Sull’infanticidio: alcune riflessioni di Carlo A. Corsini 1. L’infanticidio e la legge L ’infanticidio è una pratica della cui esistenza si hanno tracce in diverse popolazioni: in particolare si tratta di indicazioni fornite da studiosi ed antropologi1, che risalgono in particolare al periodo a cavallo fra XVIII e XIX secolo, ma anche riferimenti nella letteratura (ne vedremo qualcosa fra poco) tanto da ritenerlo il metodo di controllo della popolazione più usato, prima che la conoscenza biomedica concernente l’eziologia della gravidanza e i modi di intervento sul concepimento e sulla gestazione raggiungessero gli attuali livelli di perfezione e ne garantissero l’efficacia. Tuttavia non è facile quantificarlo raccogliendo dati statistici, perché è pressoché impossibile ottenere informazioni accurate sulla deliberata intenzione ad uccidere: è, infatti, l’accertamento dell’esistenza di questa intenzione che mette in grado di distinguere fra infanticidio e aborto procurato, con conseguenze ben differenti sul piano giuridico. Ogni ricerca in questo campo deve infatti tener conto del fatto che ci sono molte ragioni per l’infanticidio. Si può trattare di condizioni specifiche o di caratteristiche del neonato alla nascita (per esempio, deformità, sesso non desiderato, parti gemellari), ma altre motivazioni possono originarsi in esplicite istanze familiari, per esempio se la cadenza delle nascite è particolarmente ridotta – quindi la fecondità della madre è molto elevata – e il Si veda il quadro ricostruito da J. C. C and B. K. C, Pretransitional population control and equilibrium, «Population Studies», 57, 2, 2003, pp. 199-215, e , Family size control by infanticide in the great agrarian societies of Asia, «The Journal of Comparative Family History», 36, 2, 2005, 205-226, (entrambi riprodotti in J. C. C (ed.), Demographic Transition Theory, Dordrecht 2006, rispettivamente alle pp. 23-49 e 131-153). 1 75 numero di figli da allevare creerebbe difficoltà da ritenersi insormontabili per tutti i componenti, nei ristretti confini delle condizioni economiche della famiglia. In certi casi – come in popolazioni nomadi (i cosiddetti cacciatori-raccoglitori che si trovano ancor’oggi in certe zone del mondo) o in gruppi demografici che vivono in ambienti del tutto particolari e molto difficili, come nell’Artico) – l’istanza ad eliminare i nuovi arrivati assume la connotazione di “modello sociale” per non rischiare la sopravvivenza dell’intero gruppo2. E questo significa anche che l’infanticidio non include necessariamente l’uccisione violenta del neonato, perché può essere il semplice risultato di Sull’infanticidio come strumento differenziale secondo il genere si vedano: M. R. F, A Social and Ecologic Analysisi of Systematic Female Infanticide among the Netsilik Eskimo, «American Anthropologist», New Series, 73, 5, 1971, pp.1011-1018; A. C. S, W. L. S, A Matter of Life and Death: An Investigation Into the Practice of Female Infanticide in the Arctic, «Man», New Series, 9, 2, 1974, pp. 161-184; M. D, Demographic Consequences on Infanticide, cit. Ma se ne veda anche la rassegna critica fatta da diversi autori apparsa nel fascicolo successivo di «Man», New Series, 10, 3, 2 76 Bernardino Poccetti, La Strage degli Innocenti, affresco, 1610, refettorio dell’Ospedale degli Innocenti Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini abbandono, di negligenza o di trascuratezza nelle cure prestate in famiglia all’ultimo arrivato perché le risorse sono molto scarse. In alcune situazioni il decesso può anche non essere il risultato di una decisione presa in piena coscienza e deliberatamente. Pertanto bisogna tener conto delle circostanze nelle quali si verifica la morte e di tutti quei fattori emozionali e psichici, sanitari ed economici, che coinvolgono in primo luogo la madre (nel caso in cui ci si riferisca solo a questa) e la cui influenza alla scelta di uccidere o abbandonare il figlio è in diretta relazione con il momento in cui si verifica l’infanticidio. Sull’infanticidio, dunque, influisce un insieme di concause che definiscono, secondo Wrigley, quella unconscious rationality di comportamenti mirata a massimizzare i guadagni e a minimizzare le perdite in termini di numerosità della famiglia e del gruppo demografico, in rapporto ad un dato ambiente e ad una particolare struttura socio-economica3. Va comunque tenuto presente che c’è un insieme di fattori, non uno singolo, che contribuisce a creare la condizione nella quale si verifica la decisione a commettere il delitto di infanticidio: un insieme di fattori che si colloca su un ampio spettro di concause, in qualche modo definibile o accertabile facendo ricorso alla cosiddetta demographic homeostasis. Un regime demografico omeostatico o autoregolatore consiste non solo in una particolare combinazione di livelli di mortalità, fecondità, nuzialità e mobilità che mantengono una specifica popolazione – con una data ampiezza in rapporto al suo ambiente e alle risorse disponibili – ma anche in una combinazione di meccanismi sociali capace di mantenere in equilibrio l’intero sistema. Quei meccanismi sociali che più in generale si possono definire culturali e che operano in funzione dei legami di solidarietà esistenti non solo fra gli appartenenti alla stessa famiglia (il kin group), ma anche in seno alla stessa popolazione e che in qualche modo condizionano le strategie di 1975, pp. 469-472; oltre a J. H, Female Infanticide, European Disease, and Population Levels among the Mackenzie Denae, «American Ethnologist», 7, 2, 1980, pp. 259-285. L’infanticidio femminile (come in Cina e in India: ne ha fatto riferimento anche Malthus, nella seconda edizione del suo Essay, nel 1803) può esser visto sia come scopo di per sé, appunto per ridurre il numero di bambine, sia come un meccanismo intermedio di controllo, per intervenire sul numero futuro di donne in età feconda: comunque mette in tutta evidenza il fatto che esiste, nella società che lo pratica, un valore dei figli maschi più elevato di quello delle figlie femmine. Infatti si deve tener presente la dimensione numerica della popolazione per la quale si hanno informazioni o dati statistici concernenti infanticidi di bambine: in popolazioni o gruppi demografici ridotti non è plausibile l’infanticidio femminile come mezzo di controllo attuale. Un richiamo al corretto utilizzo di dati statistici è indispensabile: P. M. V, Sex Ratio at Birth in Territories with a Relatively Complete Registration, «Eugenics Quarterly», 14, 2, 1967, pp. 132-142. 3 A. W, Fertility strategies for the individual and the group, in C. T (ed.), Historical Studies of Changing Fertility, Princeton 1978, pp. 135-154. 77 comportamenti individuali, introducendo una sorta di approvazione o di condanna da parte della comunità4. Come si è accennato la definizione di infanticidio non è sempre e ovunque esplicita, perché i suoi confini con l’aborto non sono delimitabili con precisione e la stessa medicina ha faticato a trovare nel tempo una soluzione perché si possa decidere se si tratta di infanticidio o di aborto. Ancora una volta tutto dipende dalla concettualizzazione di quando inizia la vita e dalla misura del tempo che va dal concepimento (in giorni di amenorrea) all’evento infanticidio5. Ma, in definitiva, è la legge che detta le norme sulla definizione del delitto d’infanticidio (che lo distingue rispetto all’aborto) e sulla sua punibilità. Una legge, cioè quel corpus di norme mirate a regolamentare i comportamenti individuali, è l’espressione dell’attualizzazione del tessuto di relazioni sociali così come sono valutate nel momento della sua emanazione, ma è anche lo strumento ritenuto (in quel momento) più razionale per intervenire sulla costruzione di una “nuova” società. Ogni legislazione sui crimini e sulle relative punizioni si richiama alle trasformazioni sociali ed economiche della società in esame, quindi alle relazioni simbiotiche fra delitto e sanzione: quelle stesse trasformazioni che sottostanno al passaggio da un diritto “comune” (o consuetudinario), per lo più differenziato territorialmente, ed un diritto”statuale” che coinvolge invece e rappresenta tutta la collettività che si riconosce nello Stato. Nel diritto comune lo scopo è quello di mantenere ordine e pace all’interno della popolazione e la legge è applicata con flessibilità seppure con differenze territoriali per lo stesso delitto. A differenza del diritto comune quello statuale parte dal principio che ogni crimine è commesso contro l’intera collettività, non solo contro la vittima, ed assume due ruoli diversi: in uno individua nell’intera popolazione, cioè nello Stato di per sé, sia la “vittima” sia l’unico “giudice” del crimine; dall’altro ha il fine non di ricreare la situazione precedente il de- R. L, On the Social Control of Human Reproduction, «Population and Development Review», 6, 4, 1980, pp. 527-548. Anche per questi aspetti la letteratura demografica è tutt’altro che di scarsa rilevanza, a cominciare dal volume Population Patterns in the Past, a cura di R. D. L, London 1977. Si veda anche J. D, De l’animal à l’homme: le mécanisme autorégulateur des populations traditionnelles, «Revue de l’Institut de Sociologie», 2, 1972, pp.177-211 5 Secondo la normativa italiana, fino alla legge 194 del 1978 (Norme per la tutela sociale della maternità sull’interruzione volontaria della gravidanza), l’aborto era definito come l’interruzione di gravidanza avvenuta entro il 180.mo giorno dal concepimento. Oggi, invece, si fa riferimento al feto, potenzialmente vitale in utero, che non abbia ancora raggiunto un peso minimo di 500 grammi all’atto dell’espulsione o estrazione dal corpo della donna, oppure che non abbia raggiunto la 22.ma settimana di gestazione o, ancora in alternativa, la lunghezza di 25 cm. È evidente che, soprattutto per distinguere l’aborto indotto da quello naturale, è necessario accertare le condizioni biomediche entro le quali si procede all’intervento. 4 78 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini litto bensì di trasformare il criminale e di farne un cittadino “rispettabile”, dopo che abbia espiato la pena inflittagli. Espiare non significa risarcire materialmente il delitto commesso bensì comporta la rieducazione del peccatore per fargli scoprire una vita diversa6. Alla base di questo ci sono alcuni “principi” il cui non-rispetto individua situazioni di “devianza”, cioè di anormalità di comportamenti che violano le regole normative e le attese in termini di comportamenti che il sistema sociale ritiene indispensabili: regole e attese da intendersi generalmente nel duplice aspetto di regole e attese morali (quelle impartite dalla religione) e di regole e attese legali (quelle dichiarate dallo Stato). Il non-rispetto di queste regole e di queste attese mette, pertanto, in evidenza quei comportamenti che il sistema sociale connota negativamente, cioè come delitti – o almeno così li intende la maggioranza degli appartenenti a quel dato sistema sociale. L’infanticidio, come ogni altra forma di devianza, definisce un comportamento eterogeneo rispetto ai valori dominanti (famiglia, legittimità, onore), ma nata con l’Illuminismo e sviluppatasi con il Positivismo, l’attenzione del sistema alla devianza si è spostata gradualmente dalla fase di condanna del comportamento (nel nostro caso, l’infanticidio di per sé) all’analisi delle motivazioni che l’hanno determinato. Il contributo di Cesare Beccaria ha dato un’impostazione del tutto diversa allo studio del crimine e del criminale, partendo dalla considerazione dell’illiberalità e della crudeltà del sistema penale allora vigente, in contrasto con i principi di diritti individuali affermati dagli illuministi. L’intervento dello Stato, in quanto contratto sociale, si organizza sull’affermazione che la legge non è sottoposta all’arbitrio del potere di chi governa e che devono essere rispettati i diritti individuali. Di fronte alla legge le situazioni di diseguaglianza sociale, di ricchezza e di potere, devono essere eliminate. È delitto solo quello che la legge definisce come tale e chi commette il crimine è ritenuto pienamente responsabile delle sue azioni e la giusta punizione che la legge gli commina è il mezzo per ripristinare nel criminale quello stato di virtù che con la sua azione egli ha perduto. La connessione fra miseria e crimine, come nel caso dell’infanticidio, resta piuttosto a lungo sul livello della percezione nel pensiero dei giuristi e dei filosofi mantenendo l’azione punibile e il suo autore separati dal contesto sociale e non sarà affrontata che molto tardi nella dottrina penale. In Italia, benché avviata da Beccaria, sarà trasferita in norme giuridiche dopo l’unificazione, con il codice penale del 1889. Il fatto è che i presupposti del diritto illuministico non riescono a render conto di una realtà sociale Per un quadro generale si rinvia a M. E, Long-term Historical Trends in Violent Crime, «Crime and Justice», 30, 2003, pp.83-142, e a G. P, V. A. C. G, B. L, Crime and the law: the social history of crime in Western Europe since 1500, London 1980. 6 79 contraddittoria, resa ancor più conflittuale dalle profonde trasformazioni demografiche e socio-economiche in corso a partire dalla seconda metà del XVIII secolo: l’aumento della popolazione, lo scardinamento dell’economia agricola e l’inurbamento di masse di rurali, le pessime condizioni sanitarie e l’alto tasso di criminalità si accompagnano con un processo mai prima realizzato di proletarizzazione. L’ordine sociale preesistente è sconvolto da questi fenomeni di sradicamento che coinvolgono la famiglia e le vecchie strutture economiche. D’altra parte sono anche da tener presenti i cambiamenti che si verificano nel vasto campo della conoscenza degli eventi e dell’evoluzione delle metodologie scientifiche. Lo sviluppo del calcolo della probabilità con Poisson, Condorcet e Laplace e la crescente attenzione alla raccolta di informazioni quantitative spingono gli studiosi ad approfondire le regolarità nei comportamenti umani in tutti i settori della vita, dalla nascita alla morte, in particolare con l’applicazione della statistica allo studio della criminalità ad opera di Quetelet in Belgio e di Guerry in Francia7 che ben presto si diffonde in tutta l’Europa del tempo. Gli “statistici morali” si spingono ad indagare le relazioni del crimine con le caratteristiche antropometriche, fisiche e sociali del criminale, come l’età, il sesso e la legittimità, la condizione economica e l’istruzione. Si passa quindi allo studio autonomo del crimine come fatto sociale e lo si indaga come segnale di disagio della società, come sintomo di disorganizzazione sociale. L’individuo non è libero nelle sue scelte come sostenevano gli illuministi, ma è condizionato da un insieme di fattori sociali esterni che egli non è in grado di padroneggiare. «La società prepara i criminali e il colpevole è solo lo strumento» osserva Quetelet8. Resta il fatto che le proposte interpretative del diritto penale fatte da Beccaria nel 1764 (è l’anno della prima edizione del suo opuscolo) lasciano il segno per «l’irriducibile sua originalità e la sua straordinaria efficacia»9. L’opuscolo ebbe una incredibile ricaduta – ma i tempi erano maturi per Si leggano le pagine del famoso e approfondito studio Physique social ou Essai sur le développement des facultés de l’homme che A. Quetelet dedica all’analisi delle qualités morales di ogni individuo e alla predisposizione al crimine: in ognuno esiste un penchant au crime, ma c’è anche una force morale che contrasta questa propensione a delinquere. È il capitolo II, libro IV nella réédition annotée par E. Vilquin et J-P. Sanderson, Bruxelles 1997, pp. 467567. La prima edizione è del 1836, pubblicata a Bruxelles. 8 Citato in I. H, Il caso domato, Milano 1994, p.175. Resta comunque il fatto che la statistica è l’unico e indispensabile strumento di misura del mondo reale: «Più grande è il numero di individui, più la volontà individuale si affievolisce lasciando il predominio alla serie dei fatti generali, ai fatti che dipendono da cause generali e in virtù dei quali la società esiste e si conserva», così secondo Quetelet, Recherches sur le penchant au crime aux différents ages, «Nouveaux mémoires de l’Académie Royale des Science et Belles-Lettres de Bruxelles», 1832, 7, p. 81 (cit. da Hacking, ibidem, p. 188). 9 Così F. Venturi, nella sua Introduzione a C. B, Dei delitti, ecc., cit., p. xi. 7 80 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini Domenico di Bertolo (1428-1447), L’allevamento dei gettatelli, sec. XV. Siena, S. Maria della Scala accoglierlo – in tutti gli Stati europei, da quelli di lingua germanica all’Inghilterra, dalla Francia agli Stati italiani, compreso lo Stato Pontificio. Per quanto concerne l’infanticidio10 le considerazioni di Beccaria affrontano tutti gli aspetti di un problema che era comunque oggetto di attenzione da parte di una crescente folla di studiosi, filosofi, letterati e magistrati costretti ad applicare una legge (quella del “taglione”: chi uccide deve essere «L’infanticidio, inteso come soppressione dei neonati indesiderati, è un fatto che accompagna come u n sordo rumore di fondo la storia della specie», scrive acutamente A. P, Dare l’anima. Storia di un infanticidio, Torino 2005, p. 20. Le ricerche sull’in- 10 81 sottoposto al giudizio capitale) che di per sé era ritenuta orribile. Come avviene per qualunque altro delitto anche «l’infanticidio è parimenti l’effetto di una inevitabile contraddizione in cui è posta una persona che per debolezza, o per violenza abbia ceduto. Chi trovasi fra l’infamia e la morte di un essere incapace di sentirne i mali come non preferirà questa alla miseria infallibile a cui sarebbero esposti ella e l’infelice frutto? La miglior maniera di prevenire questo diritto sarebbe di proteggere con leggi efficaci la debolezza contro la tirannia, la quale esagera i vizi che non possono coprirsi col manto della virtù»11. L’influenza di Beccaria nel gettare dubbi sulla funzionalità della legge e nel proporre soluzioni originali e nuovi approcci d’intervento sull’infanticidio, come su altri crimini, sollecitava comunque l’attenzione di studiosi, magistrati e letterati – della componente della società più colta e più attenta alla realtà e alle modifiche da introdurre nella gestione del diritto. Così in Inghilterra, in Russia, in Francia, in Svizzera come in Germania12. Le riflessioni di Beccaria vertono, in sostanza, sulla necessità di ricercare le cause del crimine e sui modi di prevenirlo: non basta la sola indagine della causa prossima dell’infanticidio perché le sue origini possono essere ben remote, ed è la conoscenza di questo insieme di cause che deve costituire la base per un giudizio senza incertezze. Ancora: il miglior modo di prevenzione del crimine sta nell’educare la popolazione – soprattutto quella che, per appartenenza alle classi sociali più emarginate, è esclusa da ogni forma di formazione in senso sociale. fanticidio in Italia non sono di poco conto né di scarso interesse. Ci limitiamo a segnalare: M. P. C, Maternità e infanticidio a Bologna: fonti e linee di ricerca, «Quaderni Storici», 42, 1982, pp. 276-277; M. P. C, Lontano dall’ospedale: esposizioni e pretesi infanticidi nel contado bolognese, «Sanità scienza e storia», 2, 1989, pp. 127-146; D. DE R, Il baule di Giovanna. Storie di abbandoni e infanticidi, Palermo 1995; G. D B, P. M, Il rifiuto della maternità. L’infanticidio in Italia dall’Ottocento ai giorni nostri, Pisa 1997; G. H, L’infanticidio di coppie sposate in Toscana nella prima età moderna, «Quaderni Storici», 113, 2003, pp. 453-481; M. P, Istinto di vita e amore materno. Un infanticidio del 1882, «Memoria », 1, 1981, pp. 46-52; C. P, Note per uno studio dell’infanticidio nella Repubblica di Venezia nei secoli XV-XVIII, «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 137, 1978-1979, pp. 116-131; C. P, Dal versante dell’illegittimità. Per una ricerca sulla storia della famiglia: infanticidio ed esposizione d’infante nel Veneto nell’età moderna, in L. Berlinguer (ed.), La “Leopoldina”. Criminalità e giustizia criminale nelle riforme del ‘700 europeo, vol. 9, Crimine, giustizia e società veneta in età moderna (a cura di L. Berlinguer e F. Colao), Milano 1989, pp. 89-164; R. S, Profili di uno studio storico sull’infanticidio, Milano 1987; D. V, Il sesso infecondo. Contraccezione, aborto e infanticidio nelle società tradizionali, Roma 1977. 11 C. B, Dei delitti e delle pene, paragrafo XXXI, Delitti di prova difficile, (a cura di F. Venturi), Torino 1994, p. 78. 12 Si veda il ricco e articolato quadro che ha ricostruito F. Venturi nella sua Introduzione al saggio di Beccaria e in modo particolare nell’appendice sulla “Storia e dibattiti in Italia e in Europa”. 82 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini L’educazione è «il più sicuro ma difficil mezzo». Sono queste le stesse considerazioni che si leggeranno qualche anno dopo nel libro di Johann H. Pestalozzi, Sull’infanticidio, che vede la luce, dopo lunga gestazione, nel 178313. Pestalozzi è un educatore svizzero, profondo conoscitore delle problematiche dell’infanzia, autore di scritti pedagogici soprattutto rivolti ai fanciulli socialmente svantaggiati. L’analisi approfondita che egli fa dei processi per infanticidio cui egli assiste e di cui analizza la documentazione e le testimonianze, la sua condanna al dispotismo e alla ingiustizia sociale e le sue proposte di emancipazione sociale attraverso l’istruzione trovarono un vivo interesse non solo in Svizzera ma anche in Germania e in Austria e portarono in primo luogo all’abolizione della tortura giudiziaria, ritenuta il mezzo naturale per l’interrogatorio. Peraltro anche altri studiosi, come filosofi, scrittori e poeti aderenti al movimento preromantico dello “Sturm und Drang” intervennero nel dibattito sull’infanticidio e contro la pena di morte per la madre infanticida – tra questi, Kant, Goethe, Schiller e H. Wagner, per segnalarne qualcuno14. J. H. P, Sull’infanticido (a cura di G. D B), Milano 1999. Pestalozzi scrisse questo lavoro per partecipare ad un concorso bandito nel 1780 a Mannheim su “Quali sono i mezzi migliori per porre fine all’infanticidio?”, tuttavia Pestalozzi decise di non presentarlo alla commissione giudicatrice e lo stampò a sue spese nel 1783. Cfr. alle pagine xx-xxi dell’Introduzione di G. di Bello. Nella seconda metà del XVIII secolo in Europa diverse Accademie bandirono concorsi su temi concernenti i rischi di morte dei bambini – per esempio quello bandito dalla Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere di Mantova nel 1772, su “Quali sono le cause principali, per cui una gran parte d’uomini muore nell’infanzia, e quali i rimedj più semplici, ed efficaci per conservar loro la vita”: il concorso venne vinto dal medico ginevrino Jacopo Ballexserd il cui trattato ebbe l’onore della stampa, a Mantova nel 1773 con il titolo Dissertazione sopra il quesito Quali sono le cause principali, per cui una gran parte d’uomini muore nell’infanzia, e quali i rimedj più semplici, ed efficaci per conservar loro la vita. Nello stesso periodo si moltiplicano anche indagini condotte da medici, come quella dello Spedale senese su richiesta del Granduca del 1775 che si risolse nel rapporto di F. C, O. N, Memoria sopra la mortalità dei bambini che sono introdotti nel Regio Spedale Grande di S. Maria della Scala e sopra i mezzi che si credono capaci di diminuirla, e renderla uguale all’ordinaria mortalità degli altri bambini nella Città, «Atti dell’Accademia delle Scienze di Siena», Serie I, t. VI, 1781, pp. 289-316. Sarebbe oltremodo interessante ricostruire la storia dei concorsi banditi dalle Accademie, come indicatore della crescente attenzione prestata a tematiche demografiche. 14 È ben noto il contenuto del Faust di Goethe. Nella prima parte, Urfaust, (redatto fra il 1770 e il 1773 ma pubblicato nel 1790), racconta la storia di Faust, un vecchio sapiente che stringe un patto con Mefistofele che gli restituisce la giovinezza con la promessa della sua anima. Faust incontra Margherita che gli cede e rimane incinta, ma Faust l’abbandona. Margherita per il disonore uccide il figlio appena nato, affogandolo, viene imprigionata e giustiziata per decapitazione, ma la sua anima si salva: Dio ne ha pietà perché rifiuta di fuggire dalla prigione con Faust, che si è pentito di averla lasciata sola, e con Mefistofele. Goethe, allora praticante avvocato, aveva seguito nel 1772 un processo e assistito alla successiva e tragica pena capitale contro un’infanticida a Francoforte. Si veda J. W. G, Faust Urfaust (traduzione, note e commenti di A. C), Milano 1990. Anche F. Schiller, H. L. Wagner, J. G. Herder e altri del gruppo dello Sturm und Drang 13 83 È, dunque, verso la fine del XVIII secolo che si comincia a prestare forte attenzione all’infanticidio anche perché (come per ogni forma di omicidio) l’infanticida (o colei che è accusata del crimine) è normalmente sottoposta a tortura prima di essere mandata a morte con spettacolari procedure. L’atrocità impartita pubblicamente è ritenuta il mezzo di prevenzione di un crimine ritenuto il più terribile perché commesso da una madre sul proprio figlio assolutamente inerme; e si discutono le modalità del giudizio e la sorte definitiva assegnata all’infanticida. Si prende a individuare i motivi cui fare ricorso per mitigare la pena capitale di norma impartita (affogamento, impiccagione, o altro a decisione del giudice): l’estrema povertà, il disonore per i rapporti sessuali illeciti perché fuori dal matrimonio, il rigido ostracismo sociale in cui viene a trovarsi la madre non sposata con un figlio illegittimo. E in questa specifica fattispecie si comincia a vedere gli aspetti (tipici) della sopraffazione e dell’umiliazione fino alla morte più tragica del povero e dell’emarginato dalla società dei benpensanti. Si diffonde e si consolida il pensiero che all’infanticidio si fa ricorso per motivi di povertà e di vergogna: ma si fa altresì strada che l’onore deve essere un valore centrale di tutte le classi sociali da tutelare con fermezza. Il principio dell’onore diviene la chiave di lettura dell’infanticidio e su questo terreno si muove soprattutto il pensiero filosofico. Il riferimento principale è Kant (sembra che anche lui avesse assistito a processi e condanne di infanticide), che discute dell’infanticidio nella Metafisica dei costumi (pubblicato nel 1797), riecheggiando Beccaria15. Premesso che lo Stato ha il diritto di punire chiunque abbia commesso un crimine, il problema è comunque di infliggere una punizione corrispondente al delitto: nel caso di omicidio è la morte. Tuttavia la riflessione kantiana si impone su due casi: il duello e l’infanticidio. In entrambi c’è un onore da difendere: in entrambi l’attore si trova in uno stato di natura16. Nell’infanticidio il ebbero modo di scrivere racconti di infanticidi avendo assistito a dibattiti in tribunale e al giudizio capitale di madri che avevano ucciso il proprio figlio. Per i contributi di Goethe, di Schiller e Wagner e del movimento dello Sturm und Drang al dibattito sull’infanticidio si rimanda a: F. B, Anonymous Forces of History: The Case of Infanticide in the Sturm und Drang, «New German Critique», 79, Special Issue on Eighteenth-Century Literature and Thought, 2000, pp.157-176; S. K, Women as Children Women as Childkillers: Poetical Images of Infanticide in Eighteenth-Century Germany, «Eighteenth-Century Studies», 26, 3, 1993, pp.449-446. Nell’articolo di H. S. M, Infanticide as Fiction: Goethe’s Urfaust and Schiller’s “Kindsmörderin” as Models, «The German Quarterly», 62, 1, 1989, pp. 27-38, la fiction sull’infanticidio è il veicolo ideale per domesticare e controllare subinconsciamente la donna borghese (per le donne che appartenevano alla stessa classe sociale delle infanticide c’era poco da fare). 15 Una esauriente trattazione è quella di J. K. U, On Kant, Infanticide, and Finding Oneself in a State of Nature, «Zeitschrift für Philosophische Forschung», 54, 2, 2000, pp.173-195. 16 Uno stato di natura è quello in cui viene a trovarsi una persona che è bensì disposta ad 84 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini Il concepimento di un bambino benedetto in presenza della Trinità in un matrimonio cristiano, ms. 5206, fol. 174 v°. L’immagine è stata tratta da S. CassagnesBrouquet, La vie des femmes au Moyen Âge (ed. Ouest-France) bambino nato fuori del matrimonio è escluso dalla protezione della legge perché non esiste alcuna legge che difenda la madre dalla vergogna di aver partorito un illegittimo. La madre, e il duellante, vengono a trovarsi in uno “stato di natura”, cioè di incapacità a scegliere fra il bene e il male, e la loro azione è la risposta al solo codice d’onore che l’uno e l’altra ritengono di dover rispettare, proprio perché non esiste una legge che faccia loro chiarezza sulla distinzione fra bene e male e che li protegga. Nel caso speaffidare i propri diritti innati di libertà di decisione ad un sistema formale statuale per averne protezione ma che la legge non ha ancora sistematizzato: è un terreno ancora non coltivato. Come Kant anche Beccaria (Dei delitti e delle pene, cit., pp. 26-29), prende in considerazione il duello e l’infanticidio mettendoli in relazione alla difesa dell’onore. Nel paragrafo IX, Dell’onore, si richiama al «dispotismo della opinione, che (è) l’unico mezzo di ottenere dagli altri quei beni, e di allontanarne quei mali, ai quali le leggi non (sono) sufficienti a provvedere», e nel paragrafo X, Del duello, che ha la sua origine nell’anarchia delle leggi: «il miglior metodo di prevenire questo delitto è di punire l’aggressore, cioè chi ha dato occasione al duello, dichiarando innocente chi senza sua colpa è stato costretto a difendere ciò che le leggi attuali non assicurano, cioè l’opinione, ed ha dovuto mostrare a’ suoi concittadini ch’egli teme le sole leggi e non gli uomini». Il riferimento all’infanticidio è nel paragrafo XXXI, come segnalato nella nota 11 precedente. 85 cifico dell’infanticidio la madre è costretta a fare una scelta irrinunciabile fra l’eliminare la disgrazia di essere incinta illecitamente e l’orrore della condizione in cui si troverebbe se decidesse di tenere il figlio, venendo a trovarsi in una situazione di completo ostracismo. In altri termini la legge non fornisce alcun sostegno, né economico né psicologico, alla madre se lascia vivere il figlio illegittimo, ma la manda a morte se lo uccide. Kant distingue fra norme sociali e norme legali: le norme sociali sono regole informali, trasmesse dalla religione e da altre istituzioni sociali e contribuiscono a consolidare comportamenti morali (come la castità prematrimoniale) ma possono anche fornire sostegno a comportamenti amorali (come la violenza). Le norme legali, invece, hanno (o devono avere) il loro fondamento nella “ragion pura” e, pur tenendo conto di fatti antropologici, devono esprimere principi razionali di giustizia e devono promuovere comportamenti razionali, cioè morali, quindi sono norme morali. Lo “stato di natura” è il terreno nel quale si confrontano, o si scontrano, le norme sociali e le norme legali e, nel caso specifico dell’infanticida e del duellante, individua quella situazione nella quale si trova chi agisce con l’unica motivazione (o è costretto a farlo) della difesa del proprio onore. Quindi la categoria dell’onore non fa parte né delle norme morali né delle norme sociali. Il matrimonio significa rispettabilità, legittimazione e tutela della madre e del figlio sia da parte del marito-padre sia da parte della società, ma la donna non sposata e il figlio illegittimo non hanno alcun diritto né nei confronti di colui che non li riconosce come moglie e come figlio né nei confronti della società – sono “fuori legge”. L’infanticida (come il duellante che uccide il rivale, o come il naufrago che lascia affogare il compagno per salvare se stesso) si trova in uno stato di natura perché il sistema giuridico non è concretamente operante: pertanto non ci può essere una legge che la condanni a morte. L’infanticidio è, dunque, il risultato di un insieme di circostanze che la legge non tiene (o non può tenere) in alcuna considerazione e, di conseguenza, non è in grado di fornire a ciascun cittadino gli strumenti necessari per tutelare il proprio onore. La conclusione (se di conclusione si può parlare) è che un‘infanticida è così definita – e un infanticidio esiste – perché la vita sociale non è organizzata in modo tale da prevenire gli infanticidi per legge. Nel corso dell’Ottocento, pressoché ovunque nei Paesi occidentali, uomini di governo e giuristi sono chiamati a riflettere sull’infanticidio discutendo almeno due argomenti cardine, fra di loro in stretta interdipendenza: a) l’infanticidio è un crimine legato ad una situazione sociale ben precisa, commesso da una nubile di bassa condizione sociale, in estrema povertà e in solitudine perché abbandonata dal padre naturale del bambino e dalla famiglia, in condizioni di debolezza perché il parto determina di per sé una 86 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini condizione di indubbia incapacità fisica e psicologica; b) per effetto delle trasformazioni sociali ed economiche e dell’aumento della popolazione, determinato a sua volta dall’aumento della fecondità, si richiedono interventi pubblici e privati a tutela dell’infanzia, soprattutto perché ovunque si riscontra un incremento dei livelli di mortalità infantile, non solo differenziati per classe sociale ed economica, ma tanto più differenziati per gli illegittimi rispetto ai legittimi. Su questi due problemi di fondo si muove la giurisprudenza penale: l’infanticidio esce dalla categoria degli omicidi e da crimine gravissimo e severamente punito assume gradualmente le caratteristiche di delitto speciale perché non sussiste la presunzione della premeditazione. È considerato “delitto d’impeto” perché la madre non è nelle condizioni di poter riflettere ragionevolmente sulla sua situazione e di conseguenza non è più ritenuta pericolosa per la società17. L’infanticidio si trasforma in “omicidio scusato” perché il neonato con la sua esistenza mette in pubblica evidenza il disonore in cui è caduta la madre. Su questa trama si assesta la crescente valorizzazione del senso dell’onore e la sua considerazione nelle codificazioni penali dei Paesi europei. «Il reato d’infanticidio non può considerarsi alla stessa stregua di tutti gli altri reati di sangue; e se da una parte può essere preso come un indizio di cattivi costumi e di depravazione morale, è indubbio che, da un altro punto di vista, in determinate condizioni ed entro certi limiti, sta ad indicare quanto la donna sia gelosa della sua reputazione». Così scrive, nel 1925, Guglielmo Tagliacarne18, uno dei pochi che ha analizzato le statistiche penali italiane allora disponibili fra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento. Siamo ancora nel quadro disegnato dalla legislazione italiana risultante dalla fusione delle diverse leggi esistenti nella penisola prima dell’unificazione legislativa civile del 1865 e di quella penale del 1889. Per quanto riguarda l’infanticidio si tratta di una fusione realizzata dopo un intenso periodo di accesi dibattiti (fra i fautori e i detrattori della più dura penalizzazione del crimine in oggetto infliggendo la morte a chi commette infanticidio) per risolvere, o mediare, tutte le difficoltà che si incontrano Si consultino: A. S, Infanticidio e procurato aborto. Studio di dottrina e legislazione penale, Verona-Padova 1887; O. V, Evoluzione del pensiero criminologico sulla pena di morte (Da Cesare Beccaria al Codice Zanardelli), Napoli 1984; E. M. A, L’infanticidio e la legge penale, cit.; G. D B, P. M, Il rifiuto della maternità, cit.. Il riferimento più importante è, ovviamente, il trattato di F. C, Programma del corso di diritto criminale, vol. 1, Del giudizio criminale, vol. 2, Del delitto, della pena, Bologna 1993 e 2004 (la prima edizione è del 1881, a Lucca), ma è lo studio della R. S, Profili di uno studio storico sull’infanticidio, cit., che ricostruisce più compiutamente l’evoluzione degli aspetti giurisdizionali del delitto. 18 G. T, Infanticidio, abbandono d’infante e procurato aborto nella vita sociale, studiati sulle nostre statistiche della criminalità, «Giornale degli Economisti e Rivista di Statistica», serie IV, a. XL, vol. LXV, 1925, pp. 401-442 e 547-565. 17 87 quando si mira a costruire un unico sistema unitario del diritto, in qualche modo rappresentativo delle diverse esperienze e delle diverse esigenze sociali vissute in precedenza negli Stati preunitari. Tagliacarne è uno statistico, non un giurista né un criminologo, e riflette il pensiero – quindi i sentimenti della “gente comune” – prevalente sull’infanticidio così come definito nel codice penale nazionale, che prende il nome dell’allora Ministro del Guardasigilli, Zanardelli, emanato nel 1889 e che resta in vigore fino al codice Rocco del 1930. L’infanticidio è certamente un crimine, ma è trattato con una particolare indulgenza verso le donne che lo commettono, perché sono considerate vittime disperate che hanno perduto, in un momento di debolezza, l’onore proprio e della famiglia e che si trovano in uno “stato di necessità” anche a motivo della loro ridotta imputabilità psichica e delle degradate condizioni economiche e sociali createsi proprio a causa della gravidanza. È una sorta di scudo che viene offerto all’infanticida di fronte alle difficoltà della vita che si aprono con il parto: se sussistono le condizioni previste nella legge la pena è il carcere da 3 a 12 anni. La pena capitale, presente in alcune delle codificazioni preunitarie, è stata abolita definitivamente. Il codice del 1889 è un significativo esempio della tendenza della società del XIX secolo a giudicare la causa d’onore come il principale movente dell’infanticidio da considerarsi pertanto come ipotesi attenuata di omicidio. La sanzione privilegiata dell’infanticida è giustificata ma solo nel caso in cui il delitto sia commesso sotto l’impulso della tutela dell’onore proprio e della famiglia, assunto come nobile motivo. Nella Relazione a S.M. il Re del Ministro Guardasigilli per l’approvazione del Testo definitivo del Codice Penale19, si legge, infatti, il richiamo allo stato di sgomento e di disperazione della partoriente “per la grave perturbazione di animo che possono cagionare nel padre, nel fratello, nel marito la vista di un essere che sarebbe l’accusatore permanente dell’illecito commercio, e la minaccia del disonore che ne verrebbe a lui pure ed alla propria famiglia”20. Si badi che non si fa 19 Relazione a S.M. il Re del Ministro Guardasigilli per l’approvazione del Testo definitivo del Codice Penale, (citato da A. M. A, L’infanticidio e la legge penale, cit., p. 24). 20 D’Annunzio ha illustrato i dubbi, le incertezze e le lacerazioni nella psicologia maschile che portano ad un infanticidio ne L’innocente. È la storia di un infanticidio commesso da un uomo che scopre che la moglie “in un minuto di debolezza” è rimasta invischiata in un «concepimento infame», ma è deciso a far sì che la gravidanza venga a termine, perché la moglie ne senta il peso, anche fisico, come punizione della sua infedeltà. Ma soprattutto per tutelare l’onore della famiglia, che un aborto (indotto) non avrebbe messo al sicuro. La prima edizione de L’innocente è del 1892: si ricordi che dal 1865 è in vigore, in Italia, il nuovo codice civile (Pisanelli) che disegna una famiglia fortemente incentrata sul capo, marito e padre, che stabilisce che i figli adulterini sono “irriconoscibili” e che vieta pertanto la ricerca della paternità, mentre dal 1889 vige il nuovo codice penale (Zanardelli) che considera la causa d’onore come il principale movente dell’infanticidio. 88 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini Carlo Pontelli, Madonna con Bambino e S. Anna (da Andrea del Sarto), Museo Civico di Prato A destra. Carlo Pontelli (da Andrea del Sarto), La Sacra Famiglia, Museo Civico di Prato alcun riferimento alla madre dell’infanticida: se si esclude la “colpevole”, cioè l’infanticida, il problema dell’onore (o, meglio, il dovere della tutela dell’onore) sembra specificamente maschile. Le altre componenti femminili della famiglia sono inesistenti. Nel codice Rocco del 1930 resta ancora la considerazione della causa d’onore, ma – a differenza del codice del 1889 – non come circostanza attenuante dell’omicidio, bensì come titolo speciale di reato. Il delitto viene ora punito con detenzione da 3 a 10 anni, ma si introducono alcune modifiche. Viene ampliato il cerchio dei possibili soggetti attivi del reato, individuabili non solo nella infanticida, ma anche negli altri prossimi congiunti se hanno agito per salvare l’onore proprio o della famiglia. I correi, una volta individuati, sono puniti per concorso in omicidio volontario, con reclusione non inferiore a dieci anni. Una ulteriore modifica riguarda i limiti cronologici entro i quali l’uccisione di un neonato può essere considerata infanticidio. Mentre il codice Zanardelli stabiliva che il crimine sussisteva se fosse compiuto entro cinque giorni dalla nascita dell’infante non ancora iscritto nei registri dello stato civile, secondo il codice Rocco non si fa alcun riferimento temporale specifico bensì si stabilisce che l’infanticidio è tale solo nel caso in cui sia commesso immediatamente dopo il parto. Si mette in tutta evidenza la determinazione e l’immediatezza 89 dell’azione, perché solo in questo ridotto spazio di tempo può perdurare «uno stato d’animo di eccitazione e di sgomento» e possono manifestarsi disturbi depressivi in conseguenza dei quali il sentimento della maternità può perdere ogni rilevanza e trasformarsi in propensione alla distruzione del neonato21. Solo nel 1981 (Legge n. 442, Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore) viene eliminata la considerazione attenuante del movente d’onore. La madre che cagiona la morte del proprio neonato è punita con carcere da 4 a 12 anni qualora il fatto sia «determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto». Ma i tempi sono profondamente cambiati: nel 1974 si è introdotta la legge sul divorzio; nel 1975 il nuovo diritto di famiglia riconosce eguali diritti e doveri ai genitori e ai figli abrogando la nozione di figlio illegittimo; ancora nel 1975 si istituiscono i consultori familiari. Nel 1978 si emanano le Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza – la cosiddetta legge sull’aborto che elimina la fattispecie del “feticidio”, cioè dell’aborto (per il quale la causa d’onore è una semplice circostanza attenuante), come condotta alternativa all’infanticidio, introdotto appunto nel codice Rocco. È, infine, dal 1978 il Servizio sanitario nazionale che garantisce a tutti l’assistenza alla salute come bene indispensabile. Nello sfondo di questa storia resta comunque una considerazione del tutto generale da fare. È con la discussione del ruolo dell’infanzia come istituzione nella società – anche questo tema è un prodotto dell’Illuminismo – che l’attenzione pubblica cambia drasticamente: nella letteratura e nella giurisprudenza si prospettano nuovi comportamenti degli adulti, mettendo soprattutto in evidenza la funzione della maternità nel quadro più generale di riferimento che è lo Stato22. Così si legge nella Relazione al progetto definitivo del codice penale, vol. V, Roma 1929, richiamato in A. M. A, L’infanticidio e la legge penale, cit., p. 27. Un lavoro interessante per comprendere anche le linee del dibattito che precede il nuovo codice penale del 1889 è quello di A. S, Infanticidio e procurato aborto, cit., che ripercorre l’evoluzione del diritto criminale nella trattatistica, nella giurisprudenza e nei codici preunitari. 22 La storia dell’infanzia e la sua costruzione come tipologia da investigare risale a Philippe Ariès ed è troppo nota per renderne qui conto, anche se sommariamente. È da leggere la rassegna di S. W, The Myth of Motherhood a Myth: The Historical View of European Child-Rearing, «Social History», 9, 2, 1984, pp.181-198. Per le sue implicazioni con l’abbandono, oltre a quanto indicato nella nota 27 seguente, si vedano: P. B, O. F, Bambini senza infanzia. Sull’infanzia abbandonata in età moderna, e C. A. C, Infanzia e famiglia nel XIX secolo, entrambi in E. B, D. J (a cura di), Storia dell’infanzia, vol. 2. Dal Settecento ad oggi, Roma-Bari 1996, rispettivamente alle pp. 100-131 e pp. 250-281. Più in generale sull’Italia si rimanda a F. Cambi, S. Ulivieri, Storia dell’infanzia nell’Italia liberale, Firenze 1988 e a F. C, E. C, Genitori e figli nell’età contemporanea, Pisa 2003. 21 90 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini 2. Infanticidio ed abbandono d’infante Sull’esempio di quanto già realizzato nei secoli precedenti nei paesi cattolici come Francia, Spagna e Italia, in Inghilterra23 e nella Germania di fine Settecento il più diretto tentativo di prevenzione dell’infanticidio è l’apertura di istituti destinati ad accogliere l’infanzia abbandonata, gli Spedali per esposti24. Così fra gli anni ’60 e ’80 del Settecento se ne aprono in Inghilterra e nell’Europa continentale come in Spagna e Portogallo, in Germania e in Austria, a Cassel, a Graz, Linz, a Trieste. Maria Teresa ne In Inghilterra sin dal XVII secolo le Poor Laws avevano il compito di prendersi cura non solo dell’infanzia legittima fornendo assistenza economica alle famiglie indigenti, ma anche di quella illegittima. Per le vicende delle Poor Laws nella storia sociale inglese si veda R. S, Infanticide and Abortion in Nineteenth-Century Britain, «Population Studies», 32, 1, March 1978, 81-93. 24 Ci riferiamo a questi istituti con il termine Spedali sia perché così era detto quello fiorentino di S. Maria degli Innocenti, sia per non confonderli con gli Ospedali per malati. Non è certo opera facile redigere una bibliografia esaustiva (o quantomeno aspirare a farne una) sul fenomeno dell’abbandono di bambini – cioè sull’esposizione, rifacendosi alla titolazione delle istituzioni destinate ad accogliere i fanciulli, illegittimi o legittimi, appunto gli Spedali per esposti o trovatelli. Innanzitutto si rinvia al corposo volume Enfance abandonnée et société en Europe, XIVe-XXe siècle, Rome 1991, che ricostruisce un quadro (allora) completo in termini di esperienze che coprono quasi l’intera Europa, con le relazioni introduttive di J-P. B, V. H, V. P M e C. A. C. Degli esposti in Italia, come problema generale, hanno trattato estesamente per prime M. G. G e L. P, Un problema di storia sociale. L’infanzia abbandonata in Italia nel secolo XIX, Firenze 1974 (a cui si rinvia per quanto pubblicato in precedenza), ma si veda anche il volume collettaneo di G. D M, (a cura), Trovatelli e balie in Italia, secc. XVI-XIX, Bari 1994. Sono di utile consultazione: V. P M (coord.), Expostos e ilegìtimos na realidade ibérica do seculo XVI ao presente, Actas do III Congrsso da ADEH, vol. 3, Porto 1996; , La infancia abandonada en Espana (siglos XVI-XX), Madrid 2005; C. G (a cura), “Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda”. L’infanzia abbandonata nel Triveneto (secoli-XV-XIX), Treviso 1997 (che non concerne solo il Triveneto ma anche ad altre regioni italiane). Restano di indubbio riferimento V. H, I trovatelli di Milano. Bambini esposti e famiglie espositrici dal XVII al XIX secolo, Bologna 1989 e D. I. K, Sacrificed for Honor. Italian Infant Abandonment and the Politics of Reproductive Control, Boston 1993. La Francia resta il Paese che annovera il maggior numero di studiosi e di ricerche sull’abbandono di bambini. Si segnalano: R. G. F, Crimes against Children in Nineteenth-Century France: Child Abuse, «Law and Human Behavior», 6, 3-4, 1982, pp. 237-259; L’enfant abandonnée (numero speciale della rivista «Histoire Economie et Société», 6, 3, 1987, (a cura di J-P. B), e due pubblicazioni di ampio respiro: R. G. F, Abandoned Children: Foundlings and Child Welfare in Nineteenth-Century France, Albany 1984 e , Poor and pregnant in Paris: strategies for survival in the Nineteenth Century, New Brunswick 1992; J. B, The Kindness of Strangers. The Abandonment of Children in Western Europe from Late Antiquity to the Renaissance, New York 1988 (trad. ital. L’abbandono dei bambini in Europa Occidentale, Demografia, diritto e morale dall’Antichità al Rinascimento, Milano, 1991). Più recentemente il numero speciale della rivista «Annales de Démographie Historique», 2, 2007, dedicato a Les enfants abandonnés. Institutions et parcours individuels che aggiorna il quadro delle più recenti ricerche in Francia, Inghilterra e Italia. Per l’Inghilterra si vedano: E. H, “Overlaying” in the 19th-Century England: Infant Mortality or Infanticide?, «Human Ecology», 7, 4, 1979, pp. 333-352; R. K. MC, Coram’s Children: the London Foundling Hospital in the Eighteenth Century, New Haven 1981. 23 91 apre uno a Praga nel 1762; Giuseppe II costruisce un ospedale per infanti abbandonati dalle madri che partoriscono nell’ospedale della maternità di Vienna nel 178425. Ma come avviene in Inghilterra, anche in Austria e nell’Impero Germanico le iniziative relative all’apertura di istituzioni per accogliere l’infanzia abbandonata, legittima o illegittima che sia, hanno poca storia: l’opposizione agli ospedali per esposti si fa sempre più decisa facendo perno sul ruolo centrale della famiglia che è l’unica istituzione che ha per destino la cura dell’infanzia nei suoi aspetti emozionali, educativi ed economici, mentre il compito dello Stato resta quello del controllo sociale sull’intera collettività. Peraltro si diffonde l’idea e si consolida la percezione che queste istituzioni allentano i freni morali influendo sull’aumento delle nascite illecite e illegittime. Si crea e si consolida in Germania e in Austria un clima fortemente conservatore: tenendo anche conto della motivazione dei rilevanti costi sull’economia nazionale, gli ospedali per esposti vengono gradualmente chiusi. In Francia, sotto l’impulso dato da S. Vincenzo all’assistenza all’infanzia abbandonata per prevenire l’infanticidio, in diverse città vengono aperte le “ruote” presso gli Ospedali generali, seguendo l’iniziativa realizzata a Parigi. Con la Rivoluzione, si stabilisce che ogni comune deve avere una “ruota” per accogliere non solo gli illegittimi ma anche i legittimi che i genitori non erano in grado di mantenere: l’iniziativa viene “esportata”, insieme al codice civile Napoleonico, in tutti i territori annessi all’Impero. I governi restaurati (dopo il crollo napoleonico) solo sporadicamente attuano interventi di smantellamento delle “ruote”: resta il principio, o la convinzione, che le “ruote” costituiscono un mezzo per fornire una sorta di aiuto economico ai genitori naturali, non solo alla madre biologica, per fronteggiare le difficoltà dei tempi – basti riflettere che quasi tutta l’Europa venne percorsa da eserciti e bande armate, sconvolta da guerre, carestie, epidemie per una ventina d’anni (almeno dalla Rivoluzione alla Restaurazione) e nel caos più completo per la diffusa instabilità politica e sociale. L’abbandono di infanti è (stato) un fenomeno tipico delle popolazioni di religione cattolica ed è noto che la Chiesa (cattolica) ha sempre condannato non solo l’infanticidio come delitto orrendo, ma anche l’esposizione, ritenendo che l’abbandono di figli corrisponde ad un infanticidio differito, anche se da parte dei genitori non esiste la volontà determinata di uccidere i propri figli, bensì quella di affidarli alla carità pubblica. Tuttavia, per evitare l’infanticidio e poiché non esistevano altre forme di intervento a tutela Per l’Impero Germanico e per l’Austria si vedano, in particolare, J. S. R, Infanticide, Child Abandonment, and Abortion in Imperial Germany, «Journal of Interdisciplinary History», 28, 4, 1998, pp. 511-551; O. U, The Debate about Foundling Hospital in Enlightenment Germany: Infanticide, Illegitimacy and Infant Mortality Rates, «Central European History», 18, 3-4, 1985, pp. 211-256. 25 92 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini Carlo Pontelli, Madonna con Bambino e S. Anna (da Andrea del Sarto), particolare, Museo Civico di Prato degli infanti che le famiglie non erano in grado di allevare, anche la Chiesa collaborava all’apertura e al mantenimento degli Spedali per esposti. Si è detto che gli Spedali per esposti hanno costituito, soprattutto nei Paesi di religione cattolica, una specie di strategia adottata per prevenire o cercare di combattere gli infanticidi o quantomeno quella parte di infanticidi presunti (in qualche modo pensati come soluzione da adottare) che si sarebbero risolti in infanticidi realizzati: una strategia messa in atto rendendo disponibili istituzioni destinate ad accogliere parti non desiderati. Di questo si hanno indicazioni abbastanza esatte anche se non è effettivamente possibile ricostruire la dimensione reale del fenomeno dell’infanticidio di per sé e dell’interdipendenza fra infanticidio e abbandono. Già Trexler aveva dimostrato che l’infanticidio e l’abbandono erano di fatto piuttosto diffusi nel mondo cristiano del Rinascimento toscano e che proprio per fronteggiare l’uno e l’altro era stata avviata l’apertura di apposite “case” – che sarebbero divenuti in seguito gli Spedali per esposti – dove accogliere le creature «le quali sanza baptesimo spesse volte et per fiumi et per cloache et fosse sarebbono trovare morte, se no fussi suto talluogo constituito»26. 26 R. C. T, Infanticide in Florence. New sources and first results, «History of Child 93 Ma Trexler aveva anche documentato che l’infanticidio era pratica “riservata” al Vescovo se era commesso su un bambino legittimo: in questo caso, di norma, se giudicava che la morte del bambino fosse stata casuale i genitori erano assolti. Negli archivi diocesani non si sono trovati documenti concernenti infanticidi commessi su illegittimi, il che significherebbe che questi erano direttamente rimessi al giudizio dell’autorità civile, quando scoperti. Ancora alla fine del Settecento l’Arcivescovo di Firenze raccomanda ai parroci della Diocesi di richiamare, durante la predica, l’attenzione dei parrocchiani perché «il Luogo Pio detto degli Innocenti si trova attualmente di soverchio aggravato pel trasporto di un gran numero di Bambini nati di legittimi genitori, e de’ quali una gran parte almeno ragionevolmente presumesi, che non sieno nati in case affatto miserabili, né di madri che siano nella impotenza di allattargli». La lettera pastorale non si soffermava affatto a condannare l’abbandono di per sé, come azione moralmente riprovevole di fronte alla religione, ma ne metteva invece in evidenza il rilevante aggravio economico arrecato al Luogo Pio poiché non si trovava «né un sufficiente numero di Balie che gli nutriscano, né altri mezzi, onde conservar loro la vita e la sanità» – a causa de «l’inconveniente grande» della «moltiplicazione indefinita di questi lattenti» che i genitori portavano allo Spedale «per il solo principio di sgravarsi della nutrizione e mantenimento»27. In sostanza l’attenzione era rivolta all’abbandono di legittimi; gli illegittimi erano una categoria a sé. Lo Spedale per esposti funzionava come una sorta di ente di compensazione fra pubblico e privato per mantenere, in un equilibrio precario, da una parte la domanda di assistenza formulata dalle famiglie, “apparentemente” le più indigenti e più bisognose di sostegno proprio per effetto della loro “apparentemente” più elevata fecondità, e dall’altra l’offerta di assistenza espressa dalla società (il governo politico, la struttura religiosa, il resto hood Quarterly», 1, 1973, pp. 98-116; la citazione è in nota 17, a p.112. Si rimanda anche al suo successivo, The Foundlings of Florence, 1395-1455, «History of Childhood Quarterly», 1, 1973, pp. 259-284. I due saggi sono stati pubblicati in italiano, insieme ad altri suoi scritti, nel volume R. C. T, Famiglia e potere a Firenze nel Rinascimento, Roma 1990. Sull’infanticidio nel Medioevo si veda anche D. H, C. K-Z, Les Toscans et leurs familles. Une étude du catasto fiorenti de 1427, Paris 1978 (traduzione italiana I toscani e le loro famiglie: uno studio del catasto fiorentino del 1427, Bologna 1988). 27 La lettera è del 2 dicembre 1796, dal Palazzo Arcivescovile di Firenze. C’erano, comunque, stati in precedenza altri interventi dell’autorità pubblica, a cominciare dalla legge del 23 ottobre 1610, ripetuta il 18 settembre 1670 contro l’abbandono di bambini. Ancora con bando del 17 Maggio 1764 si proibì di abbandonare fanciulli e neonati in Firenze per le strade, lasciandoli alla mercé dell’inclemenza della stagione e degli animali. Il bando del 1764 è importante perché richiamava l’attenzione dei cittadini sullo Spedale degli Innocenti nel quale si accoglievano «per tutto il tempo che ne dura la causa» anche i figli legittimi se la madre era incapace d’allattarli per malattia ed era miserabile. In questi casi il fanciullo sarebbe rimasto a carico dello Spedale fino allo svezzamento. Il bando venne di seguito ripetuto il 23 marzo 1791 e il 26 marzo 1789. 94 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini della collettività che non riteneva di collocarsi sul fronte della domanda). L’avverbio “apparentemente”, nell’uno e nell’altro caso, significa che il riferimento è in termini comparativi con il resto delle famiglie, presuntivamente ritenute in condizioni migliori, quindi non propense ad abbandonare figli agli ospizi, sia perché meno indigenti sia perché caratterizzate da minore fecondità. “Apparentemente” ha comunque un significato più rilevante e implicito: non è possibile sapere se l’indigenza, oppure il numero eccessivo di figli, a scapito della sopravvivenza degli altri componenti della famiglia28, insieme o in alternativa, costituivano la molla psicologica a consegnare, nascostamente o palesemente, qualche figlio, di norma l’ultimo arrivato perché è questi che sconvolge il precario equilibrio familiare. Si noti, comunque, che la lettera pastorale dell’Arcivescovo di Firenze si richiama sì al fatto che le famiglie che abbandonano lo fanno «per il solo principio di sgravarsi della nutrizione e del mantenimento» dei figli, ma non fa alcuna distinzione fra avere pochi o tanti figli, così come non fa alcuna considerazione sulle modalità con cui i loro figli venivano consegnati allo Spedale. Anche per questo aspetto c’è differenza fra chi consegna il proprio figlio di nascosto occultandone la provenienza e chi, invece, lo porta allo Spedale dichiarandone paternità e maternità. I dati raccolti dai registri dello Spedale degli Innocenti di Firenze29 hanno permesso di analizzare le diverse “strategie” dell’abbandono che, per il triennio 1840-1842, mettono in evidenza una situazione molto articolata. I dati riassuntivi sono in Tab. 1. Poiché il numero degli infanti che arrivava ogni anno allo Spedale era veramente elevato (gli esposti, fiorentini e non, nel triennio sono il 35,2% di tutti i nati vivi registrati allo Stato civile, fiorentini e non), non c’è dubbio che conoscere le proporzioni di legittimi e Così Carlo Collodi spiega la decisione che due genitori prendono di abbandonare nel bosco i sette figli: «C’era una volta un taglialegna e una taglialegna, i quali avevano sette figliuoli, tutti maschi: il maggiore aveva dieci anni, il minore sette. Farà forse caso di vedere come un taglialegna avesse avuto tanti figliuoli in così poco tempo: ma egli è che la sua moglie era svelta nelle sue cose, e quando ci si metteva, non faceva meno di due figliuoli alla volta. E poiché erano molto poveri, i sette ragazzi davano loro un gran pensiero, per la ragione che nessuno di essi era in grado di guadagnarsi il pane». È la nota novella di Puccettino (peraltro ripresa da Perrault, che scrisse favole alla fine del XVII secolo) in C. C, I racconti delle fate, Milano 1976, pp. 35 segg. La prima edizione è del 1875. Anche l’abbandono di infanti è tema di diffusa presenza nella storia della cultura di ogni società, se non nelle sue implicazioni religiose. Si pensi ad infanticidi intenzionali che si risolvono in abbandoni: Edipo e Mosé, Romolo e Remo, Ciro il Grande. Ma ci sono anche infanticidi commessi come rivalsa per un’offesa ricevuta, come quello di Medea abbandonata da Giasone. Evidentemente va considerato a parte, perché ha un’altra finalità, l’infanticidio sacrificale, come quello di Isacco o di Ifigenia. 29 Si veda in ’ la serie Balie e bambini (che inizia dal XV secolo). Si vedano: C. A. C, Materiali per lo studio della famiglia in Toscana nei secoli XVII-XIX: gli esposti, «Quaderni Storici», 33, 1976, pp. 998-1052; C. A. C, Una ‘inondante scostumatezza’. Gli esposti dello Spedale degli Innocenti di Fi28 95 illegittimi è di tutta importanza. Per quanto riguarda i legittimi, questa conoscenza è utile sia per misurare la dimensione del fenomeno dell’abbandono come mezzo di controllo del numero di figli che potevano restare in famiglia30 sia come ricorso allo Spedale quale ammortizzatore sociale. Per quanto concerne gli illegittimi non va dimenticato che lo Spedale aveva anche lo scopo di accogliere illegittimi veri e propri nascondendo alla collettività tutte quelle situazione di nascita non-legittima, da madre nubile o vedova, che avrebbero gettato discredito sulle madri e sulle loro famiglie, lasciando nello sconcerto la collettività – pertanto gli illegittimi inclusi nei registri dello Spedale comprendono sia i figli di madri non sposate (nubili e vedove) sia tutti quei bambini introdotti come figli di genitori ignoti, quindi comprendono una quota rilevante di legittimi consegnati come “falsi” illegittimi. Comunque, per gli illegittimi e per i legittimi, l’istituzione funzionava anche per evitare il ricorso all’aborto e all’infanticidio, accogliendo una parte delle nascite legittime (indesiderate, in qualche modo) e dando ampia ospitalità a quelle illegittime. Lo Spedale assume, dunque, il significato di strumento per prevenire azioni socialmente e moralmente trasgressive – l’infanticidio e l’aborto – che potevano essere compiute da coppie legittimamente sposate o da chi non era sposato di fronte alla Chiesa31. Guardiamo i dati della Tab. 1. Dei 4275 introdotti il 54,9% risultano morti, del 6,5% si ignora il destino, il 14,2% sono stati affidati o affiliati ad altre famiglie o (sono le fanciulle) andate spose, ma ben il 24,4% sono stati riconosciuti come legittimi perché richiesti dai propri genitori. Quello che interessa rilevare è che solo 180 (4,2%) sono stati dichiarati legittimi al momento dell’introduzione ma, dopo essere stati ricercati dai propri genitor,i renze, 1840-1842, in C. G (a cura di), Benedetto chi ti porta, maledetto che ti manda, cit, pp. 3-22, e C. A. C, C. L, Quanti erano legittimi? Il caso dei bambini abbandonati a Firenze nel triennio 1840-1842, «Bollettino di Demografia Storica», n. 3031, 1999, pp. 213-228. Le registrazioni conservate negli archivi di altri Spedali per esposti, là dove esistono ancora, permettono di ricostruire le storie individuali dei trovatelli e da queste di ripercorrere le vicende dell’abbandono. Si vedano i risultati molto interessanti di Hunecke per Milano (V. H, I trovatelli, ecc. cit). 30 Come è stato ricostruito in C. A. C, Materiali per lo studio della famiglia in Toscana, ecc. cit. 31 Ancora un rapido richiamo alla letteratura medievale a conferma che nella realtà aborti e infanticidi corrispondono a categorie conosciute, in ogni tempo: «Ah quanti parti, in quelle o che più temono o che più delli loro sconci falli arrossano, innanzi al tempo periscono! Per questo la misera savina, più che gli altri alberi, si truova sempre pelata, quantunque esse a ciò abbiano altri argomenti infiniti. Quanti parti per questo, mal lor grado venuti a bene, nelle braccia della fortuna si gittano! Riguardinsi gli spedali. Quanti ancora, prima che essi il materno latte abbino gustato, se n’uccidono! Quanti a’ boschi, quanti alle fiere se ne concedono e agli uccelli! Tanti e in sì fatte maniere ne periscono che, bene ogni cosa considerata, il minore peccato in loro è l’avere l’appetito delle lussuria seguito» così G. B, Il Corbaccio in Opere, (a cura di C. S), Milano 1966, p.1212. 96 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini Tab. 1. Esposti dello Spedale degli Innocenti di Firenze, 1840-1842, secondo la legittimità all’introduzione e la legittimità finale Legittimità finale legittimità introduzione legittimi n. % Deceduti (54,9%) legittimi genitori ignoti totale 81 313 394 3,5 13,3 16,8 Restituiti ai genitori (24,4%) legittimi genitori ignoti totale 95 909 1004 9,1 87,0 96,1 Adottati, affiliati, sposate (14,2%) legittimi genitori ignoti totale 3 24 27 0,5 4,0 4,5 Sorte ignota (6,5%) legittimi genitori ignoti totale 1 12 13 0,4 4,3 4,7 180 1258 1438 4,2 29,4 33,6 Totale legittimi genitori ignoti totale genitori ignoti n. 1953 1953 41 41 579 579 264 264 2837 2837 % totale n. % 83,2 83,2 81 2266 2347 3,5 96,5 100 3,9 3,9 95 950 1045 9,1 90,9 100 95,5 95,5 3 603 606 0,5 99,5 100 95,3 95,3 1 276 277 0,4 99,6 100 66,4 66,4 180 4095 4275 4,2 95,8 100 Fonte: C.A. CORSINI, C. LAGAZIO, Quanti erano legittimi?, cit. sono saliti a ben 1438 (33,6%) anche se solo 1044 sono stati restituiti vivi – il che significa che 394 sono stati bensì richiesti dai genitori ma trovati morti. C’è ancora da rilevare (per approfondimenti si rinvia all’articolo citato in calce alla Tab. 1) che nel totale dei 1438 risultati legittimi ben 1258 (l’89,5%) sono stati introdotti come figli di ignoti – cinque di essi sono di madre nota ma non sposata. Ebbene fra questi 1258 il 62,6% sono stati consegnati con almeno un segnale (un documento scritto, una mezza moneta, un breve, una medaglia o altro) che presumibilmente significa 97 l’intenzione dei genitori di riprendere in seguito il bambino32. Il segnale, dunque, è un artificio per rendere evidente quello che non è dichiarato esplicitamente al momento dell’introduzione (la vera origine legittima): è inteso da chi abbandona e da chi riceve come strumento di identificazione (futura), come mezzo per riportare all’evidenza uno status (la legittimità del bambino) momentaneamente occultato. Tuttavia il fatto che il segnale non sia presente in tutti gli abbandonati introdotti (falsamente) come figli di genitori ignoti potrebbe significare che l’abbandono è, dai genitori, inteso come definitivo. Per la verità, dovremmo anche tener conto del fatto che la decisione di affidare, con vari stratagemmi, figli all’assistenza pubblica era verosimilmente condizionata da fattori di natura psicologica che non si possono quantificare facilmente, così come non è possibile misurare la loro influenza e il loro peso nel condizionare la decisione a commettere infanticidio in alternativa. C’è, d’altra parte, un’ulteriore considerazione da fare: riprendendo le parole di un giurista italiano che molto contribuì alla formulazione degli articoli sull’infanticidio nel codice penale del 1889, «è considerevole il numero degli infanticidi che si compiono nell’ombra e non si conoscono, poiché i mezzi di distruzione di tante creature innocenti sono di una molteplicità e di una industria criminosa inapprezzabile»33. Così come non è possibile stabilire quanti abbandoni corrispondano ad infanticidi non realizzati, nello stesso modo non è possibile misurare la propensione a commettere infanticidio in base ai soli infanticidi denunciati. E questo rende di fatto molto difficile costruire un quadro quantitativo preciso dell’infanticidio, perché «altro è la cifra dei reati effettivamente commessi, ed altro quella dei reati che vengono a cognizione dell’autorità, e possono figurare sugli ordinari registri della criminalità. Questi ultimi non sono che una frazione più o meno forte dei primi; come i reati giudicati e provati non sono, alla lor volta, se non una porzione di quelli denunziati o scoperti»34. Gli esposti restituiti ai propri genitori sono rimasti sotto tutela degli Innocenti in media 5,2 anni. E il quinto anno di vita corrisponde grosso modo all’età alla quale l’infante ha una propria autonomia di movimento ed è in grado di comprendere la realtà che lo circonda e di adattarvisi. 33 Così scrive A. S, Infanticidio e procurato aborto, cit. p. 16. Fra il 1880 e il 1883 in Italia vennero denunciati appena 324 infanticidi, ma solo 120 arrivarono a giudizio in tribunale (ibidem p. 15). Per quanto concerne la Toscana si vedano i dati molto interessanti raccolti in , Segreteria di Gabinetto Appendice, filza 61, Riforma delle materie criminali, inserto n. 19, Tabella generale di tutti i delitti colle sue pene dal 1762 al 1782. Nel periodo in esame si ebbero 86 processi con 134 accusati di infanticidio (ma non è indicato quante erano le donne infanticide e quanti gli altri correi): 43 furono i condannati (31 al carcere, 6 al confino, 4 a pena pecuniaria, 1 alla forca, 1 ai lavori pubblici); per 68 il tribunale decise il non procedersi; per gli altri 23 il processo non era ancora stato concluso. 32 98 E. Münch, L’Antimadonna, 1895-1902, litografia, collezione privata Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini 99 Ecco, quindi, il problema che sta alla base di ogni statistica dell’infanticidio e che ha due aspetti interdipendenti: a) è difficile venire a conoscenza degli infanticidi effettivamente commessi perché solo una parte vengono denunciati, appunto quelli che corrispondono a infanti dei quali si scopre il cadavere35; b) d’altro canto non tutti quelli comunque denunciati corrispondono a delitti realmente accertabili e, di conseguenza, non tutti si risolvono in una condanna definitiva. L’infanticidio è bensì un crimine socialmente aborrito perché ha per oggetto un neonato ma è anche un fenomeno che ha contorni e caratteristiche di per sé difficilmente misurabili proprio perché (meglio: fino a che) non si riesce a comprenderne le motivazioni. Per rifarsi ancora al parere di un studioso acuto di statistica (e di statistiche della criminalità) dell’epoca, Messedaglia, «nella ricerca delle cause, che è punto difficile sempre, si ha a fare per lo più con delle ragioni al sommo complicate e di non facile apprezzamento; si versa di solito in un campo di congetture e d’indizi, spesso puramente indiretti, o anche di molto imperfetti; i dati elementari essi medesimi, dai quali si prendon le mosse, e la cui registrazione sulle tavole della giustizia parrebbe poter raggiungere un grado di precisione quasi assoluta, riescono in realtà deficienti, quando si riscontrino coi fatti che possono ritenersi realmente avvenuti; e non vi è per tale rispetto alcun paragone coll’esattezza di registrazione che può conseguirsi, per esempio, in una Statistica della popolazione»36. Si è detto che gli Spedali per esposti hanno costituito, soprattutto nei Paesi di religione cattolica, una specie di strategia adottata per prevenire o cerCosì A. M, La statistica della criminalità, in Prelezioni al Corso di Statistica, raccolte in Biblioteca dell’Economista, V Serie, Vol. 19, Torino-Roma 1908, p. 97. Dello stesso si veda anche Le statistiche criminali dell’Impero austriaco nel quadriennio 1856-59: con particolare riguardi al lombardo-veneto e col confronto dei dati posteriori fino al 1864 inclusivamente, Venezia, 1866-1867. In questo lavoro, a p. 210, Messedaglia riporta che nel Lombardo Veneto dal 1856 al 1862 sono state denunciate 921 giovani donne per infanticidio, ma solo 34 sono state poi condannate al carcere: tutte le altre sono state assolte per non aver commesso il fatto, oltre che per insufficienza di prove e difetto d’indizi legali certi. 35 L’Ospedale di S. Spirito in Saxia – fondato da Innocenzo III nel 1204, destinato a fornire assistenza ai malati ma che di fatto accoglieva anche i “projetti” (bambini abbandonati) e riorganizzato da Sisto IV nel XV secolo – contiene diversi affreschi che rappresentano infanticidi: la maggior parte dell’iconografia si riferisce a bambini gettati nel Tevere. Il tema dell’infanticidio per affogamento è piuttosto diffuso, forse perché era più facile far scomparire un piccolo cadavere nell’acqua corrente di un fiume piuttosto che in altro modo. Una raffigurazione è riportata nel libro di A. P, Dare l’anima, cit., fig. n. 1, dopo p. 180. Anche nel Palazzo della Ragione, a Padova, è visibile la raffigurazione di un bambino gettato in acqua: si veda , Il Palazzo della Ragione a Padova. Gli affreschi, Roma 1992, Parete Nord, tavola 259. 36 A. M, La statistica della criminalità, cit., p. 97. Tutta la documentazione statistica pubblicata in Italia, per esempio, mette costantemente in evidenza questa difformità. Si vedano, tra gli altri: G. C, Sopra le statistiche penali del Regno d’Italia nell’ano 1869 confrontate con quelle di varii anni precedenti, Firenze 1871. 34 100 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini care di combattere gli infanticidi o quantomeno quella parte di infanticidi presunti (in qualche modo pensati come utili) che si sarebbero risolti in infanticidi realizzati: una strategia messa in atto rendendo disponibili istituzioni destinate ad accogliere parti non desiderati. Ma tale strategia ha avuto anche un altro risvolto, nel senso che non è stata attuata da sola bensì integrata da un’altra “invenzione”, quella che prende il nome dalla sua definizione in latino de tuendo foetu. L’avvio formale si ha in Francia ad opera di un editto di Enrico II del febbraio 1556, ma sembra preceduta da altri interventi che non sono tuttavia di portata generale e riferita a tutto il regno come lo fu l’editto reale37. Secondo l’editto, dunque, ogni fanciulla non sposata che, senza alcun testimone, avesse celato la propria gravidanza ed avesse partorito di nascosto, se il bambino fosse trovato morto e seppellito in terreno non consacrato e senza battesimo, era ritenuta colpevole di infanticidio e punita con la morte. L’editto era in effetti, abbastanza vago: la presunzione di infanticidio era subordinata all’esistenza di una gravidanza, di un parto di bambino nato-vivo che però risultasse morto e sepolto senza battesimo. Era il suo fine che contava, cioè quello di rendere palese che l’infanticidio – comunque da provarsi – prevedeva la pena capitale. Il decreto venne successivamente ripetuto non solo in Francia, (fino al codice penale del 1791, per il quale l’infanticidio provato era punibile con la pena capitale) ma venne ripreso, almeno nelle sue finalità, anche in altri Stati d’Europa38. In Italia se ne sono trovate applicazioni nel Ducato di Modena39, ma interessante è quanto avviene nel Granducato di Toscana. Con la Lettera Circolare con la quale si ordina a’ Giusdicenti che obblighino le Donne Gravide che non hanno Marito a dar Mellevadore della sicurezza del È decisivo il rinvio a M-C. P, Les déclarations de grossesse en France (XVIe-XVIIIe siècles): essai institutionnel, «Revue d’histoire moderne et contemporaine», 22, 1,1975, pp. 61-88. Così recita l’editto: «Toute femme qui se trouvera deuement….convaincue d’avoir celé, couvert et occulté, tant sa grossesse que son enfantement, sans a voir déclaré l’un ou l’autre, et avoir prins de l’un ou de l’autre témoignage suffisant, même de la vie ou mort de son enfant, lors de l’issue de son ventre, et qu’après se trouve l’enfant esté privé tant du saint sacrement de baptême, que sépulture publique et accoutumée, soit telle femme tenue et réputée d’avoir homicidé son enfant, et pour réparation punie de mort et dernier supplice», , p. 76. 38 Come, per esempio, in Prussia da Federico Guglielmo I nel 1723 (ma abolito nel 1756 dal figlio Federico il Grande): cfr. J. K. U, On Kant, Infanticide and Finding Oneself, ecc., cit. Ma era noto anche in Inghilterra: cfr. R. S, Infanticide and Abortion, ecc., cit. 39 L’editto è del 18 settembre 1765. “A prevenire…..gli inconvenienti gravissimi, che l’umana malvagità, o la povertà, o la semplice perniciosa indolenza, o per fine le irregolari pratiche, tenutesi in passato, possono facilmente produrre a pregiudizio della vita dei Bastardini e della buona economia dello Stato… scoprendosi… qualche donna gravida la quale non sia maritata, debbano i Governatori o Giusdicenti darne subito avviso a’ Presidenti de’ rispettivi Ospitali o Luoghi Pii e nel tempo stesso esigere e far dare dalla donna o dai suoi 37 101 parto del dì 25 Luglio 1701 ab inc., come osserva Zanotto40 la giurisprudenza toscana viene ad occuparsi del reato di occultazione della gravidanza. Rilevato che molto frequenti erano gli aborti e gli infanticidi, a causa di «amori impuri ed illeciti», la Lettera Circolare imponeva a tutti i giusdicenti (podestà, vicari di governo, commissari ecc.) di intervenire presso il sindaco di ogni comune del Granducato affinché vigilassero attentamente e denunciassero «tutte quelle Donne, sì fanciulle, che vedove, o maritate, non coabitanti attualmente co’ proprj mariti, le quali saranno… scoperte, o reputate per gravide». I giusdicenti dovevano di seguito convocarle, controllare il reale stato di gravidanza, e rilasciarle solo dopo che avessero fornito «idoneo mallevadore d’avere la dovuta cura del feto, e di custodirlo doppo l’averanno dato alla luce fedelmente» dando «fede autentica dell’esito» al Tribunale. La Circolare, in definitiva, riecheggiava il decreto di Enrico II, tuttavia, almeno stando alla documentazione esistente, o ritrovata, negli archivi (quelli Toscani, ecclesiastici e dello Stato), non sembra aver avuto pratica e diffusa attuazione. Secondo Zanotto questa carenza sarebbe da attribuire alla distruzione dei documenti e alla scarsa applicazione al dettato della circolare da parte dei “giusdicenti” e soprattutto dei sindaci dei comuni, che erano appunto chiamati a vigilare direttamente. Zanotto ha trovato del materiale solamente per la prima metà dell’Ottocento (fra il 1814 e il 1863), peraltro abbastanza scarso, discontinuo nel tempo e solo in alcuni comuni. Per quanto concerne le infanticide, le sue elaborazioni ricostruiscono un quadro dalle connotazioni classiche, si direbbe: nel 90% sono nubili di età compresa fra i 23 e i 25 anni; sono prevalentemente domestiche, braccianti e tessitrici, ma anche contadine. Il restante 10% è costituito da coniugate rimaste sole e da vedove, con un’età media intorno ai 30 anni. Se facciamo qualche elaborazione integrativa se ne trae che le giovani intimate a fornire parenti una idonea sicurtà pe la sicurezza del parto”. La donna gravida doveva essere ricoverata un mese prima del parto previsto. La madre era poi costretta ad allevare il figlio, a differenza di quanto avveniva in Toscana dove il nato era consegnato al più vicino Spedale per trovatelli. Si veda D. M, L. P M, Commenti ad un editto di Francesco III, duca di Modena e Reggio, sul ricovero delle donne gravide non maritate e dei figli illegittimi, in Atti del I Congresso Italiano di Storia Ospitaliera (a cura di V. B), Reggio Emilia 1957, pp. 466-468. Per la verità questo bando sembra ripetere quello toscano del 1701 (qui alla nota seguente). 40 Si veda lo studio di A. Z, Una forma di controllo della natalità illegittima nel Granducato di Toscana: la circolare “de tuendo foetu”, «Bollettino di Demografia Storica», 24-25, 1996, pp.183-202. Sulla circolare si veda anche G. A, Processo per seduzione. Piacere e castigo nella Toscana Leopoldina, Catania, 1988. È opportuno ricordare che a Firenze nel 1370 venne aperto il Conservatorio di Orbatello destinato ad accogliere le cosiddette “gravide occulte”, fanciulle e vedove che volevano partorire lontano da occhi indiscreti. Si veda A. B, Maternità tutelata e maternità segregata: l’assistenza alle partorienti povere a Firenze nell’età Leopoldina, in Istituzioni e società in Toscana in età moderna, vol.2, Roma 1994, pp. 509-537. 102 Sull’infanticidio: alcune riflessioni. Carlo A. Corsini il mallevadore del parto vivono nei comuni di minor dimensione demografica: rapportando, infatti, il numero di “cauzioni” per anno medio alla popolazione media dell’intero periodo i valori più alti, superiori al 2%, si riscontrano nelle comunità inferiori ai diecimila abitanti e valori inferiori all’1% nelle comunità con oltre quindicimila abitanti. Se rapportiamo, infine, le cauzioni per anno medio al numero medio delle famiglie abbiamo ancora valori superiori al 15% nelle comunità con meno di 1000 famiglie ma proporzioni inferiori al 5% nelle comunità con oltre 2500 famiglie. La dimensione demografica delle comunità fornirebbe una chiave di lettura interessante. È nelle comunità demografiche di dimensione più ridotta che il “controllo” sociale sulle gravidanze “illecite” è più consistente, perché la fanciulla (o la coniugata con marito non convivente) si trova a vivere sotto l’occhio di tutti, senza possibilità di mantenere segreta la gravidanza. Ma non è neppure da escludersi che proprio nelle comunità più piccole il “giusdicente” si sentisse più impegnato al rispetto della Circolare41. Di fatto, la circolare de tuendo foetu rimase in Toscana in vigore, anche se applicata con scarsa attenzione, fino al codice italiano del 1889, nel quale non esiste alcun richiamo alla necessità di controllare le gravide correntemente non sposate per evitare il rischio di infanticidio. Purtroppo si ignora il risultato di questo controllo: quante gravide abbiano partorito un nato-vivo e quale sia stato il destino del nato. Secondo la normativa vigente in Toscana, il frutto di queste gravidanze doveva esser consegnato al più vicino Spedale per esposti; tuttavia era anche presumibile che – se non altro per non aumentare il discredito su di sé – la gravida illegittima si allontanasse dal domicilio per partorire altrove e quindi il suo parto non risulta nei registri dello Stato Civile del comune del suo domicilio. 41 103