Corrado Alvaro e Carlo Bernari: storia epistolare di una trentennale amicizia. di Enrico Bernard Il 28 giugno del 1957 Laura Babini Alvaro, moglie di Corrado, scrive a Carlo Bernari che aveva appena commemorato su "Il Contemporaneo" 1 lo scrittore di San Luca scomparso nel 1956: "Caro Bernari, Massimo2 mi ha scritto che sul Contemporaneo c'è un articolo Suo su Corrado. Potrei averlo? Lo metteró da parte tra le sue carte. Mi scusi. La ringrazio e la saluto, assieme alla Sua gentile signora". La lettera della moglie di Alvaro è conservata nell'archivio di Carlo Bernari presso l'Archivio del '900 alla Sapienza di Roma, diretto da Francesca Bernardini, insieme alle missive inviate dallo scrittore calabrese all'amico e collega napoletano. Non vi è peró traccia, tra le carte dell'Archivio Bernari, delle lettere da questi inviate ad Alvaro, neppure in forma di minuta. Ho cercato di interpellare la Fondazione Alvaro per colmare la lacuna, ma sembra che non si trovino questi importanti riscontri per ricostruire il carteggio da entrambe le parti. La speranza è che questo mio intervento stimoli una ricerca piú approfondita su cui, in caso di sviluppi successivi, torneró volentieri. Delle lettere di Alvaro, oltre agli originali, esistono delle copie: tutte le missive sono state ribattute in bella da Bernari stesso in seguito ad una richiesta della Bompiani. Sulla copia della prima lettera in ordine cronologico si legge infatti una nota di Bernari a penna posta di traverso nell'angolo di sinistra del foglio: "copia delle lettere date a Bompiani per l'epistolario". Le notizie biografiche e il carteggio non rivelano la data esatta nè l'occasione del primo incontro, da cui scaturì la quasi trentennale amicizia tra Corrado Alvaro e Carlo Bernari. È possibile per altro giungere ad una ricostruzione che restringa tra il 1929 e il 1930 il periodo da prendere in esame. In effetti sono gli anni in cui Alvaro, di circa 14 anni più anziano di Bernari (rispettivamente sono nati nel 1895 e nel 1909), ottiene la consacrazione definitiva con la pubblicazione presso l'editore Le Monnier di "Gente in Aspromonte"; ma già dalla metà degli anni Venti lo scrittore calabrese aveva superato la pratica dell'esordio e delle 1 L'omaggio di Carlo Bernari a Corrado Alvaro appare nel 1957 anche sul "Supplemento del Bollettino del Sindacato Nazionale Scrittori" (s.n., s.l., Poligrafica Italiana, Roma 1957) 2 Massimo Alvaro, fratello di Corrado, nato nel 1914 é deceduto nell'agosto del 2011. successive conferme3. Mentre il più giovane Carlo Bernari, che nel 1929 ha appena vent'anni e si firma ancora Bernard (nome originario della famiglia di discendenza francese, ne parleró tra poco perchè all'elaborazione dello pseudonimo "Bernari" collaboró anche Alvaro), si sta affacciando sulla scena letteraria attirando l'attenzione. Infatti, come noto, l'esordio di Carlo Bernari avviene nel 1934 con la pubblicazione del romanzo "Tre operai" nella collana "I Giovani" della Rizzoli diretta da Cesare Zavattini. La genesi dell'opera narrativa di Bernari è tuttavia fissata tra il 1928 e il 1929 con la pubblicazione dei primi capitoli su alcune riviste letterarie.4 Ma al di là del romanzo in gestazione di Bernari, che però già dalla fine degli anni Venti, riscuote i primi consensi ed ottiene qualche eco negli ambienti letterari, va detto che a far risaltare il nome del giovanissimo Bernari è la sua attività culturale e politica che lo porta, in compagnia di due artisti amici, Paolo Ricci e Guglielmo Peirce, a sfidare la cultura imperante proponendo una manifesto marxista-postfuturista nel bel mezzo del ventennio fascista. Apro dunque una parentesi su questo aspetto poco conosciuto della nostra storia letteraria, poichè è proprio in questo humus di amicizie e dibattiti, incontri e confronti, che viene a stabilirsi e poi a consolidarsi la sintonia politica ancorchè umana tra Corrado Alvaro e Carlo Bernari. Infatti, già dalla seconda metà degli anni Venti a casa del pittore D’Ambrosio, nella “Libreria del 900” di Arcuno, e a casa di Paolo Ricci a Villa Giulia a Napoli, tantissimi artisti e intellettuali si radunano per discussioni, dibattiti e scambi di informazioni. Casa Ricci era frequentata non solo da molti pittori napoletani ma anche da autori quali De Filippo, Viviani, Guttuso, Pratolini, Gatto e, last but not least, Corrado Alvaro. 3 cfr. Corrado Alvaro, L'uomo nel labirinto, Milano, Alpes, 1926 (già apparso a puntate nel 1922 sullo «Spettatore» e ripubblicato, una nuova stesura, Il mare); introd. di N. Tedesco, Milano, Bompiani, 1994; L'amata alla finestra, Torino, Buratti, 1929 (VI ediz., Milano, Bompiani, 1953, riordinata e ampliata con la parziale ristampa di Misteri e avventure e di La signora dell'isola); introd. di W. Pedullà, ivi, 1994; Misteri e avventure, L'Aquila, Vecchioni, 1930; La signora dell'isola, Lanciano, Carabba, 1930 (con nota di R. Ceserani, Palermo, Sellerio, 1988). 4 Il romanzo Tre operai di Carlo Bernari pubblicato il 9 febbraio 1934 nella collana ‘I giovani’ di Rizzoli diretta dal giovane Cesare Zavattini, fu concepito già nel 1928, lo testimonia una prima stesura, ritrovata nel 1965, dattiloscritta: «Carlo Bernari/ «TEMPO PASSATO» [cassato a matita] / Gli stracci [a matita, ripassato a penna] /1928-1929 [a matita, ripassato a penna] / Ia stesura di 3 operai, Inedita [a matita]». Alcuni capitoli, poi espunti o rielaborati nella stesura definitiva, furono pubblicati nei primi Anni Trenta da "Il Tevere" e "L'Italia vivente". Cfr. Carlo Bernard, "Operai", in <L'Italia vivente>, II, 14,15-31 agosto 1932. "Morte di una ragazza", in <Il Tevere>, IX, 234, 1° e 2 ottobre 1932. "Il ragazzo del XV Lotto", in <Il Tevere>, IX, 242, 12-13 ottobre 1932. "Giornata di sole", in <Il Tevere>, IX, 260, 1°-2 novembre 1932. Cfr, Carlo Bernari, Nota 1965, postfazione dell’Autore alla I edizione della Collana Narratori italiani di Tre operai, a cura di Niccoló Gallo, Milano, Arnoldo Mondadori, pp 256-257. Qui Bernari stesso fornisce una dettagliata descrizione del manoscritto inedito e della storia di „Tre operai“: „[...] dovendo sgomberare la cantina per una riparazione urgente, da una cassa piena di cartacce emerse un volume dattiloscritto, magicamente dico, poiché credo alla magia di certe concomitanze. Come non mettere in relazione la cantina allagata, la cassa che quasi vi galleggiava, il me assillato da quel discorso si e no su <Tre operai>, e quell'INEDITO che a grandi lettere in rosso mi tentava dalla copertina? Intatto; salvo alcuni margini intaccati dai topi, e sei pagine mancanti (33-38) pubblicate, come si legge sul risvolto della 32, nel1"'Italia Letteraria" del febbraio 1934; mentre le pagine 57-62 risultano staccate e recano annotazioni tipografiche di mano ignota ("tondo", "corsivo") rifiutate forse da qualche giornale dopo lo scandalo suscitato da <Tre operai>. Sul frontespizio, il primo titolo Tempo passato, cancellato a matita, è seguito dalla dicitura: "Gli stracci - 1931 - prima stesura di Tre operai - Inedita". Quindi, dopo una pagina bianca, un' epigrafe tolta dal Sistema della natura del d'Holbach, che dice il mio ingenuo materialismo di allora: "Se si consultasse 1'esperienza in luogo del pregiudizio, la medicina fornirebbe alla morale la chiave del cuore umano; e, sanando il corpo, si avrebbe qualche volta la certezza di sanare lo spirito". La parola" fine", a pagina 282, è preceduta da due date: 1930-1931”. Ritengo necessario a questo punto aprire una parentesi per spiegare non solo il clima in cui scatta l'amicizia tra Bernari ed Alvaro, ma anche la presenza e l'importanza di altri protagonisti che sono parte in causa - come Paolo Ricci ad esempio, il quale peraltro fornisce spesso anche la casa per questi incontri politico-culturali e che rappresenta il train d'union tra lo scrittore calabrese giá affermato e il giovane intellettuale napoletano che ha in gestazione il romanzo "Tre operai". Il sodalizio tra il pittore Paolo Ricci e Bernari risale alla seconda metà degli anni Venti5 e coinvolge anche un terzo giovane intellettuale, Guglielmo Peirce, a sua volta filosofo e pittore, nonchè cugino di Bernari. I tre giovani daranno vita, proprio negli anni in cui il regime fascista rivelava la sua natura autoritaria e violenta, ad un movimento marxista, anticrociano e, soprattutto, antifuturista (ritenendo esaurita ormai la spinta innovativa del primo futurismo). Tra il 1927 e il 1929 i tre giovani intellettuali, non ancora ventenni, vogliono scrivere una "Storia del movimento operaio a Napoli", opera che mai vide la luce ma che fornì a Bernari, impegnatosi più dei due amici nelle ricerche storiche, il materiale e gli ambienti per le prime stesure di "Tre operai" ("Tempo passato" del 1928-29 e poi "Gli stracci" del 1929-1931)6. Tramite Ricci7, Bernari si avvicina agli artisti circumvionisti napoletani8 e, grazie all'attivissimo Peirce, al gruppo romano della "seconda ondata", legato al futurismo. Il 18 gennaio 1929, in una serata al Circolo Marchigiano di Roma, presenti Marinetti e Balla e Luigi Pepe Diaz, antifascista e comunista, 5 Le attività dei tre amici vengono narrate da Bernari in racconti come “Bettina ritrovata”, in Per cause imprecisate (1965) e in romanzi semi-autobiografici quali "Amore amaro", "Prologo alle tenebre" e ne "Le radiose giornate" . Le stesse attività vengono richiamate con una certa distanza critica, e con nostalgia, nell’ultimo romanzo di Bernari: "Il grande letto". Per le esperienze vissute con Ricci durante la guerra, si vedano molte pagine in "Vesuvio e pane" . In un curioso capitolo di "Bibbia napoetana" Bernari narra le visite con Ricci in casa di Benedetto Croce. 6 Il romanzo Tre operai di Carlo Bernari pubblicato il 9 febbraio 1934 nella collana ‘I giovani’ di Rizzoli diretta dal giovane Cesare Zavattini, fu concepito già nel 1928, lo testimonia una prima stesura, ritrovata nel 1965,6 dattiloscritta: «Carlo Bernari/ «TEMPO PASSATO» [cassato a matita] / Gli stracci [a matita, ripassato a penna] /1928-1929 [a matita, ripassato a penna] / Ia stesura di 3 operai, Inedita [a matita]». Alcuni capitoli, poi espunti o rielaborati nella stesura definitiva, furono pubblicati nei primi Anni Trenta da "Il tevere" e "L'Italia vivente". Cfr. Carlo Bernard, "Operai", in <L'Italia vivente>, II, 14,15-31 agosto 1932. "Morte di una ragazza", in <Il Tevere>, IX, 234, 1° e 2 ottobre 1932. "Il ragazzo del XV Lotto", in <Il Tevere>, IX, 242, 12-13 ottobre 1932. "Giornata di sole", in <Il Tevere>, IX, 260, 1°-2 novembre 1932. Cfr, Carlo Bernari, Nota 1965, postfazione dell’Autore alla I edizione della Collana Narratori italiani di Tre operai, a cura di Niccoló Gallo, Milano, Arnoldo Mondadori, pp 256-257. Qui Bernari stesso fornisce una dettagliata descrizione del manoscritto inedito e della storia di „Tre operai“: „[...] dovendo sgomberare la cantina per una riparazione urgente, da una cassa piena di cartacce emerse un volume dattiloscritto, magicamente dico, poiché credo alla magia di certe concomitanze. Come non mettere in relazione la cantina allagata, la cassa che quasi vi galleggiava, il me assillato da quel discorso si e no su <Tre operai>, e quell'INEDITO che a grandi lettere in rosso mi tentava dalla copertina? Intatto; salvo alcuni margini intaccati dai topi, e sei pagine mancanti (33-38) pubblicate, come si legge sul risvolto della 32, nel1"'Italia Letteraria" del febbraio 1934; mentre le pagine 57-62 risultano staccate e recano annotazioni tipografiche di mano ignota ("tondo", "corsivo") rifiutate forse da qualche giornale dopo lo scandalo suscitato da <Tre operai>. Sul frontespizio, il primo titolo Tempo passato, cancellato a matita, è seguito dalla dicitura: "Gli stracci - 1931 - prima stesura di Tre operai - Inedita". Quindi, dopo una pagina bianca, un' epigrafe tolta dal Sistema della natura del d'Holbach, che dice il mio ingenuo materialismo di allora: "Se si consultasse 1'esperienza in luogo del pregiudizio, la medicina fornirebbe alla morale la chiave del cuore umano; e, sanando il corpo, si avrebbe qualche volta la certezza di sanare lo spirito". La parola" fine", a pagina 282, è preceduta da due date: 1930-1931.”. 7 cfr. "Paolo Ricci", catalogo della mostra retrospettiva con interventi e saggi vari, Napoli, Castel Nuovo 26 giugno - 28 settembre 2008, a cura di Mario Franco e Daniela Ricci, Electa Napoli, 2008. 8 Il gruppo circumvisionista <sodalizio fra pittori di belle speranze e di molte illusioni> nacque tra il 1928 e il 1929. Tra i firmatari del primo "Manifesto dei pittori circumvisionisti" (stampato in opuscolo e dopo alcuni mesi riprodotto in "Forche Caudine", II, n. 2, Benevento, 15 gennaio 1929, p. 5) é proprio Guglielmo Peirce. Per una analisi esaustiva del movimento circumvisionista cfr. Matteo D'AMbrosio, "I circumvisionisti, un'avanguardia napoletana negli anni del fascismo", Edizioni Cuen, Napoli, 1996. rifugiatosi in seguito a Parigi -, Gustavo Barela, leader del gruppo, legge due poesie di Bernari, "Ghigliottina" e "Idillio7", andate perdute. Ma in questo clima Bernari, Peirce e Ricci fondano un movimento d'avanguardia e, tornati a Napoli circa a metà del '29, lanciano il "Manifesto di Fondazione dell'UDA (Unione distruttivisti attivisti)", che, stampato in cinquecento copie, “imbucato e distribuito di notte”9 viene recensito da Ungaretti. Racconta Benari: “Il manifesto nacque tra la fine del ’27 e i primi del ’28; proprio in opposizione all’ottimismo futurista. Lo concepimmo innanzitutto come testimonianza critica antifascista, in opposizione all’arte ufficiale fascista. Essendo giovani non potevamo essere ingenerosi, per cui vedevamo fascismo dovunque. E bisognava abbatterlo; e come, se non prevaricando! […] Cosa proponevamo? Non il suprematismo macchinista di stampo futurista, che era in sè per sè un’esaltazione della macchina, già allora tanto minacciosa; ma una coscienza tecnologica che modificasse o tentasse di modificare anche quelle strutture ideologiche che potrebbero considerarsi sconfitte dalla macchina. […] Ed ecco come da una simile riflessione doveva nascere il distruttivismo e l’attivismo dell’U.D.A., cioè Unione distruttivisti - attivisti, per un’attività dello spirito non in senso gentiliano, ma in dialettica con la natura, in dialettica con la storia, e coscienti dei mezzi tecnologici e scientifici da cui l’uomo d’oggi è condizionato.”10 Il Manifesto affermava alla luce del marxismo e di Freud l’inutilità dell’arte, anche di quella cosiddetta d’avanguardia, futurismo in primis, perchè destinata a diventare comunque un aspetto della cultura borghese, annunciando la fine delle arti belle e mostrando intolleranza per ogni tipo di autorità sia in campo politico che artistico. I distruttivisti-attivisti affermavano il primato della scienza e della tecnologia, “uniche attività capaci di sottrarsi all’asservimento di classe e in grado di restituire un’immagine positiva del reale”,11 in tal senso essi consideravano la macchina non l’oggetto mitico dei futuristi, ma uno strumento da osservare senza enfasi: “Uno strumento in grado di trasformare i meccanismi produttivi e di eliminare lo sfruttamento presente nel mondo industriale. Colpisce, nel testo d’impronta dadaista, l’attenzione, sulla linea di Breton e dei surrealisti, alle ricerche della psicanalisi e al loro rapporto con l’arte moderna, mostrando un interesse che investiva tutti i campi dell’attività culturale: dai problemi sociali che si richiamavano al marxismo all’architettura, dall’urbanistica alla scienza, ai costumi della vita moderna.”12 9 L. Vergine, L’opposizione di alcuni artisti nella Napoli degli anni ’30 oppure I distruttivisti-attivisti, testo di una trasmissione radiofonica del terzo canale della Radio, 8 marzo del 1971, dattiloscritto in fotocopia, p.1, ASNA, Archivio Paolo Ricci, Parte Generale, 7/421 10Rocco Capozzi, Intervista a Carlo Bernari, in "Italianistica", IV, gennaio aprile 1975, n.1, p.157. 11 Carlo Bernari, Ricci, dattiloscritto, s.d., Archivio di Stato di Napoli (d’ora in poi ASNA), Archivio Paolo Ricci, Parte Generale, 1/36. 12Daniela Bernard, Carlo Bernari a Parigi, in Studi novecenteschi , Serra Editore, XXXVI, n.78, luglio-dic.2009, pp.313-346. Il movimento ebbe scarsa influenza sulla cultura ufficiale, ma non passò inosservato a Croce che, nonostante la sua celebre ostilità verso ogni novità, a Francesco Flora che glielo fece recapitare disse che il manifesto era “una cosa molto seria”13 aggiungendo la famosa frase: “Sti guaglioni non so’ fessi!”.14 Una lettura meno superficiale del testo udaista venne da Giuseppe Ungaretti che su "Il Tevere"15 scrisse: “Sono tre pagine non stupide, scritte da persone che hanno seguito le idee intorno all’arte di questi ultimi tempi. […]. È, riconosciuto, l’errore romantico. Per i romantici si trattava di liberare lo spirito dai ceppi della retorica. In realtà abbiamo avuto questo: una serie di rivoluzioni teoriche, la durata sempre più breve di queste successive retoriche, la persuasione sempre più insopportabile di avere tra i piedi una retorica da mandare al diavolo. E così l’arte si è fatta moda. Cioè si è messa a perseguire fini che sono l’opposto di questi dell’arte e i predetti Signori non hanno torto di lanciare il manifesto dell’antiarte. Ma ora viene il bello. I Distruttivisti-Attivisti parlando di arte che sarebbe mutevole simpatia verso un oggetto il quale cambia con il cambiare della simpatia stessa, vogliono dirci che questo oggetto è la macchina. Lo aveva detto anche Marinetti. Ma essi non considerano la macchina come una bellezza da esaltare ma come un prodotto della nostra civiltà da sfruttare”. Il Manifesto16 dei „distruttivisti-attivisti“ Bernari, Peirce e Ricci rappresenta la reazione negativa, probabilmente la prima da parte di giovanissimi intellettuali marxisti, al futurismo: si tratta sostanzialmente, al di lá della polemica tipica del tempo sulla funzione e valore dell’arte, di una vera e propria „messa in guardia“ ideologica contro il mito della „macchina“ che, disumanizzando il lavoro e incrementando la dinamica del profitto, non può essere vista solo come uno strumento di progresso, ma Intervista a Paolo Ricci, dattiloscritto originale, s.d., ASNA, Archivio Paolo Ricci, Parte Generale, 1/80. Paolo Ricci, dattiloscritto originale, s.d., ASNA, Archivio Paolo Ricci, Parte Generale, 3/125. 15 Giuseppe Ungaretti L’arte è novità, «Il Tevere», 19 ottobre 1929. 16 Il Manifesto dell’U.D.A. (titolo originale: Manifesto di Fondazione dell’U.D.A. Unione Distruttivisti Attivisti. Napoli, Vico delle Fiorentine a Chiaia, 5) appare in appendice al saggio di Rocco Capozzi, “Bernari tra fantasia e realtà”, Napoli, SEI, 1984, pp. 151-157; qui viene citato come UDA. La data 1928 nel punto 6, si riferisce alla fondazione del “Circumvisionismo”. Qui di seguito i nove principi base esposti all’inizio del Manifesto e poi elaborati in cinque brevi capitoletti ricchi di riferimenti alla cultura europea del primo Novecento: 1. Non esiste un’arte rivoluzionaria e un’arte non rivoluzionaria: l’arte vera è stata sempre rivoluzionaria. 2. L’arte essendo l’espressione del tempo, è moda, cioè cambiamento. 3. L’arte è mutevole simpatia verso un oggetto il quale cambia col cambiare della simpatia. 4. È sbagliato dire, per es. che oggi bisogna concretizzare ciò che hanno creato i primi futuristi. I primi futuristi non hanno laciato niente d’incompleto, poiché le loro opere sono perfette in relazione al loro tempo. Sono perfette perciò in assoluto. L’imperfetto e l’incompleto in arte non esiste. In arte esiste la non arte. 5. I problemi che interessavano gli avanguardisti del 1909 sono lontani da noi perché sono lontani da noi gli anni 1909 etc. – e niente affatto perché I nostri problemi artistici siano più complessi. 6. Il 1929 è un nuovo momento storico, non solo differente dal 1909, ma finanche differente dal 1928; presuppone quindi una nuova espressione. 7. È sbagliato pensare che le realizzazioni artistiche che vanno mettiamo dai cubisti ai surrealisti possono servire oggi come esperienza. In arte l’esperienza non esiste poiché essa sorge dalla storia che è eternamente nuova. 8. La rivoluzione permanente in arte è l’unica condizione dell’opera d’arte. 9. L’arte è novità, la novità è arte” 13 14 deve esserne avvertita la minacciosa potenzialità alienante. La cultura italiana, solitamente provinciale e un po’ miope, ha sempre insistito, tranne qualche raro caso, sulla mancanza di sbocchi e di influenza del Manifesto dell’Uda.17 Tuttavia Il 9 giugno 1929 sul Corriere d’America a New York apparve il Manifesto di Fondazione dell’U.D.A. ( Unione Distruttivisti Attivisti) di Napoli, firmato da Carlo Bernard, Guglielmo Peirce e Paolo Ricci: la sorpresa sta nel fatto che il Manifesto sia arrivato in America subito dopo la pubblicazione a Napoli. Se colleghiamo questa data del 1929 col soggiorno parigino di Bernari del gennaio-aprile 1930 (Bernari raggiunge gli amici artisti Paolo Ricci e Guglielmo Peirce, che giá sono nella Ville Lumière da qualche tempo), dobbiamo rivedere - e di molto - la tesi sulla scarsa diffusione delle idee del Manifesto U.D.A. La digressione spiega la temperie culturale e storico-politica in cui si maturó il rapporto tra il giovane scrittore napoletano e il giá affermato autore calabrese; ed anche per comprendere l'ammirazione di Alvaro che naturalmente segue con attenzione la vita artistica e gli slanci intellettuali del suo tempo. La prima notizia circa l'amicizia tra Bernari e Alvaro ci perviene da Cesare Zavattini. Nel carteggio con Bernari, inviando da Milano in data 5 marzo 1934, il resoconto della promozione di "Tre operai" per stimolare l'amico a procurarsi recensioni e segnalazioni per premi letterari, Zavattini cita appunto Corrado Alvaro18: "[...] La faccenda della STAMPA (in maiuscolo nell'originale, ndr) è di enorme importanza. Devi con tutte le tue forze tendere al felice esito della proposta di Alvaro che saluterai tanto da parte mia. Anch'io lo ringrazio per questa sua pronta e larga cordialitá". Zavattini si riferisce probabilmente ad una possibile candidatura di "Tre operai" per il premio letterario patrocinato da La Stampa. Alvaro, che ha giá ottenuto il riconoscimento e che proprio sul quotidiano "La Stampa" ha pubblicato il 14 gennaio 1927 le prime pagine di "Gente in Aspromonte", è la sponda ideale per Bernari: ricordiamo infatti le frequentazioni napoletane di casa Ricci e della libreria Arcuno del 1928-1929. La collaborazione stretta in chiave letteraria tra Carlo Bernari e Corrado Alvaro, documentabile a partire dalla lettera di Alvaro del 2 novembre 193519, si intreccia temporalmente e, in qualche caso, 17 È da segnalare l’importanza che verrà data al documento dell’Uda soprattutto in seguito come ha scritto Filiberto Menna per il quale il manifesto “non ebbe il rilievo che meritava e che avrebbe certamente avuto non dico a Parigi, a Monaco, a Berlino, ma anche a Roma o a Milano”. Cfr F. MENNA, Un normanno a Napoli, in Paolo Ricci, Napoli, Electa, 1987, p.14 18 Lettera dattiloscritta, datata Milano, 5 marzo 1934, firma manoscritta autografa, carta intestata "Rizzoli&C. anonima per l'Arte della Stampa, Milano" inedita (Archivio Carlo Bernari) 19 Lettera di Corrado Alvaro a Carlo Bernard presso "L'Italia letteraria" via Cesare Beccaria 12. "programmaticamente" - soprattutto nel periodo 1935-1941 - con i rapporti epistolari tra Bernari e Zavattini. Anzi, i rapporti tra Alvaro e Zavattini vengono cuciti proprio da Bernari che si fa portavoce di varie proposte editoriali (come la collaborazione di Alvaro al "Tesoretto" edito da Bompiani prima, e con il "Tempo" di Mondadori di cui Bernari, grazie all'intercessione di Zavattini con Alberto, diverrá caporedattore). La lettera del 2 novembre 1935 presuppone del resto una giá lunga e collaudata collaborazione tra il mittente e il destinatario della missiva in cui si legge: Caro B., ho ripensato a qualche correzione da apportare nella nostra intervista. Primo: in principio, dove dico d'aver terminato il film e di non esser rimasto per il taglio e il montaggio, aggiungerei quella che è la veritá: "Son voluto tornare in Italia per trovarmi dentro le frontiere in un momento tanto importante per il nostro Paese." Secondo: nell'ultimo foglio, a una delle tante risposte, a proposito di poeti nuovi, aggiungerei: "Di altri poeti nuovi, oltre a quelli che voi conoscete, come Adriano Grande, Raffaello Prati, per citare i primi che mi vengono alla mente, io ne conosco uno nuovissimo: Stefano Landi, ecc." Grazie. Mi creda cordialmente Suo Corrado Alvaro Mi raccomando. Da questa lettera si possono desumere alcune prime conclusioni di carattere storico e letterario. Innanzitutto, va precisato che tra i due ci si dá giá del "tu". Qui l'uso della terza persona puó essere spiegabile col fatto che si tratta di una lettera ad uso redazionale, quindi caratterizzata dall'ufficialitá. Infatti, precedentemente, il 26 settembre sempre da Santa Liberata (Grosseto), Alvaro inviava a Bernari una breve lettera, piú confidenziale, scritta a penna: "Caro Bernard, io torno a Roma verso la fine di questa settimana, e avró un po' di tempo per frugare nella mia corrispondenza sperando di trovarvi qualche curiositá a uso dell'Almanacco Bompiani 20. Ti verró a cercare da Hoepli.21 Spero che tu abbia concluso il nuovo libro. Tante cose cordiali dal tuo Corrado Alvaro". Tornando alla lettera ad uso della redazione de "l'Italia letteraria" cui accennavo prima, va considerata l'importanza degli argomenti delle due precisazioni richieste da Alvaro in merito dell'intervista rilasciata a Bernari. Il film cui Alvaro allude è "Tagebuch der Geliebten" ("Il diario della donna Bernari dava una mano a Cesare Zavattini per l'Almanacco Bompiani diretto da Valentino Bompiani. Presso la libreria antiquaria Hoepli di Roma Bernari aveva ottenuto un impiego. La libreria fu luogo di raccolta e riunione di molti intellettuali antifascisti nella metá degli anni '30. 20 21 amata") girato in Austria in tedesco per la regia di Henry Koster da Guy de Montpassant. Alvaro ha scritto la sceneggiatura e ha preso parte nel 1935 alle riprese finali del film in tedesco, mentre Göring ufficializza al mondo le minacce naziste. Lo scrittore calabrese non puó non restarne colpito, soprattutto per il luogo in cui si trova, la patria natale di Hitler, che si affretta a lasciare: il momento tanto importante per il nostro Paese, - questa è la frase esatta che Alvaro chiede di aggiungere nell'intervista, - è proprio quello in cui si trova l'Italia, in bilico, sul baratro della mortale alleanza con Hitler: la visita del Führer a Roma del 1938 chiuderá le porte ad ogni speranza di tenere il nostro Paese fuori dalle barbarie. La seconda modifica all'intervista riguarda invece la citazione di Stefano Landi (il drammaturgo e scrittore figlio di Luigi Pirandello) tra i giovani poeti "emergenti" del tempo. Ma definire "emergente" o nuovo (come fa Alvaro) Stefano Landi Pirandello è, nel 1935, un po' azzardato. Prima di tutto Stefano Landi ha quarant'anni suonati, è giá conosciuto come drammaturgo e scrittore fin dal 1923 (con la sua prima pièce teatrale "Bambini"), insomma nell'ambiente letterario se ne conosce bene l'attivitá artistica, anche e soprattutto per la collaborazione col padre. È pur vero che Stefano si dedica estemporaneamente alla poesia (suoi alcuni versi inseriti dal padre Luigi in "Quando si è qualcuno" del 1933). Ma la prima e unica raccolta di liriche di Stefano Landi "Le forme" arriverá solo nel 1942. Dal momento che Alvaro non è il tipo d'uomo, - anche se ne avesse avuta necessitá - da citare un Pirandello per piaggeria o per compiacere l'influente scrittore siciliano appena insignito del Nobel (1934), perchè tiene tanto a queste due modifiche nell'intervista concessa a Bernari, fino al punto da aggiungere in calce un categorico "mi raccomando"? C'è forse un sottotesto storico-politico in questa lettera "redazionale" del 1935? Probabilmente sí. Si puó immaginare che Alvaro, venutosi a trovare nella patria natale di Hitler, nel preciso momento in cui si viene delineando con chiarezza il fanatismo nazista, cominci a riflettere sulla necessitá di trovare sponde intellettuali per influire in qualche modo sul Duce che si sta consegnando a Hitler. Se questa supposizione fosse vera, quale migliore sponda avrebbe potuto trovare Alvaro, se non proprio nel quarantenne figlio di Pirandello, che del resto teneva in piedi (soprattutto dal 1932, cioè quando Mussolini incaricó i Pirandello, padre e figlio, di collaborare alla realizzazione del film "Acciaio") il difficile rapporto col regime? Del resto il 1935 è l'anno in cui Galeazzo Ciano viene nominato Ministro della Cultura ed è ben nota la posizione critica del genero del Duce, che sará trucidato dai nazisti nel 1944, nei confronti di Hitler. È quindi il momento per Alvaro di agire, e questa lettera a Bernari del 1935 rappresenterebbe un tassello per la ricostruzione dell'impegno degli intellettuali del tempo, tacciati da alcuni storici di passivitá, almeno per risparmiare all'Italia la follia delle leggi razziali che furono promulgate da Mussolini, in ossequio a Hitler, nel 1938. Due mesi dopo la promulgazione delle Leggi Razziali del 25 luglio 1938, Alvaro torna a scrivere, in data 20 settembre, a Bernari. Anche se il tono è colloquiale ed amichevole, l'argomento della lettera è impegnato. Primo di analizzarne il contenuto, va precisato che Bernari, dopo aver subito gli strali della censura, si è rifiutato di sottoscrivere la tessera del partito fascista e lavora, nella seconda metá degli anni '30, quasi in incognito nella Casa Editrice Mondadori, coperto da Cesare Zavattini e da Alberto Mondadori.22 Quindi questa lettera di Alvaro a Bernari, scritta all'indomani della diffusione del "Manifesto fascista sulla Razza", rappresenta un altro segnale del tentativo di Alvaro di stabilire alcune precise sponde intellettuali, anche correndo qualche pericolo. Bernari infatti sta pensando di cambiare nome, proprio in seguito alle leggi razziali che anticipano la shoá: Bernard, il nome di famiglia con cui ha esordito, è un fardello per lo scrittore che deve pensare a nascondersi e a sbarcare il lunario. Bernard è nome francese, certamente riconoscibile, ed è oltretutto di origine ebraica. Di qui l'esigenza - per ovvi motivi - di "italianizzarlo". Sará Alvaro, come vedremo, a trovare - peraltro senza molta convinzione - la soluzione giusta. Ma al di lá di questi curiosi episodi biografici, interessa qui riportare la lettera di Alvaro del 20 settembre 1938 in cui l'autore calabrese puntualizza al giovane collega napoletano la questione formale del neorealismo23: "Caro B. ebbi la tua lettera mentre ero occupatissimo. Mi fece e mi fa un grandissimo piacere. Non so se sia vero quello che tu dici, ma comunque è un segno della tua amicizia, del tuo animo non tarato dalla letteratura, della tua curiositá umana. Se poi fosse vero, io ne sarei molto contento per me. Tu accenni al quesito se quel libro si possa chiamare romanzo. I pittori e i critici seguitano a chiamare figura e ritratto e paesaggio raffigurazioni che con queste denominazioni non hanno quasi piú nulla da fare, e che sono riflessi di uno stato d'animo poichè la tecnica è la sola cosa che cambia di secolo in secolo o di decennio in decennio nelle arti. Altrimenti noi staremmo a rifare coi medesimi modi le medesime apparenze essendo l'uomo e la natura sempre gli stessi. Queste cose si possono dire soltanto tra artisti; si puó dire che i temi sono pochi, sempre quelli; noi li confondiamo sotto falsi aspetti di novitá, gli antichi rifacevano di continuo e apertamente sempre, e diversi, gli stessi temi e gli stessi miti. L'evoluzione delle arti nell'ottocento, e di certe arti come il romanzo, ci è sembrata definitiva; ma pensiamo a quello che furono e perció non pensiamo al loro divenire. Ed esse sono divenute tanto piú diverse, personali, estranee in apparenza, quanto piú esperienza ha avuto l'artista, e non nel senso che l'artista abbia applicato la sua esperienza letteraria o artistica rifacendo il giá fatto, ma servendosene da reagente, 22 La testimonianza di Bernari del raccondo autobiografico "Quelle notti insonni nella Mondadori" é stata pubblicata dal Corriere della Sera del 30 agosto 1993 col titolo "Arnoldo, il compagno Bernari e l'ispezione el gerarca". 23 Lettera datata Santa Liberata (Groseto) 20 settembre 1938, autografa, redatta con macchina da scrivere e ricopiata da Bernari a macchina da scrivere . andando, d'istinto, proprio nell'inesplorato, nel non espresso, disprezzando le forme che i critici ci rimproverano di non rispettare, i generi che essi ci accusano di violare. Altrimenti sarebbe una noia terribile lavorare sul certo. A te pare di ricordare un mio atteggiamento sicuro e soddisfatto di me. Ricordo bene quel giorno. Ero sodisfatto perchè tu facevi considerazioni giuste, come si è soddisfatti d'una scoperta. Ma me ne sentivo invece escluso. Parlavi della necessitá di aderire al proprio tempo, e di ritrovare da questo l'universalitá perduta. Mi chiedevo come si poteva fare, essendone meccanicamente, e tuttavia non psicologicamente, escluso. Grazie, caro B. Tanti auguri affettuosi pel tuo nuovo libro". Dalle parole di Alvaro emerge cosí l'aspetto formale del processo (e del progresso) letterario che non puó essere altro che innovazione e rivoluzione del modo "critico" (forma) di rappresentare la realtá (contenuto). Bernari, come possiamo ben constatare, è tornato piú volte sulla questione: il dibattito su quello che, con un pleonasmo, potrei definire "realismo del neorealismo", in tal senso parafrasando Bernari stesso che in diversi interventi ha teorizzato una "realtá della realtá" come obiettivo dello scrittore, lo ha difatti impegnato per tutta la vita. Capozzi ha piú volte stimolato Bernari a tornare sull'argomento ottenendo, ad esempio, questa risposta epistolare24: "Il problema del realismo non può risolversi applicando la più ovvia formula dialettica, ora col privilegiare la realtà (l’oggetto) ora col privilegiare l’artista (cioè il soggetto) a seconda che si propenda per un materialismo cieco o uno spiritualismo non meno allucinante. A questo punto dovrebbe essere chiaro per tutti che quando si parla di realismo non si vuole pretendere di asservire l’arte al più piatto oggettivismo o naturalismo, ma s’intende agire all’interno di un fenomeno per coglierne tutti i momenti di crisi. Operando una scelta nella realtà l’artista compie un atto critico; ma tale scelta è già il risultato di un rapporto istituito, o meglio in fieri fra l’artista, nel nostro caso lo scrittore, e la realtà [...]" Al di lá delle questioni teoriche e storiche concernenti la formazione dell'idea del "neorealismo", è importante soffermarsi sul "piano formale" del discorso tra Alvaro e Bernari. Quello che si puó facilmente constatare è che non emerge nettamente una questione "contenutistica": Alvaro, Bernari, ma anche Zavattini, Moravia eccetera, danno per scontato l'engagement sociale, ma sfuggono alla rappresentazione realistica (cui si avvicina di piú Vittorini) preferendo una rielaborazione allegorica, grottesca, fantastica e favolistica della realtá. Tornando agli anni Trenta e ai rapporti tra Bernari, Alvaro e Zavattini, è stato Domenico Scarpa della Normale di Pisa a notare in 24 Lettera inedita di Carlo Bernari a Rocco Capozzi, 13 nov. 1974. Il carteggio Bernari-Capozzi é pubblicato in "Rivista di Studi Italiani", Anno XXVI, nr. 2 Dicembre 2008, pp. 236-240. margine alla copertina della prima edizione25 Bompiani de "L'uomo è forte" di Corrado Alvaro la firma dell'artista della curiosa immagine: b e r n a r d. Si tratta ovviamente di Carlo Bernard, che proprio con una variante26 suggerita a malincuore da Alvaro, comincerá a firmarsi Bernari dalla fine del 1939. La lettera in cui Alvaro manifesta la sua incertezza sulle intenzioni dell'amico di cambiarsi il nome, ma poi finisce per dargli dei suggerimenti, è la seguente: "Roma 5 ottobre 1939 XVII via Banco di Santo Spirito 48 Caro B., rimani Carlo Bernard. Infilare due nomi propri per chiamarti Bernardi non mi pare una soluzione; se l'altro Bernardi fa lo scrittore avrai un nemico e a ogni modo finireste per costruire ancora un'altra coppia di menecmi della letteratura nostra che in certi tempi pare abbia una scarsa inventiva perfino di cognomi. Pensare di modificare il cognome Bernard con un'altra desinenza, lo tentammo, se ti ricordi, una volta, e non veniva bene. E mi pare troppo tardi per crearsi un nome nuovo di sana pianta, che sarebbe l'unica soluzione nel caso presente. Rimani Bernard e Dio ti aiuti. Quando a questo nome avrai dato il tuo timbro intero, come ti auguro, tutti troveranno che non ti potevi chiamare diversamente. Anche il cognome fa parte della creazione di un artista. Grazie di quanto mi dici sulla mia collaborazione a 'La Stampa'. In veritá, il giornale è stato con me di una cosí naturale solidarietá in questi tempi di restrizioni che bisognerá io me ne ricordi sempre: il mio contratto è rimasto qual era, anche se il lavoro è per necessitá di cose diminuito. Non so dunque se potró, senza offenderlo, mandarti la novella che ho terminata appunto l'altro ieri. Ma puoi contare sul romanzo, che è poi un romanzetto. Cordialmente tuo Corrado Alvaro" La lettera si chiude quindi con un postscriptum in cui Alvaro, nonostante i suggerimenti contrari appena dati all'amico, suggerisce una serie di varianti per la questione del cognome: "Abernardi, Obernardi, Albernardi, Libernardi, Dibernardi; ecco ancora qualche combinazione. Il primo, con l'A, sarebbe una forma trentina come con Di nell'uso piú corrente. Ma piú lo rigiro da tutte le parti e meno ti so consigliare. A ogni modo, queste forme sono sempre migliori di quelle che ti suggerisce il torinese27, sovrattutto la seconda e la terza". 25 Corrado Alvaro, "L'uomo é forte", Bompiani, Milano, 1938. L'illustrazione di copertina rappresenta una sorta di omino-robot futurista nella posa di una marionetta meccanica, un'immagine che richiama alcuni spunti grafici di Peirce (cofondatore con Bernari e Ricci dell'Unione Distruttivisti Attivisti) a illustrazione del conflitto Uomo-Macchina al centro dello stesso manifesto udaista del 1929. 26 Nella lettera di Alvaro, tra le diverse varianti del nome, non viene espressamente citata quella di "Bernari". Tuttavia da un passaggio rileviamo che il discorso del nome é stato dibattuto anche voce nel corso di qualche incontro: "Pensare di modificare Bernard con un'altra desinenza, lo tentammo, se ricordi, una volta e non veniva bene"? 27 Il "torinese" citato da Alvaro é probabilmente Cesare Pavese che proprio in questi anni fa amicizia con Bernari. Dell'amicizia tra Bernari e Pavese resta un breve carteggio del 1949-1950 periodo in cui Pavese, poco mesi prima del suicidio, cercó vanamente di portare Bernari alla Einaudi. Il carteggio é stato riassunto in un articolo di Dario Fertilio apparso sul Corriere della sera il 26 novembre 2011 col titolo "Bernari, l'esiliato in casa". Naturalmente l'amicizia dei due scrittori sfocia presto in una collaborazione professionale piú stretta, soprattutto tra il 1939 e il 1940. È Bernari, del resto, essendo piú giovane ed esposto politicamente, a richiedere sostegno all'influente amico, al quale chiede un appoggio per poter inviare da Milano alcune corrispondenze gornalistiche a La Stampa. Alvaro si dichiara disponibile a dargli una mano. "Roma, 15 maggio (1939) Caro B., appena vedró Signoretti gli parleró del tuo desiderio di collaborare con La Stampa. Ma se in seguito ti verrá fatta una buona novella che tu possa prestarmi da mandargliela28, in modo da metterlo nella tentazione di pubblicarla, questo sarebbe il mezzo piú accorto che tu possa usare. Un'accettazione platonica del tuo nome potrei forse ottenerla per lettera, ma sarebbe una forma di cui non faresti pane. Gli articoletti milanesi non hanno possibilitá di successo. La Stampa tiene a Milano un corrispondente. Spero che tu ti trovi bene. Manderó in luglio il romanzetto. Salutami tutti. il tuo Corrado Alvaro". Senonchè è Corrado Alvaro e non Bernari a scrivere dei pezzulli milanesi a La Stampa. Alchè Bernari, sentendosi scavalcato, invia una rimostranza - lo sappiamo dal tono della risposta - all'amico che si giustifica: "Roma, 31 maggio 1939 Caro B., mi costringi a scriverti subito per dirti che non m'era neppure passato per la mente che l'avere io scritto qualche articolo milanese costituisse per te un impedimento a fare altrettanto. La veritá è quella che ti dissi: a Milano esiste un corrispondente che ha tutti i diritti del redattore e del collaboratore, e che pure non mandando quasi mai articoli sulla cittá, credo se ne avrebbe a male vedere altri entrato29 nel suo campo, a meno che non si 28 Il periodo risulta un po' contorto, ma chiaro nella sostanza. Alvaro scrive questa e le altre lettere del 1939 a mano, con calligrafia leggibile, ma di getto e senza correzioni. 29 Anche questa lettera é manoscritta con penna stilografica. Il participio "entrato" (anche Bernari nella sua trascrizione opta per questa interpretazione) sembrerebbe nell'originale lievemente ricalcato come se il termine scritto tratti di un inviato speciale come qualche volta accade. Credo anzi che nel suo primo anno di soggiorno milanese, uno come te scriverebbe cose pregevoli e bene ambientate. Meglio ecc. Ma perchè mi costringi a ribattere cosí e scusarmi d'aver lasciato intendere cose cui non avevo mai pensato e che arrossirei di aver pensato? Aspetto la novella e faró di tutto per esserti utile. Grazie delle rettifiche mondadoriane. Forse io ho trovato il mezzo migliore per essere trattato bene da M., standone lontano. Difatti il suo collaboratore, nei giorni del mio soggiorno a Milano, non poteva essere piú cortese. Ed era un elemento straordinario qualche anno fa, e s'è sciupato non so come. Forse tradendo o credendo di aver tradita una vocazione. Ciao. Il tuo Corrado Alvaro Trascorsa l'estate del 1939 torna dunque il sereno nelle relazioni dei due scrittori che si gettano alle spalle il malinteso a proposito della collaborazione a La Stampa. Bernari del resto, come redattore capo del mondadoriano Tempo, cerca di arricchire la rivista grazie alla collaborazione promessa da Alvaro. Roma, via Banco di Santo Spirito 48 22 settembre 1939 XVII Caro B., grazie della tua lettera e delle citazioni che hai fatto sui miei articoli recenti. Che ho dovuto compilare troppo in fretta perchè riuscissero come avrei voluto, ma serviranno forse un'altra volta per svolgerli meglio, se mai si potrá pubblicare un volume di queste cose. Ma veramente io sono pieno di cose da rifare. Scrivo contemporaneamente a Mondadori dicendogli che avrá prestissimo la novella e presto il romanzo. Quando avrete questa novella ditemi pure francamente se non va bene. È la prima di una certa strada che ho infilato, e i primi passi possono anche essere incerti. Tanti cordiali saluti Corrado Alvaro Tuttavia sembra che per la questione "Mondadori" e la collaborazione a Tempo Alvaro intenda tergiversare. Roma, via Banco di Santo Spirito 48 22 settembre 1939 XVII Caro B., vedi di ottenermi ancora una quindicina o ventina di giorni per la consegna del mio racconto. M'ero messo a lavorare sull'argomento che ti dissi, quello meridionale, ma il libro mi sta diventando un romanzo complesso e non so quanto gradevole nelle appendici originalmente fosse il piú corretto infinto "entrare". Probabilmente Alvaro apportó la lieve modifica in seguito ad una lettura veloce del testo appena scritto. d'una rivista. Con le proporzioni che va prendendo non puó essere terminato presto; ci vorranno ancora quattro o cinque mesi. Colpito da questo incidente, che nei fatti miei non è poi insolito, mi sono messo da una ventina di giorni a un altro lavoro per voi, un racconto grosso, e non l'ho ancora terminato, come speravo, per via di alcune complicazioni nelle mie giornate di lavoro. Fra venti giorni dovrebbe essere terminato bene. Mi dispiacerebbe di portare disordine nei vostri disegni, e piú di ricevere un richiamo meritato. Rispondimi presto. Grazie. Peccato non averti veduto a Roma. Avevo anche bisogno di parlarti e di sapere come ti sei messo. Speravo di fare un viaggio e di trovarmi a Milano, ma sono qui chiuso. Tante cose cordiali, dal tuo Corrado Alvaro Le lettere inviate da Alvaro a Bernari nei mesi successivi testimoniano un certo disagio di Alvaro che non vuole deludere l'amico nè negarsi apertamente a Mondadori. Va peró messa sotto la lente d'ingrandimento quella frase sibillina della missiva del 31 maggio 1939 appena citata: "Forse io ho trovato il mezzo migliore per essere trattato bene da M., standone lontano." Sta di fatto che ha lo scrittore calabrese ha cominciato a lavorare sodo con e per Bompiani, editore presso il quale pubblicherá le novelle degli "Incontri d'amore" e "Itinerario italiano" nel 1941, cui seguirá per gli stessi tipi nel 1942 il romanzo "L'amata alla finestra". Va da sè che Valentino Bompiani, il quale ha iniziato la sua carriera editoriale come braccio destro di Alberto Mondadori, non possa vedere di buon occhio che un suo autore si barcameni anche con la casa editrice concorrente. Ma allora, ci si potrebbe domandare, perchè Alvaro non spiega chiaramente all'amico Bernari, che insiste per farlo lavorare per Mondadori, come stanno effettivamente le cose? Con ogni probabilitá perchè si sente in debito nei confronti dell'amico. Infatti, come accennavo in precedenza, è Zavattini ad informarsi presso Bernari sulla disponibilitá di Alvaro a collaborare al "Tesoretto" di Bompiani. Bisogna tener presente che i rapporti editoriali sono in quel periodo, cioè tra il 1932 e il 1935, in costante divenire. Zavattini si costruisce a Milano una vera e propria officina editoriale grazie ai suoi rapporti sia con Valentino Bompiani che con Alberto Mondadori, collaborando con entrambi anche contemporaneamente. Valentino Bompiani è, tra l'altro, il primo editore a leggere "Tre operai" di Bernari, dopo aver ricevuto il manoscritto da Zavattini. Il quale pensa poi bene di sfruttare la novitá del romanzo del giovane Bernari per inaugurare la nuova collana de "I Giovani" da lui diretta presso Rizzoli. Da tutti questi passaggi se ne deduce che, in conclusione, Alvaro approda a Bompiani tramite il "Tesoretto" diretto da Zavattini, al quale viene presentato appunto dal comune amico Carlo Bernari. Prova ne sia che nel 1934 (con la pubblicazione del romanzo "Il mare") Corrado Alvaro appare nel catalogo Mondadori, ma dopo l'inizio della collaborazione - tramite Bernari - con Zavattini per il "Tesoretto" Bompiani, Alvaro entrerá, per poi restarvi, nel catalogo di questa casa editrice col romanzo "L'uomo è forte" del 1938, la cui copertina, come accennavo, è stata disegnata da un certo "bernard", ossia Carlo Bernari. Il 28 ottobre del 1940 Alvaro invia una lettera a Bernari, il cui contenuto non rappresenta piú un mistero alla luce di quanto si è detto. "Caro B., quest'anno avrei dovuto collaborare a quattro o cinque almanacchi. Perció ho deciso di non collaborare a nessuno, a cominciare da quello di Bompiani. Non ho nulla che valga la pena di essere segnalato. Perció devo rinunziare, con rincrescimento, al <Tesoretto>. Non so nulla della ripubblicazione de <Il Mare> nella collezione de <Lo Specchio>. Sapevo soltanto che Mondadori, non riuscendo a esitare un certo fondo di magazzino, ne liquidó una partita a prezzo ribassato. Perció la notizia mi sorprende. Consideravo il libro giá fuori del catalogo di Mondadori. Grazie, caro B., di ricordarti di me anche in <Tempo>. Ho veduta riprodotta una mia vecchia fotografia. Voi dovete averne una recente che mandai non ricordo in quale occasione. Ma ormai la festa è passata. Saluti affettuosi dal tuo Corrado Alvaro" La questione, ripeto, è che Alvaro debba la collaborazione al <Tesoretto> Bompiani, come si è visto, in ultima istanza a Bernari che ora gli sta chiedendo un impegno, e non di poco conto con Mondadori. Cosí Alvaro preferisce interrompere il discorso del <Tesoretto> (su consiglio dello stesso Bompiani? si potrebbe ipotizzare) per evitare di sentirsi in debito di riconoscenza. Ma che Alvaro non abbia, nell'ottobre del 1940, "nulla che valga la pena di essere segnalato", come scrive all'amico, è una scusa bella buona: tant'è vero che ha in programma ben tre opere di narrativa che usciranno pochi mesi dopo presso la stessa Bompiani. Ma il fatto è che Alvaro non fa neppure salti di gioia alla notizia della ristampa del romanzo "Il mare", giá pubblicato nel 1934, nella collana mondadoriana de "Lo Specchio". La notizia lo sorprende, considerava il libro giá fuori del catalogo Mondadori, e in qualche modo lo irrita, subdorando in quella mossa il tentativo dell'editore, al quale sta negandosi con cortesia ma senza piú nascodersi dietro un dito, di trattenerlo. Tutto ció spiega il sottotesto, altrimenti incomprensibile, della lunga missiva, inviata a Bernari tre mesi prima di quella succitata, in data 27 luglio 1940. "Caro B., scusami se l'altra volta non risposi a una tua lettera. Era piú d'un mese che non prendevo la penna in mano neppure per scrivere nei giornali. Sbrigavo soltanto il lavoro necessario e con grande fatica. Da una ventina di giorni mi sono rimesso alle cose mie volentieri. Io lasciai Bra nello stesso giorno dell'arrivo: c'era giá un collega dello stesso giornale che aveva cominciato il lavoro, e giudicai che non ci fosse lavoro per due. Sono ancora a Roma, è probabile che quest'anno non mi riesca di passare dieci giorni al mare. Ho tentato di lasciare la critica drammatica e non m'è riuscito. Ho ripreso anche il lavoro per Tempo, non è vero che la rivista m'invogli poco a scriverci. La vedo tutte le settimane. Sono deciso a togliermi il debito che ho con voi. Se non l'ho fatto ancora è che non mi è riuscito. Avevo pensato di fornirvi, in cambio della somma che ebbi, due racconti piuttosto lunghi, se concludere il romanzetto mi fosse difficile. Ad ogni modo, entro l'estate vi daró l'una o l'altra cosa. Mi dirai se sei d'accordo per una o due soluzioni. Devo lavorare senza pensare all'impegno, alla rivista e al pubblico. Altrimenti, come mi accaduto qualche volta in circostanze simili, metto fuori della vera robaccia. Insomma, dammi ancora tempo un paio di mesi. [...]". La frase da sottolineare ancora è: "sono deciso a togliermi il debito che ho con voi". Il plurale spiega che stiamo parlando di un rapporto a tre AlvaroBernari-Zavattini per la collaborazione al Tesoretto. Ma il debito, come si puó ben intuire, non è solo di riconoscenza: "avevo pensato di fornirvi, in cambio della soma che ebbi, due racconti piuttosto lunghi, se concludere il romanzetto mi fosse difficile". Il romanzetto in gestazione (con molta probabilitá "L'amata alla finestra") non giungerá mai al caporedattore del Tempo di Mondadori, ma prese direttamente la via per la Bompiani per essere pubblicato nel 1942, cioè poco piú di un anno dopo. Intanto Alvaro, in data 11 agosto 1940, cerca di accontentare in qualche modo anche gli amici di Tempo: "Caro B. ebbi la tua lettera. Ora mi succede di aver scritto poche cartelle di occasione chiestemi dalla radio sull'uva. Mi sono riservato il diritto di pubblicazione. Te le mando. Se servono a Tempo, e se le rivista pubblica cose come queste, e se il patto della diffusione per mezzo della radio non fa pregiudizio, puoi disporne. Senza complimenti. Te le mando, non avendo altro pel momento, e tenendo presente quanto mi dici nella tua ultima. [...]." Come, Alvaro ha avuto l'incarico e un anticipo per un romanzo a puntate o una serie di racconti dal Tempo mondadoriano, e alla fine invia al caporedattore Bernari poche cartelle giornalistiche sull'uva, per giunta giá messe in onda dalla radio? Fatto sta che cosí si chiude il debito di riconoscenza e la corrispondenza tra Bernari e Alvaro durante il successivo periodo bellico, per riprendere nel 1946, con una comunicazione ufficiale, in data 11 dicembre, del Sindacato Nazionale Scrittori, di cui Alvaro è fresco presidente. L'oggetto è la dilazione di un prestito del Sindacato che Bernari potrá restituire a mille lire al mese. Ma Alvaro, ancor pú generosamente, affiderá a Bernari il numero speciale del bollettino del Sindacato dedicato all'inchiesta sul libro, dando cosí modo allo scrittore napoletano di appianare comodamente il suo debito senza svenarsi: "[...]A titolo di rimborso spese, e come modesto compenso per l'opera tua ti prego di voler gradire la somma di L. 30.000."30 Tra il 1946 e la morte di Alvaro nel 1956 intercorrono una decina di lettere. Alcune di queste riguardano questioni burocratiche attinenti al Sindacato. Un'altra viene scritta di getto a penna stilografica da Alvaro: si tratta di una lunga lettera che peró affronta questioni di famiglia. È, questa, l'unica missiva che Bernari non trascrive per delicatezza e rispetto di un amico e di uno scrittore che, nel corso lunga amicizia, non si è mai sbottonato piú di tanto su questioni riservate. Naturalmente anche in questa sede manterremo il riserbo sia di Bernari che di Alvaro, il quale, accortosi di essere andato troppo oltre nelle confidenze, torna sull'argomento della "privacy" il 15 marzo 1951, forse accorgendosi che l'amico si sta lasciando involontariamente sfuggire qualche notiziola di troppo nella sua pratica giornalistica: "[...] Ti ringrazio del giudizio che dai del mio libro. Ho visto quanto hai scritto nel Tempo. sebbene a me non piaccia leggere delle cose private degli scrittori. Io ammetto soltanto le recensioni. Tanto piú che degli autori oggi si parla senza misteri, e io sono per il segreto elementare che ognuno difende per sè, qualunque mestiere faccia. Credo che sarebbe sgradevole a un droghiere trovare in un giornale i travagli delle sue scadenze e delle sue forniture [...]" Nel carteggio di questo periodo vi è peró una lettera scritta da Alvaro da Vallerano (Viterbo), in data 12 agosto 1947, in cui emergono due questioni. La prima concerne l'abbandono della direzione di "Risorgimento" 30 La lettera é senza data, manca anche la busta originale con l'affrancatura (Bernari conservava sia busta che lettera per il suo archivio personale). Ma la lettera a databile, sia pur approssimativamente, grazie ai riferimenti iniziali forniti da Alvaro: "Caro Bernari, ricevo il tuo assegno di lire settemila, che passo alla Cassa a decurtazione del tuo debito. Grazie. Mi rallegro che tu ti sia ricongiunto alla famiglia, e che il tuo libro abbia dato i primi frutti" Almeno tre elementi sono decisivi: 1) L'intestazione "Caro Bernari" ci porta naturalmente alla seconda metá degli anni '40; 2) La questione del debito col Sindacato Scrittori, di cui Alvaro é presidente, parzialmente saldato di Bernari, fa pensare all'acconto sulle vendite del romanzo Speranzella uscito per Vallecchi proprio nel febbraio del 1949, acconto che Bernari avrebbe appunto girato a parziale saldo dell'anticipo ottenuto dal Sindacato. Questa tesi trova conferma del resto anche per le felicitazioni di Alvaro per <il tuo libro (Speranzella, ndr.) che sta dando i suoi frutti>. 3) Ma la notizia del ricongiugimento di Bernari con la famiglia taglia la testa al toro. Bernari, che é a Milano collaboratore del quotidiano "Momento Sera" mentre la famiglia si é giá trasferita da tempo a Roma, viene licenziato ai primi del 1949 dal giornale con un sotterfugio burocratico: una visita al padre morente dello scrittore ritenuta assenza ingiustificata. In realtá, come mi confermerá mio padre lamentandosi dei <soliti compagni> che non gli avrebbero permesso di costituirsi una pensione, prima facendolo lavorare senza versare contributi e poi licenziandolo in tronco, si tratta dell'ennesima vendetta di Togliatti, dato che <Momento Sera> era in area PCI. da parte di Alvaro avvenuta in quel luglio. Tra i collaboratori del quotidiano c'è anche Bernari che è tra i pochi a risentirsi per la comunicazione interna di Alvaro che lascia libertá di scelta ai collaboratori del giornale in cui prevale una "cordata" conservatrice. "Caro Bernari, prima di lasciare <Risorgimento>, una settimana prima, feci scrivere una lettera a tutti i collaboratori annunziando la mia uscita imminente e il mutamento di direzione; li avvertivo che, se avessero voluto, avrebbero potuto manifestare il desiderio di rimanere col nuovo direttore. Naturalmente, ritirai gli articoli dei collaboratori politici. Avrai ricevuto anche tu la lettera in parola. Mi rincresce quanto ti è capitato, e non per colpa mia. Io non potevo essere nella coscienza di ognuno, tanto piú che avevo veduto qualcuno dei collaboratori, militante nei partiti di sinistra, che si accomodavano con Consiglio, mentre gli scrittori liberali gli dichiaravano di non volerci avere niente da spartire." Se la vicenda legata a <Risorgimento> è nota, meno conosciuti sono i risvolti di un'altra vicenda legata al Premio Viareggio che, proprio nel 1947 scatenó una polemica. Tutti erano convinti che avrebbe vinto Alberto Moravia, invece si decise per le "Lettere dal carcere" di Antonio Gramsci, anche se il regolamento prevede da sempre che devono essere premiati solamente autori viventi; e Gramsci era morto dieci anni prima. Nel premio assegnato a Gramsci, Bernari leggeva soprattutto un pedissequo e opportunistico ossequio a Togliatti che lo scrittore napoletano sapeva autore di una manipolazione degli appunti gramsciani fin dal 194431. Bernari, che proprio a causa di quegli avvenimenti, avveva strappato nel 1945 la sua domanda di iscrizione al PCI, dovette lamentarsi con Alvaro dell'assegnazione del Viareggio 1947 che, oltretutto, veniva a penalizzare uno scrittore come Moravia, per consacrare l'operazione ideologica togliattiana su Gramsci. Nella lettera che citavo prima a proposito di Risorgimento, Alvaro infatti si chiama fuori dalle vicende del premio: "[...] So che tu hai qualche rancore verso di me. Me lo spiego con tanti rancori che piovono sempre sullo scrittore che invecchia. Ma io cerco di dare il minore fastidio possibile ai miei amici, e di portare la mia piccola barca al sicuro. Forse l'avrai con me 31 La denuncia di Bernari come testimone oculare della censura e della manipolazione dei "Quaderni dal carcere" da Gramsci da parte di Togliatti avvenuta nel giugno del 1944 é stata ricostruita in base ai diari di Bernari da Dario Fertilio , "Togliatti censore: correggete Gramsci", nel "Corriere della Sera" del 2 dicembre 1996, p. 27. Sui retroscena politici tout court, e di politica culturale in generale, che portarono ad espungere dall'edizione 'togliattiana' dei Quaderni del carcere tutte le note gramsciane aspramente critiche riguardanti la figura e l'opera di Leonida Rèpaci, fondatore del Premio Viareggio, si veda l'ampio e approfondito saggio di Rocco Mario Morano dal titolo Gramsci, la letteratura regionale e due scrittori calabresi del Novecento (Francesco Perri e Leonida Rèpaci), apparso in "La Procellaria", numero speciale su Gramsci, a. XXV, n. 12, gennaio-giugno 1977, pp. 29-55: 42-53 (e spec. p. 42, nota 67). cfr anche F. Chiarotto, "Operazione Gramsci. Alla conquista degli intellettuali nell'Italia del dopoguerra", Bruno Mondadori, 2011. anche per il fatto che io mio sono ritirato dalla commissione del premio Viareggio. Mi ci avevano messo senza dirmi niente, mi sono trovato nella lista e con l'impegno di contribuire all'importo del premio coi denari del Sindacato. Ho mandato i denari, ma non volevo far parte di una commissione sulla cui formazione c'era l'impegno che il Sindacato dovesse per lo meno esprimere il suo parere." Quando nel 1949 esce il romanzo "Speranzella" con cui Bernari spera di poter conseguire il Viareggio, Alvaro cerca di dissuadere l'amico a partecipare al premio: "[...] A proposito della faccenda di Viareggio, io ebbi a esprimere la mia opinione che i premi debbano essere destinati al riconoscimento di scrittori nuovi, o all'affermazione di scrittori non ancora largamente riconosciuti. Sono contrario, ho dichiarato, ai premi assegnati a scrittori piú o meno arrivati e affermati, i quali hanno il loro premio giá nei loro libri diffusi senza troppe difficoltá. È ridicolo sia da parte degli autori che delle giurie, assegnare e ricevere premi e intrigare per averne, quado si tratti di autori affermati. Sono fatti che non si vedono in nessuna parte del mondo, se non Italia. E vengono cosí fuori quei polpettoni di nomi in cui tutti sono mescolati e tutti sono umiliati alla stessa maniera. Ma fra noi il rispetto degli uomini è scarso, piú scarso il rispetto verso se stessi." Le sagge parole di Alvaro si rivelarono profetiche quando, nel 1950, il premio Viareggio riservó una mezza delusione per Bernari che si vide costretto a condividere il riconoscimento con Francesco Jovine, giá cofondatore del Sindacato Scrittori che sponsorizzava il premio stesso e per di piú schieratissimo tra le fila del PCI32 Carlo Bernari e Corrado Alvaro, pur restando amici e scambiandosi telegrammi e biglietti di auguri, non hanno piú nulla di importante da dirsi. L'ultimo messaggio di Alvaro è del 30 dicembre 1955, sei mesi prima della sua scomparsa: "Grazie, caro Bernari. Tanti auguri di salute e di buon lavoro". Enrico Bernard 32 Per i retroscena del premio Viareggio 1950 a "Speranzella" di Carlo Bernari vedi le lettere di Pavese a Bernari del 1949‐1950. cfr. Dario Fertilio , "Bernari, l'esiliato in casa", sta in "Corriere della sera" del 26 novembre 2011.