneficiare dell’ esimente escludendo la colpa organizzativa, senza considerare che gli Amministratori che esponessero l’ente all’applicazione delle sanzioni, per mancata adozione del Modello, sarebbero esposti ad azione di responsabilità da parte dei soci ex 2392 c.c.. Secondo la giurisprudenza maggioritaria, non sussiste alcun margine di discrezionalità in capo al giudice che si trovasse a decidere sulla responsabilità amministrativa di un ente (per un reato commesso da soggetti apicali o subordinati all’ente commesso a “vantaggio” o “nell’interesse” di quest’ultimo successivo alla data di entrata in vigore dei reati ambientali presupposti) sprovvisto di idoneo modello organizzativo. (segue) L’adozione del modello è vivamente consigliata, almeno per 2 motivi: nel caso di società che gestiscono processi ad alto rischio per l’ambiente, l’adozione di un modello di organizzazione e gestione (preceduto da una valutazione dei rischi della propria attività) può alleggerire la responsabilità dell’azienda, nell’ipotesi di commissione di reati ambientali; le singole Regioni potrebbero rendere obbligatorio il modello, in un’ottica di prevenzione degli illeciti ambientali, considerata la sensibilità dell’opinione pubblica sui temi della gestione dei rifiuti e della tutela dell’ecosistema. Lo stesso è già accaduto per la “gestione” dei reati contro la Pubblica Amministrazione in Abruzzo, Calabria e Lombardia. (segue) Sembra ormai che il fondamento della policy aziendale su principi di legalità preventiva, da facoltà o opportunità, stia diventando un’esigenza: 1. Il decreto n. 588/2010 della Regione Lombardia richiede espressamente l’adeguamento al modello 231 quale condicio sine qua non per gli enti che svolgono servizi formativi e che vogliono addivenire alla contrattazione con la regione; 2. la politica legislativa della Regione Calabria (già nel 2008) ha imposto alle imprese operanti in regime di convenzione di adeguarsi alle disposizioni del decreto 231: art.54 Legge Regione Calabria n. 15/ 2008 « Le imprese che operano in regime di convenzione con la Regione Calabria, sono tenute ad adeguare, entro il 31 dicembre 2008, i propri modelli organizzativi alle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante la "disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società, e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300", dandone opportuna comunicazione alla Regione». (segue) Domanda: Possibile obbligatorietà del modello 231 per partecipare agli appalti pubblici sulla gestione dei servizi ambientali? (possibile) Risposta: Si tratterebbe di una prerogativa legittimamente imposta dalla stazione appaltante di riferimento in quanto appare compatibile con artt. 38, 39, 41, 42 del Codice dei contratti pubblici (ad esempio, la Regione Calabria non stipula più convenzioni con organizzazioni non dotate di Modelli 231). (segue) Art. 38 «requisiti di ordine generale» del Codice dei contratti pubblici (co. 1). Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all'articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni ; b) nei cui confronti è pendente procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575; l'esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; i soci o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico o il socio unico persona fisica, ovvero il socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società; (segue) c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato e' stato depenalizzato ovvero quando e' intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato e' stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima; (segue) d) che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria posto all'articolo 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55 l'esclusione ha durata di un anno decorrente dall'accertamento definitivo della violazione e va comunque disposta se la violazione non e' stata rimossa; e) che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio; f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante; g) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti; h) nei cui confronti (…) risulta l'iscrizione nel casellario informatico (…) per aver presentato falsa dichiarazione o falsa documentazione in merito a requisiti e condizioni rilevanti per la partecipazione a procedure di gara e per l'affidamento dei subappalti; i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti; (segue) l) che non presentino la certificazione di cui all'articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68, salvo il disposto del comma 2; m) nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell'8 giugno 2001 n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006 n. 248 (7). m-bis) nei cui confronti, ai sensi dell'articolo 40, comma 9-quater, risulta l'iscrizione nel casellario informatico di cui all' articolo 7, comma 10 , per aver presentato falsa dichiarazione o falsa documentazione ai fini del rilascio dell'attestazione SOA. m-ter) di cui alla precedente lettera b) che pur essendo stati vittime dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risultino aver denunciato i fatti all'autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall'articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (…). m-quater) che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all' articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale. PRONUNCE GIURISPRUDENZALI IN MERITO A DEL MODELLO 231 MANCATA ADOZIONE la Corte affronta il tema della mancata adozione dei modelli di organizzazione, quale fonte di responsabilità dell'ente: «in questa situazione, essendo pacifico che la società non possedeva modelli di organizzazione, tale situazione è secondo l'art. 6 D. Lg. 231/01 fonte di responsabilità dell'ente, atteso che anche la più recente giurisprudenza ha affermato che la C.d. "colpa di organizzazione" dell'ente consiste proprio nel "non avere predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato"( Cfr. Cass. pen. sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735); nello stesso senso, la Corte ha avuto modo di affermare che “la mancata adozione dei modelli organizzativi in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi indicati dalla legge (reato commesso nell’interesse o a vantaggio della società e posizione apicale dell’autore del reato) è sufficiente a costituire quella “rimproverabilità” di cui alla Relazione ministeriale del decreto legislativo e ad integrare la fattispecie sanzionatoria, costituita dall’omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose” (Cfr. Cass. pen., Sez.VI, 09.07.2009, n.36083); inoltre, il Tribunale Milano, sez. VIII civ., 13 febbraio 2008, n. 1774, in motivazione enuncia: “…per quanto attiene all’omessa adozione di un adeguato modello organizzativo …risulta… incontestabile il concorso di responsabilità di parte convenuta che, quale Amministratore Delegato e Presidente del C.d.A., aveva il dovere di attivare tale organo…”. al contrario, in materia di appalti, una recente pronuncia del Tar Sicilia, ritiene irragionevole imporre, quale requisito di partecipazione, l'adozione di un Modello 231; il giudice amministrativo si muove su due fronti: da un lato precisa che il D.L.gs 231ha una sua specifica finalità (ovvero liberare la società dalla responsabilità amministrativa conseguente alla commissione di reati da parte dei propri dipendenti/incaricati) e dall’altro evidenzia come lo stesso Modello non sia richiamato dal Codice degli appalti; in particolare, la lex specialis della procedura imponeva, a pena di esclusione, di produrre la documentazione comprovante l’adozione di un modello di gestione, organizzazione e controllo dell’impresa in conformità a quanto previsto dal d.lgs. n. 231/2001; più precisamente, l’impresa ricorrente lamentava di essere stata illegittimamente esclusa, contestando la legittimità del bando di gara indetto dal Comune per l’affidamento del servizio di «ripristino delle condizioni di sicurezza stradale e di reintegra delle matrici ambientali compromesse dal verificarsi di incidenti stradali»; sul punto, il Collegio osservava come «non fosse ragionevole imporre agli offerenti - quale sostanziale requisito di partecipazione - l’adozione del modello di gestione, organizzazione e controllo dell’impresa in conformità a quanto previsto dal d.lgs. n. 231/2001.»(cfr. TAR Sicilia, Sez. III, Terza, 4 febbraio 2011). Ulteriore ampliamento dei reati presupposto: i reati in materia di corruzione (cenni). L'elenco dei «reati presupposto» è stato da ultimo rivisitato dalla legge 190/2012 (c.d. Legge Anticorruzione), provvedimento che ha riformulato (ampliandone la portata) i reati di corruzione e li ha agganciati (nella loro nuova versione) al decreto 231. È proprio tale ampliamento, sia delle condotte colpite che dei soggetti imputabili, ad allargare le ipotesi di responsabilità amministrativa degli enti Nel nuovo reato di «indebita induzione a dare o promettere denaro o altra utilità» (articolo 319-quater, Codice penale), oltre al pubblico ufficiale che abusando dei suoi poteri persuade un soggetto a dagli utilità è infatti colpito anche il soggetto privato che dà o promette il vantaggio (e quindi, di riflesso, anche l'ente di appartenenza). Così come nel nuovo reato di «corruzione tra privati» (art. 2635 c.c.) laddove sono ora colpiti, oltre ai corrotti, anche i soggetti che danno o promettono denaro e utilità per ottenere atti contrari a obblighi di ufficio o di fedeltà. Grazie per l’attenzione Avv. Antonio Papi Rossi - Santa Maria Studio Legale Associato [email protected] www.santalex.com 47