Dossier sull’opera di AGUSTÍ CHALAUX DE SUBIRÀ: Assaig sobre moneda, mercat i societat e altri scritti inediti Redazione del dossier e traduzioni di Valeria Uva. Correzione in italiano a cura di Silvana A. Sasanelli. SOMMARIO: 1. Profilo dell’opera. 2. Proposta editoriale. 3. Allegato A: traduzione dal catalano delle Notes autobiogràfiques . 4. Allegato B: traduzione dal catalano di alcuni frammenti dell’Assaig sobre moneda, mercat i societat. La traduzioni contenute in questo dossier sono state finanziate dall’Institut Ramon Llull. 1. PROFILO DELL’OPERA L’ Assaig sobre moneda, mercat i societat (da ora in poi, Assaig) fa parte di un vastissimo materiale letterario prodotto, sotto la dettatura di Agustí Chalaux de Subirà (Sant Genís dels Agudells, 1911 – Barcellona, 2006), dal Centro Studi Joan Bardina, che fu fondato a Barcellona dall’autore stesso nel 1984. In parte questo materiale è già stato ordinato, elaborato e redatto, sotto forma di opuscoli, dispense di appunti e alcune pubblicazioni in lingua catalana, dai collaboratori più stretti del Centro Studi, i quali stanno tuttora realizzando il lavoro di riordino e divulgazione dell’opera omnia. Genesi dell’opera La genesi dell’opera di Agustí Chalaux de Subirà è rintracciabile in diverse fasi e vicende della vita dell’autore, che possono essere così schematizzate: 1) l’incontro fortuito di Agustí Chalaux de Subirà con il banchiere Horace Finaly e la successiva frequentazione assidua dello stesso; 2) il ritorno dell’autore a Barcellona nel secondo dopoguerra, dove ebbe modo di incontrare persone con inquietudini affini alle sue, con alcune delle quali diede poi vita al Centro Studi Joan Bardina; 3) il lavoro di scrittura sotto dettatura delle sue teorie e del sistema generale teorizzato dall’autore, ad opera dei suoi collaboratori più stretti. La fase della frequentazione con Horace Finaly – già descritta con abbondanza di dettagli da Agustí Chalaux de Subirà nei suoi Appunti autobiografici (si veda l’allegato A) – fu, a detta di molti che l’hanno conosciuto in vita, la vera origine di tanto fervore e tanta inquietudine che negli anni accompagnarono l’autore nei suoi studi e nelle sue ricerche. La seconda fase indicata, quella dell’incontro a Barcellona con persone con cui l’autore poté instaurare un rapporto affiatato e creativo, fu anche molto determinante, poiché fu allora che Agustí Chalaux de Subirà iniziò a esporre le proprie teorie in pubblico, tenendo conferenze e seminari nell’ambito delle attività culturali e socio-politiche che all’epoca infervoravano la vita culturale negli ambienti catalanisti e antifranchisti a Barcellona. Tra le persone che più condivisero il pensiero esposto da Chalaux de Subirà, e che contribuirono allo sviluppo della sua elaborazione: Lluís M. Xirinacs Damians, ex-sacerdote, exsenatore e filosofo; Oriol Albó Corrons, ex-prete missionario; Joan Parés Grahit, medico omeopata, tuttora impegnato nella divulgazione del pensiero di Agustí Chalaux de Subirà e di Lluís M. Xirinacs Damians; Martí Olivella i Solé, tra le altre cose, autore del libro El poder del diner. La monética, factor de canvi polític, in cui introduce il pensiero e l’opera di Agustí Chalaux de Subirà; Magdalena Grau Figueras, strettissima collaboratrice di Chalaux de Subirà e co-autrice dell’Assaig. Se pur nel corso del quarantennio che va dal ritorno di Chalaux de Subirà a Barcellona, nel 1945, alla fondazione del Centro Studi Joan Bardina, nel 1984, l’autore poté esporre, confrontare e sviluppare le sue teorie, fu solo dalla fondazione del “Bardina” che l’opera letteraria iniziò a prendere corpo. Molti dei seminari e delle conferenze che Chalaux de Subirà aveva tenuto furono riordinati sotto forma di appunti, video-riprese, opuscoli. Il 1984 fu anche l’anno in cui vide la luce la prima edizione dell’Assaig, e da allora in poi il lavoro di dettatura delle teorie di Chalaux de Subirà e di ricerca e sviluppo di corollari e approfondimenti divenne, all’interno del Centro Studi, sempre più intenso e produttivo. La teoria di Chalaux de Subirà L’intuizione da cui parte Agustí Chalaux de Subirà è la possibilità di risolvere molti problemi della società attuale attraverso l’istituzione di uno strumento monetario adatto a misurare l’andamento del mercato in modo razionale e scientifico. Sulla base di questa intuizione, egli arrivò a elaborare una teoria sistemica che descrive un modello nuovo di società, caratterizzata da: - la soppressione dell’attuale moneta anonima e la sua sostituzione con la “fattura-assegno protelematica” come unico strumento monetario; - la definizione di due tipi di società distinte e complementari: quella “utilitaria” e quella “liberale”; - il capitalismo comunitario, in cui il “bene comune” prodotto dalla “società utilitaria-produttiva” e tradotto in “potere d’acquisto”, creato dallo Stato in misura sufficiente per assorbire la produzione del mercato, viene ridistribuito nell’intera “società di consumatori” attraverso diverse forme di reddito minimo, regolate attraverso gli “statuti” teorizzati dallo stesso Chalaux de Subirà; - la progressiva scomparsa del “potere sulle persone” legislativo, esecutivo e giudiziario, sostituito da un modello di “archia essenziale”, regolato da poche leggi fondamentali e nel rispetto dell’assoluta libertà di ogni persona (individuale o collettiva). Chalaux de Subirà presenta e descrive la sua proposta in modo estremamente dettagliato. Su una base di conoscenze di ampio respiro in ambito storico, filosofico, economico e sociologico, egli costruisce la sua teoria e sviluppa una proposta del tutto originale, arrivando a postulare un modello di società radicalmente nuova; fonde idee, strutture e tecnologie attuali e passate, che interagiscono per creare le basi di una società il cui principio fondante è essenzialmente la tutela della libertà di ogni persona. Delle teorie economiche contemporanee da lui conosciute, egli condivise solo quella dell’economista francese Maurice Allais, la cui proposta di nazionalizzazione della creazione monetaria coincide con uno dei punti cardine nel sistema di Chalaux de Subirà: l’invenzione di denaro ad opera dello Stato. Metodo di scrittura, lingua, stile e linguaggio Come già accennato, il metodo di scrittura dell’opera di Chalaux de Subirà è quello antichissimo della dettatura o della stesura di appunti presi dai suoi collaboratori più stretti, in occasione delle conferenze e dei seminari che l’autore teneva pubblicamente per esporre le proprie tesi. Nella mente di Chalaux de Subirà, tuttavia, l’intera teoria era formata con ricchezza di dettagli e con una solida struttura. L’insicurezza di Chalaux de Subirà nell’uso della lingua catalana (aveva studiato in Francia) e l’assenza di volontà di produrre materiale scritto per tutto il quarantennio durante il quale aveva elaborato la teoria, fecero sì che non esistesse una documentazione organica, fino a quando il gruppo del Centro Studi, da lui fondato nel 1984, non si dedicò alla redazione della stessa. L’unica documentazione esistente fino a quel momento, consisteva nelle note sparse che Chalaux de Subirà scriveva, per lo più in lingua francese, per appuntare intuizioni e idee. Il materiale letterario prodotto con questo metodo di scrittura è caratterizzato da uno stile estremamente didascalico. La linearità dello stile di Chalaux de Subirà riflette, peraltro, una struttura di pensiero molto compatta e definita. Traspare, altresì, dalla sua opera, una onestà intellettuale sorprendente e la ferma volontà di ricercare di volta in volta nuove soluzioni ai molteplici problemi messi in luce da tutte le possibili conseguenze della sua teoria. Tale atteggiamento di Chalaux de Subirà pone la sua opera ben distante dal terreno fertile della retorica o da quello rigido dell’erudizione, collocandola invece nei luoghi della più onesta e schietta genuinità e della fede nella ricerca e nella scienza messe al servizio dello sviluppo della società. Inoltre, la formazione scientifica di Chalaux de Subirà (dottore in chimica) influenza molto l’impostazione di tutta l’opera, orientata alla ricerca di soluzioni a problemi sociali attraverso l’uso di un metodo improntato al rigore scientifico. Tale impostazione si riflette nell’uso di un linguaggio tecnicoscientifico, per il quale spesso egli ricorre a neologismi o a termini che, sebbene siano tuttora presenti nelle lingue neolatine, vengono da lui trattati in senso etimologico e, quindi, con un significato più o meno distante da quello corrente. L’ Assaig sobre moneda, mercat i societat Pubblicato dal Centro Studi, nelle tre edizioni degli anni 1984, 1995 e 2000. In questo saggio, di circa 250 pagine, scritto da Agustí Chalaux de Subirà con la collaborazione di Magdalena Grau Figueras, viene descritta l’intera teoria di Chalaux de Subirà in modo esaustivo. Dell’Assaig si propongono, in questo dossier, alcuni capitoli tradotti in lingua italiana (si veda l’allegato B) dall’originale in catalano. Sintesi dell’Assaig: Il saggio è strutturato in 4 parti. Nella prima parte (capitoli 1-5), gli autori si soffermano sulla definizione del metodo scientifico utilizzato, sulla descrizione dei sistemi monetari (loro funzione e loro evoluzione nella storia) e sulle caratteristiche che dovrebbe avere un sistema monetario scientifico. Nella seconda parte (capitoli 6-9), descrivono le condizioni necessarie e le possibilità reali per l’attuazione di una riforma monetaria, trattando in modo dettagliato le strutture giudiziarie, fiscali, contabili e commerciali che dovrebbero supportare tale riforma. Nella terza parte (capitoli 10-19), descrivono il nuovo ordine sociale auspicato, ispirato a un’etica libertaria e caratterizzato da: una dialettica tra comando (archia) e mancanza di comando (anarchia); l’accesso generalizzato all’informazione sul mercato; una distribuzione equa e solidale del “bene comune” tra tutti i membri della società; una definizione dei diversi ambiti all’interno della società, la quale risulta divisa in società utilitaria-produttiva (relativa alla produzione di beni e servizi materiali, e funzionante secondo le logiche dell’iniziativa privata e del libero mercato), società liberale (relativa alle attività di pubblico interesse svolte da persone che non vogliano trarne profitti personali, e operante secondo logiche di socializzazione dei servizi comunitari), società utilitaria-consumatrice (composta da tutti i membri della società, i quali hanno diritto a essere consumatori per il solo fatto di essere nati), società trascendente (relativa alla vita interiore di ogni persona, che deve essere necessariamente svincolata da qualsiasi tipo di condizionamento). Nella quarta parte (capitoli 20-23), gli autori sviluppano un’ipotesi di formalizzazione del mercato, in termini scientifici e matematici, sulla base del sistema proposto. Il saggio si chiude con un breve glossario di termini utilizzati nel libro, per la migliore comprensione delle accezioni ristrette o poco convenzionali. 2. PROPOSTA EDITORIALE La proposta editoriale qui presentata consiste nella pubblicazione in lingua italiana delle opere di Chalaux de Subirà che sono già state riordinate e trascritte in lingua catalana. Oltre all’ Assaig, che per la sua struttura ordinata e lo stile altamente didascalico si presta ottimamente a fungere da introduzione al pensiero e alla persona di Chalaux de Subirà, sono stati già riordinati e trascritti dal Centro Studi i seguenti testi: - Notes autobiogràfiques: Breve autobiografia di Agustí Chalaux de Subirà. Redatto in modo chiaro e con toni vivaci, l’opuscolo contiene preziose informazioni sulla vita dell’autore, la genesi dell’opera e il contesto storico e culturale in cui essa si inserisce. Se ne propone, in questo dossier, la traduzione integrale in lingua italiana (si veda l’allegato A). - Disseny de Civisme. Model econòmic, politic i social gobal elaborat per l’equip del Centre d’Estudis Joan Bardina: Voluminosa raccolta di appunti elaborata dal Centro Studi Joan Bardina tra il 1986 e il 1989. Pubblicata nelle tre edizioni del 1986, 1997 e 2011, contiene varie definizioni di concetti e approfondimenti di temi relativi alla teoria di Chalaux de Subirà. Per la voluminosità dell’opera e il livello di analisi, questa raccolta si presta bene a una lettura approfondita successiva all’Assaig. - Moneda telemàtica i estratègia de mercat: Opera pubblicata dal Centro Studi nelle quattro edizioni degli anni 1984, 1995, 1997 e 2010. In questa breve opera scritta da Agustí Chalaux de Subirà con la collaborazione di Magdalena Grau Figueras, viene approfondito l’aspetto più tecnico della teoria di Chalaux de Subirà circa lo strumento monetario della “fattura-assegno protelematica” da lui proposto, e le possibilità che questo offre di migliorare la gestione e il controllo del mercato. Per il grado di tecnicismo dell’opera, anche questa, come il Disseny de Civisme, si presta meglio a una lettura approfondita successiva all’Assaig. - Ideals ètics, instruments tècnics i objectius polítics: Breve trattazione filosofica scritta da Agustí Chalaux de Subirà, con la collaborazione di Magdalena Grau Figueras, Oriol Albó Corrons, Martí Olivella i Solé, Brauli Tamarit Tamarit e Laura Fuster i Dalmases. L’opuscolo espone le basi filosofiche che animano e sostengono la teoria di Chalaux de Subirà. Per il grado di astrazione filosofica, che rende l’opera estremamente teorica se non la si applica a una proposta concreta, anch’essa si presta meglio a una lettura successiva all’Assaig. - Decrets Llei per una constitució del segle XXI: Raccolta di proposte di legge abbozzate da Agustí Chalaux de Subirà. Gli appunti contenenti i decreti-legge sono stati recentemente riordinati e trascritti dal Centro Studi, che ne ha ricavato una prima edizione nel 2010. - Petita història de la moneda (A.C. de Subirà, B. Tamarit), Què és el diner? (A.C. de Subirà), Una eina per a construir la pau (A.C. de Subirà), Introducció al Sistema General (A.C. de Subirà, M. Grau), Sistema General: Economia i Societat en 60 punts (A.C. de Subirà, L.M. Xirinacs): Opuscoli più o meno brevi pubblicati nella raccolta di saggi miscellanea Suggeriments de nous camins socials, econòmics i polítics, edita nel 2011 dal Centro Studi “Joan Bardina”. 3. ALLEGATO A Appunti autobiografici. Agustí Chalaux de Subirà (Sant Genís dels Agudells 1911 – Barcellona 2006). Sono nato a Sant Genís dels Agudells, un paesino di 15 abitanti, vicino Barcellona, il 19 luglio del 1911. Mio padre era un industriale francese che aveva una fabbrica di tinture di lana in Via degli Almogàvers, a Barcellona. Mia madre apparteneva alla famiglia dei Subirà, di tradizione carlista catalana. All’età di quattro anni, mi portarono alla scuola Montessoriana, una delle prime che furono aperte in Europa. I miei amici erano gli operai della fabbrica. Poiché vivevamo lì sopra, giocavo spesso con loro. Da piccolo iniziai a sentir parlare di Joan Bardina, un conoscente di mio padre, che egli aiutava a far fronte ai debiti spesso generati dalle sue sperimentazioni pedagogiche, come quello della “Scuola per Maestri”. Personalmente, però, non ho mai conosciuto Joan Bardina. All’età di nove anni, i miei genitori mi mandarono a studiare in Francia. Restai a Tolone fino al diploma di maturità. A 14 anni conobbi il banchiere Horace Finaly. Mentre stavo passeggiando, vidi l’annuncio di una conferenza su «Il ruolo dei banchieri nella società». Entrai. La sala era piena di signori con grandi barbe. Finaly, finita la conferenza, esortò l’intervento del pubblico. Chiesi la parola e, poiché quasi non mi si vedeva, mi fecero salire su una sedia. Finaly disse che si sarebbe occupato di me personalmente alla fine della riunione. Questo fatto fortuito fu l’inizio di un’amicizia che durò circa 14 anni. Periodicamente mi incontravo con Finaly e lui mi raccontava esperienze, aneddoti, conoscenze, informazioni… sulla sua vita e sulla sua professione: lo sconosciuto mondo interno dei banchieri. Mi diceva: «Non mi preoccupo affatto di quando tu comprenderai e saprai che cosa fare con tutto ciò che io ti dico; “serai chauve” (starò facendo i vermi) ormai da molto tempo…» Tre anni dopo quell’incontro, in uno dei colloqui periodici, accadde un fatto decisivo. L’appuntamento era alle otto e mezzo di sera nell’ufficio di Finaly. Quando arrivai, un gentile collaboratore mi comunicò che il signor Finaly era molto dispiaciuto di non potermi ricevere immediatamente; aveva una riunione importante. Mi pregava di aspettarlo in biblioteca. In un primo momento, mi intrattenni sfogliando dei libri; poi, mi sedetti alla sua scrivania e involontariamente mi accorsi che c’erano dei cassetti aperti. Gli scrupoli di coscienza non mi impedirono di commettere l’ardire di rovistare nei cassetti. Era tutto molto ordinato in cartelline intitolate, alcune più interessanti di altre. La mia astuzia adolescenziale prendeva precauzioni per mantenere l’ordine delle cartelline. In fondo al cassetto, al di sotto di tutto, trovai una cartellina confidenziale. Ne lessi il contenuto senza capirci gran cosa. Era abbastanza nuovo per me. Si trattava del verbale di una riunione importante tenutasi a Parigi nell’anno 1919. Ricordo che i partecipanti esclusivi alla riunione erano J.P. Morgan, Henry Deterding e Finaly, come anfitrione. Alla riunione partecipavano solo loro, ma di tanto in tanto chiamavano vari esperti, i cui nomi non ricordo, per chiedergli chiarimenti. Quello che più mi colpì fu un riassunto che concludeva il verbale. Il riassunto conteneva due punti: Primo. Secondo gli esperti, ma anche secondo l’opinione generale dei grandi economisti anteriori e contemporanei alla guerra del 1914, le riserve d’oro permettevano di coprire le spese belliche per soli tre mesi. Per superare questa difficoltà, i banchieri internazionali avevano suggerito ai governi l’abbandono della convertibilità in oro delle rispettive cartemonete, almeno all’interno di ogni Stato. Secondo. Se la cartamoneta, svincolata dall’oro, che era stata difesa e concretizzata durante la guerra, una volta finita la guerra fosse stata razionalizzata, i banchieri internazionali e i responsabili delle classi potenti – secondo gli esperti – avrebbero potuto guadagnare più denaro di quanto ne avrebbero guadagnato se fosse stata mantenuta la moneta disinformativa e anonima, vigente allora e tuttora. Conclusione. La decisione dei partecipanti alla riunione fu che non gli interessava razionalizzare le cartemonete scritturali irrazionali vigenti, perché, prima di tutto, di denaro ne avevano già abbastanza e, in secondo luogo, la cartamoneta irrazionale consentiva loro il gioco (sporco) della plutarchia mondiale. Mentre ero immerso nella lettura appassionata di questo verbale, ricevetti uno schiaffone che mi scaraventò a terra. Per un po’ non capii cosa stesse accadendo. Poi Finaly, cambiando atteggiamento, mi aiutò molto gentilmente ad alzarmi chiedendomi scusa. Mi fece notare la mia indiscrezione, di fronte alla fiducia ch’egli mi aveva dato lasciandomi da solo nella sua biblioteca con i cassetti aperti. Mi disse che neanche un domestico avrebbe osato fare quello che io avevo fatto. (Ne dubito, ma probabilmente aveva più spie lui a casa degli altri, che viceversa). Dopo l’incidente, cenammo. Nessuno seppe niente della sfuriata di Finaly. Durante la cena mi chiese cosa avessi capito del verbale. Gli dissi che non avevo capito praticamente niente. - La parola che più mi ha colpito è “plutarchia”. - Poco a poco – disse – te lo spiegherò. Quel giorno non mi spiegò nulla. In seguito, avrebbe ceduto alla tentazione di dilungarsi con me su tutti questi argomenti così appassionanti. Si dilettò svelando il suo pensiero più recondito a un adolescente assetato di conoscenza che, in una velata intuizione, aveva indovinato l’importanza di alcuni saperi mantenuti occulti da questa casta superiore di grandi banchieri. Il pensiero di Finaly mi aprì la mente come una scure. Insieme alle confidenze bancarie, Finaly mi trasmise elementi della tradizione orale di Platone. Era un uomo di grande cultura e molto influente. Di discendenza ebraica, era nato a Budapest nel 1871 e morì a New York nel 1945. Succedette a suo padre Hugo (1844-1914) nella Banca di Parigi e dei Paesi Bassi, che egli convertì in una delle prime banche d’affari della Francia. J.P. Morgan – junior –, uno di quelli che partecipavano con Finaly alla riunione confidenziale, era nato a Irvington, New York, nel 1867 e morì a Boca Grande, Florida, nel 1943. Aveva ereditato nel 1913 la direzione dell’azienda di suo padre, la J.P. Morgan & Co. Durante la guerra del 1914 contribuì ampiamente a sostenere lo sforzo finanziario degli alleati. La Banca Morgan fornì un aiuto prezioso al governo francese durante la crisi finanziaria del 1926. Sir Henry Deterding, il terzo partecipante, era un importante industriale olandese. Dal 1901 fu direttore generale dell’olandese Royal Dutch Petroleum Company, che si fuse nel 1907 con la londinese The Shell Transport and Trading Company Ltd per formare la famosa Royal Dutch/Shell in concorrenza con la Standard Oil Company del New Jersey, Stati Uniti. Deterding, nato ad Amsterdam nel 1866, morì a St. Moritz nel 1939. Entusiasmato da tutte queste scoperte, iniziai a studiare Scienze Economiche a Parigi. Finaly si burlava parecchio dei problemi che mi causavano gli studi, perché riteneva molto poco scientifiche le conoscenze economiche impartite all’università. Su consiglio di Finaly, ed esaudendo il desiderio di mio padre, mi iscrissi alla Scuola di Chimica di Mulhouse. In questa scuola mi spogliarono di tutta la retorica e del modo di pensare idealista che avevo. Mi dissero che i fenomeni si studiano con un metodo preciso, indipendentemente dalle convinzioni etiche, dagli ideali trascendenti, dalle ideologie e dalle passioni che si possano avere; che un fenomeno è un fenomeno, una cosa oggettiva che può essere studiata e documentata; che quando ci si concentra sullo studio di un fenomeno, non bisogna fare altro che questo; che la logica serve per studiare i fenomeni e per nient’altro; che la logica è una disciplina, vi si entra e se ne esce quando si vuole (non come la religione); che quando si esce dalla logica si fa ciò che si vuole, per la vita quotidiana non serve a niente. Queste istruzioni fondamentali mi sono state utilissime. La scoperta del metodo scientifico, preciso e rigoroso, applicato ai fenomeni fisici e chimici, mi permise di iniziare a impostare lo studio dei fenomeni sociali ed economici con simili precisione e rigore. L’intento di applicare questo metodo ai fenomeni politici mi ha causato numerosi conflitti. Ogni volta che andavo in un partito politico e chiedevo: “Che volete fare?”. Mi rispondevano: “Vogliamo la Giustizia, la Libertà, l’Uguaglianza… difendere questo e quello…”. Io dicevo: “Quali fenomeni volete studiare, quali soluzioni concrete proponete?”. Non ho trovato altre risposte che retorica e retorica… Il risultato è che ho più di 80 anni e ho trascorso la vita da solitario, cercando, con lo studio dei fenomeni umani, proposte da sperimentare. Quando di tanto in tanto venivo a Barcellona, mi riunivo con gli operai della fabbrica e con quelli del sindacato tessile del Clot. Conobbi Ferriol e tutta una cricca di gente molto intelligente. Ritrovavo l’ambiente libertario di cui da piccolo mi ero nutrito nella fabbrica. Mi colpiva il contrasto tra i forti ideali di quel momento e la manipolazione degli idealismi da parte di un gruppetto di realisti che ne approfittavano. Un operaio, che chiamavano il “Gesù Cristo della Rambla”, mi disse: «Devi cercare il modo per trasformare gli ideali in realtà, perché vivere di ideali è molto bello ma non porta a niente; devi cercare il modo per liberarci totalmente.» Un giorno, a Palestra, dopo una riunione, io e Llopis il cattivo ci dichiarammo ribelli contro Batista i Roca perché trovavamo che Palestra volesse imitare troppo le gioventù cecoslovacche, che a quei tempi andavano di moda. Allora creammo una piccola associazione che si chiamava Via Fora. Il movimento catalanista del momento (Lliga Regionalista, Acció Catalana…) era borghese e nessuno si occupava del popolo catalano. Questo popolo non sapeva come dare forma alle aspirazioni libertarie di cui era carico. Disponevo delle intuizioni di Finaly e del metodo scientifico di Mulhouse. Gli avvenimenti del 1936 mi mostrarono crudamente che l’aspirazione libertaria non era sufficiente per fare la rivoluzione. La prima cosa che appresi fu che lo sciopero generale falliva quando la gente doveva uscire di casa per andare a fare la spesa. Bisognava preparare lo sciopero generale avendo in casa provviste di cibo sufficienti per un mese. La seconda, che non ci si deve lanciare nella rivoluzione senza predisporre gli strumenti necessari per portarla a termine e senza avere il denaro necessario per farla. Due conversazioni, che ebbi durante i primi mesi della guerra, mi mostrarono la necessità di una rivoluzione ben organizzata. La scintilla mi si accese un giorno di settembre del 1936, in cui Abad de Santillán enunciò, riferendosi alla moneta e alla banca, esattamente la stessa conclusione cui io ero arrivato nelle mie lunghe conversazioni con il banchiere Finaly: «Abbiamo già perso la guerra e la rivoluzione perché non abbiamo saputo, sin dall’inizio, dominare la moneta e la banca come strumenti al servizio del popolo; abbiamo ritenuto, come degli adolescenti, che le armi e la violenza fossero tutto.» Questa dichiarazione di Abad de Santillán corroborava le parole dell’altro dirigente della CNT, Mariano Vázquez: «Per venti anni ci siamo preparati per avere “la Luna nel pozzo”, adesso che ce l’abbiamo, non sappiamo che farcene; abbiamo studiato e praticato tutte le strade della rivoluzione, ma non abbiamo previsto cosa fare del potere indisturbato che ci ha dato la rivoluzione.» Dopo quella conversazione con Abad de Santillán decisi che avrei studiato a fondo il problema, usando la tecnica realista che mi avevano insegnato alla Scuola di Chimica: ogni fenomeno poteva essere dominato tramite un’analisi riduttiva e un’espressività matematica, se gli si dedicava il prezzo dell’impegno corrispondente. Io ero disposto a pagare quel prezzo con tutta la mia vita, e con quella delle persone che sentissero nascere in sé la stessa vocazione di bene comune a totale servizio dell’uomo. In quegli anni iniziai a scrivere sugli studi e sulle ricerche che realizzavo. La maggior parte del materiale fu persa in due occasioni. Nel 1939, il direttore della fabbrica bruciò tutte le mie carte, per evitare problematiche perquisizioni. Poi in Francia, quando avevo già del materiale nuovo, dovetti lasciare circa 20 bauli pieni di carte a casa di un amico, di cui non ho saputo mai più niente. Durante la guerra spagnola potetti essere un osservatore critico e attivo grazie alla mia nazionalità francese. Collaboravo con i sindacalisti e dirigevo la fabbrica, che non fu mai collettivizzata e lavorava a pieno ritmo. All’inizio del 1939, con la imminente occupazione di Barcellona, preferii andare a Parigi e aspettare il corso degli eventi. L’inizio della seconda guerra mondiale mi colse, dunque, a Parigi. Fui fermato nella Scuola per ufficiali di artiglieria. Ma subito, in seguito all’occupazione tedesca, il Governo di Petain mi smobilitò e ripresi di nuovo i miei studi e le mie riflessioni. Un amico di famiglia mi invitò ad andare a scrivere il mio libro a casa sua. Vi restai nove mesi. Non facevo altro che pensare e ripensare al problema. Alla fine di questo periodo, un’insolenza mi fece fuggire via. Era un piccolo paese e un vicino mi diede del parassita. Nonostante la bontà dell’amico, che insisteva affinché restassi, dovetti di nuovo trovare il modo di guadagnarmi da vivere, dalle 5 di mattina alle 8 di sera, sabato compreso, come proletario cosciente e organizzato, sotterrando gli studi iniziati. Presto, grazie a un annuncio del giornale, mi assunse un tizio benestante che cercava un segretario. Avevo di nuovo uno studio, carta e di che vivere… senza dover fare gran cosa. Approfittai dell’occasione per studiare a fondo il problema lasciato in sospeso. Tornando in Catalogna, nell’anno 1945, persi tutti i libri e tutte le carte. Avendo mente e memoria funzionanti, mi sentii libero di non essere fedele ai miei testi, forse incorretti, nonostante li amassi per tutto il lavoro che gli avevo dedicato. Durante questi anni fui lettore assiduo della «Semana Internacional», pubblicata da Joan Bardina dal Cile. Questa lettura mi ispirava tante idee originali, molte delle quali ancora condivido. Fino al 1956 avevo creduto nella violenza rivoluzionaria. A partire da questa data, con l’occupazione dell’Ungheria e analizzando i tanti fallimenti storici, scoprii l’impraticabilità della violenza. Con la violenza lo Stato è praticamente indistruttibile perché ha tutti i mezzi per mantenersi (esercito, polizia, denaro, armi…). La mia scelta è per la non-violenza intelligente e attiva. Cioè, la non-violenza deve fare un appello alla coscienza, all’azione e all’intelligenza dell’avversario; non si deve limitare a fare un appello solamente alla coscienza, perché di solito è molto difficile risvegliarla. Nell’attuale sistema è ancora possibile fare politica, ma bisogna essere intelligenti. Generalmente, chi è dentro il sistema non è capace di immaginarne uno nuovo, né è capace di fare politica all’interno del sistema. Io sono un ladro di idee. Di idee mie ne ho poche, perché ritengo che il mondo sia talmente vecchio che non valga la pena rompersi la testa cercando idee radicalmente nuove. A Barcellona lasciai il lavoro di chimico verso l’anno 1968. Fu il famoso anno in cui tutto ferveva, la gente voleva cambiamenti, la situazione del Paese era paralizzata e giungevano ventate di freschezza dal nostro Paese limitrofo, la Francia. Alcuni sacerdoti (preti secolari, monaci, parroci, canonici…), molto preoccupati per l’atmosfera politica e sociale che si respirava, seppero approfittare dei vantaggi di una piattaforma così intoccabile com’era la Chiesa, per mettere su dei piccoli corpuscoli chiamati Comunità Cristiane di Base. Ognuna di queste comunità faceva ciò che poteva, alcune più orientate verso il sociale, altre più politicizzate e altre preoccupate per la questione puramente religiosa. Ogni comunità aveva un coordinatore, che allo stesso tempo era portavoce di quella che potremmo chiamare “la cupola”, la quale si suddivise in: Solidaritat (Solidarietà), La misa per a tots (La messa per tutti), La Universitat del Carrer (L’Università della Strada) e altre più polarizzate. Nell’Universitat del Carrer, la cui organizzazione fu poi ufficializzata come l’Istituto di Cultura Popolare, perché non fu accettato il termine “Università”, un folto gruppo di relatori e oratori, con o senza titolo accademico, mettevano a disposizione dei presenti le conoscenze che avevano acquisito o creato, su tematiche molto diverse, che, a quei tempi del franchismo, era difficile trovare in altri luoghi. Io la frequentavo molto e qualche volta intervenni come oratore. Per alcuni anni queste riunioni e conversazioni furono accolte nella sala Claret, che fu un buon riparo visto che non si potevano fare riunioni di più di tre persone senza permesso dell’autorità e, chiaramente, mai nessuno chiese alcun permesso. Quando arrivò la democrazia e si aprirono altri forum, come gli atenei popolari e associazioni di diverse tendenze, si ritenne che quella fosse un’epoca conclusa e le persone più emblematiche, soprattutto Oriol Albó, Canonico del Camerun che in quel momento risiedeva a Barcellona, e Lluís M. Xirinacs, ex-senatore per Barcellona, diedero tutto il loro supporto al mio progetto, cui si aggregarono successivamente. Per portare avanti il progetto, creammo il Centro Studi Joan Bar- dina, un’associazione senza fini di lucro fondata il 25 ottobre del 1984 dai seguenti soci fondatori: Agustí Chalaux de Subirà, Xavier Espar Ticó, Magda Grau i Figueras, Lluís Maria Xirinacs, Laura Fusté i Dalmases, Joan Parés i Grahit, Martí Olivella i Solé, Catherine Sallarés Gegu, Miquel Chicano Colodrero, Enric Suarez Gonzalez, Manuel García Sanz, Joan Verdura Pons e Jordi Via Llop. Il nome del Centro è dedicato al pedagogo e maestro di maestri Joan Bardina i Castarà (Sant Boi de Llobregat, Spagna 1877 - Valparaiso, Cile 1950), che oltre a rivoluzionare la pedagogia catalana degli inizi del secolo XX, fu ricercatore e suggeritore di nuove vie sociali, economiche e politiche. A questo progetto si unirono i miei amici, altri collaboratori e varie persone interessate allo studio e all’approfondimento delle mie teorie. Molti dei lavori che furono intrapresi vennero sovvenzionati dal mecenatismo di alcuni amici, miei e di altri. Il centro di lavoro si stabilì in via Almogàvers 43, nell’antica fabbrica della mia famiglia, che venne poi espropriata a vantaggio del Parco della stazione del Nord. Nei tre anni precedenti alla fondazione del Centro (1981-1984), la scuola AHIMSA (via Mistral), diretta da Lluís M. Xirinacs, mi invitò a tenere delle lezioni settimanalmente, il primo anno sulla moneta telematica, il secondo su preistoria e storia dell’economia e il terzo su una possibile Costituzione (Decreti -legge) innovatrice. A quei tempi frequentavo un gruppo di giovani presso la “Ajuda” dei cappuccini di via Sant Pere més Baix. Lì conobbi Magda Grau, grande studiosa dei miei progetti, che per questa ragione frequentò il corso di laurea in economia e scrisse il libro Assaig sobre moneda, mercat i societat (Saggio su moneta, mercato e società), pubblicato dal nostro centro. Nell’anno 1979, quando frequentavo il Club di amici dell’Unesco, conobbi Joan Parés Grahit, che divenne subito amico e segretario, collaborando alla realizzazione dei corsi che si tenevano ad Ahimsa. Poi fu uno dei fondatori del Centro Bardina, nonché mio medico omeopata. In due anni Lluís M. Xirinacs scrisse Una tercera via economica (Una terza via economica), dando ai suoi scritti assetto di libro, basandosi sui miei manoscritti riordinati da Magdalena Grau e sovvenzionato da Xavier Espar. Non è ancora stato pubblicato. Tuttavia, su di esso si basano il vasto lavoro inedito Disseny de Civisme (Progetto di civismo) e il libro pubblicato El poder del diner (Il potere del denaro) di Martí Olivella i Solé, il quale partecipò attivamente al Centro Studi Joan Bardina (1983-1991), sul mio pensiero. Lluís M. Xirinacs basò gli aspetti economici delle sua tesi di dottorato Un model global de la realitat (Un modello globale della realtà), sulle formule economiche di natura e pretesa scientifica delle quali io mi sentivo orgoglioso. L’obiettivo dell’associazione è di sviluppare studi e proposte che siano di ausilio alla progettazione di modelli di solidarietà e convivenza umana. Le ricerche in corso, impostate da me molti anni fa, ruotano attorno ai seguenti punti: Applicazione dell’“empirismo fenomenologico sperimentale” ai fenomeni sociali, economici e politici, che possono essere analizzati logicamente e sperimentati tecnicamente, al fine di individuare strutture favorevoli alle libertà concrete. Elaborazione di una terminologia univoca - imprescindibile per ogni trattazione “scientifica” dei fenomeni - basata sullo studio del significato originario delle parole e delle loro derivazioni (semio-etimo-linguistica). Studio interdisciplinare delle diverse fasi della storia naturale, soprattutto di quella umana, come contesto per comprendere gli attuali conflitti sociali e mercantili. Studi sul tema utilitario, determinante nella storia: economia, invenzione, impresa, capitale, mercato, lavoro, moneta, ecologia… Studi e proposte sulla razionalizzazione della moneta, per convertirla in uno strumento responsabilizzante, onninformativo e, pertanto, intracontabile, del mercato e della società (“fattura-assegno telematica”). Studio delle possibili conseguenze sociali prodotte dalla riforma monetaria telematica: archivio telematico dei dati personali sotto la protezione di una Giustizia indipendente dallo Sta- to, semplificazione fiscale, onnicontabilità, mercometria esatta, scienza economica sperimentale... Oltre alla elaborazione di proposte su: “Libero mercato chiaro e società trasparente”. Ossia, evitare che il “denaro mercantile” si trasformi in “denaro di corruzione e di potere” e impedire la mercantilizzazione delle vocazioni e delle istituzioni liberali. “Dialettica tra archia e anarchia”. Cioè, precisare le funzioni degli organi di comando sociale a tutti i livelli, per impedirne la trasformazione in esercizio del potere contro le persone individuali, sociali e nazionali. “Dialettica tra il bene privato e il bene comune”. Vale a dire, formulazione dell'ipotesi del “bene comune mercantile” tecnicamente esperimentabile attraverso la “fattura-assegno telematica”. Studio di strategie per sviluppare le proposte formulate. 4. ALLEGATO B Frammenti dell’Assaig sobre moneda, mercat i societat: Capitolo 1: I SISTEMI MONETARI Capitolo 10: LA SOCIETÀ TOTALE E LA SUA COMPOSIZIONE Capitolo 14: RIPARTIZIONE DELLA RICCHEZZA COMUNITARIA Capitolo 19: LA SOCIETÀ TRASCENDENTE Capitolo 22: FORMULAZIONE DELL’IPOTESI Capitolo 1 I SISTEMI MONETARI Che cosa sono e a cosa servono i sistemi monetari? Per rispondere a queste domande, prescinderemo da tutto ciò che ci spiegano gli “economisti” e passeremo direttamente a esporre la nostra propria concezione della realtà monetaria. In questo saggio non descriveremo il funzionamento dei sistemi monetari vigenti attualmente, bensì spiegheremo come funzionarono i sistemi monetari primordiali e come dovrebbero funzionare quelli attuali: proporremo, dunque, una normativa monetaria. Per trattare l’argomento con la massima chiarezza, faremo una distinzione tra quattro livelli di realtà monetaria: 1° livello: le merci concrete; 2° livello: le unità monetarie astratte; 3° livello: i valori mercantili misti (concreti-astratti); 4° livello: gli strumenti monetari. 1. Primo livello: le merci concrete Tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo, hanno bisogno di consumare una serie di beni (e, nel caso dell’uomo, anche di servizi) per proseguire e realizzare al meglio la propria esistenza. Chiamiamo beni utilitari quelli utili a soddisfare i bisogni di consumo degli esseri viventi. Allo stesso modo, intendiamo per utilitarismo il sistema di produzione e distribuzione di beni utilitari, esistente in una comunità (vegetale, animale o umana) determinata. Nella specie umana si è sviluppata, nel corso di millenni di evoluzione, una forma di utilitarismo che oggi è dominante in tutte le società moderne: si tratta dell’utilitarismo mercantile-monetario (in forma abbreviata, utilitarismo mercantile). Questo regime utilitario è caratterizzato fondamentalmente dal fatto che i beni prodotti non sono consumati solo dai rispettivi produttori, bensì sono scambiati in un mercato e per mezzo di convenzioni regolatrici che costituiscono un sistema monetario. I beni utilitari scambiati in un mercato vengono chiamati generalmente merci, e sono di due tipi: merci prodotte (che possono essere oggetti inerti, esseri servili o servizi utilitari) e merci produttive (che sono le forze che permettono la produzione delle prime). Bisogna sottolineare, dunque, che non ha alcun senso parlare di sistema monetario se non in un contesto di scambio di merci concrete realmente esistenti. 2. Secondo livello: le unità monetarie astratte Originariamente il mercato – cioè, lo scambio di merci – si svolgeva senza necessità di un sistema monetario. Ogni scambio elementare di una merce concreta A con una merce concreta B – denominato baratto – era realizzato senza la mediazione di convenzioni monetarie previe. L’unico fattore da tenere in considerazione erano i bisogni particolari dei due agenti dello scambio: se questi bisogni erano soddisfatti mediante un determinato baratto, questo era concordato. La percezione di questa soddisfazione, però, era di ordine qualitativo, poiché non si faceva nessun riferimento ad uno standard quantitativo di valore, che permettesse di calcolare l’equivalenza esatta tra i valori di due qualsiasi merci. Ma quando l’utilitarismo mercantile di una società cresce, si sviluppa e diventa complesso, allora si manifesta la necessità di un sistema di misurazione del valore quantitativo di scambio delle merci, che permetta di realizzare scambi quantitativamente equivalenti. Così nasce l’unità monetaria. Nello stesso modo in cui per misurare distanze concrete utilizziamo il metro, che è un’unità di misura della lunghezza convenzionale ed astratta, per misurare il valore di scambio delle merci concrete, utilizziamo unità monetarie, che non sono altro che convenzioni sociali totalmente astratte ed universali. Sono astratte perché sono convenzioni puramente formali, prive di contenuto concreto; sono universali perché costituiscono un comune denominatore contabile-astratto di tutte le concrete ed eterogenee merci esistenti nel mercato complessivo considerato: le versano, cioè, in un unico sistema di intercomparazione, intermisura e internumerazione. Ogni merce concreta contiene quindi, per convenzione, un certo numero di unità monetarie astratte: grazie a questa omogeneizzazione monetaria delle merci concrete, di natura eterogenea, si possono facilmente calcolare equivalenze numericamente esatte tra diverse merci concrete di ogni tipo. Si badi, però, che l’introduzione di una unità monetaria in un mercato non fa scomparire il baratto, cioè lo scambio concreto di due merci concrete; semplicemente, lo agevola e lo perfeziona numericamente. 3. Terzo livello: i valori mercantili misti La conseguenza immediata dell’introduzione di una unità monetaria è la fissazione di valori mercantili. Ciò vuol dire, semplicemente, che a ogni merce concreta è assegnato un valore mercantile, cioè un numero determinato di unità monetarie che essa contiene. L’assegnazione, ad ogni concreta merce prodotta, di un valore mercantile determinato in unità monetarie, dà un prezzo di vendita. L’assegnazione, ad ogni concreta merce produttiva, di un valore mercantile determinato in unità monetarie, dà un salario. Prezzi e salari sono realtà miste, concrete-astratte, poiché sono il risultato della comparazione tra merci concrete (primo livello) e unità monetarie astratte (secondo livello). 4. Quarto livello: gli strumenti monetari Alcune società protostoriche, che godevano di un mercato molto dinamico, giunsero, a un certo punto, ad una situazione in cui i valori mercantili (prezzi e salari), fino ad allora determinati quasi esclusivamente dalla tradizione, quindi molto stabili – come succede nelle società poco dinamiche dal punto di vista mercantile –, venivano stabiliti per libera convenzione tra le due parti contraenti di ogni libero scambio elementare. In questo modo, prezzi e salari fluttuavano e cambiavano liberamente e continuamente, non solo in funzione del desiderio che ogni parte aveva di possedere la merce che l’altra offriva, ma anche in funzione delle circostanze ambientali (guerra o pace; scarsità o abbondanza; difficoltà o facilità di trasporto, d’immagazzinamento…). In quel momento, la realtà mercantile divenne così ricca e complessa che fu necessaria l’invenzione di nuove modalità di scambio, che permettessero transazioni più rapide e comode: sorsero così nelle società più avanzate gli strumenti monetari. Gli strumenti monetari non vanno confusi né con le unità monetarie, né con i valori mercantili; ma presuppongono l’esistenza di entrambi. In una società in cui sono definite una o più unità monetarie, mentre prezzi e salari vengono stabiliti liberamente, uno strumento monetario consiste, semplicemente, nell’elaborazione di un documento contabile, intracompensabile in un sistema di contabilità. Spieghiamo meglio: lo strumento monetario (che potremmo chiamare anche documento monetario, o segno monetario…) è un documento che registra una libera transazione mercantile, un libero scambio elementare. Ma le radici profonde del suo interesse stanno nel fatto che permette la scomparsa del baratto (lo scambio diretto di una merce concreta A con una merce concreta B), e consente di effettuare scambi differiti, sia nel tempo sia nello spazio. Il funzionamento dello scambio differito attraverso documenti monetari è il seguente: immaginiamo che la persona X voglia ottenere dalla persona Y una merce concreta A per un valore di a unità monetarie; ma non dispone di nessuna merce B da poter offrire in cambio (in una quantità tale che raggiunga lo stesso valore monetario di a unità monetarie). Ebbene, Y può allora fornire a X la merce A, senza ottenere nessun’altra merce concreta in cambio, ma ricevendo un documento nel quale X riconosce un debito nei confronti di Y del valore di a unità monetarie. Se sia X che Y possiedono conti correnti personali in una istituzione adeguata (per esempio, nel tempio della città), allora il debito registrato nello strumento monetario può essere immediatamente compensato tramite trasferimento di scritture tra i due conti correnti. Pertanto, uno strumento monetario è, semplicemente, un riconoscimento di debito, documentato e intracompensabile attraverso un sistema di conti correnti personali. Questa invenzione così semplice rivoluziona il mercato, perché lo scambio differito è molto più agile e permette molta più dinamicità mercantile del baratto. Da questo momento in poi, non bisogna più inventare nulla di nuovo in materia di sistema monetario, perché lo strumento monetario è abbastanza flessibile per poter essere adattato a ogni situazione, di qualsiasi complessità mercantile essa sia. È necessario solo aggiornarlo in funzione delle realtà mercantili e delle possibilità tecnologiche attuali. Di questo ci occuperemo nei capitoli successivi. 5.Conclusioni Come sintesi finale sulla natura dei sistemi monetari, diremo che sono delle realtà complesse – ma non difficili da comprendere –, in cui bisogna distinguere i seguenti livelli: 1. delle merci concrete realmente esistenti nel mercato (sia merci prodotte, sia merci produttive), che si vogliono scambiare; 2. delle unità monetarie: convenzioni numeriche - astratte universali, che servono per determinare con esattezza il valore di scambio di ciascuna merce concreta; 3. dei valori mercantili (prezzi e salari): valori misti risultanti dalla comparazione tra merci concrete e unità monetarie; 4. degli strumenti monetari: documenti che notificano ed informano del riconoscimento di un debito, per una quantità determinata di unità monetarie, di una persona nei confronti di un’altra (anch’esse ben determinate). L’unità monetaria è un’unità di misura e, come tale, è radicalmente astratta. Lo strumento monetario è un documento che registra, allo stesso tempo, un atto di misura (una misurazione, consistente nella fissazione di un valore mercantile) e un atto mercantile (una transazione). Né l’uno né l’altro hanno, in definitiva, nessun senso, se non esiste una merce concreta da misurare e da scambiare contrattualmente. Le merci concrete realmente esistenti sono, dunque, il fondamento principale dell’esistenza di unità monetarie, di valori mercantili (prezzi e salari) e di strumenti monetari: cioè, dell’esistenza di sistemi monetari. Possiamo ricorrere a una semplice metafora per comprendere la natura strumentale – artificiale astratta di ogni sistema monetario. Le merci concrete (prodotte o produttive) sono le realtà di base di ogni utilitarismo: le denomineremo realtà primarie, perché sono l’oggetto diretto dell’interesse utilitario dell’uomo. D’altro canto, possiamo immaginare che il sistema monetario sia come uno specchio che ci fornisce immagini delle merci concrete e degli atti di mercato: le realtà monetarie sono, così, realtà secondarie, derivanti dalle primarie. Continuiamo ad immaginare che, ogni volta che due agenti di mercato realizzano una transazione, la merce che è l’oggetto di detta transazione passi fugacemente davanti allo specchio (del sistema monetario), proiettando la propria immagine. L’immagine è il suo valore mercantile (prezzo o salario). Ma, contemporaneamente, c’è una macchina fotografica che scatta un’istantanea di questa immagine e anche dei due agenti che l’hanno generata: la fotografia ottenuta è lo strumento monetario, il documento di ciò che è successo. L’immagine proiettata nello specchio è fugace, sparisce quando finisce la transazione; ma il documento resta, depositando tutte le caratteristiche della transazione effettuata. Per ciò che riguarda le unità monetarie, esse sono lo schema, radicalmente astratto-numerico, delle immagini precedenti (l’immagine dello specchio e l’immagine fotografica). Il valore di queste immagini monetarie è strumentale-ausiliario: servono per maneggiare meglio le merci concrete che le originano, ma non hanno alcun valore intrinseco. Solo le merci concrete possiedono un proprio valore intrinseco. Infine, è molto importante osservare che non possono esistere immagini monetarie senza merci concrete che le abbiano originate. Le realtà monetarie sono sempre secondarie, derivanti dalle concrete realtà del mercato utilitario. Capitolo 10 LA SOCIETÀ TOTALE E LA SUA COMPOSIZIONE Dedichiamo questo capitolo alla fissazione e definizione dei termini tecnici che utilizzeremo molto spesso in questa Terza Parte. Si tratta di termini che si riferiscono alla società concreta, vivente, e a fatti sociali concreti, vissuti. La nostra prospettiva, nel momento in cui li definiamo, deriva dall’osservazione di realtà concrete – e non più di realtà astratte-monetarie, da cui abbiamo ricavato le definizioni della Prima Parte –. Il fenomeno concreto e vivente che ci interessa e che considereremo come unità di studio, è la comunità geopolitica globale. Questa unità, però, è anche un insieme molto complesso, composto da diversi sottoinsiemi di unità sociali. 1. Persone Se cerchiamo l’elemento irriducibile da cui è composta una società, troviamo la persona. Ogni gruppo umano, ogni comunità geopolitica, è formato da persone. Intendiamo per persona, “l’essere animale – cioè, psicosomatico – dotato di spirito trascendente”. La persona non è totalmente determinata – né dal punto di vista ambientale, né da quello genetico, né da quello sociale –, bensì è capace di protendersi liberamente al di là della sua realtà determinata. È questa possibilità di libertà al di là del determinismo che chiameremo spirito trascendente e che differenzia sostanzialmente una persona da qualsiasi altro animale. È un errore molto diffuso considerare come persone solo i singoli uomini e le singole donne. La semplice osservazione della realtà attuale e la considerazione storica delle realtà passate dell’uomo, ci mostrano, al contrario, che esistono tre generi di persone. Ci sono, in primo luogo, le persone nazionali - comunitarie o nazioni: una nazione non è altro che un gruppo omogeneo per nascita, secondo la definizione etimologica. La persona nazionale ha, quindi, un’origine istintiva-genetica, ma è già dotata di spirito, di coscienza di se stessa. Fu proprio la prima persona che, nel corso del tempo e dell’evoluzione umana, prese coscienza di esserlo. In secondo luogo, ci sono le persone sociali-collettive: queste appaiono e prendono coscienza di sé in seno alle persone nazionali e si formano per libere affinità e scelta tra individui. Infine, ci sono le persone individuali - mortali, che oggigiorno sono le più evidenti e anche le più consapevoli della propria essenza di persone. Ciononostante, sono quelle apparse più di recente nella storia dell’umanità. La coscienza individuale è un’acquisizione probabilmente legata allo sviluppo delle strutture sociali - collettive conosciute come civiltà. Per chiarire meglio questa distinzione tra differenti tipi di persone, possiamo proporre i seguenti esempi: -sono “persone nazionali” tutti i gruppi per nascita, cioè di comune discendenza, tra gli uomini: il gruppo riproduttivo (ossia, uno o più maschi, una o più femmine e i loro figli; attualmente, questo gruppo prende la forma denominata “famiglia”); l’etnia (cioè l’insieme di tutti gli individui geneticamente imparentati che, inoltre, condividono le stesse usanze e la stessa cultura, ed eventualmente una stessa lingua); -sono “persone sociali–collettive” tutti i gruppi formati per libera scelta: un club di giocatori di scacchi; un partito politico… 2. Impero Anche la stessa società totale o comunità geopolitica è una persona. È una persona socialecollettiva, originata storicamente dalla necessità di protezione e di difesa in un clima permanentemente bellico. Le prime comunità geopolitiche furono le prime città, ossia le prime polis, in cui diverse etnie si riunirono per con-vivere: geograficamente, in un dato spazio cittadino; politicamente, comandate da un unico organo di comando (poi divenuto Stato), che agiva come gerente della totale collettività; giuridicamente, protette da un unico organismo conciliatore (poi divenuto la Giustizia), ben differenziato e separato dall’organo di comando. E ritroviamo così, in tutta la sua naturalità, il termine impero. Questa parola deriva dal latino imperium, e questa dal verbo imperare, il quale è composto da in + parare. Parare significava, in primo luogo, “preparare, fare preparativi”; e imperare significava, propriamente, “prendere misure, far preparativi per fare una cosa”. Perciò, il significato più autentico della parola “impero” è quello di “collettività che si prepara, che si organizza, che prende misure di organizzazione interna e di difesa esterna” – nonostante successivamente il senso di imperare si sia evoluto nel senso di “ordinare, comandare” –. Noi, dunque, prescinderemo da qualsiasi pregiudizio ideologico e utilizzeremo il termine “impero” nel senso etimologico indicato, come sinonimo dell’espressione “comunità geopolitica”. Vogliamo bandire tutte le connotazioni peggiorative della parola e utilizzarla semplicemente come termine tecnico previamente ben definito. L’impero nasce, come abbiamo detto, dalla necessità di protezione e di difesa. Con questo scopo, diverse etnie si raggruppano liberamente in un impero, in una comunità geopolitica. Per questo, il concetto fondamentale esplicato dall’impero è quello di patto libero di federazione, nei suoi due aspetti: federazione in un nucleo unico e compatto per affrontare i pericoli esterni (o uniextrafederazione) e libera confederazione all’interno, per l’organizzazione autonoma di tutte le etnie e delle relazioni tra di esse (o multiintraconfederazione). La persona originata da questo libero patto è una persona sociale - collettiva, composta da persone comunitarie multiple – le etnie federate nell’impero –. Le due istituzioni imperiali incaricate di portare a termine gli obiettivi dell’impero sono l’organo politico e l’organo giudiziario. Ad essi la collettività delega la sua autorità e affida il compito del comando, ponendovi però dei limiti molto precisi. Fuori da questi limiti, ogni etnia può organizzare liberamente le proprie attività e le proprie istituzioni civiche, in totale autonomia. Se, nel corso del tempo, l’organo politico e l’organo giudiziario si dimostrano fedeli ed efficaci protettori della persona imperiale-collettiva, può succedere allora che questa, lentamente, si vada costituendo in persona comunitaria, in nazione, in etnia di rango superiore alle etnie che originariamente la costituivano, sovrapponendosi e sommandosi a esse senza, per questo, distruggerle. Questa è la nobile missione e vocazione di ogni impero. Bisogna, quindi, evitare la confusione tra impero e imperialismo. Quello che in un impero è protezione efficace di tutti i suoi membri e ricerca di una futura evoluzione in nazione, nell’imperialismo, deviazione e degenerazione dell’impero, è sfruttamento della maggioranza a beneficio di una minoranza, con la complicità degli organi politici e giudiziari, corrotti dal vizio del potere. 3. Società utilitaria e società liberale Passiamo adesso alla spiegazione di una distinzione di fondamentale importanza nella nostra concezione della società. Si tratta della distinzione tra società utilitaria e società liberale. La società utilitaria Intenderemo, in questa Terza Parte, per società utilitaria, l’insieme formato da: tutte le persone private – sia individuali che collettive – che, con atteggiamento interessato ed egoistico, cercando il proprio unico beneficio, si dedicano alla produzione di beni utilitari o al consumo di beni utilitari. Queste persone si chiamano forze personali produttive e/o consuntive, ovvero agenti di produzione e/o di consumo; tutte le concrete merci scambiate, sia quelle prodotte che quelle produttive (si veda il cap.1, paragrafo 1); tutte le interrelazioni monetarie tra queste persone e relative a queste merci: cioè relazioni di vendita da parte dei fornitori e di acquisto da parte dei clienti, sia che si tratti di merci prodotte che di merci produttive. La società utilitaria si chiama anche mercato; abbiamo già dato la sua definizione più stretta e operativa come “insieme di tutti i liberi scambi monetari elementari” (si veda il cap.9); tuttavia, per i fini propri di questa Terza Parte, non ci interessa la definizione strettamente letterale, ma quella più ampia che abbiamo appena esposto. La società liberale Intenderemo per società liberale, l’insieme formato da: tutte le persone private – sia individuali che collettive – che, con atteggiamento altruista e disinteressato, senza cercare il proprio interesse, si dedicano al servizio di tutti i membri della società, senza eccezione; tutti i servizi prestati da queste persone, attraverso la relazione e la comunicazione interpersonale; tutte le remunerazioni che, giustamente, la comunità geopolitica decide di attribuire loro, affinché possano vivere dignitosamente e sviluppare la loro vocazione con tutti i mezzi tecnici disponibili. Le vocazioni, le attività, le professioni, le istituzioni… utilitarie e liberali si differenziano radicalmente per ciò che riguarda le loro motivazioni ed i loro obiettivi; ma sono ugualmente nobili, legittime e necessarie alla società, le une come le altre. Dal riconoscimento della loro radicale differenziazione derivano, però, importanti conseguenze: quella principale è che bisogna impedire ad ogni costo la mercantilizzazione della società liberale. Ci occuperemo in seguito dettagliatamente dei meccanismi concreti con cui evitare questa situazione, così tanto diffusa ai nostri giorni, di confusione tra utilitario e liberale. Capitolo 14 RIPARTIZIONE DELLA RICCHEZZA COMUNITARIA Il nuovo Stato così costituito, dotato dei suoi due strumenti privilegiati di attuazione -la fatturaassegno pro-telematica e l’imperializzazione di tutta la rete monetaria telematica – è in grado ora di affrontare con successo il problema principale che si è dato da risolvere: la questione della classi sociali generate dal denaro. Eliminare, in modo pacifico, ogni forma di miseria ed emarginazione sociale dovute al denaro: questa è la sfida. 1. Dialettica tra bene comune e bene privato La scomparsa delle classi sociali dovute al denaro, si può ottenere solo, secondo noi, attraverso il dialogo e la dialettica continui tra la ricchezza delle persone private (individui e collettività) e la ricchezza delle persone collettive (che è equamente ripartita tra tutti i loro membri). O, più concretamente, attraverso uno scambio continuo di denaro tra tutti gli strati sociali e tra tutti i membri della comunità geopolitica. Non crediamo nella falsa soluzione della statalizzazione di ogni ricchezza, o di ogni mezzo di produzione della ricchezza. Prima di tutto, lo Stato, come gerente dell’impero, non è altro che una persona collettiva particolare, perciò la statalizzazione non sarebbe un atto di comunitarizzazione, bensì di privatizzazione. Inoltre, tutti sappiamo quale sia l’epilogo del processo di statalizzazione dei sistemi di produzione: questi finiscono paralizzati dalla pianificazione burocratica e dalle brame di potere, nonché totalmente incapaci di far fronte dignitosamente ai bisogni comunitari. Ebbene, non crediamo neanche che sia opportuno confidare nella buona volontà delle persone, né forzare generosità disinteressate. Il problema è, quindi: come creare una massa monetaria comunitaria sufficiente a far fronte a tutti i bisogni reali della comunità, senza dovere sollecitare troppo (e, nel migliore dei casi, affatto) le persone private e la loro ricchezza privata? La questione è, ancora: come sfruttare al meglio il naturale egoismo utilitario dell’uomo, per farne scaturire meccanismi pratici ed efficaci di piena solidarietà sociale? Nell’attesa che sia possibile mettere in pratica un sistema molto più soddisfacente a tutti i livelli, proponiamo la costituzione di una massa monetaria comunitaria a partire da un’unica imposta di onnisolidarietà sociale. Nel capitolo 7 della Seconda Parte abbiamo chiarito tutti i dettagli tecnici relativi alle caratteristiche di questa imposta unica; daremo ora per assodato quanto già detto in questa sede. Su questa imposta unica si baserà fondamentalmente tutto l’operato dello Stato, quanto a ripartizione della ricchezza comunitaria: per questo, la percentuale che essa rappresenterà su ogni fatturaassegno, dovrà essere fissata in funzione dei bisogni cui far fronte. Pertanto, man mano che l’onnicontabilità centralizzata di tutte le fatture-assegno consentirà una conoscenza sempre più approfondita del mercato totale e delle sue potenzialità, il politico potrà servirsi, con prudenza, di misure complementari, per aumentare la quantità della massa monetaria comunitaria. Tali misure potrebbero essere: 1. imperializzazione delle eccedenze di produzione mercantile, realmente verificate come esistenti nel mercato, al fine di inventare la massa monetaria ad esse esattamente equivalente; 2. imperializzazione di tutti i saldi positivi dei conti correnti (di produzione, di risparmio di produzione e di risparmio di consumo), che costituiranno la garanzia contabile della creazione di denaro di cui sopra: questi saldi imperializzati accrediteranno un interesse del 6%, pagato dal Tesoro. 3. congelamento -parziale e selettivo- di tutti i conti correnti di produzione e di risparmio di produzione – ed eventualmente, nei casi gravi, di risparmio di consumo – per l’accredito a quei settori produttivi che, in un dato momento, risultino deficitarii. Sommando l’imposta unica di base, applicata in percentuale su ogni fattura-assegno emessa, alle misure complementari sopra indicate, si otterrà come risultato una massa monetaria comunitaria che costituirà la ricchezza collettiva dell’impero. Abbiamo parlato, però, di dialettica tra bene comune e bene privato, tra ricchezza comunitaria e ricchezza privata. In che cosa deve consistere questa dialettica? Facciamo riferimento, semplicemente, al seguente insieme di fatti: a) La produzione e il consumo di beni utilitari continueranno ad appartenere, com’è stato finora nel mondo detto “capitalista”, alla sfera privata. Perché? Naturalmente, perché il movente degli agenti privati, in questo campo, è sempre l’ottenimento del profitto, del proprio beneficio; questo movente genera una concorrenza che ha mostrato per secoli di essere il più efficiente sistema e motore di un utilitarismo dinamico e fecondo. b) Tuttavia, dalla fecondità e dalla dinamicità del mercato, deriva, per la moltiplicazione del numero degli scambi che queste comportano, un aumento proporzionale della massa monetaria comunitaria ottenuta in modo impositivo, e anche di quella ottenuta grazie alle altre disposizioni complementari menzionate. Così, dunque, maggiore è il bene privato, più grande sarà, e nella stessa proporzione, il bene comune. c) Infine, per chiudere il ciclo, la massa monetaria comunitaria, essendo ripartita tra persone private (individuali e collettive), risulta essere riprivatizzata e, come tale, ritornerà nel mercato privato, rivitalizzandolo e rendendolo ancora più fecondo e dinamico nella produzione e nel consumo, in termini sia utilitari sia privati. 2. Utilizzo della massa monetaria comunitaria Posto che il settore utilitario della società, sia produttivo che consumatore, è stato mantenuto sotto la libera iniziativa privata, possiamo dire che la massa monetaria comunitaria è ottenuta in funzione dell’egoismo utilitario della popolazione, poiché quanto più si produce e si consuma, tanto più cresce questa massa – soprattutto se consideriamo che l’imposta unica non sarà onerosa e, pertanto, non frenerà con il suo peso i processi utilitari –. Una volta costituita, la massa monetaria comunitaria deve servire i propositi della piena solidarietà sociale. Questa, cioè, deve essere ripartita e riprivatizzata tra tutti i membri della comunità imperiale, in funzione dei bisogni specifici di ognuno e, al contempo, in funzione degli interessi globali della comunità. Prevediamo due modalità, ben differenziate, di ripartizione. a) I crediti comunitari all’investimento, aventi per oggetto la tutela e la promozione delle vocazioni utilitarie-produttive, specialmente quando queste vanno in una direzione che la comunità considera adeguata. b) La finanza comunitaria al consumo, con l’obiettivo di fornire a tutti i membri della comunità imperiale il potere d’acquisto sufficiente a soddisfare i loro bisogni di consumo. Passiamo, di seguito, a esaminare in modo più dettagliato queste due modalità. 3. Crediti all’investimento I crediti comunitari all’investimento saranno concessi: a) alle imprese che vogliano realizzare un investimento necessario ad aumentare la loro efficacia produttiva, ma che non dispongano di potere d’acquisto sufficiente, e che presentino, inoltre, garanzie sufficienti sulla loro capacità di realizzare con successo il proprio progetto di investimento; b) agli aspiranti imprenditori che abbiano un progetto imprenditoriale che offre garanzie di successo, ma che non posseggano risorse proprie sufficienti per iniziare il loro progetto o per richiedere un prestito bancario. I crediti all’investimento saranno concessi, naturalmente, dalla comunità imperiale; tuttavia, le Banche d’Affari agiranno come intermediarie, realizzando lo studio dei progetti di investimento, o di creazione di nuove imprese, presentati, valutandone la credibilità e concedendo infine il credito a nome dell’impero. Le Banche dovranno assumersi una responsabilità diretta in caso di insolvenza dell’impresa accreditata. Le condizioni del credito comunitario all’investimento, che lo differenzieranno nettamente dal normale prestito bancario, saranno le seguenti: 1. L’accreditato non necessiterà di avalli propri, né di terzi, su proprietà o capitali già realmente esistenti: l’unica garanzia dovrà consistere nella capacità tecnico-produttiva dell’impresa. 2. La concessione del credito comporterà la designazione di un cogerente, che supervisionerà la gestione dell’impresa e l’utilizzo del credito per conto della Banca concedente. 3. Durante un periodo iniziale della durata minima di 3 anni – termine tecnicamente necessario affinché qualsiasi nuova struttura produttiva dia il proprio normale rendimento- non saranno dovuti interessi; al termine di questi 3 anni, si pagheranno interessi doppi rispetto a quelli del prestito bancario normale: la metà di questi interessi doppi sarà destinata alla Banca concedente, e l’altra metà sarà destinata al Tesoro, per erogare nuovi crediti. 4. Non vi sarà una clausola fissa di restituzione del credito; tuttavia, finché il credito non sarà stato restituito, si continuerà a pagare interessi doppi e il cogerente designato dalla Banca concedente resterà nell’impresa. I crediti comunitari all’investimento perseguono, evidentemente, la promozione della creazione di ricchezza aziendale-privata in base al loro motto di “massima produzione e ottima qualità con il minimo sforzo e il minimo rischio”; per questo, il criterio fondamentale nella concessione di crediti, è quello dell’efficacia tecnico-produttiva dimostrata dal soggetto richiedente il credito. Ebbene, grazie ai crediti comunitari, si può anche favorire un altro tipo di creazione d’impresa che possa considerarsi conveniente e redditizia. Così, oltre il criterio fondamentale di efficacia, si possono stabilire linee preferenziali di crediti per le imprese che riuniscano determinate caratteristiche: avvio di un processo di autogestione (o autogestione piena); ottimizzazione del livello dell’impresa, e così via… 4. Finanza al consumo La finanza comunitaria al consumo è denaro distribuito a fondo perduto (cioè: gratuito) da spendere solo ed esclusivamente in consumo. Il criterio da seguire nella ripartizione dei fondi non è più quello dell’efficacia produttiva, bensì quello dei bisogni reali di consumo della popolazione, che devono essere soddisfatti in base al principio di una totale solidarietà comunitaria. L’obiettivo perseguito, mediante questi fondi, è far scomparire radicalmente ogni miseria e ogni emarginazione sociale dovute al denaro, assicurando a tutti un minimo vitale. Inoltre, i finanziamenti devono permettere di rendere la società utilitaria indipendente dal mercato e tutelare i membri della società utilitaria di fronte ad alcune situazioni, molto ben determinate, che si possono presentare nella loro vita. Tutti questi bisogni, distintivi di ciascuna categoria della popolazione, si riflettono nei quattro Statuti finanziari previsti: I.- Statuto Generale Dello Statuto Generale usufruisce costituzionalmente ogni persona, per il solo fatto di essere nata e/o di vivere nella comunità imperiale: è, quindi, cumulabile con ognuno degli altri tre statuti. Lo Statuto Generale garantisce, a ogni cittadino individuale e familiare, un livello di vita minimo, con cui soddisfare i suoi bisogni materiali e culturali più impellenti. Con questo obiettivo, dà diritto ai seguenti sussidi: un salario di solidarietà sociale -finanziaria individuale, che tutti riceveranno come minimo vitale, dal giorno della nascita fino a quello della morte, differenziato in base al grado di emarginazione sociale; sussidi una tantum per promessa, matrimonio e morte; sussidi periodici per l’abitazione e/o miglioramento della casa; sussidi eventuali per maternità; salari di solidarietà sociale –finanziaria, matrimoniali e infantili; salari di solidarietà sociale –finanziaria, per invalidità o incapacità congenite e permanenti. II.- Statuto Utilitario Questo Statuto è cumulabile unicamente con lo Statuto Generale. I professionisti utilitari hanno già assicurata la loro sussistenza dalla remunerazione della loro attività utilitaria. Gli si possono presentare, tuttavia, alcune situazioni sfavorevoli, di fronte alle quali devono essere preparati. Così, lo Statuto Utilitario darà diritto a: un salario di solidarietà sociale-finanziaria di disoccupazione; un salario di solidarietà sociale-finanziaria per sciopero; un salario di solidarietà sociale-finanziaria per serrata; un salario di solidarietà sociale -finanziaria per malattia, incidente, invalidità o incapacità sopraggiunte. III.- Statuto Liberale Questo Statuto è cumulabile unicamente con lo Statuto Generale. L’obiettivo di questo Statuto è offrire un reddito dignitoso ai professionisti e alle collettività liberali, i quali, non appartenendo alla società utilitaria o al mercato, non possono essere mantenuti da questa. I professionisti liberali usufruiranno di salari di solidarietà sociale -finanziaria individuali e familiari, che varieranno unicamente in funzione del grado auto-dichiarato di altruismo e di disinteresse di ogni professione liberale, e dei meriti vocazionali e sociali di ogni professionista liberale al servizio dei suoi concittadini e di tutta la società. Usufruiranno anche di budget ordinari per l’esercizio della professione liberale, in funzione delle necessità tecniche-professionali, nonché di budget straordinari in funzione delle possibilità finanziarie comunitarie. Anche le collettività liberali usufruiranno di budget ordinari e straordinari, i primi calcolati in funzione del numero di membri iscritti in ognuna di esse, i secondi in funzione delle possibilità finanziarie comunitarie -una volta assicurati tutti i salari e tutti i budget ordinari- su una base dignitosa e sufficiente. Sarà dato uno statuto liberale, pur non esercitandone le funzioni, anche: a) agli studenti e agli apprendisti, dai 16 ai 25 anni (con possibilità di proroghe giustificate), i quali usufruiranno di un salario di solidarietà sociale -finanziaria di studente o apprendista; b) ai candidati a qualsiasi elezione in una istituzione liberale, i quali usufruiranno, dal momento in cui rendono pubblica la loro candidatura, fino al momento dell’elezione o non-elezione, di un salario di solidarietà sociale- finanziaria di candidato a elezioni, e di un budget di campagna elettorale -identico a quello di tutti gli altri candidati alla stessa carica-. Il fatto che tutti i professionisti liberali e tutte le collettività liberali siano finanziate comunitariamente, assicura e garantisce la totale gratuità, per tutti i membri della comunità, di ogni servizio liberale. IV.- Statuto Misto Anche questo Statuto è cumulabile unicamente con lo Statuto Generale; ma è denominato “Misto”, perché può coesistere con guadagni privati. In effetti, è destinato agli artigiani, ai collaboratori di imprese miste (private-comunitarie) di opere, lavori e servizi pubblici e vi potranno accedere anche i disoccupati che accettino una formazione professionale -artigianale di almeno 3 anni, per poi stabilirsi come artigiani in municipi con scarsa popolazione. Così, dunque, e a seconda dei casi, questo Statuto darà diritto a: un salario di solidarietà sociale -finanziaria di artigiano, che integrerà i guadagni ottenuti dall’artigiano grazie alla vendita della sua produzione; questo salario varierà unicamente in funzione del numero di abitanti del paese in cui l’artigiano esercita il proprio mestiere; un salario di solidarietà sociale -finanziaria di collaboratore in un’impresa mista, per compensare l’eventuale futura socializzazione (a livello imperiale, etnico, regionale, municipale) e conseguente assegnazione di uno statuto completamente liberale, di questa impresa; un salario di solidarietà sociale -finanziaria per la formazione professionale- artigianale, per integrare il salario di solidarietà sociale -finanziaria di disoccupato, per tutti quei disoccupati che vogliano diventare artigiani, alle condizioni prima enunciate. 5. Municipalizzazione del suolo Il suolo è sempre stato, dalle origini dell’umanità, un patrimonio comunitario che, solo con lo sviluppo di un mercato pienamente monetario, si andò privatizzando progressivamente. Pur essendo a favore delle libere proprietà e dell’iniziativa privata in seno al mercato, nel caso del suolo crediamo sia giusto restituire a questa ricchezza il suo carattere comunitario ancestrale, mediante una progressiva socializzazione a livello di municipio (cioè: municipalizzazione). Solo una municipalizzazione effettiva del suolo può garantire la conservazione e la protezione dell’ ambiente e del patrimonio naturale, evitare la speculazione antisociale sui terreni e costituire la base per una pianificazione urbanistica efficiente. Il municipio è l’istituzione che può controllare più direttamente l’uso sociale o antisociale di questo patrimonio comunitario: è, pertanto, deputato ad esserne, costituzionalmente e a lungo termine, l’unico proprietario. Per realizzare, progressivamente e senza danneggiare nessuno, questa municipalizzazione del suolo, proponiamo un sistema basato su: a) Un’imposta sulla proprietà privata del suolo – l’unica imposta esistente oltre all’ITE –. Ogni proprietario di un terreno, che non sia un’abitazione o una coltivazione agricola unifamiliare, dovrà pagare al municipio un’imposta, calcolata in una percentuale (per esempio, il 5%) del prezzo di vendita del terreno nel libero mercato. b) Con il denaro ottenuto mediante questa imposta, sommato alla quantità di massa monetaria comunitaria destinata a questo scopo, ogni municipio potrà comprare man mano i terreni, a prezzo di libero mercato, dai proprietari consenzienti. Il proprietario che venderà al municipio, otterrà un contratto di locazione per 100 anni, a prezzo molto basso (per esempio, l’1,1% del prezzo di vendita pattuito). Come si può vedere, questo sistema non obbliga nessuno, ma stimola i proprietari a vendere al municipio, in quanto questa vendita risulta conveniente per loro persino quando il municipio non disporrà ancora del potere d’acquisto necessario per pagare in contanti, poiché in questo caso il debito verso il proprietario da parte del municipio accrediterà l’interesse comunitario del 6%. 6. Scomparsa delle classi sociali Non poniamo alcun ostacolo alla generazione di ricchezza privata. Questa potrà continuare a svilupparsi come fino ad ora e anche meglio, in quanto affrancheremo il mercato da molti dei suoi attuali intralci, come vedremo nel prossimo capitolo. Di conseguenza, continueranno a esserci persone più ricche di altre. Ma il nostro obiettivo non è che tutti siano uguali, anche in denaro. Al contrario, crediamo che tutti siano diversi, speciali, unici, irripetibili, singolari… e, solo ed esclusivamente davanti alla legge, le persone devono essere considerate uguali nei diritti. Il nostro obiettivo, dunque, non è l’uguagliamento artificiale delle individualità viventi, ma la convivenza solidale nel rispetto delle differenze e della singolarità vitale di ogni persona. E questa convivenza solidale può essere fondata solo a livello comunitario. La nostra proposta è basata sugli Statuti finanziari, a sostegno della solidarietà sociale, in funzione diretta della ricchezza privata dell’impero, considerato nella sua totalità. Per mezzo dello Statuto Generale, con i suoi salari vitali minimi, individuali e familiari, e dello Statuto Utilitario, con i suoi salari di disoccupazione, sciopero e serrata per tempi indefiniti; per mezzo dello Statuto Liberale, e la conseguente gratuità dei servizi liberali per tutta la popolazione, è possibile raggiungere, per ogni membro della comunità, un livello vitale minimo, un livello di sussistenza fondamentale, che deve essere il più alto possibile. Questo livello minimo, dipendente dalla solidarietà comunitaria, fa sì che nessuno debba dipendere dalla generosità o dall’egoismo particolari di qualsiasi altra persona. Sulla base di questa autosufficienza al livello più alto possibile, può poggiarsi la soppressione di ogni miseria materiale e di ogni conseguente emarginazione sociale. Questa è, secondo noi, una strada valida per la progressiva scomparsa della divisione in classi sociali generata dal denaro, basata sulla subordinazione e sulla dipendenza vitale di alcuni gruppi di popolazione rispetto ad altri. Un altro traguardo, di più difficile e più lento conseguimento, ma ugualmente possibile, è la scomparsa delle classi sociali distinte per cultura, del classismo e di tutta una serie di atteggiamenti e di sentimenti di superiorità, disprezzo, invidia… fra le classi. Ma questo secondo traguardo comincerà a essere raggiungibile una volta stabilito il primo. 7. Sintesi degli ultimi capitoli Negli ultimi quattro capitoli abbiamo fatto riferimento alle strutture fondamentali della nuova società che proponiamo: a) Un’archia politica e civica forte, ma limitata, in ogni area, alla sua specifica attività, con libertà di decisione e responsabilità personale propria ed esclusiva, durante il rispettivo mandato elettorale; congiuntamente ad un’archia giudiziaria del tutto indipendente dallo Stato e da qualsiasi gruppo di influenza (Capitolo 11). b) Una rigorosa legislazione monetaria, che fa dello strumento monetario il mezzo di onniinformazione e di onniresponsabilizzazione personale per eccellenza (Capitolo 12). c) Una totale imperializzazione dell’informazione, elaborata dalla rete monetaria telematica (Capitolo 13). d) Una massa monetaria comunitaria, destinata a essere ripartita equamente, sia con finalità creditizia per l’investimento, sia con finalità finanziaria per il consumo (Capitolo 14). Una volta poste queste basi fondamentali, ogni altra attività sociale dovrà funzionare con la massima libertà e la minima legislazione. In tutti i casi, dunque, saranno promulgate solo leggi essenziali, molto poco numerose, ma molto precise, anche se universalizzanti e senza casistiche inutili. Queste leggi minime avranno lo scopo di assicurare e garantire lo sviluppo –nel rispetto della piena libertà e responsabilità personale- di tutte le legittime attività cittadine. E questo, in ogni area sociale, sia statale uni-federativa in tutto il territorio imperiale, sia confederativa- locale per ogni territorio autonomo (quartiere, municipio, regione, etnia, interetnia, ex-impero). Nei prossimi capitoli, abbozzeremo alcune leggi essenziali che bisognerà emanare nella: a) Società utilitaria-produttiva (Capitolo 15). b) Società liberale (Capitolo 16). c) Società utilitaria-consumatrice (Capitolo 17). Capitolo 19 LA SOCIETÀ TRASCENDENTE Tutto ciò che finora abbiamo descritto in questa Terza Parte, può essere rapportato, grosso modo, alla cosiddetta “qualità della vita”, perché abbiamo sempre fatto riferimento a un possibile miglioramento delle condizioni materiali, culturali, ambientali, sociali e psicologiche della vita dell’uomo. In poche parole, ci siamo limitati alla dimensione fenomenica della vita umana. Al di là di essa, però, c’è un’altra dimensione, della quale vogliamo parlare in quest’ultimo capitolo. 1. Fenomeno e noumeno Al di là del fenomeno, dell’apparenza sensibile, percepibile tramite i sensi ed esprimibile tramite il linguaggio, c’è un’altra dimensione, propria esclusivamente dell’uomo: il noumeno, non percepibile sensibilmente, perché ci viene dato in spirito puro; non esprimibile mediante il linguaggio, perché non è concettualizzabile ed è ineffabile. Nessuno sa cos’è il noumeno; sappiamo solo che si sente nell’intimità più profonda del proprio essere, in modo del tutto gratuito, come folgorazione etica-trascendente, cioè come un lampo che attraversa tutto l’essere, elevandolo a regioni sconosciute e riempiendo di senso vitale tutta la sua esistenza. Da queste intuizioni interiori derivano la gioia di vivere – la felicità –, la scoperta di sé e dell’altro come esseri dotati di un valore immenso, di una singolarità irriducibile, e ne nasce la comunione intima con l’altro da sé. Ebbene, in nessuna persona può manifestarsi la libera folgorazione etica-trascendente, se non si basa sulla gioia fenomenica di un’estetica previa; e non può elevarsi verso regioni più alte, questa folgorazione, se non si alimenta di gioie estetiche più elevate ed estese. 2. La società trascendente Le persone, considerate nella loro dimensione noumenica, etica-trascendente, formano insieme la società trascendente. È facile comprendere che di essa fa parte chiunque liberamente lo voglia: ogni persona vivente è capace di esperienza noumenica; deve solo accettarla. È facile capire, anche, che le attività concrete tramite le quali può esprimersi fenomenicamente l’esperienza noumenica – atti e gesti di amore, di aiuto disinteressato al prossimo… - non possono essere retribuite materialmente senza così tradire il loro stesso spirito. Per questo, la società trascendente, in quanto tale, è radicalmente amonetaria. In essa, nulla si compra né si vende. Come è evidente, nella vita trascendente di ogni persona, non può interferire assolutamente nessuno e, tanto meno, lo Stato. Il campo d’azione del politico è strettamente fenomenico: egli può incidere solo sulla società fenomenica, che comprende la società utilitaria e la società liberale. Il politico non può mai assicurare al popolo la felicità, perché questa appartiene alla sfera intima di ogni persona e della sua vita etica-trascendente; può, invece, certamente aspirare a risolvere gran parte delle cause fenomeniche di molte sofferenze umane. Nessuna legislazione, quindi, è possibile nella società trascendente; l’unica cosa che si può pretendere e costituzionalizzare è la tolleranza e il rispetto concreto delle singolarità e della dignità di ogni persona. 3. Libertà fenomeniche e libertà noumenica Quando, però, le condizioni sociali -fenomeniche imperanti sono antilibertarie, impediscono che la vita noumenica di ogni persona si esprima liberamente, che si converta, cioè, in azione e vita fenomenica. Condizioni eccessivamente antilibertarie, possono persino arrivare a impedire la scoperta della vita noumenica stessa: questo è ciò che viene detto “alienazione”. Quando diciamo che siamo libertari, vogliamo dire semplicemente che il nostro obiettivo è la protezione e la promozione di tutte le concrete libertà fenomeniche, che ci sono state e che ci saranno, affinché possano emergere, senza ostacoli, la concreta libertà noumenica di ogni persona e la sua libera espressione fenomenica. Le concrete libertà fenomeniche coltivate dal politico nella vita quotidiana – utilitaria e liberale – attueranno le condizioni strutturali-fenomeniche che, lungi dal determinare la vita trascendente, la affrancano –nell’azione pratica- dai suoi vincoli fenomenici negativi; queste libertà costituiranno il fondamento estetico del libero sviluppo della libertà etica-trascendente, nell’intimità di ogni persona singola e nella comunione di tutte le persone. Capitolo 22 FORMULAZIONE DELL’IPOTESI 1. Formulazione generale Passiamo adesso a una formulazione matematica elementare – e affatto definitiva – dell’ipotesi dell’utilitarismo comunitario, o bene comune mercantile. I due settori, o sottoinsiemi complementari, che compongono il mercato sono, come abbiamo già detto: produzione e finanza. Se vogliamo includerli in una formulazione matematica, dovremo ora definirli in modo rigoroso e, soprattutto, dovremo renderli comparabili, omogenei. Entrambe le condizioni possono compiersi mediante il ricorso alle unità monetarie. Se esprimiamo sia la produzione che la finanza in forma di variabili misurate monetariamente, non ci sarà nessun problema. Giungiamo, così, alla seguente ridefinizione: Produzione è “la somma totale dei prezzi elementari di vendita di tutte le merci realmente prodotte”, semplificando, “somma totale di valori prezzo-mercantili elementari”. La rappresenteremo col simbolo “Pu”. Finanza è “la somma totale delle retribuzioni monetarie elementari agli agenti di produzione che intervengono nel mercato”, semplificando, “somma totale di valori salario-mercantili elementari”. La rappresenteremo col simbolo “Fu”. All’interno della finanza, dovremo fare una distinzione. Attualmente, vengono retribuite, nel mercato, solo le forze di produzione private (lavoro, capitale, impresa e invenzione). Possiamo dire, quindi, che la finanza attuale è una finanza privata (simbolo: “Fpu”). Tuttavia, secondo la nostra ipotesi, esistono anche delle forze di produzione comunitarie, la cui ipotetica retribuzione costituirebbe una finanza comunitaria (simbolo: “Fku”). Ora abbiamo già definito e simbolizzato tutti gli elementi dell’ipotesi. Possiamo passare alla descrizione della loro relazione matematica molto generale. In primo luogo, definiamo un utilitarismo equilibrato quello in cui la produzione e la finanza si eguaglino. Questo concetto può essere espresso così: Pu ___ = 1 Formula dell’utilitarismo equilibrato. Fu In secondo luogo, sappiamo che l’utilitarismo attuale non è equilibrato, perché ci sono delle forze di produzione comunitarie non retribuite finanziariamente e perché, a volte, la finanza che corrisponde a queste forze comunitarie è deviata, senza misura e senza controllo, verso settori sociali privilegiati (il simbolo di questa finanza comunitaria, di cui ci si appropria senza misura né controllo, sarà “?”). Lo squilibrio dell’utilitarismo attuale lo esprimeremo: Pu _______ ≠ 1 Formula dell’utilitarismo squilibrato attuale. Fpu + ? In terzo luogo, è molto evidente che, se ciò che vogliamo è un utilitarismo equilibrato, dobbiamo solo misurare con esattezza l’apporto delle forze di produzione comunitarie e, quindi, creare la finanza comunitaria esattamente corrispondente: Pu ____ > 1 vale a dire, le forze produttive private non sviluppano da sole la produzione totale; Fpu Pu – Fpu = Fku vale a dire, bisogna postulare delle forze produttive comunitarie che, misurate monetariamente, siano uguali alla differenza tra produzione totale e finanza privata; Pu _____________ Fpu + Fku =1 vale a dire, l’equilibrio sarà raggiunto creando la finanza comunitaria complementare alla finanza privata, che costituisca la retribuzione adeguata delle forze di produzione comunitarie. 2. Invenzione di denaro Abbiamo utilizzato già diverse volte l’espressione “creare una finanza comunitaria”. Che cosa intendiamo con questo? Semplicemente, vogliamo dire che si può inventare la massa monetaria corrispondente alla differenza tra Pu e Fpu senza perturbare il mercato, anzi, piuttosto equilibrandolo. Noi proponiamo che questa invenzione di denaro sia opera dello Stato, in qualità di gerente della comunità geopolitica globale, e che la massa monetaria così ottenuta sia ripartita in modo equo tra tutti i membri di questa comunità. Inventare denaro non è “cosa dell’altro mondo”: la Banca Centrale e le Banche private lo fanno continuamente, senza che nessuno se ne stupisca e, inoltre, senza nessun controllo efficace. La nostra proposta è, quindi, unicamente di sostituire l’attuale invenzione -dispersa e incontrollata- di denaro, con un’invenzione centralizzata, misurata e controllata che conterà sulla garanzia reale dei profitti eccedenti della produzione mercantile; che conterà sulla garanzia sussidiaria delle eccedenze – o saldi positivi – di tutti i conti correnti accessibili alla comunità, i quali dovranno essere imperializzati; e che sarà distribuita equamente tra tutti i membri della comunità geopolitica, poiché la massa monetaria inventata è da considerarsi come la meritata retribuzione delle forze di produzione comunitarie. Il vantaggio maggiore di questo procedimento di invenzione di denaro, è che la massa monetaria inventata, essendo stata previamente misurata come differenza tra produzione totale e finanza privata, rappresenta la finanza comunitaria esattamente complementare alla finanza privata: costituisce, cioè, il potere d’acquisto che mancava nel mercato, per insufficienza del potere d’acquisto di origine privatamercantile. Perciò, è in grado di garantire al mercato un equilibrio duraturo e dinamico. 3. Formulazione dettagliata La formula che abbiamo dato per l’invenzione della finanza comunitaria: P u – Fpu = Fku, è troppo generale e non serve, nella pratica, per calcolare il potere d’acquisto da inventare. Sarà opportuno analizzare i diversi cicli e sottocicli che caratterizzano le dinamiche di mercato, per poter arrivare a formulazioni dettagliate per ciascuno di essi, che siano realizzabili nella pratica. Dobbiamo qui ricordare la distinzione analitica, compiuta nel capitolo 8, del mercato in due cicli: il ciclo della produzione e il ciclo del consumo; e, ancora, la distinzione del ciclo della produzione in tre sottocicli: il sottociclo della produzione circolante, il sottociclo della produzione strumentale e il sottociclo dei negozi e industrie al dettaglio. La constatazione di base da fare, dopo l’analisi anteriore, è la seguente: tra tutti i cicli e i sottocicli del mercato, il sottociclo della produzione circolante è quello fondamentale, il motore, quello che alimenta tutti gli altri, sia direttamente (nel caso del sottociclo della produzione strumentale e del sottociclo dei negozi e delle industrie al dettaglio), sia indirettamente (tramite il sottociclo dei negozi e delle industrie al dettaglio, nel caso del ciclo del consumo). Tutti i valori prezzo-mercantili prodotti nel sottociclo della produzione circolante, vanno a finire – direttamente- nel sottociclo della produzione strumentale, o –indirettamente- nel ciclo del consumo. È per questo che diciamo che il sottociclo della produzione strumentale e il ciclo del consumo sono gli exutoires naturali del mercato, il luogo attraverso cui esce tutta la produzione. Un terzo exutoire è costituito dal commercio estero, che può essere realizzato in uno qualsiasi dei cicli o sottocicli indicati. Il sottociclo della produzione circolante è capace di svilupparsi con piena autonomia e autosufficienza, se i suoi exutoires funzionano ugualmente bene, cioè se assorbono la produzione del primo. Allo stesso modo, la produzione per l’esportazione funziona da sé, se gli importatori stranieri possono assorbirla. La conseguenza immediata di questa riflessione è la seguente: non è necessario iniettare finanza comunitaria nel sottociclo della produzione circolante, né in quello della produzione destinata all’esportazione; è sufficiente immetterla nei tre exutoires indicati, affinché ne risulti rivitalizzato tutto il mercato nel suo insieme. A questo punto, possiamo sostituire la formula generale con tre formule particolari, più dettagliate e adatte alla realtà del mercato. Invenzione di finanza comunitaria nel sottociclo della produzione strumentale (simbologia propria di questo sottociclo: “I”; credito all’investimento : “c”) PIu – FpIu = FkIu = c Chiamiamo questa finanza comunitaria per l’investimento (FkIu) “credito comunitario all’investimento”: può essere concesso a tutte le imprese con necessità di investimento che dimostrino la loro efficacia produttiva, o a tutti quelli che vogliano creare una nuova impresa e offrano garanzie di successo. Invenzione di finanza comunitaria nel ciclo del consumo (simbologia propria di questo sottociclo: “C”; finanziamenti al consumo “f”) PCu –FpCu = FkCu = f Chiamiamo questa finanza comunitaria per il consumo (F kCu) “finanza al consumo” e può essere concessa a fondo perduto a tutti membri della comunità geopolitica, in funzione dei loro specifici bisogni come consumatori. Nei due casi precedenti, il calcolo della finanza privata (per l’investimento o per il consumo) è un calcolo complesso che qui non svilupperemo. Diciamo solo che nel concetto di finanza privata si devono includere sia il potere di acquisto disponibile, derivante dall’esercizio considerato, sia il potere d’acquisto disponibile accumulato da esercizi precedenti. Invenzione di finanza comunitaria nel commercio estero (simbologia propria: esportazioni “E”; importazioni “J”) Eu + (c+f)E Se _______________ = 1, allora Ju + (c+f)J (c+f)E = [Ju + (c+f)J] – Eu (Ricordiamo che, nel commercio estero, le unità monetarie usate saranno sempre quelle del Paese straniero o quelle concordate in uno specifico trattato, mai le unità monetarie proprie). La finanza comunitaria estera, dunque, è costituita sia dai crediti sia dalle finanze, ma sempre nel contesto di un equilibrio unitario tra la somma delle importazioni e la somma delle esportazioni.