Giovanni C a p e c c h i : Gli scritti danteschi di Giovanni Pascoli, con appendice di inediti. Ravenna, Longo Editore 1997, pp. 198 [88-8063124-1]
La pubblicazione di alcuni manoscritti inediti di argomento dantesco e
conservati nella casa di Castelvecchio offre all'autore l'occasione per riproporre alla nostra attenzione i complessi volumi di esegesi dantesca di Pascoli. Il testo riprende quanto presentato da Capecchi nella sua tesi di laurea (discussa a Firenze nel 1995) e ripercorre, sinteticamente ma con precisione, le
vicende tormentate e i contenuti fondamentali delle opere di critica dantesca
di Pascoli, tanto amate dal loro autore quanto ignorate, emarginate o vilipese dalla cultura ufficiale. Non a caso gli interessi per la critica dantesca di
Pascoli nascono spesso in sede di tesi di laurea là dove, alla ricerca di argomenti >inediti<, ci si può imbattere in queste opere che non di rado continuano ad essere considerate, oggi come ai tempi della loro pubblicazione, uno
studio >fuori moda<. E' con piacere, dunque, che segnaliamo il contributo di
Capecchi, anche per la sua chiarezza ed obiettività che riporta il Pascoli dantista in una luce non più polemica e quindi tanto più corretta ed oggettiva.
L'autore esordisce proprio riportandoci in quel clima di perenne marginalità in cui la poderosa opera esegetica pascoliana è stata relegata e dalla quale è uscita o per essere oggetto di >stroncature< senza appello da parte di critici infastiditi dall'interminabile e faticosa lettura di questi volumi o per essere considerata (come nel caso di Maurizio Perugi1) l'unica chiave per
1
Ci riferiamo in particolare alla sua antologia dell'opera pascoliana (Giovanni Pascoli, Opere. A cura di M. Perugi. Milano - Napoli, Ricciardi Editore 1980 [La letteratura italiana. Storia e testi. Voi. 61 / T. I—II]). In quest'opera il Perugi propone una lettura dell'intera opera del Pascoli attraverso le categorie dei suoi volumi danteschi con una serie fittissima di citazioni con le
quali talvolta si suggeriscono felici illuminazioni, ma spesso si sfiorano effetti paradossali. Per quanto discusso e discutibile, questo lavoro ha avuto il merito di riproporre all'interesse degli studiosi gli scritti danteschi in una forma
più accattivante, ma li ha anche declassati a un manuale di simbologia utile
per decifrare anche i più innocui versi pascoliani, ma non certo il poema dantesco. Nell'opera del Perugi sembra che Pascoli e Dante siano due elementi
tranquillamente interscambiabili: commentare il poeta di Castelvecchio o l'autore del Convivio diventa la stessa operazione. Perugi trasforma il Pascoli in
un poeta allegorico medievale e l'arbitrarietà di tale operazione è stata criticata da più parti.
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decifrare tutto il mondo poetico ed esistenziale pascoliano (rivalutazione
che, a nostro avviso, non rende giustizia né al poeta né al critico dantesco):
tutte posizioni dalle quali l'esegesi pascoliana non poteva trarre alcuna luce.
Di essa va innanzitutto considerata l'unicità, nata dall'identificazione che il
poeta di Castelvecchio stabilisce con il sommo poeta e che impedisce di inquadrare queste opere in una delle correnti >ufficiali< della critica dantesca.
La tesi dell'autore è che il Pascoli, scoprendo via via le analogie del suo
percorso esistenziale (più che poetico) con quello dantesco abbia finito per
adattare a sé la Commedia riscrivendo, sulla base delle vicende autobiografiche, l'intero percorso del poema dantesco con uno sforzo continuo di ricerca di se stesso nel sommo poeta, con la volontà di aderire a lui in tutto:
nella particolare elezione poetica, nelle vicende esistenziali, nella conclusione dolorosa della vita, nella mèta raggiunta in orgoglioso solipsismo, nella sconfitta umana riscattata dalla catarsi poetica.
In effetti, gli scritti danteschi di Pascoli sono indissolubilmente legati alle
vicende biografiche e psicologiche del poeta e non si possono comprendere
pienamente se non si inseriscono in quel clima di esaltazione, dolore, delusione e ribellione in cui nacquero e si svilupparono. Capecchi dedica, dunque, la prima parte del suo lavoro alla presentazione della storia di questi
studi: dalla prima intuizione (forse avuta da Pascoli durante la visita alla pineta di Ravenna e alla tomba di Dante subito dopo la laurea) fino allo scorato epilogo segnato dalla lettura del discorso Virgilio e Dante, a Bologna il
22 giugno 1910. In mezzo a queste date una lunga serie di illusioni e delusioni: i primi articoli sul »Convito« (1895-1896), la pubblicazione della Minerva Oscura (Messina, 1898) e le successive recensioni; le due sfortunate
partecipazioni al concorso per il premio dell'Accademia dei Lincei, le querelles con i dantisti; la pubblicazione del secondo volume Sotto il velame
(1900) preceduta dagli articoli che formano Intorno alla Minerva Oscura e
seguita dalle Conversazioni dantesche, l'uscita dell'ultimo lavoro, La mirabile visione nel 1902. Seguiranno ancora alcuni articoli e letture dantesche
nonché le ultime lezioni di argomento dantesco tenute alla scuola pedagogica di Bologna pubblicate da Capecchi nel 1996, mentre rimasero per sempre progetti il commento alla Divina Commedia, l'edizione delle opere maggiori e minori di Dante, il poema dantesco che il poeta aveva illustrato in
una lettera al Caselli, il tanto vagheggiato quarto volume La poesia del mistero dantesco che avrebbe dedicato a Firenze. Il 6 aprile 1912 Pascoli concludeva la sua vicenda terrena »a 56 anni come Dante [...] niente è a caso
nel mondo« scrisse la sorella Mariù.
La seconda sezione del volume di Capecchi in modo significativo è intitolata La Commedia di Pascoli, in queste pagine l'autore presenta sinteticamente i temi fondamentali delle principali opere dantesche di Pascoli con
l'intento di dimostrare che nelle interpretazioni pascoliane si assiste via via
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ad un crescente processo osmotico in cui Pascoli assimila la propria vicenda umana e spirituale a quella del grande poeta »riveduto e corretto« cosi da
renderlo compartecipe del suo stesso percorso, delle sue tribolazioni e della
sua aspirazione ad ascendere. Potremmo dire: un Pascoli >dantizzato< per un
Dante che si >pascolizza<. E' dunque Pascoli stesso che compie un viaggio,
che VEDE e contempla, mentre il lettore è chiamato alla fatica di ripercorrere con lui tutte le tappe di quel viaggio mistico, poetico, ermeneutico ed
esistenziale insieme, con tutti i dubbi e i ripensamenti, con la gioia delle scoperte e delle rivelazioni che, spesso, l'ignaro lettore non riesce a percepire
perché frutto non di procedimenti critici, ma di intuizioni personalissime e
di intricatissime reti di rimandi eruditi. Prima di procedere, occorre una premessa circa la Minerva Oscura. Il presupposto da cui partirono gli articoli
che costituiranno il primo volume era il seguente: per sei secoli si era continuato a parlare di un poema perfetto e nessuno era riuscito a spiegare quelle contraddizioni (apparenti per Pascoli) che esso presentava nella sua concezione strutturale. Pascoli, però, ha la certezza che, fondendo il razionalismo dello spirito romano con le complesse concezioni dell'età medievale,
Dante non poteva non costruire un edificio composito e insieme perfettamente armonico nelle sue parti. Le interpretazioni che, invece, si erano sempre date della Commedia, avevano portato a ritenere che Dante, partito da
una concezione, avesse, ad un certo punto, cambiato schema basandosi disordinatamente, nelle sue partizioni, un po' sui sette peccati capitali della
dottrina cristiana e un po' sulle tre disposizioni che il ciel non vuole di Aristotele. Pascoli è sicuro di aver scoperto l'unità di concezione dei tre regni
dell'Oltretomba (data dallo schema dei sette peccati capitali) e questa scoperta gli appare una rivelazione fondamentale perché non sarebbe possibile
cogliere il valore estetico se prima non si dimostra la coerenza della struttura esterna che è data da un'unità etica.
Partendo da questo punto di vista Pascoli intesse la sua intricata trama
esegetica che forma lo schema della Minerva Oscura sulla quale vengono ad
innestarsi innumerevoli rimandi, prove e argomentazioni in cui spesso il lettore si smarrisce. Anche il volume che presentiamo non ci guida in questo
cammino complesso, prendendo invece in considerazione più dettagliata i
volumi successivi. Dopo avere, dunque, restituito lo scenario del Poema nella sua originale struttura, nella seconda opera Sotto il Velame Pascoli comincia a rappresentare in esso il dramma pascoliano-dantesco, rivelando i
significati nascosti del divino poema. Il Dante pascoliano è l'adolescente
venticinquenne che si è perso nella selva oscura della vita; è privo della prudenza (virtù infusa con il Battesimo): è come un non battezzato, fanciullo
non d'età, ma d'animo. Giunto ai piedi del colle tenta il corto andare che lo
porterebbe a felicità buona, ma non ottima: il cammino della vita attiva. Tre
fiere, però, gli impediscono questo viaggio e dovrà intraprendere un altro
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viaggio: quello della vita contemplativa. Questa teoria è suggerita a Pascoli
dall'interpretazione mistica che s. Agostino, nel Contra Faustum, dà dell'episodio di Giacobbe e del suo doppio settennato di servizio presso Laban per
avere in sposa prima Lia e poi Rachele: questa diventa la fonte prima del
poema. E Pascoli? Anch'egli, vittima dell'ingiustizia (le tre fiere, ossia l'incontinenza propria, l'invidia e la superbia altrui), non può più aspirare alla
gloria ottenuta attraverso la vita attiva: la contemplazione raggiunta mediante il purificatore viaggio dantesco diventa la sua unica possibilità di redenzione.
Delle Conversazioni dantesche viene considerata l'interpretazione del disdegno di Guido: ciò che Cavalcanti ebbe a disdegno fu Virgilio che è Studio
e Amore. Dante è poeta >nuovo< perché non ha confidato solo nel proprio
ingegno, ma ha studiato assiduamente e questo studio è necessario per »togliere gli artifizi e renderci la natura«: c'è qui il Pascoli erudito e l'autore
delle umili Myricae foriere di profondi significati.
Nella Mirabile Visione la cronologia novennale di traviamento-salvazione
accomuna le esistenze di Agostino, Dante e Pascoli con la sequenza corto
andare - studio e traviamento - altro viaggio (vita contemplativa). La cronologia delle opere dantesche è rivista in questa luce profilando così una
Commedia tutta ravennate, scritta in otto anni, fra il 1313 e il 1321: otto anni
come quelli occorsi al Pascoli dantista per scrivere la sua >Commedia< (dal
1895 - inizio della Minerva Oscura - al 1902 - Prolusione al Paradiso).
Alla fine Dante ritrova Beatrice così come Enea ritrova il padre. Enea nell'Elisio incontra Museo che gli mostra la via per andare da Anchise così
come Dante sulla cima del Purgatorio incontra Matelda che precede Beatrice. Ma se Beatrice corrisponde ad Anchise, il viaggio di Dante è un viaggio
intrapreso alla ricerca del padre. Con questa considerazione Capecchi conclude la sua presentazione dell'esegesi pascoliana: anche se non vi sono
molti elementi che supportino questa tesi è indubbio che, percorrendo con
l'antico poeta il cammino nell'Oltretomba, Pascoli si sentisse come non mai
vicino ai suoi cari che ormai in quell'Oltretomba avevano la loro dimora e
che, in quel viaggio, trovasse la speranza di poter rivedere ancora una volta
il padre.
In Appendice Capecchi riporta tre scritti inediti conservati nell'archivio di
Castelvecchio. Il primo è una lunga lettera a Francesco Flamini redatta da
Pascoli nel 1899 e che doveva diventare un opuscolo: Intorno alla Minerva
Oscura. Lettera a Francesco Flamini, ma che non fu mai pubblicata. In essa
Pascoli ribadiva le tesi già esposte nella Minerva Oscura e rispondeva alle
obiezioni sollevate dai critici circa l'ordinamento morale dei tre regni dell'oltretomba. In particolare, rispondendo al Capelli, Pascoli avanza quella
che Capecchi definisce la teoria della tabula rasa secondo la quale è inutile fare la storia di un problema prima che esso sia risolto perché inciampe-
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remmo negli stessi impedimenti che ne hanno ostacolato la risoluzione. Solo
alla luce del problema disvelato potranno essere riviste tutte le teorie passate per metterne in luce i semi di verità e gli errori. Questo metodo, naturalmente, presuppone un esegeta che, per un'illuminazione improvvisa e personale abbia visto brillare innanzi a sé la verità mai prima d'allora scorta da
nessuno. Ed è proprio così che il Pascoli critico propose se stesso: il veggente che VEDE ciò che ad altri è rimasto precluso. Per il resto, la lettera
non fa che ribadire alcuni punti già trattati nella Minerva Oscura senza aggiungere molto al primo volume dantesco. Il secondo testo è una lettera del
1899 a Giacomo Parodi il quale, sulla Rassegna bibliografica della letteratura italiana aveva criticato duramente la Minerva Oscura. Pascoli esprime
il suo disappunto per le posizioni del >rivale< dantista né lo conforta il riconoscimento del suo valore poetico: in quel momento della sua vita al lauro
era preferibile il pane! L'ultimo scritto è una lettera del 1904 indirizzata a
F. Flamini che, avendo proposto alcune teorie affini a quelle pascoliane, si
era subito affrettato a sottolineare la genesi indipendente delle due teorie. La
risposta di Pascoli doveva essere pubblicata sul Giornale storico della letteratura italiana, ma rimase inedita. Pascoli ribadisce ancora alcune teorie (la
simbologia di Gerione, della selva, delle tre fiere) senza però i toni accesi di
un tempo, ma ancora con la ferma convinzione di avere scoperto il vero.
Nel complesso il volume, pur non presentando sostanziali novità nell'interpretazione del dantismo pascoliano, costituisce un utile compendio e una
valida introduzione all'imponente mole di questi scritti danteschi. Alcune riserve si potrebbero avanzare sull'Introduzione di M. Biondi che, mentre propone alcune interessanti osservazioni, ci richiede un po' di fatica nel seguirlo. Certamente non costituisce un invito a leggere l'opera pascoliana di cui
critica lo stile »mimetico e duplice, fastidiosamente duplicante-replicante,
incerto, svagato e divagante, parcellizzato in infiniti dettagli, fanatico di regole, precetti, graduatorie [...], ingegneresco di falansteri teologico-morali
[...], pedante come la lezione di un maestro smemorato e balbuziente, dispersivo, cadente, mai conclusivo«. Rimprovera a Pascoli di avere fatto della
Commedia l'opera che rappresenta la liberazione umana, 2 l'eccessiva analisi a discapito della sintesi, di essere un superbo un po' folle e un po' pedante
2
Non si può negare che la Commedia, proprio quando si fa più forte la
crisi dell'uomo e del mondo, diviene il poema della faticosa quanto necessaria conquista della libertà, un dramma in cui tutte le epoche con i loro eroi, la
propria cultura e la propria storia, sono chiamate a portare il loro contributo.
Nelle pagine di Pascoli la Commedia diviene opera enciclopedica, un enciclopedismo non tanto culturale, ma soprattutto esistenziale, dove vite diverse
s'incontrano lungo i secoli entro un comune denominatore.
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che ci porta in un universo macabro e ripugnante (minuziosamente descritto da Biondi con immagini da film horror), immergendoci in una noia allucinogena che sa di muffa e di malattia.
Fortunatamente, leggendo il testo di Capecchi ci si imbatte in un'atmosfera un po' più luminosa e invitante: la sintesi dello scritto ha il pregio di
offrire un'agevole lettura e un approccio piacevole a queste opere, anche se,
necessariamente, molti aspetti sono stati tralasciati: ad esempio si pensi ai
rapporti con la restante produzione pascoliana, agli elementi danteschi presenti nelle opere poetiche e nelle altre prose di Pascoli, all'analisi più approfondita degli interventi della critica nonché a diversi temi e passaggi delle opere critiche maggiori non considerati in questo volume.
L'opera presenta anche un buon apparato bibliografico molto attento alle
prime recensioni quanto agli apporti più recenti. 3 Il percorso seguito dalla critica è stato tutt'altro che lineare ed è impossibile seguirvi delle correnti e delle precise tendenze. Si tratta per lo più di interventi isolati, quasi sempre indipendenti tra loro, obbedienti più a gusti e sensazioni personali che a un vero
e proprio spirito critico. Nel 1975, Antonio Prete concludeva che »ciò che resiste, alla fine del percorso della selva della critica pascoliana, è l'immagine
[...] d'un poeta che non s'appresta per sé che qualche scarso strumento interpretativo, e tuttavia sollecita una ridda di interpretazioni rapidamente in
grado di trasformarlo in oggetto critico permanente e spesso indisponente«. 4
Certamente intorno al poeta fiorentino Pascoli ha fatto gravitare un mondo sentimentale, fantastico, culturale, religioso, mistico e storico così ampio
quanto nessun altro critico è riuscito a costruire, ne ha fatto pensiero e poesia, uomo finito e poeta che vive per sempre, il niente e il tutto come egli lo
ha visto di fronte alla cometa di Halley: »II Niente o il Tutto: un raggio, un
punto, l'Uno.«
Genua
Daniela Scamuzzi
3
La bibliografia si trova alle pp. 185-192 ed è suddivisa in tre parti:
1) Scritti danteschi di Giovanni Pascoli (pp. 185-186); 2) Opere sul dantismo
pascoliano (pp. 186-190); 3) Altra bibliografia (pp. 190-192). Potremmo ancora ricordare alcuni interventi: E. Cozzani, Pascoli. Milano 1937-1939, voi.
IV (Gli scritti danteschi); L. Gigli, »Minerva Oscura«, in: La Gazzetta del popolo, 1 luglio 1952; A. Rigoni, »Gli scritti danteschi del Pascoli«, in: L'Osservatore Romano, n° 163, 13 luglio 1952; V Vittori, L'opera pascoliana e i
suoi critici. Siena 1956; F. Mattesini, »Pascoli e la Bibbia«, in: Lettere Italiane, anno XXVI, n° 2, aprile - giugno 1984.
4
A. Prete, La critica e Pascoli. Bologna, Cappelli 1975.
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