Ufficio stampa Rassegna stampa 1 Aprile 2005 Responsabile : Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected]) SOMMARIO Pag. 3 COMPETITIVITA’:Il dl chiude alle nuove professionalità (italia oggi) Pag. 4 PROFESSIONI: Professioni, serve una riforma seria di Claudio Siciliotti - vicepresidente Cndc (italia oggi) Pag. 7 STUDI LEGALI: Con il mktg anche gli studi legali medio-piccoli si mettono sul mercato (italia oggi) Pag. 9 NOTIZIE IN BREVE: In breve (italia oggi) Pag.10 FINANZIARIA: Per l' ingiunzione 8 euro (italia oggi) Pag.11 AVVOCATI: Le tariffe a « forfait » proibite agli avvocati (il sole 24 ore) Pag.12 MAGISTRATI ONORARI: Lavoro gdp, niente competenza per il g.a. (italia oggi) Pag.13 FORMAZIONE FORENSE: Il praticante "emigrato" non può saltare la scuola forense (diritto e giustizia) Pag.14 FORMAZIONE FORENSE: Tar Veneto – Sezione prima – sentenza 16 febbraio – 21 marzo, n. 1072 Presidente De Zotti – relatore Franco Ricorrente Mosconi – controricorrente Consiglio dell’ordine avvocati di Venezia (diritto e giustizia) Pag.16 STUDI DI SETTORE: Professioni, il Fisco cambia linea (il sole 24 ore) Pag.18 TRIBUNALI:Il sistema giustizia resta senza difesa dai pirati informatici (il sole 24 ore) Pag.19 PRIVACY: Agevolati i ricorsi (il sole 24 ore) Pag.20 CASSAZIONE: Procura valida con firma illeggibile (italia oggi) Pag.22 CASSAZIONE PENALE: Incompatibilità a maglie strette (il sole 24 ore) 2 ITALIA OGGI Per il Colap il decreto non permette il riconoscimento delle associazioni Competitività, il dl chiude alle nuove professionalità Fuori legge 3 milioni di professionisti italiani. Con le norme inserite nella competitività non sarà possibile riconoscere nessuna delle associazioni professionali già operanti nel settore, mentre per gli ordini sarà facile estendere le proprie riserve. Un giudizio netto quello espresso l' altro ieri sera dall' Assemblea del Colap, il coordinamento delle libere associazioni professionali in merito ai quattro commi inseriti nel decreto competitività in materia di ordini e di professioni non regolamentate. Al quale ha fatto subito seguito un elenco di emendamenti che il Colap chiede siano adottati dalla maggioranza in sede di conversione in legge del decreto, all' esame della commissione bilancio del senato dal 17 marzo scorso. In attesa di un responso le oltre cento associazioni che aderiscono al Colap hanno deciso di programmare la mobilitazione dell' intero settore e se non bastasse sono decise a promuovere un referendum abrogativo di una legge che considerano profondamente iniqua. ´Nel decreto sulla competitività non sono stati giustamente inseriti i dazi per proteggere il mercato interno dalla produzione di paesi stranieri, in nome del mercato globale e della concorrenza, ma nel contempo sono alzate altissime barriere per proibire ai professionisti italiani non iscritti ad ordini l' esercizio delle attività che da sempre svolgono nel rispetto delle leggi e con soddisfazione della clientela' , si legge nel comunicato che l' assemblea dei presidenti del Colap ha fatto diramare ieri. Secondo il Comitato, infatti, nessuno dei quattro commi proposti dal governo risponde alle reali esigenze di ammodernamento e di sviluppo del settore. Il primo imponendo l' obbligo di iscrizione all' albo anche per i professionisti dipendenti, qualora sia requisito per l' assunzione, secondo il Colap impone nuovi adempimenti burocratici che frenano lo sviluppo. Negativo anche il giudizio sul comma 6 relativo agli esami di stato. Per le associazioni, infatti, la norma non fa che affidare agli ordini il monopolio decisionale sugli esami per l' accesso alla professione, creando di fatto una barriera. Ma sono soprattutto gli ultimi due commi a scandalizzare il Colap. Il primo perché secondo il coordinatore, Giuseppe Lupoi, darà agli ordini la possibilità di moltiplicarsi oltre misura. Infatti laddove si dice che potranno esserne costituiti di nuovi solo nel caso in cui questi rappresentino "interessi costituzionalmente rilevanti nello svolgimento di attività caratterizzate dal rischio di danni sociali conseguenti a eventuali prestazioni non adeguate' , non si fissa alcun parametro stringente. Anzi, a ben vedere, dice Lupoi, ´ogni attività professionale se non svolta adeguatamente può comportare danni sociali' . In questo senso dunque qualsiasi professione può ambire a essere trasformata in un ordine. Se a questo si aggiunge che al comma 8 dell' articolo 2 del decreto non si definiscono quali debbano essere i requisiti secondo i quali possono essere riconosciute le associazioni, secondo il Colap si ha il quadro completo di un intervento governativo che ancora una volta vuole favorire gli ordini e arginare lo sviluppo delle associazioni non regolamentate. ´Il governo probabilmente non si è reso conto che il decreto rischia di mettere fuori legge oltre tre milioni di professionisti e di privare della fonte di reddito le loro famiglie, provocando un disastro sociale di proporzioni enormi' , scrive il Comitato in attesa di una risposta da coloro come Ignazio La Russa, vicecoordinatore di An, che nei giorni precedenti al varo del decreto si sono battuti per fare in modo che la riforma delle professioni fosse inserita nel provvedimento sulla competitività. (riproduzione riservata) G.Sotirovic 3 ITALIA OGGI Deludenti i quattro commi del dl competitività. Attenzione alle esigenze di utenti e professionisti Professioni, serve una riforma seria Alle associazioni le attività emergenti e più poteri agli ordini di Claudio Siciliotti - vicepresidente Cndc Si è iniziato al senato l' iter del decreto legge 35 cosiddetto ´per lo sviluppo'destinato a concretizzare, nelle intenzioni dei proponenti, un ´piano d' azione'coordinato per il recupero della competitività del nostro sistema-paese dal punto di vista economico, sociale e territoriale. La situazione, si sa, è quanto mai preoccupante. L' ultimo bollettino di Bankitalia evidenzia una perdita di competitività dell' economia italiana addirittura del 25% rispetto al 2000 e il Fondo monetario annuncia che rivedrà al ribasso le stime di crescita per l' Europa e, in particolare, per il nostro paese. La crescita stimata per il 2005 è in ogni caso lenta e l' obiettivo deficit/pil al disotto del 3% è, indipendentemente dalla correzione del Patto, concretamente a rischio. Modernizzare, semplificare e razionalizzare sono le parole d' ordine che più si sentono ripetere e sono anche quelle che compaiono nei titoli dei capi e degli articoli del provvedimento. In questo contesto, il decreto legge si occupa praticamente di tutto. Dai videopoker (?) fino al cosiddetto terzo settore. Non poteva quindi mancare un ´angolino'anche per le libere professioni. All' art. 2, infatti, dopo quattro commi che si occupano di disposizioni in materia fallimentare, ce ne sono altrettanti che si occupano di professioni. Definire questo ´francobollo' riforma degli ordini e delle associazioni professionali, come taluno, evidentemente privo del senso del ridicolo, non ha esitato a evidenziare, sembra decisamente eccessivo e, mi si passi il termine, del tutto fuori luogo. Ciononostante, i commenti hanno del tutto trascurato questo aspetto dividendosi, tra favorevoli e contrari, a seconda del rispettivo punto di vista su un unico punto (anche perché altri, di rilievo, proprio non ce ne sono). Le associazioni, per essere riconosciute, non devono evidentemente svolgere attività regolamentate e quindi invadere i campi che sono prerogativa degli ordini. Per ottenere questo obiettivo, del tutto logico e razionale, è sufficiente che restino loro precluse le attività ´riservate'agli ordini o semplicemente quelle ´tipiche' . In altre parole, le associazioni possono fare ciò che vogliono (visto che di attività realmente ´riservate'agli ordini, come il nostro, non ce ne sono o ce ne sono pochissime) oppure devono effettivamente far altro. Il decreto legge sposa (ci sarebbe mancato altro) quest' ultima tesi e ciò è risultato sufficiente per far incassare al governo il consenso degli ordini e le vibrate proteste delle associazioni. Al palo da anni Mi domando dove stia, in tutto questo, la modernizzazione (di riforma, per carità, non parliamo neppure). Ancora una volta si deve amaramente constatare che un tema considerato da tutti i governi (di destra e di sinistra), ma anche, non dimentichiamolo, dagli stessi professionisti di questo paese, come assolutamente prioritario continui a restare al palo ormai da diversi anni. Ho la sensazione che non vi siano assolutamente le idee chiare sull' argomento e i progetti di legge viaggino dal cassetto al tavolo (e viceversa) a seconda dei 4 momenti politici e gli ordini (il Cup, in particolare) considerino un successo, per usare una metafora calcistica, più il non prendere gol piuttosto che farli. Credo che una serena riflessione sul tema non si faccia più da tempo circa le ragioni di fondo di una vera riforma al passo con i cambiamenti del nostro paese e della nostra società. Interroghiamoci allora su cosa chiede questo paese, cosa chiedono gli utenti dei servizi professionali, da un lato, e, dall' altro, cosa chiedono i professionisti in un contesto dove l' innovazione, di prodotto e di processo, è ormai da tempo considerata l' elemento decisivo per quel salto di competitività sul quale si deve investire per una politica di effettivo sviluppo. Cosa bisogna fare, in altre parole, per far crescere al meglio, come coltivare e come sfruttare quel capitale intellettuale che è diventato quasi un tormentone definire ´ricchezza del terzo millennio' , salvo poi dimenticarsene al momento di varare le politiche adeguate per tutelarlo e valorizzarlo. Competenza e correttezza Le risposte non sono poi, in realtà, così difficili. L' utenza, i nostri clienti, ci chiede sostanzialmente due cose: competenza e correttezza. Professionisti in grado di adempiere a quel contributo tecnico qualificato richiesto dal mercato e di farlo in una condizione di riconosciuta integrità morale e intellettuale. Quale sistema è in grado di assicurare meglio un tale risultato: il mercato libero o l' impianto ordinistico? È davvero difficile accedere alla prima soluzione. Quante vittime (tra i clienti e, più in generale, nella collettività) ci potrebbero essere prima che il mercato sia in grado di distinguere i competenti e i corretti da quelli che non lo sono? Le prestazioni professionali hanno solo una valenza privatistica (cioè riguardano il solo primo destinatario della prestazione resa) ovvero coinvolgono spesso interessi generali, diffusi, che non possono essere tutelati efficacemente solo dal mercato? Mi pare che, restando solo al nostro ambito, i recenti scandali finanziari abbiano ampiamente dimostrato quali disastri possano perpetrarsi ove sia semplicemente il mercato a regolare le prestazioni di natura professionale. Neppure la considerazione che l' impianto ordinistico potrebbe soffocare la libera concorrenza appare degna di rilievo. Nessuno si spinge a sostenere che nel settore bancario ovvero assicurativo non ci sia oggigiorno concorrenza. Ma neppure nessuno pensa che chiunque, al di fuori di regole e di controlli, si possa alzare il mattino e fondare una banca o una compagnia di assicurazioni. Quindi concorrenza senz' altro sì, anche in ambito professionale, ma sempre tra soggetti qualificati e controllati. Tutela dei terzi A questo punto emerge quella che, in un paese moderno, deve essere la funzione degli ordini professionali. Quella appunto di tutelare i terzi circa la competenza e la correttezza dei rispettivi iscritti. I programmi di formazione professionale continua e i codici deontologici sono la testimonianza evidente di questa attività che corrisponde appunto alla necessità sociale di ricevere una prestazione adeguata, sia dal punto di vista oggettivo sia soggettivo. Si discute oggi moltissimo di indipendenza del professionista, di incompatibilità dell' attività professionale con altre attività, di funzioni pubbliche cui devono gravarsi i professionisti (si pensi solo, nel nostro caso, alle recenti norme antiriciclaggio). Che fine farebbe tutto questo e soprattutto gli interessi che per il tramite di ciò si vogliono tutelare se prevalesse quella deregulation che alcuni auspicano? Perché dev' essere del tutto chiaro che se si vuole veramente il mercato deve scomparire anche qualsiasi regola deontologica o comportamentale per cui deve risultare consentito esattamente tutto ciò che non è espressamente vietato. Senza alcuna ulteriore limitazione. Non pare davvero questo l' interesse sociale di un paese moderno. Nessuna sovrapposizione In questo contesto deve inquadrarsi anche la querelle tra ordini e associazioni. I primi devono raccogliere i saperi consolidati, quelli che corrispondono a interessi e aspettative ormai diffusi; le seconde devono 5 raccogliere invece i saperi emergenti, quelli che colgono le esigenze innovative di una società che cambia ma che ancora non rappresentano interessi generalizzati. È quindi logico che non vi possa essere alcuna sovrapposizione e il meccanismo di tutela dei terzi deve risultare differenziato come lo sono, per appunto, le caratteristiche delle rispettive prestazioni. Quando i saperi emergenti diverranno idonei a rappresentare interessi diffusi, si costituirà un relativo ordine con tutte le caratteristiche di quelli già esistenti. Senza sovrapposizioni, perché il concetto di saperi emergenti evoca il fatto che siano nuovi e cioè distinti da quelli già consolidati. Un' interpretazione diversa potrebbe condurre alla conclusione, davvero assurda, che si possano bypassare regole e controlli facendo la stessa attività senza subirne le correlate conseguenze. Il che sarebbe davvero assurdo. Ecco quindi i cardini di una riforma che va realmente nella direzione degli interessi dal paese. Più (e non meno) poteri e responsabilità per gli ordini (formazione, disciplina, coperture assicurative ecc.). Maggiore responsabilizzazione sociale dei professionisti a fronte del ruolo riconosciuto dell' importanza del capitale intellettuale come fattore decisivo per lo sviluppo. Grande attenzione ai saperi emergenti e loro tutela in associazioni riconosciute. Nessuna confusione e sovrapposizione tra i rispettivi ruoli, entrambi importanti ma anche, per tutte le ragioni espresse, profondamente diversi. Società tra professionisti Ma non è finita qui. Come dicevo all' inizio, la riforma, la modernizzazione, non la chiede solo l' utenza. La chiedono anche i professionisti (che vogliono, come si diceva, fare gol e non limitarsi a non prenderli). Che cosa chiedono i professionisti alla riforma? Che cosa serve realmente per ridare slancio e competitività al comparto delle libere professioni? Anche qui due cose: più moderne regole sulla pubblicità e una figura dedicata di nuova società professionale. Siamo in una società della comunicazione globale e non è davvero più accettabile che siano precluse forme di libera diffusione all' esterno di loghi e marchi professionali, di notizie dettagliate circa le caratteristiche dello studio e dei suoi componenti, sia dal punto di vista organizzativo sia del relativo know how di cui dispone. Così come non si può più continuare ad attendere la figura della società tra professionisti. Che non può essere una di quelle già esistenti perché l' attività professionale non è un' attività commerciale e, per ciò stesso, non ne può ricalcare le strutture. Una società dove trovi valutazione non solo il capitale finanziario ma, soprattutto, la vera ricchezza di un' attività professionale che è appunto il capitale intellettuale. Con regole che prevedano esplicitamente meccanismi di ripartizione del patrimonio diverse da quelle di ripartizione dei redditi (quest' ultime slegate dall' apporto finanziario degli associati). Non si può davvero aspettare oltre. Non se lo può permettere il paese, non se lo possono permettere i professionisti. Smettiamola quindi con inutili zuccherini e andiamo fino in fondo in un processo riformatore che ha davvero molta attinenza con quel recupero di competitività di cui tanto si parla e di cui questa categoria aspira a sentirsi parte e artefice. Mi auguro che anche su queste colonne si sviluppi il dibattito che l' argomento merita. (riproduzione riservata) 6 ITALIA OGGI A lezione di marketing Con il mktg anche gli studi legali medio-piccoli si mettono sul mercato Parecchi avvocati di studi legali di piccole dimensioni mi hanno chiesto se il marketing sia applicabile anche alle loro realtà. La risposta è sì! I principi di marketing sono sempre gli stessi, indipendentemente dalla dimensione dello studio. Ovviamente, la parte esecutiva e il budget saranno molto diversi. In un piccolo studio, l' avvocato deve imparare da sé cosa serve per fare del buon marketing, anziché collaborare con un consulente o impiegare un esperto per occuparsi del suo marketing. Tradizionalmente l' avvocato è un generalista e in teoria può fornire tutti i servizi legali che un cliente, privato, amministrativo o business potrebbe richiedergli. In pratica, però, funziona sempre meno così: certamente, ci sarà sempre la figura dell' avvocato di fiducia che si occupa di un po'di tutto, simile al medico di famiglia. Andiamo da lui quando abbiamo dei problemi di salute, però quando ci sono problemi più seri ci rechiamo sicuramente dallo specialista. Lo stesso può dirsi per gli avvocati: un conflitto in materia di locazione si esporrà all' avvocato di casa, per la fusione di due società, invece, ci si rivolgerà a un avvocato specializzato, che se ne occupa spesso, in modo da essere più sicuri e tranquilli che tutte le operazioni verranno svolte rapidamente e con la massima qualità. Un avvocato, anche se lavora da solo o con pochissimi collaboratori, ha sempre la scelta tra lo stabilirsi come generalista al quale la gente si rivolge per i problemi quotidiani, oppure diventare specialista, anche se oggi non è ancora possibile ai sensi del codice deontologico forense (art. 17) farsi denominare specialista. Perché potrebbe avere senso diventare uno specialista? Quando un avvocato è specializzato, può focalizzare tutte le sue forze su di un unico obiettivo, e questo secondo il marketing è sempre positivo: probabilmente sarà in grado di attirare clienti più grandi e/o casi più complessi che emergono in contesti economici dove circolano o sono in gioco anche maggiori liquidità di denaro. Solitamente, più l' avvocato è specializzato, meno concorrenti avrà. Con le cifre altissime di avvocati generalisti in Italia, questa strada può davvero rivelarsi quella vincente. Un avvocato può specializzarsi in un' area di practice, come per esempio il diritto familiare, il diritto penale, il diritto del lavoro ecc., o invece in un determinato settore industriale, per esempio la nautica o l' industria alimentare, o su un certo tipo di cliente (anche geograficamente), come per esempio, le piccole imprese e imprenditori della regione piemontese o della provincia di Modena. Appena l' avvocato ha la sua specializzation, perché l' ha scelta o perché si è sviluppato così per caso, deve pensare a come entrare in contatto con il cliente desiderato e/o i decision makers, ovvero le persone che possono raccomandarci. Deve sviluppare un programma per creare visibilità e affidabilità nei confronti di questi gruppi target. Deve essere consapevole di dove vanno per informarsi ed educarsi sui temi legali, dove vanno per networking, cosa leggono. Gli strumenti tipici per creare la visibilità e affidabilità sono attività nelle associazioni nelle quali i gruppi target sono associati, che per i clienti di business 7 possono essere associazioni industriali o professionali, per i clienti privati possono essere associazioni di un certo interesse comune come quella dei locatori, o un club delle donne ecc. Altri strumenti per creare affidabilità e mostrare expertise sono presentazioni, scrivere articoli o occuparsi di formazione. L' attività promozionale invece, come opuscoli, siti web e seminari ci aiuta a restare in contatto diretto con il gruppo target. Inoltre, anche associarsi con altri professionisti per completare le proprie capacità e offrire un servizio più completo può essere molto utile. Come ho scritto negli articoli precedenti, anche l' avvocato solo deve fare un po'di ricerca di mercato, deve conoscere bene la sua area e il tessuto economico nel quale vuole operare. Deve sapere quali sono i veri problemi dei clienti desiderati, deve conoscere e usare il loro linguaggio e deve essere in grado di fornire il servizio giusto nel modo giusto a un prezzo competitivo. Ci deve sempre essere una ragione per la quale un cliente si reca da lui anziché da un concorrente. Non ha senso fare tutto come gli altri, perché in questo caso, non esiste nessuna ragione perché una persona si rechi proprio da lui. È sempre utile parlare con i clienti già esistenti, chiedere loro perché sono venuti, perché hanno scelto lui, che cosa è importante per loro ecc. Si può chiedere gentilmente se il cliente può compilare un questionario all' inizio della collaborazione o dopo la causa, per fare un' indagine della sua soddisfazione. Così l' avvocato saprà che cosa è stato apprezzato o che cosa si potrebbe migliorare la prossima volta. Un vantaggio per un piccolo studio rispetto agli studi più grandi consiste nella percezione diffusa che gli studi di piccole dimensioni si occupino meglio del singolo cliente, perché lui è relativamente più importante per il successo dello studio stesso. Sarebbe un peccato screditare questa convinzione. Nel prossimo articolo continueremo a focalizzarci sul marketing per gli studi legali di piccole dimensioni. email: [email protected] Silvia Hodges 8 ITALIA OGGI In breve Penalisti È stato convocato con comunicazione del presidente del consiglio delle camere penali il congresso straordinario dell' Unione che si terrà a Napoli nei giorni 20, 21 e 22 maggio 2005. Il congresso avrà il seguente ordine del giorno: modifiche dello statuto, approvazione del regolamento del centro studi Aldo Marongiu, rapporti con l'Organismo Unitario dell'Avvocatura e con le altre associazioni forensi. 9 ITALIA OGGI Per l'ingiunzione 8 euro Anche i procedimenti di ingiunzione pagano il dazio di 8 euro come anticipazioni forfettarie dei privati a favore dell' erario per le notifiche a richiesta di ufficio. Il chiarimento, che porta altre risorse alle casse dello stato, è contenuto in una circolare del dipartimento per gli affari di giustizia, che ribadisce, chiarendo alcuni dubbi, la portata delle disposizioni della legge finanziaria 2005. La circolare chiarisce che se pur nel procedimento di ingiunzione la notificazione a richiesta dell' ufficio è una ´mera eventualità' , essa non può astrattamente escludersi alla luce dell' articolo 640 del codice di procedura civile. La circolare ribadisce invece che le cause e le conciliazioni non contenziose di valore non superiore a 1.033 euro sono soggette al solo contributo unificato e che le indennità corrisposte ai giudici di pace non devono superare i 72 mila euro lordi l' anno. 10 IL SOLE 24 ORE CASSAZIONE CIVILE • Va pesata la natura dell' incarico Le tariffe a « forfait » proibite agli avvocati Opuscoli diffusi in ampie zone da un avvocato: questa è la forma di pubblicità condannata dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 6213 del 23 marzo 2005. Non è la forma editoriale a essere stata punita, ma la violazione di principi di dignità e decoro della professione. Nel caso specifico, il professionista si era rivolto a un pubblico indeterminato ( e numeroso), comunicando l' entrata in vigore di nuove regole imposte dall' Unione europea sulla pubblicità professionale. Norme che — a dire dell' avvocato — consentivano una gestione della professione legale simile all' impresa di servizi. La conseguenza, si leggeva nell' opuscolo, era la possibilità di offrire, finalmente, libera concorrenza e tariffe accessibili. Queste tariffe erano poi indicate esponendo compensi fissi per specifiche e astratte prestazioni.Dinanzi a un opuscolo del genere v' è stata la reazione dell' Ordine professionale, che ha censurato il legale per violazione dell' obbligo di correttezza: infatti, la tariffa professionale impone di tenere conto della complessità e durata dell' incarico, senza possibilità di stabilire cifre forfettarie e fisse per prestazioni astratte ( una lettera, una citazione, una denuncia). Inoltre, non è apparso decoroso offrire servizi legali allo stesso modo in cui si pongono in vendita merci, poiché così si realizza una forma di pubblicità vietata e si accaparra la clientela con mezzi scorretti. Le sanzioni irrogate dall' Ordine locale al professionista, e soprattutto la condanna del metodo e dell' opuscolo utilizzati, sono state confermate dalla Cassazione sottolineando alcuni punti cardine della materia. Innanzitutto, la tariffa professionale degli avvocati può stabilire minimi e massimi inderogabili, in quanto frutto di una volontà sia degli ordini professionali che dello Stato. La clausola di inderogabilità non è comune a tutte le professioni: è presente per quelle tecniche ( ingegneri ed architetti), ma non per altre, come i chimici: questi ultimi, quindi, possono concordare una retribuzione inferiore ai minimi tariffari ( Tar dell' Aquila, 21 marzo 2005 n. 126). Quindi, da un lato l' attività professionale dell' avvocato è equiparata a quella d' impresa, ma dall' altro le tariffe professionali non sono libere come i prezzi dei beni prodotti dalle imprese, dovendo subire la clausola dell' inderogabilità. La Cassazione, nel confermare la censura irrogata all' avvocato, ribadisce che l' informazione pubblicitaria professionale è legittima, al punto tale da essere dettagliatamente regolata per adeguarla alle nuove regole comunitarie su concorrenza e tutela del consumatore. Tuttavia, esiste un limite rappresentato dal decoro e dalla dignità della professione, valori che possono far condannare una pubblicità espressa in modo non corretto. Quale sia il giusto peso del decoro, è poi chiarito dalla stessa Cassazione, che ritiene illecite le affermazioni di inesistenti innovazioni normative, citate solo per richiamare l' attenzione del potenziale cliente, aggiungendovi poi un tariffario di prestazioni a misura fissa che pone la professione forense sullo stesso piano della gestione di un' impresa di servizi di stampo mercantilistico. La sentenza è quindi severa nei confronti del professionista, ma lascia spazi a una pubblicità più seria: ad esempio, l' invio di opuscoli risulta legittima ( a norma dell' articolo 17 del codice deontologico), ma è anche legittimo l' invio a tappeto di opuscoli, a mezzo posta e a tutti i cittadini di un comune. Ancora, non si possono elencare prestazioni a misura fissa, ma è consentito illustrare i propri onorari purché all' interno dei minimi e massimi tariffari; infine, non è corretto fare affermazioni esplosive relative alla generica entrata in vigore di nuove norme che consentirebbero un nuovo modello di gestione della professione ( con offerta di tariffe fisse), ma viceversa si può approfittare dell' entrata in vigore di innovazioni legislative ( effettive), indicando un proprio ramo di specializzazione che coincide con il nuovo settore. Guglielmo Saporito 11 ITALIA OGGI Lavoro gdp, niente competenza per il g.a. Non sussiste giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative al rapporto che lega i magistrati onorari all' amministrazione della giustizia, non essendo esse assimilabili alle controversie aventi a oggetto il rapporto di lavoro dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili. Questo è quanto ha sancito il Tar Lazio (Roma, sezione I) con la sentenza dell' 11 marzo 2005 n. 1797. Nel caso in esame il titolare dell' ufficio di giudice di pace a Napoli aveva impugnato la circolare con cui il ministero della giustizia aveva interpretato l' articolo 11, comma 2, della legge 21 novembre 1991, n. 374, come modificato dal dl 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, secondo cui ´ai magistrati onorari che esercitano la funzione di giudice di pace è corrisposta un' indennità di 70 mila lire (ora 36,15 euro) per ciascuna udienza civile o penale, anche se non dibattimentale' , nel senso che in materia penale l' indennità indicata spettava a condizione che l' udienza si fosse effettivamente tenuta, con la conseguenza che nulla era invece dovuto se, nel giorno stabilito, l' udienza in concreto non si era tenuta per mancanza di procedimenti iscritti a ruolo. Più precisamente la circolare impugnata aveva ritenuto che al giudice di pace spettasse l' indennità sopra indicata se l' udienza non avesse avuto luogo solo in materia civile, in quanto in tale materia il giudice onorario, anche in mancanza di procedimenti iscritti a ruolo, era obbligato a garantire la propria presenza in sede ´al fine di consentire la trattazione delle domande proposte oralmente ai sensi dell' articolo 316, comma 2, cpc' . In materia penale, invece, non sussisteva analogo diritto ´in considerazione del fatto che se non vi sono procedimenti fissati, non è necessaria la presenza del magistrato onorario in udienza' . Il Tar del Lazio dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione. È opinione del collegio, infatti, che le controversie relative al rapporto che lega i magistrati onorari all' amministrazione della giustizia non siano assimilabili alle controversie aventi a oggetto il rapporto di lavoro dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili (per le quali è stata mantenuta, pur a seguito della cosiddetta contrattualizzazione del pubblico impiego, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo da parte dell' articolo 63 del dlg 30 marzo 2001, n. 165). In particolare, è stato di recente affermato che l' esercizio delle funzioni di magistrato onorario (nel caso esaminato si trattava di giudice onorario di tribunale, ma i principi affermati sono applicabili anche al caso dei giudici di pace data l' identità di natura del rapporto che lega le due categorie di magistrati onorari all' amministrazione della giustizia) non è riconducibile a un rapporto di impiego pubblico, ma solo a una relazione di servizio onorario. La conseguenza di ciò è che la giurisdizione in ordine alle controversie inerenti al relativo rapporto si determina, secondo i criteri generali di riparto, alla stregua della posizione soggettiva sostanziale (diritto soggettivo o interesse legittimo) dedotta in giudizio. (riproduzione riservata) Francesca De Nardi 12 DIRITTO E GIUSTIZIA Il praticante "emigrato" non può saltare la scuola forense Il praticante avvocato che abbia svolto il proprio tirocinio presso uno studio legale estero deve comunque frequentare la scuola forense. A stabilirlo è la prima sezione del Tar Veneto con la sentenza 1072/05 (qui leggibile nei documenti correlati). Il Tribunale veneziano ha respinto il ricorso di un aspirante legale che dopo aver svolto pratica forense autorizzata presso uno studio legale a Mosca si era visto negare dall’Ordine di Venezia il certificato di compiuto tirocinio. Per dirsi compiuta, infatti, il professionista deve anche frequentare almeno i ¾ delle lezioni presso la scuola forense. Ma non solo. Anche se ha ottenuto dall’Ordine l’autorizzazione a svolgere il tirocinio presso uno studio legale estero, il praticante deve comunque trovare il modo di conciliare la pratica con l’obbligo di frequenza minima richiesto dal regolamento. (cri.cap) 13 Tar Veneto – Sezione prima – sentenza 16 febbraio – 21 marzo, n. 1072 Presidente De Zotti – relatore Franco Ricorrente Mosconi – controricorrente Consiglio dell’ordine avvocati di Venezia Ritenuto in fatto e considerato in diritto Con il ricorso introduttivo, di cui in epigrafe, il dr. Mosconi, - che, iscritto nell’albo dei praticanti avvocati, aveva svolto pratica forense autorizzata presso uno studio legale di Mosca per due semestri - impugna la delibera in data 8 novembre 2004 con la quale il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Venezia non ha accolto l’istanza del 21 ottobre 2004 di rilascio del certificato di compiuta pratica, e la relativa nota di comunicazione del 9 novembre. A sostegno del gravame lo stesso deduce violazione dell’articolo 15 del regolamento per la disciplina della pratica forense e dell’articolo 3 della legge 241/90 censurando l’assoluta carenza di motivazione della missiva, ove nemmeno si riporta il contenuto della delibera. Con ulteriore motivo deduce ancora violazione dell’articolo 15 cit. per non aver mai il Consiglio comunicato le ragioni ostative al rilascio del certificato. Costituitosi in giudizio, il Consiglio dell’ordine depositava estratto del verbale della seduta dell’ 8 novembre 2004 donde sì evince che la richiesta del ricorrente era stata respinta per non avere egli frequentato un numero minimo di lezioni presso la scuola forense, eccependo che il ricorrente, pur in possesso degli estremi della delibera, mai l’ ha richiesta, e che è ben noto che, per l’articolo 13 del regolamento, occorre seguire, nel corso di due semestri consecutivi, almeno i ¾ delle lezioni, laddove il Mosconi ha frequentato solo cinque lezioni, carenza non surrogata dalla pratica, pur autorizzata, svolta in Russia (del che l’interessato era stato informato). Le ragioni ostative al rilascio gli erano, dunque ben note. Con motivi aggiunti, rivolti alla precitata delibera, si prospetta l’incompatibilità dell’articolo 22 del menzionato regolamento (che consente di svolgere la pratica all’estero per due semestri) e l’articolo 13 su richiamato nel senso che l’applicazione dell’uno esclude l’operatività dell’altro. In subordine, si impugna detto articolo 13, che sarebbe illegittimo se interpretato nel senso che comunque occorra frequentare l’indicato numero minimo di lezioni della scuola forense, stante la rilevata oggettiva incompatibilità. Resiste il Consiglio, con diffuse memorie, anche di replica ai motivi aggiunti. Per quanto concerne il dedotto difetto di motivazione (con il ricorso introduttivo), osserva il Collegio che, se pure la comunicazione dell’8 novembre 2004 non riportava il contenuto della delibera di diniego, il contenuto di questa da una parte era in qualche modo già noto (e poteva comunque essere ottenuta con richiesta di accesso), dall’altro è stato, successivamente, palesato, tanto che il ricorrente ha proposto, contro la stessa, motivi aggiunti. La censura, pertanto, non può condividersi. 14 Con i riferiti motivi aggiunti, poi, si è prospettata una pretesa incompatibilità con gli articoli 13 e 22 del regolamento per la disciplina della pratica professionale. Ma tale incompatibilità non sembra sussistere, da un lato in ragione di un’interpretazione congiunta e coordinata, dall’altro (sul piano sostanziale) perché non appare irragionevole esigere la frequenza di un numero minimo di lezioni della scuola forense, presupposto indispensabile per una buona preparazione alla pratica forense. Se, poi, taluno abbia ottenuto dall’Ordine l’autorizzazione a svolgere pratica presso un studio legale estero, starà all’interessato fare in modo di conciliare detta pratica all’estero con l’obbligo di frequenza minimo richiesto, non senza giustificazione, dal regolamento. Per tali ragioni pare insostenibile la dedotta illegittimità, in via subordinata, dell’articolo 13. Conclusivamente, per le ragioni suesposte, il ricorso si appalesa infondato e va, pertanto, rigettato. Si provvede sulle spese di giudizio come da dispositivo. PQM Il Tar per il Veneto, prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta. Compensa integralmente le spese di giudizio tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. 15 IL SOLE 24 ORE STUDI DI SETTORE • Al traguardo i decreti di approvazione degli strumenti Arriva il nuovo Gerico Professioni, il Fisco cambia linea Meno peso a beni strumentali e anzianità e più spazio al valore della prestazione Tessile: energia decisiva Quadro ultimato per le regole 2004 2005 sugli studi di settore. La « Gazzetta Ufficiale » di ieri pubblica, oltre ai decreti di approvazione dei nuovi studi, le " note metodologiche" con le regole di dettaglio cui dovrà attenersi la futura versione di Gerico, con riferimento agli studi nuovi e revisionati, aventi decorrenza dal periodo d' imposta 2004. Per i contribuenti interessati da queste novità non resta che aspettare il varo di Gerico 2005, che dovrebbe essere disponibile tra un paio di settimane. Per gli studi di settore che non subiscono alcun cambiamento dal 2004, invece, la prossima versione di Gerico non potrà che ricalcare il software già in vigore per il 2003. Gerico 2005. Le novità, nell' ambito degli studi di settore approvati con i decreti pubblicati ieri, riguardano prevalentemente i professionisti, il settore manifatturiero e il comparto dei servizi ( bar, ristoranti e lavanderie). A quest' ultimo riguardo, la peculiarità di rilievo è data dal fatto che Gerico 2005 sarà in grado di determinare il ricavo congruo applicando al costo del venduto una percentuale differenziata in modo da tener conto della fascia tariffaria di appartenenza dell' esercente. Le tariffe e i prezzi applicati sono, infatti, quelli rilevati con i questionari a suo tempo predisposti per l' evoluzione degli studi. Professionisti. Il meccanismo di calcolo del compenso congruo cambia completamente rispetto alla versione " sperimentale" del passato, divincolandosi d' ora in poi dal peso esorbitante che veniva dato al valore dei beni strumentali e all' anzianità professionale. Per migliorare la stima dei compensi, pertanto, la funzione di regressione ( attraverso cui Gerico calcola il compenso congruo), terrà conto del numero delle prestazioni effettuate, distintamente per tipologia. Il nuovo software sviluppa, per tutte le attività professionali soggette a " monitoraggio", i criteri di calcolo utilizzati in passato per lo studio relativo all' attività notarile. Il valore medio dichiarato per ciascuna prestazione fornirà, insieme al dato quantitativo, l' indicazione essenziale circa la congruità dei compensi. Tale valore potrà essere diverso anche nell' ambito di una stessa tipologia di prestazione, in quanto il software terrà conto di un insieme di fattori quali il contesto territoriale, l' esperienza professionale e l' impegno profuso nello svolgimento dell' attività. Inoltre, il software metterà sotto controllo la struttura dei costi, evidenziando l' incongruenza quando i compensi non risulteranno in linea. 16 « Tac » . Per i settori in crisi nel comparto manifatturiero del tessile abbigliamento e calzature («Tac») la versione " monitorata" del software in arrivo introduce un correttivo congiunturale poggiato sulla presumibile riduzione, rispetto al passato, dei consumi di energia elettrica. Tali consumi, infatti, sono stati assunti come elemento indicatore di ciclo economico. L' impresa usufruirà dello " sconto" correttivo se i consumi di energia elettrica e i ricavi diminuiscono, contemporaneamente, nell' anno di applicazione dello studio ( periodo d' imposta 2004) e nell' anno cui fanno riferimento i dati utilizzati per la costruzione dello studio di settore ( 2001 o 2002). Tale correttivo, in altre parole, sarà rilevato in base al numero dei kilowatt e verrà utilizzato come fattore moltiplicativo delle cosiddette " variabili di stock" della funzione di ricavo ( per ridurre l' incidenza del valore dei beni strumentali, del numero di collaboratori familiari e delle superfici di produzione). Nelle funzioni di ricavo, infatti, le variabili indipendenti si distinguono tra variabili di stock e di flusso ( queste ultime rappresentate da costo del venduto, costo per la produzione di servizi, spese per lavoro dipendente e spese per acquisti di servizi). Le variabili di flusso non pongono particolari problemi in quanto sono in grado solitamente di seguire gli andamenti congiunturali. Esse, infatti, aumentano al crescere dei ricavi e si riducono nel caso di compressione delle vendite. Le variabili di stock, invece, per loro natura, possono essere considerate poco sensibili agli andamenti congiunturali, soprattutto con ciclo economico negativo. In altre parole, nel breve periodo accade che collaboratori familiari, soci e beni strumentali non sono rapidamente " ridimensionabili". Per questo la formula del software cerca di ridurre l' incidenza di queste variabili tenendo conto della flessione rilevata nei consumi di energia ( i dati, anche per l' annualità arretrata, verranno indicati dal contribuente con il modello dei dati rilevanti per l' applicazione degli studi da allegare a Unico 2005). LUIGI LOVECCHIO 17 IL SOLE 24 ORE HACKER IN TRIBUNALE ( PER GIOCO) Il sistema giustizia resta senza difesa dai pirati informatici TORINO • Prima la sorpresa, poi la presa d' atto di quanto ci sia ancora da fare per rendere impermeabili i gangli informatici della giustizia italiana. Erano questi gli stati d' animo più diffusi ieri fra i magistrati e gli avvocati nell' aula magna del tribunale di Torino, dove si è svolto il « Security day » , convegno annuale sulla sicurezza dei dati negli uffici giudiziari, organizzato dalla corte d' appello di Torino e dal gruppo Sisge. A Marco Basso, specialista di Sisge, sono bastati un cavetto, un personal computer e una stampante connessa alla rete. Con questo armamentario ha dimostrato quanto è facile violare la rete, i server e i computer che custodiscono documenti importanti. Sotto gli sguardi di Giancarlo Caselli, procuratore generale della corte d' appello di Torino, e di Bruno Tinti, magistrato referente per l' informatica, Basso ha realizzato una simulazione penetrando in una struttura informatica interna al Palazzo di giustizia: non la rete vera, bensì una rete parallela creata ad hoc. Per iniziare il gioco, è bastato collegarsi alla stampante con un miniswitch, dotato di tecnologia radio. Da lì, ricorrendo a programmi scaricabili da Internet, prima ha messo sotto controllo il Pc di un magistrato fittizio, poi ha preso possesso del server in cui questi potrebbe tenere i suoi atti. Scoprendo la password con un altro programma pirata, il finto hacker li ha perfino modificati. Infine, si è impossessato della posta elettronica del magistrato e ha preso, a suo nome, informazioni dal casellario giudiziario e dall' anagrafe tributaria. La performance ha reso evidenti i rischi strutturali della giustizia. Che però possono essere ridotti. « Basterebbe — dice Tinti — un uso ordinato e consapevole dei sistemi di sicurezza più elementari » . Questo approccio, spesso, non c' è: secondo l' attività di analisi del rischio condotta da Sisge, su 500 utenti che lavorano nell' amministrazione della giustizia di Torino, il 48% ha ammesso di avere comunicato a terzi la propria password, spesso scelta con criteri troppo semplici, facilmente scardinabili. Su 1.882 password, 891 sono state indovinate da un programma pirata in sei secondi; le altre nei successivi sei minuti. « Le nostre infrastrutture — precisa Floretta Rolleri del ministero della Giustizia — sono di buon livello. Ma il rischio si annida nelle cattive abitudini e nell' impreparazione. Perciò stiamo diffondendo il patentino informatico europeo. Entro il 2007 la metà delle oltre 50.000 persone impegnate nella nostra amministrazione lo avrà conseguito » . Paolo Bricco 18 ITALIA OGGI In G.U. la decisione del garante che fissa i casi in cui è possibile la sanatoria Privacy, agevolati i ricorsi Le istanze con vizi formali sono regolarizzabili Porte aperte al garante della privacy. I ricorsi anche se irregolari possono essere sanati. Anche se presentano lacune il garante inviterà alla regolarizzazione quindi il ricorso potrà procedere. I casi di regolarizzazione dei ricorsi sono stati definiti dal garante con deliberazione n. 16 del 23/12/2004, pubblicata in G.U. n. 66 del 21 marzo 2004. L' ampiezza dei casi in cui è possibile regolarizzare è giustificata dal fatto che i ricorsi possono essere presentati direttamente dagli interessati senza obbligo di rivolgersi a un legale o comunque a un consulente. Si corre dunque il rischio che il ricorso vada incontro all' inammissibilità nelle ipotesi in cui ricorra un vizio dell' atto o della procedura. La regolarizzazione dei ricorsi è lo strumento previsto dal codice della privacy per impedire che meri vizi di forma impediscano la tutela sostanziale del diritto alla riservatezza. Il garante segnala al ricorrente l' irregolarità sanabile e l' interessato può porvi rimedio, senza pregiudicare l' ulteriore corso del procedimento. Le ipotesi di regolarizzazione sono in sintesi le seguenti. Può essere salvato il ricorso non sottoscritto dal ricorrente o dal procuratore speciale ma da un' altra persona fisica o giuridica, o trasmesso all' ufficio del garante con modalità diverse da quelle indicate dal codice (per raccomandata, per via telematica attenendosi alle disposizioni sulla firma digitale, presentato direttamente presso l' ufficio). Sanabili anche gli errori o lacune negli estremi identificativi del ricorrente, dell' eventuale procuratore speciale o del titolare del trattamento dei dati personali. Sarà altresì possibile integrare il ricorso con la data della richiesta, rivolta al titolare del trattamento o indicare i gravi motivi d' urgenza per i quali non si è potuta presentare. Regolarizzabile anche la sottoscrizione del ricorso, che deve essere autenticata a meno che la firma sia digitale oppure apposta di fronte a un funzionario del garante o da un procuratore speciale iscritto all' albo degli avvocati. Il ricorrente, poi, che abbia omesso di allegare copia dell' istanza rivolta al titolare o dell' eventuale procura conferita all' avvocato, potrà produrla in sede di regolarizzazione del ricorso. Così come, se non lo abbia fatto, potrà indicare gli elementi posti a fondamento della sua domanda e il domicilio eletto ai fini del procedimento. Una seconda opportunità viene offerta anche a chi non abbia dimostrato di aver versato i diritti di segreteria o abbia prodotto una documentazione incompleta per l' ammissione al patrocinio a spese dello stato. Ai fini del ricorso al garante occorre comunque che l' interessato abbia preventivamente messo in mora il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento con un' apposita comunicazione (il cui facsimile è disponibile sul sito: www.garanteprivacy.it). Peraltro va sottolineato che in nessun modo all' autorità garante possono essere rivolte domande volte al conseguimento del risarcimento dei danni. Per le controversie in ordine alla responsabilità civile per danni il soggetto competente è il giudice ordinario. Il garante tratta le questioni relative all' esercizio dei diritti dell' interessato di cui all' articolo 7 del codice della privacy, ma non può assumere decisioni sui profili economici collegati al pregiudizio subito. Peraltro all' esito del ricorso il garante può condannare il soccombente a rifondere le spese del ricorso stesso, fissate in misura forfettaria. (riproduzione riservata) A.Ciccia 19 ITALIA OGGI Le sezioni unite della Corte di cassazione risolvono un contrasto interpretativo sull' argomento Procura valida con firma illeggibile Autografo irrilevante se il nome risulta dal mandato al legale La firma illeggibile non cancella la procura. Secondo la Cassazione, l' autografo è irrilevante quando il nome di ´chi sta in giudizio' , persona fisica o società, risulti chiaramente dal testo dell' atto con cui si dà mandato di rappresentanza all' avvocato o da una certificazione del difensore. Ma anche quando il nome sia chiaramente ricavabile, nel caso di una società, da una specifica carica. Così le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 4814 del 7 marzo 2005, hanno risolto un contrasto interpretativo sull' articolo 83, comma 3, del codice di procedura civile. E cioè sugli effetti della illeggibilità della firma di chi conferisce procura al difensore. Il fatto. Il caso all' esame dei giudici di legittimità, nell' ambito di una causa in materia di lavoro, riguardava la ´procura alla lite che era stata redatta a margine dell' atto con affidamento dell' incarico professionale'a due avvocati da parte di una società datrice di lavoro, per proporre ricorso in appello contro la pronuncia di primo grado. La firma ´poco leggibile'apposta su quella procura fu alla base della richiesta di nullità dell' appello. Richiesta che poi anche la Cassazione, come già accennato, ha respinto, rinviando la questione, nel merito alla Corte d' appello. L' illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, spiegano i giudici di legittimità, apposta in calce o a margine dell' atto con il quale sta in giudizio una persona o una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante. Ciò non solo quando il nome del ´sottoscrittore'risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d' autografia del difensore, ovvero dal testo di quell' atto, ma anche quando il nome, nel caso di una persona giuridica, ´sia con certezza desumibile dall' indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese' . Quanto al caso in rassegna, la Cassazione ha osservato che ´in assenza di tali condizioni' , e nei casi in cui non si faccia riferimento ad alcuna funzione o carica specifica, si ´determina nullità relativa' . Nullità che la controparte può opporre con la prima difesa secondo quanto disposto dall' articolo 157 del codice di procedura civile. In questo modo, spiegano ancora le Sezioni unite, si obbligherebbe la controparte ´a integrare con la prima replica la lacunosità dell' atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell' autore della firma illeggibile' . Qualora questa integrazione non fosse presentata, oppure fosse inadeguata o, ancora, fosse presentata troppo tardi, la procura sarebbe invalida e, conseguentemente, inammissibile il relativo l' atto. 20 I precedenti orientamenti. Completamente diversi i precedenti giurisprudenziali. Con la sentenza 1167 del ' 94 sempre le sezioni unite avevano affermato l' invalidità della procura relativa a un ricorso per Cassazione con firma illeggibile, e quindi l' inammissibilità del ricorso stesso, ´quando il nome del sottoscrittore non risulti dal contesto del mandato o della certificazione di autografia resa dal difensore, né dal contesto dell' impugnazione, né da altri atti già esistenti al tempo del conferimento della procura medesima' . (riproduzione riservata) La posizione della Corte di cassazione, con particolare riferimento al caso di una società, si basa sul rilievo dell' identificabilità del titolare del potere di rappresentare la società e della conoscibilità della sua firma attraverso il registro delle imprese. Fonte, quest' ultima, che consente di acquisire notizia circa la carica sociale spesa da chi conferisce la procura e, quindi, circa il nome, la firma e i poteri. Dino S.Medici 21 IL SOLE 24 ORE Cassazione penale / Giusto processo Incompatibilità a maglie strette Il Pm che ha esercitato le funzioni dell' accusa nei confronti di un imputato non può mai svolgere in seguito quelle di giudice nello stesso procedimento. Neanche se si è limitato a presenziare a una sola udienza, dove peraltro è stato solo deciso il rinvio del processo. La terza sezione penale della Cassazione, nella sentenza 12304 depositata ieri, interpreta nel modo più garantista le norme sull' incompatibilità dettate dall' articolo 34 del Codice di procedura penale. La pronuncia accoglie il ricorso di un imputato contro l' ordinanza della corte d' appello di Catania, che ne aveva rigettato l' istanza di ricusazione di uno dei giudici di secondo grado. Il magistrato aveva appunto partecipato a una sola udienza del I grado come Pm, durante la quale il processo era stato rinviato. Secondo la Cassazione tanto basta a giustificare l' incompatibilità. Per la terza sezione, infatti, è indubbio che « il pubblico ministero formalmente esercita le funzioni attribuitegli dalla legge in dibattimento in relazione ad un determinato procedimento anche se si provvede al mero rinvio della causa » . Questa interpretazione è necessaria in quanto il pubblico ministero ha « la cognizione di tutti gli atti di indagine che la pubblica accusa ha acquisito, nel caso di specie, in funzione del dibattimento, e quindi anche di altri non destinati a entrare a far parte del fascicolo processuale di cui prende cognizione il giudice » . Inoltre, bisogna tenere presente la « finalità accusatoria in funzione della quale detta cognizione è stata acquisita » dal magistrato. Di conseguenza con l' esercizio delle funzioni di Pm, anche per una sola udienza di rinvio, « non può che ritenersi venuta meno (...) la garanzia di terzietà e imparzialità dell' organo giudicante, imposta dall' articolo 111, comma 2, della Costituzione » , come modificato dalla riforma del giusto processo. Ecco allora che l' articolo 34, comma 3, del Codice di procedura penale deve essere necessariamente interpretato in senso ampio ed estensivo e quindi scatta l' incompatibilità nei confronti del magistrato che ha esercitato le funzioni di pubblico ministero ad assumere quelle di giudice nel medesimo procedimento, anche se l' esercizio delle funzioni di Pm ha avuto carattere occasionale e non si è risolto nella richiesta di provvedimenti specifici. G. D. DO. 22